INSEGNAMENTO DI
DIRITTO CIVILE
LEZIONE II
“LE OBBLIGAZIONI”
PROF. PIETRO GHINASSI
Diritto Civile
Lezione II
Indice
1 Definizione ------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 1.1. Requisiti delle obbligazioni ------------------------------------------------------------------------ 4 2 Obbligazioni naturali ------------------------------------------------------------------------------------ 7 3 Le fonti del rapproto giuridico obbligatorio -------------------------------------------------------- 9 3.1 Il contratto quale la fonte principale dell’obbligazione -------------------------------------------- 9 3.2 Il fatto illecito quale fonte dell’obbligazione: ------------------------------------------------------- 9 3.3 Ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico --------- 14 3.4 La responsabilita’ da fatto lecito -------------------------------------------------------------------- 20 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione II
1 Definizione
La definizione dell’obbligazione giuridica affonda le proprie origini nel diritto Romano, di
essa avevano, infatti fornito un esatto significato i giureconsulti classici si pensi per tutti a Gaio.
Come è noto il nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniano offre la seguente definizione: "Obligatio est
iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura"
(l'obbligazione è un vincolo giuridico, in virtù del quale siamo costretti a dare una cosa ad un altro,
secondo il diritto della nostra gente) (1). Sostanzialmente detta definizione è valida ancor oggi,
quindi, possiamo definire l’Obbligazione come un vincolo giuridico, ovvero, il rapporto giuridico
in virtù del quale un soggetto (debitore) è tenuto ad effettuare una prestazione economicamente
valutabile per soddisfare un interesse, anche non patrimoniale, di un altro soggetto (creditore).
Questa definizione è stata accolta anche dal vigente codice sostanziale, nel quale (Codice civile
italiano del 1942) la disciplina delle obbligazioni è collocata in un libro a sè, il Libro IV.
(artt.1173-1320 CC).
Per meglio poter comprendere il significato giuridico delle obbligazione a parere del
sottoscritto docente si rende opportuno indicare quali siano le differenze tra diritti reali e diritti di
obbligazione, la comprensione di dette differenze dovrebbe aiutare lo studente a meglio
comprendere l’esatto significato di quanto sopra rappresentato:
• diritti reali:
attengono ai diritti dell’uomo sulla cosa tramite il quale al
soggetto è consentito godere della cosa stessa. Tutti i diritti reali hanno la
natura di assolutezza in quanto la loro efficacia è rivolta a tutti i soggetti
(erga omnes) e perdurano nel tempo.
• diritti di obbligazione: attengono ai diritti che un soggetto (creditore) ha nei
confronti di un altro soggetto (debitore) e presuppongono la cooperazione del
debitore (adempimento).
Essi sono diritti
relativi cioè possono essere fatti valere dal creditore solo nei confronti del
debitore e hanno una natura temporale (ad personam).
Adesso, forse, apparirà più chiara l’affermazione secondo la quale l’obbligazione è un
vincolo giuridico in virtù del quale il debitore è tenuto verso il creditore ad una prestazione.
Il creditore ed il debitore sono quindi legati da un vincolo (giuridico) un legame di
comportamenti che sfocia in una prestazione.
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1.1.
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Requisiti delle obbligazioni
Per quanto attiene alle obbligazioni è possibile sicuramente affermare che un rapporto
obbligatorio è composto dalla figura del debitore, da quella del creditore e che il suo oggetto è
costituito da una prestazione che il debitore è tenuto ad adempiere in favore del creditore. Nel
rapporto obbligatorio si possono, quindi, individuare i seguenti elementi:
a) i soggetti, ossia il debitore e il creditore;
b) il contenuto, rappresentato dal diritto (un diritto relativo) del creditore nei confronti
del debitore (credito) e dal correlativo obbligo del debitore nei confronti del
creditore (debito);
c) l'oggetto, ossia la prestazione, un comportamento di contenuto positivo (dare o fare)
o negativo (non fare).
COERCIBILITA’
Ciò premesso, a questo punto, dobbiamo meglio chiarire alcuni concetti di base. Per poter
parlare di obbligazioni in senso giuridico che si distinguono come meglio in seguito da altri tipi di
c.d. obbligazioni (es. obbligazioni naturali) è necessario che l’obbligazione sia munita dal requisito
della coercibilità, non potrà parlarsi quindi di obbligazione giuridica là dove la stessa non sia
coercibile :
- coercibilità: cioè, nel caso in cui il debitore fosse inadempiente, il creditore può tutelare in
sede giudiziaria il proprio diritto ottenendo una sentenza che sanzioni il comportamento del
debitore. Una obbligazione priva del requisito della coercibilità, quindi priva della possibilità di
essere attuata coattivamente mediante il ricorso all’autorità giudiziaria, non è una obbligazione in
senso giuridico, in quanto il comportamento del debitore inadempiente non è sanzionabile e quindi
l’adempimento dipende solo da una sua spontanea collaborazione.
