VI. EGIC – A.A. 2014-15 Si possono distinguere tre momenti fondamentali riguardanti le politiche distributive dell’industria: 1. Le decisioni generali di politica distributiva 2. La scelta dei canali 3. Le politiche riguardanti i canali 3 Una prima decisione di fondo attiene all’intensità della pressione distributiva che si vuole esercitare. Essa è funzione di: Numerosità degli intermediari dei quali l’azienda si vuole avvalere Numerosità degli sbocchi distributivi dei quali l’azienda si vuole avvalere Modalità utilizzate per la loro selezione e scelta 4 Vendita estensiva (o intensiva): l’azienda cerca di collocare i propri prodotti presso tutti i possibili punti vendita. Vendita selettiva: l’azienda effettua in via preventiva e secondo appropriati criteri una selezione dei rivenditori. Vendita in esclusiva: si concretizza nella scelta di un unico intermediario per una specifica area geografica. 5 Esempio sulla scelta del numero degli intermediari Distribuzione intensiva Distribuzione selettiva Distribuzione esclusiva Bottega Veneta 6 • La distribuzione intensiva Quando il produttore mira ad ottenere il massimo livello di copertura distributiva servito, avvalendosi del maggior numero possibile di grossisti e dettaglianti; si utilizza per prodotti con basso valore unitario, con alta frequenza di acquisto e esigenze di rapidità di acquisto – Es.: settore alimentare • La distribuzione selettiva Quando il produttore utilizza solo gli intermediari ritenuti migliori in una certa area geografica per raggiungere gli obiettivi di marketing stabiliti (reputazione intermediario, affidabilità, servizi offerti, formula commerciale adottata …) – Es: arredamenti, elettrodomestici, cosmesi, abbigliamento, … • La distribuzione esclusiva Quando il produttore restringe ulteriormente l’ampiezza della distribuzione, conferendo in esclusiva nell’ambito di un certo territorio il diritto di vendita di un prodotto/servizio – Es.: prodotti di lusso, alcune marche di autoveicoli 7 Ampiezza dell’assortimento Alta 1. Strategia di despecializzazione e basso valore aggiunto 2. Strategia di despecializzazione e alto valore aggiunto 4. 3. Strategia di specializzazione e basso valore aggiunto Strategia di specializzazione E alto valore aggiunto Bassa Basso Alto Valore aggiunto 8 Alta Ampiezza dell’assortimento 1. IPERMERCATI 2. GRANDI MAGAZZINI Auchan, Carrefour, Bennet, Wal Mart, Tesco SUPERMERCATI Esselunga, Pam, Despar, Conad, Sigma, Sisa La Rinascente, La Fayette, Harrod’s 3. DISCOUNTER 4. NEGOZI SPECIALIZZATI Aldi, Lidl, Zara, H&M Max Mara, Bulgari, Cartier Bassa Basso Alto Valore aggiunto 9 Una seconda decisione di fondo riguarda la scelta tra la già citata: adozione di una politica push, in cui l’azienda predispone le condizioni affinché siano gli intermediari a suggerire il prodotto al consumatore finale; oppure adozione di una politica pull, dove si punta invece essenzialmente sul convincimento del consumatore finale, in modo che sia quest’ultimo a richiedere espressamente il prodotto al dettagliante. 10 La prima decisione riguarda la scelta del tipo di canale. I tre canali classici sono: a. Il canale diretto (produttore - consumatore) b. Il canale breve (produttore - dettagliante consumatore) c. Il canale lungo (produttore dettagliante - consumatore) - grossista - 11 Il canale diretto è la tipica via di distribuzione dei beni strumentali e può essere utilizzato in via principale tramite: Negozi propri Vendite a domicilio Vendite per corrispondenza (o telefonica o televisiva) Vendita via Internet Macchine distributrici automatiche (vending) Cessione del solo servizio offerto dal prodotto (leasing) Sviluppo diversificato 12 Il canale breve o corto è in molti settori la più importante via seguita per il collocamento dei prodotti. In particolare: i. Consente di sviluppare un contatto diretto e immediato con i dettaglianti e consente, quindi, un effettivo controllo del mercato. ii. Impone importanti investimenti (materiali ed immateriali) e rischi, legati in particolare alla rigidità dei costi. iii. Si adatta maggiormente ad aziende di grande o media dimensione. 