Tutela delle Lavoratrici Madri
Adempimenti D.Lgs 81/08
( Le considerazioni del presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore.)
Dott.ssa Levato Francesca, funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro di Livorno
Premessa.
Storicamente la tutela della salute delle lavoratrici madri rappresenta un obiettivo di primaria
importanza in tutte le strategie della prevenzione, a prescindere dai sistemi economici utilizzati o
dagli orientamenti politici dei governi che li applicano. E non potrebbe essere altrimenti,
considerando l’irrinunciabile contributo in termini di creatività e di operosità che le donne hanno
sempre dato al mondo del lavoro. Si pensi, soltanto a titolo di esempio, al contributo dato dalle
lavoratrici reclutate in massa durante il periodo bellico in sostituzione degli uomini al fronte ed al
notevole impulso che le stesse hanno dato alla ricostruzione dell’economia di molti paesi dopo la
“grande guerra”. Un determinante aspetto della tutela delle lavoratrici madri deve essere la
salvaguardia della loro funzione chiave nella conservazione della specie. Quest’ultima espressione
potrebbe far sorridere o addirittura, ad una interpretazione superficiale, generare irritazione,
richiamando alla mente stereotipi femminili ormai vetusti. In realtà è opportuno sottolineare che se
in molti paesi ancora arretrati dal punto di vista socio-economico, è ancora completamente delegato
alla figura femminile il ruolo di custodia e di assistenza della prole, nelle società a sistemi
economici molto avanzati, questa espressione assume un significato estremamente più complesso.
Non possiamo escludere che le profonde trasformazioni nell’organizzazione sociale e dei ruoli ad
essa correlati possano aver generato delle disfunzioni che in qualche modo riguardano la
conservazione della specie. A tal riguardo basta ricordare i recenti tragici fatti di cronaca nazionale
che inducono a riflettere sul ruolo della madre nella società contemporanea. Infatti fenomeni diffusi
e riproducibili di disaffezione e violenze verso la prole all’interno di comunità socioeconomicamente evolute, non possono essere sempre giustificati da cosiddetti “raptus di follia”. È
fondata, ad avviso di chi scrive l’ipotesi che le discrasie di oggi, abbiano le loro radici
nell’educazione alla socialità degli individui. Le spinte all’individualismo ed alla competizione, che
troppo spesso assumono significato di valore nella società contemporanea, potrebbero generare, in
soggetti predisposti, conflitti ingestibili con i sentimenti di generosità e dedizione che sono alla base
del ruolo genitoriale. Il punto di rottura potrebbe essere rappresentato proprio dalla consapevolezza
di non essere aderenti al modello culturale dominante, e la custodia della prole potrebbe essere
visto dalla donna come il maggiore ostacolo a tale percorso di omologazione. Tale modello può
essere per certi versi verificato nella “iconografia” mass-mediologica ed in particolare televisiva,
dove il ruolo femminile appare molto spesso frammentato e schizoide. Sempre più spesso infatti
ritroviamo negli spot pubblicitari o nella fiction una donna-madre assediata da figli e mariti
iperattivi ed iperesigenti, da accontentare fulmineamente con delizie appena scongelate o bucati
splendenti. La donna-moglie-compagna, invece, è perennemente assillata (in una società che
invecchia vertiginosamente) da rughe e capelli bianchi da cancellare con costosi cosmetici per
compiacere spietati “eterni giovanotti”. Infine la donna-lavoratrice, è rappresentata (e
probabilmente cosi è o la si vuole) sempre più appiattita su un’immagine al maschile nell’aspetto e
nei modi, persino quando si ribella e provocatoriamente inchioda la cravatta del capo al tavolo di
lavoro (come in un diffuso spot pubblicitario).Ovviamente non si vuole far scaturire dal momento
lavorativo una dinamica di patologia sociale di tale portata, ma, considerando che quello dedicato
all’attività lavorativa rappresenta almeno il 50% del tempo utilizzato dall’individuo, ci rendiamo
conto del peso che assume la partecipazione o, paradossalmente, l’emarginazione da tale momento
di socializzazione. Non può infatti essere ignorato che l’impegno in un’attività lavorativa da parte
di un soggetto modifichi profondamente le modalità dei rapporti ed il sistema di valori
interiorizzato: in una parola il suo ruolo sociale. Il lavoro ha infatti un ruolo tanto determinante
nella socializzazione dell’individuo adulto quanto quello della famiglia per il bambino. Svolgere
un’attività lavorativa soddisfacente e in condizioni di compatibilità con le altre dinamiche
quotidiane (rapporti familiari, di amicizia ed hobby) contribuisce allo sviluppo armonico della
personalità dell’individuo, creando i presupposti per la realizzazione di quella condizione di
benessere a cui hanno diritto tutti gli individui. Se il problema della tutela della salute nelle
lavoratrici madri è un problema trasversale alle varie attività lavorative, il problema, almeno da un
punto di vista quantitativo, appare maggiormente significativo nel settore del terziario (e quindi
della pubblica amministrazione), se è vero che l’83% delle donne sono impiegate nei servizi.
Allergie, malattie infettive e neuropsichiche, epatiche o dermatologiche, sono, secondo la stessa
fonte, nell’ordine, le patologie più diffuse nelle lavoratrici. Tale dato indubbiamente sottende una
diversa correlazione tra lavoro e salute nel sesso femminile rispetto a quello maschile. Riguardo poi
al rischio di infortuni sul lavoro, pur rimanendo più basso rispetto al sesso maschile, ha subito negli
ultimi anni un incremento, anche per l’allargamento al “gentil sesso” di attività abitualmente
riservate al “sesso forte”.Da quanto detto emerge la necessità di una maggiore attenzione nella
ricerca di modalità di approccio diverse al problema del rischio, o più correttamente nel suo aspetto
speculare, del benessere sul luogo di lavoro, in un settore per lungo tempo definito come
relativamente privo di rischi. Per tale motivo, nel presente studio, vengono di seguito esaminate le
complesse problematiche relative allo specifico della lavoratrice madre, al fine di identificare un
percorso di riconoscimento degli specifici rischi correlati alla detta figura. Il 30 aprile 2008 è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il “Testo Unico normativo in materia di salute e sicurezza delle
lavoratrici e dei lavoratori” (D.Lgs. 81/08), firmato dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano il 10
aprile 2008. All’interno del Testo Unico, che si compone di 303 articoli, 12 titoli e 50 allegati, sono
comprese tutte le norme già presenti nel D.Lgs 626/94, oltre, ovviamente, ad una serie di altre
misure che già esistevano in materia di cantieri, vibrazioni, segnaletica, rumore, amianto e piombo.
Atteso da trenta anni (art 24 legge 833/78), lo scopo principale di questo provvedimento legislativo,
successivamente modificato ed integrato dalla L. Comunitaria 88/09 e dal D.Lgs 106/09, è quello di
semplificare il quadro normativo sulla sicurezza dei lavoratori, una tematica molto attuale in
quest’ultimo periodo, a causa dell’onda emotiva, nella popolazione generale, provocata dai recenti
eventi luttuosi che hanno coinvolto il mondo del lavoro negli ultimi mesi. Per meglio comprendere
il reale significato di questo documento, appare opportuno approfondire l’evoluzione storica della
legislazione di riferimento nel campo della medicina del lavoro in Italia, correlando lo sviluppo
della normativa con i mutamenti del mondo sociale e lavorativo avvenuti nel nostro paese
nell’ultimo secolo.
La sicurezza dei lavoratori: l’evoluzione normativa
L’Italia è stato uno dei primi paesi al mondo a dotarsi di una specifica legislazione sul tema della
tutela della sicurezza dei lavoratori. I fattori determinanti di salute socio-lavorativi, infatti, sono
sempre stati studiati ed analizzati con attenzione dal mondo medico-scientifico italiano. Non è un
caso che, storicamente, venga riconosciuto come “fondatore” della medicina del lavoro, proprio un
italiano, il modenese Bernardino Ramazzini il quale, al principio del XVIII secolo, inserì
nell’anamnesi ippocratica una nuova domanda “et quam artem exerceas? - quale lavoro svolgi?”.
