Alessandra Poggiani lascia l’Agenda digitaleperché il governo parla molto
ma combina poco. Però si candida col Pd in Veneto.Innovazione all’italiana
Domenica 29 marzo 2015 – Anno 7 – n° 87
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
744
giorni da quando Pietro
Grasso presentò la legge
anticorruzione: mai votata
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
33
giorni da quando Il Fatto
ha denunciato i vitalizi
ai parlamentari condannati
38
giorni di permanenza di Verro
nel Cda Rai dopo che il Fatto
ha svelato la sua lettera a B.
116
Il suicidio Meredith
di Marco Travaglio
giorni da quando Renzi ha
promesso in tv di pubblicare
la lista dei finanziatori del Pd
» DUE PROCURE » La doppia inchiesta sui filtri antiparticolato per i diesel
Lo scandalo dell’anti-smog
che ha ingrassato i soliti noti
A Torino si indaga su sicurezza e danni ambientali, a Roma c’è
un fascicolo sulle omologazioni illecite concesse a Fiat e Pirelli
dal ministero dei Trasporti e quella negata alla società veneta
Dukic. Intanto, nelle nostre città, le polveri sottili continuano
ad aumentare
Della Sala, Palombi e Tecce » pag. 10 - 11
Udi Furio Colombo
TRONCHETTI E FIAT:
LA FINE DI UN PAESE
» pag. 22
LANDINI RIEMPIE LA PIAZZA
ASSE CON M5S CONTRO IL JOBS ACT
Il leader Fiom lancia la Coalizione sociale:
“Basta slide, Renzi peggio di Berlusconi”
Di Battista e Morra: “Pronti per referendum
e reddito di cittadinanza”. Il Pd: “Ci vediamo
Cannavò, De Carolis e Marra » pag. 2 - 3
alle elezioni”
Udi Stefano Rodotà
UNA MASSA
CRITICA CHE
NON S’ARRENDE
AI TWEET
» pag. 2 - 3
NON APRIRÀ IN TEMPO
Expo, il flop
di Palazzo Italia
e l’imbarazzo
di Mattarella
RAI E STAMPA ALL’IMPREGILO TOUR
Gli spiaggiati a Panama sono 19
Tarantola: “Ora provvedimenti”
Ferrucci » pag. 5
Maroni » pag. 4
VITE PARALLELE
» I PITTORI DIPINTI
Così Craxi creò
il format dell’uomo
solo al comando
di Antonio
y(7HC0D7*KSTKKQ( +,!"!@!$!}
Padellaro
ultima volta che
L’
parlai con Bettino Craxi era il 1998 e
lavoravo all’Espresso.
Gli telefonai ad Hammamet. » pag. 8 - 9
IL FRATELLO LUIGI
I dubbi pacifisti
di Leonardo
maestro di guerra
“FIERO CHE FELLINI
NON ABBIA MAI
VISTO I MIEI FILM”
Dario Fo » pag. 13
LA CATTIVERIA
La Cassazione assolve
Amanda Knox
e Raffaele Sollecito
dall’accusa di essere negri
» www.forum.spinoza.it
Udi Nanni Moretti
» pag. 19
L’altro De Gregori
“Io, Francesco
e la magia
del Folkstudio”
Pagani » pag. 16 - 17
SULLA APP
MIA
La rubrica di
Patrizia De Rubertis “Usi e consumi”:
tutto sul Tfr
in busta paga
ome già l’altra in appello,
C
anche l’assoluzione di
Amanda Knox e Raffaele Solle-
cito in Cassazione ha innescato
commenti demenziali sul delitto
di Meredith Kercher: pare quasi
che, 8 anni fa a Perugia, la studentessa inglese si sia suicidata.
O che l’unico condannato (a 16
anni con lo sconto del rito abbreviato), il giovane ivoriano
Rudy Guede, tuttora detenuto
perché colpevole di “concorso in
omicidio commesso da altri”,
fosse solo soletto sulla scena del
delitto. Non sappiamo che cosa
scriveranno i supremi giudici
nelle motivazioni, ma sappiamo
quello che non potranno scrivere: e cioè che Amanda e Raffaele
non c’entrino nulla con quel caso, o che gli inquirenti abbiano
preso un abbaglio con un duplice
scambio di persona, mettendo in
carcere due estranei e tenendoceli per 4 anni. Probabilmente si
limiteranno a dire che le prove
ritenute sufficienti dalla Corte
d’Assise di Perugia (2 giudici togati e 6 popolari) che li condannò, dalla Corte di Cassazione (5
togati) che annullò la loro assoluzione in appello, e dalla Corte
d’Assise d’appello di Firenze (2
togati e 6 popolari) che li ricondannò, sono per loro insufficienti. E, siccome per convenzione
l’ultimo verdetto è quello buono,
la verità processuale si ferma qui.
Il che non vuol dire che questa
(fondata sulle prove certe e legittimamente raccolte) collimi con
la verità dei fatti (che di solito è
molto più vasta, ma spesso indimostrabile), né che le sentenze
precedenti siano sbagliate.
Ciascuno poi, se conosce le carte, è libero di pensare che Meredith l’abbiano uccisa Amanda, Raffaele e Rudy (come dicono ben 35 giudici in 6 sentenze:
primo grado, secondo appello e
prima Cassazione sui due ex fidanzatini, più le tre emesse su
Guede dal gup, dalla Corte d’assise d’appello e dalla Cassazione), oppure Rudy con altri due
Mister X (come pare desumersi
dai due soli verdetti favorevoli,
scritti da 13 giudici: il primo appello e la seconda Cassazione).
Se una sezione di Cassazione dice che Amanda e Raffaele sono
gli assassini e un’altra che le
prove non bastano a dichiararli
tali, non è che una è più Cassazione dell’altra: semplicemente
hanno valutato diversamente
gli indizi, come sempre avviene
nei processi indiziari, cioè privi
della prova schiacciante, la cosiddetta “pistola fumante”. Il risultato finale lo conosciamo e
ne dobbiamo prendere atto:
Guede condannato, Sollecito e
Knox assolti. Ma siamo liberissimi di pensare, volendo, che si
tratti di un errore giudiziario (lo
è anche l’assoluzione di un colpevole, non solo la condanna di
un innocente). Oppure che sia
un verdetto giusto (non si condanna se non “oltre ogni ragionevole dubbio”).
Segue a pagina 24
2
POLITICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
D
ietro al bacio,
la giornata sottotono
del segretario Cgil
È SALITA SUL PALCO quasi senza farsi vedere dalla
piazza. Spostandosi in fondo solo al momento
dell’intervento di Landini. Susanna Camusso era arrivata poco prima e aveva percorso a ritroso il corteo. Poi, il bacio di saluto con Landini. Ai giornalisti,
che la reclamavano con insistenza, ha rilasciato solo
poche parole: "In questa piazza ci sono metalmeccanici iscritti alla Cgil che sono lavoratori giusta-
il Fatto Quotidiano
mente in lotta perché la legge delega sul lavoro riduce i diritti, perché vogliono rinnovare il contratto
di lavoro, perché sono il settore che ha pagato più
pesantemente la crisi in termini di disoccupazione”.
Landini l’ha citata solo alla fine del proprio intervento. Rodotà ha ricordato la legge sull’articolo 81
della Costituzione che porta la sua firma. Una giornata davvero sotto tono per il segretario della Cgil.
LANDINI HA PIAZZA E POPOLO
BUON SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE FIOM: “SIAMO STANCHI DI SPOT E SLIDE, RENZI È PEGGIO DI B.”
di Salvatore Cannavò
U
na piazza rossa,
colma di bandiere
della Fiom. Se Matteo Renzi pensava
che la manifestazione di ieri
fosse una “non notizia”, è stato
smentito.
Maurizio Landini ha portato a
Roma molta più gente di quanta ne abbia portata Matteo Salvini riempendo Piazza del Popolo come non capitava da anni. Lo ha fatto con una organizzazione, la Fiom, che si conferma zoccolo duro del sindacalismo italiano e in cui si preservano le tradizioni di sinistra.
Prova ne è la colonna sonora
della manifestazione fatta di
Bella ciao, l’Internazionale e
addirittura Contessa.
A TANTA FIOM non ha corri-
sposto un’adeguata presenza di
soggetti e movimenti che dovrebbero comporre la “coalizione sociale” proposta da Landini. Hanno parlato gli agricoltori del Tavolo verde, i precari
della scuola, gli studenti, i movimenti per la casa, è stato letto
un intervento di Gustavo Zagrebelsky, solo un disguido ha
impedito di ascoltare la voce di
Gino Strada dalla Sierra Leone.
Ma la giornata è stata della
Fiom: “Lo avevamo detto che
non ci saremmo fermati” dice
Landini “ecco perché siamo
qui, la coalizione è ancora una
proposta e va tutta costruita”.
A descrivere il progetto, però,
quasi didascalicamente, ci hanno pensato i due interventi centrali del pomeriggio. Quello di
Stefano Rodotà, una lezione di
politologia che, oltre a lanciare
più di una battuta contro Renzi,
accusato di avere “il complesso
di inferiorità” rispetto ai “professoroni”, ha spiegato come sia
oggi necessario realizzare una
“massa critica sociale” capace di
trasformarsi in “massa critica
politica”. E che sia capace di irrompere anche nelle istituzioni
come dimostra il progetto di
legge popolare sul reddito minimo, presentato in piazza da
Giuseppe De Marzo di Libera,
che ieri ha avuto anche un sostegno dal M5S. Un’alleanza
che, se dovesse crescere, potrebbe creare un fatto politico
nuovo.
Ancora più chiaro è stato poi
Landini, nel corso del lungo e
molto applaudito intervento.
“Si tratta di tornare alle radici
del movimento operaio” ha ricordato, riferendosi “all’800,
quando nascevano le Unions”
(titolo della manifestazione di
ieri, ndr.), gli operai inglesi in
sciopero. “Si tratta di ripristinare il diritto alla coalizione impedendo la competizione tra gli
stessi lavoratori”. Landini
COALIZIONE AL VIA
Due coordinatori
per il progetto politico:
Michele De Palma
e Valentina Orazzini.
Un responsabile anche
a livello territoriale
prende a prestito i padri nobili
del sindacato, Giuseppe Di Vittorio e il suo “Statuto dei diritti
dei cittadini lavoratori”, ma anche Bruno Trentin che pensava
“a nuove forme sindacali” (con
la vedova, Marcelle Padovani,
che però non apprezza). “Coalizzarsi significa allargare la
rappresentanza sociale del sindacato e riformarlo democraticamente” ha spiegato, chiarendo che il cuore della proposta è
costituito dalla sfida interna alla
Cgil.
Nei prossimi giorni la Fiom designerà due coordinatori per il
progetto “coalizione” che dovrebbero essere due giovani dirigenti: Michele De Palma, responsabile Auto e già coordinatore dei Giovani comunisti del
Prc e Valentina Orazzini, che si
occupa di rapporti europei e
molto apprezzata all’interno
del sindacato. Anche le Fiom
territoriali dovrebbero organizzarsi per designare dei responsabili e costruire, così concretamente, la nuova rete.
IL COLLANTE DI TUTTO, sia
pure in negativo, è Matteo Renzi. Contro di lui si è espressa la
piazza – “Abbiamo un sogno
nel cuore, Renzi a San Vittore”
– si è esercitato Rodotà intervenuto seduto su una sedia:
“Renzi dice che i professori sono pigri, io lo sono così tanto da
essere venuto con le stampelle”.
Soprattutto, si è dilungato Lan-
dini: “Noi abbiamo più consenso di lui”, ha dichiarato a inizio
manifestazione per poi bersagliarlo: “Siamo stanchi di spot e
slide”, “ha una logica padronale”, “è peggio di Berlusconi”, “la
coalizione sociale l’ha fatta con
la Bce e la Confindustria”, “in
Europa si limita a regalare cravatte a Tsipras”. Ha poi ricordato il Renzi “gasatissimo” in
visita da Marchionne opponendogli lo stile del centenario Pietro Ingrao che, quando fu eletto
presidente della Camera, come
primo atto si recò alle acciaierie
di Terni per dire ai lavoratori
che i “costituenti” erano loro.
Discorso da futuro segretario
della Cgil, impostato su temi
sindacali (salari, occupazione,
orari, contratto) e generali
(pensione, scuola, fisco). Lo dimostra anche il gelo con la segreteria nazionale presente con
Susanna Camusso, Serena Sorrentino e Franco Martini. Anche
altri dirigenti, come la segreta-
ria dello Spi, Carla Cantone,
quello della scuola, Domenico
Pantaleo, e del Nidil, Claudio
Treves, sono stati in piazza. Ma
la Cgil si è vista poco, se non in
forma simbolica. Susanna Camusso è salita sul palco restandone sempre ai bordi e facendo
solo una laconica dichiarazione
ai giornalisti.
DISTANZA ANCHE con la po-
litica. Sia con le rappresentanze
di Sel e Prc (presenti con Nichi
Vendola e Paolo Ferrero) sia con
Stefano Fassina e Pippo Civati
del Pd. Unica eccezione, quando Landini ha parlato di appalti
e corruzione, la richiesta di un
applauso della piazza per Rosi
Bindi in quanto presidente della
commissione Antimafia. Le
conclusioni sono state dedicate
a Giovanni XXIII (“ma non ho la
fede”) e a Pablo Neruda: “Prendi il meglio della tua vita e consegnalo alla lotta”. Tripudio
della folla.
IL DISCORSO
di Stefano Rodotà
“Fare massa critica per decidere”
Proponiamo ampi stralci del discorso che il professor Stefano Rodotà
ha tenuto in piazza del Popolo ieri pomeriggio.
ricordare. Ma senza alzare troppo i toni. Io sono convinto che questa non è né demagogia, né retorica: è nient’altro che la riflessione
sulla situazione italiana (...).
o sono molto felice di essere qui anche invalido (...). C’è un fatto
I
nuovo, un fatto che inquieta molto coloro i quali in questo periodo non sanno confrontarsi con la realtà dei problemi che stanno
IN QUESTO MOMENTO non c’è soltanto una linea di rinnovamen-
vivendo. Qui non stiamo disturbando un manovratore (...). Giovanna Cavallo, poco fa, riportava una frase incauta che ha ripetuto
il ministro del Lavoro. Cioè “ciò che va bene per l’azienda va bene anche
per i lavoratori”. Non so se fosse consapevole Poletti, pronunciando
questa frase, che questo è un modo di dire che negli Stati Uniti c’era
molti anni fa. E si diceva: “Quello che va bene per la General motors va
bene per gli Stati Uniti d’America”. Noi dobbiamo dire una cosa: era
sbagliata questa frase negli Stati Uniti di anni lontani. È ancor più
sbagliata nell’Italia di oggi. Quello che va bene per i lavoratori è
altro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della dignità del
lavoro. Per i lavoratori va bene il riconoscimento della pienezza dei
loro diritti. (...). Allora invertiamo quelle frasi pronunciate negli
Stati Uniti e ripetute in Italia: “Ciò che va bene per i lavoratori va bene
per l'Italia”. Questa è la frase che dobbiamo dire oggi (...). Perchè
quando soffrono le persone nella loro vita quotidiana un Paese sa
che la democrazia è in discussione. Questo è ciò che noi dobbiamo
to incarnata dal presidente del Consiglio alla quale si oppongono
persone arretrate, gufi e via dicendo. Ci sono due linee che sono
venute emergendo con molta chiarezza, e una di queste è proprio
incarnata da questa piazza. E questa linea, attenzione, a mio giudizio, è quella che bisogna far emergere pienamente.
Perchè se oggi c’è una frase che dovrebbe inquietare tutti. È quel dire
“non ci sono alternative”. Quando si dice questo in realtà si dice che
la democrazia è in qualche modo mutilata. (...)
Il discorso pubblico della democrazia italiana è povero in questo
momento. È povero perchè una serie di voci sono state escluse. “Io
REAGIRE ALL’UOMO SOLO AL COMANDO
“La disillusione non deve produrre passività.
La passività è l’anticamera della resa. E non mi pare
che qui ci siano persone disposte ad arrendersi”
non parlo con tutti gli organismi intermedi e quindi in primo luogo con il
sindacato”; “io non parlo con la società organizzata”; “io sto smembrando la
società”; “salto tutti”; “parlo con i singoli”; “e come parlo? Parlo attraverso
i tweet”, che non è la buona comunicazione democratica. E allora noi
dobbiamo ricostruire il discorso pubblico che significa anche ricostruire l’agenda.
I veri problemi del Paese non sono soltanto quelli indicati da Renzi.(...) L’obiettivo di questa che si è chiamata “coalizione sociale” è
esattamente questo: contribuire all’agenda politica del Paese. E questa non è una forzatura, perchè quando in un Paese si rattrappisce
l’elenco delle grandi questioni, qualcosa non funziona (...)
Forse Renzi che respinge con una certa sufficienza attribuendo questa maniera di guardare alle cose a qualche “professorone pigro”, io
sono così poco pigro che sono venuto con le stampelle. Ma forse lui
allude alla pigrizia delle idee. Ma allora la pigrizia delle idee è la sua.
(...) E poi permettetemi di dire una cosa: è abbastanza patetica questa storia che ogni volta tira fuori i professoroni. O non ha altri
argomenti, o ha una sorta di complesso di inferiorità. (…)
Perchè (...) se lui fosse stato attento, l’occasione della riforma elettorale e della riforma costituzionale ci avrebbe potuto dare davvero
un risultato moderno, avanzato, al quale avrebbero guardato altri
Paesi. Non si è voluto fare o non si è avuta la cultura per capire le
proposte che arrivavano. (...) Oggi abbiamo il problema di far sì che
il Fatto Quotidiano
POLITICA
LA REPLICA DI CONFINDUSTRIA
SQUINZI: SINDACATI FRENANO TUTTO
“Una manifestazione politica”. Il presidente di
Confindustria Giorgio Squinzi risponde da Venezia, dove era a un convegno di industriali assieme al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Maurizio Landini lo ha citato più volte nel suo
discorso, e lui replica con una battuta: “Dice
che il Jobs act è stato scritto da Confindustria?
Mai avrei pensato di arrivare al punto di scrivere le leggi”. Squinzi giudica così la manifestazione di Roma: “È l’annuncio di un nuovo soggetto politico che si sta costituendo, in termini
di democrazia è positivo. Mi auguro solo che
non guardi al passato, dove ritengo siano già
stati fatti abbastanza danni”. E punta il dito
DOMENICA 29 MARZO 2015
3
contro “quei sindacati che hanno frenato tutto”.
Sostegno pieno invece a Poletti: “Ha fatto un
lavoro eccezionale, ma ora bisogna andare
avanti, per l’Italia è necessario almeno il 2 per
cento di crescita. E comunque l’avete sentito il
ministro, non c’era bisogna che glielo scrivessi
io il Jobs act, ha dimostrato di saper fare tutto
da solo”.
Di Battista: “Sul Jobs Act
pronti a confrontarci”
I CINQUE STELLE APRONO AL LEADER METALMECCANICO. SUL REDDITO
DI CITTADINANZA IL DISCORSO CON “LIBERA” È GIÀ AVVIATO DA TEMPO
di Luca De Carolis
L
andini chiama, il
Movimento 5 Stelle
risponde. Nel giorno
della prova di forza a
piazza del Popolo, al leader della Fiom arriva l’apertura (cauta)
di Alessandro Di Battista: “Possiamo confrontarci sull’opposizione al Jobs act”. E il senatore
Nicola Morra: “Se Landini vuole discutere del reddito di cittadinanza, ben venga”. Interlocutore complicato oggi, avversario possibile domani, il sindacalista è un nodo da sbrogliare per
i Cinque Stelle. Perché si muove
in un campo che è anche il loro,
la prateria dei delusi di sinistra.
E perché al M5S chiede e offre
collaborazione. Innanzitutto
sul reddito minimo garantito,
proposto da Libera: un po’ diverso nei contenuti ma uguale
nella sostanza politica al reddito
di cittadinanza del M5S, che
con l’associazione anti-mafia
lavora di perfetta intesa. Soprattutto dopo l’incontro a Roma
del gennaio scorso tra Beppe
Grillo e don Luigi Ciotti. Insomma, c’è un terreno per l’incontro con Landini, che imma-
IL COMIZIO
Maurizio Landini nel discorso di chiusura della
manifestazione Fiom di
Piazza del Popolo Ansa
questa disattenzione non permanga. (...)
Davanti alla situazione che noi ormai conosciamo dobbiamo creare una massa
critica sociale che è nello stesso tempo
una massa critica politica. Ma non nel
senso della politica partitica. Della politica che dà voce alla società e alimenta la
politica. E alimenta io credo anche coloro i quali nei partiti non accettano più
questo modo di vivere. Soprattutto nei
partiti della sinistra. (…)
UNA SERIE DI IDEE diventano forti
quando si può registrare un sostegno nella società. In quel momento
anche la politica dei partiti diventa più forte. (...) Siamo in ritardo.
(…) Ma non è vero che la partita sia perduta. (...) La decisione è
importante ma la decisione è tanto più significativa (...) quando esistono i pesi e contrappesi dei controlli parlamentari, giudiziari e sociali (...) Il controllo parlamentare da alcuni anni è del tutto inesistente, il controllo giudiziario si cerca di azzerarlo, il controllo dei
giornali si va sfarinando (...) E allora questa è la strada, una strada che
non separa la società dalla politica. Dà alla politica la sua pienezza.
Che non è polemica con chi nella politica ufficiale vogliono uscire da
questa strettoia (...). È un lavoro difficile ma questa giornata ci dice
che è un lavoro possibile. Vorrei aggiungere obbligatorio. La disillusione non deve produrre passività. La passività è l’anticamera della
resa. E non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi.
IL CAMPO
Nella prateria
dei delusi di sinistra
si muovono sia
il Movimento
che il nuovo
soggetto ”sociale”
gina la sua coalizione come una
rete di associazioni e pezzi di
sindacato, senza la struttura dei
partiti tradizionali. A metà strada tra gli spagnoli di Podemos e
proprio loro, i Cinque Stelle. E
allora non devono stupire i numeri del sondaggio di Demos&Pi pubblicato ieri su Repubblica, stando al quale il leader
della Fiom piace al 33 per cento
degli elettori del M5S, a fronte
del 35 per cento di gradimento
presso quelli del Pd. Finora al
leader della Fiom il M5S ha riservato per lo più attacchi. Come il post di Beppe Grillo del
maggio 2014: “Landini non fa
una saldatura da 23 anni, è un
sindacalista a tempo pieno”. Ma
i mesi sono passati, e Landini è
diventato anche il volto della
coalizione sociale. Settimane fa
aveva mandato una lettera ai capigruppo in Senato di tutti i partiti, chiedendo un incontro. E
lunedì scorso il sindacalista e i
Cinque Stelle si sono visti, previo via libera di Gianroberto
Casaleggio. Ai capigruppo Fabiana Dadone e Andrea Cioffi e
Alessandro Di Battista, deputato, è uno dei cinque del direttorio del M5S
al deputato Claudio Cominardi
ha raccontato il suo progetto
politico.
SOPRATTUTTO, ha cercato
un’intesa. “Lavoriamo assieme
sul reddito minimo, sosteniamo
già la campagna di Libera per
una legge entro 100 giorni” ha
ripetuto il leader della Fiom, che
vuole coinvolgere anche Sel e
pezzi del Pd (per questo gli incontri in Senato, dove sono de-
positati i disegni di legge sul reddito). Ai 5 Stelle ha chiesto anche sostegno per un referendum
contro il Jobs act. “Valuteremo
questo proposte in assemblea”
ha riferito Dadone ad Askanews.
Ieri però due nomi di peso sono
venuti allo scoperto. Innanzitutto Di Battista, che al fattoquotidiano.it ha detto: “Se ci sono
punti in comune, siamo disposti
a discutere con chiunque. Per
esempio sul Jobs act, che preve-
de un contratto a fregature crescenti”. E Nicola Morra: “Landini non ha mai detto di voler
scendere in politica ma di voler
coagulare una coalizione sociale. Noi non abbiamo problemi a
rapportarci in piazza con comitati e associazioni: se lui è d’accordo sul reddito di cittadinanza, ben venga”. Ma l’incontro di
lunedì scorso non è andato giù a
gran parte del direttorio. Il più
irritato è Luigi Di Maio che martedì, quando la notizia si è sparsa, ha detto alle agenzie di “non
saperne nulla”. Poi ha scritto su
Facebook: “Nel 2013 il M5S era
la novità mediatica, poi è arrivata la novità mediatica di Renzi, poi Salvini, ora Landini. Questi soggetti stanno in politica da
quando avevo 4 anni e vengono
costruiti come il fenomeno del
momento. Appaiono come il
nuovo ma agiscono come il vecchio”. Tradotto: Landini non va
legittimato come interlocutore.
Di certo l’incontro ha suscitato
discussioni nel M5S (molti parlamentari ne erano all’oscuro).
E il dialogo con Landini ha più
sostenitori in Senato che a Montecitorio. Ma il dibattito interno
è aperto. Eccome.
Il premier sceglie l’indifferenza
E sfida: ci vediamo alle elezioni
di Wanda Marra
andini dice che ha più
consenso del governo?
L
Bene, ci vediamo alle elezioni”.
La battuta viene spontanea al
renzianissimo responsabile
Giustizia del Pd, David Ermini. Per Matteo Renzi non è la
giornata delle reazioni plateali,
delle dichiarazioni di guerra.
La linea, d’altra parte, l’ha data
già venerdì sera, nella conferenza stampa post-Cdm. “Una
manifestazione contro il governo? No news, non c'è titolo.
Se guardo agli ultimi sabato mi
pare che manifestazioni contro il governo ce ne siano state
moltissime”. Strategia preventiva, dunque: sminuire. Decisa
prima di vedere la piazza di
Roma: che ieri era piena e tutta
contro il premier. Nel quartier
generale di Renzi si ostenta sicurezza, indifferenza. Ma l’affondo ufficiale tocca alla vicesegretaria dem, Deborah Serracchiani: “ Che Landini sia
ossessionato dal consenso è un
dato di fatto. Noi pensiamo
che un sindacato dovrebbe essere ossessionato dai contratti
a tempo indeterminato, quelli
che stanno aumentando grazie
alle nuove regole volute dal governo e che Landini contesta
senza conoscere”. Il riferimento è al fatto che il leader della
Fiom qualche giorno fa in tv ha
sbagliato la data da quando sono partiti gli sgravi fiscali del
jobs act. Altro sottotesto: ormai Landini è un politico. La
sfida: “Quanto al consenso vedremo nel 2018 se ne ha più
Renzi o più Landini”
E GLI SLOGAN: “Nel frattempo
loro fanno i cortei, noi facciamo Expo. Loro parlano di consenso, noi parliamo di contratti. Loro giocano sulla rabbia,
noi sulla speranza. Facciano
pure scioperi e manifestazioni,
noi andiamo avanti”. L’unica
apparizione ufficiale ieri del
presidente del Consiglio segue
questo schema. Renzi, infatti,
si limita a un post sulla sua pagina Facebook, dove elenca i risultati “che stanno portando
fuori l’Italia dalla crisi”. Stavol-
ta sceglie dati laterali: “Ad aprile scende ancora il conto della
bolletta per l’energia elettrica
(-1,1%) e per il gas (-4%). Significa un risparmio medio di
75 euro l’anno”. Poi, la Coldiretti: “I prodotti alimentari
hanno registrato un aumento
delle vendite del 2,9% a gennaio 2015”, scrive il premier.
Ed ancora, “Fincantieri ha firmato un contratto storico con
la Carnival per la costruzione
di 5 navi da crociera”. Niente di
troppo forte per ribadire “al
governo ci sto io”.
Per il resto umori sprezzanti:
tra i fedelissimi del premier
qualcuno si spinge a una citazione ormai d’annata: “Landinichi?”, ricalcando quel “Fassinachi?”, destinato dall’allora
novello segretario Pd a Fassina,
che si dimise da vice ministro
dell’Economia. Qualche commento più muscolare, tanto
per chiarire il punto, è affidato
agli uomini del Presidente su
Twitter. Andrea Marcucci (senatore Pd): “Per il leader della
Fiom si stava meglio quando si
stava peggio, con Berlusconi le
manifestazioni riuscivano alla
perfezione”. A microfoni
spenti, ancora sarcasmo: “È
fortunato Matteo ad avere per
avversari Salvini e Landini”.
