- ANNO XLII N. 5 MAGGIO 1994 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale Una storia n-ighore o a 2 - m a 0 LI o a W Palermo, Galleria Nazionale della Sicilia: lapide sepolcrale fatta nel 1049 dal prete Grisanto per la madre Maria morta nel 1048. I quattro testi delle iscrizioni sono in greco e latino oltre che in arabo, quest'ultimo compare nell'alfabeto suo proprio e in quello ebraico. Le cronologie sono diverse a seconda delle lingue o degli alfabeti Con chi stiamo Con nessuno: oppure con tutti. Nei momenti di crisi politiche o culturali molti usano domandare: «con chi state?». La risposta è semplice: noi non ci ancoriamo agli eventi, passivamente, ma cerchiamo di governarli con la ragione, restando fedeli ai nostri ideali di partenza, se ne abbiamo. E noi nell'AICCRE e in tutto il CCRE ne abbiamo senz'ultro: in retrospettiva storica ci viene anche, generalmente, riconosciuto. In questo senso siamo per altro aperti a tutti, perchi noi non abbiamo problemi di potere, desideriamo anzi che i nostri ideali si affemino e che ad altri si possa passare il testimone: dopo la lunga battaglia, fa piacere rientrare nei ranghi, preoccupati solo che coloro che ci subentrano conservino la nostra stessa tensione ideale e la stessa visione complessiua del da farsi. Ciò premesso vogliamo evitare un malinteso. Se noi nel CCRE, nellJAICCREe in questo giornale siamo femi agli ideali federalisti, che implicano gelosa tutela della propria libertà e totale dedizione agli interessi generali, cioè al prossimo, non uuol dire che non ci siamo sforzati o non ci sforziamo continuamente di verificare i nostri ideali con i problemi reali che ci si oppongono. Non ci inchiniamo al successo o alla violenza, ma rispettiamo coscienziosamente la realtà, i problemi continuamente nuovi che si presentano agli uomini singolamente e a tutta la collettività. La nostra posizione risulta scomoda per noi ma anche per molti che si trovano a vivere sullo stesso nostro territorio. Siamo veritieri, non guardiamo in faccia a nessuno, scopriamo l'insufficiente patrimonio conoscitivo di molti «dotti» e lefinte novità che circolano:perchè non far scomparire dunque I'AICCRE? perchè non dissolvere magari anche il CCRE? perchè quanto meno non «riassorbire» queste scomode Organizzazioni? No, questo non sarebbe in definitiva utile a nessuno. Si parla e si scrive tanto di federalismo, un po' con entusiasmo reale e un po' a casaccio per smania di novità, che il nostro compito, anzi diciamolo: la nostra missione, rimangono essenziali e a questi impegni cercheremo di trascinare ancora una volta collettività democratiche e giovani amministratori, insomma l'intero Sistema delle autonomie territoriali, solidale nella costruzione federale di base. L'avvenire è nostro, è dei nostri ideali: I'alternativa è l'anarchia planetaria amata e la fine del mondo vivibile. Per questo continueremo a batterci coscienziosamente. H Dall' atto puro all' alibi europeista di Umberto Serafini H o esitato prima di decidermi a concordare con la redazione la ristampa, dalla rivista «Queste istituzioni», di un mio scritto su Giovanni Gentile, malgrado diversi nostri lettori, che ne avevano avuto notizia da citazioni qua e là, ce lo avessero chiesto. Mi con deciso per due ragioni. La prima è stata la critica di qualche amico, che cioè io avessi affrontato più il comportamento di Gentile che non la sua filosofia. In effetti io sono sempre pronto a riaffrontare Gentile filosofo - croce e delizia dei miei studi universitari, pisani e romani -, ma mi ha sdegnato anzitutto questa abitudine molto italiana di considerare gli «intellettuali» (cosa sono gli «intellettuali»?) esonerati da ogni giudizio morale sul loro comportamento. Al terzo anno che lo studiavo, mi nauseò - è la parola esatta: nauseò - la viltà (potrei dire: il vuoto morale) di Gentile, che dopo aver predicato con l'enfasi tracotante e il dogmatismo di un domenicano, nell'intero anno accademico 1937-'38 a Roma, l'inconciliabilità di una politica razzista col fascismo, con lo Stato «etico» per cui il Maestro si era sempre battuto e si sarebbe battuto, una volta scatenata la campagna razzista a fine estate (in prima fila Bottai, ministro della Diseducazione nazionale) tacque, quindi tacque, tacque ancora. Naturalmente uno stuolo di cintellettuali», che poi si sono proclamati antifascisti, hanno taciuto con Gentile e poi hanno collaborato, ancora durante la guerra, alla nota rivista di Bottai, del razzista Bottai. Io non ho mai creduto nello Stato «etico», ma pensavo e penso che chi se ne era dichiarato fautore - Maestro e discepoli - aveva il dovere di ribellarsi apertamente alle leggi razziste. Ecco dove sono i più reali «collaborazionisti»: e alcuni di costoro sopravvissuti - ancora pontificano da cattedre, accademie, giornali e riviste, e continuano a vendere il proprio cervello, autentiche prostitute. Disprezziamoli e, per quel che ci riguarda, cacciamoli da qualsiasi campo di battaglia, in cui si soffre fino allo spasimo per costruire la «nuova» Europa, unita, democratica, federale, antirazzista, antimperiaiista, anticoionialista. Comunque - e così vengo alla seconda ragione su almeno quattro settori (chiamiamoli così) la cultura italiana postfascista, non solo si mostra assai spesso provinciale e non riesce a collegarsi costruttivamente con gli altri Paesi europei (dell'Unione dei Dodici e fuori) per verificare «comuni valori» - forse gli unici, con- - som ma rio COMUNI D'EUROPA creti collegamenti sono fra l'incultura italiana con le inculture (ci sono, ci sono!) degli altri Paesi europei -, ma troppe volte non ha digerito posizioni, più ancora che fasciste, prefasciste o che hanno in qualche modo preparato il fascismo, e che poi l'hanno accompagnato. Direi che in questi casi convivono posizioni antifasciste di facciata - che, presentate così, acriticamente, risultano addirittura settarie e convinzioni fasciste o parafasciste. Non tornerò ora su Gentile, colmando questa volta quella lacuna che mi è stata attribuita, e mi limiterò a dire che mi riesce misterioso che coloro, che lo «rivalutano» filosoficamente, non mi spieghino poi come i valori, che andiamo cercando - la libertà della persona umana e addirittura l'esistenza autonoma delle persone vengano a trovarsi nel passaggio dalla fichtiana «Teoria generale dello Spirito come atto puro» alla ascendenza schellinghiana (per usare le parole bonarie del mio vecchio amico Rosario Assunto) della «Filosofia dell'arte», e come poi tutto confluisca nella sua ambigua società trascendentale (una messa in guardia utile si potrebbe ricavare dall'onesto personalismo di Pareyson). Non voglio tuttavia trattare «superficialmente» questi problemi: voglio piuttosto osservare a coloro, che mi rinfacciano i meriti di organizzatore della cultura di Gentile, che io li conosco e li riconosco benissimo (la Riforma della scuola condotta con la collaborazione di Lombardo Radice, che giudico positivamente, malgrado la critica antistorica di riforma «elitaria» - tutto sommato ingiusta - e di emarginazione della scienza, che ritengo reale ma implicitamente aperta a una riconsiderazione della materia da vedersi «geneticamente» o, se più vi piace, «storicisticamente», mentre il modo di ((insegnar filosofia» nelle secondarie superiori lo considero il capolavoro della riforma, con la presentazione di testi esemplari di notevoli filosofi, ripartiti su tematiche diverse, dispiegati nella storia - ma senza la pretesa di affrontare tutta la storia della filosofia nè con buoni testi nè col Bignami -, scelti con un assoluto criterio internazionalista e con l'obiettivo di «insegnare a leggere e possibilmente a capire»; e, naturalmente, l'Enciclopedia Treccani, che tanti della mia generazione hanno usato con effettivo profitto): ma - parlo sempre dei «meriti» di organizzatore della cultura - come non sottolineare il suo incredibile matrimonio col «buddista» Tucci nel fondare 1'ISMEO (Istituto per il Medio ed Estremo Oriente), nell'ambito del quale in un momento drammatico della storia del mondo, Gentile arrivò a fare l'elogio di Subhas Chandra Bose, il nazionalista indiano che collaborava coi giapponesi (e chi conosce la storia indiana e la sua dialettica, tra Gandhi, Jawaharlal Nehru, Abul Kalam Azad, Rajagopalachari, Manvendra Nath Roy, eccetera, sa quale aberrazione era e rimane - per l'India e per l'umanità - l'appoggio a Bose e si domanda come si conciliava - ma Gentile capiva veramente quellò che faceva? - questo appoggio con le precedenti «opere buone»). Oserei dire che le «opere buone» di Gentile sono servite per coprire, purtroppo, i suoi errori di fondo e la sua sostanziale immoralità (riflettete alla oscena proposta fatta a partire dalla campagna razzista ad Attilio Momigliano e a Fubini - ovviamente respinta - di pubblicare loro saggi con pseudonimo). Ma la pierre de touche di Gentile indurrebbe a rivedere buona parte della filosofia italiana post-bellica, la sua mancata originalità, i suoi legami europei largamente passivi - evidentemente con importanti eccezioni, per esempio gli scolari di Banfi, Preti e Paci -, la preferenza (sintomatica?) accordata a Heidegger su Husseri, il marxismo così scolastico (rispetto a quello francese e anche a quello inglese, guardato con arroganza) e così condizionato dalla contingenza politica, le mode acquisite con notevole superficialità (la simpatia iniziale per Dewey non ebbe un seguito adeguato, malgrado la buona volontà di alcuni pedagogisti). Un recente neo-eleatismo nostrano (con la sua antologia parmenidea) non è arrivato a sfiorare le terribili pagine di Michelstaedter (morto nel 1910!), che può anche considerarsi il padre dell'esistenzialismo negativo italiano (lasciatemi ricordare che nel tristissimo cimitero ebraico della Gorizia slovena ho veduto recentemente la piccola pietra che ricorda l'autore di «La persuasione e la rettorica»: era una mattina di pioggia sottile e mi veniva di pensare all'Ecclesiaste e anche a «Illusione e realtà» di Gaetano Chiavacci, pensatore che Gentile mi definiva «ermetico»). Ma è questo un terreno che non voglio continuare a percorrere - come ho detto - sbrigativamente, perchè mi preme di venire alla mia bestia nera e con essa al mio secondo motivo. Personaggi ben noti nel mondo accademico - anche se all'occasione hanno fatto politica in posti chiave - non hanno affrontato e superato lo scoglio del giuspositivismo, ma hanno dispensato e dispensano elogi ridicoli a Santi Romano e osano un parallelo fra Santi Romano e Kelsen. - Dall'atto puro allyalibieuropeista - Gentile e il francobollo, di Umberto Serafini - Le ragioni di uno scontro-incontro, di Salem Sawadhah 5 - Europa e Mediterraneo, di Enzo Bianco 6 - Fratture e convergenze mediterranee, di Renata M. Landotti 8 - Il nuovo Stato federale belga, di J. Van Ginderachter 11 - La politica sociale europea, di Lino Tomasi 13 - L'Europa di Altiero Spinelli 14 - Dalla comunità locale alla comunità sovranazionale, di Edmondo Paolini INSERTO - Federalismo mediterraneo 2 3 5 MAGGIO 1994 errando tra etica e filatelia Gentile e il francobollo Sono ormai diverse notti che, quando mi sveglio, non riesco più a prendere sonno: è la storia del francobollo che mi t\ormenta. Dico il francobollo per Giovanni dentile. Per ? Non ho capito bene: sarebbe in onore di Gentile, figura esemplare, o in memoria di Gentile, personaggio che ha comunque occupato uno spazio rilevante della storia recente d'Italia? Credo piuttosto per il primo motivo, poiché altrimenti dovremmo pensare, anche prima di lui, a tanti altri personaggi; che so? naturalmente a Mussolini, e poi a Badoglio, a Vittorio Emanuele 111, a Primo Carnera, eccetera. Nell'ultima insonnia mi sono orientato a scartare un giudizio astratto, a priori: é senza dubbio meglio riandare alla mia personale esperienza in merito - e ai sentimenti provati via via sul momento -, lasciando ad altri di cavarne un giudizio per l'oggi; insomma un verdetto etico-filatelico. Correva l'anno 1935 ed eravamo nel mese di luglio: io stavo dando gli esami di maturità classica al «Tasso» di Roma, e la commissione esterna, mi ricordo. era presieduta dallo storico Pontieri, dell'università di Napoli. Per la composizione italiana scelsi stranamente quella che mi era meno congeniale, l'analisi «estetica» di una poesia di d'Annunzio: ma ero di cattivo umore, l'addio al liceo mi sembrava l'addio alla giovinezza ed io avevo fretta di sfogarmi con una inequivoca conclusione. D'Annunzio mi dava fastidio, lo analizzai frettolosamente; smaniavo di sparare, alla fine, così: «Oggi viviamo in tempi di tirannide, ci batteremo per un avvenire migliore». I professori, fascisti o no, erano gente perbene, personalmente venni ignorato, e il fatto che il 9 in italiano con cui ero stato ammesso agli esami diventasse un 7 era indubbiamente dovuto alla mediocrità del mio pezzo. Ma ci fu un codicillo semi-privato: il professore di greco, Silvio Ferri (che poi diventò, Professore di Archeologia all'università di Pisa), mi fermò per un corridoio del «Tasso», con un troppo stentoreo «ecco il nostro antifascista» (lo dovetti ammonire sorridendo, perché c'era a due passi il poliziotto di Vittorio e Bruno Mussolini, un simpaticone che senza dubbio saDeva come la Densavo: ma non " eli si Doteva sbattere così in faccia): Ferri mi rivelò che c'era a Pisa una Scuola Normale Superiore, dove si entrava con un difficile concorso, e che a suo avviso andava utilmente movimentata da giovanotti con la lingua lunga. Fu in tal modo che cominciai a pensare all'avventura normalista, spintovi in tutt'altro senso, qualche giorno dopo, anche dal professore di filosofia, certamente non antifascista: forse lui pensava a incrementare l'innocua, se non ambigua, fronda dei seguaci pisani di Bottai - definito più tardi, a torto, fascista critico fondo, per combattere alle sue radici culturali il fascismo. Lascio d a parte il mio impegno in campo storico (il mio primo «colloquio» alla Normale - si teneva a metà anno - fu in sostanza contro Spengler e l'idea di nazione come monade senza finestre, con un suo chiuso destino organico) e vengo alla filosofia. Guid o Calogero svolgeva un corso sulla «Teoria generale dello Spirito come atto puro» di Gentile, il quale insegnava a Roma, ma era il direttore a Pisa deila Normale: mi proposi, con la baldanza non priva di presunzione frequente in gioventù, di individuare le ragioni teoriche dell'errore pratico (fascismo) di Giovanni Gentile. Il Gentile storico e saggista politico lo evitai per lungo tempo programmaticamente: sentivo di dissentire dalle sue impostazioni, io che venivo dall'insegnamento liceale dell'inflessibile socialista riformista Aldo Ferrari (il docente che mi aveva fatto conoscere il materialismo storico e mi aveva «l'attualismo gentiliano» ha un aspetto libertario. I n effetti è un Gentile neo-hegeliano, che mostra per altro una interessante sintonia con la filosofia anti-intellettualistica francese ispirata dall'«Action» di Blondel; e offre una affascinante via d'uscita all'implacabile determinismo positivista. Ne fui colpito anch'io, che venivo d a una posizione prevalentemente empirista. Ma accanto alla speranza di liberazione dal determinismo, si profilava il problema tutt'altro che semplice del soggetto dell'attualismo. Non pretendo di costringere lettori estranei alla tecnica di certe costruzioni filosofiche a seguire il campo, ove I'attualismo sembrava chiedere un chiarimento fondamentale: mi basti dire come qui I'idealismo attualistico imboccava, a mio avviso (e non certo solo ad avviso d i questo giovane allievo), la strada pericolosa di un soggetto assai vago, che non si sapeva a chi facesse capo, al singolo uomo-cittadino o alla Storia, im- L - Vinto il concorso per la Normale, giurai a me stesso che dovevo studiare. studiare a MAGGIO 1994 Il corso di Gentile all'università nel 1936 indotto, dopo il commento alla «Pace perpetua» di Kant, a sposare la causa del federalismo e a prendere posizione, già al liceo, contro la guerra e il nazionalismo), ma volevo affrontare senza pregiudiziali le famose «ragioni teoriche». Mi dedicai, dunque, per mesi alla riflessione sulla riforma gentiliana della dialettica hegeliana, con la distinzione tra pensiero pensato e pensiero pensante. I n questi giorni di polemica sul francobollo, non ha interamente torto Gennaro Sasso quando afferma che personata dallo Stato etico. C'era - come cominciai a sostenere allora e più sostenni dopo una riflessione, l'anno dopo, sulla gentiliana «Filosofia dell'arte» - un rapporto equivoco tra io trascendentale (un soggetto, diciamo così, astratto) e io empirico (l'io degli uomini realmente esistenti): per gli addetti ai lavori ricorderò che una critica del genere fu rivolta una ventina di anni dopo nel 1957 dal filosofo di mestiere, tra gli allievi migliori di Banfi, Giulio Preti, nel libro «Praxis ed empirisma». COMUNI D'EUROPA Insomma per dirla con le parole di un pubblicista non filosofo di mestiere, ma intelligente e spregiudicato, l'ordinovista Umberto Calosso, in quel bellissimo libro - pubblicato l'anno dell'assassinio di Matteotti - che lessi fra il 1936 e i1'37, ((L'anarchia di Vittorio Alfieri» - nel quale ironizzava affettuosamente col suo amico Gobetti, sedotto dall'«atto» gentiliano -, la libertà dell'attualismo era priva di soggetto responsabile e ci ricordava le famose vacche, che di notte risultano tutte grigie. Mi era necessario (chiedo scusa) ricordare succintamente tutto questo, per spiegare la mia eroica decisione di abbandonare la Normale e correre a Roma, ove Gentile aveva la cattedra di filosofia teoretica, e chiedergli già al terzo anno di lettere e filosofia una tesi di laurea sul «problema dell'esperienza», confidando (figuriamoci!) di metterlo alle strette sulla questione delle libertà e quindi delle responsabilità individuali, di fronte allo Stato etico (e quindi. ...al fascismo). E qui avvenne la prima avvisaglia sul mio dissenso, non più solo teorico, dalla stessa moralità di Gentile: oserei dire con mia grande sorpresa. Certamente io mi esprimevo con una certa parsimonia o timidezza sul mio problema, ma credo che fosse comprensibile per il docente il mio piccolo dramma psicologico, l'abbandono della Normale - con tutti i danni conseguenti - pur di andare a fondo in quel che mi angustiava nel profondo dello spirito. Gentile mi ascoltò a lungo, pazientemente e sorridendo: poi sembrò scuotersi e, quasi ammiccando, mi lanciò: «Dimmi la verità, tu hai perso il posto alla Normale?» Dio mio, un'esigenza dello spirito e un desiderio di coerenza non potevano mai giustificare per Gentile l'incredibile messa in crisi della propria carriera e del proprio avvenire: più che sdegnarmi ebbi un tuffo al cuore. Non desistetti comunque dall'impresa e iniziai l'improbo tallonamento di Gentile, cercando di affrontare anche tutto il terreno di cultura dell'attualismo (ricordo che mi dedicai, per cominciare, allo studio sul « pragmatismo nella filosofia contemporanea» di Ugo Spirito). Era ormai l'anno accademico 1937-1938. Visto che non potevo sottrarmi a un Gentile intensivo, frequentavo regolarmente le sue lezioni di teoretica nell'aula prima di lettere della Città universitaria, molto ampia e sempre affollata. Le lezioni non avevano un grande interesse scientifico, sembravano i quaresimali di un padre domenicano: per questo piacevano a molti - mi dicevo - senza vera stoffa filosofica. Ma a un certo punto si ebbe una svolta. Era nell'aria la possibilità di una campagna razzista da parte del Regime, ma con avversione o incertezze che filtravano anche da parte di ambienti fascisti e di personalità di «provata fede»: Gentile scattò e per settimane, dall'alto della sua cattedra e con severità che non ammetteva repliche, tuonò contro una campagna razzista, anzi contro lo stesso razzismo, irridendo a una falsa filosofia «biologica» che attentava alle fondamenta di uno Stato etico, quello cioè che si cercava di realizzare. Si vedeva che Gentile giuocava tutto se stesso; che delineava dei confini oltre i quali un regime, al quale egli potesse dare il COMUNI D'EUROPA suo consenso e partecipare, non poteva più essere tollerato. Era un grido di battaglia che, pur nel perdurare del mio dissenso teorico sul rapporto fra io trascendentale e io empirico, mi dava un indubbio conforto: il Maestro era lì, ad assicurarci la barriera morale che avrebbe posto e difeso, qualora ci si volesse prostituire al nazismo. Terminò l'anno accademico e andai d'estate, come d'abitudine, al mare di Santa Marinella, ove campavo di lezioni private: quell'estate ne davo, fra gli altri, a due ragazzini ebrei, fratello e sorella. Nel mese di settembre come la folgore vennero i decreti di Bottai, Ministro dell'Educazione nazionale, (il ((fascista critico» di Giordano Bruno Guerri!), che introducevano il «razzismo» nella scuola. Io rimasi annichilito, incapace come mi sentivo di intervenire subito uccidendo il tiranno; la madre dei due bambini ebrei esprimeva, prima ancora dell'angoscia, lo sdegno: la loro era una famiglia ((risorgimentale», che aveva un nonno garibaldino, che aveva difeso nel 1849 la Repubblica romana di Mazzini, e uno zio, repubblicano interventista, mutilato in seguito alla «grande guerra» combattuta per «completare il Risorgimento italiano». Comunque ora - pensavo io - ci sarebbe stato lo scontro all'interno dello stesso fascismo e certamente Gentile, il filosofo dello Stato etico, sarebbe stato in prima fila, con le responsabilità pratiche che l'attualismo giudicava inscindibili dal pensiero. Filosofare «non è pura speculazione, ma anche azione», aveva scritto Gentile tanti anni prima recensendo Laberthonnière : quel Laberthonnière che recentemente egli mi aveva citato nel nostro incontro privato sul «problema dell'esperienza~. Aspettai, aspettai, aspettai: Gentile tacque. Aiutava sottobanco qualche ebreo, continuò a far tutto il possibile per Paul Oscar Kristeller - mio lettore di tedesco alla Normale - che egli aveva accolto assai prima in Italia esule dalla Germania di Hitler: ma commetteva anche le viltà spicciole di accettare, dopo aver osato proporre compromessi assai meschini, le discriminazioni di uomini di valore della stessa «corporazione» degli studiosi (inutile citare fra i tanti, i casi di Fubini o Attilio Momigliano). Fu allora - e non adesso in vista del francobollo - che decretai la morte morale di Giovanni Gentile, oltretutto non solo vile (c'è chi ora dice «testardo per non sconfessare se stesso», cioè il suo argomentato fascismo), ma anche traditore di se stesso, del se stesso più profondo. Qui mi potrei fermare, ma mi preme aggiungere che non è l'adesione successiva alla Repubblica di Salò che mi scandalizza: è stato un atto, in qualche modo, di coerenza di automatica coerenza formale - con quel Gentile ormai incapace di seguire la ragione e disperatamente prigioniero dell'attaccamento irrazionale a un regime, che gli stava dimostrando - con Mussolini - l'errore profondo della sua filosofia e l'ispirazione ambigua e contraddittoria di tutta la sua opera culturale. In quest'ultima, certamente, ci sono momenti e costruzioni importanti e perfino positivi: ma tutto ciò si perde, perchè vi campeggia la storia di un'ltalia opportunista di fronte al principe e al principio di autorità, inteso inevitabilmente come il diritto del più forte. Insomma l'Italia, che non era riuscito a riformare quel Giuseppe Mazzini, di cui Gentile non aveva mai capito niente, fraintendendone la stessa religiosità. L'uccisione di Gentile? Contrariamente ad altri, penso che sia stato per lui un regalo, anche se per noi è fonte ulteriore di confusione. La «coerenza» di Gentile suscitava e suscita - - come spero di aver fatto capire - la mia perplessità, perchè penso che abbia rappresentato piuttosto un atto di orgoglio, copertura di un possibile rimorso di fronte al suo duplice fallimento, teorico e morale: ma morto così, Gentile si è risparmiato il processo, a cui avrebbe dovuto dare risposte convincenti nel momento della restaurata libertà. Viceversa questa morte è quel che ci voleva per quegli storici, filosofi, politologi, per i quali tutta la storia è positiva, non ne va sprecato nulla, è un'ingenuità dare i1 voto morale ai suoi protagonisti: questi «pensatori» leggono Seneca senza darsi la pena di decifrare il suo senso sereno di accettazione dell'ordine di suicidarsi. Ma noi vogliamo davvero continuare a ghettizzare il fascismo? il fascismo che vinse due campionati mondiali di calcio e ci dette un impero? E poi, suvvia, da bravi italiani, tante storie per un francobollo? u.S. Abbonatevi a EuropaRegioni l'agenzia settimanale che da 15 anni dice tutto l'occorrente sull'integrazione europea agli amministratori locali e regionali Piazza di Trevi, 86 - 00187 Roma Te/. 69940461 fax 6793275 - dal 15 gennaio 1993 viene inviata, sperimentalmente, gratis a tutti i Soci, nella convinzione che gli Enti medi e grandi appoggeranno questo grande impegno finanziario dell'AICCRE abbonandosi. MAGGIO 1994 in preparazione di Valencia Le ragioni di uno scontro-incontro di Salem Sawadhah* Le relazioni economiche e sociali fra le città europee e quelle arabe non sono mai nate per caso, e la storia ci insegna che tali relazioni hanno delle radici molto antiche, dato che la storia in comune fra l'Europa e il mondo arabo ha messo in evidenza un'influenza positiva reciproca, sia da parte della civiltà araba islamica, che ha lasciato un segno nello sviluppo civile in Europa attraverso 1'Andalusia, che attraverso l'influenza europea sul mondo arabo, che ha lasciato un segno positi- vo e chiaro a seguito delllingresso delle truppe di Napoleone Bonaparte verso Est. Questo discorso mi impone di parlare dell'epoca della colonizzazione europea del mondo arabo e dell'esigenza di alcuni Paesi colonialisti di legare alcune colonie arabe direttamente, economicamente, socialmente, politicamente e amministrativamente, con la conseguenza che, anche in seguito alla liberazione e alla creazione di governi nazionali, queste sono rimaste comunque molto legate eco- Europa e Mediterraneo Il CCRE affermò a suo tempo l'esigenza di trasformare il Mediterraneo in un lago democratico, quindi pacifico e solidale. Poi, seguendo il suo metodo di lavorare alla base, dopo una lunga preparazione ha promosso nel 1988, d'accordo con gli amici «delle sponde opposte)), la I Conferenza euro-araba delle città, che si è svolta a Marrakech in Marocco. Essa non si è contentata di affrontare in astratto, in una logica settoriale, i problemi dell'organizzazione locale e regionale, quelli della cooperazione tecnologica, dell'emigrazione, della cooperazione culturale, ma ha cominciato ad affrontare coraggiosamente quelli più spinosi della «grande politica)),cioè del quadro entro il quale si supera il momento della «pace diplomatica))e si costituisce veramente la «democrazia dell'interdipendenza)). Ovviamente si è fatto solo un primo passo: un altro, più lungo, si farà nel prossimo settembre dal 15 al 17, quando il CCRE ospiterà a Valencia, in Spagna, la II Conferenza delle città euroarabe. Per preparare questo importante appuntamento si svolgerà a Catania (23-24 giugno) un seminario, organizzato dall'AICCRE e dall'Amministrazione civica, al quale parteciperanno Sindaci arabi ed europei. Ma, se vogliamo parlare, fuori di retorica, dello «sviluppo di una regione mediterranea)), occorre esprimersi con assoluta schiettezza e affrontare il quadro storico-politico in modo che ci permetta di riconoscere gli ostacoli di fondo a questa difficile costmzione. Ne vengono due considerazioni. La prima è che il dialogo euro-arabo va condotto in profondità, senza pregiudizi e inquadrato nei problemi strategici di un mondo ormai multipolare. Quando si affronta il problema dell'emigrazione e della complessità della edificazione di una società europea tendenzialmente multietnica, non ci si può fermare, isolandoli, ai problemi delle nostre città - gli amministratori locali e regionali lo sanno benissimo - e chiedere la luna nel pozzo: bisogna viceversa, per restare nel Mediterraneo, prendere di petto fraternamente i problemi a monte, non limitandoci alle coste ma analizzando l'hinterland africano e dei Paesi MAGGIO 1994 del Vicino Oriente in base a una giustizia socio-economica internazionale - che, beninteso, andrà applicata anche all'interno del mondo medio-orientale -, studiandoci seriamente di frenare le cause di una emigrazione di massa. Dietro peraltro i problemi macro-economici c'è l'esigenza di mettere realmente in contatto le rispettive società, europea e araba. C'è lavoro per le città e per le Regioni - e dunque per tutto il CCRE -, c'è lavoro per le Università, c'è lavoro per i sindacati, c'è lavoro per i gruppi religiosi che non si limitino a invocare una copertura laicista a incomprensioni religiose che rimangono nel sottofondo. In realtà, mentre i Paesi europei chiedono rispetto dei diritti umani e civili ai musulmani dirimpettai e agli ebrei di Israele, criticano giustamente il fondamentalismo e gli integralismi religiosi, fingono di voler superare il nazionalismo, essi dovrebbero fare anzitutto una spietata autocritica, vedere se stessi con gli occhi dei loro vicini extraeuropei, chiarire che l'Unione europea non è la somma degli Stati nazionali, che sono all'origine dei guasti altrui che vorrebbero correggere. Abbiamo con un 'autentica Federazione europea la possibilità di riscattarci da gravi responsabilità: ma, appunto, dobbiamo badare alla nostra casa, in modo che risulti esemplare. La Federazione rispetta per definizione le Regioni, le minoranze, le etnie, inducendo per altro tutti a uscire dal loro separatismo, a portare avanti un discorso interculturale, a sottoporsi a una legge comune. In fondo, guardando strategicamente al di là del nostro lago comune, sappiamo che il federalismo ha un carattere espansivo, non si può arrestare alla porta di casa, è - prima che un moto istituzionale - l'espressione di alcuni essenziali valori umani e civili. Ecco dunque che l'idea di un Mediterraneo democratico ci porterà alla grande scoperta che possiamo lavorare insieme - europei, arabi, ebrei - per una interdipendenza planetaria basata sulla fraternità. Enzo Bianco Sindaco di Catania nomicamente e socialmente agli ex colonizzatori. Gli ex coloni, in seguito all'indipendenza, si sono trovati di fronte a dei problemi enormi. I1 più importante era la liquidazione dell'eredità dei Paesi colonialisti sotto il profilo economico, sociale e culturale e cercare di costruire un futuro adatto al benessere dei popoli. Si sono trovati davanti al problema complesso di identificare le direzioni di uno sviluppo celere e di programmare le priorità culturali in base alle poche risorse disponibili. Tali Paesi hanno dovuto affrontare vari problemi contemporaneamente, aggravati dal sistema burocratico inefficiente ereditato dal passato. Soprattutto nell'apparato economico hanno trovato la soluzione facile per pareggiare i conti, ottenendo dei crediti dall'estero e soprattutto crediti concessi dai Paesi esportatori, in linea con la Banca monetaria e i mercati del credito nell'economia capitalista degli anni 70, con enormi giacenze di capitali alla ricerca di investimenti, soprattutto in seguito al cosiddetto «avanzo petrolifero», dato in gestione ai Paesi capitalisti. E stato naturale lo sviluppo dell'entità dei debiti esteri dei Paesi in via di sviluppo, con la conseguenza che i debiti aumentavano continuamente, sotto forma di interessi e rate, al punto di aggravare l'economia di tali Paesi specialmente dove non vi era sviluppo dell'esportazione dei propri prodotti. È possibile elencare i punti più in evidenza di tale situazione economica come segue: 1 - assorbimento totale delle riserve economiche; 2 - maggiore difficoltà per I'importazione; 3 - degrado del livello produttivo e di investimenti; 4 - difficoltà nelle operazioni di investimenti programmati con la conseguenza di recessi economici; 5 - impossibilità di rispondere agli impegni già presi per la restituzione dei crediti esteri alle scadenze; 6 - perdita della fiducia internazionale nei Paesi debitori con la conseguenza di non poter ottenere altri crediti esteri; 7 - instabilità interne e ribellioni dovute alla mancanza dei prodotti di prima necessità o dei loro costi esagerati, con la conseguenza dell'aumento della disoccupazione. Da quanto sopra elencato, e in seguito all'aumento dei prezzi del petrolio agli inizi degli anni 70, ne sono risultate delle scosse abbastanza violente alla struttura sociale, sia nei Paesi arabi che nei Paesi europei. La presenza straniera nel mondo arabo fin dagli inizi del XIX secolo e la rivoluzione (segue a pag. 1J) * Funzionario della Municipalità di Amman in Giordania. COMUNI D'EUROPA un importante convegno a Roma Fratture e convergenze mediterranee di Renata M. Landotti * Si è svolto a Roma, nei giorni 16, 17 e 18 maggio 1994 un convegno internazionale, organizzato da Fondazione RomaEuropa, Università degli Studi La Sapienza, Università del Mediterraneo e Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal titolo «Fratture e convergenze mediterranee». I1 convegno, presieduto dal Senatore Giovanni Pieraccini, Presidente deila Fondazione RomaEuropa, ha visto la partecipazione di politici, di economisti e di intellettuali, tra i quali lo stesso Predrag Matveievich ( l ) , autore di quel «Mediterraneo, un nuovo breviario» dove, in pagine dense e appassionanti, ricostruisce la storia di una parola - Mediterraneo - e rievoca i molteplici significati che essa include. E proprio l'intervento di Matveievich, costruttivamente provocatorio, ha subito messo in evidenza quella che è ancora oggi la realtà mediterranea, una realtà che non si discosta da quella che Leonardo da Vinci aveva così efficacemente colto: «da Oriente a Occidente in ogni punto è divisione». E ancora, Matveievich sottolinea come il panorama mediterraneo non sia rassicurante, non sia (ancora) un insieme coerente e come il pessimismo storico si ritrovi da una riva all'altra. Quello che le coste mediterranee hanno in comune sono le loro insoddisfazioni, il non aver vissuto la laicità, l'aver affrontato la modernità con ritardo e il lasciare che la retrospettiva prevalga sulla prospettiva. Le vecchie nozioni di periferia e di centro vanno ripensate; il dialogo deve sostituirsi a integrare i negoziati. Le coscienze mediterranee ogni tanto si mettono in allarme, ma con risultati troppo limitati. A questa lucida esposizione delle difficoltà non ancora superate sul difficile percorso verso la costituzione d i uno spazio comune che potrebbe modificare il baricentro politicoeconomico della Unione Europea, si contrappongono le confortanti dichiarazioni di intenti contenute, ad esempio, nella Raccomandazione 1162 (199 1) del Consiglio d'Europa (21, in cui alla storia ed alla cultura islamica viene riconosciuto uno status paritario a quello della storia e della cultura ebraica e cristiana nella formazione della storia e della cultura europea. Nella Raccomandazione 1162 si prende atto (art. 6) della deformazione storica e culturale di cui ha sofferto, e ancora continua a soffrire, l'immagine dell'Islam e poiché conoscere meglio significa poter comprendere meglio il presente e preparare il futuro (art. 9), l'Assemblea raccomanda al Consiglio - dei Ministri di riservare un più ampio spazio allo studio del mondo islamico nell'ambito dei programmi intergovernativi delle attività del Consiglio d'Europa e delle sue * Esperta di lingua e cultura araba. Raccomandazioni agli Stati Membri (art. 11). Tale risoluzione, tra le molte altre qui non citate, costituisce uno dei pilastri su cui costruire una solida base di partenza per uscire dall'impasse così efficacemente descritta da Matveievich: «I1 pensiero è rimasto più volte prigioniero delle "costanti", anche quando si distaccava dai luoghi comuni. La rappresentazione del Mediterraneo è rimasta troppe volte fossilizzata nei propri stereotipi: è come se il Mediterraneo fosse un grande anfiteatro dove si recita sempre lo stesso repertorio, dove le gesta dei commedianti sono conosciuti e prevedibili sottoinsiemi. Ogni gruppo del Mediterraneo conosce le proprie alternative. Non è sufficiente constatare, con più o meno esasperazione o rassegnazione i fenomeni che appaiono su ciascuna delle nostre coste: degrado ambientale, inquinamento, industria selvaggia, corruzione, movimenti demografici e migratori mal gestiti, mancanza di disciplina e di ordine, localismo, regionalismo, nepotismo e tanti altri ismi». Vediamo ora cosa è emerso, durante i tre giorni di lavori del convegno, a proposito del ruolo, o non-ruolo, della Unione Europea. Finora, e più di un relatore lo ha sottolineato, le sorti del Mediterraneo sono state decise al di fuori del Mediterraneo stesso: solo recentemente si è cominciato a pensare al Mediterraneo come progetto. Inoltre, anche i Paesi delllUnione Europea che si affacciano sul «nostro mare» non hanno, o non hanno Palermo, San Cataldo: la finestra dell'abside rifatta secondo un antico modello islamico, recuperato a San Giovanni degli Eremiti. La specchiatura a intreccio geometrico è incorniciata da un'iscrizione araba che corre lungo il telaio attuato, una politica mediterranea definita e coerente: finora essi hanno solo cercato in via eccezionale di confrontare le loro decisioni, parziali o occasionali, in questo settore ed i progetti sostenuti dai Paesi rivieraschi e formulati dalle convenzioni internazionali hanno avuto risultati estremamente limitati. «...Se il Mediterraneo fosse uno spazio economico integrato, aperto alla libera circolazione di merci, capitali e persone ... ci scambieremmo molti più prodotti, specializzandoci ciascuno laddove abbiamo vantaggi competitivi. Noi investiremmo maggiori capitali (nei Paesi arabi), deolocalizzando produzioni a Sud più di quanto non stiamo già facendo. E allo stesso tempo le nostre frontiere sarebbero più aperte ai loro lavoratori. Ma il Mediterraneo non è uno spazio economico integrato. Perché lo diventi (e perché il protezionismo dei ricchi sia privato di giustificazioni) mancano alcune importanti condizioni politiche ed economiche: la democratizzazione dei regimi nordafricani ed una loro compiuta conversione all'economia di mercato. Quand o questo accadrà, non è facile prevederlo (comunque, sarebbe assurdo escluderlo dagli scenari del futuro prossimo)». E quanto ci chiarisce Federico Rampini (3), nel suo interessante scritto che vale qui la pena di segnalare, oltre che a conferma del crescente interesse e conseguente dialogo sui problemi del Mediterraneo anche come ottima documentazione integrativa delle problematiche discusse durante i lavori del convegno. Utopia? Anche l'Unione Europea, pur con tutte le sue imperfezioni, e persino dopo il «disastro» di Maastricht, è partita da un'utopia che si è venuta concretizzando grazie alla paziente, costante ed illuminata opera di menti lungimiranti e incrollabili nella loro fed e di unione e cooperazione tra i popoli. Da una parte, quindi, l'Unione Europea deve adottare una politica più audace a livello di cooperazione economica; dall'altra i Paesi musulmani, in particolare i Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, devono, second o Mahjoubi (4), operare un aggiustamento strutturale alle leggi economiche della Unione Europea. La cooperazione euro-araba va ripensata, rinnovata, riequilibrata ed attuata, sottolinea Mahjoubi, a cominciare da subito dai Paesi del Maghreb più rivolti verso 1'Europa che non i Paesi arabi del Machrek. Per riuscire a realizzare questa utopia, è però indispensabile che, oltre ad una lucida autocritica d a parte dei Paesi Occidentali excolonizzatori, i Paesi islamici, ed in particolare quelli arabi, diano un forte impulso al processo di democratizzazione che, secondo Abdelali Benamour (51, è di per sé inevitabile. Si tratta di Paesi che dispongono di un grande potenziale di civiltà, umano ed economico, ma che non hanno ancora trovato la loro via ailo sviluppo. Infatti, in queste società, ci soMAGGIO 1994 no segnali di progresso relativamente allo stato di sotto-sviluppo economico ma continuano a persistere delle «pesantezze» dovute alla cultura musulmana. L'esperienza della politica dello sviluppo sul modello socialista terzo-mondista si è rivelata catastrofica e le strategie di sviluppo fondate sul modello liberale non hanno mantenuto le promesse: il fallimento di queste due ideologie, in particolare di quella liberale (che tuttavia in altri Paesi del Terzo Mondo ha ottenuto importanti successi), ha provocato nei Paesi musulmani una tendenza al ritorno alle origini. Lo scacco relativo dei modelli di sviluppo occidentali è stata una delle cause del diffondersi dell'integralismo. Questo fenomeno è significativo del fatto che, se i Paesi islamici hanno una buona parte di colpa in questi fallimenti, i Paesi Occidentali non solo non li hanno aiutati seriamente ma hanno incoraggiato le inerzie sostenendo regimi retrogadi. E ancora «... l'estremismo religioso.. . è il risultato di politiche miopi che hanno sacrificato i valori culturali in riame di un dirigismo economico basato sulla corruzione e sugli interessi dei gruppi di potere» (6). Senza addentrarci nel complesso fenomeno dell'integralismo islamista, e non islamico come ha tenuto a precisare Ammar Mahjoubi, vogliamo qui ricordare quanto ha dichiarato Rabah Kebir (7) a proposito d i un'eventuale conquista del potere in Algeria da parte del FIS: «... I1 problema dell'Algeria è soprattutto la corruzione... Noi cercheremo la collaborazione con i nostri vicini mediterranei.. . Un paese stabile, musulmano, che si apre agli scambi, sarebbe meglio per tutti...». Ciò presuppone, comunque, qualche concessione alla «laicità» poiché, come sostiene Matveievich, è necessario che la cultura islamica, se vuole continuare nel suo cammino verso la democratizzazione, inglobi la categoria della «laicità» e la applichi soprattutto alla religione ed al concetto di nazione. E Benamour sottolinea il fatto che sì, la laicità ha dimostrato d i essere portatrice di libertà, iniziativa e creatività, ma il problema della separazione tra temporale e spirituale, si pone con acutezza. I n un periodo in cui anche l'occidente cerca di operare un ritorno verso valori spirituali ed etici per riparare al materialismo ortodosso marxista e liberale, la simbiosi tra materiale e spirituale che caratterizza 1'Islam può cos t i p i r e un valore ed un punto d i incontro. E auspicabile che le correnti progressiste che attraversano in senso orizzontale, con più o meno forza, i Paesi islamici riescano ad attuare le condizioni di simbiosi tra modernità e tradizione, tra ordine individuale e ordine collettivo, tra l'imperativo della democratizzazione e le necessarie precauzioni della transizione. Transizione che vede protagonisti i nuovi intellettuali laici arabi cioè di coloro che «... dotati di una cultura originale e formati in una cultura diversa, devono pensare il rapporto tra le due culture e, di conseguenza, tra due lingue e due codici ... coloro che, inoltre, dovranno definirsi rispetto alla loro propria società ma anche rispetto alla società da cui prendono in prestito gli strumenti della conoscenza.. .» (8). I1 nuovo intellettuale laico araMAGGIO 1994 Palermo, San Giovanni degli Eremiti: chiesa eretta da Ruggero I1 nel 1132. Sul blocco della costruzione risaltano le coperture a cupole rialzate e intonacate di rosso. Nel muro in primo piano si conserverebbe il muro qibli della sala di preghiera di una piccola moschea di cui restano anche il muro occidentale e quello orientale, su cui poggia il lato destro della chiesa bo deve svolgere una doppia missione «... difendere la cultura araba in un mondo appiattito dal modello occidentale e riformare il pensiero arabo per meglio adattarlo alle esigenze dei tempi moderni. I1 futuro della CUItura araba è una questione di volontà: quella degli intellettuali e quella dei governanti» (9). Per rendere il cambiamento possibile, quindi, bisogna renderlo pensabile: questo è l'ardua ma stimolante sfida che si offre ai nuovi intellettuali arabi (IO). Invece di guardare al futuro facendo tesoro della propria cultura, molti intellettuali rimangono attaccati alla sola visione storica delle cose, in posizione difensiva, mettendo in evidenza lo splendore del passato. I1 nuovo intellettuale arabo, invece, è portatore di un sapere globale che gli permette di trattare dei più disparati argomenti e di formulare idee e principi che servono alla presa di coscienza e alla strutturazione dell'opinione pubblica. I1 nuovo intellettuale, oggi, rappresenta l'avvenire soprattutto se, come è il caso di Fatima Mernissi e di Abdel Mohammad Jabri, solo per citarne alcuni, «... lavora sulla possibilità di riformare la cultura islamica dall'interno, utilizzando i suoi propri strumenti e la sua memoria aiutandosi allo stesso tempo del contributo della sua cultura scientifica ... » (11). Secondo Porcel (12) cultura e pluralità sono una grande ricchezza dell'unione Europea e sempre più, nel contesto dell'unificazione dell'area mediterranea, la cultura si rivela essere la nuova frontiera da esplorare e conquistare. I1 genio e la sensibilità mediterranee vanno mantenuti ed esaltati: a tal fine le CUIture debbono aprirsi molto le une alle altre, lasciarsi pervadere le une dalle altre senza perdere la propria specificità anzi cogliendo ogni elemento utile all'arricchimento nella diversità. Su questo fronte, l'università del Mediterraneo, tra i promotori del convegno, può vantare al suo attivo una valida attività di coordi- namento con varie Università d i Paesi mediterranei nell'ambito di progetti, finanziati dalla Comunità europea, ai quali partecipano anche istituzioni non comunitarie specializzate nello studio della civiltà islamica. Sono proprio queste grandi reti sopranazionali, come l'università del Mediterraneo, che, in questa situazione di rransizione, permettono alla cultura di ottenere importanti risultati: grazie a questi grandi contenitori nascono e si sviluppano progetti tra Università e istituzioni non governative molto lontane geograficamente e culturalmente ma che possono finalmente sentirsi un insieme e lavorare insieme per ottenere risultati tangibili. Questi risultati, questo lavoro culturale, come quello che, parallelamente ma in altro ambito, sta svolgendo I'AICCRE, sono la spinta che incoraggia non solo gli intellettuali ma anche i cittadini, appena un po' curiosi del mondo che li circonda, a sperare nello sviluppo d i una regione mediterranea che non rimanga un mito geopolitico ma che diventi finalmente una realtà di democrazia e di pace. (1) Ptedran Matveievich, scrittore; professore all'Università di Parigi. (2) Assemblée Parlanientaire du Conseil d'Europe, quarantetroisième session ordinaire. Recommendation 1162 (1991) relative à la contribution de la civilization islamique b la culture européenne. (3) Federico Rampini, Paura dei <<barbari» e difficoltà ad essere italiani, in: LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica, 2/94, Editrice Periodici Culturali, pp. 191-198. (4) Ammar Mahjoubi, Direttore dell9Institut Superieiir d'Histoire du Mouvenient National; professore alla Facoltà di Scienze Umane e Sociali, Università di Tunisi. ( 5 ) Abdelali Benamour, economista; presidente dell'Institut des Hautes Etudes d e Management IHEM), Casablanca (Marocco). (6) Mohanimed Harbi, LIAlgérie prise au piège de son Iiistoire, in: Le Monde Diplomatiqiie, Maggio 1994. p. 3. (7) Noi islamici, democratici tolleranti, colloqiiio di Jan De Volder con Rabab Kebir (presidente del Comitato consultivo del FIS all'estero), in: Limes Rivista Italiana di Geopolitica, 2/94, Editrice Periodici Ciilturali, pp. 103-106. (8) Abdellah Labdaoui, Les nouveaux iritellectuels arabes. I'Harmattan Histoire et Perspectives Méditerranéennes, p. 107 (9) Ibidem. p. 152. (10) Ibidem. D. 8 . (11) ~ b i d e m ; 175. (12) Baltassar Porcel, Institut Català d'Estudis Mediterr~nis, Genralitat d e Cataluna. G. COMUNI D'EUROPA uno sguardo agli altri paesi dell'unione Il nuovo stato federale belga di J. Van Ginderachter* Dopo la revisione della Costituzione del 5 maggio 1993, il Regno del Belgio è divenuto uno Stato Federale, composto da tre Comunità e da tre Regioni. Questa trasformazione delle Istituzioni belghe è stata realizzata in quattro fasi. Nel 1970 vengono create le Comunità, i due gruppi linguistici in seno al Parlamento, aventi potere legislativo in materia culturale. Nel 1980 vengono create le Regioni e la Comunità germanofona. A queste vengono trasferite ampie competenze con poteri esecutivi. I1 finanziamento è basato sul sistema delle dotazioni. Nel. 1988189 le competenze trasferite divengono definitive con i grandi pacchetti «istruzione» e «lavori pubblici»: il primo per le Comunità, il secondo per le Regioni. I1 sistema di finanziamento viene rivisto in modo sostanziale; questo ora si basa per la maggior parte sulle imposte proporzionali. Alla Regione di Bruxelles-Capitale vengono infine conferiti gli stessi poteri delle altre due Regioni (Fiandra e Vallonia). L'introduzione del federalismo viene portata a compimento nel 1993 con l'elezione diretta dei parlamenti regionali (detti Consigli), con l'istituzione di un bicameralismo con competenza specifica delle camere, con la scissione della provincia del Brabante e con alcune modifiche circa le competenze trasferite e il sistema di finanziamento. Per effetto della riforma, alle Comunità e alle Regioni veniva attribuita anche competenza in ordine alla conclusione di accordi internazionali (treaty-making power). Nel corso degli ultimi 25 anni, il dibattito politico è stato acceso, talora anche violento, ma alla fine questa fondamentale riforma si è realizzata nella legalità. Ogni volta si sono ottenute le maggioranze qualificate dei due terzi richiesti, tanto per la revisione della Costituzione quanto per l'approvazione delle leggi speciali. Fra tutti i paesi in cui è stato introdotto un sistema federalista mediante ripartizione delle competenze, il Belgio è probabilmente quello che si è spinto più avanti. Infatti, le Comunità e le Regioni dispongono di competenze molto ampie, tanto che esse concorrono fino alla misura del 40% alla spesa pubblica del Belgio. 