13 Il canale lungo è fondato sul grossista ed è caratterizzato essenzialmente da: Snellezza, che si traduce in modesti investimenti, costi variabili e rischi contenuti. Possibilità di essere utilizzato per rifornire le zone, i centri e i clienti marginali. Le aziende si trovano nella impossibilità di controllare stabilmente la propria quota di mercato. 14 Le scelte tra i vari canali sono condizionate da una serie di fattori: I. Aree geografiche II. Tipi di clienti III. Categorie di beni Ne deriva un mix di canali, nel quale, abbastanza spesso, può riconoscersi un canale principale o dominante. 15 Una seconda dimensione che occorre considerare nella scelta dei canali (oltre al tipo di canale) riguarda i vincoli alla scelta del canale. In proposito, occorre svolgere un’analisi separata per: # Beni strumentali # Beni di consumo 16 FATTORI DI MERCATO • Numero di acquirenti potenziali / Varietà settori serviti • Concentrazione geografica del mercato • Dimensione degli ordini FATTORI DI PRODOTTO • Valore unitario • Deperibilità •Caratteristiche tecniche del prodotto (necessità di informazioni) FATTORI RELATIVI AGLI INTERMEDIARI COMMERCIALI • Tipologia ed efficienza dei servizi forniti dagli intermediari • Disponibilità (esistono intermediari idonei? / esclusive precedenti) • Coerenza di politiche di marketing / Prodotti della concorrenza trattati 17 FATTORI RELATIVI ALLE IMPRESE INDUSTRIALI • Dimensioni / Risorse finanziarie • Grado di conoscenza del mercato • Ampiezza della gamma offerta • Servizi di marketing offerti dall’impresa produttrice (es.: investimenti in consumer marketing necessari per essere referenziati da alcuni dettaglianti) • Propensione ad un maggior controllo di canale per aggiungere valore al prodotto a. per migliorare il flusso di informazioni di ritorno b. per ottimizzare la gestione logistica c. per ridurre l’impatto di politiche di diversificazione delle forniture da parte del dettaglio d. per migliorare la posizione dei prodotti di marca sul p.v. 18 TRADE OFF RISCHIO - CONTROLLO CANALE DIRETTO ALTI INVESTIMENTI E RISCHI FINANZIARI FRANCHISING CANALE CORTO BASSI CANALE LUNGO BASSO ALTO GRADO CONTROLLO DEL MERCATO FINALE 19 Beni strumentali Beni di consumo Criteri qualitativi per la scelta dei canali: Criteri qualitativi per la scelta dei canali: Preferenza per la vendita diretta Non mancano le eccezioni (elevato numero di clienti, dispersione geografica della clientela, standardizzazione dei prodotti, ecc.) ♣ Caratteristiche del bene ♣ Struttura della produzione ♣ Struttura del commercio al dettaglio 20 Le politiche aziendali riguardanti i canali di distribuzione, si ispirano, di regola, ai seguenti obiettivi: Ottenimento di soddisfacenti volumi di vendita Stabilità e controllo delle quote di mercato Massimizzazione della differenza tra prezzi di vendita e costi complessivi dei prodotti Contenimento degli investimenti e dei rischi entro limiti sopportabili 21 Un altro importante aspetto delle politiche di canale riguarda la scelta degli sbocchi e dei vincoli che essi pongono: Canale diretto • Sviluppo relazioni • Elevati investimenti • Completezza della gamma di prodotti (ampiezza e profondità) Canale breve Canale lungo Competenza merceologica dei negozi Abitudini d’acquisto dei consumatori Differente immagine Livello del servizio Comportamento dei concorrenti Tendenze evolutive ☼ Grado di specializzazione ☼ Ampiezza e profondità degli assortimenti ☼ Ampiezza delle funzioni ☼ Dimensione ☼ Grado di indipendenza 22 Ultimo aspetto legato alle politiche di canale è quello della selezione, gestione e controllo degli intermediari commerciali. I fattori di maggiore importanza sono: ☞ giro d’affari annuo ☞ reputazione e capacità ☞ solvibilità ☞ spirito di collaborazione 23 Riassumendo ... Possiamo distinguere 3 momenti fondamentali riguardanti le politiche distributive dell’industria di produzione: ☞ Le decisioni generali di politica