Vladimir Narbut
LA CARNE
Vita ordinaria ed epos
Saggio introduttivo e traduzione di
Danilo Cavaion
ARACNE
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ISBN
978–88–548–1520–9
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I edizione: gennaio 2008
alla cara memoria di Ennio Antonucci
INTRODUZIONE
Narbut per la Russia colta diventa presto una leggenda.
Konstantin Paustovskij ricorda una grande sala ad Odessa
dove era stata organizzata una serata di lettura in onore dei
poeti della città.
Regna un persistente rumore, sospeso solo quando
Narbut sale sul palco per la recita dei propri versi: il pubblico
ascolta in silenzio; la sua voce “dura e minacciosa” ad un
certo punto cambia e si fa incredibilmente tenera per questi
due versi:
voglio di voi, di voi, di voi
in versi insonni parlare.1
Un altro scrittore, Valentin Kataev, propone un altro e
più inquietante ritratto di Narbut.
Anche Kataev riferisce le vicende di una serata di poesia,
in cui interviene kolčenogij (lo zoppo), il nome da lui usato per
Narbut.
Lo “Zoppo” cominciò a leggere alcuni brani della
raccolta Plot’ (La carne)
ci sembrò che l’angelo della morte in quel momento
fosse passato a volo sopra la sua testa completamente
rasa, con un’escrescenza sulla verruca nobiliare della sua
lunga guancia.
1
K. PAUSTOVSKIJ, Vremja bol’šich ožidanij, in Sobranie sočinenij v vos’mi
tomach, Moskva, 1968, t. 5, p. 153.
9
Io non citerò i suoi versi terrificanti, capaci di portare
alla follia.
No, kolčenogij era un tizzone d’inferno.2
Vladimir Ivanovič Narbut nasce il 2 (14).4.1888 in una
fattoria del governatorato ucraino di Černigov.
Si trasferisce in seguito a Pietroburgo, s’iscrive alla facoltà
di Lettere, segue anche i corsi tenuti da Baudoin de
Courtenay e partecipa attivamente alla vita intellettuale della
capitale..
Nel 1910 pubblica Stichi (Versi), la sua prima raccolta
poetica, e nel 1912 la seconda, Alliluja (Alleluia), che gli
merita l’accusa di pornografia e lo costringe a partire per
l’estero.
Suggestionato dai viaggi africani di Gumilev, nell’ottobre
del 1912 Narbut visita l’Abissinia, quindi nel febbraio del
1913, grazie ad un’amnistia, può rientrare in patria.
Stampa due nuove opere in versi, Ljubov’ i ljubov’ (Amore
e amore) (1913), e Vij (1915), e prepara Četvertaja kniga stichov
(Quarto libro di versi), rimasto inedito.
Scoppia la Grande guerra poi la rivoluzione di Febbraio,
Narbut diventa bolscevico; una scelta fatale.
I verdi attaccano la sua fattoria, uccidono il fratello e a lui
mutilano un piede.
Da prigioniero, per salvarsi la vita, firma un documento
con cui si impegna ad abbandonare l’attività politica.
Promessa subito disattesa; egli si dà ad un lavoro intenso:
fonda e dirige vari periodici politico-culturali, il più
importante sarà la rivista “Sirena”, diventa dirigente di
partito, segnalandosi per la sua fermezza e lungimiranza.
Nel 1920 pubblica la raccolta poetica “La carne”, nel
1922 il poemetto Aleksandra Pavlovna e progetta la stampa del
libro di versi Kaznennyj serafim (Il serafino giustiziato),
2
V. KATAEV, Almaznyj moj venec, Moskva, 1979, p. 113.
10
destinato a non vedere la luce perché giudicato troppo
complicato.
Poco dopo sospende l’attività di poeta, fa carriera e
diventa membro del Comitato centrale del partito nonché
dirigente della “Associazione degli scrittori proletari”.
Nel 1928 un intellettuale emigrato, Georgij Ivanov,
pubblica un articolo in cui presenta Narbut come un ricco
proprietario terriero, sfruttatore dei contadini, con l’aggiunta
dell’impegnativa del poeta a non collaborare più con i rossi.
Per alcuni anni questo scritto rimane senza conseguenze e
Narbut può continuare nel suo impegno politico e culturale.
A lungo la sua personalità magnetica, o demoniaca
secondo alcuni, resiste sulla grande scena russa. Zoppo e
senza un braccio, nuovo Riccardo III, Narbut impone il
proprio fascino ad uomini e a donne, esce indenne dalle
čistki, le purghe che salassano la dirigenza sovietica dopo la
morte di Lenin, occupando anzi posizioni sempre più alte
nella scala gerarchica.
Ma nel 1936 qualcuno si ricorda del pamphlet di Ivanov: il
26 ottobre Narbut viene arrestato e internato in un lager a
Kolyma, Siberia Orientale, dove muore il 15.11.1944.
L’opera poetica di Narbut va inserita e si spiega alla luce
della crisi del Simbolismo.
Questa grande corrente artistica e filosofica egemonizza
la cultura russa di fine Ottocento e l’inizio del Novecento,
ma alla fine del primo decennio del nuovo secolo appare
sostanzialmente esaurita.
Nel 1910, constata Aleksandr Blok, “si fecero conoscere
in modo distinto le correnti che s’erano poste in posizione
ostile nei confronti del Simbolismo e tra loro: l’Acmeismo,
l’Egofuturismo e i primi futuristi”.3
3
A. BLOK, Vozmezdie, in Sobranie sočinenij v vos’mi tomach, Moskva–
Leningrad, 1960, t. III, p. 296.
