NORMATIVA
ANTIRICICLAGGIO PER I
PROFESSIONISTI
INDICE:
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Concetto di riciclaggio
Pag. 2
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Disciplina nazionale in materia di riciclaggio
Pag. 4
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Le autorità competenti in materia di antiriciclaggio
Pag. 5
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Normativa per i professionisti
Pag. 7
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Obblighi per i professionisti:
Pag. 7
1.
2.
3.
4.
5.
Pag. 7
Pag. 13
Pag. 15
Pag. 17
-
obbligo di adeguata verifica della clientela
obbligo di registrazione e conservazione dei dati
obbligo di segnalazione delle operazioni sospette
obbligo di formazione del personale
obbligo di comunicare le violazioni concernenti le
limitazioni all’uso del contante
Sanzioni amministrative pecuniarie e penali
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Conclusioni finali
Pag. 21
Pag. 17
Pag. 18
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CONCETTO DI RICICLAGGIO
Vorrei cominciare la mia analisi partendo dalla definizione di antiriciclaggio. Con il termine
antiriciclaggio si suole fare riferimento all’insieme di misure finalizzate alla lotta al riciclaggio di
denaro, beni o altre utilità provenienti da attività illecite.
Con il termine riciclaggio, invece, si intende la riutilizzazione dei proventi derivanti da attività
criminali illecite, con lo scopo di occultare la provenienza della ricchezza, mediante una serie di
operazioni dirette ad ostacolare la ricostruzione a ritroso dei movimenti di capitale.
E’ un fenomeno molto complesso e in rapida crescita che interessa enormi capitali causato
dall’espansione e dalla diversificazione delle attività illegali. L’attività di riciclaggio costituisce una
pratica criminale direttamente produttiva di ricchezza e, proprio per questo, risulta appetibile alle
organizzazioni criminali che hanno prodotto capitali illeciti. Per un’organizzazione criminale detto
reato può consentire, oltre alla realizzazione di utili, anche la possibilità di inserirsi nell’economia
legale. Le organizzazioni criminali prima accumulano ricchezza illecita e poi, mediante il riciclaggio,
la investono nel circuito legale, creando così la possibilità di controllare attività economiche lecite.
Le modalità con le quali può essere riciclata la ricchezza sono innumerevoli. L’esperienza giuridica
ha permesso di individuare tre fasi distinte nella realizzazione di un’operazione di riciclaggio:
- la prima fase è detta di “placement stage” (collocamento) e comporta l’introduzione dei
proventi nel sistema dei pagamenti;
- la seconda fase è definita “layering” (lavaggio) in tale fase avviene la movimentazioni dei
capitali, mediante operazione finalizzate ad impedire il collegamento tra il denaro e la sua
origine criminale;
- l’ultima fase è detta “integration” (integrazione), nella quale c’è l’investimento dei mezzi
finanziari nel sistema economico legale.
Bisogna anche sottolineare il fatto che sono molti i soggetti implicati in un’operazione di riciclaggio.
L’autore del reato a monte non è quasi mai colui che ricicla i proventi illeciti. Il riciclaggio viene
effettuato da professionisti del settore, persone fisiche o organizzazioni specializzate nel money
laundering internazionale. Veri e propri specialisti nel campo del lavaggio del danaro sporco, devono
essere considerate quelle banche, o più in generale quegli intermediari finanziari i quali, pur
operando nel mercato legale, sono protagonisti consapevoli di un’attività di riciclaggio. Tali soggetti
costituiscono un elemento integrante del sistema criminale. Le ipotesi vanno dal classico caso del
“dipendente infedele” cioè del funzionario di banca corrotto alla banca nata e cresciuta nelle mani del
crimine organizzato.
Vi sono infine altri soggetti chiamati “collaboratori esterni” che intervengono nelle varie fasi del
riciclaggio in modo indiretto, per esempio con attività di consulenza legale, per ottenere una più
accorta allocazione delle risorse derivanti dall’attività criminosa. Gli studi recenti sottolineano infatti
una crescente tendenza alla professionalizzazione del riciclaggio.
Secondo la sentenza della cassazione penale, Sez. II, (ud. 18 ottobre 2005) del 7 novembre 2006, n.
36779 costituisce riciclaggio e non ricettazione la condotta di colui che non solo pone in contatto
l’acquirente e il venditore, ma che interviene materialmente nel trasferimento del bene in quanto
mentre la mediazione è un’attività accessoria al contratto di acquisto, il materiale di trasferimento del
bene dall’uno all’altro costituisce una condotta ulteriore e diversa che inserisce il mediatore tra
coloro che agiscono per ostacolare la possibilità di identificazione del bene, indipendentemente
dall’accertamento del reato presupposto, il che caratterizza l’elemento soggettivo o oggettivo del
riciclaggio.
Volendo fornire alcuni dati il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha stimato, a livello
internazionale, che il riciclaggio assommi circa il 5% del PIL mondiale. La situazione è ancora più
grave in Italia con stime superiori al 10% del PIL pari a oltre 1500 miliardi di euro e crescenti in
funzioni della crisi economica e dell’apertura internazionale dei mercati. Da questo punto di vista mi
sembra utile fornire alcuni dati relativi al numero di Sos riciclaggio in Italia inoltrati dagli
intermediari all’Uif e alla distribuzione geografica delle segnalazioni sospette.
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Come si può notare dal grafico il numero di sos inoltrati dagli intermediari al’Uif dal 2003 ha subito
una crescita costante causata dai motivi precedentemente elencati.
Dal grafico possiamo vedere che il numero di segnalazioni sospette è maggiore al nord rispetto al
resto d’Italia, la spiegazione a questo è data dal fatto che l’attività economica è maggiormente
sviluppata al nord e quindi il numero di transazioni finanziarie è molto più numeroso, e ci sarà una
maggior possibilità di riciclare ricchezza perché è più facile sfuggire ai controlli. Tuttavia al sud,
bisogna dire, che il numero di operazioni sospette è concentrato nelle città dove le organizzazioni
criminali (soprattutto a stampo mafioso) sono maggiormente sviluppate come ad esempio Napoli,
Palermo, Bari.
C’è da sottolineare, inoltre, il fatto che molte volte la ricchezza accumulata dalle organizzazioni
criminali è stata usata per finanziare il terrorismo internazionale. Gli attentati dell’11 settembre 2001
negli Stati Uniti seguiti da quelli del marzo 2004 in Spagna e luglio 2005 in Gran Bretagna, hanno
determinato una reazione da parte degli Organi e delle Autorità sovranazionali. Accanto alle
tradizionali forme di contrasto e prevenzione al terrorismo fondate sull’azione politica e sulle attività
investigative, l’attenzione si è estesa sul piano delle transazioni economiche e finanziarie, al fine di
individuare le risorse utilizzate per finanziare le azioni terroristiche. Ciò ha portato a una più intensa
collaborazione tra le nazioni per adottare misure tecniche e legislative efficaci per contrastare il
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finanziamento alle attività terroristiche. Il soggetto che investe per finanziare terrorismo non sempre
occulta e trasforma risorse ma agisce, piuttosto, per nascondere e dissimulare il fine ultimo che
intende perseguire. Il finanziamento al terrorismo, pur realizzandosi anche attraverso tecniche di
riciclaggio può anche reperire le liquidità necessarie attraverso l’economia legale.
Avendo già utilizzato l’acronimo Uif e considerando che lo userò più volte nel corso del mio
elaborato, essendo un organo di fondamentale importanza nella disciplina antiriciclaggio, mi sembra
opportuno dare una breve spiegazione su cosa sia l’Uif.
Per Uif si intende Unità di informazione finanziaria, è istituita presso la Banca d’Italia e esercita le
proprio funzioni in piena autonomia e indipendenza.