Autore del “De morbis artificum diatriba” (Padova, 1700), Ramazzini identificò, attraverso l’analisi
di sessanta categorie di lavoratori, gli effetti dannosi del lavoro e “la natura nociva delle sostanze
utilizzate”. Un altro primato italiano, in continuità con l’opera del medico emiliano, fu
rappresentato dallo sviluppo della medicina del lavoro come branca clinica autonoma. All’interno
degli Istituti Clinici di Perfezionamento milanesi, venne fondata nel 1902 la “Clinica del Lavoro”,
primo istituto al mondo dedicato a questa disciplina, portata a termine nel 1910 ed in seguito
intitolata al suo primo direttore, Luigi Devoto (1864-1936). Nel 1906, sempre a Milano, si svolse il
primo congresso internazionale di medicina del lavoro e venne fondata la International Commission
on Occupational Health (ICOH), l’organizzazione scientifica mondiale di medicina occupazionale.
In questo clima culturale e scientifico, si sviluppò la normativa italiana a tutela dei lavoratori. Alla
fine del XIX secolo, in piena Rivoluzione Industriale italiana, la concezione del lavoro era
profondamente differente da quella attuale. Le risorse ambientali e la stessa forza-lavoro umana
erano considerate come risorse illimitate, beni inesauribili a disposizione del capitano di industria
che poteva sfruttarli a proprio piacere, senza alcun interesse ad una loro salvaguardia. Non veniva,
perciò, preso in considerazione il problema della protezione del lavoratore e della prevenzione di
infortuni e malattie professionali. A differenza dell’artigiano, infatti, l’operaio era il più delle volte
non specializzato, in ragione del fatto che le mansioni svolte nelle fabbriche erano spesso
caratterizzate da uno scarso livello di qualificazione. Il lavoratore, perciò, era intercambiabile e il
proprio stato di salute non era motivo di preoccupazione per il datore di lavoro, che poteva
facilmente sostituirlo. Con la nascita e l’organizzazione dei primi sindacati iniziarono ad essere
emanate specifiche normative a tutela dei lavoratori. Dopo la legge Crispi-Pagliani del 1888
incominciò infatti a svilupparsi in Italia un sistema basato sulle assicurazioni dei lavoratori. Pochi
anni dopo, nel 1899, vennero emanate le prime leggi, dedicate ad una specifica attività lavorativa, il
lavoro nelle miniere e nelle cave. Il sistema mutualistico si estese progressivamente a nuove
categorie di lavoratori. In epoca fascista, all’interno di un modello sociale basato sulle
Corporazioni, la mutualità di malattia passò dal regime volontario a quello obbligatorio; prima per
singole categorie (gente di mare e dell’aria, 1929) o per singole malattie (tubercolosi, 1924; malattie
professionali, 1935), più tardi in forma generalizzata con la creazione dell’Istituto per l’assistenza di
malattia ai lavoratori (1943), che diventerà INAM nel 1947 assimilando al suo interno differenti
enti assicurativi. Sempre nel medesimo periodo, con l’emanazione del Codice Civile (1942) e del
Codice Penale (1930), cominciò ad affermarsi il concetto di “responsabilità d’impresa” sul piano
civile e penale, riconoscendo che “l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelare
la salute fisica e morale dei prestatori di lavoro” (C.C. art. 2087). Anche nella Costituzione del 1948
venne enunciata la tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35), anche in ragione del fatto che la
neonata Repubblica riconosceva il proprio fondamento proprio nell’attività lavorativa svolta dai
propri cittadini (art 1). Il mutamento socioeconomico dell’Italia negli anni successivi ha
determinato la necessità dello sviluppo di un apparato legislativo a tutela del lavoratore basato
sull’imposizione all’impresa di restrizioni e di vincoli. Le imprese non applicavano, perciò, le
normative secondo un reale interesse della salute dei propri lavoratori, ma piuttosto per evitare le
sanzioni amministrative e penali conseguenti alla loro violazione. Tra il 1955 e il 1956, nel pieno
sviluppo industriale della Ricostruzione post-bellica, vennero emanati una serie di provvedimenti (i
Decreti del Presidente della Repubblica 547/55, 164/56 e 303/56) tesi ad identificare le gerarchie
responsabili della sicurezza, a prevedere specifiche sanzioni e a garantire la vigilanza sulla loro
applicazione (si veda ad esempio la nascita dell’Ispettorato del Lavoro nel 1955). La legislazione
degli anni Cinquanta presentava ancora numerosi limiti al suo interno. Non era infatti prevista
alcuna attività di informazione/formazione dei lavoratori, come intervento qualificante in termini
preventivi; mancava l’identificazione di specifici valori-limite di esposizione; gli interventi di
bonifica individuati erano troppo generici e, infine, i lavoratori e i loro rappresentanti erano ancora
scarsamente coinvolti nella prevenzione. Il riconoscimento della necessità della partecipazione
diretta dei lavoratori nel processo di tutela della propria salute, avvenne al termine dell’Autunno
Caldo del 1969, quando si affermò la convinzione, da parte del mondo operaio, che solo
l’esperienza diretta di chi lavorava quotidianamente in ambienti nocivi poteva essere efficace per
valutare le condizioni di lavoro e le ripercussioni sullo stato di salute del lavoratore stesso. Lo
“Statuto dei Lavoratori” (legge 300/70) introdusse, perciò, il diritto dei lavoratori di controllare,
tramite i propri rappresentanti sindacali, l’applicazione delle norme di prevenzione degli infortuni e
delle malattie professionali (art. 9). A partire dallo stesso anno nacquero spontaneamente, in varie
regioni, alcuni servizi di medicina del lavoro sul territoriali, legati alle fabbriche. Nello stesso
periodo si portò avanti la rivendicazione della piena retribuzione salariale e della conservazione del
posto di lavoro in caso di infortunio, malattia professionale, maternità e malattia in generale fino a
completa guarigione. Venne inoltre esteso per le lavoratrici partorienti il congedo di parto a 4 mesi
prima e 6 mesi dopo il parto con il diritto in questo periodo al salario pieno. Con la creazione del
Sistema Sanitario Nazionale (833/78), vennero istituiti specifici “servizi di igiene ambientale e
medicina del lavoro” organizzati all’interno delle singole Unità Socio-Sanitarie Locali alle quali
vennero progressivamente trasferite le competenze dell’Ispettorato del lavoro in tema di
prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro (art. 21). Venne inoltre istituito il libretto sanitario
personale, da distribuire a tutti i cittadini, comprendente l’eventuale esposizione a rischi in relazione
alle condizioni di vita e di lavoro (art. 27). Inoltre, all’art. 24 della 833 si prevedeva la stesura, entro
il 31.12.1979, di un Testo Unico in materia di sicurezza e igiene del lavoro, per il quale si è dovuto
però attendere l’aprile del 2008.A partire dagli anni Novanta le problematiche di salute
incominciarono a divenire aspetti intrinseci e strategici nei processi produttivi, costituendone un
indicatore di qualità. Dopo la nascita dell’Unione Europea (Trattato di Maastricht, 1992), l’Italia
incominciò a recepire e le direttive CEE in tema di salvaguardia della salute sul luogo di lavoro. La
626/94 venne emanata dopo un lungo iter, preceduta, pochi anni prima, dal D.lgs. 277/91 sulla
protezione dai rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici (nello specifico piombo,
amianto e rumore). Il D.lgs 626/94, nell’applicarsi “a tutti i settori di attività pubblici o privati” (art.