distributiva: vendita estensiva, selettiva ed esclusiva, politica pull o push; ☞ La scelta dei canali: i principali tipi di canali e i vincoli alla loro scelta; ☞ Le politiche riguardanti i canali: gli obiettivi, la scelta degli sbocchi, la selezione, motivazione, controllo degli intermediari commerciali. gestione e 24 Abbiamo visto come il processo di definizione delle politiche distributive delle imprese industriali si articoli in tre decisioni di base: determinazione del livello di contatto con il mercato (fino all’ingrosso, fino al dettaglio, direttamente al consumo finale); definizione dell’intensità della distribuzione (selettiva o estensiva); selezione delle aziende specifiche cui affidare il collocamento del prodotto. Il processo di determinazione dell’intero percorso distributivo, dunque, può essere articolato in tre fasi successive: determinare la/e tipologia/e distributiva/e più adatte a soddisfare i bisogni dei beni e servizi del/i segmento/i di mercato/i scelto/i in funzione degli obiettivi prefissati; dosare il numero di sbocchi attraverso i quali distribuire il prodotto; individuare e selezionare i singoli operatori che costituiranno il canale. 25 La valutazione delle differenti alternative distributive avviene in base all’utilizzo di un insieme di criteri e indicatori di efficacia e di efficienza sia quantitativi (economicofinanziari), sia qualitativi (controllo della domanda, prestigio, notorietà). Costo e investimento sono indicatori fondamentali La valutazione deve tener conto della potenzialità economico strutturale delle alternative distributive. Si consideri che le politiche distributive possono richiedere l’uso di molteplici canali, cui corrispondono altrettanto numerose ripartizioni delle “operazioni” distributive e dei costi relativi tra i singoli componenti degli stessi. Le analisi dei canali basate su criteri di natura economico-finanziaria costituiscono, dunque, la base quantitativa su cui l’imprenditore dovrà poi innestare altre valutazioni fondate su criteri di natura qualitativa; tra questi ha un’importanza particolare il grado di controllo dei mutamenti dei modelli di consumo e della varietà e variabilità dei bisogni del mercato. 26 Le scelte distributive possono essere guidate anche da necessità promozionali (prestigio e notorietà derivanti dall’abbinamento insegna-marca) o di differenziazione (migliore qualità del servizio di vendita). Si ricorre a più canali di distribuzione nelle seguenti circostanze: 1. diversa natura (tipo, qualità, fase del ciclo di vita) dei beni compresi nella gamma produttiva; 2. segmenti di mercato differenti con esigenze specifiche in termini di mix di beni e servizi; 3. pluralità delle marche (marca principale, una o più marche secondarie); 4. differente potenzialità economica delle zone di vendita. 27 28 I fattori generalmente considerati nella scelta dei distributori sono i seguenti: ☞ affidabilità finanziaria; ☞ immagine e capacità commerciale (fiducia, competenza tecnica, conoscenza e avviamento di mercato); ☞ politiche di marketing prevalentemente adottate; ☞ area di mercato servita (copertura del mercato) e quota minima di affari garantita. 29 30 Caratteristiche del prodotto merceologiche e tecniche (deperibilità e complessità); fisiche (voluminosità e maneggevolezza); economiche (valore unitario, elasticità e stagionalità della domanda). Struttura del mercato del consumatore (convenience, o comportamento specialty goods); o struttura della concorrenza (concentrazione). shopping e Fattori ambientali tessuto distributivo del Paese; regolamentazione pubblica. Caratteristiche aziendali capacità finanziaria e organizzativa; ampiezza assortimento e differenziazione prodotti. 