All’opera Violetta, l’amore impossibile e la morte La sfida al perbenismo secondo il librettista Piave di Bruno Rosada Q uando si chiude questo numero di VeneziaMusica e dintorni stanno per terminare le repliche della Traviata di Verdi nell’allestimento di Robert Carsen. Con l’occasione Bruno Rosada analizza il celebre libretto del muranese Francesco Maria Piave. In un primo tempo avrebbe dovuto intitolarsi leopardianamente Amore e morte. «Traviata» suona condanna esplicita della protagonista, come si indovinava dovesse volere il pubblico benpensante. C’è però anche una pur sfumata volontà di sfida al perbenismo ipocrita della «buona società», che la dichiara «traviata», perché la protagonista è un’eroina che incarna, invece, proprio lei, i valori «sublimi» che quella «buona società» propone e talvolta impone, ma raramente pratica. Mentre lei, la «traviata» quei valori li afferma e per essi muore. E Verdi, convivente dal ’48 con Giuseppina Strepponi, ragazza madre con due figli, doveva saperne qualcosa. La vicenda si muove infatti sul continuo confronto e contrasto tra un costume edonistico ed egoistico, gaudente ma non felice e un’etica falsamente arcigna e ipocritamente lusinghiera, che quell’edonismo condanna e che si pone in posizione di arrogante intransigenza, sicura interprete del vero e del giusto («È Dio che ispira, o giovine / Tai detti a un genitor», atto I, sc. V). Questo contrasto, presente nelle parole di Francesco Maria Piave, è portato alla tensione estrema nel linguaggio musicale di Verdi che arriva là dove non giunge la parola parlata. Da un lato c’è quindi un epicureismo spicciolo, che in altri momenti storici può trovare consenso, ma che a metà Ottocento viene severamente deplorato; dall’altro il perbenismo tipico dell’incipiente età vittoriana, in questo caso specifico indubbiamente estremo. La rappresentazione accentuata di quell’epicureismo, a volte becero, mira a far risaltare la pretesa positività di questo perbenismo fragile e talvolta ipocrita. E questa mentalità coinvolge anche la «traviata» Violetta, che è arrendevole, non solo perché lusingata dal ruolo eroico che le viene assegnato, ma anche per un profondo senso di colpa che ha certo radici psicologiche, ma è soprattutto collegato alla mentalità generale, nella quale anche lei è pienamente coinvolta. E quando il vecchio Germont, il padre di Alfredo, le dice: «Per voi non avran balsamo / i più soavi affetti, / poiché dal ciel non furono / tai nodi benedetti», lei con convinzione dice: «È vero!». La chiave di volta è costituita dalla scena quinta dell’atto II della Traviata verdiana, o meglio del testo del libretto di Francesco Maria Piave, scena nella quale si sviluppa l’opera di persuasione esercitata da Germont su Violetta, per indurla a lasciare Alfredo. Massimo Piattelli Palmarini, uno dei maggiori esperti di Scienze cognitive, nell’Arte di persuadere ne fa un’analisi dettagliata e approfondita e conclude: «Violetta viene persuasa, d’un solo colpo, a rinunciare al suo grande amore, a tener nascoste le altruistiche motivazioni del suo gesto, e a perdere perfino il rispetto che Alfredo ha per lei». Sono soprattutto questi ultimi due punti a segnare l’abnegazione di Violetta, il cui comportamento nelle scene IX-XIV della seconda parte del secondo atto sancisce l’aspetto paradossale della situazione: l’ostentazione del disamore come prova d’amore. E il sacrificio di Violetta viene riassunto poi nelle parole della scena XV: «Alfredo, Alfredo, di questo core / non puoi comprendere tutto l’amore… / Tu non conosci che fi no a prezzo / del tuo disprezzo provato io l’ho». Quello che il testo vuol mettere in evidenza è l’abnegazione e lo spirito di sacrificio dimostrati da Violetta. Il suo è un atto di alta (quasi incredibile) generosità, soprattutto perché è un atto assolutamente privo di contropartita, e su questo «valore» del beau geste fa leva Germont. A commento Piattelli Palmarini sottolinea che «per aver ottenuto tanto, le argomentazioni di Giorgio Germont sono state un po’ debolucce». Il che è verissimo: le argomentazioni sono deboli e il risultato per contro è superlativo. Sono deboli a cominciare dalla motivazione che spinge Germont a fare la sua spietata richiesta, che parrebbe più che fragile addirittura insostenibile: sembra incredibile che il fidanzato della figlia di Giorgio Germont possa rifiutarsi di sposarla perché il fratello Alfredo convive con Violetta, donna di dubbia reputazione. Piattelli Palmarini ironico commenta: «Meglio perso che trovato», un marito così. Ma evidentemente qui bisogna individuare i motivi «esterni» che vanno al di là della struttura argomentativa indubbiamente fragile di Germont: è proprio il rifiuto dell’«amato e amante giovane», che costituisce la vera forza della sua argomentazione. Un rifiuto che a noi sembra disumano, ma che è invece pienamente accettato da tutti nel 1853. Neanche Violetta si sogna di mettere in discussione quel rifiuto, figuriamoci il pubblico. 