1), recepì sette direttive CEE (luoghi di lavoro, uso di attrezzature di lavoro, uso DPI,
movimentazione dei carichi, uso dei videoterminali, protezione da agenti cancerogeni e da agenti
biologici). Questa normativa introdusse nuove disposizioni in materia di valutazione del rischio,
informazione/formazione completa e periodica dei lavoratori e loro controllo sanitario. Vennero
istituiti i “Servizi di Prevenzione e Protezione” (obbligatori solo per aziende con un numero
maggiore di 200 dipendenti) e definiti ruolo e funzioni della figura del Medico Competente.
L’evoluzione normativa della tutela delle lavoratrici madri
La tutela delle lavoratrici madri nasce da una finalità protezionistica accolta dalle norme
costituzionali in tema di eguaglianza e di tutela della salute. In particolare, la norma contenuta
nell’art. 37, comma 1, della Costituzione ha riaffermato gli obiettivi protettivi tradizionali della
tutela differenziata del lavoro femminile, tipici dell’epoca fascista, statuendo che alla donna devono
essere garantite le condizioni di lavoro necessarie all’adempimento della sua essenziale funzione
familiare e alla protezione della maternità. Sulla base del disposto costituzionale, si giustifica
l’emanazione di normative di tutela differenziata al fine del raggiungimento di tali obiettivi,
nell’ambito della più ampia normativa antidiscriminatoria ( Discriminazioni di genere).La tutela
della lavoratrici madri è stata così attuata con l’emanazione della Legge 1204/1971, integrata
successivamente dalla Legge n. 903 del 1977 e dalla Legge 53/2000.
La materia della tutela delle lavoratrici madri, tuttavia, è stata ridisegnata in una logica paritaria
(Discriminazioni di genere) dalD.Lgs. 151/2001, contenente il T.U. delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, modificato e integrato con il D.Lgs.
115/2003. Il Testo Unico raccoglie e riordina il complesso delle disposizioni vigenti in materia,
nonché alcune norme della Legge n. 903 del 1977 in tema di parità di trattamento tra uomo e donna.
Con l’entrata in vigore del suddetto decreto si è superata la precedente disciplina contenuta nella
Legge 653/1934, che ammetteva i lavori pericolosi e insalubri a determinate condizioni, vietava il
lavoro notturno e stabiliva limiti massimi per l’orario di lavoro e l’obbligo di riposi intermedi. In
parallelo si era evoluta anche la normativa a tutela e sostegno della maternità. La prima legge
italiana in questo campo venne approvata nel giugno del 1902. La legge 242/1902, detta legge
Carcano dal nome del ministro presentatore del disegno di legge, vietava alle donne di qualsiasi età
i lavori sotterranei; limitava a dodici ore l’orario massimo giornaliero prevedendo un riposo di due
ore; vietava, ma solo alle donne minorenni, il lavoro notturno. La normativa mentre tutelava le
puerpere nel mese successivo al parto, non prevedeva ancora nessuna limitazione durante tutto il
periodo della gravidanza. L’esigenza demografica durante il regime fascista, determinò l’istituzione
di un ente denominato “Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia” (OMNI)
per la tutela delle gestanti, il quale favorì la promulgazione del Regio Decreto n. 654 del 1934. La
nuova legislazione preveda l’astensione obbligatoria delle donne dal lavoro anche all’ultimo mese
precedente la data del parto. La tutela delle lavoratrice madre fu garantita anche dalla legislazione
repubblicana con la legge 860 del 1950 (“Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”) e la
legge 1204/71. La normativa emanata negli anni Settanta si caratterizzava per l’aver dato
realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità fra uomo e donna, della funzione
sociale della maternità e dell’inserimento della donna nel mondo del lavoro. In particolare l’art. 10
disponeva che il datore di lavoro debba “consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di
vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata”. L’attuale normativa
vigente è il frutto della ricezione delle normative europee ed è rappresentata dal D.Lgs. 151/2001
(Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). In base alle attuali
disposizioni l’astensione obbligatoria durante la gravidanza è prevista da due mesi prima ai tre mesi
successivi al parto, ma è possibile che la gestante chieda di continuare l’attività fino all’ottavo
mese, posticipando, però, di un mese il ritorno al lavoro post-partum.
Tutela della salute e della sicurezza della lavoratrice madre
La tutela delle lavoratrici madri si estrinseca innanzitutto in alcune norme di protezione della salute
e della sicurezza delle stesse.
In particolare il Capo Secondo del D.Lgs. 151/2001 prescrive una serie di misure finalizzate alla
tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette
mesi di età del figlio, a condizione che le stesse abbiano informato il datore di lavoro del proprio
stato. La tutela si applica, allo stesso modo, alle lavoratrici che abbiano ricevuto bambini in
adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età. Infine, salva l’ordinaria
assistenza sanitaria e ospedaliera a carico del Servizio sanitario nazionale, le lavoratrici durante la
gravidanza, possono fruire presso le strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, con
esclusione del costo delle prestazioni erogate, oltre che delle periodiche visite ostetricoginecologiche, delle prestazioni specialistiche per la tutela della maternità, in funzione
preconcezionale e di prevenzione del rischio fetale , previste dal decreto ministeriale della sanità di
cui all’art. 1, comma 5, lettera a), del Decreto legislativo 124/98, purché prescritte secondo le
modalità ivi indicate. Gli artt. 7 e 8 del D.Lgs. 151/2001 tracciano una chiara linea relativa ai lavori
vietati alle lavoratrici madri, in quanto pericolosi, faticosi ed insalubri, così come elencati negli
Allegati A e B del D.Lgs. n. 151/2001, nonché nell’art. 5 del D.P.R. n. 1026 del 1976. Pertanto,
durante il periodo in cui vige il divieto di svolgere i sopraindicati lavori, ossia durante il periodo di
gravidanza e sino a sette mesi di età del bambino, la lavoratrice è addetta ad altre mansioni, anche
inferiori a quelle abituali, purché conservi il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni
precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.
Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero
del lavoro, competente per territorio, può disporre l’interdizione dal lavoro per il periodo di
gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio. Ai sensi degli articoli 11 e 12 del D.Lgs. 151/2001, il
datore di lavoro valuta i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in
periodo di allattamento fino a sette mesi dopo il parto, in particolare i rischi di esposizione ad agenti
chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o per la
salute delle lavoratrici e delle condizioni di lavoro di cui all’Allegato “C” del T.U.
Il Ministero del Lavoro, con riferimento alla valutazione dei rischi cui è onerato il datore di lavoro,
nella Circolare n. 3328 del 16/2/2002 ha affermato che la stessa debba avvenire contestualmente
alla valutazione dei rischi generali, in modo tale che il datore medesimo possa informare le
lavoratrici prima ancora che sopraggiunga la gravidanza circa i rischi esistenti in azienda, le relative
misure di prevenzione e protezione che egli ritiene di dover adottare in tal caso.
L’obbligo di informazione di cui all’articolo 21 e 36 del D.Lgs. n. 81/2008 comprende quello di
informare le lavoratrici ed i loro rappresentanti per la sicurezza sui risultati della valutazione di cui
sopra e sulle conseguenti misure di protezione e prevenzione adottate.
A seguito della valutazione che rilevi la presenza di rischio per la sicurezza e salute della
lavoratrice, il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie affinché l’esposizione al
rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di
lavoro. Ove tale modifica non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro
modifica le mansioni della lavoratrice (che mantiene la stessa qualifica e retribuzione), dandone
contestuale informazione scritta al servizio ispettivo del Ministero del Lavoro competente per
territorio che può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di gravidanza e fino a sette
mesi di età del figlio. L’articolo 14 del D.Lgs. 151/2001 stabilisce che durante tutto il periodo della
gestazione le lavoratrici hanno il diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali,
accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere
eseguiti durante l’orario di lavoro. Per la fruizione dei permessi la lavoratrice deve presentare al
datore apposita istanza e successivamente presentare la relativa documentazione giustificativa
attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami.
