Alessandra Poggiani lascia l’Agenda digitaleperché il governo parla molto ma combina poco. Però si candida col Pd in Veneto.Innovazione all’italiana Domenica 29 marzo 2015 – Anno 7 – n° 87 e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 744 giorni da quando Pietro Grasso presentò la legge anticorruzione: mai votata Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 33 giorni da quando Il Fatto ha denunciato i vitalizi ai parlamentari condannati 38 giorni di permanenza di Verro nel Cda Rai dopo che il Fatto ha svelato la sua lettera a B. 116 Il suicidio Meredith di Marco Travaglio giorni da quando Renzi ha promesso in tv di pubblicare la lista dei finanziatori del Pd » DUE PROCURE » La doppia inchiesta sui filtri antiparticolato per i diesel Lo scandalo dell’anti-smog che ha ingrassato i soliti noti A Torino si indaga su sicurezza e danni ambientali, a Roma c’è un fascicolo sulle omologazioni illecite concesse a Fiat e Pirelli dal ministero dei Trasporti e quella negata alla società veneta Dukic. Intanto, nelle nostre città, le polveri sottili continuano ad aumentare Della Sala, Palombi e Tecce » pag. 10 - 11 Udi Furio Colombo TRONCHETTI E FIAT: LA FINE DI UN PAESE » pag. 22 LANDINI RIEMPIE LA PIAZZA ASSE CON M5S CONTRO IL JOBS ACT Il leader Fiom lancia la Coalizione sociale: “Basta slide, Renzi peggio di Berlusconi” Di Battista e Morra: “Pronti per referendum e reddito di cittadinanza”. Il Pd: “Ci vediamo Cannavò, De Carolis e Marra » pag. 2 - 3 alle elezioni” Udi Stefano Rodotà UNA MASSA CRITICA CHE NON S’ARRENDE AI TWEET » pag. 2 - 3 NON APRIRÀ IN TEMPO Expo, il flop di Palazzo Italia e l’imbarazzo di Mattarella RAI E STAMPA ALL’IMPREGILO TOUR Gli spiaggiati a Panama sono 19 Tarantola: “Ora provvedimenti” Ferrucci » pag. 5 Maroni » pag. 4 VITE PARALLELE » I PITTORI DIPINTI Così Craxi creò il format dell’uomo solo al comando di Antonio y(7HC0D7*KSTKKQ( +,!"!@!$!} Padellaro ultima volta che L’ parlai con Bettino Craxi era il 1998 e lavoravo all’Espresso. Gli telefonai ad Hammamet. » pag. 8 - 9 IL FRATELLO LUIGI I dubbi pacifisti di Leonardo maestro di guerra “FIERO CHE FELLINI NON ABBIA MAI VISTO I MIEI FILM” Dario Fo » pag. 13 LA CATTIVERIA La Cassazione assolve Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di essere negri » www.forum.spinoza.it Udi Nanni Moretti » pag. 19 L’altro De Gregori “Io, Francesco e la magia del Folkstudio” Pagani » pag. 16 - 17 SULLA APP MIA La rubrica di Patrizia De Rubertis “Usi e consumi”: tutto sul Tfr in busta paga ome già l’altra in appello, C anche l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Solle- cito in Cassazione ha innescato commenti demenziali sul delitto di Meredith Kercher: pare quasi che, 8 anni fa a Perugia, la studentessa inglese si sia suicidata. O che l’unico condannato (a 16 anni con lo sconto del rito abbreviato), il giovane ivoriano Rudy Guede, tuttora detenuto perché colpevole di “concorso in omicidio commesso da altri”, fosse solo soletto sulla scena del delitto. Non sappiamo che cosa scriveranno i supremi giudici nelle motivazioni, ma sappiamo quello che non potranno scrivere: e cioè che Amanda e Raffaele non c’entrino nulla con quel caso, o che gli inquirenti abbiano preso un abbaglio con un duplice scambio di persona, mettendo in carcere due estranei e tenendoceli per 4 anni. Probabilmente si limiteranno a dire che le prove ritenute sufficienti dalla Corte d’Assise di Perugia (2 giudici togati e 6 popolari) che li condannò, dalla Corte di Cassazione (5 togati) che annullò la loro assoluzione in appello, e dalla Corte d’Assise d’appello di Firenze (2 togati e 6 popolari) che li ricondannò, sono per loro insufficienti. E, siccome per convenzione l’ultimo verdetto è quello buono, la verità processuale si ferma qui. Il che non vuol dire che questa (fondata sulle prove certe e legittimamente raccolte) collimi con la verità dei fatti (che di solito è molto più vasta, ma spesso indimostrabile), né che le sentenze precedenti siano sbagliate. Ciascuno poi, se conosce le carte, è libero di pensare che Meredith l’abbiano uccisa Amanda, Raffaele e Rudy (come dicono ben 35 giudici in 6 sentenze: primo grado, secondo appello e prima Cassazione sui due ex fidanzatini, più le tre emesse su Guede dal gup, dalla Corte d’assise d’appello e dalla Cassazione), oppure Rudy con altri due Mister X (come pare desumersi dai due soli verdetti favorevoli, scritti da 13 giudici: il primo appello e la seconda Cassazione). Se una sezione di Cassazione dice che Amanda e Raffaele sono gli assassini e un’altra che le prove non bastano a dichiararli tali, non è che una è più Cassazione dell’altra: semplicemente hanno valutato diversamente gli indizi, come sempre avviene nei processi indiziari, cioè privi della prova schiacciante, la cosiddetta “pistola fumante”. Il risultato finale lo conosciamo e ne dobbiamo prendere atto: Guede condannato, Sollecito e Knox assolti. Ma siamo liberissimi di pensare, volendo, che si tratti di un errore giudiziario (lo è anche l’assoluzione di un colpevole, non solo la condanna di un innocente). Oppure che sia un verdetto giusto (non si condanna se non “oltre ogni ragionevole dubbio”). Segue a pagina 24 2 POLITICA DOMENICA 29 MARZO 2015 D ietro al bacio, la giornata sottotono del segretario Cgil È SALITA SUL PALCO quasi senza farsi vedere dalla piazza. Spostandosi in fondo solo al momento dell’intervento di Landini. Susanna Camusso era arrivata poco prima e aveva percorso a ritroso il corteo. Poi, il bacio di saluto con Landini. Ai giornalisti, che la reclamavano con insistenza, ha rilasciato solo poche parole: "In questa piazza ci sono metalmeccanici iscritti alla Cgil che sono lavoratori giusta- il Fatto Quotidiano mente in lotta perché la legge delega sul lavoro riduce i diritti, perché vogliono rinnovare il contratto di lavoro, perché sono il settore che ha pagato più pesantemente la crisi in termini di disoccupazione”. Landini l’ha citata solo alla fine del proprio intervento. Rodotà ha ricordato la legge sull’articolo 81 della Costituzione che porta la sua firma. Una giornata davvero sotto tono per il segretario della Cgil. LANDINI HA PIAZZA E POPOLO BUON SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE FIOM: “SIAMO STANCHI DI SPOT E SLIDE, RENZI È PEGGIO DI B.” di Salvatore Cannavò U na piazza rossa, colma di bandiere della Fiom. Se Matteo Renzi pensava che la manifestazione di ieri fosse una “non notizia”, è stato smentito. Maurizio Landini ha portato a Roma molta più gente di quanta ne abbia portata Matteo Salvini riempendo Piazza del Popolo come non capitava da anni. Lo ha fatto con una organizzazione, la Fiom, che si conferma zoccolo duro del sindacalismo italiano e in cui si preservano le tradizioni di sinistra. Prova ne è la colonna sonora della manifestazione fatta di Bella ciao, l’Internazionale e addirittura Contessa. A TANTA FIOM non ha corri- sposto un’adeguata presenza di soggetti e movimenti che dovrebbero comporre la “coalizione sociale” proposta da Landini. Hanno parlato gli agricoltori del Tavolo verde, i precari della scuola, gli studenti, i movimenti per la casa, è stato letto un intervento di Gustavo Zagrebelsky, solo un disguido ha impedito di ascoltare la voce di Gino Strada dalla Sierra Leone. Ma la giornata è stata della Fiom: “Lo avevamo detto che non ci saremmo fermati” dice Landini “ecco perché siamo qui, la coalizione è ancora una proposta e va tutta costruita”. A descrivere il progetto, però, quasi didascalicamente, ci hanno pensato i due interventi centrali del pomeriggio. Quello di Stefano Rodotà, una lezione di politologia che, oltre a lanciare più di una battuta contro Renzi, accusato di avere “il complesso di inferiorità” rispetto ai “professoroni”, ha spiegato come sia oggi necessario realizzare una “massa critica sociale” capace di trasformarsi in “massa critica politica”. E che sia capace di irrompere anche nelle istituzioni come dimostra il progetto di legge popolare sul reddito minimo, presentato in piazza da Giuseppe De Marzo di Libera, che ieri ha avuto anche un sostegno dal M5S. Un’alleanza che, se dovesse crescere, potrebbe creare un fatto politico nuovo. Ancora più chiaro è stato poi Landini, nel corso del lungo e molto applaudito intervento. “Si tratta di tornare alle radici del movimento operaio” ha ricordato, riferendosi “all’800, quando nascevano le Unions” (titolo della manifestazione di ieri, ndr.), gli operai inglesi in sciopero. “Si tratta di ripristinare il diritto alla coalizione impedendo la competizione tra gli stessi lavoratori”. Landini COALIZIONE AL VIA Due coordinatori per il progetto politico: Michele De Palma e Valentina Orazzini. Un responsabile anche a livello territoriale prende a prestito i padri nobili del sindacato, Giuseppe Di Vittorio e il suo “Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori”, ma anche Bruno Trentin che pensava “a nuove forme sindacali” (con la vedova, Marcelle Padovani, che però non apprezza). “Coalizzarsi significa allargare la rappresentanza sociale del sindacato e riformarlo democraticamente” ha spiegato, chiarendo che il cuore della proposta è costituito dalla sfida interna alla Cgil. Nei prossimi giorni la Fiom designerà due coordinatori per il progetto “coalizione” che dovrebbero essere due giovani dirigenti: Michele De Palma, responsabile Auto e già coordinatore dei Giovani comunisti del Prc e Valentina Orazzini, che si occupa di rapporti europei e molto apprezzata all’interno del sindacato. Anche le Fiom territoriali dovrebbero organizzarsi per designare dei responsabili e costruire, così concretamente, la nuova rete. IL COLLANTE DI TUTTO, sia pure in negativo, è Matteo Renzi. Contro di lui si è espressa la piazza – “Abbiamo un sogno nel cuore, Renzi a San Vittore” – si è esercitato Rodotà intervenuto seduto su una sedia: “Renzi dice che i professori sono pigri, io lo sono così tanto da essere venuto con le stampelle”. Soprattutto, si è dilungato Lan- dini: “Noi abbiamo più consenso di lui”, ha dichiarato a inizio manifestazione per poi bersagliarlo: “Siamo stanchi di spot e slide”, “ha una logica padronale”, “è peggio di Berlusconi”, “la coalizione sociale l’ha fatta con la Bce e la Confindustria”, “in Europa si limita a regalare cravatte a Tsipras”. Ha poi ricordato il Renzi “gasatissimo” in visita da Marchionne opponendogli lo stile del centenario Pietro Ingrao che, quando fu eletto presidente della Camera, come primo atto si recò alle acciaierie di Terni per dire ai lavoratori che i “costituenti” erano loro. Discorso da futuro segretario della Cgil, impostato su temi sindacali (salari, occupazione, orari, contratto) e generali (pensione, scuola, fisco). Lo dimostra anche il gelo con la segreteria nazionale presente con Susanna Camusso, Serena Sorrentino e Franco Martini. Anche altri dirigenti, come la segreta- ria dello Spi, Carla Cantone, quello della scuola, Domenico Pantaleo, e del Nidil, Claudio Treves, sono stati in piazza. Ma la Cgil si è vista poco, se non in forma simbolica. Susanna Camusso è salita sul palco restandone sempre ai bordi e facendo solo una laconica dichiarazione ai giornalisti. DISTANZA ANCHE con la po- litica. Sia con le rappresentanze di Sel e Prc (presenti con Nichi Vendola e Paolo Ferrero) sia con Stefano Fassina e Pippo Civati del Pd. Unica eccezione, quando Landini ha parlato di appalti e corruzione, la richiesta di un applauso della piazza per Rosi Bindi in quanto presidente della commissione Antimafia. Le conclusioni sono state dedicate a Giovanni XXIII (“ma non ho la fede”) e a Pablo Neruda: “Prendi il meglio della tua vita e consegnalo alla lotta”. Tripudio della folla. IL DISCORSO di Stefano Rodotà “Fare massa critica per decidere” Proponiamo ampi stralci del discorso che il professor Stefano Rodotà ha tenuto in piazza del Popolo ieri pomeriggio. ricordare. Ma senza alzare troppo i toni. Io sono convinto che questa non è né demagogia, né retorica: è nient’altro che la riflessione sulla situazione italiana (...). o sono molto felice di essere qui anche invalido (...). C’è un fatto I nuovo, un fatto che inquieta molto coloro i quali in questo periodo non sanno confrontarsi con la realtà dei problemi che stanno IN QUESTO MOMENTO non c’è soltanto una linea di rinnovamen- vivendo. Qui non stiamo disturbando un manovratore (...). Giovanna Cavallo, poco fa, riportava una frase incauta che ha ripetuto il ministro del Lavoro. Cioè “ciò che va bene per l’azienda va bene anche per i lavoratori”. Non so se fosse consapevole Poletti, pronunciando questa frase, che questo è un modo di dire che negli Stati Uniti c’era molti anni fa. E si diceva: “Quello che va bene per la General motors va bene per gli Stati Uniti d’America”. Noi dobbiamo dire una cosa: era sbagliata questa frase negli Stati Uniti di anni lontani. È ancor più sbagliata nell’Italia di oggi. Quello che va bene per i lavoratori è altro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della dignità del lavoro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della pienezza dei loro diritti. (...). Allora invertiamo quelle frasi pronunciate negli Stati Uniti e ripetute in Italia: “Ciò che va bene per i lavoratori va bene per l'Italia”. Questa è la frase che dobbiamo dire oggi (...). Perchè quando soffrono le persone nella loro vita quotidiana un Paese sa che la democrazia è in discussione. Questo è ciò che noi dobbiamo to incarnata dal presidente del Consiglio alla quale si oppongono persone arretrate, gufi e via dicendo. Ci sono due linee che sono venute emergendo con molta chiarezza, e una di queste è proprio incarnata da questa piazza. E questa linea, attenzione, a mio giudizio, è quella che bisogna far emergere pienamente. Perchè se oggi c’è una frase che dovrebbe inquietare tutti. È quel dire “non ci sono alternative”. Quando si dice questo in realtà si dice che la democrazia è in qualche modo mutilata. (...) Il discorso pubblico della democrazia italiana è povero in questo momento. È povero perchè una serie di voci sono state escluse. “Io REAGIRE ALL’UOMO SOLO AL COMANDO “La disillusione non deve produrre passività. La passività è l’anticamera della resa. E non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi” non parlo con tutti gli organismi intermedi e quindi in primo luogo con il sindacato”; “io non parlo con la società organizzata”; “io sto smembrando la società”; “salto tutti”; “parlo con i singoli”; “e come parlo? Parlo attraverso i tweet”, che non è la buona comunicazione democratica. E allora noi dobbiamo ricostruire il discorso pubblico che significa anche ricostruire l’agenda. I veri problemi del Paese non sono soltanto quelli indicati da Renzi.(...) L’obiettivo di questa che si è chiamata “coalizione sociale” è esattamente questo: contribuire all’agenda politica del Paese. E questa non è una forzatura, perchè quando in un Paese si rattrappisce l’elenco delle grandi questioni, qualcosa non funziona (...) Forse Renzi che respinge con una certa sufficienza attribuendo questa maniera di guardare alle cose a qualche “professorone pigro”, io sono così poco pigro che sono venuto con le stampelle. Ma forse lui allude alla pigrizia delle idee. Ma allora la pigrizia delle idee è la sua. (...) E poi permettetemi di dire una cosa: è abbastanza patetica questa storia che ogni volta tira fuori i professoroni. O non ha altri argomenti, o ha una sorta di complesso di inferiorità. (…) Perchè (...) se lui fosse stato attento, l’occasione della riforma elettorale e della riforma costituzionale ci avrebbe potuto dare davvero un risultato moderno, avanzato, al quale avrebbero guardato altri Paesi. Non si è voluto fare o non si è avuta la cultura per capire le proposte che arrivavano. (...) Oggi abbiamo il problema di far sì che il Fatto Quotidiano POLITICA LA REPLICA DI CONFINDUSTRIA SQUINZI: SINDACATI FRENANO TUTTO “Una manifestazione politica”. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi risponde da Venezia, dove era a un convegno di industriali assieme al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Maurizio Landini lo ha citato più volte nel suo discorso, e lui replica con una battuta: “Dice che il Jobs act è stato scritto da Confindustria? Mai avrei pensato di arrivare al punto di scrivere le leggi”. Squinzi giudica così la manifestazione di Roma: “È l’annuncio di un nuovo soggetto politico che si sta costituendo, in termini di democrazia è positivo. Mi auguro solo che non guardi al passato, dove ritengo siano già stati fatti abbastanza danni”. E punta il dito DOMENICA 29 MARZO 2015 3 contro “quei sindacati che hanno frenato tutto”. Sostegno pieno invece a Poletti: “Ha fatto un lavoro eccezionale, ma ora bisogna andare avanti, per l’Italia è necessario almeno il 2 per cento di crescita. E comunque l’avete sentito il ministro, non c’era bisogna che glielo scrivessi io il Jobs act, ha dimostrato di saper fare tutto da solo”. Di Battista: “Sul Jobs Act pronti a confrontarci” I CINQUE STELLE APRONO AL LEADER METALMECCANICO. SUL REDDITO DI CITTADINANZA IL DISCORSO CON “LIBERA” È GIÀ AVVIATO DA TEMPO di Luca De Carolis L andini chiama, il Movimento 5 Stelle risponde. Nel giorno della prova di forza a piazza del Popolo, al leader della Fiom arriva l’apertura (cauta) di Alessandro Di Battista: “Possiamo confrontarci sull’opposizione al Jobs act”. E il senatore Nicola Morra: “Se Landini vuole discutere del reddito di cittadinanza, ben venga”. Interlocutore complicato oggi, avversario possibile domani, il sindacalista è un nodo da sbrogliare per i Cinque Stelle. Perché si muove in un campo che è anche il loro, la prateria dei delusi di sinistra. E perché al M5S chiede e offre collaborazione. Innanzitutto sul reddito minimo garantito, proposto da Libera: un po’ diverso nei contenuti ma uguale nella sostanza politica al reddito di cittadinanza del M5S, che con l’associazione anti-mafia lavora di perfetta intesa. Soprattutto dopo l’incontro a Roma del gennaio scorso tra Beppe Grillo e don Luigi Ciotti. Insomma, c’è un terreno per l’incontro con Landini, che imma- IL COMIZIO Maurizio Landini nel discorso di chiusura della manifestazione Fiom di Piazza del Popolo Ansa questa disattenzione non permanga. (...) Davanti alla situazione che noi ormai conosciamo dobbiamo creare una massa critica sociale che è nello stesso tempo una massa critica politica. Ma non nel senso della politica partitica. Della politica che dà voce alla società e alimenta la politica. E alimenta io credo anche coloro i quali nei partiti non accettano più questo modo di vivere. Soprattutto nei partiti della sinistra. (…) UNA SERIE DI IDEE diventano forti quando si può registrare un sostegno nella società. In quel momento anche la politica dei partiti diventa più forte. (...) Siamo in ritardo. (…) Ma non è vero che la partita sia perduta. (...) La decisione è importante ma la decisione è tanto più significativa (...) quando esistono i pesi e contrappesi dei controlli parlamentari, giudiziari e sociali (...) Il controllo parlamentare da alcuni anni è del tutto inesistente, il controllo giudiziario si cerca di azzerarlo, il controllo dei giornali si va sfarinando (...) E allora questa è la strada, una strada che non separa la società dalla politica. Dà alla politica la sua pienezza. Che non è polemica con chi nella politica ufficiale vogliono uscire da questa strettoia (...). È un lavoro difficile ma questa giornata ci dice che è un lavoro possibile. Vorrei aggiungere obbligatorio. La disillusione non deve produrre passività. La passività è l’anticamera della resa. E non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi. IL CAMPO Nella prateria dei delusi di sinistra si muovono sia il Movimento che il nuovo soggetto ”sociale” gina la sua coalizione come una rete di associazioni e pezzi di sindacato, senza la struttura dei partiti tradizionali. A metà strada tra gli spagnoli di Podemos e proprio loro, i Cinque Stelle. E allora non devono stupire i numeri del sondaggio di Demos&Pi pubblicato ieri su Repubblica, stando al quale il leader della Fiom piace al 33 per cento degli elettori del M5S, a fronte del 35 per cento di gradimento presso quelli del Pd. Finora al leader della Fiom il M5S ha riservato per lo più attacchi. Come il post di Beppe Grillo del maggio 2014: “Landini non fa una saldatura da 23 anni, è un sindacalista a tempo pieno”. Ma i mesi sono passati, e Landini è diventato anche il volto della coalizione sociale. Settimane fa aveva mandato una lettera ai capigruppo in Senato di tutti i partiti, chiedendo un incontro. E lunedì scorso il sindacalista e i Cinque Stelle si sono visti, previo via libera di Gianroberto Casaleggio. Ai capigruppo Fabiana Dadone e Andrea Cioffi e Alessandro Di Battista, deputato, è uno dei cinque del direttorio del M5S al deputato Claudio Cominardi ha raccontato il suo progetto politico. SOPRATTUTTO, ha cercato un’intesa. “Lavoriamo assieme sul reddito minimo, sosteniamo già la campagna di Libera per una legge entro 100 giorni” ha ripetuto il leader della Fiom, che vuole coinvolgere anche Sel e pezzi del Pd (per questo gli incontri in Senato, dove sono de- positati i disegni di legge sul reddito). Ai 5 Stelle ha chiesto anche sostegno per un referendum contro il Jobs act. “Valuteremo questo proposte in assemblea” ha riferito Dadone ad Askanews. Ieri però due nomi di peso sono venuti allo scoperto. Innanzitutto Di Battista, che al fattoquotidiano.it ha detto: “Se ci sono punti in comune, siamo disposti a discutere con chiunque. Per esempio sul Jobs act, che preve- de un contratto a fregature crescenti”. E Nicola Morra: “Landini non ha mai detto di voler scendere in politica ma di voler coagulare una coalizione sociale. Noi non abbiamo problemi a rapportarci in piazza con comitati e associazioni: se lui è d’accordo sul reddito di cittadinanza, ben venga”. Ma l’incontro di lunedì scorso non è andato giù a gran parte del direttorio. Il più irritato è Luigi Di Maio che martedì, quando la notizia si è sparsa, ha detto alle agenzie di “non saperne nulla”. Poi ha scritto su Facebook: “Nel 2013 il M5S era la novità mediatica, poi è arrivata la novità mediatica di Renzi, poi Salvini, ora Landini. Questi soggetti stanno in politica da quando avevo 4 anni e vengono costruiti come il fenomeno del momento. Appaiono come il nuovo ma agiscono come il vecchio”. Tradotto: Landini non va legittimato come interlocutore. Di certo l’incontro ha suscitato discussioni nel M5S (molti parlamentari ne erano all’oscuro). E il dialogo con Landini ha più sostenitori in Senato che a Montecitorio. Ma il dibattito interno è aperto. Eccome. Il premier sceglie l’indifferenza E sfida: ci vediamo alle elezioni di Wanda Marra andini dice che ha più consenso del governo? L Bene, ci vediamo alle elezioni”. La battuta viene spontanea al renzianissimo responsabile Giustizia del Pd, David Ermini. Per Matteo Renzi non è la giornata delle reazioni plateali, delle dichiarazioni di guerra. La linea, d’altra parte, l’ha data già venerdì sera, nella conferenza stampa post-Cdm. “Una manifestazione contro il governo? No news, non c'è titolo. Se guardo agli ultimi sabato mi pare che manifestazioni contro il governo ce ne siano state moltissime”. Strategia preventiva, dunque: sminuire. Decisa prima di vedere la piazza di Roma: che ieri era piena e tutta contro il premier. Nel quartier generale di Renzi si ostenta sicurezza, indifferenza. Ma l’affondo ufficiale tocca alla vicesegretaria dem, Deborah Serracchiani: “ Che Landini sia ossessionato dal consenso è un dato di fatto. Noi pensiamo che un sindacato dovrebbe essere ossessionato dai contratti a tempo indeterminato, quelli che stanno aumentando grazie alle nuove regole volute dal governo e che Landini contesta senza conoscere”. Il riferimento è al fatto che il leader della Fiom qualche giorno fa in tv ha sbagliato la data da quando sono partiti gli sgravi fiscali del jobs act. Altro sottotesto: ormai Landini è un politico. La sfida: “Quanto al consenso vedremo nel 2018 se ne ha più Renzi o più Landini” E GLI SLOGAN: “Nel frattempo loro fanno i cortei, noi facciamo Expo. Loro parlano di consenso, noi parliamo di contratti. Loro giocano sulla rabbia, noi sulla speranza. Facciano pure scioperi e manifestazioni, noi andiamo avanti”. L’unica apparizione ufficiale ieri del presidente del Consiglio segue questo schema. Renzi, infatti, si limita a un post sulla sua pagina Facebook, dove elenca i risultati “che stanno portando fuori l’Italia dalla crisi”. Stavol- ta sceglie dati laterali: “Ad aprile scende ancora il conto della bolletta per l’energia elettrica (-1,1%) e per il gas (-4%). Significa un risparmio medio di 75 euro l’anno”. Poi, la Coldiretti: “I prodotti alimentari hanno registrato un aumento delle vendite del 2,9% a gennaio 2015”, scrive il premier. Ed ancora, “Fincantieri ha firmato un contratto storico con la Carnival per la costruzione di 5 navi da crociera”. Niente di troppo forte per ribadire “al governo ci sto io”. Per il resto umori sprezzanti: tra i fedelissimi del premier qualcuno si spinge a una citazione ormai d’annata: “Landinichi?”, ricalcando quel “Fassinachi?”, destinato dall’allora novello segretario Pd a Fassina, che si dimise da vice ministro dell’Economia. Qualche commento più muscolare, tanto per chiarire il punto, è affidato agli uomini del Presidente su Twitter. Andrea Marcucci (senatore Pd): “Per il leader della Fiom si stava meglio quando si stava peggio, con Berlusconi le manifestazioni riuscivano alla perfezione”. A microfoni spenti, ancora sarcasmo: “È fortunato Matteo ad avere per avversari Salvini e Landini”. Ride bene chi ride ultimo, diceva qualcuno. Il tempo dirà. 4 POLITICA DOMENICA 29 MARZO 