BIBLIOGRAFIA SALENTINA 31. — FRANCESCO RIBEZZO, Corpus inseriptionuin messapicarum:- Salapia sallentina, Neretum, Soletum, Galatina, Muro, Basta, Diso. Iu Rivista Indo-Greco-Italica, XIX (1935), fase. 1-2, pgg. 57-80. In Extr. pgg. 117-140. In questa puntata, che segue quella dedicata a Lupiae e a Rudiae, l'insigne autore pubblica il testo critico e la relativa interpetrazione ermeneutica, in latino, delle iscrizioni di Salapia, di Nardò, di Soleto, di Gelatina, di Muro, di Vaste e di Diso. Come al solito, le iscrizioni sono precedute da un cenno storico-topografico informatissimo delle città messapiche. Tra vecchie e nuove, in questa puntata, sono pubblicate ben 27 iscrizioni. Più volte il Prof. Ribezzo loda l'appassionata opera degli studiosi locali: Pasquale Maggiulli, Don Carmine Corvaglia, Nicola Vacca. Di quest'ultimo mette in rilievo il notevole contributo dato recentemente alla epigrafia messapica. Varie iscrizioni pubblicate dal Vacca in Rinascenza Salentina (III, 1.) trovano di già posto in questa magnifica opera critica che va per le mani degli studiosi di tutto il mondo. Il Ribezzo ci dà, finalmente, il testo critico della iscriz i one messapica di Vaste (149, B. 1) la più famosa e la più antica in ordine di rinvenimento — fu scoperta verso gli ultimi anni del '400 — inserita scorretta nel De situ Japygiae del Galateo (Basilea, 1558). L'illustre messapografo ricostruisce l'iscrizione sul più antico testo, quella) di Stefano Pighio, che la collazionò nel 1555 a Napoli sulla versione del Pontano al quale l'aveva trasmessa il Galateo prima del 1503, correggendo la lezione dell'edizione basileana curata, come è noto, da G. B. Bonifacio. Tra le altre non ancora edite, il Prof. Rib?zzo pubblica 4 nuove iscrizioni di Vaste rinvenute da Carmine Corvaglia e donate a questi, attraverso il Quagliati, al R. Museo di Taranto e quivi dal defunto Soprintendente abbandonate nei depositi, senza indicazioni di provenienza e non annotate nel giornale d'entrata che, a quanto si dice, non esisteva nemmeno! Merito dell'attuale Direttore di quel Museo, Dott. Drago, di averle messe in evidenza e sotto gli occhi del Ribezzo il quale, attraverso informazioni fornitegli da Nicola Vacca e controllate durante l'itinerario fatto nella nostra regione in sua compagnia, ha potuto stabilire, di queste e di altre epigrafi, la provenienza precisa e le indispensabili notizie del do, venimento, Rinascenza Salentina 244 Restano ora da pubblicare, nella ventura puntata, le numerose iscrizioni, vecchie e nuove, di Ugento e di Alezio, nonchè quelle di Leuca e di Vereto. Un'appendice comprenderà le epigrafi di provenienza incerta, quelle venute fuori durante la pubblicazione del Corpus e quelle che sono probabilmente apocrife. cripta di Poggiardo. In Atti e Memorie della Società della Magna Grecia bizantina-medioevale, I (1934), pgg. 9-23, con IX 32. — B. MOLAJOLI, La tavole e 5 disegni. La cripta di S. Maria di Poggiardo, fortuitamente scoperta nel 1929 praticandosi gli scavi per le fognature, continua a richiamare l'attenzione degli studiosi. Dopo i lavori di Miss G. Robinson e della Prof. M. Luceri, è il dott. Bruno Molajoli, già R. Ispettore della Soprintendenza di Bari, che con l'annunziata nota inaugura gli Atti della benemerita Società dedicati alle ricerche del bizantinismo medioevale: be :emerita anche nel caso specifico, perché a quella Società, sotto la direzione di Quintino Quagliati, si devono i lavori di restauro e di difesa della cripta di Poggiardo. Il M. in questa nota dà ragguaglio dei lavori eseguiti a difesa della cripta e ne esamina i particolari elementi architettonici: pianta, navate, pilastri, absidi. transetto ecc. Ma l'attenzione