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LISA MARIE RICE
PASSIONE
PERICOLOSA
romanzo
Traduzione dall’inglese di Valentina Pezzoni
Della stessa autrice abbiamo pubblicato:
Amanti pericolosi
Segreti pericolosi
Prima edizione: settembre 2013
Titolo originale: Dangerous Passion
© 2009 by Lisa Marie Rice
© 2013 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.
Il marchio Leggereditore è di proprietà
della Sergio Fanucci Communications S.r.l.
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384 – email: [email protected]
Indirizzo internet: www.leggereditore.it
Proprietà letteraria e artistica riservata
Stampato in Italia – Printed in Italy
Tutti i diritti riservati
Progetto grafico: Grafica Effe
LISA MARIE RICE
PASSIONE
PERICOLOSA
Questo libro è dedicato alla mia migliore amica,
la sorella che non ho mai avuto, Lorena Rossi.
Grazie per tutti gli anni di amicizia.
Questo è per te, Lorenchen!
Prologo
Manhattan, 12 novembre
‘I sentimenti uccidono più rapidamente dei proiettili.’
Dmitri Rutskoi, ex colonnello dell’esercito russo, aveva
ossessionato le sue truppe con questo slogan in Cecenia.
Era vero.
Davanti al bimbetto carino con i capelli scuri tieni fermo
il dito sul grilletto perché non può avere più di otto anni. Un
attimo dopo, il bimbetto carino tira fuori un ak-47 e ti trasforma in un hamburger di carne umana.
La bella nonna sotto il burka? Ha tre chili di esplosivo attaccati ai fianchi abbondanti e non aspetta altro che raggiungere Allah e portarti con lei.
E che dire dell’Africa? Interi eserciti di simpatici dodicenni
che imbracciano ciascuno un ak-47 più grande di loro e indossano amuleti che sono convinti li rendano immuni ai proiettili, pronti a farti a pezzi solo perché li hai guardati.
Il mondo intero è tuo nemico.
Per questo Rutskoi insegnava ai suoi uomini a essere spietati e a mettere a tacere i propri sentimenti, perché i sentimenti sono letali. I sentimenti ti rendono vulnerabile, ti fan9
no esitare quando è indispensabile l’azione, ti indeboliscono
quando dovresti essere forte.
Il sentimento più letale di tutti è l’amore per una donna.
Le donne sono come spade puntate dritte al cuore.
Rutskoi non aveva mai sperato di usare quell’arma per
mettere in ginocchio Drake. Viktor Drakovich non possedeva nessuna delle debolezze umane, di certo non quella delle
donne. Non si fidava di nessuno, non era amico di nessuno,
non amava nessuno.
Nessuno aveva mai visto Drake con una donna al fianco.
Certo che no.
Drake era intelligente. Sapeva che una donna poteva costituire un punto debole, una falla nell’armatura. Era sopravvissuto a cinque attentati negli ultimi cinque anni, grazie al
fatto che non aveva punti deboli.
A Rutskoi dispiaceva dover essere proprio lui a mettere
in ginocchio Drake. Non sarebbe dovuta andare così. Si era
trasferito in America per collaborare con Drake, non per ucciderlo.
Viktor Drakovich lo aveva affascinato fin dalla prima volta che lo aveva incontrato, quindici anni prima, quando era
un giovane tenente dell’esercito russo in Cecenia. Aveva sentito varie versioni della storia di Drake: che era russo, che era
ucraino, che era moldavo o dell’Uzbekistan o del Tagikistan.
Nessuno lo sapeva con certezza. Era sbucato fuori dal nulla
negli anni Novanta, un giovane uomo incredibilmente forte
e intelligente che aveva costruito un potente impero poi estesosi in tutto il mondo.
Drake aveva rifornito di armi e munizioni sia Obshina, la
mafia cecena, che l’esercito russo che combatteva contro di
essa. Quando le forniture di armi da Mosca si esaurirono,
Rutskoi si rivolse a Drake e scoprì che era anche incredibilmente affidabile. Drake consegnava sempre quello che
aveva promesso, in perfetto orario, esattamente nel luogo
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pattuito e tutto era sempre perfettamente in ordine. Senza
contare che per farlo utilizzava una propria flotta di aerei,
elicotteri e navi.
Drake era una leggenda, un uomo che rigava dritto. Ma se
lo ingannavi si trasformava in un nemico mortale.
Rutskoi non aveva nessuna intenzione di ingannarlo.
Anzi, si era dato molto da fare per aiutarlo. Quando aveva
lasciato l’esercito russo, Rutskoi era andato dritto negli Stati
Uniti, dove Drake aveva preso la residenza.
Drake era uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo
e adesso viveva nella nazione più ricca e potente del mondo.
Rutskoi voleva la sua parte, la voleva con tutte le sue forze.
Perché no? Drake gestiva un’impresa multimiliardaria e
lo faceva da solo. Come tutti i buoni generali, aveva bisogno
di un buon tenente. E chi meglio di Rutskoi, che conosceva a
menadito il campo e che aveva contatti consolidati da tempo
in Africa e nella vasta distesa di Paesi satellite che venivano
definiti Unione Sovietica?
Era un mondo nuovo e in esso un uomo doveva correre
rischi e sognare in grande. Lui era pronto.
Rutskoi aveva concluso un affare per una grossa partita di
armi e aveva guadagnato oltre un milione di dollari. Poi, un
mese prima, aveva prelevato metà del bottino dal suo conto
in una banca Svizzera ed era atterrato a New York. Aveva
trascorso tutto il mese in una suite del Waldorf Astoria per
prendere confidenza con il nuovo territorio di Drake.
L’America, ah, l’America. Così dolcemente e deliziosamen­
te decadente e, allo stesso tempo, così impeccabile ed efficiente. Non esisteva piacere che non si potesse comprare, tutto
confezionato, pulito, sterilizzato e pagabile con carta di credito. Rutskoi si crogiolava in quell’abbondanza. Be’, se lo meritava, in fondo. I lunghi e difficili anni in un esercito scalcinato,
le condizioni inumane della guerra in Cecenia, il pericolo costante: tutto dimenticato.
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Come potevi ripensare ai tempi difficili mentre te ne stavi sdraiato su un morbido letto, con una donna ancora più
morbida sotto di te? Alla fine del mese, rinfrancato e pronto
a partire, Rutskoi contattò Drake. Drake aveva modi spicci
e professionali. L’appuntamento fu fissato per il giorno seguente.
Stupendo. Rutskoi sentiva il brivido del potere che lo pervadeva. Stava per cominciare la seconda parte della sua esistenza. Era sopravvissuto al peggio che la vita potesse riservargli e ne era uscito più forte di prima. Presto, sarebbe stato
ricco, potente, temuto, il braccio destro di un uomo immensamente ricco, potente e temuto.
Stava per allearsi con uno dei padroni dell’universo e sarebbe diventato immortale. Avrebbe saputo dove comprare
un cuore nuovo, un nuovo fegato e nuovi polmoni.
Ricordava ancora l’eccitazione febbrile che aveva provato
quando la limousine lo aveva lasciato di fronte al palazzo di
Drake. Sapeva simulare un’espressione impassibile – si era
fatto una lunga esperienza con generali incompetenti e ubriaconi – ma dentro saltava per l’eccitazione.