2015 A ntagonisti contro Salvini: incidenti in piazza a Torino AVEVA FATTO solo pochi metri il corteo degli antagonisti, quando è arrivata la prima carica in via XX Settembre, a Torino. Alcuni manifestanti fermati, un ferito a terra. L’ennesima contestazione contro il leader della Lega Matteo Salvini, che ieri ha organizzato una manifestazione a Torino contro Sergio Chiamparino, è finita con l’arresto di un ventiduenne e cinque denunciati a piede libero. Dopo la carica i manifestanti sono arretrati verso la piazza del Duomo e hanno esploso petardi e bombe carta. La polizia ha risposto con i lacrimogeni. “Lega ladrona Torino non perdona” scandivano i dimostranti, che EXPO PARTE SENZA PALAZZO ITALIA E MATTARELLA RESTA AL QUIRINALE I TECNICI CONFERMANO LA RESA, ULTIMATI SOLO 15 PADIGLIONI ESTERI SU 53 di Marco Maroni I Milano l capo dello Stato Sergio Mattarella deve aver capito per tempo l’aria che tira, infatti ha declinato l’invito: all’inaugurazione lui non ci sarà. Palazzo Italia, il cuore dell’Expo, edificio simbolo del paese ospitante, non sarà pronto all’inaugurazione dell’esposizione universale, il primo maggio prossimo a Milano. Quelle che fino a qualche giorno fa erano solo le funeste, o realistiche, previsioni di “gufi e rosiconi”, secondo il nuovo lessico renziano, si stanno confermando. I RITARDI di Expo sono incol- mabili, ma non è solo qualche padiglione estero a non poter concludere in tempo i lavori. All’appello mancherà il pezzo forte, l’edificio eretto dal Paese ospitante, tradizionalmente il più visitato in ogni esposizione universale, oltre a essere quello dedicato agli ospiti istituzionali: capi di Stato, delegati interna- zionali, ambasciatori. Assieme a quello, è tutta l’area del Padiglione italiano, ai due lati del Cardo, a essere indietro. Il disastro ora lo ammettono anche i tecnici: “Può darsi che il primo maggio non si riesca ad aprire neanche uno dei sei piani di Palazzo Italia”, dice un ingegnere di Expo che preferisce rimanere nell’anonimato. Dichiarazioni che smentiscono le rassicurazioni date fino a quattro giorni fa dal commissario Sala, secondo cui sarebbe stato tutto pronto salvo “qualche finitura da sistemare”. A GUARDARE lo stato di avan- zamento dei lavori a un mese dall’appuntamento viene peraltro da domandarsi che cosa ci sarà di pronto: i padiglioni esteri terminati ad oggi sono una quindicina su 53. Nel cantiere mancano l’acqua, le fognature e l’energia, tanto che le maestranze al calar del sole devono lavorare alla luce di fotoelettriche attaccate ai generatori; sul Cardo, viale simbolo delle eccellenze alimentari italiane, della Confindustria e della casa Lombardia, le strutture sono ancora ai primi stadi dell’edificazione. Il governatore lombardo Roberto Maroni, interpellato due giorni fa dall’agenzia I LAVORI Ansa sui ritarSergio Mattadi di Casa rella al conveLombardia, gno fiorentino ha detto: su Expo e il “Chiedete a cantiere di Expo, io non Palazzo Italia faccio i padi- glioni”, ammettendo di essere “moderatamente” preoccupato. Il responsabile del dipartimento di prevenzione dell’Asl di Milano ha fatto sapere che anche laddove i lavori saranno completati non ci sarà tempo per i collaudi. Un aspetto non da poco, considerando che nel sito dovrebbero essere aperti più di 200 ristoranti. Giova ricordare che l’Expo LA SFILATA Il capo dello Stato ha celebrato l’esposizione a Firenze con Alfano, Franceschini e Lotti. Ma nel cantiere mancano acqua ed energia 2015 è stata assegnata a Milano il 31 marzo 2008, sette anni fa. La gara per Palazzo Italia, secondo la Procura di Firenze che il 15 marzo ha disposto quattro arresti nell’ambito dell’inchiesta sul presunto “cartello delle grandi opere” che conta 51 indagati, sarebbe stata assegnata alla società Italiana Costruzioni grazie agli uffici di Antonio Acerbo, già responsabile unico del Padiglione Italia arrestato nell’ottobre scorso per un altro appalto Expo, quello sulle “Vie d’acqua”, di Andrea Castellotti, uomo di Cl, ex dirigente dell’impresa Tagliabue, portato da Acerbo in Expo come Facility il Fatto Quotidiano però se la sono presa anche con il Partito Democratico: per loro sono “due facce della stessa medaglia". Nella manifestazione della Lega Nord in piazza Solferino si sono fatti notare i militanti di “Sovranità”, il movimento vicino alla Lega nato a Roma. Imponente lo schieramento delle forze di polizia. COMPLIMENTI La “vaccata” di Feltri e la Boschi costituente SE C’È UNA COSA che non manca al ministro Maria Elena Boschi è una certa praticaccia del racconto fantastico. Si moltiplicano i dubbi – nonostante le rassicurazioni dell’ad Sala – su quanti lavori saranno davvero conclusi per l’apertura di Expo, il 1° maggio. I progetti, peraltro, sono già stati ridotti rispetto alle previsioni iniziali, ma non dietro lo specchio in cui vive Maria Elena: “I padiglioni sono ormai completati”. Ovviamente è merito del governo, spiega a un Corriere Fiorentino dolce come la brezza della sera. Il resto sono amenità a caso: “L’introduzione del diritto al cibo in Costituzione”; preferenze alimentari (“una pizza come si deve e un buon bicchiere di vino”); le magnifiche sorti e progressive dell’agroalimentare italiano ora che se ne occupa Renzi (“siamo sulla strada giusta”). E Expo? “Non sarà soltanto un’importante vetrina per l’agroalimentare e le nostre eccellenze, ma anche un momento di grande interesse da tutto il mondo verso l’Italia, la nostra cultura artistica, letteraria”. Quanto cibo si spreca ogni anno? Chiede a bruciapelo l’intervistatore: “8 miliardi di euro”, è la risposta, prontissima. Come si vede, una chiacchierata fresca e brillante realizzata senza alcun contributo dell’ufficio stampa. Tutta farina del sacco di Vittorio Feltri, invece, l’editoriale buttato lì ieri sul Giornale. Tema: Milano sarà anche in momentaneo declino, ma mai quanto voi, brutti terroni. Dai grattacieli venduti agli arabi a Pirelli che passa ai cinesi fino a Expo “tutte le innovazioni italiane” partono sotto la Madunina. L’Esposizione “forse si rivelerà una vaccata”, ma “un fatto è chiaro: è un parto avvenuto non a Benevento o Palermo, bensì a Milano”. Ma sì caro, hai ragione, ma adesso riposati. Lo dice anche il dottore. È milanese eh! manager, arrestato anch’egli per l’appalto delle Vie d’Acqua, e dell’imprenditore Stefano Perotti, arrestato insieme al supermanager delle Infrastrutture Ercole Incalza. Secondo la Procura fiorentina, è evidente che “la gara di Palazzo Italia sia stata pilotata”. LA RETORICA pro Expo alla luce della situazione reale assume le caratteristiche del grottesco. “Dobbiamo saperci raccontare meglio all’estero. Expo e Giubileo sono due grandi occasioni anche per un cambio di marcia psicologico”, ha detto ieri il ministro dei Beni culturali e del Turismo Franceschini, a Firenze, Palazzo Vecchio, durante la seconda giornata dedicata alla presentazione nazionale di Expo. L’iniziativa, dal nome “Il Paese nell’anno dell’Expo”, era stata aperta dall’intervento del ministro dell’Interno Angelino Alfano, seguito da lavori incentrati sul tema “Padiglione Italia come vetrina del sistema-Paese” condotti, tra gli altri, da Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Diana Bracco, commissario per il padiglione Italia dell’Expo e Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole con delega all’Expo. Cantone: “Verifichiamo l’affidamento a Eataly” L’AUTORITÀ ANTICORRUZIONE ACQUISISCE LE CARTE. MA IL COMMISSARIO GOVERNATIVO: “LEGITTIMO NON FARE LA GARA SE C’È UNICITÀ” di Davide Vecchi inviato a Firenze T ra i professionisti della “ricerca del brutto”, evoluzione farinettiana dei “gufi” di Matteo Renzi, c’è anche Raffaele Cantone. L’Autorità anticorruzione che presiede del resto è stata istituita proprio per ricercare il brutto. E in Expo ne ha trovato tanto, compreso l’appalto affidato senza gara a Eataly per gestire la ristorazione in 8 mila metri quadrati del padiglione Italia. “Ho fatto tirare fuori tutte le carte dell’affidamento”, spiega Cantone al Fatto. “È un fascicolo voluminoso, ci stanno lavorando i tre finanzieri del Pool che lavora con me e subito dopo Pasqua riusciremo a fornire una valutazione esauriente”, afferma. Per buona pace di Oscar Farinetti che ancora giovedì a Servizio Pubblico ha descritto l’impegno come un peso gravoso. “Bisogna fare grandi investimenti ma per appena sei mesi, quindi devi avere una forza enorme e il guadagno non è garantito”. E comunque mica è colpa sua “se l’appalto non lo fanno”, ha fatto notare Farinetti. CONTRO gli affidamenti diretti si è espressa anche la Corte dei Conti poche settimane fa. Un eccessivo impiego delle procedure senza appalti favorisce la corruzione, ha detto il 6 marzo Claudio Galtieri, presidente dei giudici contabili lombardi. “Il fenomeno della corruzione va combattuto anche ponendo attenzione agli effetti concreti di quella legislazione che nell’ottica di semplificare e rendere più tempestiva l’azione amministrativa finisce in realtà col favorire fenomeni di distorsione nell’uso delle risorse pubbliche”. Expo 2015 è già coinvolto in un’inchiesta della Procura di Milano, che ha portato a quattro arresti lo scorso ottobre, sia nell’operazione Sistema dei carabinieri del Ros che con i magistrati di Firenze hanno sman- tellato la presunta “cupola” del ministero delle Infrastrutture sulle Grandi opere. Cantone riconosce: “Siamo talmente strapieni, la nostra unità operativa su Expo ha un carico di lavoro enorme ma lo porteremo a ter- Oscar Farinetti Ansa mine e verificheremo tutto”. PER CARITÀ: la vicenda dei ri- storanti affidati a Farinetti appare marginale ed è estranea alle inchieste delle Procure. Ma forse rientra nel “brutto” di Expo Raffaele Cantone Dlm AMICO DEL PREMIER A febbraio Farinetti ha cortesemente declinato l’invito di Renzi a entrare nel governo, ma l’amicizia resta. L’imprenditore, le cene pro-Matteo e le nozze di Carrai che il pool di Cantone sta verificando. Sicuramente non ci sarà nulla da eccepire. Il commissario del governo per l’esposizione milanese, Giuseppe Sala, ha già spiegato: “Possiamo non fare una gara quando c’è unicità e dal nostro punto di vista Eataly è unico”. I ristoranti di Farinetti del resto hanno già dimostrato di poter affrontare prove impegnative. L’ultima in ordine temporale risale al 6 novembre 2014 quando la società “Piaceri d'Italia” di Eataly organizzò il catering per gli 800 invitati alla cena di raccolta fondi per il Partito democratico a Milano. Era presente lo stesso Farinetti che mise la sua parte: mille euro. Per poi incassare dal Pd il pagamento della serata. Un po’ come se Silvio Berlusconi si abbonasse a Mediaset premium. Come l’ex Cavaliere, del resto, il papà di Eataly è un imprenditore, un self made man. E anche lui è stato tentato dalla politica: Renzi a febbraio gli propose di entrare nel governo, ma Oscar rifiutò. Preferisce starne fuori, seppure l’amicizia tra i due sia decisamente profonda. Tanto da essere invitato al matrimonio di Marco Carrai, fedele fundraiser e storico Richelieu del premier. Una cerimonia riservata a pochissimi amici. In chiesa c’erano meno di cento persone. Matteo e Agnese testimoni insieme ad Alberto Bianchi (tesoriere delle fondazioni del premier e oggi nel cda di Enel), poi il finanziere Davide Serra, l’ex consulente di Cia, Sismi e governo Reagan, Michael Ledeen, l’ambasciatore Usa John R. Philips. E pochi altri. Farinetti è arrivato con l’intellettuale renziano Alessandro Baricco. I due si sono conosciuti di recente. Quando la scuola Holden nel 2013 era prossima al tracollo, per tramite di Carrai (già in cda) è intervenuto Oscar a salvarla con un innesto di capitale da 800 mila euro, comprando il 25% della società, poi salito al 36,7%. Tra amici si fa. Perché bisogna guardare al bello. Al brutto meglio non pensarci. POLITICA il Fatto Quotidiano B erlusconi: riprenderemo Milano e l’Italia RICONQUISTEREMO Milano e poi l’Italia”. Un influenzato Silvio Berlusconi è intervento via telefono alla riunione organizzata da Forza Italia nel capoluogo lombardo, all’auditorium Gaber, per preparare il dopo Pisapia. “Nel 2016 dovremo riconquistare Palazzo Marino con un candidato sindaco che sarà la sintesi della nostra sto- DOMENICA 29 MARZO 2015 ria - ha detto Berlusconi - Da Milano riparte la sfida alla sinistra, che cambia facce ma mai sostanza: anche Renzi sta dimostrando che la sinistra pensa solo a occupare il potere a qualunque costo”. Ma i problemi sono macigni, come dimostra l’intervento dal palco del capogruppo in Senato Paolo Romani: “Non si dica che tutto va bene, 5 perché oggi non va bene nulla. Siamo divisi e litigiosi, i peggiori di noi vanno in tv solo per dire stupidaggini. E poi ci sono le intransigenze di Brunetta”. In serata, risposta via Twitter del capogruppo alla Camera: “Grazie a Romani per avermi definito intransigente nei confronti del governo. Meglio intransigenti che inesistenti”. I 19 giornalisti spiaggiati a Panama grazie a Impregilo TUTTO PAGATO PER UNA SETTIMANA TRA MARE E HOTEL DI LUSSO. FOLTA LA TRUPPA DELLA TELEVISIONE DI STATO. IL PRESIDENTE RAI TARANTOLA: “VERIFICHEREMO”. ENZO IACOPINO: “COSÌ NON SI OFFRE UN BUON SERVIZIO” di Alessandro e Carlo Tecce Ferrucci R accontare è meglio di vivere per alcuni. Bello vedere la reazione dell’interlocutore, magari suscitare un pizzico d’invidia, un ohhh di stupore, specialmente quando si va per una settimana a Las Vegas e Panama, 30 e passa gradi senza pioggia, gratis e nelle ore lavorative. Così alcuni giornalisti, invitati da Salini-Impregilo per mostrare le ultime meraviglie dell’impresa italiana che ha ampliato il Canale, hanno postato foto su Facebook, condiviso tanta beltà. Hanno raccontato, appunto. Ampia la lista (qui a fianco pubblicata) dei giornalisti coinvolti, sono 19 e di varie testate, da Panorama a Repubblica, con particolare attenzione per i rappresentati della televisione di Stato, da Porta a Portaa Petrolio, oltre a Tg2, Radio Rai, Rai News. Una spedizione lunga sette giorni, una traversata oceanica in aereo con tappa a Las Vegas per perlustrare un tunnel idraulico e poi rientrare in Italia e farcire un servizio di almeno trenta secondi cadauno: “Spero che la regia finale valga la spesa – interviene Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti – È un grande spot. Fino a qualche anno fa Il vignettista questo tipo di operazioni si chiamavano educational, allora dissi che noi dovevamo contrapporre un ri-educational per i colleghi, perché i cittadini hanno il diritto a ottenere un’informazione serena. Non ho mai visto un servizio critico da parte di giornalisti chiamati, magari a Dubai, per il lancio commerciale di una nuova automobile o motocicletta”. Uno dei servizi già pubblicati su Rainews ha questo tono: “È una giornata memorabile per l’Italia. Una delle ultime paratoie, 16 in tutto, del complessissimo sistema di chiuse del progetto di realizzazione del nuovo Canale di Panama è stata messa in posa sul lato dell’Oceano Atlantico. (...) Le paratoie made in Italy motivo di orgoglio per il nostro Paese, per il know how, la tecnologia e l’innovazione, non è solo la realizzazione del terzo set di chiuse, ma anche le stesse paratoie. Tutte made in Italy. (...) Una storia italiana nel mondo. E per il mondo”. PER SALINI-IMPREGILO è stata una splendida operazione, la multinazionale ha speso poche decine di migliaia di euro e ha ricavato una pubblicità dal valore milionario sui mezzi d’informazione nazionali: televisioni, giornali, agenzie, siti. Come spesso accade, la Rai ha partecipato in massa. Era la delegazione più L’IMPRESA Sopra, l’opera a Panama denunciata ieri dal Fatto Ansa TUTTI IN VIAGGIO Il Sole 24 Ore È partito per l’America uno dei vicedirettori Ansa L’agenzia manda chi ha seguito le notizie sul Canale Radio 24 La radio di Confindustria manda un inviato La Stampa Anche il quotidiano torinese ha inviato un vicedirettore Tg2 Manda un inviato e un cineoperatore LaPresse L’agenzia copre la vicenda con un inviato La Repubblica Ha spedito in centro America un redattore Esteri Rainews24 La tv all news Rai manda giornalista e operatore Mf Dow Jones L’agenzia di Mf spedisce un proprio inviato Panorama Per il settimanale Mondadori parte un caporedattore “Petrolio” Il conduttore Giammaria va con l’operatore per due giorni Askanews L’agenzia manda un inviato “Porta a Porta” Copre l’evento un inviato e un cineoperatore Radio Rai Manda a Panama un caporedattore Fotografi Ne arrivano un paio di buona fama nutrita: cinque testate hanno assistito all’installazione di paratoie da 30 metri, ficcate nell’Atlantico, per allargare il canale. A differenza dei cinque microfoni marchiati Rai sotto il muso di Matteo Renzi per il G8 in Australia, stavolta, l’azienda non s’è allarmata. E pare che per la circostanza – la promozione di un’opera a 9.600 chilometri da Roma – non valga il dogma del dg Luigi Gubitosi: un evento, una telecamera, un giornalista. Ma la presidente Anna Maria Tarantola, intervistata dal fattoquotidiano.it, ha annunciato che la questione sarà portata sul tavolo di Gubitosi: “Me ne occuperò, credo che a livello di direzione generale verranno prese delle decisioni necessarie”. Iacopino, però, s’è informato e assicura che per i cronisti del servizio pubblico non ci sono ostacoli deontologici o di semplice opportunità, anzi è quasi un dovere professionale: “Ho contattato i colleghi della Rai – prosegue Iacopino – e mi hanno detto che sono partiti per rispettare gli obblighi del contratto di servizio, secondo il quale la tv di Stato deve raccontare le grandi imprese italiane all’estero. A me sembra assurdo, ma questo mi hanno detto”. Sì, ma non c’è scritto che devono viaggiare a spese dell’azienda celebrata per l’occasione. Vincino tra Renzi e Lubitz “Grillo mi ha copiato, ma io sono innocente” di Gianluca Roselli iovane pilota non risponde a nessuno chiuG so in cabina”. A pilotare l’aereo è Matteo Renzi e l’allusione è alla tragedia della German Wings. Questa vignetta di Vincino è uscita in prima pagina sul Foglio venerdì mattina. Verso mezzogiorno Beppe Grillo sul suo blog spara un fotomontaggio con l’aereo della compagnia tedesca e Renzi alla guida. “Un uomo solo al comando”, il titolo. Grillo, per la cronaca, viene sommerso dalle critiche, anche dei suoi. “Pure io su Twitter ho avuto qualche attacco. Ma una vignetta di satira è una cosa, un fotomontaggio che diventa lo slogan di un politico un’altra”, spiega Vincino, all’anagrafe Vincenzo Gallo, palermitano, uno dei più grandi vignettisti e disegnatori italiani. Vincino, Grillo l’ha copiata? Il giornale con la vignetta è uscito la mattina del venerdì. Lui il fotomontaggio l’ha messo a mezzogiorno. Ma non mi interessa, non è importante. Noi disegnatori veniamo sempre rapinati. O spesso capita che abbiamo la stessa idea, senza sapere che è stata già fatta. Lei dice che la sua vignetta ha più dignità del fotomontaggio grillino. Perché? inietta una dose di poesia nei fatti, alleggerisce le notizie tragiche. Il fotomontaggio, invece, è più greve. In questo caso, poi, è un chiaro messaggio politico di un leader sparato col bazooka contro i suoi avversari, in questo caso Renzi. Lei crede che si possa fare satira su tutto o ci sono dei confini da rispettare? Il disegno nobilita, la matita SOMIGLIANZE “Giovane pilota non risponde a nessuno chiuso in cabina” di Vincino e il fotomontaggio di Grillo sul blog I vignettisti trattano della vita, che è fatta anche da disgrazie e morti. Dobbiamo sporcarci le mani con tutto, specie con le tragedie. L’importante è farlo in modo pulito, senza secondo fini, potrei dire con innocenza. La politica, invece, persegue sempre degli obbiettivi. La differenza è tutta qui. Gli autori di satira si rovinano quando diventano moralisti, perché perdono la leggerezza. Satira e politica, sempre in conflitto... Altra differenza è che la politica rappresenta rapporti di forza. La satira si esprime inseguendo pensieri laterali e incoscienti. Anche noi, però, ogni tanto sbagliamo. Quando? Beh, ogni tanto la mano scappa. Quando faccio degli errori, lo ammetto e chiedo scusa. Quante querele ha? Parecchie, le prendo da una vita. A lamentarsi sono soprattutto le associazioni, specie quelle cattoliche. Ho anche una specie di stalker... Ovvero? Un alto dirigente Rai, di cui non faccio il nome, si è riconosciuto in un personaggio di una mia vignetta e mi perseguita da anni a suon di carte bollate. Ma il personaggio rappresentato non è lui, nemmeno gli somiglia. Gliel’ho detto in mille modi, ma niente. Continua. A proposito dell’aereo tedesco, il Giornale ha titolato in prima pagina “Schettinen”. Che ne pensa? È un titolo di cattivo gusto e tirato per i capelli. Hanno banalizzato due vicende completamente diverse tra di loro. 6 POLITICA DOMENICA 29 MARZO 2015 A grigento, il Pd pensa a Capodicasa per le Comunali IL GOVERNO, visti i risultati delle primarie, corre ai ripari. Ad Agrigento, infatti, nei gazebo si è imposto Silvio Alessi, imprenditore con un lungo un passato nel centrodestra. Ma siccome, nonostante il voto degli elettori, Alessi “non rappresenta il centrosinistra” bisognava trovare un’alternativa. E pare che l’abbiano tro- il Fatto Quotidiano vata: Angelo Capodicasa, attualmente deputato, è il nome che il Pd potrebbe proporre alla coalizione di centrosinistra come candidato a sindaco di Agrigento. Capodicasa, agrigentino, è uno dei big del Pd siciliano, già presidente della Regione, da decenni in prima linea prima col Pci e poi con Pds e Ds fino all’approdo nel Pd. In Sicilia, comunque, resta ancora aperta la partita di Enna. Lì il candidato è Vladimiro Crisafulli, anche lui decano della sinistra dell’isola. Ma Renzi non lo vuole, dopo che già Bersani lo scaricò alle elezioni del 2013. Crisafulli però ha già fatto sapere che per convincerlo a ritirarsi possono solo offrirgli un posto al governo. Le rottamazioni alterne: Matteo chiude un occhio IL PREMIER CHIEDE ALLA MINORANZA PD DI FAR FUORI BERSANI E D’ALEMA MA LUI (QUANDO SERVE) UN BEL PO’ DI VECCHIA GUARDIA SE LA TIENE ECCOME di Wanda S Marra tando a quanto raccontava Repubblica ieri, Renzi avrebbe det- to “ai suoi” di smetterla di andar dietro a D’Alema e Bersani. L’oggetto del contendere è la legge elettorale, sul quale il premier vuole un sì definitivo alla Camera senza variazioni. Ma se D’Alema è un antico bersaglio, peraltro già colpito (e ampiamente rot- tamato), Bersani come obiettivo esplicito non era mai apparso in questi termini. È la guerra generazionale, il nuovo che avanza. O meglio, il metodo ormai consueto per Renzi: portare a sé i giovani, inglobarli proponendo loro ruoli, posti di potere, magari candidature e isolare i “vecchi”, fino a detronizzarli. Matteo Orfini, Marianna Madia, Debora Serracchiani, ma anche Enzo Amendola e Roberto Speranza prima erano all’opposizione, ora sono o “diversamente” maggioranza, o puntelli del premier segretario nella minoranza. Eppure, se una parte consistente della vecchia guardia (D’Alema, Veltroni, Marini) ormai non conta più nulla, una pattuglia decisamente numerosa non solo resiste, ma avanza. Soprattutto sui territori. Perché di certi pezzi di vecchio potere, il “nuovo” Matteo non può fare a meno. Matteo Renzi Ansa PIERO FASSINO SERGIO CHIAMPARINO ANNA FINOCCHIARO PAOLO GENTILONI VINCENZO DE LUCA Da Torino all’Anci, il sogno infranto del Colle La prima Leopolda lo ha portato in Piemonte Coppia fissa con la Boschi aspettando un ministero Alla Farnesina nel nome di Rutelli Da Salerno alla Campania Il candidato azzoppato Era il 1975 quando fu eletto consigliere comunale a Torino per il Pci. “Solo” 40 anni fa. Adesso è presidente dell’Anci. È stato tra i primi esponenti della vecchia guardia a sostenere Renzi. L’ultima battaglia? Quella per il Colle. Il premier non era contrario, anche se alla fine gli ha preferito Mattarella. Ha iniziato da capogruppo del Pci al Comune di Moncalieri nel 1975. Tra gli ospiti d’onore della Leopolda 2011, con Renzi ha stabilito un sodalizio proficuo: è diventato presidente del Piemonte. Ufficialmente renziano, ma i tweet contro la legge di Stabilità hanno arrestato la sua corsa al Quirinale. In Parlamento dal 1987. Quasi 30 anni fa. La sua candidatura alla Presidenza della Repubblica prima della rielezione di Napolitano fu arrestata da Renzi in diretta tv. Ma da presidente della Commissione Affari costituzionali in Senato ha stretto un patto di ferro con la Boschi. E oggi è in gara per un ministero. Negli anni 90 è stato portavoce, e assessore al Turismo e al Giubileo, di Francesco Rutelli. È nella pattuglia dei renziani più potenti: appunto, i rutelliani, di cui fa parte anche il portavoce, Filippo Sensi. Oggi è ministro degli Esteri, nominato dal premier con il passaggio della Mogherini a Lady Pesc. Primo incarico istituzionale nel 1990: vicesindaco di Salerno. Da allora, con qualche breve interruzione, è alla guida della città. Nello scorso congresso Pd ha portato i suoi voti a Renzi. Ora ha vinto le primarie e imposto la sua candidatura alla presidenza della Campania. Nonostante la legge Severino. VASCO ERRANI GIUSEPPE FIORONI DARIO FRANCESCHINI LUIGI ZANDA NICOLA LATORRE A braccetto con il premier nonostante la condanna Il dinosauro nell’ombra ma resta in campo L’ex “vice-disastro” adesso è ministro Il braccio armato in Senato Dallo staff di D’Alema che lavorava per Cossiga a ultrà di Matteo Eletto per la prima volta consigliere comunale a Ravenna nel 1983 con il Pci, in Emilia Romagna è una potenza. Con lui Renzi ha stretto un patto di ferro: dopo la condanna in appello per falso ideologico l’ha difeso più volte. Si è dimesso dalla guida dell’Emilia, ma il premier lo vorrebbe al governo. Eletto