Le attività più importanti svolte dalla Uif sono:
- Analizzare i flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di
denaro o di finanziamenti al terrorismo;
- Emanare istruzioni sui dati e le informazioni che devono essere contenuti nelle segnalazioni
di operazioni sospette;
- Ricevere le segnalazioni di operazioni sospette ed effettuarne l’analisi finanziaria;
- Fornire i risultati di carattere generale degli studi effettuati dalle forze di polizia, alle autorità
di vigilanza di settore, al Ministero dell’economia e delle finanze e al Ministero della
giustizia nonché al Procuratore nazionale antimafia.
DISCIPLINA NAZIONALE IN MATERIA DI RICICLAGGIO
La legge antiriciclaggio affonda le proprie origini sia nella legislazione internazionale, soprattutto
nella Convenzione di Vienna e di Strasburgo e nella direttiva europea 308/1990, sia nella
legislazione interna nelle leggi antimafia.
Per quanto riguarda gli interventi legislativi nazionali, il primo importante provvedimento fu il
decreto legge 21 marzo 1978, n. 59 convertito poi nella legge 18 maggio 1978, n. 191 intitolato
“Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati”. Il decreto legge
introduceva importanti modifiche nei codici penale e di procedura penale, da sottolineare
l’introduzione dell’art. 648-bis “Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata,
estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione”.
Un altro importante intervento legislativo si ebbe con il decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625,
convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, si trattava della prima legge antimafia, la cosiddetta
legge Cossiga.
Dopo dieci anni fu emanata la legge 19 marzo 1990, n. 55 la cosiddetta “antimafia due” o “legge
Vassalli” con la quale fu modificato l’art. 648-bis del codice penale dove si parla per la prima volta
di riciclaggio e fu, inoltre, introdotto l’art. 648-ter.
Da quel momento, in Italia, il riciclaggio è considerato un reato secondo quanto previsto dagli
articoli 648-bis e ter del Codice Penale qui sotto riportati.
Art. 648-bis Riciclaggio.
[I]. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità
provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a
dodici anni e con la multa da 1.032 euro a 15.493 euro.
[II]. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
[III]. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è
stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
[IV]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
Art. 648-ter Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
[I]. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis,
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impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è
punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 1.032 euro a 15.493 euro.
[II]. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
[III]. La pena è diminuita nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 648.
[IV]. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.
Il passo successivo fu l’emanazione dell’importantissima legge n. 197/91 in seguito modificata da
una serie di decreti legislativi il più importante da ricordare è il decreto legislativo n. 231 del 21
novembre 2007.
In linea con l’evoluzione delle regole e dei principi fissati a livello internazionale e comunitario, il
decreto legislativo n. 231 del 21 novembre 2007 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva del
Consiglio Europeo 2005/60/CE, razionalizzando ed innovando la normativa di prevenzione
antiriciclaggio fino a quel momento regolamentata dalla legge n. 197 del 5 luglio 1991 e dal decreto
legislativo n. 56 del 20 febbraio 2004.
Scopo del provvedimento è quello di dettare misure volte a tutelare l’integrità del sistema finanziario
e di quello economico e, per via traslata, la protezione della stabilità degli stessi, prescrivendo canoni
di comportamento per i soggetti destinatari allo scopo di prevenire l’utilizzo di tali sistemi per
finalità di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
Il provvedimento è stato oggetto di modifiche ed integrazioni attraverso il decreto legislativo n. 151
del 25 settembre 2009, per tenere conto di alcune esigenze manifestate dagli operatori finanziari e
dalle Autorità di vigilanza di settore dopo il primo periodo di applicazione della normativa.
Da evidenziare anche l’importanza del decreto 56/2004, che ha esteso l’ambito di applicazione della
legge 197 ai professionisti.
LE AUTORITA’ COMPETENTI IN MATERIA DI ANTIRICICLAGGIO
Il Capo II del Titolo I del decreto 231/2007 definisce le funzioni e le competenze delle Autorità
preposte all’attività di prevenzione del sistema antiriciclaggio ed antiterrorismo, ripartendole tra:
- il Ministro dell’Economia e delle Finanze, responsabile dell’Alta vigilanza e delle politiche di
prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario per finalità di riciclaggio e di finanziamento del
terrorismo. Spetta al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’esercizio dei poteri sanzionatori
amministrativi ai fini antiriciclaggio nonché la cura dei rapporti con gli organismi dell’Unione
Europea ed internazionali, incaricati di stabilire le linee guida e gli standard nelle specifiche materie;
- il Comitato di Sicurezza Finanziaria, individuato quale Organismo collegiale di coordinamento a
livello nazionale con funzioni di analisi e di valutazione dell’attività di prevenzione;
- le Autorità di vigilanza di settore, ossia la Banca d’Italia, la Consob e l’Isvap, cui sono attribuite
facoltà normative in materia di regolamentazione secondaria e compiti di vigilanza e di ispezione
sugli intermediari finanziari ex art. 11, comma 1, del decreto 231/2007;
- l’Unità di Informazione Finanziaria (U.I.F.), con compiti di analisi finanziaria in materia di
segnalazione di operazioni sospette come già precedentemente elencato;
- la Guardia di Finanza e la Direzione Investigativa Antimafia, incaricate all’esecuzione degli
accertamenti investigativi di prevenzione, ossia all’approfondimento investigativo delle segnalazioni
di operazioni sospette e allo svolgimento delle ispezioni antiriciclaggio per la verifica del rispetto
delle disposizioni di settore;
- le altre Forze di polizia che, nel rispetto delle proprie competenze, partecipano all’attività di
prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario e di quello economico a fini di riciclaggio e di
finanziamento del terrorismo;
- gli Ordini professionali, con funzioni di controllo sui propri iscritti e incaricati alla trasmissione
delle segnalazioni di operazioni sospette verso l’Uif.
Nel decreto, inoltre, vengono fissati gli ambiti soggettivi di applicazione del decreto 231/2007,
prevedendo il novero dei destinatari degli obblighi di collaborazione, ossia quei soggetti che, in virtù
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dell’attività esercitata e dei rapporti intrattenuti con una vasta platea di clienti, sono chiamati a
contribuire con le Autorità competenti per l’individuazione di quegli elementi tipici di casi di
riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Gli operatori assoggettati agli adempimenti antiriciclaggio, sono suddivisi in tre classi, distinguendo
tra:
- intermediari finanziari ed altri soggetti esercenti attività finanziaria (artt. 10, comma 2, e 11 del
decreto 231/2007);
- professionisti giuridico - contabili e revisori (artt. 12 e 13 del decreto 231/2007);
- operatori non finanziari (art. 10, comma 2, e 14 del decreto 231/2007).
A questo punto, mi sembra opportuno esplicitare i soggetti facenti parte nella categoria intermediari
finanziari e operatori non finanziari, per poi passare a uno studio più approfondito della normativa in
capo ai professionisti.
Fanno parte nella categoria intermediari finanziari:
- Le banche, gli istituti di moneta elettronica, le SIM (Società di Intermediazione Mobiliare), le
SICAV (società di investimento a capitale variabile), le SGR (società di gestione del
risparmio);
- Le Poste Italiane S.p.a.;
- Le imprese di assicurazione che operano in Italia nei rami di cui all’art. 2 comma 1 del CAP;
- Gli agenti di cambio;
- Le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;
- Gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del testo unico
bancario;
- Gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale previsto dall’art. 106 del testo unico
bancario;
- Cassa deposito e prestiti S.p.a.;
- Le società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966;
- I soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nella sezione dell’elenco generale previste
dall’art. 155, comma 4-5 del TUB;
- Le succursali italiane dei soggetti indicati nei punti precedenti con sede legale in uno stato
estero nonché le succursali italiane delle società di gestione del risparmio armonizzate;
- I promotori finanziari iscritti nell’albo previsto dall’art. 31 del TUF;
- I mediatori creditizi iscritti nell’albo previsto dall’art. 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108;
- Gli agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco previsto dall’art. 3 del D.lgs. 25 settembre
1999 n. 374.
