Concilio dei Giovani
“i giovani avranno visioni…”
Strumento di lavoro in preparazione al concilio
Assisi, 3-6 ottobre 2013
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Concilio dei Giovani
Cosa stiamo per vivere?
Che cosa è questo momento così particolare che vi stiamo proponendo? Che significato ha questa
“grande convocazione” per discernere insieme l’opera dello Spirito?
Proviamo a rispondere a queste legittime domande richiamando le due immagini che risuonano già nel
titolo dell’iniziativa.
1. Un’icona biblica: il profeta Gioele
Il sottotitolo del nostro riunirci è una frase tratta da un minuscolo libro profetico: il libro di Gioele: Gl
3,1. Questo testo è composto da soli 4 capitoli e risale in buona parte alla predicazione di un profeta
vissuto a Gerusalemme tra il VII e il VI secolo a.C. Il tema principale di questo libretto è la descrizione
del “Giorno del Signore”, cioè del momento in cui Dio incontrerà faccia a faccia il suo popolo.
Questo testo diventa centrale perché saranno le prime parole che la Chiesa appena nata dal dono dello
Spirito Santo pronuncerà di fronte alle moltitudini delle genti. Infatti il capitolo 2 del libro degli Atti
degli Apostoli ci racconta l’esplodere della Chiesa travolta dalla nuova vita che proviene dalla Pasqua.
Il vento impetuoso spalanca le porte e rende la stanza della memoria, il cenacolo, aperta agli sguardi
delle folle radunate per il rumore; il fuoco che scende dal cielo incendia le vite degli Undici e di Maria:
tutte queste sono immagini tratte proprio dalle descrizioni profetiche del “Giorno del Signore”. Nella
Pentecoste, nella pienezza della Pasqua, il Signore incontra faccia a faccia quel popolo disperso,
impaurito, rinchiuso nella nostalgia. A questo punto, Pietro, a nome di tutti, sicuro di quel ruolo che lo
stesso Maestro gli aveva attribuito, si affaccia e di fronte a tutti prende la parola. È la prima parola che
la Chiesa pronuncia:
Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa significa questo?". Altri invece li
deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di vino dolce".
Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: "Uomini di Giudea, e voi tutti
abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono
ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino; accade invece quello che fu detto per
mezzo del profeta Gioele:
Avverrà: negli ultimi giorni - dice Dio su tutti effonderò il mio Spirito;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno sogni.
E anche sui miei servi e sulle mie serve
in quei giorni effonderò il mio Spirito
ed essi profeteranno (At 2, 12-17)
Le prime parole che la Chiesa tutta pronuncia di fronte al mondo solo esattamente le parole del profeta
Gioele! Ciò che stupisce di queste parole è che lo Spirito sembra realizzare un ribaltamento rispetto
alle normali nostre logiche. Ciò che “si dice” è che compito dei giovani è quello di essere sognatori, fa
parte della loro “natura”. Mentre gli adulti, gli anziani, devono tenere i piedi per terra, custodire la
“visione” della realtà, fare dei progetti.
Ma negli ultimi giorni, nei giorni in cui il Signore si farà presente, avverrà l’esatto opposto: ai giovani è
dato il compito e la capacità di avere visioni, mentre gli adulti, i vecchi sogneranno. E tutto ciò si è già
realizzato – afferma Pietro – in Gesù di Nazareth. In lui la logica comune è ribaltata e si aprono tempi
nuovi. In questo eterno nuovo giorno, i giovani custodiscono la giusta visione delle cose, formulano i
progetti su cui si dovrà edificare la comune casa del Regno di Dio. Gli anziani invece sognano, sono in
grado di scendere ad una profondità nuova e diversa della realtà, sono in grado di superare il normale
ordine delle cose, per produrre “frasi nuove con parole vecchie”, proprio come lo scriba saggio del
Vangelo (cf Mt 13, 52).
Il Cardinale Carlo Maria Martini, commentando proprio questa frase, si rivolgeva così ai giovani:
Concilio dei Giovani 3
Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta
l’opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie
profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni». I «figli e le figlie saranno
profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo
dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i
responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa. Il contributo «dei
figli e delle figlie» è fondamentale. Essi sono ancora interessati oggi a criticare noi, la Chiesa, i
governanti, oppure si ritirano in silenzio? Dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito
Santo è all’opera. Nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose dovremmo forse prestare
attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano
in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la
Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello
Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi.
(C.M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Mondadori, Milano 2008)
La nostra iniziativa vuole “prendere” sul serio questa indicazione originale della Chiesa, formulata dal
primo tra gli apostoli: cercheremo di metterci in ascolto della visione che i giovani custodiscono nel
loro cuore, nei loro occhi, per consegnarla agli adulti, affinchè questi sognino la visione dei primi.
2. Un’icona ecclesiale: un Concilio
Una seconda immagine ci aiuta a capire cosa stiamo proponendo. Il titolo dell’iniziativa suona
decisamente pretenzioso: un concilio dei giovani. Probabilmente molti di voi, sentendo la parola
“concilio”, evocano nella loro testa alcune immagini in bianco e nero di un momento sentito ormai
lontano nel tempo e oggetto di qualche documentario storico. Sicuramente chi è vicino alla Chiesa avrà
l’impressione di un momento di grande vivacità, di slancio potente, che cinquant’anni fa è stato in
grado di far compiere alla Chiesa intera un balzo nella riscoperta della propria identità nel mondo
contemporaneo.
Ma che cosa è concretamente un Concilio? Secondo il Codice di Diritto Canonico della Chiesa, il Concilio
è il modo in cui tutto il Collegio dei Vescovi (cioè l’insieme di tutti i vescovi del mondo, sotto la guida
del vescovo di Roma) esercita nel modo più alto e solenne il suo compito di guida nella Chiesa. E’ un
momento eccezionale, in cui attraverso un grande esercizio di ascolto e di condivisione tutti i vescovi
del mondo, definiscono quello che lo Spirito sta suggerendo alla Chiesa. E’ il più alto modo di “governo”
della Chiesa, che, attraverso il complesso esercizio di discernimento comunitario, è chiamato a
riconoscere infallibilmente l’azione dello Spirito.
2.1. Nella scia del concilio Vaticano II
Tutti sappiamo come l’ultimo concilio che la Chiesa ha celebrato è il concilio Vaticano II, vissuto
proprio 50 anni fa. Ogni discernimento nella Chiesa oggi deve avvenire in coerenza con l’insegnamento
che lì ci è stato consegnato e che i successivi Vescovi di Roma hanno approfondito e sviluppato.
Per questo la nostra discussione procederà raccogliendo i contenuti dei quattro principali documenti
conciliari (chiamati Costituzioni). Questi sono:
- La costituzione sulla liturgia Sacrosantum Concilium (4 dicembre 1963)
- La costituzione sulla chiesa Lumen Gentium (21 novembre 1964)
- La costituzione sulla divina rivelazione Dei Verbum (18 novembre 1965)
- La costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes (7 dicembre
1965)
Per cercare di entrare nel riferimento conciliare potremmo ripercorrere la storia del concilio o le
discussioni che hanno accompagnato e si sono susseguiti negli anni successivi. Facciamo però una
scelta diversa… Mettiamo qui l’ultimo messaggio del Concilio. Dopo 3 anni di lavoro (dal 1962 al
1965), dopo aver prodotto 16 documenti di importanza e grandezza differente su tutti i principali
aspetti della vita ecclesiale, il Concilio, con una scelta ancora una volta assolutamente innovativa, si
conclude con una serie di messaggi rivolti a diverse categorie. L’ultimo di questi messaggi, l’ultima
parola è riservata proprio a giovani. Ecco il testo:
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Concilio dei Giovani
È a voi, giovani e fanciulle del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio.
Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel
momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio
dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di
domani: voi vi salverete o perirete con essa.
La Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere
al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di
questa imponente «revisione di vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che
essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il vostro avvenire.
La Chiesa è desiderosa che la società che voi vi accingete a costruire rispetti la dignità, la libertà, il
diritto delle persone: e queste persone siete voi.
Essa è ansiosa di poter espandere anche in questa nuova società i suoi tesori sempre antichi e sempre
nuovi: la fede, che le vostre anime possano attingere liberamente nella sua benefica chiarezza. Essa ha
fiducia che voi troverete una tale forza ed una tale gioia che voi non sarete tentati, come taluni i dei
vostri predecessori, di cedere alla seduzione di filosofie dell'egoismo e del piacere, o a quelle della
disperazione e del nichilismo; e che di fronte all'ateismo, fenomeno di stanchezza e di vecchiaia, voi
saprete affermare la vostra fede nella vita e in quanto dà un senso alla vita: la certezza della esistenza
di un Dio giusto e buono.
È a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le
dimensioni del mondo, ad intendere l'appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre
giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate, di dar libero corso agli istinti
della violenza e dell'odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate: generosi, puri,
rispettosi, sinceri. E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!
La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e
camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa
è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di
rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste.
Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità
e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani. Ed è appunto in nome di Cristo che noi vi salutiamo,
che noi vi esortiamo, che noi vi benediciamo (8 dicembre 1965).
2.2. Il metodo del discernimento comunitario
Evidentemente il nostro “concilio” è tale solo per similitudine. Non abbiamo certo la pretesa di una
simile forza e di una simile autorità. Ciò che ci identifica è invece il metodo e il fine: lo sforzo di un
serio discernimento comunitario con lo scopo di riconoscere quanto lo Spirito ci sta suggerendo.
Il procedimento del discernimento comunitario è un preciso modo di mettersi in ascolto della volontà
di Dio attraverso il confronto e il dialogo con i fratelli… È importante procedere in maniera ordinata,
attraverso un metodo, proprio come avviene in un vero Concilio. I conduttori dei diversi gruppi di
lavoro ti aiuteranno a rispettare una modalità di discussione attenta non a far emergere il parere di
qualcuno, ma a far risuonare la voce dello Spirito in tutti.
Alcuni atteggiamenti e alcune attenzioni saranno ncessarie durante tutte le discussioni e può essere
importante che tu li abbia chiari già da ora.
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Lo Spirito Santo accompagna questo itinerario e l’esercizio del discernimento sarà collocato in un
contesto di preghiera e di invocazione per chiedere il dono della sapienza e dell’intelletto, della
scienza e del consiglio, della fortezza, della pietà e del timore del Signore.
tutti dobbiamo aver chiaro quale è l’oggetto di cui si deve discutere, quale la domanda su cui si
deve cercare una risposta. Per questo è importante che tu legga con cura queste pagine dello
“Strumento di lavoro”. Se qualcosa non è chiaro è bene che ve lo segnate così che possa venire
chiarito all’inizio del “concilio”. La fase iniziale del “concilio” servirà a chiarire ulteriormente le
questioni e le domande, attraverso l’aiuto di un esperto invitato a parlarci e l’ascolto di papa
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Francesco che sarà presente in quei giorni ad Assisi.
Sarà importante che la discussione non diventi mai un dibattito: ciascuno deve prestare grande
attenzione soprattutto all’ascolto dell’altro evitando forme di giudizio o anche solo di commento al
parere dell’altro. Sarà importante che nella discussione ci siano delle regole che evitano l’emergere
di queste tensioni e precomprensioni:
- evitiamo di introdurre i nostri contributi con «secondo me», «secondo te», etc…
- evitiamo di rispondere, controbattere e contestare: i nostri gruppi non sono luoghi di
dibattito, non c’è qualcuno che vince o che perde, non c’è un’idea che deve prevalere
sull’altra.
La nostra riflessione procederà in due momenti:
- una prima fase, a piccoli gruppi, dove cercare di raccogliere i contributi di tutti in forme
sintetica;
- una seconda fase di raccolta e sintesi generale delle posizioni, promossa da una
commissione e proposta alla valutazione finale di tutti.
Questi sono solo alcuni accenni. Se vuoi approfondire ulteriormente il tema e il metodo del
discernimento comunitario di suggeriamo di leggere l’ultimo capito del libro di I.RUPNIK, Il
discernimento, Lipa, Roma 2010.
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Concilio dei Giovani
Il punto prospettico: la fraternità
Proviamo anzitutto ad aver chiaro il punto di partenza della nostra riflessione, la questione su cui
siamo chiamati a riflettere. Il concilio Vaticano II è stato fondamentalmente un concilio
preoccupato di «aggiornare» l’immagine e il vissuto della chiesa: questo era il pensiero di Paolo
VI. La costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa ci ha consegnato un modo preciso di chiamare
la Chiesa: essa è il Popolo di Dio! Come questo popolo vive concretamente, come il vissuto
concreto traduce nell’esperienza di tutti questa sua identità… Tanti teologi e pensatori hanno
cercato di tradurre questo vissuto attraverso le dinamiche comunitarie. La nostra esperienza,
condivisa nei diversi cammini vissuti ad Assisi e nei nostri luoghi di vita, ci hanno consegnato
una nuova esperienza per cercare di tradurre il vissuto ecclesiale in un modo capace di
rispondere ai bisogni e ai vissuti degli uomini e delle donne di oggi. Questo modo di vivere i
rapporti è la fraternità.
Per cercare di comprendere cosa sia questa categoria, cosa significhi concretamente dobbiamo
guardare non solo a quello che abbiamo vissuto e sperimentato nei nostri cammini, ma anche alla
tradizione che la storia della chiesa e della santità ha sviluppato e all’approfondimento che la
riflessione della teologia ha maturato.
Per questo riportiamo qui alcune pagine tratte da un libro che ha cercato di approfondire proprio la
categoria di fraternità:
Si tratta di fare un passaggio delicato: da “fraterno” inteso come qualificatore importante dello stile
delle comunità cristiane a “fraternità” come sostantivo astratto capace di essere usato come soggetto
al posto di “comunità”. […]
Riprendiamo, perciò, in breve sintesi le caratteristiche che rendono il concetto di “fraternità” più
conveniente di quello di “comunità”.
Già per il livello antropologico, essa ha a che fare non solo con questioni particolari inerenti al mero
rapporto tra pari, ma con quelle questioni tra pari che toccano in profondità il tema della vita e
dell’origine. La fraternità rimanda ai ed è sviluppo dei perché fondamentali della vita […]. La fraternità
è il luogo originariamente umano, in cui è ancora possibile rintracciare la memoria dell’origine e il
mistero della vita. E questo avviene non estrinsecamente [dal di fuori], ma all’interno delle stesso
dinamiche fraterne. La fraternità è la “reciprocità nella custodia”. Sono due quindi gli elementi
fondamentali: reciprocità e custodia. Mentre “reciprocità” dice una dimensione paritaria, “custodia”
dice una dimensione asimmetrica. È come se nell’idea di fraternità fossero in gioco le due dimensioni –
fraterna e genitoriale/materna, che sono un po’ le coordinate dell’agire umano. E come se, appunto,
l’origine – sia divina sia umana – s’inverasse intrinsecamente nella fraternità, da diventarne quasi la
nervatura dell’esercizio della reciprocità. Ecco perché la soluzione dei conflitti fraterni non può mai
avvenire qualora tutti e due i confliggenti rimandano fermi nell’impersonare il loro ruolo paritario.