Quello sopra descritto costituisce il C.d. rapporto obbligatorio del quale, come spesso accade
(si pensi alla definizione del diritto di proprietà) non esiste nell’ordinamento una sua definizione,
così come non esiste un elenco delle prestazioni che possono formare l’oggetto del rapporto
obbligatorio. L’articolo 1174 ci dice solo quali sono le caratteristiche che deve avere la prestazione
che forma l’oggetto dell’obbligazione.
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PATRIMONIALITA’
Possiamo anche affermare che il cod.civ. (art. 1174) statuisce che la prestazione deve avere
un contenuto patrimoniale e deve rispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore.
Sotto il profilo della patrimonialità possiamo quindi affermare che tutte le prestazioni
devono avere un contenuto economico.
Il comportamento che il debitore è tenuto ad eseguire in favore del creditore deve essere,
cioè, suscettibile di valutazione economica, deve avere valore economico (ciò apparirà ancor più
chiaro quando affronteremo le c.d. tecniche di risarcimento del danno, si pensi al c.d. risarcimento
per equivalente). Qualora la prestazione sia a titolo gratuito, non prevede il pagamento di un
corrispettivo (ad esempio, la donazione)
ci troveremo di fronte ad atti di liberalità, ovvero come
nel caso delle c.d. donazioni remuneratorie non coercibili.
La patrimonialità, ovvero, “valutazione economica” si ha avendo riguardo all’incremento
patrimoniale del creditore. Questo vuol dire che se ad esempio regalo un orologio, la valutazione
economica è data dall’Aumento del patrimonio del creditore valutato in relazione all’oggetto
regalato.
La prestazione eseguita ( art.1174 c.c.) deve corrispondere a in interesse del creditore. Ma
questo interesse può anche essere non patrimoniale. L’interesse che il creditore vuole raggiungere
mediante l’ottenimento della prestazione, può non corrispondere all’incremento del suo patrimonio.
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, infatti, la patrimonialità va intesa in
senso soggettivo: anche una prestazione oggettivamente non patrimoniale può diventare tale se le
parti hanno dimostrato di volerla intendere in quel modo.
L’interesse può anche essere a scopo scientifico, ricreativo, sociale. Quindi, la prestazione
deve avere valore economico, mentre l’interesse del creditore può non avere un valore economico,
può essere diverso da quello economico.
Come abbiamo già visto il nostro ordinamento prevede anche delle obbligazioni non
coercibili, le così dette obbligazioni naturali.
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Possibilità, liceità, determinatezza e determinabilità.
La prestazione deve essere possibile l’attività del debitore, cioè, deve potersi realizzare sia
materialmente sia giuridicamente.
La prestazione deve essere lecita, non contraria, cioè, a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume (es. costruzione di un immobile senza concessione edilizia).
La prestazione deve essere determinata (quando è definitivamente individuata al momento
della costituzione del rapporto) o determinabile (quando vi siano criteri sufficienti per la
determinazione successiva, senza necessità di un nuovo accordo delle parti).
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2 Obbligazioni naturali
Le obbligazioni naturali, di tipica derivazione romanistica, sono caratterizzate dal fatto che il
creditore è sfornito di azione diretta ad ottenere quanto dovuto (incoercibilità).
Secondo la maggior parte della dottrina l’obbligazione naturale non è un’obbligazione
civile: si tratta, in altri termini, di un obbligo morale che assume rilevanza giuridica solo nel
momento dell’adempimento.
Le obbligazioni naturali si caratterizzano, infatti, dal fatto che il creditore non può azionare
il proprio diritto in sede giudiziaria (non sono coercibili). Nelle obbligazioni naturali infatti
l’esecuzione della prestazione è rimessa alla pura facoltà del debitore.
Se però il debitore non vuole esercitare tale facoltà, il suo comportamento non potrà essere
sanzionato dall’ordinamento giudiziario.
Le obbligazioni naturali producono comunque effetti giuridici infatti una volta che il
debitore ha spontaneamente adempiuto alla obbligazione naturale non può più chiedere in
restituzione ciò che ha spontaneamente pagato.