consigliere comunale a Viterbo per la Dc nel 1985, è da sempre un po’ renziano e un po’ no. Lavora nella retrovie, si cura i parlamentari cattolici, tesse tele trasversali. Il premier-segretario non lo premia, ma neanche si sogna di attaccarlo. Diventa consigliere comunale a Ferrara per la Dc nel 1980. Quando era ancora ministro nel governo Letta annunciò il sostegno suo e della sua potente corrente a Renzi alle primarie del 2013. Lui che l’aveva definito “vice disastro” l’ha ringraziato con il ministero della Cultura. Un passato da portavoce (Cossiga) e da alto dirigente (da Lottomatica al Giubileo) è in Parlamento dal 2003, con la Margherita. Di provenienza rutelliana anche lui, come capogruppo a Palazzo Madama oggi è uno dei bracci armati di Renzi tra i senatori Pd. In Parlamento “solo” dal 2005, ma in politica con Massimo D’Alema da sempre (è stato anche capo del suo staff). Ha rinnegato il padre da quando Renzi è diventato segretario. L’ultimo affondo lunedì. Massimo? “È mosso da rancori personali”. Oggi è presidente della Commissione Difesa in Senato. Quanto vale lo scherzetto dell’autosospensione LASCIANO “MOMENTANEAMENTE” DOPO I GUAI GIUDIZIARI. MA CONTINUANO A PARTECIPARE ALLA VITA (E ALLA CASSA) DEL PARTITO di Mariagrazia Gerina er comprensibili ragioni di opportunità, P non disgiunte dall’alto senso di rispetto che ho sempre avuto nei confronti delle istituzioni, dei colleghi di partito e dei parlamentari tutti…”. Con questa formula solenne, il 19 marzo di un anno fa, il giorno stesso in cui il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il suo arresto, il deputato Francantonio Genovese, indagato per i “corsi d’oro” della Regione Siciliana, annunciò la “determinazione” ad autosospendersi sia dal partito che dal gruppo parlamentare del Pd. Seguirono settimane convulse. Terminate con il voto a pochi giorni dalle elezioni europee e l’autorizzazione a procedere da parte dell’aula di Montecitorio. “Abbiamo fatto quello che abbiamo detto”, rivendicò il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini. “Il partito nuovo non vuole lasciare adito ad alcun sospetto o ambiguità”, dichiarò Debora Serracchiani. Un anno dopo, per gli uffici della Camera, Genovese, pur agli arresti, è ancora a tutti gli effetti un deputato del Partito democratico. Nessun errore. Solo che l’autosospensione di un parlamentare dal gruppo a cui appartiene resta un fatto politico interno al gruppo, non viene neppure comunicato agli uffici di presidenza di Montecitorio o di Palazzo Madama. Sospesi o autosospesi per la Camera o per il Senato non esistono, ci sono solo parlamentari iscritti al proprio gruppo. Al limite, a quello misto. E Francantonio Genovese a tutt’oggi risulta iscritto al gruppo del Pd. A dispetto della autosospensione, annunciata un anno fa a mezzo stampa. Come pure è a tutti gli effetti parlamentare del Pd Marco Di Stefano. Indagato, davanti all’accusa di aver preso una FRANCANTONIO GENOVESE Agli arresti per i “corsi d’oro” della Regione Sicilia, ha annunciato l’addio ai dem. Ma per la Camera è ancora lì MARCO DI STEFANO Anche lui lasciò il Pd davanti all’accusa di aver preso una tangente dal costruttore romano Pulcini, ma senza conseguenze tangente di 2 milioni dal costruttore romano Pulcini, a novembre annunciò anche lui la decisione di autosospendersi “momentaneamente” dal gruppo del Pd. “E infatti da allora noi non lo consideriamo più parte del gruppo”, spiega il presidente dei deputati democratici, Roberto Speranza. Loro no, ma la Camera sì. E continua a conteggiarlo in quota Pd. SCHERZI di una misura disciplinare, che fun- ziona come annuncio-stampa. Meno come strumento moralizzatore di sicura efficacia. Specie quando, a breve, non seguono provvedimenti più incisivi. E la questione, va detto, ha anche un risvolto pecuniario. Perché, mese per mese, i contributi che Camera e Senato erogano ai gruppi parlamentari dipendono dal numero di parlamentari iscritti. E anche qui sospesi o autosospesi contano al pari degli altri. La tesoreria non fa distinzioni. Considerando che lo scorso anno la spesa per il finanziamento dei soli gruppi parlamentari della Camera è stata pari a 32 milioni di euro, si può dire, con un calcolo molto a spanne, che un deputato autosospeso continua a far affluire nelle casse del gruppo circa 4mila euro al mese di contributi. Se poi non intervengono misure ulteriori, il conto non si arresta. E alla fine dell’anno l’autosospeso avrà fruttato al gruppo un tesoretto di circa 50 mila euro. Viene il sospetto che non sia solo per garantismo che, a volte, la sospensione si congela “ad libitum”, senza sfociare in misure più perentorie. Come nel caso di Francantonio Genovese. D’altra parte, siamo nel paese in cui Giancarlo Galan, dopo aver patteggiato per lo scandalo del Mose una pena di 2 anni e 10 mesi, è ancora presidente della Commissione Cultura della Camera. Lui a sospendersi, misura prevista anche nello statuto dei deputati di Forza Italia, non ci ha proprio pensato. Dal Parlamento alle istituzioni locali, le contraddizioni non mancano. Prendiamo il caso di Mafia Capitale. All’indomani dei 37 arresti, i politici indagati hanno reagito in ordine sparso. Anche qui il Pd ha voluto dare un segnale in più. Renzi ha commissariato la federazione romana, inviando il presidente Matteo Orfini a fare pulizia, e i consiglieri indagati, non destinatari di misure cautelari, si sono autosospesi dal partito. Ma un conto è il partito, altro i gruppi consiliari. Nel dubbio, l’ex presidente del consiglio Mirko Coratti, tornato da poco a frequentare l’Aula Giulio Cesare, si è limitato a partecipare alle riunioni del consiglio. Alla Pisana, il consigliere regionale Eugenio Patané, ha interpretato diversamente l’autosospensione. E dicono che partecipi come prima alle riunioni e alla vita del gruppo. Si è dimesso dalla presidenza della Commissione Cultura. Ma alcuni colleghi hanno notato che occupa ancora il suo vecchio ufficio. POLITICA il Fatto Quotidiano La ettera del premier Orfini: “Ottimo lavoro a Roma” di Giorgio Meletti L a retorica internettiana di Matteo Renzi è travolta da se stessa. Le improvvise dimissioni di Alessandra Poggiani dalla direzione dell’Agenzia per l’Italia digitale, annunciate ieri, alzano il velo sul disfacimento personalistico di un settore decisivo. È proprio l’interessata a dire cose gravissime: “Il mondo digitale è un circo ristretto, una camera dell’eco. Ce la raccontiamo tra di noi, piccole invidie, rivalità da cortile, divisioni personali. Ci sono troppi protagonismi, nemmeno le rockstar! Il 90% delle cose che vengono raccontate non sono vere, il 7 sono presunte e forse solo un 3% è costituito da fatti”. E poi la stoccata finale, in puro stile tardo-Ceausescu (il capo è l’unico che capisce qualcosa). Testualmente: “Forse il presidente del Consiglio ha chiaro quanto sia importante questa partita, ma gli altri senz’altro no”. ASSIEME a Fabrizio Barca, si è messo a cercare di scrostare il Pd romano travolto da Mafia Capitale. E ora, per Matteo Orfini, presidente dei democratici, arrivano i complimenti di Matteo Renzi. A Roma, ha scritto in una lettera il presidente del Consiglio (indirizzata anche a Stefano Esposito, che sta facendo lo stesso la- DOMENICA 29 MARZO 2015 voro a Ostia), il Pd sta attuando “uno sforzo di pulizia, di orgoglio, di riconquista centimetro dopo centimetro di un futuro forte e unito”. La relazione, scritta da Barca, sullo stato del partito è stata impietosa e ha descritto un partito “cattivo”. Ora, dice Renzi, l’obiettivo è costruire un “partito CHIACCHIERE DIGITALI: L’AGENDA DI GOVERNO STA PERDENDO PEZZI ALESSANDRA POGGIANI LASCIA L’AGENZIA PER L’INNOVAZIONE DOPO POCHI MESI E MOLTI CONVEGNI: ”TROPPE INVIDIE E RIVALITÀ”. MA SI CANDIDA IN VENETO CON LA MORETTI davvero buono, che non si rassegna alle infiltrazioni, alle camarille, alle cordate, ai signori delle tessere, alle intimidazioni, all’indifferenza. Ma che progetta e combatte, sogna e costruisce, non si chiude, ma si fa carico di un sacrificio quotidiano fatto di militanza appassionata, onesta, disinteressata”. CLICK L’intervista straniera: “Beppe” Mattarella di Pino Corrias INTERESSANTE ANCHE PSICHIATRICAMENTE questa nuova strategia di comunicazione inaugurata da Sergio Mattarella che da quando è stato nominato presidente di tutti gli italiani concede interviste solo a testate straniere. Prima la Cnn. Ora Le Figaro. Per raccontare – immaginiamo – le imminenti decisioni geopolitiche del Quirinale agli ansiosi coltivatori di barbabietole dell’Arkansas e agli allegri bevitori di Pernod del Vieux Port di Marsiglia. Non ci è dato sapere se questa scelta sia una ripicca contro di noi italici, un monito o una sollecitazione. Certo è che avere interrotto quel silenzio che nelle tetre stanze della Corte costituzionale lo avvolgeva da così gran tempo – proteggendolo da ogni mondo reale non mediato da inchiostro, da velluti e da profonda dottrina – non poteva rimanere senza conseguenze. Una delle quali risulta involontariamente comica, visto che accomuna Sergio Mattarella al suo perfetto contrario: Beppe Grillo. Anche lui, il comico, per un intero anno si è concesso solo a giornali e giornalisti stranieri, per di più con la gustosa aggravante di non capire né le domande, né le risposte. Mattarella capisce entrambe. E perciò c’è del metodo, direbbe il bardo. DIGITAL CHAMPION Il giornalista di “Repubblica” Riccardo Luna fa l’apostolo tecnologico per il governo (ma promuove se stesso) NON POTENDO cambiare l’Ita- lia, Poggiani si candida alle Regionali venete con Alessandra Moretti (Pd): “Il richiamo di Venezia per me è molto forte. Credo davvero di poter far qualcosa per cambiare la città e il Veneto”. A Venezia tutto inizia e tutto finisce. L’8 luglio dell’anno scorso Matteo Renzi tenne in Laguna il suo indimenticabile discorso a braccio in inglese sull’innovazione tecnologica, destinato a diventare uno dei video più cliccati in Rete. Organizzatrice del fastoso appuntamento, Digital Venice, era proprio la Poggiani, numero uno di Venis Spa, società informatica che sarebbe audace definire una coraggiosa start up, visto che è del Comune di Venezia. Due giorni dopo, il 10 luglio, Renzi nomina la Poggiani alla direzione dell’Agenzia digitale. Qualche settimana dopo il presidente del Consiglio ha infilato un’altra brillante nomina in linea con il chiacchierismo-leninismo oggi stigmatizzato dalla stessa Poggiani: il giornalista di Repubblica Riccardo Luna è diventato il Digital Champion italiano. Si tratta di una figura introdotta dall’Unione europea: ogni Paese ha il suo campione che deve aiutare il progresso e la diffusione delle tecnologie digitali, e supportare il governo e la Commissione europea per le politiche nel settore. In genere sono stati scelti per il ruolo importanti imprenditori, ex ministri, docenti universitari. In Italia prima di Luna c’era Francesco Caio, fondatore di Omnitel e oggi numero uno di Poste Italiane. Adesso siamo l’unico Paese ad avere come Champion un giornalista che si sente un apostolo più che un tecnico. Per esempio rivendica tra i suoi meriti la candidatura di Internet al premio Nobel per la pace, operazione per adesso bloccata, forse perché gli accademici svedesi ritengono che venga prima il frigorifero. 7 Alessandra Poggiani. A destra, Riccardo Luna LaPresse/Ansa Luna fa il Digital Champion a titolo gratuito e con una certa attenzione alla promozione di se stesso. Appena nominato ha fondato l’Associazione Digital Champions, proclamando l’obiettivo di subappaltare la funzione a ottomila digital campioncini, uno per ogni comune. Per adesso ne ha consacrati circa 900, che costituiscono un diffuso network di potere: in 900 possono dare a intendere di parlare a nome di Renzi, e infatti Telecom Italia si è precipitata a finanziare l’Associazione con qualche centinaio di migliaia di euro. Mentre Luna, forte della casacca di portavoce digitale del renzismo, dirige l’interessante blog Che futuro!, tutto sull’innovazione a cura e spese di Chebanca!, lo sportello online di Mediobanca. IL DIGITAL CHAMPION dun- que, più che supportare e incoraggiare, certifica, condanna e assolve. Nominato coordinatore dell’Innovation Advisory Board dell’Expo 2015, Luna chiese di pubblicare in modo trasparente i dati su tutte le spese per le strutture e i servizi dell’esposizione di Milano, ma nel 2013 denunciò sconsolato di essersi scontrato “con un muro di gomma e di opacità”. A marzo 2014, quando l’Expo era lambito dai primi scandali, scrisse: “Adesso, che aleggiano scandali e allarmi, mi dico: era tutto previsto e prevedibile, risparmiateci le lacrime”. Dopo la nomina a Digital Champion è cambiato tutto. La trasparenza ha trionfato, e Luna ci assicura, dal sito Expo2015, che lì sono tutti onesti e trasparenti: “I dati ci sono e nessuno li nasconde”. Intanto i Digital Champions sono impegnatissimi, gratuitamente ma con Telecom Italia che paga, a supportare il lancio della fatturazione digitale. Ieri su Repubblica si poteva leggere un commento di Luna, tornato giornalista, così intitolato: “Il bello della fattura elettronica”. Sinergie. Il darsi da fare di Luna contrasta con l’inconcludenza della Poggiani, indefessa partecipante a convegni di ogni ordine e grado. Che cosa abbia fatto la 44enne manager in questi otto mesi alla guida dell’Agenzia digitale è un mistero anche per l’interessata: “In quest’anno penso di non aver mai dormito più di tre ore a notte. Tuttavia bisogna domandarsi se allo sforzo corrisponda- no risultati, o se quell’energia potrebbe essere più produttiva se impiegata in altro modo”. ADESSO RENZI si chiederà se le energie per scoprire i suoi talenti digitali le ha spese bene. E se non debba affidare l’Agenda digitale a competenti veri anziché a simpatici come Poggiani e Luna, o come il presidente della Cdp Franco Bassanini che ormai detta legge nel duello sulla rete telefonica con Telecom Italia, azienda finanziatrice del Digital Champion. Certo è che quando nominò Poggiani e Luna lo storyteller non esitò: “Abbiamo una squadra fortissima, se falliamo vuol dire che siamo dei caproni”. Veda un po’. Twitter@giorgiomeletti QUI PALERMO Provenzano story, il figlio fa da Cicerone ai turisti Usa di Giuseppe Lo Bianco stico non è nuovo: nel suo libro Cento passi ancora Salvo Vitale, il braccio del figlio del boss racconta suo padre stro di Peppino Impastato, racconta di ai turisti: da mesi, informa l’Ansa, avere partecipato nel 1978 davanti a decine di turisti americani condotti in una casa sulle pendici di Monte PeSicilia da un tour operator di Boston coraro, sopra Punta Raisi, a una scena incontrano il figlio del boss Bernardo da film. “Sulle note del Padrino esce dalProvenzano, Angelo, per farsi raccon- la casa don Pitrinu u dannatu – scrive – tare la sua vita e il rapporto con il pa- l’ex ergastolano Pietro Palazzolo, condre. Storie, immaginiamo, di affetto fi- dannato per tredici omicidi” (e zio di liale e sub-cultura mafiosa: gli inter- Vito Palazzolo, il riciclatore mafioso venti sono preceduti da una breve in- estradato dalla Thailandia che ha initroduzione sulla storia della mafia fatta ziato a collaborare con i magistrati). Ha da uno degli organizzatori. Al termine 80 anni, la barba bianca “che gli dà dei meeting gli “spettal’aria del patriarca” e il look del perfetto bantori” – generalmente professionisti e inteldito: “coppola, camiI PULLMAN cia bianca, gilet di pellettuali che arrivano da ogni parte degli Stati le, pantaloni di velluto Decine di americani, e fucile in spalla”. E Uniti – rivolgono a Provenzano una serie inizia a distribuire ai condotti in Sicilia di domande sulla figuturisti estasiati, giunti da un tour operator ra del padre, ma anche, “dall’hotel Saracen di rivela l’Ansa, sulle difCapaci su tre puldi Boston, incontrano lman”, strette di mano, ficoltà che nascono dal portare un cognome baci e un mezzo sorl’erede del boss per farsi tanto “ingombrante”. riso. “Loro vanno via raccontare la sua vita L’espediente folkloriconvinti di avere visto I Angelo Provenzano Ansa un mafioso doc per la modica cifra di 27 mila lire”, racconta Vitale. In entrambi i casi il folklore copre e cancella la storia di sangue e orrore di Cosa Nostra. Per questo Giovanna Maggiani, la presidente delle vittime della strage di via dei Georgofili, decisa anche da Provenzano, ha invitato l’agenzia di viaggi di Boston a organizzare una tappa a Firenze: sarà l’associazione a raccontare ai turisti “la vera storia delle ‘famiglie’ di cosa nostra”. Che potrà essere integrata da una ‘master class’ sulla trattativa, e sul ruolo di Provenzano, proposta dall’Unione Cronisti di Palermo, che si dice pronta a raccontare ai viaggiatori americani il patto Stato-mafia e il sacrificio di centinaia di vittime di Cosa Nostra ricordate nel Giardino della Memoria di Ciaculli, a Palermo. 8 IERI, OGGI E DOMANI La fiction “1992” e la caccia al “cinghialone” (così veniva chiamato il segretario socialista) che si scatenò in quei giorni. Non solo l’inchiesta, ma una protesta collettiva che di Antonio Padellaro L’ aveva molto a che fare con la frustrazione per un sistema corrotto al midollo. Ma come era potuto accadere? Come si può arrivare così in alto e poi precipitare tanto in fretta? Craxi e il format dell’uomo solo al comando ultima volta che parlai con Bettino Craxi era il 1998 e lavoravo all’Espresso. Gli telefonai ad Hammamet, fu gentile e alla domanda su cosa si rimproverasse dopo Mani Pulite disse soltanto: “Ho sottovalutato ciò che stava acca- L’ASCESA RAPACE TRA PARTITO E GOVERNO, SENZA FARE PRIGIONIERI, SOTTO L’INSEGNA SPLENDENTE dendo”. Mi è tornato in mente DEL “CAMBIAMENTO”. IL DISPREZZO PER IL PARLAMENTO, L’INSOFFERENZA PER I GIORNALISTI, LA CADUTA. guardando martedì scorso la prima puntata di 1992, la fiction che E ORA LA CARRIERA “PARALLELA” DI RENZI: DUE STORIE E LO SPECCHIO DI UN’ITALIA MALATA va in onda su Sky, quando l’attore che interpreta Antonio Di Pietro sfoglia un giornale che parla di un cinghiale selvatico fotografato alla periferia di Mi- litiche del Pci trionfante al 34,4%. Prende il posto di HASHTAG lano e ci fa capire che il vero cinghiale da catturare, Francesco De Martino, laconico buddha napole- SENZA anzi il “cinghialone”, come se ne parlava nei gior- tano che non intende smacchiare il giaguaro co- FRENI nali, era proprio lui, Bettino. Anche se adesso il Di munista e che anzi teorizza l’unificazione Psi-Pci: il Anche Renzi Pietro autentico nega e dice che “nell’inchiesta quel che per il partito di Pietro Nenni significa farsi an- ha fatto della nome non esisteva”, la verità è che oltre le indagini nettere punto e basta. Fate caso alla situazione dei comunicazione del pool milanese (e le successive condanne defi- socialisti italiani: federazioni paralizzate dalla lotta rapida uno nitive per corruzione e finanziamento illecito) quel- fra le correnti, dirigenti in guerra perenne; sezioni degli assi della lo stesso nome, in quegli anni, in quella crisi eco- degradate a terminali di questo o di quel boss; un sua politica. nomica e morale devastante fu il principale bersa- corpo di militanti ridotti a servi della gleba dei si- Twitter come glio della protesta collettiva, la calamita dell’insof- gnori delle tessere; una struttura chiusa, burocra- strumento ferenza, il capro espiatorio della frustrazione nazio- tica, polverosa. Vi ricorda per caso il Pd di Bersani? principale. Dire nale. Le monetine che gli tirarono addosso il 30 apri- E poi la stessa parola d’ordine sul Cambiamento più che risponle 1993 a Roma, davanti all’hotel Raphael, furono la che non è ancora la Rottamazione che verrà ma il dere LaPresse colonna sonora di un’esecuzione: Bettino Craxi era senso è quello. La stessa presa di potere del partito l’uomo più odiato d’Italia. Lui che non molti anni con un blitz che non farà prigionieri. Lo stesso prima, nel 1984, dopo la firma del Concordato con scontro interno con una sinistra interessata unila Chiesa, all’apice della presidenza socialista veniva camente alle proprie rendite di posizione e che il acclamato come il nuovo uomo della Provvidenza. giovanotto prima divide e quindi incamera grazie a qualche strategica poltrona come le Partecipazioni Come era potuto accadere? statali a Gianni De Michelis e i Trasporti a Claudio Signorile (e il giovane Incalza). La stessa immagine Nani, ballerine, garofani di un partito ringiovanito, di una forza nuova, rine la calca delle tv novatrice che entra in campo sgomitando e scalciando. Poi, la “Si vedono uomini cadere da stessa rapida conquista di Palaz- fine abbandonato e tradito finisce per “sottova- Cereno di Melville, comandante fittizio di una naun’alta fortuna a causa degli stesSCALATE A FRONTE zo Chigi. Lo stesso disprezzo per lutare” i segnali dell’incombente disastro. Ma qui ve ammutinata, ostaggio nelle mani di un equisi difetti che li avevano fatti sapaggio in rivolta”. Poi, nella latitanza tunisina suil Parlamento retrocesso a ente si torna al punto di partenza. lire”. L’aforisma di La Bruyere Il Partito socialista bentra la solitudine, la rabbia, la voglia di regolare i inutile. La stessa corsa a salire sul apre il libro Processo a Craxi che conti con i falsi amici e con la storia. Ne fa le spese nel 1993 scrissi con Giuseppe dilaniato e burocratico carro del vincitore. La stessa sud- I conti con la fine: tradimenti, anche il “migliorista” e futuro capo dello Stato, ditanza dei giornaloni. Lo stesso Tamburrano, dividendoci i ruodi metà anni 70 Giorgio Napolitano in una sorta di chiamata di disegno per mettere sotto con- falsi amici e cricche li. Io che già dai tempi del Corriere trollo la Rai. La stessa guerra alla Il più pesante atto d’accusa sull’opportunismo di correo (vedi a fianco). Mentre il nome di Claudio della Sera avevo seguito passo doda una parte, “la ditta” Cgil. Lo stesso spirito d’intesa Giuliano Amato non è contenuto negli articoli del Martelli, il brillante delfino, l’unico autorizzato a po passo l’ascesa del leader socialista esponevo le ragioni dell’accon la Confindustria. Allora, il Fatto Quotidiano, che l’ex Dottor Sottile cerca di tra- rifornirsi nel frigorifero di casa Craxi (secondo la che non smacchia cusa, quella politica e quella giutaglio di 4 punti della Scala mo- scinare in tribunale con una voluminosa querela. fulminante battuta di Anna Craxi) è relegato in una il giaguaro dall’altra diziaria. Tamburrano, politolobile. Oggi, la modifica dell’art. Bensì nelle pagine di un libro dal titolo: Io parlo e nota a margine che è peggio di una condanna. Ingo socialista che conosceva come 18. Lo stesso asse di potere con la continuerò a parlare, note e appunti di Bettino Craxi fine i conti con se stesso e una frase che suona come pochi la storia del Psi, esponeva destra. C’è molta differenza tra il sull’Italia vista da Hammamet (vedi sotto e a fianco). epitaffio: “Io non conosco la felicità. La mia vita è le ragioni della difesa anche se nella foga del dia- Caf di Craxi con Forlani e Andreotti e il patto del Neppure questo il cinghiale ferito aveva previsto: stata una corsa a ostacoli, e non mi sono mai ferlogo ci afferrava il sentimento comune della de- Nazareno di Renzi con Berlusconi? E ancora, la che un sistema di potere, il suo, che sembrava edi- mato per dire a me stesso ora sei un uomo felice. lusione. Giuseppe ricordava i tempi dell’ascesa e stessa insofferenza per i giornalisti “dei miei sti- ficato sulla pietra, e che lungo un quindicennio Bettino Craxi”. Felici non lo sono stati e non lo del trionfo, il congresso dell’acclamazione, la pi- vali”: quei pochissimi senza collare che qua- aveva resistito perfino all’ostilità di Ronald Reagan sono neppure gli italiani derubati da Tangentopoli ramide quasi divina dell’architetto Panseca, l’esi- rant’anni dopo nella versione tweet diventeranno e della Casa Bianca, si sbriciolasse nell’arco di po- e poi derubati ancora dalle cricche nella indecente bizione del potere, la calca dei cortigiani, la ressa “gufi” e “sciacalli”. A parte la stazza e i vestiti sfor- che settimane. “Bettino come Benito”, scrisse spoliazione della ricchezza nazionale proseguita fidei postulanti, il “partito nuovo” degli emergenti e mati, molte le analogie con un altro giovanotto che all’inizio della frana Valentino Parlato sul manife- no ai giorni nostri, senza apparenti ostacoli. E purdel made in Italy, le Thema e le Mercedes, i Cartier verrà e che nei giorni del Midas aveva appena un sto: “Come Benito Mussolini? No, come il Benito troppo questa non è fiction. d’oro e le cene al Savini. Ciò che anno. Certo che Matteo Renzi restava dell’antico socialismo dei non è Bettino Craxi, né glielo auMemorie/2 valori e della testimonianze fu guriamo per come è finita quella UN PAESE RECIDIVO bruscamente emarginato. Ricostoria. Certo, saprà guardarsi nosceva anche i meriti del primo dalle degenerazioni del sistema: Somiglianze tra Bettino politico italiano di spicco che quello dei “bilanci falsi di tutti i aveva capito le tendenze delle departiti che tutti sapevano” come e Matteo, ma anche no. mocrazie occidentali, nelle quali ammise il cinghiale ferito nel faResta la coazione il confronto non è tra partiti ma moso interrogatorio nell’aula tra leader. Ero presente al famomilanese del processo Cusani. a ripetere - da Mussolini so congresso di Rimini del 1982 Anche perché rivisitato su Youquando Craxi dopo aver lanciato tube quel confronto tesissimo a B. - di leader che rapidi lo slogan “Cambiamento” (ma (Da “Io parlo e continuerò andò un bel giorno dal Psi per nistra intellettuale, aspirante con il pm Di Pietro trasmette un salgono e rapidi cadono guarda un po’), nell’apoteosi dea parlare” di B. Craxi - Mondadori) finire nel Psiup. Si trattava di governativa “programmatisenso di sgomento, di dramma gli applausi, dei garofani agitati un partito avventuroso che era ca”, che aveva come leader incombente che nessuna fiction al cielo, nella calca delle televisioGiuliano Amato è stato uno dei nato per iniziativa del Pci e Giolitti. (...) Dal giolittismo potrebbe mai restituirci. Le colpe ni impazzite, stretto tra mille fans, invocato da nani storiche e giudiziarie di Craxi restano intatte ma più stretti collaboratori di dell’Urss, e che era vissuto sino (...) Amato passò senza far tane ballerine viene avvicinato da un signore anziano oggi lui quasi giganteggia a confronto dei tanti, Bettino Craxi (...), figura nella alla sua scomparsa con il de- to rumore al “craxismo” che riche timidamente prova a mormorargli: “Bettino troppi “tangentopolini” nel formaggio del ventencartella litografica dedicata ai naro sovietico, secondo le car- sultava ormai vincente nel Psi. sono un vecchio compagno...”