1. L e competenze trasferite In Belgio vi sono tre Comunità, che sono competenti per le materie riguardanti il diritto dei singoli. La Comunità fiamminga ha competenza per gli abitanti della Regione fiamminga e per gli abitanti di lingua neerlanProfessore straordinario presso l'università Namur. COMUNI D'EUROPA di - le attività di rinnovamento nelle campagne e la salvaguardia della natura; - l'edilizia (sociale); - la politica agricola, per quanto concerne gli interventi strutturali; - politica economica regionale; - la politica per l'energia, in particolare per quanto concerne la distribuzione dell'energia elettrica e del gas, tuttavia ad esclusione della progettazione di grandi infrastrutture e della imposizione delle tariffe; - la vigilanza sui poteri subordinati (province e comuni), pur essendo tuttavia i presidenti (governatori) delle province e i sindaci delle città e dei comuni designati dal governo federale; - la politica dell'occupazione; - i lavori pubblici e i trasporti, escluse le ferrovie e l'aeroporto di Bruxelles-Nazionale. Poiché le competenze attribuite alle Comunità e alle Regioni sono in linea generale esclusive, l'elencazione sopra riportata è da ritenersi solo come indicativa, in quanto la legislazione in materia è molto dettagliata sia per la definizione delle competenze che per le eccezioni. dese della Regione di Bruxelles-Capitale. La Comunità francese ha competenza per gli abitanti della Vallonia - esclusi gli abitanti della Comunità germanofona - e per gli abitanti di lingua francese della Regione di Bruxelles-Capitale, anche se di recente alcune delle sue competenze (ad esempio, formazione professionale e turismo) sono state trasferite in parte alla Regione vallona e in parte alla Commissione comunitaria francese a Bruxelles. Infine, la Comunità germanofona ha competenza per i 68.000 abitanti dei sei comuni dell'area ad Est. Le Regioni sono competenti per le materie territoriali. Le Regioni sono tre: la Fiandra, la Vallonia e Bruxelles-Capitale, con 19 comuni. Lo schema, qui di seguito riportato, illustra in modo chiaro la complessa situazione del Belgio, soprattutto a Bruxelles, dove risiede il 29% degli stranieri; non si conosce l'esatta percentuale degli abitanti di lingua francese e neerlandese, pertanto in campo fiscale e finanziario vengono utilizzate delle percentuali forfettarie (80% lingua francese e 20% neerlandese). POPOLAZIONE DEL BELGIO al l o gennaio 1993 (per 1.000) Tot. Regione BruxellesCapitale Regione fiamminga Regione vallona di cui: Comunità nermanofona TOTALE fonte: N.I.S. Stranieri % CE Yo 950 5.825 3.293 278 273 358 29,2% 4,7% 10,9% 127 141 269 13,3% 2,4% 8,2% 68 1O 14,8% 1O 14,1% 10.068 909 9,OYo 537 5,3% Le Comunità hanno competenza per: - le materie culturali, ivi comprese la radiodiffusione e la televisione, la formazione professionale e gli sport; - l'istruzione, fatta eccezione per la determinazione della durata del periodo previsto per l'obbligo scolastico e delle condizioni necessarie per il conseguimento di diplomi; - le materie concernenti il diritto dei singoli, e in particolare la politica della sanità esclusa I'assicurazione contro malattie e infortuni - e l'assistenza alle persone (politica della famiglia, assistenza sociale, tutela dei giovani, politica per i portatori di handicap, politica per la terza età e per l'accoglienza e l'integrazione degli immigrati). Le Regioni hanno competenza per: - la pianificazione del territorio; - l'ambiente e la politica delle risorse idriche; In molti casi, delle leggi speciali prevedono la conclusione di accordi di cooperazione (talvolta obbligatori) tra lo Stato federale e le Comunità e10 Regioni, o anche fra queste ultime. In particolare, la cooperazione riguarda la ricerca e lo sviluppo - campi di competenza esclusiva delle Regioni e delle Comunità - nonché la rete di comunicazione fluviale e per il trasporto terrestre. La Costituzione stabilisce anche che il potere residuale spetta ai Comuni e alle Regioni, ma prima che tale articolo entri in vigore occorre che il legislatore abbia potuto definire in modo dettagliato le materie per le quali resta competente lo Stato federale - e ciò, senza dubbio, non sarà facile. Nell'attesa di tale definizione, restano di competenza dello Stato federale la sicurezza sociale; il diritto civile, commerciale e penale; l'imposizione fiscale; la politica monetaria e della concorrenMAGGIO 1994 Federalismo mecliterraneo Verso Valencia Il 15-16-17 settembre si svolgerà in Spagna (a Valencia) la seconda Conferenza euro-araba delle Città: la prima si svolse a Marrakech ed ebbe una partecipazione di tutto rilievo. E una delle imprese che caratterizzano il CCRE, rappresentante di tutto il sistema europeo delle autonomie tewitoriali e dedito in via prioritaria a porre le basi di quella che dovrà essere - dipende da noi - una autentica Federazione europea. Federalismo, autonomie, solidarietà: non c'è alternativa razionale, quindi gli euroscettici sono semplicemente dei pigri in morale e in fantasia. La politica della libertà (per fare le cose in cui si crede) e dell'amore per il prossimo ha sempre trovato non solo i nemici, ma gli scettici: non sono dei realisti, sono semplicemente dei vili. Il compito, non ce lo nascondiamo, è dijhicile, se vogliamo procedere al di sopra delle ipocrisie correnti. Per l'Europa - e per la sua democrazia di base, cioè noi - è ancora una volta l'occasione di un esame di coscienza. Quanto nazionalismo arabo dipende dalllEuropa <(occidentale)>? e quanto fondamentalismo islamico? Torniamo a consigliare un vecchio libretto del liberale Francesco Gabrieli, «Gli MAGGIO 1994 Arabi», pubblicato nel 1957 e più volte ristampato e integrato. In preparazione della Conferenza di Valencia si pongono - ci pare - alcuni specifici problemi attuali. Anzitutto la disunione dell'unione europea. Nella ex]ugoslavia - che dovrà tornare ad essere, e ad essere realmente (cioè nella libertà e nella democrazia), una Federazione degli Slavi del Sud - ci sono «slavi mussulmani»: quali sono le responsabilità di Stati nazionali europei verso di essi (e non pensiamo soltanto alla Germania - la Croazia! - e alla Grecia - i Serbi! -)? La Comunità (ora Unione) europea e la sua Commissione esecutiva si stanno muovendo verso i Paesi del Mediterraneo, con una concezione che chiamano «globale»: ma viene subito in mente di pensare alla Convenzione di Lomé. Anzi il discorso andrebbe addirittura allargato: come i Paesi supersviluppati - coloro che hanno compiuto e compiono il massimo di rapine della ricchezza del mondo e che regolano gli scambi coi Paesi più poveri e più deboli - procedono, in un impeto di fraternità - o di paura - ad aiutare i Paesi ((bisognosi)), bisognosi per povertà naturale o bisognosi per congiuntura Cfallimentodel socialismo reale)? L'esempio del capitalismo selvaggio «occidentale» non è dei migliori: ma poi gli aiuti sono spesso dati in funzione della sua logica, a cui si cerca di legare quei Paesi, che avrebbero esigenze autonome e non la convenienza di legarsi agli alti e bassi della «congiuntura» del capitalismo ricco. Tornando a Lomé, l'Europa (la <piccola»Europa) prima ha favorito la monocultura, ha distrutto un'economia primitiva, ma articolata e armoniosa - con bisogno d'aiuto, non di distruzione -: poi si è capito, ma tardi, l'errore e, in modo del tutto contraddittorio, si sono invitati i Paesi «aiutati» a misure protezioniste e autarchiche «nazionali», ormai impossibili e d'altronde negative nei riguardi di una migliore cooperazione interafricana. Ora poi - torniamo ai nostri montoni -, in luogo di favorire una intesa tra il Sud europeo e il Nord africano, suscitiamo frequentemente una alleanza del capitale delle regioni ricche del Centro-Nord dell'Europa con le classi al potere dei Paesi africani: la conseguenza potrà essere la guerra dei poveri, tra le regioni del Sud Europa e quelle del Nord - e non solo del Nord - dell'Africa. Ma c'è un altro, delicato problema: l'alleanza «europea» con le nuove classi politiche delllAfrica, e particolarmente con quelle - talvolta COMUNI D'EUROPA ex-nemiche, al momento della «liberazione» (cfr. l'Algeria) - particolamente occidentalizzate (e talvolta covotte). Quando queste classi politiche locali, non di rado distaccate dagli elementi più poveri o emarginati delle loro rispettive società, hanno fallito una politica economico-sociale, che ha tradito facili promesse, gli emarginati (sobborghi di città in crescita, vilkqgi rurali, giovani disoccupati, ecc.) sempre più hanno finito per identificare mancate promesse», «lusso dei parvenus della politica», «corruzione», con occidente, Europa e magari cristianesimo, e non hanno saputo resistere all'attrazione di un Islam che promette, al suo intemo, rigore ed eguaglianza. Queste prime ossewazioni sono del tutto semplificative, ma non è semplificativo, sullo sfondo, il nostro obiettivo epocale di federalisti: «cambiare il mondo», cioè creare un nuovo ordine economico-sociaie planetario, giusto libero e pacifico. La Federazione europea, per altro cosi difficile, è solo un momento della «rivoluzione federalista». Comunque queste poche righe, che avranno bisogno di approfondimento e di sviluppo, possono spiegare la pubblicazione del saggio «stravagante» (nel significato fatto suo da Giorgio Pasquali, il famoso e umanissimo filologo) di un illustre geologo, Gian Lupo del Bono, anarco-federalista, come egli stesso si definisce. E' un saggio inconsueto, molto bello, molto ricco, molto stimolante. Ci pare che vada pubblicato soprattutto per tre ragioni specifiche. Anzitutto l'anaico-jederalismo. Il CCRE non è anarco-federalista, anche se gli anarchici (si pensi a Kropotkin) hanno sempre costituito un punto di riferimento per i federalisti. Oggi l'anarco-federalismo, col suo radicalismo, fa capire lucidamente l'inganno di un federalismo «separatista». Il separatismo è lontano un miglio dal federalismo. Tutti gli anarchici si sono sentiti sempre cittadini del mondo, polemizzano contro il potere, non contro gli uomini «diversi» o «lontani». La loro gelosa difesa della propria autonomia non ha niente a che fare con l'egoismo autarchico, anzi è esattamente il contrario: non vuole paraventi, confini, sbavamenti. Qualche «separatista» ha richiamato, a proposito di disobbedienza civile, Thoreau: ma Thoreau era un anarchico, ce l'aveva col potere, non col prossimo. INDICE La sostanza del problema Federalismo mediterraneo ................ Federazione mediterranea ................ I1 nostro mondo unitario mediterraneo ............................................. La possibilità di azione concreta ...... «La Méditerranée des pauvres* ........ La via dei Sufi ............................... Bassora .......................................... Anacoreti cristiani e primo «monachesimo» islamico ................................... Le persecuzioni ............................... Il Sufismo e i diritti dell'uomo ........ Il riconoscimento del Sufismo: Ain E1 Ghazali .......................................... COMUNI D'EUROPA In secondo luogo, del Bono fa una cavellata straordinaria attraverso l'islamismo. E' una carrellata eterodossa, abbastanza eretica, ma non snob: e ci spieghiamo. C'è qualche <<modernista» islamico che piace molto agli occidentali, perchè semina paradossi e sgomento nel suo campo: lasciamo questo divertimento agli «intellettuali~;quanto in genere ci richiama Gian Lupo è una tensione ecumenica che vive nell'islamismo, con difficoltà, come vive con difficoltà in altre grandi religioni, a cominciare dal cristianesimo. Tutto qui. L'islamismo, come il cristianesimo, ha avuto, in fatto di tolleranza o, meglio, di ecumenismo, alti e bassi; vanno bene i richiami storici, le scuole di studi ebraici e cristiani nelle regioni governate un tempo da Musulmani in Spagna: ma poi bisogna approfondire meglio il presente. Ci occowe spesso di citare il grande coranista Abul Kalam Azad, uscito da El Azhar, l'università teologica egiziana, laico e collaboratore di Jawaharlal Nehru, laddove il capo della Lega musulmana indiana era Jinnah, in partenza un miscredente marito di una parsi (è la religione di una minoranza di seguaci di Zoroastro, tra i massimi capitalisti indiani). Infine il sagio tocca il problema del Mediterraneo visto, tutto sommato, da un federalista, quindi non contrapposto al tradizionale federalismo europeo: spinge l'Europa non solo verso Nord-Ovest o verso Est, ma anche verso la culla della sua civiltà, a Sud. E' un Meditevaneo di tutta l'Europa. Ci sovviene un vecchio libro (è una edizione dei Fratelli Bocca, Torino, 1926) di Giuseppe Sergi, <(Leprime e le più antiche civiltà - I creatori»: dopo uno sguardo paneuropeo, il libro si dedicava particolamente al Mediterraneo e a una zona umana euroafromeditevanea (coi «ricordi più primitivi dell'umanità»). Sergi era un antropologo, del Bono è un geologo. PS - Qualche libro utile? Elenchi del genere sono abbastanza casuali, comunque molto soggettivi. Meglio non avere pretese di rigore e suggerire qualche libro che sembra comodo, anche perchè ne cita altri e pemette di cominciare a muoversi entrando nei problemi. Sviluppo, affermazione transfideistica, attualità del Sufismo ....................... Libertà spirituale: contestazione di dogmi e poteri ................................ Intesa necessaria e indispensabile ..... Vivere, difendere, sviluppare la propria cultura ........................................... Conclusioni I motivi principali ........................... Possibili programmi ......................... Le difficoltà da preventivarsi ........... I) Difficoltà di ordine politico .. a) precedenza Est-Ovest ......... b) estremismo islamico .......... C) estremismo cristiano ........... d) consewatorismo storico ...... 27 29 30 31 Alessandro Bausani, c<LJlslam».E' un libro non recentissimo, ristampato, dovuto a quel personaggio straordinario, poliglotta incredibile, che era Bausani. Il libro ha in particolare un'appendice su <<Lareligione Babi-BahaJi», che era anche la fissazione del caro Sandrino. Il Babismo è, in fondo, «una nuova religione che abroga l'lslam e si pone come una nuova religione per i tempi nuovi». Recentissimo è «Il partito di Dio - L'Islam radicale contro l'Occidente» (1994 [edizioni Angelo Guewini e Associati, Milano]. Piace a un Sindaco - un Sindaco filosofo, il Cacciari con barba, di Venezia -. In edizione Città nuova (1988) un grande islamista, Louis Gardet, ci ha dato «LIIslam e i Cristiani - convergenze e divergenze)) (nell'originale francese il titolo è ~Regardschrétiens sur l'lslam»: ma sono ricordi di uno che per mezzo secolo è stato profondo amico di molti mussulmani). Paolo Branca, «Voci delllIslam moderno Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione» (Marietti [Genova, 19911). Un libro o m a i stagionato è: ((Ilpensiero politico arabo» di Anouar AbdeLMalek (Editori Riuniti, prima edizione italiana del 1973 - in Francia è uscito per le Editions du Seuil). La vivista italiana di geopolitica «Limes» ha pubblicato (1994, Editrice periodici culturali) un numero su «Meditevaneo, Z'Arabia vicina». Ha una parte dedicata alla Bosnia. Per gli italiani, che non sono «brava gente», suggeriamo i due volumi di Angelo Del Boca (Editori Laterza, 1986 e 1988), «Gli italiani in Libia - Tripoli bel suo1 d'amore 1860-1922», «Gli italiani in Libia - dal fascismo a Gheddafi)). Naturalmente non poteva mancare un libro di Renzo De Felice, «Il fascismo e l'Oriente Arabi, ebrei, indiani nella politica di Mussolini» (Il Mulino [Bologna, 19881). Ci piace anche di ricordare il vecchio, classico libro di Giorgio Assan (Editori Riuniti [l 9591), «La Libia e il mondo arabo - nell'ex colonia italiana problemi, contraddizioni e speranze del divenire della nazione araba*. Infine ricordiamo il numero monografico di ((Comunid'Europa» del maggio 1989, ((Europa federata e Meditevaneo». 11) Difficoltà di ordine istituzionale .................................... 35 111) Difficoltà di carattere sociale .................................... 36 Condizioni facilitanti i programmi proposti i) Aspetti di carattere economico e socio-culturale ................... 37 11) Aspetti di carattere politico: la Costituzione di Medina ........ 37 111) Aspetti umano-caratteriali: la nostra mediterraneità ........... 38 a) Meditevaneità cosciente ...... 38 b) Meditewaneità istintiva ...... 40 La scelta degli operatori .................. 41 Tornare alle origini ......................... 42 I1 problema di fondo ....................... 42 Noi per primi ................................. 43 MAGGIO 1994 Federalismo mediterraneo di Gian Lupo del Bono La proposta che vi faccio - vengo subito al nocciolo (") - è di aprire immediatamente una campagna e di studiare, a scadenza immediata, un programma di azione, in favore di quella che potrebbe essere la soluzione dei drammatici problemi mediterranei: La federazione dei popoli mediterranei Con questa proposta intendo esprimere quello che ritenevo ieri, ma ritengo soprattutto oggi come improcrastinabile necessità: la creazione di un Federalismo mediterraneo. La sostanza del. problema Federalismo mediterraneo Per brevità, il tempo stringe, vengo ai motivi di questa proposta: 1) I1 primo motivo parrebbe dover essere la guerra in corso nel Golfo. Nessuno di noi, men che meno chi vi parla, dimentica che mentre pronuncio queste parole, ogni second o che passa, ogni minuto, diecine, centinaia di uomini periscono nella Guerra del Golfo; e in effetti, se una Federazione mediterranea fosse esistita, i problemi della parte orientale di essa (del Medio-oriente cioè) avrebbero potuto trovare ben altra soluzione. 2) Eppure, questo primo drammatico, contingente, tragico motivo, non è, in prospettiva storica, il principale di essi, anche se questo stesso motivo - la guerra - è quello che mi costringe a intervenire presso di voi a parlarvi, cosa che non faccio da molti anni ormai. e a farlo in un momento in cui ~ e r s o n a l mente,. professionalmente, faniiliarmente, tutto dovrei fare fuorché venir qui a parlare e a farvi certe proposte; ma devo farlo, lo esigono i morti della Guerra del Golfo. i «malsepolti compagni*, per dirla con il poeta dia!ettale sardo Sebastiano Sanna - ammesso che siano sepolti! - io esige quanti stanno ora morendo in questo stesso istante, quanti moriranno nelle prossime ore, nei prossimi giorni, noi non ossia amo trincerarci-dietro i doveri familiari e gli impegni di lavoro, di carriera, per quanto importanti possano essere, i figli, l'età. l'incapacità ad affrontare ~ r o b l e m così i colossali, la stanchezza, gli impegni di ogni genere: sarebbe una allucinante ipocrisià, la A (*) Il sdggio che pubblichiamo è preceduto, in qiranto testo esteso de//'i~iferve>itoeffettuato in forma sintetica in scdufa plenaria a/ Congresso del Partito Federalista Tranrnazionale in Roma ne//'inurnio 1191, &l setuente preambolo: «Amici, Colleghi federalisti e transnazionali, chi vi parla non è un "radicale storico" anche se ora si riconosce, quanto meno nella definizione, quale fautore del Partito Transnazionale Federalista, proprio perché transnazionale e federalista e soprattutto perché organismo che è stato capace di sottrarsi alle lotte per il potere in Italia, per dedicarsi ad altri tipi di lotta, assai più importanti, assai più legittimi, soprattutto improcrastinabili. Chi vi parla è altresì un federalista di vecchia data, segretario romano del Congresso per il Popolo Europeo, allora affidato alla Segreteria europea di Luciano Bolis, parlo degli anni dal '56 al '61. quei gloriosi anni federalisti in cui Roma, fino alla periferia MAGGIO 1994 più macabra fra tutte le ipocrisie, quella di noi stessi nei confronti di noi stessi. Eppure il motivo più importante, il vero fondamentale motivo, è un motivo culturale, paradossalmente assai più profondo, che emerge dalla notte dei tempi e nella notte dei tempi futuri sprofonda, il motivo delle radici culturali mediterranee, di quelle radici culturali talmente radicate in noi da risultare fisiologiche; che accomunano noi tutti mediterranei con una identità di caratteri comportamentali da rappresentare un denominatore comune che forse non ha precedenti sulla superficie del globo, perché non vi sono forse sulla superficie del globo comunità le cui comuni radici sprofondino fino alle origini della protostoria, dell'epoca in cui i popoli sahariano-mediterranei e camuni incidevano le loro speranze, i loro timori e davano libero sfogo alla loro fantasia mediante incisioni e pitture sulle pareti rupestri, a quelle epoche altrettanto misteriose che vanno dalle ere egiziane alle mesopotamiche, surneriche, alle cretesi-micenee, alle pre-indo europee, dalle paleo-mediterranee - intendo basco-sarde e forse anche guanche integrate (popolazioni indigene delle isole Canarie, ndr) - con tutte le loro favolose leggende, i poemi, i miti grandiosi sulla creatività e la creazione, fino alle indo europee i cui rappresentanti, in successive ondate, hanno avuto un poco la funzione del mestolo che tutto rimescola, rivolge, unifica e che, pur lasciando a ciascuno la propria identità, tutto confonde in un inestricabile, insostituibile valore unitario comune. Credo che non occorrano parole per descrivere il valore di questa cultura così composita, così variegata e profonda, così permeante qualunque ricettività umana, qualunque coscienza, qualunque istinto, persino. Occorre rilevare forse come questa cultura, più ancora, assai più di quella caratterizzante popoli o etnie assai più uniforrni e meno differenziate, ci coinvolge al punto di darci a noi mediterranei, pur nelle vistose differenze, un cemento creativo culturale di fondo che sarebbe delitto sacrificare o anche solo trascurare. Ed è un coinvolgimento che interessa anche molti "non mediterranei", tutti coloro - cioè - che "sentono" la vocazione mediterranea, e non sono pochi, nei paesi nordici; ed è un coinvolgimento di cui non si può fare a meno, neppure se lo volessimo, perché ciò significherebbe semplicemente rinunciare al- europea, praticamente ignorata dal mondo federalista attivo, si doveva rivelare all'avangiiardia grazie alle elezioni popolari di base per il Congresso del Popolo Europeo (CPE) nei comuni della provincia prima (con record europeo assoluto di percentuale di votanti), successivamente nell'università di Roma, infine, nel '61, trionfalmente in tutta la città di Roma, con oltre 100.000 voti, altro primato rispetto ai centri "storici" del federalismo europeo (Maastricht, Milano, Darmstadt, Lione, Anversa, ecc.); furono elette, ricordo, a "furor di popolo", mediante 104 seggi aperti da volontari in tutte le strade di Roma, personalità quali Giovan Battista Angioietti, allora segretario degli scrittori europei, Vincenzo Arangio Ruiz, Angelo Bandinelli. Helinut Goetz (primo "straniero" eletto con voti italiani), Franco Lombardi, Claudio Monteverdi, Marco Pannella, Altiero Spinelli e tanti altri, non vi voglio tediare: tutte persone, sia chiaro, clie non avevano soltanto dato il proprio nome ma clie avevano collaborato attivamente, e ancora ricordo il magnifico manifesto europeo e l a ~ la nostra più profonda natura mediterranea o al richiamo di essa. Ora, questa cultura mediterranea, questa cultura che non soltanto affronta con tanta ampiezza di respiro il problema delle origini della creazione, del destino dell'universo e dei fini culturali della umana avventura, questa cultura che, soprattutto nelle sue componenti, la civiltà biblico-israeliana, quella greco-latina, quella cristiana e quella islamica e scusate se dico poco! - (ma non soltanto in quelle, come oggi si comincia a scoprire), concepì per prima lo spiritualismo unitario e universale rifacentesi al Dio unico, questa stessa cultura sta per essere frantumata, peggio, deformata proprio dal nascente «Stato unitario» europeo: questo, pur indispensabile, ma solo come autentica federazione integrale, per risolvere autonomamente i sempre più drammatici problemi del nostro continente, appare sempre più strutturato sul modello degli stati nazionali di infausta memoria e attualità, munito soprattutto di quei precisi confini di interesse che, per essere esclusivisti e prioritari sono di per ciò stesso mafiosi; confini, il più meridionale dei quali è destinato a spaccare, come di fatto sta spaccando, il composito mondo mediterraneo. Ed ecco i motivi del mio lungo preambolo sui trascorsi federalisti miei e delle comunità di cui faccio parte, ed ecco i motivi della mia riaffermazione di federalismo attuale, a livello di fiducia nel sistema teorico - l'unico concettualmente valido - e di fiducia nella sua applicazione pratica - graduale quanto si vuole - di federalismo integrale, nei limiti, tuttavia, in cui si riesca ad applicare veramente il federalismo veramente integrale. Solo in questo caso infatti, solo, ripeto, se si riuscirà a dare attuazione al federalismo integrale, si riuscirà ad evitare cataclismi e tragedie quali quelli della Guerra del Golfo, la più sanguinosa guerra - si badi - della storia dell'umanità, considerato il bassissimo tempo entro il quale si è esplicata - 200.000 morti in tre giorni di battaglia; né sappiamo quanti altri periranno nei prossimi giorni né quanti periranno fra gli Armeni, Curdi, Sciiti, oggi invitati a rivoltarsi al regime di Saddam, domani presumibilmente abbandonati alle vendette di quello. Ecco, volevo, con i1 mio preambolo, evitare che il timore, ora espresso, di una possibile frantumazione definitiva del mondo culturale mediterraneo, venisse interpretato come una borato da Claudio Monteverdi e le serate di lavoro passate a casa di Arangio Ruiz. Fui anche eletto nel '56 segretario alla Sezione MFE di Roma, carica alla quale rinuiiciai in favore di Giuliano Rendi, il patrimonio culturale-politico ed il rigore robesperriano del quale. pur non condividendone molti degli aspetti politici, ritenevo caratterizzare la persona più adatta a gestire quella carica. Ma soprattutto devo ricordare la mia partecipazione, insieme a molti altri validissimi amici federalisti, alla gestione del giornale "Lotta Federalista", in circolazione fin dal lontano 1961; ritengo che tale giornale sia stato uno degli organi giornalistico-federalisti di maggior durata, se non quello di maggior durata, quasi venticinque anni ed ancora potenzialmente attivo; fin d'allora avevamo prospettato la società senza frontiere, avevamo contestato i poteri nazionali in quanto tali in favore di gestioni federaliste di base, rifiutando qualunque centro di potere politico da sostituirsi con organizzazioni spontanee decentrate di servizi, sottolineando l'aspetto fondamentale dei valori culturali delle co- COMUNI D'EUROPA critica al federalismo in cui mi riconosco; anche se, in effetti, quello in cui più probabilmente credo è quell'anarco-federalismo che non riconosce autorità centrale o centri di poteri (salvo i servizi centrali, la famosa piramide rovesciata di Mario Mariani) sui quali invecc appaiono strutturati certi «stati federa, li» che non sono federazioni, quali gli Stati Uniti e 1'Urss e sul modello dei quali mi pare avviata anche l'Europa, ossia quello che pavento diventi uno «Stato» europeo, somma di conservativi interessi europei - gli Stati Uniti d'Europa, anziché una libera federazione di Comunità. Purtroppo, dalla costruzione, anziché di una federazione europea, di uno «Stato» europeo accentrato su un qualsiasi centro di potere, strutturato come centro di potere e circoscritto da precisi limiti territoriali - gli infami «confini» la cui esistenza ha devastato l'Europa e la sta devastando - vedo conseguire quello che ritengo una delle più grandi jatture delle vicende. politiche attuali: la frattura del Mediterraneo in due mondi distinti, quello europeo nel quale far convergere a forza tutte le com~onentisud-euro~eecommese quelle più tipicamente mediterranee (quali, solo per portare alcuni esempi, la Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna, Andalusia, ecc...), ed un mondo africano nel quale far convergere a forza tutte le componenti mediterranee nord-africane (per esempio Tunisia, Egitto, Libano, Algeria, Libia, Marocco, ecc.) - ma prima di tutto mediterranee - con la conseguente perdita della propria preziosa identità mediterranea: strumento indispensabile per l'integrazione reciproca di quel favoloso mondo composito a tre, Europa-Africa-Medio Oriente, dal quale è sorta nel passato una delle strutture culturali spirituali più possenti della storia delle comunità mondiali e dalla quale, tramite soluzioni federaliste, una nuova esplosione creativa è facilmente preventivabile. In una parola temo che avvenga quello che, per constatazione generale, sta già purtroppo avvenendo, che i Siciliani cioè - e solo per fare un esem~io- saranno coattivamente fatti diventare europei e sottoposti alle regolamentazioni di questo continente - tramite gli «ordini» di Strasburgo, ed i Tunisini saranno coattivamente fatti diventare africani e sottoposti alle regolazioni di questo altro continente, tramite qualche altro futuro centro di potere africano; con la conseguenza che, non solo si deformerebbe una verità lo ripeto, una verità plurimillenaria di fatto - o la si distorcerebbe atrocemente, ma si creerebbero presupposti sicuri per cui, sempre per fare un esempio, il composito complementare mondo siciliano-tunisino, permeato di componenti fenice, arabe, normanne, afri- cane, greche, romane, berbere e via dicendo, verrebbe non solo frantumato. ma costretto. dai rispettivi poteri, a differenziarsi prima, a fronteggiarsi poi, a ostacolarsi successivamente, infine a scontrarsi, esattamente come avvenne due secoli fa per il mondo alpino frantumato nella sua unitaria comunità per divenire frontiera fra mega potentati. Le «battaglie» fra motovedette tunisine e pescherecci siciliani sono sintomatiche da questo punto di vista quando le due componenti sociali sono, a dir poco, splendidamente complementari. Di questo «scontro» sono sinistri presagi le gradualmente crescenti opposizioni agli interscambi autonomi «naturali» fra le due parti della comunità regionale siculo-tunisina. la rivalità nello stesso sfruttamento turistico, soDrattutto i contrasti sulla delimitazione delle acque territoriali, con i conseguenti aspri contrasti sul ~roblemadella Desca. artificialmente creati dai rispettivi poteri (quello comunitario europeo e quello tunisino), quando la maggior ricchezza in pesca dei fondali tunisini e la straordinaria maggior ricchezza di assorbimento dei mercati italiani consentirebbe, raccomanderebbe economicamente, socialmente, umanamente, l'integrazione a tutti i livelli. Questa, di fatto, avviene ma clandestinamente (emigrati clandestini tunisini, pescatori non autorizzati italiani, manovalanza tunisina e nordafricana Der c o ~ r i r eincarichi per i quali non si trova mano d'opera in Sicilia, operatori turistici italiani in Africa, ecc.) per sfuggire alle leggi dei rispettivi poteri o. dal Dunto di vista sociale ed umano. attraverso le comunicazioni nell'etere (televisione) dove ancora i poteri non sono fortunatamente riusciti a stabilire leggi o frontiere. Analoga situazione fra Puglia ed Albania dove interessi complementari premono per sfondare assurde leggi di frontiera marittima: si pensi che la Comunità Europea ha ordinato di abbattere migliaia di capi di bestiame italiano eccedenti la produzione comunitaria senza considerare che al di là del Canale d'Otranto, in Albania, tali animali ed i loro prodotti sarebbero stati indispensabili per la sopravvivenza di migliaia di bambini, gestanti, malati o ricoverati di ogni genere. Lentamente. gradualmente. auesta infame frontiera «europea» che tronca longitudinalmente il Mediterraneo si va creando. seDarando gente dello stesso sangue, della stessa costituzione fisica, dagli analoghi elementi caratteriali, della stessa storia, abitudini, necessità, sottoposta agli stessi stessi agenti climatici, agli stessi condizionamenti geografici, alle stesse necessità, persino agli stessi cataclismi naturali ed artificiali: terremoti, alluvioni, maremoti, inquinamenti, desertificazioni avanzate e siccità. Ma vorrei tornare brevemente all'esempio delle Alpi, una regione di cui i poteri apparentemente legittimi, apparentemente democratici, apparentemente progressisti - gli «Stati» europei - ma sempre poteri centralizzati di stato. limitati da «sacri» confini di stato, hanno voluto per il passato servirsi come «linee di confine» entro le quali imporre e «standardizzare» le proprie nazionalità, anche per poterle contrapporre alle limitrofe, creando appositamente artificiali interessi economici o falso-culturali o politici contrapposti: contrapposizioni, ovviamente che servivano a giustificare l'esistenza dei poteri centrali, delle relative burocrazie politiche e militari e dei conseguenti ben noti cospicui interessi a livello individuale e di gruppi di potere. Senza citare il tromo noto esem~iodel Tirolo, per contrapporre i Tirolesi «tedeschi» ai Tirolesi «italiani». con l'allucinante esem~io della prima Guerra mondiale dove la bravura e l'eroismo di quelle popolazioni era stata sfruttata per scagliarle, sotto le etichette di diversa nazionalità, l'una contro l'altra; senza, ripeto, ricordare troppo questo esempio, si potrebbe citare il caso meno conosciuto, ma forse ancor più emblematico dei «Walser», i «re delle Alpi», popolazione alemanna cui si deve di fatto, da oltre un millennio, la colonizzazione e la civilizzazione delle più impervie regioni alpine - depositari fra l'altro di una loro arcaica validissima lingua paleotedesca: il Tisch - anello ~reziosodi congiunzione tra le limitrofe popolazioni basso-alpine dei versanti Nord e Sud delle Alpi, per secoli garanzia di pace, commercio, transitabilità, assistenza di passeggeri, depositari di un particolare patrimonio architettonico alpino che tutti conosciamo senza peraltro attribuirgli tale indispensabile e ormai ampiamente documentata origine. Ebbene, la sostanza culturale di tale popolazione si sta dissolvendo dinanzi alla logica spietata dello Stato centralizzato e delle sue frontiere. Si sarebbe di fatto già dissolta se non fosse stato per l'esistenza di qualche rara, per quanto combattiva, associazione locale o culturale che ha invocato e invoca da tempo la soluzione anarco-federalista per salvare il salvabile della cultura «Walser». Solo in tale quadro federalista - lo stesso che noi invochiamo Der il Mediterraneo scrivevano Zanzi e Pezzi, fra i massimi studiosi in materia, (vedi i volumi «Prospettive di vita nell'arco alpino» e «I Walser nella storia delle Alpi», ambedue edizioni Jaca), «Solo in tale quadro federalista, in chiave di rivendicazione antinazionalista (e si badi che uno «stato» federale europeo strutturato su organismi centrali continentali di potere può rappresentare un analogo pericolo per il mondo mediterraneo) e di rimetto federalista delle autonomie locali, si può attuare quella tutela munità di base e la assoluta necessità che ciascuna di esse fosse messa in g a d o non solo di prendere coscienza di sé ed autogestirsi, ma di svilupparsi secondo sempre nuove forme creative e nuove estensioni comunitarie: un modello organizzativo che avrebbe potuto definirsi, come di fatto si definì, di anarco-federalismo. Non per niente abbiamo dedicato pagine intere del giornale alle variegate espressioni linguistiche e dialettali delle comunità europee ed extraeuropee, non per niente ci siamo rivolti, oltre che ai politici, soprattutto agli artisti, chiedendo ed ottenendo spesso la loro collaborazione - famoso rimane un censimento tra tutti i grandi violinisti del mondo sulla figura di federalista di uno di essi, Bronislaw Hubermann, campagna promossa da Helmut Goetz - ed oggi che almeno tre delle g a n d i comunità dell'Europa orientale, nello scrollarsi di dosso i non più tollerati regimi totalitari, hanno affidato la massima guida dei loro Paesi ad esponenti del mondo artistico creativo, oggi noi siamo legittima- mente fieri di questo giornale, con il quale, nonostante le poche migliaia di copie di tiratura (distribuite peraltro in tutti i centri federalisti, culturali e contestatori di Europa), siamo sicuri di aver aperto certe strade, di averle sperimentate, ad esempio nella gestione totalmente libertaria del giornale, di aver proposto certe soluzioni federaliste integrali, molte delle quali sono state recepite ad esempio da questo Partito dalla cui tribuna vi parlo, Partito che ha saputo pienamente realizzarle, ottenendo risultati insperati, riconoscimenti in tutto il mondo e soprattutto aprendo quella che è forse la prima concreta linea d'azione transnazionale in Europa e fuori d'Europa. Mi auguro, amici, che non pensiate che mi rivolgo a voi per vanità - io ed il Gruppo che rappresento o almeno quella parte di esso che crede ancora nei principi che ispirarono la nostra azione di allora - o per esibire certi trascorsi, o peggio, per vantare le nostre lungimiranti precorritrici ragioni di allora: sarebbe veramente triste, in un momento come questo in cui infuria la Guerra del Golfo, una delle guerre più allucinanti di questo secolo, nella quale centinaia di migliaia di uomini, sottoposti a poteri di stato, sono costretti ad ammazzare o a farsi ammazzare davanti alla restante umanità che si gode lo spettacolo d a televisione, commentandolo sprofondata nel comodo delle proprie poltrone. No, se ho ricordato tutti questi trascorsi, perdendo fra l'altro cinque minuti del preziosissimo tempo concessomi, prima di farvi le proposte concrete che vi farò sappiate che sono stato e sono sempre federalista, federalista integrale o, se preferite, federalista decentralizzatore, tolstoiano-gandhiano, fautore dell'idea di Federalismo alla Proudhom - comunque sempre anarco-federalista. Ho fatto questa lunga premessa perché non equivochiate sul mio conto quando, nel farvi le proposte che vi farò, le motiverò così come udrete». A . COMUNI D'EUROPA u L , u r - 1 / L L L MAGGIO 1994 della autonomia linguistica che è sempre stato il principio di una rivendicazione e di una riappropriazione della storia locale.. .». «...Anche per tale motivo - rincarano gli autori - sarebbe delittuoso che tale cultura materiale dei Walser venisse perduta» (noi vorremmo aggiungere «quanto resta di essa», perché quanti di noi, quanti di voi a cui parlo, auanto io stesso siamo veramente a conoscenz'a del problema dei Walser e della loro lingua «Tisch»?); come irrimediabilmente accadrà qualora, nelle regioni montane, si dovesse continuare lo scempio ambientale e culturale che, da parte degli stati centralizzati, continua ad imperversare ovunque. Non vogliamo che questo scempio, già da tempo in atto nella regione mediterranea, si aggravi con la istituzionalizzazione di una linea di «frontiera europea» che spacchi il Sud Mediterraneo dal Nord Mediterraneo favorendo o promuovendo situazioni - che già si stanno verificando - di un nascente nazionalismo arabo-africano da contrapporre ad un nascente nazionalismo economico-sociale quanto si vuole, ma sempre nazionalismo europeo. Tale nazionalismo «federale» europeo, infatti, che già tenta di contrapporsi agli Stati Uniti d'America sulla scia di nazionalismi francesi o analoghi, mira non solo alla soddisfazione della sacrosanta, legittima necessità di dare una voce all'Europa e di risolvere i suoi ancora scottanti problemi europei ma, purtroppo, in modo sempre crescente, alla difesa conservativa di un benessere che si va rapidamente estendendo e che malauguratamente si intende mantenere e soprattutto sviluppare anche a scapito dei «malesseri» delle regioni terzomondiste, come dimostra il dilagante razzismo (riservato esclusivamente ai «poveri» terzomondisti) e soprattutto la dilagante opposizione ad ospitare individui dei paesi mediterranei nordafricani più sacrificati. Purtroppo l'Europa cosiddetta «federale» nasce - e deve pur nascere - ma nasce Stato centralizzato. anche se concede. al suo interno, una certa autonomia alle regioni, molte delle quali legittimamente lo desiderano per liberarsi delle pastoie burocratiche opprimenti degli stati nazionali nei quali sono attualmente inserite; l'Europa nasce però, purtroppo, anche conservatrice, perché atavicamente non si riesce a rinunciare al benessere conquistato, con la conseguenza che si continua a ricorrere ad un modello di stato. anche se fortemente ampliato con la auspicata abolizione dei nazionalismi interni, che ripete il modello degli stati da cui siamo partiti, e che segnarono, sì, un progresso sostanziale sugli ottocenteschi staterelli regio-dittatoriali precedenti - si veda il caso dell'Italia - ma che già nella loro costituzione adombravano le grandi spaccature nazionali da cui dovevano derivare all'Europa le grandi guerre dell'ultimo secolo. Ed ecco, lo ripeto ancora una volta, perché ho lungamente ricordato la mia passata militanza di federalista e la mia quarantennale illimitata fiducia nella soluzione federalista, più che mai all'ordine del giorno oggi per la risoluzione dei drammatici problemi europei attuali: perché non si creda che io mi opponga al federalismo europeo in cui credo e in cui continuerò a credere anche e soprattutto perché non si deve ritenere che la pelle dell'orso sia già disponibile, dato che l'orso non è stato ancora catturato. Solo che vi credo da federalista integrale e da anarcofederalista: credo D MAGGIO 1994 cioè nel solo federalismo che consenta alle singole comunità regionali - non agli stati, troppo convalescenti ancora di nazionalismo, ammesso e non concesso che la malattia sia veramente passata - di essere anche disponibili per una indispensabile, assolutamente indispensabile ed improcrastinabile: Federazione mediterranea Federazione mediterranea Ma come può essere concepito un federalismo mediterraneo? Che caratteristiche deve avere? Come può essere realizzato? Si badi che parlo, per ora, di federalismo mediterraneo, la federazione è il suo obiettivo, ma se si vuole ora concretamente proporre qualcosa di immediatamente attuabile, è al federalismo mediterraneo che occorre guardare, così come quarant'anni fa guardavamo al federalismo europeo e agivamo, sulle piazze, concretamente in favore di esso. Non pretendiamo, per ora, di raggiungere immediatamente la meta, l'obiettivo, cerchiamo di porci il problema di come cominciare a lavorare concretamente in favore di esso. Quali debbono essere, dunque, le caratteristiche di questo federalismo mediterraneo? 