Le 4 ipotesi più importanti di obbligazioni naturali del nostro ordinamento sono quelle:
a) - del credito derivante dalla esecuzione di una prestazione contraria al buon costume;
b)- del pagamento del debito prescritto: infatti con il decorso del tempo, dieci anni per il
diritto di credito, si può determinare l’estinzione del diritto di riscuotere un credito. Ma se il
debitore corrisponde ugualmente la somma richiesta in adempimento del debito prescritto non potrà
più chiedere la restituzione di quanto pagato.
c) - i crediti derivanti da giochi o scommesse non autorizzati dallo stato: se a un soggetto
deriva un credito perché ha vinto una scommessa e quindi una somma in qualcosa non autorizzato
dallo stato, questo credito che lui esige NON è una obbligazione giuridica, ma naturale. Per cui non
può costringere l’altro, tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria, a pagarlo così come il creditore
non può chiedere la restituzione di quanto spontaneamente corrisposto. In ogni caso, quindi, il
pagamento deve essere spontaneo.
d) spontanea esecuzione di una disposizione fiduciaria (art. 627 c.c.): si tratta dell’ipotesi in
cui il testatore indichi come destinatario di una disposizione a titolo di erede o legato una persona
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che si è con lui preventivamente intesa per trasmettere quanto ricevuto ad altra persona nominata.
Al vero destinatario non è data azione per ottenere dal destinatario apparente il trasferimento di
quanto dovuto. Ma se il destinatario apparente ha eseguito spontaneamente la disposizione
fiduciaria, non può agire per la ripetizione.
Le obbligazioni naturali si differenziano anche dalle obbligazioni a titolo gratuito le quali si
differenziano a loro volta dai così detti “rapporti di cortesia” che possono sorgere per motivi di
amicizia, politici, religiosi ecc.
Un indice normativo in tale senso si trae dalle disposizione dettate in tema di trasporto,
laddove si differenzia il trasporto a titolo gratuito, disciplinato dall’art. 1627 3° co c.c., dal trasporto
di cortesia, regolato dagli artt. 414 e 949 codice navigazione, ossia il trasporto amichevole che, in
caso di danni, legittima ad ottenere il risarcimento soltanto se sussiste il dolo o la colpa grave del
vettore.
Più in generale i rapporti di cortesia non danno luogo ad alcun vincolo giuridico e si
pongono al di fuori di qualunque coazione normativa.
Il soggetto avvantaggiato non è, quindi, titolare di nessun diritto di credito nei confronti
della controparte e al tutela per gli eventuali danni, sorti in fase di attuazione del rapporto, rientra
esclusivamente nella sfera extracontrattuale. Segnare la differenza fra i diversi casi di obbligazione
spesso rappresenta cosa ardua così che la dottrina ha individuato vari elementi e criteri per stabilire
la giuridicità o meno del vincolo.
Vi è il criterio della natura oggettiva del rapporto instaurato dalle parti, infatti in alcuni casi
la giuridicità del rapporto è diretta e necessaria conseguenza dell’attività professionale. Il
professionista che si impegna anche a titolo gratuito nell’esecuzione della propria professione è
comunque tenuto ad eseguire la prestazione secondo le regole della deontologia professionale, si
tratterà quindi di un contratto gratuito di prestazione d’opera es. avvocato che assume la difesa di
un amico.
Altro criterio interpretativo è quello della volontà delle parti, ma anche valido è il criterio
che indaga su la corrispettività tra le prestazioni, la previsione di una clausola penale. In definitiva
la giurisprudenza non ha mai individuato un criterio univoco e determinante, ma occorrerà sempre
indagare sulle circostanze tutte che hanno accompagnato il sorgere del rapporto stesso.
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3 Le fonti del rapproto giuridico obbligatorio
Le fonti delle obbligazioni sono quegli atti o fatti idonei, secondo l'ordinamento, a costituire
il rapporto giuridico obbligatorio. Sono enumerate dall'art. 1173 del Codice Civile, secondo il quale
le obbligazioni derivano:
A) da contratto;
B) da fatto illecito;
C) da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico.
Le fonti sono autonome ed indipendenti tra loro.
3.1
Il contratto quale la fonte principale dell’obbligazione
Fra le fonti delle obbligazioni la più importante, in pratica, è senza dubbio il contratto,
che, può definirsi (ai sensi dell’articolo 1321) come l'accordo fra due o più parti per creare,
modificare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. È chiaro, pertanto, che non tutti
gli accordi fra due o più parti sono contratti, ma solo quelli che hanno un contenuto patrimoniale;
un accordo che miri a regolare rapporti non patrimoniali non è un contratto, come, infatti, non sono
contratti il matrimonio e l'adozione
È fonte di obbligazione in quanto obbliga le parti ad adempiere alle prestazioni oggetto del
contratto stesso. Qui il contratto è la principale fonte di obbligazione;
3.2
Il fatto illecito quale fonte dell’obbligazione:
I fatti illeciti costituiscono fonte delle obbligazioni. Poiché il pregiudizio che un soggetto
riceve dal comportamento di un altro si considera un danno, allora la legge prevede che debba
essere risarcito. Nel nostro ordinamento, la norma fondamentale in tema di responsabilità aquiliana
è contenuta nell’art. 2043 del codice civile, secondo il quale “chi cagiona ad altri un danno ingiusto
è obbligato a risarcirlo”. Il fatto illecito può dunque essere definito come qualunque fatto doloso
o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto.