L’articolo 53 del D.Lgs. 151/2001 afferma la sussistenza del divieto di lavoro notturno (dalle ore 24
alle ore 6) per le sole lavoratrici madri (eliminando il divieto per le altre donne) dal momento
dell’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.
Inoltre si aggiunge che non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
1. la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o alternativamente il padre
convivente con la stessa;
2. la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età
inferiore a dodici anni;
3. la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della
legge 104/92 e successive modificazioni
I congedi per maternità e paternità
Il legislatore ha previsto, in attuazione del diritto della lavoratrice alla sospensione del rapporto di
lavoro di cui all’art. 2110 c.c., che il periodo di astensione obbligatoria opera durante i due mesi
precedenti alla data presunta del parto e fino al terzo mese successivo. Ai sensi dell’art. 16 D.Lgs.
151/2001 ove il parto avvenga oltre la data presunta, l’astensione obbligatoria opera anche per il
periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto, nonché durante gli ulteriori
giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella
presunta.
La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto.
L’art. 17 del D.Lgs. 151/2001 individua alcune ipotesi di estensione del congedo di maternità:
1. L’astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi prima della data presunta del
parto quando le lavoratrici siano impegnate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di
gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con
propri decreti dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentite le organizzazioni
sindacali nazionali maggiormente rappresentative.
2. Il servizio ispettivo del ministero del lavoro può disporre, in relazione alle condizioni di
salute della lavoratrice, l’anticipazione dell’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato
di gravidanza, fino al periodo di astensione obbligatoria (due mesi precedenti alla data
presunta del parto), per uno o più periodi, per i seguenti motivi:
o
nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si
presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
o
nel caso in cui le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla
salute della donna o del bambino. In questa ipotesi, l’astensione dal lavoro anticipata
potrà essere disposta (oltre che a seguito di istanza della lavoratrice) anche d’ufficio dal
servizio ispettivo, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l’esistenza
delle suddette condizioni;
o
quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni secondo quanto
stabilito dagli articoli 7 e 12 del medesimo decreto legislativo. Anche in questo caso
l’astensione potrà essere disposta d’ufficio dal servizio ispettivo del Ministero.
La lavoratrice ha la facoltà di rendere flessibile il periodo di astensione obbligatoria, spostandone il
godimento - ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità - a partire dal primo
mese precedente la data presunta del parto e fino a quattro mesi successivi al parto, a condizione
che tale spostamento non rechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro, in base ad
attestazione del medico specialista del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e del
medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro. Il periodo di
astensione obbligatoria è computato ad ogni effetto di legge nell’anzianità di servizio, inclusi gli
effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia, ed è equiparato all’attività
lavorativa anche ai fini della progressione in carriera, salvo che la contrattazione collettiva non
preveda particolare requisiti allo scopo. Il diritto di astensione obbligatoria è stato esteso anche al
padre lavoratore (c.d. congedo di paternità), per tutto il periodo o per la parte residua che sarebbe
spettata alla madre, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché
in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre (art. 28 D.Lgs. 151/2001). In tale situazione
si applicano al padre le medesime norme che regolano il trattamento economico e normativo della
lavoratrice madre. Ai sensi dell’art. 26 D.Lgs. n. 151/2001, il congedo di maternità spetta, per un
periodo massimo di cinque mesi, anche alle lavoratrici che abbiano adottato un minore. In caso di
adozione nazionale, il congedo deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi
all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. In caso di adozione internazionale,
invece, il congedo può essere fruito durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per
l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva, oppure può essere fruito
entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia.Nelle ipotesi di affidamento del
minore, è previsto un congedo di maternità della durata massima di tre mesi, che può essere fruito
entro cinque mesi dall’affidamento. Tutte le disposizioni in materia di congedi per adozione e
affidamento del minore sono applicabili anche al padre lavoratore, ai sensi dell’art. 31 D.Lgs.
151/2001
I congedi parentali
Per congedo parentale si intende il diritto in capo ad entrambi i genitori naturali di astenersi dal
lavoro facoltativamente e contemporaneamente entro i primi otto anni di vita del bambino (per i
figli adottivi e in affidamento entro i primi dodici anni di vita).
Nel caso di parto plurimo, il diritto al congedo parentale sussiste per ciascun bambino. Il diritto
all’astensione facoltativa dal lavoro è riconosciuto, ai sensi dell’art. 32 D.Lgs. 151/2001 ai
lavoratori e alle lavoratrici dipendenti (esclusi quelli a domicilio o gli addetti ai servizi domestici)
titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto, nonché alle lavoratrici madri autonome per un periodo
massimo di tre mesi.
Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto
in quanto non occupato o perché appartenente ad una categoria diversa dai quella dei lavoratori
subordinati.
Per quanto riguarda le modalità di esercizio del diritto la nuova normativa riconosce una durata
complessiva non eccedente i dieci mesi. Alla madre lavoratrice compete, trascorso il periodo di
congedo obbligatorio di maternità, un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi. Al
padre lavoratore compete un periodo facoltativo continuativo o frazionato non superiore ai sei mesi.
Quando vi sia un solo genitore, allo stesso compete un periodo continuativo o frazionato non
superiore a dieci mesi.
Se il padre fruisce del congedo parentale (continuativo o frazionato) per almeno tre mesi ,il periodo
complessivo dei congedi per i genitori è elevato a undici mesi complessivi, quindi il padre potrà
usufruire di un periodo complessivo di sette mesi . Con tale disposizione, la legge tenta di
sollecitare una modifica degli atteggiamenti sociali circa i ruoli parentali, incentivando la fruizione
dell’astensione facoltativa da parte del padre. Anche le lavoratrici autonome hanno il diritto di fruire
del congedo parentale per un massimo di tre mesi entro l’anno di vita del bambino. La lavoratrice
madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con handicap in situazione di gravità accertata
(Legge n. 104/1992 art. 4, comma 1), hanno il diritto al prolungamento fino a tre anni dal congedo
parentale, o in alternativa, ad un permesso giornaliero di due ore retributive, a condizione che il
bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati. Ai fini dell’esercizio del
diritto al congedo parentale, i genitori lavoratori devono preavvisare, salvo casi di oggettiva
impossibilità, il datore di lavoro secondo le modalità previste dai rispettivi contratti collettivi e,
comunque, con un periodo di preavviso non inferiore ai quindici giorni. La malattia della lavoratrice
madre o del lavoratore padre durante il periodo di congedo parentale interrompe il periodo stesso
con conseguente slittamento della scadenza e fa maturare il trattamento economico relativo alle
assenze per malattia. È evidente che in tal caso occorrerà inviare all’azienda il relativo certificato
medico e comunicare esplicitamente la volontà di sospendere il congedo per la durata del periodo di
malattia ed eventualmente spostarne l’utilizzo. Il genitore richiedente deve allegare alla domanda:
1. Certificato di nascita (o dichiarazione sostitutiva) da cui risulti la paternità o la maternità (i
genitori adottivi o affidatari sono tenuti a presentare il certificato di stato di famiglia che
includa il nome del bambino ed il provvedimento di affidamento o adozione);
2. Dichiarazione non autenticata di responsabilità dell’altro genitore da cui risulti il periodo di
congedo eventualmente fruito per lo stesso figlio; nella dichiarazione occorre indicare il
proprio datore di lavoro o la condizione di non avente diritto al congedo;
3. Analoga dichiarazione non autenticata di responsabilità del genitore richiedente relativa ai
periodi di astensione eventualmente già fruiti per lo stesso figlio;
4. Impegno di entrambi i genitori a comunicare le variazioni successive.
Come per l’astensione obbligatoria, il periodo di astensione facoltativa è computato nell’anzianità
di servizio, esclusi gli effetti relativi alla tredicesima mensilità e alla gratifica natalizia.