31 Perché accumulare scorte? • Tutelarsi da incertezze nel mercato della fornitura; • Conseguire economie di acquisto; • Crearsi degli “ammortizzatori” nei rapporti con i fornitori; • Garantire continuità al processo operativo. Il problema di gestione è determinare la quantità da acquistare e la tempistica di approvvigionamento. QUANTO QUANDO Ordinare le differenti tipologie di merci in assortimento 33 34 Attività di prelievo dal magazzino di singoli componenti o prodotti finiti. Il picking è una delle attività svolte nell’ambito della Logistica del magazzino, letteralmente significa “selezionare”, nella pratica si tratta di un prelievo parziale di materiale da un’unità di carico originale ad altre unità di carico, dopo essere stato ripartito. Questo tipo di “smistamento” materiale può avere come destinazione sia altri comparti interni al magazzino sia altre strutture. L’attività di picking può essere effettuata per innumerevoli settori industriali, è ovviamente necessario e condizione imprescindibile che i materiali siano facilmente conteggiabili, proprio perché il numero dei prelievi e invii verso eventuali altre destinazioni deve sempre essere certo e 35 chiaro. Input di Base: 1. il livello di ampiezza e profondità in base al quale caratterizzare l’assortimento rispetto alle aspettative del mercato di riferimento e all’intensità concorrenziale; 2. la quantità di servizio di stoccaggio in shop da produrre, per contenere il rischio di “rotture di stock” entro limiti considerati accettabili; 3. la dimensione numerica, attuale e prospettica, della rete di negozi in rapporto alle esigenze di sviluppo delle performance di produttività degli impianti di vendita e, quindi, al grado di saturazione della relativa capacità produttiva installata. Il Processo d’Acquisto: 1. identificazione delle fonti di approvvigionamento; 2. contatto con i potenziali fornitori; 3. valutazione dello standing dei possibili supplier e delle relative offerte commerciali; 4. selezione delle imprese fornitrici; 5. formazione e aggiornamento di un “albo” dei fornitori; 36 6. negoziazione delle condizioni di vendita. Modelli di gestione dell’approvvigionamento Modello con funzioni di gestione centralizzate La responsabilità di tutte le attività di gestione, con eccezione di quelle di vendita, viene affidata a un unico soggetto che analizza le statistiche sul venduto insieme ai responsabili dei diversi punti di vendita, seleziona i fornitori, stabilisce le politiche promozionali, le politiche di prezzo, gli obiettivi di vendita e il merchandising plan per ogni negozio, il cui management si limita a eseguire i piani elaborati dalla direzione centrale. Modello con funzioni di approvvigionamento centralizzate Questo modello prevede una maggiore autonomia decisionale per i manager dei singoli punti di vendita che forniscono le indicazioni quantitative e qualitative sui prodotti da acquistare alla direzione centrale, il cui compito si limita al perfezionamento degli ordinativi e alla gestione delle attività di natura puramente logistica. Modello con funzioni di gestione decentrate In questi casi al buyer viene affidato solamente il compito di selezionare il fornitore più adatto e di negoziare le condizioni di fornitura. La responsabilità dei quantitativi da acquistare e della logistica di approvvigionamento spettano, invece, ai manager dei singoli punti di vendita. 37 38 I Centri di distribuzione nel grocery Il processo evolutivo delle imprese dettaglianti del grocery ha portato: ad un progressivo indebolirsi delle posizioni di mercato del piccolo commercio indipendente, tradizionalmente servito dall’industria direttamente o tramite l’ingrosso; alla crescita delle quote di mercato e delle dimensioni medie degli operatori del trade, favorendo i fenomeni di integrazione verticale di molte attività indipendenti, un tempo gestite negli stadi a monte del dettaglio. Il risultato di questi mutamenti è che, in questi mercati, la maggior parte dei flussi di merci destinati al consumo trova conveniente transitare per i centri di distribuzione. Attività delegate ai Ce.Di. la gestione dei riordini ai fornitori; il governo della logistica in entrata; lo stoccaggio a magazzino; la gestione degli ordinativi pervenuti dalla “clientela”; la spedizione delle merci ai singoli punti di vendita serviti. 