Il fatto illecito è fonte della obbligazione risarcitoria.
Ciò non di meno occorre evidenziare che affinché abbia luogo il diritto al risarcimento il
danno deve essere ingiusto.
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L’illecito civile è il fatto lesivo di interessi giuridicamente tutelati nella vita di relazione
(Bianca) ed è fonte della obbligazione risarcitoria.
L’art. 2043 c.c. identifica quindi il risarcimento del danno quale sanzione della
responsabilità extracontrattuale e individua tre elementi costitutive:
a)
danno ingiusto
b)
il dolo o la colpa;
c)
il fatto
Il concetto di danno ingiusto e la sua atipicità.
Questo significa che il legislatore non ha predisposto ed elencato tutte le ipotesi in cui un
danno può definirsi ingiusto, e determinare dunque la nascita dell’obbligazione del risarcimento.
Bisognerà valutare volta per volta tra l’interesse del danneggiante a svolgere l’attività che ha
provocato un pregiudizio e l’interesse del danneggiato a ricevere una riparazione per il pregiudizio
subito.
Va detto che esistono alcune ipotesi in cui è facilmente individuabile l’elemento
dell’ingiustizia: nel caso in cui il danneggiante abbia compiuto atti vietati o penalmente sanzionati
che arrecano pregiudizio a terzi.
La colpa ed il dolo.
L’art. 2043 cc chiarisce poi che l’evento dannoso, per essere risarcibile, dev’essere stato
provocato con colpa. Dunque, si dice evento colposo quello che non è stato causato
intenzionalmente, ma a causa di negligenza o imprudenza (il che significa che se l’evento è stato
causato per eventi non prevedibili non comporta alcun obbligo in capo al soggetto. Ovviamente, per
logica conseguenza, sarà risarcibile l’evento doloso, quello che cioè è stato previsto e programmato
dall’autore del fatto. Addirittura ci sono dei casi in cui la responsabilità è prevista solo nel caso di
dolo, si pensi ad esempio agli atti emulativi.
Il fatto
Il fatto illecito si caratterizza altresì dal suo essere illecito. L’illicietà corrisponde alla
contrarietà del fatto ad una norma giuridica così che illiceità corrisponde a contrarietà di un fatto ad
una norma giuridica.
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Quindi la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c. scaturisce dalla violazione di
norme di condotta che regolano la vita sociale e che impongono doveri di rispetto degli interessi
altrui in quanto ledono un diritto (adesso anche un interesse legittimo) appartenente ad altra
persona.
Il nesso di causalità
Il danno deve essere stato cagionato dal soggetto dal quale si pretende di essere risarciti,
cioè la sua condotta deve essere stata la causa dell’evento pregiudizievole. Dunque, il nesso di
causalità sussiste quando la condotta del soggetto ha contribuito a determinare, da sola o unitamente
ad altri eventi, il verificarsi dell’evento stesso.
Ovviamente si ha interruzione del nesso di causalità quando l’evento risulta altresì
provocato da una causa di carattere eccezionale, che non può essere addossata all’agente. Si pensi
allo esempio della persona che viene investita e che, mentre la trasportano al pronto soccorso, viene
coinvolta in un incendio. In questo caso il responsabile dell’investimento non risponderà delle
conseguenze dell’incendio, ma solamente di quelle dell’incidente stesse. Se il comportamento del
danneggiato ha contribuito al verificarsi dell’evento dannoso allora il risarcimento viene equamente
diminuito dal giudice.
Le cause di giustificazione
Si definiscono cause di giustificazione quelle circostanze in presenza delle quali un
comportamento pregiudizievole, che altrimenti sarebbe fonte di responsabilità per il soggetto,
diventa giustificato, e dunque non ingenerano l’obbligo di risarcire il danno. L’ordinamento ne
prevede in tre ipotesi: l’esercizio di un diritto (chi agisce esercitando legittimamente un suo diritto
non risponde del pregiudizio eventualmente intercorso nei confronti del danneggiato; la legittima
difesa (la legittima difesa esclude l’antigiuridicità del comportamento dannoso, se è posta in essere
per proteggere sé stesso o altri dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Peraltro, se l’offesa
provocata per difendersi è sproporzionata rispetto al rischio, si può essere chiamati a rispondere di
eccesso colposo); infine, lo stato di necessità (chi agisce in condizioni di necessità non risponde del
danno causato, ma è tenuto solamente ad un indennizzo).
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Distinzioni tra illecito contrattuale ed estracontrattuale
Questa definizione di fatto illecito si pone in contrasto con la responsabilità contrattuale,
scaturente da contratto, che sanziona l’inadempimento dell’obbligazione in quanto dovere specifico
verso un determinato soggetto creditore.