1) Deve essere anzitutto autonomo, fiorire localmente, come già il federalismo di base europeo, in rispetto degli unici principi etici validi per qualunque organizzazione di base e libertaria, che ha un senso ed un valore storico solo se nasce dall'interno delle comunità che ne sono interessate, come espressione delle proprie basi culturali, nel senso più etnico del termine. Pertanto: 2) Non deve essere estensione del federalismo europeo nonostante il positivo esemplare sviluppo storico-concettuale di quest'ultimo - Spinelli insegni - e la maturità ed esperienza di esso. Non può essere neppure espansione settentrionale di un pur auspicabile federalismo africano, né, nella sua parte orientale, di un altrettanto auspicabile federalismo medio-orientale. Deve essere promosso e perseguito da uomini e comunità che chiaramente intendano il significato e il valore culturale dell'area anzidetta, il valore storico umano, sociale ed economico, artistico-creativo dell'entità mediterranea che non è Europa, nè Africa, nè Medio Oriente, ma una entità geografica dalla personalità territoriale più forte ancora delle tre precedenti citate, e soprattutto un prezioso anello di congiungimento fra i tre sopracitati mondi - europeo, africano e medio orientale - dai quali ha ipotecato preziosi elementi culturali ed ai quali ha soprattutto versato più validi ancora valori culturali: si pensi solo all'influenza culturale mediterranea sulle basi culturali europee ed alla influenza spirituale mediterranea sulle attuali basi spirituali europee, africane e medio orientali. Graficizzando quanto sopra proposto, occorre che il Mediterraneo sia identificato per quello che sostanzialmente è, per la verità profonda di quello che sostanzialmente è, verità solo sulla quale si può costruire la interna armonia, la successiva graduale integrazione delle comunità che ne fanno parte, l'autoge- stione culturale e amministrativa da parte di esse, con la conseguente nuova esplosione di creatività che è per ora solo potenziale e latente. Un anello di congiunzione siffatto può essere rappresentato graficamente (cfr. figura a pagina seguente) evidenziando i tre anelli culturali principali (Africa, Europa e Medio Oriente) ed il fondamentale quarto anello di sintesi e congiunzione: il Mediterraneo. Sul grafico sono evidenziate e tratteggiate le aree politicamente più delicate ed importanti, cioè quelle che appartengono contemporaneamente ad anelli diversi. dove la simbiosi fra comunità, etniche, tradizioni e costumi viene ad assumere rilievo prioritario per la già citata fondamentale finalità di congiunzione e sintesi di culture diverse da parte dell'anello Mediterraneo. Operativamente parlando è necessario concepire quattro federalismi paralleli ed autonomi, destinati in futuro a federarsi a loro volta. Così come il federalismo euroineo è nato e si è sviluppato secondo un'armonica integrazione di autonomi federalismi locali confluenti in un'unica autogestione - e se era, come era, vero federalismo, non poteva non convergere in una gestione unitaria assembleare, il ben noto Congresso del Popolo Europeo (CPE) realizzato al di fuori di qualsiasi potere centrale (governi) o centri di potere nazionale (inartiti) - così il federalismo mediterraneo dovrà svilupparsi su nuclei locali convergenti verso organi centrali di servizi e successivamente integrarsi con gli analoghi processi federalisti europei, africani e medio orientali con i quali in parte si saranno già sovrapposti. Qualunque altra soluzione - ad esempio, la più classica, tre federalismi continentali (europeo, africano, medio orientale) - potrebbe risultare catastrofica, in quanto la mancanza dell'«anello di congiunzione» - il federalismo mediterraneo - causerebbe un lento, graduale aumento del «vuoto», come nel caso di una immensa «deriva dei continenti», nel senso di una crescente separazione tra di essi. Lungo tale «vuoto» si concretizzerebbe l'eterno nefasto concetto di «frontiera», in corrispondenza della quale ed a causa della quale - oltre al disastro prioritario della distruzione della «personalità» culturale, etnica, storica e sociale del Mediterraneo, con tutta la sua potenziale creatività a venire - si verrebbero inevitabilmente a stabilire rivalità prima economiche e di interessi varii (come accentuazione di quelli, già inizialmente in corso, sopra citati), poi catastrofici contrasti politici o di potere. Avverrebbe, cioè, esattamente quello che avvenne quando si formarono gli agglomerati di regioni e piccoli stati che diedero luogo agli stati nazionali unitari italiano, francese, tedesco, austriaco; per riprendere l'esempio dell'Impero austro-ungarico e dello Stato nazionale italiano. ne doveva derivare la distruzione delle comunità medio-alpine (Tirolo italiano e austriaco), feroci contrasti (guerre) con conseguenze che perdurano tutt'ora. E s e m ~ i oancora D ~ Ùeclatante e amaramente attuale potrebbe essere fatto ricordando la distruzione attualmente in atto di comunità di «frontiera» (Medio Oriente) quali i Curdi, gli Sciiti, gli Armeni, le cui popolazioni sono state smembrate a forza e suddivise in stati nazionali diversi (e noi occidentali abbiamo gravi e determinanti resinonsabiliti in materia. vedi Zanotti-Bianco e le sue pubblicazioni sui popoli d'Europa, edite subito dopo la I Guer/ - COMUNI D'EUROPA (Fig. 1) 1) 2) 3) 4) Federalismo Federalismo Federalismo Federalismo europeo africano mediorientale Mediterraneo A) Area mediterraneo-europea (Es: Grecia, Italia, ecc.) B) Area mediterraneo-africana (Es. Marocco, Algeria, ecc.) C) Area mediterraneo-mediorientale (Es. Arabia, Turchia, Irak, Kwait, ecc). CI (Fig.2) I II ---t--+--J--1I A l I 1) Federaiismo europeo 2) Federaiismo africano 3) federaiismo medio-orientale A) Area crescente di dissoluzione della cultura «viva» mediterranea +rq* 1'ii, A l , H ---------C--+ I l I I l + ra mondiale) per essere poi ferocemente perseguitate, mediante autentiche campagne di genocidio, perché considerate infide e indesiù derabili., auando non ancora ~ i odiosamente usate per la distruzione reciproca (Armeni e Curdi). No, l'anello di congiunzione, nel nostro caso il Mediterraneo, è dunque non solo eticamente fondamentale per consentire la salvaguardia della verità culturale unitaria delMediterraneo ed il suo sviluppo in autogestione comunitaria - difficile quanto si vuole, ma indispensabile - ma anche, con altrettanta urgenza e gravità, per evitare «contrapposizioni», lo si ripete, foriere di catastrofi, fra due futuri presumibili megastati, l'Europa e l'Africa e la conseguente «alienazione» di popolazioni rivierasche, ridotte da comunità prioritariamente mediterranee a comunità di frontiera, rispettivamente europea ed africana, contrapposte le une alle altre, così come le antiche valli alpine, ridotte da superbe e fiorenti linee di comunicazione fra versanti sud e nord delle Alpi, a fondi di sacco economicamente in miseria. militarmente attrezzate le une contro le altre. L'autonomia locale di nascita e di sviluppo del federalismo mediterraneo deve essere all'inizio totale e solo successivamente destinata a svilupparsi in graduali integrazioni con movimenti federalisti o con federazioni - se saranno veramente tali - limitrofi. Sarà più che auspicabile, veramente raccomandabile, che i federalisti europei, ad esempio, come chi vi parla, partecipassero ad esso (iniziative federaliste mediterranee). ma sa. rebbe grave jattura se si avesse anche solo l'impressione che il federalismo europeo voL , COMUNI D'EUROPA lesse «fagocitare» quello mediterraneo di cui si auspica la nascita. No, se i federalisti europei intendono, come si auspica, essere anche federalisti mediterranei, devono farlo aderendo totalmente all'autonomia gestionale ed alla indipendenza di questa nuova augurabile struttura e dissociandola totalmente dal federalismo europeo, almeno per i primi anni. Né pare impossibile essere contemporaneamente federalisti europei e federalisti mediterranei, purché questa fondamentale distinzione culturale, psicologica, territoriale ed operativa, sia sempre tenuta ben chiara. Garibaldi, ad esempio, lottò per la libertà delle comunità sudamericane ed italiane, senza che le due diverse iniziative interferissero l'una con l'altra. Mi si risponderà che la distanza aiutava in tal senso. reciso che non mi faccio illusioni circa la maggiore difficoltà del problema mediterraneo che Dresenta aree di sovrapposizione (vedi aree tratteggiate negli schizzi soma r i ~ o r t a t i fra ) autonomi federalismi, areeLperafiro che sono di gran lunga le più preziose perché consentono quella simbiosi tramite la quale si potranno prevenire fenomeni razzisti o contrasti etnici di qualunque natura. Del resto, se taluni individui o gruppi di individui mediterranei accettassero passivamente, o addirittura auspicassero una sorta di deprecabile fagocitazione europea, lo farebbero solo per motivi di interessi economici personali o corporativi, asfittici e negativi a qualunque livello, d i nessun valore sociocomunitario e comunque aspiranti a vantaggi a brevissimo termine. Né il federalismo mediterraneo deve fioriL re dalle radici di una cultura, di una storia, di un comune denominatore sociologico che non sia quello tramite il quale il Mediterraneo caratterizza le sue popolazioni, perché solo nel rispetto di questa sua ricchissima autenticità esso può rappresentare quel fattore monumentale di progresso e di unione che può e deve diventare a favore di tutta la società umana. 3) Conseguenzialmente a quanto sopra detto, il federalismo mediterraneo non può, neppure come prima fase, essere inteso quale attività iniziale per un federalismo mondiale: ciò per una indispensabile esigenza di concretezza e di identificazione di obiettivi graduali ma precisi a breve e media scadenza, dovendo il federalismo mondiale restare, come già per il federalismo europeo, la «ultima grande meta» e soprattutto il principio di fondo in base al quale operare localmente in qualunque comunità, o complesso di comunità della superficie del globo. 4 ) Al sopraindicato federalismo devono poter partecipare tutte le comunità mediterranee: si vorrebbe dire «devono partecipare», ma non lo si fa per rispetto a quei principi anarchici e libertari che devono essere alla base di qualunque vero federalismo integrale; e questa seconda volta l'espressione «devono», applicata ai principi anarchici e libertari, va usata per distinguere e caratterizzare il vero federalismo cui si mira senza compromessi di carattere statal-nazionale o semplicemente di poteri centralizzati. Intendo dire che l'obiettivo non deve essere uno«stato federalista», quello che minaccia di diventare l'Europa diventando, con ciò stesso, un'entità a conservatorismo crescente, cosa che purtroppo sta già avvenendo: deve essere una federazione di comunità mediterranee con i soli indispensabili servizi comuni centralizzati. 5) Ma quali sono queste comunità mediterranee e qual è l'estensione territoriale del mondo che abbiamo finora chiamato «mediterraneo»? Geograficamente si potrebbe definire il mondo mediterraneo come quello composto dalle comunità territoriali affacciate ai suoi mari o ai fiumi che sfociano in essi e risalendo i quali si coinvolgono territori che completano ed integrano il suo ambiente fisico e culturale. Ci si potrebbe riferire quindi, da un punto di vista più specificatamente scientifico al «bacino idrografico» confluente nel Mediterraneo. Tuttavia, dato che il ragionamento vuole svilupparsi logicamente su un piano umano e sociale, preferiamo limitarci al concetto del mondo mediterraneo composto dalle comunità non solo che si affacciano su di esso direttamente, ma che gravitano su di esso culturalmente, economicamente, socialmente, psicologicamente. Così ne farebbero parte comunità come il Sudan che, pur non affacciandosi direttamente su di esso, si affaccia pur tuttavia su una delle sue principali arterie - il fiume Nilo - che fanno parte integrante del mondo mediterraneo; o come il Niger, il Chad, il Mali, paesi saheliani-sahariani, ma che, proprio attraverso il «mare sahariano» (le grandi distese rev va lente mente sabbiose che, come un immenso oceano, vanno a sfociare sulle coste meridionali del Mediterraneo), gravitaMAGGIO 1994 no verso di esso per motivi etnici, culturali, commerciali, spirituali. Così infine ne fanno parte tutte quelle comunità che «sentano» di farne parte, che alla cultura mediterranea si sono sentite inarrestabilmente attratte e ad essa hanno fornito preziosi contributi: ad esempio gli Armeni, comprese le componenti di quelle popolazioni e parte principale di esse, geograficamente inserite nelle regioni limitrofe al Mar Caspio, ma che mediterranee si sono sempre sentite, si sentono tutt'ora e che alla cultura mediterranea hanno sostanzialmente contribuito (ved i Venezia). ~ u a l c h e ' d u b b i opotrebbe sorgere sul fatto che di questa area geografico-sociale possa far parte il Mar Nero, per la propria profonda incuneazione nell'Europa orientale e nel Medio Oriente, oltre che per la attribuzione di un nome (Mar Nero) che sembra volerlo differenziare dal Mediterraneo. A questa osservazione vorrei far rispondere Predrag Matvejevic, uno dei più grandi esponenti dell'attuale letteratura jugoslava, diciamo di più, un esponente di quelle comunità che forse fra le ultime si sono affacciate al Mediterraneo, ma proprio per sentirsene affascinate più di ogni altra e ad iniziarne una compartecipazione che le fa non solo mediterranee ad ogni effetto, ma addirittura all'avanguardia delle comunità mediterranee. Non per niente Claudio Magris definisce Predrag Matvejevic un «uomo della costa», benché croato, nato a Mostar nella Erzegovina, ad una cinquantina d i chilometri dall'Adriatico. ma fin da bambino affascinato dai fiumi e dalle rive mediterranee. D i Predrag Matvejevic vi segnalo un libro, piccolo di formato ma ricchissimo di contenuti che forse molti di voi astanti conosceranno, ma che raccomando vivamente a coloro che non ne abbiano preso ancora conoscenza; un libretto fondamentale Der auanto di autenticamente mediterraneo spumeggia d a esso, per quella «consistenza» che ho sopra definito «fisiologica mediterranea», che sembra prorompere d a ogni sua riga, nella quale qualunque mediterraneo non può che riconoscersi, non può non rabbrividire nell'intuire tratteggiata, in essa, l'essenza della sua patria più vera, nella quale è più radicato, della quale è più profondamente intriso, l'unica cui spetti di diritto, per esso, la denominazione, altrimenti retorica. d i « ~ a t r i a » . I n questo «libretto» - neppure duecento pagine - il cui titolo, assai azzeccato è «Breviario mediterraneo», il Matvejevic scrive: A L «Attraverso il Bosforo e i Dardanelli scorre, alla maniera di una vera corrente fluviale. l'enorme eccedenza d'acaua che hanno portato nel Mar Nero il Danubio e i vecchi fiumi russi. H o girato di sfuggita le foci del Don, del Dnjester e del battesimale Dnjeper: le loro acque si differenziano in effetti da quelle mediterranee, anche se, nell'immediata vicinanza, del' mare, meno di quanto di solito non si supponga. «E tuttavia il Mar Nero non è separabile dal Mediterraneo. nonostante lo stretto che li separa e li tiene lontani». «A Belgrado o a Novi Sad un Ucraino di Odessa mi ha confidato che il Danubio in quei posti gli ricordava l'odore del Mar Nero e che si considerava un Mediterraneo: "Ex Ponto". Gli afflussi che provengono dal continente non servono solo al mantenimento del livello dell'acqua». E per quanto riguarda la penetrazione delMAGGIO 1994 lo spirito e dell'atmosfera del Mediterraneo fin nelle province montagnose interne, dove molti di noi talvolta ritengono siano insediate popolazioni montanare che nulla hanno da spartire col Mediterraneo, lasciamo ancora rispondere al Matvejevic: «E a questo modo si può compilare per ogni terra una apposita carta idrografica. Nell'ambiente vicino a noi lungo il corso del Vardar i soffi del Mediterraneo Denetrano fino a Skoplje e ancor più in làiil lago Ohrib è come un'isola del Mediterraneo fra i monti, con i fichi, i mandorli e il rosmarino attorno ai vecchi monasteri macedoni), tramite 1'Isonzo pervengono fino alle Alpi Giulie, sulla Neretva scorrono fino a Mostar (la città dove sono nato) e su fino alla ~ o s n i a col , lago di Scutari la Moraca si avvertono fino all'altro versante del Montenegro. Ci sono tanti fiumi, che ingiustamente trascuriamo, che nelle loro anse conservano affinità e restituiscono le peculiarità del Mediterraneo: dalla Bojana alla Mirna e alla Dragonja, passando attraverso la Zrmania e la Krka, la Cetina e i Polici e la loro piccola repubblica, lungo tutti gli affluenti di questo tipo e i loro principati». I n definitiva sono mediterranee non solo tutte le popolazioni del Sud europeo e dell'Oriente mediterraneo europeo, ora collaboranti nell'ambito dei ~ r o c e s s iunitari del continente, non solo tutte le popolazioni nordafricane, dai rnarocchini agli algerini, ai troppo misconosciuti maghrebini, la cui cultura si va rapidamente affermando in campo internazionale con riconoscimenti di ogni genere fino alla conquista del Nobel, in una drammatica inquietudine mediterranea che va alla ricerca della propria identità fino alla ricerca della propria espressione linguistica; un dramma esistenziale che, ritengo, possano risolvere solo nella unità mediterranea: sono mediterranee anche le popolazioni dell'interno montagnoso jugoslavo, le popolazioni di quella «grande penisola mediterranea» rappresentata dai Balcani, dai Croati ai Serbi, ai Bosniaci, agli Albanesi, tutte comunità il cui sogno mediterraneo è di poter disporre d i scali su questo mare per poter partecipare a quella «festa» mediterranea che, se autogestita dalle comunità mediterranee -- federalismo mediterraneo - tale potrebbe effettivamente diventare. Paradossalmente l'Europa continentale è psicologicamente troppo lontana da queste popolazioni. E, tornando al versante meridionale del Mediterraneo, bisogna citare ancora, fra gli altri, i Berberi, i Touareg, con il loro alfabeto e la loro lingua, i Libici, i Senussi, gli Egiziani - e scusate se dico poco! - i Libanesi, i Siriani, gli Armeni, i Curdi - oggi così di «moda» perché insorti contro i tanti poteri oppressori, e preferisco non andare oltre perché, ancora una volta, lo fa magistralmente Matvejevic, lo fa d'istinto, lo fa da mediterraneo, con ciò comprovando ancor più l'asserto: «È difficile scoprire che cos'è tutto quel che ci spinge a provare a ricomporre, ognuno a modo suo, il mosaico del Mediterraneo nel passato e nel presente, a comporre per l'ennesima volta il catalogo di tutte le già conosciute componenti del Mediterraneo, a verificare il significato specifico d i ciascuna di esse e il valore dell'una nei confronti dell'altra: l'Europa, il Maghreb e il Levante; il Giudaismo, il Cristianesimo e 1'Islam: il Talmud. la Bib bia e il Corano; Atene, Roma e Gerusalemme; Alessandria, Costantinopoli e Venezia; la dialettica, l'arte e la democrazia greca; il diritto, il foro e la repubblica roinana; l'antica dottrina araba; la produzione poetica provenzale e catalana; il Rinascimento italiano; la Spagna dei vari periodi, straordinari e atroci; gli Slavi del Sud dell'Adriatico. Q u i popoli e razze per secoli continuarono a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come in nessuna altra parte di questo pianeta...». I n definitiva, tutti quei popoli, quelle comunità che, da più di migliaia di anni, recitano su quello «spazio mediterraneo» che sempre il Matvejevic definisce, in modo singolare, come «composito palcoscenico mediterraneo»: «La riva, il porto, il molo, la piazza di città, il mercato e la pescheria, l'osteria, lo spazio vicino alla fontana o al faro, talvolta la chiesa, il convento o persino il cimitero, come del resto anche altri luoghi simili all'aperto, sono palcoscenici naturali e idonei, sui quali vari attori recitano le loro parti, grandi e piccole, insignificanti e fatali: con simili spettacoli è collegata la storia del teatro mediterrano e del Mediterraneo in quanto tale». Ed è curioso che, a questa analogia del Mediterraneo come grande spazio teatrale (un palcoscenico unitario, pur nella molteplicità dei suoi scenari). si rifaccia auello che è forse il più grande s;orico attuali del Mediterraneo, Fernand Braudel, quando dice dei tedeschi: «i tedeschi sono soliti dire che il Mediterraneo è un mondo in sé, eine welt fu7 sich. Dicono anche che è ein welttheatev, un teatro di dimensioni mondiali o un teatro del mond o ... una parte del globo che costituisce un insieme, un proscenio assai difficile da rappresentare» (Chiteauvallon - Giornate Fernand Braudel - ottobre 1985). E si può proprio parlare di attori che si sono succeduti e prodigati a risolvere i problemi del loro mare, artefici della grandiosità culturale del territorio mediterraneo d a loro abitato o da loro invaso; «ad esempio - cita ancora Matvejevic - i Goti, gli Ostrogoti, i Veneti, i Sorabi, gli Illiri o i Traci, i Troiani, i Proto-Montenegrini, i Paleo-Danubiani ed altri ancora», che così l'autore ricorda: u «Conosco e apprezzo dei mediterranei che hanno appassionatamente e talvolta insensatamente dedicato la loro vita alla soluzione dei grandi enigmi del Mediterraneo: da quello fenicio o punico, all'etrusco, colchidico o copto, illirico o tracio, o albanese, maltese, celtico e celtico-iberico, venet o liburnico, basco, morlacco e altri ancora, e naturalmente di quelli degli Slavi del Sud, e in particolare dei Croati e dei Dalmati». 6 ) Infine l'ultima, ma fondamentale, caratteristica del federalismo mediterraneo deve consistere nella esigenza che esso comporta d a parte dei federalisti europei, degli anarchici, dei libertari e uomini di cultura di ogni genere, di aiutare tutti i mediterranei, indistintamente, a prendere coscienza di quello che sono, e che non sanno per lo più di essere, e non lo sanno perché questa loro natura è talmente radicata nel loro spirito da apparire alla stregua di una semplice forza vitale, come la capacità motoria dei propri arti o la COMUNI D'EUROPA prensilità delle mani, troppo scontata, comunque, perché se ne possa o se ne debba prendere coscienza: la loro, la nostra profonda natura mediterranea. Bisogna prendere coscienza di essa, amici che mi ascoltate, partecipanti a questo Congresso del Partito Transnazionale Federalista, occorre prendere coscienza della nostra natura di mediterranei, che ci piaccia o no, prima che sia troppo tardi. Strana pretesa questa per un anarchico fiero d i esserlo e che di anno in anno, per le ragioni storiche che lo confortano, si rallegra sempre di più di esserlo. Strana richiesta, questa «quasi imposizione», prendetela magari come una raccomandazione vivissima, perché ciascuno di noi si senta finalmente, non solo fisiologicamente, ma anche soprattutto umanamente, socialmente, culturalmente, quindi politicamente, mediterraneo, aggiungerei «tumultuosamente» mediterraneo, tanto da rivoltarsi allo scempio che si sta facendo dei nostri compatrioti mediterranei, della nostra cultura, del nostro complesso linguistico, dello scempio che continua implacabile dall'inizio del secolo, da quando, disfatto il tanto criticato impero turco del Mediterraneo, se ne è fatto strame per favorire avventurieri di ogni estrazione, per giustificare rigurgiti imperialisti, avidità, interessi, cinismo, razzismo, le cui nefaste conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo prendere coscienza della nostra mediterraneità oggi significa constatare come persino un'azione quale quella indispensabile in favore dell'unità dell'Europa - alla quale, lo ripeto, chi vi parla ha dedicato buona parte degli anni dai 1955 in avanti - persino questo processo unitario europeo tende ad ignorare il valore unitario, culturale, sociale e politico del Mediterraneo, tende a prendere in considerazione i soli interessi petroliferi e commerciali che sempre più ingrassano il nostro continente, tende a considerare i1 Mediterraneo come «confine d'Europa e degli interessi europei», a valutarlo quale una spaccatura, non più riempibile, fra due continenti, violentando, compromettendo, la plurimillenaria funzione unitaria del Mediterraneo, la sua superba fertilità creativa a tutti i livelli, derivante dal prezioso cosmopolitismo delle sue componenti. E badate che quando i «sacri confini» europei saranno definitivamente sanciti nel nostro mare sarà la fine definitiva del Mediterraneo, una fine già anticipata dal genocidio dei nostri compatrioti Armeni e Curdi, degli Sciiti, dallo sterminio «scientifico» di molti degli stessi Iracheni - visti come popolo e non come entità strumentalizzata da un dittatore amato da noi - i cadaveri dei quali, in queste serate, vediamo alla televisione cospargere le piane desertiche della Mesopotamia antica. Vedremo tra poco quale valore culturaleterritoriale queste regioni rivestono e devono avere per noi, perché di esso consiste una parte troppo importante della nostra cultura, delle nostre radici culturali che fanno sì che si sia quello che siamo; perdute le quali, e le stiamo perdendo, avremo tradito noi stessi e non ci rimarrà che invocare le scuse - lavoro, preoccupazioni, età, famiglia, figli - per giustificare la mancata preservazione della comune patria mediterranea e della sua potenziale creatività, consolandoci forse per essere diventati quello che stiamo diventando: grassi e tranquilli rottami europei, galleggianti in paludi senza vita. COMUNI D'EUROPA Si badi che io non voglio qui avanzare contestazioni sulla legittimità o meno dell'intervento militare che ci vede impegnati in questi mesi in Iraq; sono rimasto stupefatto, ma anche assai soddisfatto, per l'assoluta libertà di pensiero degli oratori che mi hanno preceduto, alcuni dei quali accaniti fautori d i questo intervento, altri severissimi critici: il carattere libertario del Partito Federalista Transnazionale si è esplicato nel migliore dei modi. Non è questo, lo sottolineo, lo ripeto, il motivo del mio intervento: esso è rappresentato dal mondo mediterraneo, dalla sua unità sociale, culturale, umana che, come nel caso della già citata immensa deriva dei continenti e per una contemporanea apertura di fosse ulteriori nella crosta terrestre, sta lentamente sprofondando in esse, a favore di «stati» continentali che rischiano di essere federalisti solo di nome - impegnati come sono al solo incremento del proprio già cospicuo benessere, anche a scapito del benessere altrui, Africa insegni. Il nostro mondo unitario mediterraneo Ma cos'è questo Mediterraneo, in favore del quale mi appello a voi, amici, che avete avuto la pazienza di ascoltarmi finora? Non c'è ovviamente modo d i trattare esaurientemente l'argomento, ora, con le poche parole che il tempo concessomi mi permette di dirvi; parole, fra l'altro, che vogliono sfociare in proposte concrete. Vorrei soltanto citarvi, a proposito della mediterraneità di cui, senza esserne pienamente coscienti, siamo pervasi, il pensiero di alcuni compatrioti mediterranei nordafricani, maghrebini in particolare, come Khair Eddine, il quale descrive il territorio mediterraneo, tratteggiandolo come un luogo dove «la geologia e la metafisica si mescolano in molteplici immagini»; immagini che, se ne sia o non se ne sia coscienti, lasciano nel nostro spirito «quasi il sigillo magico della serenità imbiancata da soffi puri della Genesi»; e Jean Amrouche, altro scrittore magrebino, autore dei «Chantes berbères» sottolinea ancora di più la medesima compenetrazione mediterranea, di cui siamo oggetti, paragonandola all'attrazione che ciascuno di noi ha per la propria madre, così che, per noi mediterranei, la madre e la terra rappresentano il bene più prezioso e l'uomo non potrebbe uscire dal cerchio della loro tenerezza senza deperire; laddove Dib, altro maghrebino, nel volume «Qui se sourient de la mére» (Seuil, Parigi, 1972), precisa: «senza il nostro mare, senza le nostre donne. saremmo rimasti definitivamente orfani», e finisce con una immagine tipicamente maghrebina «ci coprirono con il sale della loro lingua». Jacques Madeleine, francese, nel commentare tali autori («L9erranza e l'itinerario») precisa: «tale corrispondenza è profonda nello spirito dell'uomo e forse più specificatamente nello spirito mediterraneo». Lo stesso Mediterraneo di cui l'algerino André Nouschi (nativo di Costantina, I'antica capitale della Numidia, ai tempi di Siface), professore all'università di Nizza, dirà nello stesso già citato pubblico incontro di Cha«personalmente sono angosciato dal Mediterraneo. mi sembra sbriciolato, lo percepisco veramente come sbriciolato; ma non tanto per le contrapposizioni, bensì per i1 fatto che i mediterranei non sono più padroni del loro destino. Sono altri a regnare su di loro, a regolarne la vita ...» Ma non riesco a chiudere questa breve parentesi di giudizi sul nostro Mediterraneo senza richiamare ancora una volta le parole d i Fernand Braudel (Le Méditerranée - Les hommes et l'héritage): «Qu'est-ce que la Méditerranée? Mille choses à la fois. Non pass un paysage, mais d'innombrables paysages. Non pas une mere, mais una successione de mers. Non pas une civilisation, mais des civilisations entassées ies unes sur les autres ... La Méditerranée est un très vieux carrefour. Depuis des millénaires tout a conflué vers elle, brouillant, enrichissant son histoire: hommes, betes de charge, voitures, marchandises, navires, idées, religions, arts de vivre. E t meme les plantes ... Dans son paysage physique comme dans son paysage humain, la Méditerranée carrefour, la Méditerranée héteroclite se présente dans nos souvenirs comme una image cohérente, comme un systéme où tout se mélange et se recompose en un unité originale...P. Le possibilità di azione concreta Tornando ai oroblemi concreti che ci sovrastano, mentre la guerra sta devastando le regioni medio orientali della nostra patria mediterranea, qualora dovessimo riunirci anche in pochi, anche in meno di una diecina di persone, per costituire d i fatto un primo Gruppo di lavoro per il federalismo mediterraneo, quali potrebbero essere le nostre prime finalità, cosa potremmo combinare di concreto, quale una nostra possibile iniziale attività? Per porre il problema, ancora una volta su livelli molto concreti, vediamo anzitutto cosa dovremmo fare in teoria. successivamente esamineremo cosa potremmo fare, essendo, come saremo all'inizio. in ridottissimo numero, con disponibilità vicine allo zero, oberati da oroblemi di lavoro. di famiglia e altri dalla mattina alla sera, con la complicazione ulteriore della distanza delle rispettive residenze. Tuttavia, anche nell'esaminare quello che «dovremmo» fare teoricamente. cerchiamo di attenerci ad una sostanziale umiltà che rappresenta l'unica via che ci può consentire un inizio altrettanto umile ma concreto. 1) Anzitutto occorrerà fare un inventario di tutte le comunità umane - le etnie cioè, sia che siano indipendenti, sia che non lo siano - caratterizzanti la nostra patria mediterranea, molte delle quali sono poco conosciute, se non sconosciute del tutto agli stessi abitanti del Mediterraneo. 2) Secondariamente occorrerà enucleare, da questo tessuto di comunità, quelle maggiormente a rischio che non sono rappresentate, lo si ricordi, dai soli Curdi, per il loro attuale sollevamento nei confronti dei poteri che li opprimono, ma anche, per citare solo quelle che mi vengono in mente, e nel cui territorio ho recentemente lavorato: gli A m e n i (il cui terrificante genocidio continua da più di un secolo a intervalli regolari) - i Touareg (nelle cui zone in rivolta mi sono recentemente trovato per lavoro e dove ho potuto apprendere fatti e particolari di gravità eccezioMAGGIO 1994 nale che conto di riferirvi in altra sede) - Mauro-Berberi del Polisario (Sahara centro-occidentale) - i Palestinesi (inutile parlarne, sono da anni su tutti i giornali ed oggetto d i scandaloso sfruttamento per ogni sorta d i potere) - i Tebu (peraltro abilissimi combattenti), «deserticoli» totali, e quindi difficilmente perseguibili nelle loro regioni desertiche e che, con la propria partecipazione, fanno pendere le sorti della guerra fra Gheddafi, Tchad e francesi a favore d i coloro con i quali alternativamente si alleano) - gli stessi Maghvebini (prima sotto colonizzazione francese, ora suddivisi fra tre stati che il colonialismo ha «lasciato in eredità» ai nord-africani, profondamente sofferenti per la propria perduta identità culturale, ancora mal sostituita da una nuova doppia cultura che consente loro, sì, di esprimersi ad altissimo livello in arabo e francese - vedi il Premio Nobel Jalloun - ma che non consente loro di intravedere un passato recuperabile o un futuro proponibile, sempre che non possa essere, come può essere, il Mediterraneo di cui si parla) - ed altvi facenti parte degli stati nord-mediterranei e che sono più o meno troppo sotto gli occhi di tutti per doverne riparlare, oltre ad altri ancora di cui non sono a conoscenza o che posso aver dimenticato. 3 ) Come sviluppo logico delle comunità a rischio, occorrerà enucleare le minoranze più o meno sacrificate o comunaue non ancora totalmente soddisfatte nei paesi, cosiddetti sviluppati, del Sud Europa Mediterraneo; per esempio, in Italia, a parte i ben noti problemi dei Sud-Tirolesi e dei Valdostani. che stanno ben difendendosi, quelli delle residue comunità Occitane e soprattutto di quanto rimane dei già citati insediamenti Walser, dei Romanzi (limitrofi ai Walser) e dei Ladini - la differenza fra questi ultimi, se esiste, non è chiara neppure a me - dei Cimbri e Teutoni, degli Slavi, per quanto riguarda le Alpi, degli Albanesi, Greci, Bulgari persino, di antico insediamento. dei Croati d'Abruzzo. per quanto riguarda l'Italia peninsulare, fino ai più recenti ospiti di colore ed orientali (africani ed indiani soprattutto); e vorremmo qui ricordare fuori dall'Italia, ma ad un passo dalle sue sponde, quell'«unico» individuale Antonio Udine Burbur (originariamente «Tuone Udaina Burbur») dell'lsola di Veglia, del quale sempre Predrag Matvejevic si chiedeva, alla sua scomparsa a Fiume o Pola nel 1898: «se si trattasse proprio dell'ultimo uomo sulla s ~ o n d aorientale dell'adriatico a saDer parlare l'ormai estinta lingua romanza dalmata o - 2 A L - L vegliata». 4) Invitare gradualmente a far pare del Gruppo di lavoro per il federalismo mediterraneo tutti coloro - e non sono pochi - che sentano il problema con particolare intensità o, per usare ancora le parole di Predrag Matvejevic, che sentano il Mediterraneo come una ((tentazione continua». Invitare anche coloro che, pur non avendo coscienza della propria mediterraneità, per le loro particolari vocazioni si intuisce possano essere «mediterraneizzati», che possano essere responsabilizzati cioè, nel senso di sentire il dovere di salvare non tanto la cultura mediterranea - e sarebbe già molto - quanto la creatività mediterranea, cioè quanto di meglio c'è in noi, quanto di meglio possiamo suscitare negli altri, quanto di meglio gli altri possano suscitare in noi. Perché siamo nati per creare e non è la liMAGGIO 1994 bertà - si badi - la più grande delle nostre esigenze; essa potrebbe trasformarsi in grettezza, egoismo, conservatorismo. La libertà, in una parola, per chi è ricco di restare ricco e di aumentare le proprie ricchezze, per chi è povero di restare povero e di vedere incrementare la propria povertà, la libertà per i soldati di essere mandati in guerra ad uccidere ed essere uccisi e la libertà per noi di goderci lo spettacolo alla televisione, sprofondati nelle nostre poltrone. Mi ripeto, lo so, ma non posso farne a meno: ho troppo orrore di queste poltrone e d i me stesso che non ha saputo non far parte di questa obesa porzione dell'umanità che si è goduta lo spettacolo serale della guerra nel comodo d i esse, «tanto stanco per il lavoro diurno». Perciò sono qui a parlare, perciò vi parlo, perciò vi chiedo di aiutarmi, disposto ad aiutarvi nello stesso senso. Non è la libertà che va cercata, ma la creatività: ho avuto l'onore di esporre questo concetto in Commissione Nazionale Unesco e la soddisfazione di vederlo accettato e diffuso in ambiente Unesco internazionale, dopo che la sostituzione del concetto di reciproca tolleranza, da parte del sociologo Tullio Tentori, con il concetto d i reciproca collaborazione fu analogamente accettato all'unesco stessa, questa volta in seduta plenaria a Parigi. È la creatività che giustifica l'esigenza della libertà, senza la quale la creatività non esiste. è vero. ma è anche vero che. senza creatività, la libertà è un concetto i h e tende ad esaurirsi in se stesso; si combatte per la libertà, ma, ottenutala, non si sa cosa farne: è un po' il dramma esistenziale di questo secondo dopoguerra, a meno che non si accetti il melanconico slogan: «la libertà serve a farci ingrassare più di quanto non potemmo fare sott o le dittature». E la creatività è concetto fondamentale mediterraneo, perché il Mediterraneo, più che qualsiasi altra regione della terra, seppe suscitare e stimolare la creatività, cioè quanto d i meglio potenzialmente è in noi: perché siamo uomini in quanto siamo coscientemente creativi e siamo potenzialmente creativi in quanto siamo uomini; purché si accetti di prendere coscienza della nostra creatività senza sacrificare le sue esigenze ai nostri interessi materiali. Voler essere mediterranei perlestare o per diventare creativi; per dirla con Norman Douglas («Siren Land» - 1911), un autore «non» mediterraneo (sebbene morto - guarda caso - a Capri), quindi un osservatore potenzialmente più obiettivo di altri: «Many of us would d o well t o Mediterraneanise ourselfs for a season ... to quicken those ethnic roots from wich has sprung so much of what is best in our natures». (Molti di noi farebbero bene a mediterraneizzarsi per una stagione, per stimolare quelle radici etniche dalle quali è sempre scaturito quanto di meglio è in noi). Ma che ne è di questa collettività mediterranea, di questo prezioso strumento, di questa potenziale, grandiosa fonte di futura creatività, di questo catalizzatore e stimolatore della creatività altrui? Cosa permettiamo, «noi», che diventi, cosa accettiamo, «noi», che se ne faccia? Come ossia amo accettare che la si disintegri, come si sta facendo attualmente, eventualmente anche s~accandolasu una frontiera Europa-Africa, come si sta per fare? E in nome d i cosa? D i chi? 5) Cominciamo a scegliere, all'interno delle comunità mediterranee, interlocutori validi a cui proporre piani di studio e d i azione, sulla linea di un crescente federalismo mediterraneo. La cosa non dovrebbe essere difficile. concettualmente, fra le comunità mediterranee sud-europee; difficoltà caso mai sorgerebbero dal punto di vista logistico: come identificare, cioè, centri culturali e sociali disponibili in tal senso, come avvicinarli, come comunicare, come cooperare in una pressoché totale iniziale crisi finanziaria. Assai più concettuale - e pertanto più grave - è il problema dell'avvicinamento, dei futuri rapporti e dell'eventuale collaborazione con le comunità mediterranee islamiche. Da questo punto di vista la cosiddetta Guerra del golfo, che sta imperversando, è di una gravità senza parole: una catastrofe senza precedenti, anche se paragonata alle due precedenti guerre mondiali. A torto o a ragione - qui, sì, occorre essere pragmatici - tutte, senza distinzione, le comunità islamiche, comprese quelle in contrasto feroce fra di loro da lustri e decenni. quando non da secoli, compresi gli atavici contendenti Sciiti e Sunniti, tutti costoro hanno sentito e sentono tale guerra come un contrasto fra occidentali e islarnici e. ~ i eù peggio, come contrasto fra popoli ricchi e popoli poveri, popoli che vogliono conservare l'attuale «ordine» internazionale, nel quale i paesi progrediti possono restare ricchi e dominatori, ed i paesi poveri hanno il diritto di restare ~ o v e r ie farsi dominare economicamente quando non socialmente e quindi politicamente dai ricchi. Si, lo so, qualcuno griderà che l'Iraq, con i suoi immensi giacimenti di petrolio è un Daese non ricco. ma ricchissimo. Signori, guardiamoci in faccia e non pigliamoci in giro: quando si dispone di ricchezze immense ma non delle tradizioni e capacità amministrative. economiche e scientifiche per sfruttarle, è come essere poveri, anzi è peggio che essere poveri perché non si dispone dell'equilibrio, la pazienza, l'avvedutezza dei poveri, soggetti come si è alla tentazione, cui non si può essere in grado di resistere, di svendere tutto per cercare di importare metodolonie scientifiche. armi e ~ e r s i n oculture dai paesi ricchi; dissolvendo in questo modo gran parte delle proprie radici culturali (vedi Iran ai tempi dello Scià), salvo poi cercare d i riconauistarle imponendole con rivoluzioni sanguinose, stragi, dittature, allucinanti aberrazioni rappresentanti mali maggiori ancora di quelli che si volevano evitare: Khomeini insegni. Né può essere altrimenti, perché noi abbiamo dato loro l'esempio, noi diamo ancora oggi loro l'esempio. No, Signori, che ci piaccia o no, Iraq, Iran e via dicendo. con tutto il loro petrolio., sono paesi del terzo mondo, chiamateli «in via di sviluppo» o «sottosviluppati»; e noi, con tutte le nostre crisi interne. deficit di bilancio. inflazione, ecc., siamo dei paesi sviluppati. E questa guerra, a torto o a ragione, è stata vista da «tutti» questi popoli anche e soprattutto come una guerra fra dominatori, regolatori del mondo e dominati, che le regole economiche, sociali e culturali degli altri devono accettare. Caso mai possono rappresentare «eccezione» quel certo numero di paesi del terzo mond o (Egitto, Siria, ecc.), che stanno facendo parte della coalizione, ma sono una piccola cosa e con uno di essi, la Siria, che presto o A - L -~ COMUNI D'EUROPA ~ tardi ci «chiederà il conto», esigendo, a proprio favore, l'annullamento della indipendenza del Libano e aggiungendo quindi questa comunità al numero di quelle sacrificate: e non sperate che il conto non ci venga chiesto, e presto. E allora, fra l'altro, ci si pone il problema se la legittima difesa di una comunità aggredita quale il Kuwait, poteva e doveva essere fatta a spese della distruzione, peggio, dell'asservimento di una comunità come il Libano (già nell'occhio del ciclone da un ventennio, il massacro della principale famiglia di dirigenti cristiani-maroniti. di alto valore intelTettuale e livello morali, è di pochi mesi fa), che fra l'altro ha radici culturali ben più profonde di quelle del Kuwait. Che Dio non mi faccia profeta: ma se veramente il Libano sarà «venduto» da noi occidentali alla Siria, in compenso della sua «solidarietà» avremo ottenuto questo bel risultato: avremo «salvato» il Kuwait accettando la distruzione del Libano, e l'avremo fatto nel più miserabile dei modi, nel più sudicio dei silenzi, e così sarà definitivamente sfatata anche l'ultima illusione del nostro intervento in favore della «etica internazionale». Saranno salvi, forse, i nostri interessi petroliferi e solo quelli. Non ci resta che sperare: «Dio salvi il Libano» - naturalmente se Dio non si è troppo stufato di noi. Macabro commercio di popoli che non può non aver luogo quando la società internazionale è strutturata su centri di potere quali i nostri stati - per quanto molti di essi organizzati, «al loro interno», su sistemi democratici - miranti, come tutti gli stati, cioè tutte le mafie. alla conservazione ed all'accrescimento del proprio benessere, imperniati sul controllo da parte di gruppi di potere politici (comunismo) od economici (capitalismo): miranti, altresì, come tutte le mafie, all'eliminazione di qualunque ostacolo possa compromettere il proprio benessere e l'accrescimento di esso. Ripeto ancora una volta che non voglio qui criticare la Guerra del Golfo e l'azione promossa dai paesi, fra i quali l'Italia, per la liberazione del Kuwait; liberazione che mi auguro possa avvenire al più presto e che auguro sinceramente a quel paese come a tutti i paesi: liberazione da ogni vincolo od oppressione militare, politica, sociale, culturale od economica. Si, certo, se accettassi le leggi degli attuali stati di potere, e fossi stato al posto di Bush, avrei fatto lo stesso di quanto ha fatto il Presidente americano. Ma solo se accettassi la logica degli attuali stati di potere, con il loro schiacciante potere condizionante. culturale ed economico., caDace di asservire economicamente oggi ancor ~ i di ù auanto non sia stato consentito di fare in passato: così per il Nord-Africa, così per il Medio Oriente. Ma questa logica, di questi stati di potere nazionale, non l'accetto; non l'accetto soprattutto per il Mediterraneo che, grazie ad essi, è dilaniato e minacciato da una spaccatura defi~itivaEuro~a-Africa,i ~ o t e s iauest'ultima che si verificherà quando apparirà sulla scena l'Europa. Questa sempre più si sta rivelando, anziché una federazione aperta - com'era nel voto dei federalisti - uno stato sommatorio di tutti gli egoismi degli stati che ne fanno parte e di quelli che vorranno farne parte, non per motivi di etica federalista, ma semplicemente e ingordamente attratti dai L COMUNI D'EUROPA vantaggi economici che sperano di ricavarne. Propongo, conseguentemente, il «Mediterraneo dei poveri», delle comunità niediterranee più sacrificate, da privilegiarsi a seconda del grado di oppressione, economica, sociale o culturale, cui sono soggette, o di povertà materiale: il che è la stessa cosa. Quel «Mediterraneo dei poveri», dalle' terre arse e dai colori violenti già auspicato da Fernand Braudel che lo definirà (sempre ne «Le Méditerranée - Les hommes et l'heritaeeì: - . «La Mediterranée - mais Apre et capiteuse: La Méditerranée des pauvres». La Méditerranée des pauvres Per questo Mediterraneo. non Der altri. io chiedo la collaborazione. P& esso' vale la ;ena di lavorare: per il suo riscatto, il suo progresso, la sua unità: per farne un modello valido anche fuori di esso, capace di fungere quale elemento fondamentale di connessioile fra comunità europee, centro-africane e medio-orientali; per tutto ciò credo che possa valer la pena di dedicare quella piccola parte di tempo che ciascuno di noi - di voi - se vuole, può trovare. Ma, andando sul concreto - e mi scuso per queste continue divagazioni ma, come voi capite, vanno fatte per chiarire sempre scopi e finalità delle proposte che si vanno facendo - a chi appellarsi dunque in campo islamico, se gli intellettuali, i centri culturali più vitali dei paesi islamici, dal Marocco all'Algeria al Medio-Oriente, hanno preso posizione contro l'occidente e a favore di Saddam Hussein, nonostante i suoi riconosciuti torti, solo perché campione, anche casuale dell'opposizione alle dominanti culture occidentali? A chi appellarsi, se questo concetto di «civiltà occidentale» che pure per noi occidentali, accanto a riconosciuti aspetti negativi, ha indiscutibili aspetti positivi (soprattutto dal punto di vista scientifico e dal riconoscimento dei diritti degli individui che ne fanno parte - ma solo di quelli!), viene considerata, non del tutto a torto - anche quando non più direttamente aggressiva o colonialista, cosa che, obiettivamente, non è più - economicamente fagocitante e con tendenza incontrollabile ad assoggettare le fragili strutture civili dei Paesi in via di sviluppo, condizionandole in ogni modo e somattutto distor" tendone la naturale evoluzione in forme occidentali? Inutile ricordare le imposizioni, apparentemente non coattive, di mercati e consumismi occidentali nel tessuto sociale dei paesi africani e medio orientali, le urbanizzazioni selvagge, le industrializzazioni socialmente catastrofiche, conseguenti all'inevitabile imitazione dei modelli occidentali. adatte. forse a favorire solo i mercati occidentali, con conseguenze che, nella migliore delle ipotesi, si possono definire alienanti e culturalmente disastrose per quelle società. A chi appellarsi se anche un Premio Nobel come Ben Jelloun, una delle vere obiettive voci dell'Africa mediterranea moderna e conoscitore dei suoi drammi materiali sociologici e psicologici, profondo conoscitore della cultura occidentale, è costretto «suo malgrado» a dichiararsi solidale con Saddam Hussein, assieme a tutto il mondo islamico, africano ed orientale? Lo stesso Ben Jelloun, si badi, che, ad un famoso personaggio, Moha, Le Fou («il figlio della pietra e della terra ar- gillosa») di un suo romanzo, «La priére de l'absente», farà rivolgere, ai propri compatrioti, come difesa contro il contagio consumistico e la relativa alienazione occidentale, l'appello, di carattere derviscio, a rifugiarsi sulle cime delle montagne algerine e sahariane: «La nostra epidermide si chiuda contro ogni messaggio ed ogni richiamo (consumistico). Si corrughi ma non si renda disponibile. Fate come me. Spogliatevi, andate nudi al mare, andate nudi alla foresta e al cielo. Non portate più i soldi con voi. Lasciate tutto ciò nella strada a venite a danzare sulle cime». ( = a ritrovare voi stessi, ad essere liberi, ad essere felici). Paradossi? Certamente. Ma quando vengono da un Ben Jelloun, lasciatevi dire: «chi ha orecchi da intendere, intenda.. .». La via dei Sufi Eppure qualcosa da fare c'è. La sapienza e la cultura islamica, in tanti secoli di storia, come del resto quella cristiana, hanno saDuto trovare in se stesse nuclei di tolleranza, di saggezza, di sapienza in senso spirituale; e, come dirò ripetutamente più avanti, attribuisco a questa voce «spirituale» solo il significato di spiritualismo non dogmatico, di tolleranza, comprensione reciproca, di solidarietà e collaborazione di carattere civile, sapendo che parlo ad una assemblea la maggior parte dei cui componenti non intende, in questa sede, ancorare tali concetti a motivi di carattere trascendentale o fideistico; nuclei, quelli citati, che, dalle stesse origini dell'Islam, si sono battuti perché le istanze originarie di esso fossero salvaguardate contro le deformazioni e strumentalizzazioni del potere, di ogni genere di potere, da quello politico a quello stesso religioso-fanatico, a quello economico, affinché il messaggio della tolleranza, della convivenza, dell'amore universale si conservasse e si estendesse come espansione geografica articolandosi e ulteriormente approfondendosi dal punto di vista s~irituale. Sono gruppi che, in genere, vengono chiamati nell'Islam con l'appellativo di «Sufi», voce ipotecata dagli antichi palandrani di lana erezza che ne caratterizzava i com~onenti: ricordiamoci i cilici di lana nodosa, portati, in segno di umiltà dai nostri primi francescani, dai penitenti del primo medioevo; quello stesso cilicio che, trovato dal nobile gaudente Jacopo Ottone de Benedetti da Todi sul corpo della propria giovane moglie morente, ne scatenò la vocazione spirituale e ne fece il celebre «Jacopone da Todi», il cantore di laudi, il diffusore di uno dei più possenti messaggi dell'amore universale: «Amore, amore, tutto il mondo grida - amore, amore, tutto il mondo clama». Sono, questi Sufi, individui e gruppi che, diffusisi proprio nelle stesse aree mesopotamiche ed irachene dove, in queste ore, imperversa la Guerra del Golfo, avevano così profondamente recepito il messaggio del Dio della Misericordia. dell'Amore. dell'unicità divina, da erigersene subito a difesa contro le false inter~retazionie la strumentalizzazione di esso che ne facevano esponenti di califfati successivi e di potentati di ogni estrazione, per avidità di potere. L. MAGGIO 1994 Conseguentemente. lavorando nella stessa " area, i Sufi si incontrano, nel senso materiale e spirituale del termine, con gli Anacoreti cristiani che dal Nord dilagavano verso il Sud, così come i primi Sufi dal Sud iniziavano la loro «lunga secolare marcia» verso il Nord. Si sviluppa pertanto quella fertile «unione di base» che introdurrà i Sufi nella stupenda realtà del primo spiritualismo eremitico cristiano, i cui fautori elaboravano i testi evangelici nel quieto delle proprie grotte, preparandosi a diffonderli Der tutto il bacino del Mediterraneo e oltre: le grotte e i piccoli monasteri basiliani (tante volte incontrati, da chi vi parla, nelle sue campagne di lavoro in Basilicata) insegnano. Nasce così, sull'esempio cristiano, il validissimo monachesimo islamico che, tuttavia, a differenza di quello cristiano, si doveva ritrasmettere autonomo, non soggetto cioè ad autorità centrali religiose, fino ai nostri giorni, da cui la sua importanza di fine delle proposte che vorrei presentarvi. E che il monachesimo islamico sia stato, almeno inizialmente, ipotecato da quello cristiano, lo comprova anzitutto il fatto che la vita monacale ascetica non solo non era rev vista dal Corano, ma persino negata dal Profeta («non ci sono asceti nell'Islam»), il cui modello di vita, sempre tenuto presente dagli islamici, quale che siano i livelli di ispirazione che l'hanno di fatto caratterizzato, certo non presentava aspetti ascetici o monacali. In questo quadro può essere considerato i1 caso di quello che viene nell'Islam comunemente ritenuto il