Ride bene chi ride ultimo, diceva qualcuno. Il tempo dirà.
4
POLITICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
A
ntagonisti contro
Salvini: incidenti
in piazza a Torino
AVEVA FATTO solo pochi metri il corteo degli antagonisti, quando è arrivata
la prima carica in via XX Settembre, a
Torino. Alcuni manifestanti fermati, un
ferito a terra. L’ennesima contestazione contro il leader della Lega Matteo
Salvini, che ieri ha organizzato una manifestazione a Torino contro Sergio
Chiamparino, è finita con l’arresto di un
ventiduenne e cinque denunciati a piede libero. Dopo la carica i manifestanti
sono arretrati verso la piazza del Duomo e hanno esploso petardi e bombe
carta. La polizia ha risposto con i lacrimogeni. “Lega ladrona Torino non
perdona” scandivano i dimostranti, che
EXPO PARTE SENZA PALAZZO ITALIA
E MATTARELLA RESTA AL QUIRINALE
I TECNICI CONFERMANO LA RESA, ULTIMATI SOLO 15 PADIGLIONI ESTERI SU 53
di Marco Maroni
I
Milano
l capo dello Stato Sergio
Mattarella deve aver capito per tempo l’aria che
tira, infatti ha declinato
l’invito: all’inaugurazione lui
non ci sarà. Palazzo Italia, il
cuore dell’Expo, edificio simbolo del paese ospitante, non
sarà pronto all’inaugurazione
dell’esposizione universale, il
primo maggio prossimo a Milano. Quelle che fino a qualche
giorno fa erano solo le funeste, o
realistiche, previsioni di “gufi e
rosiconi”, secondo il nuovo lessico renziano, si stanno confermando.
I RITARDI di Expo sono incol-
mabili, ma non è solo qualche
padiglione estero a non poter
concludere in tempo i lavori.
All’appello mancherà il pezzo
forte, l’edificio eretto dal Paese
ospitante, tradizionalmente il
più visitato in ogni esposizione
universale, oltre a essere quello
dedicato agli ospiti istituzionali:
capi di Stato, delegati interna-
zionali, ambasciatori.
Assieme a quello, è tutta l’area
del Padiglione italiano, ai due
lati del Cardo, a essere indietro.
Il disastro ora lo ammettono anche i tecnici: “Può darsi che il
primo maggio non si riesca ad
aprire neanche uno dei sei piani
di Palazzo Italia”, dice un ingegnere di Expo che preferisce rimanere nell’anonimato. Dichiarazioni che smentiscono le
rassicurazioni date fino a quattro giorni fa dal commissario
Sala, secondo cui sarebbe stato
tutto pronto salvo “qualche finitura da sistemare”.
A GUARDARE lo stato di avan-
zamento dei lavori a un mese
dall’appuntamento viene peraltro da domandarsi che cosa ci
sarà di pronto: i padiglioni esteri
terminati ad oggi sono una
quindicina su 53. Nel cantiere
mancano l’acqua, le fognature e
l’energia, tanto che le maestranze al calar del sole devono lavorare alla luce di fotoelettriche attaccate ai generatori; sul Cardo,
viale simbolo delle eccellenze
alimentari italiane, della Confindustria e della casa Lombardia, le strutture sono ancora ai
primi stadi dell’edificazione.
Il governatore lombardo Roberto Maroni, interpellato due
giorni
fa
dall’agenzia
I LAVORI
Ansa sui ritarSergio Mattadi di Casa
rella al conveLombardia,
gno fiorentino
ha
detto:
su Expo e il
“Chiedete a
cantiere di
Expo, io non
Palazzo Italia
faccio i padi-
glioni”, ammettendo di essere
“moderatamente” preoccupato.
Il responsabile del dipartimento
di prevenzione dell’Asl di Milano ha fatto sapere che anche laddove i lavori saranno completati
non ci sarà tempo per i collaudi.
Un aspetto non da poco, considerando che nel sito dovrebbero
essere aperti più di 200 ristoranti. Giova ricordare che l’Expo
LA SFILATA
Il capo dello Stato
ha celebrato l’esposizione
a Firenze con Alfano,
Franceschini e Lotti.
Ma nel cantiere mancano
acqua ed energia
2015 è stata assegnata a Milano
il 31 marzo 2008, sette anni fa.
La gara per Palazzo Italia, secondo la Procura di Firenze che
il 15 marzo ha disposto quattro
arresti nell’ambito dell’inchiesta sul presunto “cartello delle
grandi opere” che conta 51 indagati, sarebbe stata assegnata
alla società Italiana Costruzioni
grazie agli uffici di Antonio
Acerbo, già responsabile unico
del Padiglione Italia arrestato
nell’ottobre scorso per un altro
appalto Expo, quello sulle “Vie
d’acqua”, di Andrea Castellotti,
uomo di Cl, ex dirigente dell’impresa Tagliabue, portato da
Acerbo in Expo come Facility
il Fatto Quotidiano
però se la sono presa anche con il Partito Democratico: per loro sono “due
facce della stessa medaglia". Nella manifestazione della Lega Nord in piazza
Solferino si sono fatti notare i militanti
di “Sovranità”, il movimento vicino alla
Lega nato a Roma. Imponente lo schieramento delle forze di polizia.
COMPLIMENTI
La “vaccata” di Feltri
e la Boschi costituente
SE C’È UNA COSA che non manca al ministro Maria Elena Boschi è una certa praticaccia del racconto fantastico. Si moltiplicano i dubbi – nonostante le rassicurazioni dell’ad Sala – su
quanti lavori saranno davvero conclusi per l’apertura di Expo, il
1° maggio. I progetti, peraltro, sono già stati ridotti rispetto alle
previsioni iniziali, ma non dietro lo specchio in cui vive Maria
Elena: “I padiglioni sono ormai completati”. Ovviamente è merito del governo, spiega a un Corriere Fiorentino dolce come la
brezza della sera. Il resto sono amenità a caso: “L’introduzione
del diritto al cibo in Costituzione”; preferenze alimentari (“una
pizza come si deve e un buon bicchiere di vino”); le magnifiche
sorti e progressive dell’agroalimentare italiano ora che se ne
occupa Renzi (“siamo sulla strada giusta”). E Expo? “Non sarà
soltanto un’importante vetrina per l’agroalimentare e le nostre
eccellenze, ma anche un momento di grande interesse da tutto il mondo verso l’Italia, la nostra cultura artistica, letteraria”.
Quanto cibo si spreca ogni anno? Chiede a bruciapelo l’intervistatore: “8 miliardi di euro”, è la risposta, prontissima. Come
si vede, una chiacchierata fresca e brillante realizzata senza
alcun contributo dell’ufficio stampa. Tutta farina del sacco di
Vittorio Feltri, invece, l’editoriale buttato lì ieri sul Giornale. Tema: Milano sarà anche in momentaneo declino, ma mai quanto voi, brutti terroni. Dai grattacieli venduti agli arabi a Pirelli
che passa ai cinesi fino a Expo “tutte le innovazioni italiane”
partono sotto la Madunina. L’Esposizione “forse si rivelerà una
vaccata”, ma “un fatto è chiaro: è un parto avvenuto non a Benevento o Palermo, bensì a Milano”. Ma sì caro, hai ragione,
ma adesso riposati. Lo dice anche il dottore. È milanese eh!
manager, arrestato anch’egli per
l’appalto delle Vie d’Acqua, e
dell’imprenditore Stefano Perotti, arrestato insieme al supermanager delle Infrastrutture
Ercole Incalza. Secondo la Procura fiorentina, è evidente che
“la gara di Palazzo Italia sia stata
pilotata”.
LA RETORICA pro Expo alla luce della situazione reale assume
le caratteristiche del grottesco.
“Dobbiamo saperci raccontare
meglio all’estero. Expo e Giubileo sono due grandi occasioni
anche per un cambio di marcia
psicologico”, ha detto ieri il ministro dei Beni culturali e del
Turismo Franceschini, a Firenze, Palazzo Vecchio, durante la
seconda giornata dedicata alla
presentazione nazionale di
Expo.
L’iniziativa, dal nome “Il Paese
nell’anno dell’Expo”, era stata
aperta dall’intervento del ministro dell’Interno Angelino Alfano, seguito da lavori incentrati
sul tema “Padiglione Italia come
vetrina del sistema-Paese” condotti, tra gli altri, da Luca Lotti,
sottosegretario alla Presidenza
del consiglio, Diana Bracco,
commissario per il padiglione
Italia dell’Expo e Maurizio Martina, ministro delle Politiche
agricole con delega all’Expo.
Cantone: “Verifichiamo l’affidamento a Eataly”
L’AUTORITÀ ANTICORRUZIONE ACQUISISCE LE CARTE. MA IL COMMISSARIO GOVERNATIVO: “LEGITTIMO NON FARE LA GARA SE C’È UNICITÀ”
di Davide Vecchi
inviato a Firenze
T
ra i professionisti della “ricerca del brutto”, evoluzione farinettiana dei “gufi” di
Matteo Renzi, c’è anche Raffaele Cantone. L’Autorità anticorruzione che presiede del resto è
stata istituita proprio per ricercare il brutto. E in Expo ne ha
trovato tanto, compreso l’appalto affidato senza gara a Eataly per gestire la ristorazione in
8 mila metri quadrati del padiglione Italia. “Ho fatto tirare
fuori tutte le carte dell’affidamento”, spiega Cantone al Fatto. “È un fascicolo voluminoso,
ci stanno lavorando i tre finanzieri del Pool che lavora con me
e subito dopo Pasqua riusciremo a fornire una valutazione
esauriente”, afferma. Per buona
pace di Oscar Farinetti che ancora giovedì a Servizio Pubblico
ha descritto l’impegno come un
peso gravoso. “Bisogna fare
grandi investimenti ma per appena sei mesi, quindi devi avere
una forza enorme e il guadagno
non è garantito”. E comunque
mica è colpa sua “se l’appalto
non lo fanno”, ha fatto notare
Farinetti.
CONTRO gli affidamenti diretti
si è espressa anche la Corte dei
Conti poche settimane fa. Un
eccessivo impiego delle procedure senza appalti favorisce la
corruzione, ha detto il 6 marzo
Claudio Galtieri, presidente dei
giudici contabili lombardi. “Il
fenomeno della corruzione va
combattuto anche ponendo attenzione agli effetti concreti di
quella legislazione che nell’ottica di semplificare e rendere più
tempestiva l’azione amministrativa finisce in realtà col favorire fenomeni di distorsione
nell’uso delle risorse pubbliche”. Expo 2015 è già coinvolto
in un’inchiesta della Procura di
Milano, che ha portato a quattro
arresti lo scorso ottobre, sia
nell’operazione Sistema dei carabinieri del Ros che con i magistrati di Firenze hanno sman-
tellato la presunta “cupola” del
ministero delle Infrastrutture
sulle Grandi opere. Cantone riconosce: “Siamo talmente strapieni, la nostra unità operativa
su Expo ha un carico di lavoro
enorme ma lo porteremo a ter-
Oscar Farinetti Ansa
mine e verificheremo tutto”.
PER CARITÀ: la vicenda dei ri-
storanti affidati a Farinetti appare marginale ed è estranea alle
inchieste delle Procure. Ma forse rientra nel “brutto” di Expo
Raffaele Cantone Dlm
AMICO DEL PREMIER
A febbraio Farinetti ha cortesemente declinato l’invito
di Renzi a entrare nel governo, ma l’amicizia resta.
L’imprenditore, le cene pro-Matteo e le nozze di Carrai
che il pool di Cantone sta verificando. Sicuramente non ci sarà nulla da eccepire. Il commissario del governo per l’esposizione milanese, Giuseppe Sala,
ha già spiegato: “Possiamo non
fare una gara quando c’è unicità
e dal nostro punto di vista Eataly
è unico”.
I ristoranti di Farinetti del resto
hanno già dimostrato di poter
affrontare prove impegnative.
L’ultima in ordine temporale risale al 6 novembre 2014 quando
la società “Piaceri d'Italia” di Eataly organizzò il catering per gli
800 invitati alla cena di raccolta
fondi per il Partito democratico
a Milano. Era presente lo stesso
Farinetti che mise la sua parte:
mille euro. Per poi incassare dal
Pd il pagamento della serata. Un
po’ come se Silvio Berlusconi si
abbonasse a Mediaset premium.
Come l’ex Cavaliere, del resto, il
papà di Eataly è un imprenditore, un self made man. E anche lui è
stato tentato dalla politica: Renzi
a febbraio gli propose di entrare
nel governo, ma Oscar rifiutò.
Preferisce starne fuori, seppure
l’amicizia tra i due sia decisamente profonda. Tanto da essere invitato al matrimonio di
Marco Carrai, fedele fundraiser e
storico Richelieu del premier.
Una cerimonia riservata a pochissimi amici. In chiesa c’erano
meno di cento persone. Matteo e
Agnese testimoni insieme ad Alberto Bianchi (tesoriere delle
fondazioni del premier e oggi nel
cda di Enel), poi il finanziere Davide Serra, l’ex consulente di Cia,
Sismi e governo Reagan, Michael Ledeen, l’ambasciatore
Usa John R. Philips. E pochi altri.
Farinetti è arrivato con l’intellettuale renziano Alessandro Baricco. I due si sono conosciuti di
recente. Quando la scuola Holden nel 2013 era prossima al tracollo, per tramite di Carrai (già
in cda) è intervenuto Oscar a salvarla con un innesto di capitale
da 800 mila euro, comprando il
25% della società, poi salito al
36,7%. Tra amici si fa. Perché bisogna guardare al bello. Al brutto meglio non pensarci.
POLITICA
il Fatto Quotidiano
B
erlusconi:
riprenderemo
Milano e l’Italia
RICONQUISTEREMO Milano e poi l’Italia”. Un influenzato Silvio Berlusconi è intervento via telefono alla riunione organizzata da Forza Italia nel capoluogo lombardo, all’auditorium Gaber, per preparare il
dopo Pisapia. “Nel 2016 dovremo riconquistare Palazzo Marino con un candidato
sindaco che sarà la sintesi della nostra sto-
DOMENICA 29 MARZO 2015
ria - ha detto Berlusconi - Da Milano riparte
la sfida alla sinistra, che cambia facce ma
mai sostanza: anche Renzi sta dimostrando che la sinistra pensa solo a occupare il
potere a qualunque costo”. Ma i problemi
sono macigni, come dimostra l’intervento
dal palco del capogruppo in Senato Paolo
Romani: “Non si dica che tutto va bene,
5
perché oggi non va bene nulla. Siamo divisi
e litigiosi, i peggiori di noi vanno in tv solo
per dire stupidaggini. E poi ci sono le intransigenze di Brunetta”. In serata, risposta via Twitter del capogruppo alla Camera: “Grazie a Romani per avermi definito
intransigente nei confronti del governo.
Meglio intransigenti che inesistenti”.
I 19 giornalisti
spiaggiati a Panama
grazie a Impregilo
TUTTO PAGATO PER UNA SETTIMANA TRA MARE E HOTEL DI LUSSO. FOLTA
LA TRUPPA DELLA TELEVISIONE DI STATO. IL PRESIDENTE RAI TARANTOLA:
“VERIFICHEREMO”. ENZO IACOPINO: “COSÌ NON SI OFFRE UN BUON SERVIZIO”
di Alessandro
e Carlo Tecce
Ferrucci
R
accontare è meglio di vivere per
alcuni. Bello vedere la reazione
dell’interlocutore, magari suscitare un pizzico d’invidia,
un ohhh di stupore, specialmente quando si va per una
settimana a Las Vegas e Panama, 30 e passa gradi senza
pioggia, gratis e nelle ore lavorative. Così alcuni giornalisti, invitati da Salini-Impregilo per mostrare le ultime
meraviglie dell’impresa italiana che ha ampliato il Canale,
hanno postato foto su Facebook, condiviso tanta beltà.
Hanno raccontato, appunto.
Ampia la lista (qui a fianco
pubblicata) dei giornalisti
coinvolti, sono 19 e di varie
testate, da Panorama a Repubblica, con particolare attenzione per i rappresentati della televisione di Stato, da Porta a
Portaa Petrolio, oltre a Tg2, Radio Rai, Rai News. Una spedizione lunga sette giorni,
una traversata oceanica in aereo con tappa a Las Vegas per
perlustrare un tunnel idraulico e poi rientrare in Italia e
farcire un servizio di almeno
trenta secondi cadauno: “Spero che la regia finale valga la
spesa – interviene Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine
dei Giornalisti – È un grande
spot. Fino a qualche anno fa
Il vignettista
questo tipo di operazioni si
chiamavano educational, allora dissi che noi dovevamo
contrapporre un ri-educational
per i colleghi, perché i cittadini hanno il diritto a ottenere
un’informazione serena. Non
ho mai visto un servizio critico da parte di giornalisti
chiamati, magari a Dubai, per
il lancio commerciale di una
nuova automobile o motocicletta”. Uno dei servizi già
pubblicati su Rainews ha questo tono: “È una giornata memorabile per l’Italia. Una delle ultime paratoie, 16 in tutto,
del complessissimo sistema di
chiuse del progetto di realizzazione del nuovo Canale di
Panama è stata messa in posa
sul lato dell’Oceano Atlantico. (...) Le paratoie made in Italy motivo di orgoglio per il
nostro Paese, per il know how,
la tecnologia e l’innovazione,
non è solo la realizzazione del
terzo set di chiuse, ma anche
le stesse paratoie. Tutte made
in Italy. (...) Una storia italiana
nel mondo. E per il mondo”.
PER SALINI-IMPREGILO è
stata una splendida operazione, la multinazionale ha speso
poche decine di migliaia di
euro e ha ricavato una pubblicità dal valore milionario
sui mezzi d’informazione nazionali: televisioni, giornali,
agenzie, siti. Come spesso accade, la Rai ha partecipato in
massa. Era la delegazione più
L’IMPRESA
Sopra, l’opera a Panama
denunciata ieri dal Fatto Ansa
TUTTI IN VIAGGIO
Il Sole 24 Ore
È partito per l’America
uno dei vicedirettori
Ansa
L’agenzia manda chi ha
seguito le notizie sul Canale
Radio 24
La radio di Confindustria
manda un inviato
La Stampa
Anche il quotidiano torinese
ha inviato un vicedirettore
Tg2
Manda un inviato
e un cineoperatore
LaPresse
L’agenzia copre la vicenda
con un inviato
La Repubblica
Ha spedito in centro
America un redattore Esteri
Rainews24
La tv all news Rai manda
giornalista e operatore
Mf Dow Jones
L’agenzia di Mf spedisce
un proprio inviato
Panorama
Per il settimanale Mondadori
parte un caporedattore
“Petrolio”
Il conduttore Giammaria va
con l’operatore per due giorni
Askanews
L’agenzia manda
un inviato
“Porta a Porta”
Copre l’evento un inviato
e un cineoperatore
Radio Rai
Manda a Panama
un caporedattore
Fotografi
Ne arrivano un paio
di buona fama
nutrita: cinque testate hanno
assistito all’installazione di
paratoie da 30 metri, ficcate
nell’Atlantico, per allargare il
canale. A differenza dei cinque microfoni marchiati Rai
sotto il muso di Matteo Renzi
per il G8 in Australia, stavolta,
l’azienda non s’è allarmata. E
pare che per la circostanza – la
promozione di un’opera a
9.600 chilometri da Roma –
non valga il dogma del dg Luigi Gubitosi: un evento, una telecamera, un giornalista. Ma
la presidente Anna Maria Tarantola, intervistata dal fattoquotidiano.it, ha annunciato
che la questione sarà portata
sul tavolo di Gubitosi: “Me ne
occuperò, credo che a livello
di direzione generale verranno prese delle decisioni necessarie”. Iacopino, però, s’è informato e assicura che per i
cronisti del servizio pubblico
non ci sono ostacoli deontologici o di semplice opportunità, anzi è quasi un dovere
professionale: “Ho contattato
i colleghi della Rai – prosegue
Iacopino – e mi hanno detto
che sono partiti per rispettare
gli obblighi del contratto di
servizio, secondo il quale la tv
di Stato deve raccontare le
grandi
imprese
italiane
all’estero. A me sembra assurdo, ma questo mi hanno detto”. Sì, ma non c’è scritto che
devono viaggiare a spese
dell’azienda celebrata per l’occasione.
Vincino tra Renzi e Lubitz
“Grillo mi ha copiato, ma io sono innocente”
di Gianluca Roselli
iovane pilota non risponde a nessuno chiuG
so in cabina”. A pilotare l’aereo è Matteo
Renzi e l’allusione è alla tragedia della German
Wings. Questa vignetta di Vincino è uscita in
prima pagina sul Foglio venerdì mattina. Verso
mezzogiorno Beppe Grillo sul suo blog spara un
fotomontaggio con l’aereo della compagnia tedesca e Renzi alla guida. “Un uomo solo al comando”, il titolo. Grillo, per
la cronaca, viene sommerso
dalle critiche, anche dei
suoi. “Pure io su Twitter ho
avuto qualche attacco. Ma
una vignetta di satira è una
cosa, un fotomontaggio che
diventa lo slogan di un politico un’altra”, spiega Vincino, all’anagrafe Vincenzo
Gallo, palermitano, uno dei
più grandi vignettisti e disegnatori italiani.
Vincino, Grillo l’ha copiata?
Il giornale con la vignetta è uscito la mattina del
venerdì. Lui il fotomontaggio l’ha messo a mezzogiorno. Ma non mi interessa, non è importante. Noi disegnatori veniamo sempre rapinati.
O spesso capita che abbiamo la stessa idea, senza
sapere che è stata già fatta.
Lei dice che la sua vignetta
ha più dignità del fotomontaggio grillino. Perché?
inietta una dose di poesia nei fatti, alleggerisce le
notizie tragiche. Il fotomontaggio, invece, è più
greve. In questo caso, poi, è un chiaro messaggio
politico di un leader sparato col bazooka contro
i suoi avversari, in questo caso Renzi.
Lei crede che si possa fare satira su tutto o ci sono dei confini da rispettare?
Il disegno nobilita, la matita
SOMIGLIANZE
“Giovane pilota non risponde a nessuno chiuso in cabina” di Vincino e il fotomontaggio di Grillo sul blog
I vignettisti trattano della
vita, che è fatta anche da disgrazie e morti. Dobbiamo
sporcarci le mani con tutto,
specie con le tragedie. L’importante è farlo in modo
pulito, senza secondo fini,
potrei dire con innocenza.
La politica, invece, persegue sempre degli obbiettivi.
La differenza è tutta qui. Gli
autori di satira si rovinano
quando diventano moralisti, perché perdono la leggerezza.
Satira e politica, sempre
in conflitto...
Altra differenza è che la politica rappresenta
rapporti di forza. La satira si esprime inseguendo pensieri laterali e incoscienti. Anche noi, però, ogni tanto sbagliamo.
Quando?
Beh, ogni tanto la mano scappa. Quando faccio
degli errori, lo ammetto e chiedo scusa.
Quante querele ha?
Parecchie, le prendo da una vita. A lamentarsi
sono soprattutto le associazioni, specie quelle
cattoliche. Ho anche una specie di stalker...
Ovvero?
Un alto dirigente Rai, di cui non faccio il nome,
si è riconosciuto in un personaggio di una mia
vignetta e mi perseguita da anni a suon di carte
bollate. Ma il personaggio rappresentato non è
lui, nemmeno gli somiglia. Gliel’ho detto in mille modi, ma niente. Continua.
A proposito dell’aereo tedesco, il Giornale
ha titolato in prima pagina “Schettinen”.
Che ne pensa?
È un titolo di cattivo gusto e tirato per i capelli.
Hanno banalizzato due vicende completamente
diverse tra di loro.
6
POLITICA
DOMENICA 29 MARZO 2015
A
grigento, il Pd
pensa a Capodicasa
per le Comunali
IL GOVERNO, visti i risultati delle primarie, corre ai ripari. Ad Agrigento, infatti, nei gazebo si è imposto Silvio Alessi,
imprenditore con un lungo un passato nel
centrodestra. Ma siccome, nonostante il
voto degli elettori, Alessi “non rappresenta il centrosinistra” bisognava trovare
un’alternativa. E pare che l’abbiano tro-
il Fatto Quotidiano
vata: Angelo Capodicasa, attualmente
deputato, è il nome che il Pd potrebbe
proporre alla coalizione di centrosinistra
come candidato a sindaco di Agrigento.
Capodicasa, agrigentino, è uno dei big del
Pd siciliano, già presidente della Regione,
da decenni in prima linea prima col Pci e
poi con Pds e Ds fino all’approdo nel Pd. In
Sicilia, comunque, resta ancora aperta la
partita di Enna. Lì il candidato è Vladimiro
Crisafulli, anche lui decano della sinistra
dell’isola. Ma Renzi non lo vuole, dopo
che già Bersani lo scaricò alle elezioni del
2013. Crisafulli però ha già fatto sapere
che per convincerlo a ritirarsi possono
solo offrirgli un posto al governo.
Le rottamazioni alterne:
Matteo chiude un occhio
IL PREMIER CHIEDE ALLA MINORANZA PD DI FAR FUORI BERSANI E D’ALEMA
MA LUI (QUANDO SERVE) UN BEL PO’ DI VECCHIA GUARDIA SE LA TIENE ECCOME
di Wanda
S
Marra
tando a quanto raccontava Repubblica ieri, Renzi avrebbe det-
to “ai suoi” di smetterla di andar dietro a D’Alema e Bersani.
L’oggetto del contendere è la legge elettorale, sul quale il premier vuole un sì
definitivo alla Camera senza variazioni.
Ma se D’Alema è un antico bersaglio,
peraltro già colpito (e ampiamente rot-
tamato), Bersani come obiettivo esplicito non era mai apparso in questi termini. È la guerra generazionale, il nuovo che avanza. O meglio, il metodo ormai consueto per Renzi: portare a sé i
giovani, inglobarli proponendo loro
ruoli, posti di potere, magari candidature e isolare i “vecchi”, fino a detronizzarli. Matteo Orfini, Marianna Madia, Debora Serracchiani, ma anche Enzo Amendola e Roberto Speranza prima
erano all’opposizione, ora sono o “diversamente” maggioranza, o puntelli
del premier segretario nella minoranza.
Eppure, se una parte consistente della
vecchia guardia (D’Alema, Veltroni,
Marini) ormai non conta più nulla, una
pattuglia decisamente numerosa non
solo resiste, ma avanza. Soprattutto sui
territori. Perché di certi pezzi di vecchio
potere, il “nuovo” Matteo non può fare
a meno.
Matteo Renzi Ansa
PIERO FASSINO
SERGIO CHIAMPARINO
ANNA FINOCCHIARO
PAOLO GENTILONI
VINCENZO DE LUCA
Da Torino all’Anci,
il sogno infranto del Colle
La prima Leopolda
lo ha portato in Piemonte
Coppia fissa con la Boschi
aspettando un ministero
Alla Farnesina
nel nome di Rutelli
Da Salerno alla Campania
Il candidato azzoppato
Era il 1975 quando fu eletto
consigliere comunale a Torino per il Pci. “Solo” 40 anni
fa. Adesso è presidente
dell’Anci. È stato tra i primi esponenti
della vecchia guardia a sostenere Renzi. L’ultima battaglia? Quella per il Colle. Il premier non era contrario, anche
se alla fine gli ha preferito Mattarella.
Ha iniziato da capogruppo
del Pci al Comune di Moncalieri nel 1975. Tra gli ospiti
d’onore della Leopolda 2011,
con Renzi ha stabilito un sodalizio proficuo: è diventato presidente del Piemonte. Ufficialmente renziano, ma i
tweet contro la legge di Stabilità hanno
arrestato la sua corsa al Quirinale.
In Parlamento dal 1987. Quasi 30 anni fa. La sua candidatura alla Presidenza della Repubblica prima della rielezione di Napolitano fu arrestata da Renzi in
diretta tv. Ma da presidente della Commissione Affari costituzionali in Senato
ha stretto un patto di ferro con la Boschi. E oggi è in gara per un ministero.