Solo, infatti, se almeno uno dei due impersona un ruolo genitoriale nei confronti dell’altro, è possibile
che si arrivi alla soluzione positiva: il mettersi dalla parte dell’origine scaccia la morte. La verità
dell’uomo è così legata all’amore che è proprio dell’origine e del fine dell’esistenza creaturale
dell’uomo. La fraternità insegna così che nessun uomo può vivere in libertà la sua personale esistenza
senza legami paritari con tutti gli altri uomini, fondati su una comune origine. E questi legami non
possono essere sciolti-uccisi. […].
Il livello teologico s’innesta su queste riflessioni. L’evento cristologico dice con chiarezza che già per il
legame originario di amore […] tra il Logos e la creazione esiste una fratellanza in cui il Logos è il
primogenito. La pasqua di Cristo rende evidente, nei termini della pienezza-compimento, questa
primogenitura del Figlio. Il primogenito, per il proprio movimento kenotico [di abbassamento] che è
già del Padre, diventa l’ultimogenito, riconciliando così la prima fraternità umana, quella di Caino e
Abele. La ferita del legame che aveva portata alla morte del fratello, non più riconosciuto come tale, è
ormai risuscitata per la prova della morte da Cristo subita. Il legame originario del Figlio verso il Padre
segna positivamente la condizione creaturale-filiale dell’uomo, perché, grazie alle sue doti di apertura,
fiducia e gratuità, permette ai legami fraterni di non restare chiusi in sé stessi, di non essere più schiavi
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della paura e dell’angoscia.
La dimensione ecclesiale è così ben compresa e interpretata dalla fraternità del Cristo. Il Cristo, che
riconcilia nella sua pasqua Caino e Abele, impedisce alla Chiesa sia qualunque possibile selezione di
ordine morale all’interno dei suoi membri sia ogni atteggiamento settario-selettivo nel rapporto
Chiesa-mondo. Non solo. Insegna alla Chiesa di esercitare solo un ruolo materno, di accoglienza e
perdono, all’interno della reciprocità in cui essa stessa è implicata: la fraternità universale. La Chiesa
deve rinviare, pertanto, sempre a Dio per ogni esercizio di paternità. L’esercizio dell’autorità nella
Chiesa non può che essere nel registro dell’autorità materna. Questo tipo di esercizio risulta giusto
antidoto ad ogni possibile mentalità di potere e di dominio e rivela che la Chiesa è fraternità. (S.
Dianich – C. Torcivia, Forme del popolo di Dio. Tra comunità e fraternità, San Paolo, Cinisello B. 2012).
Ciò che è al centro di tutto il nostro discernimento si deve raccogliere attorno a queste due domande:
- l’esperienza di fraternità che abbiamo vissuto e che sentiamo importante per noi è
davvero la “parola profetica” che permette alla Chiesa di andare incontro ad ogni uomo
per annunciargli oggi il Vangelo di Gesù?
- come possiamo tradurre la fraternità, intesa nella profondità umana, cristiana ed
ecclesiale, dentro nei modi concreti di vivere della e nella Chiesa?
- Come possiamo impegnarci concretamente nei nostri contesti ecclesiali per essere
“Giovani costruttori di fraternità”?
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I quattro ambiti
Con queste due domande ben chiare possiamo considerare i 4 ambiti di vita della chiesa che le
costituzioni del concilio ci consegnano. Ciascuno è chiamato a scegliere uno di questi ambiti per
provare a capire come lo Spirito ci chieda oggi di declinare in maniera fraterna quell’ambito della vita
della Chiesa. Per ognuno degli ambiti mettiamo ora a tua disposizione un testo che spiega la
costituzione conciliare, il link se tu volessi leggere per intero il documento e le domande che dovranno
guidare la riflessione.
A. Un preghiera che abbia lo stile della fraternità
A1 - Ecco una sintesi della costituzione Sacrosantum Concilium:
La costituzione Sacrosanctum concilium è il primo frutto del concilio Vaticano II, l’unico documento
nella storia dei concili che tratta della liturgia nella sua globalità in prospettiva teologica e pastorale, la
magna charta del rinnovamento liturgico della chiesa cattolica.
1. L’approvazione e l’accoglienza
La sua approvazione definitiva avvenne nell’aula conciliare della Basilica Vaticana il 4 dicembre 1963
alle ore 11 con una votazione plebiscitaria: 2147 padri risposero placet e soltanto 4 risposero non
placet.
Può sorprendere la benevola accoglienza dei padri conciliari solo chi non tiene conto che lo schema di
costituzione giungeva in concilio a 66 anni dal Motu proprio di Pio X “Tra le sollecitudini” del 1903. Da
esso traeva origine il Movimento liturgico, che ora riconosceva nella costituzione il suo coronamento e
che in pari tempo si proponeva la ripresa della riforma liturgica promossa da Pio XII nel 1948 con
l'Ordo rinnovato della Settimana santa nel 1955. La stessa data ricorreva a distanza di quattro secoli
dalla chiusura del concilio di Trento (4 dicembre 1563) che, con l'intento dell'unità disciplinare, aveva
prodotto l'uniformità e il fissismo dei riti liturgici: una situazione diventata particolarmente
insostenibile che reclamava un'adeguata riforma.
Questa serie di circostanze spostò l'interesse dei padri conciliari sul problema strettamente pastorale,
in particolare l'estensione della lingua parlata e il decentramento legislativo. A riforma conclusa sul
piano strettamente rituale si impone una valutazione più completa e più rispettosa del documento.
Esso ebbe l'onore di inaugurare non solo un concilio, ma anche un metodo di lavoro, un nuovo
linguaggio meno tecnico e più biblico. Ne tracciò perfino il programma nello stesso prologo. Infatti, nel
cap. I della nostra costituzione sono già presenti una serie di temi che emergeranno nei successivi
documenti: dalla natura e missione della chiesa all'incontro con le altre chiese, dalla parola di Dio al
nuovo rapporto con il mondo, dall'annuncio dei vangelo alla celebrazione eucaristica, culmine e fonte
della vita ecclesiale.
Questa prospettiva non sfuggì ai padri i quali definirono la costituzione sulla liturgia «cuore del
concilio», e la rilessero in collegamento con Lumen Gentium, Dei Verbum, Unitatis Reintegratio
indicando la chiesa nell'assemblea che si riunisce per narrare e attuare sia l'evento pasquale della
morte e risurrezione di Cristo sia la sua natura e missione.
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2. Le affermazioni dottrinali più importanti della Sacrosanctum concilium sono:
-
-
la concezione teologica della centralità del mistero pasquale, cioè dell’intima unione della morte e
risurrezione di Cristo, che si rende presente nella liturgia;
il significato centrale della liturgia, quale “culmine verso cui tende l’azione della chiesa e, insieme,
la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (n. 10). L'affermazione ritorna con riferimento esplicito
all'eucaristia in ben cinque documenti conciliari.
la rivalutazione della Parola di Dio.
la multiforme presenza di Cristo, non solo nelle forme sacramentali, ma anche nella comunità che
celebra, nella Parola, ecc.
3. Sul piano delle disposizioni pratiche, la costituzione ristabilisce:
-
-
la forma originaria della celebrazione eucaristica, dell’anno liturgico, nonché dei sacramenti e
della preghiera delle ore. Essa ha previsto una migliore partecipazione dei fedeli alla liturgia. La
liturgia è la preghiera ufficiale della Chiesa, e dunque non riguarda solo il sacerdote ma l’intera
comunità dei fedeli. Per questo, era anche importante introdurre, nella liturgia, le lingue volgari.
Essa prescrive una rielaborazione dell’ordinario della messa e una nuova più ampia scelta delle
letture.