primo monaco (") e santo, islamico: il ricco mercante Abu Darda, creato, dal secondo califfo Omari, giudice supremo niente di meno che a Damasco. Questi, abbandonati improvvisamente tutti i suoi beni, cariche e famiglia, si murò vivo in una stanza della sua casa, salvo un pertugio attraverso il quale si faceva passare, al modo degli eremiti cristiani, croste di pane ed acqua; ed agli amici e conoscenti che. letteralmente esterefatti. introducevano la testa nel pertugio per chiedergli cosa diavolo gli fosse preso, lui, giudice e mercante così abile, famoso e ricco, rispondeva fra la recitazione di una Sura e l'altra del Corano: «Quando divenni mussulmano volli far marciare parallelamente il servizio di Dio e del commercio, ma essi divergevano: allora abbandonai il commercio...», e non si trattava, si badi, di commercio di armi moderne.. . Le cronache di auesti incontri tra monaci ed eremiti islamici e cristiani sono diffuse nei testi storici e nelle cronache del tempo, ovviamente se si vanno a cercare e nonostante che i locali dispotismi autoritari delle due religioni, per la conservazione ed estensione dei rispettivi poteri, non ne facciano cenno. Essi rappresentano uno dei fenomeni più grandiosi e paradossalmente attuali nella storia del bacino di quella che consideriamo la nostra patria mediterranea. Gruppi comunitari di poveri cristiani e islamici, senza istruzione scolastica, senza sostegno di potere - neppure quello religioso che, come si è visto, per i mussulmani non era previsto dal Corano che non riconosceva gli asceti - poveri «in spirito» nei senso più cri- (*) Usiamo il termine «monaco» - al quale dovrebbe forse più propriamente sostituirsi il termine aspiritualisra». data la storicamente comprovata assenza di un «monachesimo» ufficiale islamico - per indicare i primi «severi» spiritualisti islamici formatisti su esempio del monachesimo cristiano e per consentire una analisi comparativa dei due fenomeni. MAGGIO 1994 stiano del termine. forti solo ris~ettivamente del Vangelo e dei Corano, ric'onoscendone l'analogia per quanto riguarda le tematiche di fondo (Dio Unus, Dio Clemente e Misericordioso, Dio dell'Amore), si spogliavano di tutto e armati della loro fede o si ritiravano dal mondo in ascesi, o andavano di villaggio in villaggio a predicare il concetto di Amore Universale. Nasceva in questi anni, da radici spontanee, in quelle assolate, povere lande mesopotamiche (il «Mediterraneo dei poveri» di Braudel!), la filosofia della tolleranza, della non violenza, della solidarietà, dell'amore: quella stessa filosofia che Ain E1 Ghazali, uno dei più grandi spiritualisti di tutti i tempi, poco meno di mezzo millennio dopo, riusciva non solo a far «tollerare» nelle strutture religiose islamiche, ma aderendovi personalmente, a tramandare nella sua preziosa autonomia; a differenza, in ciò, da Innocenzo IJI che, pur col merito di essere riuscito a far accettare dal potere gerarchico della Chiesa il messaggio ed il sodalizio francescano, apriva la strada - e forse ciò era inevitabile come conseguenza della struttura gerarchica della Chiesa - ad una sua «istituzionalizzazione» che doveva spegnerne l'autonomia e limitarne il magnifico messaggio iniziale: ciò che certo non corrispondeva ai desideri di Francesco. Ma torniamo a quei tempi anteriori al mille, su quelle piane mesopotamiche, laddove due grandi fiumi, il Tigri e I'Eufrate, si avvicinano per sfociare poi nel Golfo Persico; e nei deserti limitrofi, in quelle distese sabbiose lievemente ondulate sotto quello csheltering sky», quel cielo stellato protettore, per dirla con Paul Bawels, nel così mal tradotto titolo (<(I1thè nel deserto») del suo recente lavoro; quegli stessi cieli che sono fatti ruotare - secondo il Sufi Rhumi (dal poema «Matnavi», sec. XIII) - dalle «Onde dell'amore», senza le quali i cieli stellati e nuvolosi non avrebbero l'anima che hanno; Dante, nello stesso periodo, rispondeva «l'amar che muove il sole e l'altre stelle». Ed è in quegli spazi sahariani senza confini che si sviluppa il messaggio cristiano e coranico, in quella parte così importante del nostro mondo mediterraneo. che ne costituisce eran parte delle coste meridionali, placandosi solo con le sue dune. si ~ o t r e b b edire. in corrispondenza delle schiume del mare, a quella entità senza limiti, nella quale il già citato Rhumi intravede un simbolo dell'Amore universale: «l'amore è come un mare infinito in cui i cieli non sono che un fiocco di schiuma», dandoci cosi una nuova chiave da interpretare. valutare il nostro mare. le risacche festose dille sue rive, i nostri cieli'primaverili ed estivi che lo sovrastano, i lembi di nuvole che li vanno solcando, tutte le cose fin d'ora apprezzate come componenti delle nostre vacaqze. E in questa regione sahariana e perisahariana che sta nascendo la filosofia della pace, della solidarietà e tolleranza, della non violenza. dell'amore fra uomo e uomo. elaborata meditando e rimeditando il messaggio cristiano e coranico, dell'amore fra uomo e cose, base di quella che sarà poi la filosofia ismailita della natura. riaffermata dal teosofo Mohammed Sorkh di Nishamur, su concetti già esposti da Nasir-E-Khojraw, ancor oggi un cardine del pensiero filosofico iraniano e patrimonio acquisito di molti scienziati e anche semplici naturalisti: la Natura cioè, entità all'origine soltanto materia, sulla quale si proietta L . < . la contemplazione dell'Anima trasformandola appunto in Natura, autonoma entità autonomamente dialogante con noi. Ed ecco un certo Hasan Al Basri rivagare per quelle spiagge e quelle dune, un uomo simboleggiante l'importanza di quello straordinario angolo del mondo mediterraneo che è la sua regione medio orientale, figlio di un prigioniero di guerra persiano, liberto dei vincitori, islamico di Medina, eccolo apostolo dell'Amore universale. eccolo somattutto predicare il rispetto e l'amicizia per ogni uomo, ogni singolo uomo. Sua è la celebre frase: «non ti comprare l'affetto di mille uomini a prezzo dell'inimicizia di uno solo di essi»; così come predicava l'esaltazione dell'umiltà: «una delle condizioni dell'umiltà è che tu esca di casa e tutti auelli che incontri li consideri migliori di te»; ma soprattutto, angosciato dalla violenza che si stava scatendando pur nel mondo islamico del Dio della Misericordia. Al Basir viveva infatti il tragico periodo che vede le origini dei contrasti fra quelle che dovevano diventare le sette islamiche sciite e le sunnite, tra l'assassinio del califfo Othman Omayyade, traduttore del Corano, ed il successivo califfo Alì, cugino del Profeta. E lo viveva constatando il rapido fenomeno - purtroppo sempre ripetentesi nella storia - dei poteri che cercano di asservire alle proprie finalità le grandi tematiche della solidarietà umana ed i loro esponenti, e le viveva vedendo i veri seguaci del Dio della Misericordia assassinati. ed il Corano conteso Der giustificare il potere di questo o di quello; ed ecco un'altra delle sue celebri, amare dichiarazioni: «l'Islam sta nei libri, i veri mussulmani stanno sotto terra». Ed eccolo quindi vagare per le lande mesopotamiche, quelle stesse su cui infuria la guerra odierna, invocando la . Dace. la non violenza, procla&ando la veridicità del messaggio del Dio della Clemenza e della Misericordia. fautore anche di quel distacco del mondo, se per mondo si intende quello dei poteri, della proprietà, del denaro, ma che nel mondo proclama che occorre agire per riportarlo a quegli ideali di convivenza, di pace e di reciproca solidarietà che derivava del messaggio evangelico e coranico: «Fuori dal mondo» proclama dunque Al Hasan Al Basri, «ma lottare per la Dace del mondo ed il suo benessere». E nasce con lui la prima delle confraternite islamiche, alcune delle quali sussistono ancora oggi, ed alle quali penso si possa oggi appellarsi per ricucire quell'unità mediterranea che la Guerra del Golfo sembra avere per sempre travolto. Ed in suo onore. in onore di Al Basri olitico, giurista, teologo, predicatore, e della confraternita da lui fondata, nasce, dal nome di Al Basri il villaggio, poi città, di Bassora, la stessa che oggi vediamo giornalmente bombardata con i sistemi più sofisticati, percorsa da bombe «intelligenti», cosparsa di cadaveri di ogni tipo, dopo essere stata - non lo si scordi - semidevastata durante la recentissima guerra Iran-Iraq, il cui fronte principale correva proprio in sua corrispondenza. Bassora E da Bassora doveva provenire, nei decenni e nei secoli a venire, uno dei più importanti messaggi di pace, di spiritualismo e di amore universale che una comunità umana possa aver ritrasmesso ai suoi simili: ciò che è più COMUNI D'EUROPA importante, doveva esserci trasmessa da una successione di uomini, in gran parte senza istruzione. senza beni di fortuna o che ad essi avevano volontariamente rinunciato, occasionalmente anche da giuristi, letterati, artisti che avevano rinunciato alla propria carriera per farsi tutti, invariabilmente testimoni o predicatori itineranti, apostoli della pace, della non violenza, del Dio «Clemente e Misericordioso». E d è di Bassora, come abbiamo visto, un altro di questi predicatori islamici seminatori di pace, il primo, secondo le cronache - e siamo ancora all'epoca dei primi cinque califfi, pochi anni dopo la morte del Profeta - il primo monaco a rinunciare ai Diaceri della vi;a ed alla famiglia per dedicaisi alla predicazione dell'amore di Dio e del Prossimo; quand o la sua religione, e Maometto soprattutto, non solo non avevano mai né comandato. né raccomandato rinunce a piaceri legittimi o astinenze sessuali. ma avevano raccomandato casomai il contrario, secondo lo stesso esempio del Profeta. E d è forse a questo monaco di Bassora che dobbiamo la prima scintilla di auell'anarchismo che avrebbe successivamente permeato sempre più profondamente le confraternite Sufi, quando, invitato dal quinto Califfo Muavyya che lo voleva al suo servizio, offrendogli donne e doti per mantenerle, rifiutava per l'orrore di asservirsi ad un potere: «In quanto alla dote - rispondeva al califf o Muavyya - preferisco quella che Dio mi fornisce, sia pure un dattero o un boccone di pane». E d è di Bassora Habib Al Agiami che passa le notti nello studio, nella meditazione e nella preghiera, assopendosi verso l'alba e che, al primo apparire del sole, veniva incitato dalla moglie Amrah perché ripigliasse bravamente il suo posto fra gli uomini: «Alzati uomo! finì la notte, venuto è il giorno, sono scomparse le stelle degli Angeli superni, avanzano le carovane dei devoti, se tu resti indietro non le raggiungerai!». E questa immagine degli uomini che avanzano in carovana mi pare veramente suggestiva; chi vi parla ha potuto vivere a lungo, durante la sua attività ~rofessionale.in tali ambienti, assistere ai primi albori nel deserto e incontrare ripetutamente le odierne carovane dei pellegrini. Tornando a quei giorni, al disprezzo del mondo si andava ormai felicemente sostituendo la devozione per gli uomini, la solidarietà per essi, da esercitarsi, anche asceticamente, ma fra essi, ed è questo forse uno dei ~ i grandi ù tra i meriti dei Sufi e del Sufismo. Perché quei «devoti» in carovana non sono necessariamente soltanto degli uomini di fede ma, tramite i sacri testi - Corano, Vangelo - nei quali credevano e, secondo gli ammaestramenti di questi, devoti anche agli uomini fra i auali vivevano. E d 'ecco ancora apparire dalle fuliggini del passato, fra le grandi figure che onorarono Bassora, la «nostra Bassora», mia e di voi tutti a cui parlo, alla cui distruzione feroce stiamo oggi placidamente assistendo, ecco apparire un altro apostolo della non violenza, Sufvan At Tauri, monaco,. medicatore della mansuetudine, povero in canna, fattosi tale rinunciando alla propria posizione di massimo esperto di diritto del suo tempo, capace, lui sciita, di rivoltarsi contro il massacro dei A - A COMUNI D'EUROPA nemici degli Sciiti, che avevano luogo sulla scia delle faide tra islamici fin d'allora iniziate, stragi che pure la sua gente approvava esultando; rinunciatario ad ogni posizione di potere per non consentire di essere, tramite esso, ricattato, celebre per la fiera difesa della propria indipendenza spirituale (la storia ci tramanda il testo d i una sua risposta al califfo al Mansur gli offriva denaro, potere, onori: «Non poterla egli accettare per non perdere la sua autonomia più preziosa di ogni ricchezza»), capace di abbandondarsi ogni tanto anche ai piaceri della vita, ma ben deciso, sempre, a non sacrificare ad essi il suo dovere principale di aiutare il prossimo, a favore del quale era capace anche di guadagnare denaro, «ma solo a favore d i esso». Ed ecco10 sotto la persecuzione dei potenti, i quali, come è noto, non si accontentano di combattere i propri nemici, ma esigono sottomissione totale anche da chi loro nemico non è. Per le stesse strade della «nostra Bassora*, patria della contestazione storica della violenza, sopra la quale oggi transitano in volo aerei di ogni parte del mondo, tutto distruggendo con il loro successivo corredo di carri armati e marce trionfanti di «vincitori», transitava nel 778 il suo corteo funebre seguito da tutti quei rinnovati spiriti dell'Islam che avevano ormai capito, anche sull'esempio degli Anacoreti cristiani. che occorreva non essere del mondo per poter aiutare veramente coloro che sono nel mondo, ed ancora, dietro a lui tutti coloro che da lui erano stati aiutati. E d ecco apparirci, fra i vicoli della città di quel tempo, Dawud Nussair At Ta'I, povero per amore della povertà e per amore del prossimo, con il solo corredo del suo «cuscino» costituito da un mattone di argilla cotta al sole (tanti ne abbiamo incontrati di tali «cuscini» ricavati da argilla di cave situate negli stessi villaggi durante le nostre peregrinazioni scientifiche nel Sahara) ed ecco la sua ultima raccomandazione che. da uomo di scienze quale era, ritrasmette a quanti, fra gli uomini, sono ricercatori e studiosi: «La scienza si persegue innanzitutto per operare; se lo studioso passa tutta la vita ad accumulare nozioni, quando mai le metterà in opera?» ed il messaggio a tutti rivolto: ((Guardatevi bene dal tenere in casa qualcosa più del viatico di un viaggiatore che va in paesi lontani». Ricordate, amici, ancora una volta quel solito Francesco D'Assisi che d i lì a poco avrebbe diffuso, con l'esempio personale, lo stesso messaggio per analoghi villaggi dell'Italia centrale? Ed ecco. tra i fantasmi della Bassora di allora, fantasmi fortunatamente esistiti, ecco seduto sulla sua porta di casa, sfiorato dal passo lieve e cadenzato dei cammelli, ecco Malik Ibn Dinar, al lavoro per guadagnarsi da vivere come noi, come voi, intrecciando fibre di palma, copiando libri sacri fra gli oggetti del suo abitudinario «corredo»: un Corano, una brocca per l'acqua e una stuoia, ~robabilmenteanche il solito barattolo con le croste di pane che in questo caso lo storico non ha citato ma che caratterizza tutti i Sufi ed i campioni della pace e dello spiritualismo di allora; croste d i pane non per esibire povertà, ma perché era quello che restava del pane dei giorni precedenti parsimoniosamente risparmiato; mentre la cronaca del tempo riferisce sul condimento usato dallo stesso Malik, due soldi di sale che, peraltro dovranno servire per tutto l'anno. Ed è ancora la storia che ci riporta le proteste della moglie - si sa. le mogli sono mogli ed hanno le loro esigenze - non esattamente entusiasta dello «stile» di vita del marito e la rimosta di auest'ultimo a lei, come tramandano le cronache: «Se vai d'accordo come me quanto alla parsimonia, bene, altrimenti ciascuno per la sua strada.. .D. E d ecco che incontriamo Al Waid - siamo ancora negli anni prima del Mille - fondatore di un'altra fra le prime congregazioni dell'Islam, nelle vicinanze di Abadan, pro~ r i o1'Abadan dei pozzi petroliferi odierni.. . Ed ecco Utba ~ h u l a m ~ altro u n fra i grandi pensatori spiritualisti di Bassora, caduto nel 784 nella guerra cui, tanto per cambiare, fu costretto a partecipare, contro i Bizantini, ma che, pur combattendo contro i cristiani, tanto aveva assorbito da essi, da portare il cilicio, ad esempio, e da vivere in solitudine sulle rive del mare di Bassora. Si, amici, proprio quello stesso mare, il famigerato «Golfo» che riempie gli schermi dei nostri televisori e . delle armi che gli abche un d e s ~ o t a armato biamo venduto, facendocele profumatamente pagare, sta distruggendo, inquinandolo con il famigerato olio nero, fonte principale delle nostre ricchezze di occidentali: mare che. ai suoi tempi, Utba Ghulam abbandonava solo il venerdì Der recarsi a Bassora alla funzione religiosa ed a salutare gli amici, giorno in cui - ci assicura Sha'Rani, forse il più grande storico islamico del XVI secolo e sufista egli stesso - lasciava il cilicio per vestire gli unici indumenti di cui disponeva: «due teli grigi: uno era il vestito, l'altro il mantello...». Non vedremo forse più la luna rispecchiarsi nelle acque del Golfo, mare chiuso in gran parte, che si ha buona probabilità di ritenere irrecuperabile ecologicamente, ma bisogna avere il coraggio di immaginarla, questa luna, con la fantasia, mentre diffonde il proprio chiarore sulle terrazze, le logge, le case della Bassora di allora, la Bassora dei Sufi poveri e fieri della loro indigenza, nei silenzi notturni ai quali il Sahara sembra attribuire una voce Darticolare. Bisogna avere la capacità di ricrearci con la fantasia questi ambienti, questi vicoli, per poter «rivedere» aggirarsi fra di essi un'altra fra le tante figure che non posso non ricordare - e la scelta è così vasta - quella di Rabi'a, la Santa dell'Islam, elegante, minuta, graziosa, devota, perdutamente devota, al Dio della Clemenza e della Misericordia. Anche essa rompe il silenzio notturno dei vicoli di Bassora al suono del suo flauto, perché dopo essere stata schiava, era stata suonatrice di flauto, forse (?) all'inizio una delle pubbliche donne di allora. che del flauto si servivano per attirare su di sé l'attenzione del pubblico (il Densiero corre subito alla Maddalena di , cristiana memoria), poi travolta dall'amore per l'illimitato universo ed il suo illimitato Creatore. Anch'essa successivamerite eremita nel deserto sahariano, ma è il suo pensiero, ancor più che la memoria di Lei, che illumina I'oscurità della nostra Bassora, più di quanto non facciano oggi i missili e i razzi illuminati che forniscono luce per meglio distruggere. C i dirà Rabi'a: - - L A - , L ~ ~ «Dio mio, se ti amassi per paura dell'inferno, mandami all'inferno, se ti amassi per desiderio del paradiso, negami il paradiso». MAGGIO 1994 e anticipando il successivo sviluppo del pensiero dei Sufi, confesserà di dover superare persino la devozione al Profeta per poter meglio confondersi nell'amore per il dio Universale: «Maometto è una creatura e l'amore per lui (Maometto) è da considerarsi come una distrazione dell'amore per Lui (Dio Universale)». fino a riconoscere di dover trascendere l'amore per gli uomini in favore dell'amore per Dio: «L'Amore del Creatore mi ha distolto dall'amore per le Creature» senza accorgersi di aver così affermato due verità di straordinaria importanza, l'universalità del Creato e delllUno Creatore, senza regole o «frontiere» religiose, e l'importanza dell'umanità tutta e quindi dei suoi componenti, gli Uomini, unità inscindibile dal Creato e Creatore. E per riportarne la figura alla sua straordinaria umiltà e femminilità - la Rabi'a dei datteri - non posso non ricordare la risposta data a Sufyan che cercava di soddisfarne i desideri più umani: «Sufyan come mai tu, che sei un uomo sapiente, ti esprimi in questo modo? Dio esaltato Egli sia - sa che da dodici anni desidero dei datteri maturi, che non sono certo rari a Basra ( = Bassora). Tuttavia sono restata senza mangiarli fino ad oggi. Non sono che serva (serva di Dio) e non mi è dato seguire le passioni del cuore...». Le sapeva affermare le sue verità, la piccola Rabi'a, al suono del flauto, sotto la luna discreta di Bassora. Ed era quella stessa silenziosa luna di Bassora ad illuminare sugli schermi televisivi di qualche giorno fa, il grande panno bianco disteso sul cadavere di un soldato iracheno caduto - «aggressore», presumibilmente, per non offendere la nostra sensibilità di occidentali in poltrona - e da questo panno usciva la forma di un piede umano già gonfio, cosparso di mosche. E guardando le pieghe di quel grande panno bianco illuminato dalla luna, mi ricordavo i versi del già citato scrittore magrebino, premio Nobel Ben Jelloun («La priére de l'absente»): «Trovate il segreto del mio amico nelle pieghe di ciò che rimane»: così come ricordavo le parole di quella che era più di una preghiera di S. Gregorio Palmas, pronunciata all'incirca mille anni fa, riportata nel quinto volume del testo greco della Filocalia, la celebre cronistoria di gran parte degli anacoreti, fratelli mediterranei dei mediterranei islamici e collaboranti con essi, scritta in greco, tradotta successivamente in paleoslavo, e che penso si adatti in modo particolare a questo nostro compatriota caduto: «fratello, chiunque tu sia...)) Anacoreti cristiani e primo amonachesimo» islamico E d è proprio nella piana di Bassora, sui bordi del mare del Golfo, e nelle dune e lande pietrose che si estendono fra Bassora e Kufra, sì, proprio dove stanno marciando le forze reali britanniche e la folgorante cforce d e frappe» francese e dove è caduto il nostro aeMAGGIO 1994 e reo - non faccio dell'ironia. non voglio " non posso farla sulla tragedia, ma non posso non guardare alla realtà, i fatti parlano da sé - è proprio in queste aride aree, fra i principali centri filosofici e spirituali della più vasta regione mediterranea orientale e medio orientale, dove si era diffuso successivamente il messaggio cristiano e quello islamico in favore del Dio Uno e Misericordioso; è proprio qui che dovevano incontrarsi i latori dell'un messaggio e dell'altro, i «poveri» delle rispettive regioni, quelli che poveri avevano voluto restare in omaggio ai testi dei rispettivi libri sacri, per non dover scendere a compromessi con i poteri che erano proliferati sfruttando e manipolando a proprio vantaggio il messaggio dei rispettivi Profeti, per non essere ricattati da questi stessi poteri, per poter mantenere la libera dedizione del proprio spirito allo Spirito Creatore dell'Universo Creato, per poter donare il proprio, tutto il proprio, agli indigenti dei rispettivi paesi. Soprattutto qui si incontravano per confrontare i testi delle rispettive Sacre Scritture, per farsi coraggio, per aiutarsi a vicenda. All'inizio sono gli Anacoreti cristiani, maestri di ormai consumato secolare spiritualismo eremitico a sbigottire ed a fare da modello agli ammirati «aspiranti» eremiti delle prime generazioni islamiche: successivamente saranno gli spiritualisti islamici a «guidare» la corsa. riuscendo a disinserirsi gradualmente sempre più dai poteri costituiti, rispetto ai cristiani, altrettanto gradualmente sempre più «risucchiati» negli ormai rigidi schemi della piramide gerarchica delle proprie strutture religiose. E d era una lotta comune - all'inizio, e fu un inizio che durò più secoli - per difendere i valori di fondo dei messaggi spirituali delle proprie religioni, il loro vero significato. In quei caldi deserti, il messaggio cristiano, l ' e s e m ~ i ocristiano arriva a folate dal Nord. dalla Siria e dai paesi limitrofi, così come verso il Nord. ad altrettante grandi folate. arriverà subito dopo, col vento caldo del Sud, il messaggio degli spiritualisti islamici. Forse mai si saprà l'eccezionale importanza di questo incontro-confronto, di questa reciproca constatazione, dell'analogia dei due rispettivi messaggi: il messaggio del Dio della Clemenza e della Misericordia ed il messaggio del Dio dell'Amore, anche se estrinsecati in chiave apparentemente diversa e adattata alla particolare sensibilità del mondo sociale e culturale in cui essi venivano diffusi: auello acuto, ipercritico, filosofico e problematico del mondo ebraico, e quello concreto, sbrigativo, primitivo, ma anche profondamente poetico del mondo arabo e medio orientale di allora. Le testimonianze di questi stupendi incontri sono innumerevoli. sottolineate dalla particolare suggestione degli ambienti medio orientali in cui avevano luogo. Dalle grotte e dai deserti di Siria, partivano verso i limitrofi deserti arabi mesopotamici e iraniani i messaggi della prima, volontaria grande rinuncia al mondo ed alle sue «forme» violerite: potere, proprietà, ricchezza. «Nel niente possedere c'è la certezza di avere tutto», proclamava I'anacoreta cristiano San Simeone al tramonto del secolo e rincarava il concetto risolvendolo in senso sociale: - ' , ' , «Chi reputa il suo prossimo uguale a se stesso, non tollera di avere qualcosa più di lui». E sulla stessa linea si era espresso, ben pri- ma di lui (morì nel 662) I'anacoreta San Massimo il confessore, uno dei principali spiritualisti della Chiesa greca, da lui erede del mond o romano enfatizzata verso l'azione: «Chi unisce l'azione alla conoscenza innalza un trono a Dio (la conoscenza) e serve da piedistallo (l'azione) ai suoi piedi». Parole il cui significato profondo ed il cui valore di incitamento dovrebbero sfuggire a pochi. Di lì a poco, affascinato da quell'esempio di devozione cristiana (si ricorda ancora che Maometto non aveva mai incitato alla povertà né all'astinenza), si era espresso in quel senso anche l'islamico Abul Hasan An Nuri formulando una delle più celebri definizioni dei Sufi e del Sufismo che potrebbe essere assunta come sintesi di quel movimento: «I1 Sufi non possiede nulla e nulla lo possiede». Per comprendere l'importanza che il monachesimo cristiano doveva avere su quello islamico delle origini, basta leggere la descrizione che uno dei più grandi sufi della storia dell'Iran, il principe Ibrahim Adham (deceduto nel 777). . , fa del suo incontro in Siria e nel deserto con l'anacoreta cristiano Simeone. della ~ o v e r t àdi auest'ultimo. delle sue visioni d i pace, del suo fascino spirituale: «In quel momento la gnosi discese nel mio cuore», afferma Ibrahim Adham e sul suo esemDio nasce. nel mondo dell'Islam., i s ~ i r a t adirettamente dal Cristianesimo, una delle più grandi scuole del Sufismo iraniano, quella di Balkh nel Khorasan. E senza rifarsi addirittura a Maometto che, secondo leggenda, e forse non soltanto leggenda, pare abbia tollerato, nel pietroso atrio della Moschea di Medina, la Dresenza d i 45 Sufi di costume ascetico - dopo aver più volte sconfessato l'ascetismo - proprio per l'ammirazione e la stima provata per il monachesimo ascetico cristiano in Siria, si potrebbe comunque citare il Sufi Malek - guarda caso, un altro apostolo della non violenza vissuto nella «nostra Bassora» - che attribuisce il suo inserimento nel mondo dei Sufi e Dervisci all'incontro con un monaco cristiano ed al suo consiglio: L A «Costituisci, se ce la fai, un muro di ferro che ti separi dalle tue brame». Gerard Schweizer. uno scienziato dell'Università di Tubinga, specialista in scienza della civiltà, affermerà che: «Non c'è leggenda penitenziale islamica che non riferisca dell'incontro tra un mussulmano ed un cristiano». Ma non si può non ricordare come le stesse leggende circolanti fra Sufi e Dervisci sui primi «quattro califfi illuminati» (Abu Beker, Omar. Asman - traduttore del Corano ed Alì) fossero strettramente intrecciate a leggende su Gesù, e come fra gli stessi racconti sul califfo Alì, si leggano frasi come: «Sono Dochi coloro che rinunciano a auesto mondo e guardano a quello futuro. Lo fa chi usa la terra come stuoia per dormire, la polvere per letto, l'acqua come profumo, il Corano e la preghiera per vestito e per mantello. Essi impongono al mondo, con l'esempio, di seguire la via d i Gesù...». E del resto la devozione per Maria, madre di Gesù, fu sempre intensissima presso gli islamici. Addirittura, nei primi secoli, più COMUNI D'EURQPA diffusa ancora di auanto non fosse Dresso i cristiani di allora, superiore alla stessa devozione per la più grande delle loro sante, la celebre, già citata Rabi'A di Bassora. Ed è ~ r o ~ r dal i o libro islamico «I detti di Rabi'A», cronache di tutti coloro che la conobbero, tra i quali Attar - questo misterioso grande poeta sufi persiano del XII secolo, uno dei grandi maestri della scuola sufi del Khorazan ed autore del celebre testo «Gli uccelli a convegno» - che si ricavano giudizi e, commenti quali: L L «Si annullava nell'unione a Dio, gradita agli uomini come una seconda Maria, pura di cristallina purezza.. .D. mentre Abbasa Al Tusi, sufi persiano della città di Tus (morto nel 909)) dichiara: «Quando nel giorno della resurrezione saremo chiamati - o uomini! - la Drima ad avanzare nel rango degli eletti sarà Maria - su di Lei la pace!». Ma perché questi fatti non sono maggiorinsemente conosciuti? Perché non veneono " gnati nelle scuole? Perché questo fiorire delle più possenti tematiche della pace - la vera pace - della non violenza, dell'amore reciproco, dell'Amore per il Dio Universale della Clemenza e della Misericordia, elaborate nella comune ricerca, nel reciproco ritrovarsi, conoscersi, assistersi, tra i più poveri e derelitti dei cristiani ed islamici delle origini, perché tutto questo viene, non solo ignorato e sarebbe il meno - ma sistematicamente negato tramite la sua totale cancellazione dalle cronache che ci vengono esibite nel mondo occidentale? La logica dei poteri, dei centri di potere, degli stati, dei dogmatismi interessati o ispirati al fanatismo, non poteva evidentemente tollerare auesta «unione federale» ante-litteram dei popoli del Mediterraneo, sia pure delle sue regioni medio orientali: ma di quali regioni e di quale importanza! Si scatenava la libidine del potere, occorreva comandare, asservire gli uomini, stimolandone interessi e ambizioni, creare perciò confini, promuovere ed esaltare i fanatismi, creare strutture gerarchiche che non si tollerassero a vicenda, o, più odiosamente ancora, rivestire con l'assolutismo del dogma taluni aspetti delle verità rivelate nei testi rispettivamente ritenuti sacri, non solo imponendone coattivamente il rispetto. ma sottolineandone la carenza nei testi sacri altrui: perché di carenze si trattava. avvenimenti o verità rivelati in un testo e non nell'altro, e mai di veri contrasti. Bisognava suscitare l'odio. incitare i cosiddetti fideli contri i cosiddetti infedeli, solo così il potere giustificava la propria esistenza e la conseguente esigenza di strutture statali, con i relativi interessi conservatori, l'esigenza di armi, di armati, di eserciti ovviamente, di guerre che non poterono non essere «sante», finalizzate alla difesa della «vera» fede. W ferocemente contestate dai ~ o t e r icostituiti. La loro fiera difesa accomuna nella storia perseguitati e martiri di origine islamica e cristiana. Trascurando questi ultimi, troppo conosciuti da noi, occorre almeno citare alcuni dei cosiddetti «eretici» islarnici per la ricchezza del loro spiritualismo, la profondità del loro pensiero tramandatoci, per fortuna, attraverso i loro scritti, ed i movimenti che ad essi facevano capo. Certi movimenti cui ci riferiamo erano di carattere preminentemente religioso, se non addirittura ascetico. ma non Doteva essere altrimenti, in un mondo quale quello islamico e nella relativa società nella auale tutto ciò che aveva un valore - culturale, sociale, politico - non poteva non essere spirituale; ciò come conseguenza di una «verticalità» ed individualità del pensiero filosofico islamico per il quale tutto va rapportato dall'individuo al cosmo. a differenza della «orizzontalità» temporale del pensiero filosofico e della cultura cristiana, questione su cui dovrò tornare brevemente più avanti. La contestazione, tuttavia, era intrinseca in questi movimenti che. con la loro stessa esistenza, con il totale rifiuto dei poteri, ricchezze, proprietà - della quale ultima era rifiutato persino il concetto - dei relativi meccanismi politici di protezione, costituivano, davanti al popolo, una critica vivente dei potentati che affermavano di voler difendere e diffondere la religione, ma che di fatto, per giustificare la propria esistenza, dovevano impegnarsi in sempre nuove guerre, aggressioni, ammissioni, servendosi dell'lslam appositamente ridotto a strumento di fanatica intolleranza, cosa che di fatto non era mia stato, né tanto meno era mai stato voluto da Maometto, né risultava dall'articolata cosmogonia del Corano. E il potere si scatenava contro costoro con ferocia non molto dissimile da quella usata dai «bracci secolari della giustizia» dei paesi cosiddetti cristiani. Fra auelli che la tradizione vuole come ~ r i mi martiri Sufisti dei poteri intolleranti dei propri paesi si potrebbero citare: Ibrahim Al Taymi e Said'Ibn Gubayr. Ma una menzione Darticolare merita il ~ i ù emblematico di essi: quel mistico Sufi Al Hallaj (858/922), chiamato dai suoi contemporanei «colui che soccorre» e «colui che sa», per il quale il senso della libertà era così congenito da fargli ritenere che essa fosse una conseguenza dell'unione del Mistero con la Divinità e che tale unione desse all'individuo il diritto di credere nella «propria» Verità e affermarla, identificandosi in essa («Io sono la Verità»), facendone una persona sacra proprio in nome di essa: una nuova originale via di affermare la sacralità e persino l'intangibilità della persona umana. Al Hallaj era ben cosciente che le sue tesi potevano essere convalidate solo dall'accettazione del proprio sacrificio («Uccidetemi, la mia vita è nelle mie oDere. la mia morte è vivere, la mia vita è morire») ed affronta il sacrificio con uno stoicismo memorabile nella storia dell'Islam. Adorava. fra l'altro. oltre a Maometto. il più grande dei profeti, Gesù, ritenuto il più grande dei santi, come gran parte degli islamici e la totalità dei Sufi. Condannato come eretico fu ucciso alla porta dell'Arco in Bagdad: flagellato, mozzati piedi e mani, crocifisso, poi impiccato, infine decapitato e bruciato, le sue ceneri disper- L Le persecuzioni E si creò, quasi d'istinto, un'altra stupenda unità, una unità di coraggio, di temperamento nell'affrontare le persecuzioni, furono perseguitati cristiani e islamici. E fu la sagra delle «cosiddette eresie» e dei «cosiddetti eretici». L'universalità dell'amore, il rifiuto delle frontiere fra analoghi spiritualisrni, la libertà di pensiero e di concezione spirituale furono COMUNI D'EUROPA , ~ se al vento; l'aveva previsto: «mi si ucciderà, si brucerà il mio corpo e i venti violenti che sollevano la sabbia disperderanno lontano i miei atomi». Lontano, appunto, nel Mediterraneo. Fino a noi. I1 pensiero corre a Giordano Bruno come se il Mediterraneo volesse ricordarci che su tutte le sue rive sono distribuite le memorie di questi grandi fautori di libertà - e di libertà spirituale in particolare - e come il loro sacrificio possa rappresentare l'indispensabile cemento di base Der costruire soma di esso l'edificio della unità dei popoli di questo mare, il fedeualismo mediterraneo. Le ultime parole di Al Hallaj, prima della morte: «l'importante per il singolo è che l'T-no lo riduca alllUnità», ricordano invece un certo Giovanni XXIII e le sue ultime parole: «Ut Unum sint». Concetti questi che, soprattutto se risolti in chiave laica, amore per la libertà e per l'uomo, come del resto raccomandano anche i testi sacri sopra citati, penso giustifichino la presenza di molti di noi in questa sala. Scrive Nazzareno Venturi nell'introduzione al volume sui detti di Al Hallaj, parlando della s a ~ i e n z a «orientale» dei Sufi. dell'«oriente» della sapienza Sufi: «...noi crediamo che tale Oriente. se ben attinto., oossa significare un recupero dell'oriente interiore e, con esso la riscoperta della illusouietà dei confini su ogni livello» - e con questo, amici, siamo nel cuore del nostro ~roblemadi federalisti, nel cuore soprattutto del nostro problema di federalisti mediterranei. Chi ne vuole sapere di più si procuri le opere di Louis Massignon, uno dei più grandi e obiettivi studiosi di Francia che, a questo personaggio, in particolare, dedicò pressoché per intero l'ultimo quarto della propria vita. . Il Sufismo e i diritti dell'uomo I1 Sufismo si doveva così gradualmente affermare, inserendosi anche nel campo della giustizia sociale considerata naturalmente come un particolare aspetto dell'amore spirituale per l'uomo. Fra i Dervisci, esponenti della componente più estroversa del Sufismo che, proprio per questo, dovevano storicamente differenziarsi da esso, pur mantenendo le comuni radici, fra i Dervisci, dunque, un certo celebre Fozeil Ayaz, persiano, doveva così esprimersi nei confronti del califfo Harun: «Apri la tua anima e ascolta: il giorno del giudizio dovrai rispondere della condizione di vita di tutto il tuo popolo; e se una vecchia donna andrà a dormire senza mangiare, tu, o califfo, ne sarai responsabile.. .». Trecento anni dopo, il mistico persiano Firiduddin Attar, autore di alcune tra le più belle e significative leggende mediterranee medio orientali, quale quella che ho appena citato su «Gli uccelli a parlamento», doveva, proprio tramite la sua opera letteraria, condannare - Tolstoj ante litteram - tutti i potenti e tutti i poteri, ascrivendosi fra i più grandi libertari del suo tempo. Contemporaneamente, allora, nel mondo dei Sufi, dalle radici originarie, in prevalenza mistiche e ascetiche, nasceva una certa esigenza di azione, certo un concetto di azione visto con «occhio» medio orientale, che non MAGGIO 1994 è ovviamente quello medio occidentale: e la pura ricerca dell'assoluto, del Dio unico, Clemente e Misericordioso (nella contemolazione del quale, e nell'unione col quale, si dovevano ~ e r s i n odimenticare i drammi della terra e le tragedie degli uomini) si viene completando con la riconosciuta esigenza di un'azione in favore dell'uomo. Ed ecco Saadi di Shiraz ricordarci che la stragrande maggioranza dei Sufi era impegnata, solitamente a livello individuale ~ l i b e r t a rio»,, in ~rofessionio in attività artigianali o culturali, appositamente per non dover dioendere da nessuno (si ricorda ancora il celeLre pensiero di ~ u r i «il : Sufi non possiede nulla e nulla lo possiede») e riconfermarci l'asserto in senso più generale: «I1 Sufismo è azione, non istituzione» (frase che sembra preannunciare, da lontano, nel tempo, la migliore concettualità dell'attuale contestazione anti-istituzionalista di base italiana al governo). E ancora Saadi di Shiraz (non dimentichiamo che era del XIII secolo) ci ricorderà: . - «Non si può conoscere senza l'azione: un asino carico di libri non è né un intellettuale né un saggio» e conferma l'esigenza di agire in favore dei diseredati: aquando vedo il povero derviscio affamato il mio nutrimento è veleno per me». E d ecco il conseguente rifiuto di qualunque forma di potere che sia responsabile delle miserie del popolo: «Lascia che il sultano riceva gli omaggi di coloro i quali ricercano i suoi favori. E digli pure che i poteri sono stati creati per proteggere il popolo. I1 popolo non è creato per servire i poteri». Ed ecco la denuncia dell'inutilità e pericolosità di qualunque azione di forza: «Per ogni mezzo uovo che il sultano ritiene suo diritto legittimo prendere con la forza, le sue truppe metteranno mille volatili allo spiedo» (frase che ancora una volta richiama amaramente il pensiero nella tragedia del popolo irakeno). E d ecco, infine, l'esaltazione del valore della vita dell'uomo: «Dominare il mondo, da confine a confine, non vale una goccia di sangue versato». Né va dimenticato lo specifico riferimento all'importanza del servizio che si può rendere all'umanità, non solo nei suoi confronti diretti, ma persino nei nostri confronti, soddisfacendo quanto di vero dentro di noi esige il nostro contributo concreto a favore di tutti: «Servire l'umanità non aiuta soltanto a vivere da giusti. E il mezzo con cui si può conservare, concentrare e trasmettere la conoscenza interiore». Con precisazione circa il raggio d'azione della propria attività: «L'attività locale è la nota dominante del sentiero derviscio». Le due ultime citate frasi sul localismo, sono estratte da massime della Khajagan, una scuola derviscia dell'Asia centrale la cui influenza, tramite il Sufismo, si estese a tutto MAGGIO 1994 il Mediterraneo orientale. E, del resto, è proprio il Corano che colloca in successione consequenziale, fede e azione, quando afferma (Cor. 41,8): «Chi avrà creduto e operato il bene, avrà una ricompensa senza obbligazioni». Concetto, come si è visto, che viene accettato dal mondo dei Sufi solo per la prima parte, in quanto nessun Sufi accetterebbe ricompense per un'attività eticamente e spiritualmente costruttiva, imponendosi che l'azione si giustifichi in se stessa o sia effettuata per disinteressato amore per Dio e per l'uomo. Il riconoscimento del Sufismo: Ain E1 Ghazali La fortuna nostra e loro, in quell'epoca della massima fioritura delle scuole, confraternite e conseguentemente del pensiero dei Sufi e Dervisci, la fortuna nostra e loro, dicevo, fu l'apparizione su una delle tante strade oosdella cultura mediterranea. della fieura " sente di Ain E1 Ghazali, personaggio troppo ooco conosciuto dal mondo occidentale e Dersino dallo stesso mondo orientale mediterraneo: sempre a causa delle infami barriere culturali innalzate dai poteri costituiti e dai «filtri» cui la documentazione culturale era sottoposta prima di essere affidata alla diffusione in occidente. Non c'è tempo, purtroppo, di soffermarci su questo individuo, se non per accennare che., da oosizione di assoluta oreminenza nel mondo giuridico ed universitario islamico, seppe giudicare il Sufismo, apprezzandone in modo gradualmente sempre maggiore le straordinarie oreroeative fino ad aderire ad esso con tutta l'onestà della propria coscienza mediante un travaglio interiore penosissimo, riconoscendo anzitutto in esso la propria stessa natura di «innamorato dell'amore», dei propri stessi principi di tolleranza, spiritualità, conseguente non violenza. Ma Ain E1 Ghazali ebbe somattutto l'eccezionale capacità, nel contempo, valutando la straordinaria imoortanza che la conservazione e lo sviluppo di un Sufismo autonomo avrebbe potuto avere per le tradizioni di tolleranza dell'Islam, di studiare e realizzare un «modus vivendi» fra Islamismo istituzionale e Sufismo islamico che, assicurando l'autonomia di quest'ultimo, avrebbe consentito al messaggio coranico di espandersi per il mondo, recependo da tutte le filosofie, sociologie e religioni quanto di utile fosse recepibile ai fini dell'unità del creato e del riconoscimento dei cardini principali dei suoi valori spirituali e associativi, l'amore per il Dio Unico della Clemenza e della Misericordia, il rispetto per l'uomo, la tolleranza, l'amore per il creato. Quello che affascina in Ain E1 Ghazali non è tanto il successo politico ottenuto (a prezzo, non lo si scordi, di nuove persecuzioni sulle quali la storia dell'Islam, forse volutamente, non si diffonde, ma che, proprio per questo pudico silenzio, appaiono più che confermate; persecuzioni, del resto, superate con lo straordinario potere di una competenza giuridica a cui nessuno sapeva opporsi e di un'autorità morale a cui nessuno saDeva sottrarsi) quanto il fatto che questo successo non sia stato conseguito grazie a sottili marchingegni politici, ma come conseguenza di una verità pubblicamente riconosciuta, palesata in ogni strato sociale e diffusa con ~ a z i e n t einesauri. bile determinazione a tutti i livelli, contro A - - L L ogni tipo d i autorità: in una parola, mediante l'uso sapiente della verità impiegata come arrria rigorosamente pacifica da parte di chi avrebbe ben potuto ricorrere ad altra autorità - alla quale aveva pubblicamente rinunciato, così come alla famiglia e alla proprietà e ai sistemi coercitivi di questa. I1 oensiero corre. ancora una volta. a Francesco d'Assisi, ugualmente sapiente nell'identificazione e nell'uso della verità. anche se operante a livelli sociali assai inferiori, ma a prezzi personali analoghi e con consegueiize storiche analogamente importanti. Dirà Ain E1 Ghazali: «Chi è retto verso Dio grande e potente, si comporta bene con la gente, trattandola con pazienza.. . buon comportamento nei confronti degli uomini consiste non già nel piegarli al volere del proprio animo, bensì piegare 'il proprio animo al loro valere, fintanto che questo non sia in contrasto' con la legge di Dio». (da «Oh, figlio!» di Ain E1 Ghazali). C'è tutto, se ben ci pensate, in questo scritto: i limiti della libertà umana condizionati dal rispetto per l'amore universale (la legge di Dio), i doveri degli uomini l'uno verso l'altro, il rifiuto di qualunque forma di imposizione politica, religiosa, intellettuale, oltre che personale, naturalmente. Lo stesso Ain E1 Ghazali intemerà il Droprio pensiero con questa frase lapidaria: u «La fede di un uomo non è perfetta finché non ama per gli altri ciò che ama per sè». Concetto indubbiamente ipotecato dal cristianesimo, ma nel quale è evidente lo sforzo sempre più diffuso del pensiero islamico, ed Ain E1 Ghazali è fra i massimi esponenti di esso, di far coincidere la legge dell'amore di Dio con i principi dell'amore, rispetto, solidarietà per l'uomo. Del resto la devozione di Ain E1 Ghazali, come quella di Al Hallay, per Gesù è celebre, così come la frase che sempre associa nel pronunciarne il nome: «Gesù, a lui la salvezza eterna». L'affiancamento al Sufismo, in un primo momento, e l'invito successivo di Ain E1 Ghazali a tutto l'Islam, ad aderire a questa filosofia incernierata sull'amore dell'amore universale e della persona umana, così come delle singole, futili cose, nelle quali tutto si rispecchia il Creatore, può essere riflessa da un altro suo scritto: «Se sei capace di sacrifici, vieni con noi, altrimenti non ti occiipare della futilità dei Sufi ...». In tal modo Ain E1 Ghazali consentirà al Sufismo stesso di estendersi spaziando gradualmente ovunque, ovunque diffondendo il verbo della potenza ed unicità dell'amore universale, dell'amore dell'uomo per l'uomo, della solidarietà e tolleranza, ovunque attingendo alle locali scuole di spiritualismo, moderazione, soprattutto di rispetto della vita, di ogni forma di vita, secondo tematiche assai diffuse soprattutto in oriente. Sviluppo, affermazione transfideistica, attualità del Sufismo Col maturare dei tempi e con il successivo affinarsi delle sue cognizioni, il Sufisrno si andava sviluppando per tutto il bacino del COMUNI D'EUROPA Mediterraneo, favorito, ora che se ne era ottenuto il riconoscimento, dallo splendore delle comunità islamiche che ne costellavano la costa e dalle loro esigenze di cultura e creatività; si sviluppava particolarmente agli estremi di tale bacino, in Spagna e in Medio Oriente, creando ovunque scuole di spiritualismo, assistenza, moderazione, non violenza, alcune delle quali sopravviveranno fino ai giorni nostri e rappresentano attualmente potenziali punti di riferimento per l'azione federalista mediterranea che si va prospettando. I Sufi sapranno tuttavia mantenere fede ai postulati di povertà, spiritualismo profondo, universalità che ne avevano caratterizzato le origini. Ne derivarono, allora, sempre più profond e e articolate tematiche sul valore dell'uomo, sul significato profondo dello spirito universale, cui non erano esenti aspetti «ecologici» che non erano però visti come oggi quali temi enucleabili o a se stanti, ma quali sfaccettature della stessa vita del cosmo della quale l'uomo era considerato fondamentale parte pensante e responsabile, non solamente una frazione di esso. Questo «spirito universale» auesto amore da riversare in esso e in esso d a attingersi, andava cercato dovunque, in qualunque forma vivente, in qualsiasi definita entità materiale, in qualunque luogo, persino. Sentiamo, ad esempio, con quanta liberalità il già citato Hafez - siamo arrivati al XIV secolo - un altro Sufi di quella fucina di pensatori e poeti islamici che fu la città di Shiraz, si riferisce all'Amore Universale: L. «Nessuri mortale ha potuto vederti ... Là sei tu dove il tuo volto riflette il suo splendore. Sui muri del monastero e nel suolo della Taverna là dove l'asceta avvolto nel suo turbante notte e giorno celebra il suo Dio dove le campane delle Chiese chiamano alla preghiera e dove si innalza la croce del Cristo...». Nessuna distinzione, ovviamente, fra Cristianesimo e Islam, il rispetto per lo spiritualismo è identico e Haykali, attingendo ancor più profondamente alle tematiche