Negli anni 90 è stato portavoce, e assessore al Turismo
e al Giubileo, di Francesco
Rutelli. È nella pattuglia dei
renziani più potenti: appunto, i rutelliani, di cui fa parte anche il portavoce, Filippo Sensi. Oggi è ministro degli Esteri,
nominato dal premier con il passaggio
della Mogherini a Lady Pesc.
Primo incarico istituzionale
nel 1990: vicesindaco di Salerno. Da allora, con qualche
breve interruzione, è alla guida della città. Nello scorso congresso
Pd ha portato i suoi voti a Renzi. Ora ha
vinto le primarie e imposto la sua candidatura alla presidenza della Campania. Nonostante la legge Severino.
VASCO ERRANI
GIUSEPPE FIORONI
DARIO FRANCESCHINI
LUIGI ZANDA
NICOLA LATORRE
A braccetto con il premier
nonostante la condanna
Il dinosauro nell’ombra
ma resta in campo
L’ex “vice-disastro”
adesso è ministro
Il braccio armato in Senato Dallo staff di D’Alema
che lavorava per Cossiga
a ultrà di Matteo
Eletto per la prima volta consigliere comunale a Ravenna
nel 1983 con il Pci, in Emilia
Romagna è una potenza. Con
lui Renzi ha stretto un patto di ferro: dopo la condanna in appello per falso
ideologico l’ha difeso più volte. Si è dimesso dalla guida dell’Emilia, ma il premier lo vorrebbe al governo.
Eletto consigliere comunale a Viterbo per la Dc
nel 1985, è da sempre un
po’ renziano e un po’ no.
Lavora nella retrovie, si cura i parlamentari cattolici, tesse tele trasversali. Il premier-segretario non
lo premia, ma neanche si sogna di
attaccarlo.
Diventa consigliere comunale a Ferrara per la Dc nel
1980. Quando era ancora
ministro nel governo Letta
annunciò il sostegno suo e della sua
potente corrente a Renzi alle primarie
del 2013. Lui che l’aveva definito “vice
disastro” l’ha ringraziato con il ministero della Cultura.
Un passato da portavoce
(Cossiga) e da alto dirigente (da Lottomatica al Giubileo) è in Parlamento dal
2003, con la Margherita. Di provenienza rutelliana anche lui, come capogruppo a Palazzo Madama oggi è
uno dei bracci armati di Renzi tra i
senatori Pd.
In Parlamento “solo” dal
2005, ma in politica con
Massimo D’Alema da sempre
(è stato anche capo del suo
staff). Ha rinnegato il padre da quando
Renzi è diventato segretario. L’ultimo
affondo lunedì. Massimo? “È mosso da
rancori personali”. Oggi è presidente
della Commissione Difesa in Senato.
Quanto vale lo scherzetto dell’autosospensione
LASCIANO “MOMENTANEAMENTE” DOPO I GUAI GIUDIZIARI. MA CONTINUANO A PARTECIPARE ALLA VITA (E ALLA CASSA) DEL PARTITO
di Mariagrazia Gerina
er comprensibili ragioni di opportunità,
P
non disgiunte dall’alto senso di rispetto che
ho sempre avuto nei confronti delle istituzioni,
dei colleghi di partito e dei parlamentari tutti…”. Con questa formula solenne, il 19 marzo
di un anno fa, il giorno stesso in cui il giudice
per le indagini preliminari aveva disposto il suo
arresto, il deputato Francantonio Genovese, indagato per i “corsi d’oro” della Regione Siciliana, annunciò la “determinazione” ad autosospendersi sia dal partito che dal gruppo parlamentare del Pd. Seguirono settimane convulse. Terminate con il voto a pochi giorni dalle elezioni europee e l’autorizzazione a procedere da parte dell’aula di Montecitorio. “Abbiamo fatto quello che abbiamo detto”, rivendicò il vice segretario del Pd
Lorenzo Guerini. “Il partito
nuovo non vuole lasciare adito
ad alcun sospetto o ambiguità”, dichiarò Debora Serracchiani.
Un anno dopo, per gli uffici
della Camera, Genovese, pur
agli arresti, è ancora a tutti gli
effetti un deputato del Partito
democratico. Nessun errore. Solo che l’autosospensione di un parlamentare dal gruppo a
cui appartiene resta un fatto politico interno al
gruppo, non viene neppure comunicato agli uffici di presidenza di Montecitorio o di Palazzo
Madama. Sospesi o autosospesi per la Camera o
per il Senato non esistono, ci sono solo parlamentari iscritti al proprio gruppo. Al limite, a
quello misto. E Francantonio Genovese a
tutt’oggi risulta iscritto al gruppo del Pd. A dispetto della autosospensione, annunciata un
anno fa a mezzo stampa. Come pure è a tutti gli
effetti parlamentare del Pd Marco Di Stefano.
Indagato, davanti all’accusa di aver preso una
FRANCANTONIO GENOVESE
Agli arresti per i “corsi d’oro” della
Regione Sicilia, ha annunciato l’addio
ai dem. Ma per la Camera è ancora lì
MARCO DI STEFANO
Anche lui lasciò il Pd davanti all’accusa
di aver preso una tangente dal costruttore
romano Pulcini, ma senza conseguenze
tangente di 2 milioni dal costruttore romano
Pulcini, a novembre annunciò anche lui la decisione di autosospendersi “momentaneamente” dal gruppo del Pd. “E infatti da allora noi
non lo consideriamo più parte del gruppo”,
spiega il presidente dei deputati democratici,
Roberto Speranza. Loro no, ma la Camera sì. E
continua a conteggiarlo in quota Pd.
SCHERZI di una misura disciplinare, che fun-
ziona come annuncio-stampa. Meno come strumento moralizzatore di sicura efficacia. Specie
quando, a breve, non seguono provvedimenti
più incisivi. E la questione, va detto, ha anche un
risvolto pecuniario. Perché, mese per mese, i
contributi che Camera e Senato erogano ai
gruppi parlamentari dipendono dal numero di
parlamentari iscritti. E anche qui sospesi o autosospesi contano al pari degli altri. La tesoreria
non fa distinzioni. Considerando che lo scorso
anno la spesa per il finanziamento dei soli gruppi parlamentari della Camera è stata pari a 32
milioni di euro, si può dire, con un calcolo molto
a spanne, che un deputato autosospeso continua
a far affluire nelle casse del gruppo circa 4mila
euro al mese di contributi. Se poi non intervengono misure ulteriori, il conto non si arresta.
E alla fine dell’anno l’autosospeso avrà fruttato
al gruppo un tesoretto di circa 50 mila euro.
Viene il sospetto che non sia solo per garantismo
che, a volte, la sospensione si congela “ad libitum”, senza sfociare in misure più perentorie.
Come nel caso di Francantonio Genovese.
D’altra parte, siamo nel paese in cui Giancarlo
Galan, dopo aver patteggiato per lo scandalo del
Mose una pena di 2 anni e 10 mesi, è ancora
presidente della Commissione Cultura della Camera. Lui a sospendersi, misura prevista anche
nello statuto dei deputati di Forza Italia, non ci
ha proprio pensato.
Dal Parlamento alle istituzioni locali, le contraddizioni non mancano. Prendiamo il caso di Mafia Capitale. All’indomani dei 37 arresti, i politici
indagati hanno reagito in ordine sparso. Anche
qui il Pd ha voluto dare un segnale in più. Renzi
ha commissariato la federazione romana, inviando il presidente Matteo Orfini a fare pulizia,
e i consiglieri indagati, non destinatari di misure
cautelari, si sono autosospesi dal partito. Ma un
conto è il partito, altro i gruppi consiliari. Nel
dubbio, l’ex presidente del consiglio Mirko Coratti, tornato da poco a frequentare l’Aula Giulio
Cesare, si è limitato a partecipare alle riunioni
del consiglio. Alla Pisana, il consigliere regionale Eugenio Patané, ha interpretato diversamente l’autosospensione. E dicono che partecipi
come prima alle riunioni e alla vita del gruppo.
Si è dimesso dalla presidenza della Commissione Cultura. Ma alcuni colleghi hanno notato che
occupa ancora il suo vecchio ufficio.
POLITICA
il Fatto Quotidiano
La ettera
del premier
Orfini: “Ottimo
lavoro a Roma”
di Giorgio Meletti
L
a retorica internettiana di Matteo Renzi
è travolta da se stessa.
Le improvvise dimissioni di Alessandra Poggiani
dalla direzione dell’Agenzia per
l’Italia digitale, annunciate ieri,
alzano il velo sul disfacimento
personalistico di un settore decisivo. È proprio l’interessata a
dire cose gravissime: “Il mondo
digitale è un circo ristretto, una
camera dell’eco. Ce la raccontiamo tra di noi, piccole invidie,
rivalità da cortile, divisioni personali. Ci sono troppi protagonismi, nemmeno le rockstar! Il
90% delle cose che vengono raccontate non sono vere, il 7 sono
presunte e forse solo un 3% è costituito da fatti”. E poi la stoccata finale, in puro stile tardo-Ceausescu (il capo è l’unico
che capisce qualcosa). Testualmente: “Forse il presidente del
Consiglio ha chiaro quanto sia
importante questa partita, ma
gli altri senz’altro no”.
ASSIEME a Fabrizio Barca, si è messo a
cercare di scrostare il Pd romano travolto
da Mafia Capitale. E ora, per Matteo Orfini, presidente dei democratici, arrivano
i complimenti di Matteo Renzi. A Roma,
ha scritto in una lettera il presidente del
Consiglio (indirizzata anche a Stefano
Esposito, che sta facendo lo stesso la-
DOMENICA 29 MARZO 2015
voro a Ostia), il Pd sta attuando “uno
sforzo di pulizia, di orgoglio, di riconquista centimetro dopo centimetro di un futuro forte e unito”.
La relazione, scritta da Barca, sullo stato
del partito è stata impietosa e ha descritto un partito “cattivo”. Ora, dice
Renzi, l’obiettivo è costruire un “partito
CHIACCHIERE DIGITALI:
L’AGENDA DI GOVERNO
STA PERDENDO PEZZI
ALESSANDRA POGGIANI LASCIA L’AGENZIA PER L’INNOVAZIONE
DOPO POCHI MESI E MOLTI CONVEGNI: ”TROPPE INVIDIE
E RIVALITÀ”. MA SI CANDIDA IN VENETO CON LA MORETTI
davvero buono, che non si rassegna alle
infiltrazioni, alle camarille, alle cordate,
ai signori delle tessere, alle intimidazioni, all’indifferenza. Ma che progetta e
combatte, sogna e costruisce, non si
chiude, ma si fa carico di un sacrificio
quotidiano fatto di militanza appassionata, onesta, disinteressata”.
CLICK
L’intervista straniera:
“Beppe” Mattarella
di Pino Corrias
INTERESSANTE ANCHE PSICHIATRICAMENTE questa
nuova strategia di comunicazione inaugurata da Sergio Mattarella che da quando è stato nominato presidente di tutti gli
italiani concede interviste solo a testate straniere. Prima la
Cnn. Ora Le Figaro. Per raccontare – immaginiamo – le imminenti decisioni geopolitiche del Quirinale agli ansiosi coltivatori di barbabietole dell’Arkansas e agli allegri bevitori di Pernod del Vieux Port di Marsiglia. Non ci è dato sapere se questa
scelta sia una ripicca contro di noi italici, un monito o una sollecitazione. Certo è che avere interrotto quel silenzio che nelle
tetre stanze della Corte costituzionale lo avvolgeva da così
gran tempo – proteggendolo da ogni mondo reale non mediato
da inchiostro, da velluti e da profonda dottrina – non poteva
rimanere senza conseguenze. Una delle quali risulta involontariamente comica, visto che accomuna Sergio Mattarella al
suo perfetto contrario: Beppe Grillo. Anche lui, il comico, per
un intero anno si è concesso solo a giornali e giornalisti stranieri, per di più con la gustosa aggravante di non capire né le
domande, né le risposte. Mattarella capisce entrambe. E perciò c’è del metodo, direbbe il bardo.
DIGITAL CHAMPION
Il giornalista
di “Repubblica”
Riccardo Luna
fa l’apostolo tecnologico
per il governo
(ma promuove se stesso)
NON POTENDO cambiare l’Ita-
lia, Poggiani si candida alle Regionali venete con Alessandra
Moretti (Pd): “Il richiamo di
Venezia per me è molto forte.
Credo davvero di poter far qualcosa per cambiare la città e il Veneto”. A Venezia tutto inizia e
tutto finisce. L’8 luglio dell’anno
scorso Matteo Renzi tenne in
Laguna il suo indimenticabile
discorso a braccio in inglese
sull’innovazione tecnologica,
destinato a diventare uno dei video più cliccati in Rete. Organizzatrice del fastoso appuntamento, Digital Venice, era proprio la Poggiani, numero uno di
Venis Spa, società informatica
che sarebbe audace definire una
coraggiosa start up, visto che è
del Comune di Venezia. Due
giorni dopo, il 10 luglio, Renzi
nomina la Poggiani alla direzione dell’Agenzia digitale.
Qualche settimana dopo il presidente del Consiglio ha infilato
un’altra brillante nomina in linea con il chiacchierismo-leninismo oggi stigmatizzato dalla
stessa Poggiani: il giornalista di
Repubblica Riccardo Luna è diventato il Digital Champion italiano. Si tratta di una figura introdotta dall’Unione europea:
ogni Paese ha il suo campione
che deve aiutare il progresso e la
diffusione delle tecnologie digitali, e supportare il governo e la
Commissione europea per le
politiche nel settore. In genere
sono stati scelti per il ruolo importanti imprenditori, ex ministri, docenti universitari. In Italia prima di Luna c’era Francesco Caio, fondatore di Omnitel e
oggi numero uno di Poste Italiane. Adesso siamo l’unico Paese ad avere come Champion un
giornalista che si sente un apostolo più che un tecnico. Per
esempio rivendica tra i suoi meriti la candidatura di Internet al
premio Nobel per la pace, operazione per adesso bloccata, forse perché gli accademici svedesi
ritengono che venga prima il frigorifero.
7
Alessandra Poggiani. A destra, Riccardo Luna LaPresse/Ansa
Luna fa il Digital Champion a titolo gratuito e con una certa attenzione alla promozione di se
stesso. Appena nominato ha
fondato l’Associazione Digital
Champions,
proclamando
l’obiettivo di subappaltare la
funzione a ottomila digital campioncini, uno per ogni comune.
Per adesso ne ha consacrati circa
900, che costituiscono un diffuso network di potere: in 900 possono dare a intendere di parlare
a nome di Renzi, e infatti Telecom Italia si è precipitata a finanziare l’Associazione con
qualche centinaio di migliaia di
euro. Mentre Luna, forte della
casacca di portavoce digitale del
renzismo, dirige l’interessante
blog Che futuro!, tutto sull’innovazione a cura e spese di Chebanca!, lo sportello online di
Mediobanca.
IL DIGITAL CHAMPION dun-
que, più che supportare e incoraggiare, certifica, condanna e
assolve. Nominato coordinatore dell’Innovation Advisory
Board dell’Expo 2015, Luna
chiese di pubblicare in modo
trasparente i dati su tutte le spese per le strutture e i servizi
dell’esposizione di Milano, ma
nel 2013 denunciò sconsolato di
essersi scontrato “con un muro
di gomma e di opacità”. A marzo 2014, quando l’Expo era lambito dai primi scandali, scrisse:
“Adesso, che aleggiano scandali
e allarmi, mi dico: era tutto previsto e prevedibile, risparmiateci le lacrime”. Dopo la nomina a
Digital Champion è cambiato
tutto. La trasparenza ha trionfato, e Luna ci assicura, dal sito
Expo2015, che lì sono tutti onesti e trasparenti: “I dati ci sono e
nessuno li nasconde”. Intanto i
Digital Champions sono impegnatissimi, gratuitamente ma
con Telecom Italia che paga, a
supportare il lancio della fatturazione digitale. Ieri su Repubblica si poteva leggere un commento di Luna, tornato giornalista,
così intitolato: “Il bello della fattura elettronica”. Sinergie.
Il darsi da fare di Luna contrasta
con l’inconcludenza della Poggiani, indefessa partecipante a
convegni di ogni ordine e grado.
Che cosa abbia fatto la 44enne
manager in questi otto mesi alla
guida dell’Agenzia digitale è un
mistero anche per l’interessata:
“In quest’anno penso di non
aver mai dormito più di tre ore a
notte. Tuttavia bisogna domandarsi se allo sforzo corrisponda-
no risultati, o se quell’energia
potrebbe essere più produttiva
se impiegata in altro modo”.
ADESSO RENZI si chiederà se le
energie per scoprire i suoi talenti digitali le ha spese bene. E se
non debba affidare l’Agenda digitale a competenti veri anziché
a simpatici come Poggiani e Luna, o come il presidente della
Cdp Franco Bassanini che ormai detta legge nel duello sulla
rete telefonica con Telecom Italia, azienda finanziatrice del Digital Champion. Certo è che
quando nominò Poggiani e Luna lo storyteller non esitò: “Abbiamo una squadra fortissima,
se falliamo vuol dire che siamo
dei caproni”. Veda un po’.
Twitter@giorgiomeletti
QUI PALERMO
Provenzano story, il figlio
fa da Cicerone ai turisti Usa
di Giuseppe
Lo Bianco
stico non è nuovo: nel suo libro Cento
passi ancora Salvo Vitale, il braccio del figlio del boss racconta suo padre stro di Peppino Impastato, racconta di
ai turisti: da mesi, informa l’Ansa, avere partecipato nel 1978 davanti a
decine di turisti americani condotti in una casa sulle pendici di Monte PeSicilia da un tour operator di Boston coraro, sopra Punta Raisi, a una scena
incontrano il figlio del boss Bernardo da film. “Sulle note del Padrino esce dalProvenzano, Angelo, per farsi raccon- la casa don Pitrinu u dannatu – scrive –
tare la sua vita e il rapporto con il pa- l’ex ergastolano Pietro Palazzolo, condre. Storie, immaginiamo, di affetto fi- dannato per tredici omicidi” (e zio di
liale e sub-cultura mafiosa: gli inter- Vito Palazzolo, il riciclatore mafioso
venti sono preceduti da una breve in- estradato dalla Thailandia che ha initroduzione sulla storia della mafia fatta ziato a collaborare con i magistrati). Ha
da uno degli organizzatori. Al termine 80 anni, la barba bianca “che gli dà
dei meeting gli “spettal’aria del patriarca” e il
look del perfetto bantori” – generalmente
professionisti e inteldito: “coppola, camiI PULLMAN
cia bianca, gilet di pellettuali che arrivano da
ogni parte degli Stati
le, pantaloni di velluto
Decine di americani,
e fucile in spalla”. E
Uniti – rivolgono a
Provenzano una serie
inizia a distribuire ai
condotti in Sicilia
di domande sulla figuturisti estasiati, giunti
da un tour operator
ra del padre, ma anche,
“dall’hotel Saracen di
rivela l’Ansa, sulle difCapaci su tre puldi Boston, incontrano
lman”, strette di mano,
ficoltà che nascono dal
portare un cognome
baci e un mezzo sorl’erede del boss per farsi
tanto “ingombrante”.
riso. “Loro vanno via
raccontare la sua vita
L’espediente folkloriconvinti di avere visto
I
Angelo Provenzano Ansa
un mafioso doc per la modica cifra di
27 mila lire”, racconta Vitale. In entrambi i casi il folklore copre e cancella
la storia di sangue e orrore di Cosa
Nostra. Per questo Giovanna Maggiani, la presidente delle vittime della strage di via dei Georgofili, decisa anche da
Provenzano, ha invitato l’agenzia di
viaggi di Boston a organizzare una tappa a Firenze: sarà l’associazione a raccontare ai turisti “la vera storia delle
‘famiglie’ di cosa nostra”. Che potrà
essere integrata da una ‘master class’
sulla trattativa, e sul ruolo di Provenzano, proposta dall’Unione Cronisti di
Palermo, che si dice pronta a raccontare ai viaggiatori americani il patto
Stato-mafia e il sacrificio di centinaia
di vittime di Cosa Nostra ricordate nel
Giardino della Memoria di Ciaculli, a
Palermo.
8
IERI, OGGI E DOMANI
La fiction “1992” e la caccia al “cinghialone” (così veniva chiamato il segretario socialista) che si scatenò in quei giorni. Non solo
l’inchiesta, ma una protesta collettiva che
di Antonio Padellaro
L’
aveva molto a che fare con la frustrazione
per un sistema corrotto al midollo. Ma come
era potuto accadere? Come si può arrivare
così in alto e poi precipitare tanto in fretta?
Craxi e il format
dell’uomo solo al comando
ultima volta
che parlai
con Bettino
Craxi era il
1998 e lavoravo
all’Espresso. Gli telefonai ad Hammamet, fu gentile e alla domanda
su cosa si rimproverasse dopo
Mani Pulite disse soltanto: “Ho
sottovalutato ciò che stava acca- L’ASCESA RAPACE TRA PARTITO E GOVERNO, SENZA FARE PRIGIONIERI, SOTTO L’INSEGNA SPLENDENTE
dendo”. Mi è tornato in mente DEL “CAMBIAMENTO”. IL DISPREZZO PER IL PARLAMENTO, L’INSOFFERENZA PER I GIORNALISTI, LA CADUTA.
guardando martedì scorso la prima puntata di 1992, la fiction che E ORA LA CARRIERA “PARALLELA” DI RENZI: DUE STORIE E LO SPECCHIO DI UN’ITALIA MALATA
va in onda su Sky, quando l’attore
che interpreta Antonio Di Pietro
sfoglia un giornale che parla di un
cinghiale selvatico fotografato alla periferia di Mi- litiche del Pci trionfante al 34,4%. Prende il posto di HASHTAG
lano e ci fa capire che il vero cinghiale da catturare, Francesco De Martino, laconico buddha napole- SENZA
anzi il “cinghialone”, come se ne parlava nei gior- tano che non intende smacchiare il giaguaro co- FRENI
nali, era proprio lui, Bettino. Anche se adesso il Di munista e che anzi teorizza l’unificazione Psi-Pci: il Anche Renzi
Pietro autentico nega e dice che “nell’inchiesta quel che per il partito di Pietro Nenni significa farsi an- ha fatto della
nome non esisteva”, la verità è che oltre le indagini nettere punto e basta. Fate caso alla situazione dei comunicazione
del pool milanese (e le successive condanne defi- socialisti italiani: federazioni paralizzate dalla lotta rapida uno
nitive per corruzione e finanziamento illecito) quel- fra le correnti, dirigenti in guerra perenne; sezioni degli assi della
lo stesso nome, in quegli anni, in quella crisi eco- degradate a terminali di questo o di quel boss; un sua politica.
nomica e morale devastante fu il principale bersa- corpo di militanti ridotti a servi della gleba dei si- Twitter come
glio della protesta collettiva, la calamita dell’insof- gnori delle tessere; una struttura chiusa, burocra- strumento
ferenza, il capro espiatorio della frustrazione nazio- tica, polverosa. Vi ricorda per caso il Pd di Bersani? principale. Dire
nale. Le monetine che gli tirarono addosso il 30 apri- E poi la stessa parola d’ordine sul Cambiamento più che risponle 1993 a Roma, davanti all’hotel Raphael, furono la che non è ancora la Rottamazione che verrà ma il dere LaPresse
colonna sonora di un’esecuzione: Bettino Craxi era senso è quello. La stessa presa di potere del partito
l’uomo più odiato d’Italia. Lui che non molti anni con un blitz che non farà prigionieri. Lo stesso
prima, nel 1984, dopo la firma del Concordato con scontro interno con una sinistra interessata unila Chiesa, all’apice della presidenza socialista veniva camente alle proprie rendite di posizione e che il
acclamato come il nuovo uomo della Provvidenza. giovanotto prima divide e quindi incamera grazie a
qualche strategica poltrona come le Partecipazioni
Come era potuto accadere?
statali a Gianni De Michelis e i Trasporti a Claudio
Signorile (e il giovane Incalza). La stessa immagine
Nani, ballerine, garofani
di un partito ringiovanito, di una forza nuova, rine la calca delle tv
novatrice che entra in campo
sgomitando e scalciando. Poi, la
“Si vedono uomini cadere da
stessa rapida conquista di Palaz- fine abbandonato e tradito finisce per “sottova- Cereno di Melville, comandante fittizio di una naun’alta fortuna a causa degli stesSCALATE A FRONTE zo Chigi. Lo stesso disprezzo per lutare” i segnali dell’incombente disastro. Ma qui ve ammutinata, ostaggio nelle mani di un equisi difetti che li avevano fatti sapaggio in rivolta”. Poi, nella latitanza tunisina suil Parlamento retrocesso a ente si torna al punto di partenza.
lire”. L’aforisma di La Bruyere
Il Partito socialista
bentra la solitudine, la rabbia, la voglia di regolare i
inutile. La stessa corsa a salire sul
apre il libro Processo a Craxi che
conti con i falsi amici e con la storia. Ne fa le spese
nel 1993 scrissi con Giuseppe
dilaniato e burocratico carro del vincitore. La stessa sud- I conti con la fine: tradimenti,
anche il “migliorista” e futuro capo dello Stato,
ditanza dei giornaloni. Lo stesso
Tamburrano, dividendoci i ruodi metà anni 70
Giorgio Napolitano in una sorta di chiamata di
disegno per mettere sotto con- falsi amici e cricche
li. Io che già dai tempi del Corriere
trollo la Rai. La stessa guerra alla Il più pesante atto d’accusa sull’opportunismo di correo (vedi a fianco). Mentre il nome di Claudio
della Sera avevo seguito passo doda una parte, “la ditta” Cgil. Lo stesso spirito d’intesa Giuliano Amato non è contenuto negli articoli del Martelli, il brillante delfino, l’unico autorizzato a
po passo l’ascesa del leader socialista esponevo le ragioni dell’accon la Confindustria. Allora, il Fatto Quotidiano, che l’ex Dottor Sottile cerca di tra- rifornirsi nel frigorifero di casa Craxi (secondo la
che non smacchia
cusa, quella politica e quella giutaglio di 4 punti della Scala mo- scinare in tribunale con una voluminosa querela. fulminante battuta di Anna Craxi) è relegato in una
il giaguaro dall’altra
diziaria. Tamburrano, politolobile. Oggi, la modifica dell’art. Bensì nelle pagine di un libro dal titolo: Io parlo e nota a margine che è peggio di una condanna. Ingo socialista che conosceva come
18. Lo stesso asse di potere con la continuerò a parlare, note e appunti di Bettino Craxi fine i conti con se stesso e una frase che suona come
pochi la storia del Psi, esponeva
destra. C’è molta differenza tra il sull’Italia vista da Hammamet (vedi sotto e a fianco). epitaffio: “Io non conosco la felicità. La mia vita è
le ragioni della difesa anche se nella foga del dia- Caf di Craxi con Forlani e Andreotti e il patto del Neppure questo il cinghiale ferito aveva previsto: stata una corsa a ostacoli, e non mi sono mai ferlogo ci afferrava il sentimento comune della de- Nazareno di Renzi con Berlusconi? E ancora, la che un sistema di potere, il suo, che sembrava edi- mato per dire a me stesso ora sei un uomo felice.
lusione. Giuseppe ricordava i tempi dell’ascesa e stessa insofferenza per i giornalisti “dei miei sti- ficato sulla pietra, e che lungo un quindicennio Bettino Craxi”. Felici non lo sono stati e non lo
del trionfo, il congresso dell’acclamazione, la pi- vali”: quei pochissimi senza collare che qua- aveva resistito perfino all’ostilità di Ronald Reagan sono neppure gli italiani derubati da Tangentopoli
ramide quasi divina dell’architetto Panseca, l’esi- rant’anni dopo nella versione tweet diventeranno e della Casa Bianca, si sbriciolasse nell’arco di po- e poi derubati ancora dalle cricche nella indecente
bizione del potere, la calca dei cortigiani, la ressa “gufi” e “sciacalli”. A parte la stazza e i vestiti sfor- che settimane. “Bettino come Benito”, scrisse spoliazione della ricchezza nazionale proseguita fidei postulanti, il “partito nuovo” degli emergenti e mati, molte le analogie con un altro giovanotto che all’inizio della frana Valentino Parlato sul manife- no ai giorni nostri, senza apparenti ostacoli. E purdel made in Italy, le Thema e le Mercedes, i Cartier verrà e che nei giorni del Midas aveva appena un sto: “Come Benito Mussolini? No, come il Benito troppo questa non è fiction.
d’oro e le cene al Savini. Ciò che
anno. Certo che Matteo Renzi
restava dell’antico socialismo dei
non è Bettino Craxi, né glielo auMemorie/2
valori e della testimonianze fu
guriamo per come è finita quella
UN PAESE RECIDIVO
bruscamente emarginato. Ricostoria. Certo, saprà guardarsi
nosceva anche i meriti del primo
dalle degenerazioni del sistema:
Somiglianze tra Bettino
politico italiano di spicco che
quello dei “bilanci falsi di tutti i
aveva capito le tendenze delle departiti che tutti sapevano” come
e Matteo, ma anche no.
mocrazie occidentali, nelle quali
ammise il cinghiale ferito nel faResta la coazione
il confronto non è tra partiti ma
moso interrogatorio nell’aula
tra leader. Ero presente al famomilanese del processo Cusani.
a ripetere - da Mussolini
so congresso di Rimini del 1982
Anche perché rivisitato su Youquando Craxi dopo aver lanciato
tube quel confronto tesissimo
a B. - di leader che rapidi
lo slogan “Cambiamento” (ma
(Da “Io parlo e continuerò
andò un bel giorno dal Psi per nistra intellettuale, aspirante
con il pm Di Pietro trasmette un
salgono e rapidi cadono
guarda un po’), nell’apoteosi dea parlare” di B. Craxi - Mondadori)
finire nel Psiup. Si trattava di governativa “programmatisenso di sgomento, di dramma
gli applausi, dei garofani agitati
un partito avventuroso che era ca”, che aveva come leader
incombente che nessuna fiction
al cielo, nella calca delle televisioGiuliano Amato è stato uno dei
nato per iniziativa del Pci e Giolitti. (...) Dal giolittismo
potrebbe mai restituirci. Le colpe
ni impazzite, stretto tra mille fans, invocato da nani storiche e giudiziarie di Craxi restano intatte ma
più stretti collaboratori di
dell’Urss, e che era vissuto sino (...) Amato passò senza far tane ballerine viene avvicinato da un signore anziano oggi lui quasi giganteggia a confronto dei tanti,
Bettino Craxi (...), figura nella
alla sua scomparsa con il de- to rumore al “craxismo” che riche timidamente prova a mormorargli: “Bettino troppi “tangentopolini” nel formaggio del ventencartella litografica dedicata ai
naro sovietico, secondo le car- sultava ormai vincente nel Psi.
sono un vecchio compagno...”. E lui sarcastico e tra nio successivo, senza dignità e senza verità.