Circa il problema della lingua volgare nella liturgia la costituzione porta ancora le tracce dell’unico
compromesso allora possibile fra lo schieramento progressista e quello conservatore, un
compromesso che restava comunque aperto alla possibilità di nuovi sviluppi. Essa stabilisce (nn.
36 e 54) che venga “conservato” nel rito latino l’uso della lingua latina, ma accetta che alla lingua
volgare si faccia uno spazio “più ampio” (o “conveniente”), “specialmente” nelle letture, nei canti
e nelle preghiere da recitarsi insieme al popolo; se oltre a questo, si deve fare alla lingua volgare
uno spazio ancora maggiore, lo si deve fare d’intesa con la competente autorità ecclesiastica, cioè
attraverso le conferenze episcopali con approvazione della Sede apostolica. Su questo punto,
comunque si voglia valutare la cosa, l’evoluzione post-conciliare, anche riguardo all’ordinario
romano ufficiale della messa, è andata oltre ciò che sanciva la costituzione della liturgia; le
possibilità offerte dalla formulazione aperta del n. 54 (possibilità di estendere l’uso della lingua
volgare) sono state sfruttate a tal punto che la precisazione del n. 36,1 (conservazione dell’uso
della lingua latina) è stata di fatto, a parte poche eccezioni, svuotata del suo significato e oggi è
del resto del tutto illusoria. Il passaggio alla messa celebrata interamente (compreso il canone) in
lingua volgare non è avvenuto subito, ma si è progressivamente imposto; in Germania solo a
partire dal 1967. I nuovi canoni, il nuovo ordinario della messa e il nuovo lezionario erano
disponibili già a partire dall’anno liturgico 1968-1969 e furono resi obbligatori da Roma, dopo una
lunga fase sperimentale, nel 1976. Per quanto riguarda l’Italia, già nel 1965 si era diffuso un
Messale in traduzione italiana ad experimentum; l’edizione ufficiale obbligatoria risale al 1973».
4. La sua accoglienza nella vita della Chiesa
-
Il Beato Giovanni Paolo II ha scritto: “Per molti il messaggio del Concilio Vaticano II è stato
percepito innanzitutto mediante la riforma liturgica”, che è oggetto della Costituzione conciliare
Sacrosanctum Concilium”. La Costituzione sulla liturgia è il documento conciliare che ha prodotto i
cambiamenti più appariscenti nella forma con cui la Chiesa vive e si presenta al mondo, perché ne
è derivata la riforma dei suoi riti. Il vero problema che il documento affronta, però, non è quello di
cambiare qualche cerimonia o la lingua da usare nelle celebrazioni. E’ il senso profondo della
liturgia che interessa soprattutto ai padri conciliari: essi intendevano si superasse l’idea diffusa
che il problema della liturgia consistesse semplicemente nella fissazione di alcune regole, senza
l’osservanza delle quali i riti perdevano il loro valore. La liturgia cristiana non è un insieme magico
di pratiche celebrative: per il concilio essa è la misteriosa azione di Cristo, presente alla sua
Chiesa, sia nel riunirsi dei fedeli, sia nel ministero dei sacerdoti, sia nella lettura della Bibbia, sia
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nelle azioni sacramentali e, infine, nel pane e nel vino dell’eucarestia. Bisognava allora che
l’azione liturgica fosse riscoperta come mistero della sua presenza in tutti questi diversi aspetti.
Ne derivarono i due fattori più importanti di quella che fu poi la riforma liturgica: la maggiore
valorizzazione del ruolo della Sacra Scrittura e la promozione della partecipazione attiva di tutti i
fedeli. L’introduzione della lingua parlata ne fu la logica conseguenza.
A2 – Se vuoi leggere per intero il documento vai qui:
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vatii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html
A3 – Le domande su cui rifletteremo nel gruppo:
-
come le nostre eucarestie possono rendere visibile uno stile fraterno? cosa può significare una
partecipazione feconda dei fratelli alla preghiera della Chiesa?
quali sono le caratteristiche della preghiera che la caratterizzano come fraterna?
come far splendere la presenza di Gesù dentro la nostra preghiera? come gli uomini e le donne
possono “vedere” questa presenza nel nostro modo di pregare?
B. La Parola al centro della fraternità
B1 – Ecco una sintesi della costituzione Dei Verbum:
1. QUALI ERANO I PROBLEMI APERTI A PROPOSITO DELLA SCRITTURA AL TEMPO DEL CONCILIO?
Almeno tre erano i problemi più sentiti nell'ambito degli studi biblici e della presenza della Scrittura
nella Chiesa.
1. Il rapporto Tradizione - Scrittura. Questo tema era soprattutto vivo nel mondo dell'Europa del Nord,
nel quadro del dialogo tra protestanti e cattolici. Si trattava di rispondere alla domanda se la Chiesa
ricava i suoi dogmi solo dalla Sacra Scrittura o anche da una tradizione orale che contenga cose non
dette dalla Scrittura..
2. L'applicazione del metodo storico critico alla Sacra Scrittura e il problema connesso dell'inerranza
dei libri sacri. Si era avuto qualche progresso rispetto alla dottrina molto rigida del passato col
riconoscimento della validità dei generi letterari, e questo grazie all'Enciclica " Divino afflante Spiritu "
del 1943. Ma la questione restava ancora pendente, e il tutto era sfociato in una esasperata polemica
alla fine degli anni 50. Bersaglio di questa polemica era soprattutto l'insegnamento del Pontificio
Istituto Biblico, accusato di non tenere conto della verità tradizionale dell'inerranza dei libri sacri.
Il problema non toccava solo l'interpretazione della Scrittura, ma anche il rapporto quotidiano dei
fedeli con la Bibbia. Se si obbligavano i fedeli a una interpretazione di tipo quasi fondamentalistico dei
libri sacri, non pochi di essi, soprattutto i più colti e preparati, si sarebbero allontanati.
3. Tema molto vivo, che ci tocca particolarmente in questa relazione, era anche quello del "movimento
biblico", che da oltre cinquant'anni stava favorendo una nuova familiarità con i testi sacri e un
approccio più spirituale alla Scrittura, intesa come fonte di preghiera e di ispirazione per la vita. Ma si
trattava di iniziative un po' elitarie, sottoposte anche a sospetto e critica. Era importante riconoscere
ufficialmente quanto c'era di buono in questo movimento, regolare questa nuova fioritura di iniziative,
dare loro un posto nella Chiesa, nel caso correggerle, valutando a fondo i pericoli di deviazione ancora
oggi ripetuti a proposito di questa lettura della Bibbia da parte dei laici.
2. COME AVVENNE, NELL'AMBITO DEL CONCILIO, IL PROCESSO DI CHIARIFICAZIONE RISPETTO A
QUESTI TEMI, E SOPRATTUTTO RISPETTO AL TERZO, CIOE' LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA
CHIESA?
Lo schema preparatorio su questi argomenti, a cura della commissione apposita, fu proposto ai Padri il
14 novembre del 1962, col titolo " Constituzione sulle fonti della rivelazione".
Quella prima seduta fu tempestosa. Il cardinale Liénart disse semplicemente:" Questo schema non mi
Concilio dei Giovani 11
piace " Nello stesso senso parlarono con forti critiche i cardinali Frings, Léger, Koenig, Alfrinck, Ritter e
Bea. In senso opposto parlarono invece altri Padri. Fu così che si giunse con fatiche e tensioni al voto
del 20 novembre, in cui prevalse, con grande malumore di molti, la decisione di continuare la
discussione. Senonché il Papa Giovanni XXIII intervenne con un gesto di grande saggezza, imponendo il
ritiro dello schema per affidarlo ad una nuova commissione per un rifacimento.