Rutskoi impiegò mezz’ora per superare i controlli della
sicurezza di Drake, il che lo esaltò ulteriormente. Quell’uomo era invincibile, inespugnabile. Ogni passaggio, eseguito
con perfetta e cortese professionalità dagli uomini di Drake,
lo rassicurava. Quella era proprio la sua grande occasione.
Pensava che solo il presidente degli Stati Uniti potesse ricevere lo stesso genere di protezione. Eppure, probabilmente,
il presidente aveva meno potere nel mondo di quanto ne aveva Drake nel suo ambiente. Il mondo di Drake non era
una democrazia.
Alla fine, Rutskoi fu condotto in una stanza con una porta
che si chiuse dietro di lui come la porta di un caveau.
Ah. Il profumo di pelle, whisky di prima qualità e sigari.
Il profumo della grande stanza lo raggiunse prima che i suoi
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occhi potessero abituarsi alla semioscurità. C’erano solo poche lampade accese, ma l’impressione era che la stanza fosse
enorme e con un soffitto molto alto. E la comodità... Tutto
era stato costruito per la comodità di un solo uomo. Grosse
poltrone di pelle; tappeti spessi e felpati. Decanter di cristallo
riempiti con diversi alcolici dall’aria molto costosa. Un contenitore per sigari in legno e ottone...
«Entra» disse una voce dall’interno. Ed eccolo lì. Drake.
Rutskoi non era tipo da spaventarsi facilmente, né che fosse facile da impressionare, ma Drake lo spaventò e lo impressionò allo stesso tempo. Era di statura media e sembrava incredibilmente forte. Le mani e i piedi erano enormi e potenti.
Rutskoi lo aveva visto colpire un uomo con una tale forza che
sembrava lo avesse colpito con un proiettile. Lo aveva anche
visto mandare al tappeto un uomo con un pugno solo.
Praticava il sambo, l’arte marziale russa e la savate, il
kickboxing francese. Nella lotta libera non aveva rivali. Afferrava il suo nemico, lo metteva al tappeto e lo stritolava.
Era pericolosamente intelligente. A volte, si aveva l’impressione che facesse parte di un qualche sistema di intelligence
segreto a cui aveva accesso solo lui. Non si faceva mai cogliere di sorpresa. Mai.
L’omicidio di Ahmed Masood il 10 settembre 2001 era stato un chiaro segnale per lui di interrompere immediatamente la fornitura di armi ai talebani.
Il giorno dopo, aveva già spostato tutto il giro d’affari
negli Stati Uniti e si era alleato con la cia per sottrarre armi
all’Alleanza del Nord. Non vendette più una sola arma a un
islamico o a un jihadista da allora.
Nonostante comparisse in tutte le liste dei ricercati internazionali e fosse ricercato dalle Nazioni Unite e dall’Interpol, divenne un intoccabile, protetto dagli Americani. I
suoi piloti avevano le contropalle. Consegnavano le armi ai
soldati americani in Iraq ed erano gli unici piloti abbastan13
za coraggiosi, o abbastanza pazzi, da volare nell’aeroporto
internazionale di Baghdad quotidianamente, incuranti del
pericolo.
Quando Drake si alzò per andare verso di lui, Rutskoi
sentì tutti i peli del corpo che si rizzavano. Deglutì con forza
per soffocare la paura e l’angoscia. Doveva affrontare Drake
alla pari, altrimenti non avrebbe mai funzionato.
«Siediti, Dmitri» disse Drake e si mise educatamente in
ascolto. La seconda e ultima cosa che disse, quando Rutskoi
gli spiegò cosa voleva fu: «Fuori di qui.»
Senza dover suonare un campanello o fare un qualche segnale particolare, arrivarono le guardie del corpo di Drake e
lo trascinarono fuori.
Rutskoi giurò che si sarebbe vendicato di quell’offesa, ma
era difficile vendicarsi di un uomo che non ti degnava della
minima attenzione.
Sparse la voce che la testa di Drake valeva cinquantamila
dollari e si mise in attesa. Aspettò a lungo. Evidentemente,
Drake pagava i suoi uomini talmente bene che cinquantamila dollari non erano un incentivo sufficiente per tradirlo.
Un’altra ipotesi era che fossero terrorizzati da lui. Probabilmente erano vere entrambe le cose.
Rutskoi studiò e aspettò e pianificò inutilmente, finché ricevette la telefonata. Non una telefonata. La telefonata. Quella che avrebbe cambiato la sua vita.
Finalmente, un po’ del denaro che continuava a spargere
in giro stava facendo effetto. Rutskoi aveva lasciato il suo indirizzo hotmail e ricevette un messaggio anonimo.
Se vuoi ricevere informazioni su Drake, fai un versamento di
50.000 $ su questo conto corrente.
In calce all’email c’era un codice iban che cominciava con
ch. Un conto svizzero.
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La banca di Rutskoi alle Cayman era efficiente e rapida.
Mezz’ora dopo, ricevette un’altra email.
Drake scivola fuori da casa sua il primo e il terzo giovedì pomeriggio di ogni mese, senza guardie del corpo e lo fa da un anno.
C’erano anche una serie di allegati. Con le mani che tremavano, Rutskoi li aprì e... eccole lì. Informazioni su Drake.
Anche meglio... informazioni sulle sue debolezze.
Finalmente! Una crepa nell’armatura di Drake, un accesso
diretto al suo cuore.
Drake si recava in una nota galleria d’arte a Lexington tutti i giovedì pomeriggio dalle due alle tre. Fra tutte le cose
che sapeva Rutskoi su Drake, la passione per l’arte non era
mai venuta fuori. Il fatto che andasse in una galleria non era
comunque una notizia da togliere il fiato.
No, quello che era incredibile era che mese dopo mese,
Drake non era mai entrato nella galleria. Aspettava fuori, nel
buio di un vicolo e osservava quello che succedeva dentro
attraverso una piccola finestra, nascosto nell’oscurità. Quello
che accadeva tutti i giovedì del mese era l’arrivo di una giovane artista, Grace Larsen, per esporre una sua nuova opera.
Opera che veniva comprata, puntualmente, da un acquirente anonimo. Ogni maledetta opera. Da un anno a quella
parte, un avvocato che rappresentava una società con sede
nell’isola di Aruba comprava per telefono ogni nuovo lavoro di Grace Larsen, a qualsiasi prezzo.
Rutskoi riconobbe il nome della società. Era una società di
comodo che Drake usava per gestire le sue compagnie aeree.
Era Drake che comprava i quadri, non c’erano dubbi.
I prezzi stabiliti dal proprietario della galleria per le opere della Larsen si erano impennati del trecento percento nel
giro dell’ultimo anno e non c’era da sorprendersi. Eppure,
l’artista continuava a vendere. Allo stesso unico acquirente.
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Rutskoi mosse il mouse impaziente fra gli allegati mentre
cercava di capire come avrebbe potuto usare quelle informazioni. Poi si fermò. E rimase a fissare lo schermo.
Ah.
C’erano cinque allegati, cinque foto dell’artista. Rutskoi si
appoggiò allo schienale della sedia, deliziato.
Ora si cominciava a ragionare. Quella davanti a lui era la
debolezza che gli avrebbe permesso finalmente di mettere a
tappeto Drake.
Rutskoi sentì il flusso dell’adrenalina scorrergli nelle vene
mentre si avvicinava allo schermo per dare una bella occhiata alle foto. Dopo aver osservato con cura ognuna delle immagini, premette stampa e tornò a esaminarle nel dettaglio.