. E lui sarcastico e tra nio successivo, senza dignità e senza verità. “Becchini” (...). Nello scritto che te ormai rese note. Natural- (...) A Palazzo Chigi Amato fu le risate della corte: “Che sei vecchio lo vedo”. Forse Il percorso iniziale di Renzi può somigliare a quelpubblichiamo, l'autore parla di mente lui, come altri illustri un fedele esecutore delle diretfu lì che cominciò la discesa. sé in terza persona. professori di democrazia, di tive di Craxi. Allargò il giro lo di Craxi perchè entrambi nascono a sinistra per questo fastidioso particolare delle sue conoscenze, si afferspaccare la sinistra. Ma anche no per il diverso non ne sapeva nulla, neppure mò senz’altro tra i collaboracontesto politico oltreché temporale nel quale si La storia si ripete: dal Caf mato è un genio elettro- per sentito dire, come del resto tori del Presidente come il prisvolgono le due vicende. Esiste tuttavia una coaal Patto del Nazareno zione a ripetere insita nel sistema italiano, quasi nico di opportunismo. A in questa materia gli capitò so- mus inter pares. Da quella poFateci caso, nel 1976 al Midas di Roma, superhotel una malattia congenita e recidiva, tra corsi e ridifferenza di altri della sua ge- vente, anche dopo, di essere sizione non mancò di entrare all’americana appena inaugurato sulla via Aurelia, corsi, che comincia con il ventennio mussolinianerazione che sono sempre ri- una specie di cieco, sordo e nelle grazie di tutti i maggiori un giovanotto corpulento in jeans approfitta delle no e attraversa quello berlusconiano. È il format masti più o meno al loro posto muto. Scomparso il Psiup, potentati economici e anche ruggini tra i capicorrente e di qualche fortunata dell’uomo solo al comando che rapidamente sale senza girovagare per i labirinti Amato tornò con altri nel Psi. dei clan giornalistici, comprecarambola per farsi eleggere segretario del Psi re- e repentinamente precipita. Reso cieco dalla sua politici, Giuliano Amato se ne Qui si mise in una specie di si- so quello che aveva cominciato duce da un mediocre 9,6 nelle stesse elezioni po- stessa superbia e arroganza, mal consigliato, in- Il voltagabbana Amato: silenzio sulle sue entrate A il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 MARZO 2015 9 LA STAGIONE DELLA MILANO DA BERE Craxi trionfante tra i garofani del Partito socialista. Poi arrivò Tangentopoli e la richiesta d’arresto: rimasto senza immunità parlamentare, Craxi fuggì ad Hammamet, in Tunisia, nel 1994. Nella foto sotto, invece, Giorgio Napolitano Dlm/LaPresse Memorie/1 Extraterrestri e bugie Napolitano e i fondi Pci IL CAPITOLO DEL LIBRO DI RICORDI IN CUI L’EX LEADER PSI COLLOCA L’EX PRESIDENTE: “PARLI DI FINANZIAMENTO ILLEGALE” (da “Io parlo e continuerò a parlare” di B. Craxi - Mondadori) “Senza mettere in questione l’esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”: lo scrive l’undicesimo presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, nella lettera inviata il 18 gennaio 2010 alla famiglia Craxi in occasione del decennale della scomparsa dell’ex segretario del Psi. Ed è proprio a Napolitano, il quale figura nella cartella litografica dedicata a “Bugiardi ed extraterrestri”, che Craxi si rivolge in questo scritto, auspicando che sul tema del finanziamento della politica egli fornisca il suo contributo per una ricostruzione “chiara e onesta” della storia recente. i fronte a una Commissione di D inchiesta parlamentare sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e della politica, Giorgio Napolitano sarebbe un testimonio di primo piano e un collaboratore utilissimo di verità e di giustizia. Naturalmente questa presupporrebbe da parte sua una piena e reale volontà di collaborazione, coerente con i suoi doveri parlamentari e con la sua posizione di persona informata dei fatti. Insomma l’on. Napolitano non dovrebbe dare prova di avere la memoria corta. INFATTI, chi non ce l’ha ricorda bene che l’on. Napolitano è stato per anni il responsabile delle relazioni internazionali del Pci. In questa veste “non poteva non sapere” e non poteva non avere un ruolo nel sistema di relazioni politiche tra il Pci, il potere sovietico e i regimi comunisti dell’Est, cui era connesso un sistema articolato di finanziamenti illegali di cui i comunisti italiani erano i primi, tra i partiti comunisti e non del DA CHE PULPITO Ha sempre negato di sapere come funzionasse la macchina del partito. Come se fosse vissuto sulla luna DOTTOR SOTTILE Amato, a lungo braccio destro di Craxi LaPresse a ringhiare contro Craxi, e cioè il gruppo Scalfari-De Benedetti. Finita la Presidenza di Craxi, tornò al partito in posizione di rilievo. Anzi meglio, Craxi venne via via assorbito per anni dagli incarichi internazionali che gli venivano conferiti, e Amato, vicesegretario unico, diveniva in un certo senso il factotum numero uno anche per il curriculum che lo accompagnava (...). Figuriamoci se come vicesegretario unico, per lunghi pe- riodi maggiore responsabile politico della struttura partitica, non era al corrente della rava e della fava delle spese e delle entrate del partito. Si fosse trattato solo della fava, sarebbe stato già moltissimo. A più riprese egli ha invece detto, scritto e fatto capire che non ne sapeva perfettamente nulla, mentendo spudoratamente. Viveva sulle nuvole, anzi sulla luna. Del resto, in materia di spese e di entrate ha anch’egli una sua storia personale su cui si e mantenuto sempre il massimo riserbo. (...). II 15 marzo 1993, parlando agli studenti della London School of Economics, Amato dà l’impressione di voler archiviare un’intera stagione: “Non credo che Craxi abbia più un futuro politico. L’Italia vuole una nuova classe dirigente (...)”. Riferendosi poi a Tangentopoli (...) spiega che “poca gente si rendeva conto, aveva conoscenza dei meccanismi occulti di finanziamento e delle loro dimensioni”. Passano quattro anni, e Craxi mostra di non aver dimenticato quelle parole da “moralizzatore”. iuliano Amato, in realtà, ha fatto ben di peggio di G quanto non stia facendo ora. Prima ha infatti figurato nella lista dei “becchini” che hanno contribuito (...) all’affossamento del Partito socialista, poi si e messo in bella mostra come extraterrestre, e cioè come uomo nuovo che si affaccia alla vita politica dopo aver trascorso più di un ventennio sulla luna, e dopo ancora si e impancato a sputar sentenze morali. (...) Certo è che Amato tutto poteva permettersi di fare salvo che levarsi a denunciare le cattive mondo, ad avvantaggiarsene. Era un sistema complesso cui partecipavano direttamente il partito attraverso i suoi responsabili e i suoi fiduciari, oppure attraverso società di varia composizione e natura, strutture e società del movimento cooperativo e una lunga lista di imprese e gruppi industriali italiani interessati ad appalti, forniture e quant’altro. L'ON. NAPOLITANO, per le responsa- bilità politiche che ha rivestito, per le esperienze e le conoscenze che ha accumulato, e d’altro canto certamente non solo lui, non potrebbe senza dubbio non rendere su tutta la materia una preziosa testimonianza. Ricostruire in modo completo, chiaro e onesto, i termini reali in cui si svolse la lotta politica in Italia e la lotta per il potere, è diventato sempre più necessario, specie di fronte a tante mistificazioni, a tante censure e anche a tante ingiustizie. L’on. Napolitano, che ha il privilegio di rappresentare il “nuovo”, dopo aver avuto un ruolo non secondario in una parte importante del “vecchio”, sentirà certamente l’obbligo politico e morale di dare il buon esempio. E d’altro canto non credo possa sostenere e pretendere, come fanno altri, che la storia della democrazia italiana sia iniziata nell’89. abitudini, finanziamento illegale in testa, contratte dal Psi. Lo dico perché con queste anch’egli è stato a contatto quotidiano (...). Negli anni in cui io mi occupai delle Nazioni Unite (...) la responsabilità politica del partito e delle sue attività ricadde per buona parte sulle sue spalle, in ragione dell’incarico che rivestiva, che era appunto allora quello di vicesegretario vicario. (...) I suoi rapporti con il partito e il governo erano diretti (...). Resta inoltre da considerare se per sostenere la candidatura di Amato e per far fronte alle spese delle sue campagne elettorali, che furono più di una, furono organizzate, come pare, anche raccolte di fondi, che non rientravano nel controllo e nella responsabilità della Amministrazione centrale del partito. Non è mai capitato a mia memoria che Giuliano Amato in incontri personali e confidenziali con il segretario del partito avesse esternato le sue perplessità e il suo disappunto per il sistema generale su cui si imperniava il finanziamento del partito, parte del quale, come tutti sapevano, era costituito da forme che si concretavano in aperta e risaputa violazione della legge sul finanziamento dei partiti (...). Amato (...) tutto può fare salvo che erigersi a giudice delle presunte malefatte del Psi, di cui egli, al pari (...) di altri dirigenti, porta semmai per intero la sua parte di responsabilità. Altri numerosi dirigenti sono stati letteralmente criminalizzati. Il sottoscritto, per le sue responsabilità di Segretario, trattato alla stregua di un gangster, e condannato all’ergastolo. Guarda caso invece a Amato, vicesegretario vicario del Psi, forte delle sue amicizie e alto locate protezioni, non è toccato nulla di nulla. 10 L’EQUIVOCO “VERDE” Obbligatorio per legge dal 2008, il sistema che doveva bloccare le Pm10 in realtà rilascia in atmosfera il pericoloso biossido di azoto e particolato ultrafine che finisce nei polmoni 20 MILIARDI GIRO D’AFFARI Entrati in vigore i decreti, nel 2008, era di 20 miliardi di euro il mercato dei filtri Smog, i filtri per le auto diesel sotto inchiesta A TORINO IL PM GUARINIELLO INDAGA SULLA SICUREZZA DOPO L’INCENDIO DI UN MEZZO; A TERNI IL FASCICOLO (ORA PASSATO A ROMA) RIGUARDA LE OMOLOGAZIONI FACILI CONCESSE A PIRELLI, FIAT IVECO E ALTRI DAL MINISTERO DEI TRASPORTI : PRESTO LA DECISIONE SUL SEQUESTRO DEI DISPOSITIVI di Marco Palombi e Carlo Tecce Il comportamento dei cinque dirigenti avrebbe procurato - scrive il magistrato nella trasmissione degli atti a Roma - “un ingiusto utto comincia con un mez- profitto” a Fiat, Pirelli Feelpur e Iveco. Il conzo che va a fuoco nel To- sulente del magistrato ha scoperto che i filtri rinese. Parte da lì la nuova omologati non hanno realmente superato gli inchiesta sui filtri antipar- esami richiesti dai decreti, ma le società ticolato (Fap) per i diesel come la Pirelli, già monopolista del mercato che riaccende la luce su uno hanno ottenuto lo stesso il nullaosta minidei prodotti più controversi del (ricco) mer- steriale. Nel documento già citato, Massini cato dell’auto. Il procuratore di Torino, Raf- illustra poi le violazioni: “Nell’esercizio delle faele Guariniello, ha aperto un fascicolo sui loro funzioni, i dipendenti del ministero dei Fap, sentito qualche funzionario del mini- Trasporti hanno omologato filtri antipartistero dei Trasporti e iscritto alcune persone colato in assenza delle prescritte prove di dunel registro degli indagati: nel mirino fun- rabilità, in presenza di motori capostipite sezionamento e utilità dei dispositivi che do- lezionati in violazione del dm 39/2008 e Di vrebbero rendere le auto meno inquinanti. I Santo, Di Pietroantonio, Cupini e Vitelli si reati ipotizzati, al momento, riguardano la sono sostituiti illegittimamente ai Cpa per sicurezza e forse l’ambiente. Agli atti ci sono, l’esecuzione delle prove tecniche, ritenendo infatti, anche due perizie presentate da As- irrilevanti i superamenti dei valori limite”. Il soconsum, un’associazione di consumatori: magistrato di Terni, infine, ha suggerito ai “Dai nostri studi si evince addirittura che colleghi romani di “valutare l’opportunità di con l’installazione del Fap i danni per la sa- procedere a sequestro dei filtri medesimi, per lute sono potenzialmente persino maggio- i quali non appare sussistere alcuna prova ri”, dice il presidente Gioassunta nel rispetto delle norvanni Maria Cicero. Sui dime (…) nonché di valutare fetti di questi filtri esiste in conseguenze negative in maIL CASO DELLA DUKIC teria ambientale derivanti rete una sterminata aneddotica e non manca letteratura dalla loro utilizzazione”. La società veneta ha scientifica sulla loro sostanDa quasi un anno la Procura ziale inutilità (se non dandi Roma possiede il fascicolo, inventato un prodotto nosità) ai fini del contenima non risulta abbia pro“funzionante”secondo mento delle “polveri sottili”. mosso sequestri. Nei prossiEppure sono obbligatori per mi giorni è però attesa la deil Cpa di Bari - per il quale cisione del pm Orano: o chielegge: senza il filtro, l’auto non è omologata e non può derà l’archiviazione o il rinda anni non le viene circolare. Di più: un decreto vio a giudizio. concessa l’omologazione ministeriale del 2008 li ha in buona sostanza indicati co2. Le omologazioni me la tecnologia ufficiale false, il ruolo di Vert dello Stato italiano in materia di riduzione delle emissioni dei diesel. Lo testimonia il Le osservazioni del sostituto Massini si bacaso del dispositivo 3D della Dukic Day sano su varie fonti di prova, ma il pezzo forte Dream, una società veneta che ha inventato è la perizia tecnica, che finisce per mettere in un sistema che lavora sulla combustione an- dubbio sette anni di politiche per contrastare ziché sull’ingabbiamento delle polveri (se ne l’inquinamento, sette anni di spese assai peoccupò Report già nel 2010): il ministero non santi per i cittadini, le aziende e gli enti locali lo ha mai omologato nonostante il suo Cpa che hanno dovuto impiantare i filtri su auto, (Centro prove auto) di Bari abbia messo ne- camion e autobus. Nelle omologazioni - soro su bianco che il sistema funziona ed è stiene la perizia - ci sono dati che non torquindi “conforme”. Cavilli, liti giudiziarie e nano, i motori-campione non sono scelti sequerele si susseguono da allora, il lontano condo le regole e mancano sempre le prove di 2008, senza esito: nel frattempo il mercato durabilità. Vale a dire che manca la prova di dei Fap ha preso piede, anche grazie a ge- cosa succede al filtro dopo 50mila chilometri. nerosi contributi delle Regioni per centinaia In realtà in molti casi – e in almeno uno anche di milioni di euro (l’ultimo è quello della tra le omologazioni sequestrate e finite nella Lombardia, che ha regalato ai produttori al- perizia: quella per un dispositivo Pirelli – si tri 10 milioni, dopo le decine degli anni scor- citano prove di durabilità effettuate presso i si) e all’obbligatorietà dell’installazione sui laboratori dell’Università di Berna diretti dal professor Jan Czerwinski secondo un pronuovi veicoli. tocollo ideato dal Vert, che sta per Verification of emission reduction technologies, un istituto 1. L’inchiesta di Terni, ora a Piccolo problema: il Vert risulta Roma: ministero sotto accusa svizzero. fondato dai maggiori produttori europei di Torino, ma prima ancora Roma. Anche la filtri antiparticolato, tra cui Pirelli (Bruno procura della capitale indaga sul funziona- Tronchetti Provera ne è presidente), mentre mento dei filtri antiparticolato e su alcuni il dottor Czerwinski siede nel comitato scienpresunti illegittimi interventi dei dirigenti del tifico dell’associazione. La cosa non è illegale ministero dei Trasporti. Il 29 aprile 2014 il - e d’altra parte né Pirelli, né Fiat o Iveco pm Giorgio Orano ha ricevuto da Elisabetta risultano indagate - ma di sicuro lascia adito Massini, sostituto procuratore a Terni, gli atti a un certo sospetto di conflitto d’interessi. La di un procedimento a carico di Alessandro torta, d’altra parte, era ed è davvero ghiotta: De Grazia, Antonio Di Pietroantonio, Mau- considerando i veicoli coinvolti nel 2008 tra rizio Vitelli, Paolo Cupini e Vito Di Santo. trasporto pubblico, commerciale o civile, si Massini ritiene che i cinque dirigenti dei Tra- arriva a oltre 11 milioni di veicoli. Ai prezzi di sporti, in concorso fra loro, abbiano com- vendita era un giro d’affari potenziale da 20 messo i reati di abuso d’ufficio e falso ideo- miliardi di euro, cui vanno aggiunte da allora logico. Per sostenere l’accusa, allega una con- le nuove automobili, che escono dalle fabsulenza tecnica e la denuncia di Anna Dukic. briche già dotate dei filtri: l’anno scorso, per T capirci, in Italia sono state immatricolate 1.359.616 vetture, oltre la metà sono diesel. 3. Cos’è, come funziona e quanto inquina il Fap Il Fap è una gabbia, con struttura a nido d’ape, che viene installata a valle del motore per bloccare le Pm10, le polveri sottili: col filtro l’auto dovrebbe diventare più “verde” (da Euro 2, poniamo, ad Euro 4 o 5). C’è un problema, però: il filtro tende a intasarsi e quindi va pulito abbastanza spesso. Ci pensa lo stesso Fap a farlo attraverso la cosiddetta “rigenerazione”: il sistema immette liquido infiammabile nella gabbia e brucia le polveri a temperature che vanno dai 500 ai 700 gradi centigradi, poi espelle i residui. Questo trattamento fa sì che le Pm10 vengano sminuzzate riducendosi di diametro divenendo Pm2,5 (particolato fine) o anche meno (ultrafine): queste ultime però, quando le respiriamo per strada, non vengono bloccate nel naso e nella laringe come le Pm10, ma finiscono direttamente nei polmoni e sono molto più dannose per la salute. La normativa europea, infatti, fa riferimento al numero di emissioni di particolato, non solo alla massa, come fanno invece i decreti ministeriali italiani, il cui nemico sembra essere solo il Pm10. Il funzionamento del Fap – aumento della contropressione, rigenerazione da effettuare solo ad alte velocità – finisce per costringere l’automobilista a consumare più carburante con relativo danno economico e ambientale. C’è anche di peggio: per “rigenerarsi” i filtri immettono in atmosfera anche altri gas serra, il più pericoloso dei quali è il biossido di azoto. L’Agenzia per la sicurezza di salute e ambiente francese ha consegnato al governo un rapporto in cui sostiene che sono le auto con Fap ad aver causato l’innalzamento del livello di biossido d’azoto in Francia: è anche per questo che il premier Manuel Valls – in un paese in cui i due terzi e più del parco auto è diesel – ha recentemente lanciato una campagna per abbandonare questo tipo di auto entro il 2020. I miglioramenti tecnologici vantati dai produttori, insomma, sembra non abbiano convinto Parigi. 4. Tutta comincia nel 2008 con Pirelli monopolista Per comprendere l’intricata vicenda occorre tornare al 2008, quando il ministero dei Trasporti, di concerto con Ambiente e Salute, emana due decreti per disciplinare l’omologazione di dispositivi da montare sui veicoli diesel per ridurre l’emissione di polveri sottili. È un tentativo per abbattere il vincolo dei blocchi del traffico e delle domeniche ecologiche consentendo ai veicoli di usufruire di un passaggio sul libretto: una vecchia automobile Euro 2 può trasformarsi in Euro 5 con la semplice installazione del filtro, il rimedio prescelto dai tecnici statali pur non essendo affatto l’unico disponibile. Il testo individua una serie di priorità che compongono l’esergo dei provvedimenti. Il legislatore si concentra soltanto sulla diffusione all’esterno di polveri sottili e va a rianimare - se non a 12 MILIONI VEICOLI DA EURO5 IN GIÙ Con la norma del 2008 per 12 milioni di veicoli è stato obbligatorio il filtro 700.000 VETTURE NEL 2014 il Fatto Quotidiano A GASOLIO Nel 2014 sono stati circa 700 mila i veicoli diesel venduti col filtro già incluso 40 DOMENICA 29 MARZO 2015 MILIONI DI AIUTI 11 REGIONE PAGA Tra il 2008 il 2011 a Pirelli circa 40 milioni di euro dalla Lombardia NEL 2015 BOOM DELLE PM10 Ecco perché le città italiane continuano a soffocare per le polveri di Virginia Della Sala entre leggete questo M giornale, in alcune città d’Italia il traffico è bloccato. A Scene di ordinario smog da traffico cittadino. A destra: un filtro antiparticolato Ansa creare - il mercato dei filtri è necessario per il dispositivo NEL MIRINO DEI PM antiparticolato, settore Dukic e ribadisce l’efficacia all’epoca già coperto da Piprodotto. Poi ancora scriI funzionari pubblici sono del relli EcoTechnology, il cui ve il ministero, stavolta firma prodotto è certificato da il dirigente Alessandro De accusati di aver violato Ispra, Legambiente e Regione Grazia, e di nuovo controdele norme per procurare Lombardia. Fino al 2010, Piduce il Cpa. Il 25 marzo 2009, relli soddisfa il 95 per cento sempre De Grazia, interromad alcuni produttori dell’offerta, il resto va ai tepe la tenzone con una raccodeschi di Hjs. Il decreto è “ingiusto profitto” anche mandata di cinque righe: “Si scritto come se la tecnologia prende atto della posizione ostacolandone altri Fap fosse l’unica applicabile e assunta da codesto ufficio”, i - oltre a favorire in maniera destinatari sono il Cpa di Bari volontaria o incidentale certi e la Direzione Generale teroperatori (alcuni, come Pirelli EcoTechno- ritoriale del Sud. Nel frattempo, e lo scopriamo logy, comunque non immuni da perdite leggendo la dettagliata perizia commissionata d’esercizio), finisce per tradire l’intenzione dal pm Massini, a Pirelli & C. viene concessa che l’ha ispirato: eliminare l’inquinamento l’omologazione e l’opportunità di sfruttare il nel suo insieme e non aggredire, con risultati mercato in esclusiva. Il 7 febbraio 2013, Masche poi vedremo essere ambigui, la sola emis- sini affida a un ingegnere di Padova lo studio sui filtri, l’incarico viene completato in 90 sione di Pm10. giorni. Il perito analizza i decreti ministeriali e 5. Lo strano caso degli esclusi: numerosi dispositivi venduti sul mercato di Fiat, Iveco e Pirelli e riporta le anomalie rila società veneta penalizzata scontrate: le emissioni inquinanti di agenti Appena le norme ministeriali vengono pub- chimici come l’ossido di azoto e il platino non blicate sulla Gazzetta Ufficiale e l’adozione di un sono ridotte neanche del 20 per cento, il limite dispositivo per contrastare il particolato di- minimo previsto per l’omologazione. E arriventa un obbligo di legge, l’azienda Dukic Day viamo alla contestata prova di durabilità, DuDream (Vicenza) si rivolge al Cpa di Bari, un kic non può eseguirla, ma il perito rivela che organo del ministero, e verifica lo strumento neppure Fiat, Iveco e Pirelli si sono sottoposti ideato, il dispositivo “Tre D”: a differenza dei al test nonostante il filtro subisca un progresfiltri che agiscono all’uscita dei fumi tossici, sivo deterioramento. Sta di fatto che “Tre D” questo interviene sulla combustione dimi- non è stato omologato, anche se è sul mercato nuendo alla fonte la produzione dell’inqui- e viene venduto a privati e istituzioni con pienamento. E qui c’è l’inghippo. Per come è svi- na soddisfazione della clientela. luppata la legge, Dukic non può effettuare il Il magistrato di Roma dovrà ora chiarire se il test di durabilità: il dispositivo non patisce ministero ha agevolato alcune società a scal’usura come accade per il filtro e non raccoglie pito di Dukic e, soprattutto, se i Fap trasforparticolato, semplicemente fa in modo che se mano le macchine in ciminiere inquinanti, ne produca meno. Il Cpa di Bari, però, capisce ancora più dannose a prescindere dall’idenlo spirito della cosa e infatti comunica al mi- tificazione in Euro 4 o Euro 5 che viene imnistero che la Dukic può ricevere l’omologa- pressa sul libretto di circolazione. A Torino, zione e competere sul libero mercato: la prova invece, Guariniello deve verificare se i recenti sui fumi è riuscita, il dispositivo è “idoneo” e e frequenti incendi di veicoli sono dovuti “conforme”. Passa l’intera estate e non succede all’innalzamento della temperatura all’internulla. Poi inizia un carteggio tra il ministero no del motore (si superano i 500 gradi cendei Trasporti e il Cpa. Il 20 ottobre 2008 il tigradi) per consentire la pulizia automatica direttore generale Vitelli spiega perché la Du- dei filtri. Tra l’altro, gli stessi filtri, collegati a kic non può ottenere il certificato: “Non risulta un sistema elettrico, potrebbero provocare lo essere stata effettuata la verifica di durabilità spegnimento del motore anche se il veicolo è del sistema ai sensi del decreto”. Il Cpa ri- in movimento. sponde soltanto per ripetere che quel test non Ha collaborato Andrea Giambartolomei Perugia, a Terni, a Bussolengo si cerca di ridurre l’inquinamento chiudendo le strade e regalando biglietti per il trasporto pubblico. Peccato che, a quanto pare, si tratti di semplici e rari palliativi perché la nostra aria è comunque irrespirabile e a dirlo sono diversi rapporti. Da quello