Il diritto all’astensione facoltativa spetta anche per le adozioni e gli affidamenti e può essere fruito
entro otto anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare Il Ministero del Lavoro, della Salute e
delle Politiche Sociali, con la Circolare n. 15 del 12 maggio 2009, ha riconosciuto il diritto del
padre lavoratore ad usufruire, durante il primo anno di vita del bambino, dei congedi di cui all’art.
40 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (riposi giornalieri), anche nei casi in cui l’altro
genitore svolga attività di lavoro casalingo
Il trattamento economico dei congedi parentali
I periodi di assenza obbligatoria e, in parte, quelli di assenza facoltativa, sono coperti da un
trattamento economico di carattere sociale, gestito dall’INPS. I genitori che usufruiscono
dell’astensione obbligatoria hanno diritto ad un’indennità pari all’80% della retribuzione per il
periodo di astensione obbligatoria. Tale indennità è dovuta anche tra il quarto e il settimo mese di
gravidanza alla lavoratrice che sia addetta a mansioni vietate,la quale non potendo essere spostata
ad altre mansioni, sia costretta ad assentarsi su disposizione dell’Ispettorato del lavoro (si veda
Corte Cost., 972/1988).Durante il periodo di astensione facoltativa, spetta al genitore un’indennità
giornaliera pari al 30% della retribuzione, fino al terzo anno di vita del bambino, per un periodo
massimo di sei mesi per i due genitori complessivamente. Oltre i sei mesi e dal terzo all’ottavo anno
di vita del bambino l’indennità spetta solo nel caso in cui il reddito individuale dell’interessato sia
inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria. L’astensione facoltativa costituisce, inoltre, una nuova ipotesi che fa nascere
il diritto all’anticipazione del trattamento di fine rapporto. L’accredito della contribuzione figurativa
viene effettuato dall’Inps su richiesta della lavoratrice. Anche se la madre partorisce in un periodo
in cui non presta alcuna attività lavorativa, può, con una apposita domanda all’Inps, chiedere
l’accredito della contribuzione figurativa del periodo corrispondente al congedo di maternità (due
mesi prima e tre mesi dopo il parto). In questo caso l’accredito viene riconosciuto a condizione che,
al momento della domanda, l’interessata possa far valere almeno cinque anni di contribuzione. È
inoltre possibile il riscatto, cioè il pagamento in proprio dei contributi, anche del periodo
corrispondente al congedo parentale.
Diritto al rientro e alla conservazione del posto
Al termine del periodo di astensione obbligatoria, la lavoratrice ha il diritto di conservare il posto di
lavoro e, salvo che espressamente vi rinunci, di rientrare nella stessa unità produttiva ove era
impiegata all’inizio del periodo di gravidanza, o in altra ubicata nel medesimo comune, e di
permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino. Ha altresì diritto di essere adibita
alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
I riposi giornalieri
Il datore di lavoro deve consentire alla lavoratrice madre due periodi di riposo durante il primo anno
di vita del bambino, anche cumulabili durante la giornata. I periodi di riposo giornaliero hanno
dunque la durata di un’ora ciascuno (in totale due ore al giorno), se l’orario di lavoro è pari o
superiore alle sei ore giornaliere.
Se l’orario di lavoro è inferiore alle sei ore giornaliere, la lavoratrice madre avrà diritto ad un solo
periodo di riposo della durata di un’ora al giorno. Qualora la lavoratrice possa avvalersi di strutture
aziendali quali asili nido o altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o
nelle immediate vicinanze di essa, i suddetti periodi avranno la durata di mezz’ora ciascuno.
Congedi per malattia del figlio
Entrambi i genitori possono fruire di assenze della durata delle malattie del bambino durante i primi
tre anni di vita dello stesso, previa presentazione del certificato medico; se, invece, il bambino ha
un’età compresa tra i tre e gli otto anni ciascun genitore ha diritto ad astenersi dal lavoro senza
retribuzione per un massimo di cinque giorni lavorativi all’anno. Il congedo parentale viene pagato
dal datore di lavoro, il quale lo anticipa per conto dell’Inps e lo conguaglia con il versamento dei
contributi. Per le seguenti categorie di lavoratori, invece, il pagamento viene effettuato direttamente
dall’Inps:
1. operai agricoli a tempo determinato;
2. operai agricoli a tempo indeterminato;
3. lavoratori dello spettacolo a tempo determinato o a prestazione;
4. lavoratori a tempo determinato per lavori stagionali, nel caso in cui il contratto non preveda
la liquidazione a cura del datore di lavoro;
5. lavoratrici autonome (i lavoratori autonomi non ne hanno diritto).
Divieto di licenziamento
Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al
compimento un anno di età del bambino, ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 151/2001. Il divieto è connesso
con lo stato oggettivo di gravidanza, senza che si tenga conto della conoscenza da parte del datore
della stato della lavoratrice, essendo sufficiente l’esibizione di idonea certificazione dalla quale
risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento delle condizioni che lo vietavano.
Il licenziamento effettuato in connessione con lo stato di oggettiva gravidanza e puerperio è da
considerarsi nullo, con la conseguenza che la lavoratrice avrà diritto al ripristino del rapporto di
lavoro mediante.
È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per
la malattia del bambino.
Il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore, in caso di fruizione del congedo di
paternità, per la durata del congedo stesso, e si estende sino al compimento di un anno di età del
bambino.
Il divieto di licenziamento di cui all’art. 54 D.Lgs. 151/2001 si applica altresì in caso di adozione e
di affidamento, sino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare, in caso di fruizione
del congedo di maternità e di paternità.Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
1. di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del
rapporto di lavoro;
2. di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
3. di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del
rapporto di lavoro per scadenza del termine
4. di esito negativo della prova, facendo salvo il divieto di discriminazione di cui all’art. 4
Legge n. 125/1991.
Durante il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal
lavoro, salva che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, né può essere
collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, salvo che sia avvenuto per cessazione
dell’attività dell’azienda.
Dimissioni
Nel caso in cui la lavoratrice madre manifesti la volontà di presentare le dimissioni, la volontarietà e
la spontaneità di tale atto entro il primo anno di vita del bambino devono essere valutate dalla
Direzione provinciale del lavoro, ai fini della loro convalida, tramite un colloquio diretto con la
lavoratrice stessa. In caso di mancato accertamento della volontarietà tramite convalida si determina
la nullità delle dimissioni anche a prescindere dalla conoscenza dello stato di maternità da parte del
datore di lavoro.