39 Con la tecnica delle scorte separate la quantità da ordinare (Lotto economico d’acquisto) è quella che minimizza il costo di gestione delle scorte, mentre l’ordine avviene di riapprovvigionamento quando la giacenza del materiale raggiunge una determinata quantità (livello di riordino). 40 I vantaggi rispetto al Two Bin System La possibilità di effettuare ordinativi “misti” composti da quantitativi, talvolta anche modesti, di prodotti diversi, che nell’insieme, però, riescono a raggiungere soglie dimensionali accettabili, consente una migliore gestione dei lotti minimi di acquisto e spedizione, sovente alla base delle politiche di vendita e di consegna dei fornitori industriali (specie quelli più forti). La programmazione delle attività di produzione è più semplice ed efficace. È più facile raggiungere un compromesso complessivamente equilibrato tra l’esigenza di raggiungere livelli di efficienza soddisfacenti e la necessità di assicurare un servizio logistico adeguato alle esigenze della rete. 41 Il livello di riordino è la quantità al raggiungimento della quale bisogna far partire la procedura di riapprovvigionamento. Modalità di calcolo – Il livello di riordino dipende dal lead time, che risulta da: tempo necessario per spiccare l’ordine; tempo occorrente per l’arrivo della merce; tempo necessario per la effettiva disponibile. Livello di riordino = consumo medio nel lead time + scorta di sicurezza 42 43 Con la tecnica del ciclo di ordinazione, invece, l’intervallo di riapprovvigionamento è costante, mentre la quantità da ordinare dipende dalla differenza tra una scorta ottimale e la giacenza del materiale al momento di spiccare l’ordine. 44 Il costo complessivo di gestione delle scorte: è dato dalla sommatoria del costo di mantenimento (Cm) e del costo di ordinazione (Co) Cm = costo unitario in % di conservazione (c) x giacenza media (Q/2) Co = costo di un’ordinazione (K) Dove: F = fabbisogno complessivo x costo di acquisto unitario (a) x numero di ordinazioni e (F/Q) Q = quantità ordinata 45 46 Il settore della distribuzione al dettaglio si contraddistingue per una tendenza alla concentrazione fisica dell’offerta commerciale. Questa si determina in modo spontaneo in aree che presentano condizioni di accessibilità privilegiate, di norma costituite dal centro storico e/o da alcune vie commerciali, o in modo pianificato in insediamenti extra-urbani (centri commerciali), che realizzano sotto un'unica regia ciò a cui le concentrazioni spontanee pervengono attraverso il sommarsi di decisioni elementari di singoli imprenditori. Il confronto tra sistemi di offerta urbani ed extra-urbani avviene però in condizioni di inferiorità, poiché i primi mancano quasi sempre della regia unitaria su cui possono contare i secondi; un centro commerciale pianificato è gestito, di solito, da un’unica direzione centrale che può autonomamente definire: il mix di offerta merceologica, attraverso la selezione degli operatori da inserire nel centro stesso; le politiche pubblicitarie e promozionali per l’intero centro commerciale; l’insieme dei servizi collaterali da offrire ai consumatori (parcheggi, distributori di carburante, attività/servizi ricreativi). Tali opportunità sono invece precluse, o comunque difficilmente realizzabili, nel caso dei centri non pianificati, proprio a causa dell’assenza di una direzione unitaria. 48 È necessario restituire pari capacità competitiva alle due alternative di acquisto, urbana ed extra-urbana!!!! Le associazioni di via, o di zona, in molte realtà urbane di media-grande dimensione del nostro Paese e su base volontaristica, hanno cercato di attivare iniziative di promozione del centro storico quale prima risposta importante in tale direzione. PURTROPPO, l’assenza di un progetto comune di valorizzazione commerciale del centro storico - gestito secondo modalità e criteri non più basati soltanto sulla buona volontà dei singoli imprenditori su specifiche iniziative - non ha consentito di mobilitare quella “ coincidenza