Rientrano nei soggetti obbligati alla disciplina antiriciclaggio anche gli operatori non finanziari
ovvero coloro che esercitano le seguenti attività:
- Recupero di crediti per conto terzi
- Custodia e trasporto di denaro contante, di titoli o valori a mezzo di guardie particolari
giurate;
- Trasporto di denaro contante e di titoli o valori senza l’impiego di guardie particolari giurate;
- Gestione di case da gioco;
- Offerta, attraverso la rete di internet e altre reti telematiche o di telecomunicazione, di giochi
scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro anche in assenza delle autorizzazioni
rilasciate dal ministro dell’economia e delle finanze;
- Agenzie di affari in mediazione immobiliare.
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NORMATIVA PER I PROFESSIONISTI
La mia analisi si soffermerà da qui in poi sulla categoria professionisti giuridico – contabili e
revisori, in quanto l’azienda nel quale ho svolto lo stage era compresa in tale categoria. Per lo più,
c’è da dire, che esistono piccole differenze normative passando da una classe all’altra, quindi
considero più interessante parlare solamente della categoria professionisti. Partiamo innanzitutto
elencando i vari soggetti facenti parte alla categoria professionisti:
Le società di revisione iscritte nell’Albo speciale;
I dottori commercialisti e gli esperti contabili;
I revisori contabili;
I consulenti del lavoro;
Ogni altro soggetto che rende i servizi forniti da periti, revisori contabili, consulenti ed ogni altro
soggetto che svolge attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi, ivi compresi
associazioni di categoria imprenditori e commercianti, Caf e patronati;
I prestatori di servizi relativi a società e trust;
I notai e gli avvocati quando, in nome e per conto di propri clienti, compiono operazioni di natura
finanziaria o immobiliare;
Detto questo, è necessario fare una precisazione su cosa si intende per operazioni di natura
finanziaria o immobiliare. Per operazioni di natura finanziaria o immobiliare intendiamo:
Il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche
La gestione di denaro, di strumenti finanziari o di altri beni;
L’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
L’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di
società;
La costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.
GLI OBBLIGHI PER I PROFESSIONISTI
Ma quali sono gli obblighi da parte dei professionisti giuridico – contabili e revisori?
Gli obblighi possono essere così espressi:
1) Obbligo dell’adeguata verifica della clientela.
I professionisti provvedono all’adeguata verifica della clientela nello svolgimento della
propria attività professionale in forma individuale, associata o societaria. L’adeguata verifica
si sostanzia nello svolgimento di una serie di attività, definite dall’art. 18 D.lgs. 231/2007.
Tali attività consistono: nell’identificazione del cliente e nella verifica dell’identità dello
stesso sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e
indipendente; nell’identificazione dell’eventuale titolare effettivo e nella verifica dell’identità
dello stesso; nell’ottenimento di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto
continuativo o della prestazione professionale; nello svolgimento di un controllo costante nel
corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale. Tali adempimenti sono
diversamente modulati in funzione della tipologia di operazione e dell’analisi di rischio di
riciclaggio e di finanziamento del terrorismo operata dai destinatari della normativa
antiriciclaggio.
Per i professionisti ed i revisori contabili si applicano in caso di (art. 16 del decreto
231/2007):
- prestazione professionale avente ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilità di valore
pari o superiore a 15.000 euro;
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- prestazioni professionali occasionali che comportano la trasmissione o la movimentazione
di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente se si
tratta di un operazione unica o frazionata;
- operazioni di valore indeterminato o non determinabile;
- sospetti di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, oppure dubbi sulla veridicità o
adeguatezza dei dati ottenuti in sede di identificazione.
Ai sensi dell’art. 12, comma 3 l’adeguata verifica è, invece, esclusa in relazione allo
svolgimento della mera attività di redazione e/o trasmissione delle dichiarazioni derivanti da
obblighi fiscali e in tutti gli adempimenti in materia di amministrazione del personale di cui
alla legge 11 gennaio 1979, n. 12 (in pratica per gli adempimenti conseguenti al pagamento di
retribuzioni, contributi ed imposte obbligatorie non è richiesta alcuna verifica per il
professionista in capo al datore di lavoro).
Circa le modalità di esecuzione dei compiti, l’art. 19 del decreto 231/2007 stabilisce a fattor
comune per tutti i destinatari che:
- l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo è svolta, in
presenza del cliente mediante un documento d’identità non scaduto, prima dell’instaurazione
del rapporto continuativo o al momento in cui è conferito l’incarico di svolgere una
prestazione professionale o dell’esecuzione dell’operazione. Qualora il cliente sia una società
o un ente occorre verificare l’effettiva esistenza del potere di rappresentanza acquisendo le
informazioni necessarie per individuare e verificare l’identità dei rappresentanti delegati alla
firma;
- l’identificazione e la verifica dell’identità del titolare effettivo è effettuata contestualmente
all’identificazione del cliente e impone, per le persone giuridiche, i trust e soggetti giuridici
analoghi, l’adozione di misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per
comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente.
Per identificare e verificare l’identità del titolare effettivo, è possibile fare ricorso a pubblici
registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, oppure chiedere direttamente ai
propri clienti i dati pertinenti.
Detto questo è necessario fare un ulteriore precisazione sulla figura del titolare effettivo in
quanto l'attività di identificazione, come già prima accennato, non può limitarsi alla persona
con cui il professionista ha abitualmente contatti o a colui che formalmente risulta essere il
rappresentante legale di una società o di altra identità giuridica, in quanto è necessario
verificare la sussistenza di un eventuale titolare effettivo. La definizione di Titolare effettivo,
secondo le istruzioni normative, è contenuta nell'articolo 1 , comma 2, lettera u, dell'Allegato
tecnico al Decreto legislativo 231/2007 che qui riporto: ”Per titolare effettivo s'intende: a) in
caso di società: 1) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o
controllino un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una
percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a
tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purche' non si tratti di una società
ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di
comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti;
tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di
partecipazione al capitale sociale; 2) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in
altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica; b) in caso di entità giuridiche
quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e distribuiscono fondi:
1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche
beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica; 2) se le persone che
beneficiano dell'entità giuridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone
nel cui interesse principale e' istituita o agisce l'entità giuridica; 3) la persona fisica o le
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persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio di un'entità
giuridica”.
Dalla lettura del testo si può notare che la figura del Titolare effettivo sembra configurarsi
unicamente per le società (senza distinzione fra quelle di persone o di capitali), e per le
Fondazioni ed i Trust che possono effettivamente apparire in un modo, ai fini
dell'amministrazione o delle decisioni di vertice ma che, nella realtà sono governate da
soggetti terzi non facenti parte dei rispettivi Consigli di amministrazione. Per le Ditte
individuali invece, per definizione, il Titolare effettivo non può che essere il titolare
dell'impresa (c.d. Imprenditore individuale) e questa potrebbe essere la ragione per la quale
l'impresa individuale non è considerata nella casistica descritta dal richiamato Allegato
Tecnico. Il problema dell’individuazione del titolare effettivo si pone, quindi, in tutte le
situazioni in cui il cliente del professionista sia una società controllata da altre società o entità
giuridiche collocate anche fuori dall'Italia. In questi casi, sarà necessario procedere ad
approfondimenti dettagliati sul titolare effettivo. Risulta quindi decisiva la collaborazione del
cliente o del soggetto che si interfaccia con il professionista, altrimenti quest'ultimo dovrà
muoversi autonomamente. La strada più intuitiva da percorrere, in questo caso, è quella di
ricorrere alle visure camerali per poter ricostruire la catena di controllo della società-cliente.