Da allora ebbe inizio un lungo lavoro che produsse, con alterne vicende, numerose forme di testo, di
cui l'ultima fu finalmente accettata il 22 settembre 1965. Venivano tuttavia proposti ancora numerosi
"emendamenti". Essi furono vagliati e inseriti nel testo che fu sottoposto a votazione il 20 ottobre del
1965. Si arrivò così alla votazione definitiva del novembre seguente, che registrò 2344 voti a favore e 6
voti contro.
Quali furono i punti maggiormente chiariti dalla nuova stesura, a cui fu dato il titolo di "Costituzione
dogmatica sulla divina Rivelazione", o "Dei Verbum" dalle parole iniziali, che furono inserite grazie a
una proposta fatta nell'ultima discussione (settembre 1965)? Ne emergono cinque.
1. Il concetto di "rivelazione", che non era in questione all'inizio del Concilio, ma fu poi via via precisato
durante le discussioni e i rifacimenti del testo, fino ad essere espresso come è ora al numero due della
Costituzione, non più come riferito a delle verità, ma anzitutto al comunicarsi di Dio stesso: " Piacque a
Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante
il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre, e
sono resi partecipi della divina natura " (DV n.2). Questo chiarimento sulla natura della rivelazione
ebbe effetto positivo su tutto il testo, e favorì una ricezione favorevole del documento.
2. Un concetto largo di Tradizione. Rispetto a quanto si era soliti dire in precedenza, il Concilio
presentava, nel testo definitivo della Costituzione, un concetto ampio di Tradizione, che veniva
espresso così: " La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a
tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede " (n.8). Veniva così affermata anche
l'unità di Tradizione e Scrittura, contro ogni tentativo di separazione: " La sacra tradizione e la sacra
scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono
dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine.
Infatti la sacra scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito
divino" (n. 9).
Nel numero seguente si descrive il rapporto tra le tre grandezze: Tradizione, Scrittura e Parola di Dio: "
La sacra tradizione e la sacra scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato
alla Chiesa "
3. Di fronte alle discussioni sull'interpretazione della Scrittura e soprattutto sulla assenza in essa di
ogni errore, il Concilio proponeva nella sua formulazione definitiva una concezione larga dell'inerranza.
Il testo definitivo (n. 11 ) afferma che " i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e
senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere ". Con
questo venivano messe a tacere molte oziose discussioni del passato sull'argomento.
Fondamentale appare il lavoro del Concilio dedicato all'importanza e alla centralità della Sacra
Scrittura nella vita della Chiesa. Esso, nella sua stesura finale, recepisce le istanze fondamentali del
movimento biblico e promuove una familiarità orante di tutti fedeli con tutta la Scrittura. Su questo
tema il Concilo lavorò per tutte le sessioni, sino all'ultima, con un susseguirsi di riscrizioni del testo, di
proposte e di emendamenti dell'ultima ora, che rendono la storia di questo capitolo molto complessa
e difficile a descriversi. Serve cogliere i punti fondamentali, partendo dalla considerazione della
situazione della Scrittura nella Chiesa cattolica al tempo del Vaticano II.
3. QUALE LA PRESENZA DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA AL TEMPO DEL VATICANO II?
La situazione fino verso l'inizio del secolo ventesimo veniva talora descritta con le parole di Paul
Claudel, che affermava: "Il rispetto verso la Sacra Scrittura è senza limiti: esso si manifesta soprattutto
con lo starne lontani!" (Cfr L'Ecriture Sainte, in La Vie intellectuelle 16 [1948] 10). Anche se tali parole
sembrano esagerate, v'era tuttavia presso i cattolici una certa lontananza, soprattutto dei laici, dal
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Concilio dei Giovani
testo della Scrittura (anche se molti erano i modi indiretti di contatto con il suo contenuto). Essa si
spiega con tanti motivi, non ultimo dei quali il fatto che fino all'ottocento erano una minoranza quanti
sapevano leggere e scrivere. Ma la motivazione principale era quella di una certa diffidenza delle
Autorità ecclesiastiche verso la lettura della Bibbia da parte dei laici. Essa era nata a seguito
soprattutto della riforma protestante e di altri movimenti in vigore fin dal medioevo, che
promuovevano un contatto diretto dei laici con la Scrittura, ma separando di fatto la sua lettura dal
contesto ecclesiale. Fino al Medioevo, infatti, non si ha notizia di provvedimenti intesi a limitare
l'accesso alle Scritture, anche se il costo proibitivo dei manoscritti ne rendeva difficile l'uso diretto ai
fedeli. Si hanno notizie di vere e proprie restrizioni a partire da alcuni Concili regionali, ad es. quello di
Tolosa del 1229 in occasione della lotta contro gli Albigesi e quello di Oxford del 1408 in seguito al
movimento di Wicleff.
Seguirono altre proibizioni in Inghilterra, in Francia e altrove. Paolo IV nel 1559 e Pio IV nel 1564,
promulgando l'indice dei libri proibiti, vietarono pure di stampare e tenere Bibbie in volgare senza uno
speciale permesso. Ciò corrispondeva a un impedimento pratico per molti laici ad accostarsi alla Bibbia
intera in lingua volgare. Di fatto si continuava a stampare solo la Volgata latina. Ad esempio in Italia,
dopo una prima traduzione italiana anteriore al concilio di Trento, del 1471 (la cosiddetta Bibbia del
Malermi) si dovette arrivare alla fine del 1700, cioè alla traduzione di Antonio Martini, per avere una
Bibbia tradotta in italiano per i cattolici. Infatti nel 1757 erano state permesse in maniera generale le
edizioni in volgare tradotte dalla Volgata, purché approvate dalle competenti autorità e munite di
note. La Bibbia del Martini si basava appunto sulla Volgata latina, mentre la prima versione cattolica
dai testi originali apparve in Italia solo nella prima metà del novecento.
Il movimento biblico caldeggiava invece un contatto diretto e una familiarità orante di tutti i fedeli con
l'intero testo della Scrittura nella lingua del popolo, tradotta dai testi originali. Esso voleva, nelle sue
espressioni più mature, che la lettura avvenisse nel quadro della tradizione della Chiesa, definita
proprio nel senso in cui l'avrebbe descritta la Dei Verbum, cioè la totalità di ciò che la Chiesa trasmette
nella sua vita, nel suo culto, nella sua preghiera e nella sua dottrina. Non voleva essere un movimento
solo per alcune élites. Per questo occorreva superare non poche resistenze e incomprensioni, che non
sono del tutto scomparse neppure ora.
4. QUALE IL CONTRIBUTO DEL CONCILIO ALLA PRESENZA DELLA SCRITTURA NELLA CHIESA?
Il Vaticano II tratta di questo tema soprattutto del capitolo VI della Dei Verbum, che ha per titolo "La
Sacra Scrittura nella vita della Chiesa". Esso enuncia fin dall'inizio un principio fondamentale (n. 21): "
E' necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e
regolata dalla Sacra Scrittura ". Dopo questa affermazione il capitolo applica tale principio alle
traduzioni nelle lingue moderne, alla necessità dello studio profondo dei sacri testi da parte degli
esegeti, sottolinea l'importanza della Sacra Scrittura nella teologia e finalmente raccomanda la lettura
della Bibbia a tutti i fedeli. Dopo aver infatti raccomandato la lettura della Scrittura a tutti i chierici, in
primo luogo ai sacerdoti, ai diaconi e ai catechisti, così continua (n. 25): "Parimenti il santo Concilio
esorta con forza e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la 'sublime scienza di
Gesù Cristo' con la frequente lettura delle divine Scritture".