Possiamo quindi parlare nel primo caso di responsabilità extracontrattuale e nel secondo
caso di responsabilità contrattuale. In entrambe le ipotesi è prevista una sanzione per la violazione
di un dovere giuridico, obbligo generico nei confronti dei consociati (extracontrattuale) o obbligo
specifico nei confronti del creditore (contrattuale).
La disciplina giuridica delle due responsabilità è normata da principi diversi e varie
differenze sono presenti nelle diverse discipline.
Infatti la responsabilità contrattuale non presuppone la capacità di intendere e di volere del
debitore, che è invece presupposto della responsabilità extracontrattuale (art. 2047 c.c.).
Se l’inadempimento non è dovuto a dolo, il debole è tenuto a risarcire solo i danni
prevedibili (art. 1225 c.c.) mentre l’autore del fatto illecito è tenuto a risarcire tutti i danni arrecati.
Il creditore non ha l’onere di provare la colpa del debitore, mentre di massima il danneggiato
ha l’onere di provare la colpa dell’autore del fatto illecito.
Accanto al rimedio del risarcimento del danno, che è comune alle due forme di
responsabilità, vi sono rimedi specifici dell’inadempimento (eccezione d’inadempimento,
risoluzione del contratto ecc.).
Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento si prescrive nell’ordinario termine
decennale, mentre li diritto al risarcimento del danno da illecito civile si prescrive di regola in
cinque anni.
Le due responsabilità possono comunque concorrere nella medesima fattispecie.
La possibilità del concorso deve ammettersi, precisamente, quando la mancata o inesatta
esecuzione del rapporto obbligatorio comporti al tempo stesso la lesione dell’interesse creditorio e
la lesione di interessi protetti nella vita di relazione. Es. un elettrodomestico è viziato e tale vizio
provoca un incendio che danneggia i mobili del compratore. L’esercizio di una delle due azione,
contrattuale o extracontrattuale, non comporta la rinunzia all’altra, con tutte le conseguenze anche
in ordine alla prescrizione.
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Alla luce delle considerazioni svolte, è possibile distinguere tra le due principali forme di
responsabilità. Quella che riguarda l’inadempimento di una obbligazione si chiama responsabilità
contrattuale, e determina principalmente l’obbligo di risarcimento dei danni in capo al responsabile.
Viceversa, la responsabilità extracontrattuale riguarda le obbligazioni per fatto illecito.
Le principali differenze sono tre: anzitutto, l’onere della prova. Nella responsabilità
Contrattuale l’attore deve provare l’esistenza del credito e la scadenza dell’obbligazione. Sarà il
debitore che, se vuole scagionarsi, deve dimostrare di non aver adempiuto per causa a lui non
imputabile. Invece, nella resp. Extracontrattuale l’attore deve provare sia il fatto che la condotta del
convenuto gli ha causato un danno, sia che quel comportamento è stato colposo o doloso.
La seconda differenza riguarda gli effetti giuridici. Entrambe le responsabilità originano
l’obbligo di risarcire il danno. Tuttavia, nel caso della resp. contrattuale i danno sono limitati a
quelli prevedibili al tempo in cui sorgeva l’obbligazione (esclusa l’ipotesi del dolo). Invece, nella
resp. extracontrattuale, non vale questa regola.
La terza differenza riguarda la prescrizione. La prescrizione per l’azione di risarcimento da
danno contrattale è solitamente quella ordinaria, mentre nel caso di resp. extracontrattuale diventa
abbreviata, estinguendosi in 5 anni. Nel caso di circolazione di veicoli il termine è addirittura
ridotto a due anni.
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dell’ordinamento giuridico
Nel nostro ordinamento vi sono altresì altri fatti o atti idonei a far sorgere una obbligazione.
-
la promessa di pagamento (art.1988 CC);
-
la promessa al pubblico (art.1989 CC);
-
la ricognizione di debito (art.1988 CC);
-
la gestione d’affari (art.2028 CC);
-
i titoli di credito
-
il pagamento dell’indebito (art.2033 CC);
-
l’arricchimento senza causa (art.2041 CC).
Infine, l’articolo 1173 stabilisce con una formulazione aperta le fonti atipiche, cioè non
nominate. E sono quegli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni. Spetta all’interprete stabilire
quali atti e fatti danno luogo ad obbligazione.
L’indebito
Ogni pagamento scaturisce da un “debito” così che ciò che è stato pagato senza essere
dovuto deve essere restituito. Da ciò nasce il principio ed il diritto alla ripetizione dell’indebito, di
ciò che è stato pagato senza che fosse dovuto.