“Becchini” (...). Nello scritto che te ormai rese note. Natural- (...) A Palazzo Chigi Amato fu
le risate della corte: “Che sei vecchio lo vedo”. Forse Il percorso iniziale di Renzi può somigliare a quelpubblichiamo, l'autore parla di
mente lui, come altri illustri un fedele esecutore delle diretfu lì che cominciò la discesa.
sé in terza persona.
professori di democrazia, di tive di Craxi. Allargò il giro
lo di Craxi perchè entrambi nascono a sinistra per
questo fastidioso particolare delle sue conoscenze, si afferspaccare la sinistra. Ma anche no per il diverso
non ne sapeva nulla, neppure mò senz’altro tra i collaboracontesto politico oltreché temporale nel quale si
La storia si ripete: dal Caf
mato è un genio elettro- per sentito dire, come del resto tori del Presidente come il prisvolgono le due vicende. Esiste tuttavia una coaal Patto del Nazareno
zione a ripetere insita nel sistema italiano, quasi
nico di opportunismo. A in questa materia gli capitò so- mus inter pares. Da quella poFateci caso, nel 1976 al Midas di Roma, superhotel una malattia congenita e recidiva, tra corsi e ridifferenza di altri della sua ge- vente, anche dopo, di essere sizione non mancò di entrare
all’americana appena inaugurato sulla via Aurelia, corsi, che comincia con il ventennio mussolinianerazione che sono sempre ri- una specie di cieco, sordo e nelle grazie di tutti i maggiori
un giovanotto corpulento in jeans approfitta delle no e attraversa quello berlusconiano. È il format
masti più o meno al loro posto muto. Scomparso il Psiup, potentati economici e anche
ruggini tra i capicorrente e di qualche fortunata dell’uomo solo al comando che rapidamente sale
senza girovagare per i labirinti Amato tornò con altri nel Psi. dei clan giornalistici, comprecarambola per farsi eleggere segretario del Psi re- e repentinamente precipita. Reso cieco dalla sua
politici, Giuliano Amato se ne Qui si mise in una specie di si- so quello che aveva cominciato
duce da un mediocre 9,6 nelle stesse elezioni po- stessa superbia e arroganza, mal consigliato, in-
Il voltagabbana Amato:
silenzio sulle sue entrate
A
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 MARZO 2015
9
LA STAGIONE DELLA MILANO DA BERE
Craxi trionfante tra i garofani del Partito socialista. Poi arrivò Tangentopoli e la richiesta d’arresto: rimasto senza immunità parlamentare, Craxi fuggì ad Hammamet, in Tunisia, nel 1994. Nella foto sotto,
invece, Giorgio Napolitano Dlm/LaPresse
Memorie/1
Extraterrestri e bugie
Napolitano e i fondi Pci
IL CAPITOLO DEL LIBRO DI RICORDI IN CUI L’EX LEADER PSI
COLLOCA L’EX PRESIDENTE: “PARLI DI FINANZIAMENTO ILLEGALE”
(da “Io parlo e continuerò a parlare” di B.
Craxi - Mondadori)
“Senza mettere in questione l’esito dei
procedimenti che lo riguardarono, è un
fatto che il peso della responsabilità per
i fenomeni degenerativi ammessi e
denunciati in termini generali e politici
dal leader socialista era caduto con
durezza senza eguali sulla sua persona”:
lo scrive l’undicesimo presidente della
Repubblica italiana, Giorgio Napolitano,
nella lettera inviata il 18 gennaio 2010
alla famiglia Craxi in occasione del
decennale della scomparsa dell’ex
segretario del Psi. Ed è proprio a
Napolitano, il quale figura nella cartella
litografica dedicata a “Bugiardi ed
extraterrestri”, che Craxi si rivolge in
questo scritto, auspicando che sul tema
del finanziamento della politica egli
fornisca il suo contributo per una
ricostruzione “chiara e onesta” della
storia recente.
i fronte a una Commissione di
D
inchiesta parlamentare sul sistema di finanziamento illegale dei partiti
e della politica, Giorgio Napolitano sarebbe un testimonio di primo piano e
un collaboratore utilissimo di verità e
di giustizia. Naturalmente questa presupporrebbe da parte sua una piena e
reale volontà di collaborazione, coerente con i suoi doveri parlamentari e
con la sua posizione di persona informata dei fatti. Insomma l’on. Napolitano non dovrebbe dare prova di avere la memoria corta.
INFATTI, chi non ce l’ha ricorda bene
che l’on. Napolitano è stato per anni il
responsabile delle relazioni internazionali del Pci. In questa veste “non poteva
non sapere” e non poteva non avere un
ruolo nel sistema di relazioni politiche
tra il Pci, il potere sovietico e i regimi
comunisti dell’Est, cui era connesso un
sistema articolato di finanziamenti illegali di cui i comunisti italiani erano i
primi, tra i partiti comunisti e non del
DA CHE PULPITO
Ha sempre negato
di sapere come
funzionasse
la macchina del partito.
Come se fosse vissuto
sulla luna
DOTTOR SOTTILE
Amato, a lungo braccio
destro di Craxi LaPresse
a ringhiare contro Craxi, e cioè
il gruppo Scalfari-De Benedetti. Finita la Presidenza di Craxi,
tornò al partito in posizione di
rilievo. Anzi meglio, Craxi venne via via assorbito per anni dagli incarichi internazionali che
gli venivano conferiti, e Amato,
vicesegretario unico, diveniva
in un certo senso il factotum numero uno anche per il curriculum che lo accompagnava (...).
Figuriamoci se come vicesegretario unico, per lunghi pe-
riodi maggiore responsabile
politico della struttura partitica, non era al corrente della rava e della fava delle spese e delle entrate del partito. Si fosse
trattato solo della fava, sarebbe
stato già moltissimo. A più riprese egli ha invece detto,
scritto e fatto capire che non
ne sapeva perfettamente nulla,
mentendo spudoratamente.
Viveva sulle nuvole, anzi sulla
luna. Del resto, in materia di
spese e di entrate ha anch’egli
una sua storia personale su cui
si e mantenuto sempre il massimo riserbo. (...).
II 15 marzo 1993, parlando agli
studenti della London School of
Economics, Amato dà
l’impressione di voler archiviare
un’intera stagione: “Non credo
che Craxi abbia più un futuro
politico. L’Italia vuole una nuova
classe dirigente (...)”.
Riferendosi poi a Tangentopoli
(...) spiega che “poca gente si
rendeva conto, aveva
conoscenza dei meccanismi
occulti di finanziamento e delle
loro dimensioni”. Passano
quattro anni, e Craxi mostra di
non aver dimenticato quelle
parole da “moralizzatore”.
iuliano Amato, in realtà,
ha fatto ben di peggio di
G
quanto non stia facendo ora.
Prima ha infatti figurato nella
lista dei “becchini” che hanno
contribuito (...) all’affossamento del Partito socialista, poi si e
messo in bella mostra come
extraterrestre, e cioè come uomo nuovo che si affaccia alla vita politica dopo aver trascorso
più di un ventennio sulla luna, e
dopo ancora si e impancato a
sputar sentenze morali. (...)
Certo è che Amato tutto poteva
permettersi di fare salvo che levarsi a denunciare le cattive
mondo, ad avvantaggiarsene. Era un
sistema complesso cui partecipavano
direttamente il partito attraverso i suoi
responsabili e i suoi fiduciari, oppure
attraverso società di varia composizione e natura, strutture e società del movimento cooperativo e una lunga lista
di imprese e gruppi industriali italiani
interessati ad appalti, forniture e
quant’altro.
L'ON. NAPOLITANO, per le responsa-
bilità politiche che ha rivestito, per le
esperienze e le conoscenze che ha accumulato, e d’altro canto certamente
non solo lui, non potrebbe senza dubbio non rendere su tutta la materia una
preziosa testimonianza. Ricostruire in
modo completo, chiaro e onesto, i termini reali in cui si svolse la lotta politica
in Italia e la lotta per il potere, è diventato sempre più necessario, specie
di fronte a tante mistificazioni, a tante
censure e anche a tante ingiustizie.
L’on. Napolitano, che ha il privilegio di
rappresentare il “nuovo”, dopo aver
avuto un ruolo non secondario in una
parte importante del “vecchio”, sentirà
certamente l’obbligo politico e morale
di dare il buon esempio. E d’altro canto
non credo possa sostenere e pretendere, come fanno altri, che la storia della democrazia italiana sia iniziata
nell’89.
abitudini, finanziamento illegale in testa, contratte dal Psi.
Lo dico perché con queste anch’egli è stato a contatto quotidiano (...). Negli anni in cui io
mi occupai delle Nazioni Unite
(...) la responsabilità politica
del partito e delle sue attività ricadde per buona parte sulle sue
spalle, in ragione dell’incarico
che rivestiva, che era appunto
allora quello di vicesegretario
vicario. (...) I suoi rapporti con
il partito e il governo erano diretti (...). Resta inoltre da considerare se per sostenere la candidatura di Amato e per far
fronte alle spese delle sue campagne elettorali, che furono più
di una, furono organizzate, come pare, anche raccolte di fondi, che non rientravano nel
controllo e nella responsabilità
della Amministrazione centrale del partito. Non è mai capitato a mia memoria che Giuliano Amato in incontri personali
e confidenziali con il segretario
del partito avesse esternato le
sue perplessità e il suo disappunto per il sistema generale su
cui si imperniava il finanziamento del partito, parte del
quale, come tutti sapevano, era
costituito da forme che si concretavano in aperta e risaputa
violazione della legge sul finanziamento dei partiti (...). Amato (...) tutto può fare salvo che
erigersi a giudice delle presunte
malefatte del Psi, di cui egli, al
pari (...) di altri dirigenti, porta
semmai per intero la sua parte
di responsabilità. Altri numerosi dirigenti sono stati letteralmente criminalizzati. Il sottoscritto, per le sue responsabilità
di Segretario, trattato alla stregua di un gangster, e condannato all’ergastolo. Guarda caso
invece a Amato, vicesegretario
vicario del Psi, forte delle sue
amicizie e alto locate protezioni, non è toccato nulla di nulla.
10
L’EQUIVOCO “VERDE”
Obbligatorio per legge dal 2008, il sistema
che doveva bloccare le Pm10 in realtà rilascia
in atmosfera il pericoloso biossido di azoto
e particolato ultrafine che finisce nei polmoni
20
MILIARDI
GIRO D’AFFARI
Entrati in vigore i
decreti, nel 2008, era
di 20 miliardi di euro
il mercato dei filtri
Smog, i filtri per le auto
diesel sotto inchiesta
A TORINO IL PM GUARINIELLO INDAGA SULLA SICUREZZA DOPO L’INCENDIO DI UN MEZZO; A TERNI
IL FASCICOLO (ORA PASSATO A ROMA) RIGUARDA LE OMOLOGAZIONI FACILI CONCESSE A PIRELLI, FIAT
IVECO E ALTRI DAL MINISTERO DEI TRASPORTI : PRESTO LA DECISIONE SUL SEQUESTRO DEI DISPOSITIVI
di Marco
Palombi
e Carlo Tecce
Il comportamento dei cinque dirigenti avrebbe procurato - scrive il magistrato nella trasmissione degli atti a Roma - “un ingiusto
utto comincia con un mez- profitto” a Fiat, Pirelli Feelpur e Iveco. Il conzo che va a fuoco nel To- sulente del magistrato ha scoperto che i filtri
rinese. Parte da lì la nuova omologati non hanno realmente superato gli
inchiesta sui filtri antipar- esami richiesti dai decreti, ma le società ticolato (Fap) per i diesel come la Pirelli, già monopolista del mercato che riaccende la luce su uno hanno ottenuto lo stesso il nullaosta minidei prodotti più controversi del (ricco) mer- steriale. Nel documento già citato, Massini
cato dell’auto. Il procuratore di Torino, Raf- illustra poi le violazioni: “Nell’esercizio delle
faele Guariniello, ha aperto un fascicolo sui loro funzioni, i dipendenti del ministero dei
Fap, sentito qualche funzionario del mini- Trasporti hanno omologato filtri antipartistero dei Trasporti e iscritto alcune persone colato in assenza delle prescritte prove di dunel registro degli indagati: nel mirino fun- rabilità, in presenza di motori capostipite sezionamento e utilità dei dispositivi che do- lezionati in violazione del dm 39/2008 e Di
vrebbero rendere le auto meno inquinanti. I Santo, Di Pietroantonio, Cupini e Vitelli si
reati ipotizzati, al momento, riguardano la sono sostituiti illegittimamente ai Cpa per
sicurezza e forse l’ambiente. Agli atti ci sono, l’esecuzione delle prove tecniche, ritenendo
infatti, anche due perizie presentate da As- irrilevanti i superamenti dei valori limite”. Il
soconsum, un’associazione di consumatori: magistrato di Terni, infine, ha suggerito ai
“Dai nostri studi si evince addirittura che colleghi romani di “valutare l’opportunità di
con l’installazione del Fap i danni per la sa- procedere a sequestro dei filtri medesimi, per
lute sono potenzialmente persino maggio- i quali non appare sussistere alcuna prova
ri”, dice il presidente Gioassunta nel rispetto delle norvanni Maria Cicero. Sui dime (…) nonché di valutare
fetti di questi filtri esiste in
conseguenze negative in maIL CASO DELLA DUKIC teria ambientale derivanti
rete una sterminata aneddotica e non manca letteratura
dalla loro utilizzazione”.
La società veneta ha
scientifica sulla loro sostanDa quasi un anno la Procura
ziale inutilità (se non dandi Roma possiede il fascicolo,
inventato un prodotto nosità) ai fini del contenima non risulta abbia pro“funzionante”secondo
mento delle “polveri sottili”.
mosso sequestri. Nei prossiEppure sono obbligatori per
mi giorni è però attesa la deil Cpa di Bari - per il quale cisione del pm Orano: o chielegge: senza il filtro, l’auto
non è omologata e non può
derà l’archiviazione o il rinda anni non le viene
circolare. Di più: un decreto
vio a giudizio.
concessa l’omologazione
ministeriale del 2008 li ha in
buona sostanza indicati co2. Le omologazioni
me la tecnologia ufficiale
false, il ruolo di Vert
dello Stato italiano in materia di riduzione
delle emissioni dei diesel. Lo testimonia il Le osservazioni del sostituto Massini si bacaso del dispositivo 3D della Dukic Day sano su varie fonti di prova, ma il pezzo forte
Dream, una società veneta che ha inventato è la perizia tecnica, che finisce per mettere in
un sistema che lavora sulla combustione an- dubbio sette anni di politiche per contrastare
ziché sull’ingabbiamento delle polveri (se ne l’inquinamento, sette anni di spese assai peoccupò Report già nel 2010): il ministero non santi per i cittadini, le aziende e gli enti locali
lo ha mai omologato nonostante il suo Cpa che hanno dovuto impiantare i filtri su auto,
(Centro prove auto) di Bari abbia messo ne- camion e autobus. Nelle omologazioni - soro su bianco che il sistema funziona ed è stiene la perizia - ci sono dati che non torquindi “conforme”. Cavilli, liti giudiziarie e nano, i motori-campione non sono scelti sequerele si susseguono da allora, il lontano condo le regole e mancano sempre le prove di
2008, senza esito: nel frattempo il mercato durabilità. Vale a dire che manca la prova di
dei Fap ha preso piede, anche grazie a ge- cosa succede al filtro dopo 50mila chilometri.
nerosi contributi delle Regioni per centinaia In realtà in molti casi – e in almeno uno anche
di milioni di euro (l’ultimo è quello della tra le omologazioni sequestrate e finite nella
Lombardia, che ha regalato ai produttori al- perizia: quella per un dispositivo Pirelli – si
tri 10 milioni, dopo le decine degli anni scor- citano prove di durabilità effettuate presso i
si) e all’obbligatorietà dell’installazione sui laboratori dell’Università di Berna diretti dal
professor Jan Czerwinski secondo un pronuovi veicoli.
tocollo ideato dal Vert, che sta per Verification
of emission reduction technologies, un istituto
1. L’inchiesta di Terni, ora a
Piccolo problema: il Vert risulta
Roma: ministero sotto accusa svizzero.
fondato dai maggiori produttori europei di
Torino, ma prima ancora Roma. Anche la filtri antiparticolato, tra cui Pirelli (Bruno
procura della capitale indaga sul funziona- Tronchetti Provera ne è presidente), mentre
mento dei filtri antiparticolato e su alcuni il dottor Czerwinski siede nel comitato scienpresunti illegittimi interventi dei dirigenti del tifico dell’associazione. La cosa non è illegale
ministero dei Trasporti. Il 29 aprile 2014 il - e d’altra parte né Pirelli, né Fiat o Iveco
pm Giorgio Orano ha ricevuto da Elisabetta risultano indagate - ma di sicuro lascia adito
Massini, sostituto procuratore a Terni, gli atti a un certo sospetto di conflitto d’interessi. La
di un procedimento a carico di Alessandro torta, d’altra parte, era ed è davvero ghiotta:
De Grazia, Antonio Di Pietroantonio, Mau- considerando i veicoli coinvolti nel 2008 tra
rizio Vitelli, Paolo Cupini e Vito Di Santo. trasporto pubblico, commerciale o civile, si
Massini ritiene che i cinque dirigenti dei Tra- arriva a oltre 11 milioni di veicoli. Ai prezzi di
sporti, in concorso fra loro, abbiano com- vendita era un giro d’affari potenziale da 20
messo i reati di abuso d’ufficio e falso ideo- miliardi di euro, cui vanno aggiunte da allora
logico. Per sostenere l’accusa, allega una con- le nuove automobili, che escono dalle fabsulenza tecnica e la denuncia di Anna Dukic. briche già dotate dei filtri: l’anno scorso, per
T
capirci, in Italia sono state immatricolate
1.359.616 vetture, oltre la metà sono diesel.
3. Cos’è, come funziona
e quanto inquina il Fap
Il Fap è una gabbia, con struttura a nido d’ape,
che viene installata a valle del motore per bloccare le Pm10, le polveri sottili: col filtro l’auto
dovrebbe diventare più “verde” (da Euro 2,
poniamo, ad Euro 4 o 5). C’è un problema,
però: il filtro tende a intasarsi e quindi va pulito abbastanza spesso. Ci pensa lo stesso Fap a
farlo attraverso la cosiddetta “rigenerazione”:
il sistema immette liquido infiammabile nella
gabbia e brucia le polveri a temperature che
vanno dai 500 ai 700 gradi centigradi, poi
espelle i residui. Questo trattamento fa sì che le
Pm10 vengano sminuzzate riducendosi di diametro divenendo Pm2,5 (particolato fine) o
anche meno (ultrafine): queste ultime però,
quando le respiriamo per strada, non vengono
bloccate nel naso e nella laringe come le Pm10,
ma finiscono direttamente nei polmoni e sono
molto più dannose per la salute. La normativa
europea, infatti, fa riferimento al numero di
emissioni di particolato, non solo alla massa,
come fanno invece i decreti ministeriali italiani, il cui nemico sembra essere solo il Pm10.
Il funzionamento del Fap – aumento della
contropressione, rigenerazione da effettuare
solo ad alte velocità – finisce per costringere
l’automobilista a consumare più carburante
con relativo danno economico e ambientale.
C’è anche di peggio: per “rigenerarsi” i filtri
immettono in atmosfera anche altri gas serra,
il più pericoloso dei quali è il biossido di azoto.
L’Agenzia per la sicurezza di salute e ambiente francese ha consegnato al governo un
rapporto in cui sostiene che sono le auto con
Fap ad aver causato l’innalzamento del livello
di biossido d’azoto in Francia: è anche per
questo che il premier Manuel Valls – in un
paese in cui i due terzi e più del parco auto è
diesel – ha recentemente lanciato una campagna per abbandonare questo tipo di auto
entro il 2020. I miglioramenti tecnologici
vantati dai produttori, insomma, sembra non
abbiano convinto Parigi.
4. Tutta comincia nel 2008
con Pirelli monopolista
Per comprendere l’intricata vicenda occorre
tornare al 2008, quando il ministero dei Trasporti, di concerto con Ambiente e Salute,
emana due decreti per disciplinare l’omologazione di dispositivi da montare sui veicoli
diesel per ridurre l’emissione di polveri sottili. È un tentativo per abbattere il vincolo dei
blocchi del traffico e delle domeniche ecologiche consentendo ai veicoli di usufruire di
un passaggio sul libretto: una vecchia automobile Euro 2 può trasformarsi in Euro 5 con
la semplice installazione del filtro, il rimedio
prescelto dai tecnici statali pur non essendo
affatto l’unico disponibile. Il testo individua
una serie di priorità che compongono l’esergo dei provvedimenti. Il legislatore si concentra soltanto sulla diffusione all’esterno di
polveri sottili e va a rianimare - se non a
12
MILIONI
VEICOLI
DA EURO5 IN GIÙ
Con la norma del
2008 per 12 milioni
di veicoli è stato
obbligatorio il filtro
700.000
VETTURE
NEL 2014
il Fatto Quotidiano
A GASOLIO
Nel 2014 sono stati
circa 700 mila i
veicoli diesel venduti
col filtro già incluso
40
DOMENICA 29 MARZO 2015
MILIONI
DI AIUTI
11
REGIONE PAGA
Tra il 2008 il 2011
a Pirelli circa 40
milioni di euro
dalla Lombardia
NEL 2015 BOOM DELLE PM10
Ecco perché le città
italiane continuano
a soffocare per le polveri
di Virginia Della Sala
entre leggete questo
M
giornale, in alcune città
d’Italia il traffico è bloccato. A
Scene di ordinario smog da traffico cittadino. A destra: un filtro antiparticolato Ansa
creare - il mercato dei filtri
è necessario per il dispositivo
NEL MIRINO DEI PM
antiparticolato,
settore
Dukic e ribadisce l’efficacia
all’epoca già coperto da Piprodotto. Poi ancora scriI funzionari pubblici sono del
relli EcoTechnology, il cui
ve il ministero, stavolta firma
prodotto è certificato da
il dirigente Alessandro De
accusati di aver violato
Ispra, Legambiente e Regione
Grazia, e di nuovo controdele norme per procurare
Lombardia. Fino al 2010, Piduce il Cpa. Il 25 marzo 2009,
relli soddisfa il 95 per cento
sempre De Grazia, interromad alcuni produttori
dell’offerta, il resto va ai tepe la tenzone con una raccodeschi di Hjs. Il decreto è
“ingiusto profitto” anche mandata di cinque righe: “Si
scritto come se la tecnologia
prende atto della posizione
ostacolandone altri
Fap fosse l’unica applicabile e
assunta da codesto ufficio”, i
- oltre a favorire in maniera
destinatari sono il Cpa di Bari
volontaria o incidentale certi
e la Direzione Generale teroperatori (alcuni, come Pirelli EcoTechno- ritoriale del Sud. Nel frattempo, e lo scopriamo
logy, comunque non immuni da perdite leggendo la dettagliata perizia commissionata
d’esercizio), finisce per tradire l’intenzione dal pm Massini, a Pirelli & C. viene concessa
che l’ha ispirato: eliminare l’inquinamento l’omologazione e l’opportunità di sfruttare il
nel suo insieme e non aggredire, con risultati mercato in esclusiva. Il 7 febbraio 2013, Masche poi vedremo essere ambigui, la sola emis- sini affida a un ingegnere di Padova lo studio
sui filtri, l’incarico viene completato in 90
sione di Pm10.
giorni. Il perito analizza i decreti ministeriali e
5. Lo strano caso degli esclusi: numerosi dispositivi venduti sul mercato di
Fiat, Iveco e Pirelli e riporta le anomalie rila società veneta penalizzata
scontrate: le emissioni inquinanti di agenti
Appena le norme ministeriali vengono pub- chimici come l’ossido di azoto e il platino non
blicate sulla Gazzetta Ufficiale e l’adozione di un sono ridotte neanche del 20 per cento, il limite
dispositivo per contrastare il particolato di- minimo previsto per l’omologazione. E arriventa un obbligo di legge, l’azienda Dukic Day viamo alla contestata prova di durabilità, DuDream (Vicenza) si rivolge al Cpa di Bari, un kic non può eseguirla, ma il perito rivela che
organo del ministero, e verifica lo strumento neppure Fiat, Iveco e Pirelli si sono sottoposti
ideato, il dispositivo “Tre D”: a differenza dei al test nonostante il filtro subisca un progresfiltri che agiscono all’uscita dei fumi tossici, sivo deterioramento. Sta di fatto che “Tre D”
questo interviene sulla combustione dimi- non è stato omologato, anche se è sul mercato
nuendo alla fonte la produzione dell’inqui- e viene venduto a privati e istituzioni con pienamento. E qui c’è l’inghippo. Per come è svi- na soddisfazione della clientela.
luppata la legge, Dukic non può effettuare il Il magistrato di Roma dovrà ora chiarire se il
test di durabilità: il dispositivo non patisce ministero ha agevolato alcune società a scal’usura come accade per il filtro e non raccoglie pito di Dukic e, soprattutto, se i Fap trasforparticolato, semplicemente fa in modo che se mano le macchine in ciminiere inquinanti,
ne produca meno. Il Cpa di Bari, però, capisce ancora più dannose a prescindere dall’idenlo spirito della cosa e infatti comunica al mi- tificazione in Euro 4 o Euro 5 che viene imnistero che la Dukic può ricevere l’omologa- pressa sul libretto di circolazione. A Torino,
zione e competere sul libero mercato: la prova invece, Guariniello deve verificare se i recenti
sui fumi è riuscita, il dispositivo è “idoneo” e e frequenti incendi di veicoli sono dovuti
“conforme”. Passa l’intera estate e non succede all’innalzamento della temperatura all’internulla. Poi inizia un carteggio tra il ministero no del motore (si superano i 500 gradi cendei Trasporti e il Cpa. Il 20 ottobre 2008 il tigradi) per consentire la pulizia automatica
direttore generale Vitelli spiega perché la Du- dei filtri. Tra l’altro, gli stessi filtri, collegati a
kic non può ottenere il certificato: “Non risulta un sistema elettrico, potrebbero provocare lo
essere stata effettuata la verifica di durabilità spegnimento del motore anche se il veicolo è
del sistema ai sensi del decreto”. Il Cpa ri- in movimento.
sponde soltanto per ripetere che quel test non
Ha collaborato Andrea Giambartolomei
Perugia, a Terni, a Bussolengo si cerca di ridurre l’inquinamento chiudendo le strade
e regalando biglietti per il trasporto pubblico. Peccato che,
a quanto pare, si tratti di semplici e rari palliativi perché la
nostra aria è comunque irrespirabile e a dirlo sono diversi
rapporti.