maggiore del M. è rivolta agli affreschi che coprono gran parte delle pareti, i quali, anche se in condizioni di grave deterioramento, offrono « una visione sufficientemente esatta dell'ambiente nel 9110 aspetto originario ». Qui oltre la Vergine ed il Bambino, troviamo tra gli altri i Santi cari alla iconografia bizantina, Michele, Giorgio, Demetrio, Nicola, Stefano, Cosma e Damiano, e vi si trovano isolati, senza quei complessi compositivi e quelle ,rappresentazioni episodiche (eccezione interessante la Maddalena prostrata ai piedi di Cristo) delle quali si compiacque la pittura bizantina dal IX sec. in poi. E' degno di nota, secondo il M., che è assente nella cripta di Poggiardo fe sostituzione o sovrapposizione di immagini che è frequente altrove in consimili ambienti. Questa parata di Santi, schierati frontalmente forma tuttavia un insieme che conferisce alla cripta una intonazione decorativa che è propria delle chiese orientali. Dall'esame dei caratteri delle figure che ornano la cripta, dalle foggie dei vestiti e più dai preziosismi decorativi largamente profusi nelle figure stesse, il M. è propenso a riconoscere, o per lo meno a non escludere, una influenza della miniatura che è meno labile e soggettiva d'una Bibliografia Salentina 245 semplice tradizione mnemonica, di cui potevano valersi di decoratori basiliani provinciali ». La cronologia degli affreschi e la qualità dello stile adoperato in essi formano oggetto delle ulteriori osservazioni, con le quali il M. chiude la sua nota. Per il M. le pitture in questione sono da rapportarsi le più recenti (e sono in minor numero) alla prima metà del sec. XV, altre al XIII, le più antiche possono oscillare fra la seconda metà del XI e la prima del XII, ed hanno caratteristiche di tecnica e di stile che le distinguono dalle altre delle cripte pugliesi contemporanee. Il colorito abbastanza acceso e svariato delle figure, la tecnica rivelante una maniera rapida di colorire, in fiore dal IX sec., ed altre particolarità come la differenziazione somatica dei volti, inducono ad accostare i dipinti della cripta di Poggiardo alla tradizione meno tarda ed alterata e cioè al periodo della rinascita bizantina. Sotto questo punto di vista, le pitture di Poggiardo hanno un notevole interesse e possono cifri re nuovi elementi alla indagine e allo studio del problema della diffusione dell'arte bizantina nel Mezzogiorno d'Italia. 33. — DOMENICANO TONDI, Glossa. La lingua greca del Salento. Noci, Arti grafiche. A. Cressati, 1935, XIII. In-8 0, di pgg. 213. Mentre dura la polemica circa l'origine dei dialetti greci siculo-calabrosalentini tra coloro che vorrebbero assegnarli a immigrazioni bizantine avvenute nel medioevo e il Rohlfs che, col consenso di altri studiosi considera quei dialetti una continuazione della lingua classica della Magna Grecia con posteriori sovrappozioni bizantine, viene fuori questo libro del T. Glossa rappresenta un tentativo di grammatica, sia pure elementare e senza pretensioni scientifiche, dei dialetti greci che si parlano nel Salento. Essa è sussidiata da numerosi saggi in prosa e in versi, col quale il T. ha creduto e di prospettare le condizioni presenti di tali dialetti e di promuovere anche il giudizio circa la opportunità di difendere la conservazione. È un tentativo senza precedenti questo, giacchè, se i dialetti greci del Leccese erano stati studiati scientificamente, specie dal punto di vista fonetico e lessicale, non erano stati ancora considerati e trattati sotto l'aspetto morfologico e sintattico cosi come ha fatto 11 T. Ma con Glossa il T., che è poi un fautore della tesi del Rohlfs, si è proposto anche uno scopo pratico. Come afferma nella