Grace Larsen era una donna dal fascino fuori dal comune,
di altezza media, snella ma non scheletrica come tante donne a Manhattan. Capelli mossi castano ramato, tratti raffinati, pelle bianca perlata. Era una bellezza di altri tempi. Era
sicuramente per quella bellezza che Drake comprava tutte
le sue opere e se ne stava fuori da una finestra al buio tutti i
giovedì del mese.
Per vederla.
Anche se, certo, era strano pensare a Drake nelle vesti di
uno... Come si diceva nella sua lingua? Spasimante. Drake
non era certo un uomo che spasimasse per qualcuno o qualcosa. Tutto quello che voleva, lo otteneva, con qualsiasi mezzo.
Non c’era niente che non potesse ottenere. Se voleva quella
donna, non doveva far altro che comprarla. Perché stare ad
aspettare in un vicolo, alla mercé di tutti per due ore, solo per
vederla?
La ragazza della foto non sembrava truccata e indossava
abiti ordinari, ma su una donna come quella, il trucco sarebbe stato quasi superfluo e non le servivano vestiti che mettessero in risalto la sua bellezza.
Aveva un aspetto totalmente naturale, serio, non artefatto.
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Non era per niente il tipo di Drake. Anche se, a pensarci bene, chi poteva sapere quale fosse il tipo di Drake? Chi poteva
sapere se avesse un tipo di donna ideale?
Drake poteva aspirare al meglio e, anche se quella donna
era notevole, non era di quelle con scritto ‘amante’ in fronte.
Rutskoi aveva comprato abbastanza donne in vita sua per
essere esperto in materia. Il tipo di donna che guarda l’orologio e le scarpe di un uomo prima di guardarlo in faccia. Il
tipo di donna con dipendenza da Tiffany e Armani come i
tossici dal crack.
La donna della foto non sembrava per niente di quel genere. Non sembrava pretenziosa. Non sembrava assolutamente essere sul mercato né in vendita.
Cosa aveva in mente Drake? Con i suoi soldi e il suo potere, avrebbe potuto avere una fila di donne fino in fondo
al quartiere, in paziente attesa di accontentarlo in qualsiasi
richiesta avesse avanzato. Poteva avere un harem intero addestrato per scoparlo in tutte le posizioni che gli venissero in
mente. Non esisteva niente di sessuale che non potesse avere
o comprare.
Rimanere in piedi al buio nel freddo inverno di Manhattan
o nel caldo soffocante delle estati della città per qualche ora al
mese, senza guardie del corpo, senza nessuna forma di sicurezza, solo per dare un’occhiata a una donna... era una follia.
La ragazza risultava negativa a tutto. Nessuna droga. Niente vita sessuale per quanto ne sapesse il suo informatore, né
con donne né con uomini. Non era fissata con i vestiti o con i
gioielli. Risultava solo un pagamento di trecento dollari con
la sua carta di credito alla gap, per cui qualsiasi signora elegante di Manhattan si sarebbe fatta una risata.
Rutskoi aprì di nuovo gli allegati e la guardò.
Perché correre quel rischio? Drake era l’individuo più attento alla sua incolumità che Rutskoi avesse mai incontrato.
Più di qualunque capo della mafiya russa. Più di Putin.
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Perché correre il rischio di mettersi in pericolo per diverse
ore al mese? Cosa poteva valere la pena di farlo? Drake era
vulnerabile non solo durante le ore di attesa nel vicolo, ma
anche durante i viaggi che faceva avanti e indietro.
Per cosa? Perché?
Non poteva trattarsi dei quadri, degli acquerelli e dei disegni in sé. Di quelli ne aveva già accumulati in abbondanza.
Ovunque li stesse tenendo, poteva ammirarli quando voleva. No, c’era altro oltre alle opere d’arte. Doveva trattarsi di
quella donna.
Drake voleva ammirare l’artista, senza essere visto. Per rischiare così tanto, doveva esserne ossessionato. E non poteva permettersi di mostrare la sua ossessione ai suoi uomini.
Erano leali, certo, ma la lealtà nel suo mondo si comprava.
Drake non aveva amici, aveva dipendenti. E i dipendenti potevano anche diventare sleali. Proprio come il suo informatore, che aveva appena aperto un’enorme falla nell’armatura
che proteggeva Drake per cinquantamila miseri dollari.
Ed ecco lì Drake, ossessionato da una donna bellissima che
non sapeva neppure della sua esistenza, totalmente indifeso
per diverse ore al mese. Catturare la donna, obbligare Drake
a rivelare i codici, uccidere Drake e la donna, diventare uno
degli uomini più potenti della terra, in un colpo solo.
Chiuso.
La decisione era stata presa. Era giovedì. Rutskoi avrebbe
risolto tutto in un paio di giorni. A quell’ora martedì avrebbe potuto essere seduto al posto di Drake, ed essere il re del
mondo.
Rutskoi prese il telefono. Era ora di reclutare un socio.
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1
Vicolo della galleria d’arte Feinstein
Manhattan, 17 novembre
‘I sentimenti uccidono più rapidamente dei proiettili.’ Il
vecchio detto dell’esercito russo risuonava nella mente di
Viktor ‘Drake’ Drakovich quando sentì un rumore dietro di
sé. Era un rumore appena percettibile. Il debole suono del
metallo contro la pelle, tessuto contro tessuto, e il flebile sussurro di un clic metallico.
Il rumore di una pistola estratta dalla fondina, la sicura
che scattava. Drake aveva sentito le variazioni di quel rumore centinaia di migliaia di volte.
Da un anno a quella parte sapeva che prima o poi avrebbe sentito quel rumore. Era solo una questione di tempo, ma
non aveva dubbi. Si era lanciato in quella direzione contro ogni istinto del suo corpo, completamente fuori controllo, per
un anno intero.
Fin dalla sua infanzia sregolata nelle strade di Odessa, era
sopravvissuto alle peggiori condizioni di vita, una volta dopo l’altra, facendo sempre attenzione a essere cauto, a non
esporsi se non era strettamente necessario, tenendo sempre
a mente la sua sicurezza, sempre.
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Ma quello che faceva da un anno a quella parte era l’equivalente di un suicidio.
Però non gli era sembrato un suicidio.
Gli era sembrato... la vita.
Ricordava il secondo esatto in cui la sua vita era cambiata.
Totalmente, radicalmente, istantaneamente.
Quando era successo, si trovava nella sua limousine, separato da Mischa dal divisorio di vetro che isolava il suono.
In macchina non parlava mai, sfruttava il tempo degli spostamenti per portarsi avanti con le scartoffie. Erano anni che
non andava da qualche parte per divertimento. Le macchine
gli servivano per andare da A a B, quando non poteva volare.
I finestrini erano molto oscurati. Per sicurezza, è chiaro.
Ma anche perché da tempo il mondo esterno non gli interessava abbastanza da spingerlo a dare un’occhiata fuori dal
finestrino al paesaggio che gli sfrecciava accanto.
La pesante Mercedes S600 blindata era ferma nel traffico. Il
semaforo sopra le loro teste continuava il giro dei colori: verde-giallo-rosso, verde-giallo-rosso, senza fermarsi, ma il traffico era a un punto morto. Più avanti era successo qualcosa. Il
frastuono dei clacson impazienti trapelava dalle pareti blindate e dai vetri antiproiettile dell’auto, sembrava giungere da
lontano, come un ronzare di insetti impazziti in lontananza.