Questa esortazione così pressante a tutti i fedeli, fondamentale per il movimento biblico, corrisponde
alla richiesta di molti Padri conciliari. Venne aggiunta anche una frase incisiva di San Girolamo:
"L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo". Il Concilio raccomanda perciò che tutti i
fedeli "si accostino volentieri al sacro testo.anche mediante quella che viene chiamata "pia lettura"
[oggi si suole chiamarla "lectio divina"]. Si aggiunge che " la lettura della Sacra Scrittura dev'essere
accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo; poiché (e qui si
cita sant'Ambrogio)" gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli
divini" (Sant'Ambrogio, De officiis ministrorum, I, 20, 88).
Si tratta dunque di una lettura che potremmo chiamare "spirituale", fatta cioè sotto l'impulso dello
Spirito santo, grazie al quale " tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere,
correggere e formare alla giustizia" (2 Tim 3,16). E una lettura che si lascia guidare da quello Spirito di
verità che guida "alla verità tutta intera" ( Giovanni 16,13 ) e che "scruta ogni cosa, anche le profondità
di Dio"( 1 Cor 2,10). Vuol essere dunque una lettura fatta nella Chiesa, nel solco della grande tradizione
Concilio dei Giovani 13
ecclesiastica, nel quadro di tutte le verità di fede e in comunione con i pastori della Chiesa.
B2 – Se vuoi leggere per intero il documento vai qui:
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vatii_const_19651118_dei-verbum_it.html
B3 – Le domande su cui riflettere:
-
Come la Parola di Dio illumina il tuo discernimento personale e il nostro discernimento
comunitario?
Come la Parola di Dio trasforma la qualità delle nostre relazioni?
Quale stile e quali gesti caratterizzano l’opera di evangelizzazione / annuncio della Parola di
Dio attraverso il segno della fraternità?
C. Una Chiesa con il volto della fraternità
C1 – Ecco la sintesi della costituzione Lumen Gentium:
1. Lo schema de Ecclesia
La Lumen Gentium – che si potrebbe qualificare come la magna charta dell’ecclesiologia conciliare –
costituisce il punto di arrivo di un lungo processo di maturazione, durato tutto il tempo del concilio.
Come per molti altri documenti, l’iter della costituzione fu travagliato e gli otto capitoli in cui si articola
la redazione definitiva sono il frutto di molte rielaborazioni – quattro, per l’esattezza – che alla fine
dovettero soddisfare i padri conciliari, se i placet furono 2151 contro 5 non placet, praticamente un
voto all’unanimità. Lo schema definitivo è articolato in otto capitoliA ben vedere, lo schema si
riduceva a un ampio capitolo introduttivo, per concentrarsi poi sui soggetti nella Chiesa: la gerarchia, i
laici, i religiosi. Il dibattito sul testo impegnò ventidue congregazioni generali, dal 30 settembre al 41
ottobre 1963, e il testo passò per due redazioni che produssero la struttura attuale della costituzione
Lumen Gentium, in otto capitoli:
I. Il mistero della Chiesa;
II. Il Popolo di Dio;
III. La costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare l’episcopato;
IV. I laici;
V. La universale vocazione alla santità nella Chiesa;
VI. I religiosi;
VII. L’indole escatologica della Chiesa e la sua unione con la Chiesa celeste;
VIII. La Beata Vergine Maria, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa.
Come si arrivò a questa articolazione? Certamente, il dibattito non poteva prescindere dalla
domanda, pronunciata da Paolo VI nel discorso di apertura della seconda sessione: «Chiesa, cosa dici
di te stessa?».
«Se noi, venerabili fratelli, poniamo davanti al nostro spirito questa sovrana concezione: essere Cristo
nostro Fondatore, nostro Capo invisibile ma reale, e noi tutto riceviamo da lui così da formare con lui
quel Christus totus di cui parla s. Agostino e la teologia della Chiesa è tutta pervasa, possiamo meglio
comprendere gli scopi di questo concilio, che per ragione di brevità e di migliore intelligenza noi
indicheremo in quattro punti: la conoscenza o, se così piace dire, la coscienza della Chiesa, la sua
riforma, la ricomposizione di tutti i cristiani nell’unità, il colloquio della Chiesa con il mondo
contemporaneo».
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Concilio dei Giovani
Questa prospettiva ha orientato i lavori conciliari, portando alla redazione definitiva della Lumen
Gentium. Ma la composizione del documento si è giocata in un lungo processo che ha conosciuto
momenti delicati e difficili.
2. Il dibattito in aula
La vicenda che ha portato alla redazione del capitoli II, V e VII è assai istruttiva e vale la pena seguirla
passo passo, per vedere come la genesi laboriosa della costituzione abbia portato alla maturazione di
una prospettiva ecclesiologica condivisa.
Anzitutto, il capitolo II. A ben vedere, più che nei contenuti, gran parte dei quali ripresi dallo schema
de Ecclesia – in particolare il richiamo al sacerdozio comune e al sensus fidelium –, la novità del
capitolo sta nella collocazione che viene ad occupare nella redazione finale della costituzione. Quando,
infatti, i Padri conciliari stavano discutendo il tema dei laici, il card. Suenens propose lo sdoppiamento
del capitolo, con la motivazione che molti dei contenuti riguardavano tutti i battezzati e non i soli laici,
e l’inserimento di un capitolo relativo al Popolo di Dio prima degli stati di vita nella Chiesa. I nove
numeri che compongono il capitolo affermano la radicale uguaglianza di tutti i membri della Chiesa in
forza del battesimo, recuperando nella teologia cattolica il tema del sacerdozio comune dei fedeli, e
quindi la loro capacità «attiva» nella Chiesa, circoscritta per tutto il secondo millennio ai soli chierici
(nn. 9-12), e, nella seconda parte del capitolo, afferma la destinazione alla salvezza degli uomini, i
quali, a diverso titolo e in diversi gradi, sono tutti «chiamati a formare il nuovo popolo di Dio» (nn. 1317). Fu soprattutto questa scelta a segnare la fine dell’ecclesiologia piramidale: la creazione di un
capitolo che trattasse ciò che è comune a tutti i membri della Chiesa prima di ciò che li distingue – le
funzioni, i ministeri, gli stati di vita – ha prodotto, in forza di questo solo fatto, un terremoto nella
impostazione dell’ecclesiologia. In questo modo è la condizione di figli di Dio a costituire il più alto
titolo di dignità nella Chiesa, e questa è per tutti uguale, «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici», come
recita LG 12 riprendendo una frase di s. Agostino. Per quanto necessario, il ministero nella Chiesa è
relativo al Popolo di Dio, al suo servizio, perché appunto questo popolo possa offrire a Dio «sacrifici
spirituali a Dio graditi» (LG 10). Non a torto, G. Philips ha parlato di «rivoluzione copernicana»
nell’ecclesiologia.
Stessa dinamica per il capitolo sui religiosi. La scelta di rimarcare la universale vocazione alla santità ha
portato a configurare due distinti capitoli, uno che trattasse la «universale vocazione alla santità» (cap.
V della costituzione) e un secondo che mostrasse in questa linea il posto e la funzione dei religiosi nella
Chiesa (cap. VII).
Il capitolo VII, invece, nasce dalla ripresa di un breve testo voluto da Giovanni XXIII sulla devozione ai
santi. Le difficoltà di inserimento del testo nella costituzione trovarono soluzione nella distinzione tra
Chiesa e Regno di Dio, che inquadrava la dottrina tradizionale della comunione dei santi nella
prospettiva escatologica della Chiesa in cammino verso il compimento del Regno.