orientali ed africane, ma inquadrandole ancora di più nei temi dell'amore universale. come ci è riportato da Idries Shah, principe medio orientale, uno dei più grandi attuali studiosi orientali della civiltà mediterranea occidentale ed orientale, ci dirà: «I1 .barlume d i luce nel crepuscolo del deserto: là sei tu fra i passi oscillanti dell'elefante: là sei tu nell'armonia, nell'amore, nell'esistenza stessa, nella verità, nell'assoluto: là sei tu, la perla gettata dal ghiotto mangiatore di ostriche: là sei tu ... nel bagliore, nelle scintille, nella lingua di fuoco, nel calore e la fiamma ... là sei tu». I1 già citato Francesco d7Assisirisponderà dall'occidente, ~ a r l a n d oai frati pesci, a frate lupo, ai fratelli uccelli, a sora luna e veramente sembra che il suo cantico si spanda attraverso la superficie del Mediterraneo come il rombo lontano del passo oscillante degli elefanti. ritrasmesso di costa in costa dal frangersi delle risacche, dal succedersi festoso e pittoresco delle onde, dal soffiare dei venti nei cieli nuvolosi dello stesso mare. COMUNI D'EUROPA Si potrà obiettare che non c'era la stampa, allora, non la posta, ed i fatti che accadevano ù aree medio orientali del Menelle ~ i remote diterraneo, non potevano ritrasmettersi «fisicamente» agli angoli occidentali d i esso. Si dimostra invece così proprio il contrario: la cultura non ha frontiere, l'unità vivente del Mediterraneo ritrasmetteva quelle idee, queste tematiche, queste meditazioni ed estrinsecazioni dello spirito umano da riva a riva. Senza parlare - per tornare a elementi concreti - del continuo fittissimo interscambio navale fra tutti i porti del Mediterraneo, tramite il quale si esplicava e si infittiva gradualmente l'unità delle popolazioni gravitanti su d i esso. E per tornare a San Francesco, non va dimenticato che la madre era provenzale, nata e cresciuta nella regione mediterranea forse più aperta, fra tutte, agli influssi di questo mare e che a auesto mare aveva versato contributi culturali di ogni genere. Non per niente oggi, Francesco d'Assisi è considerato tra i grandi spiriti dell'umanità, non solo ovviamente nel mondo cristiano. ma anche e direi soprattutto, in quello islamico e persino, in misura crescente, in quelli più esterni, orientali, buddisti, induisti, dalle quali regioni, in questi anni, carovane di pellegrini e studiosi, vengono a venerarne e studiarne i luoghi di origine. Ain E1 Ghazali, poi, ricordava a tutti, ed a ciascuno, che lo spirito universale - ciascuno lo interpreti trascendentalmente o meno, così come vuole - non dimentica mai nulla o nessuno, neppure chi si crede abbandonato o reietto, e ci tramanda per scritto: «Egli conosce le ansietà degli animi, le cose celate nell'interno dei cuori.. .. conosce l'incedere della formica nera. sulla roccia sorda, nella notte tenebrosa.. .D. Tale era lo svilumo «concettuale» del Sufismo, un prendere coscienza della creatività mirituale dell'uomo e soDrattutto un riconoscere ovunque lo spirito onnipotente della creazione. Né Doteva essere altrimenti Der una concezione di vita nata indiscutibilmente nella s~iritualitàe nella filosofia della tolleranza ampiamente esplicate nel Corano, ma che aveva saputo attingere, tuttavia, preziosi concetti, a piene mani, dal cristianesimo, oltre che dalle grandi tematiche della filosofia indiana, che molti degli illuminati califfi locali, a differenza dei contemporanei potentati cristiani, erano ansiosi di conoscere e importare in Medio Oriente. Si andavano soprattutto sviluppando, accanto alle prime grandi scuole sufi, alle cui origini ci siamo soma riferiti. le confraternite u (molte delle quali, analogamente sopravvissut e fino ad oggi, anche se in condizioni politiche ed economiche estremamente precarie), ambedue accomunate dal nome islamico di Tariq At, nome col quale è anche indicata la «via» concettuale o spirituale seguendo la quale tali comunità islamiche intendevano perseguire i loro obiettivi; ma soprattutto andava sviluppandosi, tramite esse, una concezione liberatoria che, da una iniziale volontà di difesa dei veri essenziali valori dello spirito islamico, tracimava in una esigenza di spiritualità individuale e collettiva non soaaetta -- a formalismi, dogmatismi, soprattutto a coercizioni di qualsiasi genere. Tale esigenza si sviluppava, secondo una insopprimibile logica, in una ricerca - la si potrebbe ben definire «federativa» se non L ~L L stonasse la modernità, ma non la concettualità!, del termine - di ogni ulteriore spiritualità esistente, chiunque la professasse, quando questi si ispirasse agli stessi principi di amore illimitato, di tolleranza, di solidarietà con lo spirito universale e le sue diverse componenti, da quelle rappresentate dalla autocoscienza di ogni singolo uomo, a quelle rappresentat e dalla natura della terra, con i suoi oggetti, i suoi fenomeni, i suoi ambienti, fino ai suoi più piccoli atomi, quando su di essi si dovesse riversare la coscienza vivificatrice dell'uomo che proprio in tale azione potrebbe riconoscere uno dei compiti prioritari della propria esistenza. Ci precisa Ain E1 Ghazali: «...ma per gli uomini spirituali, per coloro che posseggono il dono della intuizione mistica (ed io aggiungerei, cosa che penso sia implicita nel pensiero di Ain Al Ghazali, per coloro che sanno conquistarsela e meritarsela), Iddio fa parlare ogni atomo d e cieli e della terra ... con un linguaggio privo di lettere e di suoni, né arabo, né barbaro ... ti dirò che ogni atomo nei cieli e nella terra ha con gli uomini colloqui spirituali e infiniti, perché con parole attinte al mare infinito del Discorso di Dio...». Una ecologia «fisico nucleare» e «spirituale» ante litteram. Ed era una ecologia «al calor bianco» cui neppure oggi, che il concetto è di moda, si è riusciti a pervenire, inquadrata com'era, allora, con geniale intuito, non solo nella spiritualità universale, ma anche in quella umile, ma altrettanto importante, della vita quotidiana. L'assoluta «indipendenza» spirituale e sociale, diciamo pure la «transnazionalità» visto che parlo ad una assemblea internazionale di transnazionali, l'assoluta disponibilità per chi voglia disporre d i lui è espressa da Rumi, un Sufi, anzitutto, ma anche poeta - tra i più grandi dell'Islam - politico, filosofo, con concetti che sono, secondo chi vi parla, fra i più possenti della espressività e sincerità umane: «Che posso fare, Musulmani? Non coriosco me stesso. Non sono Cristiano, né Ebreo, né Mago, né Musulmano. Non sono dell'Est, non sono dell'Ovest. Non della terra, non del mare. Non delle ricchezze della Natura, non dei cieli rotanti, Non di terra, non di acqua, non di aria, non d i fuoco; Non del trono, non del suolo, dell'esistenza, dell'essere; Non dell'India, Cina, Bulgaria, Sassonia; Non del regno degli Iracheni (!), o dei Coreani: Non di questo mondo o dell'altro: del cielo o dell'inferno; Non di Adamo, Eva, dei Giardini del Paradiso, dell!Eden; I1 mio posto senza posto, la mia traccia senza traccia. Né corpo, né anima: Sono inebriato dalla coppa dell'amore.. .». L'amore universale trascende ormai ogni religione e lo stesso Rurni tornerà poi sul concetto della santità dei fenomeni naturali, dei fatti di ogni giorno, della vita, delle «cose» vero anticipatore in poesia delle «cose» vive e silenziose ritratte nelle pitture di Morandi, anche se più estroverso di lui: MAGGIO 1994 «È il fuoco dell'amore che erompe nel flauto, E il ribollimento dell'amore che ferve nel vino!». Riprendendo il precedente celebre canto di Baba Kuhi (m. 1074) «Nel mercato e nel chiostro non ho visto che Dio Nella valle e nella montagna non ho visto che Dio Nella prosperità e nella fortuna non ho visto che Dio E lui che vedo accanto a me nelle affezioni.. . Non ho visto né anima, né corpo, né accidente, né sostanza Né qualità, né causa; non ho visto che Dio Come candela mi sono fuso nel suo fuoco Tra le fiamme sfavillanti non ho visto che Dio Sono svanito nel nulla, sono scomparso Ero diventato il Vivente Non ho visto che Dio». Dove è fin troppo chiaro che questa onnipresenza di Dio, annullandone il «Potere Centrale» soddisfaceva sia gli atei spiritualisti - cioè coloro che si proponevano il problema del creato e dell'esistenza - il cui nulla omnicomprensivo veniva a identificarsi in questo altrettanto omnicomprensivo Dio, sia i credenti che. come Al Hallai. ,, si identificavano nell'amore di Dio fino a confondersi in esso («io sono Dio» fu la celebre sua «bestemmia d'amore», uno dei principali capi d'accusa per il suo supplizio). E lo stesso Al Hallaj confermerà dalla croce, cui, già martirizzato e mozzategli le mani, era stato appeso: «Mio Dio, tu che ti riveli in ogni luogo e non sei in nessun luogo». I n modo che sia i credenti che i non credenti potessero tenerne conto: quegli stessi credenti nel nulla, quegli adoratori spiritualisti d i esso che nel nulla troveranno i motivi del proprio rigore etico, concetto sul quale ancora si esprimerà: «I1 Nulla è l'officina di Dio e le distese di quel deserto diventeranno per l'Uomo i Gradini del Paradiso». Libertà spirituale: contestazione di dogmi e poteri C'era in questo rispetto per credenti e non credenti, in questa identificazione, dell'Amore Universale con il nulla e con la totalità delle cose, un'ansia di libertà spirituale con i suoi presupposti d i libertà personale e cioè politica, alla quale molti Sufi si riferiranno tuttavia anche assai più esplicitamente quand o non a chiarissime lettere. Comincerà il Sufi Al Khaliq, considerato il più grande dei «Maestri di saggezza» del XII secolo: «In tutte le attività esteriori conserva la tua libertà interiore. Impara a non identificarti con alcunché, cioè sii esteriormente con la gente e interiormente con Dio. Sii capace di entrare completamente nella vita del mondo esteriore senza mai perdere la tua libertà». Sentiamo ancora il più volte citato Al HalMAGGIO 1994 laj a proposito della imposizione legale, o anche solo morale, di «una sola religione»: Non pretendere dall'uomo una religione, ch'essa lo allontanerebbe dal principio certo. Sarà invece il principio che verrà imperiosamente a cercare l'uomo per spiegarli tutte le idee, tutte le sublimità». Ovviamente - e qui subentrano le tematiche anarchiche e federaliste - occorre realizzare le condizioni politiche tali che non si creino strumenti di potere in grado di «imporre» una religione e condizioni sociali ed economiche tali che ciascuno possa trovare e d essere trovato dal «suo» principio. Tali considerazioni vengono riprese addirittura da Ain E1 Ghazali il quale, prima del suo abbandono di Università, figli, famiglia, gloria, potere e ricchezze - per prendere la veste di lana grezza dei Sufi e farsi solitario pellegrino errante - prima d i quel momento, era e resta ancora uno dei massimi giuristi mediterranei. Dirà dunque Ain E1 Ghazali (m. 1111): «È il destino della fede autoritaria: chi la professa non se ne rende conto, e quando prende coscienza d i essere un credente autoritario, rompe il bicchiere della propria religione, tanto che non è più possibile rimettere insieme i cocci». Dove l'acume grandissimo dell'autore analizza le conseguenze fondamentali della fede «imposta» o inculcata quando si è giovani e che si può passivamente accettare, come solitamente avviene, ma alla quale, una volta rivoltatisi, si rischia di dover rinunciare definitivamente - i cocci non ricostruibili - sia per risentimento contro l'imposizione, che per timore di esserne nuovamente fagocitati. E lo stesso Ain E1 Ghazali riferirà il proprio travaglio interiore, tramite il quale arriverà a tale conclusione: «La sete di capire le cose così come sono era radicata in me fin da piccolo. Ecco perché l'autorità e la tradizione cessarono di essere dei legami per me a mano a mano che diventavo uomo. Le parole della fede che mi avevano trasmesso fecero via via meno presa su di me, perché vedevo che i giovani cristiani erano sempre troppo cristiani e gli ebrei troppo ebrei e i musulmani troppo musulrnani~. La tolleranza islamica si estrinsecherà in forme ancora più esplicite con l'invito a seguire la fede che più aggrada, quella per la quale noi e la nostra gente ci sentiamo più portati o quella sola che «riusciremo» a seguire. Sentiamo ancora Rumi (m. 1273): «Percorrete la via d i Maometto (come si ricorderà, nell'Islam se Maometto è il Sigillo dei Profeti, Gesù è il Sigillo dei Santi, unico destinato a tornare fra gli uomini alla fine dei tempi), ma, se non vi è possibile, percorrete la via dei Cristiani...». E ribadiva: «Se c'è un amante, a questo mondo, O musulmani, sono io. Se c'è un credente o eremita cristiano sono io. E vino e coppa e canto, arpa e musica, l'amato e la candela e sorso d'ebbra gioia sono io. E sette e religioni sono io». Non è da stupire se nel 1273, ai funerali, in Konya, di Gelaladdin Rumi, nella marea di fedeli che, affranti, seguiranno il feretro, ci fossero altrettanti cristiani quanti islamici ... Tale libertà aveva radici profondamente culturali, libere radici che affondavano fino ai lontani substrati orientali; scrive Gerad Schweizer, della Facoltà d i Scienze della Civiltà dell'università di Turingia: «Furono i musulmani di Persia i primi e più potenti motori della civiltà islamica abbaside. A Ctesifonte, l'ex capitale, c'erano università e accademie che accoglievano artisti e dotti provenienti da ogni parte dell'Asia e dell'Europa: zoroastriani, cristiani, buddisti, indù.. . gli abbasidi non fecero altro che agganciarsi a queste tradizioni. liberi com'erano dalla r i ~ u gnanza verso le altrui religioni che restringeva gli orizzonti dei cristiani (e, prima di loro, degli israeliti) ... i dotti persiani tradussero in arabo le opere dei filosofi e degli scienziati greci.. . perché (contemporanemente) in quasi tutta l'Europa (cristiana) le opere dei pagani venivano respinte con arroganza.. .D. Questa libera spiritualità si esprimeva talvolta persino in termini «rivoluzionari» anche se con «rivoluzionarietà» limitata al camDo spirituale e alle parole, per quanto siano ben noti i poteri rivoluzionari di queste ultime, e senza che occorra ricordare l'intervento di Gesù contro i mercanti del Tempio e le sue parole «Sono venuto a portare fuoco in questa Terra ... e mettere i figli contro ai padri e i padri contro ai figli ...» Si passa da un misticismo disperato che richiama le parole sopracitate del Vangelo, ma questa volta con accenti profondamente umani: «Sono uccello di fuoco, che basta distenda le ali Der infocare tutto il mondo in incendio di fiamme; se un pittore dipinge l'immagine mia sul muro, il mio simbolo rosso avvolge la casa di vampe. I1 cuore ho pieno di fuoco, e pieno d i lacrime gli occhi; l'anfora della mia vita trabocca di sangue bruciante. Al tuo profumo vita nuova ritroverò nella morte. ~, se passerai leggero presso la tomba mia!». Dovuto a Baba Taher (sec. XI), alle parole, d i fierissima i n d i p e n d e n z a misticointellettuale contro tutti gli elaboratori di coercizioni religiose, del sufista e filosofo, probabilmente il più grande sufi e filosofo dell'Islam, Ibn Arabi (sec. XIII): «Ho tutti ogni ogni confuso tutti i sapienti dell'Islam coloro che hanno studiato i salmi rabbino ebreo prete cristiano». Fino alla celebre dichiarazione del sufi Abu-Said Ibn Abi-Khair (sec. XI): «Fino a quando collegio e minareto non COMUNI D'EUROPA cadranno in polvere questo nostro santo lavoro non sarà compiuto fino a quando la fede non diventerà rifiuto, ed il rifiuto credenza non ci sarà un vero Musulmano». Ma si farebbe un torto alla vera natura del Sufismo se non se ne sottolineasse la base di Amore Universale che costituisce l'essenza di ogni sua iniziativa, di ogni scritto dei suoi a d e ~ t iamore . che si estrinseca nel corso della differente vita di ciascuno di noi e della nostra collettività in una tolleranza che coinvolge persino l'amore terreno e sfiora i limiti della trascendenza. «Lo spirito del poeta sufi» -- dirà sempre lo studioso Gerhard Schweizer, e il Sufi mistico e filosofo, teosofo o pellegrino errante, sarà sempre un poeta - «lo spirito del poeta sufi resterà spalancato a 360°, purché l'angolo giro' sia permeato d'amore». Come stupirsi allora delle parole ancora di Ibn Arabi: L «I1 mio cuore è aDerto a tutti gli orizzonti. è un pascolo per le gazzelle, un monastero per i monaci cristiani, un tempio per gli idoli, una caaba per i pellegrini, ha le tavole dei Turchi ed il libro del Corano. E la religione dell'Amore, la mia, ed essa resterà la mia religione e la mia fede qualunque pista percorra la mia carovana». u Intesa necessaria e indispensabile Su queste basi, amici transnazionali, amici federalisti, amici anarchici, su queste basi, amici cristiani, israeliani, maomettani, idolatri di qualunque natura, adoratori e contestatori del Nulla e del Tutto, su queste basi non solo è possibile, ma drammaticamente necessario come «vamDe creative)) Der le fiamme del sopracitato Uccello di Fuoco, costruire la nostra federazione mediterranea. la federazione dei popoli ora oppressi e sofferenti che ne hanno costruito la storia e la creatività e che comunque frantumati dai poteri loro imposti e in procinto di essere definitivamente spaccati dai monoblocchi europeo e africano, hanno gravitato e gravitano ancora su di esso. E del resto quando si parla di federalismo, di radici comuni, di unità non si fa retorica, non si cerca di introdurre «astutamente» e «politicamente» argomenti grati all'assemblea che ascolta. Basterebbe, per quanto riguarda le radici comuni delle religioni che ci caratterizzano, ricordare sempre Al Hallaj: «...Ho riflettuto a fondo: cosa sono le religioni? Una pianta con radici e con una molteplicità di ramificazioni...». Dove, a parte I'equiparazione delle religioni, rivoluzionaria per l'epoca, - Al Hallaj fu «giustiziato» nel 922!! - è troppo implicito anzitutto che le ramificazioni non possono fare a meno delle radici - e le nostre radici, amici federalisti, sono rappresentate dalla cultura, cioè dal mondo mediterraneo, da quel mondo cioè che si vuole misconoscere in nome di monolitismi conservatori e interessati quali quello europeo e quello futuribile e simile africano. E si badi che non intendo qui contestare l'attuale federalismo europeo, al Movimento in favore del quale mi onoro di essere iscritto, anche se, da anarchico, non ne accetto la disciplina, né i giovani federalisti che meritoriamente si battono per esso, inCOMUNI D'EUROPA tendo contestare quell'europeismo che fatalmente sta approdando ad uno stato nazionale europeo centralizzato, con la foglia di fico di un regionalismo di forma, in effetti munito di sacrosante frontiere (il concetto di «Europa senza frontiere» dove comprendere non solo le frontiere interne, ma anche quelle esterne di essa) destinate a difendere, perseverare, incrementare i grassi interessi economici e finanziari europei, a scapito di tutto e di tutti, così, come avviene per gli Stati Uniti d'America o per il Giappone. . Forse raramente il concetto di base federalista è stato espresso con tanta semplicità, sapienza e verità come nella sopracitata frase di Al Hallai. Ma i meriti culturali «federalisti» dei Sufi sono pressoché inavvertitamente, ma proprio perciò più concretamente, riconosciuti da Idries Shah, che, nel suo fondamentale testo «La strada dei Sufi», dirà: «Personaggi apparentemente diversi come Rumi, il retto, Chishti il santo, Hallaj l'inebriato di Dio, gli statisti del Mujaddis e tanti altri, hanno lavorato per secoli per Dortare avanti una vera riunificazione delle comunità in apparenza irrevocabilmente divise». Né è da credere che tali concetti, relativi spesso a pensieri espressi o a persone vissute prevalentemente negli anni «splendidi» del1'Islamismo dal IX al XVI secolo, possano essere s ~ p e r a t io anche soltanto non riferibili alle ansie esistenziali della civiltà occidentale moderna. I1 già citato Ibn Arabi, con 800 fra opere tecniche o filosofiche, il più prolifico scrittore islamico definito da Gerhard Shweizer «Sufi» e «inarrivabile rivoluzionario»., « ~ i ùdi ogni altro filosofo» - è sempre Schweizer che Darla - «mise radicalmente in dubbio la conoscenza di una Verità Assoluta. Era del parere che nessuna religione potesse pretendere la definitiva, unica vera rivelazione». «Le verità filosofiche (o teosofiche) - affermava Ibn Arabi - non si possono dimostrare ma soltanto vivere». così come l'umile frate francescano con il suo saio e l'umile Sufi errante con la sua veste di lana grezza - né si può dimenticare che lo stesso Gesù volle «vivere» la sua passione e il suo riscatto del genere umano. E d è un altro grande filosofo islamico, Al Kind, che Jean Joliset, nel corso di un pubblico dibattito organizzato dall'unesco, in occasione della sua X X Conferenza generale per la celebrazione del 1400° anniversario dell'Egira, ebbe a definire «un punto capitale di uno dei due cicli logici filosofici che, dal neoplatonismo islamico portano fino ad Avicenna», è proprio Al Kind a esprimere, con rigorosa razionalità filosofica. il concetto che il Vero definitivo non esiste, ma che esso viene acquisito dall'umanità gradualmente per l'accumulo delle cognizioni di secolo in secolo; un Vero. conseguentemente. alla conoscenzs del quale contribuisce lo studio del pensiero passato e presente di tutti i popoli; studio che viene quindi a prendere aspetto provvisorio nella nostra etica intellettuale ed al quale concetto fondamentale - può essere apportato anche il contributo del nostro pensiero, amici, di noi transnazionali, cioè. Una modernitk sbalorditiva se si pensa che Al Kind. nato nel I X secolo. doveva es~licare la sua creatività nel X secolo, anticipando quindi di quasi un millennio problematiche e concetti che trasferiti dal campo filosofico a L u quello scientifico - continuo graduale avvicinamento alla vera natura dei fenomeni corrispondono in pieno alle nostre esigenze e soprattutto alle nostre ansie ed al frenetico attivismo della nostra attuale civiltà occidentale. È da rilevare altresì che, proprio in linea con questo paragone, Al Kind riproponga eccezionalmente la dimensione storica, cioè lo sviluppo «orizzontale», temporale della ricerca del Vero. differenziando da essa la religione con la tendenza ascensionale, «verticale» dello s ~ i r i t o . H o fatto brevemente cenno a questi concetti che possono sembrare eccessivamente teorici, per sottolineare l'analogia dei risultati cui il Sufi Ibn Arabi e il filosofo Al Kind stavano arrivando, anticipando così non solo l'ansia creativa positiva del Rinascimento, ma soprattutto - e ciò riguarda principalmente Ibn Arabi - denunciando il pericolo futuro dell'insorgere di un altro tipo di ansia, tipica del mondo occidentale, questa volta negativa, i cui sintomi sono oggi rappresentati dallo scientifismo frenetico e da un consuù ambedue dimismo semDre ~ i insaziabile. sancorati dallo sviluppo «verticale-etico» del pensiero umano. Ed è proprio la fisica, ed in particolare la fisica nucleare e soprattutto l'astronomia, nel nostro affannoso storicismo orizzontale senza meta, neppure ipotetica, a mettere in seria discussione quella dimensione spaziotemporale nella quale noi occidentali ci siamo rifugiati Der cercare. se non di finalizzare. almeno di dare una logica alla nostra ansia ed alle sconvolgenti crisi olit ti che e sociali che la caratterizzano nei nostri tempi. Henri Corbin, forse il maggior storico delI'Islamismo e del Sufismo, parlerà di energia spirituale, non sottoposta a divenire - I'esoterico di cui sono campioni i Sufi - in contrapposizione all'essoterico, al formale, lo storico, l'orizzontale che viene percorso dal mondo moderno occidentale (e di quello medio orientale modellatosi a sua somiglianza), senza obiettivi che non siano contingenti e destinati a rivelarsi inconsistenti uno alla volta, fra disastri sociali gravissimi, anche se con risultati materiali (scientifici) di tutto rispetto. Si vuole così sottolineare l'importanza di quelle comuni radici, alle quali si riferirà Al Hallaj, e senza le quali i rami sradicati non saranno che oggetti destinati ad essere travolti da qualsiasi corrente per quanto ampi e apparentemente redditizi possano essere stati i gorghi che li hanno trascinati nei luoghi più disparati ed invitanti: radici che ritenevamo e continuiamo a ritenere Radici Mediterranee per la salvaguardia e la ricostituzione delle quali, amici federalisti, amici transnazionali, amici anarchici, vi sto attualmente parlando, sto chiedendo la vostra indispensabile collaborazione. Abbiamo cercato così di accennare agli ampi spazi collaborativi che ci sono consentiti con il mondo dal quale, per coercizione millenaria e per recenti e meno recenti eventi storici, siamo stati traumaticamente separati: il mondo islamico cioè, uno delle fondamentali componenti mediterranee che, con il mondo greco-pagano, quello ebraico e quello cristiano, tutti ancora fortunatamente spumeggianti nella nostra psicologia individuale o collettiva di mediterranei, formano un «unicum», indivisibile, in tanto più indivisibile in quanto apparentemente profondamente diversificato e che proprio nella sua diversificazione, C. L i - MAGGIO 1994 tro, della sezione romana del Movimento Federalista Europeo, di cui non condividevo molte delle idee politiche, ma di un rigore «laico-spiritualista» tale da preferire il proprio auto-annientamento alla constatazione di una propria presunta incapacità di contribuire ulteriormente allo sviluppo intellettuale della comunità entro cui viveva: a lui I'omapgio di chi vi parla e - ne sono convinto di tutti coloro che, in quegli anni '60, dal federalismo rovente, contribuirono alla diffusione del federalismo stesso in Roma e in ogni parte d'Italia. L'importanza della cultura religiosa, spirituale e laica, quest'ultima sempre inglobata dagli islamici nel campo deilo spiritualismo, in quanto manifestazione dell'anima, viene quindi ad avere importanza determinante nel campo dell'Islam ed anche dei Sufi, nonostante il privilegio da questi dato alla componente s~irituale«trascendente», all'intuito mistico spirituale. E certo comunaue che tutti i Sufi che Doterono permetterseio da Ain E1 Ghazali ;Ibn Arabi. com~resitutti i filosofi sufi. fecero della conoscenza del pensiero altrui un fattore fondamentale, senza preclusioni dogmatiche di sorta. La conoscenza e la creatività spirituale purché totalmente disinteressata e sottratta al farneticante «orizzontalismo» del consumismo, della temporalità e del contingente, venivano considerate, assieme al proselitismo finalizzato alla medesima etica, unica opera degna dell'uomo, non solo, ma unico strumento capace di vincere la morte. Giustamente Henry Corbin ricorda la disperazione dell'andaluso Ibn Arabi che di questa concettualità può essere considerato uomo simbolo, mentre assiste ai funerali di Averroè che aveva portato l'inserimento reciproco di Islamismo e Aristotelismo alle sue estreme conseguenze. La cavalcatura funeraria portava da un lato il feretro del grande filosofo islamico, dall'altro le opere da lui scritte che sembravano bilanciare i resti umani dello scomparso. E fu soltanto considerando emblematica«Adora Dio, non i suoi servi mente come l'opera spirituale fosse stata in la legge rende schiavi, l'intelligenza liberi grado di bilanciarne, cioè di compensarne, la il bene non è digiuno ... morte, che il povero desolato Ibn Arabi trovò non è preghiera rituale ... la forza di proseguire nella sua opera che doveva portarlo ai massimi vertici dello spiriè piuttosto rigettare da sè il male tualismo mondiale, in un vero «coro» polifoscuotere dal petto rancore e invidia nico di cui doveva essere nota dominante, ma ... le cui «voci» provenivano da ogni parte del faccia l'anima il bene perché è buono e mondo, dai Cristiani, per intendersi, alle vabello rie fondamentali correnti di pensiero del Menon per ricompensa che ti è promessa...». dio Oriente e soprattutto del «profondo» Oriente. Se questo, dicevamo, è - come è - il sotSi andava insomma confermando la 'morale tofondo del Sufismo islamico. e tante citaziolibertaria già anticipata dai primi Sufi. ni precedenti lo confermano, è evidente che Come sopra citato, tutte le morali etiche esistono ampie piattaforme di intesa religio(amore per il prossimo e il creato) sono valisa, intellettuali, profane con l'occidente mede. a ciascuno la «sua» morale secondo le sue diterraneo, purché non manchi la volontà di tradizioni, secondo soprattutto i suoi bisogni. utilizzarle. Mi permetto di aggiungere che si tratta di E si badi, non intendo collaborazione con proposta che il potere ecclesiastico cristiano la sola cultura politica «religiosa» dell'occiprese in considerazione con l'ultimo Concidente, per intendersi esemplificativamente lio, ma dinnanzi al quale sembra essersi fercon i Maritain, i La Pira, i Dossetti, i Lorenmato in auesto momento storico di «rifluszo Milani, ma anche e soprattutto con la culso». Unirsi al concerto degli Uomini, di tutti tura'politico-laica, ad esempio, per quanto rigli Uomini, senza esclusivismi fideistici, dogguarda l'Italia, sempre esemplificativamente, . . con i Di Vittorio - il cui «sDessore» s~iritua- matici. .. le laico deve essere ancora tutto compreso al «Uniamoci all'assemblea degli uomini», i i Berlindi fuori del suo mondo di a d e ~ t canterà il più grande dei poeti Sufi, Jaliguer ed altri: per non parlare - tanto per enloddin Rumi. trare nel campo più specificatamente romano Siamo dunque arrivati al momento forse - di un Giuliano Rendi, segretario, fra l'al- nella differenza di percorsi ed obiettivi, peraltro indispensabili gli uni agli altri, attinge i motivi più profondi e più seri della propria potenziale unità, libertà e conseguente potenziale creatività. Dirà il solito Braudel: «Il Mediterraneo non ha altra unità che quella creata dal movimento degli uomini, le relazioni che ne derivano, le strade da essi seguite». Ibn Arabi può essere preso come individuo emblematico di questa potenziale collaborazione, di questa potenziale, ma indispensabile futura integrazione mediterranea dalla quale - non ci si stancherà mai di ripeterlo, coileghi federalisti e anarchici - dipende la sorte non solo del Mediterraneo, ma dell'Europa e dell'Africa. Quel «gigantesco uomo di pensiero», quel «Sufi rivoluzionario», quel «derviscio eretico», come Schweizer definirà Ibn Arabi, «non si limitò ad essere un musulmano di stretta osservanza, ma divenne il pioniere di un moderno umanesimo». Per lui «l'essere umano non conta per la religione che professa o per la visione del mondo che ha, conta invece l'intensità e la volontà con la quale egli vive questi ideali». Non importa quali siano questi ideali, purché eticamente validi. volti alla solidarietà. all',Amore per il Creato e per l'Uomo. E un concetto fondamentale., somattutto per quanti di noi, di voi amici, reputa 1'Islamismo troppo «deificato», troppo limitato al concetto teosofico. E vero per la parte essoterica dell'Islam. non è vero Der la Darte esoterica di esso, il Sufismo che si può dire nato proprio per preservare i significati più profondi dello spiritualismo e della tolleranza dell'Islam e che proponiamo come interlocutore principale nel processo federativo del Mediterraneo che riteniamo indispensabile e improcrastiriabile. Se i Sufi considerarono - come di fatto considerano - fra i loro massimi esponenti il poeta siriano cieco Al Ma'Arri (sec. XI) autore del celebre amaro e pessimista capolavoro «Luzumiyat ( = Costruzioni): L MAGGIO 1994 della massima fioritura del pensiero sufista e derviscio, quando pur agendo rigorosamente nel quadro islamico, liberatosi ormai dal modello monastico cristiano e del relativo concetto, cui quello era stato costretto a sottomettersi, di disciplina e rispetto del potere, tale tematica si liberava anche di tutte le imbardature che condizionavano la morale coranica, rifiutando persino il «modello» del Profeta, preferendo il modello ricavato dalla propria autonoma interpretazione del Corano stesso (ricordate la piccola santa Raid'A e la sua affermazione: «l'amore del Profeta può distrarmi dall'amore di Dio»?) riaffermando, a rischio della propria vita, l'autonomia di ciascun gruppo sufista - e, nell'ambito di auesti. della coscienza di ciascun individuo - di ciascun gruppo derviscio («a ciascuno la propria morale, a seconda delle proprie tradizioni e dei propri bisogni»), ovviamente nella accettazione dei temi di fondo del Corano stesso. I1 già citato Gerard Schweizer, riferendosi a quell'epoca ed allo straordinario fenomeno di questa eccezionale emancipazione autonomistica dello spirito umano, dirà: «Una cosa straordinaria! Una idea che, oltre a superare ogni capacità d'immaginazione dei musulmani di allora, resta una provocazione per parecchi cristiani del XX secolo». Resta cioè una provocazione per noi, amici, ed è fra gli eredi di quegli individui - pochi ne restano, pare, e di difficile identificazione - che occorre cercare, per quanta fatica ci costi, che occorre trovare, perché solo su costoro - ritengo - potremo contare per proporre una ri-collaborazione al fine di costruire, dallo sfacelo attuale del Mediterraneo, dalle rovine materiali e morali della Guerra del Golfo, quell'idea anzitutto, quella concreta realtà subito dopo, dell'unità federale del Mediterraneo, del nostro Mediterraneo, il Mediterraneo dei poveri, il Mediterraneo della creatività. Vivere, difendere, sviluppare la propria cultura A questi risultati in campo islamico si era giunti in epoca posteriore a Gesù Cristo attraverso secoli di fallimenti, di martiri, di fatiche, di sacrifici, nel magistrale insostituibile esempio iniziale degli anacoreti cristiani: perché se è vero - e ce lo conferma il solito Schweizer - che «L'Islam non ha papi che dicano in materia di fede una parola vincolante per tutti, cosi come la dogmatica cocciutaggine dei teologi può venire contestata da ciascun musulmano.. .» (i «monaci» musulmani, o quanto meno coloro che più si avvicinarono a tale «categoria», conquistarono e mantennero una loro costante indipendenza, a differenza dei confratelli cristiani). è Dur anche vero che dovettero sottostare occasionalmente a feroci dittature locali (il supplizio di Al Hallaj e quello, altrettanto emblematico, di Sohrawardi il creatore della «filosofia della luce» e fondatore fin da quei secoli della filosofia moderna iraniana, giustiziato, a soli 36 anni dal fanatico Salahddin - il celebre «feroce Saladino» dei Crociati), delle quali un esempio moderno potrebbe essere rappresentato da Khomeini: questi, si noti bene, si è imposto proprio sulla più ricettiva, futuribile e culturalmente valida setta musulmana, , A COMUNI D'EUROPA quella degli Sciiti dove storicamente è più vivo lo sforzo di restare fedeli ai valori di fondo e soprattutto a quelli della tolleranza islamica, così come è rimasta più viva l'esigenza di trattare tutti i temi filosofici e teosofici. da quelli orientali a quelli cristiani. Costante è stato quindi lo sforzo nelle categorie sufi più umili di approfondire, preservare e diffondere i significati profondi del messaggio coranico mentre altrettanto intenso, d a parte dei «filosofi», poeti e scrittori, operanti nell'area Sufi, l'impegno e la fatica per la trascrizione, lo studio e la diffusione dei ~ a t r i m o nculturali i greco-romani. orientali ed " ebraico-cristiani, fatica improba che comportava tra l'altro continui spostamenti fra i vari centri universitari e culturali (biblioteche) islamici. I1 Sufi e l'uomo di pensiero islamico non dovevano conoscere ostacoli, dovevano contribuire alla cultura di tutti, senza considerazioni di confine, per dirla con il solito Rumi: «Egli non è di vento, né di terra, non è di fuoco né d'acqua Fa piovere perle senza nuvole l'Uomo di Dio è un mare senza sponde» e ci piace identificare questo mare con il Mediterraneo «mare senza sponde» i cui messaggi di pace, di tolleranza, di amore - nel senso più lato sopra precisato - benché apparentemente sovrastati dalle silaventose aberrazioni, contrasti e soprusi dei poteri costituiti, di fatto si espandevano sulla sua superficie, portati dai nuovi venti, ritrasmessi dalle sue onde ben oltre i «confini» fisici del mare in tutti i territori che su di esso gravitavano. E l'incitazione era costante, agire, agire per la pace, la tolleranza, la conoscenza vera che non poteva non portare come conseguenza l'Amore universale e reciproco; vivere concretamente la propria cultura, considerarla emblematica di tutte le culture del mondo. Faticare, viaggiare, comunicare - era stato già il dramma degli apostoli di Gesù studiare soprattutto, creare e studiare, giorno e notte, senza cedere a fatiche o a coercizioni fisiche o morali da parte di chicchessia, senza lasciarsi distogliere dai propri impegni spirituali, dal servizio degli altri, dalla passione per la propria cultura o per qualunque componente di essa: «I1 mio animo inclina ad ogni cuore soverchiato dell'Amore. ad ogni lingua che parla di passione ad ogni ciglio che non cede al sonno», canterà l'egiziano Ibn Farid (XIII sec.), un altro dei grandi della storia dei Sufi, considerato il più celebre dei poeti mistici arabi. E le sue parole sembreranno riecheggiare quelle che da sempre vengono ritrasmesse dalle risacche mediterranee fino alle più sperdute e desolate spiagge, per l'orecchio attento di chi voglia ascoltarle, le parole, umili e maestose ad un tempo, di Lucrezio: «Ho vegliato le notti serene» («...me inducit noctes vigilare serenas») Conclusioni I motivi principali Abbiamo tanto insistito sul concetto di Sufismo perché di esso consiste la vera profonda COMUNI D'EUROPA natura dei possibili, potenziali interlocutori mediterranei, nordafricani e medio orientali, con le comunità dei quali riteniamo indispensabile stabilire vincoli federalisti in vista di una autonoma federazione mediterranea. e vi abbiamo insistito perché sappiamo che scuole di Sufismo assai efficienti ancora sono diffuse nel mondo islamico benché, come sopra precisato, spesso perseguitate, quasi ovunque fortemente indigenti. Vi abbiamo insistito perché taluni aspetti essoterici (estroversi) di esso, quale ad esempio i1 fenomeno dei cosiddetti «dervisci», è ancora in piena fioritura, pure in mezzo a innumerevoli ostacoli persecutori di carattere politico, ed esso rappresenta una fondamentale frazione dell'indipendente spiritualismo islamico «attivo» ed estroverso, da non confondere tuttavia integralmente con il Sufismo, aspetto «esoterico» ( = profondamente interiore) di esso, con il suo rigoroso, logico conseguenzialismo: il Sufismo, lo si ripete, rappresenta uno dei caposaldi su cui riteniamo dovrà poggiarsi l'anarco-federalismo mediterraneo quale noi lo intendiamo, nei suoi rapporti con 1'Islamismo. Non sarà un'impresa facile, la diffidenza islamica, africana e medio orientale nei confronti di noi occidentali è ormai profonda e disastrosamente approfondita dalla recente Guerra del Golfo, comunque la si voglia considerare: ma si ritiene che occorra insistere in questa direzione, non scoraggiandosi per inevitabili ostilità locali, diffidenze, persino ironie nei nostri confronti. I1 nostro benessere. così accuratamente preservato e idolatrato, rapportato alla terribile indigenza della maggior parte di quelle popolazioni, rappresenta il nostro tallone di Achille. Ma la solidarietà tra uomo e uomo di cui l'occidente necessita, nella sua spiritualmente sterile sovrabbondanza, più di quanto non vi necessitino i «poveri del Mediterraneo», ci esorta ad insistere, paradossalmente applicando un altro dei principi base del Sufismo, questa volta dovuto ad Ar-Rudhabari (deceduto nel 935), una regola di vita per quanti credono in essa: - - - «I1 Sufismo consiste nel fare inginocchiare il nostro cammello davanti alla porta dell'Amato anche se l'Amato ci respinge», dove, con il termine «Amato» tutto può essere inteso, nella sovrana libertà e autonomia spirituali dei Sufi, dal Dio Clemente e Misericordioso, al Dio Universale dell'amore, all'uomo, creatura di Dio, all'Uomo semplicemente senza alcun riferimento a creatori. quando la solidarietà laica verso di esso giustifichi l'esistenza di una regola s~iritualeinteriore, che è quanto basta ai Sufi perché si ilossa collaborare con essi. Volendo in definitiva riassumere i motivi del suggerimento di tale strada preferenziale «sufista» nel quadro di un programma federalista mediterraneo, essi possono essere definiti così come segue: 1) I1 Sufi ha sempre lottato per mantenere fede allo spirito originario dell'lslam che è tolleranza, spiritualismo, solidarietà, devozione Der il Creato. tutti attributi che un vero anarco-federalismo, quale quello che andiamo propagando da decenni, deve sentire come propri; sente, di fatto, come propri, anchese spesso in forma non trascendentale. 2) I1 Sufismo ha influenzato direttamente grandi esponenti di base della nostra cultura cosiddetta «cristiana», di fatto rappresentan- - - L d o quindi una delle principali componenti di quelle radici culturali, in difesa e in sviluppo delle quali proponiamo il federalismo mediterraneo. Solo per citare alcune delle figure profondamente influenzate dal Sufismo e che hanno storicamente modellato la nostra cultura, cioè noi tutti, voi che mi ascoltate - fra gli altri - ed io che vi parlo, si potrebbero fare i nomi, fra i «laici», di Dante, di Paracelso - quel minatore, medico, filantropo, europeista vagante per tutti i paesi d'Europa, scienziato indipendente, odiato perciò da tutti i cattedratici che lo accusavano di magia, mistico, neoplatonico, cattolico agostiniano, contestatore, perseguitato perciò dai fautori di tutte le forme dogmatiche di religione - d i Fibonacci, matematico del XII-XIII secolo, mediterraneista nel senso più specifico del termine, pellegrino dall'Egitto alla Siria, dalla Sicilia alla Provenza, a raccogliere, elaborare e trasmettere, per l'occidente, i risultati dello stuoendo fiorire delle scienze esatte nell'Islam, il riformatore delle scienze matematiche in Europa, il cui sviluppo dopo di lui, e ancora ai nostri giorni, non avrebbe più avut o soste, introduttore in Italia e nella stessa Europa della numerazione araba, autore di magistrali opere matematiche in una delle auali «Lettura Abbaci* doveva fornire una volgarizzazione dell'uso della matematica ad uso dei mercanti mediterranei che doveva consentire una esplosione senza precedenti di commerci fra i iloiloli di auesto mare e una costituzione di fatto di una «comunità economica» mediterranea, era anche commerciante, lui stesso; di Federico 11, d i Raimondo Lullo, il mediterraneo per antonomasia di Palma di Majorca del XIII-XIV secolo, «federalista. culturale» ante-litteram, conoscitore delle principali lingue del tempo, dal latino all'arabo, dal catalano al provenzale, autore di 243 oilere sicure e di un numero vistoso attribuitegli, mistico geniale, sofferto e creativo, scienziato lirico e rivoluzionario. a lui si devono le prime modernissime astrazioni nel campo delle ricerche.. ., di Bacone, di Pascal, e via via fino al tempo nostro, fino a Beniamino Franklin e scusate se dico poco ... per non parlare dei religiosi, basterà citare esemplificativamente papa Silvestro 11, Tomaso d'AL L quino. Tutti costoro attinsero, per frequenti esplicite ammissioni. dal Densiero e dal «modello» di vita dei Sufi; e salterà agli occhi come fra i nomi sopra citati sono i più grandi spiriti «transnazionali» che al «modello Sufi» direttamente o indirettamente si is~irarono. E questo «modello di Maestro sufi» - come ci dice Gabriele Mondel, direttore di istituto e docente alla Facoltà di Lingue e Letteratura straniera di Milano e nell'università Europea di Bruxelles e soprattutto direttore dell'Istituto islamico di Archeologia orientale - «oDera segretamente nel mondo. confuso fra la folla cui suggerisce di continuo i modi e le modalità per evolvere (ad esempio le prime università d'Europa vennero segretamente organizzate da Maestri sufi della Spagna musulmana), grazie al simbolo, alle arti simboliche, alla cultura antinazionalista e atemporale, alla disinibizione formale dello spirito, alla meditazione, alla contemplazione, superando concetti dogmatici e precetti.. . Per questo i valori usuali perdono significato, la verità contingente viene superata e spesso negata, per cui il vero Sufi è esattamente l'opposto di un religioso fanatico...». 3) Vi è tuttavia un altro elemento prefeL - MAGGIO 1994 renziale che suggerisce una prima proposta di ramorti di collaborazione con il mondo sufista: ed è il «concretismo islamico» di costoro, in ciò forse ~ i simili ù agli ,/ occidentali. con il vantaggio di una maggiore fedeltà alle motivazioni di fondo, troppo spesso dimenticate da questi ultimi nella loro frenesia scientifico-progressista. Scrive a questo proposito Idries Shah, fra i maggiori Sufi odierni esistenti, come si è visto: L L «Ma non abbiamo nemmeno incominciato ad enumerare i campi in cui questi grandi Sufi ed i notoriamente formati dai Sufi (questi sono una minoranza fra quelli esistenti, perché il Sufismo è azione non istituzione) hanno compiuto attività sociali filosofiche o d'altro tipo negli ultimi mille anni ... per questa loro fatica sono stati accusati di essere segretamente cristiani, ebrei, indù, apostati.. . vennero e vengono tuttora, in alcuni luoghi, ritenuti immorali perché permettevano alle donne di partecipare alle loro riunioni». .. E d è il Sufi Rauf Mazari che esprime, forse con maggior sintetismo, la connessione fra questi diversi elementi, tracciando, in un certo senso, una linea logica, un anello di potenzialità creativa dirompente su cui tanti mediterranei, di varia origine, cultura, provenienza, possono convergere e nella quale possono riconoscersi soprattutto i transnazionali e gli anarco-federalisti: «l'Amore è Azione; l'Azione è Conoscenza; la Conoscenza è Verità; la Verità è Amore». Possibili programmi Si va così delineando, per questo aspetto apparentemente così complesso, una sorta di articolazione dei rapporti di collaborazione con il mondo islamico - rapporti, lo si ripete, prioritari per qualunque finalità federalista mediterranea - una sorta di linea di azione, di programma iniziale che potrebbe essere così sintetizzato: 1) Ricerca di tutti i centri culturali Sufi vedremo poi le difficoltà di tale iniziativa o influenzati da Sufi, o comunque meno soggetti ai fenomeni di radicalizzazione estremista, nazionalista o xenofoba, forse più espliciti attualmente nel mondo islamico, notoriamente più estroverso, ma ben presenti anche nel mondo occidentale, benché meglio camuffati, come vedremo fra poco: ad esempio, i centri culturali magrebini, benché tutti concordemente anti occidentali in occasione dell'attuale Guerra del Golfo, sono troppo interconnessi con la cultura occidentale - e quella francese in Darticolare: la linpua francese è " fra l'altro divenuta la loro seconda lingua madre - Der non essere coscienti del contributo da essi fornito alla cultura cosiddetta occidentale come di quello da essa ipotecato e per non essere conseguentemente aperti a certe forme di collaborazione soprattutto a livello creativo. artistico. culturale. Analogamente i centri universitari per quanto politicamente massimalisti, soprattutto a livello studentesco, sono troppo interessati ad un proseguimento ed incremento della collaborazione scientifica con i centri universitari occidentali - interesse, del resto, perfettamente reciproco - per non vedere con favore un superamento dell'attuale fase di contrasto. MAGGIO 1994 Ad esempio, a chi vi parla risulta che l'attività della «Associazione delle università mediterranee» (cum) continui regolarmente il proprio proficuo lavoro. Infine i centri artistici a tutti i livelli mantengono per antomasia un rapporto di «collaborazione e interscambio~di creatività con analoghi centri occidentali, al di sopra dei pur presenti contrasti politici. Ed è in questo trinomio: cultura-Sufismocreatività, che vedo la chiave di volta per risolvere i problemi di una collaborazione iniziale la cui potenzialità successiva può gradualmente divenire esplosiva in senso transnazionale e comunitario. Di aui l'eccezionale im~ortanzadelle associazioni culturali, artistiche e scientifiche, delle più grandi, quale 1'Unesco (che appare tuttavia fortemente condizionata dalla sua rigida nazional-dipendenza, cioè dal fatto che i suoi esponenti sono rigorosamente selezionati dagli stati nazionali e sottoposti alla disciplina di questi) al sopracitato Cum, per il campo scientifico, al Movimento Federalista per le proprie componenti culturali e artistiche (una volta assai forti), alle minori; e qui mi riferisco esemplificativamente, ma esplicitamente, a organizzazioni del recente e del presente quali «Lotta Federalista» che fin dagli anni 1960, partendo dall'aspetto politico, comprese e sottolineò, esemplificandola, l'importanza determinante della creatività artistica e la validità degli elementi utopici per affrontare problemi politici apparentemente irrisolvibili, od il Teatro Globale che, partendo questa volta dalla «via opposta», dal campo creativo ed utopistico, ne sta comprendendo e valutando l'importanza determinante in campo politico. 