Per quanto riguarda la tempistica l’art. 22 del decreto 231/2007 recita “Gli obblighi di
adeguata verifica della clientela si attuano nei confronti di tutti i nuovi clienti. Per la clientela
già acquisita i suddetti obblighi si applicano al primo contatto utile, fatta salva la valutazione
del rischio presente”. Dunque, per la clientela già acquisita alla data di entrata in vigore del
D.lgs. n. 231/2007, l’esecuzione dell’adeguata verifica sarà effettuata al primo contatto utile:
ad es., conferimento di un nuovo incarico, modifica di un incarico precedentemente conferito,
ecc.
L’obbligo di adeguata verifica deve essere assolto, come prima accennato, commisurandolo
al rischio associato al tipo di cliente acquisito ed al tipo di operazione. Per valutare la
rischiosità del cliente si devono considerare: la natura giuridica (ditta individuale, società di
persone o capitali, associazione professionale, ecc), la prevalenza dell’attività svolta
(operazioni normali, di particolare entità o anormali nonché la rischiosità del settore in cui
opera il cliente),il comportamento tenuto al momento del compimento dell'operazione o
dell'instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale (collaborativo
o reticente, mancanza della presenza fisica del cliente nella fase iniziale del apporto, assenza
di contatti diretti col cliente), inoltre bisogna considerare l’area geografica di residenza o
della sede del cliente (paese che adotta un’appropriata legislazione in materia di
antiriciclaggio e di contrasto al terrorismo, paesi black list).
Per valutare la rischiosità dell’operazione si devono considerare: la tipologia dell'operazione
(ordinaria o straordinaria – compatibilità dell’operazione con le dimensioni del cliente), le
modalità di svolgimento dell'operazione (con banche o tra privati e mezzi di pagamento
utilizzati), l’ammontare dell'operazione (basso, medio o alto), la frequenza dell'operazione e
la durata del rapporto continuativo o della prestazione professionale (occasionale, poco
frequente o frequente), la ragionevolezza dell'operazione in rapporto all'attività svolta dal
cliente (congruità o non congruità con la situazione patrimoniale o reddituale o finanziaria
della società), l’area geografica di destinazione dell'operazione (paese che adotta
un’appropriata legislazione in materia di antiriciclaggio e di contrasto al terrorismo).
Per capire meglio la situazione mi sembra opportuno fornire alcuni esempi.
Esempio basso profilo di rischio: Una società alimentare con sede in Italia chiede assistenza
ad un professionista per acquistare un’altra società alimentare ubicata in un'altra regione
Italiana. La società italiana è una s.r.l., i cui soci sono due persone fisiche, marito e moglie,
ciascuno con il 50%. Il marito risulta ricoprire la carica di Amministratore Unico della
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società. Il cliente è collaborativo e fornisce tutte le informazioni che il professionista richiede.
Il cliente è una conoscenza storica e viene seguito dal professionista da diversi anni.
Esempio medio profilo di rischio: Una società alimentare con sede in Italia chiede assistenza
ad un professionista per acquistare un’altra società alimentare ubicata in Svizzera. La società
italiana è a responsabilità limitata, i soci sono due persone fisiche, marito e moglie, ciascuno
con il 50%. La società, questa volta, risulta gestita dalla moglie che ricopre la carica di
Amministratore Unico anche se non si occupa effettivamente della gestione della società. Il
cliente è collaborativo e fornisce tutte le informazioni che il professionista richiede. Il cliente
è una conoscenza nuova e viene seguito dal professionista da qualche mese
Ipotesi ad alto profilo di rischio: Una società alimentare con sede in Italia chiede assistenza
ad un professionista per acquistare un’altra società alimentare ubicata in un “paradiso fiscale”
es. Panama. La società italiana è una s.r.l., i cui soci sono una Spa con il 10% ed una società
olandese con il restante 90%. La società risulta gestita da un Amministratore Unico che
ricopre il ruolo di magazziniere nella società cliente che non si occupa della gestione della
stessa. Il cliente è reticente ed occasionale.
Per facilitare l’operato dei professionisti vengono utilizzate apposite tabelle di valutazione del
rischio. Mi sembra opportuno riportare le tabelle di valutazione con relativa griglia di
valutazione utilizzate nello studio presso il quale ho svolto lo stage.
A. Aspetti connessi al cliente
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* Si precisa che per operazioni “normali” si intendono tutte quelle connesse all’attività abitualmente
svolta dal cliente. Resta inteso che anche operazioni apparentemente “normali” potrebbero risultare
anomale ove, ad esempio, l’importo dell’investimento ad esse correlato sia particolarmente elevato
rispetto alle dimensioni economiche e finanziarie del cliente e l’operazione venga finanziata con
mezzi provenienti da fonti non abituali. In tal caso, infatti, l’operazione, pur configurandosi
“normale”, di fatto perderebbe tale caratteristica in ragione delle dimensioni dell’investimento e delle
relative modalità di finanziamento.
B. Aspetti connessi all’operazione
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Valutazione finale del rischio di riciclaggio/finanziamento del terrorismo
Legenda dei punteggi parziali e del punteggio totale per la determinazione del rischio di
riciclaggio:
C’è da dire, inoltre, che esistono tre livelli dell’adeguata verifica della clientela che sono:
-Adeguata verifica della clientela “ordinaria” in presenza di un rischio basso e medio di
riciclaggio (art. 16)
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- Obblighi “semplificati” di adeguata verifica della clientela nel caso di particolari requisiti
soggettivi ed oggettivi (art. 25)
- Obblighi “rafforzati” di adeguata verifica della clientela in presenza di un rischio elevato di
riciclaggio (art. 28)
Ho fatto giusto un accenno ma non mi occuperò di spiegare in maniera approfondita cosa
varia nel passare da un livello all’altro.
L’ultimo punto interessante da analizzare nell’ambito dell’adeguata verifica della clientela è
quello relativo al controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione
professionale. Il controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione
professionale si attua analizzando le transazioni concluse durante tutta la durata di tale
rapporto in modo da verificare che tali transazioni siano compatibili con la conoscenza che
l’ente o la persona tenuta all’identificazione hanno del proprio cliente, delle sue attività
commerciali e del suo profilo di rischio. Al fine di proceduralizzare all’interno di uno studio
professionale le operazioni inerenti al controllo costante della clientela è necessario svolgere
le seguenti attività:
1) Effettuare una prima richiesta scritta con impegno del cliente a comunicare la variazione
dei dati;
2) Programmare richieste periodiche di aggiornamento dei dati in archivio con una tempistica
da definire sulla base della valutazione del rischio presente e che, per semplicità, per le
prestazioni continuative, potrebbero essere collegate alla periodicità di fatturazione;
3) Istituire degli automatismi per l’aggiornamento dei dati ad esempio annotando:
- la scadenza dei documenti di identificazione,
- il termine per il rinnovo delle cariche sociali,
- eventuali termini connessi a contratti od atti,
- altri elementi ritenuti utili dal professionista;
4) Prevedere eventuali incontri con il cliente quando si presentano situazioni di criticità
(entrata nella fascia di rischio alta);
5) istruire il personale di studio in modo che possa fornire elementi utili alla valutazione del
profilo di rischio;
6) Annotare le informazioni acquisite nel corso degli incontri preparatori e nello svolgimento
delle diverse prestazioni.
2) Obbligo di registrazione e conservazione dei dati.
Per monitorare i flussi finanziari ed agevolare lo sviluppo di qualsiasi indagine su eventuali
operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, o per l’effettuazione di analisi da
parte dell’UIF o di qualsiasi altra Autorità competente, la disciplina antiriciclaggio prevede
per i professionisti l’onere di conservare i documenti e di registrare, con determinate
modalità, alcuni dati ed informazioni acquisiti in sede di adeguata verifica.