3. La struttura della costituzione
L’esito del tutto è sorprendente: la Lumen Gentium appare un testo articolato e coerente insieme,
frutto di mediazioni che a qualcuno sono parse dei compromessi, ma che rappresentano il giusto
equilibrio delle istanze presenti al concilio. Il quadro ecclesiologico che ne risulta è ben definito, e
propone un profilo di Chiesa che, senza negare le affermazioni precedenti circa la costituzione
gerarchica della Chiesa, le inquadra in una prospettiva più ampia, che è quella della radicale
uguaglianza di tutti i membri del Popolo di Dio in forza della rigenerazione in Cristo e le ricomprende
alla luce di una concezione misterica della Chiesa.
Concilio dei Giovani 15
La novità della costituzione si può cogliere tanto dal punto di vista dei contenuti che della loro
articolazione. E se i contenuti sono più conosciuti, anche perché il lungo processo di recezione postconciliare li ha messi a tema nella riflessione ecclesiologica e nella prassi ecclesiale, vale la pena di
sottolineare l’articolazione organica del testo, per capire come ogni elemento, collocato in un insieme
ordinato, contribuisca a delineare un volto di Chiesa non sempre rappresentato con fedeltà da
interpretazioni ideologiche del periodo post-conciliare.
La struttura interna della costituzione è facilmente ravvisabile anche a una lettura immediata. Si
possono individuare due grandi inclusioni, una più ampia costituita dai capitoli I-VIII: il mistero della
Chiesa, illustrato nel capitolo I, trova il suo corrispondente simbolico nel capitolo sulla Vergine Maria,
figura compiuta della Chiesa in cammino verso la comunione con Dio. Senza questo legame, il capitolo
sulla Vergine Maria, madre della Chiesa, risulta un’appendice non felicemente collegata all’insieme del
testo, incapace di dare profondità al mistero della Chiesa attraverso il rimando all’esemplarità di
Maria. Per contro, il nesso tra il primo e l’ultimo capitolo, oltre a fornire una cornice a tutta la
costituzione, conferisce forza anche alla prospettiva fortemente teologica del capitolo di apertura,
troppo spesso trascurata dagli interpreti del concilio, quasi fosse un’ampia digressione introduttoria a
un documento che entrerebbe nel vivo solo quando si parla della Chiesa come Popolo di Dio. L’unità
dei due capitoli mostra anche meglio quanto sosteneva l’allora card. Ratzinger, in occasione del
convegno sulla «Recezione e attualità del concilio Vaticano II alla luce del Giubileo dell’anno 2000»: «Il
Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva
proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico, ma la recezione del Concilio ha finora
trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è
gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei
padri conciliari» Il card. Ratzinger si riferiva certamente alle discussioni sull’alternativa tra Chiesa
Corpo di Cristo e Popolo di Dio, come se le due immagini non fossero complementari e non
contribuissero insieme a illuminare il mistero della Chiesa. Ma un’alternativa del genere – non
ravvisabile nel testo! – introduce tra capitolo I e II una discontinuità che riconsegna la Chiesa al piano
meramente storico: senza una profondità misterica, ciò che sarebbe decisivo della e nella Chiesa
sarebbe il gioco del potere, lo scontro alternativo tra Popolo di Dio e gerarchia, il ribaltamento delle
posizioni.
Sono le posizioni di chi, radicalizzando le tesi sulla Chiesa-Popolo di Dio, non aveva occhi per rilevare la
seconda grande inclusione, costituita dai capitoli II-VII: l’indole escatologica del Popolo di Dio,
tematizzata nel capitolo VII, illumina infatti la natura escatologica della Chiesa, Popolo di Dio in
cammino verso il Regno, e quindi figura e anticipazione di quel Regno per tutti gli uomini. La trama
della vita ecclesiale è pensata sulla tensione tra il presente della Chiesa e il futuro del Regno; tensione
che si sostanzia della «universale vocazione alla santità»: nel Popolo di Dio, la santità non è riservata
ad alcuni ma è dono e impegno di tutti, chiamati – in qualunque condizione o stato di vita si trovino – a
configurarsi a Cristo, Signore e capo del suo corpo che è la Chiesa.
Dentro questo movimento della Chiesa in cammino verso il Regno, i capitoli sulla costituzione
gerarchica della Chiesa (III), sui laici (IV) e sui religiosi (VI) offrono il quadro delle funzioni e degli stati di
vita che strutturano il corpo ecclesiale.
4. Conclusione
A partire da queste grandi inclusioni si possono riprendere puntualmente i singoli temi che la
costituzione sviluppa. Temi che intrecciano le prospettive più innovatrici – riprese soprattutto
dall’ecclesiologia del primo millennio – con i dati della Tradizione latina del secondo millennio,
composti in unità nell’ampiezza di respiro che la trattazione sulla Chiesa conosce nella costituzione.
Davvero si può dire che la Lumen Gentium rappresenti la risposta matura alla domanda che Paolo VI
poneva ai padri conciliari: «Chiesa. Cosa dici di te stessa?». Tornare sul testo della costituzione – e su
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Concilio dei Giovani
tutti i documenti conciliari – in una lettura serena e senza preconcetti è la sfida che si offre a una
generazione di credenti che vogliano costruire una testimonianza cristiana significativa per l’oggi.
Perché è un’illusione pensare a una rilevanza della vita cristiana che non sia attuazione di un vissuto
ecclesiale ispirato e sostenuto da una grande idea di Chiesa: idea che per oggi non può essere altra che
quella disegnata dal concilio Vaticano II, in particolare dalla Lumen Gentium
C2 – Se vuoi leggere per intero il documento vai qui:
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vatii_const_19641121_lumen-gentium_it.html
C3 – Le domande su cui riflettere:
-
Come la collaborazione tra i molteplici ministeri contribuisce a costruire una Chiesa fraterna?
Quali cammini di formazione per giovani dovrebbe proporre una Chiesa sempre più fraterna?
Quale volto dovrebbe assumere il servizio dell’autorità in una Chiesa fraterna?
D. Rapporti fraterni con il mondo
D1 – Sintesi della costituzione Gaudium et Spes
1. Collocazione storica
La costituzione Gaudium et spes è, nel senso letterale della parola, l’imprevisto del concilio Vaticano II.
Nessuno prima ci aveva pensato, né le commissioni preparatorie avevano approntato una qualche
proposta sul rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Eppure, a rileggere il discorso di
inaugurazione di Giovanni XXIII, sembra che proprio per questo il concilio sia stato radunato, per
superare la situazione di un plurisecolare conflitto della Chiesa con la cultura e la società moderna, per
aprire strade di dialogo, in modo tale che il messaggio cristiano possa trovare più facilmente porte
aperte, se non per accoglierlo nella fede, almeno per ascoltarlo e trarne un qualche beneficio. Il
conflitto si era fatto drammatico soprattutto con la rivoluzione francese e il progressivo abbattimento
di tutto un sistema, nel quale la Chiesa e il suo magistero costituivano l’istanza suprema della fede di
tutta una società, della pubblica moralità, della legislazione e del costume. Il sorgere della democrazia,
con il riconoscimento delle cosidette libertà moderne, la libertà di pensiero, di stampa, di religione,
riconosciuta a tutti era sembrata alla Chiesa una sciagura: ne derivava infatti la fine di quella
compattezza del vivere civile intorno ad un’unica fede e un’unica morale che aveva caratterizzato più
di un millennio di storia. Ebbene, la Gaudium et spes ricolloca la Chiesa serenamente all’interno del
vivere sociale determinato dalla cultura della modernità, non rinunciando alla proclamazione di ciò che
è vero e giusto né alla contestazione delle devianze e dei mali del mondo, ma riconoscendo che solo
nella libertà essa può svolgere degnamente la missione che il Signore le ha affidato. (Severino Dianich)
2. L'uomo nella "Gaudium et Spes"
A distanza di cinquant'anni, possiamo considerare Gaudium et Spes come un documento aperto, non
solo al dialogo con il mondo di allora ma che ha ancora qualcosa da dire e apre la possibilità di vedere
meglio le profonde trasformazioni sociali del nostro mondo. Al di là dei grandi mutamenti tecnicoscientifici e socio-politici del nostro tempo è l'uomo stesso ad essere al centro della crisi. La fine
dell'umanesimo è la figura non solo della finitezza umana ma della attuale confusione: nessuna epoca
ha accumulato così tante conoscenze circa l'uomo quanto la nostra e, tuttavia, nessuna epoca ha
saputo meno della nostra cosa sia l'uomo.