2) Analisi, con le controparti comunitarie mediterranee, delle comuni radici culturali, del loro attuale stato di crisi., so~rattuttodel pericolo - mai come in questa fase storica drammaticamente incombente - di una definitiva spaccatura del fondamentale creativo «anello» mediterraneo ~reziosoDer la sintesi dei valori europei, africani e medio orientali; spaccatura che seguirà inevitabilmente, anche senza la specifica volontà di alcuno, al graduale consolidarsi dei due monolitici blocchi europeo ed africano e dei rispettivi interessi. Vorrei aggiungere, abbandonandomi anch'io, solo per un momento, alla validità piacevole della creativa fantasia, che occorre prevedere analisi comuni del rischio gravissimo che corre la nostra «lam~adadi Aladino» tramite la quale possiamo ancora oggi - ma fino a quando? - evocare il Genio onnipotente dello Spirito del Mediterraneo con il suo grande turbante. Ce la stanno rompendo, amici transnazionali, anarchici e federalisti, la nostra lampada. e con essa scom~ariràil nostro Genio mediterraneo: e sarà rottura irrimediabile, come lo fu per le Alpi, sede un tempo di una cultura comune e di un complesso di popolazioni che le caratterizzarono, successivamente linea di frontiera fra etnie standardizzate e finalizzate allo scontro frontale. Difendiamola, amici, la nostra lampada di Aladino, sediamo attorno ad essa come attorno ai fuochi notturni sahariani., ~ e r c h ci é è indispensabile individualmente e collegialmente. Essa rappresenta la nostra cultura mediterranea che, opportunamente «maneggiata», crea il gigantesco spirito della creatività mediterranea mediante il quale qualunque pro- - L - . -~ - blema sociale e politico può essere affrontato e risolto. E «maneggiarla» significa prenderne adeguata conoscenza in tutte le sue articolazioni e derivazioni, identificarne le origini, proporci - sempre in cooperazione fra comunità mediterranee - quali custodi e gestori di essa, poi amministratori della cultura in essa racchiusa, in una parola chiedere, esigere, conquistare il Federalismo mediterraneo. 3) Identificare tutte le etnie e soprattutto le minoranze gravitanti nel bacino del Mediterraneo, cercare di raccoglierne quanti più dati possibili di carattere culturale (storia, lingua, creatività), caratteristiche territoriali (architettura, urbanistica, tradizioni, folklore), e di carattere sociale (livello economico, esigenze varie). 4) Identificare le etnie o comunque le comunità a rischio, sia per motivi politici contingenti (esempi fin troppo evidenti sono rappresentati da Curdi, Armeni, Touareg, ecc.) sia per lento degrado dovuto a disinteresse degli stati nazionali maggioritari. Tali ricerche, sono sicuro, riserveranno sorpresa per ciascuno di noi e comunque ci compenseranno dell'eventuale fatica, fornendoci un corredo di notizie che ci sarà prezioso non foss'altro perché coinvolge comunità umane di cui facciamo Darte culturalmente. 5 ) Cercare di stabilire una interconnessione fra i principali centri culturali e politico-culturali mediterranei disposti ad un eventuale programma di federalismo meditevaneo; e scambiarci ogni possibile informazione cercando di coordinare i corrispettivi sforzi. Si potrebbe esemplificativamente citare fra questi il Partito transnazionale, per la concordanza ~ressochétotale sulle finalità. il Movimento Federalista Europeo, nei limiti già sopracitati in cui le due linee programmatiche vengono tenute rigorosamente separate, il gruppo Lotta Federalista-Teatro Globale per la valenza utopico-federalista che già negli anni '60 e '70 preannunciò l'indirizzo anarchico-culturale, adesso riconosciuta come causa ed effetto del crollo degli imperi totalitari («la fantasia al Dotere». l'Arte. la Creatività artistica ed i suoi esponenti come avanguardia e sostituti dei poteri politici), 1'Areda, Associazione Radicale per lo Stato di Diritto in Africa. A proposito di quest'ultima, se ne vorrebbe sottolineare l'importanza particolare, non solo da un punto di vista «progettuale», perché dal suo successo dipende la sorte dell'auspicabile riferimento ai paesi nordafricani e sahariani (un federalismo non è concepibile che fra comunità democratiche o in fase di democratizzazione), ma soprattutto per l'esempio fornito di azione concreta in loco, volontaristica in condizioni socio-ambientali particolarmente difficili e complesse. 6) Attivare, in ogni settore della creatività umana, interessi verso il mondo mediterraneo con riferimento specifico, per non restare nel vago, alla sua realtà odierna, alla sua realtà passata, alla sua creatività passata e soprattutto a quella potenziale moderna: sia in campofigurativo (e qui pensiamo all'esempio assai probante della Biennale di Venezia nella quale potrebbe essere enucleato un «corpo» mediterraneo), che in campo teatrale soprattutto (riproducendo, diffondendo, recitando o anche solo dando pubblica lettura di testi teatrali elaborati nelle varie comunità mediterranee, quelli africani assai interessanti per quanto poco conosciuti), in campo musicale (e qui pensiamo alle varie associazioni di musica COMUNI D'EUROPA moderna. alcune delle auali validissime in Roma: il giornale «Lotta Federalista» potrebbe essere riattivizzato anche in auesto senso e riprendere la gloriosa tradizione della «Bronislaw Hubermann Society» ("), così come in tutti gli altri campi della creatività (dalla letteratura alla danza. al mimo e via dicendo): con particolare riguardo ai fondamentali problemi mediterranei di natura politico-etnica (minoranze di ogni genere); sociale (miserie, carenze di sviluppo, fanatismi, problemi della donna, soprattutto arretratezza medico-assistenziale, istruzione pubblica, ecc.); ambientale (desertificazione avanzante, siccità, problemi di difesa e valorizzazione ambientale, ecc.), economica, la cui importanza è ovviamente basilare, ma che abbiamo citato per ultima proprio perché tale problematica sia vista in funzione delle finalità precedenti, e non come «fine a se stessa» secondo il modello occidentale i cui limiti e i cui disastri ambientali e psicologici sono sotto gli occhi di tutti. 7) Creare, a livello di pura creatività o di promozione e stimolo, testi di qualunque genere. dai letterari ai teatrali. musicali. televisivi, documentaristico-creativi (la «documentazione» e rappresentazione saggistica, giornalistica, televisiva o altro dell'attuale realtà socio-ambientale-artistico mediterranea può assurgere a livelli di creatività originaria di primissimo ordine), cercando di diffonderne i contenuti a tutti i livelli e negli ambienti più vasti possibile. 8) Inutile sottolineare ancora una volta come la ripresa dei giornali «storici» federalisti, da «Popolo Europeo» a «Lotta Federalista», oltre alla diffusione di «creatività diretta» potrebbe rivestire importanza basilare per ogni tipo di proposta, diffusione e discussione organizzativa nei sensi sopra esposti; non si scordi che i valori metodologici e organizzativi di cui alcune persone dispongono equivalgono in ogni senso a valori creativi, come quelli artistici dei quali rappresentano «forme» dovute a particolari aspetti di talenti spesso eccezionali. ~ ~ Le difficoltà da preventivarsi Inutile nascondere e nasconderci le difficoltà del progetto di «Federalismo mediterraneo» su cui ci siamo prima dilungati; cerchiamo di esaminarle rapidamente nei limiti di tempo concessi dal presente intervento, riservandoci di tornare su di esse nel corso dei successivi indispensabili incontri fra coloro che decideranno di aderire a questa «proposta di programma» per un federalismo mediterraneo. I ) Difficoltà di ordine politico a) Precedenza Est-Ovest: inutile dilungarsi sulla prioritaria importanza che tale argomento (rapporti Est-Ovest) riveste attualmente e per motivi certo non secondari, nelle attenzioni, impegni, sforzi dell'attività politica internazionale. Le recenti vicende dell'Est europeo giustificano questo «stato di fatto» che distrae non poco l'attenzione di tutti e di ciascuno dal (') La ben nota associazione musicale federalista intestata al violinista Bronislaw Hubermann che, in alcuni anni di attività e di concerti, ottenne l'adesione al federalismo europeo, mediante lettere circostanziate al giornale «Lotta Federalista)) di violinisti e musicisti di ogni parte del mondo. COMUNI D'EUROPA problema Nord-Sud, cioè dal problema dei paesi in via di sviluppo, di quelli africani in particolare e specificatamente del problema mediterraneo che connette concettualmente, politicamente, geograficamente, socialmente l'Europa all'Africa. Solo il Vaticano, più preoccupato degli uomini che delle vicende politiche, intuisce che la gravità dei problemi dei paesi dell'Est potrà essere risolto forse in tempi anche abbastanza brevi a causa delle risorse economiche di questi (come è noto le ricchezze agricolo-minerarie-energetiche dei ~ a e s ex i sovieti" ci, Russia compresa, sono superiori a quelle degli Stati Uniti), mentre il problema dei paesi in via di sviluppo (sahariani e africani in particolare) è per ora senza prospettive di soluzione e ogni «ampliamento» del solco («hiatus» in termine Unesco: voce ipotecata dalla geologia) che divide Europa da Africa, ossia il mondo cosiddetto «occidentale» dal Terzo mondo, rischia di creare una frattura irreparabile e le cui conseguenze possono essere catastrofiche e inimmaginabili. Toccherà a noi federalisti, soprattutto a noi anarchici-federalisti e libertari, sviluppare il discorso federalista Nord-Sud, imperniandolo sul «mito mediterraneo» che ci potrà essere di grandissimo aiuto, proprio per la sua natura di «mito» e di leggendaria, concreta utopia foriera di tempi migliori per il disastrato mondo mediterraneo in agonia nel auale ci stiamo attualmente dibattendo. b) Estremismo islamico: in attesa di esaminare fra qualche istante l'estrernismo cristiano, forse più pericoloso del precedente, per quanto meno appariscente, la particolare risonanza di quello islamico in questo momento è causata dalla presenza di masse popolari carenti di tutto, dilaniate da guerre stimolate dall'occidente mediante apenetrazioni economiche» alienanti rispetto alle delicate e fondamentali caratteristiche geo-culturali locali: con conseguenti fenomeni di neocoloniali" smo, vendita diretta di quantità ingenti di armi, manovre politiche ad ogni livello per salvaguardare gli indispensabili rifornimenti petroliferi a favore dei paesi più progrediti. Tali «masse popolari» sono ovviamente facilmente fanatizzabili soprattutto in senso anti-occidentale ma ciò, se denuncia gravi responsabilità da parte islamica, ne denuncia di più gravi da parte dei paesi cosiddetti «sviluppati»: non si dimentichi che i contrasti pluridecennali fra occidentali e orientali ricchi (fra occidente e comunismo sovietico) ha istigato ancora di più la manipolazione dei governi di tali popolazioni nel tentativo di strumentalizzare queste ultime rispettivamente a favore delle due parti. La Guerra del Golfo ha portato la situazione ad uno stato di crisi apparentemente senza rimedio almeno nei brevi termini: ed è per questo che, nella prima parte del mio intervento, mi sono tanto soffermato su questo punto e sulla «via dei Sufi» che sembra oggi l'unica via percorribile non tanto per una provvisoria riconciliazione, per una «panacea» provvisoria per fronteggiare il disastro in corso, ma perché - secondo chi vi parla - essa rappresenta «la via» attraverso la quale l'unità mediterranea. il federalismo mediterraneo possono essere prima prospettati come meta comune, successivamente perseguiti e, se Dio ci aiuta, un giorno raggiunti. Ma riuscire ad impegnarsi su questo obiettivo sarebbe già un trionfo. C) Estremismo cristiano: forse più che di estremismo nei confronti del mondo dell'I- - slam si può parlare di secolare diffidenza radicata nella gente comune come conseguenza di una altrettanto plurisecolare educazione che ben raramente ha messo in risalto la straordinaria valenza spirituale dell'Islam, le profonde derivazioni1 connessioni con il Cristianesimo, la potenzialità universale della sua cultura che, se ha attinto a piene mani da quella orientale greca e biblico-cristiana, ha elaborato e restituito in maniera maggiore di quanto ne abbia attinto facendoci di conseguenza più debitori che creditori nei suoi confronti. Inutile stare ora a polemizzare sul perché, nei secoli passati, siamo stati tenuti all'oscuro della verità di questo interscambio, di queste radici comuni con l'Islam, cosa che avveniva molto meno, come si è visto, in ambito islamico dove le grandi figure della religione cristiana e i loro messaggi scritti (Gesù, Maria, i Santi, il Vangelo, la Bibbia) erano venerati come in quello cristiano (insistiamo ancora su Gesù «sigillo dei Santi» considerato almeno «in parallelo» con Maometto «sigillo dei Profeti») e dove conseguentemente le forme di «integralismo ed esclusivismo» di fondo erano meno radicate che nel mondo cristiano con la conseguenza di una tolleranza assai più accentuata. Tale fenomeno era poi favorito dalla mancanza di potere centrale che limitava gli estremismi a potentati locali, estremismi destinati conseguentemente a spegnersi con la scomparsa dello stesso potentato. Comunque ci troviamo a dover fronteggiare, da parte cristiana, una diffidenza «pseudo religiosa» assai radicata nella gente di scarsa coscienza culturale, associata ad una diffidenza per stadi comportamentali sociali ritenuti «inferiori» ai nostri, se non addirittura primitivi: patriarcato, poligamia, scarsi diritti riconosciuti alla donna (la donna occidentale è infatti l'elemento istintivamente più diffidente verso il «sistema» islamico e conseguentemente verso il mondo corrispondente). E ancora occorre aggiungere la carente differenziazione fra diritti civili e religione, con conseguente carente libertà personale addirittura con carente «esigenza di libertà». Abbiamo visto come tali «situazioni» siano state superate dalla filosofia islamica e soprattutto lo sia stato da parte dei suoi esponenti più prestigiosi fautori dei suoi più profondi significati etici, quelli appunto difesi strenuamente per oltre un millennio dai Sufi. Ma, in occidente, in genere, il Sufismo non si sa neppure cosa sia. Certo, la situazione del federalismo nel caso «europeo» (anni '50-'60) era ben differente, l'azione federalista era favorita da uno «snobismo intellettuale» dove tutti e ciascuno preferivano sentirsi e considerarsi europei, eredi ed artefici della cultura europea. Nel caso del federalismo mediterraneo occorrerà ristabilire la verità della situazione storica, ciò che non sarà comunque difficile, la verità della situazione culturale, la sua potenzialità creativa futura: perciò l'intervento del mondo culturale e soprattutto artistico-creativo è letteralmente fondamentale. Siamo invece avvantaggiati da una ((vocazione» mediterranea, che mi pare aver sopra definita «fisiologica», sulla quale si tornerà più avanti e da una nuova «ottica» con cui la Chiesa comincia a guardare al mondo islamico ed ai popoli africani ed in particolare a quelli sahariani dove, come è noto, l'lslam è predominante. d) Conservatorismo storico: infine una ulteriore «complessità>>politica è rappresentata MAGGIO 1994 da una precedenza storica che i movimenti unionisti europei ed africani sembrano avere, e vorranno presumibilmente mantenere, su ipotetici analoghi movimenti di carattere mediterraneo, peraltro non ancora comparsi sugli orizzonti politici. Senza voler parlare del Movimento Federalista Europeo, artefice primo, con personaggi emblematici quali Altiero Spinelli, delle azioni integrative del Continente (anche se purtroppo sfociate in progetti e realizzazioni eticamente e socialmente ben differenti, se non contrarie, a quelle sognate, idealizzate e concretamente progettate negli anni '60), si potrebbe parlare del Movimento per l'Unità Africana, sponsorizzato, almeno a parole, dalla maggior parte dei «governi» più o meno democratici attualmente al potere e appoggiati anche con una certa concretezza dal Ministero degli Affari Esteri italiano. Inutile ricordare come questo, tramite l'Istituto Italo-Africano, festeggia ogni anno questo movimento in Roma con l'intervento dei principali rappresentanti «ufficiali» dei governi al potere in Africa. Nonostante le prevalenti componenti economico-conservatrici dei movimenti europeisti e la blanda adesione, forse più formale che altro, al movimento unionista africano da parte dei paesi interessati di quel continente, è certo che ogni nostra iniziativa in senso federalista mediterraneo per una federazione dei poveri e della creatività, sarà accolta, nella migliore delle ipotesi, da considerazioni quali «facciamo prima l'Europa» o «facciamo prima l'Africa», da parte di chi non capisce che, una volta costituiti i «blocchi statali» europei e africani, già il federalismo mediterraneo sarà sepolto, distrutta ogni possibilità di autogestione socio-culturale mediterranea; distrutte cioè le basi di quello che riteniamo l'indispensabile federalismo mediterraneo. Non solo, ma con la distruzione di questo sarà distrutta sia ogni possibilità di democratizzare in senso progressista-utopista l'Europa (dando al termine utopista il suo valore di vera creatività politica in senso umano e sociale), estraendola dagli attuali pantani di una difesa esclusiva della propria presente «opulenza a qualsiasi costo» e di quella futura da incrementarsi in ogni modo, che sembrano essere i soli ideali oggi imperanti in campo ufficiale europeo, così come ogni possibilità di democratizzare in senso sociale federalista la stessa Africa destinata a prendere l'opulenza come modello, sacrificando ad essa ogni prioritario valore culturale. In tal caso non ci resterà che l'amara prospettiva di assistere o partecipare all'allestimento di ipotetiche sempre crescenti opulenze europee ed africane destinate a confrontarsi sulle rovine del mondo culturale mediterraneo, un «ricordo storico» quest'ultimo - tale è la prospettiva che resta per esso lungo una «frontiera» marittima, una nuova infame frontiera su cui fronteggiarsi e più probabilmente ostacolarsi a vicenda, salvo le esigenze del turismo naturalmente: le Alpi e il fiume Reno, una volta splendide armoniose aree culturali, fra le più creative del mondo, insegnino in materia, ridotte come sono a successioni di cimiteri di guerra nelle quali, a loro volta, imperversa il turismo, destinato - è fatale - a incrementarne l'opulenza ma che non ci restituisce né i nostri morti di guerra, né le etnie soffocate, né la creatività locale della quale, spesso, si è soppressa persino la documentazione. Occorre quindi insistere, da parte dei tranMAGGIO 1994 snazionali e degli anarco-federalisti. su come il «federalismo mediterraneo» abbia un senso ed uno s c o ~ osolo se lo si introduce. almeno programmaticamente prima della consolidazione, nel bene e nel male, dei due monoliti europeo ed africano, per quanto «federalisti» questi vogliano autoconsiderarsi. Le già citate scariche di mitraglietta fra i guardiacoste tunisini, in fase di «africanizzazione». e i ~eschereccidi Sicilia in fase di «strarburghizzazione» sono un sinistro presagio in materia: così come lo sono gli altezzosi rifiuti da parte italiana di ricevere sul suolo italiano i compatrioti albanesi: si poteva forse chiedere e studiare una gradualità di arrivi, non opporre un rifiuto per salvaguardare i propri comodi politico-nazionali ed i grassi interessi statal-nazionali, e si doveva soprattutto accettare tali compatrioti, ridotti allo stremo, anche a scapito di tali interessi. Tali «sinistri presagi» possono tuttavia rappresentare una fortuna se, anziché accettarli per tali, si reagisce ad essi - come ha fatto ad esempio la popolazione pugliese ospitando in ogni modo gli ospiti albanesi - cercando di creare condizioni tali (nel nostro caso pronrammando un federalismo mediterraneo) perché essi non abbiano a ripetersi. e) Ultimo ostacolo politico è rappresentato proprio dalle mire politiche dell'attuale cosiddetto «integralismo islamico», che tenderebbe a unire in una unica «nazione» (!) islamica tutta la fascia mediorientale e nordafricana costituita da paesi dalla popolazione per la stragrande maggioranza islamica. Si tratta, come si vede, di qualcosa di ben diverso non solo dall'auspicabile federalismo ma anche da qualunque forma di Unitarismo autoritario africano, altrettanto pericoloso perché «spaccherebbe» in uguale irreparabile modo il «mondo unitario» mediterraneo; probabilmente più pericoloso ancora perché alimentato da integralismi religiosi, fanatismi, nazionalismi sciovinistici che potrebbero rappresentare una meta più appetibile, facile e sicura rispetto alla complessa unità federale africana. Tale integralismo islamico sarebbe deleterio per tutti, per la pace del mondo anzitutto, perché alimenterebbe espansioni in ogni parte del globo, per le popolazioni interessate, che sarebbero coinvolte in guerre continue e sottoposte verosimilmente a dittature spietate uniche forse in grado di gestire tali coacervi, ma esso sarebbe deleterio soprattutto per 1'Islam che perderebbe la sua prerogativa di religione e costume di vita al di fuori e al di sopra di politica e potere - esemplarmente esente esso stesso da poteri - e che da questa sua obiettivamente riconoscibile aualità (le eccezioni locali, per quanto vistose ed attuali. non fanno testo) ha derivato il suo fascino principale, il suo valore culturale di fondo, la sua potenzialità creativa nel quadro della cultura universale. A questa jattura ancora una volta il federalismo mediterraneo potrebbe porre rimedio offrendo, con il contesto mediterraneo, un palcoscenico sul quale tutte le religioni potrebbero estrinsecarsi, confrontarsi, difendersi e arricchirsi vicendevolmente, il che fra l'altro - è nei postulati del migliore Islam (e si accennerà più avanti alla esemplare Costituzione di Medina) e del Sufismo in particolare. come si è visto soma. In questo caso l'azione degli anarcofederalisti mediterranei dovrebbe consistere nel persuadere le controparti che la «proposta» per una federazione di popoli mediterrau u nei è nell'interesse di tutti e dell'Islam e della sua cultura principalmente. Ancora una volta il problema non sarà facile ed è ancora una volta al mondo Sufi, ed a quello più specificatamente culturale islamico, anche se non propriamente Sufi, che ci dovremmo rivolgere, dove ritengo l'accoglienza potrebbe essere cautamente favorevole. 11) Difficoltà di ordine istituzionale Benché non sia questo né il luogo né il posto per affrontare problemi così complessi, tuttavia essi vanno identificati per non essere troppo facilmente accusati di vano velleitarismo, di aspirazioni a mete irraggiungibili. Si tratta in definitiva di prospettare soluzioni, anche se solo adombrate, circa la situazione di eventuali comunità, che intendessero aderire ad una prospettata federazione mediterranea, facendo già parte, ad esempio, di una «federazione europea». Non si può naturalmente disfare la federazione europea per fare quella mediterranea e ciò anche se quest'ultima potesse sembrare più urgente, nel quadro dell'attuale tragico sconquasso dell'area interessata. Occorre quindi preventivare soluzioni quali «zone franche, zone di libero scambio, doppie cittadinanze», legislazioni a scelte alternative: si pensi all'attuale sistema italiano, e non solo italiano, di devolvere parte dell'esborso per tasse a questa o a quella attività amministrativa o sociale o benefica o religiosa, sistema che potrebbe essere ampliato ad interi corpi legislativi da scegliersi, nei limiti in cui l'uno non danneggi l'altro. Renato Angeloni, uno dei più grandi costituzionalisti italiani e mondiali (fra i fondatori - oltre al resto - assieme a chi vi parla e a pochi altri, del Centro socio-scientifico internazionale di «Geomorfologia integrata per l'Area mediterranea»), incaricato dall'Onu di studiare una costituzione democratica per l'islamica Somalia, riuscì a creare un «capolavoro» di integrazione, conciliando la «morale religioso-legislativa» islamica con i corpi legislativi dei paesi laici, con risultati che si rivelarono pienamente funzi~nantianche se, in tempi successivi invalidati dalle solite faide per il potere comuni a tutti quei paesi, islamici o meno. Ed era certamente più difficile conciliare una legislazione religiosa integralista quale quella islamica con una legislazione laica di quanto non possa essere conciliare due legislazioni - Europea e Mediterranea - che, per quanto al servizio di esigenze, comunità e problematiche diverse, hanno comunque, o dovrebbero avere, obiettivi di fondo identici, quali la preservazione della libertà, del federalismo, della pace, del diritto, dell'assistenza alle categorie più disagiate e via dicendo. Problema complesso dunque, ma non irrisolvibile, la soluzione del quale, tra l'altro, consentirebbe quella profonda osmosi fra cultura sociale e legislatura mediterranea ed europea contribuendo a democratizzare in senso più progressista ed internazionalista quest'ultima ora concentrata nella preservazione ed accentuazione del benessere della comunità che si riconosce in essa, così come contribuirebbe a democratizzare, in senso maggiormente rivolto ai diritti del singolo uomo, una eventuale legislazione mediterranea con forti influenze islamiche. Del resto, fu proprio un grande islamico, COMUNI D'EUROPA Averroè, che, fin dal XII secolo, identificando i limiti che si erano andati definendo attorno all'Islam, ma comprendendo altresì che l'Islam, per la sua stessa natura, non poteva tollerare limiti, salvo quelli che negassero il Dio Clemente e Misericordioso, proclamava alla sua gente, e in effetti proclamava a tutta la cultura universale: «O uomini! io non dico che questa scienza che voi chiamate divina sia falsa: dico soltanto che io sono uno che conosce la scienza umana.. .». Con ciò stesso rivendicando, accanto ai diritti inalienabili dello spiritualismo islamico («io n9n dico che questa scienza divina sia falsa...»), i diritti dell'uomo e le sue esigenze («dico soltanto che io sono uno che conosce la scienza umana...»). cioè la necessità che le due «esigenze» si integrassero a vicenda: in ogni modo che l'Uomo venisse riconosciuto come soggetto fondamentale della vita terrena. Era il preannuncio del Rinascimento ed un preannuncio, si badi bene, datato anteriormente al 1200: gli ortodossi islamici, le componenti più bigotte delle masse, presenti in tutte le religioni, sotto tutte le latitudini, le stesse così facilmente fanatizzabili oggigiorno - si scagliarono contro di lui, richiamato e relegato perciò in Marocco dal sovrano Almohade Al-Mansur. Ma l'affermazioneproclama doveva ripercuotersi come una bomba nell'Andalusia, patria di Averroè e, dalla cassa di risonanza della allora scintillante e dilagante cultura islamica, alla stessa medioevale Europa, scardinandone le componenti più oscurantiste. Ai funerali di Averroè partecipava tutto il mondo della «vera» cultura di allora, la disperazione di Ibn Arabi per una tale perdita era bene comprensibile. Si creava un altro «punto di riferimento» cui potremo rifarci noi federalisti mediterranei moderni. Né ci si venga a dire che si trattava di un uomo e di una affermazione di 800 anni fa: significa non conoscere 1'Islam e gli islamici Der i auali non sussiste una successione «orizzontale storicista» del pensiero dello spiritualismo, ciò che, se ne limita l'aggiornamento in rapporto alle vicende storiche, ne valorizza anche, attualizzandolo, ogni principio veramente valido per il quale non c'è passato, esiste solo il presente e l'infinità del Creato, sempre uguale, riferibile ad esso. Averroè, Ibn Arabi, la loro comune patria, 1'Andalusia... Ma che cos'è 1'Andalusia se non Mediterraneo? E cosa sono Andalusia, Sicilia, Maghreb ed altre regioni se non emblematici cardini fisici-geografici della unitarietà del mondo mediterraneo, se non dimostrazioni senza tempo di quale trionfo di creatività può derivarci da un reciproco innesto di queste diverse culture, il cui identico denominatore comune, il Mediterraneo, avrebbe garantito, garantisce e potrà garantire Der il futuro - se solo ci muoviamo in tempo, e siamo già in ritardo - un insostituibile ~otenzialeassociativo e creativo senza precedenti? In definitiva è proprio in funzione di tale osmosi tendente a «connettere» mondo EuroDeo e mondo Africano che viene considerata e prospettata l'urgenza di una programmazione finalizzata al federalismo mediterraneo. Per inciso, tali «soluzioni» interesserebbero oltre alla connessione Mediterraneo-Europa, anche la connessione Mediterraneo-Africa così come potrebbero essere in forme diCOMUNI D'EUROPA verse riutilizzate per conciliare le esigenze autonomistiche e legislative del mondo nordico-europeo che, come si sa, teme motivatamente una eccessiva propria sudditanza al mondo centroeuropeo. I1 problema non può che essere affrontato da giuristi che credano nel federalismo e nella cultura mediterranea, che abbiano in definitiva quella «vocazione per il Mediterraneo» che sola può convincerli ad affrontare un problema talmente complesso ma, lo si ripete, di non impossibile soluzione. I1 pensiero, scomparso Renato Angeloni, va a quegli specialisti e studiosi di scienze legislative e costituzionali che a suo tempo anni 1960! - promossero e gestirono le iniziative federaliste di allora (quelle di piazza in particolare che portarono al Congresso del Popolo Europeo), o che oggi sono ai vertici dei centri di studio sulla legge, il diritto e la costituzione. Essi, anche per antica vocazione federalista, potrebbero, se non risolvere, almeno affrontare il problema e suggerirne possibili soluzioni. finirò mai di ricordare). Der ricorrere ad i m ~ o sizioni coercitive allucinanti cosiddette «sociali», al prezzo di soppressioni di libertà e creatività (si ricordi il suicidio di Majakovski) e di un devastante burocraticismo. sembra giustificare, dinnanzi ad una società pigra ed opulenta, la necessità di curare soltanto la propria «personale» opulenza, in nome della propria «personale» tranquillità, della propria «carriera», assolutamente prioritaria, della «professionalità» oggi idolatrata in sé e negli altri: i progettisti delle camere a gas di Dachau sostengono, probabilmente a ragione, di essere stati «professionisti» seri e coscienziosi, così come il dr. J.I. Guillotin, inventore della celebre ghigliottina, così come gli inventori e i progettisti delle famigerate modernissime - presto elettroniche - «sedie elettriche» oggi in allegra continua funzione negli Stati Uniti d'America. «La famiglia innanzi tutto», questo lo slogan odierno, i «figli» che devono avere la precedenza assoluta, il «lavoro», non più visto come fonte di sostentamento o soddisfazione di una vocazione sociale e creativa, ma come fonte di accumulo di ricchezze., semDre nuove e più estese ricchezze, per rispondere a stimoli sempre più parossistici. Le Università di Economia e Commercio rigurgitano di aspiranti «miliardari proprietari di panfilio. Questa triste ipocrisia si trasforma spesso in «autoipocrisia»: il singolo cioè si autopersuade della legittimità delle motivazioni cui ho fatto prima riferimento e si sente pienamente giustificato della propria inerzia dinnanzi alla tragedia degli uomini, del loro mondo e della loro cultura. L'assuefazione al proprio benessere ed a forme sempre maggiori di esso, diventa una droga che irresponsabilizza gli individui, dai quali è ben difficile ottenere qualcosa di più di un generico apprezzamento per le «buone intenzioni» che si dovessero esibire. In questo particolare quadro sociale, una iniziativa auale auella di un federalismo mediterraneo, rispondendo a criteri etico-politici di coordinare l'unione di sempre maggiori e più estesi sistemi di comunità (come del resto fa da temDo il Movimento Federalista Europeo), risponderebbe anche a urgenti criteri politico-sociali che, nel riportare la pace e nel proporre sistemi integrati mediterranei, porrebbe le basi per risolvere i drammatici problemi sociali locali non solo nella fascia dei paesi africano-sahariani, privi quasi del tutto di risorse (se non ambientali), ma anche in quelli «petroliferi» (ad es. Algeria) dove la situazione sociale è, a dir poco, catastrofica, per non parlare dei paesi dell'area orientale del bacino del Mediterraneo semidistrutti dalle recenti nuerre. In definitiva, pur nei limiti inizialmente modesti delle proposte che qui si fanno in favore di un federalismo mediterraneo, si tornerebbe a rispondere, oltre alle esigenze culturali sulle quali ci siamo precedentemente lungamente soffermati, anche e soprattutto a quelle istanze sociali e umane che caratterizzarono e nobilitarono all'inizio del secolo i liberi autonomi movimenti di base dei lavoratori, con possibilità non solo di «drenare» tutti coloro che nell'attuale quadro politico non trovano incentivi sufficienti a giustificare un proprio intervento e sacrificio personale a favore di esso, ma di stimolare e vivificare, verso ideali concreti, urgenti, improcastinabili, sociali e culturali, una società in fase di sprofondamento sempre maggiore in una torbida, interessata inerzia assenteista. A L III) Difficoltà di carattere sociale Forse più che di difficoltà di carattere sociale si tratta di difficoltà di carattere psicologico-sociale. Occorre cioè lavorare, soprattutto in Europa, in una società convertita faticosamente e solo parzialmente all'europeismo; purtroppo non al vero federalismo rifacentesi alle federazioni di base dei lavoratori del secolo scorso ed alle loro s~lendideanarchiche iniziative autonomistiche per rivendicare i propri e gli altrui diritti. Tale odierna società cerca di adattarsi stancamente all'idea di Europa per motivi di carattere prevalentemente economici e personali. la difesa dei ~ r o ~interessi ri materiali. dei propri capitali, delle proprie ricchezze che sembrano menlio difese in un contesto europeo e soprattutto passibili di essere convenientemente incrementate in esso. Si badi che non si vuole fare qui demagogia anticapitalista, riconoscendo alla libera iniziativa, ed al capitalismo che la presuppone e la finalizza, i meriti di dinamismo e progresso economico generale, anche se non di progresso umano individuale, che tutti conoscono. Si vuole solo constatare che dinnanzi alla droga del proprio benessere materiale ed all'esistenza di un crescente consumismo astutamente finalizzato a tale scopo, è ben difficile chiedere e ottenere adesioni su nuove finalità politiche, su nuovi programmi, per quanto la loro validità, la loro improcrastinabilità risulti evidente, solare. Non esistono, nella società attuale - diciamo nella parte assolutamente prevalente di essa - esinenze e diritti che non siano le proprie esigenze, commisurate alle sempre più pletoriche esigenze dei tempi, ed i propri diritti, benessere che non sia il proprio benessere, commisurato al benessere a sua volta pletorico della società nella quale siamo inseriti. La crisi degli «altri», l'oppressione degli «altri», la fame degli «altri», la fame di tre quarti della intera umanità, proprio non interissa, disturba, non viene perciò presa in considerazione: le istanze sociali internazionali di un tempo sono assopite, il tragico errore del comunismo di abbandonare l'anarco-federalismo di base (le famose federazioni operaie ottocentesche della Va1 Padana che non A - - - MAGGIO 19'34 Condizioni facilitanti i programmi proposti Dopo esserci soffermati sulle difficoltà, accenniamo qui brevemente agli aspetti facilitanti una attività quale quella sopra proposta: I ) Aspetti di carattere economico e socio-culturale a) Qualunque persona riflessiva o anche solo sollecita dell'attuale situazione europea e mediterranea non potrà non convenire sull'allucinante assurdità del vicolo cieco in cui si è infilata l'Europa alla stanca ricerca di una unità che le consenta di isolarsi sempre più nella gretta difesa ed incremento del proprio benessere; situazione che sta arrivando a tali gradi di gravità da ripercuotersi anche psicologicamente nell'equilibrio dei singoli individui. Conseguentemente la nostra proposta, a parte tutte le altre motivazioni e finalità di fondo, anche se accettata all'inizio solo da una minoranza. lo sarà da una minoranza i cui componenti disporranno di una vitalità, di un equilibrio e di una chiarezza di idee socio-politiche, tali da metterli in grado di appoggiare, sostenere e diffondere l'iniziativa in favore del Mediterraneo. b) Le uniche organizzazioni politiche giovanili oggi valide ed efficienti sono quelle ecologiche e ciò, come noto, non solo in Italia: non è un caso che tutte queste organizzazioni siano fortemente internazionaliste e lo siano specificatamente in campo mediterraneo. «Marevivo», per citarne solo una, attualmente fra le più attive in Italia (con il record di 32.000 iscritti) auspica, sollecita e organizza su piano organizzativo, e persino su piano operativo in mare, la cooperazione fra i vari paesi meditewanei, e non poteva essere diversamente data l'indivisibilità di questo mare e soprattutto dalle caratteristiche ecologiche che lo caratterizzano nel bene e nel male. In Sardegna si sta organizzando un grande parco geominerario, storico e ambientale, in corrispondenza della regione mineraria costiera dell'Iglesiente nella gestione e sfruttamento della quale hanno successivamente sostanzialmente collaborato comunità come le cretesi, fenice, cartaginesi, romane, pisane, spagnole, tanto che si è creduto di doversi rivolgere a questi paesi per proporre una «autogestione in comune» di una area meditewaneamente così integrata. E così via. E evidente che non sarà difficile fare proselitismo in questi ambienti, non solo, ma ottenerne collaborazione. Chi vi parla ha avuto sempre la netta impressione che tali organizzazioni sentano addirittura la necessità di essere affiancate, a livello politico-culturale, cioè a livello federalista, da iniziative nel senso di quello sopra esposto. C) La gravità della situazione economica, persino nei paesi nord-africani apparentemente più progrediti, quali l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, fa sì che le locali popolazioni tanto diffidino di un «inglobamento» del mondo europeo, dalla libera iniziativa economica dal quale sanno, ed a ragione, di non poter non essere colonizzate, tanto guardano con fiducia ad una collaborazione mediterranea, area nella quale si riconoscono geograficamente, spiritualmente, culturalmente (zona di espansione storica dell'Islam) nei confronti della quale sanno di essere economicamente u MAGGIO 1994 in debito, ma culturalmente anche in grosso credito. In particolare le comunità islamiche riconoscono, negli altri paesi non islamici gravitanti nella loro stessa area mediterranea, problematiche simili alle proprie, non temendo conseguentemente fagocitazioni da essi, mentre nelle caratteristiche fisiologiche, psicologiche e persino socio-culturali di essi vedono un riflesso non molto dissimile delle proprie. Ancora una volta le esperienze professionali di chi vi parla confermano il particolare interesse - ed anche qualcosa di più - di queste popolazioni per soluzioni federative mediterranee, soprattutto negli ambiti sociali più sacrificati e negli ambienti geografici più severi (Sahel, Sahara). Si sottolinea che non vi sono, alla base di questi interessi, solo motivazioni di ordine economico, ma soprattutto di ordine sociologico e psicologico conseguenti alla curiosità e interesse di queste comunità all'interscambio ed alla comune gestione culturale di un mondo al cui sviluppo, soprattutto attraverso l'Islam, sono coscienti di aver contribuito in modo determinante. d) Per quanto riguarda l'accettazione della proposta negli ambienti culturali più qualificati non vi dovrebbero essere problemi. Naturalmente ci si riferisce a quei purtroppo ristretti ambiti culturali, che siano autenticamente e disinteressatamente tali, disposti cioè ad impegnarsi e sacrificarsi per verità culturali e programmi apparentemente utopistici quali quelli mediterranei; più di una riserva quindi per molti ambiti universitari troppi dei quali condizionati, in alcuni dei loro esponenti, da motivi, forse inevitabili, di carriera o di~endentida fonti di finanziamento erogati dai poteri o enti politicizzati e pertanto dipendenti da essi. Ancora una volta posso portare la mia esperienza professionale per quanto riguarda 17Unescoquando, componente della delegazione ufficiale della Commissione nazionale del17Unesco alla Conferenza " generale delle Commissioni nazionali della «Regione Euròpea», lamentando, in seduta pubblica, il fatto che la suddivisione mondiale ufficiale dell'Unesco in Regioni (Regione Europea, Regione Nordamericana, Regione Sudamericana, ecc.) non considerasse la «Regione Mediteranea», ebbi a proporne la istituzione. I1 successo fu pieno e immediato, inaspettato per il suo calore, soprattutto, ovviamente, da parte dei paesi mediterranei, i cui delegati vennero poco dopo a rallegrarsi ed a raccomandarsi di non lasciar cadere l'iniziativa. 