Vladimir Narbut LA CARNE Vita ordinaria ed epos Saggio introduttivo e traduzione di Danilo Cavaion ARACNE Copyright © MMVIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 a/b 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–1520–9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: gennaio 2008 alla cara memoria di Ennio Antonucci INTRODUZIONE Narbut per la Russia colta diventa presto una leggenda. Konstantin Paustovskij ricorda una grande sala ad Odessa dove era stata organizzata una serata di lettura in onore dei poeti della città. Regna un persistente rumore, sospeso solo quando Narbut sale sul palco per la recita dei propri versi: il pubblico ascolta in silenzio; la sua voce “dura e minacciosa” ad un certo punto cambia e si fa incredibilmente tenera per questi due versi: voglio di voi, di voi, di voi in versi insonni parlare.1 Un altro scrittore, Valentin Kataev, propone un altro e più inquietante ritratto di Narbut. Anche Kataev riferisce le vicende di una serata di poesia, in cui interviene kolčenogij (lo zoppo), il nome da lui usato per Narbut. Lo “Zoppo” cominciò a leggere alcuni brani della raccolta Plot’ (La carne) ci sembrò che l’angelo della morte in quel momento fosse passato a volo sopra la sua testa completamente rasa, con un’escrescenza sulla verruca nobiliare della sua lunga guancia. 1 K. PAUSTOVSKIJ, Vremja bol’šich ožidanij, in Sobranie sočinenij v vos’mi tomach, Moskva, 1968, t. 5, p. 153. 9 Io non citerò i suoi versi terrificanti, capaci di portare alla follia. No, kolčenogij era un tizzone d’inferno.2 Vladimir Ivanovič Narbut nasce il 2 (14).4.1888 in una fattoria del governatorato ucraino di Černigov. Si trasferisce in seguito a Pietroburgo, s’iscrive alla facoltà di Lettere, segue anche i corsi tenuti da Baudoin de Courtenay e partecipa attivamente alla vita intellettuale della capitale.. Nel 1910 pubblica Stichi (Versi), la sua prima raccolta poetica, e nel 1912 la seconda, Alliluja (Alleluia), che gli merita l’accusa di pornografia e lo costringe a partire per l’estero. Suggestionato dai viaggi africani di Gumilev, nell’ottobre del 1912 Narbut visita l’Abissinia, quindi nel febbraio del 1913, grazie ad un’amnistia, può rientrare in patria. Stampa due nuove opere in versi, Ljubov’ i ljubov’ (Amore e amore) (1913), e Vij (1915), e prepara Četvertaja kniga stichov (Quarto libro di versi), rimasto inedito. Scoppia la Grande guerra poi la rivoluzione di Febbraio, Narbut diventa bolscevico; una scelta fatale. I verdi attaccano la sua fattoria, uccidono il fratello e a lui mutilano un piede. Da prigioniero, per salvarsi la vita, firma un documento con cui si impegna ad abbandonare l’attività politica. Promessa subito disattesa; egli si dà ad un lavoro intenso: fonda e dirige vari periodici politico-culturali, il più importante sarà la rivista “Sirena”, diventa dirigente di partito, segnalandosi per la sua fermezza e lungimiranza. Nel 1920 pubblica la raccolta poetica “La carne”, nel 1922 il poemetto Aleksandra Pavlovna e progetta la stampa del libro di versi Kaznennyj serafim (Il serafino giustiziato), 2 V. KATAEV, Almaznyj moj venec, Moskva, 1979, p. 113. 10 destinato a non vedere la luce perché giudicato troppo complicato. Poco dopo sospende l’attività di poeta, fa carriera e diventa membro del Comitato centrale del partito nonché dirigente della “Associazione degli scrittori proletari”. Nel 1928 un intellettuale emigrato, Georgij Ivanov, pubblica un articolo in cui presenta Narbut come un ricco proprietario terriero, sfruttatore dei contadini, con l’aggiunta dell’impegnativa del poeta a non collaborare più con i rossi. Per alcuni anni questo scritto rimane senza conseguenze e Narbut può continuare nel suo impegno politico e culturale. A lungo la sua personalità magnetica, o demoniaca secondo alcuni, resiste sulla grande scena russa. Zoppo e senza un braccio, nuovo Riccardo III, Narbut impone il proprio fascino ad uomini e a donne, esce indenne dalle čistki, le purghe che salassano la dirigenza sovietica dopo la morte di Lenin, occupando anzi posizioni sempre più alte nella scala gerarchica. Ma nel 1936 qualcuno si ricorda del pamphlet di Ivanov: il 26 ottobre Narbut viene arrestato e internato in un lager a Kolyma, Siberia Orientale, dove muore il 15.11.1944. L’opera poetica di Narbut va inserita e si spiega alla luce della crisi del Simbolismo. Questa grande corrente artistica e filosofica egemonizza la cultura russa di fine Ottocento e l’inizio del Novecento, ma alla fine del primo decennio del nuovo secolo appare sostanzialmente esaurita. Nel 1910, constata Aleksandr Blok, “si fecero conoscere in modo distinto le correnti che s’erano poste in posizione ostile nei confronti del Simbolismo e tra loro: l’Acmeismo, l’Egofuturismo e i primi futuristi”.3 3 A. BLOK, Vozmezdie, in Sobranie sočinenij v vos’mi tomach, Moskva– Leningrad, 1960, t. III, p. 296. 