11
Alcune delle personalità più giovani e promettenti del
tempo si dichiarano a favore dell’Acmeismo.
Gumilev, Gorodeckij, Mandel’štam pubblicano su vari
periodici scritti in cui cercano di precisare la dottrina estetica
del movimento, impegno poco produttivo: sono tutti concordi nel momento negativo, nella critica del Simbolismo,
ma con idee piuttosto diverse su cosa dovrebbe essere l’arte
nuova.
In fatto di poetica acmeista alcuni principî vengono
formulati da Gumilev nei versi di una sua poesia del 1908,
Poetu (Al poeta), dove prescrive:
…………………………….
Osserva un fermo rigore:
Il tuo verso non deve né sfarfallare, né combattere.
La musa muove passi sì leggeri,
Ma è una dea, non una danzatrice.
…………………………….
E, avviandoti ai sacri sentieri,
Scaglia la tua maledizione sulla melodia.
…………………………….
Insomma, un invito a scrivere versi nati da vera
ispirazione, a rinunciare alla poesia facile, “non sfarfallare”
(probabilmente egli pensa a certe opere di Bal’mont fondate
sulla più facile eufonia) e a rifiutare l’arte impegnata.
Gorodeckij vagheggia invece il recupero dell’età mitica,
quando, secondo lui, l’uomo aveva un contatto autentico
con la natura e i nomi rappresentavano adeguatamente le
cose, di qui il nome di “adamiti” da lui proposto ai
confratelli, con il programma di tornare ad Adamo.
Mandel’štam ritorna in qualche modo all’olismo
simbolista e vuole recuperare il significato primigenio delle
parole, con questa differenza fondamentale dai predecessori:
12
“i simbolisti si rivolgevano solo al cielo, noi vogliamo
realizzare questo programma sulla terra”.
In comune tutti questi artisti della parola hanno la
coscienza della fine, con Blok, dell’era d’oro della poesia
classica, quella di Puškin, di Lermontov, di Tjutčev: sono
entrati in un tempo del tutto nuovo, un’età con l’esigenza
prioritaria del rinnovamento radicale del linguaggio poetico:
la meta era per tutti la stessa, differiva la scelta della via per
raggiungerla.
Narbut aveva in materia proprie idee, e tutto diverse da
quelle degli altri acmeisti.
Egli aveva individuato nell’estetismo il fondamento delle
poetiche tradizionali: questo l’elemento da mettere da parte e
da sostituire con qualcosa di nuovo.
E’ difficile, se non impossibile, spiegare come egli sia
giunto alle conclusioni maturate in Europa Occidentale dai
maggiori poeti, da Rilke a Eliot.
Una poesia scritta in una lingua deestetizzata è il
programma da subito messo in opera da Narbut, una via in
cui egli ha come compagno di viaggio il poeta e amico
Michail Zenkevič.
Il solo a cogliere il senso e il valore dei versi di Narbut e
di Zenkevič fu Gumilev.
Questi due poeti, egli scrisse recensendo la raccolta
“Alleluia”,
odiano non solo le parole belle e vuote, ma persino tutte
le parole belle, non solo l’eleganza stereotipata, ma ogni
ricercatezza in generale.
Zenkevič sa fermarsi a tempo opportuno, velando la
durezza delle sue immagini, Narbut, invece, è conseguente
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fino in fondo, non bada a costi e si configura come il poeta
del “realismo allucinante”. 4
Per spessore poetico e per varietà tematica e formale,
Plot’, la raccolta di versi pubblicata ad Odessa nel 1920, è in
genere ritenuta l’opera più importante di Narbut.
Si tratta di un libretto di una trentina di pagine con venti
poesie, di cui le prime due, piuttosto brevi, fanno da epigrafi.
Il lavoro è dedicato a Sergej Ingulov, un giornalista
impegnato come Narbut nel settore del giornalismo a
Voronež e ad Odessa.
Le poesie comprese nella raccolta erano già apparse su
vari periodici tra il 1911 e il 1915, fatta eccezione per
Predpaschal’noe e Tif, pubblicate nel 1919.
Plot’ ebbe al suo apparire poche e distratte recensioni.
Lo stesso amico Zenkevič, pur mettendo acutamente
sullo stesso piano l’eccentricità di Narbut rispetto all’Acmeismo e quella di Chlebnikov per il Cubofuturismo, ne lesse i
versi come l’ultima voce del mondo passato, della vecchia
Russia prerivoluzionaria, popolata da piccoli proprietari
interessati solo ad ingrassare animali da cortile e da donnette
impegnate a fare la calza.
Gumilev, (che pure aveva individuato in Narbut la statura
di un vero poeta e, già nel 1913, aveva scritto ad Anna
Achmatova: “Sono veramente convinto che di tutta la poesia
postsimbolista tu e forse e, a modo suo, Narbut siate gli
autori più significativi”), dichiarò di essere incerto nell’
individuare i meriti dell’opera nelle capacità tecniche
dell’Autore oppure in un forte talento “che solitario sviluppa
le proprie qualità”.5
4
N. S. GUMILEV, Pis’ma o russkoj poezii, Petrograd, 1923, p. 151.
v.: Pis’ma N. S. Gumileva k A. A. Achmatovoj, in “Novyj mir”, n. 9, 1986,
p. 220.
5
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