CEGLIE MESSAPICA NELLA STORIA Il centro storico di Ceglie, a 16 km. dall'Adriatico, a 27 km. dal Mar Jonio, è importante per alcune somiglianze e sfumature con altri abitati aventi relazione con la storia millenaria del Mar Mediterraneo; e perché trovasi in un'area archeologica in cui il fenomeno dell'ellenizzazione è così raro « per gradualità ed intensità di diffusione ed insieme così interessante per la sovrapposizione alla tenace tradizione del sostrato » che veramente giustifica una ricerca specifica. Cercherò di spiegare il grande interrogativo sullo sviluppo culturale del centro, sulle epoche, sulle componenti etniche. Plinio (1) ci ricordò Ceglie: Coelium con Lupia, Balesium, Brundusium; M. P. Catone (2), ricordandone l'antichità remota, scrisse: « A Gargano ad Brundusium coluere Cili ». Chi erano i Cil i, gli abitanti di Ceglie? I Messapi, arricchiti d'influssi culturali esterni, o genti altre qui immigrate nel periodo degli assestamenti dei popoli, agli inizi del primo millennio a.C.? Il Marciano trovò nel nome della Città la radice greca XOILIA, avente il significato di Ventre », forse ad indicare una posizione geografica privilegiata, un luogo « ricco e fecondo, un folto territorio boschivo, con molteplici fattorie ». Primaldo Coco (3) giudicò che Coelium derivasse dal latino « cil ium », come ad indicare città situata in un territorio più alto; il che spiega il nome Cili, degli abitanti. I resti archeologici non ci hanno dato una precisa risposta; mentre i fatti storici fondamentali ci hanno chiarito solo un periodo della vita, taluni usi fondamentali, come il rito di sepoltura, la struttura delle tombe, le relazioni avute e le influenze subite dalla Città che appartenne alla civiltà messapica, diffusasi in tutta la penisola salentina, in una zona fittamente popolata, dove duecento anni dopo Falanto, nel tempo delle guerre mediche, Taranto, riuscì ad estendere la sua colonizzazione ed il suo dominio in parte nella pianura fertile, da Saturium al promontorio Japigio ad Est, al territorio di Metaponto a Sud-Ovest. (1) Plinio III, 13, 3. (2) Fragmenta de Orig. L, IV, C. I. (3) « Ceglie Messapica nella luce dei suoi monumenti archeologici e storici. » Taranto 1937. Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce Nel V secolo a.C., quando le colonie greche sostennero una lotta cruenta contro agguerriti rivali: in Oriente lottarono contro i Fenici, alleati dei Persiani; in. Occidente contro i Cartaginesi, alleati degli Etruschi; in Sicilia, quando le forze di Gelone, nell'anno 480 a. C., sapiente e mite signore di Gela, già fondata dai coloni Rodio-Cretesi, e di Siracusa avevano vinto i Cartaginesi ad Imera; e nell'anno 474 a. C. accorse in aiuto di Cuma, l'ondata dai Greci di Eubea, scalo importante marittimo, noto al mondo religioso per il proprio tempio dedicato ad Apollo, avevano riportato una decisiva vittoria navale contro gli Etruschi ed occupata Ischia; in quegli anni, dunque, forse per motivi politici ed economici, avevano luogo i primi seri scontri tra Taranto, colonia laconica dorizzata (4) e le città messapiche unite in federazione politicomilitare. Nell'urto frontale, al dir di Erodoto, i Messapi schiacciarono i Tarantini e le genti di Rhegion, loro alleate; tagliando in due quell'esercito, lo decimarono e lo inseguirono sin nella stessa Rhegion, al dire di Timeo da Tauromenio. Ben sette anni dopo si riaccese la lotta, e Coelium e Carbina furono raggiunte e saccheggiate: col bottino i Tarantini celebrarono la loro vittoria dedicando a Delfi cavalli e statue dei prigionieri, in bronzo. Nel 425 a. C. i Messapi difesero Eraclea contro i Tarantini, alleati dei Dauni e dei Picentini; e nella guerra di Sicilia, 420-413 a.C., si schierarono con Atene, accorsa in aiuto di Segesta, in lotta contro la dorica Selinunte, protetta da Siracusa, alleata di Sparta. In quel secolo sembrò perpetuarsi, pure nella nostra regione, il desiderio di predominio tra le genti dei Dori (stanziatisi nell'VIII sec. a. C. in Taranto, già ricca di un'eredità micenea negl'istituti, nei culti, nei commerci) e quelle degli Achei. Nei due secoli successivi, pur nella lotta alterna, sostenuta sempre contro i Tarantini, il nostro centro appare sotto un aspetto culturale più evoluto: non può dirsi che pur giunto alla storia ed alla espressione dell'arte, non abbia avuto rapporti ed influenze culturali col mondo greco. Ecco, perché suoi dirsi che Ceglie, come Oria, Manduria, Ostuni, Egnazia, nel IV e III secolo a. C. appartiene alla Koinè culturale greca. Lo documentano i bobylios sferoidali, poggianti su basso piede, col collo basso e bocca a piattello, i Kotiliscos, a rilievo finto, con anse a nastro più alto dell'orlo svasato della bocca, le phyale, usate nei riti sacri, gli skiphos a forma di campana, le lyenos, con estremità a coda di rondine, largo orifizio nel centro dello scudetto ed ansa sull'asse maggiore più alta del corpo ad anello; le coppette usate per raccogliere (4) G. Pugliese Carratelli, « Greci italici in Magna Grecia », Taranto 1961, I Convegno Studi sulla Magna Grecia. 