Ci sono due casi di indebito; ovvero, quanto l’accipiens non era creditore – indebito
oggettivo, ovvero,
quando il solvens non era debitore – indebito soggettivo, nel quale si
distinguono due ulteriori e diversificate figure.
a) L’indebito oggettivo è regolato dall’articolo 2033 c.c. e si verifica quando un soggetto
ha eseguito una prestazione oggettivamente non dovuta in favore di un altro soggetto. Quindi in
questo caso chi nulla deve paga a chi non ha alcun credito. Non è necessario che si verifichi un
errore del solvens ma è necessaria l’assenza assoluta dell’animus donandi tipico della donazione.
b) Di indebito soggettivo si usa parlare a proposito di due fattispecie distinte, a seconda che
la prestazione sia indebita ex latere accipientis ovvero ex latere solventis.
Tuttavia, all’indebito soggettivo ex latere accipientis (o indebito soggettivo ex persona
creditoris), che costituisce una figura non espressamente disciplinata nel nostro ordinamento, si
nega normalmente autonomia, perché si ritiene che la sua disciplina sia contenuta all’art. 2033 c.c.
in uno con quella dell’indebito oggettivo; si tratta pur sempre, infatti, dell’esecuzione di «un
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pagamento non dovuto». Altrimenti, si teme, la differenziazione tra indebito oggettivo ed indebito
ex latere accipientis creerebbe confusione, frammentando un fenomeno che dal punto di vista
giuridico e disciplinare ha carattere unitario. Detta unitarietà è confermata dal fatto che, anche in tal
caso così come nell’indebito oggettivo, il pagamento e la mancanza di titolo sono unici presupposti
del diritto alla restituzione, restando irrilevante l’errore del solvens.
L’assimilazione di questa figura all’indebito oggettivo è stata spiegata con il criterio
ispiratore di costruire il rapporto obbligatorio dal punto di vista del creditore: in entrambe le
fattispecie, infatti, il creditore non ha alcun diritto di ricevere la prestazione, sicché si è in presenza
“oggettivamente” di un indebito, e il fatto che il solvens fosse debitore di un altro soggetto non ha
alcuna incidenza sulla ricostruzione della figura. La qualificazione dell’indebito è pertanto
subordinata alla posizione che assume l’accipiens verso la prestazione: quando si esegue il
pagamento indebito nei confronti di un accipiens che non è il vero creditore, il presupposto
dell’errore del solvens non ha rilevanza; quando invece un soggetto che non è debitore, paga ad un
accipiens che è il vero creditore, si ha la diversa figura del pagamento soggettivo ex latere solventis,
caratterizzata, all’opposto, dalla necessarietà dell’errore dell’autore del pagamento.
Vista la mancanza di autonomia della figura appena esaminata rispetto all’indebito
oggettivo, l’indebito soggettivo ex latere solventis (o indebito soggettivo ex persona debitoris) è,
per alcuni, il vero e proprio indebito soggettivo.
Ferma, anche in tal caso, la ratio comune con l’indebito oggettivo, che è sempre quella
desumibile dall’art. 2033 c.c., l’art. 2036 c.c. consacra una distinta fattispecie di indebito,
caratterizzata da due presupposti precipui: l’esistenza del credito in capo all’accipiens e l’errore
scusabile dell’adempiente di essere tenuto ad eseguire la prestazione. Fatto impeditivo della
ripetizione è invece che il creditore si sia privato in buona fede del titolo o delle garanzie del credito
(art. 2036, comma primo, in fine, c.c.).
Si ritiene inoltre che alla qualificazione di una fattispecie quale indebito soggettivo ex latere
solventis acceda un ulteriore requisito: che l’obbligazione che (erroneamente) il solvens crede di
adempiere, si identifichi sotto il profilo causale con un’obbligazione veramente esistente, nel senso
che il debito che si intende adempiere debba coincidere con il credito di cui l’accipiens è realmente
titolare (nei confronti di altro soggetto): “occorre … che l’obbligazione, realmente esistente, sia
stata causata da quella fattispecie che individua, sotto il profilo causale, l’obbligazione che il
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione II
solvens si rappresenta e per adempiere la quale egli compie la prestazione: quel mutuo, quella
compravendita, quel fatto illecito”.
Gestione di affari altrui: (articolo 2028)
L’istituto in parola ricorre quando un soggetto, senza essersi obbligato, assume
scientemente la gestione di un affare altrui, ossia compie degli atti giuridici nell’interesse di un altro
soggetto. Colui che compie la gestione dell’affare altrui si chiama Gerente o Gestore; colui che
usufruisce di questa attività si chiama Gestito o Interessato. Dalla gestione dell’affare altrui sorge
un rapporto obbligatorio perché nascono delle obbligazioni per entrambe le parti in causa; cioè sia
per il Gerente che per il Gestito.
