Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
Indennità di disoccupazione, ammortizzatori
sociali e mercato del lavoro
fino alle leggi del dicembre 2007
MAURA LA TERZA
Giudice di Cassazione
Premessa. — La presente disamina
tende ad illustrare l’evoluzione normativa in materia di tutela dalla disoccupazione intesa in senso lato,
come comprensiva della disciplina
degli ammortizzatori sociali e come
collegata alle misure intese a facilitare o aumentare l’occupazione,
che si collocano sul versante dell’incontro tra domanda ed offerta di
lavoro.
Tale evoluzione, come schematicamente si presta ad essere descritta,
prende origine da norme risalenti nel
tempo, costituenti allora principi
cardine dell’ordinamento che erano
armonizzate con le materie viciniori,
di talché l’assetto complessivo risultava dotato di un alto grado di coerenza e sistematicità. Si pensi alla disciplina del collocamento, incentrato
sul nulla osta all’assunzione, o anche, in tema di ammortizzatori sociali, ai principi che presiedevano la
cassa integrazione guadagni straordinaria e l’indennità di mobilità introdotti dalla l. n. 223/1991. La peculiarità è nel fatto che dette disposizioni sono rimaste in vigore per lunghi anni, nei quali però il sistema così prefigurato non era più coerente
con lo sviluppo produttivo e con le
nuove necessità aziendali, di talché è
stato progressivamente eroso da norme, episodiche, dettate via via per
far fronte alle emergenze insorte nei
settori più disparati, giungendo a
configurare un quadro complessivo
privo di sistematicità ed anzi sostan-
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Sommario: Premessa. — 1. - Le novità in tema di c.i.g.s. e indennità di
mobilità. — 2. - Le novità in tema di
indennità di disoccupazione: dalla l.
n. 80/2005 alla l. n. 247/2007. — 3. - Le
novità in tema di mercato del lavoro,
dal d.lgs. 469/1997 alla l. n. 247/2007:
un percorso non ancora terminato.
— 4. - Le novità in tema di modalità
di assunzione: dalla l. n. 264/1949 alla finanziaria 2007. — 5. - Le sanzioni amministrative in caso di violazione della normativa sul collocamento.
— 6. - Le sanzioni amministrative in
materia di lavoro irregolare. — 7. Le sanzioni per le omissioni contributive. — 8. - Il documento unico di
regolarità contributiva. — 9. Le nuove norme sulle ispezioni in materia
di previdenza sociale e lavoro.
zialmente caotico. Tuttavia, all’interno di questo percorso lungo e farraginoso prolungatosi per anni, caratterizzato da un continuo stop and
go tra conservazione e innovazione,
che ha reso all’interprete ardua la ricognizione del dato normativo complessivo, è percepibile, già da qualche tempo, la traccia di un nuovo assetto della materia, adeguato alle
nuove esigenze e connotato finalmente da principi di sistema, traccia
che si tenterà di individuare, fino all’evoluzione culminata con la legge
delega sulla riforma degli ammortizzatori sociali per il riordino degli
istituti a sostegno del reddito di cui
all’art. 1 co. 28 e ss. della l. 24 dicembre 2007, n. 247.
1. - Le novità in tema di c.i.g.s. e indennità di mobilità.
1.1. - L’impianto della l. n. 223 del
23 luglio 1991. — Come è noto, si
tratta per entrambe le prestazioni, se
riguardate sotto il profilo del lavoratore, di una forma di assicurazione
sociale, con la quale al medesimo si
assicura un determinato trattamento
previdenziale (sostitutivo della retribuzione) in relazione alla disoccupazione parziale a causa della riduzione dell’orario di lavoro o della sospensione temporanea (nel caso di
c.i.g.s.), ovvero, nel caso della indennità di mobilità, di un particolare
(e privilegiato) trattamento di disoccupazione. Se riguardate dal punto
di vista datoriale, la c.i.g.s. è uno
strumento di ausilio da parte dello
Stato non solo nei casi di difficoltà
delle imprese, ma anche ove le stesse intendano ristrutturarsi per accrescere la loro competitività, mentre la
procedura di mobilità, cui la relativa
indennità è subordinata, rappresenta
niente altro che una condizione per
la validità di iniziative di licenziamento collettivo.
Ricapitolando sommariamente, si
osserva che, com’è noto, i soggetti
beneficiari sono, per entrambe le
prestazioni, solo i dipendenti di un
ben determinato tipo di datore di la-
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voro indicato dalla legge: ossia dipendenti di aziende industriali con
oltre 15 dipendenti nel semestre precedente la data della domanda, oppure i dipendenti di altre aziende
espressamente contemplate, incluse
con innumerevoli provvedimenti legislativi volti via via al superamento
di crisi settoriali (1). La c.i.g.s. spetta, a domanda del datore di lavoro,
nei casi di crisi aziendale, ristrutturazione, riconversione, o riorganizzazione e la sua concessione è condizionata alla redazione di un programma da attuare per fronteggiare
le conseguenze sul piano sociale. La
durata del trattamento di c.i.g.s. non
può essere superiore ai 36 mesi nell’arco del quinquennio (art. 1 co. 9 l.
n. 223/1991).
Poiché la c.i.g.s. è stata limitata a situazioni di eccedenza di personale
aventi carattere temporaneo, il fine
invece dell’indennità di mobilità è
quello di sovvenire ai bisogni del
personale che, essendo divenuto definitivamente esuberante, ha ormai
perso il posto di lavoro. L’indennità
di mobilità spetta infatti solo ai dipendenti delle imprese destinatarie
della c.i.g.s. che cessino dal lavoro
nel caso di impossibilità di reimpiego nel corso di attuazione del programma, ovvero nel caso di licenziamento collettivo (artt. 4 e 24 l. n.
223/1991), ha la durata di 12 mesi,
24 mesi o 36 mesi a seconda dell’anzianità del lavoratore, mentre per i
territori meridionali detti periodi sono aumentati di ulteriori 12 mesi. È
richiesta l’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di la-
voro effettivamente prestato (art. 16
l. n. 223/1991) e spetta in una certa
percentuale del trattamento c.i.g.s.
(art. 7 l. n. 223/1991).
Questo assetto risultava fortemente
discriminatorio, giacché nessuna tutela finivano col ricevere i dipendenti delle piccole imprese, o comunque
delle imprese diverse da quelle industriali, né in caso di sospensione del
rapporto per crisi o ristrutturazione e
neppure in caso di definitiva cessazione del rapporto di lavoro, non potendo essi beneficiare né della
c.i.g.s., né dell’indennità di mobilità,
ma solo della ben più modesta, e limitata nel tempo, indennità di disoccupazione.
Si poteva così prospettare una situazione di disparità di trattamento (2),
rilevante a livello costituzionale, in
considerazione della violazione del
principio di uguaglianza e di protezione dei lavoratori, dinanzi alla disoccupazione involontaria.
A ciò si è tentato di ovviare essenzialmente attraverso tre diversi meccanismi.
In primo luogo con l’estensione ad
opera di vari provvedimenti normativi, come sopra si è detto, delle discipline di salvaguardia a particolari situazioni di crisi insorte nei settori
produttivi più disparati, così progressivamente infrangendo il principio cardine della l. n. 223/1991, che
era incentrato sulla rigida selettività
delle aziende e dei lavoratori beneficiari. Inoltre le innumerevoli disposizioni di proroga sia della c.i.g.s.,
sia della indennità di mobilità, hanno
infranto l’altro principio cardine del-
la l. n. 223/1991 sulla temporaneità
degli interventi medesimi (3).
In secondo luogo modificando profondamente la disciplina, perché l’estensione della platea dei beneficiari
non viene più attuata ad opera delle
leggi, ma ad opera di decreti ministeriali, ritenuti strumento più idoneo perché più flessibile.
In terzo luogo agendo sulla indennità di disoccupazione, maggiorandone la misura e la durata, per assicurare al personale non garantito né
dalla c.i.g.s., né dalla indennità di
mobilità, una forma di tutela minima, in attesa che la nuova normativa
sugli ammortizzatori sociali provveda all’opera di omogeneizzazione.
1.2. - Le successive disposizioni di
flessibilizzazione. — È noto che la
delega per la riforma degli incentivi
all’occupazione e degli ammortizzatori sociali, conferita dall’art. 45 della l. 17 maggio 1999, n. 144, che
avrebbe dovuto nuovamente disciplinare funditus questa complessa e
delicata materia, non è stata mai
esercitata.
Tuttavia, da allora in poi sono stati
emanati numerosi provvedimenti
normativi, aventi tutti come premessa la «attesa della riforma degli ammortizzatori sociali», che hanno parzialmente ma profondamente modificato l’assetto precedente.