dell’Agenzia Europea dell’ambiente a quello di Legambiente, passando per l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, l’Italia registra in Europa il più alto numero di morti premature per inquinamento da ozono: 3.400 vittime all’anno. Ed è al secondo posto per le polveri sottili, con oltre 64 mila morti: a precederla solo la Germania, “giustificata” dall’industria pesante, dalle acciaierie e le industrie chimiche. L’ITALIA vive una delle situa- zioni più critiche a livello europeo soprattutto per quanto riguarda il Pm10, il Pm2,5 e l’ozono. I filtri antiparticolato applicati alle automobili, insomma, non hanno cambiato la situazione. Nonostante il miglioramento dei motori e le direttive europee per ridurre l’emissione di agenti inquinanti, non ci sono stati avanzamenti per quanto riguarda la qualità dell’aria. Soprattutto per le emissioni su strada. L’Italia è il paese con il maggior numero di veicoli in circolazione in Europa: 792,5 ogni 1000 abitanti. Partendo da questo dato, in circolazione nel nostro Paese ci sarebbero circa 40 milioni di autovetture. Fine, ultrafine, nanoparticelle, polveri sottili: il particolato secondario prodotto dai motori penetra nei polmoni, si installa nei tessuti ed è quasi la metà di quello presente nell’aria, soprattutto in alcune aree del Paese, come la pianura padana. Il trasporto stradale è la fonte principale di ossidi di azoto, con il 48 per cento del totale emesso: a quanto pare, non è stato decisamente abbattuto dall’evoluzione dei motori Euro. A dirlo è, anche in questo caso, il documento dell’Agenzia europea per l’ambiente. Guardando i dati, ci si accorge anzi che, dal 2010 al 2012, i valori di polveri sottili sono aumentati: per il Pm10 si è passati da 50,5 microgrammi al metro cubo nel 2010, al 62,5 nel 2011 poi tornati a 50,7 del 2012. E, come sottolinea il rapporto di Legambiente del 2015, i valori di abbattimento indicati nei motori Euro “riguardano il fun- zionamento del motore a certi standard di temperatura e di regime, che difficilmente si raggiungono muovendosi nel traffico cittadino e quindi spesso non rispondono alle emissioni reali dei veicoli che possono essere superiori”. LA SOLUZIONE è un radicale cambiamento. “Anche perché l’innovazione tecnologica ha esaurito il suo potenziale spiega Alberto Fiorillo, responsabile Aree Urbane di Legambiente - Ormai siamo a almeno undici nel 2013 hanno registrato una media annuale superiore al valore limite di 26 microgrammi al metro cubo. Brescia, Milano e Monza sono ai primi posti con un valore pari a 31. Seguono Torino, Cremona e Mantova. Il numero delle città a rischio, però, aumenta se si cambia prospettiva. Il valore previsto dalla normativa europea, infatti, è superiore a quello previsto dalle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità che considera il Pm2,5 il particolato atmosferico più rischioso per la salute dell’uomo e fissa a 10 microgrammi al metro cubo la media annuale da non superare. Se si tenesse conto di questo parametro, tra le città analizzate si salverebbero solo Genova (9) e Sassari (8). “E i dati - si legge nel resoconto - confermano anche i vari rapporti stilati dalla Comunità Europea e ripresi da Ispra: tutti I CONTI IN BILICO Chi abita in città respira polveri sottili La percentuale dei cittadini esposti a livelli di particolato superiori a quelli indicati dall’Oms 96% Morti premature per inquinamento da ozono Il dato è dell’Agenzia europea per l’Ambiente, indica le vittime registrate nel corso del 2011 3.400 Morti premature per le polveri sottili Per l’emissione di Pm2,5, l’Italia si colloca al secondo posto in Europa, dopo la Germania 36.000 Investimenti nel trasporto pubblico Rispetto agli altri Paesi d’Europa, l’Italia investe il 35% in meno per i mezzi pubblici crescita zero. Anche le più avanzate tecnologie sui carburanti tradizionali hanno svolto il massimo che potevano. Non ci sono più margini di miglioramento se non la riduzione del numero di veicoli in circolazione”. Per farlo si dovrebbe potenziare il trasporto pubblico. “E invece – sostiene Angelo Bonelli, coportavoce della Federazione dei Verdi - l’Italia destina il 35 per cento in meno di investimenti al trasporto pubblico rispetto al resto d'Europa. Per non dire che ignora completamente lo sviluppo di forme alternative di trasporto e di motori, dalle auto elettriche a quelle a idrogeno. Servirebbe una rivoluzione generale della mobilità, partendo dall’efficienza del trasporto pubblico”. Tornando ai numeri, secondo il rapporto europeo quasi un terzo della popolazione italiana che abita in città è stata esposta, nel 2012, alle polveri sottili. E dei 75 capoluoghi monitorati da Legambiente, -35% concordano nel dire che tra il 2009 e il 2011, fino al 96 per cento degli abitanti delle città è stato esposto a concentrazioni di particolato fine superiori ai livelli delle linee guida dell’Oms”. Insomma, tutti concordano sul fatto che le città italiane siano malate. E PER IL 2015? Nessun mi- glioramento. L’anno si è aperto con alti livelli di Pm 10 nell’aria di molte città italiane. Trentadue capoluoghi hanno superato la soglia massima giornaliera consentita una volta ogni tre giorni. Quattordici, un giorno ogni due. Tra questi, i principali centri urbani dell’area padana e alcune grandi città del centro sud come Roma (12 giorni di superamento) e Napoli (11 giorni). A guidare la classifica del 2015 ci sono, per il momento, Frosinone e Parma con 20 giorni di superamento del limite. Per rientrare nei ranghi non basteranno filtri né sporadici blocchi del traffico. 12 CRONACA DOMENICA 29 MARZO 2015 Sdi pari al congresso Md con Orlando: “Uno squilibrato” SEMBRA GIÀ RISOLTO il giallo degli spari davanti al Teatro Cilea di Reggio Calabria, mentre all’interno era in corso il congresso di Magistratura democratica al quale partecipa il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Un uomo è arrivato a bordo di un’auto Suzuki e ha sparato in aria. Fausto Bortolotti, questa l’identità dell’uomo che ha qualche precedente e vive a Ventimiglia, ha esploso due colpi di pistola calibro 7,65 ed è stato immediatamente bloccato dalle forze dell’ordine in servizio davanti al teatro. Tutto sembra indicare che si sia trattato del gesto di uno squilibrato, il Fatto Quotidiano mosso a quanto pare da risentimento verso la magistratura e deciso a prendersela con il Guardasigilli Orlando. I lavori del congresso non sono stati gravemente turbati anche perché il problema è stato subito affrontato e risolto. Lo stesso ministro, tra gli altri, ha ringraziato le forze dell’ordine. Perugia, il valzer giudiziario lascia in cella solo Rudy L’IVORIANO UNICO KILLER DI MEREDITH DOPO L’ASSOLUZIONE DI AMANDA E RAFFAELE di Enrico Fierro I l colpevole è uno solo. Certo perché reo confesso, Rudy Hermann Guede, 29 anni, il cui destino è contare i giorni in una cella del carcere di Viterbo per arrivare alla fine della condanna, 16 anni. Lo definiscono un detenuto modello, assiduo frequentatore della biblioteca del carcere dove ha studiato e si è diplomato. Il resto, dopo la sentenza della Cassazione di venerdì scorso, è materia per i giallisti della domenica e per i talk-show che coltivano il genere. mento con rinvio della sentenza da parte della Cassazione, assolti definitivamente venerdì scorso. Cinque gradi di giudizio per una verità che lascia l’amaro in bocca a tanti. Cosa farà adesso Rudy, quali saranno le mosse dei suoi legali? Ne abbiamo parlato con l’avvocato Nicodemo Gentile. “Nessun commento”, è la prima risposta. “Aspettiamo di leggere L’UNICO DATO incontestabile è che la sera del 2 novembre 2007 una ragazza di 22 anni, studentessa inglese a Perugia, viene trovata in una pozza di sangue: violentata e uccisa. Rudy, giovane ivoriano all’epoca 21enne è tra i sospettati, viene fermato dalla polizia in Germania a bordo del treno Coblenza-Magonza il 20 novembre. Subito si dichiara innocente, ma il 16 settembre 2008 chiede il rito abbreviato, ammette le sue colpe e viene condannato a 30 anni. Pena successivamente ridotta. Amanda Knox e Raffaele Sollecito vengono condannati una prima volta nel 2009, assolti due anni dopo, condannati nuovamente nel 2014, dopo l’annulla- Amanda Knox Reuters ANELLO DEBOLE Condannato a 30 anni poi ridotti a 16, si è diplomato in carcere. Il suo legale: “Leggeremo le motivazioni e poi vedremo cosa fare” le motivazioni dei giudici della Cassazione. Rispettiamo la sentenza e le persone coinvolte”. Poi poche altre parole che lasciano presagire future mosse della difesa. “Per il momento non ci poniamo il problema di cosa fare, vedremo nelle prossime settimane”. Quella sera Rudy non era solo, chi c’era in quella casa, chi erano gli altri soggetti che hanno “concorso” all’omicidio di Meredith? Risposta secca dell’avvocato: “Questo è un problema dei giudici”. Rudy Guede, una infanzia problematica con una madre che lo abbandona troppo presto e un padre severissimo, è l’anello più debole della catena di personaggi che si sono avvicendati nel giallo di Perugia. Lo accusano e scappa, ma quando la polizia lo blocca si fa prendere e si dice subito innocente. Sceglie il rito abbreviato, ammette le sue colpe ma non si dichiara mai un assassino. Lui racconta a un certo punto che non voleva la morte della ragazza. Le indagini accertano che prima di essere uccisa, Meredith è stata violentata, sul cuscino accanto al suo tracce della mano insanguinata del giovane ivoriano. La povera ragazza fu “vittima di una forza brutale prevaricante”, si legge nella sentenza che conferma i 16 anni per Rudy. Storia chiusa, quindi, in un processo che ha A LONDRA La madre di Mez: “Scioccata” I media inglesi contro l’Italia di Caterina Soffici Londra a sentenza che ha assolto L Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio della possa dire di una sentenza che risulta incomprensibile in un paese come il Regno Unito. LA STAMPA britannica critica il studentessa inglese Meredith Kercher ha lasciato la Gran Bretagna sotto choc. La madre di Meredith, Aline Kercher, riassume lo stupore di un intero popolo, abituato ad altre procedure e a un’altra giustizia. “Sono scioccata. E abbastanza sorpresa. Sono stati condannati per due volte, è un po’ strano che le cose possano cambiare ora”. “Siamo allibiti” sbotta invece la sorella, Stephanie Kercher. “Un po’ strano” è il minimo che si sistema giudiziario italiano senza vie di mezzo. L’Independent è il più diretto e parla di “atroce errore giudiziario”. Mentre il Guardian dice che i familiari della vittima avevano riposto fiducia nel sistema giudiziario italiano e “questa non era certo la conclusione che la famiglia Kercher voleva e si aspettava”. La stoccata del Guardian è diretta: “Non è chiaro se questa fiducia nella giustizia italiana sia rimasta intatta dopo la sentenza della Cassazione”. In un commento Meredith Kercher Ansa ALL’ATTACCO Pure la compassata Bbc si interroga sul nostro sistema giudiziario: in Gran Bretagna l’altalena dei verdetti è impossibile di Peter Popham l’Independent si chiede “come il sistema giudiziario di un Paese così bello e illuminato” possa compiere così tanti errori. Twitter è stato sommerso dai commenti negativi e lo stupore è tale che la Bbc, compassata e sempre imparziale, ritiene di riassumere per punti le fasi del lungo e confuso per spiegare l’inspiegabile. “Perché la Knox e Sollecito sono stati assolti? Non sappiamo ancora i motivi della decisione” scrive il sito della Bbc. Perché le motivazioni della Corte di Cassazione arriveranno tra 90 giorni, quindi a fine giugno. Ma la principale domanda che assilla gli inglesi è: “Come è possibile essere processati due volte per lo stesso reato?” Così la Bbc (ma ci provano anche i giornali), devono spiegare che “la sentenza della Corte di Cassazione significa che il secondo giudizio non era tecnicamente un nuovo processo, ma la continuazione di quello originale”. Concetti difficili da spiegare in un paese dove una sentenza è una sentenza e dove non esiste, dopo il giudizio, la possibilità di entrare di nuovo nel merito. avuto più vite, nelle aule di giustizia e sui media, italiani ma anche internazionali. Britannici e americani, soprattutto. QUANDO il 5 dicembre 2009 Amanda Knox viene condannata a 26 anni, negli Stati Uniti si scatena l’inferno. Giornali e tv attaccano il sistema giudiziario italiano, il Belpaese è rappresentato come la Turchia di Midnight Express (in Italia tradotto in Fuga di mezzanotte) , il drammatico film di Alan Parker che racconta di un giovane americano incarcerato per possesso di hashish. Il miliardario Donald Trump arriva a parlare di boicottaggio dei prodotti italiani, e una deputata democratica, Maria Cantwell, definisce la sentenza “oltraggiosa”. Troppo per non indurre il Dipartimento di Stato e il ministro della Giustizia, all’epoca Hillary Clinton, a prendere po- Rudy Hermann Guede oggi ha 29 anni ed è in carcere da otto Ansa sizione. Cosa che la signora fece intervenendo nell’importante talk-show domenicale This Week, dalla rete Abc, dicendosi disponibile ad “incontrare chiunque abbia timori su come è stato gestito il processo”. Da allora gli americani, ambasciata, giornali e autorità politiche, hanno tenuto sempre gli occhi puntati sul processo, fino alla sentenza di venerdì. Ora anche al Dipartimento di Stato si festeggia, l’incubo per Amanda e Raffaele è finito. Per Rudy no. Sconterà la sua pena da detenuto modello in compagnia dei fantasmi: le altre persone presenti la sera del massacro, quando una giovane ragazza inglese venne uccisa. Di quei fantasmi la giustizia italiana non è riuscita neppure a disegnare il volto. CULTURA il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 MARZO 2015 13 UNO SGUARDO D’ARTISTA Torna domani sera, alle 21:15, su Rai5 l’appuntamento con “L’arte secondo Dario Fo”. La puntata è “Discorsi su Leonardo e il Cenacolo”. Eccone un’anticipazione. di Dario Fo L Le mitragliatrici e la crisi pacifista di Leonardo da Vinci INVENTORE DI MACCHINE BELLICHE, POI IL DUBBIO: “SGOMENTO A TOGLIERE LA VITA A UNA MERAVIGLIA COME IL CORPO UMANO” eonardo, è risaputo, aveva grande interesse per lo studio sul corpo umano, e si giovava dell’amicizia del medico Paolo dal Pozzo Toscanelli, grazie al quale ebbe modo di approfondire l’anatomia assistendo alla dissezione dei cadaveri reperiti negli ospitali di Milano. Quel tipo di ricerca era severamente punita dalle leggi di quel tempo, e Leonardo, scoperto a compiere ricerche su un cadavere, fu arrestato e menato alle prigioni. Di qui fu poi tolto grazie all’intervento immediato del duca Ludovico il Moro in persona. “Non solo movimento ma anche spirito” Il progetto (fallito) di far scorrere l’Arno in due canali Nel codice leonardesco di Madrid troviamo in un suo scritto un passo dove egli fa considerazioni sul corpo umano; all’inizio del discorso Leonardo si rivolge al suo immaginario interlocutore dicendo: “Bada tu da che maravigliose strutture ed invenzioni egli corpo è composito che niuno cervello d’inge- niere o sublime meccanico potrebbe immaginare. E anco tu se l’indaghi e lo leggi ad ogni istante te dovrai stupefacere pe’ quanti magnefici aggetti movimentano esso corpo e producono flusso di sangue pe’ tutti li canali, anco li più minuti. Come allocchito te starai dinanzi al moto delle costole che sollevano i polmoni che, simile a uno pussente soffiatore, inspirano l’aria e la ripompano de fuora. Io te dimando come si puote distruggere, uccidendola, una sì fatta macchina, una sì stupefacente creazione della natura. Non truovi tu sia cotesta distruzione orribile e crudele? Ma se poi tu consideri che dentro esso corpo non alloggia solo movimento, vita e potenza che lo aziona, ma si ritruova lo spirito, la ragione che n’è l’anima stessa d’uno suo intelletto pruodigioso, allora se ne intendi il miracolo tu ne rimarrai per intero sgomento all’idea che si possa toglier vita e render morta una sì fatta creatura !”. Il “diritto alla vita” e la “gran ruina” Leonardo quindi considera l’uomo e il suo diritto alla vita come valore inalienabile, ma come possiamo poi all’istante ritrovarcelo a disegnare, concepire, fondere e fabbricare ordigni terribili forgiati per il massacro e l’an- Francesco Guiducci, magistrato di guerra della repubblica fiorentina, scrisse dal Campo contro Pisa alla Balia di Firenze, cioè a dire la magistratura che si occupava degli affari criminali, per riferire come, il giorno precedente, Leonardo Da Vinci, con Alessandro degli Albizi, avesse illustrato a lui e al governatore il “disegno” del progetto per deviare le acque dell’Arno. Perché deviare l’Arno? Per la ragione che quel fiume transita a poche miglia dal mare dopo aver attraversato la città di Pisa. È inutile sottolineare che quel corso d’acqua era essenziale per la vita della città e dei suoi abitanti, nonché un mezzo determinante nella navigazione nella bassa Toscana. La deviazione di quel fiume avrebbe causato grave disastro, a cominciare dalla sete dei cittadini di tutta la valle, nonché l’arresto immediato dei mulini, sia quelli impiegati per le farine che gli altri che muovono impianti per l’agire d’ogni meccanica. Si trattava di costruire una possente diga che bloccasse il flusso nella valle pisana e conducesse le acque del fiume a scendere in mare molte miglia più abbasso di quanto stesse in quel tempo. Soderini e Machiavelli riuscirono, il 20 agosto del 1504, a decretare l’inizio dei lavori “circha el voltare Arno alla torre ad Fagiano”, per costringere l’Arno a scorrere in due canali ben distinti, fino allo Stagno, verso il mare. Ma le difficoltà e gli impicci imprevisti furono sì numerosi da convincere i progettatori a dichiararsi impotenti. L’Arno sembrava rivoltarsi all’intero progetto, e Ludovico Muratori commentò: “Il fiume si rise di gli volea dar legge”. Ma gli interessi dello straordinario maestro non si arenavano nel progettare ordigni e macchine di guerra. Egli studiava il volo degli uccelli e ricostruì strutture di ali di cui possiamo osservare la copia straordinaria esposta al Museo della scienza e della tecnica di Milano. Sono modelli che mettono in condizione ognuno di scoprire quanto fosse probabile la riuscita dei progetti sul volo di Leonardo. Mi ricordo il commento surreale di un professore che ci accompagnava nella visita al museo davanti a quelle macchine. Egli esclamò: “Di sicuro non lui di persona, il maestro, riuscì a muovere quei macchinamenti, ma qualcuno dei giovani seguaci che lo aiutavano nei suoi folli tentativi di levarsi in volo”. nientamento? Troviamo qui, sul Codice Ambrosiano come in quello di Londra, progetti e varianti di bombarde multiple, cannoni di lunga gittata, un progetto di mitragliatrice con asse rotante a nove colpi per tornata e perfino disegni che illustrano un proiettile a grappolo, un ordigno che, una volta sparato, espelle un gran numero di bombe più minute che all’impatto col terreno o coi corpi degli uomini esplodono “procurando gran ruina”. Il “mostro” d’acqua per affondare i briganti Egli stesso, riosservando le sue invenzioni, più di una volta sembra assalito da una vera e propria crisi e si interroga perplesso se sia giusto renderle “conosciute ed operanti”. Come quando gli nasce l’idea di architettare “uno naviglio che muovesi come affondato sotto il livello dell’acque tale che, gittandosi sotto pancia contro i natanti, puote facilmente squarciare il fasciame d’ogni galera o brigantino e affondarli”. Leonardo in quell’occasione si fa cosciente di quale terribile arma stia progettando e decide di non GUERRA E PACE I disegni di una balestra e di un cannone. E poi l’Uomo vitruviano e l’autoritratto dell’artista. Nella foto sopra, la riproduzione di un progetto di carro armato renderla conosciuta “ché di un numero immenso di annegati sarebbe causa quello facile speronare di navigli d’ogni stazza e possanza”. Ed ecco che appena posto in luogo segreto quel suo progetto di sommergibile, macchina di distruzione e massacro, ritroviamo Leonardo in una fonderia a dirigere la colata d’un pezzo d’artiglieria che “esprime potenza di tre quarti superiore alle normali artiglierie”... incoerente stranezza d’artista? Il 24 luglio 1503, MERAVIGLIA DI GENIO Da che maravigliose strutture e invenzioni egli corpo è composito... Io te dimando come si puote distruggere una sì fatta macchina, una sì stupefacente creazione 14 MONDO DOMENICA 29 MARZO 2015 Pianeta terra il Fatto Quotidiano FRANCIA DIPARTIMENTALI, SARKÒ RIDE Secondo turno, oggi, delle elezioni dipartimentali. Nel centrodestra, l’Ump e il suo leader Nicolas Sarkozy puntano al successo del primo turno, scippando numerosi dipartimenti alla sinistra e opponendosi alla destra xenofoba di Marine Le Pen: sarebbe una vittoria personale di Sarkò. LaPresse TUNISIA STRAGE AL MUSEO, MARCIA CONTRO IL TERRORE Si attendono migliaia di partecipanti, oggi, e la presenza di leader stranieri alla marcia contro il terrorismo dopo l’attacco al Museo del Bardo (22 morti, di cui quattro italiani). Ci saranno anche il premier italiano Matteo Renzi e il capo di Stato francese, Hollande. Ansa Lubitz e i suoi fratelli: piloti fra alcol e medicine Siria, si rivede al Qaeda UN COMANDANTE RIVELA ALLO SPIEGEL: “ASSENZE PER STRESS IN AUMENTO”. IL PORTAVOCE DI LUFTHANSA: “NON CONOSCIAMO LE MALATTIE DEI DIPENDENTI” di Mattia Eccheli Düsseldorf D eterminante prima, irrilevante poi. È il test psico attitudinale per gli aspiranti piloti. Quello senza il quale solo meno di un terzo dei candidati arriverebbe in fondo. L'edizione online di Der Spiegel rivela che, archiviato quello, più del 90% supera l'addestramento. È un esame così importante da non venire mai più ripetuto. Eppure è proprio durante la formazione e nel corso della vita, lavorativa e non, che i piloti (e non solo loro, come qualsiasi lavoratore) accumulano stress e patologie. IL FRONTE AL NUSRA CONQUISTA IDLIB Nuovo successo per i jihadisti. Al Nusra, la branca siriana di al Qaeda, ha preso il secondo capoluogo di provincia siriano dopo Raqqa, dal 2013 nelle mani dell’Isis Reuters Il recupero dei corpi sulle Alpi francesi e Andreas Lubitz Ansa PROBLEMI DI VISTA Oltre alla depressione l’ufficiale che si è schiantato sulle Alpi con 149 passeggeri aveva altre patologie e temeva di essere allontanato 4U9525 era malato (citando fonti investigative, Welt am Sonntag parla di una grave sindrome psicosomatica e di numerosi medicinali rinvenuti durante la perquisizione della sua abitazione): i medici ne erano a conoscenza e il primo ufficiale era in cura. E poi, la vista: quella di Andreas Lubitz si era abbassata già di circa il 30%. È quanto rivelano fonti investi- gative francesi, citate da Le Figaro. Chi veramente avrebbe dovuto saperlo, il suo datore di lavoro, non poteva esserne informato. Solo così un giovane che sognava di assumere il comando di un aereo civile è riuscito a far schiantare un A320 con a bordo 144 passeggeri e altri 5 membri dell'equipaggio. Ammazzando loro e seppellendo la burocrazia medica e ae- UN COMANDANTE di lungo corso, rigorosamente anonimo, “pizzicato” sempre dal magazine tedesco, rivela che le assenze “per sindromi da stanchezza cronica e problemi psichici sono aumentate drasticamente”. Eppure, avverte, i suoi colleghi tirano avanti lo stesso: “Grazie all'alcol e ai medicinali”. Il management mette sotto pressione la categoria (Andreas Lubitz si sarebbe lamentato delle condizioni di lavoro e manifestato timori per il contratto con una ex compagna), ma le compagnie non forniscono dati circa la diffusione dello stress. “La Lufthansa non ha informazioni sulle eventuali malattie che colpiscono i suoi dipen- denti. Nel caso dei piloti, abbiamo certificati di idoneità, di non idoneità o di idoneità con riserva al volo”, ha conermato all’Ansa Helmut Polksdorf, portavoce di Lufthansa. Il problema, esattamente come è stato per Andreas Lubitz, è che pochi ufficiali condividono eventuali “disturbi”. I rischi di restare fuori dalla cabina sono troppi. Il copilota del volo ronautica. La clinica universitaria di Düsseldorf ha confermato che Lubitz era in terapia, ma non per problemi mentali, anche se di origine forse psicosomatica. L'azione assassina di Lubitz – ma gli inquirenti dicono di non escludere ancora il guasto tecnico – ha messo in risalto le possibili falle di un sistema. Raphael Diepgen, psicologo all'Università di Bochum e esperto pilota civile, ha manifestato dubbi sulla validità degli esami sui candidati: “Che i test siano in grado di distinguere tra quelli idonei è oltremodo discutibile”. ESISTONO SOCIETÀ specializ- zate che offrono costosi corsi per affrontare la prova psico attitudinale e la DLR che lo conduce non può sapere chi l'abbia frequentato e chi no. Ci sono aspiranti che ripetono il test più di una volta. Lo stesso numero uno di Lufthansa, Carsten Spohr, già pilota, aveva chiarito che nella selezione non vengono cercati i migliori, ma quelli con determinati caratteristiche. Tra le quali la predisposizione al lavoro di gruppo. Esattamente quello che non aveva Lubitz. La Süddeutsche Zeitung ha scoperto che la cartella di Lubitz era di quelle con la sigla SIC, che sta per Specific Regular Medical Examination. I sanitari devono attestare l'idoneità, ma non sono tenuti ad informare l'azienda del tipo di problemi. Una garanzia della privacy dei piloti, ma non una tutela per tutti gli altri e della quale Lubitz si è servito. L’ex fidanzata del primo ufficiale, ha rivelato alla Bild che il giovane le aveva confessato che “un giorno tutto il mondo conoscerà il mio nome”. FURTO A LONDRA di Caterina Soffici Londra ualcuno ha rubato le Q lettere di Lawrence d’Arabia. Un feticista, pro- L’ultimo segreto di Lawrence: rubata la