introduzione, egli, fra l'altro, si è proposto di fornire ai giovanetti dei paesi della Grecia sa- 246 Rina3cenza Salentina lentina e dei luoghi circostanti a questa, studenti del ginnasio o estranei agli stufi, ua libro che coi suoi elementi contribuisse ad invogliare i primi allo studio della lingua dei classici, e a fornire ai secondi un mezzo atto all'apprendimento della lingua great nella particolare forma salentina. Il dialetto maneggiato dal T. è quello di Zollino, non schietto, .K ma ritoccato nella fonetica, arricchito nel lessico con elementi dei dialetti finitimi, con un moderato uso di derivati, con la introduzione di alquanti grecismi di facile intelligenza, col rimettere in onore vocaboli caduti o che van cadendo in disuso, ma che si riscontrano nei nostri canti popolari o si odono ancora sulle labbra dei nostri longevi •. Ne vien fuori un dialetto che, se perde di spontaneità, a detta del T., assume in compenso « un certo carattere di comune lingua salentina con un lieve sapore arcaico che gli conferisce un po' di sostenutezza e lo presenta nelle condizioni meno rovinose di quelle nelle quali probabilmente si trovava un cento o cento cinquant'anni fa ». Lascio ad altri decidere se la licenza che si è permessa il T. sia giustificabile ai fini ricostruttivi e pratici che egli si è proposti, oppure se essa non rappresenti uno sforzo da cui nulla ha guadagnato la natura e l'indole dei dialetti greco-salentini, con la conseguente riflessione, in tal caso, che era preferibile lasciare il quadro nelle condizioni avariate nelle quali si trovava, anzichè danneggiarlo coi ritocchi sia pure giudiziosi nella illusione di renderlo meglio presentabile. Comunque, il tentativo di disporre in una trattazione elementare la morfologia dei dialetti greco-salentini è veramente encomiabile e, nella sua applicazione, può valere a guidare nella comprensione dei saggi letterari che occupano i due terzi del libro. Sono saggi prosastici e poetici, cioè dello stesso T., garbati, ingenui, vivaci, come quello in cui narra le vicende della sua infanzia, canti in cui ha espressi i sentimenti del suo animo, storielle popolari interessanti anche per il folklore, imitazioni e versioni libere (Dante, Leopardi, Manzoni, Carducci, V. Hugo...) dalle quali trasparisce la sicurezza e si potrebbe dire la virtuosità del T. nel maneggiare il suo dialetto. A questa antologia tien dietro un gruzzolo di canti popolari. Trasparisce sopratutto dai saggi il caldo affetto del T. per la parlata materna, che egli vorrebbe conservata e rispettata, per la terra che gli ha dato i natali, per la umile gente che ancora conserva la lingua che fu adoperata da ()mero e da Platone, e ne trasparisce pure il vanto e la fierezza Bibliografia Salentin a 247 di credersi egli e questa gente discendenti degli antichi Greci. « Grichi ìmestha — egli dice nel saggio sulla sua infanzia — ma, apò tris chiliades chronu, stin Italia stècome, me tin Italian nume, tus ponus ti èchome ce tes charès-ti. Grica omilume, ma ndè ghiatììmestha xeni; ma ghiatì imestha to pleon paleon, gheno tu topu ». Cioè « Greci siamo, ma, da tremila anni, in Italia stiamo, con l'Italia viviamo, i suoi dolori abbiamo e le sue gioie. Greco parliamo, ma non perchè siamo stranieri, ma perchè siamo la più vecchia gente del luogo ». 