Ed infatti i lineamenti del welfare
coma sopra sommariamente indicati,
che si incentravano sulla caratteristica fondamentale per cui era rimesso
esclusivamente alla legge di determinare la tipologia di imprese cui
(1) Tra gli innumerevoli provvedimenti, si può ricordare che sia la c.i.g.s., sia l’indennità di mobilità sono state estese al personale navigante dei vettori aerei e delle società ad essi collegate, art. 1 bis d.l. 5 ottobre 2004, n. 249, convertito in l. 3 dicembre 2004, n. 291. Le
stesse prestazioni sono state estese alle aziende commerciali con oltre 200 dipendenti (art. 12 co. 3 l. n. 223/1991, ed anche alle aziende
commerciali e turistiche con oltre 50 dipendenti ex art. unico co. 156 l. n. 296/2006 e art. 2 co. 523 l. n. 247/2007), alle aziende artigiane
con più di quindici dipendenti (ma solo nel caso in cui sospendano i lavoratori in conseguenza di sospensioni o contrazioni del lavoro da
parte dell’impresa committente «che esercita l’influsso gestionale prevalente» la quale sia stata a sua volta ammessa alla c.i.g.s. ex art. 12
co. 1 l. n. 223/1991); alle società editrici di giornali quotidiani e periodici, nonché alle agenzie di stampa (art. 12 l. n. 62/2001). Possono
beneficiare della c.i.g.s. anche le società cooperative di produzione e lavoro (art. 8 co. 2 d.l. n. 148/93 convertito in l. n. 236/1993).
(2) MAZZITTI, Riduzione di personale e messa in mobilità, in FERRARO, MAZZIOTTI, SANTONI, Napoli 1994, 114 e ss.
(3) Si tratta invero di una tendenza inaugurata già all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 223/1991, cfr. LISO, La galassia normativa dopo la l. n. 223/91, in «Gior. dir. rel. ind.» 1997, 1.
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applicare la c.i.g.s. e l’indennità di
mobilità, sono stati incisi da numerose disposizioni (aventi efficacia
temporanea ma progressivamente
reiterati) che rimettono al Ministro
del Lavoro, di concerto con il Ministro dell’Economia di disporre sia la
concessione, sia le proroghe di
c.i.g.s., di indennità di mobilità e di
disoccupazione speciale, «anche in
deroga alla normativa vigente».
Ciò si è previsto prima con l’art. 41
co. 1 della l. 27 dicembre 2002, n.
289 e poi con l’art. 3 co. 137 l. n.
350 del 24 dicembre 2003 con cui si
dà facoltà al ministro del lavoro, in
«caso di programmi finalizzati a crisi occupazionali, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree
territoriali, di disporre, entro il 2004,
di proroghe di c.i.g.s., mobilità e disoccupazione speciale, già prevista
disposizioni di legge, anche in deroga alla normativa vigente in materia,
nonché concessioni, anche senza soluzione di continuità dei predetti
trattamenti, che devono essere stati
definiti in specifici accordi in sede
governativa intervenuti entro il 30
giugno 2004. La misura dei trattamenti è ridotta del 20%.»
È intervenuto ancora l’art. 1 co. 155
della l. n. 311 del 30 dicembre 2004
in cui è più chiara la facoltà, non solo di proroga, ma anche di prima
concessione di detti trattamenti entro
il 31 dicembre 2005 (c.i.g.s. mobilità
e disoccupazione speciale) anche in
deroga alla legge, purché vi siano
programmi finalizzati alla gestione
di crisi occupazionali, definiti «in
specifici accordi in sede governativa». La disposizione è stata poi, oltre che prorogata dall’art. 7 d.l. 30
giugno 2005, n. 115, convertito nella l. 17 agosto 2005, n. 168 (il termine del 30 giugno 2005 per gli accordi in sede governativa è stato prorogato al 10 agosto 2005), anche modificata, dall’art. 13 co. 1 b) della l.
n. 80 del 14 maggio 2005 (di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n.
35) ma solo in relazione agli accordi
in sede governativa aggiungendosi
che gli stessi «recepiscono le intese
avvenuta in sede istituzionale territoriale», così spostando la concreta gestione della crisi a livello di istituzioni regionali e sub regionali, facendo però salva la decisione ultima
in sede ministeriale.
Il medesimo art. 13 della l. n.
80/2005, al co. 2 c) estende poi alle
assunzioni dei lavoratori collocati in
mobilità ai sensi dei citati decreti
ministeriali i medesimi benefici previsti per l’assunzione dei lavoratori
collocati in mobilità ai sensi della l.
n. 223/1991 (artt. 8 co. 2 e 4 e 25 co.
9: contributi pari a quelli previsti per
gli apprendisti, nonché contributo al
datore pari al 50% dell’indennità di
mobilità non fruita (4)).
La disposizione è stata ancora riconfermata dall’articolo unico co. 410
della l. 23 dicembre 2005, n. 266. È
intervenuto successivamente, su
questi benefici, anche in deroga alla
legge, il co. 1190 della l. n. 296 del
27 dicembre 2006, che prevede detta
concessione fino al 31 dicembre
2007 e da ultimo l’art. 2 co. 521 della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008).
Negli anni dal 2003 al 2008 è stato
quindi possibile concedere queste
prestazioni anche in deroga alle regole dettata dalla legge: ne fanno fede vari decreti ministeriali, per
esempio, quello del 1º luglio 2005
con cui si è concessa la c.i.g.s. a dipendenti di imprese artigiane (non
rientranti nella disciplina di cui all’art. 12 co. 1 e 2 della l. n.
223/1991), nonché ai dipendenti di
imprese industriali con meno di 15
dipendenti ed anche ai dipendenti di
imprese industriali con più di 15 dipendenti che però non potevano ricorrere al c.i.g.s., del settore tessile,
abbigliamento e calzature della regione Marche.
Il Ministero del Lavoro diventa così
il reale protagonista, che distingue,
tra le crisi settoriali, quelle meritevoli di protezione, scegliendo se e dove
intervenire.
Questo sistema determina poi una
forte pressione sulle organizzazioni
sindacali, che saranno più propense
a siglare accordi di sospensione o di
mobilità nella sicurezza dell’intervento statale, che, senza l’accordo,
non ci sarebbe.
Tutte queste prestazioni sono poste a
carico del Fondo per l’occupazione,
in un certo limite complessivo di
spesa, e sono previste in attesa della
riforma degli ammortizzatori sociali,
la quale però, nella sostanza, sembra
già essere anticipata, non essendovi
dubbio che sia stato introdotto un
ampio margine di flessibilità per far
fronte a crisi occupazionali gravi, riservando al decreto ministeriale, sulla base di un accordo intervenuto in
sede governativa, di incidere su situazioni che, diversamente, sarebbero rimaste prive di tutela.
Questo tipo di interventi dimostra
che la disciplina degli ammortizzatori sociali non può più essere concepita — come nel passato — esclusivamente in funzione di eventi di
carattere eccezionale, perché la mobilità sembra piuttosto orientata a
rappresentare una costante del nuovo
mercato del lavoro, da considerare
come un aspetto della fisiologia e
non più come evenienza patologica e
traumatica.
Tuttavia anche queste disposizioni di
«flessibilizzazione» scontano il fatto
di essere settoriali ed episodiche, intese a soccorrere settori produttivi e
categorie professionali che più sono
in grado di far sentire la propria voce, ma così rendono ancor più disomogeneo il quadro complessivo.
Prova ne sia che importanti disposi-
(4) Si rammenta che il beneficio contributivo previsto dall’art. 8 co. 2 l. n. 223/1991 per chi assuma a termine i lavoratori in mobilità, non
si applica ai premi Inail (tale è l’interpretazione autentica fornita dall’art. 68 co. 6 della l. 23 dicembre 2000, n. 388).
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zioni in materia di c.i.g.s. e di indennità di mobilità, aventi carattere generale e quindi un rilievo importante, si trovano disseminate in leggi
settoriali di ampliamento di benefici
a settori fino ad allora esclusi. Ed infatti nella l. 31 luglio 2002, n. 172 di
conversione del d.l. 11 giugno 2002,
n. 108, intesa alla proroga dell’indennità di mobilità ai dipendenti delle imprese del settore petrolchimico,
avente quindi carattere strettamente
settoriale, si è disposto in via generale (art. 1 bis) che se il trattamento
di c.i.g.s. concesso viene successivamente revocato, i lavoratori, cui l’indennità è stata corrisposta direttamente dall’Inps, non sono tenuti alla
restituzione ed il corrispondente periodo è sempre valido ai fini della
contribuzione figurativa.
Va ancora ricordato in tema di cassa
integrazione straordinaria, che la l. n.
427/1980 è stata interpretata autenticamente ad opera dell’art. 44 co. 6 d.l.
n. 269/2003 convertito in l. n.
326/2003, nel senso che vi sono compresi i ratei delle mensilità aggiuntive.
Inoltre con l’art. 1 co. 27 della l. n.
247/2007 si è stabilito che dal 2008
gli aumenti della c.i.g.s. sono determinati in misura pari al 100% dell’aumento derivante dalla variazione
annuale dell’indice Istat dei prezzi al
consumo.
1.3. - La nuova legge delega di riforma degli ammortizzatori sociali: art.
1 co. 28 della l. 24 dicembre 2007, n.
247. — La lunga marcia della tutela
contro la disoccupazione, attraverso
il percorso accidentato che sopra si è
tentato di delineare, dovrebbe finalmente raggiungere la meta della ragionevolezza e dell’omogeneità, se
la delega verrà esercitata. Il tempo è
ormai maturo, ancorché molto dipenderà dalle vicende politiche che
direttamente influiscono sulla materia.
Con l’articolo unico co. 28 della l.