Una moto sorpassò con agilità le macchine ferme, come
un’anguilla nell’acqua. Un autista si innervosì a tal punto alla vista del motociclista che sorpassava tutti che si chinò sul
clacson con rabbia, abbassò il finestrino e mostrò con decisione il dito medio. Poi gridò qualcosa, rosso in volto e fra gli
schizzi di saliva che volavano.
Drake chiuse gli occhi disgustato. Perfino in America,
dove regnava la pace, l’ordine e l’abbondanza, perfino lì c’erano violenza e invidia. Gli esseri umani non imparavano
mai. Erano come bambini aggressivi, petulanti, avidi e fuori
controllo.
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Era una sensazione antica, che risaliva alla sua infanzia,
familiare come la sensazione delle sue mani e dei suoi piedi.
Gli esseri umani erano imperfetti, rapaci, violenti. Dovevi usarli, approfittarne e starne il più lontano possibile. Questa
era la cosa più vicina a un credo che Drake possedesse e gli
era tornata molto utile durante tutta la sua vita.
Stranamente, però, negli ultimi tempi quel pensiero lo
aveva reso... impaziente. Infastidito. Gli aveva fatto venire
voglia di allontanarsi da tutto. Di andare... da qualche altra
parte. Di fare qualcos’altro. Di essere qualcun altro.
Se fosse esistito un altro mondo, sarebbe emigrato proprio
lì. Ma c’era solo questo mondo, pieno di gente avida e violenta.
Ogni volta che si ritrovava di quell’umore, cosa che succedeva sempre più spesso ultimamente, cercava di scrollarselo
di dosso. L’umore poteva costituire un modo eccellente per
essere uccisi.
Stranamente indisposto, guardò di nuovo i documenti
che aveva in grembo. Erano il contratto per la fornitura di
armi a un signore della guerra del Tagikistan, il primo di
quella che Drake sperava diventasse una consuetudine con
il ‘generale’ che si era fatto da solo. Nel suo feudo era appena
stato trovato del petrolio, un maledetto lago di petrolio proprio sotto la sua terra dura e spoglia. Perciò adesso il generale aveva deciso di comprare tutto ciò che era necessario per
mantenere il potere e il controllo di quel petrolio. Una volta
portata a termine con successo la transazione, certamente
sarebbe andata così, Drake sapeva che ne sarebbero seguite
altre.
Se non altro, qualche anno prima quel pensiero gli avrebbe dato soddisfazione. Ora, non provava proprio niente. Erano solo affari. Lui ci metteva il lavoro e in cambio avrebbe
fatto un po’ di soldi. Niente che non avesse già fatto migliaia
di volte.
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Fissò i fogli finché non diventarono sfuocati, sforzandosi
di provare un po’ di entusiasmo per l’affare concluso, perché
non ne provava affatto ed era un fatto allarmante. Quello che
era ancora più allarmante era il vuoto sordo che sentiva nel
petto mentre rifletteva sulla sua indifferenza. Non riuscire a
essere preoccupato per la mancanza di preoccupazione era
spaventoso. O meglio, avrebbe potuto essere spaventoso, se
Drake fosse riuscito a racimolare l’energia necessaria a spaventarsi.
Inquieto, guardò alla sua destra. Quella parte di Lexington era piena di librerie e gallerie d’arte, le vetrine erano più
piacevoli, meno volgari delle boutique con i loro stupidi vestiti stravaganti un isolato più su.
E fu allora che li vide.
Quadri. Un muro pieno di quadri, con qualche acquerello
e qualche disegno a inchiostro. Tutti di una bellezza da togliere il fiato, tutti opera certamente della stessa abile mano.
Una mano che perfino lui si rendeva conto essere straordinaria.
Anche se i vetri dell’auto erano oscurati, la galleria era ben
illuminata e ogni opera d’arte aveva la sua luce a muro, così Drake riuscì a vederli tutti bene, bloccato in un ingorgo
in piena Manhattan. E poi godeva di una vista degna di un
cecchino.
Fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Abbassò il
finestrino. La mascella del suo autista cadde per lo stupore.
Drake diede un’occhiata rapida allo specchietto retrovisore.
L’autista chiuse di scatto la bocca e assunse un’espressione
impassibile.
L’auto si riempì immediatamente dei gas di scarico e della
cacofonia a tutto volume dell’ingorgo di Manhattan.
Ma Drake parve non accorgersi di nulla. La cosa importante era che adesso godeva di una vista migliore sui quadri.
Il primo quadro che vide gli tolse il respiro. Un’immagine
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semplice: una donna sola al tramonto su una lunga spiaggia vuota. La resa del mare, i colori del tramonto, la spiaggia sabbiosa, tutti i dettagli erano tecnicamente perfetti. Ma
quello che emanava dal dipinto, come vapore da un ferro da
stiro, era la solitudine della donna. Avrebbe potuto essere il
ritratto dell’ultimo essere umano sulla terra.
L’auto percorse a fatica un altro passo e poi si fermò. Drake quasi non se ne accorse.
I quadri erano come piccoli miracoli sul muro. Una natura morta scintillante di fiori selvatici in un barattolo di alluminio e l’edizione economica di un libro aperta sul tavolo,
come se qualcuno fosse appena rientrato dal giardino. Un
uomo pensieroso che si specchiava in una vetrina. Delicate
mani femminili che tenevano un libro. La rappresentazione
era realistica, delicata, incredibile. Ti spingeva nel mondo
dell’immagine e non ti lasciava più andare.
Drake non possedeva i mezzi per giudicare le opere dal
punto di vista tecnico, sapeva solo che ogni pezzo era brillante, perfetto e che lo toccava in un modo che non aveva mai
sperimentato prima.
L’auto avanzò di un paio di metri svelando un’altra porzione della parete.
L’ultimo quadro della serie lo colpì come una scossa.
Era il profilo sinistro di un uomo, tratteggiato con i toni
della terra. Il volto era duro, la mascella forte, l’espressione
seria. I capelli scuri erano tagliati così corti che si riusciva a
vedere il cranio ed era proprio così che li portava Drake sul
campo, soprattutto in Afghanistan. Dato che la possibilità di
avere accesso ad acqua corrente era a dir poco remota, si radeva la testa e il corpo, l’unico modo per evitare i pidocchi. Il
viso in sé non si poteva dire che assomigliasse esattamente a
lui, ma il ritratto gli assomigliava: tratti ruvidi, scontrosi, intransigenti.
Una cicatrice bianca frastagliata correva come una saetta
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incisa nella carne dalla fronte, sopra l’alto zigomo e arrivava
fino alla mascella, pericolosamente vicino all’occhio sinistro.
Soprappensiero, Drake si portò una mano al viso e ricordò.
Era stato un topo di strada nelle vie di Odessa, aveva dormito nei portoni in pieno inverno. Un po’ di calore filtrava dalle crepe nelle porte e gli permetteva di addormentarsi senza
la paura di morire assiderato a causa della temperatura sottozero.
Emaciato, vestito di stracci, era la preda perfetta per i marinai che barcollavano per le strade, appena sbarcati dopo
aver passato mesi a lavorare con turni massacranti in mare.