corrispondenza araba babilmente. Un furto da appassionati, perché il materiale è troppo famoso e ghiotto per essere rivenduto. Erano delle missive autografe scritte dal leggendario agente segreto e archeologo gallese all’inizio del Novecento ed erano conservate nell’archivio del Palestine Exploration Fund, la società che aveva mandato Lawrence in Medio Oriente nella missione durante la quale imparò a sopravvivere nel deserto. IL GROSSO DEL MATERIALE di archivio che riguarda il personaggio – che fu alla testa della Rivolta Araba all’inizio del secolo scorso - autore de I sette pilastri della saggezza e che ispirò il film con Peter O’Toole vincitore di sette premi Oscar nel 1962, è conservato alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, dove lui aveva studiato e si era specializzato in archeologia. Ma questo gruppo di missive erano particolarmente importanti, secondo gli studiosi, perché fu dopo quel viaggio che ma- turò le sue idee e la sua passione per il mondo arabo, tematiche affrontate anche nella pellicola di successo che ha permesso di far conoscere l’uomo di avventura al grande pubblico. Nel gennaio del 1914, Lawrence e il suo collega archeologo Wooley furono cooptati dai militari britannici come copertura per una ricognizione militare nel deserto del Negev. Il Palestine Exploration Fund finanziò una ricerca per ripercorrere il viaggio fatto dai figli di Israele attraverso il cosiddetto “deserto di Zin”. Il vero proposito della spedizione era di permettere ai cartografi di Sua Maestà di disegnare una mappa del deserto che sarebbe servita ai veicoli alleati nella guerra imminente. Il Negev era di particolare importanza strategica, perché avrebbe dovuto essere attraversato dall’esercito ottomano per attaccare l’Egitto in caso di guerra. Wooley e Lawrence pubblicarono poi un rapporto sui reperti archeologici di questa lunga spedizione nel deserto e arrivarono fino ad Aqaba e Petra. Ma il risultato più importante, al di là delle vicenda in sé, è che quel viaggio, secondo gli studiosi, fece scattare la malattia “araba” di Lawrence. A dare notizia della sparizione delle lettere è stato The Times, dove si racconta L’esploratore inglese Thomas Edward Lawrence Ansa AGENTE SEGRETO Le lettere hanno il timbro del Palestine Exploration Fund, la società che aveva mandato in missione l’ufficiale archeologo che il furto è probabilmente avvenuto parecchio tempo fa, ma è stato scoperto solo recentemente, quando uno studioso – o un cultore della figura di Lawrence d’Arabia – ha fatto richiesta del materiale. Secondo la ricostruzione dei responsabili del fondo, le lettere dovrebbero essere state sottratta tra il novembre del 2013 e il gennaio dell’anno scorso. L’ULTIMO ad aver visto il gruppetto di missive è stato Anthony Sattin, autore del libro Il giovane Lawrence, che stava consultando il materiale per i suoi studi. Sattin afferma di averle lasciate su un tavolo e un archivista doveva poi riporle nel faldone. La scomparsa deve essere avvenuta il quel momento, ma nessuno se ne era accorto. Almeno ufficialmente. Il che la dice lunga sul modo “rilassato” in cui il Pef gestisce il proprio archivio. “Venderle sarà difficile – ha detto al Times la responsabile del fondo, Felicity Cobbin – perché tutte riportano il timbro del Palestine Exploration Fund. Ma è una perdita enorme”. il Fatto Quotidiano MONDO RUSSIA PUTIN E I REDUCI DEL DONBASS Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha concesso il titolo di “Guardia” a tre unità militari alimentando le ipotesi secondo cui si tratti di soldati russi che hanno combattuto in Ucraina al fianco dei separatisti del sud-est. Il portavoce del presidente, Peskov, ha negato la correlazione. Ansa SOMALIA MASSACRO IN HOTEL, 24 MORTI È salito a 24 il numero dei morti dell’attacco degli integralisti islamici Shabaab a un albergo di Mogadiscio, iniziato ieri. Si tratta di 18 vittime fra cui un militare, e di sei jihadisti, che avevano fatto irruzione nell’edificio, frequentato soprattutto da politici, giornalisti e uomini d’affari. LaPresse DOMENICA 29 MARZO 2015 15 AL VOTO CON LA MOTOSEGA 23 DECAPITATI DA BOKO HARAM NIGERIA, ELEZIONI INSANGUINATE, ATTACCHI AI SEGGI: 24 VITTIME. IL PRESIDENTE GOODLUCK E LO SFIDANTE BUHARI, STESSA PROMESSA: ELIMINARE I TERRORISTI SANGUE E SPERANZE di Roberta Zunini I Un elettore viene marcato con un pennarello per evitare che rivoti, procedure ai seggi e l’attacco a un villaggio da parte dei miliziani di Boko Haram Reuters l Paese più popoloso e ricco di risorse petrolifere dell'Africa ma, da più di un anno, anche tra i più violenti del continente a causa dei rapimenti di massa, degli attacchi e delle autobombe targate Boko Haram, alla fine è andato a votare. UN GIORNO IN PIÙ Procedure elettroniche, tanti disagi e slitta la chiusura delle cabine. Anche oggi i 68 milioni di elettori potranno esprimere la preferenza I 68 MILIONI di nigeriani aventi diritto sarebbero dovuti andare alle urne un mese e mezzo fa ma il presidente uscente, il cristiano Jonathan Goodluck, ha deciso di posticipare per permettere una “grande” offensiva dell'esercito contro i jihadisti che infestano e parzialmente controllano un territorio grande quanto il Belgio nel nord della Nigeria. Se la campagna contro Boko Haram – all'inizio dell'anno auto affiliato all'Isis – e il posticipo delle consultazioni sono serviti al presidente per dimostrare all'opinione pubblica che è in grado di reagire all'avanzata del califfato e assicurare il principio cardine della democrazia, il voto, non è riuscito però nell'intento di salvaguardare l'incolumità di tutti coloro che erano in fila da ore davanti ai seggi. L'introduzione del voto elettronico ha inoltre peggiorato le cose perché il meccanismo si è inceppato più volte un po' ovunque, rallentando di ore la procedura ed esponendo maggiormente al rischio di attacchi i votanti. Tan- Il presidente uscente Goodluck Jonathan, sotto lo sfidante Buhari Ansa to che, le operazioni ai seggi proseguiranno anche stamane. Il gruppo terroristico ha decapitato 23 persone con una motosega nel nordest, secondo l’agenzia tedesca Dpa. UN COMMANDO armato ha at- taccato i villaggi di Birin Bolawa e Birin Funali, nello Stato di Gombe. “Abbiamo sentito gli assalitori urlare: ‘non vi hanno detto di restare lontani dai seggi?”, ha raccontato un responsabile delle locali attività elettorali, a condizione di anonimato. Anche a Shore e Barutai ci sono state sparatorie e un’autobomba è esplosa presso un seggio a Enugu, capoluogo dell’omonimo Stato. In tutto, 24 vittime. Durante la campagna, iniziata a novembre, entrambe le fazioni principali hanno subito attacchi e oltre 50 sostenitori sono rimasti uccisi. Come nel 2011 il principale sfidante del cinquasettenne Goodluck è il generale musulmano Muhammadu Buhari, 72 anni, per un periodo esponente di punta del governo militare e noto per le brutali repressioni contro giornalisiti e dissidenti. Oggi il leader dell'All Progressives Congress (APC), ha buone chance di mettere in difficoltà l'attuale presidente e il suo People's Democratic Party (PDC), al centro della vita politica nigeriana dalla fine del regime militare nel 1999. Il tema principale della campagna elettorale è stato proprio la lotta contro Boko Haram. Da un lato Jonathan sostiene che entro aprile il movimento terrorista islamico verrà sconfitto grazie a una maggiore cooperazione internazionale mentre Buhari ha promesso che annienterà il movimento in pochi mesi. Una vittoria di Buhari potrebbe destabilizzare il Delta del Niger – roccaforte del suo rivale – dove si trova la stragrande maggioranza degli impianti petroliferi e delle multinazionali straniere dell'energia e, per l'italia, l'Eni. Il petrolio è la fonte principale della corruzione. Con un'economia che cresce al ritmo del 6% all'anno, nel 2013 la Nigeria aveva superato il Sudafrica e con questo è oggi il Paese trainante di tutto il continente con i suoi 180 milioni di abitanti. La “tempesta decisiva” del re Abdulaziz DIETRO L’INTERVENTISMO DEL MONARCA SAUDITA CONTRO GLI HOUTI IN YEMEN, LA PAURA CHE IL SUO STESSO ESERCITO NON SIA LEALE di Giampiero Gramaglia intervento militare arabo sunL’ nita guidato dall'Arabia Saudita nello Yemen continuerà “finché non saranno raggiunti tutti gli obiettivi”: la sconfitta dei ribelli sciiti Houthi e la restaurazione della pace nel Paese: parola di re. Salman bin Abdulaziz, monarca saudita, lo dice al vertice della Lega araba a Sharm el Sheikh. Il ‘giovane’ re di quasi 80 anni, ma sul trono da appena due mesi, conduce con piglio determinato l’Arabia Saudita su territori politici e militari inesplorati da oltre mezzo secolo. In Egitto c’era Nasser - ed era il nemico - l’ultima volta che i sauditi combatterono nello Yemen. Oggi, l’egiziano al-Sissi è il principale alleato. Per Robert Fisk, che ne scrive su The Independent, l’Arabia Saudita, con questa guerra, sta facendo “un salto nell’abisso”. Il giornalista, forse il miglior conoscitore anglo-sassone del Medio Oriente, si chiede chi abbia davvero deciso di aprire il conflitto nella più povera delle Nazioni arabe: “I sauditi, del cui re si dice nel mondo arabo che non sia capace di prendere decisioni da capo di stato? O magari i principi dell’esercito saudita, preoccupati che le loro stesse forze di sicurezza non siano leali alla monarchia?” e avvertano il richiamo dei messaggi integralisti di al Qaida e del Califfato? Di qui, in fondo, dall’Arabia Saudita venivano Osama bin Laden e 15 dei 19 terroristi kamikaze dell’11 Settembre 2001. Al Vertice di Sharm, re Salman tiene a precisare che il Consiglio di cooperazione del Golfo risponde, con la missione Tempesta decisiva, a “una richiesta di intervento” del presidente VERTICE A SHARM La Lega Araba conferma: guerra fino a riportare la pace del paese. L’Iran si arrabbia e mobilita il generale che aveva schierato contro l’Isis yemenita legittimo Hadi, dopo che gli insorti Houthi non vollero “discutere della crisi a Riad”. SE I RIBELLI minacciano “la sicurezza regionale e la pace internazionale”, anche l’intervento militare della coalizione araba è un grosso rischio: può scatenare un conflitto generale tra sciiti e sunniti. E gli Usa non sanno a chi dare i resti, tanto più che la retorica sciita descrive l’azione anti-Houthi come “una cospirazione saudita-americana”. Non è (del tutto) vero. Washington appoggia l’intervento per ripristinare Il presidente egiziano al-Sisi con re Abdulaziz Ansa la legalità internazionale: Obama lo dice di persona a re Salman. E la marina Usa recupera nelle acque del Golfo di Aden piloti sauditi dispersi. Ma, nel contempo, l’America non vuole rompere con Teheran, mentre s’avvia a Losanna quella che potrebbe essere la fase finale dei negoziati sui programmi nucleari iraniani. La diplomazia internazionale, tramite il segretario generale dell’Onu Ban, si limita all’appello alle parti a negoziare per evitare “una lunga guerra”. Riad non esclude il dialogo, se “i leader golpisti tornano alla ragione”. Re Salman è contro gli sciiti, ma pure contro l’integralismo sunnita del sedicente Califfato e insiste per fare del Medio Oriente una “zona denuclearizzata” (un ritornello anti-israeliano, che ora suona pure anti-iraniano). L’egiziano al-Sisi attribuisce la crisi “a interventi stranieri”, leggasi iraniani. I raid aerei della coalizione araba hanno già colpito numerosi obiettivi nello Yemen e fatto vittime, specie a Sanaa, la capitale occupata dal settembre scorso dalle milizie Houthi. Fra i luoghi attaccati, la base aerea di al Dalaimi e un deposito dove la famiglia dell'ex presidente Saleh teneva migliaia d’armi della Guardia Repubblicana, oltre al palazzo presidenziale e ad altre postazioni militari. Numerosi i raid nella provincia di Saadah, al confine con l'Arabia Saudita, roccaforte degli Houthi, e sul porto di Hodeida, sullo Stretto di Bab el Mandab, importante per i rifornimenti dall'Iran. Pure colpiti la base aerea di Tarek, nella regione di Taiz, e obiettivi nella zona di Aden. Dal canto loro, gli Houthi avrebbero compiuto incursioni in territorio saudita. Che l’Iran non intenda stare a guardare e che il conflitto nello Yemen possa condizionare l’impegno contro il Califfato lo avalla una voce diffusa dal canale arabo della Bbc: il generale iraniano Suleimani, capo della Forza Qods delle Guardie della rivoluzione islamica, avrebbe lasciato l'Iraq per recarsi in Yemen. Suleimani era l’artefice delle operazioni contro lo Stato islamico a Tikrit, insieme ai vertici militari iracheni. 16 DOMENICA 29 MARZO 2015 SECONDO TEMPO S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E Il cantautore Luigi De Gregori Io, mio fratello Francesco e gli anni magici del Folkstudio V LA STORIA DELLA MUSICA La targa in via Garibaldi a Roma Luigi De Gregori (Grechi era il cognome della madre) è stato uno dei fondatori del Folkstudio. Del 1975 il suo primo album: “Accusato di libertà”. Nel 1993 ha vinto il Premio Tenco per la miglior canzone con “Il bandito e il campione” Ansa di Malcom Pagani ino caldo, pop corn e ricordi sfumati: “Negli anni del Folkstudio ero quasi sempre ubriaco, ma l’atmosfera magica di quel posto non l’ho dimenticata”. Luigi De Gregori ha più di settant’anni e il desiderio di tornare a quando notte e giorno confondevano i profili nell’alba di Trastevere: “Il locale era scomodo. Un basso umido in cui percorrendo un corridoio si giungeva a una stanza quadrata”. Il palco era lì e sul palco suonava chi ne aveva voglia: “Oggi dirlo sembra strano, ma a metà degli anni 60 il Folkstudio era un punto di riferimento dall’enorme valenza internazionale. Gli hippies e i folksinger che bruciavano la cartoline militari che li avrebbero voluti soldati sul fronte vietnamita, fuggivano attraverso il Canada, raggiungevano la Scandinavia e poi, viaggiando verso l’Europa del Sud, arrivavano a Roma per unirsi a quel carnevale estemporaneo”. Dal primo Folkstudio: “Quello ricavato dallo studio del pittore Harold Bradley in cui davanti alla porta di metallo dell’ingresso si affollavano dialetti diversi mossi dalla voglia di suonare e guadagnarsi la cena” tra “i fiori falsi e i sogni veri della friggitoria chantant” nel corso del tempo passarono De André e Rino Gaetano, i ragazzi con il pianoforte sulla spalla di Venditti, Guccini, Bob Dylan e Francesco De Gregori, figlio di Rita e Giorgio, fratello di Luigi. “C’era un bordello ogni sera e solo dopo molte multe da parte dei vigili, qualcuno propose di strutturarsi in associazione. Il programma era sempre estemporaneo e a volte, quando non c’era nessuno, Bradley, un afroamericano dall’esistenza molto avventurosa che mi piacerebbe ringraziare per le tante cose belle che mi ha insegnato, improvvisava. Prendeva un blocco di travertino sotto il pianoforte e lo scuoteva con una mazzetta da muratore mentre la voce vibrava ‘When John Henry was a little baby, sittin’ on his daddy’s knee’. Per decenni, di fronte al mondo, Luigi De Gregori, lunga barba bianca, stivali e giacche da texano a un passo dal rodeo: “Mi sono sempre vestito così, non posso stupirmi se qualcuno si incuriosisce” ha usato il cognome della madre, Grechi: “In fondo non ero andato a pescare molto lontano. Accadde non perché – come sarebbe semplice pensare – con Francesco avessi dei problemi, ma perché li avevo con la mia identità. Temevo il desiderio di confronto da parte del pubblico, la confusione, gli interrogativi oziosi su somiglianze e differenze. Quando ho capito che effettivamente eravamo diversissimi, ho lasciato cadere la distinzione e mi sono riappropriato del mio cognome”. Durante lo scorso Festival della canzone, i due si sono ritrovati insieme su una pedana. Il titolo dell’evento: “Noi non ci Sanremo” era più di un manifesto. Il luogo deputato, “L’asino che vola”, un Folkstudio del 2000 in cui Grechi, ogni due settimane, sempre di martedì, organizza programmazioni utili a far esibire ragazzi senza chiedere patenti o appartenenze certe: “La gente non chiedeva altro, lo spazio è bellissimo, ‘Noi non ci Sanremo’, fi- lologicamente seguiva la stessa linea del Folkstudio di un’epoca lontana”. te da suo fratello e un elogio del tabacco: “E la nube che produco/cosciente od incosciente/ a confronto di ben altre è quasi niente”. Non di una linea reducistica, se è quello che vuol sapere. Non ho rimpianti feroci né sfrenata voglia di riesumare a ogni costo un periodo felice della mia vita. Parlavo di Seveso. Nello stesso giorno in cui esplose il reattore dell’Icmesa e mezza Lombardia venne devastata, Pubblicità progresso diffuse lo spot in cui su sfondo nero si diffondeva un messaggio paradossale: ‘Chi fuma avvelena anche te, digli di smettere’. Mi sembrò una buffonata. Un’ipocrisia spaventosa. E decisi di scrivere l’elogio del tabacco. Di che linea parla? Di cosa si è trattato allora? Del desiderio di rimettere in moto energie non sopite. Con il Folkstudio ho un debito di gratitudine. Mi ha dato stimoli, fatto conoscere persone che si sono rivelate importanti, spiegato il valore della diversità. Capitavi lì e ascoltavi una soprano cinese seguita da un violinista russo. Negli anni 60 Roma era interessantissima. Piena di artisti in fuga dalle dittature più diverse. Lei che ci faceva? Cercavo di capire cosa avrei fatto nella vita. Sono nato a metà degli anni 40, per puro caso, in un’abbazia benedettina sui colli Euganei. Poi mi sono trasferito a Roma e da lì a Pescara, a Dublino, a Milano. Lavoravo come bibliotecario. Lo stesso mestiere di suo padre, Giorgio De Gregori. Per motivi personali, per non dire esistenziali, mi ero adagiato sul lavoro che in famiglia era ben visto. Mi arresi al posto fisso, in un momento in cui dalle note ero stato già folgorato. Una mia collega aveva un fratello che lavorava alla Emi. Lo conobbi e lui mi spinse a fare dei provini. Dividersi tra gli studi di registrazione e la biblioteca non era semplice. Mi sforzai. Non pianificavo nulla. Andavo a suonare a 300 chilometri di distanza e la mattina, dopo aver guidato tutta la notte, mi ritrovavo tra i volumi. Inseguiva una passione? La musica era uscita dalla porta principale e rientrò da quella di servizio. A quel punto non mi feci più troppe domande. Il suo primo album è del 1976. Nel secondo, intitolato Luigi Grechi, c’erano due canzoni scrit- Su Seveso, al pari di Venditti, scrisse una canzone anche lei. Censurata, con grande dolore, dalla mia casa discografica di allora. Nelle mie canzoni, almeno apparentemente, la politica non c’era. Tra le righe però, la trovavi sempre. I miei preferiti non ci sono più. Rino, che riusciva a legare demenziale, sofferenza intima e romanticismo; Ivan Graziani, un grande chitarrista rock con una vena artistica e una voce assolutamente originali; Fabrizio De André, imprevedibile e simpaticissimo PARENTELE Luigi De Gregori (a destra, visto da Emanuele Fucecchi) è fratello di Francesco. Un suo grande amico è stato Rino Gaetano Ansa C’era politica nel grottesco processo a suo fratello inscenato al Palalido nell’aprile 1976? Ho ricordi precisi e posso dire che si trattò soltanto di una volgare questione di soldi. La politica non c’entrava niente. C’era una lotta per il controllo dei concerti. Una lotta mafiosa. Il servizio d’ordine che sarebbe riuscito a imporsi sugli altri avrebbe avuto in mano la gestione degli eventi e gestire gli eventi, significava avere accesso a un mare di denaro. Come andò quel giorno? Francesco aveva deciso di non affidarsi a nessun servizio d’ordine, neanche a quello della Fgci. Fece due concerti. Uno pomeridiano e uno serale. Alla fine della seconda esibizione, quando gli spettatori normali erano ormai andati via, i 200 contestatori rimasero padroni della situazione. Ci fu un tentativo di invadere il palco. Secondo le cronache si distinsero Nicoletta Bocca, figlia di Giorgio e Gianni Muciaccia in seguito leader dei Kaos Rock. Gianni Muciaccia lo respinsi io mentre si arrampicava sul palco. Nel 1976 facevo politica attiva nel Pci e tra autonomi e ragazzi dei collettivi, conoscevo quasi tutti. A concerto concluso raggiungemmo i camerini. Ci fecero sapere che se non fossimo tornati sul palco avrebbero distrutto le apparecchiature: ‘Spacchiamo tutto’. Tornammo. Ci fu una sorta di processo. Una farsa. Qualcuno disse a Francesco cose dolci: ‘Suicidati come Majakovskij’. Lui diede un paio di risposte precise sui costi del concerto e sul libero arbitrio: ‘Chi è venuto ad ascoltarmi l’ha fatto perché voleva’. Non bastò. All’epoca purtroppo cose del genere accadevano. Erano stati disturbati Lou Reed e, con la minaccia di una bomba, anche De Andrè. Era il Fatto Quotidiano HAMILTON IN POLE, VETTEL SECONDO Il campione del mondo domina ancora il Mondiale 2015 conquistando sotto la pioggia la pole anche nel Gran Premio di Malesia. Torna a sognare la Ferrari. Male Raikkonen ROCK, ERIC CLAPTON FESTEGGIA 70 ANNI Eric Clapton lunedì compie 70 anni ma è lontano dalla pensione. Per l’occasione festeggerà con la pubblicazione di “Forever Man”, un cofanetto antologico con 51 tracce che coprono 30 anni di carriera Colpa dei giornalisti? Con i giornalisti sono abbastanza incazzato. Tendono ad accontentarsi. A raccontare la realtà superficialmente. Nel mio caso, poi, c’è una regola fissa. Prendono il comunicato stampa, lo ricopiano e se sono fortunato piovono anche un paio di domande. Quesiti fondamentali: ‘Di che segno sei?’, oppure, con sforzo massimo: ‘Progetti per il futuro?’. Lei ha studiato letteratura. Americana e inglese, avrei dovuto affrontare anche quella tedesca, ma lasciai perdere. Scrittori contemporanei che ammira? Cormac McCarthy l’ho letto tutto. Non La strada, però. Il suo meglio è altrove. Ha scritto cose deliziose, ma i libri più noti, penso a Non è un paese per vecchi, sono operazioni furbe. Leggendo, sembra di ascoltarlo: ‘Volete il pulp? E io ve lo do, che ci metto?’. Leggere la aiutò a inquadrare la realtà? Attraverso Sinclair Lewis, Steinbeck e un’infinità di altri romanzieri, trasmissioni radio, film e fumetti, dipanai il filo di un’America mitica che con l’America vera aveva poco a che fare. Poi negli Usa, molto tardi a dire il vero, andai. Nel 1982. Mi feci accompagnare da un amico musicista, Peter Rowan. 17 BENNATO: “CERCASI CASA DISCOGRAFICA” Edoardo Bennato ha rivelato di avere pronto un nuovo album di inediti che per ora nessuna casa discografica – alle sue condizioni – si è detta disponibile a pubblicare quella di nuovo conio, lo vissi lì. Mi piaceva. Mi esaltava. Vedevo il progresso muoversi, cambiare forma al presente. Nuove macchine da far correre sull’asfalto, l’uso industriale della plastica, l’arrivo della televisione nei bar con la gente in piedi a vedere Lascia o raddoppia. In Abruzzo, notare il mutamento di una piccola città avviata al mutamento metropolitano, era più semplice di quanto non fosse a Roma dove, storicamente, c’era una certa inerzia. I parenti ingordi che sulla strada di Pescara assalivano il signor Hood cantato da suo fratello erano i vostri? successo anche a Venditti. Era salito sul palco un tipo: ‘Compagno, devi leggere questo comunicato’ con Antonello fermo: ‘Questo te lo vai a legge’ a casa tua e qui me lasci lavorà’. Complessivamente il Palalido fu una triste pagina, gonfiata ad arte dalla stampa. DOMENICA 29 MARZO 2015 Un viaggio alla Easy Rider? Un viaggio importante perché rimosse il mito e lo trasformò in realtà. Nessun vagabondaggio o sacco a pelo sotto le stelle, però. Partimmo da San Francisco, toccammo Los Angeles, il deserto e poi arrivammo fino al Texas. Tutto in macchina, fermandoci a dormire nei motel. Con Peter parlavamo spesso di musica e della rivoluzione da cui entrambi, a latitudini diverse, eravamo stati investiti nello stesso modo negli anni 50. Quale rivoluzione? Quella del Rock. Sentendo suonare i dischi nelle nostre stanze, i miei e i suoi genitori avevano affrontato la novità con armi simili: ‘Che cazzo è questa musica da negri?’