24 dicembre 2007, n. 247 (Norme
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di attuazione del Protocollo del 23
luglio 2007 su previdenza, lavoro e
competitività per favorire l’equità e
la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e
previdenza sociale) è stata conferita infatti una nuova delega per la
riforma degli ammortizzatori sociali per rendere omogenei gli strumenti di protezione a sostegno del
reddito. Ed infatti il più importante
criterio direttivo è: a) la «graduale
armonizzazione dei trattamenti di
disoccupazione e la creazione di
uno strumento unico indirizzato al
sostegno del reddito ed al reinserimento lavorativo dei disoccupati
senza distinzione di qualifica, appartenenza settoriale, dimensione
di impresa e tipologia dei contratti
di lavoro».
Altri criteri sono: b) la modulazione
dei trattamenti di disoccupazione
collegata sia all’età anagrafica dei
lavoratori, sia alle condizioni occupazionali più difficili del Mezzogiorno, sia anche alla condizione femminile; c) la progressiva estensione ed
armonizzazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, con
modalità diverse a seconda degli interventi da attuare, che determinino
la sospensione dell’attività lavorativa; d) la copertura figurativa durante
i periodi di disoccupazione.
Al governo è concesso il termine di
un anno per intervenire con uno o
più decreti legislativi.
Ne consegue che lo strumento di tutela resta duplice, articolandosi in un
unico trattamento di disoccupazione
destinato al sostegno del reddito
(che prescinde dalla natura e dal settore delle imprese di appartenenza
ed anche dal tipo di contratto di lavoro) da introdurre però con una armonizzazione graduale, e quindi si
vedrà con il decreto legislativo come
questa graduazione verrà attuata. In
ogni caso dovrebbe scomparire l’indennità di mobilità. L’altro strumento è la cassa integrazione, nei casi
quindi di sospensione del lavoro, per
la quale viene parimenti prevista la
estensione e armonizzazione in maniera graduale. Tuttavia per la cassa
integrazione si prefigurano diversità
a seconda degli interventi da attuare
(verosimilmente distinguendo tra sospensione per crisi e sospensione per
ristrutturazione) e si dispone anche,
per la prima volta, che la cassa possa essere concessa in caso di interventi di prevenzione, protezione e risanamento ambientale.
Inoltre, sembra che il legislatore rivendichi a sé tutta la strumentazione
in materia, di talché non dovrebbero
residuare spazi di intervento per
l’autorità governativa, con conseguente implicita abrogazione delle
disposizioni che sopra si sono indicate che delegano al decreto ministeriale a provvedere in materia di
c.i.g.s. e mobilità anche in deroga
alla legge. Importante è anche il
principio della copertura figurativa
durante i periodi di godimento dell’indennità di disoccupazione, copertura che dovrebbe essere integrale, a differenza di quanto previsto
nelle ultime norme in materia (cfr.
punto 2.2).
1.4. - Le più recenti applicazioni
giurisprudenziali. — In tema di indennità di mobilità va ricordata la
giurisprudenza di legittimità (Cass.
Sez. Un. 6 giugno 2002, n. 17389),
secondo cui, poiché l’indennità di
mobilità tiene luogo di ogni altra
prestazione di disoccupazione e
stante il rinvio che il co. 12 dell’art.
7 della l. n. 223/1991 opera, in relazione alla mobilità, alla disciplina
della assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, l’indennità di
mobilità spetta solo in caso di domanda avanzata entro il termine decadenziale di cui agli artt. 73 e 77
della l. n. 1155 del 1936, previsto
per la indennità di disoccupazione.
Ha affermato la giurisprudenza di legittimità (Cass. 21 ottobre 2000, n.
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13931; n. 4214 del 14 maggio 1997)
che il diritto all’indennità di mobilità
dei lavoratori espulsi a seguito di licenziamento collettivo non presuppone necessariamente che l’impresa
abbia goduto preventivamente della
c.i.g.s., giacché è già nell’impianto
della fondamentale l. n. 223/1991
che a fronte dell’estinzione del rapporto di lavoro, l’indennità sia preordinata a soccorrere nella difficile fase successiva al licenziamento, a
prescindere dalla preventiva spettanza della c.i.g.s. che poteva ben essere esclusa per mancanza della condizione della ristrutturazione aziendale
cui la medesima è subordinata, di
talché la disposizione di cui all’art. 7
co. 7 l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito nella l. n. 236/1993, ha solo
funzione esplicativa e confermativa
di quanto già previsto dalla l. n.
223/1991.
Quanto poi alla indennità di mobilità
ai dipendenti delle imprese commerciali con oltre 50 dipendenti, dal momento che il limite numerico di 200
addetti (originariamente stabilito
dall’art. 12 co. 3 l. n. 223/1991) è
stato ridotto (ma solo per un certo
periodo) a 50 dall’art. 7 co. 7 d.l. 20
maggio 1993, n. 148 convertito dalla
l. n. 236/1993, la giurisprudenza di
legittimità ha affermato (la già citata
Cass. n. 13931/2000) che se l’impresa rientri tra i destinatari del trattamento solo per effetto dell’entrata in
vigore della citata l. n. 236/1993
(che ha operato tale riduzione) il
trattamento medesimo spetta solo se
l’attivazione della procedura di mobilità è intervenuta dopo l’entrata in
vigore della disposizione di riduzione (11 maggio 1993).
Sempre a proposito di aziende commerciali con meno di 50 addetti, è
stato escluso il diritto alla c.i.g.s. per
i dipendenti di una società di servizi
nonostante il suo formale inquadramento nelle società commerciali, es-
sendosi ritenuto (Cass. n. 4375 del 2
marzo 2005) che il citato art. 7 co. 7
del d.l. n. 148/1993, convertito nella
l. n. 236/1993, non sia applicabile in
via analogica o estensiva (5).
Quanto alla misura dell’indennità di
mobilità, è ormai orientamento consolidato quello per cui la medesima
non è passibile di aggiornamenti.
Si è infatti affermato, tra le tante
Cass. n. 15902 del 14 agosto 2004
che il criterio di adeguamento automatico posto dall’art. 1, co. 5, del
d.l. 16 maggio 1994, n. 299, convertito in l. 19 luglio 1994, n. 451, riguarda unicamente il trattamento
straordinario di integrazione salariale e solo indirettamente, quanto alla
rivalutabilità dei massimali del relativo trattamento, incide anche sull’indennità di mobilità, secondo una
scelta di politica sociale del legislatore, che ha inteso offrire al lavoratore collocato in cassa integrazione
(ancora occupato in un’azienda in
crisi ovvero soggetta a processi di
ristrutturazione) una tutela leggermente maggiore rispetto a quella assicurata al lavoratore in mobilità
(disoccupato e avviato ad un possibile collocamento, seppur differenziato perché disciplinato in termini
più favorevoli), la cui compatibilità
con gli artt. 3 e 38 Cost. è stata affermata da Corte cost. n. 184 del
2000, rilevandosi che la differenziazione risponde a una scelta discrezionale del legislatore e che non vi è
un’esigenza costituzionale che imponga la rivalutabilità dell’indennità
di mobilità oltre alla rivalutazione
dei suddetti massimali. È ben vero
che l’art. 45 co. 1 lett. r) della l. n.
144 del 17 maggio 1999, conteneva
la delega al governo a introdurre l’adeguamento annuale nella misura
dell’80% dell’indennità di mobilità,
ma la normativa delegata non fu mai
emanata (cfr. d.lgs. 21 aprile 2000,
n. 181 che all’art. 5 conferma che
continuano a trovare applicazione le
disposizioni vigenti in tema di trattamenti previdenziali in caso di disoccupazione, ivi compresa la disciplina dell’indennità di mobilità, di
cui all’art. 7 della l. 23 luglio 1991,
n. 223).
Si è affermato inoltre (Cass. n. 2555
del 7 febbraio 2006) che è illegittima
la sospensione continuativa dal lavoro per messa in c.i.g.s., disposta dal
datore sia pure per esigenze sopravvenute, qualora l’accordo sindacale
prevedeva solo sospensioni settimanali.
2. - Le novità in tema di indennità di
disoccupazione: dalla l. n. 80/2005
alla l. n. 247/2007.
2.1. - Come già rilevato, il legislatore per addivenire alla omogeneizzazione dei trattamenti di tutela del
reddito in caso di perdita del posto di
lavoro, così anticipando il progetto
di riforma degli ammortizzatori sociali (di cui alla legge delega
247/2007 sopra citata), è intervenuto
già da qualche tempo a introdurre
delle innovazioni sull’indennità di
disoccupazione.
La maggiore novità si trova all’art.
13 co. 7 l. n. 80 del 14 maggio 2005,
di conversione del d.l. n. 35 del 14
marzo 2005, e concerne il diritto all’indennità di disoccupazione, che
spetta non più solo ai «disoccupati»,
ma anche ai lavoratori sospesi dal
lavoro « in conseguenza di situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato. Per conseguire detta prestazione sono richiesti i requisiti previsti dalla normativa risalente per l’indennità di
disoccupazione normale, come fissati dall’art. 19 co. 1 r.d.l. 14 aprile
1939, n. 636, convertito in l. 6 luglio
1939, n. 1272. Questa disposizione
realizza un intervento, del tutto si-
(5) BOER, Il trattamento di mobilità non spetta alle imprese di servizi ancorché inquadrate dall’art. 49 l. n. 88/89 nel settore terziario,
unitamente alle imprese commerciali, in questa rivista 2005, 573.
196
Marzo 2008 • n. 3
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
mile a quello previsto dalla cassa integrazione ordinaria, per i lavoratori
che non hanno diritto a questo beneficio (di cui, secondo la l. n.