Il legislatore disciplina separatamente gli obblighi di conservazione dagli obblighi di
registrazione (non previsti dalla Direttiva Europea).
Per quanto riguarda gli obblighi di conservazione l’art. 36, comma 1, del decreto 231/2007
prevede l’onere di conservare: - per quanto riguarda gli obblighi di adeguata verifica del
cliente e del titolare effettivo, la copia o i riferimenti dei documenti richiesti, per un periodo
di dieci anni dalla fine del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
- relativamente alle operazioni, ai rapporti continuativi ed alle prestazioni professionali, le
scritture e le registrazioni, consistenti nei documenti originali o nelle copie aventi analoga
efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari, per un periodo di dieci anni dall’esecuzione
dell’operazione o dalla cessazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
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Con riferimento ai rapporti continuativi e alla prestazione professionale i professionisti
devono registrare e conservare per dieci anni: - la data di instaurazione del rapporto; - i dati
identificativi del cliente e del titolare effettivo; - le generalità dei soggetti delegati a operare
per conto del titolare del rapporto.
Circa la tempistica, le informazioni vanno registrate tempestivamente e, comunque, non oltre
il trentesimo giorno successivo al compimento dell’operazione ovvero all’apertura, alla
variazione e alla chiusura del rapporto continuativo ovvero all’accettazione dell’incarico
professionale, all’eventuale conoscenza successiva di ulteriori informazioni, o al termine
della prestazione professionale (art. 38).
Per quanto riguarda le modalità di registrazione, il legislatore ha previsto per i professionisti,
in alternativa all’archivio formato e gestito a mezzo di strumenti finanziari, l’utilizzo di un
apposito registro cartaceo della clientela nel quale conservare i dati identificativi del cliente a
fini antiriciclaggio. Il registro della clientela è numerato progressivamente e siglato in ogni
pagina a cura del soggetto obbligato o di un suo collaboratore delegato per iscritto, con
indicazione alla fine dell’ultimo foglio del numero di pagine di cui è composto il registro e
l’apposizione della firma delle suddette persone. Il registro deve essere tenuto in maniera
ordinata, senza spazi bianchi e abrasioni. La documentazione nonché gli ulteriori dati e
informazioni sono conservati nel fascicolo relativo a ciascun cliente (art. 38, co. 2).
E’ proprio questa l’attività di cui mi sono occupato durante la mia esperienza di stage.
Nello specifico, mi sono occupato della fase di aggiornamento dei documenti componenti il
fascicolo clienti.
Nel “mio” studio il fascicolo clienti era composto da:
- copertina fascicolo compilata che comprendeva i dati identificativi del cliente/impresa,
codice fiscale, partita iva, indirizzo sede legale e informazioni riguardo il legale
rappresentante;
- scheda raccolta dati compilata nel quale erano sempre inseriti dati identificativi del
cliente/impresa con firma per accettazione validità dei dati da parte del titolare;
- dichiarazione da parte del cliente sul titolare effettivo dell’operazione nel caso di ditta
individuale l’identificazione dell’impresa cliente coincide con la persona fisica; nel caso di
società di persone (sas, snc) e società di capitali (srl, spa, soc. coop) si identifica il legale
rappresentante o l’amministratore e tutti i titolari con ciò si intende tutti coloro che detengono
più del 25% delle quote della società. I titolari saranno dichiarati dal cliente/legale
rappresentante raccogliendo copia dei documenti di identità e dati identificativi;
- dichiarazione da parte del cliente sullo scopo e sull’oggetto dell’attività o dell’operazione
per la quale è chiesta la prestazione professionale;
- valutazione del rischio;
- visura camerale, o ultima visura camerale “storica” (consigliato per le ditte individuali,
obbligatorio per i soggetti diversi da persona fisica per verificare il soggetto o i soggetti che
hanno potere di rappresentanza);
- carta identità legale rappresentante e soci titolari effettivi;
- copia informativa privacy e consenso per il rispetto della normativa sulla protezione dei dati
personali.
L’attività che mi ha richiesto più tempo è stata quella di individuare il legale rappresentante.
Per risalire al legale rappresentante dovevo consultare le visure storiche che erano salvate in
un database diviso per clienti/imprese oppure, nel caso in cui tale documento non era
disponibile, dovevo controllare chi era il soggetto che firmava la dichiarazione dei redditi
dell’anno precedente.
Oltre che dal registro cartaceo il fascicolo della clientela, come già prima accennato, può
essere tenuto anche con modalità informatiche (vd. d.l. n. 185/2009 circa la validità legale ai
fini civilistici dei documenti informatici), ad es. mediante cartelle informatiche intestate a
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ciascun cliente nelle quali dovranno essere archiviati tutti i documenti. Se il documento è già
informatizzato non sarà necessaria alcuna ulteriore operazione, mentre per i documenti
cartacei bisognerà procedere alla loro scannerizzazione. Ove il documento conservato
mediante modalità informatiche debba avere validità probatoria ai fini dei procedimenti
giudiziari,il professionista dovrà procedere all’apposizione della firma digitale.
3) Obbligo di segnalazione delle operazioni sospette.
L’obbligo di segnalazione per i professionisti è uguale a quello gravante sugli altri soggetti
obbligati (intermediari finanziari e operatori non finanziari). L’art. 3, comma 1, del D.L. n.
143/1991 recita: “I liberi professionisti hanno l’obbligo di segnalare all’UIC ogni operazione
che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsiasi altra circostanza conosciuta o ragione
della funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal
soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il
denaro, i beni e le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti
previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale”.
L’obbligo nasce quando i professionisti sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per
sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o
di finanziamento al terrorismo (art. 41 del d.lgs. n. 231/2007).
Il sospetto si delinea esclusivamente in base agli elementi a disposizione dei segnalanti
acquisiti nel corso dell’attività svolta, il professionista non deve eseguire nessuna attività
investigativa. Il sospetto, quindi, deve basarsi su eventuali colloqui con il cliente,
acquisizione di documenti presso pubblici registri, richiesta di esibizione di atti e documenti
da parte del cliente.
Per agevolare l’individuazione di eventuali operazioni sospette sono stati emanati degli
indicatori di anomalia (contenuti nel decreto del Ministro della giustizia del 16 aprile 2010)
su proposta dell’Uif sentito il parere degli ordini professionali.
C’è da dire che la mera ricorrenza di operazioni o comportamenti descritti in uno o più
indicatori di anomalia, non costituisce motivo di per sé sufficiente per l’individuazione e la
segnalazione di operazioni sospette. In sostanza, è necessario valutare in concreto la rilevanza
dei comportamenti della clientela di volta in volta.
Esistono, inoltre, una serie di attività esonerate dell’obbligo di segnalazione che sono:
-Attività di consulenza, assistenza e rappresentanza relative a procedimenti giudiziari (civili,
penali, amministrativi e tributari);
-Attività di consulenza, assistenza e rappresentanza relative a procedimenti alternativi di
soluzione delle controversie;
-Incarichi affidati dall’autorità giudiziaria (curatore, commissario giudiziale e commissario
liquidatore nelle procedure concorsuali, giudiziarie e amministrative e nelle procedure di
amministrazione straordinaria);
-Ausiliario del giudice (perito, consulente tecnico d’ufficio), amministratore e liquidatore
nelle procedure giudiziali;
-Consulenza tecnica di parte.
I dottori commercialisti e gli esperti contabili, fino a maggio 2011, trasmettevano la
segnalazione dell’operazione sospetta di riciclaggio in forma cartacea e a mezzo posta
direttamente all’Uif. Nel maggio 2011 è stato introdotto un nuovo sistema segnalatorio, tale
sistema prevede che le segnalazioni sospette vengano inviate per via telematica attraverso un
apposito portale istituito dalla Banca d’Italia.