11) Aspetti di carattere politico: La Costituzione di Medina La Costituzione di Medina, la sua promulgazione, i motivi che la ispirarono, la sua gestione, la sua connessione, persino, con i principi coranici di cui si può dire rappresenti una estrinsecazione politica pressoché contemporanea, se è ben nota tra gli studiosi islamici, lo è assai meno nella cultura occidentale. Assai più grave è il fatto che essa sia molto poco nota nello stesso ambito federalista, pur rappresentando un «corpus» legislativo fra i più federalisti che siano stati concepiti e realizzati nella storia. I fatti sono noti: Maometto, avendo dovuto lasciare la Mecca (dove gli idolatri locali erano riusciti a sollevare la popolazione, proclamando eretica la religione del Dio Unico e Misericordioso da lui predicata, e progettavano di assassinarlo). , , si era trasferito a Medina dopo aver distrutto, assieme al cugino Alì, il più grande idolo pagano ubicato alla Mecca sul tetto della Kaba'H di allora, idolo che, emblematicamente, si può ritenere, alla luce dei fatti seguenti, simbolo non solo del panteismo, ma della violenza e della intolleranza. A Medina il Profeta aveva dovuto rima risolvere il problema di «sistemare» le centinaia di monoteisti islamici, suoi seguaci e con lui fuggiti dalla Mecca: problema risolto invitando ogni famiglia maomettana di Medina a ospitare una famiglia di rifugiati, invito prontamente accolto. E qui è forse opportuno ricordare che si tratta della stessa ospitalità fornita in tempi recentissimi dalle famiglie pugliesi di rifugiati albanesi, in deroga alle disposizioni governative che tramavano - in parte riuscendovi - non solo di respingere i fuoriusciti ma addirittura di fingere di «accoglierli» per meglio catturarli e rispedirli alle autorità di provenienza con tutte le conseguenze penali e amministrative immaginabili. Ma un secondo problema, questa volta di natura politica, si presentava con drammatica urgenza a Maometto, come conseguenza della minaccia delle autorità della Mecca di distruggere Medina se i neo-rifugiati non ne fossero stati espulsi. Maometto dovette,. per la prima volta nella sua vita, decidersi a proporre una «organizzazione comunitaria» in grado di accontentare tutti i Medinesi e di opporsi efficacemente all'esercito della Mecca. I1 risultato fu raggiunto con una soluzione squisitamente federalista, invitando i rappresentanti di tutte le comunità presenti a Medina, musulmani, israeliti, cristiani, pagani di varia estrazione, spiegando loro la convenienza di difendersi uniti, anziché affrontare singolarmente i propri avversari, ciascuna comunità per suo conto, come era stato fatto con pessimi risultati fino ad allora, ciò che stimolava l'aggressività dei nemici. Speculando soprattutto sulle sanguinose contese interne verificatesi a Medina fra le citate comunità, ed in particolare quella fra Awniti e Khazraiti della quale non si era ancora arrivati a capo, si realizzò il progetto proposto da Maometto: una città-stato, presieduta dallo stesso profeta, sorretto da una costituzione: la Costituzione di Medina, appunto. L'importanza di tale documento consiste nel fatto che esso risulta il primo in senso assoluto nella storia del mondo antico. Uno dei più grandi studiosi e specialisti del mondo islamico. Muhammad Hamidullah. invitato a celebiare solennemente alle sedi centrali dell'unesco di Parigi, nel 1980, il millenario della nascita di Abdallah Ibm Sina ( = Averroè: celebrazione proposta e approvata in seduta plenaria nel corso della XX sezione della Conferenza Generale Unesco, nella quale si decise, fra l'altro, di abbinare la celebrazione dell'ingresso nel XV secolo del1'Egira con il millenario della nascita di Avicenna), ebbe a precisare che, fin ad allora, non erano stati compilati documenti analoghi né presso i romani, né presso i greci o gli indiani o gli antichi cinesi. Precisò, cioè, che la Costituzione di Medina rappresentava, in senso assoluto, il primo documento scritto sanzionante la legge costituzionale - . di . uno stato, e tale legge costitutiva era federale. Ma non è questa la sola importanza del documento, né il fatto peraltro stupefacente che esso sia stato compilato da un analfabeta, u COMUNI D'EUROPA «cet illettré» come ebbe a definirlo Muhammad Hamidullah: il vero valore di tale prima Costituzione storica Der noi anarco-federalisti risiede nel fatto che essa era radicalmente basata sui principi di tolleranza reciproca, di autonomia di base, di rispetto reciproco delle singole comunità, più ancora, e qui siamo ai vertici dell'anarco-federalismo, sulla impossibilità del potere centrale di interferire nello sviluppo delle singole comunità. Ancora una volta il tempo tiranno non mi concede di intrattenermi troppo su un tale documento e sulla applicazione concreta che se ne è fatta: basta ricordare che in esso era prevista - e fu attuata - una sorta di modernissima «assicurazione sociale» - in base alla quale - solo per fare un esempio - un individuo gravato da obbligazioni «doveva» legalmente essere aiutato dalla propria unità sociale, e questa a sua volta dalla propria comunità e questa a sua volta, per gradi successivi dalla organizzazione superiore, fino alla città-stato che diveniva cosi la debitrice ultima. Una sorta di «piramide alla rovescia», per dirla con il mai abbastanza rimpianto Mario Mariani, l'apostolo dell'anarco-federalismo durante i già citati anni roventi del federalismo romano, la stessa invocata dai contestatori «costruttivi» del 1968, i quali presumibilmente non sapevano di invocare, almeno in parte, diritti sanciti e concretamente applicati dalla Costituzione di Medina. Ma il punto veramente più significativo di tale Costituzione, il vertice «federalista» di essa era rappresentato dal diritto di ciascuna comunità facente parte della federazione. ed in Darticolare di ciascuna comunità religiosa, di accettare permanentemente nel suo ambito aualunaue individuo «esterno» essa ritenesse di dover accettare - ad esempio un pellegrino cristiano o uno straniero ospite da parte della comunità cristiana senza che la «città-stato», chiamiamola più modernamente «federazione», pur governata inizialmente da Maomettani, potesse minimamente interferire; essa doveva solo accettare questo nuovo «cittadino», che assumeva tutti i conseguenti diritti ed obblighi, perché così era stato richiesto dalla comunità interessata. Qualcosa di simile, come voi sapete, esiste attualmente soltanto nella Costituzione svizzera e chi vi parla considera perciò tale paese ù in camDo federalista: in come il ~ i avanzato Svizzera infatti solo l'accettazione da parte della Comunità di un Cantone consente ad uno straniero di divenire cittadini di quella federazione. Lo stesso Muhammad Hamidullah, per sottolineare la coerenza del pensiero religioso e politico di Maometto, ci ricorda, al proposito, la II Sura del Corano (la d u r a della Vacca») la prima sura medinese, cioè, e in particolare il versetto 285: «l'apostolo (N.B. qualunque apostolo di qualunque religione) crede in ciò che è stato fatto scendere in lui da parte del Suo Signore (N.B. «Signore» comunque lo si voglia configurare), ed i fedeli (N.B. nel «proprio» Dio), ai suoi angeli, ai suoi apostoli...». Nasce cosi, nella forma e nella sostanza, la tradizione della tolleranza islamica, più volte «dimenticata» dagli stessi locali potentati, nel corso dei successivi avvenimenti storici, ma della quale soprattutto i sufisti dovevano sentirsi permeati, facendosene paladini erranti, ancora una volta nella forma e nella sostanza. COMUNI D'EUROPA Nel riassumere i risultati della Celebrazione per 1'Egira ed Avicenna, Amadou Mahtar M'Bow, allora Direttore generale dell'unesco, ebbe così ad esprimersi: «Ce sont là des principes qui restent et resteront toujours actuels - car ils répondent aux aspirations les plus hautes et les plus permanentes de l'homme, en meme temps qu'aux espoir qu'il fonde légitimement sur l'innovation et le changement; à son besoin de transcendance spirituelle, comme à son exigence d'équité à son désir de progrès». Qualcuno potrà obiettare che Maometto, storicamente parlando, fu costretto a concepire la Costituzione di Medina dalle necessità contingenti: una minoranza musulmana in una città - Medina - sede di comunità di ogni genere in contrasto fra di loro, in procinto di essere attaccata e distrutta dalla più potente forza armata della regione, quella della Mecca. Ma, per quanto riguarda le proposte di «federalismo mediterraneo» che vi vado illustrando, nessuno pretende che esso sia stato ispirato solo da concetti etici o idealistici, o tanto meno trascendentali, esso risponde a necessità improcastinabili del momento: o ci si impegna nella trafila comunque faticosa del federalismo mediterraneo - questo è il primo fondamentale passo, impegnarsi è già gettare le fondamenta per la costruzione futura - o dovremo rinunciare alla cultura mediterranea «viva e creativa» accontentandoci di studiarne i ruderi, per quanto interessanti, sui testi nella sua nuova veste di «archeologia di una cultura». In tal caso dovremo tuttavia accollarci davanti a noi stessi - coscienti come siamo di essere in grado di valutare la gravità del problema - e davanti agli altri, la responsabilità di non aver voluto neppure tentare la difesa della nostra più profonda, concreta e creativa cultura e la conseguente responsabilità di un ulteriore gradino di discesa, da parte della società della quale facciamo parte, verso una alienazione progressiva, i cui catastrofici effetti iniziali sono ormai percepibili ovunque, giorno dopo giorno. La Costituzione di Medina ci offre l'occasione di riproporre ai compatrioti mediterranei di qualunque estrazione un modello politico, ovviamente concentrato nelle sue più salienti caratteristiche federalistiche: modello che non potrà non soddisfare la componente islamica del nostro mondo rappresentando al contempo una bandiera i cui concreti simboli sono auelli che sottolineano la necessità di cui più che mai oggi noi, come individui e come società, sentiamo il bisogno: tolleranza reciproca; più ancora, sempre ricordando la definizione di Tullio Tentori all'unesco, «collaborazione reciproca», più ancora, difesa reciproca dei reciproci valori culturali e spirituali, vivificazione della comune cultura unitaria, capace di riportarci, dalle paludi della eretta conservazione di un benessere Darossisticamente consumistico, infarcito di paure, conformismi, egoismi sociali (benessere abnorme e distorto destinato, come sappiamo bene dalla storia. a ritorcersi contro di noi) alla navigazione nel «Grande Mare Oceano» per dirla con Cristoforo Colombo, alla ricerca, come delle «sue» Indie, delle «nostre» Indie federaliste; badando a che, nel prosegui0 dell'azione. non facciano scem~iodelle nostre scoperte, come troppo si è fatto di quelle di Colombo. C, III) Aspetti umano caratteriali: la n o s h mediterraneità Ritengo tuttavia che il nostro maggior punto a favore sia rappresentato dalla profonda «mediterraneità» di cui sono pervasi molti degli abitanti dei paesi che guardano su questo mare, forse la maggioranza di essi, anche se è una mediterraneità di cui non si rendono conto, di cui non sono coscienti, ma proprio per questo più viva, vitale, probante, non conseguente solo ad un «ragionamento» intellettuale, ma soprattutto ad un insopprimibile ist(nto. E sicuramente il denominatore comune più valido che caratterizza gli abitanti del bacino mediterraneo, una attrazione possente verso il proprio mare, verso la stesia navigazione che ne consente il percorrimento, verso la conoscenza degli insediamenti umani installati presso le sue rive, una instancabile ansia di rapporti reciproci, di reciproco commercio, di reciproca imitazione, di reciproci incontri e che non Dossono non derivare da connessioni così intense e fitte. che accomuI1 mare comune è un crogiolo " na le comuni credenze, leggende, speranze, timori: medesime anche se espresse con definizioni diverse, uguali le divinità, le idolatrie, le religioni, anche se le minori differenze tra esse possono suscitare - strumentalizzate da centri di potere interessati - i peggiori contrasti conseguenti al comune temperamento, estremamente ricettivo, ipersensibile, suscettibile, pericoloso da un lato, dall'altro «conditio sine qua non» per la propria qualità più im~ortantee sofferta: la creatività. I1 fascino culturale, di carattere direi «fisiologico», di questo mare è tale e talmente profondo da coinvolgere anche coloro che, non facendone Darte. ci si avventurano: e sono proprio i cosiddetti «stranieri al Mediterraneo», che si «mediterraneizzano» in esso, quelli che meglio percepiscono l'importanza di questa straordinaria influenza - soprattutto raffrontata all'influsso della cultura del proprio territorio di origine - e che, esseni al momento in cui ne sodone stati ~ r i vfino no stati improvvisamente coinvolti, possono forse prenderne meglio coscienza: tanto che mi sentirei di differenziare due forme di Mediterraneismo: una cosciente, e pertanto intellettuale, ed una istintiva che ad esso aderisce con tanta naturale ~ienezzada non essere in grado di prendere coscienza di essa. L , a) Mediterraneità cosciente Sentiamo, ad esempio, fra i primi, l'inglese Leigh Hunt, amico di Byron, che, nell'amarezza di una vita caratterizzata da povertà, incomprensioni e da una non riconosciuta creatività, doveva ricordare nella sua «Autobiografia» (1850) le sue navigazioni nel Mediterraneo: «This soft air in your face comes from the grove of 'Dafne by Orontes'; these lucid waters, that part before you like oil, are the same from wich Venus arose, pressing them out of their hair. In that quarter Vulcan fell - 'Dropt from the Zenith like a fallint star' - and there in Circe's Island, and Calypso's, and the promontory of Plato, and Ulysses wandering, and Cymon and Miltiades fighting, and Regulus crossing the sea to Carthage, and ... The mind hardly separates truth from fiction .in thinking of al1 these things, nor does it wish to do so». MAGGIO 1994 («Venti leggeri spirano sul tuo volto dal sepolcro di Dafne; queste lucide acque che la nave solca come olio davanti a voi sono le stesse dalle quali sorse Venere detergendosi da esse i capelli, in queste acque precipitò Vulcano, 'calando dallo Zenith come una stella cadente', e qui è l'isola di Circe, e di Calipso, e il promontorio di Plutone, e le tracce vaganti di Ulisse, e di Cimone e di Milziade combattente, e di Attilio Regolo che queste acque traversò per recarsi a Cartagine e...»). L'ubriacatura sembra non aver fine ma. osserverà in conclusione l'autore: «L'intelletto non riesce a discernere verità da fantasia, nel riflettere su tutto questo, ma neanche desidera farlo.. .». Ecco dunque la «cosciente volontà» di sprofondare in questo mondo creativo reale e fantastico assieme; ecco dunque, la volontà di non separare il reale dall'immaginario, l'uno specchio dell'altro, ambedue componenti indispensabili della potenza creativa dell'uomo, della sua fantastica creatività, il patrimonio più grande del Mediterraneo e dei Mediterranei, che sussisterà potenzialmente solo fino a quando i Mediterranei saranno capaci di restare e sentirsi tali: condizione necessaria ma non sufficiente, dovendo essere integrata dalla volontà di continuare a gestire in proprio, autonomamente anche fra miserie e contrasti, il proprio patrimonio etnico, naturale e culturale.. . E di rincalzo, più recentemente, fa eco a Hunt il connazionale D.H. Lawrence il celeberrimo autore dei «7 Pilastri della Saggezza», scrivendo del Mediterraneo in «Middle of the World» (da Lost Poems - 1932): «This sea will never die, neither will it ever grow old/nor cease to be blue, nor in the dawnlcease to lift up its hillsland let the slim black ship of Dionysos come sailing inlwith grapeIvines u p ~ t h emast, and dolphin leaping.. ./I see descending from the ships at dawnlslim naked men from Cnossos, smiling the archaic smilelof those that will without fai1 come back again,/and kindling little fires upon the shoresland crouching, and speaking the music of lost languages./And the Minoan Greeks. and the Gods of Tirvnslare heard , softly laughing and chatting, as ever;/and Dionysos, young, and a stranger/leans listening on ghe gate, in al1 respect». («Mai auesto mare morirà. nè ~ o t r àmai invecchiare, nè sarà meno azzurro, nè alle prime luci dell'alba rifiuterà di esibire i riflessi delle sue coste, nè respingerà le sottili scure navi di Dionisio che arrivano veleggiando con i loro carichi di vini, fra i guizzi dei delfini.. . Ed ecco sbarcare da quelle navi, all'alba, agili figure umane, vengono da Cnosso, ed ecco il loro arcaico sorriso t i ~ i c odi chi sa che continuerà a tornare, ed eccoli raccolti attorno a piccoli fuochi accesi sulle spiagge ed eccoli parlare, ed ecco la musica dei perduti idiomi. E d ecco i greco-minoici e le divinità fenice, eccoli ridere e chiacchierare, e così per sempre, ed ecco Dionisio giovane, ed uno straniero appoggiato allo scoglio, che rispettosamente ascolta»). tura con la natura, da pietra divenuta storia ridivenuta pietra e, come tale, natura, una sola natura, quella mediterranea, una sola comunità che-la vive, la caratterizza e la gestisce, l'insieme dei popoli mediterranei: si esprime in tal senso Albert Camus, il celeberrimo autore de «LIHomme révolté», la cui testimonianza è tanto più valida se solo si consideri la sua estrazione franco-algerina e la sua «attualità» storica quale membro della Resistenza europea, che i diritti dell'uomo seppe comunque rivendicare non solo nei confronti del potere allora imperante, ma anche nei confronti di qualsivoglia ideologia politica ed economica tendente a standardizzare l'uomo, di responsabilizzarlo, sottrarlo dalla realtà autogestita del proprio territorio: «Dans ce mariage de ruines et du printemps, les ruines sont redivenues pierres, et, perdant le poli imposé par l'homme, sont rentrées dans la nature». Sviluppa poi il proprio pensiero Camus, in «L'etè a Algere» (da «Noches»), rifacendosi a quella vocazione per l'unità fra gli uomini della quale consiste l'anima più profonda del federalismo politico; cercando altresì di identificarne gli attributi fisici, psicologicamente unitari, che caratterizzano un territorio emblematico - il suo, il Mediterraneo - scelto quale prototipo del concetto di «territorio», nell'ambito del quale solamente può esplicarsi tale attività comunitaria ed assemblante dell' uomo: d e t t e union, que souhaitait Plotin, quoi d'etrange a la retrouver sur la terre? L'Unitè s'exprime ici en termes du soleil e de mer... Je sais seulement que ce ciel durerà plus que moi (Camus, come noto, dove morire .di li a poco in un incidente d'auto, privando l'Europa e il federalismo europeo forse del più significativo, creativo e chiaroveggente dei suoi grandi spiriti) et qui appellerais-je éternité si non ce qui continuera après ma mort?. .. I1 n'est pas toujours facile d'$tre un homme, moins encore d'$tre pur. Mais $tre pur, c'est ritrover cette patrie de l'ame où devient sensible la parènte du monde, où les coupes du sang rejoignent les pulsations violentes de deux heures (l'ardente meriggio mediterraneo.. .)D. # r L Ed ecco anche le rovine storiche ed archeologiche abbarbicate alle coste, eccole riconfondersi non solo con la fantasia ma addiritMAGGIO 1994 Unità, partecipazione alla comunità umana, i temi federalisti giostrano nello spirito di Camus incantato dalla sua «patria Mediterranea» che esemplifica nella località archeologica costiera algerina di Tipasa, ma che potrebbe essere Paestum o Selinunte: «...une premiere fois déjà, j'étais revenu à Tipasa, ...toujour la meme mer aussi, presque impalpable dans le matin, que je retrouvai au bout de l'horizon, dés que la route, gruttand le Sahel et ses collines aux vignes couleur de bronze, s'abbaisse vers la c6te ..., je retrouvai exactement ce que j'etais venu chercher ... en ce lieu en effect, il y a plus de vingt ans, j'ai passé des matinées entiéres a errer parmi les ruines, a respirer les absinthes, a me chauffer contre le pierres ... a midi seulement, a l'heure ou le cigales elles-memes retairaint, assonnées, je fujais devant l'aride flamboiment d'une lumiére qui decorait tout (ciascuno di noi, potrebbe dire lo stesso della frazione di Mediterraneo che frequenta attualmente per residenza, per lavoro, per vacanza). ..; e lo scrittore introduce infine, depurato da qualunque retorica, il concetto di «Patria», concludendo amaramente: «...il est bien connu que la patrie se reconnait toujour au moment de la perdre ...». E qui non possiamo fare a meno di sottolineare la citazione di Camus nei riguardi del neoplatonico Plotino e del suo ideale di Unità fra l'individuale e l'universale, unità che non può prescindere dall'accordo - federalismo appunto - fra gli «individuali». E Plotino, guarda caso, è quanto di più mediterraneo si possa concepire, egiziano di origine, alessandrino per educazione, romano per adozione e per centro di diffusione del proprio pensiero, greco-platonico per convinzione di idee; di una chiarezza nell'esplorare il concetto di trascendenza, di un rigore etico e di una coerenza morale da richiamare I'ammirata attenzione di personaggi i più disparati del mondo di allora, dall'imperatore Gallieno e l'imperatrice Salonina, allo stesso S. Agostino che lo ebbe carissimo e che ebbe a dirne «Cambiate solo qualche 'parola' al suo pensiero e avrete un cristiano». Si andava diffondendo, irrefrenabile, nel mondo di allora, il messaggio cristiano e spettava a queste grandi figure dello spirito filosofico - e vogliamo ricordare con Plotino il già citato successivo Boezio - pur senza aderire al Cristianesimo. di assimilarne le componenti ritenute più valide e diffonderle nelle articolazioni dell'im~erodi allora: con riferimento intrinseco ed estrinseco a quelle condizioni che formano l'indispensabile presupposto, di tolleranza reciproca, rispetto per l'uomo e per ogni sua forma di pensiero o di spiritualità civile; si andavano, in una parola, creando le radici di quel comunitarismo di individui e di comunità che rappresenta, secondo chi vi parla, la base più profonda di ogni futuro autentico federalismo. Non c'è tempo purtroppo di soffermarci su Plotino, ma una cosa, nell'economia di quanto vi sto proponendo, va sottolineata. Da Plotino e dal neoplatonismo attinsero a piene mani i Sufi - come del resto da tante altre tematiche filosofiche e non filosofiche greche - e ne diffusero le istanze, a livello di popolo, per tutto il vasto impero islamico africano, e di qua in Ispagna, da cui la splendida scuola di Cordova, della quale già abbiamo citato due fondamentali personaggi, caposaldi dello «spirito» mediterraneo ed universale: Ibn Arabi ed Averroè: queste voci dovevano attraversare l'Europa e ripercuotersi in Grecia, da cui erano partite. E così l'anello si richiude attorno alla gemma dell'azzurro Mediterraneo, proprio quale unitaria «ghirlanda» per dirla con Dante nel suo Paradiso (episodio di Folco da Marsiglia: «fuor di quel mar che la terra inghirlanda»). Si richiude connettendo popoli e comunità e sottolineando emblematicamente la drammaticamente sofferta ma incontenibile potenzialità creativa delle comunità umane per quanto povere - non si dimentichi la caratteristica randagia e nullatenente che contraddistinguerà i Sufi di sempre, così come i francescani di allora - quando a queste stesse comunità è concesso di liberamente integrarsi. Di questa disperata esigenza creativa, la tragica ossessione per la bellezza materiale e spirituale di allora, che sembra fondersi con l'ardore del clima, parla ancora Camus paragonandola alla disperazione alaida» della convulsa Europa di oggi: COMUNI D'EUROPA «La Méditerranée a son tragique solaire qui n'est pas celui des brumes. Certains soirs, sur la mer, au pied des montagnes, la nuit tombe sur la courbe parfait d'une petit baie et, des eaux silencieuses, monte alors une plénitude angoissée. On peut comprendre en ces lieux que si les Grecs ont touché au désespoir, c'est toujours à travers la beauté, et ce qu'elle a d'oppressant. Dans ce malheur doré, la tragédie culmine. Notre temps, au contraire, a nourri son déses~oirdans la laideur et dans les convulsions. C'est pourquoi 1'Europe serait ignoble, si la douleur pouvait jamais 13etre». I1 dolore ieri dell'Europa sconvolta dall'ultima guerra; il dolore oggi di coloro, marginali all'Europa, sacrificati o abbandonati a se stessi sull'altare della quieta conservazione della opulenza degli odierni europei. Ed è ancora Camus a definire amaramente tale «posizione» dell'Europa, nascosta per non dover affrontare le proprie responsabilità a scapito dei propri interessi economici: «c'est pourquoi 1'Europe hait le jour et ne sait qu'opposer l'injustice a elle-meme». Ed è il Mediterraneo di d o r a , il sacrificato Mediterraneo di oggi, era ed è quella che Camus chiama la nostra patria, nel caso particolare la nostra patria mediterranea, il Mediterraneo dei Doveri. il Mediterraneo della sofferta creatività, quella patria alla cui comune difesa e integrazione io vi sto invitando, alla cui federazione chiedo che vogliate dare il vostro contributo di pensiero e di opere. b) Mediterraneità istintiva Ma vi è un'altra forma di «ricezione» della vocazione mediterranea. una ricezione non più «razionale» e «cosciente» come quelle sopra esemplificate, ma istintiva, irrefrenabile, documentazione incontestabile e manifestazione di una cultura di cui l'individuo è intriso, e che tende a diventare creativa a spese della sofferenza dell'individuo stesso. E parliamo, sempre solo per fare un esempio - e tanti se ne potrebbero fare - di un poeta modernissimo, Dino Campana, uno dei pochissimi a «vivere» sulla propria pelle la propria poesia, così come i Sufi invocarono che i veri credenti «vivessero» la propria fede, quale che fosse, per palesarla e rivelarla così come essi vivevano la propria: e Campana visse la propria poesia al punto da rinunciare a tutto per essa, da vagare randagio, totalmente «nullatenente», per anni, dalle pampas argentine, alle steppe russe, all'olanda, alla stessa Sardegna, a tutti gli ambienti di lavoro e di miseria, aggregato persino alle carovane di saltimbanchi, associandosi per lunghi periodi ai lavoratori locali, fino a rientrare in Italia, ed esprimere in saggi, cronache, versi, le proprie sofferte esperienze nei celeberrimi «Canti orfici» che dovevano sbalordire, per il loro valore, gli stessi Papini e Soffici. Quest'ultimo tuttavia doveva ... perderne i manoscritti: ed ecco il povero Campana riscriverli - a memoria, stamparli drammaticamente a proprie spese, ed ecco10 venderli personalmente fra i tavolini dei caffé e nei luoghi pubù come blici di Firenze ... Fermato ~ i volte randagio, scomodo a tutti, fino a morire di setticemia nell'ospedale psichiatrico di Caste1 Pulci in Toscana, proprio quando i medici si chiedevano perché lo avevano lì ricoverato e li mantenuto per tanto tempo. Dirà di lui Emilio Cecchi: «Campana dette COMUNI D'EUROPA un esempio di eroica fedeltà alla poesia: un esempio di poesia scritta davvero col sangue ...» - perciò diciamo che sarebbe piaciuto agli altrettanto randagi Sufisti - mentre Dino Bo, parlando della cosiddetta «follia» di Campana la definisce come conferma della sua «diversità» (dal conformismo imperante) e come «delimitazione della sua ragione poetica» e riconosce in Campana «il poeta toccato e divorato dal fuoco» (ricordate, amici che mi ascoltate, l'«Uccello di fuoco» sopra citato dal sufista Beba Taher?)., concludendo che la poesia «ha continuato per altre vie» (la via del successo e dei premi letterari), ma non ha più coinciso con il destino dell'uomo così come era accaduto con Campana. Dirà dunque Campana rientrato nella sua patria mediterranea, in grado di sentirla come pochi altri, grazie ad una sofferta morbosa sensibilità dinnanzi allo sfacelo di essa, paragonata con tutte le svariate parti del mondo in cui aveva per lustri peregrinato: , «La luna.. . appar velata di lacrime e bruma si come Venere sorge dal mare nel primo mattino del mondo del mondo sconvolto ancora fremente con riso ahi quanto tenero e triste...»; e descrive la miseria del mondo mediterraneo, emblemizzata dalla «donna dei porti» «O siciliana proterva opulenta matrona a la finestra ventosa del vico mormora classica mediterranea fernina dei porti «Vedevo alle finestre lucenti come stelle passare le ombre delle famiglie marine: e canti udivo lenti ed ambigui ne le vene de la città mediterranea: ch'era la notte fonda «O siciliana.. ... l'ombra rinchiusa tu eri la piovra delle notti mediterranee «e dentro al cavo della notte serena il debole cuore batteva con più alto palpito: tu, la finestra avevi spenta: nuda mistica in alto cava infinitamente occhiuta devastazione era la notte tirrena». Napoli? Algeri? Alessandria? ... Palermo? Mediterraneo anzitutto e la prostituta mediterranea diviene di colpo nostra compatriota, la prima e la più necessitante fra i nostri compatrioti mediterranei, emblema di una condizione che si perpetua e permane su gran parte del nostro bacino, di una costrizione ad arrendersi a esigenze di sopravvivenza, a poteri, a ideologie, soprattutto ad arrendersi a interessi, culture, «protervie» altrui, personali, sociali e politiche.. . In effetti a Genova si riferiva Campana e a auesto suo si abbandonerà senza ritegno " «amore mediterraneo» con parole che, al loro inizio. sono di im~rontachiaramente sufista «O l'anima vivente delle cose... non sono come i sogni dei mattini torpidi.. . O poesia siimi tu faro siimi tu faro e porterò un voto laggiù sotto agli infrenati archi marini ... cirraggia lo splendore orientale, Genova.. . Genova marinara che fa festa sotto la torre orientale». Oriente e occidente si confondono in Genova, così come a Venezia, così come in tutto il Mediterraneo, finché questo composito mondo straordinariamente unitario non sarà troncato come linea di confine tra Africa ed Europa. E Genova mediterranea «gronda>>dalle sue colli verso la marina: «come le cateratte del Niagara canta ride svaria ferrea sinfonia feconda urgente verso l'aperto mare canta il tuo canto, o Genova». I1 poeta prende tuttavia coscienza, almeno saltuariamente, della «mediterraneità» della propria poesia, e la poesia mediterranea, anche la più disperata, è sempre felicità: «La ~ o e s i amediterranea.. . si ingolfa per i vichi antichi e profondi fragore di vita gioia intensa e fugace velario d'oro di felicità»; e i viaggiatori transitano per questi porti, e siamo noi uomini di oggi, ossessionati dalle nostre ambizioni e dai nostri interessi, uomini ciechi che non sanno vedere e perciò non sanno di essere mediterranei e ciononostante lo sono e devono prenderne coscienza e deve essere nostro compito far si che prendano coscienza della loro mediterraneità: «La grande luce mediterranea s'è fusa in pietra di cenere ... perdute nel crepuscolo tonante ombre di viaggiatori vanno per la Superba terribili e grotteschi come ciechi». I1 Mediterraneo ha conquistato definitivamente l'artista «col caro mare nel petto col caro mare nell'anima.. .»; e la necessità della difesa ecologica di esso - di una ecologia «spirituale», si badi - coinvolgente tutto il mondo mediterraneo si prospetta improvvisamente davanti al Campana, tanto più straordinaria ove solo si rifletta che l'autore espresse questa sua protesta agli inizi del secolo: «le navi sferrate sul mare senza colore si, senza colore alla fine.. . Anche il mare hanno imbastardito come il sangue che oggi sa di miasmi»; poi l'anima inebriata dall'artista si distende sul mare, in quell'anelito di viaggi - così chiaramente sottolineato da Braudel e Remy - che ben sottintende la creatività mediterranea aperta su ogni parte del mondo; «Le vele, le vele, le vele! che schioccano, frustano il vento gonfiate di vane sequele le vele, le vele, le vele «ai venti, ai venti, presso l'augurale forma di chi affàcciato a le fortune MAGGIO 1994 l'inquieta prora ha il Sogno suo navale Ah, ch'io parta, ch'io parta! E che un lontano giorno, l'ultimo sono in t e laggiù Genova sotto degli infrenati archi marini dall'alterna tua chiesa azzurro e bianco dove una fiamma pallida s'infranca in arco eburneo e magici confini»; è il mito di Ulisse che si perpetua, Itaca diventa Genova, ma la sostanza non cambia, non cambia il mondo mediterraneo e il nostro dovere verso la sua preservazione e la sua creatività presente e futura, perché altri Ulisse, altri Campana si riaffaccino su di esso. Dante, con il suo spietato raziocinio, aveva fatto «spiegare» a Ulisse i motivi profondi di questa creatività esplorativa, scientifica, artistica, con i ben noti versi: «nati non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza»; ma Dante va oltre e coglie l'essenzialità unitaria del mondo mediterraneo quando definisce, sempre tramite Ulisse il nostro mare: «l'un cielo e l'altro vidi infin la Spagna/ fin nel Marocco e l'isola dei Sardi/ e l'altre che quel mare intorno bagna»; ed ancor più 1'Ariosto che la funzione di «connessione» del Mediterraneo fra Europa e Africa maggiormente intuisce quando, nell'orlando Furioso lo definisce per bocca di Andronica, emblema di saggezza, nella sua navigazione verso il Golfo Persico, insieme ad Astolfo d'Inghilterra: il mar ch'in mezzo serra di là l'Europa di qua 1'Afro Aprico», dove in quel «serra» c'è tutto il senso della «funzione» del mondo mediterraneo che perciò chiediamo sia strutturato in Federazione. La scelta degli operatori Ancora una volta l'appello per questa improcrastinabile azione transn'azionale ed unitaria viene rivolto alla assemblea dei transnazionali, degli anarchici e dei federalisti, ai Sufi anche e soprattutto, ma occorre raggiungerli - e deve essere uno dei nostri primi compiti - nel loro complesso mondo di perseguitati e di comunità fatiscenti in ambienti di estrema indigenza, per fortuna diffusi da oriente a occidente in tutte le regioni dell'Islam, vera anima positiva di essi. E veramente non sapremmo a chi altro rivolgere questo appello. Solo tra di noi, amici trasnazionali, federalisti e libertari, vale il vecchio principio di Rumi: «Voi avete un dovere da compiere. Fate pure qualsiasi altra cosa, quante più cose vogliate, occupate pienamente il vostro tempo; sarà perduto.. .». principio nel quale si risolve la definizione del Sufi ad opera di Nuri Mujudi: «I1 Sufi è uno che fa quello ~ h fanno e gli altri quando è necessario. E anche uno che, nel caso indicato, fa quello che gli altri non possono fare». E d io aggiungerei «che non vogliono fare» per quanto possano essere valide le motivazioni addotte per il loro rifiuto. Noi ci rivolgiamo a tutti coloro che voglioMAGGIO 1994 no dare anche un minimo contributo a questa im~resa. A nessuno si chiede più di quanto possa essere dato. Per tutti, e a noi per primi, vale la regola «Fare quello che si può, nei limiti in cui si può, nel tempo in cui si può». p u ò darsi che si intraprenda un'azione destinata ad arrivare in porto ma non ad essere vista da noi. Sarebbe " già un eccezionale suecesso l'averla intrapresa, ed un motivo d i legittimo orgoglio l'averla intrapresa per primi. Sempre amici federalisti, mi ricorderò di una frase scritta da un partigiano comunista, Pietro Benedetti, operaio ebanista di Chieti, fucilato a Roma i1 29 aprile 1944, poco prima dell'esecuzione della condanna a morte contro di lui. «...Ma che fare? Vi sono nel mondo due modi di sentire la vita. Uno come attori. l'altro come spettatori. Io, senza volerlo, mi sono trovato sempre fra gli attori. Sempre fra quelli cioè che conoscono più la parola 'dovere' che quella 'diritto'. Non per niente costruiamo i letti perché ci dormano su gli altri». Certo non possiamo né dobbiamo aspettarci ricompense per quel molto, quel poco che riusciremo a fare in favore della Federazione Mediterranea, del Federalismo Mediterraneo. Anche senza voler sperare in una nostra ricompensa platonica a lunga scadenza, come la vede il sufista Gjal Ad-Din Rumi, perché si possa dire di noi: «quando saremo morti non cercate le nostre tombe sotto terra/ le troverete nel cuore degli uomini» (frase, fra l'altro, che serve da epitaffio per la tomba del grande filosofo, spiritualista e poeta islamico), per restare, d a buoni occidentali, nella concretezza «cinica» del presente, una ricompensa «nostro malgrado» sarà costituita dalla conoscenza che gradualmente faremo del mondo culturale nel quale siamo inseriti, del quale siamo permeati, anche se quasi sempre senza che se ne sia a conoscenza. Sarà una conoscenza alla quale saremo portati d a colleghi militanti nel nostro stesso «servizio mediterraneo». sarà conoscenza di cui noi porteremo a conoscenza gli altri e si sa bene che la conoscenza è veramente tale ed è componente del valore spirituale di un individuo o di una comunità solo quando, trasmessa ad altri o ricevuta da essi, diventa anello di una catena della quale consiste non solo il federalismo, soprattutto il federalismo, ma qualunque attività costruttiva degna d i questo nome. E ciascuno di noi conosce qualcosa del Mediterraneo e dei mediterranei che altri non conoscono, sia pure l'impressione di un viaggio, di una amicizia, di un libro, di un articolo letti: si tratta di sistematizzare per il futuro queste conoscenze «mediterranee» apparentemente occasionali e secondarie, ma che occasionali e secondarie non sono, proprio perché sono i tasselli di una vita «mediterranea» vissuta da ciascuno di noi in mezzo alla multiforme comunità mediterranea - di cui 1'Italia con tutti i suoi difetti e qualità è esempio emblematico - comunità mediterranea della quale chiediamo l'autonomia, l'autogestione culturale e sociale, in altre parole l'Unità Federale. Non sottovalutate amici federalisti, amici libertari, l'importanza di questa conoscenza che, dalla reciproca collaborazione, è destinata a incrementarsi gradualmente fino a farci, altrettanto gradualmente, sempre più coscienti del «dramma mediterraneo» che stia- mo vivendo e che nolenti o volenti coinvolge e soprattutto sempre più in futuro coinvolgerà ciascuno di noi, delle cause di questo dramma, ed infine dei possibili rimedi. Idries Shah, il già citato odierno grande sufista orientale, nato fra l'altro d a una principesca famiglia indiana, residente in Afghanistan, cita (in «La strada dei Sufi») una definizione della conoscenza, dovuta ad Alì che suona: «La conoscenza è migliore della ricchezza. Alla ricchezza devi badare tu; la conoscenza avrà cura di te». E d E1 Zubeir, figlio di Abu Bakar, il principale collaboratore del Profeta, aveva intuito fin dall'inizio dell'Islam tale principio: «Mira alla conoscenza. Se diventerai DOvero sarà per te una ricchezza; se diventerai ricco sarà per t e un ornamento)). Ma uscendo dal concetto generico di conoscenza e finalizzandolo ancora una volta al problema dell'unità mediterranea resta, come ricompensa, la coscienza di agire per la salvaguardia delle nostre radici culturali le quali non sono tali se non autogestite dai popoli che ad esse si rifanno, e voi tutti sapete che le nostre comuni radici stanno per scomparire per il dilaniamento del mondo mediterraneo e per la sua quasi definitiva soggezione a interessi economici e culturali di altri potentati del mondo. Scompariranno, amici anarchici, federalisti, transnazionali, come sono scomparse le radici culturali unitarie delle popolazioni alpine quando le Alpi da mondo culturale autonomo - e ne abbiamo sopra parlato - di connessione fra mondo germanico e mondo latino divennero frontiera fra monoblocchi. Scompariranno, amici europei ed africani, quando tali monoblocchi economico-sociali, usurpando la definizione di federazione, si fronteggeranno sulla «frontiera mediterranea». E sarà anche il fallimento delle istanze federaliste europee ed africane ridotte a degenerare in «stati» centralizzati (anche se con autonomie regionali, al loro interno) delimitati da ben precise frontiere - e il Mediterraneo sarà una di aueste - destinate a delimitare i grassi interessi economici europei da un lato e i non ancora grassi. ma aus~icabilmente grassi interessi economici nordafricani dall'altro. Mi ripeto, lo so, signori, e me ne scuso con voi che avete la pazienza di ascoltarmi, ma la constatazione di quanto sta avvenendo, il pensiero cioé d i questo nostro mondo mediterraneo che, dopo millenni di creatività, sta lentamente sprofondando verso il proprio autoannullamento, mi perseguita come un incubo, mi perseguita come un incubo essere spettatore di una dissoluzione che farà del nostro mondo un ricordo per libri d i storia e un ambiente turistico sulle cui spiagge - come in quelle caraibiche, sede un tempo di una delle più importanti culture periferiche indie sotto il cui sole mediterraneo, andranno ad esibirsi i «prodotti umani» più belli del consumismo internazionale, e noi, belli o brutti, fra di essi, partecipi responsabili della prostituzione del nostro mondo culturale o almeno della parte principale di esso. Quando, e qui sta l'aspetto di gran lunga più drammatico di tutta la situazione, esiste una potenzialità creativa che, d a una interazione autonoma e autogestita, cioé federale delle comunità mediterranee, aprirebbe al genere umano nuove inimmaginabili prospetti- - . COMUNI D'EUROPA ve, forse ancora superiori a quelle che, in passato, in mezzo a molti contrasti è vero, hanno portato all'uomo quanto di meglio spiritualmente, concettualmente, artisticamente esso oggi dispone. {(Mediterraneo grande lago di pace» diceva Platone e non era incosciente, le guerre - e che guerre! - esistevano anche a suoi tempi; Roma non era ancora arrivata a stabilire il «suo» ordine nel Mediterraneo, ed era un ordine, proprio perché «suo», assai discutibile. La pace cui si riferiva Platone era la pace della creatività e dell'armonia che quel mondo, pur turbolento, sapeva promuovere in misura che non sarebbe stata più superata: primo anello di una catena della quale gli splendori del Cristianesimo, dell'Islam e del Rinascimento non sarebbero stati che anelli successivi. E ancora oggi, nonostante le devastanti violenze, soprattutto a danno dei valori culturali, il Mediterraneo, così come può, continua a influire, soprattutto sugli individui creativi, gli artisti. «A ceux ci le Méditerranée continue d e donner des leqon d e misure, d'ordre et d'harmonie», ci dirà Braudel. E della stessa violenza ora imperante, parafrasata dagli aspetti più scarni e severi del suo ambiente naturale, il Mediterraneo ha cercato di fare, suo forse ultimo dono, tramite il mondo dell'arte, motivo di ulteriore creatività che sembra purtroppo andare lentamente spegnendosi. Afferma ancora Braudel: «Depuis prés d'un siècle la Méditerranée propose à ceux qui guettent, aux avantpostes d e l'espoir, un visage d e violence. Véhémence du soleil aui dévore les couleurs, véhémence des parfums du jardin d'Adonis véhémence du vent et d e l'orage sur la pierre séche et le buissons noirs, dans un pays sévère, gris et blanc, érigeant ses cippes dans le silence et la solitude au bord d'une mer sombre et parcimonieuse, et qui ensegne le dénuement. E n sortent lés architectures dénudées de Soulaaes. - Comme en sortent les emblèmes crispés de la douleur que l'on voit gesticuler, tordus par les bourrasques marines, sur le grand théhtre d e Picasso. Comme en d'André s o r t e n t les "Massacres" Masson». - Si, certo, il Mediterraneo, fintanto che non sarà «sistematizzato», cioé annullato da una frontiera fra due diversi consumismi continentali, ancora agisce, influenza. Si, ma fino a quando? H o parlato prima di un incubo; non crediate, amici transnazionali che abbia usato tale termine solo come «appoggio retorico». Vi posso assicurare che ogni volta che mi avvicino alla riva del mare, il Mediterraneo ovviamente, mi pare che questo, col quieto rifrangersi delle sue onde minori, mi inviti a «fare qualcosa». Un messaggio che io cerco di trasmettere a voi che mi ascoltate. Tornare alle origini Del resto, dalla riuscita del tentativo federale mediterraneo dipende la riuscita degli apparentemente assai più progrediti processi federativi europei ed in misura minore africani, ai primi dei quali, come vi ho sopra premesso, ho avuto l'onore di partecipare, e con COMUNI D'EUROPA contributo allora costante e giornaliero, e assai spesso notturno, dagli anni 1955 in avanti. E non è vero che l'Europa non abbia fatto passi giganteschi verso la propria unità, solo che l'ha fatto cambiando gradualmente la meta che allora ci eravamo prefissa; non è certo questa l'Europa che sognavano i giovani federalisti romani quando, negli anni '60, sciamavano per le vie di Roma, appellandosi alla popolazione locale, armando contemporaneamente qualcosa come 120 seggi, distribuendosi settimanalmente, per più anni - le famose spedizioni notturne! - fra gran parte dei comuni della provincia con i loro migliori conferenzieri, stabilendo ovunque primati di voti per il Congresso del Popolo Europeo, azione proposta da Altiero Spinelli, allora in fiera attualissima polemica con tutti i partiti, e gestita da Luciano Bolis. Qualcosa è cambiato lungo la strada, s'è preferito agire solo fra i poteri politici nazionali (partiti) e le organizzazioni economiche centrali europee, fra i quali occorreva pure agire, ma si è abbandonata l'azione di piazza, l'azione di base, per usare un termine più pertinente: forse mancarono le forze, forse. Si è imposto così I'«Europeismo» anche se con tendenze regionaliste, ma il federalismo è ben altra cosa. Arrivati alla meta, e dobbiamo ormai arrivarci, avremo un'Europa tecnocratica il cui unico scopo sarà di assicurare gli interessi consumistici di tutti, a sfavore, ovviamente, di chi non rientra nelle «sacre» frontiere europee. Non si dice, con ciò, che si vuole il danno di chi non rientra nelle sacre frontiere europee, affermo soltanto che l'Europa assisterà imperturbabile a qualunque tragedia sconvolga il resto del mondo - compreso il mondo a lei confinante, ad es. il Mediterraneo - occupata soltanto dei propri pur legittimi problemi del burro, del latte, della carne, dei pomodori, degli olii, dei grassi, ed uso quest'ultimo termine in forma emblematica, in definitiva dei propri interessi economici nella cieca, unilaterale ed esclusivista intenzione di difenderli e incrementarli. Non per questo, certamente, ci siamo impegnati e sacrificati a suo tempo, abbiamo dedicato buona parte delle nostre giornate, non a questo miravano le nostre speranze di allora. Ebbene, la Federazione Mediterranea che stiamo proponendo con la fascia di sovrapposizione fra comunità appartenenti a due complessi federati - o almeno a quelli che proponiamo per tali - costringerà l'Europa a tornare a livelli federalisti quali quelli proposti agli inizi degli anni '50 dal vitale federalismo di allora. Essa eviterà che l'Europa si chiuda nell'isolamento della difesa dei propri esclusivi interessi inserendo ai suoi fondamentali margini meridionali nuclei di popolazioni e comunità impegnate anche e soprattutto nelle drammatiche problematiche sociali, culturali, umane, cioé politiche, delle regioni mediterranee, che non possono essere superate per altra via che non sia quella del federalismo mediterraneo. Analogamente una Federazione Mediterranea, o concreti procedimenti in favore di essa, influenzerà i processi federativi del mondo africano, evitando, tramite le popolazioni insediate sui margini settentrionali di esso, che l'Africa si isoli in un già adombrato minaccioso nazionalismo africano o islamico. Infine, la millenaria «attrazione verso il Mediterraneo» delle comunità meridionali, ancora sconvolte dalle guerre recenti, da quelle attuali e da quelle che gradualmente si vanno parando all'orizzonte - per non parlare dei genocidi in corso, simboleggiati emblematicamente da quello dei Curdi e da quello, di poco precedente, degli Armeni - farà sì che anche questi attuali drammatici problemi possano essere affrontati in sede mediterranea adeguata, e non lasciati alla risoluzione di potentati quali quelli europei, troppo occupati nella difesa esclusiva dei propri interessi economici e di prestigio - e che proprio per la loro natura esclusivistica divengono sordid i e meschini - o a auelli africani ancora troppo fatiscenti; o a potentati quali quelli mondiali extraeuropei, efficienti sì, sul piano tecnocratico e militare, ma troppo influenzati da interessi economici e politici altrettanto mondiali per potersi veramente curare di realtà culturali, sociali, umane, spirituali, quali quelle medio orientali, troppo estranee da ogni loro costume o filosofia o concezione di vita. E non si scordi che le regioni limitrofe al Mar Nero. al Mar Rosso. al Golfo Persico ed al Mar caspio sono, comé abbiamo prima più volte sottolineato., le più mediterranee. culturalmente parlando, di tutte le regioni. L Il problema di fondo Ma al di là di questi pur fondamentali interessi culturali, sociali, etnici, politici, la cui solo identificazione e denuncia sarà Der noi soddisfazione tale da compensarci di ogni maggiore o minore nostra fatica, al di là di essi - dicevo - vi sarà la possibilità. se non di arrivare a soluzione, almeno di indicare la soluzione ad una delle maggiori crisi esistenziali dei nostri tempi: il tragico contrasto fra il terrificante e frenetico fenomeno del consumismo occidentale, una allucinante spirale che soffoca ogni altra prospettiva, che condiziona sempre più ogni settore della nostra vita, addirittura della nostra psicologia - nostra. intendo anche di chi vi parla e di voi che mi ascoltate - e l'altrettanto terrificante fenomeno della dissoluzione della realtà culturale e dell'eauilibrio sociale del cosiddetto «terzo mondo in via di sviluppo» (termine adottato dall'UNESC0) che, come voi ben sapete, in via di sviluppo non è, esattamente il contrario. E lo sfascio di una società culturale, in particolare di quella africana e islamica, minata forse involontariamente da uno sfruttamento strisciante, dal contagio di un consumismo estraneo alle esigenze locali, devastato dal fenomeno dell'urbanizzazione selvaggia che, da un tessuto economico sociale equilibrato e decentrato, come conseguenza dei fenomeni precedentemente citati, ha creato delle megalopoli, veri inferni umani, dove si aggirano, private di qualsiasi radice culturale, orde di uomini senza lavoro, senza assistenza sanitaria o sociale, senza prospettive, senza speranze; aggrappati quanto possibile all'antica loro vocazione spirituale, malignamente alterata in fanatismo pseudo-religioso, in intolleranza e odio feroce verso i «diversi», fanatismo stimolato, armato e sfruttato da potentati di ogni natura per finalità di potere o di conservazione di grassi interessi o comunque per fini che con il progresso umano e sociale nulla hanno a che fare. Bene, i due aspetti degenerativi, chiamiamoli per semplicità «occidentali» e «terzomondisti», hanno purtuttavia componenti MAGGIO 1994 positive che si possono per brevità sintetizzare nel progresso tecnologico a favore dell'individuo - medicina, sanità, alimentazione, trasporti, comunicazioni - del mondo occidentale e nella tenace componente spiritualistica e filosofica di una forte componente del «terzomondismo» che, se innestate l'una nell'altra, potrebbero fungere da antidoto per i reciproci catastrofici estremismi e indicare soluzioni per una società umana che vede le sue due contrapposte metà, occidente e terzomondo, separate da un baratro sempre crescente, lo «hiatus», per dirla in termini geologici ed in termini politici ancora una volta ipotecati dall'Unesco (organizzazione che con questi problemi è meritoriamente, continuamente alle prese). Si tratta della famosa componente «orizzontale» basata nel tempo, che caratterizza il mondo occidentale impegnato a sfruttare disperatamente ogni più piccola frazione di esso per profitti e consumi alienanti per tutti, e la componente «verticale» caratterizzante il Terzo mondo, soprattutto quello africano e islamico che privilegia, sì, il problema dell'uomo nel suo inquadramento «verticale» nell'universo Creato, ma lo abbandona alle esigenze materiali più disparate, trascurandone totalmente la difesa contro lo sfruttamento e il contagio consumistico contro le quali propone soluzioni di «fanatismo» che ottengono esattamente l'effetto contrario. Ebbene, la Federazione Mediterranea portando a contatto, a integrazione, ed autogestione comune tali componenti più positive, può consentire un'armonica soluzione del problema di fondo, conciliare e temperare l'orizzontale con il verticale, integrando gradualmente, questa volta sì in senso positivo, i due mondi malati, l'occidentale ed il terzomondo nella fattispecie, cioè nel nostro caso, i tre grandi malati, l'Europa, l'Africa settentrionale ed il Medio Oriente. A Noi per primi Come?! Noi riuscire in tutto questo? Noi farci arbitri di tali complessi problemi? Non noi, signori che mi ascoltate, non noi soli certamente, ma quella composita comunità mediterranea al cui mondo, volenti o nolenti, noi apparteniamo, con una appartenenza che responsabilizza. Noi, è vero, non possiamo risolvere ora, con le nostre forze, questi problemi; possiamo però unirci fra mediterranei, fra principali interessati, per identificarli, denunciarli, proporne le soluzioni, iniziare, forse - ma io direi iniziare senza «forse», nei limiti delle nostre possibilità - le attività tendenti alle soluzioni d i essi, passo per passo, piccolo passo per piccolo passo, ma con spietata determinazione: spietata almeno quanto quella che cospira alla scomparsa del mondo mediterraneo visto come una unità, per la preservazione e la attivazione della quale, non ci si stancherà mai di ripeterlo, occorre che i suoi valori unitari, culturali e sociali siano autogestiti, anche se fra inevitabili contrasti. ma autonestiti da un complesso federato che comprenda le comunità umane socialmente, storicamente, spiritualmente, economicamente, gravitanti attorno a questo mare. Utopie? Già sentiamo i detrattori, i conservatori di ogni estrazione, gli scettici, i realisti, accusarci di perseguire chimere, di per- - MAGGIO 1994 derci dietro sogni assurdi. Assurdi? «credo quia absurdum!» ruggiva dalllAfrica uno dei «Padri della Chiesa», quel Tertulliano, cartaginese, nella cui frase precedente gli esterefatti e razionalisti romani avevano creduto di dover sintetizzare il suo pensiero: l'uomo, cui la cristianità deve, fra l'altro, la preghiera del «Pater Noster», insegnataci, sì, dal Vangelo, ma strutturata in preghiera e canonizzata proprio da lui. E del resto, in cos'altro si potrebbe «credere»? Forse nelle guerre, come in quella dell'Iraq? Forse nei massacri ancora una volta goduti in televisione, dal profondo delle nostre ~ o l t r o n e ?Forse nelle forche o nelle sedie elettriche, dove ben istruiti - e disgraziati! - gendarmi operano disciplinatamente, e legalmente assassinano «a nostro favore», come dice il potere? Se una fede va spesa, non può che essere spesa nella speranza di un mondo diverso che proprio per essere tale non può che apparire assurdo ai conformismi interessati di qualunque estrazione. Ma, riporta un principio derviscio, applicato nell'insegnamento dei Sufi e riportato da Idries Shah: «Lottare per una cosa irraggiungibile genera l'attività occorrente a compiere ciò che è necessario». Si intende, ciò che è necessario oggi. E , fra l'altro, il federalismo mediterraneo i r r a g g i ~ n ~ i b i non l e è, troppo evidente è la sua necessità da ogni punto di vista. Certo la meta è difficile; forse - è la solita storia della costruzione dei letti. su cui altri Dotranno dormire - non saremo noi a vedere l'opera compiuta, ce ne resterà parte