223/1991, godono, come già detto,
fondamentalmente, solo i dipendenti da aziende industriali con oltre
quindici dipendenti) ed infatti il successivo co. 9 ne esclude l’applicazione ai lavoratori dipendenti da
aziende destinatarie dei trattamenti
di integrazione salariale. Si rimette
poi ad un decreto ministeriale (co.
11) di definire quali siano le situazioni aziendali dovute ad eventi
transitori, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato, ed
è quindi la discrezionalità nell’ammissione a questo beneficio che lo
differenzia rispetto alla cassa integrazione ordinaria. La disciplina è
stata però modificata, per l’anno
2008, dall’articolo unico co. 84 della l. n. 247/2007, nel senso che detta
indennità è riconosciuta ai lavoratori sospesi dal lavoro solo nei casi in
cui vi siano state intese stipulate in
sede istituzionale territoriale tra le
parti sociali, recepite con decreto
ministeriale. Lo strumento è analogo
a quello già ricordato al punto 1.2. in
materia di concessione della cassa
integrazione anche in deroga alla
legge.
Ne consegue che la flessibilizzazione degli interventi sia per la cassa integrazione sia per l’indennità di disoccupazione in caso di sospensione
dal lavoro, viene conseguita attraverso lo strumento delle intese tra le
parti sociali poi avallata dal decreto
ministeriale.
Il medesimo art. 13 co. 9 della l. n.
80/2005 esclude poi il diritto a detta
indennità di disoccupazione nei casi
di contratti di lavoro a tempo indeterminato con sospensioni lavorative
programmate e di contratti di lavoro
a tempo parziale verticale, ricordandosi che per questi ultimi la giuri-
sprudenza (Cass. Sez. Un. n. 1732
del 6 febbraio 2003) aveva già negato il diritto alla indennità di disoccupazione «classica».
3. - Le novità in tema di mercato del
lavoro, dal d.lgs. n. 469/1997 alla l.
n. 247/2007: un percorso non ancora terminato.
2.2. - Ed ancora l’art. 13 co. 2 lett. a)
della citata l. n. 80/2005 eleva la durata della indennità di disoccupazione ordinaria con i requisiti normali,
che per i trattamenti in pagamento
tra il primo aprile 2005 ed il 31 dicembre 2006 (ma la disposizione è
stata estesa anche ai trattamenti in
pagamento dal 1º gennaio 2007 ad
opera dell’articolo unico co. 1167
della l. n. 296/2006) viene elevata a
sette mesi per gli infracinquantenni e
a 10 mesi per chi abbia i 50 anni
compiuti; la contribuzione figurativa
tuttavia rimane riconosciuta solo, rispettivamente, per 6 e 9 mesi, mentre l’importo del trattamento, pari al
50% della retribuzione per i primi 6
mesi, si abbassa al 40% tra il settimo
ed il nono mese, ed al 30% per il periodo residuo.
3.1. - Il mercato del lavoro italiano è
stato negli ultimi anni profondamente modificato sia dal punto di vista
delle competenze istituzionali tra i
vari livelli di governo centrale e territoriale, sia dal punto di vista delle
regole di funzionamento (6).
Vi è stato un lungo percorso, durato
più di venti anni, mirato essenzialmente ad erodere e demolire la tradizionale impostazione burocratica del
vecchio sistema del collocamento,
che non agevolava l’incontro tra domande ed offerta di lavoro, ma era
solo inteso a svolgere una intermediazione passiva, di semplice registrazione ed autorizzazione di quell’incontro, fino ad arrivare alla esplicita concezione del collocamento
come servizio.
Si consideri che (come più oltre si
vedrà) era venuta meno la funzione
centrale riservata ai servizi pubblici
per l’impiego, e cioè il controllo preventivo sulle assunzioni, che era sancito dall’art. 13 della l. 29 aprile
1949, n. 264 per cui chiunque intendesse assumere lavoratori doveva
farne richiesta al competente Ufficio
nella circoscrizione di svolgimento
dei lavori. Disposizione questa che,
rimasta in vigore per oltre quaranta
anni, aveva dato luogo ad un nutritissimo contenzioso, in sede di opposizione ad ordinanze ingiunzioni con
cui si sanzionava la sua mancata ottemperanza.
2.3. - Da ultimo con l’art. 1 co. 25
della l. 24 dicembre 2007, n. 247,
dal 1º gennaio 2008 la durata del
trattamento è elevata ad otto mesi
per i soggetti di età inferiore ai cinquanta anni e a dodici mesi per i
cinquantenni ed ultra cinquantenni;
la novità ulteriore è che la contribuzione figurativa è riconosciuta per
l’intero periodo di percezione del
trattamento, e la misura è pari al
60% della retribuzione per i primi
sei mesi, mentre si riduce al 50% al
settimo e ottavo mese, ed al 40% per
i mesi residui (questa è dunque la
disciplina allo stato vigente). Questi
incrementi di misura e di durata non
si applicano però né per la disoccupazione agricola, né per l’indennità
acquisita con i requisiti ridotti di cui
all’art. 7 co. 3 d.l. 21 marzo 1988, n.
86, convertito in l. 20 maggio 1988,
n. 160.
3.2. - È noto che attualmente, in forza del d.lgs. n. 469 del 23 dicembre
1997, emanato a norma della l. 15
marzo 1997, n. 59, sono stati conferiti alle regioni ed agli enti locali le
funzioni e i compiti in materia di
mercato del lavoro.
(6) P. TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in «Arg. dir. lav.» 2005, 137.
Marzo 2008 • n. 3
197
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
Secondo la Corte costituzionale e la
maggioranza degli autori, a seguito
della riforma costituzionale del
2001, la materia dei servizi per l’impiego e per le politiche attive del lavoro è attribuita alla competenza legislativa concorrente, per cui spetta
allo Stato solo la normazione di
principio, riservando alle regioni di
emanare la normativa di dettaglio
(7). Il sistema prevede dunque il
conferimento alle regioni ed alle
province delle funzioni relative al
collocamento (ordinario, agricolo,
obbligatorio, liste di mobilità ai sensi dell’art. 2 co. 1 del d.lgs. n.
469/97) ed alle politiche attive del
lavoro, ai sensi del successivo co. 2
dello stesso articolo. I vecchi uffici
di collocamento non erano infatti
idonei a rispondere alle necessità del
mercato del lavoro, inoltre è noto
che la Corte di giustizia con due sentenze del 1991 e del 1997 (le sentenze 23 aprile 1991, causa 41/90 Ma. e
11 dicembre 1997, causa c-55/96 Jo.
Ce.) giudicò il monopolio pubblico
del collocamento contrario alla disciplina europea sulla concorrenza,
in particolare quando gli uffici cui è
demandato il servizio non fossero
manifestamente in grado di soddisfare la domanda presente sul mercato. La seconda sentenza (riferita
proprio al caso italiano) accomunava
nel giudizio di contrarietà all’ordinamento comunitario, tanto il divieto
di intermediazione tanto il divieto di
interposizione.
Le funzioni relative al collocamento
ed alle politiche attive del lavoro
vennero attribuite, dal d.lgs. n.
469/1997, alle province attraverso i
«centri per l’impiego» (art. 4 co. 1
lett. e)), senza però precisare cosa
queste strutture pubbliche dovessero
fare, non prevedendo neppure standard minimi di funzionamento.
Nel contempo l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro
veniva aperta ai privati (art. 10).
3.3. - Il citato d.lgs. n. 469/1997 è
stato poi modificato ad opera del
d.lgs. 21 aprile 2000, n. 181, in cui
lo stato di disoccupazione non fu più
ricollegato alla semplice iscrizione
nelle liste del collocamento, definendosi lo stato di disoccupazione come
(art. 2) «la condizione del disoccupato (con precedenti lavorativi) o
dell’inoccupato (senza precedenti lavorativi) che sia immediatamente disponibile allo svolgimento di un’attività lavorativa». Vennero previste
anche interviste periodiche, colloqui
di orientamento ecc. nonché (art. 4)
la perdita dello stato di disoccupazione nei casi di mancato adempimento ad alcuni obblighi. Seguiva il
regolamento recante norme per la
semplificazione del collocamento,
emanato con d.p.r. n. 442 del 7 luglio 2000, in cui veniva introdotto
l’elenco anagrafico delle persone in
cerca di occupazione, gestito a livello nazionale dal Sil.
Seguì ancora il d.lgs. n. 297 del 19
dicembre 2002 emanato a modifica
del precedente d.lgs. 181/2000 (in
attuazione dell’art. 45 co. 1 lett. a)
della l. 17 maggio 1999, n. 144), il
quale, allo stato, reca la disciplina
fondamentale del collocamento.
Detto decreto ha previsto: (art. 2 co.
3) la soppressione delle vecchie liste di collocamento ordinarie e speciali (con l’eccezione delle liste di
mobilità, quelle dei disabili e quella
dei lavoratori dello spettacolo), alle
quali si sostituisce ore un «elenco
anagrafico» in cui vengono iscritti i
soggetti in possesso dell’età per
prestare lavoro che sono in stato di
disoccupazione o che intendono
cambiare lavoro; la verifica ad opera dei servizi competenti della effettiva permanenza dello stato di disoccupazione (art. 3 co. 4), nonché i
casi in cui si perde, ovvero viene sospeso lo stato di disoccupazione
(art. 5) (8). Il medesimo d.lgs. n.