11 Provincia di Lecc e - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce le acque lustrali dalle vasche delle sacerdotesse; i lekitos nello stile tardo atticizzante, le conochoe a bocca trilabata; le olle, olpe, pelike, kalathos, kylix, ed altre varietà di forme, alcuni vasetti protocorinzi del periodo orientalizzante dell'arte, portaunguenti, e profumi di tipo ydria, trozzelle, alcune con decorazione geometrica, i crateri italici a figure rosse (5); il bellissimo vaso che illustrò il Panofka, oggi nel Museo di Berlino, con raffigurato il racconto di un aedo ispirato alle origini mitiche, alla lotta di Diomede contro gli Iapigi; tutti i reperti degli ipogei in uno dei quali fu trovata l'iscrizione messapica che il Viola interpretò « Qui giace la dama dei fiori » (6). Il Ribezzo, nel dimostrare l'importanza del materiale archeologico rinvenuto a Ceglie, messapica, contro la tesi del Watmough, asserì di essere ormai certo che le tante monete e ghiande missili, con le leggende arcaiche, Kaivinon, o libai appartengono al periodo storico della nostra città. La leggenda arcaica Kaivinon aveva Egli vista impressa sul retro del didramma d'argento, con la vittoria laureata nel recto della collezione della famiglia La Gamba. Il Ribezzo scriveva pure che « la trasformazione della stazione dall'età del ferro in città messapica e la sua sopravvivenza in età greco-romana, è attestata oltre che dal tipo delle mura, dal genere delle costruzioni allora ancora affioranti dal terreno, dalle tombe a cassa e dalla loro suppellettile vascolare ». Secondo concordi indicazioni dei geografi antichi Coelium era in linea itineraria con Carbina (Carovigno). Entrambe le città erano nella regione che i Greci, per primi, chiamarono Japigia comune dell'Illirica gente, arida monotonamente piana, — fuorché nei rilievi ondulati delle Murge e nell'asprezza montuosa del Gargano — che si dilata a nord fino allo sbocco del Frento (Fortore), a Ponente e Libeccio fino all'Appennino Sannita e Lucano ed al corso del Bradano, e nelle altre parti ha per limite il mare » (7). Propriamente erano nella parte che i Greci distinsero poi col nome di Messapia. Successivamente, nel periodo della dominazione romana, gli abitanti si designarono col nome di Salentini e Calabri. Ma in quel territorio si erano perpetuati i medesimi elementi etnici, documentati dall'archeologia e da una varietà, interessante di concordanze toponomastiche, sicché la preistoria ebbe uno schietto colore indigeno ed una civiltà sì da abbracciare l'età quaternaria, la neolitica, la elitica. La Coelium di Strabone (VI, 282), di Tolomeo (III, 83) della Tavola Peutingeriana appartenne a quell'antichissimo sostrato in età palcoita- e (5) Celebre quello esistente nel Museo Nazionale di Taranto. (6) Dal Not. Scientif. 1884, pag. 128. (7) Michelangelo Schipa, « La migrazione del nome di Calabria », Lecce 1940. Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce lica o ausonica, a quella che fu una regione, denominata regione degli Ausoni, per cui il nome del nostro centro deriva da Kaìlia a Kailia, d'onde il nome arcaico Kail i us, Coelius, oppure dal Mediterraneo preariano Ca il, sempre col significato di tempio, recinto sacro, forse perchè gli antichi popoli mediterranei condizionarono la loro vita alla presenza, così rara, in alcune regioni dell'acqua; ed il luogo, il pozzo, il recinto, consideravano sacro. E tutta l'Italia meridionale fu interessata dall'età eneolitica alla villanoviana da un tipico corso di civiltà che ebbe un considerevole sviluppo paleografico anche sulla linea dell'Appennino e delle Murge: tipica civiltà eneolitica fu quella nostra che ebbe persino contatti con l'apposita sponda orientale adriatica. Sin dal 3000 a. C., all'incirca, queste stazioni italiche antiche ebbero una propria arte del vasaio: lavoravano l'argilla cruda, l'arricchivano di ornamenti, vi incidevano punti tra linee parallele, motivi a bande lineari, alcuni di tipo balcanico, ed usavano pure la tecnica ad impressione, l'abbellivano con impronte naturali, persino di foglie e conchiglie marine (8). Vi fu certamente l'interscambio, l'inizio d'intensi rapporti che portarono successivamente a noi la ceramica dipinta dello stile Seclo e Dimmi (Tessaglia), il motivo