Anche nel caso di dimissioni, la legge interviene a tutelare la lavoratrice riconoscendole l’indennità
di maternità nel periodo che va dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di vita
del bambino (ovvero, in caso di adozione, fino ad un anno dall’ingresso del minore in famiglia)
Sicurezza delle lavoratrici madri
Nonostante la ricezione della normativa europea in materia di tutela della salute sul luogo di lavoro,
la mancata applicazione e osservanza di alcuni suoi principi, ha determinato in questi ultimi anni la
permanenza di un alto numero di incidenti, anche fatali, sul lavoro (1260 morti bianche nel 2007,
secondo le recenti stime dell’INAIL), anche se in graduale riduzione rispetto agli anni precedenti. In
modo particolare i clamori seguiti agli incidenti mortali degli ultimi mesi del 2007 (tra cui
l’incidente alla Thyssen-Krupp di Torino, nella notte tra il 6 e 7 dicembre) hanno determinato
l’accelerazione del governo nelle fasi di stesura e approvazione di un nuovo Testo Unico in materia
di salute e sicurezza dei lavoratori (D.Lgs. 81/08), il cui valore è attualmente in discussione da parte
del mondo sociale e scientifico italiano. Da parecchi anni, a seguito delle novità introdotte dal
D.Lgs.. 626/94, alcune iniziative importanti per la tutela della salute della lavoratrice madre
ricadono direttamente sotto l’autonoma responsabilità del Datore di Lavoro. La recente entrata in
vigore del D.Lgs 81/’08, con quanto indicato all’art 28, ribadisce ulteriormente l’autonomia e la
responsabilità del DdL anche in tema di valutazione del rischio finalizzato alla tutela delle
lavoratrici in stato di gravidanza. Sicurezza sul lavoro, donne, stress, discriminazioni: c’è un
denominatore comune. Ad evidenziarlo è la nuova normativa sulla sicurezza, ancora in itinere. Il
Testo Unico 81/2008 , all’articolo 28 va oltre la concezione tradizionale della tutela del lavoro
femminile circoscritta alla gravidanza e introduce, per la prima volta anche i pericoli connessi al
genere come materia da considerare per la valutazione del rischio. Sono situazioni legate sia allo
stress da lavoro correlato, ma il rischio è anche rapportato alle differenze tra uomini e donne. Un
esempio: l’esposizione a possibili danni fisici e chimici. E le molestie sessuali, il mobbing, la
disparità di trattamento non colpiscono i lavoratori dei due sessi allo stesso modo e con la stessa
incidenza. Chiaro e veloce è il percorso per una corretta applicazione della norma secondo la logica
di praticità e semplificazione. Qui di seguito cercheremo di schematizzare una sequenza che
dovrebbe consentire di organizzare un Sistema di Gestione del Rischio per Lavoratrici Gravide
aderente a tutto quanto richiede l’art 28 del D.Leg.vo 81/’08 e corrispondente alle caratteristiche di
semplicità e praticità . Ma attenzione la particolarità dei rischi per la salute durante la gravidanza e
il puerperio richiede che il DdL per questa Valutazione si avvalga sempre della professionalità del
MC (vedi art. 29 comma 1) coinvolgendolo e responsabilizzando nella analisi dei rischi di tutti i
posti di lavoro in cui è occupato personale femminile. Si tratta ora di arrivare ad alcuni orientamenti
operativi e farne pratica, recependo l’attuale orientamento europeo e internazionale. La strategia
comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro nel programma 2002/2007 ha iniziato ad
introdurre il tema della differenza di genere come strategico, con azioni mirate alla progettazione
dei luoghi di lavoro,dell’organizzazione. Questo orientamento è stato confermato con il Piano
Strategico 2007/2012. Ci sono direttive comunitarie sviluppate dalla Commissione e dal Parlamento
Europeo e dall’Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro. Ne parlano anche le recenti
risoluzioni della Conferenza Oil dedicata alle politiche di pari opportunità. Infine, il recente
“Advisory Committee on equal opportunities for women and men” della Commissione Lavoro della
UE nella soluzione finale ha impegnato gli Stati membri, tra le priorità individuate per le politiche
di pari opportunità, ad applicare gli strumenti di sicurezza e benessere lavorativo, con particolare
riferimento al dialogo sociale e alla condivisione della strategie adottate tra attori territoriali,
soprattutto per prevenire il danno. I rischi connessi alla differenza di genere identifica le
caratteristiche comportamentali, fisiologiche,strutturali maschili e femminili nel loro impatto
dinamico sull’organizzazione dell’attività lavorativa. Nel TU il legislatore sottolinea il genere sia
per i rischi già noti e censiti ( chimici,biologici,fisici,ergonomici) che verso i rischi emergenti di
carattere fortemente organizzativo e psicosociale, che si possono prevenire. Inoltre, le differenze di
genere possono essere fonte di pratiche discriminatorie nei confronti delle donne. Qui naturalmente
si individua la particolare sensibilità delle Consigliere di parità che, in collaborazione con gli
ispettori del lavoro, devono promuovere azioni di prevenzione delle discriminazioni e vigilanza
degli adempimenti previsti dalla norma e come ultima scelta andare in giudizio.Nel pesare l’entità
dei rischi presenti nei luoghi di lavoro con l’obiettivo di salvaguardare una situazione
particolarmente delicata come la gravidanza ed il periodo post parto-allattamento è necessario
ricorre a l’uso di criteri di massima cautela. In particolare si segnala al DdL, al RSPP e al MC che
per la valutazione di questo rischio in molti casi si devono utilizzare standard più restrittivi di quelli
usati per valutare l’entità del rischio per gli altri Lavoratori. Per esempio, durante la gravidanza (in
particolare nei primi mesi) può essere rischiosa l’esposizione a sostanza chimiche anche se sono in
concentrazione che è stata valutata ….irrilevante per la salute secondo quanto previsto dall’art 224
comma 2 del D.Leg.vo 81/08. In modo analogo è opportuno comportarsi per valutare rischio da
Movimentazione Manuale dei Carichi(MMC), da posture (stazione eretta prolungata), uso di
macchine mosse a pedale,ecc. Sarà importante considerare e valutare in modo distinto il rischio
durante la gravidanza e quello successivo, durante il periodo di post-parto-allattamento. In sintesi il
DdL per predisporre la sezione del Documento di valutazione dei Rischi(DVR) relativo alle
lavoratrici Gravide può procedere in questo modo: Il via preliminare il DdL insieme al RSPP dovrà
avere definito, almeno in linea generale, la struttura generale ed il contenuto di massima del DVR
dell’Azienda, indicando quali sono i rischi principali presenti suddivisi in rischi di infortunio e
rischi per la salute. In questo lavoro sono contenute le indicazioni generali per la Valutazione dei
rischi per la salute, ma è opportuno segnalare che nella ricognizione delle mansioni che comportano
rischio per le lavoratrice gravide occorre tenere in debito conto anche di alcuni rischi infortunistici:
p.e. mansioni che richiedono l’uso di scale portatili, mansioni che espongono a rischio di
investimento da veicoli per i trasporti interni, ecc. Secondo la nostra esperienza i rischi per la
gravidanza più diffusi sono: la prolungata stazione eretta, la MMC ,l’esposizione a sostanze
chimiche, il rischio di esposizione ad agenti biologici. Si segnala l’opportunità di considerare anche
la valutazione dello stress lavoro correlato, una la novità del DL 81 art. 28 : in alcuni settori
particolari potrebbe essere importante valutarne il rischio per la gravidanza. Per indicazioni
operative specifiche sulle mansioni i possibili rischi connessi e le relative azioni di prevenzione si
può consultare la tavola allegata.Dopo avere individuati le mansioni e i relativi rischi, il DdL in
collaborazione con il RSPP e con il MC dovrà valutare, pesare le caratteristiche di tutti i rischi
presenti con criteri ancora più specifici. Quindi tutti i rischi saranno registrati indicandone la
suddivisione in
a- rischi ben noti
b- rischi che hanno necessità di analisi di approfondimento
A questo punto, DdL RSPP e MC,esamineranno ciascun rischio, e ,nel caso vi siano esposte delle
lavoratrici, provvederanno a classificarli anche come :
a- rischi ben noti per gravidanza
a1 rischi ben noti per gravidanza e per post- parto- allattamento
b- rischi che hanno necessità di analisi di approfondimento per gravidanza
b1- rischi che hanno necessità di analisi di approfondimento per gravidanza e post- partoallattamento
Nel caso di rilevazione di rischi per la gravidanza e per post- parto- allattamento che hanno
necessità di analisi di approfondimento, bisognerà concludere con urgenza le verifiche necessarie
per accertare o escludere il rischio per le Lavoratrici Gravide.
Completata questa fase sarà facile definire il documento di valutazione del rischio ex art. 28 con
l’analisi e l’identificazione delle operazioni incompatibili per la gravidanza indicando per ognuna di
tali mansioni a rischio le misure di prevenzione e protezione che si intendono adottare nel caso di
gravidanza:
• spostamento della lavoratrice ad altra mansione non a rischio;
• modifica delle condizioni di lavoro o del posto di lavoro: ad esempio l’orario di lavoro;
prevedendo l’ esenzione dall’uso di particolari macchine o attrezzature (Scale portatili), mettendo a
disposizione un sedile per alternare stazione eretta a seduta, ecc.