1. la principale obbligazione che incombe sul gestore è quello di proseguire il compimento
degli atti giuridici da lui iniziati fino a che l’interessato non è in grado di provvedere
autonomamente alla gestione dell’affare;
2. quello che pone a carico dell’interessato, il gestito sono: a) l’obbligo di indennizzare il
gestore delle spese che questi ha sostenuto per la gestione degli affari altrui;
b) obbligo di subentrare nelle obbligazioni che il gestore ha contratto per gestire l’affare
dell’interessato;
Ricapitolando possiamo affermare che l'elemento caratterizzante la gestione d'affari (art.
2028 c.c.) è costituito dal compimento di atti giuridici, spontaneamente ed utilmente compiuti dal
gestore nell'altrui interesse in assenza di ogni rapporto contrattuale con l'interessato; pertanto la
"negotiorium gestio" non è configurabile, qualora l'asserito gestore abbia adempiuto la prestazione
in esecuzione di un contratto e sia decaduto dall'azione contrattuale proponibile per ottenere il
rimborso delle somme pagate.
Azione di arricchimento senza causa (2041, 2042): è l’ultima fonte atipica.
Costituisce un ipotesi residuale, può cioè essere applicata solamente se la fattispecie non è
regolata da altro istituto.
Ricorre quando si verifica uno spostamento patrimoniale che determina l’arricchimento di
un soggetto e il correlativo impoverimento di un altro soggetto, e senza che questo spostamento
patrimoniale abbia una ragione giustificativa, senza che sia giustificata da causa o titolo.
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L'arricchimento consiste in qualsiasi vantaggio di natura patrimoniale, ed è determinato in
base alla differenza tra la consistenza del patrimonio, quale si presenta in seguito al fatto produttivo
dell'arricchimento, e la consistenza che esso avrebbe avuto, se tale fatto non si fosse verificato.
Presupposti sostanziali dell'azione di ingiustificato arricchimento sono: l'arricchimento di un
soggetto e il correlativo impoverimento di un'altro, l'insussistenza di altri rimedi idonei a rimuovere
il pregiudizio subito. L'azione ex art. 2041 c. civ. può essere proposta solo quando manchi un'altra
azione, con cui il danneggiato possa ottenere il pregiudizio subito. L'azione d'ingiustificato
arricchimento è improponibile, quando il danneggiato abbia a disposizione una diversa azione
contro un terzo obbligato per contratto o per legge, salvo che tale azione, per qualsiasi ragione, non
possa dare alcun risultato utile.
Tale azione è, infatti, solo una azione sussidiaria, ovvero, può essere pro-mossa solo quando
non ci siano altre azioni a disposizione dell’impoverito.
La giurisprudenza prevalente intende il concetto di sussidiarietà in astratto, nel senso che la
mera esistenza di un'altra azione, astrattamente disponibile, preclude il ricorso all'azione di
arricchimento. Dunque, non assume rilevanza il fatto che la diversa azione sia stata respinta nel
merito, ovvero sarebbe verosimilmente respinta per intervenuta prescrizione o decadenza; l'azione
di arricchimento sarà comunque respinta, come inammissibile, improponibile, ovvero preclusa.
L'azione in esame presuppone che l'arricchimento di un soggetto a danno di un altro sia
avvenuto senza giusta causa. Per questo, quando lo stesso arricchimento sia, invece, conseguenza
di un contratto o di un altro rapporto, i quali conservino, rispetto alle parti e ai loro aventi causa, la
propria efficacia obbligatoria, non può sostenersi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a
quando il contratto o l'altro rapporto conservino, rispetto alle parti e ai loro aventi causa, la propria
efficacia obbligatoria.
Nell’ipotesi che ci occupa, quindi,
la legge impone al soggetto arricchito di indennizzare
l’altra (impoverita- L'impoverimento ha contenuto prettamente economico, che può consistere tanto
in una diminuzione patrimoniale, quanto nel mancato aumento di ricchezza-) parte nei limiti del
proprio arricchimento. Un fatto giuridico , l’arricchimento senza causa, fa sorgere un rapporto
obbligatorio. Un esempio tipico di arricchimento senza causa si verifica quando una porzione di
terreno si stacca da un fondo e si congiunge ad un altro (avulsione). Nelle ipotesi in cui non sia
possibile la restituzione in natura, l'arricchito è tenuto a pagare una somma di denaro, contenuta
entro i limiti del proprio arricchimento, e di ciò di cui l'altra parte si è impoverita.
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La promessa di pagamento e la ricognizione di debito (art.1988 CC) Entrambe sono
promesse obbligatorie non titolate in quanto non sono promesse costitutive di un nuovo debito, ma
le conferme di un precedente impegno.