di interessi” tra piccolo commercio specializzato e media-grande distribuzione che rappresenta una potenziale fonte di risorse economiche su cui far leva per sviluppare le attività di promozione e per rafforzare la complessiva offerta di servizi del centro storico. PERTANTO, al fine di superare i limiti organizzativi e di funzionamento dell’associazionismo su base territoriale - di via e/o di zona - e per dare una visione strategica alle diverse attività promozionali e di marketing sviluppate per il centro storico consentendo l’aggregazione di ulteriori risorse, a partire dalla fine degli anni ’80 si sono sviluppate in Europa una molteplicità di iniziative di Town Centre Management con il compito di coordinare tali attività. 49 La realtà nazionale che più di ogni altra ha sviluppato progetti di TCM è stata quella inglese, che oggi conta complessivamente oltre 300 iniziative attive e che vede la presenza della più importante - non solo numericamente - associazione di TCM a livello europeo. Esperienze significative esistono inoltre in Svezia, Francia e Germania. Anche in Italia si sono sviluppate alcune iniziative-pilota in tale direzione – ad esempio a Trento, a Perugia, a Padova, a Modena - che però non sono ancora riuscite a realizzare un salto di qualità in termini organizzativi e di struttura. 50 Il Town Centre Management Definizione Il Town Centre Management è una strategia di riposizionamento dell’intero offerta di servizi delle città al fine di rispondere con maggiore efficacia alle istanze di un mercato sempre più esigente. Sfruttando le condizioni esistenti per “ripensare” ampie porzioni di territorio ad attività produttive e/o residenziali in una chiave funzionale diversa per dar vita a “prodotti” nuovi, che interpretino in modo appropriato la varietà e variabilità della domanda, da gestire con metodologie e tecniche proprie delle attività di gestione di impresa. 51 Gli obiettivi di fondo delle iniziative di TCM sono sostanzialmente quattro: 1. favorire tutte le attività di marketing e le iniziative promozionali che, migliorandone l’immagine complessiva, possono rafforzare l’attrattività del centro storico come luogo piacevole da visitare e da frequentare; 2. valorizzare l’area del centro storico come asset per i residenti, per gli operatori privati e per i turisti; 3. migliorare l’offerta complessiva dei servizi del centro storico; 4. valorizzare gli sforzi dell’amministrazione pubblica, degli operatori privati e della comunità locale attraverso un utilizzo più efficiente delle risorse e un approccio cooperativo alla soluzione dei problemi dell’area. 52 Cercare di individuare un equilibrato mix di formule distributive e di servizi di leisure adatto a soddisfare in modo complementare, possibilmente nell’ambito della medesima shopping (leisure) expedition, i bisogni di servizi commerciali e di svago di uno o più segmenti di domanda. Benefici Economici Recuperi di efficienza dei servizi comunitari. Benefici Sociali Aumentare il grado di soddisfazione della domanda nel frequentare determinati luoghi di offerta, fungendo da ulteriore stimolo al consumo. 53 ☞ Nasce per volontà di un unico soggetto imprenditoriale che si occupa della promozione e della gestione. ☞ Offre un mix di servizi (commercio specializzato e despecializzato, attività di leisure e servizi amministrativi, ristorazione, ecc.) determinato da un merchandising plan. ☞ Possono essere anche specializzati per completare l’offerta di aree commerciali preesistenti che dispongano di attrattività naturali e/o di edifici o arredi urbani di particolare interesse storico o architettonico. 