Da
quello
dell’Agenzia
Europea
dell’ambiente a quello di Legambiente, passando per l'Ispra (Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale). Secondo l’Agenzia
europea dell’ambiente, l’Italia
registra in Europa il più alto
numero di morti premature
per inquinamento da ozono:
3.400 vittime all’anno. Ed è al
secondo posto per le polveri
sottili, con oltre 64 mila morti: a precederla solo la Germania, “giustificata” dall’industria pesante, dalle acciaierie e
le industrie chimiche.
L’ITALIA vive una delle situa-
zioni più critiche a livello europeo soprattutto per quanto
riguarda il Pm10, il Pm2,5 e
l’ozono. I filtri antiparticolato
applicati alle automobili, insomma, non hanno cambiato
la situazione. Nonostante il
miglioramento dei motori e le
direttive europee per ridurre
l’emissione di agenti inquinanti, non ci sono stati avanzamenti per quanto riguarda
la qualità dell’aria. Soprattutto per le emissioni su strada.
L’Italia è il paese con il maggior numero di veicoli in circolazione in Europa: 792,5
ogni 1000 abitanti. Partendo
da questo dato, in circolazione nel nostro Paese ci sarebbero circa 40 milioni di autovetture.
Fine, ultrafine, nanoparticelle, polveri sottili: il particolato
secondario prodotto dai motori penetra nei polmoni, si
installa nei tessuti ed è quasi la
metà di quello presente
nell’aria, soprattutto in alcune
aree del Paese, come la pianura padana. Il trasporto stradale è la fonte principale di ossidi
di azoto, con il 48 per cento
del totale emesso: a quanto
pare, non è stato decisamente
abbattuto dall’evoluzione dei
motori Euro. A dirlo è, anche
in questo caso, il documento
dell’Agenzia europea per
l’ambiente. Guardando i dati,
ci si accorge anzi che, dal 2010
al 2012, i valori di polveri sottili sono aumentati: per il
Pm10 si è passati da 50,5 microgrammi al metro cubo nel
2010, al 62,5 nel 2011 poi tornati a 50,7 del 2012. E, come
sottolinea il rapporto di Legambiente del 2015, i valori di
abbattimento indicati nei motori Euro “riguardano il fun-
zionamento del motore a certi
standard di temperatura e di
regime, che difficilmente si
raggiungono muovendosi nel
traffico cittadino e quindi
spesso non rispondono alle
emissioni reali dei veicoli che
possono essere superiori”.
LA SOLUZIONE è un radicale
cambiamento. “Anche perché
l’innovazione tecnologica ha
esaurito il suo potenziale spiega Alberto Fiorillo, responsabile Aree Urbane di
Legambiente - Ormai siamo a
almeno undici nel 2013 hanno registrato una media annuale superiore al valore limite di 26 microgrammi al metro cubo. Brescia, Milano e
Monza sono ai primi posti
con un valore pari a 31. Seguono Torino, Cremona e
Mantova.
Il numero delle città a rischio,
però, aumenta se si cambia
prospettiva. Il valore previsto
dalla normativa europea, infatti, è superiore a quello previsto dalle raccomandazioni
dell’Organizzazione mondiale della Sanità che considera il
Pm2,5 il particolato atmosferico più rischioso per la salute
dell’uomo e fissa a 10 microgrammi al metro cubo la media annuale da non superare.
Se si tenesse conto di questo
parametro, tra le città analizzate si salverebbero solo Genova (9) e Sassari (8). “E i dati
- si legge nel resoconto - confermano anche i vari rapporti
stilati dalla Comunità Europea e ripresi da Ispra: tutti
I CONTI IN BILICO
Chi abita in città respira polveri sottili
La percentuale dei cittadini esposti a livelli di
particolato superiori a quelli indicati dall’Oms
96%
Morti premature per inquinamento da ozono
Il dato è dell’Agenzia europea per l’Ambiente,
indica le vittime registrate nel corso del 2011
3.400
Morti premature per le polveri sottili
Per l’emissione di Pm2,5, l’Italia si colloca al
secondo posto in Europa, dopo la Germania
36.000
Investimenti nel trasporto pubblico
Rispetto agli altri Paesi d’Europa, l’Italia
investe il 35% in meno per i mezzi pubblici
crescita zero. Anche le più
avanzate tecnologie sui carburanti tradizionali hanno
svolto il massimo che potevano. Non ci sono più margini
di miglioramento se non la riduzione del numero di veicoli
in circolazione”. Per farlo si
dovrebbe potenziare il trasporto pubblico. “E invece –
sostiene Angelo Bonelli, coportavoce della Federazione
dei Verdi - l’Italia destina il 35
per cento in meno di investimenti al trasporto pubblico
rispetto al resto d'Europa. Per
non dire che ignora completamente lo sviluppo di forme
alternative di trasporto e di
motori, dalle auto elettriche a
quelle a idrogeno. Servirebbe
una rivoluzione generale della
mobilità, partendo dall’efficienza del trasporto pubblico”.
Tornando ai numeri, secondo
il rapporto europeo quasi un
terzo della popolazione italiana che abita in città è stata
esposta, nel 2012, alle polveri
sottili. E dei 75 capoluoghi
monitorati da Legambiente,
-35%
concordano nel dire che tra il
2009 e il 2011, fino al 96 per
cento degli abitanti delle città
è stato esposto a concentrazioni di particolato fine superiori ai livelli delle linee guida
dell’Oms”. Insomma, tutti
concordano sul fatto che le
città italiane siano malate.
E PER IL 2015? Nessun mi-
glioramento. L’anno si è aperto con alti livelli di Pm 10
nell’aria di molte città italiane.
Trentadue capoluoghi hanno
superato la soglia massima
giornaliera consentita una
volta ogni tre giorni. Quattordici, un giorno ogni due. Tra
questi, i principali centri urbani dell’area padana e alcune
grandi città del centro sud come Roma (12 giorni di superamento) e Napoli (11 giorni).
A guidare la classifica del 2015
ci sono, per il momento, Frosinone e Parma con 20 giorni
di superamento del limite. Per
rientrare nei ranghi non basteranno filtri né sporadici
blocchi del traffico.
12
CRONACA
DOMENICA 29 MARZO 2015
Sdi pari
al congresso
Md con Orlando:
“Uno squilibrato”
SEMBRA GIÀ RISOLTO il giallo degli
spari davanti al Teatro Cilea di Reggio
Calabria, mentre all’interno era in
corso il congresso di Magistratura democratica al quale partecipa il ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Un uomo è arrivato a bordo di un’auto
Suzuki e ha sparato in aria. Fausto
Bortolotti, questa l’identità dell’uomo
che ha qualche precedente e vive a
Ventimiglia, ha esploso due colpi di
pistola calibro 7,65 ed è stato immediatamente bloccato dalle forze
dell’ordine in servizio davanti al teatro. Tutto sembra indicare che si sia
trattato del gesto di uno squilibrato,
il Fatto Quotidiano
mosso a quanto pare da risentimento
verso la magistratura e deciso a prendersela con il Guardasigilli Orlando. I
lavori del congresso non sono stati
gravemente turbati anche perché il
problema è stato subito affrontato e
risolto. Lo stesso ministro, tra gli altri,
ha ringraziato le forze dell’ordine.
Perugia, il valzer giudiziario
lascia in cella solo Rudy
L’IVORIANO UNICO KILLER DI MEREDITH DOPO L’ASSOLUZIONE DI AMANDA E RAFFAELE
di Enrico Fierro
I
l colpevole è uno solo.
Certo perché reo confesso, Rudy Hermann Guede, 29 anni, il cui destino
è contare i giorni in una cella del
carcere di Viterbo per arrivare
alla fine della condanna, 16 anni. Lo definiscono un detenuto
modello, assiduo frequentatore
della biblioteca del carcere dove
ha studiato e si è diplomato. Il
resto, dopo la sentenza della
Cassazione di venerdì scorso, è
materia per i giallisti della domenica e per i talk-show che coltivano il genere.
mento con rinvio della sentenza
da parte della Cassazione, assolti definitivamente venerdì scorso. Cinque gradi di giudizio per
una verità che lascia l’amaro in
bocca a tanti.
Cosa farà adesso Rudy, quali saranno le mosse dei suoi legali?
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Nicodemo Gentile. “Nessun commento”, è la prima risposta. “Aspettiamo di leggere
L’UNICO DATO incontestabile è
che la sera del 2 novembre 2007
una ragazza di 22 anni, studentessa inglese a Perugia, viene
trovata in una pozza di sangue:
violentata e uccisa. Rudy, giovane ivoriano all’epoca 21enne è
tra i sospettati, viene fermato
dalla polizia in Germania a bordo del treno Coblenza-Magonza il 20 novembre. Subito si dichiara innocente, ma il 16 settembre 2008 chiede il rito abbreviato, ammette le sue colpe e
viene condannato a 30 anni. Pena successivamente ridotta.
Amanda Knox e Raffaele Sollecito vengono condannati una
prima volta nel 2009, assolti due
anni dopo, condannati nuovamente nel 2014, dopo l’annulla-
Amanda Knox Reuters
ANELLO DEBOLE
Condannato a 30 anni
poi ridotti a 16,
si è diplomato in carcere.
Il suo legale: “Leggeremo
le motivazioni e poi
vedremo cosa fare”
le motivazioni dei giudici della
Cassazione. Rispettiamo la sentenza e le persone coinvolte”.
Poi poche altre parole che lasciano presagire future mosse
della difesa. “Per il momento
non ci poniamo il problema di
cosa fare, vedremo nelle prossime settimane”. Quella sera Rudy non era solo, chi c’era in quella casa, chi erano gli altri soggetti
che hanno “concorso” all’omicidio di Meredith? Risposta secca dell’avvocato: “Questo è un
problema dei giudici”.
Rudy Guede, una infanzia problematica con una madre che lo
abbandona troppo presto e un
padre severissimo, è l’anello più
debole della catena di personaggi che si sono avvicendati nel
giallo di Perugia. Lo accusano e
scappa, ma quando la polizia lo
blocca si fa prendere e si dice subito innocente. Sceglie il rito abbreviato, ammette le sue colpe
ma non si dichiara mai un assassino. Lui racconta a un certo
punto che non voleva la morte
della ragazza. Le indagini accertano che prima di essere uccisa,
Meredith è stata violentata, sul
cuscino accanto al suo tracce
della mano insanguinata del
giovane ivoriano. La povera ragazza fu “vittima di una forza
brutale prevaricante”, si legge
nella sentenza che conferma i 16
anni per Rudy. Storia chiusa,
quindi, in un processo che ha
A LONDRA
La madre di Mez: “Scioccata”
I media inglesi contro l’Italia
di Caterina Soffici
Londra
a sentenza che ha assolto
L
Amanda Knox e Raffaele
Sollecito per l’omicidio della
possa dire di una sentenza che
risulta incomprensibile in un
paese come il Regno Unito.
LA STAMPA britannica critica il
studentessa inglese Meredith
Kercher ha lasciato la Gran Bretagna sotto choc. La madre di
Meredith, Aline Kercher, riassume lo stupore di un intero popolo, abituato ad altre procedure e a un’altra giustizia. “Sono
scioccata. E abbastanza sorpresa. Sono stati condannati per
due volte, è un po’ strano che le
cose possano cambiare ora”.
“Siamo allibiti” sbotta invece la
sorella, Stephanie Kercher. “Un
po’ strano” è il minimo che si
sistema giudiziario italiano senza vie di mezzo. L’Independent è
il più diretto e parla di “atroce
errore giudiziario”. Mentre il
Guardian dice che i familiari della vittima avevano riposto fiducia nel sistema giudiziario italiano e “questa non era certo la
conclusione che la famiglia Kercher voleva e si aspettava”. La
stoccata del Guardian è diretta:
“Non è chiaro se questa fiducia
nella giustizia italiana sia rimasta intatta dopo la sentenza della
Cassazione”. In un commento
Meredith Kercher Ansa
ALL’ATTACCO
Pure la compassata Bbc
si interroga sul nostro
sistema giudiziario:
in Gran Bretagna
l’altalena dei verdetti
è impossibile
di Peter Popham l’Independent si
chiede “come il sistema giudiziario di un Paese così bello e illuminato” possa compiere così
tanti errori.
Twitter è stato sommerso dai
commenti negativi e lo stupore è
tale che la Bbc, compassata e
sempre imparziale, ritiene di
riassumere per punti le fasi del
lungo e confuso per spiegare
l’inspiegabile. “Perché la Knox e
Sollecito sono stati assolti? Non
sappiamo ancora i motivi della
decisione” scrive il sito della Bbc.
Perché le motivazioni della Corte di Cassazione arriveranno tra
90 giorni, quindi a fine giugno.
Ma la principale domanda che
assilla gli inglesi è: “Come è possibile essere processati due volte
per lo stesso reato?” Così la Bbc
(ma ci provano anche i giornali), devono spiegare che “la sentenza della Corte di Cassazione
significa che il secondo giudizio
non era tecnicamente un nuovo
processo, ma la continuazione
di quello originale”. Concetti
difficili da spiegare in un paese
dove una sentenza è una sentenza e dove non esiste, dopo il giudizio, la possibilità di entrare di
nuovo nel merito.
avuto più vite, nelle aule di giustizia e sui media, italiani ma anche internazionali. Britannici e
americani, soprattutto.
QUANDO il 5 dicembre 2009
Amanda Knox viene condannata a 26 anni, negli Stati Uniti si
scatena l’inferno. Giornali e tv
attaccano il sistema giudiziario
italiano, il Belpaese è rappresentato come la Turchia di Midnight
Express (in Italia tradotto in Fuga
di mezzanotte) , il drammatico
film di Alan Parker che racconta
di un giovane americano incarcerato per possesso di hashish. Il
miliardario Donald Trump arriva a parlare di boicottaggio dei
prodotti italiani, e una deputata
democratica, Maria Cantwell,
definisce la sentenza “oltraggiosa”. Troppo per non indurre il
Dipartimento di Stato e il ministro della Giustizia, all’epoca
Hillary Clinton, a prendere po-
Rudy Hermann Guede oggi ha 29 anni ed è in carcere da otto Ansa
sizione. Cosa che la signora fece
intervenendo nell’importante
talk-show domenicale This
Week, dalla rete Abc, dicendosi
disponibile ad “incontrare
chiunque abbia timori su come
è stato gestito il processo”. Da
allora gli americani, ambasciata,
giornali e autorità politiche,
hanno tenuto sempre gli occhi
puntati sul processo, fino alla
sentenza di venerdì.
Ora anche al Dipartimento di
Stato si festeggia, l’incubo per
Amanda e Raffaele è finito. Per
Rudy no. Sconterà la sua pena
da detenuto modello in compagnia dei fantasmi: le altre persone presenti la sera del massacro,
quando una giovane ragazza inglese venne uccisa. Di quei fantasmi la giustizia italiana non è
riuscita neppure a disegnare il
volto.
CULTURA
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 MARZO 2015
13
UNO SGUARDO D’ARTISTA
Torna domani sera, alle 21:15, su Rai5
l’appuntamento con “L’arte secondo Dario Fo”.
La puntata è “Discorsi su Leonardo e il
Cenacolo”. Eccone un’anticipazione.
di Dario Fo
L
Le mitragliatrici
e la crisi pacifista
di Leonardo da Vinci
INVENTORE DI MACCHINE BELLICHE, POI IL DUBBIO: “SGOMENTO
A TOGLIERE LA VITA A UNA MERAVIGLIA COME IL CORPO UMANO”
eonardo, è risaputo, aveva
grande interesse per lo studio sul corpo umano, e si
giovava dell’amicizia del
medico Paolo dal Pozzo Toscanelli, grazie al quale ebbe
modo di approfondire l’anatomia assistendo
alla dissezione dei cadaveri reperiti negli
ospitali di Milano. Quel tipo di ricerca era
severamente punita dalle leggi di quel tempo,
e Leonardo, scoperto a compiere ricerche su
un cadavere, fu arrestato e menato alle prigioni. Di qui fu poi tolto grazie all’intervento
immediato del duca Ludovico il Moro in persona.
“Non solo movimento
ma anche spirito”
Il progetto (fallito) di far
scorrere l’Arno in due canali
Nel codice leonardesco di Madrid troviamo
in un suo scritto un passo dove egli fa considerazioni sul corpo umano; all’inizio del discorso Leonardo si rivolge al suo immaginario interlocutore dicendo: “Bada tu da che
maravigliose strutture ed invenzioni egli corpo è composito che niuno cervello d’inge-
niere o sublime meccanico potrebbe immaginare. E anco tu se l’indaghi e lo leggi ad ogni
istante te dovrai stupefacere pe’ quanti magnefici aggetti movimentano esso corpo e
producono flusso di sangue pe’ tutti li canali,
anco li più minuti. Come allocchito te starai
dinanzi al moto delle costole che sollevano i
polmoni che, simile a uno pussente soffiatore, inspirano l’aria e la ripompano de fuora.
Io te dimando come si puote distruggere, uccidendola, una sì fatta macchina, una sì stupefacente creazione della natura. Non truovi
tu sia cotesta distruzione orribile e crudele?
Ma se poi tu consideri che dentro esso corpo
non alloggia solo movimento, vita e potenza
che lo aziona, ma si ritruova lo spirito, la
ragione che n’è l’anima stessa d’uno suo intelletto pruodigioso, allora se ne intendi il
miracolo tu ne rimarrai per intero sgomento
all’idea che si possa toglier vita e render morta una sì fatta creatura !”.
Il “diritto alla vita”
e la “gran ruina”
Leonardo quindi considera l’uomo e il suo
diritto alla vita come valore inalienabile, ma
come possiamo poi all’istante ritrovarcelo a
disegnare, concepire, fondere e fabbricare ordigni terribili forgiati per il massacro e l’an-
Francesco Guiducci, magistrato di guerra
della repubblica fiorentina, scrisse dal Campo contro Pisa alla Balia di Firenze, cioè a dire
la magistratura che si occupava degli affari
criminali, per riferire come, il giorno precedente, Leonardo Da Vinci, con Alessandro
degli Albizi, avesse illustrato a lui e al governatore il “disegno” del progetto per deviare le acque dell’Arno. Perché deviare l’Arno? Per la ragione che quel fiume transita a
poche miglia dal mare dopo aver attraversato
la città di Pisa. È inutile sottolineare che quel
corso d’acqua era essenziale per la vita della
città e dei suoi abitanti, nonché un mezzo
determinante nella navigazione nella bassa
Toscana. La deviazione di quel fiume avrebbe
causato grave disastro, a cominciare dalla sete
dei cittadini di tutta la valle, nonché l’arresto
immediato dei mulini, sia quelli impiegati
per le farine che gli altri che muovono impianti per l’agire d’ogni meccanica. Si trattava
di costruire una possente diga che bloccasse il
flusso nella valle pisana e conducesse le acque
del fiume a scendere in mare molte miglia più
abbasso di quanto stesse in quel tempo.
Soderini e Machiavelli riuscirono, il 20 agosto del 1504, a decretare l’inizio dei lavori
“circha el voltare Arno alla torre ad Fagiano”,
per costringere l’Arno a scorrere in due canali
ben distinti, fino allo Stagno, verso il mare.
Ma le difficoltà e gli impicci imprevisti furono sì numerosi da convincere i progettatori
a dichiararsi impotenti. L’Arno sembrava rivoltarsi all’intero progetto, e Ludovico Muratori commentò: “Il fiume si rise di gli volea
dar legge”.
Ma gli interessi dello straordinario maestro
non si arenavano nel progettare ordigni e
macchine di guerra. Egli studiava il volo degli
uccelli e ricostruì strutture di ali di cui possiamo osservare la copia straordinaria esposta al Museo della scienza e della tecnica di
Milano. Sono modelli che mettono in condizione ognuno di scoprire quanto fosse probabile la riuscita dei progetti sul volo di Leonardo. Mi ricordo il commento surreale di un
professore che ci accompagnava nella visita al
museo davanti a quelle macchine. Egli esclamò: “Di sicuro non lui di persona, il maestro,
riuscì a muovere quei macchinamenti, ma
qualcuno dei giovani seguaci che lo aiutavano nei suoi folli tentativi di levarsi in volo”.
nientamento? Troviamo qui, sul Codice Ambrosiano come in quello di Londra, progetti e
varianti di bombarde multiple, cannoni di lunga gittata, un progetto di mitragliatrice con asse
rotante a nove colpi per tornata e perfino disegni che illustrano un proiettile a grappolo, un
ordigno che, una volta sparato, espelle un gran
numero di bombe più minute che all’impatto
col terreno o coi corpi degli uomini esplodono
“procurando gran ruina”.
Il “mostro” d’acqua
per affondare i briganti
Egli stesso, riosservando le sue invenzioni, più
di una volta sembra assalito da una vera e propria crisi e si interroga perplesso se sia giusto
renderle “conosciute ed operanti”. Come quando gli nasce l’idea di architettare “uno naviglio che muovesi come affondato sotto il
livello dell’acque tale che, gittandosi
sotto pancia contro i natanti, puote
facilmente squarciare il fasciame
d’ogni galera o brigantino e affondarli”. Leonardo in
quell’occasione si fa cosciente di quale terribile arma stia progettando e decide di non
GUERRA E PACE
I disegni di
una balestra e di un cannone. E poi
l’Uomo vitruviano e l’autoritratto
dell’artista. Nella foto sopra, la riproduzione di un progetto di carro armato
renderla conosciuta “ché di un numero immenso di annegati sarebbe causa quello facile
speronare di navigli d’ogni stazza e possanza”.
Ed ecco che appena posto in luogo segreto quel
suo progetto di sommergibile, macchina di distruzione e massacro, ritroviamo Leonardo in
una fonderia a dirigere la colata d’un pezzo
d’artiglieria che “esprime potenza di tre quarti
superiore alle normali artiglierie”...
incoerente
stranezza d’artista?
Il 24 luglio 1503,
MERAVIGLIA
DI GENIO
Da che maravigliose
strutture e invenzioni egli
corpo è composito... Io te
dimando come si puote
distruggere una sì fatta
macchina, una sì
stupefacente creazione
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MONDO
DOMENICA 29 MARZO 2015
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
FRANCIA DIPARTIMENTALI, SARKÒ RIDE
Secondo turno, oggi, delle elezioni dipartimentali.
Nel centrodestra, l’Ump e il suo leader Nicolas
Sarkozy puntano al successo del primo turno, scippando numerosi dipartimenti alla sinistra e opponendosi alla destra xenofoba di Marine Le Pen: sarebbe una vittoria personale di Sarkò. LaPresse
TUNISIA STRAGE AL MUSEO, MARCIA CONTRO IL TERRORE
Si attendono migliaia di partecipanti, oggi, e la presenza di leader
stranieri alla marcia contro il terrorismo dopo l’attacco al Museo del
Bardo (22 morti, di cui quattro italiani). Ci saranno anche il premier
italiano Matteo Renzi e il capo di Stato francese, Hollande. Ansa
Lubitz e i suoi fratelli:
piloti fra alcol e medicine
Siria, si rivede al Qaeda
UN COMANDANTE RIVELA ALLO SPIEGEL: “ASSENZE PER STRESS IN AUMENTO”.
IL PORTAVOCE DI LUFTHANSA: “NON CONOSCIAMO LE MALATTIE DEI DIPENDENTI”
di Mattia Eccheli
Düsseldorf
D
eterminante prima,
irrilevante
poi. È il test psico
attitudinale per gli
aspiranti piloti. Quello senza il
quale solo meno di un terzo dei
candidati arriverebbe in fondo. L'edizione online di Der
Spiegel rivela che, archiviato
quello, più del 90% supera l'addestramento. È un esame così
importante da non venire mai
più ripetuto. Eppure è proprio
durante la formazione e nel
corso della vita, lavorativa e
non, che i piloti (e non solo loro, come qualsiasi lavoratore)
accumulano stress e patologie.
IL FRONTE AL NUSRA CONQUISTA IDLIB
Nuovo successo per i jihadisti. Al Nusra, la branca siriana
di al Qaeda, ha preso il secondo capoluogo di provincia
siriano dopo Raqqa, dal 2013 nelle mani dell’Isis Reuters
Il recupero dei corpi sulle Alpi francesi e Andreas Lubitz Ansa
PROBLEMI DI VISTA
Oltre alla depressione
l’ufficiale che si è
schiantato sulle Alpi
con 149 passeggeri aveva
altre patologie e temeva
di essere allontanato
4U9525 era malato (citando
fonti investigative, Welt am
Sonntag parla di una grave sindrome psicosomatica e di numerosi medicinali rinvenuti
durante la perquisizione della
sua abitazione): i medici ne erano a conoscenza e il primo ufficiale era in cura. E poi, la vista:
quella di Andreas Lubitz si era
abbassata già di circa il 30%. È
quanto rivelano fonti investi-
gative francesi, citate da Le Figaro. Chi veramente avrebbe
dovuto saperlo, il suo datore di
lavoro, non poteva esserne informato. Solo così un giovane
che sognava di assumere il comando di un aereo civile è riuscito a far schiantare un A320
con a bordo 144 passeggeri e
altri 5 membri dell'equipaggio.
Ammazzando loro e seppellendo la burocrazia medica e ae-
UN COMANDANTE di lungo
corso, rigorosamente anonimo, “pizzicato” sempre dal magazine tedesco, rivela che le assenze “per sindromi da stanchezza cronica e problemi psichici sono aumentate drasticamente”. Eppure, avverte, i suoi
colleghi tirano avanti lo stesso:
“Grazie all'alcol e ai medicinali”. Il management mette sotto
pressione la categoria (Andreas
Lubitz si sarebbe lamentato
delle condizioni di lavoro e manifestato timori per il contratto
con una ex compagna), ma le
compagnie non forniscono dati circa la diffusione dello stress.
“La Lufthansa non ha informazioni sulle eventuali malattie
che colpiscono i suoi dipen-
denti. Nel caso dei piloti, abbiamo certificati di idoneità, di
non idoneità o di idoneità con
riserva al volo”, ha conermato
all’Ansa Helmut Polksdorf,
portavoce di Lufthansa. Il problema, esattamente come è stato per Andreas Lubitz, è che
pochi ufficiali condividono
eventuali “disturbi”. I rischi di
restare fuori dalla cabina sono
troppi. Il copilota del volo
ronautica. La clinica universitaria di Düsseldorf ha confermato che Lubitz era in terapia,
ma non per problemi mentali,
anche se di origine forse psicosomatica. L'azione assassina di
Lubitz – ma gli inquirenti dicono di non escludere ancora il
guasto tecnico – ha messo in risalto le possibili falle di un sistema. Raphael Diepgen, psicologo all'Università di Bochum e esperto pilota civile, ha
manifestato dubbi sulla validità
degli esami sui candidati: “Che
i test siano in grado di distinguere tra quelli idonei è oltremodo discutibile”.