297/2002 abroga infine espressamente la disciplina del collocamento ordinario di cui alla l. 29 aprile
1949, n. 264 (art. 8 lett. b)), nonché
il collocamento in agricoltura di cui
al d.l. 3 febbraio 1970 n. 7 convertito in l. 11 marzo 1970, n. 83 (art. 8
lett. f )).
3.4. - Indi l’organizzazione e la disciplina del mercato del lavoro si
trovano ancora regolamentata nel
d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276,
emesso in forza della delega di cui
alla l. 14 febbraio 2003, n. 30 (e successivamente parzialmente modificato ad opera del d.lgs. 6 ottobre
2004, n. 251), il quale con gli artt. da
4 a 19 disciplina il regime di autorizzazione e di accreditamento dei privati, per svolgere le attività di somministrazione, intermediazione e ricerca e selezione del personale, attraverso le agenzie per il lavoro,
nonché (art. 15) attraverso la borsa
continua nazionale del lavoro, quale
sistema aperto e trasparente per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Attraverso queste disposizioni cam-
(7) La Strategia europea per l’occupazione (Seo) si compone di diversi documenti che si iscrivono nell’ambito del soft law e che dunque
possono legittimare politiche sociali diverse (S. BORELLI, Riforma del mercato del lavoro e diritto europeo: normativa antidiscriminatoria sugli aiuti di stato, in «Dir. lav. rel. ind.» 2005, 106).
(8) Dispone l’art. 5 del d.lgs. n. 297/2002 che sono le regioni che devono stabilire i criteri per l’adozione di procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione, sulla base dei seguenti principi: si conserva lo stato di disoccupazione se si svolge attività lavorativa tale da assicurare un reddito inferiore a quello personale minimo escluso da imposizione; si perde lo stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente, oppure in caso di rifiuto ingiustificato di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno o a termine superiore ad otto mesi, mentre lo stato di disoccupazione viene
semplicemente sospeso in caso di accettazione di offerta di lavoro inferiore ad otto mesi.
198
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Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
bia quindi il sistema del collocamento:
a) perché questo viene ad articolarsi
sulla base di un complesso sistema
di organismi pubblici (servizi per
l’impiego e borsa continua nazionale di lavoro) e privati (agenzie per
l’impiego, ma anche università e
fondazioni universitarie, nonché i
comuni singoli o associati, ed anche
le camere di commercio e gli istituti
di scuola secondaria di secondo grado), che debbono collaborare tra loro (le modalità di raccordo saranno
stabilite in sede di riforma degli ammortizzatori sociali ex art. 5 co. 2
d.lgs. n. 181/2000);
b) perché è previsto che detti organismi debbano offrire standard minimi
di servizio, diventando veicoli di politiche attive e formative, costituendo strutture in grado, almeno astrattamente, di svolgere un ruolo di promozione e nel contempo di raccolta/filtro delle opportunità di impiego, proponendo una gamma di azioni che vanno da quelle più tradizionali dell’informazione, a quelle dell’orientamento, della formazione e
della consulenza;
c) perché lo status di disoccupato
non richiede esclusivamente un generico interesse a lavorare, dichiarato una tantum, com’era con il vecchio sistema, che aveva indotto vari
giovani ad iscriversi per ottenere i
benefici tradizionalmente legati allo
status di iscritto al collocamento, ma
una continua ricerca attiva di un lavoro, introducendo una sorta di «patto di servizio» tra il disoccupato e
l’ufficio competente (9);
d) perché lo stato di disoccupazione
si conserva anche nel caso di svolgimento di attività lavorativa (anche a
carattere autonomo) le quali assicurino la percezione di un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizio-
ne (art. 4 lett. A), d.lgs. n. 181/2000,
come sostituito dall’art. 5 d.lgs. n.
297/2002).
Vi è da rilevare che l’ampliamento
dei soggetti che intervengono per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro è stato accolto con favore da taluni commentatori, in
quanto diretto ad un modello di mercato del lavoro aperto, diversificato e
policentrico, mentre per altri (10)
l’immissione indiscriminata di tanti
nuovi organismi abilitati a svolgere
tale attività renderà più difficile la
nascita di soggetti in grado di operare professionalmente.
Infine l’art. 5 del già citato d.lgs. n.
181/2000 precisa che in attesa della
riforma degli ammortizzatori sociali
continuano a trovare applicazione le
disposizioni vigenti in tema di trattamenti previdenziali in caso di disoccupazione, ivi compresa l’indennità
di mobilità di cui all’art. 7 della l. n.
223/1991, per cui si dovrebbe concludere che la modifica del sistema
del collocamento non incide sulle
prestazioni di disoccupazione, purché sia accertato, alla luce del nuovo
sistema descritto, lo «stato di disoccupazione».
3.5. - L’assetto così configurato sembrava ormai definitivo, allorquando
il legislatore con l’art. 1 co. 30 della
già citata l. n. 247/2007, ha conferito la delega al Governo di riordinare
la materia dei servizi per l’impiego e
degli incentivi all’occupazione, dettando, tra l’altro, come criteri direttivi, la valorizzazione delle sinergie
tra servizi pubblici e agenzie private
(co. 31 lett. b)), nonché la revisione
e semplificazione delle procedure
amministrative (lett. e)).
La necessità del previsto riordino
dei servizi per l’impiego, si coglie,
nello spirito della legge, esaminando l’art. 29 lett. h), in cui uno dei
criteri direttivi per la delega della
riforma degli ammortizzatori sociali, è quello di potenziarli per collegare l’erogazione delle prestazioni
di disoccupazione a percorsi formativi e di inserimento lavorativo, rendendo più stretto il collegamento
con gli enti deputati al pagamento
delle prestazioni di disoccupazione
(che verosimilmente potranno procedere alla revoca del beneficio in
caso di rifiuto). Si riconferma così
che lo stato di disoccupazione verrà
finalmente tutelato in maniera omogenea, ma la tutela sarà condizionata alla sottoposizione alla attività di
formazione, la quale però non potrà
dipendere solo dalla disponibilità
del lavoratore, ma soprattutto alla
efficienza del sistema dei servizi per
l’impiego.
4. - Le novità in tema di modalità di
assunzione: dalla l. n. 264/1949 alla
finanziaria 2007.
4.1. - Il sistema di assunzione prefigurato dalla l. n. 264 del 1949, per
cui chi intendeva assumere lavoratori doveva farne richiesta all’ufficio di
collocamento tramite richiesta numerica, fu modificato in primo luogo
dall’art. 25 co. 1 della l. n. 223/1991,
che liberalizzò la chiamata nominativa.
Ma si tratta, come si è detto, di un
lento percorso, durato più di venti
anni, mirato essenzialmente ad erodere e demolire la tradizionale impostazione burocratica del vecchio sistema del collocamento.
Dopo la non trascurabile innovazione sulla legittimità della chiamata
nominativa, è sopraggiunta la rivoluzione vera e propria sulla legittimità
della assunzione diretta, senza passare per il tramite di organismi pubblici (né dei nuovi organismi privati
cui sopra si è fatto cenno).
(9) PIRRONE, SESTILIO, Dal collocamento pubblico ai servizi per l’impiego: dieci anni di evoluzione normativa per una «riforma incompiuta», in «Dir. rel. ind.» 2006, 3.
(10) GAROFALO, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, in «Riv. giur. lav.» 2005, I, 359 e ss.
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Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
4.2. - Ed infatti l’art. 9 bis della l. 28
novembre 1996, n. 608, di conversione del d.l. 1° ottobre 1996, n. 510
(ultimo di una lunghissima serie di
decreti non convertiti), facoltizzava
alla assunzione diretta dei lavoratori,
solo imponendo al datore di darne
comunicazione alla sezione circoscrizionale per l’impiego entro cinque giorni dall’assunzione (co. 2). Il
medesimo art. 9 bis conteneva poi, ai
commi successivi, obblighi di comunicazione al lavoratore delle condizioni di lavoro. La normativa sopravvenuta ha modificato sia gli obblighi
di comunicazione della assunzione
alle strutture competenti, sia gli obblighi nei confronti del lavoratore,
dal momento che il sistema delle assunzioni non poteva non risentire
delle innovazioni apportate al sistema del collocamento, di qui la necessità di armonizzare l’una disciplina con l’altra.
4.3. - Ed infatti il citato art. 9 bis della legge del 1996 fu modificato dall’art. 6 co. 2 del già citato d.lgs. n.
297/2002, che, da una parte, confermò il principio dell’assunzione
diretta per qualsiasi tipologia di rapporto di lavoro (anche di lavoro autonomo), ma dall’altra rese più stringente il controllo, eliminando «il termine dei cinque giorni» ed imponendo la «contestuale» comunicazione
al servizio competente (ossia ai centri per l’impiego di cui all’art. 4 del
d.lgs. 469/1997, ovvero ai centri privati autorizzati o accreditati, cfr. art.
1 lett. g) d.lgs. n. 297/2002).
Il medesimo d.lgs. n. 297/2002 (art.
6 co. 1 che ha inserito, dopo l’art. 4
del d.lgs. 21 aprile 2000, n. 181,
l’art. 4 bis) ha disposto altresì che all’atto dell’assunzione il datore è tenuto a consegnare al lavoratore una
dichiarazione sottoscritta contenente
i dati di registrazione effettuata nel
libro matricola (contestualmente
abrogando all’art. 8 la legge sulla
istituzione del libretto di lavoro 10
gennaio 1935, n. 112).