ornamentale del meandro e della spirale. Nella ceramica, con decorazioni dipinte si applicò il colore nero, così pure nella tricromia (fasce rosse marginate di nero in motivi meandrospirali) in Scalaria, nella grotta dell'Erba di Avetrana, nella grotta Sant'Angelo di Ostuni, nella Zinzulusa a Castro, a Danilo presso Sebenico, a Lipari, a Smilèic presso Zara. Nella terza fase del neolitico medio si riscontra una continuità di parentela, una identità con quella illirica e greca, nella decorazione meandrospiralica, nel corpo dei vasi, con decorazione miniaturistica, con motivi geometrici, scacchiere, lasanghe, bande zig-zag, fatte con ravvolgimenti di nastri di argilla. In conclusione, si ebbe una continuità uniforme d'arte dalla nostra terra alla Grecia. Non possiamo non riconoscere l'influenza acheo-rodio-anatolico nel periodo arcaico, particolarmente nella prima metà del secolo XIV a. C. influenza, a mio parere, determinata da reciproci interessi commerciali e religiosi esistenti da secoli. Ecco che in questo immenso correre del tempo, dalla fusione di elementi mediterranei con elementi indoeuropei incominciò quel processo di formazione della civiltà greco italica. Le sopravvivenze degli elementi fonetici, lessicali, e forse anche sintattici dei linguaggi medi- (8) N. Valmin, « Studies in early poltery of New East », pp. 14 segg. 35 n. 1 e 126, Frankfurt, 1939. Provincia di 4e - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce terranei sono per noi gemme di grande splendore tra le quali collochiamo il nome di Ceglie, per illuminare l'ombra del mistero che avvolge ancora il cammino della civiltà greco italica, le stirpi Indoeuropee e le popolazioni mediterranee che precedettero le stirpi Arie nella preistoria. Ceglie Messapica ripropone il fascino della storia dei Messapi, di tutti i centri abitati della Messapia che ebbero periodi di splendore e di gloria. Come porti commerciali assai ricchi, alcuni di essi devono avere occupato nel movimento del Mediterraneo un posto importantissimo, ed anche nell'antichità più remota. Anche le cosiddette « Specchie », che si contano dappertutto, e molte nei dintorni di Ceglie, ci riportano a ricordare la vita dei nostri antenati. Nei dintorni di Ceglie si ricordano: la Specchia dell'Albero, Santo, la Sardella, o Talee, o Talena; quella di Madonna della Grotta, quella Capece, che i gromatici latini del primo secolo d. C. consideravano come termini territoriali e chiamavano scorpione, scorfiones, machaeries, congeries e lapidum. Cesare Teofilato, Ciro Drago, Quintino Quagliati, Pasquale Maggíulli, seguaci di Edoardo Brizio e di Giuseppe Sergi, ritennero quei monumenti fortilizi e sepolcri; li collocarono in rapporto con la religiosità primitiva. Sono opere di arte Mediterranea, l'eliolitica, in cui la pietra a giacere costituiva l'altare e la colonna diritta rappresentava l'unione delle stirpi, o la divinità, caratteristiche dell'età del bronzo e testimonianze dell'unità culturale nel bacino del Mar Mediterraneo, dalle Baleari alla Sardegna, da Creta a Malta, alla Grecia, all'Africa del Nord, all'Italia meri dionale. Per la datazione, potremmo collocarle all'incirca nel periodo della caduta di Troia, fra il 1300 e il 1200 a. C., caduta che fu causa del crollo dell'Impero Hittita e che segnò la calata dei Dori sulla Grecia e la caduta dei regni Achei, nonché l'immigrazione di nuove genti verso l'Occidente, in cerca di scampo e di nuove patrie. Nelle parti troncopiramidali le Specchie ci ricordano le « Ziggurat » della Mesopotania: Ziggurat, o Montahne, Colline del Cielo, di Dio, simboli quindi di una religiosità primitiva profonda. Nell'Esodo (C. XX„ vv. 24-26) Jahvè dice a Mosè: « Così parlerai ai figli di Israele: — Voi stessi avete constatato che io vi ho parlato dal cielo. Non farete accanto a me dèi d'argento, né farete per voi dèi d'oro. Innalzerai per me un altare di terra, e su di esso immolerai i tuoi olocausti, i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi. In ogni luogo, in cui farò ricordare il mio nome, verrò da te e ti benedirò. Se innalzerai per me un altare, non farlo con pietre levigate, poiché sfregando sopra di esse la lama, le profanerai ». GIUSEPPE MOSCARDINO 443 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMAGO - Lecce BIBLIOGRAFIA O. OtIAGLIATI - Preistorici e protostorici in Puglia Trani 1910. M. A. MICALELLA - Gli iapigi Lecce 1909. A. MOSSO - Le origini della civiltà Mediterranea - Milano 1909. F. RIBEZZO - Miti, culti e leggende di derivazione sud-illirica nell'Italia meridionale - « Alti R. Acc. Arch. Lett. e B. di Napoli » - N. S. I, 1908. 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