ESISTONO SOCIETÀ specializ-
zate che offrono costosi corsi
per affrontare la prova psico attitudinale e la DLR che lo conduce non può sapere chi l'abbia
frequentato e chi no. Ci sono
aspiranti che ripetono il test più
di una volta. Lo stesso numero
uno di Lufthansa, Carsten
Spohr, già pilota, aveva chiarito
che nella selezione non vengono cercati i migliori, ma quelli
con determinati caratteristiche. Tra le quali la predisposizione al lavoro di gruppo. Esattamente quello che non aveva
Lubitz. La Süddeutsche Zeitung
ha scoperto che la cartella di
Lubitz era di quelle con la sigla
SIC, che sta per Specific Regular Medical Examination. I sanitari devono attestare l'idoneità, ma non sono tenuti ad
informare l'azienda del tipo di
problemi. Una garanzia della
privacy dei piloti, ma non una
tutela per tutti gli altri e della
quale Lubitz si è servito. L’ex
fidanzata del primo ufficiale,
ha rivelato alla Bild che il giovane le aveva confessato che
“un giorno tutto il mondo conoscerà il mio nome”.
FURTO A LONDRA
di Caterina
Soffici
Londra
ualcuno ha rubato le
Q
lettere di Lawrence
d’Arabia. Un feticista, pro-
L’ultimo segreto di Lawrence:
rubata la corrispondenza araba
babilmente. Un furto da appassionati, perché il materiale è troppo famoso e ghiotto per essere rivenduto. Erano delle missive autografe scritte dal leggendario agente segreto e archeologo gallese all’inizio del Novecento ed erano
conservate nell’archivio del Palestine Exploration Fund, la società che aveva mandato Lawrence in Medio Oriente nella missione durante la quale imparò a sopravvivere nel deserto.
IL GROSSO DEL MATERIALE di archivio che
riguarda il personaggio – che fu alla testa
della Rivolta Araba all’inizio del secolo scorso - autore de I sette pilastri della saggezza e che
ispirò il film con Peter O’Toole vincitore di
sette premi Oscar nel 1962, è conservato alla
Biblioteca Bodleiana di Oxford, dove lui aveva studiato e si era specializzato in archeologia. Ma questo gruppo di missive erano
particolarmente importanti, secondo gli studiosi, perché fu dopo quel viaggio che ma-
turò le sue idee e la sua passione per il mondo
arabo, tematiche affrontate anche nella pellicola di successo che ha permesso di far conoscere l’uomo di avventura al grande pubblico. Nel gennaio del 1914, Lawrence e il suo
collega archeologo Wooley furono cooptati
dai militari britannici come copertura per
una ricognizione militare nel deserto del Negev. Il Palestine Exploration
Fund finanziò una ricerca per
ripercorrere il viaggio fatto
dai figli di Israele attraverso il
cosiddetto “deserto di Zin”.
Il vero proposito della spedizione era di permettere ai
cartografi di Sua Maestà di
disegnare una mappa del deserto che sarebbe servita ai
veicoli alleati nella guerra
imminente. Il Negev era di
particolare importanza strategica, perché avrebbe dovuto
essere
attraversato
dall’esercito ottomano per
attaccare l’Egitto in caso di
guerra. Wooley e Lawrence
pubblicarono poi un rapporto sui reperti archeologici di questa lunga spedizione nel deserto e arrivarono fino ad Aqaba e Petra. Ma
il risultato più importante, al di là delle vicenda in sé, è che quel viaggio, secondo gli
studiosi, fece scattare la malattia “araba” di
Lawrence. A dare notizia della sparizione
delle lettere è stato The Times, dove si racconta
L’esploratore inglese
Thomas Edward
Lawrence Ansa
AGENTE SEGRETO
Le lettere hanno
il timbro del Palestine
Exploration Fund,
la società che aveva
mandato in missione
l’ufficiale archeologo
che il furto è probabilmente
avvenuto parecchio tempo
fa, ma è stato scoperto solo
recentemente, quando uno
studioso – o un cultore della
figura di Lawrence d’Arabia
– ha fatto richiesta del materiale. Secondo la ricostruzione dei responsabili del fondo, le lettere
dovrebbero essere state sottratta tra il novembre del 2013 e il gennaio dell’anno scorso.
L’ULTIMO ad aver visto il gruppetto di missive è stato Anthony Sattin, autore del libro Il
giovane Lawrence, che stava consultando il
materiale per i suoi studi. Sattin afferma di
averle lasciate su un tavolo e un archivista
doveva poi riporle nel faldone.
La scomparsa deve essere avvenuta il quel
momento, ma nessuno se ne era accorto. Almeno ufficialmente. Il che la dice lunga sul
modo “rilassato” in cui il Pef gestisce il proprio archivio.
“Venderle sarà difficile – ha detto al Times la
responsabile del fondo, Felicity Cobbin –
perché tutte riportano il timbro del Palestine
Exploration Fund. Ma è una perdita enorme”.
il Fatto Quotidiano
MONDO
RUSSIA PUTIN E I REDUCI DEL DONBASS
Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha concesso il titolo di “Guardia” a tre unità militari alimentando le ipotesi secondo cui si tratti di soldati
russi che hanno combattuto in Ucraina al fianco
dei separatisti del sud-est. Il portavoce del presidente, Peskov, ha negato la correlazione. Ansa
SOMALIA MASSACRO IN HOTEL, 24 MORTI
È salito a 24 il numero dei morti dell’attacco degli integralisti islamici Shabaab a un albergo di
Mogadiscio, iniziato ieri. Si tratta di 18 vittime fra
cui un militare, e di sei jihadisti, che avevano fatto irruzione nell’edificio, frequentato soprattutto
da politici, giornalisti e uomini d’affari. LaPresse
DOMENICA 29 MARZO 2015
15
AL VOTO CON LA MOTOSEGA
23 DECAPITATI DA BOKO HARAM
NIGERIA, ELEZIONI INSANGUINATE, ATTACCHI AI SEGGI: 24 VITTIME. IL PRESIDENTE
GOODLUCK E LO SFIDANTE BUHARI, STESSA PROMESSA: ELIMINARE I TERRORISTI
SANGUE E SPERANZE
di Roberta Zunini
I
Un elettore viene marcato con
un pennarello per evitare che rivoti, procedure ai seggi e l’attacco
a un villaggio da parte dei miliziani di Boko Haram Reuters
l Paese più popoloso e
ricco di risorse petrolifere dell'Africa ma, da più
di un anno, anche tra i
più violenti del continente a
causa dei rapimenti di massa,
degli attacchi e delle autobombe
targate Boko Haram, alla fine è
andato a votare.
UN GIORNO IN PIÙ
Procedure elettroniche,
tanti disagi e slitta
la chiusura delle cabine.
Anche oggi i 68 milioni
di elettori potranno
esprimere la preferenza
I 68 MILIONI di nigeriani aventi
diritto sarebbero dovuti andare
alle urne un mese e mezzo fa ma
il presidente uscente, il cristiano
Jonathan Goodluck, ha deciso
di posticipare per permettere
una “grande” offensiva dell'esercito contro i jihadisti che infestano e parzialmente controllano un territorio grande quanto il Belgio nel nord della Nigeria. Se la campagna contro Boko
Haram – all'inizio dell'anno auto affiliato all'Isis – e il posticipo
delle consultazioni sono serviti
al presidente per dimostrare all'opinione pubblica che è in grado di reagire all'avanzata del califfato e assicurare il principio
cardine della democrazia, il voto, non è riuscito però nell'intento di salvaguardare l'incolumità di tutti coloro che erano in
fila da ore davanti ai seggi. L'introduzione del voto elettronico
ha inoltre peggiorato le cose
perché il meccanismo si è inceppato più volte un po' ovunque,
rallentando di ore la procedura
ed esponendo maggiormente al
rischio di attacchi i votanti. Tan-
Il presidente uscente Goodluck Jonathan, sotto lo sfidante Buhari Ansa
to che, le operazioni ai seggi proseguiranno anche stamane.
Il gruppo terroristico ha decapitato 23 persone con una motosega nel nordest, secondo
l’agenzia tedesca Dpa.
UN COMMANDO armato ha at-
taccato i villaggi di Birin Bolawa
e Birin Funali, nello Stato di
Gombe. “Abbiamo sentito gli
assalitori urlare: ‘non vi hanno
detto di restare lontani dai seggi?”, ha raccontato un responsabile delle locali attività elettorali, a condizione di anonimato.
Anche a Shore e Barutai ci sono
state sparatorie e un’autobomba
è esplosa presso un seggio a
Enugu, capoluogo dell’omonimo Stato. In tutto, 24 vittime.
Durante la campagna, iniziata a
novembre, entrambe le fazioni
principali hanno subito attacchi
e oltre 50 sostenitori sono rimasti uccisi. Come nel 2011 il principale sfidante del cinquasettenne Goodluck è il generale musulmano Muhammadu Buhari,
72 anni, per un periodo esponente di punta del governo militare e noto per le brutali repressioni contro giornalisiti e dissidenti. Oggi il leader dell'All Progressives Congress (APC), ha
buone chance di mettere in difficoltà l'attuale presidente e il
suo People's Democratic Party
(PDC), al centro della vita politica nigeriana dalla fine del regime militare nel 1999. Il tema
principale della campagna elettorale è stato proprio la lotta
contro Boko Haram. Da un lato
Jonathan sostiene che entro
aprile il movimento terrorista
islamico verrà sconfitto grazie a
una maggiore cooperazione internazionale mentre Buhari ha
promesso che annienterà il movimento in pochi mesi. Una vittoria di Buhari potrebbe destabilizzare il Delta del Niger – roccaforte del suo rivale – dove si
trova la stragrande maggioranza degli impianti petroliferi e
delle multinazionali straniere
dell'energia e, per l'italia, l'Eni. Il
petrolio è la fonte principale della corruzione. Con un'economia che cresce al ritmo del 6%
all'anno, nel 2013 la Nigeria aveva superato il Sudafrica e con
questo è oggi il Paese trainante
di tutto il continente con i suoi
180 milioni di abitanti.
La “tempesta decisiva” del re Abdulaziz
DIETRO L’INTERVENTISMO DEL MONARCA SAUDITA CONTRO GLI HOUTI IN YEMEN, LA PAURA CHE IL SUO STESSO ESERCITO NON SIA LEALE
di Giampiero
Gramaglia
intervento militare arabo sunL’
nita guidato dall'Arabia Saudita nello Yemen continuerà “finché
non saranno raggiunti tutti gli obiettivi”: la sconfitta dei ribelli sciiti
Houthi e la restaurazione della pace
nel Paese: parola di re.
Salman bin Abdulaziz, monarca
saudita, lo dice al vertice della Lega
araba a Sharm el Sheikh.
Il ‘giovane’ re di quasi 80 anni, ma
sul trono da appena due mesi, conduce con piglio determinato l’Arabia
Saudita su territori politici e militari
inesplorati da oltre mezzo secolo. In
Egitto c’era Nasser - ed era il nemico
- l’ultima volta che i sauditi combatterono nello Yemen. Oggi, l’egiziano al-Sissi è il principale alleato.
Per Robert Fisk, che ne scrive su The
Independent, l’Arabia Saudita, con
questa guerra, sta facendo “un salto
nell’abisso”. Il giornalista, forse il
miglior conoscitore anglo-sassone
del Medio Oriente, si chiede chi abbia davvero deciso di aprire il conflitto nella più povera delle Nazioni
arabe: “I sauditi, del cui re si dice nel
mondo arabo che non sia capace di
prendere decisioni da capo di stato?
O magari i principi dell’esercito saudita, preoccupati che le loro stesse
forze di sicurezza non siano leali alla
monarchia?” e avvertano il richiamo
dei messaggi integralisti di al Qaida e
del Califfato? Di qui, in fondo,
dall’Arabia Saudita venivano Osama
bin Laden e 15 dei 19 terroristi kamikaze dell’11 Settembre 2001.
Al Vertice di Sharm, re Salman tiene
a precisare che il Consiglio di cooperazione del Golfo risponde, con la
missione Tempesta decisiva, a “una richiesta di intervento” del presidente
VERTICE A SHARM
La Lega Araba conferma:
guerra fino a riportare
la pace del paese. L’Iran
si arrabbia e mobilita
il generale che aveva
schierato contro l’Isis
yemenita legittimo Hadi, dopo che
gli insorti Houthi non vollero “discutere della crisi a Riad”.
SE I RIBELLI minacciano “la sicurezza regionale e la pace internazionale”, anche l’intervento militare della
coalizione araba è un grosso rischio:
può scatenare un conflitto generale
tra sciiti e sunniti. E gli Usa non sanno a chi dare i resti, tanto più che la
retorica sciita descrive l’azione anti-Houthi come “una cospirazione
saudita-americana”.
Non è (del tutto) vero. Washington
appoggia l’intervento per ripristinare
Il presidente egiziano al-Sisi con re Abdulaziz Ansa
la legalità internazionale: Obama lo
dice di persona a re Salman. E la marina Usa recupera nelle acque del
Golfo di Aden piloti sauditi dispersi.
Ma, nel contempo, l’America non
vuole rompere con Teheran, mentre
s’avvia a Losanna quella che potrebbe essere la fase finale dei negoziati
sui programmi nucleari iraniani. La
diplomazia internazionale, tramite il
segretario generale dell’Onu Ban, si
limita all’appello alle parti a negoziare per evitare “una lunga guerra”.
Riad non esclude il dialogo, se “i leader golpisti tornano alla ragione”. Re
Salman è contro gli sciiti, ma pure
contro l’integralismo sunnita del sedicente Califfato e insiste per fare del
Medio Oriente una “zona denuclearizzata” (un ritornello anti-israeliano, che ora suona pure anti-iraniano). L’egiziano al-Sisi attribuisce la
crisi “a interventi stranieri”, leggasi
iraniani.
I raid aerei della coalizione araba
hanno già colpito numerosi obiettivi
nello Yemen e fatto vittime, specie a
Sanaa, la capitale occupata dal settembre scorso dalle milizie Houthi.
Fra i luoghi attaccati, la base aerea di
al Dalaimi e un deposito dove la famiglia dell'ex presidente Saleh teneva
migliaia d’armi della Guardia Repubblicana, oltre al palazzo presidenziale e ad altre postazioni militari.
Numerosi i raid nella provincia di
Saadah, al confine con l'Arabia Saudita, roccaforte degli Houthi, e sul
porto di Hodeida, sullo Stretto di Bab
el Mandab, importante per i rifornimenti dall'Iran. Pure colpiti la base
aerea di Tarek, nella regione di Taiz,
e obiettivi nella zona di Aden. Dal
canto loro, gli Houthi avrebbero
compiuto incursioni in territorio
saudita.
Che l’Iran non intenda stare a guardare e che il conflitto nello Yemen
possa condizionare l’impegno contro il Califfato lo avalla una voce diffusa dal canale arabo della Bbc: il generale iraniano Suleimani, capo della
Forza Qods delle Guardie della rivoluzione islamica, avrebbe lasciato
l'Iraq per recarsi in Yemen. Suleimani era l’artefice delle operazioni contro lo Stato islamico a Tikrit, insieme
ai vertici militari iracheni.
16
DOMENICA 29 MARZO 2015
SECONDO
TEMPO
S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E
Il cantautore
Luigi De Gregori
Io, mio fratello
Francesco
e gli anni magici
del Folkstudio
V
LA STORIA DELLA MUSICA
La targa in via Garibaldi a Roma
Luigi De Gregori (Grechi era il cognome della madre) è stato uno dei fondatori del Folkstudio. Del
1975 il suo primo album: “Accusato di libertà”.
Nel 1993 ha vinto il Premio Tenco per la miglior
canzone con “Il bandito e il campione” Ansa
di Malcom Pagani
ino caldo, pop corn e ricordi sfumati: “Negli anni del Folkstudio ero quasi sempre ubriaco, ma
l’atmosfera magica di quel posto non l’ho dimenticata”. Luigi De Gregori ha più di settant’anni e il desiderio di tornare a quando notte
e giorno confondevano i profili nell’alba di Trastevere: “Il locale era scomodo. Un basso umido
in cui percorrendo un corridoio si giungeva a
una stanza quadrata”. Il palco era lì e sul palco
suonava chi ne aveva voglia: “Oggi dirlo sembra
strano, ma a metà degli anni 60 il Folkstudio era
un punto di riferimento dall’enorme valenza internazionale. Gli hippies e i folksinger che bruciavano la cartoline militari che li avrebbero voluti soldati sul fronte vietnamita, fuggivano attraverso il Canada, raggiungevano la Scandinavia e poi, viaggiando verso l’Europa del Sud, arrivavano a Roma per unirsi a quel carnevale
estemporaneo”. Dal primo Folkstudio: “Quello
ricavato dallo studio del pittore Harold Bradley
in cui davanti alla porta di metallo dell’ingresso
si affollavano dialetti diversi mossi dalla voglia
di suonare e guadagnarsi la cena” tra “i fiori falsi
e i sogni veri della friggitoria chantant” nel corso
del tempo passarono De André e Rino Gaetano,
i ragazzi con il pianoforte sulla spalla di Venditti,
Guccini, Bob Dylan e Francesco De Gregori, figlio di Rita e Giorgio, fratello di Luigi. “C’era un
bordello ogni sera e solo dopo molte multe da
parte dei vigili, qualcuno propose di strutturarsi
in associazione. Il programma era sempre
estemporaneo e a volte, quando non c’era nessuno, Bradley, un afroamericano dall’esistenza
molto avventurosa che mi piacerebbe ringraziare per le tante cose belle che mi ha insegnato,
improvvisava. Prendeva un blocco di travertino
sotto il pianoforte e lo scuoteva con una mazzetta da muratore mentre la voce vibrava ‘When
John Henry was a little baby, sittin’ on his daddy’s
knee’. Per decenni, di fronte al mondo, Luigi De
Gregori, lunga barba bianca, stivali e giacche da
texano a un passo dal rodeo: “Mi sono sempre
vestito così, non posso stupirmi se qualcuno si
incuriosisce” ha usato il cognome della madre,
Grechi: “In fondo non ero andato a pescare molto lontano. Accadde non perché – come sarebbe
semplice pensare – con Francesco avessi dei
problemi, ma perché li avevo con la mia identità.
Temevo il desiderio di confronto da parte del
pubblico, la confusione, gli interrogativi oziosi
su somiglianze e differenze. Quando ho capito
che effettivamente eravamo diversissimi, ho lasciato cadere la distinzione e mi sono riappropriato del mio cognome”. Durante lo scorso Festival della canzone, i due si sono ritrovati insieme su una pedana. Il titolo dell’evento: “Noi
non ci Sanremo” era più di un manifesto. Il luogo deputato, “L’asino che vola”, un Folkstudio
del 2000 in cui Grechi, ogni due settimane, sempre di martedì, organizza programmazioni utili
a far esibire ragazzi senza chiedere patenti o appartenenze certe: “La gente non chiedeva altro,
lo spazio è bellissimo, ‘Noi non ci Sanremo’, fi-
lologicamente seguiva la stessa linea del Folkstudio di un’epoca lontana”.
te da suo fratello e un elogio del tabacco: “E la
nube che produco/cosciente od incosciente/ a
confronto di ben altre è quasi niente”.
Non di una linea reducistica, se è quello che vuol
sapere. Non ho rimpianti feroci né sfrenata voglia di riesumare a ogni costo un periodo felice
della mia vita.
Parlavo di Seveso. Nello stesso giorno in cui
esplose il reattore dell’Icmesa e mezza Lombardia venne devastata, Pubblicità progresso diffuse
lo spot in cui su sfondo nero si diffondeva un
messaggio paradossale: ‘Chi fuma avvelena anche te, digli di smettere’. Mi sembrò una buffonata. Un’ipocrisia spaventosa. E decisi di scrivere l’elogio del tabacco.
Di che linea parla?
Di cosa si è trattato allora?
Del desiderio di rimettere in moto energie non
sopite. Con il Folkstudio ho un debito di gratitudine. Mi ha dato stimoli, fatto conoscere persone che si sono rivelate importanti, spiegato il
valore della diversità. Capitavi lì e ascoltavi una
soprano cinese seguita da un violinista russo.
Negli anni 60 Roma era interessantissima. Piena
di artisti in fuga dalle dittature più diverse.
Lei che ci faceva?
Cercavo di capire cosa avrei fatto nella vita. Sono
nato a metà degli anni 40, per puro caso, in
un’abbazia benedettina sui colli Euganei. Poi mi
sono trasferito a Roma e da lì a Pescara, a Dublino, a Milano. Lavoravo come bibliotecario.
Lo stesso mestiere di suo padre,
Giorgio De Gregori.
Per motivi personali, per non dire esistenziali,
mi ero adagiato sul lavoro che in famiglia era ben
visto. Mi arresi al posto fisso, in un momento in
cui dalle note ero stato già folgorato. Una mia
collega aveva un fratello che lavorava alla Emi.
Lo conobbi e lui mi spinse a fare dei provini.
Dividersi tra gli studi di registrazione e la biblioteca non era semplice. Mi sforzai. Non pianificavo nulla. Andavo a suonare a 300 chilometri di distanza e la mattina, dopo aver guidato
tutta la notte, mi ritrovavo tra i volumi.
Inseguiva una passione?
La musica era uscita dalla porta principale e
rientrò da quella di servizio. A quel punto non
mi feci più troppe domande.
Il suo primo album è del 1976. Nel secondo,
intitolato Luigi Grechi, c’erano due canzoni scrit-
Su Seveso, al pari di Venditti, scrisse
una canzone anche lei.
Censurata, con grande dolore, dalla mia casa discografica di allora. Nelle mie canzoni, almeno
apparentemente, la politica non c’era. Tra le righe però, la trovavi sempre.
I miei preferiti non
ci sono più. Rino, che
riusciva a legare demenziale,
sofferenza intima
e romanticismo; Ivan Graziani,
un grande chitarrista rock
con una vena artistica
e una voce assolutamente
originali; Fabrizio De André,
imprevedibile e simpaticissimo
PARENTELE
Luigi De Gregori
(a destra, visto
da Emanuele
Fucecchi) è fratello
di Francesco. Un
suo grande amico è
stato Rino Gaetano
Ansa
C’era politica
nel grottesco processo
a suo fratello inscenato al Palalido
nell’aprile 1976?
Ho ricordi precisi e posso dire che si trattò soltanto di una volgare questione di soldi. La politica non c’entrava niente. C’era una lotta per il
controllo dei concerti. Una lotta mafiosa. Il servizio d’ordine che sarebbe riuscito a imporsi sugli altri avrebbe avuto in mano la gestione degli
eventi e gestire gli eventi, significava avere accesso a un mare di denaro.
Come andò quel giorno?
Francesco aveva deciso di non affidarsi a nessun
servizio d’ordine, neanche a quello della Fgci.
Fece due concerti. Uno pomeridiano e uno serale. Alla fine della seconda esibizione, quando
gli spettatori normali erano ormai andati via, i
200 contestatori rimasero padroni della situazione. Ci fu un tentativo di invadere il palco.
Secondo le cronache si distinsero Nicoletta Bocca, figlia di Giorgio e Gianni Muciaccia in seguito
leader dei Kaos Rock.
Gianni Muciaccia lo respinsi io mentre si arrampicava sul palco. Nel 1976 facevo politica
attiva nel Pci e tra autonomi e ragazzi dei collettivi, conoscevo quasi tutti. A concerto concluso raggiungemmo i camerini. Ci fecero sapere che se non fossimo tornati sul palco
avrebbero distrutto le apparecchiature:
‘Spacchiamo tutto’. Tornammo. Ci fu una
sorta di processo. Una farsa. Qualcuno disse a
Francesco cose dolci: ‘Suicidati come Majakovskij’. Lui diede un paio di risposte precise
sui costi del concerto e sul libero arbitrio: ‘Chi
è venuto ad ascoltarmi l’ha fatto perché voleva’. Non bastò. All’epoca purtroppo cose
del genere accadevano. Erano stati disturbati
Lou Reed e, con la minaccia di una bomba,
anche De Andrè. Era
il Fatto Quotidiano
HAMILTON IN POLE,
VETTEL SECONDO
Il campione del mondo
domina ancora
il Mondiale 2015
conquistando sotto la
pioggia la pole anche nel
Gran Premio di Malesia.
Torna a sognare la
Ferrari. Male Raikkonen
ROCK, ERIC CLAPTON
FESTEGGIA 70 ANNI
Eric Clapton lunedì compie
70 anni ma è lontano dalla
pensione. Per l’occasione
festeggerà con la
pubblicazione di “Forever
Man”, un cofanetto
antologico con 51 tracce che
coprono 30 anni di carriera
Colpa dei giornalisti?
Con i giornalisti sono abbastanza incazzato.
Tendono ad accontentarsi. A raccontare la realtà superficialmente. Nel mio caso, poi, c’è una
regola fissa. Prendono il comunicato stampa, lo
ricopiano e se sono fortunato piovono anche un
paio di domande. Quesiti fondamentali: ‘Di che
segno sei?’, oppure, con sforzo massimo: ‘Progetti per il futuro?’.
Lei ha studiato letteratura.
Americana e inglese, avrei dovuto affrontare anche quella tedesca, ma lasciai perdere.
Scrittori contemporanei che ammira?
Cormac McCarthy l’ho letto tutto. Non La strada, però. Il suo meglio è altrove. Ha scritto cose
deliziose, ma i libri più noti, penso a Non è un
paese per vecchi, sono operazioni furbe. Leggendo, sembra di ascoltarlo: ‘Volete il pulp? E io ve
lo do, che ci metto?’.
Leggere la aiutò a inquadrare la realtà?
Attraverso Sinclair Lewis, Steinbeck e un’infinità di altri romanzieri, trasmissioni radio, film
e fumetti, dipanai il filo di un’America mitica
che con l’America vera aveva poco a che fare. Poi
negli Usa, molto tardi a dire il vero, andai.
Nel 1982. Mi feci accompagnare da un
amico musicista, Peter Rowan.
17
BENNATO: “CERCASI
CASA DISCOGRAFICA”
Edoardo Bennato ha
rivelato di avere pronto
un nuovo album
di inediti che per ora
nessuna casa
discografica – alle sue
condizioni – si è detta
disponibile a pubblicare
quella di nuovo conio, lo vissi lì. Mi piaceva. Mi
esaltava. Vedevo il progresso muoversi, cambiare forma al presente. Nuove macchine da far
correre sull’asfalto, l’uso industriale della plastica, l’arrivo della televisione nei bar con la gente in piedi a vedere Lascia o raddoppia. In Abruzzo, notare il mutamento di una piccola città avviata al mutamento metropolitano, era più semplice di quanto non fosse a Roma dove, storicamente, c’era una certa inerzia.
I parenti ingordi che sulla strada di Pescara
assalivano il signor Hood cantato
da suo fratello erano i vostri?
successo anche a Venditti. Era salito sul palco un
tipo: ‘Compagno, devi leggere questo comunicato’ con Antonello fermo: ‘Questo te lo vai a
legge’ a casa tua e qui me lasci lavorà’. Complessivamente il Palalido fu una triste pagina,
gonfiata ad arte dalla stampa.
DOMENICA 29 MARZO 2015
Un viaggio alla Easy Rider?
Un viaggio importante perché rimosse il mito e
lo trasformò in realtà. Nessun vagabondaggio o
sacco a pelo sotto le stelle, però. Partimmo da
San Francisco, toccammo Los Angeles, il deserto e poi arrivammo fino al Texas. Tutto in macchina, fermandoci a dormire nei motel. Con Peter parlavamo spesso di musica e della rivoluzione da cui entrambi, a latitudini diverse, eravamo stati investiti nello stesso modo negli anni
50.
Quale rivoluzione?
Quella del Rock. Sentendo suonare i dischi nelle
nostre stanze, i miei e i suoi genitori avevano
affrontato la novità con armi simili: ‘Che cazzo è
questa musica da negri?’. Non erano razzisti, ma
per loro si trattava di baccano e poco più. Fino ad
allora, la musica era divisa rigidamente tra classica e pop. E chi faceva musica pop non rinunciava mai all’accompagnamento della grande
orchestra. Quando arrivarono quattro scalzacani, quattro ragazzetti che pestavano una batteria, una chitarra elettrica, un basso o un sax, nacque il rock and roll. Lazzaroni che facevano a
meno dell’orchestra e che molto prima di farsi
crescere i capelli o vestirsi in modo strano, rompevano uno schema.