Per quanto riguarda la tempistica della segnalazione, il professionista è tenuto a inviare la
segnalazione appena viene a conoscenza degli elementi di sospetto, senza ritardo e ove
possibile prima di eseguire l’operazione.
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Una volta inviata la segnalazione sarà compito dell’Uif svolgere un esame preliminare di
carattere economico-finanziario dell’operazione segnalata. La Uif può richiedere ai
professionisti qualsiasi informazione necessaria per gli approfondimenti relativi alle
segnalazioni di operazioni sospette. I professionisti dovranno trasmettere tempestivamente
All’Uif quanto richiesto.
La Uif in seguito alle indagini svolte può:
1) Archiviare le segnalazioni che ritiene infondate
2) Trasmettere gli esiti agli organismi investigativi (DIA e NSPV)
3) Comunicare la notizia di reato alla autorità giudiziaria (priva del nominativo del
segnalante).
Il procedimento è semplice da spiegare attraverso l’uso di questo schema:
L’identità della persona fisica che ha effettuato la segnalazione potrà essere rivelata solo su
decreto motivato dell’autorità giudiziaria, nel caso in cui quest’ultima lo ritenga
indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati. Fuori dai casi previsti dalla legge, al
professionista è vietato dare comunicazione al cliente o a terzi dell’avvenuta segnalazione. Il
divieto vale anche nei confronti di chiunque ne sia a conoscenza (compresi dipendenti e
collaboratori del professionista).
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La segnalazione delle operazioni sospette, se effettuata ai sensi della legge, non costituisce
violazione del segreto professionale e di ogni altro obbligo di segretezza o di restrizioni
imposte dalla legge o in sede contrattuale.
4 ) Obbligo di formazione del personale
I professionisti e gli ordini professionali devono adottare misure di formazione necessarie ad
istruire i collaboratori e i dipendenti al fine della corretta applicazione delle disposizioni del
d.lgs. 231/2007. Dette misure comprendono programmi di formazione finalizzati a
riconoscere le attività potenzialmente connesse al riciclaggio o al finanziamento del
terrorismo.
Le autorità competenti in particolare l’UIF, la Guardia di Finanza e la DIA, collaborano ai
programmi di formazione fornendo indicazioni aggiornate circa le prassi seguite dai
riciclatori e dai finanziatori del terrorismo. A tal fine la formazione deve essere sistematica e
continua.
5) Obbligo di comunicare le violazioni concernenti le limitazioni all’uso del contante
Per parlare di tale obbligo è necessario fare un discorso più generale che si allontana dagli
obblighi prettamente spettanti ai professionisti. Per lo più vorrei approfondire tale tema in
quanto, nella mia esperienza di stage, ho svolto una ricerca proprio riguardante le limitazioni
all’uso del contante.
Uno degli obiettivi della normativa antiriciclaggio è, senza ombra di dubbio, quello di
controllare i flussi finanziari. L’uso del denaro contante facilita il processo di lavaggio del
danaro sporco. Tuttavia, c’è da dire, che lo sviluppo della moneta elettronica con la
conseguente riduzione sia dell’uso della moneta contante che dei titoli di credito fa assumere,
alla moneta contante, ai fini antiriciclaggio una rilevanza “straordinaria”.
La normativa in tale disciplina ha subito importanti modifiche fino ad arrivare al recente
Decreto Monti del 6 dicembre 2011.
Il primo divieto introdotto fu quello di trasferire denaro contante o di libretti di deposito
bancari o postali al portatore o di titoli al portatore, in lire o valuta estera effettuati a qualsiasi
titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire era complessivamente superiore a lire
20 milioni; previsto dall’art 1 del D.lgs. n. 143/1991.
Detto limite fu successivamente elevato, per effetto del Decreto interministeriale del 17
ottobre 2002 a 12.500 Euro. In seguito il limite fu portato a 5.000 Euro dall’art. 49, comma 1,
del D.lgs. n. 231/2007 ma poiché fu considerato troppo basso fu riportato a 12.500 Euro
dall’art. 32, comma 1, del D.lgs. 25 giugno 2008, n. 112.
A decorrere dal 31 maggio 2010 l’art. 20, comma 1, del D.lgs. 31 maggio 2010, n. 78, ha
nuovamente adeguato le limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore all’importo di
5000 Euro. Successivamente tale limite fu portato a 2.500 Euro dall’art. 2 comma 4 del
13/08/2011 n. 138 e dal 6 dicembre 2011 arriviamo agli attuali 1.000 Euro come disciplinato
dal c.d. Decreto Monti.
La nuova normativa antiriciclaggio è entrata in vigore a partire dal 1° febbraio 2012 . Per
importi pari o superiori a 1.000 euro:
- è vietato il trasferimento, anche frazionato, di denaro contante, di libretti di deposito bancari
e postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi
titolo tra soggetti diversi, a meno che il trasferimento non avvenga per il tramite di banche,
istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.a.;
- gli assegni bancari e postali, gli assegni circolari, i vaglia postali e cambiari, ivi inclusi i
vaglia della Banca d’Italia, devono essere emessi con la clausola di non trasferibilità.
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Inoltre, il decreto, per la parte riguardante le norme antiriciclaggio, ha previsto che dal 1°
aprile 2012, il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o
superiore a 1.000 euro. Entro il 31 marzo 2012, i libretti di deposito al portatore, esistenti con
saldo pari o superiore ad Euro 1.000, devono essere estinti o ricondotti entro la soglia di
999,99 Euro.
Il D.lgs. n. 201/2011 incide dunque sulla disciplina dell’antiriciclaggio e impone, con
l’obiettivo di dare un importante contributo alla lotta all’evasione fiscale, una forte riduzione
della soglia relativa all’utilizzo del denaro contante.
Lo stesso D.lgs. pone rilevanza anche alle operazioni frazionate. In breve se i pagamenti
riferibili alla stessa operazione vengono frazionati in più tranche, tutte di importo inferiore a
1.000 euro, al solo scopo di eludere le disposizioni in tema di antiriciclaggio, il professionista
sarà tenuto a comunicare al ministero dell’economia e delle finanze l’inflazione rilevata.
In ossequio alle nuove norme antiriciclaggio, sarà dunque pari a mille euro anche la soglia
massima dei pagamenti per cassa e l’importo massimo degli emolumenti (stipendi, pensione,
compensi comunque corrisposti dalla pubblica amministrazione centrale e locale e dai loro
enti) che possono essere erogati in denaro contante. Oltre tale limite gli emolumenti debbono
essere pagati con strumenti diversi dal denaro contante. Al fine di incentivare l’accredito
delle pensioni su conti correnti è stata introdotta l’esenzione dall’imposta di bollo per le fasce
socialmente svantaggiate di clientela. Per i conti correnti bancari/postali e i rendiconti dei
libretti di risparmio, la tassa continuerà a essere di 34,20 euro l’anno se il cliente è una
persona privata. L’imposta di bollo è invece del tutto cancellata se il valore medio di
giacenza, risultante dagli estratti e dai libretti, non supera i cinque mila euro. In pratica se
durante l’anno, tra entrate e uscite, la disponibilità media del conto non supera questa soglia,
non si pagherà il bollo.
Il limite per il pagamento delle pensioni in contanti è stato successivamente prorogato per
difficoltà tecniche.
La violazione di tali obblighi comporta una sanzione amministrativa pecuniaria che va
dall’1% fino al 40% dell’importo trasferito, con un minimo di 3.000 euro e 15.000 per
importi superiori a 50.000 euro.
I professionisti dell’area contabile sono tenuti a comunicare le infrazioni di cui siano venuti a
conoscenza entro 30 giorni, al Ministero dell’Economia e delle Finanze oltre che all’Agenzia
delle Entrate, in modo che si attivino i relativi controlli fiscali.