54 Gestione istituzionale e strategica Definizione della porzione di territorio urbano sulla quale intervenire. Costituzione del soggetto promotore e futuro gestore dell’iniziativa, formato in maggioranza da operatori privati e con la partecipazione del Comune in cui è localizzata la zona oggetto del progetto di TCM. Analisi della fattibilità economico-sociale dell’iniziativa a cura del soggetto promotore. Sensibilizzazione ad ampio raggio delle categorie economiche interessate. Costituzione di un tavolo di confronto istituzionale con funzioni consultive e di indirizzo, composto da tutti i soggetti interessati all’iniziativa (Associazioni di categoria, Sindacati, Comune, Camera di Commercio, Università, Prefettura, Questura). Gestione di marketing Analisi della domanda potenziale di shopping e di leisure. Definizione del “prodotto” (contenuti e posizionamento). Identificazione delle “insegne” da coinvolgere (merchandise mix). Definizione del layout “ottimale” (merchandising plan). 55 TCM: attività fondamentali di gestione Gestione finanziaria Identificazione dei partner finanziari dell’iniziativa (banche, fondi immobiliari, compagnie di assicurazione, società di venture capital). Ricerca e attivazione di eventuali fonti di finanza agevolata (Unione Europea, Governo nazionale, Regioni, BEI ecc.). Elaborazione del piano finanziario complessivo dell’iniziativa. Gestione delle attività promozionali 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Gestione immobiliare. Identificazione dei proprietari e degli affittuari operanti nella zona oggetto del- l’intervento. Definizione delle politiche di coinvolgimento/esclusione degli operatori presenti nella zona oggetto dell’intervento. Definizione del piano (quantitativo e stilistico) di adeguamento strutturale degli immobili (pubblici e privati) da utilizzare nel progetto. Coinvolgimento attivo degli uffici pubblici competenti per le attività di manutenzione straordinaria degli immobili (pubblici e privati). Definizione di un piano di adeguamento dei servizi pubblici fondamentali (trasporti, pulizia, sicurezza, illuminazione, accessibilità stradale e parcheggi). Definizione di un piano per la pedonalizzazione e l’arredo (panchine, verde ecc.) dell’area. di nuovi spazi operativi ecc.) dell’iniziativa. 56 TCM: attività fondamentali di gestione Gestione amministrativa ordinaria del progetto di TCM Gestione dei rapporti tra proprietà immobiliare, gestione commerciale e stakeholder istituzionali. Gestione delle rendite per conto della proprietà immobiliare. Gestione ordinaria degli spazi e dei servizi comuni. Predisposizione e gestione del budget delle manutenzioni ordinarie. Predisposizione e gestione del budget degli investimenti promozionali. Monitoraggio del grado di customer satisfaction dell’utenza. Predisposizione e proposte alla società promotrice di piani di miglioramento continuo (turn-over degli operatori, acquisizione di nuovi spazi operativi ecc.) dell’iniziativa. 57 a) Analisi di mercato per determinare il merchandise mix da utilizzare nell’area. b) Valorizzazione dei tesori artistici e storici dei luoghi oggetto dell’intervento di riqualificazione urbana. c) Sostenibilità finanziaria dell’investimento raggiunta coinvolgendo operatori economici del commercio e dei servizi. d) Utilizzo di insegne locali fortemente radicate nel territorio per tradizione e immagine nel campo specifico delle merceologie trattate. 58 59 TECNOLOGIA IN SENSO STRETTO VISIONE INDUSTRIALE processo o insieme di processi che consentono di applicare un complesso di tecniche, di competenze ingegneristiche e conoscenze scientifiche alla produzione industriale Innovazione tecnologica TECNOLOGIA IN SENSO LATO VISIONE POST-INDUSTRIALE l’applicazione di conoscenze tecniche e strumenti alla risoluzione di problemi La produzione di innovazioni, da fatto discontinuo e collegato a particolari centri organizzativi, diviene così fatto continuo e diffuso a tutti i livelli e a tutte le posizioni gerarchiche. 