17 All’opera Il mistero della «Manon» in un hangar A Trieste la «Lescaut» di Puccini secondo il regista Pagliaro S di Arianna Silvestrini abato 12 maggio va in scetagonista come una ragazna al Teatro Verdi di Trieza. Nel romanzo di Prevost ste Manon Lescaut di Manon appare come una raGiacomo Puccini. Il regista Rocgazzina che si accende di illuco Walter Pagliaro ci spiega il suo sioni e che poi, alla fine, vieallestimento. ne punita. A me è sembrata Nella Manon Lescaut veninvece una figura carismagono raccontate le quattro tica. Fin dal suo primo apstagioni della vita dell’essere parire mi è parso che non umano: la giovinezza, la maavesse quasi nulla di infanturità, la decadenza e la mortile, ma si ponesse nella vita te. La giovinezza, momento di questo giovane come un di ribellione, è rappresenmiraggio un po’ misteriotata nel primo quadro della so. Il cammino che Manon vicenda di Manon Lescaut, percorre è quello che l’essecui segue invece, nel seconre umano compie per arrivado quadro, il momento delre alla conoscenza delle cola grande illusione; nel terse fondanti della vita e la cozo c’è la decadenza, l’imbarnoscenza importante per vico per l’esilio dalla vita. Nel vere è in realtà la morte. Des quarto quadro, infine, viene Grieux si invaghisce di querappresentato l’inaridimento sta figura che ha tutti i tratti dell’esistenza nel deserto dele il fascino irreversibile che le nuove Americhe. Abbiahanno gli incontri un po’ famo inserito questi quadri in tali dell’esistenza. un unico contenitore scenoCiò che ho tentato di racgrafico, una specie di grande contare è l’inevitabile scivohangar, con le caratteristiche lamento dell’umano verso la di luogo di passaggio, come desertificazione della prouna stazione, un albergo di pria vita. Alla fine i due proposta o un imbarcadero di tagonisti si ritrovano smarpartenza. Le diverse variariti, privi di qualunque spezioni avvengono all’interno ranza in uno spazio che non di questo unico spazio scericonoscono più, ma che è nografico, con l’intento prosempre lo stesso. Lo spaprio di imprimere un’essenzio in cui ci si trova è lo stesziale unità all’allestimento. so dell’inizio, è il luogo delTutto, così, sembra avvenil’incontro. I piccoli cambiare nell’anima delle persone menti scenografici sono utili e questo si evidenzia ancora al pubblico per comprendedi più nel quarto quadro, in re le variazioni della storia, cui i portoni di questo granma il luogo rimane lo stesso. de contenitore industriale di fine Ottocento si chiudono I protagonisti, invece, non riconoscono lo spazio perché in come una prigione sul povero Des Grieux, il quale rimane realtà è la loro vita a non essere più riconoscibile; loro stesinerme di fronte all’incontro definitivo con la morte. Des si non sono più riconoscibili. Si tratta quindi di uno spazio Grieux compie un percorso disperatamente teso alla ricermentale e, per Des Grieux, l’incontro con questa donna è ca di questa figura misteriosa che lo sconvolge fin dall’iniin realtà l’incontro con un’altra parte di se stesso. zio. Manon è per lui come un’ombra fantastica che accende Nel lavoro di allestimento è stata importantissima la coli suoi sensi, lo incanta, lo porta a perdersi finché, nell’aridilaborazione con gli altri artisti coinvolti, tra cui voglio citare tà del deserto, egli comprende la disPier Paolo Bisleri, scenografo e costusoluzione, l’amarezza e la disperaziomista con cui ho lavorato benissimo, e ne della vita. Micaela Carosi, interprete protagoniTrieste – Teatro Verdi Come si sv ilu ppa la f igura dell a sta con cui c’è stata una straordinaria 12, 15, 16, 17, 18 maggio, ore 20.30 protagonista? intesa e che è riuscita a mettere in sce13 maggio, ore 16.00 Non ho voluto raccontare la pro19 maggio, ore 17.00 na il forte carisma di Manon. 19