• invio della richiesta dell’interdizione anticipata dal lavoro agli Enti Competenti.
A questo punto sarà importante che il DdL provveda ad informare tutte le lavoratrici di questa
valutazione dei rischi e dell’importanza di segnalare tempestivamente al DdL l’inizio di una
gravidanza.
Il DdL quando avrà completate le verifiche di cui ai punti precedenti potrà disporre di una precisa
individuazione dei rischi per la gravidanza presenti in tutte le mansioni in cui è impiegato personale
femminile. Parimenti sarà disponibile l’elenco delle mansioni non a rischio alle quali potrà
trasferire le lavoratrici quando iniziano una gravidanza. ( vedi ALL 1)
ALL 1. Tabella indicativa delle mansioni e rischi collegati
La tabella vuole essere un’utile guida per il Datore di Lavoro che è tenuto a valutare i rischi per le
lavoratrici al momento dell’inizio della gravidanza e poi dopo il parto.
Per facilitare questo compito di valutazione dei rischi e di adozione dei provvedimenti conseguenti ,
si sono presi in esame i fattori di rischio per la gravidanza e per il post parto che più frequentemente
giungono alla nostra attenzione.
Ricordiamo ancora che il Datore del Lavoro è il soggetto individuato dalla norma come
responsabile della valutazione dei rischi, che questa deve essere eseguita in collaborazione con il
Medico Competente e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
Come si può vedere, in molti settori lavorativi è facile sovrapporre la mansione della lavoratrice ad
una di quelle individuate dal legislatore come a rischio per la gravidanza e per il post parto (vedi gli
allegati al D.Lgs 151/2001). In altri casi la valutazione non è così automatica e bisogna quindi
procedere per analogia di rischio, cercando di interpretare le normative vigenti avendo come
obiettivo la massima tutela della lavoratrice e del neonato.
L’elenco delle mansioni e situazioni lavorative da noi prese in considerazione non è esaustivo, vuole
essere un esempio di come procedere nell’analisi dei rischi nelle realtà produttive.
Misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti,
puerpere ed in periodo di allattamento
L’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro
delle lavoratrici gestanti, puerpere ed in periodo di allattamento-, si inserisce a completamento delle
norme già presenti nel nostro ordinamento, disposte a tutela delle lavoratrici madri e a sostegno
della maternità e della paternità, eliminando quella penalizzazione attualmente a carico di tutte
quelle lavoratrici adibite ad attività lavorative pericolose per se e per il nascituro.Questa proposta di
legge, inoltre, dà piena attuazione alla direttiva R191 Maternity protection Recommendation 2000
dell’OIL ( Inernational Labour Organization) ovvero OIT ( Organisation Internazionale du Travail),
che individua specifici rischi lavorativi per la donna durante la gravidanza, sanando quella carenza
legislativa, che è stata fra l’altro più volte fonte di richiamo proprio da parte degli stessi organismi
internazionali.
La tutela della funzione riproduttiva, della gravidanza e del prodotto del concepimento presenta
molteplici aspetti non solo sanitari ma anche di ordine: giuridico, sociale, bioetico, ed economico.
L’importanza di questa tutela è sancita dai principi giuridici dell’ordinamento sammarinese,
Dichiarazione dei Diritti dei Cittadini e dei Principi Fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese,
Legge N° 59 del 8 Luglio 1974 che all’articolo 12, comma 2 recita “ogni madre ha diritto
all’assistenza e alla protezione della comunità”.
Questo diritto all’assistenza e alla protezione raggiunge la sua massima espressione nella tutela
della donna durante il periodo della gravidanza, dove è necessario predisporre un’attenta azione di
salvaguardia per la salute sia della madre che del nascituro. Il binomio madre-nascituro è
inscindibile ai fini della tutela delle lavoratrici madri. Non si può parlare solo di tutela della salute
del feto, ma di tutela della salute riproduttiva che va dal pre-concepimento, al concepimento vero e
proprio, al post concepimento.
Nella normativa sammarinese pur essendo presenti sufficienti garanzie sia: occupazionali,
contributive, retributive, di salvaguardia del posto di lavoro, è assente una specifica legislazione che
imponga obblighi di tutela della salute delle lavoratrici madri adibite a lavori pericolosi per se e/o
per il nascituro.
Si pone quindi il superamento di questo vuoto legislativo, disponendo uno specifico disegno di
legge sulla base dei principi riconosciuti a livello internazionale, alla luce anche della filosofia di
tutela dei lavoratori presente nella Legge N°31 del 18 Febbraio 1998.
Fermi restando i divieti già previsti per legge, va garantita la salute delle lavoratrici madri, là dove
le condizioni di lavoro o di rischio possono essere potenzialmente pericolose per la salute della
lavoratrice-madre- e del nascituro. Il completamento della normativa si rende quindi necessario per
sanare quel processo di discriminazione in cui si trovano attualmente tutte quelle lavoratrici che
svolgendo un’attività lavorativa, che può comportare un rischio per la gestazione e per il nascituro,
sono costrette, non per causa loro, all’astensione dal lavoro ricorrendo impropriamente all’utilizzo
dei disposti relativi alla certificazione di malattia.
La gravidanza non può essere considerata una malattia, ma un momento particolare della vita che
per le sue specifiche caratteristiche necessita comunque di una protezione della salute e della
sicurezza delle gestanti. Molte donne lavorano durante la gravidanza e molte ritornano a lavorare
quando ancora stanno allattando. Alcuni fattori di rischio presenti sul posto di lavoro possono
influire sulla salute e la sicurezza delle madri e di quelle che stanno per diventarlo come anche sui
loro bambini. Durante la
gravidanza la donna va incontro a notevoli cambiamenti d’ordine fisiologico e psicologico,
aumentando la suscettibilità che può comportare complicazioni e produrre aborti.
Su questa base sarà fondamentale ricercare la valutazione delle attività che comportano un rischio o
possono arrecare lesioni o danni a carico della gestante o del nascituro.
A tal proposito merita ricordare che determinate condizioni di lavoro accettabili in uno stato
normale potrebbero non essere considerate accettabili durante la gravidanza, pertanto:
• considerando che talune attività possono comportare un rischio specifico di esposizione, delle
lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ad agenti, a processi o a condizioni di
lavoro pericolosi, è necessario che questi rischi siano adeguatamente valutati e il risultato di questa
valutazione dovrà essere comunicato alle lavoratrici ed ai loro rappresentanti, • considerando che
qualora da detta valutazione risultasse un rischio per la sicurezza e salute delle lavoratrici in
gravidanza occorrerà prevedere specifici dispositivi per la loro protezione,
• partendo dal principio che le lavoratrici gestanti o in periodo di allattamento non devono
assolutamente svolgere attività la cui valutazione abbia rilevato un rischio di esposizione, a taluni
agenti o condizioni di lavoro particolarmente pericolosi, che possono mettere in pericolo la
sicurezza e la salute della lavoratrice madre,
• considerando la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere ed in allattamento, si rende necessario
definire uno specifico procedimento per il riconoscimento di un diritto di congedo di maternità
legata alla tutela della salute delle lavoratrici in considerazione della pericolosità dell’attività svolta.
La proposta di legge prevede che la lavoratrice, una volta accertato lo stato gravido, comunica al più
presto il suo stato al datore di lavoro. Sulla base di una specifica valutazione del rischio, supportata
dalla certificazione del Medico del Lavoro, sarà definita la compatibilità/incompatbilità al lavoro
svolto. Qualora il lavoro effettuato sia riconosciuto pericoloso o a rischio per la lavoratrice in
gravidanza o per il nascituro il datore di lavoro adotta tutte le procedure affinché la lavoratrice sia
adibita ad un lavoro adeguato. Se l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o
oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente applicata per motivi debitamente
giustificati la lavoratrice in questione è dispensata dal lavoro durante tutto il periodo della
gravidanza. Tale dispensa è certificata dal Responsabile dell’Unità Organizzativa di Medicina
Legale e Fiscale.