61 Profilo Operativo Manageriali prodotto ☞Rivolte ad apportare variazioni alla gamma di vendita Tecnologiche processo ☞Intese a migliorare l’efficienza dei cicli di lavorazione impianto ☞Consistenti nella messa a punto degli impianti Commerciali 62 L’innovazione di prodotto Rappresentata dalla introduzione di nuove forme distributive – e quindi di nuove tipologie di operatori – fenomeno che ha caratterizzato negli ultimi anni l’evoluzione del settore a livello internazionale, ridisegnandone le caratteristiche competitive. L’innovazione di processo Attiene direttamente alla funzione di produzione delle strutture commerciali, interessando quindi tutte le componenti del sistema di impresa che concorrono alla formazione dell’offerta di servizi distributivi. Innovazione e NTI Le nuove tecnologie dell’informazione (NTI) ha contribuito a modificare gli equilibri competitivi sia a livello intrasettoriale che a livello intersettoriale determinato nuove innovazioni di processo. Per esempio: Point of Sale (POS) [sistema di pagamento] + Scanner [lettura dei codici a barre] 63 Electronic Data Interchange (EDI) Tecnologie elettroniche che permettono il trasferimento costante di dati non solo amministrativi ma anche commerciali e di mercato. Il binomio POS-EDI La disponibilità di informazioni commerciali tempestive e aggiornate che l’impresa commerciale ottiene dai sistemi POS-EDI diviene una merce di scambio con le imprese industriali. Le imprese industriali che intendono perseguire logiche di collaborazione con gli operatori a valle della filiera, possono utilizzare queste informazioni per ottimizzare lo sfruttamento delle proprie capacità produttive, massimizzando le economie di flessibilità. Sistemi POS-EFT Questi sistemi collegano il POS con il sistema bancario, mediante periferiche per il trasferimento elettronico di fondi (Electronic Funds Transfer, EFT). In presenza di un sistema EFT-POS, al momento del pagamento da parte del consumatore, il POS effettua le seguenti attività: 1. decodifica delle informazioni del cliente; 2. verifica della correttezza dell’eventuale codice personale di identificazione; 3. richiesta dell’autorizzazione per accettare il pagamento; 4. stampa di due scontrini diversi: # uno fiscale; # uno speciale, che il cliente deve controfirmare per accettazione. 64 I benefici del sistema POS-Scanner Fa parte delle tecnologie per l’identificazione automatica. Permette di tracciare il singolo specifico oggetto. Elementi architetturali di base: Tag (etichetta) o transpondere, che invia l’Electronic Product Code (EPC) che identifica lo specifico singolo oggetto. Reader che legge a distanza l’EPC. Un elaboratore che legge e filtra i dati captati dal reader. Tipologie di TAG RFID * 1. Microchip Read Only Tag di “sola lettura” si limitano a conservare nel tempo le informazioni che immesse all’atto della sua creazione. 2. Microchip Read-Write Tag il cui contenuto informativo può essere quindi modificato dinamicamente più volte nel tempo, consentendo di associare a uno specifico prodotto una molteplicità di eventi che ne definiscono la sua storia. * RFID : L'identificazione a radiofrequenza è una tecnologia correlata alla comunicazione di informazioni, in modalità attiva o passiva, da e verso dei transponder dotati di antenna (tag RFID). L'identificazione a radiofrequenza tra le sue applicazioni viene utilizzata come alternativa all'identificazione mediante codici a barre, tramite l'utilizzo di hardware e software specifici e risulta ad oggi uno dei più importanti fattori di cambiamento nella supply chain management, ovvero la gestione della catena di rifornimento. 65 Benefici diretti • la riduzione del lavoro alle casse; • l’eliminazione degli oneri connessi con la prezzatura e con la riprezzatura dei prodotti commercializzati; • il contenimento delle differenze inventariali; • una semplificazione delle operazioni routinarie; • la migliore razionalizzazione dell’impiego complessivo degli addetti preposti alla vendita. Benefici indiretti realizzare importanti analisi sulla dinamica delle vendite; compiere specifiche valutazioni sulle azioni promozionali e sulle attività di merchandising realizzate; ottenere un inventario permanente del magazzino; conseguire specifiche informazioni sulla contribuzione del venduto; raggiungere una precisa indicazione della redditività aziendale; conferire l’attributo di automaticità ad altre funzioni aziendali. 66 67