Concilio dei Giovani 17
Per questo l'interrogativo sull'uomo è divenuto cruciale; per questo è importante che la domanda sulla
persona umana non cada nel vuoto. La Gaudium et Spes ha posto l’uomo al centro della sua riflessione
di fede, aprendosi in dialogo con il contesto culturale e sociale di tutti. A distanza di tanto tempo,
impressiona ancora il suo spirito: la Gaudium et Spes non condanna ma accoglie, non si arrocca ma
dialoga. Questa prospettiva, a mio parere, non è solo il contrassegno di un'epoca ma è anche il
risultato di una forte concentrazione spirituale: a partire dalla fede nella comunione trinitaria e nella
realtà dialogica della incarnazione, il testo sviluppa il suo messaggio sulla persona umana. È un
messaggio Cristocentrico. Il cuore del messaggio conciliare è quindi Cristo.
Nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature, il concilio intende
rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo (Gaudium et Spes 10). Il Verbo di Dio, per mezzo
del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui l'uomo perfetto, la salvezza
di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine, della storia umana, il punto focale dei desideri
della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro
aspirazioni (Gaudium et Spes 45). Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre
e del suo amore, svela l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (Gaudium et Spes 22).
Questa scelta chiarisce la prospettiva conciliare; non basta confrontare il messaggio teologico con
quello moderno ed, eventualmente, integrarlo; occorre risalire là dove l'epoca moderna ha
considerato la relazione con Cristo una delle tante possibili ed ha compreso la persona sulla base delle
generali condizioni della intelligenza e della libertà per riformulare di nuovo e meglio il rapporto
dell'uomo con Cristo, rivelazione dell'amore divino.
3. Discernere la condizione umana: Gaudium et Spes 4-10.
Si tratta della ricerca di «quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio»: GS 11.
* Il popolo di Dio in cammino e la luce della Dei Verbum.
* Non perdere di vista l'unità e la profondità della persona umana.
* La drammatica esperienza della scissione e la rinascita degli interrogativi.
Questi problemi non possono essere abbandonati al pluralismo e all'individualismo.
4. Da qui l'interrogativo – cosa pensa la chiesa dell'uomo? – in Gaudium et Spes 11.
Non si può non notare un imbarazzo ed una timidezza nell'affrontare la problematica antropologica.
Nonostante quanto detto prima, il testo non si basa sul discernimento ma sulla presentazione dei dati
rivelati e teologici. GS 12 cita solo il Primo Testamento e cioè Sal 8,5-7; Gen 1,27. 31; sviluppa poi la
presentazione della persona umana (GS 12-18) secondo la manualistica del tempo, aggiungendovi
degli spunti sull'ateismo (GS 19-21) e su Cristo uomo nuovo (GS 22). L'intreccio tra queste diverse parti
rimanda ad una storia salvifica a partire dalla quale la separazione tra naturale e soprannaturale andrà
ripensata. La relazione con il Dio di Gesù si pone al di là della antitesi tra basar e ruah, tra corpo e
spirito, tra questo ed un altro mondo; la vera antitesi è tra creaturale e divino, tra transitorio e
definitivo e la fede cristiana ritiene che l'eschaton sia – con Gesù – definitivamente legato all'umano. I
dati teologici, poi, riguardano l'uomo immagine di Dio (GS 12), il peccato (GS 13), la costituzione
umana (GS 14), la dignità dell'intelletto (GS 15), la coscienza (GS 16), la libertà (GS 17), la morte (GS 18)
ed intrecciano il tradizionale De Deo creatore con il giusnaturalismo.
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Concilio dei Giovani
5. La presentazione dell'ateismo: Gaudium et Spes 19-21.
Qui l'ateismo non è visto come scelta ideologica ma come struttura antropologica in grado di mettere
sotto accusa il senso della fede nel nostro tempo; in effetti non ci si può non interrogare sul perché la
potenza liberante dell'amore sia divenuta per tanti nostri contemporanei il luogo di un moralismo
verboso e giuridico, sul perché il vangelo dell'abbà sia stato esiliato fino a diventare la religione di un
Dio legislatore e giudice. Privi di spirito polemico, i numeri di GS sono anche numeri datati. Dopo il
crollo del comunismo, l'ateismo con cui ci troviamo oggi a dover dialogare è quello che salda insieme
la scienza e la cultura dell'Occidente con le tecniche contemplative dell'Oriente in una gnosi stimolante
e seducente, che non teme di servirsi degli allucinogeni. Questo ateismo non pone tanto problemi di
giustizia quanto questioni spirituali, alimentando evasioni psudo-mistiche. Vi è qui una sfida nuova da
affrontare.
5. Gesù Cristo l'uomo nuovo: Gaudium et Spes 22.
Il testo sviluppa la tipologia Adamo-Cristo come chiave di lettura della persona. Dopo l'ampio e
solenne inizio, il secondo e terzo capoverso presentano la vita umana di Cristo e la sua morte mentre il
quarto ed il quinto toccano la vita in Cristo del credente e l'azione del mistero pasquale, comprensivo
dell'azione dello Spirito, al di fuori dei confini visibili della comunità cristiana. Un ultimo paragrafo
ribadisce la scelta iniziale di presentare l'uomo in Cristo. La piena comprensione della tipologia di
partenza non implica solo il rovesciamento del rapporto tra Adamo e Cristo ma comporta pure la
necessità di presentare la persona umana in ordine al dono della vita divina e filiale; si giunge così ad
abbandonare una comprensione solo filosofica della "natura umana".
L'esecuzione di un simile progetto è l'impegno attuale della antropologia teologica. A questo scopo
non è sufficiente elaborare gli aspetti religiosi della antropologia culturale ma occorre partecipare, in
modo teologico, alla autoriflessione della persona sulla propria vita e sulla propria soggettività; non
basta «comprendere in prospettiva teologica l'antropologia non-teologica del presente»; bisognerà
mostrare come il fondamento ultimo della persona risale al di là di lei stessa ed, in questo modo, si
incontra con quel dono che, per essere tale, non è per questo, meno definitivo e meno inattaccabile.
Nella sua esecuzione bisognerà tener conto tanto di chi coglie nel nostro testo una eccessiva enfasi
sulle capacità umane ed una scarsa attenzione al peccato ed alla povertà, alla croce ed alla escatologia,
quanto di chi – integrando l'attenzione alla esperienza nel rifiuto di un pensare astratto – chiede di
trasformare la teologia della grazia nella teologia del discepolo.
D2 – Se vuoi leggere per intero il documento vai qui:
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vatii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html
D3 – Le domande su cui riflettere:
-
Cosa significa costruire la fraternità con i lontani e con il mondo?
Con quali scelte concrete di fraternità, all’interno dei nostri contesti ordinari, possiamo
incontrare Cristo in ogni uomo?
Come una famiglia e l’amore di coppia possono vivere concretamente la fraternità nella
Chiesa?
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