4.4. - Attualmente la disposizione è
stata ancora modificata ad opera dell’articolo unico co. 1180 della l. n.
296/2006, che impone che la comunicazione al servizio competente
(con i dati anagrafici del lavoratore,
la tipologia e la qualifica professionale, nonché il trattamento economico e normativo) debba avvenire entro il giorno «antecedente» a quello
di instaurazione del rapporto, mediante documentazione avente data
certa di trasmissione. La finalità della disposizione, a cui si aggiunge
l’obbligo di comunicazione all’Inail
dell’avvenuta assunzione (co. 1182),
è stata adottata a seguito degli infortuni sul lavoro verificatisi ultimamente nel «primo giorno» di prestazione lavorativa, quando il datore assumeva di essere «ancora in tempo»
per effettuare la comunicazione, ancorché, per la verità, per le aziende
edili vigesse già l’obbligo di dare le
comunicazioni di legge il giorno antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro mediante documentazione avente data certa (art. 36 bis
co. 6 d.l. n. 223/2006, convertito in l.
n. 248/2006).
4.5. - Nel vigore del testo originario
dell’art. 9 bis della citata l. n.
608/1996, che autorizzava appunto
la chiamata diretta, senza passare per
il tramite del collocamento, alcuni
autori (11) si chiedevano come poteva essere attuato l’obbligo di riserva
previsto dall’art. 25 co. 1 delle l. n.
223/1991, che imponeva ai datori
con oltre dieci dipendenti, di riservare il dodici per cento delle assunzioni ad alcune tipologie di lavoratori,
ossia a quelli iscritti nelle liste di
mobilità ed a quelli iscritti da oltre
due anni nella prima classe delle li-
ste di collocamento. Obbligo la cui
violazione veniva pure ad essere
sanzionata dal co. 7 dell’art. 9 bis citato.
Il problema pare essere stato risolto
dalla abrogazione del citato co. 1
dell’art. 25 della l. n. 223/1991, ad
opera dell’art. 8 della l. n. 297/2002,
di talché non dovrebbe essere più vigente il predetto obbligo di riserva,
disponendosi solo (art. 6 co. 3 di
quest’ultimo testo normativo) che le
regioni possano prevedere che una
quota delle assunzioni effettuate dai
datori di lavoro privati sia riservata a
particolari categorie di lavoratori a
rischio di esclusione sociale. Cessa
dunque così il vantaggio della collocazione in mobilità che dava diritto
alla precedenza nelle assunzioni.
4.6. - Va precisato che l’iscrizione (a
domanda) nelle liste di mobilità, con
il correlativo diritto di precedenza
nelle assunzioni, era stato esteso anche ai lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo connesso a
riduzione, trasformazione o cessazione di attività da imprese con meno di quindici dipendenti, che quindi
non avevano diritto alla indennità di
mobilità (art. 4 d.l. 20 maggio 1993,
n. 148, convertito in l. 19 luglio
1993, n. 236, prorogato da art. 2 d.l.
11 giugno 2002, n. 108, convertito in
l. 31 luglio 2002, n. 172).
4.7. - Va ancora considerato che detta normativa non trova applicazione
per le pubbliche amministrazioni e
per il loro personale, così prevede
l’art. 1 co. 2 del già citato d.lgs. n.
276/2003. Infatti per i lavoratori, per
i quali non è richiesto titolo di studio
superiore a quello della scuola dell’obbligo, vige tuttora il sistema di
assunzione tramite liste di collocamento secondo l’ordine delle graduatorie (art. 16 l. n. 56 del 28 febbraio
1987, come modificato dall’art. 4
(11) L. MONTUSCHI, Appunti esegetici sulla riforma del collocamento, in «Lav. giur.» 1997, 993.
200
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PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
della l. n. 160 del 20 maggio 1988, di
conversione del d.l. 21 marzo 1988,
n. 86), disciplina confermata dall’art.
35 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165,
co. 1 lett. b) per cui le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche avvengano «mediante avviamento degli
iscritti nelle liste di collocamento ai
sensi della legislazione vigente per le
qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola
dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche
professionalità» (12).
4.8. - Va infine aggiunto che con
d.p.r. n. 231 del 18 aprile 2006 è stato emanato il regolamento recante la
disciplina del collocamento della
gente di mare, a norma dell’art. 2 co.
4 del già citato d.lgs. n. 297/2002.
5. - Le sanzioni amministrative in
caso di violazione della normativa
sul collocamento.
5.1. — La nuova normativa in materia di collocamento di cui al citato
d.lgs. n. 297/2002 non vedeva un apparato sanzionatorio al suo interno,
ed infatti l’innovazione di maggior
rilievo, e cioè l’obbligo, in caso di
assunzioni, di «contestuale» comunicazione al servizio per l’impiego
competente, veniva modellata come
modifica alla precedente disciplina
di cui all’art. 9 bis co. 2 della l. n.
608/1996 (che concedeva invece il
termine dei cinque giorni), per cui
implicitamente valeva l’apparato
sanzionatorio previsto dalla medesima legge del 1996. Le sanzioni amministrative per le violazioni alle
nuove regole introdotte dal d.lgs. n.
297/2002 furono comminate succes-
sivamente dall’art. 19 del d.lgs. n.
276 del 10 settembre 2003, di «Attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro di
cui alla l. 14 febbraio 2003, n. 30».
Detto art. 19 prevede sanzioni distinte a seconda che la violazione riguardi l’obbligo di consegna al lavoratore della dichiarazione sottoscritta dal datore, ovvero che la violazione riguardi la comunicazione ai
competenti servizi per l’impiego.
5.2. - Non vi è dubbio che queste
sanzioni si applichino ai comportamenti contra legem posti in essere
«successivamente» all’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 276/2003
(mentre non sembra che ai medesimi
si applichi il co. 177 dell’articolo
unico della l. n. 296/2006, che quintuplica le sanzioni amministrative
entrate in vigore prima del 1º gennaio 1999, perché detto aumento non
sembra riferirsi alle violazioni in
materia di collocamento).
Tuttavia, anche prima che il sistema
del collocamento venisse modificato, la precedente normativa, cui sopra si è fatto cenno, e cioè l’art. 9 bis
della l. n. 608/1996, prevedeva, al
co. 3 (norma espressamente abrogata dall’art. 85 lett. e) del d.lgs. n.
276/2003 a partire dalla data di entrata in vigore del medesimo d.lgs.)
le sanzioni amministrative conseguenti alla violazione sia dell’obbligo del datore di comunicare, entro
cinque giorni, alla sezione circoscrizionale per l’impiego, l’assunzione
del lavoratore, sia dell’obbligo di
consegna a quest’ultimo della dichiarazione sottoscritta contenente i
dati della registrazione nel libro matricola.
5.3. - Sarebbe ragionevole pensare
che detto apparato sanzionatorio di
cui alla l. n. 608/1996 sia rimasto in
vigore fino alla riforma del collocamento attuata con la normativa sopra
illustrata, per la quale, come già rilevato, il d.lgs. n. 276/2003 ha predisposto sanzioni amministrative corrispondenti alle nuove regole (come
detto abrogando peraltro espressamente, all’art. 85 lett. e), quelle corrispondenti alla normativa precedente).
Ma non è così, perché la l. 23 dicembre 2000, n. 388 all’art. 116 co.
12 ha disposto l’abolizione di tutte le
sanzioni amministrative relative «a
violazioni di norme sul collocamento di carattere formale». Il problema
è quindi quello di stabilire quale sia
l’ambito di operatività di questa
«abolizione», e cioè quali siano le
violazioni di norme sul collocamento di carattere formale di cui alla l. n.
608/1996, poste in essere dal 1º gennaio 2001 (data di entrata in vigore
della legge di abolizione n.
388/2000) fino alla data di entrata in
vigore delle nuove disposizioni sul
collocamento (ossia, approssimativamente, per il periodo dal 2001 al
2003).
Non si dubita infatti che per le violazioni poste in essere prima dell’entrata in vigore della citata l. n.
608/96, l’abolizione non operi (tale è
l’indirizzo ormai consolidato della
giurisprudenza di legittimità, tra le
tante Cass. 26 settembre 2005, n.
18761 e 4 agosto 2005, n. 16422).
Per quelle commesse dopo, ossia dal
2001 in poi, l’orientamento prevalente in dottrina (13) è quello di limitare il raggio di abolizione delle
sanzioni amministrative alle viola-
(12) La Corte costituzionale, con la sentenza n. 65 del 1999, ha rilevato che «ai sensi dell’art. 23 d.p.r. 9 maggio 1994, n. 487, richiamato dall’art. 45 co. 31 d.lgs. n. 80/98, l’ordine di precedenza fra classi aspiranti al collocamento (lavoratori disoccupati o occupati a tempo
parziale, occupati che vogliano mutare settore lavorativo, pensionati) dettato dall’art. 10 l. n. 56/87, mentre costituisce disciplina pressoché superata per i rapporti di lavoro privato, segnati da una quasi completa generalizzazione della chiamata diretta e dall’eliminazione del
monopolio pubblico sull’avviamento, vige tuttora per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, che devono reclutare il personale delle fasce di minore professionalità, attraverso selezioni fra gli iscritti nelle liste di collocamento avviati secondo l’ordine di graduatoria risultante dalle liste delle sezioni circoscrizionali per l’impiego territorialmente competenti»).