Marinai che non facevano sesso da mesi e a cui non importava troppo con chi stessero scopando, ragazzo o ragazza, a
patto che quel qualcuno rimanesse fermo abbastanza a lungo. La maggior parte dei marinai non doveva preoccuparsi
neppure di tener fermo il malcapitato di turno, perché era
legato oppure morto.
Una volta Drake si svegliò di soprassalto quando l’alito
fetido di due marinai russi gli inondò il viso. Uno dei due gli
puntava un coltello alla gola mentre l’altro con il lungo pene
sottile e arrossato già in bella vista gli abbassava i pantaloni.
Drake era un ragazzino di strada e un combattente fin
dalla nascita e dava il meglio nella lotta proprio quando era
a terra. Era un’abilità innata che aveva affinato con l’osservazione e la pratica. Chiudendo le gambe come una forbice,
fece cadere l’uomo che teneva il coltello, poi si scagliò alle
ginocchia dell’altro uomo che, intralciato dai pantaloni, cadde pesantemente a terra sbattendo la testa sul marciapiede
rotto con un rumore rivoltante.
Drake si voltò verso il primo uomo, che incespicava ai suoi
piedi e gli puntava dritto il coltello come un esperto, con la
lama rivolta verso il basso. Le probabilità di sopravvivere a
uno scontro con un coltello a mani nude erano ridicolmente
basse. Drake sapeva di dover colmare quella lacuna in fretta;
doveva fare qualcosa di imprevedibile.
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Si lanciò in avanti, verso il coltello. La lama gli squarciò la
faccia, ma la mossa a sorpresa fece mollare la presa del marinaio. Drake gli strappò di mano il coltello e glielo conficcò
nell’occhio fino alla base.
Il marinaio cadde come un sasso.
Drake rimase in piedi accanto a lui, con il fiato corto e il
sangue che gocciolava sulla faccia dell’uomo, poi rimosse il
coltello dal cranio del suo aggressore e glielo ripulì sulla giacca lacera.
Prese entrambi i coltelli dei marinai. Uno era un nozh
razvedchika, un coltello a serramanico. L’altro era un puukko
finlandese, raro da quelle parti e di grande valore. Barattò entrambi sul lungomare di Odessa in cambio di due armi, uno
Skorpion e un ak-47, munizioni e lezioni di sparo comprese,
ceduti a buon prezzo perché erano rubati.
Era solo all’inizio.
In seguito, quando poté permetterselo, fece un intervento
di chirurgia plastica sulla lunga cicatrice frastagliata che aveva sul viso. Era famoso per la sua abilità di mescolarsi in quasi tutti gli ambienti, di rendersi invisibile, ma una cicatrice
così evidente era come una bandiera, una cosa che nessuno
poteva dimenticare. Doveva sparire.
Il chirurgo era bravo, uno dei migliori. A parte lui, solo il
chirurgo poteva ricordare la forma della lunga cicatrice. E invece eccola lì, in un quadro in una galleria d’arte di Manhattan, dall’altra parte del mondo e vent’anni dopo. Per quanto
sembrasse una follia, la cicatrice del quadro era la stessa che
il chirurgo aveva eliminato tutti quegli anni prima.
Il traffico all’improvviso si dissolse e la Mercedes avanzò
facilmente. Drake premette il pulsante nella console centrale
che gli permetteva di comunicare con l’autista.
«Signore?» Mischa sembrava stupito nell’interfono. Drake non parlava quasi mai quando erano in viaggio.
«Gira a destra alla prossima traversa e lasciami dopo due
isolati.»
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«Signore?» Questa volta la voce dell’autista sembrava
confusa. Drake non scendeva mai dall’auto durante il tragitto. Saliva in uno dei suoi tanti veicoli nel garage dell’edificio
e scendeva a destinazione.
L’autista tenne per sé i suoi dubbi. Drake non voleva mai doversi ripetere con i suoi uomini. «Sì, signore» rispose Mischa.
Una volta sceso dalla limousine, Drake continuò a camminare nella direzione dell’auto fino a sparire nel traffico,
poi si infilò in un centro commerciale lì vicino. Dieci minuti
dopo, felice che nessuno lo stesse seguendo, si diresse verso
la galleria d’arte, ma solo dopo aver mollato la giacca di Boss,
i pantaloni Brioni, il maglione e la sciarpa di cachemire di
Armani da ottocento dollari che indossava e averli sostituiti con un giaccone più economico, una maglia di cotone a
maniche lunghe, dei jeans, un cappellino con la visiera e dei
guanti. Era sicurissimo che nessuno lo stesse pedinando e
che era irriconoscibile.
Nella galleria faceva caldo dopo il freddo pungente della
strada. Drake si fermò appena varcata la porta, inspirò il profumo di tè in infusione e la miscela di profumi costosi e colonie da uomo, tipiche a Manhattan, con i profumi più triviali
di resina e solventi.
Al suono della campanella sopra l’entrata, un uomo uscì
da una porta sul retro sorridendo e tenendo in mano una
tazza di porcellana. Dalla tazza si levavano le dita bianche
del vapore.
«Salve e benvenuto.» L’uomo passò la tazza dalla mano
destra alla sinistra e porse la mano. «Sono Harold Feinstein.
Benvenuto alla Galleria Feinstein.»
Sembrava un sorriso autentico, non quello di un venditore. Drake ne aveva visti fin troppi di quelli sul viso di persone
che sapevano chi era e quali risorse aveva a disposizione. Gli
avevano offerto qualsiasi cosa che potesse essere comprata,
esseri umani compresi. E sempre con un sorriso.
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Ma l’uomo che in quel momento gli tendeva la mano non
poteva sapere chi fosse e non poteva sospettare che fosse ricco. Non con i vestiti che aveva addosso.
Drake strinse la mano tesa con cautela, non riusciva neppure a ricordare l’ultima volta che aveva afferrato la mano di
un altro uomo. Toccava raramente gli altri, anche durante il
sesso. Di solito, usava le mani per tenere sollevato il dorso e
mantenersi a distanza dalla donna sotto di sé.
La mano di Harold Feinstein era morbida, ben curata, ma
la presa era sorprendentemente forte.
«Dia un’occhiata» lo incitò. «Anche senza comprare, l’arte
ci arricchisce anche se non la possediamo.»
Senza far capire che lo stava studiando, Feinstein aveva
osservato i suoi vestiti da quattro soldi e lo aveva immediatamente etichettato come uno di quelli che guardano senza
comprare, ma la cosa non parve disturbarlo. Strano in un
venditore.
Gli occhi di Drake attraversarono in diagonale la parete e
Feinstein si voltò affabilmente.
«Guardi la mia ultima scoperta» disse con un gesto della
mano libera. «Grace Larsen. Un notevole occhio per il dettaglio, incredibile abilità tecnica, pennellate perfette. Padronanza del chiaroscuro nell’acquaforte. Davvero notevole.»
L’artista era una donna? Drake si concentrò sui quadri. Uomo, donna, chiunque fosse l’artista, le opere erano straordinarie. E adesso che era lì, vedeva anche una parete laterale, invisibile dalla strada, che era coperta di acquaforte e acquerelli.
Si fermò di fronte a un olio, il ritratto di una vecchia signora. Era dimessa, con i capelli grigi raccolti all’indietro in uno
chignon, il viso arso dal sole, le mani grandi nodose segnate
dal lavoro fisico, indossava un vestito da due soldi di cotone a fantasia. Sembrava che dovesse uscire dal quadro da un
momento all’altro per inginocchiarsi e cominciare a sfregare il
pavimento.