Per quanto riguarda i settori geografici dove maggiormente si registrano violazioni in materia
di utilizzo di contante la palma d’oro spetta alla Lombardia con 533 violazioni seguita da
Veneto 403, Toscana 312 e Lazio 269.
Come prima accennato durante lo stage mi è stato assegnato l’incarico di svolgere una ricerca
riguardante le limitazione all’uso del contante. La ricerca riguardava un problema pratico; un
cliente chiedeva allo studio se poteva pagare una bolletta del gas di importo superiore a 1.000
euro attraverso l’uso del contante. Dopo una breve analisi normativa sull’intera disciplina,
dalla mia ricerca è emerso che si il soggetto poteva pagare la bolletta in contanti in quanto il
comma 15 dell’articolo 49 del D.lgs. 231/2007 prevede un’esclusione esplicita dall’ambito
applicativo delle limitazioni al trasferimento di denaro contante per le operazioni in cui siano
parte banche o Poste Italiane Spa. È, pertanto, conforme alla normativa antiriciclaggio il
pagamento in contanti di bollettino postale, anche per importi pari o superiori a 1.000 euro.
SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE E PENALI
E’ necessario innanzitutto dire che le sanzioni in base agli art. 55-60 del D.lgs. 231/2007 si dividono
in sanzioni amministrative e sanzioni penali. Tali sanzioni si distinguono tra gli obblighi rivolti
indistintamente a tutti i soggetti (chiunque) e quelli destinati a specifiche categorie (ad es.
professionisti e clienti).
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Per quanto riguarda le sanzioni penali l’inosservanza delle misure antiriciclaggio dà luogo
all’applicazione delle seguenti sanzioni:
– multa da euro 2.600 a euro 13.000, in caso di violazione degli obblighi d’identificazione;
– multa da euro 500 ad euro 5.000 e reclusione da sei mesi ad un anno, qualora l’esecutore
dell’operazione ometta d’indicare le generalità del soggetto per conto del quale esegue l’operazione;
– arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da euro 5.000 a euro 50.000, nel caso in cui l’esecutore
dell’operazione non fornisca informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto
continuativo o della prestazione professionale;
– multa da 2.600 euro ad euro 13.000, in caso di omessa effettuazione delle registrazioni di cui
all’art. 36, oppure quando le stesse siano effettuate in modo tardivo o incompleto;
– la reclusione fino ad un anno e la multa da euro 100 a euro 1000, per le omesse comunicazioni da
parte del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza, del comitato di controllo di gestione,
dell’organismo di vigilanza;
– ammenda da euro 5.000 a euro 50.000 e arresto da sei mesi ad un anno, in caso di violazione del
divieto di comunicazione dell’avvenuta segnalazione di operazioni sospette, fuori dai casi previsti
dagli artt. 46, comma 1, e 48, comma 4, del decreto 231/2007.
Infine, l’art. 55, comma 9, riproduce il contenuto dell’art. 12 della legge n. 197/1991 in materia di
falsificazione, alterazione ed indebito utilizzo delle carte di credito o di pagamento, ovvero di
qualsiasi altro documento che abiliti al prelievo del denaro contante o all’acquisto di beni o alla
prestazione di servizi, confermando in caso di violazione la pena della reclusione da uno a cinque
anni e della multa da euro 310 ad euro 1.550,61.
Per quanto riguarda le sanzioni amministrative occorre distinguere tra due fattispecie: le violazioni
agli obblighi antiriciclaggio e le Violazioni alle limitazioni del denaro contante e degli altri mezzi di
pagamento.
Relativamente alle violazioni in materia di obblighi antiriciclaggio da parte dei soggetti destinatari
l’articolo 57 del medesimo decreto prevede l’applicazione delle seguenti sanzioni amministrative
pecuniarie:
– da euro 5.000 a euro 200.000, in caso di mancato rispetto del provvedimento di sospensione
dell’operazione sospetta;
– per le violazioni riscontrate in capo agli intermediari circa il divieto di aprire o mantenere anche
indirettamente conti di corrispondenza con una banca di comodo è prevista un ammenda da euro
10.000 a euro 200.000;
– fino ad euro 5.000, in caso di violazione del divieto di astenersi dall’instaurare un rapporto
continuativo, eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero di porre fine al rapporto
continuativo o alla prestazione professionale già in essere di cui siano direttamente o indirettamente
parte società fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore, aventi sede
nei Paesi Black list. Per paesi Black list si intende l’insieme dei paesi a regime fiscale privilegiato. I
Paesi indicati nella Black List sono quelli individuati dal decreto del Ministro delle Finanze del 4
maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, e dal decreto del
Ministro dell'Economia e delle Finanze del 21 novembre 2001. In caso di violazioni di importo
superiore a 50.000 euro, la sanzione applicabile va dal 10% al 40% dell’importo dell’operazione,
mentre nel caso in cui l’importo della medesima non sia determinato o determinabile, si applica una
sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 250.000 euro;
– da euro 50.000 a euro 500.000, in caso di violazione all’obbligo d’istituire l’archivio unico
informatico ai sensi dell’art. 37 del decreto 231/2007;
- da euro 5.000 a euro 50.000, per l’omessa istituzione del registro della clientela di cui all’articolo
38 ovvero per la mancata adozione delle modalità di registrazione di cui all’articolo 39 del decreto
231/2007;
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- dall’1% al 40% del valore dell’operazione non segnalata, in caso di violazione dell’obbligo di
segnalazione di operazione sospetta per fatti di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, ai sensi
dell’art. 41;
- da 5.000 a 50.000, in presenza di violazioni degli obblighi informativi (diversi dalle segnalazioni di
operazioni sospette) nei confronti dell’UIF.
Per quanto riguarda le violazioni alle limitazioni del denaro contante e degli altri mezzi di
pagamento, l’art. 58 del decreto 231/2007 stabilisce l’applicazione delle seguenti sanzioni
amministrative pecuniarie:
dall’1% al 40% dell’importo trasferito, per il mancato rispetto dei divieti imposti al
trasferimento di denaro contante;
dal 20% al 40% del saldo, in caso di violazione dell’obbligo di mantenere i libretti di deposito
bancari o postali con un importo pari o inferiore a 1.000 euro;
dal 10% al 20% del saldo del libretto al portatore:
Nel caso di mancata estinzione dei libretti di deposito bancari o postali esistenti alla data di entrata in
vigore del decreto legislativo oppure in caso di mancata riduzione ad una somma non eccedente la
soglia di 1.000 euro. Tale sanzione si applica anche nei casi di assenza della comunicazione da parte
del cedente, entro trenta giorni, alla banca o a Poste italiane S.p.a. dei dati identificativi del
cessionario nonché della data del trasferimento di libretti di deposito bancari o al portatore;
dal 20% al 40% dell’importo trasferito, in caso di violazioni, da parte degli operatori di money
transfer concernenti il trasferimento di denaro contante per importi superiore ai 2.000 euro ovvero
compresi tra i 2.000 ed i 5.000 euro;
dal 20% al 40% dell’importo trasferito, in caso di violazione del divieto di aprire in qualunque
forma conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia, ai sensi dell’art. 50,
comma 1. In presenza, invece, dell’utilizzazione dei predetti conti o libretti di risparmio, la sanzione
applicabile varia tra il 10% ed il 40% del saldo;
dal 3% al 30% dell’importo dell’operazione, del saldo del libretto ovvero del conto, in caso di
omessa comunicazione al Ministero dell’economia e delle Finanze da parte dei destinatari degli
obblighi antiriciclaggio delle infrazioni riscontrate alle disposizioni di cui all’art. 49, rilevate
nell’esercizio dei compiti di servizio ai sensi dell’art. 51, comma 1.
Le sanzioni applicabili sono state parzialmente modificate dall’art. 20 del decreto legge n. 78/2010
(convertito in legge n. 122/2010) che ha introdotto l’art. 58, comma 7 bis, nel decreto 231/2007,
fissando a 3.000 euro l’importo minimo della sanzione riferita ad alcune violazioni.