11 Alcune delle personalità più giovani e promettenti del tempo si dichiarano a favore dell’Acmeismo. Gumilev, Gorodeckij, Mandel’štam pubblicano su vari periodici scritti in cui cercano di precisare la dottrina estetica del movimento, impegno poco produttivo: sono tutti concordi nel momento negativo, nella critica del Simbolismo, ma con idee piuttosto diverse su cosa dovrebbe essere l’arte nuova. In fatto di poetica acmeista alcuni principî vengono formulati da Gumilev nei versi di una sua poesia del 1908, Poetu (Al poeta), dove prescrive: ……………………………. Osserva un fermo rigore: Il tuo verso non deve né sfarfallare, né combattere. La musa muove passi sì leggeri, Ma è una dea, non una danzatrice. ……………………………. E, avviandoti ai sacri sentieri, Scaglia la tua maledizione sulla melodia. ……………………………. Insomma, un invito a scrivere versi nati da vera ispirazione, a rinunciare alla poesia facile, “non sfarfallare” (probabilmente egli pensa a certe opere di Bal’mont fondate sulla più facile eufonia) e a rifiutare l’arte impegnata. Gorodeckij vagheggia invece il recupero dell’età mitica, quando, secondo lui, l’uomo aveva un contatto autentico con la natura e i nomi rappresentavano adeguatamente le cose, di qui il nome di “adamiti” da lui proposto ai confratelli, con il programma di tornare ad Adamo. Mandel’štam ritorna in qualche modo all’olismo simbolista e vuole recuperare il significato primigenio delle parole, con questa differenza fondamentale dai predecessori: 12 “i simbolisti si rivolgevano solo al cielo, noi vogliamo realizzare questo programma sulla terra”. In comune tutti questi artisti della parola hanno la coscienza della fine, con Blok, dell’era d’oro della poesia classica, quella di Puškin, di Lermontov, di Tjutčev: sono entrati in un tempo del tutto nuovo, un’età con l’esigenza prioritaria del rinnovamento radicale del linguaggio poetico: la meta era per tutti la stessa, differiva la scelta della via per raggiungerla. Narbut aveva in materia proprie idee, e tutto diverse da quelle degli altri acmeisti. Egli aveva individuato nell’estetismo il fondamento delle poetiche tradizionali: questo l’elemento da mettere da parte e da sostituire con qualcosa di nuovo. E’ difficile, se non impossibile, spiegare come egli sia giunto alle conclusioni maturate in Europa Occidentale dai maggiori poeti, da Rilke a Eliot. Una poesia scritta in una lingua deestetizzata è il programma da subito messo in opera da Narbut, una via in cui egli ha come compagno di viaggio il poeta e amico Michail Zenkevič. Il solo a cogliere il senso e il valore dei versi di Narbut e di Zenkevič fu Gumilev. Questi due poeti, egli scrisse recensendo la raccolta “Alleluia”, odiano non solo le parole belle e vuote, ma persino tutte le parole belle, non solo l’eleganza stereotipata, ma ogni ricercatezza in generale. Zenkevič sa fermarsi a tempo opportuno, velando la durezza delle sue immagini, Narbut, invece, è conseguente 13 fino in fondo, non bada a costi e si configura come il poeta del “realismo allucinante”. 4 Per spessore poetico e per varietà tematica e formale, Plot’, la raccolta di versi pubblicata ad Odessa nel 1920, è in genere ritenuta l’opera più importante di Narbut. Si tratta di un libretto di una trentina di pagine con venti poesie, di cui le prime due, piuttosto brevi, fanno da epigrafi. Il lavoro è dedicato a Sergej Ingulov, un giornalista impegnato come Narbut nel settore del giornalismo a Voronež e ad Odessa. Le poesie comprese nella raccolta erano già apparse su vari periodici tra il 1911 e il 1915, fatta eccezione per Predpaschal’noe e Tif, pubblicate nel 1919. Plot’ ebbe al suo apparire poche e distratte recensioni. Lo stesso amico Zenkevič, pur mettendo acutamente sullo stesso piano l’eccentricità di Narbut rispetto all’Acmeismo e quella di Chlebnikov per il Cubofuturismo, ne lesse i versi come l’ultima voce del mondo passato, della vecchia Russia prerivoluzionaria, popolata da piccoli proprietari interessati solo ad ingrassare animali da cortile e da donnette impegnate a fare la calza. Gumilev, (che pure aveva individuato in Narbut la statura di un vero poeta e, già nel 1913, aveva scritto ad Anna Achmatova: “Sono veramente convinto che di tutta la poesia postsimbolista tu e forse e, a modo suo, Narbut siate gli autori più significativi”), dichiarò di essere incerto nell’ individuare i meriti dell’opera nelle capacità tecniche dell’Autore oppure in un forte talento “che solitario sviluppa le proprie qualità”.5 4 N. S. GUMILEV, Pis’ma o russkoj poezii, Petrograd, 1923, p. 151. v.: Pis’ma N. S. Gumileva k A. A. Achmatovoj, in “Novyj mir”, n. 9, 1986, p. 220. 5 14