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Eppure era bellissima, perché l’artista la vedeva bellissima. Un ritratto peculiare, la rappresentazione perfetta di una
donna che ha sempre sgobbato come un cavallo da soma,
il classico tipo che tiene insieme il mondo con il suo lavoro.
Drake aveva visto migliaia di quelle donne occupate a lavorare i campi in giro per il mondo o a pulire le strade di Mosca.
Tutto il dolore e la forza della razza umana erano lì davanti ai suoi occhi, nelle spalle cadenti e negli occhi stanchi
di quella donna.
Incredibile.
La porta alle sue spalle tintinnò quando qualcuno entrò
nella galleria.
Feinstein si alzò in piedi e fece un ampio sorriso. «Ed ecco
l’artista in persona.» Guardò Drake e i vestiti economici che
indossava. «Si prenda tutto il tempo di cui ha bisogno per
guardare i quadri» disse con gentilezza.
Drake avvertì il profumo della pittrice ancor prima di vederla. Un aroma fresco, di primavera e di sole splendente,
non esattamente un profumo. Completamente fuori posto
tra i fumi del centro di Manhattan. Il suo primo pensiero fu:
nessuna donna può essere all’altezza delle aspettative create
da un profumo simile.
«Ciao Harold» sentì dire da una voce di donna dietro di
sé. «Ho portato qualche disegno a china. Ho pensato che
magari volevi dargli un’occhiata. E ho finito il lungomare.
Sono stata sveglia tutta la notte per farlo.» La voce era delicata, spiccatamente femminile e allegra.
Il suo secondo pensiero fu: nessuna donna può essere all’altezza di quella voce. La voce era melodica, delicata, sembrava
colpirlo come la nota di un diapason, riecheggiava dentro di
lui con una tale potenza che doveva fare uno sforzo per riuscire a concentrarsi sul serio sulle parole.
Drake si voltò e la guardò.
Si sentì gelare da capo a piedi. Fu totalmente incapace di
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muoversi per un momento, forse due, finché riuscì a scuotersi da quella paralisi grazie alla pura forza di volontà.
Qualcosa, forse un atavico istinto di sopravvivenza profondamente radicato nel suo dna, lo fece voltare in modo che
lei non riuscisse a vederlo in faccia mentre lui continuava ad
avere un’eccellente visione periferica. Guardò con attenzione
mentre Grace apriva una grande cartella porta disegni e cominciava a estrarne pesanti fogli di carta, sistemandoli con
precisione su un tavolo di vetro. Poi estrasse quello che sembrava un rotolo enorme di carta dalla borsa.
Santo dio. Quella donna era... raffinata. Più che bella. Essere bella non contava niente al giorno d’oggi. La bellezza,
quella più rozza, poteva essere facilmente comprata. Gli americani potevano permettersi il meglio di qualsiasi cosa. Le
ragazze crescevano con un’eccellente alimentazione, buoni
dentisti, buoni chirurghi plastici, buoni parrucchieri, buoni
dermatologi. Pareva che avessero tutte una bella pelle, dei
bei denti e bei capelli. Ma non significava proprio niente.
Non era molto alta ma aveva linee slanciate. Lunghe gambe, un lungo collo, lunghe e agili dita. Si muoveva con facilità
e grazia, più con la grazia lieve di una ballerina che con la
forza di un’atleta. I capelli lunghi fino alle spalle sembravano
appena lavati, ma non da un parrucchiere. Lavati e lasciati asciugare all’aria aperta. Non c’era traccia di perfezione, a parte
per la lucentezza e il colore, una combinazione di ramato e
castano chiaro. Lei si spostò in una macchia di luce che proveniva dal soffitto e i capelli presero vita, un’esplosione di colori
brillanti.
Sorrideva a Feinstein, ma si poteva scorgere in lei una nota melanconica, una tristezza, come se avesse guardato più
volte nel cuore del mondo e lo avesse trovato sempre freddo
e oscuro.
Drake riconobbe quello sguardo. Lo vedeva tutte le mattine nello specchio.
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La donna era priva di ornamenti, niente trucco, niente
gioielli, niente vestiti eleganti. Ma era proprio così che doveva essere, perché era di una bellezza quasi stravagante.
I gioielli avrebbero solo distratto l’occhio dalla sua pelle di
porcellana, dagli occhi blu-verdi, dagli zigomi alti e perfetti,
dalla bocca carnosa e seria.
Dell’aria fredda, il campanello della porta. Tre persone entrarono nella galleria, due uomini e una donna. Immediatamente assorbiti dalle opere d’arte sulla parete, si piazzarono
di fronte ai quadri emettendo suoni di approvazione.
Erano la copertura perfetta.
Voltandosi lentamente, senza fare il minimo rumore, Drake indietreggiò fino ad avere una perfetta visuale di quello che Grace stava mostrando al proprietario della galleria,
scartabellando fra i disegni.
Miracoli. Ecco cosa stava mostrando al proprietario. Maledetti miracoli, tutti.
Disegni di qualsiasi cosa esistesse sotto il sole. Sembrava
che la donna disegnasse qualsiasi cosa le capitasse sotto gli
occhi e poi, come se il mondo non fosse abbastanza per la sua
immaginazione, c’erano delle rappresentazioni fantastiche,
come il drago riprodotto con cura sulla cima di una collina,
disegnato con maestria come nelle raffigurazioni tradizionali
cinesi.
Due ragazzini a Central Park. Un poliziotto a cavallo, con
la schiena dritta, gli occhi fissi davanti a sé, pronto a tutto. Un
venditore di hot dog che guardava da un lato con un debole sorriso. Delle rose appariscenti in un vaso di cristallo, un
petalo colto proprio mentre stava cadendo... Li porse a Feinstein uno dopo l’altro e l’uomo li esaminava con attenzione,
il suo viso non lasciava trapelare niente, mentre se fosse stato
Drake il padrone della galleria, si sarebbe messo a fare i salti
di gioia per poi tirare fuori il libretto degli assegni.
Ma non era così che si conducevano gli affari e Drake lo
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sapeva meglio di tutti. Bisognava mantenere sempre la calma e offrire sempre al ribasso. Mai giocare a carte scoperte.
Mai lasciare che le emozioni si mettessero in mezzo durante
una transazione economica. Ma quelle opere d’arte andavano ben oltre qualsiasi legge che governava il mondo degli
affari.
Era magia.
E c’era dell’altro.
La ragazza porse un capo del rotolo di carta a Feinstein e
poi cominciò a indietreggiare, srotolandolo e sorridendo alla
vista degli occhi di Feinstein che si dilatavano.
Nessuno dei due lo degnava della minima attenzione, così Drake si concesse di guardare attentamente e si dimenticò
di respirare per un attimo.
Quello che si stava srotolando davanti a loro era la costa
di Manhattan, riprodotta in tutti i suoi dettagli architettonici
con china nera. Il rotolo continuò ad aprirsi, rivelando le pennellate precise che componevano alla perfezione ogni edificio. Riconobbe ogni millimetro dell’immagine, perfino il suo
palazzo. Si vedeva solo l’ultimo piano, l’attico, dove viveva
lui. Erano riprodotti anche i dettagli più minuscoli. Non aveva mai visto niente del genere.