34. — MAURO CASSONI - Pracetliso mìn glòssa-su (Prega colla tua lingua). Lecce, Tip. « La Modernissima s, 1935•XIII. Iu-16°, di pgg. 74. Come dice il titolo, è un libretto di preghiere redatte in greco-salentino. Con esso l'A. — un dotto cistercense capitato a Martano e quivi innamoratosi dei dialetti, del folklore e della storia della nostra Grecia — oltre uno scopo religioso, si propone di ottenere la conservazione dei dialetti grecosalentini. Le preghiere introdotte nel libretto sono quelle che ogni cristiano deve sapere a memoria e recitare, e sono seguite infine da alcuni canti, fra cui lo Stabat Mater e il Dies irae. Preghiere e canti sono accompagnati dalla fedele traduzione in italiano e formano un lavoro compilato con garbo e con sicura conoscenza delle parlate greco-salentine. Nella rinascita degli studi intesi alla illustrazione dei dialetti della nostra Grecia e nel fervore rivolto alla difesa di questi, il lavoro del P. Cassoni può offrire un contributo di materiali linguistici non spregevole ed influire efficacemente sulla conservazione dell'ellenismo di Terra d'Otranto. SALVATORE PANAREO 35. — CESARE TEOFILATO, Allianum, in Gazzettino di Foggia A. (24) 7, n. 38, p. 2. L'A. dà notizia di una città messapica, Allianum, esistita nel territorio di Sava, e propriamente nella contrada Aliano, a circa tre chilometri, direzione W, da quel paese, sulla via che ancora chiamasi Consolare. Di questa antica città si vedono tuttavia le rovine. Nel 1921 il T. trovò materiale archeologico vario ed una iscrizione messapica che ora trovasi inserita nel muro al disotto di una delle arcate cieche della masseria dei fratelli Spagnolo. L'A, segnalò a suo tempo il rinvenimento, 248 Rinascenza Salentina Luoghi, memorie e leggende di Taranto: La Sorgente Lavandaia, in Vece del Popolo di Taranto, A. 52, n. 39, p. 2. 36. - EGIDIO BAFFI, 37. — VINCENZO DELLA SALA, Gioacchino Torna, a pgg. 260-267 del volume : Ottocentisti Meridionali, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1935. L'A. raccoglie in questo volume numerosi articoli e studi comparsi in giornali e riviste. Un capitolo dedica al Torna, rievocandone la bella figura di patriota, di galantuomo e di artista, con vari episodi sconosciuti della sua vita. Traccia anche un profilo critico del pittore. Tra l'altro scrive: • I quadri del T. hanno una nota oggettiva, frutto di pensiero che si muove, di cervello che cerca e pensa, di acuta mente che osserva, attinge impressioni e commozioni, se ne commuove, e, quando le riproduce, riesce a comunicarle. Sua cura costante, sua preoccupazione non è il colore, in quanto è sfoggio o bravura, perchè egli non ama effetti violenti o volgari: la sua pittura, mi si passi la parola, forse troppo audace, ragiona. In lui l'insieme e l'intonazione sono sempre più che accurati, degni di ammirazione. Non si ferma al pezzo, guarda la totalità. E con la totalità, sempre la tonalità. Non vuol parlare soltanto all'occhio, ma anche alla fantasia, e, più direttamente e dirittamente al cuore. Non la sinfonia dei colori sgargianti, caldi, come dicono gli artisti, ma quella mite, lieve dei colori tenui e delicati »... < Gioacchino Torna era, in arte, come nella vita, un gran galantuomo, un'anima candida, tutto bontà e squisitezza di sentimenti ed uno dei più simpatici, più profondi conversatori ch'io abbia conosciuto. Parlando, assai di sovente, si serviva delle mani, quasi per completare, con esse, il proprio pensiero: pareva desse colpi di pennello sur una tela o spianasse dei colori sur un pastello colorato ». 38. — COSIMO ACQUAVIVA, Taranto e Giuseppe Massari, in Taranto - Rassegna del Comune, IV, 5 6, pag. 3-6, con il ritratto del Massari. L'A. rievoca la nobile figura di G. Massari, e la sua opera per il risorgimento della Patria. Dimostra ancora una volta la tarentinità del Massari pubblicando l'atto di nascita e numerosi inediti del patriota, deplorando, infine. che Taranto non ne abbia eternato il ricordo in un monumento. 39. — PASQUALE IMPERATRICE, Vicende di Taranto dal 1848 al 1870, in Taranto - Rassegna del Comune, IV, pgg. 9-14.