L’impegno precedente di cui si trattò troverà la sua fonte causale in un contratto o in altra
fronte di obbligazione ma esse bastano a fondare una corrispondente pretesa del creditore. A tale
proposti si parla di astutezza della causa, infatti tali negozi sono fatti valere senza bisogno di
invocare il titolo che ne è alla base con inversione dell’onere della prova.
La ricognizione di debito ha natura di negozio unilaterale recettizio ed ha effetto quando
esce volontariamente dalla sfera del suo autore e la relativa dichiarazione negoziale è indirizzata
alla persona del creditore.
In ogni caso si deve osservare che la ricognizione di debito, al pari della promessa di
pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto conservativo di
un preesistente rapporto fondamentale.
La conseguenza processuale di detti istituti consiste nell'inversione dell'onere della prova,
ossia nell'esonero del destinatario della promessa dall'onere di provare la causa o il rapporto
fondamentale, mentre resta a carico del promittente l'onere di provare l'inesistenza o la invalidità
o l'estinzione di detto rapporto, sia esso menzionato oppure no nella ricognizione di debito. Ne
consegue che qualora il promissario, agendo per l'adempimento dell'obbligazione, dia la prova
della promessa, incombe sul promittente l'onere di provare la inesistenza o la invalidità o
l'estinzione del rapporto fondamentale.
La promessa al pubblico (art.1989 CC).
L'ipotesi è quella di chi, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione, a favore di chi
si trovi in una certa situazione, o compia una determinata azione. Questi è vincolato dalla promessa,
non appena essa è resa pubblica (art. 1989 1°c. cod. civ.).
La fattispecie in esame costituisce la promessa di una prestazione unilaterale che si farà in
una determinata circostanza, senza che sia necessaria la formazione di un contratto. Si differenzia
dalla offerta al pubblico in quanto questa è la proposta persona incerta a concludere a concludere un
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contratto. Alla promessa deve essere apposto un termine, in mancanza del quale il vincolo cessa,
trascorso un anno senza che al promittente sia comunicato l'avveramento della situazione o il
compimento dell'azione prevista. (art. 1989 1° c.)., in ogni caso prima della scadenza non può
essere revocata senza giusta causa. Fra i molti destinatari della promessa la legge non da la
precedenza al primo, ne prevede una divisione del premio ma quando la prestazione è unica essa
spetta al primo che ha dato al promittente la notizia dell’azione compiuta.
Come già detto si ritiene che il vincolo nasca quando l'azione sia compiuta, o la situazione si
sia determinata, a prescindere dalla conoscenza che il promittente abbia di questi avvenimenti, e,
dunque, anche in mancanza di una sua comunicazione. Prima di tale momento, vi sarebbe solo
un'irrevocabilità de jure della promessa (cfr. art. 1990, 2° c.). Secondo la Cass. SS.UU. 10 febbraio
1969, la promessa al pubblico è un negozio unilaterale, che vincola il promittente, non per effetto
dell'incontro della sua volontà, con quella di un altro soggetto, che abbia manifestato di accettare la
promessa, bensì per effetto della sua unilaterale determinazione. L'obbligo, perciò, sorge non
appena la promessa è resa pubblica, di guisa che questa può essere revocata solo per giusta causa, e
a condizione che la revoca sia resa pubblica, con le stesse forme usate per la promessa.
Va precisata la differenza fra promessa e offerta al pubblico: la prima è vincolante, non
appena è resa pubblica; la seconda, invece, vincola solo se accettata da uno dei destinatari, cui è
indifferentemente rivolta.
I titoli di credito
La fonte dell’obbligazione è racchiusa nella cartolarità ed astrattezza di un documento. Per
questo motivo ad esempio il libretto al portatore costituisce un titolo di credito che legittima il suo
possessore a riscuotere, giacchè individua in quest'ultimo il soggetto nei cui confronti la banca
può pagare con effetto liberatorio. Il suo trasferimento si perfeziona con la sola consegna e opera
l'effetto di costituire, in capo all'accipiens, la suddetta legittimazione, indipendentemente dalla
prova di una giusta causa traditionis.
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La responsabilita’ da fatto lecito
Questa responsabilità designa gli obblighi legali di indennizzo derivanti da fatti dannosi non
vietati dall’ordinamento giuridico.
Tipici esempi di responsabilità da fatto lecito che comporta l’obbligo di indennizzo è
l’inadempimento alla promessa di matrimonio ex art. 81 c.c., imposizione di servitù prediali
coattive o in materia contrattuale il recesso dal contratto di appalto ex art. 1671 c.c.
È però improprio parlare di “responsabilità” ma in questi casi occorre specificare che
l’obbligo di indennizzo trova fondamento nell’esigenza che in determinati casi chi esercita un
diritto ne paghi le conseguenze economiche negative subite da altri.
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