(13) Cfr. ad esempio ALBERTI, Nuovo regime sanzionatorio per le violazioni previdenziali, in «Dir. prat. lav.» 2001, 267 e ss.
Marzo 2008 • n. 3
201
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
zioni di carattere meramente formale, ossia a quelle meramente incomplete, che non determinano una lesione, nella sostanza, del bene giuridico tutelato, che è quello di assicurare il controllo e la gestione dei
flussi di manodopera, nonché, per
quanto riguarda la posizione individuale del lavoratore, la trasparenza
delle condizioni di impiego.
5.4. - Non può comunque sottacersi
l’atteggiamento contraddittorio del
legislatore, sicuramente foriero di
complicazioni e contestazioni in sede applicativa, per avere prima esentato da sanzione le violazioni delle
norme sul collocamento di carattere
formale di cui alla l. n. 608/1996, e
poi (senza abrogare l’art. 116 co. 12
della l. n. 388/2000 sulla abolizione)
per avere ripristinato integralmente,
con l’art. 19 del d.lgs. n. 276/2003,
l’apparato sanzionatorio anche in relazione alle violazioni di carattere
formale, sia pure con riguardo alla
nuova disciplina sul collocamento di
cui al d.lgs. n. 297/2002. Il d.lgs. n.
276/2003 infatti punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da
250 a 1.500 euro per ogni lavoratore
interessato, la mancata consegna al
lavoratore della dichiarazione sottoscritta contenente i dati di registrazione effettuata nel libro matricola,
mentre con la più lieve sanzione pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni
lavoratore interessato sono punite sia
la violazione all’obbligo di contestuale comunicazione dell’assunzione al servizio competente, sia la
mancata comunicazione entro cinque giorni di cessazione del rapporto di lavoro.
6. - Le sanzioni amministrative in
materia di lavoro irregolare.
6.1. - Un altro tipo di sanzioni introdotte nell’ordinamento ha dato luogo all’intervento della Corte costituzionale.
202
La l. 18 ottobre 2001, n. 383 detta
norme per incentivare l’emersione
dell’economia sommersa, ossia per
promuovere la regolarizzazione dei
rapporti di lavoro che non rispettano
le norme fiscali e previdenziali, mirando a far rientrare nella legalità datori di lavoro ed anche i lavoratori
che altrimenti sarebbero rimasti privi di tutela assicurativa. Si tratta di
norme che prevedono notevoli agevolazioni fiscali e contributive per
coloro che emergono «dal nero»,
comminando però gravi sanzioni per
coloro che restano nella situazione
di illegalità.
Si consideri, per apprezzare la convenienza della emersione, anche per
quanto concerne gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro «in nero»,
che — secondo l’aggiunta introdotta
dall’art. 3 del d.l. 22 febbraio 2002,
n. 12, convertito in l. 23 aprile 2002,
n. 73 (come ulteriormente modificato dall’art. 1 co. 1 d.l. 25 settembre
2002, n. 210, convertito in l. 22 novembre 2002, n. 266) — l’adesione
da parte del lavoratore al programma
di emersione, tramite sottoscrizione
di specifico atto di conciliazione, ha
efficacia novativa del rapporto di lavoro emerso e produce, relativamente ai diritti di natura retributiva e risarcitoria per il periodo pregresso,
gli effetti conciliativi ai sensi degli
artt. 410 e 411 c.p.c. Quindi l’adesione al programma di emersione
preclude al lavoratore di rivendicare
diritti per il periodo in cui il rapporto è stato irregolare. Disposizione
analoga si trova nella legge finanziaria per il 2007 (n. 296/2006) articolo
unico co. dal 1192 a 1198, i quali
hanno introdotto un nuovo un condono, da chiedere entro il settembre
2007, per favorire l’emersione del
lavoro irregolare, ossia non risultante da scritture o da altra documentazione obbligatoria. La condizione
cui il condono è subordinato è la stipulazione di un accordo aziendale o
territoriale con le organizzazioni sin-
dacali, che disciplini la regolarizzazione mediante la stipula di contratti
di lavoro subordinato, e con il quale
si promuove la sottoscrizione di atti
di conciliazione individuale che producono l’effetto conciliativo di cui
agli artt. 410 e 411 c.p.c. con riferimento ai diritti di natura retributiva.
Si consideri, co. 1196, che la regolarizzazione è consentita con il pagamento agli enti previdenziali di una
somma pari a soli due terzi di quanto dovuto, da versare, peraltro, dopo
un primo anticipo di un quinto, in
sessanta rate. A fare le spese di questo condono saranno i lavoratori,
giacché la misura del trattamento
previdenziale relativo a periodi oggetto di regolarizzazione è determinata in proporzione alle quote contributive effettivamente versate.
6.2. - La medesima l. n. 73/2002
inoltre recita all’art. 3 co. 3. «Ferma
restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori
dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatoria, è altresì punito con la sanzione
amministrativa dal 200 al 400 per
cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro
calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e
la data di constatazione della violazione». Recita ancora il co. 5 dello
stesso articolo che competente alla
irrogazione di detta sanzione amministrativa è l’Agenzia delle Entrate e
che si applicano le disposizioni del
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (che
concerne Disposizioni generali in
materia si sanzioni amministrative
per le violazioni di norme tributarie)
e successive modifiche.
La disposizione è stata dichiarata incostituzionale dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 144 del 2005,
sul rilievo che essa prevede un meccanismo tale da non consentire al datore di lavoro di fornire la prova che
Marzo 2008 • n. 3
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
il rapporto di lavoro irregolare ha
avuto inizio in una data diversa da
quella del 1º gennaio dell’anno in
cui è stata accertata la violazione, e
che, dunque, ha avuto una durata inferiore rispetto a quella presunta dalla legge, mentre tale presunzione assoluta determina la violazione del
diritto di difesa garantito dall’art. 24
Cost. Ne consegue che la disposizione è ancora in vigore, con il correttivo che il datore deve essere ammesso a dimostrare una minore durata
del rapporto rispetto a quella presunta dalla legge.
6.3. - Con la successiva ordinanza n.
34 del 2006 la Corte costituzionale
ha invece dichiarato inammissibile
l’ulteriore questione di legittimità
costituzionale del co. 5 del medesimo art. 3 della l. n. 73/2002. La questione era stata rimessa da varie
Commissioni Tributarie, le quali sostenevano che dalla attribuzione alla
Agenzia delle Entrate della competenza ad applicare la suddetta sanzione, conseguirebbe la giurisdizione del giudice tributario a conoscere
delle relative controversie, dal momento che l’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, così come modificato dall’art. 12 della l. 28 dicembre 2001, n. 448, attribuisce a tale giudice la cognizione delle controversie concernenti «le sanzioni
amministrative comunque irrogate
da uffici finanziari». Deducevano i
giudici remittenti che l’Agenzia delle Entrate non sarebbe in grado di
definire e motivare alcuni aspetti rilevanti della sanzione, quali il calcolo del costo del lavoro e l’inquadramento del lavoratore sulla cui base è
quantificata la sanzione, che sarebbero decisi da altro organo, con conseguente lesione del diritto di difesa
dell’interessato ed impossibilità per
la commissione tributaria « di svolgere la propria funzione». La Corte
costituzionale, ha dichiarato inammissibile la questione, richiamando
Marzo 2008 • n. 3
il principio per cui la giurisdizione
del giudice tributario deve ritenersi
imprescindibilmente collegata alla
natura tributaria del rapporto, e rilevando che i remittenti non avevano
compiuto il doveroso tentativo di
esplorare eventuali interpretazioni
conformi a Costituzione.
La disposizione in commento (art. 3
co. 3 e 5 l. n. 73/2002), che non aveva subito modifiche ad opera del d.l.
25 settembre 2002, n. 210, convertito nella l. 22 novembre 2002, n. 266,
la quale aveva inciso su altri articoli
del medesimo testo normativo, è stata da ultimo modificata dall’art. 36
bis co. 7 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223
(c.d. decreto Bersani) convertito nella l. 4 agosto 2006, n. 248, il quale,
evidentemente tenendo conto della
citata pronunzia della Corte costituzionale, ha modificato sia l’ammontare delle sanzioni, che pure restano
notevolissime (la sanzione amministrativa va da euro 1.500 ad euro
12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna
giornata di lavoro effettivo, inoltre
l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente
non può essere inferiore a 3.000 euro, indipendentemente dalla durata
della prestazione lavorativa accertata), sia l’organo deputato alla irrogazione della sanzione, che non è più
l’Agenzia delle Entrate, ma la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.
Tuttavia, anche questa disposizione
è stata modificata ad opera dell’art. 1
co. 54 della l. n. 247/2007, già citata, che (aggiungendo nella l. n.
248/2006 l’art. 7 bis) prevede che
l’adozione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi resta di
competenza dell’Agenzia delle Entrate per le violazioni constatate prima dell’entrata in vigore del d.l. n.
223/2006 (che la l. n. 248/2006 aveva convertito).
7. - Le sanzioni per le omissioni contributive.
7.1. - Abolizione delle sanzioni amministrative. — In relazione alle
omissioni contributive, l’art. 116 co.