. Non erano razzisti, ma per loro si trattava di baccano e poco più. Fino ad allora, la musica era divisa rigidamente tra classica e pop. E chi faceva musica pop non rinunciava mai all’accompagnamento della grande orchestra. Quando arrivarono quattro scalzacani, quattro ragazzetti che pestavano una batteria, una chitarra elettrica, un basso o un sax, nacque il rock and roll. Lazzaroni che facevano a meno dell’orchestra e che molto prima di farsi crescere i capelli o vestirsi in modo strano, rompevano uno schema. A lei è capitato di romperlo spesso? Di romperlo e di osservare la rottura. A Pescara, dove vissi felice con un arenile sconfinato a disposizione fino alla prima adolescenza, vidi l’esplodere della modernità. Il passaggio tra l’era antica e Non direi. Io e Francesco abbiamo avuto un’infanzia lieta. Guardando da vicino altre infelicità, mi sono reso conto di quanto siamo stati fortunati ad avere due bravi genitori. Magari severi, giustamente severi, ma due ottime persone. in riviera, a una cena con i discografici, sparì agli antipasti e tornò con un clochard un’ora dopo. Lo fece sedere al posto d’onore. Era fatto così. Dopo il successo de “Il bandito e il campione”, scritta da lei e venduta in oltre 500.000 copie, Giovanni Cocconi scrisse che o era stato lei a sbagliare mestiere o più probabilmente i discografici a cui aveva invano proposto il pezzo. A dir la verità, a rifiutare fu solo una persona. E me ne frega talmente poco che mi sono anche dimenticato il suo nome: ‘Sono tutte canzoni intelligenti – disse – ma di questa roba non importa niente a nessuno’. Non covo rancori. Sono lento a scrivere, ho fatto un lungo apprendistato e a fare dischi, suonare ed esibirmi, non ero evidentemente pronto. Ha nostalgia del passato? La nostalgia è un inganno, la storia si ripete e non ci sono parole da rimpiangere. Non è vero che il prima fosse migliore, è solo una rifrazione. Un’illusione ottica. La vita è la vita e a me della vita non fa orrore niente. Dicono: ‘La cultura sta scomparendo’. Senza arrivare a discutere dell’analfabetismo di ieri, non è vero. Se hai gli strumenti passi anche attraverso la cultura massificata. Su Internet, una vera benedizione, trovi di tutto. Però bisogna sapersi muovere. Scegliere. Spotify ce l’ha quasi chiunque, ma chissà perché ascoltano tutti le stesse canzoni. Far rinascere il Folkstudio sotto le insegne de L’asino che vola serve anche a questo? A diversificare? A saper scegliere? Nasce per dare linfa a un diverso approccio che scarti dalla consueta catena di produzione, promozione, distribuzione. Distinguere, altrimenti, è difficile. Non si sente mai discutere di scuola o di tendenza artistica. Anche la sua scuola di provenienza è incerta. La potremmo definire un autodidatta. Le definizioni, come le etichette, sono sempre riduttive. Mi hanno incasellato come cantante country, ma il country di oggi non ha niente a che vedere con il concetto di campagna. Il campagnolo vede gli stessi programmi e compra gli stessi oggetti del cittadino, la vecchia generazione del country parlava in dialetto e ora, come è ovvio, così non parla più. Nel 1976 facevo politica attiva nel Pci e tra autonomi e ragazzi dei collettivi conoscevo quasi tutti. Dopo il concerto al Palalido di Milano ci fecero sapere che se non fossimo tornati sul palco avrebbero spaccato tutto. Tornammo. Ci fu una sorta di processo. Una farsa In campagna lei è andato a vivere. Nel Folignate, a Bevagna. Anche se in realtà, mi sento nomade e, non diversamente da Bruce Chatwin, ho ripulsa per qualsiasi domicilio fisso. Il nomadismo è una componente essenziale per musica e letteratura. L’uomo nasce nomade e poi compie il peccato originale trasformandosi in stanziale. Il concetto di proprietà, ad esempio, era del tutto incomprensibile agli indiani d’America. Provavano a spiegarglielo, sempre senza fortuna. Gli sfuggiva, come dovrebbe sfuggire a noi se sotto le mentite spoglie della società integrata, non inseguissimo, non so quanto consapevolmente, la disintegrazione. Sa cosa mi raccontano in campagna? Cosa le raccontano? Che rapporti ha con suo fratello? Che, esattamente come nel folk, nei tempi andati il canto non era separato dalla vita, dalla festa, dalla nascita e dal lavoro. Non c’era separazione. Le feste del raccolto e la mietitura erano baccanali. I contadini si facevano un culo così, ma sapevano anche divertirsi. Il macchinista che muoveva la trebbiatrice spesso veniva da fuori. Era un marinaio di terraferma. Arrivava, faceva strage di donne e poi se ne andava dopo aver piantato debiti e cuori infranti. Ottimi. Ogni tanto mi scambiano per lui o per il fratello di De André. Allora rispondo rapido: ‘Ma no, sono il cugino di Bennato’. A Francesco mi legano le comuni radici. I dischi, le letture, i film. Altri possono interrogarsi sull’ermetismo degregoriano. Io no. La pensiamo in modo simile, esiste un meccanismo di leggibilità reciproca. Il suo lavoro mi piace moltissimo e non lo dico per parentela. Mio fratello, per profondità di scrittura, è il più significativo autore di canzoni che ci sia in Italia. Della vita in campagna aveva dipinto quadri nitidi anche Rino Gaetano. Eravamo amici fin dai tempi del Folkstudio. I miei preferiti sono quelli che non ci sono più. Rino che riusciva a legare demenziale, sofferenza intima e romanticismo, Ivan Graziani, un grande chitarrista rock con una vena artistica e una voce assolutamente originali e De André. A mio fratello lo presentai io: ‘Fabrizio, stasera vieni al Folkstudio, Francesco ha scritto anche una parodia della Guerra di Piero‘. De André era simpaticissimo. Una sera, Dublino, una sua canzone, la scriveste insieme. La canzone fu scritta da Francesco e si intitolava Piombino: ‘La gente di Piombino è criminale che a mezzanotte e mezzo chiude i bar’. Aspettava un imbarco per l’Elba e nel buio del porto covava pensieri tristi e malinconici. Aggiunsi qualche strofa. Tutto qui. Ha mai pensato che se oltre alle strofe avesse aggiunto anche De Gregori al suo nome, il suo percorso avrebbe potuto essere diverso? No, non ci ho mai pensato. Lei mi chiede se sono felice. Felice è una parola grossa. Però, a differenza di ieri, al di là delle vittorie o delle sconfitte del mio immaginario, trovo un senso nelle cose. Prima non lo trovavo e mi sembrava di aver perso tempo dietro alle sciocchezze. Forse non è felicità, ma autoassoluzione. E mi va bene così. n SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano Pubblichiamo un estratto della master class di Nanni Moretti, coordinata dal critico cinematografico Jean Gili, ieri a Bari per il Bif&st. Era appena stato proiettato “Caro diario”. di Nanni Moretti C AL FESTIVAL DEL CINEMA DI BARI NANNI MORETTI RIPERCORRE TUTTO IL SUO CINEMA. DA “CARO DIARIO” A ”PALOMBELLA ROSSA” E “LA COSA”: “HO SEGUITO GLI INSEGNAMENTI DEL MIO ALLENATORE DI PALLANUOTO” caso, io non mi sono reso conto che stavo per girare il mio nuovo film, me ne andavo in giro con quattro persone di troupe. D’estate a Roma c’era per caso Jennifer Beals, perché il marito Alexandre Rockwell, regista, era andato a mostrare un suo film alla Mostra del Cinema di Venezia. Allora io, che la conoscevo poco, imbarazzatissimo, le chiesi di fare un’apparizione nel mio cortometraggio. Pensavo di girare un filmino di un quarto d’ora, da mostrare solo nel mio cinema. Se non avessi avuto un cinema mio non avrei mai pensato di farlo. Era una cosa così fatta in totale leggerezza, che mi ricordava i tempi del Super8 quando nessuno aspettava l’uscita del film di Moretti, io facevo i filmini con gli amici”. “Sono sicurissimo che Fellini non ha mai visto un mio film. Non gli interessava assolutamente vedere i film degli altri. Sono fiero di non averlo mai invitato a vedere un mio film. La sua dimensione di spettatore cinematografico non gli interessava, mentre la sua dimensione di lettore di libri era enorme”. LA SCENEGGIATURA “Palombella rossa, Caro diario e Aprile, soprattutto gli ultimi due, non hanno avuto una separazione netta tra momento della scrittura, momento della preparazione. Comincia il momento delle riprese. È possibile fare un film così, è eccitante ma è rischioso, è possibile farlo quando hai un rapporto non marziale, non troppo ufficiale, col produttore. Come nel mio caso. Quando hai una tua casa di produzione. Scrivi, giri, poi vai in moviola, poi scrivi e monti”. LEGGEREZZA “Leggerezza, irresponsabilità, incoscienza in senso positivo. Un film che uno vede in sala strutturato, montato, 19 “Sono orgoglioso che Fellini non abbia mai visto un mio film” aro diario è nato per FEDERICO FELLINI DOMENICA 29 MARZO 2015 A CANNES LA SUA MALATTIA Era importante raccontare quella vicenda senza fare una celebrazione della sofferenza, neanche sadismo nei confronti della spettatore poi alle volte alla fine è il frutto di alcune casualità. Devo dire che il fatto di arrivare impreparato alle riprese, non mi è capitato sempre. Ci sono dei film che io assolutamente sentivo di dover girare con una sceneggiatura solida, strutturata, precisa nei dettagli... La messa è finita, La stanza del figlio, Habemus Papam o l’ultimo film che ho fatto. Poi ci sono dei film, e mi sembra siano capitati uno di seguito all’altro, Palombella Rossa, Caro Diario e Aprile, in cui ho cominciato a girare senza una sceneggiatura precisa, per frammenti, sperando poi di colmare i buchi Nanni Moretti ha pronto il nuovo film, “Mia madre” di cui è stato diffuso il trailer pochi giorni fa Ansa narrativi che c’erano nel racconto, di colmarli durante le riprese. Questo può essere un modo di lavorare più interessante, ma è anche più rischioso”. LA MALATTIA “Ho capito che l’avrei voluta raccontare con semplicità e ironia. Mi veniva in mente un mio vecchio allenatore di pallanuoto che diceva ai giocatori che volevano fare delle strane rovesciate, dei tiri impossibili: ‘Nun te ’nventà niente’. È bastato aprire una cartellina in cui avevo tenuto degli appunti dei miei incontri con i medici, le prescrizioni. Ho tagliato dalla parte alta dell’inquadratura il nome del medico, però le grafie e le prescrizioni sono quelle vere. Era importante raccontare quella vicenda senza compiacimento. Senza fare una celebrazione della malattia e della sofferenza, neanche sadismo nei confronti della spettatore perchè quando si racconta una malattia questi sono rischi”. IDEE E FATICA Il momento della scrittura è il più difficile, mentre il più faticoso è quello delle riprese. Arrivo con sollievo al montaggio perché si lavora con una persona sola LA MESSA È FINITA (1985) “Il finale de La messa è finita sono due cose insieme: sia una sconfitta che una vittoria per il personaggio che io interpreto. Parte per la Terra del fuoco, però non è riuscito nella sua città, nella sua parrocchia, fare tanto per gli altri. È insieme un passo avanti e un passo indietro”. PALOMBELLA ROSSA (1989) “Verso la fine degli anni Ottanta c’è stato un ritorno dell’importanza della sceneggiatura. Una voglia di fare i compitini ben fatti. C’era la centralità del racconto ma insieme c’era un ritorno di ac- cademismo. Allora, per reazione, con Palombella Rossa ho voluto raccontare in maniera molto più libera, meno obbediente a regole un po’ vecchiotte. Racconto la crisi di un dirigente del Pci, la crisi esistenziale che va di pari passo a quella politica. Avrei potuto raccontare la crisi familiare che va di pari passo con la crisi politica, girare dei dialoghi come: ‘Cara... stiamo insieme per abitudine’, oppure inquadrare la macchina, un maggiolino Volkswagen, che porta il nostro dirigente fuori Roma verso dei compagni tanto onesti e appassionati ma anche ottusi. Invece ho preso una piscina e una partita di pallanuoto che sembra non finire mai. Ho voluto prendermi la libertà di raccontare lo smarrimento, la confusione, la perdita di memoria della sinistra italiana in maniera non realistica, con la macchina, il maggiolino, la crisi familiare e i dibattiti appassionati ma un po’ noiosi tra militanti... ma ho voluto raccontare tutto durante una partita con un’amnesia. Perché avevo individuato nella perdita di memoria un nodo del nostro paese e della sinistra italiana di quel periodo, fine degli anni Ottanta”. LA COSA (1989) “A proposito di semplicità: La Cosa è un film documentario di un’ora sulla fine del Pci. Nel novembre del 1989 ci fu il crollo del muro e dopo un paio di giorni Achille Occhetto propose di cambiare identità e nome al Partito comunista. Una decisione che prese in solitudine. Io iniziai ad andare nelle sezioni, a filmare i dibattiti su chi era d’accordo e chi no. Ho iniziato a girare per curiosità mia personale, dubito un po’ di chi ha già una tesi sul documentario che deve girare. Semplicità... nun te ‘nventà niente. Semplicemente facce di persone che parlavano. La loro paura, il loro sollievo, la loro speranza, il loro panico. Era un’autocoscienza in pubblico. Non erano interessati solo gli iscritti, e nem- meno solo gli elettori che erano tanti, a quel dibattito guardava con rispetto l’intera società italiana”. SCRIVERE DA SOLO “È più piacevole non scrivere da solo per me. È il modo in cui penso e vivo i film. Si fa una traversata. Ci sono tanti momenti dispersivi di noia, di chiacchiere che non c’entrano niente con la sceneggiatura e poi si arriva a un’idea e a un momento piacevole. Negli anni forse il momento della scrittura è quello più difficile ma non faticoso. Quello più faticoso è per me sempre quello delle riprese. Arrivo con sollievo al montaggio perché si lavora con una persona sola. Non c’è l’ansia di rispettare il programma e girare quelle scene che devi girare e poi soprattutto lavori con una persona e non hai decine di persone che aspettano che ti venga un’idea quando non ce l’hai. Il periodo della scrittura è diventato più difficile, con gli anni, ma anche più piacevole”. LE PAUSE “È un modo di ricaricarmi, penso che per molti registi sia così. Non per tutti. C’è anche chi, per sua fortuna, ha un rapporto più leggero con il proprio lavoro. Per molti è un investimento psicologico, emotivo. Appena si finisce il film si è scarichi. Si deve creare un nuovo sentimento nei confronti del mondo, che poi piano piano diventano appunti, soggetti. E poi vengono fissati in una sceneggiatura. Per alcuni registi è automatico, finito un film se ne fa un altro. Per me e per altri è più complesso”. IL CAIMANO (2006) “Il Caimano è tante cose: è la storia di una separazione familiare, di un grande amore per il cinema di un produttore di film di serie B, ed è anche la storia del film che una giovane regista, Jasmine Trinca, vorrebbe fare. Vari temi e vari sentimenti che si intrecciano”. 20 DOMENICA 29 MARZO 2015 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano a cura di Stefano Disegni di edelman BIOCRAZIA MASSIMO D'ALEMA (ROMA, 1949) D'Alema è stato un esponente di rilievo del centrosinistra italiano. Eppure guarda com'è rimasto umile. n Oggi rappresenta una parte della minoranza del Pd. Tipo D'Alema. n D'Alema è stato anche premier. Durante il governo Berlusconi. n Ha ammesso di aver lanciato una bottiglia Molotov. Ma quella volta Prodi fece in tempo a scansarsi. n D'Alema discende da antenati arabi. O almeno così se la spiega Salvini. n A detta di D'Alema, Renzi è un arrogante. Che è come se Berlusconi gli avesse dato del puttaniere. n D'Alema: "La guerra in Serbia? La rifarei". Pur di tornare protagonista. n "Non è vero che la barca possono permettersela solo i ricchi", disse D'Alema visitando Lampedusa. n D'Alema: "Il Jobs Act rende tutti precari". Per dire qualcosa di sinistra ha aspettato che fosse morta. n Il goffo SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 MARZO 2015 21 LICIA COLÒ conduce un programma e una striscia quotidiana su Tv2000 LaPresse NAT GEO IL PEGGIO DELLA DIRETTA Hanno ucciso Gesù per colpa delle tasse di Patrizia Simonetti immancabile kolossal di PaL’ squa quest’anno è firmato National Geographic che ne ha de- ciso la messa in onda in prima serata e in prima visione mondiale in 171 paesi e in 45 lingue diverse per la domenica delle Palme, e la seconda puntata il giorno dopo. Quindi anche per noi è stasera e domani alle 21 su National Geographic Channel l’appuntamento con Killing Jesus, diretto da Christopher Menaul e prodotto da Ridley Scott, come i precedenti Killing Kennedy e Killing Lincoln, e come quelli basato sul best seller di Bill O’Reilly, noto commentatore politico americano, che lo ha scritto con Martin Dugard. Quasi 300 pagine scritte come se si trattasse di un thriller a chiudere, forse, con l’assassinio più celebre in assoluto, la trilogia dedicata ai delitti famosi. “Non c’è religione in questo libro – ha detto lo stesso O’Reilly – solo storia”, intendendo per storia le opere classiche e i Vangeli cui si è ispirato per ricostruire eventi, conflitti e intrighi politici e sociali che portarono all’omicidio di Gesù. Uscito nel 2013, è stato stravenduto in patria, ma pure criticato per una teoria che lo stesso autore avrebbe riassunto in “Gesù è morto a causa delle tasse”. Scritto da Walon Green (Oscar per Il Mucchio Selvaggio), il film è stato tutto girato nel deserto del Sahara con 93 attori di 10 diverse nazionalità, tra cui Haaz Sleiman (L’ospite inatteso, Nikita, 24) nel ruolo di Gesù, Stephen Moyer (True Blood) in quello di Ponzio Pilato e Kelsey Grammer (X-Men, Boss) che fa Erode, oltre a 4500 comparse. CERTO FA un po’ strano vedere un Gesù che non ha la più pallida idea di essere il figlio di Dio e pure il cugino Giovanni, tra un battesimo e l’altro, ci mette un po’ a convincerlo. Tutto però comincia a Gerusalemme, al tempo della sua nascita. Erode si sveglia nel mezzo della notte, sente una voce potente che lo accusa e che lo chiama “falso re”, gli annuncia le piaghe che Dio gli manderà, tante quanti sono i suoi peccati, e pure che c’è un bimbo nato in Israele per annientare lui e la sua stirpe. Si agita un bel po’ e continua a chiedere alle sue guardie se anche loro lo hanno visto quello spettro. Neanche i sacerdoti cui chiede consiglio lo tranquillizzano, anzi, ci mettono il carico da undici: “C’è una dura verità nel vostro sogno – gli dicono – fuori di qui vi dipingono come un burattino manovrato dall’impero romano per contrastare gli ebrei”. È lì che poi si imbufalisce e fa sterminare tutti i neonati maschi del paese. Un cucciolo o un carciofo? Nel dubbio chiedi a Licia di Elisabetta Ambrosi ello studio televisivo campeggia un gran cesto di frutta e verdura N di stagione intorno a cui sono seduti coltivatori ed esperti di nutrizione. “Il carciofo è un re?” chiede loro una signora bionda dal sorriso stampato sul volto. No, non è la Prova del cuoco né Cotto e mangiato, ma una puntata del nuovo programma condotto su Tv2000 (canale 28 del digitale terrestre, 140 di Sky) dell’ex volto storico della Rai Licia Colò. Migrata burrascosamente dal servizio pubblico alla rete dei vescovi, oltre a condurre la domenica, con successo di pubblico, il programma concorrente del suo (ex) Kilimangiaro, Il mondo insieme, da marzo è tutti in giorni in video alle 14.15 con la striscia quotidiana Animali e Animali.it. Quando l’ambiente chiama. Già il titolo, per la verità, indica che si tratta di un contenitore dove c’è dentro un po’ di tutto: un mix di vita animalesca, tendenze alimentari, ricette, consigli su come vivere meglio, spunti ecologisti. C’è la puntata su come preparare il frullato e come vivere bene in compa- gnia di un cane anziano, su come depurare il corpo ed esercitarsi insieme al proprio animale; quella sulla preparazione della tisana perfetta e sulla pet therapy, sugli orti da terrazzo e i cani da soccorso, quella sulle virtù dello yogurt e sul dramma delle oche da fois gras. A TENERE insieme, ieratica e sempre sorridente, questo connubio di benessere umano e animale, a volte un po’ singolare, è appunto la sacerdotessa Colò, che si muove ormai con navigata esperienza di conduttrice tv e militante dei diritti di chi ha quattro zampe. A differenza del programma di viaggio Il mondo insieme, arricchito da reportage ed esperienze forti in studio, Animali e Animali.it però è soprattutto un programma di servizio per un pubblico iper generalista. Certo, ci sono il collegamento con i social e le vignette create sul momento, ma nel nome della divulgazione i concetti vengono semplificati fino all’osso. Come amico è meglio avere un cane o un gatto?, chiede Licia nella puntata dove tra gli ospiti c’è la “mamma” del cane Nicolino e la Gli ascolti di venerdì PRETTY WOMAN Spettatori 4,1 mln Share 17% LE TRE ROSE DI EVA 3 Spettatori 4,3 mln Share 17,5% signora che cura i gatti della Piramide di Roma. Si mostrano i video delle prodezze dei rispettivi cuccioli, si raccontano episodi di albergatori che rifiutano i nostri amici felini, si fa qualche domanda di rito al pubblico, ci si collega con la Sicilia per chiedere alla gente in strada se i siciliani preferiscono un cane o un gatto. E lo stesso nella puntata dedicata alle verdure di stagione: tra frasi come “diciamoci la verità noi donne dovremmo sapere più di queste cose” e “è un periodo di crisi la gente non vuole buttare via il denaro”, si discetta di quanto facciano bene le arance e di quante vitamine e minerali ci siano nelle verdure a foglia verde, delle porzioni da consumare ogni giorno e dei giovani e dei bambini recalcitranti a mangiare la frutta. Insomma, forse si potrebbe volare un filino più alto. E infatti qualche puntata un po’ più impegnata ci prova – tanto che ad esempio martedì prossimo interverrà il magistrato Gianfranco Amendola per parlare di ecoreati e il comitato delle “Mamme Terra dei Fuochi” – ma si ha l’impressione che l’equilibrio tra intrattenimento e impegno sia, ancora, tutto da trovare. COLORADO Spettatori 1,8 mln Share 8% CROZZA Spettatori 2,1 mln Share 7,8% 22 SECONDO TEMPO DOMENICA 29 MARZO 2015 il Fatto Quotidiano STORIE ITALIANE Yolanda e i desaparecidos Pirelli e Fiat, come finisce del Messico dimenticato un grande Paese ESODI di Nando dalla Chiesa di Furio Colombo T i dicono che le aziende vanno e vengono, cambia la proprietà, la tecnologia, la formazione dei consigli di amministrazione, dei voti prevalenti, il tipo di manager, il modo di arruolare i dipendenti, la natura dei legami, la qualità dei prodotti, le aree di mercato. Salgono e scendono a volte in relazione alle crisi economiche che tormentano tutti, a volte resistendo meglio e da sole, nonostante il vento forte. E vogliono farti credere che questa evoluzione naturale del cambiamento riguarda anche la nazionalità dell’impresa e la nazionalità della proprietà dell’impresa. Che cosa importa la nazionalità dell’azionista se entra e prende il controllo qualcuno autorevole che viene dall’altra parte del mondo? Mentre si apre l’evento di cui stiamo parlando (la Pirelli sarà anche stata un prodigio di ingegneria italiana, ma adesso è cinese, e non c’entra la globalizzazione, c’entra la convenienza di qualcuno a vendere) è impossibile non parlare di Fiat, ovvero di Fca. La Fca possiede alcuni stabilimenti in Italia, ma adesso è una fabbrica di automobili americana. L’America, come la Cina, è un paese forte, egemone, e sproporzionatamente grande. Questo fatto non è geografico, è culturale e politico. Un Paese che può dominare, domina. Anche se non fosse già scritto nel tipo di riassetto voluto dalla ex proprietà italiana della ex Fiat, e benché il fatto sia negato da tut- PRIMO, garantisce la continui- tà anche nei giorni difficili. Secondo, rende più facile l’espansione (nuovi mercati, nuove aree, nuovi Paesi). Terzo è una bella garanzia per i dipendenti e i dirigenti che sanno di entrare a far parte di una struttura più grande, che non confina più (soltanto) con il proprio Paese, ma si allarga nel modo e attribuisce un che di universale alla tua fabbrica. Per esempio, in Italia entra la Cina, compra la Pirelli e scrosciano addirittura gli applausi. Come conforto si usa citare il precedente di Krizia, comprata da una avvenente ingegnere (come si dice ingegnere, se è donna? chiedo a Laura Boldrini) di Shanghai, dimenticando la vocazione apolide di quel tipo di impresa, anche quando è grandissima perché è, per vocazione, trasportabile. Il caso Pirelli, un’azienda italiana simbolo mondiale, che improvvisamente diventa di proprietà cinese è come un fortissimo colpo di gong che dà un annuncio. La parte importante di quell’annuncio è che la Pirelli, benché impieghi gli stessi lavoratori italiani e gli stessi manager italiani a tutti i livelli (certo una garanzia per il prodotto e un grado di sicurezza per i dipendenti) non è più un’azienda italiana. E dunque una pedina importante va rimossa dalla tavola del gioco. Qual è il gioco? È un gioco per metà economico, per metà di influenza e prestigio: quanto conti nel mondo? È un gioco meno grossolano di quello che sembra, perché non parliamo di armi e neppure di ricchezza, ma di prestigio. L’Italia ha, e ha avuto, brutti momenti, ma certi aspetti del suo prestigio (per esempio il suo riconosciuto potere industriale e la dimensione di quel potere) ha mantenuto rilevante e rispettabile la sua immagine nonostante il perdurante spettacolo di sangue di mafia, ’ndrangheta e camorra, allo stesso tragico e ridicolo. Ma come fai a non rispettare, anche nelle relazioni internazionali, anche nei confronti delle piccole e minime imprese (piccole ma italiane), anche nei confronti dei suoi scienziati e dei suoi studenti, un Paese che ha la Pirelli e la Fiat? L’ingresso Pirelli a Milano LaPresse SCENARI FUTURI Non è solo una questione di fatturato, ma anche di prestigio internazionale. E a farne le spese sarà la nostra laboriosa industria minore ti coloro che non possono permettersi di perdere pubblicità Fca, l’Italia ha perduto per sempre il prestigio che veniva dall’essere la casa (dunque anche il luogo) della Fiat, con il valore, conosciuto e apprezzato, non solo dei prodotti ma anche delle persone addette alla grande fabbrica mondiale italiana. Infatti, per non creare equivoci, la Fca ha rapidamente americanizzato anche la Ferrari, che aveva dato per decenni al Paese Italia il prestigio che nessun governo e nessuna politica avrebbe mai potuto dare. E ormai si deve dire “ai tempi di Agnelli” e “ai tempi di Montezemolo” per indicare epoche diverse in cui tutto ciò che adesso è americano e quotato alla borsa di New York (ma con tasse pagate a Londra e sede legale in Olanda) era italiano. DUNQUE il caso Pirelli (grande impresa-simbolo italiana, che resta teoricamente in Italia benchè diventata di proprietà cinese) e il caso Fiat, che ha radicalmente traslocato nell’altro Paese egemone, gli Usa, pur lasciando fabbriche minori (alcune ferme) in Italia, sono casi identici di amputazione dal corpo italiano di parti essenziali all’identificazione di questo Paese. Si può capire che il governo se ne occupi poco e finga anzi di leggere a rovescio questi due gravissimi episodi di perdita del prestigio industriale italiano (lealmente Marchionne aveva ritirato la Fiat dalla Confindustria prima della rimozione dei suoi punti decisionali, industriale, fiscale, legale) andando a dire che ci comprano perché finalmente siamo desiderabili. Renzi, infatti, come Berlusconi, preferisce fabbricarsi il prestigio da solo attraverso il controllo delle notizie e – mentre perde Fiat e Pirelli – mostra di compiacersi (spero non in buona fede) per i grandi risultati raggiunti. Come è noto, una parte dell’indotto ex Fiat si è accodato all’esodo verso Detroit, e la stessa cosa sta succedendo – verso la Cina – intorno alla Pirelli. Ma i contraccolpi saranno duri per la piccola e laboriosa e popolatissima Italia dell’industria minore. Chiunque si presenti in giro per il mondo non viene più dal Paese della Fiat, della Pirelli, della Ferrari. Viene da un Paese di vacanze a cui, fuori stagione, non è così urgente prestare attenzione. Ora la grande impresa (vedere il fatturato) resta la malavita, con sede operativa e manodopera tutta italiana. FATTI DI VITA di Silvia Truzzi SULLA HOME PAGE dell’Huffington Post ieri mattina campeggiavano due foto: Maurizio Landini e Francesco Piccolo. Il leader della Fiom e l’ultimo premio Strega, da molti indicato come l’intellettuale di riferimento del renzismo di lotta, soprattutto di governo. Nell’intervista al giornale on line diretto da Lucia Annunziata, Piccolo se la prende con Landini. Se la prende storicamente non personalmente, naturalmente: “È un discorso sulla sinistra che si sente pura, il mio giudizio su Landini è storico, non personale. E lo esprimo nel pieno rispetto delle sue idee e di quelli che le condividono”. Fatta la doverosa premessa, la tesi è: Landini è reazionario. Il che ha lo stesso effetto comico di quando Peppone tuona contro “la signora reazione che con ignobili insinuazioni tenta speculazioni ai danni del popolo”. Ma almeno Peppone faceva il meccanico, non l’intellettuale. Spiega lo scrittore che lo scontro “si apre ogni volta che la sinistra si fa concreta, diventa di governo, e deve mettere in atto le cose. Di fronte a questo appuntamento, in cui ci si espone alla fragilità del non farcela, c'è sempre nella sinistra un risveglio di purezza. Contrapporre alla fragilità della concretezza la purezza degli ideali è una n Q uando si alza in piedi e fissa l’aria Yolanda appare una Manitù femminile. Serena e ieratica, un’energia muta che mette in subbuglio il cuore. I giovani che la guardano capiscono in un attimo che assisteranno a un rito straordinario. Propiziatorio e di maledizione, denuncia e supplica, offerta e richiesta di aiuto. Yolanda Moran viene da Coahuila. È la madre di uno dei 27 mila desaparecidos messicani. La ripete spesso quella cifra, come un mantra. Ventisettemila. Per spiegare che il suo paese è allo stremo, che le mille e più vittime innocenti della mafie che contiamo in Italia in un infinito rosario civile, sono nulla davanti a ciò che accade nella sua terra. Ventisette volte solo gli scomparsi, le vittime della cosiddetta “desapariciòn forzada”, più delle vittime del conflitto afghano; e 150 mila i morti. ne sequestrato sei anni fa dai militari, suo figlio, 35 anni, professione contabile. Alle spalle, appoggiato a una finestra, ha un altro cartello. Lì le foto sono cinque. Quelle dei nipoti, dei figli del figlio. Una scritta straziante: “Donde està mi papà?”