Quella donna doveva aver trascorso mesi in una barca
ancorata per disegnare. Quello che saltava all’occhio era la
perfezione dei tratti, senza la minima incertezza.
Grace finì di srotolare e tenne in mano l’altro capo. Era lungo almeno tre metri e mezzo e non presentava una sola imperfezione.
I tre nuovi arrivati si radunarono intorno alla striscia di
carta, fra esclamazioni di oh e ah, camminarono lentamente
di fronte all’opera con gli occhi incollati allo skyline in miniatura, indicando gli edifici che erano loro familiari.
Feinstein tese di più la carta per consentir loro di vedere meglio e Drake per poco non ebbe un infarto. Cazzo, se
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tirava ancora un po’, la carta si sarebbe rotta e una cosa insostituibile e preziosa come quella sarebbe andata persa per
sempre.
Drake riuscì a malapena a trattenersi dal colpire il proprietario della galleria. Dovette fare uno sforzo di volontà
per bloccare i suoi muscoli e sperare che Feinstein fosse abbastanza intelligente da dosare la forza con cui tirava e limitarsi a tendere la carta senza romperla.
Altrimenti Drake avrebbe rotto lui.
Wow. E quel pensiero da dove gli era uscito? Quell’uomo
era corpulento, più anziano di lui, con le mani chiazzate
dall’età. Era il proprietario di una galleria d’arte, santo dio.
Drake non aggrediva mai i civili e non avrebbe certo aggredito un signore anziano, soprattutto uno che era stato istintivamente gentile con lui e che era amico di questa artista
eccezionale.
Eppure... per un secondo, quando pensò che quella striscia di carta miracolosa poteva rovinarsi, percepì la sensazione delle sue mani che si stringevano intorno al collo di
quell’uomo. Non sarebbe durato un secondo. Drake sapeva
come spezzare il collo a un uomo da quando aveva dieci anni e con il passare del tempo era solo migliorato.
Il trio di visitatori si muoveva lungo l’opera indicando i
vari luoghi storici con la voce piena di entusiasmo.
«Franco,» disse la donna lentamente, con le labbra rosse
che si contraevano a formare la O finale «starebbe divinamente nel nostro monolocale, non trovi? Sul muro giallo.»
«Sì, cara.» Franco annuì con ammirazione. «Ci metterei
una cornice semplice, niente che distraesse dalle linee nette
del disegno. Una cornice a giorno.»
No! Mio! Drake serrò le labbra per evitare di pronunciare
quelle parole a voce alta.
Gli risuonarono nel petto, rotolarono come enormi massi
di granito, tintinnarono contro la gabbia toracica.
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Mio.
Non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva
desiderato qualcosa così intensamente.
Era tanto, tantissimo tempo che era ricco ormai. Non esisteva niente di materiale che non potesse comprare. Niente.
Gli avevano offerto addirittura il suo Paese, una minuscola
isola. Si trattava più che altro di un granello di terra che affiorava dall’acqua in realtà, ma era pur sempre qualcosa.
Possedeva un grattacielo intero a Manhattan, più varie
ville sparse per il mondo. Aveva aerei costosi, auto costose,
vestiti costosi, donne costose, anche se negli ultimi tempi il
sesso era scarseggiato.
Erano passati anni dall’ultima volta che aveva avvertito
un desiderio così prepotente ardergli nel petto. Durante la
sua infanzia, quella sensazione gli aveva bruciato dentro
spesso soprattutto in inverno, quando desiderava ardentemente una stanza calda. E tutte le volte che percepiva il profumino di un ristorante e il suo stomaco vuoto cominciava
a brontolare.
Quanto aveva desiderato allora. Ferocemente. Ma quello
era tanto tempo fa, una vita fa.
L’intensità di quel desiderio lo riportò indietro nel tempo,
l’eco della brama disperata di un bambino nella mente di un
uomo.
I pensieri gli si affollavano nella mente, nello sforzo di capire appieno quel desiderio inaspettato, di farlo totalmente
suo. A volte, era come se il concetto stesso di desiderio avesse abbandonato la sua vita e in quel momento Drake gli stesse dando il bentornato con un po’ di amarezza. Un vecchio
nemico che in qualche modo si era trasformato in un amico.
Guardava le pareti intorno a sé e sentiva il bisogno di possedere tutto quello che c’era appeso. Oli, acquerelli, disegni.
Tutto. Tutto doveva essere suo. Non c’era alternativa.
Avrebbe dovuto acquistarli nell’anonimato, attraverso
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uno di suoi tanti avvocati o con la copertura di una delle sue
aziende.
Voltò la testa lentamente verso Grace Larsen che guardava i tre clienti e Feinstein, con le labbra girate all’insù. Aveva
la netta sensazione che la donna non sorridesse spesso. Cosa
che comprendeva benissimo, perché neanche lui lo faceva di
frequente.
Le grigie nuvole invernali fuori dovevano essersi aperte
perché all’improvviso la ragazza fu pervasa di luce, che le fece risplendere la pelle e che creò un incredibile gioco di colori
sui suoi capelli lucenti. Era in piedi al centro di un rettangolo
di luce disegnato sul pavimento di legno, come se fosse su un
palcoscenico.
Feinstein aveva cominciato a richiudere il rotolo. Lanciò
un’occhiata alla donna e le disse a voce bassa: «Ottimo lavoro, cara. Brava.»
La ragazza chinò il capo solo per un istante, come un cavaliere che accetta la lode meritata di un re.
La parola ‘mio’ ruggì di nuovo nella testa di Drake, risuonò e riuscì quasi a mandarlo al tappeto per la sorpresa.
Erano passati anni e anni dall’ultima volta che aveva provato la sensazione di desiderio verso degli oggetti e non lo aveva
mai provato verso una persona. Non una persona specifica.
Lui non aveva amanti, aveva partner sessuali.
Non aveva amici. Aveva dipendenti.
Assumeva i migliori nel loro campo, li pagava più di
quanto offrisse loro il mercato del lavoro e lasciava che facessero quello che sapevano fare meglio.
Le donne andavano e venivano, raramente rimanevano
nella sua vita per più di una notte o due. Non pagava per fare
sesso. Non ne aveva bisogno. Le donne che arrivavano nel
suo letto capivano bene quello che poteva offrir loro. Il mattino seguente ricevevano sempre un regalo di ringraziamento
da Tiffany, Fendi o Armani, a rotazione.
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Avere una donna sola nella sua vita, ammesso che ne avesse voluta una, e non era così, sarebbe stata una pazzia.
Aveva predisposto tutti quei livelli di sicurezza per una ragione precisa. Aveva dei nemici, nemici intelligenti, spietati,
alcuni di vecchia data. Una donna legata a lui sentimentalmente avrebbe avuto un enorme bersaglio dipinto in fronte,
avrebbe rappresentato un modo rapido e facile di far breccia
nelle sue difese. Sarebbe stata il bersaglio più facile del mondo.
Non esisteva donna sulla faccia della terra che avrebbe
voluto vivere sotto la pesante coltre della sicurezza, senza
poter mai fare una passeggiata, fare spese, fare nulla, perché
lui non avrebbe mai lasciato che la sua donna si trasformasse
in un bersaglio, era fuori discussione.
E che senso aveva poter comprare tutti i vestiti e i gioielli
che ti pareva se poi non potevi mai farti vedere in pubblico
con i tuoi acquisti addosso?