12 della l. n. 388/2000 elimina tutte
le sanzioni amministrative («Ferme
restando le sanzioni penali, sono
abolite tutte le sanzioni amministrative relative a violazioni in materia
di previdenza ed assistenza obbligatorie consistenti nell’omissione totale o parziale del versamento di contributi o premi o dalle quali comunque derivi l’omissione totale o parziale del versamento di contributi o
premi, ai sensi dell’art. 35 co. 2 e 3
della l. 24 novembre 1981, n. 689»).
La disposizione non è retroattiva e
quindi la abolizione vale per le omissioni poste in essere dopo l’entrata
in vigore della legge.
7.2. - Sanzioni civili per omissioni
contributive. — Quanto alle sanzioni
civili conseguenti al mancato pagamento dei contributi previdenziali, la
nuova disciplina introdotta dall’art.
116, ai co. 8 e ss. della l. 23 dicembre 2000, n. 388, modificando la legge precedente, ossia l’art. 1 co. 217
lett. b) della l. 23 dicembre 1996, n.
662, configura diversamente sia la
fattispecie dell’evasione contributiva, sia il tipo di sanzioni civili che vi
sono ricollegate. Ed infatti la legge
del 2000, dopo avere ripetuto la precedente dizione, ossia «in caso di
evasione connessa a registrazioni o
denunce obbligatorie omesse o non
conformi al vero» aggiunge la seguente espressione «cioè nel caso in
cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta il rapporto di
lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate [...]. Detta formulazione,
come osservato dai commentatori,
tende evidentemente a fornire un criterio distintivo più netto tra la fattispecie della pura e semplice moro-
203
Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
sità e quella dell’evasione, conferendo rilevanza allo specifico elemento
intenzionale, che non figurava nel testo previgente. Inoltre, per il caso di
evasione contributiva, la nuova legge
non prevede più il pagamento della
sanzione una tantum (prevista dall’art. 1 co. 217 lett. b)) della l. n.
662/96, ma ricollega alla nuova fattispecie di evasione la sanzione del
pagamento di una somma commisurata al 30% dei contributi evasi per
ogni anno di ritardo (si ricorda però
che in caso di lavoro completamente
«in nero» l’importo delle sanzioni
civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi riferiti a
ciascun lavoratore di cui al periodo
precedente non può essere inferiore
a 3.000 euro, indipendentemente
dalla durata della prestazione lavorativa accertata, cfr. la già citata l. n.
248/2006 art. 36 bis, co. 7).
7.3. - La più favorevole l. n. 388/2000,
secondo la giurisprudenza ormai consolidata non è retroattiva, tra le tante
Cass. 22 maggio 2002, n. 7524. La
non retroattività è fatta palese, peraltro, dal disposto dell’art. 116 co. 18, e
cioè che «Per i crediti in essere e accertati al 30 settembre 2000 le sanzioni sono dovute secondo le modalità
fissate dai co. 217, 218, 219, 220, 221,
222, 223 e 224 dell’art. 1 della l. 23
dicembre 1996, n. 662». È ben vero
che — nonostante la non retroattività
del nuovo apparato sanzionatorio — il
legislatore del 2000 (cfr. co. 18) attribuisce comunque un credito contributivo alle aziende colpite dalle più consistenti sanzioni previgenti, di talché il
medesimo credito finisce di fatto per
alleggerire l’impatto delle sanzioni
applicate in relazione agli inadempimenti pregressi, tuttavia, la possibilità
di conguaglio costituisce mero risvolto pratico successivo al pagamento
(che anzi vale come presupposto), attenendo alla possibilità di operare la
compensazione (ratealmente nell’arco
di un anno) tra la maggiore sanzione,
204
già pagata, ed i contributi correnti da
pagare. La disposizione — la cui ratio
è essenzialmente di quella di semplificazione, e cioè di evitare la necessità
di ricalcolo di sanzioni già determinate, opera solo a pagamento avvenuto
— e non esime dall’applicazione delle sanzioni previgenti per i crediti dell’Inps in essere ed accertati al 30 settembre 2000 secondo la disposizione
del citato co. 18.
8. - Il documento unico di regolarità
contributiva. — Va ancora ricordato,
in tema di obbligo contributivo, che
ai sensi del co. 1175 dell’art. 1 della
l. n. 296/2006, a decorrere dal 1º luglio 2007 i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in
materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso,
da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva (d.u.r.c., già invero previsto
come obbligatorio dall’art. 3 co. 8
del d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494,
successivamente modificato dall’art.
86 co. 10 del d.lgs. 10 settembre
2003, n. 276) ferme restando le altre
condizioni previste dalla legge. Le
modalità del rilascio saranno fissate
in un decreto ministeriale (non ancora emanato). Quindi le aziende non
potranno più godere di alcun beneficio se non si sia preventivamente verificata la regolare ottemperanza a
tutte le norme. La regola è particolarmente onerosa, peraltro non è
chiaro come si riuscirà a verificare
l’ottemperanza agli innumerevoli
obblighi fissati dalla sterminata legislazione sul lavoro e previdenziale.
La norma ricalca l’art. 36 bis co. 8
della l. n. 248/2006, di conversione
del d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto
Bersani), in cui il possesso del documento unico di regolarità contributiva era già previsto per fruire di alcuni benefici.
9. - Le nuove norme sulle ispezioni
in materia di previdenza sociale e
lavoro. — Il d.lgs. 23 aprile 2004, n.
124, emesso in forza della delega di
cui all’art. 8 della l. 14 febbraio
2003, n. 30, prevede la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro. Oltre a disposizioni di carattere
organizzativo del Ministero del Lavoro e delle sue articolazioni regionali, è inteso a potenziare i compiti
ispettivi, e a risolvere in sede amministrativa il contenzioso lavoristico e
previdenziale, tentando così di sgravarne la fase giudiziale.
Detto d.lgs. contiene essenzialmente
due norme importanti: la c.d. conciliazione monocratica (art. 8) che tende a risolvere in via amministrativa,
evitando quindi l’apertura della fase
giudiziale relativa al ben noto contenzioso minuto, che si dà in quei casi in cui vi è una richiesta da parte
del lavoratore, che, ritenendo conculcati in qualche modo i suoi diritti, chieda un intervento ispettivo. A
seguito di detta richiesta, se emergano elementi per una soluzione conciliativa, la direzione provinciale del
lavoro, in luogo di dar corso direttamente all’ispezione, può esperire un
tentativo di conciliazione tra datore e
lavoratore, che, se riesce, si conclude con un verbale di conciliazione
non impugnabile ai sensi dell’art.
2113 c.c.
Si badi che il procedimento ispettivo
così iniziato, si «estingue» (co. 4)
solo a seguito di verifica dell’avvenuto pagamento agli istituti previdenziali dei contributi riferiti alle
somme concordate in sede conciliativa.
Altra disposizione, di maggiore rilevanza sul piano giudiziale, è quella
(art. 17) che impone ai datori — prima di proporre opposizione avverso
le ordinanze ingiunzioni emesse sia
dalle direzioni provinciali del lavoro, sia dagli istituti assicurativi, che
abbiano ad oggetto la sussistenza o
la qualificazione dei rapporti di lavoro — di proporre ricorso alla dire-
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Massimario di Giurisprudenza del Lavoro
PROBLEMI E DIBATTITI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
zione regionale del lavoro, che deve
decidere nel termine di novanta giorni, decorso il quale il ricorso si intende respinto e si può dare ingresso
alla opposizione in sede giudiziale.
La utilità di questo nuovo strumento
dipenderà in concreto dalla maggiore o minore efficacia di intervento
della direzione regionale (14).
Non vi è dubbio in ogni caso sull’intenzione del legislatore di potenziare
l’attività ispettiva, ove si consideri
anche (art. 5 co. 1 della l. 3 agosto
2007, n. 123 (Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul
lavoro e delega al Governo per il
riassetto e la riforma della normativa
in materia) che il personale ispettivo
del Ministero del Lavoro possa adottare provvedimenti di sospensione
dei lavori nell’ambito dei cantieri
edili, qualora riscontri l’impiego di
personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, pari al 20% del totale dei
lavoratori regolarmente occupati nel
cantiere, ovvero in caso di reiterate
violazioni della disciplina in materia
di tempi di lavoro, di riposo giornaliero o settimanale di cui agli artt. 4,
7, 9 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, o
anche di reiterate violazioni della di-
sciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (la
possibilità del personale ispettivo di
sospensione dei lavori, era già prevista, ma solo nell’ambito dei cantieri
edili, dall’art. 36 bis co. 1 del già citato decreto Bersani n. 223/2006,
convertito nella l. n. 248/2006).
Va aggiunto che l’attività ispettiva è
sospesa per un anno dal giorno in cui
le società hanno presentato l’istanza
di regolarizzazione per l’emersione
del lavoro irregolare (articolo unico
co. 1198 l. n. 296/2006, successivamente modificato dall’art. 11 della l.
3 agosto 2007, n. 123).
(14) Il valore probatorio dei verbali ispettivi, Colloqui giuridici sul lavoro, a cura di Antonio Vallebona.
In tema di vigilanza sull’osservanza delle clausole contrattuali, MARGIOTTA, Le ispezioni amministrative, in Diritto e processo del lavoro
e della previdenza sociale, il lavoro privato e pubblico, a cura di G. Santoro Passarelli, Milano 2006, 1427 e ss.
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Indennità di disoccupazione, ammortizzatori sociali e mercato del