A lei è capitato di romperlo spesso?
Di romperlo e di osservare la rottura. A Pescara,
dove vissi felice con un arenile sconfinato a disposizione fino alla prima adolescenza, vidi l’esplodere della modernità. Il passaggio tra l’era antica e
Non direi. Io e Francesco abbiamo avuto un’infanzia lieta. Guardando da vicino altre infelicità,
mi sono reso conto di quanto siamo stati fortunati ad avere due bravi genitori. Magari severi,
giustamente severi, ma due ottime persone.
in riviera, a una cena con i discografici, sparì agli
antipasti e tornò con un clochard un’ora dopo.
Lo fece sedere al posto d’onore. Era fatto così.
Dopo il successo de “Il bandito e il campione”,
scritta da lei e venduta in oltre 500.000 copie,
Giovanni Cocconi scrisse che o era stato lei a
sbagliare mestiere o più probabilmente i discografici a cui aveva invano proposto il pezzo.
A dir la verità, a rifiutare fu solo una persona. E
me ne frega talmente poco che mi sono anche
dimenticato il suo nome: ‘Sono tutte canzoni
intelligenti – disse – ma di questa roba non importa niente a nessuno’. Non covo rancori. Sono
lento a scrivere, ho fatto un lungo apprendistato
e a fare dischi, suonare ed esibirmi, non ero evidentemente pronto.
Ha nostalgia del passato?
La nostalgia è un inganno, la storia si ripete e non
ci sono parole da rimpiangere. Non è vero che il
prima fosse migliore, è solo una rifrazione.
Un’illusione ottica. La vita è la vita e a me della
vita non fa orrore niente. Dicono: ‘La cultura sta
scomparendo’. Senza arrivare a discutere
dell’analfabetismo di ieri, non è vero. Se hai gli
strumenti passi anche attraverso la cultura massificata. Su Internet, una vera benedizione, trovi
di tutto. Però bisogna sapersi muovere. Scegliere. Spotify ce l’ha quasi chiunque, ma chissà perché ascoltano tutti le stesse canzoni.
Far rinascere il Folkstudio sotto le insegne
de L’asino che vola serve anche a questo?
A diversificare? A saper scegliere?
Nasce per dare linfa a un diverso approccio che
scarti dalla consueta catena di produzione, promozione, distribuzione. Distinguere, altrimenti,
è difficile. Non si sente mai discutere
di scuola o di tendenza artistica.
Anche la sua scuola di provenienza è incerta.
La potremmo definire un autodidatta.
Le definizioni, come le etichette, sono sempre
riduttive. Mi hanno incasellato come cantante
country, ma il country di oggi non ha niente a
che vedere con il concetto di campagna. Il campagnolo vede gli stessi programmi e compra gli
stessi oggetti del cittadino, la vecchia generazione del country parlava in dialetto e ora, come
è ovvio, così non parla più.
Nel 1976 facevo politica
attiva nel Pci e tra
autonomi e ragazzi dei
collettivi conoscevo quasi tutti.
Dopo il concerto al Palalido
di Milano ci fecero sapere che
se non fossimo tornati sul palco
avrebbero spaccato tutto.
Tornammo. Ci fu una sorta
di processo. Una farsa
In campagna lei è andato a vivere.
Nel Folignate, a Bevagna. Anche se in realtà, mi
sento nomade e, non diversamente da Bruce
Chatwin, ho ripulsa per qualsiasi domicilio fisso. Il nomadismo è una componente essenziale
per musica e letteratura. L’uomo nasce nomade
e poi compie il peccato originale
trasformandosi in stanziale. Il
concetto di proprietà, ad esempio,
era del tutto incomprensibile agli
indiani d’America. Provavano a
spiegarglielo, sempre senza fortuna. Gli sfuggiva, come dovrebbe
sfuggire a noi se sotto le mentite
spoglie della società integrata,
non inseguissimo, non so quanto
consapevolmente, la disintegrazione. Sa cosa mi raccontano in
campagna?
Cosa le raccontano?
Che rapporti ha con suo fratello?
Che, esattamente come nel
folk, nei tempi andati il canto
non era separato dalla vita, dalla festa, dalla nascita e dal lavoro. Non c’era separazione. Le
feste del raccolto e la mietitura
erano baccanali. I contadini si
facevano un culo così, ma sapevano anche divertirsi. Il macchinista che muoveva la trebbiatrice spesso veniva da fuori.
Era un marinaio di terraferma.
Arrivava, faceva strage di donne e poi se ne andava dopo aver
piantato debiti e cuori infranti.
Ottimi. Ogni tanto mi scambiano per lui o per il
fratello di De André. Allora rispondo rapido:
‘Ma no, sono il cugino di Bennato’. A Francesco
mi legano le comuni radici. I dischi, le letture, i
film. Altri possono interrogarsi sull’ermetismo
degregoriano. Io no. La pensiamo in modo simile, esiste un meccanismo di leggibilità reciproca. Il suo lavoro mi piace moltissimo e non lo
dico per parentela. Mio fratello, per profondità
di scrittura, è il più significativo autore di canzoni che ci sia in Italia.
Della vita in campagna aveva
dipinto
quadri nitidi anche Rino Gaetano.
Eravamo amici fin dai tempi
del Folkstudio. I miei preferiti sono quelli che
non ci sono più. Rino che riusciva a legare demenziale, sofferenza intima e romanticismo,
Ivan Graziani, un grande chitarrista rock con
una vena artistica e una voce assolutamente
originali e De André. A mio fratello lo presentai
io: ‘Fabrizio, stasera vieni al Folkstudio, Francesco ha scritto anche una parodia della Guerra
di Piero‘. De André era simpaticissimo. Una sera,
Dublino, una sua canzone, la scriveste insieme.
La canzone fu scritta da Francesco e si intitolava
Piombino: ‘La gente di Piombino è criminale che
a mezzanotte e mezzo chiude i bar’. Aspettava
un imbarco per l’Elba e nel buio del porto covava
pensieri tristi e malinconici. Aggiunsi qualche
strofa. Tutto qui.
Ha mai pensato che se oltre alle strofe avesse
aggiunto anche De Gregori al suo nome, il suo
percorso avrebbe potuto essere diverso?
No, non ci ho mai pensato. Lei mi chiede se sono
felice. Felice è una parola grossa. Però, a differenza di ieri, al di là delle vittorie o delle sconfitte del mio immaginario, trovo un senso nelle
cose. Prima non lo trovavo e mi sembrava di aver
perso tempo dietro alle sciocchezze. Forse non è
felicità, ma autoassoluzione. E mi va bene così.
n
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
Pubblichiamo un estratto
della master class di Nanni
Moretti, coordinata dal critico
cinematografico Jean Gili, ieri
a Bari per il Bif&st. Era
appena stato proiettato
“Caro diario”.
di Nanni
Moretti
C
AL FESTIVAL DEL CINEMA DI BARI NANNI MORETTI RIPERCORRE TUTTO IL SUO CINEMA. DA “CARO DIARIO”
A ”PALOMBELLA ROSSA” E “LA COSA”: “HO SEGUITO GLI INSEGNAMENTI DEL MIO ALLENATORE DI PALLANUOTO”
caso, io non mi sono reso conto che
stavo per girare il
mio nuovo film, me ne andavo in giro con quattro persone di troupe. D’estate a Roma c’era per caso Jennifer
Beals, perché il marito Alexandre Rockwell, regista, era
andato a mostrare un suo
film alla Mostra del Cinema
di Venezia. Allora io, che la
conoscevo poco, imbarazzatissimo, le chiesi di fare
un’apparizione nel mio cortometraggio. Pensavo di girare un filmino di un quarto
d’ora, da mostrare solo nel
mio cinema. Se non avessi
avuto un cinema mio non
avrei mai pensato di farlo. Era
una cosa così fatta in totale
leggerezza, che mi ricordava i
tempi del Super8 quando
nessuno aspettava l’uscita del
film di Moretti, io facevo i filmini con gli amici”.
“Sono sicurissimo che Fellini
non ha mai visto un mio film.
Non gli interessava assolutamente vedere i film degli altri.
Sono fiero di non averlo mai
invitato a vedere un mio film.
La sua dimensione di spettatore cinematografico non gli
interessava, mentre la sua dimensione di lettore di libri era
enorme”.
LA SCENEGGIATURA
“Palombella rossa, Caro diario e
Aprile, soprattutto gli ultimi
due, non hanno avuto una separazione netta tra momento
della scrittura, momento della
preparazione. Comincia il
momento delle riprese.
È possibile fare un film così, è
eccitante ma è rischioso, è
possibile farlo quando hai un
rapporto non marziale, non
troppo ufficiale, col produttore. Come nel mio caso.
Quando hai una tua casa di
produzione. Scrivi, giri, poi
vai in moviola, poi scrivi e
monti”.
LEGGEREZZA
“Leggerezza, irresponsabilità, incoscienza in senso positivo. Un film che uno vede
in sala strutturato, montato,
19
“Sono orgoglioso che Fellini
non abbia mai visto un mio film”
aro diario è nato per
FEDERICO FELLINI
DOMENICA 29 MARZO 2015
A CANNES
LA SUA
MALATTIA
Era importante
raccontare quella
vicenda senza fare
una celebrazione della
sofferenza, neanche
sadismo nei confronti
della spettatore
poi alle volte alla fine è il frutto di alcune casualità. Devo
dire che il fatto di arrivare
impreparato alle riprese, non
mi è capitato sempre. Ci sono dei film che io assolutamente sentivo di dover girare con una sceneggiatura solida, strutturata, precisa nei
dettagli... La messa è finita, La
stanza del figlio, Habemus Papam o l’ultimo film che ho
fatto. Poi ci sono dei film, e
mi sembra siano capitati uno
di seguito all’altro, Palombella
Rossa, Caro Diario e Aprile, in
cui ho cominciato a girare
senza una sceneggiatura precisa, per frammenti, sperando poi di colmare i buchi
Nanni Moretti ha pronto il
nuovo film, “Mia madre”
di cui è stato diffuso il trailer
pochi giorni fa Ansa
narrativi che c’erano nel racconto, di colmarli durante le
riprese. Questo può essere
un modo di lavorare più interessante, ma è anche più rischioso”.
LA MALATTIA
“Ho capito che l’avrei voluta
raccontare con semplicità e
ironia. Mi veniva in mente
un mio vecchio allenatore di
pallanuoto che diceva ai giocatori che volevano fare delle
strane rovesciate, dei tiri impossibili: ‘Nun te ’nventà niente’. È bastato aprire una cartellina in cui avevo tenuto
degli appunti dei miei incontri con i medici, le prescrizioni. Ho tagliato dalla parte
alta dell’inquadratura il nome del medico, però le grafie
e le prescrizioni sono quelle
vere. Era importante raccontare quella vicenda senza
compiacimento. Senza fare
una celebrazione della malattia e della sofferenza,
neanche sadismo nei confronti della spettatore perchè
quando si racconta una malattia questi sono rischi”.
IDEE
E FATICA
Il momento della scrittura
è il più difficile, mentre il
più faticoso è quello
delle riprese. Arrivo con
sollievo al montaggio
perché si lavora
con una persona sola
LA MESSA È FINITA (1985)
“Il finale de La messa è finita
sono due cose insieme: sia
una sconfitta che una vittoria
per il personaggio che io interpreto. Parte per la Terra del
fuoco, però non è riuscito nella sua città, nella sua parrocchia, fare tanto per gli altri. È
insieme un passo avanti e un
passo indietro”.
PALOMBELLA ROSSA (1989)
“Verso la fine degli anni Ottanta c’è stato un ritorno
dell’importanza della sceneggiatura. Una voglia di fare i
compitini ben fatti. C’era la
centralità del racconto ma insieme c’era un ritorno di ac-
cademismo. Allora, per reazione, con Palombella Rossa ho
voluto raccontare in maniera
molto più libera, meno obbediente a regole un po’ vecchiotte. Racconto la crisi di un
dirigente del Pci, la crisi esistenziale che va di pari passo a
quella politica. Avrei potuto
raccontare la crisi familiare
che va di pari passo con la crisi politica, girare dei dialoghi
come: ‘Cara... stiamo insieme
per abitudine’, oppure inquadrare la macchina, un maggiolino Volkswagen, che porta il nostro dirigente fuori Roma verso dei compagni tanto
onesti e appassionati ma anche ottusi. Invece ho preso
una piscina e una partita di
pallanuoto che sembra non finire mai. Ho voluto prendermi la libertà di raccontare lo
smarrimento, la confusione,
la perdita di memoria della sinistra italiana in maniera non
realistica, con la macchina, il
maggiolino, la crisi familiare e
i dibattiti appassionati ma un
po’ noiosi tra militanti... ma
ho voluto raccontare tutto
durante una partita con
un’amnesia. Perché avevo individuato nella perdita di memoria un nodo del nostro
paese e della sinistra italiana
di quel periodo, fine degli anni Ottanta”.
LA COSA (1989)
“A proposito di semplicità: La
Cosa è un film documentario
di un’ora sulla fine del Pci.
Nel novembre del 1989 ci fu il
crollo del muro e dopo un
paio di giorni Achille Occhetto propose di cambiare identità e nome al Partito comunista. Una decisione che prese
in solitudine. Io iniziai ad andare nelle sezioni, a filmare i
dibattiti su chi era d’accordo e
chi no. Ho iniziato a girare
per curiosità mia personale,
dubito un po’ di chi ha già una
tesi sul documentario che deve girare. Semplicità... nun te
‘nventà niente. Semplicemente
facce di persone che parlavano. La loro paura, il loro sollievo, la loro speranza, il loro
panico. Era un’autocoscienza
in pubblico. Non erano interessati solo gli iscritti, e nem-
meno solo gli elettori che erano tanti, a quel dibattito guardava con rispetto l’intera società italiana”.
SCRIVERE DA SOLO
“È più piacevole non scrivere
da solo per me. È il modo in
cui penso e vivo i film. Si fa
una traversata. Ci sono tanti
momenti dispersivi di noia, di
chiacchiere che non c’entrano
niente con la sceneggiatura e
poi si arriva a un’idea e a un
momento piacevole. Negli
anni forse il momento della
scrittura è quello più difficile
ma non faticoso. Quello più
faticoso è per me sempre
quello delle riprese. Arrivo
con sollievo al montaggio
perché si lavora con una persona sola. Non c’è l’ansia di
rispettare il programma e girare quelle scene che devi girare e poi soprattutto lavori
con una persona e non hai decine di persone che aspettano
che ti venga un’idea quando
non ce l’hai. Il periodo della
scrittura è diventato più difficile, con gli anni, ma anche
più piacevole”.
LE PAUSE
“È un modo di ricaricarmi,
penso che per molti registi sia
così. Non per tutti. C’è anche
chi, per sua fortuna, ha un
rapporto più leggero con il
proprio lavoro. Per molti è un
investimento
psicologico,
emotivo. Appena si finisce il
film si è scarichi. Si deve creare un nuovo sentimento nei
confronti del mondo, che poi
piano piano diventano appunti, soggetti. E poi vengono
fissati in una sceneggiatura.
Per alcuni registi è automatico, finito un film se ne fa un
altro. Per me e per altri è più
complesso”.
IL CAIMANO (2006)
“Il Caimano è tante cose: è la
storia di una separazione familiare, di un grande amore
per il cinema di un produttore
di film di serie B, ed è anche la
storia del film che una giovane regista, Jasmine Trinca,
vorrebbe fare. Vari temi e vari
sentimenti che si intrecciano”.
20
DOMENICA 29 MARZO 2015
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
a cura di
Stefano
Disegni
di edelman
BIOCRAZIA
MASSIMO D'ALEMA (ROMA, 1949)
D'Alema è stato un esponente di rilievo del centrosinistra italiano. Eppure guarda com'è rimasto
umile.
n Oggi rappresenta una parte della minoranza del
Pd. Tipo D'Alema.
n D'Alema è stato anche premier. Durante il governo Berlusconi.
n Ha ammesso di aver lanciato una bottiglia Molotov. Ma quella volta Prodi fece in tempo a scansarsi.
n D'Alema discende da antenati arabi. O almeno così se la spiega Salvini.
n A detta di D'Alema, Renzi è un arrogante. Che è
come se Berlusconi gli avesse dato del puttaniere.
n D'Alema: "La guerra in Serbia? La rifarei". Pur di
tornare protagonista.
n "Non è vero che la barca possono permettersela solo i ricchi", disse
D'Alema visitando Lampedusa.
n D'Alema: "Il Jobs Act
rende tutti precari". Per
dire qualcosa di sinistra
ha aspettato che fosse
morta.
n
Il goffo
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 MARZO 2015
21
LICIA COLÒ
conduce un programma
e una striscia quotidiana su Tv2000 LaPresse
NAT GEO
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Hanno ucciso Gesù
per colpa delle tasse
di Patrizia Simonetti
immancabile kolossal di PaL’
squa quest’anno è firmato
National Geographic che ne ha de-
ciso la messa in onda in prima serata e in prima visione mondiale in
171 paesi e in 45 lingue diverse per
la domenica delle Palme, e la seconda puntata il giorno dopo.
Quindi anche per noi è stasera e domani alle 21 su National Geographic Channel l’appuntamento con
Killing Jesus, diretto da Christopher
Menaul e prodotto da Ridley Scott,
come i precedenti Killing Kennedy e
Killing Lincoln, e come quelli basato
sul best seller di Bill O’Reilly, noto
commentatore politico americano,
che lo ha scritto con Martin Dugard. Quasi 300 pagine scritte come se si trattasse di un thriller a
chiudere, forse, con l’assassinio più
celebre in assoluto, la trilogia dedicata ai delitti famosi. “Non c’è religione in questo libro – ha detto lo
stesso O’Reilly – solo storia”, intendendo per storia le opere classiche e
i Vangeli cui si è ispirato per ricostruire eventi, conflitti e intrighi
politici e sociali che portarono
all’omicidio di Gesù. Uscito nel
2013, è stato stravenduto in patria,
ma pure criticato per una teoria che
lo stesso autore avrebbe riassunto
in “Gesù è morto a causa delle tasse”. Scritto da Walon Green (Oscar
per Il Mucchio Selvaggio), il film è
stato tutto girato nel deserto del
Sahara con 93 attori di 10 diverse
nazionalità, tra cui Haaz Sleiman
(L’ospite inatteso, Nikita, 24) nel ruolo di Gesù, Stephen Moyer (True
Blood) in quello di Ponzio Pilato e
Kelsey Grammer (X-Men, Boss) che
fa Erode, oltre a 4500 comparse.
CERTO FA un po’ strano vedere un
Gesù che non ha la più pallida idea
di essere il figlio di Dio e pure il
cugino Giovanni, tra un battesimo
e l’altro, ci mette un po’ a convincerlo. Tutto però comincia a Gerusalemme, al tempo della sua nascita. Erode si sveglia nel mezzo della
notte, sente una voce potente che lo
accusa e che lo chiama “falso re”, gli
annuncia le piaghe che Dio gli manderà, tante quanti sono i suoi peccati, e pure che c’è un bimbo nato in
Israele per annientare lui e la sua
stirpe. Si agita un bel po’ e continua
a chiedere alle sue guardie se anche
loro lo hanno visto quello spettro.
Neanche i sacerdoti cui chiede consiglio lo tranquillizzano, anzi, ci
mettono il carico da undici: “C’è
una dura verità nel vostro sogno –
gli dicono – fuori di qui vi dipingono come un burattino manovrato dall’impero romano per contrastare gli ebrei”. È lì che poi si imbufalisce e fa sterminare tutti i neonati maschi del paese.
Un cucciolo o un carciofo?
Nel dubbio chiedi a Licia
di Elisabetta Ambrosi
ello studio televisivo campeggia
un gran cesto di frutta e verdura
N
di stagione intorno a cui sono seduti
coltivatori ed esperti di nutrizione. “Il
carciofo è un re?” chiede loro una signora bionda dal sorriso stampato sul
volto. No, non è la Prova del cuoco né
Cotto e mangiato, ma una puntata del
nuovo programma condotto su
Tv2000 (canale 28 del digitale terrestre,
140 di Sky) dell’ex volto storico della
Rai Licia Colò. Migrata burrascosamente dal servizio pubblico alla rete
dei vescovi, oltre a condurre la domenica, con successo di pubblico, il programma concorrente del suo (ex) Kilimangiaro, Il mondo insieme, da marzo è
tutti in giorni in video alle 14.15 con la
striscia quotidiana Animali e Animali.it.
Quando l’ambiente chiama. Già il titolo, per la verità, indica che si tratta di
un contenitore dove c’è dentro un po’
di tutto: un mix di vita animalesca, tendenze alimentari, ricette, consigli su
come vivere meglio, spunti ecologisti.
C’è la puntata su come preparare il
frullato e come vivere bene in compa-
gnia di un cane anziano, su come depurare il corpo ed esercitarsi insieme al
proprio animale; quella sulla preparazione della tisana perfetta e sulla pet
therapy, sugli orti da terrazzo e i cani
da soccorso, quella sulle virtù dello yogurt e sul dramma delle oche da fois
gras.
A TENERE insieme, ieratica e sempre
sorridente, questo connubio di benessere umano e animale, a volte un po’
singolare, è appunto la sacerdotessa
Colò, che si muove ormai con navigata
esperienza di conduttrice tv e militante
dei diritti di chi ha quattro zampe. A
differenza del programma di viaggio Il
mondo insieme, arricchito da reportage
ed esperienze forti in studio, Animali e
Animali.it però è soprattutto un programma di servizio per un pubblico
iper generalista. Certo, ci sono il collegamento con i social e le vignette
create sul momento, ma nel nome della
divulgazione i concetti vengono semplificati fino all’osso. Come amico è
meglio avere un cane o un gatto?, chiede Licia nella puntata dove tra gli ospiti
c’è la “mamma” del cane Nicolino e la
Gli ascolti
di venerdì
PRETTY WOMAN
Spettatori 4,1 mln Share 17%
LE TRE ROSE DI EVA 3
Spettatori 4,3 mln Share 17,5%
signora che cura i gatti della Piramide
di Roma. Si mostrano i video delle prodezze dei rispettivi cuccioli, si raccontano episodi di albergatori che rifiutano
i nostri amici felini, si fa qualche domanda di rito al pubblico, ci si collega
con la Sicilia per chiedere alla gente in
strada se i siciliani preferiscono un cane
o un gatto. E lo stesso nella puntata dedicata alle verdure di stagione: tra frasi
come “diciamoci la verità noi donne
dovremmo sapere più di queste cose” e
“è un periodo di crisi la gente non vuole
buttare via il denaro”, si discetta di
quanto facciano bene le arance e di
quante vitamine e minerali ci siano nelle verdure a foglia verde, delle porzioni
da consumare ogni giorno e dei giovani
e dei bambini recalcitranti a mangiare
la frutta. Insomma, forse si potrebbe
volare un filino più alto. E infatti qualche puntata un po’ più impegnata ci
prova – tanto che ad esempio martedì
prossimo interverrà il magistrato Gianfranco Amendola per parlare di ecoreati e il comitato delle “Mamme Terra
dei Fuochi” – ma si ha l’impressione
che l’equilibrio tra intrattenimento e
impegno sia, ancora, tutto da trovare.
COLORADO
Spettatori 1,8 mln Share 8%
CROZZA
Spettatori 2,1 mln Share 7,8%
22
SECONDO TEMPO
DOMENICA 29 MARZO 2015
il Fatto Quotidiano
STORIE ITALIANE
Yolanda e i desaparecidos
Pirelli e Fiat, come finisce del Messico dimenticato
un grande Paese
ESODI
di Nando dalla Chiesa
di Furio Colombo
T
i dicono che le aziende vanno e vengono,
cambia la proprietà,
la tecnologia, la formazione dei consigli di amministrazione, dei voti prevalenti,
il tipo di manager, il modo di
arruolare i dipendenti, la natura dei legami, la qualità dei prodotti, le aree di mercato. Salgono e scendono a volte in relazione alle crisi economiche che
tormentano tutti, a volte resistendo meglio e da sole, nonostante il vento forte. E vogliono
farti credere che questa evoluzione naturale del cambiamento riguarda anche la nazionalità dell’impresa e la nazionalità della proprietà dell’impresa. Che cosa importa la nazionalità dell’azionista se entra e
prende il controllo qualcuno
autorevole che viene dall’altra
parte del mondo?
Mentre si apre l’evento di cui
stiamo parlando (la Pirelli sarà
anche stata un prodigio di ingegneria italiana, ma adesso è
cinese, e non c’entra la globalizzazione, c’entra la convenienza di qualcuno a vendere) è
impossibile non parlare di Fiat,
ovvero di Fca. La Fca possiede
alcuni stabilimenti in Italia, ma
adesso è una fabbrica di automobili americana.
L’America, come la Cina, è un
paese forte, egemone, e sproporzionatamente grande. Questo fatto non è geografico, è culturale e politico. Un Paese che
può dominare, domina. Anche
se non fosse già scritto nel tipo
di riassetto voluto dalla ex proprietà italiana della ex Fiat, e
benché il fatto sia negato da tut-
PRIMO, garantisce la continui-
tà anche nei giorni difficili. Secondo, rende più facile l’espansione (nuovi mercati, nuove
aree, nuovi Paesi). Terzo è una
bella garanzia per i dipendenti e
i dirigenti che sanno di entrare
a far parte di una struttura più
grande, che non confina più
(soltanto) con il proprio Paese,
ma si allarga nel modo e attribuisce un che di universale alla
tua fabbrica. Per esempio, in
Italia entra la Cina, compra la
Pirelli e scrosciano addirittura
gli applausi. Come conforto si
usa citare il precedente di Krizia, comprata da una avvenente
ingegnere (come si dice ingegnere, se è donna? chiedo a
Laura Boldrini) di Shanghai,
dimenticando la vocazione
apolide di quel tipo di impresa,
anche quando è grandissima
perché è, per vocazione, trasportabile.
Il caso Pirelli, un’azienda italiana simbolo mondiale, che improvvisamente diventa di proprietà cinese è come un fortissimo colpo di gong che dà un
annuncio. La parte importante
di quell’annuncio è che la Pirelli, benché impieghi gli stessi lavoratori italiani e gli stessi manager italiani a tutti i livelli (certo una garanzia per il prodotto e
un grado di sicurezza per i dipendenti) non è più un’azienda
italiana. E dunque una pedina
importante va rimossa dalla tavola del gioco. Qual è il gioco? È
un gioco per metà economico,
per metà di influenza e prestigio: quanto conti nel mondo? È
un gioco meno grossolano di
quello che sembra, perché non
parliamo di armi e neppure di
ricchezza, ma di prestigio.
L’Italia ha, e ha avuto, brutti
momenti, ma certi aspetti del
suo prestigio (per esempio il
suo riconosciuto potere industriale e la dimensione di quel
potere) ha mantenuto rilevante
e rispettabile la sua immagine
nonostante il perdurante spettacolo di sangue di mafia,
’ndrangheta e camorra, allo
stesso tragico e ridicolo. Ma come fai a non rispettare, anche
nelle relazioni internazionali,
anche nei confronti delle piccole e minime imprese (piccole
ma italiane), anche nei confronti dei suoi scienziati e dei
suoi studenti, un Paese che ha la
Pirelli e la Fiat?
L’ingresso Pirelli a Milano LaPresse
SCENARI FUTURI
Non è solo una questione
di fatturato, ma anche
di prestigio internazionale.
E a farne le spese
sarà la nostra laboriosa
industria minore
ti coloro che non possono permettersi di perdere pubblicità
Fca, l’Italia ha perduto per sempre il prestigio che veniva
dall’essere la casa (dunque anche il luogo) della Fiat, con il
valore, conosciuto e apprezzato, non solo dei prodotti ma anche delle persone addette alla
grande fabbrica mondiale italiana. Infatti, per non creare
equivoci, la Fca ha rapidamente
americanizzato anche la Ferrari, che aveva dato per decenni al
Paese Italia il prestigio che nessun governo e nessuna politica
avrebbe mai potuto dare. E ormai si deve dire “ai tempi di
Agnelli” e “ai tempi di Montezemolo” per indicare epoche
diverse in cui tutto ciò che adesso è americano e quotato alla
borsa di New York (ma con tasse pagate a Londra e sede legale
in Olanda) era italiano.