Per non parlare della possibilità di avere bambini.
Dio, la sola idea di avere un figlio gli procurava i sudori
freddi: aveva visto troppi bambini morire di morte violenta.
Sarebbe impazzito al pensiero di suo figlio là fuori in quel
mondo freddo e violento, un bersaglio per qualcuno dedito
alla vendetta.
Per tutte queste ragioni, il sesso occasionale e sicuro, molto
sicuro, era quanto di più somigliante a un rapporto umano
avesse mai sperimentato. Ricordava a malapena le donne che
erano transitate nel suo letto. Se chiudeva gli occhi, poteva
ricordare piccoli dettagli. Un neo sotto un seno. Un pube glabro. Belle ginocchia. Un tatuaggio artistico. Cose del genere.
Niente di più, comunque. Le donne a cui appartenevano
quei dettagli, invece, erano andate. Non ne ricordava i nomi
né le voci. Ricordava a stento i loro volti anche appena finito
di scoparle.
Il suo volto, però lo ricordava. Oh, sì. In tutti i dettagli.
Tutto in lei era perfetto. Semplicemente... perfetto. Occhi
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grandi del colore del mare, capelli che sembravano racchiudere mille colori nella loro lucente profondità, pelle pallida
e perfetta.
E un’aria malinconica che permeava tutti i tratti.
L’aveva stregato. Lei non sapeva neppure della sua esistenza, ma quella di lei aveva riempito in un istante la sua.
Il suo nome era Grace Larsen e andava alla galleria Feinstein tutti i giovedì pomeriggio, come scoprì Drake ben presto. Quando tornò a casa, si dedicò anima e corpo alla ricerca
di tutte le informazioni su di lei che riuscì a scoprire. E così
ogni giovedì pomeriggio, anche Drake era lì. In un vicolo,
al buio, da solo, a guardare attraverso una finestrella che gli
concedeva una visuale ridotta della galleria e solo qualche
occhiata sporadica a Grace.
Sarà stata pazzia, follia, ma non sarebbe riuscito ad allontanarsi neanche con una pistola puntata alla testa.
E in quel momento ne aveva proprio una puntata alla testa.
Avrebbe pagato il prezzo estremo per la sua follia.
Quando sentì il rumore del caricatore che veniva azionato,
reagì d’istinto. Possedeva un udito molto sviluppato e fu in
grado di localizzare perfettamente da dove provenisse: circa
un metro dietro di lui, leggermente spostato alla sua destra.
Il tempo rallentò, mentre il suo corpo si mosse più veloce
del pensiero, istintivamente, violentemente. Aveva a disposizione ancora qualche frazione di secondo prima che premessero il grilletto, tempo sufficiente per sottrarsi alla traiettoria del proiettile.
Drake era bravissimo nella lotta libera. Si gettò immediatamente sul pavimento freddo e macchiato d’olio. Chiunque fosse il suo aggressore, Drake sapeva che sarebbe stato
concentrato unicamente sullo sparo, pertanto il suo peso
sarebbe stato spostato in avanti e verso l’alto. Tutta la sua attenzione sarebbe stata concentrata negli occhi e nelle mani.
Probabilmente, i piedi non li sentiva neanche.
Drake era stato addestrato ad avere una costante consa36
pevolezza di tutte le parti del corpo durante un combattimento, ma sapeva che quella abilità era rara. Si lasciò cadere,
allungò di scatto una gamba, con la caviglia arpionò il piede
dell’altro uomo e lo abbatté con un gancio ai piedi.
Aveva imparato il sambo da uno dei suoi maestri russi.
Una volta mandato al tappeto l’avversario, il gioco era fatto.
L’aggressore barcollò e poi cadde. Era alto più o meno
quanto Drake, aveva stimato d’istinto sulla base della lontananza da cui proveniva il rumore, ma era più pesante di
quanto avesse immaginato. Cadde pesantemente sul ginocchio sinistro di Drake, che sentì un dolore lancinante pervaderlo, un dolore quasi insopportabile. Temette per un secondo che si fosse rotto, poi mise da parte quel pensiero. Se anche
fosse stato rotto, non avrebbe potuto farci niente.
Comunque, non gli sembrava fratturato. Conosceva la
sensazione che seguiva a una ferita grave e non era così.
Quello era solo dolore e il dolore si poteva ignorare.
Drake teneva l’uomo a terra, con il gomito gli bloccava il
collo, ma non riusciva a immobilizzare anche le estremità del
corpo a causa della gamba ferita. Drake sentiva attraverso la
spessa giacca imbottita che il suo aggressore era grosso, robusto e con solidi muscoli. Strano per un cecchino... e meno male,
cazzo.
Ma anche se era meno robusto, Drake era forte e in forma.
Aveva molta forza nelle mani grazie agli anni di judo. Grugnendo e sudando abbassò la mano destra fino a raggiungere la pistola impugnata dal suo avversario e cercò di torcerla.
Quell’uomo era forte, ma Drake lo era di più.
Affondò il pollice nei tendini dell’interno polso dell’aggressore e sentì prima i muscoli e poi l’osso sotto le dita.
Strinse la presa e l’uomo sparò un colpo. Fortunatamente,
teneva la pistola scostata da sé e il proiettile si conficcò senza
troppo rumore nel muro di mattoni, facendo schizzare pezzi
di mattoni contro la finestra antiproiettile e poi su di loro.
Drake conficcò il pollice più in profondità, sentì l’uomo
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grugnire per il dolore. Un attimo dopo, la presa dell’aggressore si allentò e lasciò cadere la pistola sul cemento con un
rumore metallico. Drake ruppe il polso dell’uomo e raccolse
la pistola. Una sig p229.
Una porta laterale si aprì e fece entrare un rettangolo di
luce sul vicolo sporco.
Entrarono due persone, seguite da altri due uomini.
Una bella donna pallida con una Beretta 84 puntata alla
tempia con tanta forza che un rivolo di sangue le colava sul
lato del viso... L’uomo che le teneva l’arma puntata era alto,
con i capelli lunghi e i tratti latini, la pelle rovinata e gli occhi
crudeli e indossava un lungo cappotto di pelle. Dietro di lui
c’erano altri due uomini, anch’essi ispanici, più piccoli ma
non meno inquietanti. Una banda di criminali.
E i giochi erano finiti perché la donna con il sangue che
colava sul viso era Grace Larsen.
«Abbassa la pistola. Ora.» La voce dell’ispanico alto era
fredda, leggermente roca.
Drake esitò. Aveva armi più potenti della sig. Aveva una
Glock 19 nella fondina ascellare e una Tomcat nella cintura
dei pantaloni, ma lasciar perdere la sig andava contro tutti i
suoi istinti. Se voleva tirare fuori viva Grace da quella situazione, doveva guadagnarsi tutti i vantaggi possibili.
«Buttala» ruggì l’uomo e poi strinse il braccio intorno al
bel collo di Grace. Le sue narici diventarono bianche e si allargarono, le labbra si fecero blu. Le stava togliendo l’ossigeno.
Drake avrebbe potuto fargli saltare il braccio. Non sarebbe stata la prima volta. Ma non poteva essere certo che
l’uomo non si sarebbe mosso all’ultimo minuto, facendogli
colpire Grace.
«Buttala!»
Drake aprì la mano e lasciò cadere al suolo la sig.
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