Al fine di corrispondere la stessa opportunità a tutte le lavoratrici madri, l’astensione dal lavoro sarà
riconosciuta per tutto il periodo della gravidanza e per i quattro mesi successivi al parto.
La proposta di legge prevede, nell’articolo 7 “oneri derivanti” l’istituzione di uno specifico fondo a
cui accedere per coprire i costi dell’astensione dal lavoro delle lavoratrici evitando così di utilizzare
impropriamente, come avviene oggi, i fondi delle indennità economiche temporanee. Inoltre al fine
di non penalizzare le aziende si prevede la possibilità per le aziende di assumere temporaneamente
un altro lavoratore, in sostituzione della lavoratrice a cui è stata riconosciuta l’astensione dal lavoro,
predisponendo a favore dell’azienda una agevolazione contributiva.
Si è ritenuto necessario, anche in considerazione del nuovo atto organizzativo dell’ISS, aggiornare
le modalità procedurali che riguardano la facoltà della lavoratrice di voler utilizzare la possibilità di
astenersi dal lavoro a partire dal 30° giorno precedente la data presunta del parto è stata disposta
l’opportuna modifica del secondo comma dell’articolo 1 della legge 29 ottobre 2003 N°137, e del
primo comma dell’articolo 2 della legge 29 ottobre 2003 N°137.
Riferimenti normativi internazionali
Per quanto concerne il quadro normativo di riferimento a livello europeo si richiama quanto segue:
•
la parità fra uomini e donne è un principio giuridico universale riconosciuto da vari testi
internazionali sui diritti umani, tra i quali la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme
di discriminazione della donna, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel
dicembre 1979;
•
Trattato di Maastricht (1993) art. 119 sul principio di parità di retribuzione;
•
la parità è un principio fondamentale anche dell’Unione Europea. Dall’entrata in vigore del
Trattato di Amsterdam del 1° maggio 1999, la parità tra gli uomini e le donne e
l’eliminazione delle ineguaglianze tra le une e gli altri è un obiettivo che deve essere
perseguito da tutte le politiche e le azioni dell’Unione e dei suoi membri. Tale principio ha
assunto, nel corso del tempo, un sempre maggior rilievo nel diritto comunitario, fino a
diventarne uno dei principi cardine della Comunità Europea (attuali articoli 3, 13, 137 e 141
del Trattato istitutivo della Comunità Europea);
•
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza 2000) (2000/C 364/01) art. 21 sul
divieto di discriminazione, art. 23 sulla parità tra uomini e donne, art.33 sulla conciliazione
fra vita familiare e vita professionale;
•
il Consiglio europeo straordinario di Lisbona (marzo 2000), titolato “Verso un’Europa
dell’innovazione e della conoscenza”, ha ribadito la priorità della promozione della parità
fra uomo e donna;
•
Carta europea per l’uguaglianza di donne e uomini nella vita locale e regionale invita gli enti
territoriali a utilizzare i loro poteri a favore di una maggiore uguaglianza delle donne e degli
uomini a livello locale: gli enti locali e regionali d’Europa sono invitati a firmarla, a
prendere pubblicamente posizione sul principio dell’uguaglianza fra donne e uomini e ad
attuare, sul proprio territorio, gli impegni definiti nella Carta. Per assicurare la messa in atto
degli impegni, ogni firmatario deve redigere un Piano d’azione per l’uguaglianza che fissi le
priorità, le azioni e le risorse necessarie alla sua realizzazione. La Carta è stata redatta
nell’ambito del progetto (2005-2006) realizzato dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d’Europa in collaborazione con numerosi partners;
• Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato
economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni “Una tabella di marcia per la parità
fra le donne e gli uomini 2006-2010” SEC(2006) 275 distingue sei punti principali da
realizzare entro il 2010: un pari livello di indipendenza economica per donne e uomini; la
conciliazione della vita professionale e privata; un’eguale rappresentanza nei processi
decisionali; l’eliminazione della visione stereotipata del femminile; la promozione delle pari
opportunità oltre i confini dell’Unione europea. Il controllo sull’effettiva realizzazione di tali
obiettivi all’interno dei singoli Stati membri spetterà alla Commissione attraverso il
coinvolgimento diretto dei ministri per le pari opportunità in incontri programmatici e
valutativi;
• la proclamazione dell’anno 2007 quale Anno europeo delle pari opportunità per tutti vuole
essere una nuova grande occasione di confronto, di iniziativa, di crescita per le politiche di
genere e soprattutto per le donne. La Commissione inaugurerà i nuovi indicatori delle pari
opportunità, che saranno individuati in base alle dodici aree critiche contenute nel
documento della Piattaforma di Pechino;
•
la nuova programmazione 2007-2013 evidenzia come la nuova strategia europea continui a
riservare ampio spazio e rilievo alle politiche di genere. L’articolo 14 del Regolamento
generale sui Fondi Strutturali per il periodo di programmazione 2007-2013 — Uguaglianza
fra uomini e donne — riafferma l’impegno che gli Stati membri e la Commissione devono
assumere per assicurare l’uguaglianza fra uomini e donne e l’integrazione della prospettiva
di genere durante i vari stadi di implementazione finanziaria. Misure a favore delle donne,
percorrono trasversalmente quasi tutte le azioni previste anche dal Fondo sociale europeo;
•
il Programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà - Progress (2007-2013), si
prefigge di fornire un aiuto finanziario all’attuazione degli obiettivi dell’Unione europea nel
settore dell’occupazione e degli affari sociali: contribuisce, pertanto, alla realizzazione degli
obiettivi della strategia di Lisbona. Uno dei cinque macro-obiettivi del programma sarà
l’uguaglianza fra donne e uomini;
•
un ulteriore sviluppo di tali linee di indirizzo si ritrova nei documenti di preparazione al
prossimo periodo di programmazione comunitaria (2007-2013). Il Terzo Rapporto di
Coesione indica come “l’impegno dell’Unione in favore della parità tra uomini e donne
debba tradursi in un approccio di mainstreaming completo che assicuri che tutte le politiche
tengano conto del loro impatto in termini di genere in fase di pianificazione ed attuazione” e,
conseguentemente, conferma la necessità di assicurare l’integrazione delle azioni a favore
delle pari opportunità tra uomini e donne nei programmi nazionali e regionali e la
definizione di modalità di valutazione dell’impatto in un’ottica di genere.
•
Direttiva 79/7/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del
principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale
• Direttiva 86/613/CEE del Consiglio dell’11 dicembre 1986, concernente l’applicazione del
principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne che esercitano un’attività
autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della
maternità
•
Direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure
volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici
gestanti, puerpere o in periodo di allattamento
•
Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul
congedo parentale concluso dal UNICE, dal CEEP e dalla CES
•
Direttiva 97/81/CEE del Consiglio del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul
lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES
•
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica
•
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro
generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro
• Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004, che attua il principio della
parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la
loro fornitura
• Direttiva n. 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (pubblicata nella
G.U.U.E. del 26 luglio 2006 n L. 204) — riguardante l’attuazione del principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione.
Questa direttiva ha lo scopo di semplificare, modernizzare e migliorare la normativa
comunitaria in materia di parità di trattamento fra donne e uomini in materia di occupazione
e di lavoro, riunendo in un unico documento i punti pertinenti delle precedenti direttive sullo
stesso tema, in maniera di rendere la normativa più chiara e accessibile ai cittadini. La
direttiva aggiorna inoltre la legislazione alla luce della giurisprudenza della corte europea di
Giustizia
Levato Dott.ssa Francesca
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Tutela delle Lavoratrici Madri Adempimenti D.Lgs 81/08 ( Le