. Spiega però che a dispetto delle foto lei vuol parlare di tutti, perché tutti i 27 mila son “mis hijos”, miei figli. Per tutti vale il grido che sale da migliaia di famiglie: “Vivos se los llevaron, vivos los queremos”. Gli studenti tacciono. Ne hanno sentito parlare, del caso messicano. Qualcuno l’ha studiato. Ma un simile coinvolgimento emotivo non lo immaginavano. Quella specie di divinità india che racconta dolore e non piange, che dice di volere ritrovare vivo suo figlio senza emettere un gemito, spiega la Storia CON YOLANDA c’è Victor, il suo RIMPROVERA indirettamente chi parla solo degli studenti di Ayotzinapa. “È stato un episodio terribile”, dice, “ma prima ce ne sono stati a migliaia senza che nessuno se ne accorgesse”. Nemmeno i giovani. Ed è questa forse la parte più amara del suo incontro con gli studenti milanesi. Quando racconta che lei ci è andata alla manifestazione nazionale di Libera a Bologna. “Corruzione, mafie, impunità”. Sembrava si parlasse del Messico e invece era l’Italia. E invece c’era una immensa differenza: la marea di giovani e giovanissimi che manifestavano, una specie di miracolo per lei. “Perché da noi e con noi i giovani non ci sono. Come non ci sono gli intellettuali, che fingono che non stia accadendo nulla. Dopo il sequestro di Ayotzinapa, chissà se alla marcia che faremo il 10 maggio non saranno finalmente con noi anche gli studenti”. Yolanda coordina l’associazione Fundem Regiòn Centro, dove Fundem sta per “Fuerzas unidas por nuestros desaparecidos en Méjico”. La foto del figlio Dan Jeremel Fernàndez appesa al collo mentre parla diritta e orgogliosa in un’aula universitaria le conferisce quasi una forza magica. Ven- no stati impiegati l’esercito e la marina e alla fine l’han trovato vivo. Vuol dire che si può. Ma quando noi denunciamo una scomparsa subito ci fanno sentire in colpa: che cosa faceva, se trafficava in droga, se era uno di loro”. “Ma subite minacce, le autorità vi intimidiscono?” chiede una studentessa. Yolanda non mente, non semina adrenalina gratis. “No, non ci succede nulla, anzi il governo ci riconosce, ci ringrazia, ci usa come alibi per le sue mancanze, ma poi quando vanno a cercare nelle fosse comuni (qui Yolanda chiede di proiettare una foto da capogiro) non trattano con delicatezza i cadaveri, ci vanno su con le pale, li sollevano come cose, e noi madri andiamo sul posto appena lo sappiamo, per chiedere rispetto per i nostri figli.” Yolanda Moran TUTTI IN MARCIA Sono 27 mila le persone scomparse nel nulla. Un’associazione si batte per ritrovarle, nel silenzio assordante del resto del mondo che si sbarazza dei diritti e del progresso con una gomitata. È un panorama che toglie il fiato. Sono desaparecidos anche poliziotti, medici, infermieri, tecnici di telecomunicazioni, chissà che uso ne fanno. Il governo osserva, solo uno Stato su 32 ha modificato le sue leggi per contrastare le sparizioni. “Quando è toccato di essere rapito a un amico dell’ex presidente Calderòn, so- vice alla guida dell’associazione. Insieme vanno nelle scuole, anche all’estero. A chiedere alla gente l’aiuto che i governi non danno, a spiegare che chi compra droga finanzia gli assassini dei loro figli. “Los Zetas e i cartelli del Golfo hanno rapporti con ’ndrangheta e camorra”, spiega, come per dare una dimostrazione geometrica di quel che ha detto. Dati, foto, numeri: “Cinquantaquattro sono i giornalisti uccisi, contati da Amnesty, non da noi”. Ma anche la speranza, la marcia del 10 maggio che diventa un successo davanti ai media del mondo e rende impossibile il silenzio. Alla fine la supplica, una parola sola, accolta da un applauso interminabile. “Aiutateci”. Una studentessa calabrese si getta al collo di Yolanda, si stringe a lei per lunghissimi minuti, guancia a guancia, in un silenzio irreale. Un ricercatore che si occupa da mesi della resistenza civile messicana (ma loro la chiamano “resiliencia”) ha deciso: il 10 io ci vado. Un giovane giurista ammonisce i colleghi: dobbiamo fare di più per il Messico, deve diventare una questione nostra. Bello questo paese dove non tutti dicono “abbiamo già i nostri problemi”. Yolanda, con le sue parole e i suoi silenzi, ha vinto un’altra delle sue infinite battaglie. Piccolo, Landini “il reazionario” e la Locomotiva di Guccini strada seducente, irresistibile. Stavolta tocca a Landini incarnarla”. LA SINISTRA concreta è quella di governo. La sinistra del Jobs Act, dell’articolo 18, del superpreside nella buona scuola. La sinistra delle riforme, il pateracchio del Senato dei nominati e dell’Italicum fotocopia del Porcellum. La sinistra del fare che vuol governare a suon di premi di maggioranza e listini bloccati. La sinistra del decreto legge. È questa la sinistra che, dice Piccolo, è diventata adulta. Perché ripeness is all, la maturità è tutto e dunque non si può restare ostaggio delle idee, non diciamo ideologie che sono morte e sepolte da decenni. Il governo del fare mette le mani nelle cose. E questo sarebbe di per sé un bene? Che senso ha l’apologia dell’agire se le azioni sono quelle, molto discutibili, viste in questi mesi? Agire, ma per fare cosa? Sembra una domanda inutile, senza importanza, in quest’orgia laudante del premier facitore. È tutto un elogio della velocità, del piglio, dell’energia. Ma è sul cosa e sul come, che Landini vuol portare l’attenzione e il segretario della Fiom ha ragione quando rivendica come politica la sua iniziativa. n Dice lo scrittore che le persone hanno un’irresistibile attrazione verso lo scatafascismo. Ma il mito del progresso (chissà se Piccolo se lo ricorda ancora il treno della Locomotiva gucciniana) è un mito smentito dai fatti: basta guardare la classe dirigente dei tuìt e delle slide. Gente che non risponde mai sul punto, mai nel merito alle obiezioni. Quelle rare volte che le obiezioni vengono considerate e non rispedite al mittente con gentilezze tipo ”tutti gufi e rosiconi”. Prima non andava tutto meglio? È più convincente il “non c’è limite al peggio”. Da “l’ottimismo della volontà”, passando per “l’ottimismo è il sale della vita” della pubblicità, era un fatale arrivare al “preferisco avere il mito del futuro che quello del passato”. Per questo il pessimismo della ragione è più che mai una risorsa. Da ultimo: chi si autodefinisce intellettuale suscita sempre una certa diffidenza. Non solo perché spesso l’uso del cervello viene confuso con l’uso di mondo, o perché a intellettuale seguono aggettivi come “libero” o “cosmopolita” oppure, perché no, “organico”. Soprattutto per la presunzione di intelligere. @silviatruzzi1 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 29 MARZO 2015 23 SENZA RETE Antonio Padellaro Viva Renzi e il Jobs Act! Ma addio all’articolo 18 Riforme in fretta e furia: come al Palio di Siena Così la scuola assorbirà tutti i difetti dell’Italia Oggi, come tutti i giorni, Renzi ha occupato tutte le tv, e come un personaggio in cerca d’autore, può dire tutto e il contrario di tutto. Con quel suo faccione tondo e irriverente, lodava le sue riforme sul lavoro e spiegava che sono circa 80.000 le richieste di lavoratori da parte delle aziende. Quindi il lavoratore con il contratto a tempo indeterminato, può tornare padrone della sua vita. Può accendere un mutuo e può creare una famiglia. Il futuro è suo, viva Renzi, viva il jobs-act! Poi qualcuno spiegherà a Renzi che mettere una vocale e una consonante davanti a “determinato” non vuol dire lavorare tutta la vita, l’articolo 18 non c’è più. Renzi, l’articolo 18 non c’è più. Capito? No, caro Orlando ministro per caso, ma poi non tanto, la corruzione non è affatto un’emergenza nazionale se si intende, come per quasi tutti i suoi indecorosi predecessori, che bisogna di corsa approvare, solo perché costretti dagli scandali che vi sommergono, una legge incompleta, pasticciata e certamente piena di paludi. L’emergenza c’è da oltre vent’anni, da quando il suo partito gridava la necessità di intervenire drasticamente. Salvo, come ora, perdere due anni Ho un timore per la scuola italiana. Nessun partito, nessun sindacato, nessun giornale ha denunciato con la determinazione adeguata il pericolo che contiene il ddl scuola: se diventerà legge, i presidi potranno scegliersi e licenziare a piacimento i professori. La scuola italiana ha molti difetti, ma ha anche un grande pregio: il pluralismo di idee, caratteri, metodi. In altre parole, la varietà. Dopo la legge, invece, dovremo aspettarci il varietà, il teatrino di insegnanti am- Il ritorno della legge bavaglio NELLA REPUBBLICA democratica fondata sul lavoro è giusto che il malaffare sia scoperto con le intercettazioni. Ma nella Repubblica del privilegio e del malaffare, nella quale viviamo, le intercettazioni creano necessariamente odiose disuguaglianze fra criminali: alcuni, arrestati, perdono onori e privilegi; altri, sfuggiti alle intercettazioni, potrebbero perseverare nel malaffare e giungere a ricoprire le più alte cariche dello Stato. O forse vogliamo continuare a credere che i criminali sono soltanto quelli assicurati alla giustizia? Antonio Palese la vignetta ONESTAMENTE non mi importa assolutamente nulla del come siano ottenute le intercettazioni, se le ha ordinate il giudice, un appuntato dei carabinieri o anche semplicemente un netturbino mentre spazza le strade. L'unica cosa di cui mi importa è il loro contenuto, e se esso è penalmente rilevante allora ritengo che debbano essere di pubblico dominio, anche prima di usarle nell'aula di un tribunale. Questo perché sono convinto che la gente debba sapere chi sono questi lestofanti e quali danni fanno al nostro Paese (e quindi a noi stessi!). Claudio Marchetti Ecco perché l’Inghilterra è una democrazia adulta Non dimentico che la democrazia in Inghilterra se la sono pagata per secoli con i “soldi degli altri”. E neppure che gli inglesi non hanno mai smesso i panni di sudditi. E da ultimo, non dimentico che per chiedere scusa alla memoria di Alan Turing, morto suicida dopo essere stato castrato chimicamente per mano dello Stato, perché omosessuale, la Regina ha riflettuto per sessant’anni. Ma la distanza fra la sentenza della Corte suprema inglese che dà ragione al Guardian e consente che le lettere indirizzate dal Principe Carlo a membri del governo Blair vengano pubblicate e la sentenza della Corte costituzionale italiana che ha dato torto alla Procura di Palermo e ha comandato addirittura di distruggere le registrazione delle conversazioni di Napolitano con Mancino, indagato per la “trattativa fra Stato e mafia”, segna la differenza fra una democrazia adulta e una bambina. dalla proposta Grasso, che si annacqua con brodini e impacchi, appelli all’unità in nome del Paese e inciuci sottobanco per proteggere questa o quella posizione personale o per scambiare misere concessioni. Sembra di essere al Palio di Siena: sono quasi sempre gli stessi, cincischiano, si sgambettano, scalciano, frustano i cavalli, girano e rigirano sulle proprie posizioni poi entra all’improvviso il fantino, la cui contrada ha pagato, che in tre giri di corsa impone la conquista del trofeo e il popolo esulta. Intanto, in attesa del prossimo, già ricominciano le trattative. Vittorio Melandri Giampiero Buccianti Francesco Non credo che il governo Renzi davanti all'incessante banchetto delle cricche sulle Grandi Opere oserà limitare le inter- maestrati al volere del dirigente scolastico. Il quale sceglierà, come è ovvio che sia, dipendenti a lui affini per pensiero e comportamento. Ciò potrebbe andare bene in un’azienda, ma non nella scuola pubblica. Dovremo aspettarci gli immortali raccomandazione, servilismo, conformismo italici, ai quali sarà costretto a chinarsi, per la sacra pagnotta quotidiana, anche il docente e con lui tutta la scuola. Daniele Barni Presidente Mattarella, ”Perché non parli?” Non so capire per quale motivo il nostro presidente Mattarella sia silen- te di fronte alla possibile approvazione della nuova legge elettorale, peggiore del Porcellum che lui decretò incostituzionale, è molto simile alla famosa legge Acerbo che sdoganò il fascismo. Unita alle riforme che i Renzi e Verdini vogliono fare della Costituzione, la democrazia sarà un ricordo e rischiamo che milioni di elettori siano Extraparlamentari. Siamo passati dai moniti “napolitani” su tutto, al silenzio assordante. Sarebbe auspicabile una presa di posizione a favore della costituzione nell’interesse di tutti i cittadini e non solo del potere costituito. il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Vicedirettori Ettore Boffano, Stefano Feltri Caporedattore centrale Edoardo Novella Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Massimo Giorgi cettazioni come fondamentale strumento d’indagine. Rispunta invece il Bavaglio dimostrando così che l’ossessione permanente del potere politico (e del potere in generale), di qualsiasi origine e colore, innovato o rottamato che sia, è sempre la stessa: su intrallazzi e ruberie meno si sa meglio è. In nome della privacy sono alla studio misure che di fatto possono uccidere la libertà di stampa garantita dalla Costituzione. Infatti, può essere sufficiente la pubblicazione di un colloquio ritenuto non penalmente rilevante perché i giornalisti finiscano in galera; senza contare il danno economico per le testate dissanguate da multe e risarcimenti. Per quale motivo l’opinione pubblica non deve sapere con chi ha a che fare, al di là dei reati commessi? Del resto, i nuovi censori sono gli stessi che citano (quando gli fa comodo) il grande liberale Luigi Einaudi che diceva: conoscere per deliberare. Ma se non si fosse saputo del Rolex ricevuto in gentile omaggio da Lupi junior, così come dell'impiego assicurato dal grande costruttore, Lupi ministro sarebbe stato mai costretto alle dimissioni? Eppure non era indagato. Quanto ai giornali, esiste un codice deontologico che potrebbe essere reso più rigoroso per evitare abusi. Senza contare che sono tonnellate le intercettazioni sulla vita privata di questo o di quello che i giornali non hanno mai pubblicato perché non rilevanti. E senza che ci fosse bisogno dei carabinieri. Non c’è nessuno sconto in bolletta: è primavera Poco da esultare per Sollecito e Knox Puntuale come l’arrivo della ora legale, l’autorità garante di elettricità e gas comunica alle famiglie italiane una riduzione di costi del 1,1 per cento (elettricità) e ben del 4 per cento (gas), dovuta al calo della materia prima. Ma chi credono di prendere in giro queste “authority”? Si sa: con l’arrivo della bella stagione si spengono le caldaie e i riscaldamenti e, appunto, con l’introduzione della ora legale si consuma meno corrente in casa. Come mai questi forti abbassamenti di prezzo non li fanno mai in inverno? È comprensibile la soddisfazione degli imputati e dei loro familiari per la decisione della Suprema Corte: annullamento, senza rinvio, della condanna, in appello, per l’omicidio di Meredith Kercher, degli imputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Ma è opportuno bandire ogni forma di esultanza e di tifo calcistico per i giovani, che sono stati prosciolti, dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione preventiva. Un alto magistrato della Cassazione aveva chiesto la conferma delle sentenze in Appello. La Corte non ha accolto la Rolando Marchi Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez, Layla Pavone, Marco Tarò, Marco Travaglio Pietro Mancini Alfano senza ritegno e Renzi “sputa-noccioli” L’ultima del ministro dell’Interno Angelino Alfano di “rubare” i contenuti delle mail, dei cellulari, dei tablet e via dicendo è di una gravità tale che questo signore meriterebbe l’allontanamento dall’Italia. Ma Matteo Renzi gli perdona tutto. Del Resto senza Ncd non avrebbe i numeri per governare e il suo obiettivo principale è dare compimento alle riforme costituzionali. Poi sputerà Alfano e Ncd come si fa con i noccioli dell’uva. È ributtante l’evidenza che questi politici trattano gli italiano come sudditi, possibilmente da schiavizzare. Ma il neo eletto presidente della Repubblica non sente il bisogno di dire qualche parolina, o forse fare di più che non dire, per arginare questo schifo? Poveri noi. È proprio vero che al peggio non c’è mai fine ed è triste che rischiamo di essere sottomessi alla mediocrità di questa gentaglia malvagia. Roberto Maria Bacci Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 220,00 e • 5 giorni (dal lunedì al venerdì) • Abbonamento postale semestrale (Italia) • 5 giorni (dal lunedì al venerdì) Prezzo 135,00 e • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni ABBONAMENTO DIGITALE • Mia - Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) Abbonamento settimanale 5,49 e Abbonamento mensile 17,99 e Abbonamento semestrale 94,99 e Abbonamento annuale 179,99 e È possibile sottoscrivere l’abbonamento su: https://shop.ilfattoquotidiano.it/abbonamenti/ • il Fatto Quotidiano - Pdf (su Pc) Abbonamento settimanale Abbonamento mensile Abbonamento semestrale Abbonamento annuale • Servizio clienti [email protected] 4,00 e 15,00 e 80,00 e 150,00 e • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 290,00 e • 6 giorni (dal lunedì al sabato) • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e • 6 giorni (dal lunedì al sabato) * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente: Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: sua richiesta e l’esito delle lunghe indagini è stato cancellato. E, dunque, l’ambiziosa avvocatessa Giulia Bongiorno eviti di paragonare Sollecito a Forrest Gump. E di esaltare come “eccezionale” il comportamento del suo assistito, sobrio e rispettoso delle diverse, e antitetiche, sentenze di vari collegi giudicanti. Soprattutto, tutti rispettino il dolore dei familiari della giovane inglese: venuta in Italia per studiare, è stata massacrata, a Perugia, in una lontana notte di novembre. Non sono stati sufficienti 8 anni alla giustizia del nostro Paese per scrivere, in nome del popolo italiano, la chiara e definitiva verità su tutti i responsabili di quel delitto efferato. Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. A., 09034 Elmas (Ca), via Omodeo; Società Tipografica Siciliana S. p. 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Questo è l’atteggiamento corretto e laico che si dovrebbe tenere alla fine di un processo indiziario. Diversi indizi facevano ritenere gli imputati colpevoli, altri facevano dubitare che lo fossero: il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, rimesso alla discrezionalità dei giudici. La stragrande maggioranza di essi ha deciso per il mezzo pieno, la minoranza per quello vuoto, che ha prevalso solo perché ha convinto gli ultimi. Con l’“aiuto”, va detto, delle incredibili pressioni americane (chissà se il povero Guede sarebbe dentro a espiare la pena da solo per un delitto commesso con altri, se anziché un nero ivoriano fosse anche lui un bianco targato Usa). Chi poi sostiene che Amanda e Raffaele non andavano neppure processati non sa quel che dice. Le indagini della Scientifica e le ultime perizie sul coltello e sul gancetto del reggiseno della vittima, il memoriale scritto da Amanda e poi rimangiato, le mezze parole di Guede “chiamavano” la Knox e Sollecito sulla scena del delitto. Altrimenti perché Amanda, nel primo interrogatorio senza difensore, quando nessuno ancora sapeva nulla dell’esistenza di Rudy, descrisse l’omicidio attribuendolo a Patrick Lumumba, il “nero sbagliato” (“ricordo confusamente che Patrick ha ucciso Meredith”), e fu perciò condannata definitivamente a 3 anni per calunnia? Se lei non era lì, che ne sapeva del delitto e dell’assassino? E, se lei non c’entra, perché calunniare un innocente? E perché Raffaele mentì sull’alibi della fidanzata (“quella sera Amanda dormì a casa mia”), subito sbugiardato da vari testi? E chi sono i complici di Rudy, visto che nella stanza di Meredith c’erano tracce solo di Rudy, di Amanda (il suo Dna sul coltello) e di Raffaele (il suo Dna sul gancetto) e che il processo a Rudy ha accertato che il suo ingresso nell’alloggio fu “favorito da Amanda”? Gli indizi, anche scientifici, che han tenuto in carcere i due non li ha valutati solo la Procura: li hanno confermati un gup, 9 giudici di tre diversi Riesami e 5 di Cassazione. Se la Procura avesse messo in cassaforte la confessione di Amanda, scovando un avvocato d’ufficio la notte in cui sapeva tutto e accusava Patrick prima di chiudersi a riccio, anziché continuare a sentirla senza difensore e rendere così inutilizzabile quel verbale, forse oggi racconteremmo un’altra storia. Idem se Rudy avesse parlato chiaro. Quindi, per favore, si prenda atto dell’assoluzione. Ma nessun processo alla giustizia italiana, tantomeno dagli Usa: lì, dopo la prima condanna, buttano la chiave. Noi invece facciamo i processi in nome del popolo italiano con tanto di giuria popolare, poi li rifacciamo in nome di un altro popolo italiano, e ci concediamo pure il lusso di due verdetti (contrastanti) di Cassazione. Quindi, anziché vaneggiare di ingiustizie da risarcire, è il caso di frenare le isterie – come peraltro fanno saggiamente gli avvocati difensori – e accontentarsi. Qui gli unici da risarcire sono la buonanima di Meredith e la sua povera famiglia. RIMASUGLI Non c’è Speranza, è inutile bussare di Marco Palombi oberto Speranza da PoR tenza ha 36 anni, di mestiere fa il capogruppo del Pd, è bersaniano (qualunque cosa significhi) ed è uno degli almeno dieci democratici a cui Renzi ha promesso un posto da ministro se otterrà l’Italicum. Raggiungere un’aurea mediocritas è la speranza di Speranza: per ora infatti sulla mediocritas non si discute, ma l’oro scarseggia. È un vero politico, in ogni caso. Di lui si potrebbe dire quel che Fortebraccio scriveva di Forlani: se qualcuno non avesse avuto l’ardire di offrirglielo fritto al ristorante, non avrebbe mai avuto contezza dell’esistenza del cervello. L’assenza di Speranza, però, è più radicale di quella dell’Arnaldo: manca di tutto, anche se va riconosciuto che non se ne fa un cruccio. “Non entrare mai nel merito”, è l’unico consiglio – ci dicono – affidatogli dal suo mentore al momento dello sbarco a Roma e così s’è sempre brillantemente regolato. Ora, proprio in grazia della sua presenza sempre assente, il giovane Roberto gestisce la mediazione tra minoranza Pd e Renzi sulla legge elettorale. Ci avvisa dai giornali che la sua stella polare è “costruire l’unità del Pd”. Vuol dire che alla fine farà quel il Fatto Quotidiano che dice il premier. Dopo però, volendo rinfacciargli il cedimento, non si potrà. Chi bussasse alla sua porta sentirebbe solo una voce: “Non c’è Speranza”. Sulla sua sedia, a mo’ di avviso, il “biglietto” di Giorgio Caproni: “Se non dovessi tornare / sappiate che non sono mai / partito”. La Speranza, d’altronde, è femmina e, come tale, mobile. E Renzi si sente mobiliere.