Più in dettaglio, sul punto, sono stati forniti chiarimenti dal Ministero dell’economia e delle Finanze
con circolari n. 281178 e n. 2 rispettivamente in data 5 agosto 2010 e 16 gennaio 2012, precisando
che: questa nuova formulazione delle sanzioni si applica alle violazioni commesse dal 16 giugno
2010;
 per tutti i trasferimenti di importo compreso tra la soglia di legge (ora 1.000 euro) e 50.000
euro, avvenuti in violazione dei commi 1, 5, e 7 dell’art. 49, in tema di trasferimenti di denaro
contante ed assegni, si applica una sanzione compresa tra l’1% e il 40% dell’importo
trasferito. La sanzione non potrà, comunque, essere inferiore a 3.000 euro;
 per i trasferimenti di importo superiore a 50.000 euro, avvenuti in violazione delle
disposizioni di cui al precedente punto, si applica una sanzione compresa tra il 5% (cinque
volte il minimo percentuale, che per tali violazioni è dell’1%) e il 40% dell’importo trasferito,
fermo restando che anche in tal caso l’importo della sanzione non potrà essere inferiore a
3.000 euro;
 resta in vigore la possibilità per le violazioni dei commi 1, 5 e 7 dell’art. 49, per transazioni di
importo non superiore a 250.000 euro, di effettuare un pagamento in misura ridotta
(oblazione), pari al 2% dell’importo (doppio del minimo edittale) ai sensi dell’art. 60 del
decreto 231/2007;
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per gli assegni trasferiti in violazione del comma 6 dell’art. 49, la sanzione relativa va sempre
applicata, anche per importi inferiori a 1.000 euro (gli assegni al traente non possono
circolare in nessun caso). Per questa violazione non è prevista nemmeno la possibilità di
oblare;
per le violazioni dei commi 12, 13, 14, 18 e 19 dell’art. 49, per importi superiori a 50.000
euro, le sanzioni minime e massime sono aumentate del 50%. Inoltre, per le violazioni dei
commi 13 e 14 che riguardano libretti al portatore con saldo inferiore a 3.000 euro la sanzione
è pari al saldo del libretto stesso.
i professionisti 128
CONCLUSIONI FINALI
L’intera normativa antiriciclaggio in Italia risulta essere molto importante visto che il fenomeno di
riciclaggio, nel nostro paese, è molto sviluppato.
Oltre all’evasione fiscale, fenomeno che riesce ad erodere più di 200 miliardi annui all’economia
italiana, per la Guardia di Finanza e l’agenzia delle entrate vi sono altre sfide ed altri campi di azioni.
E’ evidente come anche il riciclaggio di denaro sporco sia un’ulteriore piaga da debellare.
Per quanto riguarda le infrazioni registrate in materia di norme antiriciclaggio c’è da dire che, in
larga parte, sono state commesse dagli operatori finanziari per un totale di oltre 900 casi segnalati. La
tendenza comunque è quella di estendere i controlli anche ad altri soggetti come gli studi
professionali. Nel 2011 la Guardia di Finanza ha effettuato 89 controlli in studi professionali da cui è
emersa l’erogazione di sanzioni che vanno da qualche decine di migliaia di euro ad oltre il milione di
euro. Da un’indagine realizzata su un campione di 560 studi professionali risulta che nel 90% dei
casi non si è fatta la valutazione del rischio. Proprio per questo il numero di ispezioni e controlli
svolti dalla Guardia di Finanza, per verificare il rispetto degli adempimenti antiriciclaggio da parte
dei professionisti, è destinato ad aumentare considerevolmente. Mentre l'ispezione antiriciclaggio
consiste nell'approfondito esame degli aspetti più significativi della posizione del soggetto, il
controllo è un'attività limitata al riscontro di uno o più atti di gestione come l'istituzione dell'archivio
unico informatico/registro della clientela o l'accertamento sulle modalità di tenuta del registro della
clientela.
Considerata la crisi economica che sta attraversando il nostro Paese, se le autorità riuscissero a
limitare il fenomeno del riciclaggio le casse dello stato avrebbero un enorme beneficio. E’ chiaro che
serve uno sforzo congiunto tra tutti gli organi preposti al controllo e una stretta collaborazione a
livello internazionale. Le banche,così come le società finanziarie e i professionisti sono passaggi
obbligati del denaro e devono imparare a collaborare al fine di fare inceppare il meccanismo della
ripulitura. Si parla, a tale proposito, di "collaborazione attiva" dei destinatari della norma, senza la
quale risulta obiettivamente complicato combattere il fenomeno.
In Italia tuttavia il fenomeno risulta difficilmente eliminabile in quanto le organizzazioni criminali
hanno un legame stretto con il territorio. Legame complesso ed inquietante che permette molte volte
alle organizzazioni di controllare l’intero mercato. Più volte gli studi di Banca d’Italia hanno
evidenziato che nelle aree a forte presenza criminale, la crescita economica risulta compressa, le
imprese pagano più caro il credito e gli investimenti sono disincentivati.
Occorre perciò lavorare sugli aspetti legati ai comportamenti individuali e sociali.
Il riciclaggio è infatti un reato che generalmente non suscita allarme sociale in quanto si è portati a
pensare che si tratti di un fenomeno connesso alla grande criminalità, e che non riguardi la gente
comune. Purtroppo questo è uno degli ostacoli maggiori per chi opera nella prevenzione e nel
contrasto di tale fenomeno. Il mancato allarme sociale sul riciclaggio nasce dalla sottovalutazione sia
dei volumi sia degli effetti sociali ed economici di questa attività.
Il riciclaggio, come già detto, non è assolutamente un fenomeno che riguarda solo la criminalità
organizzata, ma al contrario un fenomeno diffuso anche tra gli “insospettabili”, perché strettamente
legato alla corruzione, all’economia sommersa e al “nero”, problematiche purtroppo assai diffuse nel
nostro paese. Deve essere chiaro che è un riciclatore sia il mafioso che ripulisce i proventi del
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traffico di stupefacenti, sia il piccolo criminale che investe in un’attività commerciale i frutti della
sua attività di usuraio, sia l’imprenditore che falsifica la propria contabilità per creare fondi occulti
da reimpiegare.
Occorre dunque ribadire che il riciclaggio di beni e capitali illeciti genera gravi distorsioni
nell’economia legale, alterando le condizioni di concorrenza, il corretto funzionamento dei mercati e
i meccanismi di allocazione delle risorse, con riflessi sulla stabilità ed efficienza del sistema
economico. Uno degli effetti più importanti del riciclaggio è, ad esempio, il mancato sviluppo
economico, come dimostrato dagli studi di Banca d’Italia.
Un esempio di squilibrio del mercato, causato dal riciclaggio, riguarda gli immobili. Se si desidera
comprare un appartamento che viene offerto a 200.000 euro per prima cosa si farà un’offerta di
acquisto più bassa, diciamo intorno ai 150.000 per tentare di spuntare un prezzo migliore. Chi ha
soldi da riciclare, invece, è disposto a offrire di più del prezzo richiesto, diciamo 250.000 euro,
perché il suo vero obiettivo è ripulire legalmente il denaro ottenuto in maniera illegale, anche
rinunciando ad una percentuale dello stesso. In tal modo il prezzo degli immobili sale non per motivi
economici, ma per pratiche criminose; in questo modo i cittadini onesti sono penalizzati ed i
disonesti sono premiati. Ecco i motivi per cui è cosi importante attuare un sistema efficiente di lotta
al riciclaggio che riduca al minimo tali squilibri soprattutto in un periodo di congiuntura economica
sfavorevole come questo.
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NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO PER I PROFESSIONISTI