DUNQUE il caso Pirelli (grande
impresa-simbolo italiana, che
resta teoricamente in Italia
benchè diventata di proprietà
cinese) e il caso Fiat, che ha radicalmente traslocato nell’altro
Paese egemone, gli Usa, pur lasciando fabbriche minori (alcune ferme) in Italia, sono casi
identici di amputazione dal
corpo italiano di parti essenziali
all’identificazione di questo
Paese. Si può capire che il governo se ne occupi poco e finga
anzi di leggere a rovescio questi
due gravissimi episodi di perdita del prestigio industriale
italiano (lealmente Marchionne aveva ritirato la Fiat dalla
Confindustria prima della rimozione dei suoi punti decisionali, industriale, fiscale, legale)
andando a dire che ci comprano perché finalmente siamo desiderabili.
Renzi, infatti, come Berlusconi,
preferisce fabbricarsi il prestigio da solo attraverso il controllo delle notizie e – mentre perde
Fiat e Pirelli – mostra di compiacersi (spero non in buona fede) per i grandi risultati raggiunti. Come è noto, una parte
dell’indotto ex Fiat si è accodato
all’esodo verso Detroit, e la stessa cosa sta succedendo – verso
la Cina – intorno alla Pirelli. Ma
i contraccolpi saranno duri per
la piccola e laboriosa e popolatissima Italia dell’industria minore. Chiunque si presenti in
giro per il mondo non viene più
dal Paese della Fiat, della Pirelli,
della Ferrari. Viene da un Paese
di vacanze a cui, fuori stagione,
non è così urgente prestare attenzione. Ora la grande impresa (vedere il fatturato) resta la
malavita, con sede operativa e
manodopera tutta italiana.
FATTI DI VITA
di Silvia Truzzi
SULLA HOME PAGE dell’Huffington Post ieri mattina
campeggiavano due foto: Maurizio Landini e Francesco
Piccolo. Il leader della Fiom e l’ultimo premio Strega, da
molti indicato come l’intellettuale di riferimento del renzismo di lotta, soprattutto di governo. Nell’intervista al
giornale on line diretto da Lucia Annunziata, Piccolo se la
prende con Landini. Se la prende storicamente non personalmente, naturalmente: “È un discorso sulla sinistra
che si sente pura, il mio giudizio su Landini è storico, non
personale. E lo esprimo nel pieno rispetto delle sue idee
e di quelli che le condividono”. Fatta la doverosa premessa, la tesi è: Landini è reazionario. Il che ha lo stesso
effetto comico di quando Peppone tuona contro “la signora reazione che con ignobili insinuazioni tenta speculazioni ai danni del popolo”. Ma almeno Peppone faceva il meccanico, non l’intellettuale.
Spiega lo scrittore che lo scontro “si apre ogni volta che
la sinistra si fa concreta, diventa di governo, e deve mettere in atto le cose. Di fronte a questo appuntamento, in
cui ci si espone alla fragilità del non farcela, c'è sempre
nella sinistra un risveglio di purezza. Contrapporre alla
fragilità della concretezza la purezza degli ideali è una
n
Q
uando si alza in piedi
e fissa l’aria Yolanda
appare una Manitù
femminile. Serena e
ieratica, un’energia muta che
mette in subbuglio il cuore. I giovani che la guardano capiscono
in un attimo che assisteranno a
un rito straordinario. Propiziatorio e di maledizione, denuncia
e supplica, offerta e richiesta di
aiuto. Yolanda Moran viene da
Coahuila. È la madre di uno dei
27 mila desaparecidos messicani. La ripete spesso quella cifra,
come un mantra. Ventisettemila. Per spiegare che il suo paese è
allo stremo, che le mille e più vittime innocenti della mafie che
contiamo in Italia in un infinito
rosario civile, sono nulla davanti
a ciò che accade nella sua terra.
Ventisette volte solo gli scomparsi, le vittime della cosiddetta
“desapariciòn forzada”, più delle
vittime del conflitto afghano; e
150 mila i morti.
ne sequestrato sei anni fa dai militari, suo figlio, 35 anni, professione contabile. Alle spalle, appoggiato a una finestra, ha un altro cartello. Lì le foto sono cinque. Quelle dei nipoti, dei figli
del figlio. Una scritta straziante:
“Donde està mi papà?”. Spiega
però che a dispetto delle foto lei
vuol parlare di tutti, perché tutti i
27 mila son “mis hijos”, miei figli. Per tutti vale il grido che sale
da migliaia di famiglie: “Vivos se
los llevaron, vivos los queremos”. Gli studenti tacciono. Ne
hanno sentito parlare, del caso
messicano. Qualcuno l’ha studiato. Ma un simile coinvolgimento emotivo non lo immaginavano. Quella specie di divinità
india che racconta dolore e non
piange, che dice di volere ritrovare vivo suo figlio senza emettere un gemito, spiega la Storia
CON YOLANDA c’è Victor, il suo
RIMPROVERA indirettamente
chi parla solo degli studenti di
Ayotzinapa. “È stato un episodio
terribile”, dice, “ma prima ce ne
sono stati a migliaia senza che
nessuno se ne accorgesse”.
Nemmeno i giovani. Ed è questa
forse la parte più amara del suo
incontro con gli studenti milanesi. Quando racconta che lei ci
è andata alla manifestazione nazionale di Libera a Bologna.
“Corruzione, mafie, impunità”.
Sembrava si parlasse del Messico
e invece era l’Italia. E invece c’era
una immensa differenza: la marea di giovani e giovanissimi che
manifestavano, una specie di
miracolo per lei. “Perché da noi e
con noi i giovani non ci sono.
Come non ci sono gli intellettuali, che fingono che non stia accadendo nulla. Dopo il sequestro di Ayotzinapa, chissà se alla
marcia che faremo il 10 maggio
non saranno finalmente con noi
anche gli studenti”. Yolanda
coordina l’associazione Fundem
Regiòn Centro, dove Fundem
sta per “Fuerzas unidas por nuestros desaparecidos en Méjico”.
La foto del figlio Dan Jeremel
Fernàndez appesa al collo mentre parla diritta e orgogliosa in
un’aula universitaria le conferisce quasi una forza magica. Ven-
no stati impiegati l’esercito e la
marina e alla fine l’han trovato
vivo. Vuol dire che si può. Ma
quando noi denunciamo una
scomparsa subito ci fanno sentire in colpa: che cosa faceva, se
trafficava in droga, se era uno di
loro”. “Ma subite minacce, le autorità vi intimidiscono?” chiede
una studentessa. Yolanda non
mente, non semina adrenalina
gratis. “No, non ci succede nulla,
anzi il governo ci riconosce, ci
ringrazia, ci usa come alibi per le
sue mancanze, ma poi quando
vanno a cercare nelle fosse comuni (qui Yolanda chiede di
proiettare una foto da capogiro)
non trattano con delicatezza i
cadaveri, ci vanno su con le pale,
li sollevano come cose, e noi madri andiamo sul posto appena lo
sappiamo, per chiedere rispetto
per i nostri figli.”
Yolanda Moran
TUTTI IN MARCIA
Sono 27 mila le persone
scomparse nel nulla.
Un’associazione
si batte per ritrovarle,
nel silenzio assordante
del resto del mondo
che si sbarazza dei diritti e del
progresso con una gomitata. È
un panorama che toglie il fiato.
Sono desaparecidos anche poliziotti, medici, infermieri, tecnici
di telecomunicazioni, chissà che
uso ne fanno. Il governo osserva,
solo uno Stato su 32 ha modificato le sue leggi per contrastare
le sparizioni. “Quando è toccato
di essere rapito a un amico
dell’ex presidente Calderòn, so-
vice alla guida dell’associazione.
Insieme vanno nelle scuole, anche all’estero. A chiedere alla
gente l’aiuto che i governi non
danno, a spiegare che chi compra droga finanzia gli assassini
dei loro figli. “Los Zetas e i cartelli del Golfo hanno rapporti
con ’ndrangheta e camorra”,
spiega, come per dare una dimostrazione geometrica di quel che
ha detto. Dati, foto, numeri:
“Cinquantaquattro sono i giornalisti uccisi, contati da Amnesty, non da noi”. Ma anche la
speranza, la marcia del 10 maggio che diventa un successo davanti ai media del mondo e rende impossibile il silenzio. Alla fine la supplica, una parola sola,
accolta da un applauso interminabile. “Aiutateci”. Una studentessa calabrese si getta al collo di
Yolanda, si stringe a lei per lunghissimi minuti, guancia a
guancia, in un silenzio irreale.
Un ricercatore che si occupa da
mesi della resistenza civile messicana (ma loro la chiamano “resiliencia”) ha deciso: il 10 io ci
vado. Un giovane giurista ammonisce i colleghi: dobbiamo fare di più per il Messico, deve diventare una questione nostra.
Bello questo paese dove non tutti
dicono “abbiamo già i nostri
problemi”. Yolanda, con le sue
parole e i suoi silenzi, ha vinto
un’altra delle sue infinite battaglie.
Piccolo, Landini “il reazionario”
e la Locomotiva di Guccini
strada seducente, irresistibile. Stavolta tocca a Landini
incarnarla”.
LA SINISTRA concreta è quella di governo. La sinistra
del Jobs Act, dell’articolo 18, del superpreside nella buona scuola. La sinistra delle riforme, il pateracchio del Senato dei nominati e dell’Italicum fotocopia del Porcellum. La sinistra del fare che vuol governare a suon di
premi di maggioranza e listini bloccati. La sinistra del
decreto legge. È questa la sinistra che, dice Piccolo, è
diventata adulta. Perché ripeness is all, la maturità è tutto
e dunque non si può restare ostaggio delle idee, non diciamo ideologie che sono morte e sepolte da decenni. Il
governo del fare mette le mani nelle cose. E questo sarebbe di per sé un bene? Che senso ha l’apologia dell’agire se le azioni sono quelle, molto discutibili, viste in questi mesi? Agire, ma per fare cosa? Sembra una domanda
inutile, senza importanza, in quest’orgia laudante del
premier facitore. È tutto un elogio della velocità, del piglio, dell’energia. Ma è sul cosa e sul come, che Landini
vuol portare l’attenzione e il segretario della Fiom ha
ragione quando rivendica come politica la sua iniziativa.
n
Dice lo scrittore che le persone hanno un’irresistibile attrazione verso lo scatafascismo. Ma il mito del progresso (chissà se Piccolo se lo ricorda ancora il treno della
Locomotiva gucciniana) è un mito smentito dai fatti: basta guardare la classe dirigente dei tuìt e delle slide. Gente che non risponde mai sul punto, mai nel merito alle
obiezioni. Quelle rare volte che le obiezioni vengono
considerate e non rispedite al mittente con gentilezze
tipo ”tutti gufi e rosiconi”. Prima non andava tutto meglio? È più convincente il “non c’è limite al peggio”. Da
“l’ottimismo della volontà”, passando per “l’ottimismo è
il sale della vita” della pubblicità, era un fatale arrivare al
“preferisco avere il mito del futuro che quello del passato”. Per questo il pessimismo della ragione è più che
mai una risorsa.
Da ultimo: chi si autodefinisce intellettuale suscita sempre una certa diffidenza. Non solo perché spesso l’uso
del cervello viene confuso con l’uso di mondo, o perché a
intellettuale seguono aggettivi come “libero” o “cosmopolita” oppure, perché no, “organico”. Soprattutto per la
presunzione di intelligere.
@silviatruzzi1
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 MARZO 2015
23
SENZA RETE
Antonio Padellaro
Viva Renzi e il Jobs Act!
Ma addio all’articolo 18
Riforme in fretta e furia:
come al Palio di Siena
Così la scuola assorbirà
tutti i difetti dell’Italia
Oggi, come tutti i giorni,
Renzi ha occupato tutte le
tv, e come un personaggio
in cerca d’autore, può dire
tutto e il contrario di tutto. Con quel suo faccione
tondo e irriverente, lodava le sue riforme sul lavoro e spiegava che sono circa 80.000 le richieste di lavoratori da parte delle
aziende. Quindi il lavoratore con il contratto a
tempo indeterminato,
può tornare padrone della sua vita. Può accendere
un mutuo e può creare
una famiglia. Il futuro è
suo, viva Renzi, viva il
jobs-act! Poi qualcuno
spiegherà a Renzi che
mettere una vocale e una
consonante davanti a “determinato” non vuol dire
lavorare tutta la vita, l’articolo 18 non c’è più. Renzi, l’articolo 18 non c’è
più. Capito?
No, caro Orlando ministro per caso, ma poi non
tanto, la corruzione non è
affatto un’emergenza nazionale se si intende, come per quasi tutti i suoi
indecorosi predecessori,
che bisogna di corsa approvare, solo perché costretti dagli scandali che
vi sommergono, una legge incompleta, pasticciata
e certamente piena di paludi. L’emergenza c’è da
oltre vent’anni, da quando il suo partito gridava la
necessità di intervenire
drasticamente. Salvo, come ora, perdere due anni
Ho un timore per la scuola italiana. Nessun partito, nessun sindacato, nessun giornale ha denunciato con la determinazione adeguata il pericolo
che contiene il ddl scuola:
se diventerà legge, i presidi potranno scegliersi e licenziare a piacimento i
professori. La scuola italiana ha molti difetti, ma
ha anche un grande pregio: il pluralismo di idee,
caratteri, metodi. In altre
parole, la varietà. Dopo la
legge, invece, dovremo
aspettarci il varietà, il teatrino di insegnanti am-
Il ritorno
della legge
bavaglio
NELLA REPUBBLICA democratica fondata sul lavoro è giusto che il malaffare
sia scoperto con le intercettazioni. Ma
nella Repubblica del privilegio e del malaffare, nella quale viviamo, le intercettazioni creano necessariamente odiose disuguaglianze fra criminali: alcuni, arrestati, perdono onori e privilegi; altri, sfuggiti alle intercettazioni, potrebbero perseverare nel malaffare e giungere a ricoprire le più alte cariche dello Stato. O forse vogliamo continuare a credere che i
criminali sono soltanto quelli assicurati
alla giustizia?
Antonio Palese
la vignetta
ONESTAMENTE non mi importa assolutamente nulla del come siano ottenute le
intercettazioni, se le ha ordinate il giudice, un appuntato dei carabinieri o anche
semplicemente un netturbino mentre
spazza le strade. L'unica cosa di cui mi
importa è il loro contenuto, e se esso è
penalmente rilevante allora ritengo che
debbano essere di pubblico dominio, anche prima di usarle nell'aula di un tribunale. Questo perché sono convinto che la
gente debba sapere chi sono questi lestofanti e quali danni fanno al nostro Paese (e quindi a noi stessi!).
Claudio Marchetti
Ecco perché l’Inghilterra
è una democrazia adulta
Non dimentico che la democrazia in Inghilterra se
la sono pagata per secoli
con i “soldi degli altri”. E
neppure che gli inglesi
non hanno mai smesso i
panni di sudditi. E da ultimo, non dimentico che
per chiedere scusa alla
memoria di Alan Turing,
morto suicida dopo essere stato castrato chimicamente per mano dello
Stato, perché omosessuale, la Regina ha riflettuto
per sessant’anni. Ma la distanza fra la sentenza della Corte suprema inglese
che dà ragione al Guardian e consente che le lettere indirizzate dal Principe Carlo a membri del
governo Blair vengano
pubblicate e la sentenza
della Corte costituzionale
italiana che ha dato torto
alla Procura di Palermo e
ha comandato addirittura
di distruggere le registrazione delle conversazioni
di Napolitano con Mancino, indagato per la “trattativa fra Stato e mafia”,
segna la differenza fra una
democrazia adulta e una
bambina.
dalla proposta Grasso,
che si annacqua con brodini e impacchi, appelli
all’unità in nome del Paese e inciuci sottobanco
per proteggere questa o
quella posizione personale o per scambiare misere
concessioni. Sembra di
essere al Palio di Siena: sono quasi sempre gli stessi,
cincischiano, si sgambettano, scalciano, frustano i
cavalli, girano e rigirano
sulle proprie posizioni
poi entra all’improvviso il
fantino, la cui contrada ha
pagato, che in tre giri di
corsa impone la conquista del trofeo e il popolo
esulta. Intanto, in attesa
del prossimo, già ricominciano le trattative.
Vittorio Melandri
Giampiero Buccianti
Francesco
Non credo che il governo Renzi davanti
all'incessante banchetto delle cricche
sulle Grandi Opere oserà limitare le inter-
maestrati al volere del dirigente scolastico. Il quale
sceglierà, come è ovvio
che sia, dipendenti a lui
affini per pensiero e comportamento. Ciò potrebbe andare bene in
un’azienda, ma non nella
scuola pubblica. Dovremo aspettarci gli immortali raccomandazione,
servilismo, conformismo
italici, ai quali sarà costretto a chinarsi, per la
sacra pagnotta quotidiana, anche il docente e con
lui tutta la scuola.
Daniele Barni
Presidente Mattarella,
”Perché non parli?”
Non so capire per quale
motivo il nostro presidente Mattarella sia silen-
te di fronte alla possibile
approvazione della nuova
legge elettorale, peggiore
del Porcellum che lui decretò incostituzionale, è
molto simile alla famosa
legge Acerbo che sdoganò
il fascismo. Unita alle riforme che i Renzi e Verdini vogliono fare della
Costituzione, la democrazia sarà un ricordo e rischiamo che milioni di
elettori siano Extraparlamentari. Siamo passati
dai moniti “napolitani” su
tutto, al silenzio assordante. Sarebbe auspicabile una presa di posizione a
favore della costituzione
nell’interesse di tutti i cittadini e non solo del potere costituito.
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cettazioni come fondamentale strumento d’indagine. Rispunta invece il Bavaglio
dimostrando così che l’ossessione permanente del potere politico (e del potere
in generale), di qualsiasi origine e colore,
innovato o rottamato che sia, è sempre la
stessa: su intrallazzi e ruberie meno si sa
meglio è. In nome della privacy sono alla
studio misure che di fatto possono uccidere la libertà di stampa garantita dalla
Costituzione. Infatti, può essere sufficiente la pubblicazione di un colloquio ritenuto non penalmente rilevante perché i
giornalisti finiscano in galera; senza contare il danno economico per le testate
dissanguate da multe e risarcimenti. Per
quale motivo l’opinione pubblica non deve sapere con chi ha a che fare, al di là dei
reati commessi? Del resto, i nuovi censori sono gli stessi che citano (quando gli fa
comodo) il grande liberale Luigi Einaudi
che diceva: conoscere per deliberare. Ma
se non si fosse saputo del Rolex ricevuto
in gentile omaggio da Lupi junior, così come dell'impiego assicurato dal grande
costruttore, Lupi ministro sarebbe stato
mai costretto alle dimissioni? Eppure
non era indagato. Quanto ai giornali, esiste un codice deontologico che potrebbe
essere reso più rigoroso per evitare abusi.
Senza contare che sono tonnellate le intercettazioni sulla vita privata di questo o
di quello che i giornali non hanno mai
pubblicato perché non rilevanti. E senza
che ci fosse bisogno dei carabinieri.
Non c’è nessuno sconto
in bolletta: è primavera
Poco da esultare
per Sollecito e Knox
Puntuale come l’arrivo
della ora legale, l’autorità
garante di elettricità e gas
comunica alle famiglie
italiane una riduzione di
costi del 1,1 per cento
(elettricità) e ben del 4 per
cento (gas), dovuta al calo
della materia prima. Ma
chi credono di prendere
in giro queste “authority”? Si sa: con l’arrivo della bella stagione si spengono le caldaie e i riscaldamenti e, appunto, con
l’introduzione della ora
legale si consuma meno
corrente in casa. Come
mai questi forti abbassamenti di prezzo non li
fanno mai in inverno?
È comprensibile la soddisfazione degli imputati e
dei loro familiari per la
decisione della Suprema
Corte:
annullamento,
senza rinvio, della condanna, in appello, per
l’omicidio di Meredith
Kercher, degli imputati
Raffaele
Sollecito
e
Amanda Knox. Ma è opportuno bandire ogni forma di esultanza e di tifo
calcistico per i giovani,
che sono stati prosciolti,
dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione
preventiva. Un alto magistrato della Cassazione
aveva chiesto la conferma
delle sentenze in Appello.
La Corte non ha accolto la
Rolando Marchi
Lucia Calvosa, Luca D’Aprile,
Peter Gomez, Layla Pavone,
Marco Tarò, Marco Travaglio
Pietro Mancini
Alfano senza ritegno
e Renzi “sputa-noccioli”
L’ultima del ministro
dell’Interno Angelino Alfano di “rubare” i contenuti delle mail, dei cellulari, dei tablet e via dicendo è di una gravità tale che
questo signore meriterebbe l’allontanamento
dall’Italia. Ma Matteo
Renzi gli perdona tutto.
Del Resto senza Ncd non
avrebbe i numeri per governare e il suo obiettivo
principale è dare compimento alle riforme costituzionali. Poi sputerà Alfano e Ncd come si fa con
i noccioli dell’uva. È ributtante l’evidenza che
questi politici trattano gli
italiano come sudditi,
possibilmente da schiavizzare. Ma il neo eletto
presidente della Repubblica non sente il bisogno
di dire qualche parolina, o
forse fare di più che non
dire, per arginare questo
schifo? Poveri noi. È proprio vero che al peggio
non c’è mai fine ed è triste
che rischiamo di essere
sottomessi alla mediocrità di questa gentaglia malvagia.
Roberto Maria Bacci
Il Fatto Quotidiano
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Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi
Consiglio di Amministrazione:
sua richiesta e l’esito delle
lunghe indagini è stato
cancellato. E, dunque,
l’ambiziosa avvocatessa
Giulia Bongiorno eviti di
paragonare Sollecito a
Forrest Gump. E di esaltare come “eccezionale” il
comportamento del suo
assistito, sobrio e rispettoso delle diverse, e antitetiche, sentenze di vari
collegi giudicanti. Soprattutto, tutti rispettino il
dolore dei familiari della
giovane inglese: venuta in
Italia per studiare, è stata
massacrata, a Perugia, in
una lontana notte di novembre. Non sono stati
sufficienti 8 anni alla giustizia del nostro Paese per
scrivere, in nome del popolo italiano, la chiara e
definitiva verità su tutti i
responsabili di quel delitto efferato.
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ULTIMA PAGINA
DOMENICA 29 MARZO 2015
SEGUE DALLA PRIMA
di Marco Travaglio
a solo perché l’insuffiM
cienza di prove dipende
dalla scarsa bravura degli inqui-
renti nel trovarle, o dall’abilità
degli assolti a nasconderle e a
tappare la bocca ai complici e ai
testimoni. Questo è l’atteggiamento corretto e laico che si dovrebbe tenere alla fine di un
processo indiziario. Diversi indizi facevano ritenere gli imputati colpevoli, altri facevano dubitare che lo fossero: il classico
bicchiere mezzo pieno e mezzo
vuoto, rimesso alla discrezionalità dei giudici. La stragrande
maggioranza di essi ha deciso
per il mezzo pieno, la minoranza per quello vuoto, che ha prevalso solo perché ha convinto
gli ultimi. Con l’“aiuto”, va detto, delle incredibili pressioni
americane (chissà se il povero
Guede sarebbe dentro a espiare
la pena da solo per un delitto
commesso con altri, se anziché
un nero ivoriano fosse anche lui
un bianco targato Usa).
Chi poi sostiene che Amanda e
Raffaele non andavano neppure processati non sa quel che dice. Le indagini della Scientifica e
le ultime perizie sul coltello e sul
gancetto del reggiseno della vittima, il memoriale scritto da
Amanda e poi rimangiato, le
mezze parole di Guede “chiamavano” la Knox e Sollecito
sulla scena del delitto. Altrimenti perché Amanda, nel primo interrogatorio senza difensore, quando nessuno ancora
sapeva nulla dell’esistenza di
Rudy, descrisse l’omicidio attribuendolo a Patrick Lumumba,
il “nero sbagliato” (“ricordo
confusamente che Patrick ha
ucciso Meredith”), e fu perciò
condannata definitivamente a 3
anni per calunnia? Se lei non era
lì, che ne sapeva del delitto e
dell’assassino? E, se lei non
c’entra, perché calunniare un
innocente? E perché Raffaele
mentì sull’alibi della fidanzata
(“quella sera Amanda dormì a
casa mia”), subito sbugiardato
da vari testi? E chi sono i complici di Rudy, visto che nella
stanza di Meredith c’erano tracce solo di Rudy, di Amanda (il
suo Dna sul coltello) e di Raffaele (il suo Dna sul gancetto) e
che il processo a Rudy ha accertato che il suo ingresso nell’alloggio fu “favorito da Amanda”? Gli indizi, anche scientifici, che han tenuto in carcere i
due non li ha valutati solo la
Procura: li hanno confermati
un gup, 9 giudici di tre diversi
Riesami e 5 di Cassazione. Se la
Procura avesse messo in cassaforte la confessione di Amanda,
scovando un avvocato d’ufficio
la notte in cui sapeva tutto e accusava Patrick prima di chiudersi a riccio, anziché continuare a sentirla senza difensore e
rendere così inutilizzabile quel
verbale, forse oggi racconteremmo un’altra storia. Idem se
Rudy avesse parlato chiaro.
Quindi, per favore, si prenda atto dell’assoluzione. Ma nessun
processo alla giustizia italiana,
tantomeno dagli Usa: lì, dopo la
prima condanna, buttano la
chiave. Noi invece facciamo i
processi in nome del popolo italiano con tanto di giuria popolare, poi li rifacciamo in nome di
un altro popolo italiano, e ci
concediamo pure il lusso di due
verdetti (contrastanti) di Cassazione. Quindi, anziché vaneggiare di ingiustizie da risarcire, è
il caso di frenare le isterie – come peraltro fanno saggiamente
gli avvocati difensori – e accontentarsi. Qui gli unici da risarcire sono la buonanima di Meredith e la sua povera famiglia.
RIMASUGLI
Non c’è
Speranza,
è inutile
bussare
di Marco Palombi
oberto Speranza da PoR
tenza ha 36 anni, di mestiere fa il capogruppo del Pd, è
bersaniano (qualunque cosa significhi) ed è uno degli almeno
dieci democratici a cui Renzi ha
promesso un posto da ministro se otterrà l’Italicum.
Raggiungere un’aurea mediocritas è la speranza di
Speranza: per ora infatti
sulla mediocritas non si discute,
ma l’oro scarseggia. È un
vero politico, in ogni caso. Di lui
si potrebbe dire quel che Fortebraccio scriveva di Forlani: se
qualcuno non avesse avuto l’ardire di offrirglielo fritto al ristorante, non avrebbe mai avuto
contezza dell’esistenza del cervello. L’assenza di Speranza,
però, è più radicale di quella dell’Arnaldo: manca di
tutto, anche se va riconosciuto che non se ne fa un
cruccio. “Non entrare mai
nel merito”, è l’unico consiglio
– ci dicono – affidatogli dal suo
mentore al momento dello
sbarco a Roma e così s’è sempre
brillantemente regolato.
Ora, proprio in grazia della sua
presenza sempre assente, il giovane Roberto gestisce la mediazione tra minoranza Pd e Renzi
sulla legge elettorale. Ci avvisa
dai giornali che la sua stella polare è “costruire l’unità del Pd”.
Vuol dire che alla fine farà quel
il Fatto Quotidiano
che dice il premier. Dopo però, volendo rinfacciargli il cedimento, non si potrà. Chi
bussasse alla sua porta sentirebbe solo una voce: “Non c’è
Speranza”. Sulla sua sedia, a
mo’ di avviso, il “biglietto” di
Giorgio Caproni: “Se non dovessi tornare / sappiate che
non sono mai / partito”. La
Speranza, d’altronde, è femmina e, come tale, mobile. E
Renzi si sente mobiliere.
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