del merito e non sarà poca cosa. E la tenacia, la pazienza di perseverare chi ce la darà? Chi la darà a coloro di cui chiederemo la collaborazione? Agostino da Tagaste in Numidia, guarda caso un altro africano ed un altro campione della Cristianità, uno dei quattro Dottori della Chiesa d'occidente,, ~resumibilmenteun esponente di quel mondo berbero cristiano, una parte del quale, sospinto verso il Sahara dall'espansione islamica, doveva dar luogo alla comunità dei Touaregh, altra etnia oggi sottoposta a parziale genocidio, Agostino dunque ci istruisce a sua volta in questo senso: «se speriamo in ciò che non vediamo, troviamo la pazienza di perseverare» ( = aspettare), riciclando nella sua «Esposizione sui Salmi», una frase riportata da Paolo di Tarso un israelita questa volta: quando si dice il Mediterraneo!! - «Hoc est unde dicitur: Si autem quod non videmus speramus, per patientiam aspectamus». Dove è troppo evidente, conoscendo Paolo ed Agostino che di speranza attiva si tratta, quell'attività che generando speranza, dalla speranza è alimentata e tramite la speranza giungerà al suo traguardo. È chiaro, comunque, amici federalisti, amici anarchici e transnazionali. che è solo su di noi, all'inizio, che possiamo, dobbiamo contare: quali che siano i nostri impegni di carriera iniziale, professionali, età, famiglia. Molto spesso le abitudini, le più giuste, le più umane, le più legittime, addirittura le più doverose quale la partecipazione annuale al Congresso Internazionale del Partito Transnazionale, ci dissuadono a prendere nuovi impegni: «ne abbiamo troppi», «non sarebbe serio», «meglio fare poche cose e farle bene», ecc.. Le abitudini, le più lodevoli, intorpidiscono la coscienza la quale deve essere vigile, giorno per giorno, direi ora per ora, alle sempre nuove esigenze, non affrontando le quali compromettiamo quelle che riteniamo di aver affrontato e lodevolmente risolto. Abbandonare sistematicamente, continuamente, il mondo delle abitudini, a ogni nuovo legittimo richiamo ed il richiamo del Mediterraneo, con le tragedie che imperversano attorno a noi dall'Algeria al Libano, dall'Iraq alla Persia, ai Curdi e chi più ne ha più ne metta, tale richiamo, dicevo, Dio solo sa se è legittimo: «In piedi, amici!, partiamo! È tempo di lasciar il mondo delle abitudini! Nel cielo risuona il tamburo e ci chiama. Vedi: il cammelliere si è alzato, ha preparato la carovana e si appresta a partire!». È il richiamo di Jalaloddin Rumi, il più volte citato grande spiritualista, filosofo e poeta islamico il quale aveva negli stessi versi identificato i motivi di crisi: «un sonno pesante ti è caduto addosso dagli astri volteggianti.. . non fidarti di questo sonno così pesante!». È il miraggio mediterraneo, il richiamo di questo mare e di quanto significa, della «bellezza» insita nell'armonia, nell'unione, nella creatività, per quanto sofferta essa possa essere, tutto simboleggiato nello stesso rombo del mare. «È tempo d'unione e d'incontro, e tempo d'eterna bellezza, è tempo di grazia e di dono, che il mare è chiarore, è chiarore! è giunta l'ondata di grazia, ci arriva il rombo del mare! ...». Rumi, l'autore, moriva nel 1273... Retorica? Sentiamo Camus, il già ricordato membro della Resistenza europea, scrittore concreto come pochi altri e notiamo il medesimo riferimento alla «bellezza» già usato da Rumi, intesa come armonia creativa, emblematicamente ravvisata nella Grecia di un tempo per il suo gigantesco contributo alla creatività in tutti i sensi, quella creatività che rappresenta il motivo primo dell'esigenza d i una armonica unità federale mediterranea; nella ricostruzione dell'Armonia Mediterranea, Camus, l'autore d e «L'Uomo in rivolta», credeva ed incitava a credere: «L'ignorante reconnue, le refus du fanatisme, les bornes du monde et de I'homme, le visage aimé, la beauté enfin, voici le camp où nous rejoindrons les Grecs. D'une certaine manière, le sens de l'histoire d e demain d'est pas celui qu'on croit. I1 est dans la lutte entre la création et l'inquisition. Malgré le prix que coiìteront aux artistes leurs mains vides, o n peut espérer leur victoire. Une fois de plus, la philosophie des ténèbres se dissipera audessus d e la mer éclatante». «Le mer éclatante»..., il «rombo del mare». .. Non è retorica, amici, e alzi la mano chi di voi, avvicinandosi alla riva del mare Mediterraneo, non abbia almeno una volta pensato a queste cose. Solo che non basta pensare, occorre agire. E , se ancora non bastasse, sentiamo ancora il grande giurista e spiritualista islamico Ain COMUNI D'EUROPA E1 Ghazali nel capitolo della sua autobiografia dedicata alla narrazione della sua conversione al Sufismo: «Partenza, partenza! Breve è lo spazio di vita che ti rimane, e lunga è la via da percorrere ... Se non ti metti in cammino adesso, quando ti ci metterai?» E gli fa eco Agostino da Tagaste, vescovo di Ippona, nelle sue «Confessioni»: «Amiamo, Corriamo» (Amemus, Curremus), gli risponde dal Nord del bacino del Mediterraneo della povera grande Milano, un certo Ambrogio da Treviri, dottore della Chiesa, attraverso i suoi Inni, con un appello volto, «come il gallo del mattino a scuotere gli inerti, rimproverare gli assennati, accusare i renitenti». «Coraggio, ora leviamoci!» (Surgemus ergo strenue!) Ma perché noi? Perché sempre a noi, oberati da incarichi urgenti, urgentissimi, il rinnovamento delle istituzioni, i problemi della droga, l'Europa orientale! E poi per che cosa? Andiamo al concreto: per il Mediterraneo, un mondo in cancrena, un mondo di poveri, di ignoranti, di affamati fanatici, zolfanelli accendibili da qualsiasi accensore, turbolenti mafiosi, visionari, assassini, un mondo di AICCRE SEZIONE proporvi, come antidoto alla Guerra del Golfo, o quelle che seguiranno nella stessa area, ed ai genocidi presenti e futuri che si stanno consumando e si consumeranno nel bacino del nostro mare, il federalismo mediterraneo, la federazione dei popoli mediterranei, rispondendo concretamente all'appello di Fernand Braudel: chi lo conosce sa trattarsi di uno dei più grandi storici di questo secolo, ed in assoluto il più grande storico del Mediterraneo: «Quand nous révons d'accomplissement humain, de la fiertè et du bonheur d'etre homme, notre regard se tourne vers la Méditerranée.. . La source est là, dans I'espace méditerranéen, la source ~rofondede la haute culture dont notre civilisation se réclame.. . Nous n'avons nullement répudeé le vieil héritage, mais nous avons choisi des nous établir dans sa part ténèbreuse: La Mediterranee - mais apre et capiteuse. La Mediterranee des pauvres Appello al quale, parafrasando Albert Camus, mi permetto aggiungere: «Per il Mediterraneo della Creatività». Si, amici, per questo siamo e saremo fra di voi, per la Federazione dei Popoli del Mediterraneo: Per il Mediterraneo dei poveri, per il Mediterraneo della creatività. gente perduta, di morti. Di gente perduta? Di morti? Son tali solo se noi tali li consideriamo, o, il che è lo stesso, se tolleriamo che $i altri li considerino tali: siamo ancora in temDo ad intervenire. ma per poco. Costituita definitivamente 1'Europa, il Mediterraneo come autonomo mondo autogestito sprofonderà negli abissi delle cose che si potevano fare e non furono fatte, diverrà miserabile «frontiera» turistica d'Europa, il ricordo di noi finirà nei libri di storia. Di gente perduta? Di morti? «Se sono perduto» - ci dice S. Agostino nella sua esposizione sui salmi - «in qual modo sono tuo fratello?),. La responsabilità viene ancora gettata su noi, ma legittimamente, unici forse come siamo, ad avere per personale ambizione, quella sola che si possa dire di noi ciò che Agostino di Tagaste, ancora citando gli esposti di Paolo da Tarso ( l alett. ai Cor.), raccomanda che si possa in effetti dire di noi: «I1 tuo fratello era morto, ed è resuscitato; si era perduto ed è stato ritrovato» (...si ergo perii, inquit, quomodo sum frater tuus. Ut dicatur mihi de te: Frater mortus erat, et re-vixit; perierat et inventus est). Scusatemi, Amici transnazionali ed anarco federalisti, se vi ho cosl a lungo tediato, ma non ho creduto di dover oltre attendere per ITALIANA DEL CONSIGLIO DEI COMUNI E DELLE REGIONI D'EUROPA ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE, DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI 00187 ROMA COMUNI D'EUROPA i PIAZZA DI TREVI; 86 i TELEFONO (06) 699.40.461 ( 6 LINEE) - FAX (06) 6793275 MAGGIO 1994 za, per quanto non sia stato trasferito alla Comunità europea; la difesa nazionale, nei limiti di quanto non sia stato trasferito alla NATO; e il debito pubblico. Va anche sottolineato che lo Stato federale resta pienamente competente per gli affari interni e per l'ordine pubblico, come non sempre avviene negli altri Stati federali. In Belgio, la giustizia è di competenza dello Stato federale; tutto converge verso una sola Corte di cassazione e i giudici devono applicare non solo le leggi nazionali, ma anche le leggi (decreti e ordinanze) delle Comunità e delle Regioni, senza dimenticare evidentemente la legislazione europea. 2 . I rapporti con l'estero La nuova Costituzione stabilisce che il Re ovvero il Governo federale - curi i rapporti internazionali e concluda i trattati, senza pregiudizio della competenza delle Comunità e delle Regioni per quanto concerne la cooperazione internazionale, comprendente anche la conclusione di accordi, per le materie che rientrano nelle loro competenze (esclusive) in virtù della Costituzione. Per garantire la coerenza nella politica estera belga, la Costituzione prevede anche che i governi delle Comunità e delle Regioni informino il governo federale circa le proprie intenzioni di avviare negoziati per la conclusione di un accordo. I1 governo federale dispone allora di trenta giorni per sollevare riserve e, nel caso di mancato consenso, esso può, nei trenta giorni successivi, sospendere la negoziazione che il governo locale interessato aveva inteso avviare. Ma ciò può avvenire soltanto in quattro casi molto precisi, ovvero quando: - la parte contraente non è riconosciuta dal Belgio; - il Belgio non intrattiene rapporti diplomatici con la parte contraente; - i rapporti diplomatici con la parte contraente interessata sono interrotti, sospesi o gravemente compromessi; - il Trattato previsto è contrario agli obblighi internazionali del Belgio. Questa è la procedura nel caso delle competenze esclusive; mentre per quanto riguarda le competenze miste, lo Stato federale, le Comunità e le Regioni concludono un accordo di cooperazione al fine di assicurare il coordinamento dei negoziati volti alla conclusione di un Trattato. Le Comunità e le Regioni mantengono tuttavia la loro piena libertà di essere cofirmatarie del Trattato per le materie di loro competenza. Per la rappresentanza del Belgio in seno al Consiglio dei Ministri della Comunità europea, il Belgio intende avvalersi pienamente della facoltà attribuita dal nuovo articolo 146, che prevede che ogni Stato membro debba essere rappresentato in seno al Consiglio da un ministro, abilitato ad impegnare il Governo dello Stato che rappresenta. In concreto, ciò vuol dire che per le materie di esclusiva competenza delle Comunità e Regioni (cultura, istruzione, giovani, turismo, edilizia e pianificazione territoriale) il - MAGGIO 1994 Belgio sarà rappresentato in seno al Consiglio dell'unione da un Ministro comunitario o regionale, abilitato a negoziare e ad impegnare tutto il paese, ovvero anche tutte le altre Comunità e/o Regioni belghe. A tale scopo verrà creato un sistema di rotazione, con cadenza semestrale, per consentire ad ogni Comunità e Regione di rappresentare il Belgio in seno al Consiglio. Per le materie in cui prevale la competenza comunitaria o regionale (industria, ricerca e sviluppo), sarà ugualmente un Ministro comunitario o regionale a rappresentare il Belgio in seno al Consiglio, ma con l'assistenza di un Ministro federale assessore. Per le materie dove prevale la competenza federale (agricoltura, ambiente, trasporti, mercato interno, energia e affari sociali), il Belgio sarà rappresentato da un Ministro federale, assistito - a seconda dei casi - da un Ministro comunitario o regionale assessore. Infine, per le materie di esclusiva competenza del Governo federale (affari generali, economia e finanza, bilancio, giustizia, telecomunicazioni, cooperazione, tutela dei consumatori e protezione civile), il Belgio sarà rappresentato da un ministro federale. Tutto ciò richiede un coordinamento molto preciso e costante fra i differenti Governi del Belgio. Tale funzione viene svolta da un Comitato ad hoc che si riunisce anche dueltre volte alla settimana e alle cui riunioni sono invitati a partecipare tutti i rappresentanti dei ministri interessati (gabinetti e/o amministrazioni), anche se la materia in discussione non è di loro competenza. Questo sistema di coordinamento interno funziona già da qualche tempo con piena soddisfazione di tutti e con punti di divergenza estremamente limitati, il che si comprende se si considera che il Belgio è un piccolo paese, di appena 10 milioni di abitanti, le cui esportazioni di beni e servizi rappresentano il 70% del suo Prodotto Interno Lordo (PIL), e che è, da sempre, saldamente legato alla Comunità Europea. Nella Costituzione belga è altresì previsto che lo Stato federale abbia l'obbligo di citare davanti ad una giurisdizione internazionale o sopranazionale ogni persona giuridica di diritto internazionale su richiesta del o dei Governi comunitari o regionali interessati. Tale articolo riguarda essenzialmente la Corte di Giustizia della Comunità europea, presso la quale il Belgio ha già subito numerose condanne, talvolta proprio a causa delle Comunità o delle Regioni, che non rispettano i regolamenti o le direttive europee. D'altra parte, tuttavia, lo Stato federale può sostituirsi agli organi legislativi ed esecutivi delle Comunità e delle Regioni, quando essi siano stati condannati da una giurisdizione internazionale per il mancato adempimento di un obbligo internazionale al fine di dare concreta esecuzione allo stesso. Lo Stato federale può anche rivalersi presso la Comunità o la Regione interessata delle spese derivanti dal mancato rispetto di un obbligo internazionale. Tale recupero può essere realizzato tramite una ritenuta sui mezzi finanziari di spettanza della Comunità o della Regione interessata (imposte proporzionali). In linea generale le Comunità e le Regioni possono anche fare appello agli ambascia- tori e ai diplomatici belgi nelle sedi estere per la tutela dei loro interessi o, più in generale, per organizzare delle missioni di Comunità o Regioni che, in ogni caso, assumeranno in proprio l'onere delle spese relative a tali attività. Le Comunità e le Regioni hanno anche il diritto di nominare dei propri addetti presso le ambasciate e le rappresentanze permanenti del Belgio, o anche al di fuori di queste. Pertanto, mentre la maggior parte delle Comunità e delle Regioni ha un addetto in seno alla rappresentanza permanente belga presso la Comunità europea, la Fiandra e la Vallonia hanno degli addetti per le attività commerciali e di investimento sia presso le ambasciate e i consolati belgi sia al di fuori di questi, in quanto il commercio estero è largamente regionalizzato e spesso uno degli obiettivi della politica regionale è quello di acquisire investimenti esteri. 3 . Le Istituzioni Le Comunità e le Regioni esercitano il potere legislativo ed esecutivo in ordine alle materie per le quali la Costituzione e le leggi speciali hanno ad esse attribuito la piena sovranità. Cosi, ad esempio, le vecchie leggi nazionali in materia di istruzione vengono costantemente modificate dai decreti delle Comunità, in quanto lo Stato federale, in pratica, non ha più alcuna competenza in materia. Ciò comporta, evidentemente, una diversa evoluzione della legislazione fra le differenti Comunità e Regioni, e in particolare per quanto concerne la cultura, l'istruzione, la formazione professionale, l'assistenza sociale, la politica dell'occupazione e i trasporti. Per altre materie, quali l'ambiente, l'agricoltura e l'industria, la legislazione europea stabilisce spesso delle norme o dei programmi d'intervento che, pertanto, costituiscono la base di riferimento per le legislazioni regionali in materia. Per il resto le Istituzioni comunitarie e regionali funzionano come le Istituzioni nazionali, ovvero in seno ai parlamenti vi è una maggioranza, così come definitasi, che forma un governo, presenta alle assemblee un programma e lo attua, fermo restando che le assemblee parlamentari, comunitarie e regionali, mantengono il pieno diritto d'iniziativa in materia. Esiste, tuttavia, una sola assemblea legislativa per le Comunità e le Regioni a differenza dello Stato federale, in cui è stato mantenuto il bicameralismo, seppure con l'introduzione di una divisione del lavoro tra la Camera dei Rappresentanti e il Senato: la prima è divenuta la Camera politica, che vota la fiducia al governo federale e approva i bilanci, mentre il Senato ha assunto piuttosto la funzione di una Camera della riflessione, che si occupa anche delle eventuali controversie fra le assemblee legislative federali, da una parte, e quelle comunitarie o regionali, dall'altra. Le elezioni per il parlamento federale (Camera e Senato) avranno luogo ogni quattro anni; quelle per i Consigli comunitari e regionali, ogni cinque anni; quelle per le province e i comuni, ogni sei anni. La composizione COMUNI D'EUROPA dei governi comunitari e regionali può essere riformulata soltanto mediante una mozione positiva di sfiducia, il che vale in linea generale anche per il governo federale. Tale rimpasto governativo deve avvenire entro il termine di tre giorni, trascorso il quale - se non vi è accordo fra i partiti - il Re può procedere allo scioglimento delle Camere per indire nuove elezioni. Dopo le elezioni, spetta al Re incaricare il Primo Ministro per la formazione del nuovo governo federale. È sempre il Re che nomina e destituisce dall'incarico i Ministri, mentre al livello comunitario e regionale i Governi vengono formati dalla maggioranza determinatasi, poiché i ministri vengono nominati dai Consigli e solo i ministri-presidenti delle Comunità e delle Regioni prestano giuramento nelle mani del Re. La Camera dei rappresentanti sarà in futuro composta da 150 deputati (contro gli attuali 212). I1 Senato, che avrà una funzione di concertazione fra Comunità e Regioni, sarà composto da 71 senatori, di cui 40 (25 di lingua neerlandese e 15 di lingua francese) eletti direttamente, mentre ogni Assemblea comunitaria designerà inoltre alcuni dei suoi membri che dovranno far parte del Senato (21 in totale: 10 per la Comunità Fiamminga; 10 per la Comunità Francese e 1 per la Comunità Germanofona); 10 Senatori (6 fiamminghi e 4 francofoni) saranno cooptati da loro pari, eletti in maniera diretta. I1 Consiglio fiammingo conterà 124 membri, di cui 6 provenienti dal Consiglio regionale di Bruxelles al quale spetta la loro designazione. I1 Consiglio vallone conterà 75 membri. Con 19 membri del Consiglio regionale d i Bruxelles, designati dal medesimo, essi formano il Consiglio della Comunità francese (dunque, in totale, 94). I1 Consiglio della Regione d i Bruxelles-Capitale conta 75 membri e il Consiglio della Comunità germanofona 25. Ciò pone chiaramente in risalto una delle caratteristiche dell'introduzione di un sistema federalista nel Regno del Belgio, ovvero I'asimmetria. Infatti, sul versante fiammingo abbiamo una sola assemblea legislativa e un solo governo per la Comunità e la Regione, mentre sul versante francofono abbiamo due assemblee e due governi, gli uni competenti per le materie comunitarie, gli altri per le materie regionali, dunque con due amministrazioni e due bilanci. Va inoltre sottolineato che le Comunità fiamminga e francofona e la Regione vallona avranno, d'ora in avanti, piena autonomia in ordine alla determinazione del numero dei membri dei loro Consigli e il numero dei ministri comunitari e regionali. La Regione d i Bruxelles-Capitale e la Comunità germanofona non godranno invece d i tale autonomia. I1 numero dei ministri federali è fissato in un massimo di 15. Essi cessano di essere membri del parlamento a partire dal conferimento dell'incarico. Per completare il quadro di quanto fin qui esposto è opportuno aggiungere che il sistema elettorale belga è quello proporzionale e che l'elettorato attivo è composto da tutti i cittaCOMUNI D'EUROPA dini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. 4. Conflitti di competenza e di interesse Diversamente da altri Stati federali, il Belgio non ha previsto una gerarchia di norme fra lo Stato federale e le entità federate. Vale a dire, l'adagio «Bundesrecht bricht Landesrecht» («il diritto federale prevale sulla legislazione di un Land») non è adatto a rappresentare la situazione in Belgio. Le leggi, i decreti e - in una certa misura anche - le ordinanze hanno lo stesso valore giuridico. È dunque opportuna la massima chiarezza per quanto concerne I'individuazione di soluzioni nel caso di conflitti di competenza (giuridica) e d'interesse (politico). Per quanto riguarda i conflitti di competenza, il Belgio ha istituito una Corte di arbitrato che può giudicare in ordine a conflitti concernenti atti legislativi. Essa funziona come una sorta di Corte costituzionale per la tutela di alcune libertà dei cittadini, in particolare in materia d i istruzione. Per quanto concerne gli atti amministrativi, i conflitti d i competenza vengono risolti dal Consiglio di Stato. I conflitti d'interesse costituiscono oggetto di arbitrato in seno al Comitato di concertazione governo federalelgoverni comunitari e regionali. Esso funziona secondo la regola del consenso. Un disaccordo insanabile su una materia giudicata importante può provocare la caduta del Governo federale. 5. 11 sistema di finanziamento Per poter pienamente svolgere le funzioni conseguenti alle competenze ad esse attribuite, le Comunità e le Regioni hanno beneficiato di un trasferimento di crediti, previsto a tale scopo nel bilancio 1989 al livello nazionale per le diverse materie. Al fine di conseguire anche da parte delle entità federate un contributo al risanamento delle finanze pubbliche, gli importi da trasferire, precedentemente definiti, sono stati tuttavia ridotti del 2,1940. Per finanziare le spese - più del 1 0 % del PIL del Belgio - le Comunità e le Regioni dispongono di due fonti principali: le imposte proprie e le imposte proporzionali. Le imposte proprie - che rappresentano solo il 1 0 % delle loro entrate - sono in realtà le vecchie imposte nazionali, che sono state trasferite alle Comunità e alle Regioni. Si tratta d'imposte, la cui individuazione non comporta difficoltà: la ritenuta sugli immobili, la tassa di registrazione, i diritti di successione, il canone radio-televisivo e alcune imposte di minore importanza (lotterie ecc.), oltre che - in teoria - la tassa di circolazione che, attualmente, è ancora attribuita allo Stato federale. Le imposte proprie vengono assorbite dallo Stato federale centrale, ma le entrate riscosse nelle diverse regioni vengono ad esse integralmente trasferite. La principale fonte d i finanziamento delle Comunità e delle Regioni è tuttavia costituita dalle imposte proporzionali: - le imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (40% del totale delle imposte così riscosse) - la tassa sul valore aggiunto (IVA) (60% del totale dell'IVA riscossa). A partire dall'anno 2000 - al momento attuale e fino al 1999 rimarrà in vigore un regime provvisorio - le necessità delle Comunità e delle Regioni saranno definite in funzione delle dotazioni d i base, stabilite nel 1989 e ritoccate in dipendenza dell'inflazione e della crescita economica. L'importo complessivo sarà allora espresso nella percentuale dell'IRPEF e ogni Comunità e Regione riceverà la medesima percentuale. E ciò sta a significare che le Regioni, il cui gettito delI'IRPEF è più elevato, riceveranno somme relativamente maggiori. Qui si tratta di una responsabilità finanziaria, e non di una responsabilità fiscale, in quanto le Comunità e le Regioni non hanno pressocht: poteri né per quanto riguarda la definizione dell'assetto fiscale né per la definizione delle tariffe. Vi sono tuttavia due principali eccezioni a questa regola: - per quanto concerne le entrate IVA, tarsferite per il finanziamento dell'istruzione e che costituiscono la voce di spesa più elevata (circa il 50% delle spese delle Comunità e delle Regioni nell'insieme), esse non vengono assegnate in funzione della loro riscossione nelle Comunità rispettive, ma in funzione delle necessità effettive (in base al numero di alunni e studenti negli istituti di istruzione d i vario grado, università comprese, delle Comunità); - per quanto concerne il canone radiotelevisivo, di competenza delle Comunità, si è convenuto che si applicherà un sistema forfettario nella Regione di Bruxelles-Capitale: 1'80% delle entrate riscosse andranno alla Comunità francese e il 20% alla Comunità fiamminga. Poiché la maggior parte delle spese sostenute dalle Comunità viene indicata in funzione delle necessità, non vi è bisogno di un meccanismo di solidarietà. Per contro, è stato creato un meccanismo di solidarietà nazionale per le Regioni. Tale meccanismo è estremamente semplice: lo Stato verserà 468 Fr.B indicizzati ai prezzi al consumo - per abitante e per punto percentuale nella differenza di rendimento dell11RPEFtra la Regione interessata e la media nazionale. I n virtù di tale meccanismo d i solidarietà, la Regione Vallonia, con un rendimento/IRPEF dell' l l % inferiore alla media nazionale, ha ricevuto nel 1991 circa 18 miliardi di Fr.B, somma che rappresenta circa 1'1% del PIL della Vallonia. Una solidarietà implicita molto più consistente esiste tra le diverse Regioni delle Comunità a titolo di sicurezza sociale nazionale; secondo le stime circa 10 volte superiore. È opportuno aggiungere che, contrariamente al sistema - ad esempio - del «Finanzausgleich» tedesco (perequazione finanziaria), non è prevista in Belgio la proporzionale dell'imposta societaria. I1 Belgio è un paese complesso, situato al (segue a puy. 15) MAGGIO 1994 il Libro verde della Commissione europea La politica sociale europea: opzioni per l'Unione di Lino Tomasi* I1 Libro verde viene pubblicato in concomitanza con la ratifica del Trattato di Maastricht. L'entrata in vigore del Trattato sull'unione europea comporta nuove possibilità operative della Comunità da attuarsi nell'ambito sociale. L'intenzione è di stimolare in tutti gli Stati membri un ampio dibattito sull'orientamento da imprimere alla politica sociale nell'unione europea. Il Libro verde è pertanto volto a fornire una piattaforma al dibattito che si auspica abbia luogo non solo a livello nazionale in ogni Stato membro, ma anche a livello regionale e locale e fra tutte le parti interessate comprese le parti sociali e gli specifici gruppi di interesse. Siccome lo scopo del Libro verde consiste nel fornire indicazioni che possano orientare la politica sociale europea nei suoi prossimi sviluppi, risulta ovvio che anche l'analisi e le proposte d'azione contenute nel Libro bianco sulla crescita economica, la competitività e l'occupazione, saranno d'aiuto nel determinare il clima e la sostanza del dibattito che si terrà sul problema di come conciliare gli obiettivi del progresso economico con quelli del progresso sociale. La Commissione prenderà in adeguata considerazione tutti gli elementi di rilevanza sociale che scaturiranno dal dibattito attuato fra le diverse istanze sociali, per dar loro successivamente quell'organicità che verrà a costituire l'intelaiatura del Libro bianco sulla politica sociale dell'unione europea. Uno dei punti più significativi, che caratterizzano l'intelaiatura del Libro verde, è sicuramente la convinzione - fortemente radicata nella costellazione sociale attuale - che ci troviamo in un'Europa soggetta a profonde trasformazioni. Molteplici principi e valori, che fino a poco tempo fa costituivano la base del nostro agire quotidiano, sono stati, nel frattempo, messi in discussione. Molti valori sono stati svuotati del loro originario contenuto, divenendo così obsoleti e perdendo anche la loro rilevanza etica. Da ciò consegue una grande insicurezza che percorre il settore dell'agire in ogni sua manifestazione. Gli ambiti dell'agire politico e sociale devono pertanto essere rivisitati. I1 modo in cui la realtà quotidiana si dispiega rende necessaria una rimessa a fuoco di molti nodi strutturali della realtà sociale. Ciò significa, anche, che non pochi settori dell'interazione sociale abbisognano di un ridimensionamento che sia in linea con le attuali condizioni storiche profondamente mutate. Il Libro verde si sforza di individuare possibili risposte al problema di come sia possibile soddisfare le aspettative di una società eu- * Servizio studi e relazioni linguistiche della Regione Trentino-Alto Adige. Relazione di sintesi tenuta a Barcellona il 20 aprile al Consiglio di presidenza della Comunità di lavoro delle Regioni europee di confine. MAGGIO 1994 ropea che sta attraversando un profondo cambiamento strutturale dell'agire sia individuale, sia pubblico. Di fronte a questi cambiamenti, l'Unione europea deve cercare d i mettere a fuoco la sua posizione in maniera tale da saper creare le premesse per una società giusta, attiva, dinamica ed aperta. Ciò deve accadere in una maniera che sia in grado di mobilizzare le attitudini di tutti gli attori sociali, affinché questi possano migliorare la qualità della loro esistenza sulla base dei mutati condizionamenti storici. La prima parte riporta in sintesi le conquiste della dimensione sociale comunitaria. Fra le più importanti, v'è sicuramente la libera circolazione dei lavoratori, una delle quattro libertà sancite dal Trattato, nella fattispecie per quanto riguarda il coordinamento tra i sistemi di sicurezza sociale a favore dei lavoratori migranti. Un'ulteriore conquista è la parità d i trattamento tra uomini e donne con particolare riguardo alla promozione della parità di opportunità, essenziale contributo alla creazione di una società moderna e progressista, basata sul fondamento di diritti consolidati giuridicamente. La tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, così come pure il diritto del lavoro garantito dalla Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata nel 1989, costituiscono elementi giuridici che pongono in chiara evidenza la vocazione della Comunità a realizzare concretamente la dimensione sociale. Di notevole importanza sono pure i massicci finanziamenti concessi dal Fondo sociale europeo (FSE) agli interventi in materia di formazione e di occupazione che hanno notevolmente contribuito allo sviluppo di misure rivolte alla lotta contro la disoccupazione, alla creazione di attività professionali, allo sviluppo delle risorse umane ed al miglioramento dell'efficienza del mercato del lavoro e della competitività, il tutto con particolare riguardo alle regioni della Comunità depresse e sottosviluppate. Anche l'introduzione di programmi di scambio ha notevolmente contribuito a fornire una risposta concreta ed efficace alle trasformazioni sociali ed economiche e alle sfide con cui devono confrontarsi gli Stati membri. A tal riguardo, va menzionata anche la pratica di estese consultazioni con le parti sociali, mediante la rete di Comitati consultivi tripartiti - a livello comunitario, statale e local-regionale - la cui funzione consiste soprattutto nel produrre il più ampio consenso sociale in tutti i settori di attività social-politica. I1 dialogo sociale ed il comune sforzo d i negoziazione rivolto alla produzione di un consenso sociale descrivono dall'interno il modo in cui si dispiega la politica sociale della Comunità. La seconda parte riguarda le sfide sociali per l'Europa. Lo spettro sociale della dimensione comunitaria è costituito, nella sua glo- balità, da una molteplicità di problemi diversi. Si tratta di situazioni problematiche, le quali mettono in chiara evidenza che in determinati settori sociali è venuta a spezzarsi la continuità comunicativa. Un confronto con queste sfide è pertanto non solo auspicabile, bensì anche indispensabile, costituendo esso la premessa fondamentale per una discussione relativa allo sviluppo futuro della politica sociale. Il progresso sociale dipende sicuramente da solide basi economiche: un buon livello sociale è però la componente fondamentale per la costituzione di un'economia competitiva. La dimensione sociale, a sua volta, non è primariamente costituita dall'economia, bensì risiede in più profonde strutture culturali. Difatti, sembra esistere un diffuso anelito verso un'Europa meno dominata da considerazioni economiche e tecnocratiche e più vicina ai bisogni della gente. L'Europa è caratterizzata dal fatto che essa consiste di una molteplicità di diversità etniche, linguistiche e culturali. Ciò contribuisce notevolmente a rendere l'Europa un sistema estremamente complesso ed altamente stratificato, motivo questo per il quale spesso è possibile prendere decisioni rilevanti dal punto di vista comunitario solo mediante lunghe e faticose trattative. Ciò costituisce da un lato una barriera, dall'altro lato, tuttavia, ciò consente anche di assumere punti di vista ed opinioni diverse, di imparare gli uni dagli altri e di concrescere così in un contesto comunicativo in cui le decisioni vengono prese consorzialmente su di un piano dialogico-argomentativo. Democrazia, diritti e libertà individuali, parità di opportunità, molteplicità culturale, rispetto della dignità dell'uomo, sicurezza sociale e stato d i diritto sono ulteriori, inalienabili diritti fondamentali che costituiscono in maniera essenziale la dimensione sociale della Comunità. Questi principi inequivocabilmente riconosciuti, che sono enormemente importanti per quanto riguarda il dispiegamento di una società moderna, attiva e dinamica, riescono ad esprimere la loro intima ed originaria efficacia operativa solo qualora la sfera economica viene posta in interazione col contesto sociale in tutte le sue manifestazioni culturali. Nel Libro verde, ciò viene sottolineato energicamente: la componente economica deve essere intrecciata con la componente sociale. E necessario saper adeguatamente intendere l'ambito della produzione come processo sociale, rilevante quindi anche dal punto di vista dell'agire, ancorato saldamente nelle strutture dei bisogni culturali di tutti gli attori sociali. La tendenza che scaturisce da una simile costellazione viene così ad articolarsi nella creazione di una società aperta ed attiva, ail'interno della quale ad ognuno si diCOMUNI D'EUROPA schiude la possibilità di prender parte non solo ai processi produttivi, ma anche e soprattutto allo sviluppo e alla crescita della società intesa nella sua globalità. Una disoccupazione elevata è un segnale estremamente preoccupante dal punto di vista sociale. Bisogna quindi necessariamente cercare di creare nuovi posti di lavoro. Una società che non è in grado di controllare il numero dei disoccupati è inevitabilmente esposta al rischio fatale di disgregazione. Si è tuttavia consapevoli del fatto che il lavoro non ha la sola funzione di procurare i mezzi per la sussistenza economica, ma rappresenta anche una premessa essenziale per realizzare la propria personalità, per instaurare contatti sociali e per plasmare quindi la propria esistenza quotidiana. Si capisce allora perché il ruolo dello stato assistenziale debba essere redifinito. È necessario porre in stretta connessione il problema economico-finanziario con un'attiva politica di inserimento di tutti gli attori sociali nel contesto produttivo e nella vita sociale. Un'adeguata politica sociale deve impegnarsi con lo scopo di aiutare le persone a trovare il loro giusto collocamento all'interno della società. Questo traguardo non è raggiungibile soltanto mediante attività di tipo remunerativo, ma anche e soprattutto attivando una stretta interazione tra economia e cultura. L'Europa sta per affrontare una fase, nella quale diventa per essa estremamente importante riuscire nell'intento di costruire una società aperta che sia in grado di cogliere la sua collocazione storica nel contesto dei bisogni culturali attuali. Gli europei intendono realizzare un modello di società in cui la logica economica e la dinamica sociale vengono ad interconnettersi in maniera tale da consentire a tutti gli interagenti di partecipare direttamente, attivamente e responsabilmente al dispiegamento della loro esistenza individuale e della loro attività interrelazionale. Si vuole, dunque, realizzare una società aperta e giusta che mobiliti l'energia e le attitudini dei cittadini e che migliori così la loro qualità esistenziale, sia in quanto lavoratori, sia in quanto membri della società civile. La terza sezione del Libro verde contiene possibili risposte dell'unione europea alle sfide summenzionate. La politica sociale riveste un ruolo fondamentale, in quanto, più di ogni altro settore, riguarda l'esistenza quotidiana. Essa, infatti, determina le condizioni di lavoro, lo standard di vita e la qualità esistenziale di consociati, ma soprattutto esercita notevole influsso in riferimento alla realizzazione del loro essere individuale, in quanto persone. I1 suo compito fondamentale consiste perciò nell'affrontare e nel risolvere tutti i problemi con cui devono confrontarsi gli abitanti della città e della campagna, le donne e gli uomini, i giovani e gli anziani. Un compito tutt'altro che facile da affrontare, in quanto, come si è visto sopra, la politica sociale è sempre costretta ad operare in un ambito che vede, da un lato, le aspettative dei singoli, dall'altro lato, ciò che per la società è di fatto possibile. Un primo passo, che deve essere compiuto senza esitazione, consiste nel migliorare la COMUNI D'EUROPA condizione occupazionale. La disoccupazione attuale, che è estremamente elevata, è socialmente molto pericolosa e pertanto non è sostenibile né politicamente né economicamente. Si è tutti d'accordo nel ritenere che questo problema possa essere risolto mediante una crescita economica. Sono, infatti, già stati presi molteplici provvedimenti a tal riguardo. Si è tuttavia anche consapevoli di come la crescita economica, da sola, non sia sufficiente. Vi sono ostacoli strutturali che rendono estremamente difficoltosa la creazione di nuovi posti di lavoro, con i quali bisogna sapersi confrontare in modo più radicale. Ma non solo in modo più radicale, bensì anche comunitariamente, essendo per i singoli Stati membri molto difficile operare singolarmente ed individuare soluzioni efficaci. Bisogna riuscire a sviluppare strutture di gestione maggiormente decentrate; è inoltre necessario modificare i profili operativi, cercando di venire incontro alle nuove esigenze professionali. È altresì indispensabile riorganizzare i sindacati e le aziende, migliorare la qualità del lavoro (le condizioni di lavoro, la difesa e la sicurezza dei lavoratori), introdurre regolamentazioni pensionistiche più flessibili, creare concetti integrati per i giovani, tali da consentir loro un adeguato passaggio dal contesto produttivo a quello sociale. Un ulteriore passo da effettuarsi consiste nel prendere provvedimenti che promuovino la solidarietà e l'integrazione. Una politica sociale attiva ed orientata al futuro deve sia combattere la disoccupazione sia fornire un giusto ruolo sociale alla popolazione attiva ed anche a quella parte di società che non partecipa immediatamente alla produzione, in quanto entrambe sono portatrici di una loro propria personalità che vuole essere realizzata. Le tendenze demografiche attuali indicano inequivocabilmente che l'integrazione sociale degli anziani costituisce un problema che va assumendo sempre maggior rilevanza. Altrettanto importante è il miglioramento dell'integrazione sociale di quegli immigrati che risiedono legalmente nel territorio della Comunità, mediante parità di opportunità nei settori quali l'occupazione, l'istruzione, il diritto all'abitazione, la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria. Devono inoltre essere moltiplicati ed intensificati gli sforzi rivolti ad integrare socialmente le persone in difficoltà e quelle che soffrono di disabilità fisiche o mentali. Di estrema importanza è pure la lotta contro la discriminazione razziale e la xenofobia, contro lo spopolamento e la marginalizzazione delle aree rurali più deboli, nonché contro il declino sociale delle popolazioni interessate. Ulteriori passi che bisognerà compiere sono: l'attuazione del diritto ad esercitare un'attività economica nel territorio di uno Stato membro di cui gli interessati non siano cittadini, la promozione della parità di opportunità per le donne e per gli uomini, la realizzazione dell'unione economica e monetaria, l'intensificazione del dialogo sociale, il miglioramento della sanità, il rafforzamento della cooperazione sul piano internazionale (in particolar modo, con i Paesi dell'EFTA e con i Paesi dell'Europa centro-orientale), la democratizzazione del processo di trasformazione sociale ed il dispiegamento di un'Europa dei cittadini, il consolidamento della coesione economica e sociale e del ruolo del Fondo sociale europeo (FSE). I1 Fondo sociale, in quanto componente della politica sociale della Comunità (art. 3, lett. i del Trattato sull'unione europea) e uno dei quattro fondi strutturali comunitari, mediante la modifica del regolamento riguardante il Fondo sociale europeo (si veda il regolamento n. 2084193 del Consiglio del 20 luglio 1993), è stato dotato di nuovi strumenti che ne ampliano la portata e l'efficacia. I1 Fondo sociale europeo amministra 1'80-90% del bilancio dell'unione europea e può pertanto rivestire una funzione molto importante nel dare risposta alle sfide descritte nel Libro verde. E stato creato un nuovo obiettivo n. 4, che favorisce l'adattamento dei lavoratori ai processi di trasformazione industriale ai mutamenti dei sistemi produttivi. Vengono espressamente prese in considerazione le persone che rischiano di rimanere escluse dal mercato del lavoro, così come viene energicamente affrontata la disoccupazione cronica. Naturalmente, ci si concentrerà sulle regioni meno favorite, potendo così intervenire direttamente nella soluzione di una molteplicità di problemi diversi. In conclusione, è possibile formulare alcune considerazioni critiche. La politica sociale europea, che soprattutto nella nostra era riveste una funzione centrale, dovrebbe mirare alla soluzione di problemi concreti socialmente rilevanti. I1 Libro verde sulla politica sociale europea è un occasione privilegiata per discutere diffusamente molteplici esigenze e necessità sociali; non riesce, però, a formulare proposte concrete dal punto di vista operativo. In tal senso, esso sarebbe esposto al pericolo di rappresentare un sistema chiuso, qualora non venisse integrato - secondo gli auspici della Commissione - dalle proposte e dai suggerimenti via via formulati dalle molteplici istanze sociali. Nel definire una politica sociale di portata europea, è indispensabile mettere maggiormente in evidenza la componente della diversità. Sul piano comunitario, sono individuabili diversità sociali, economiche, culturali e geografiche. Bisogna pertanto prendere in seria considerazione dette diversità, ascrivendo maggior rilevanza alle autorità locali e regionali. I1 ruolo dei partners sociali, così come esso è stato ridefinito nella formulazione della politica sociale europea, è da valutarsi in modo sicuramente positivo. Essi, tuttavia, dovrebbero acquistare maggior peso operativo e ciò dovrebbe valere anche e precipuamente per il piano regional-locale. L'Europa è caratterizzata da una complessa stratigrafia storica e da una culturale policromia. Per questo motivo, il cammino verso il raggiungimento di un'intesa comune non è sempre agevole da percorrersi, tuttavia la molteplicità conferisce all'«arcipelago» Europa vitalità e dinamicità. Anche nel settore della politica sociale, nel definire un consenso sociale, vanno attivate quelle istanze locali e regionali che costitui(segue a pag. l>) MAGGIO 1994 in una mostra a Milano L'Europa di Altiero SpineIli Il 3 maggio è stata inaugurata a Milano, al «Palazzo della Ragione», una mostra storico-biografica dedicata all'azione politica di Altiero Spinelli, su un progetto generale di Fausto Colombo ed Edmondo Paolini. La mostra, che è restata aperta fino al 29 maggio, per poi spostarsi in altre città italiane ed europee, ha documentato, attraverso l'esposizione di scritti (di cui molti in versione originale), di immagini fotografiche, di audio-visivi, di ricostruzioni di ambienti, la figura di Spinelli - dalla sua lotta antifascista alla battaglia per la Federazione europea - nel più ampio contesto della storia europea e mondiale di questi ultimi sessanta anni. Nel corso della manifestazione il senatore a vita Leo Valiani, l'onorevole Giorgio Napolitano, il professore Arialdo Banfi, e l'assessore alla cultura del Comune di Milano - che ha patrocinato l'iniziativa - Philippe Daverio, hanno affermato come, di fronte alle sfide mondiali, aperte in questi ultimi anni da avvenimenti che stanno sconvolgendo l'assetto politico, economico e sociale in numerosi Paesi d'Europa ma anche di altri Continenti, il messaggio per una Europa libera e unita, a struttura federale, lanciato da Spinelli dal confino di Ventotene nel 1941 e sostenuto fino alla sua morte, non solo resta attuale, ma è l'unico ragionevole e possibile. L'idea dell'unità europea si aggira come uno spettro sul vecchio continente, forse fin dalla caduta dell'Impero romano. Ma lo spettro ha visitato a lungo sempre solo qualche poeta, filosofo, profeta o avventuriero, ed è stato ignorato dai costruttori della realtà europea durevole. Costoro andarono invece costruendo. dapprima inconsapevolmente, poi sempre più consapevolmente e coerentemente, un'Europa divisa in stati-nazione assolutamente sovrani, frantumando sempre come utopie le idee che con essi erano in contraddizione (il Sacro Romano Impero, l'universalismo cristiano, il cosmopolitismo umanista, l'internazionalismo operaio) e riuscendo a persuadere pressoché tutti gli europei che la suprema realtà politica, quasi un dio terreno, era lo stato-nazione sovrano, e che il lealismo verMAGGIO 1994 so di esso era la suprema virtù politica. Solo quando quest'Europa indurita ed imbestialita delle sovranità nazionali illimitate, delle alleanze, dei concerti di potenze, dei nazionalismi politici ed economici, dei brutali tentativi di dominio imperiale ha sprofondato, tra il 1914 ed il 1945, tutti i nostri popoli nella lunga guerra civile europea dei 31 anni del XX secolo, solo allora lo spettro dell'unità europea si è trasformato in disegno politico, che alcuni si proposero non già di sognare per un futuro lontano e imprecisabile, ma di realizzare nella nostra epoca per opera della generazione che aveva visto e sofferto le nefandezze dell'Europa dei nazionalismi.. . Ciononostante il disegno federalista apparve troppo visionario, troppo poco radicato nella storia per poter essere accolto.. . È per tentare di salvare le realizzazioni e il disegno europeo che ci si rivolge infine al popolo europeo ... (da un discotso al Parlamento italiano, 1977) COMUNI D'EUROPA I LIBRI Dalla comunità locale alla comunità sovranazionale di Edmondo Paolini Mattia Pacilli, Viaggio nella cittadella europea di Bassiano, (foto di Bruno Palombo), Comune di Bassiano e Associazione Italia-Francia per l'Europa, Bassiano 1993, pp. 215. L. 40.000. Mentre rivedo, attraverso le pagine del bel volume curato da Mattia Pacilli Viaggio nella cittadella europea di Bassiano, le strade del piccolo comune pontino, molte volte percorse a piedi, mi tornano alla memoria letture, azioni politiche, speranze che coprono gli ultimi cinquant'anni d i storia italiana ed europea. Partono da Adriano Olivetti e dalla sua intuizione e disegno dell'organizzazione federale interna allo Stato, basata sulla definizione di comunità concreta - a misura d'uomo - che, attraverso i vari livelli di aggregazione - comune, ente intermedio, regione, stato - arriva sino alla federazione europea e, infine, ad un nuovo ordine mondiale sovranazionale. Si soffermano sulle considerazion di Ernst Schumacher, l'autore d i Piccolo è bello, per il quale «le relazioni umane hanno una apparente necessità di due condizioni, le quali, pur presentandosi contemporaneamente, sembrano essere in contrasto per poi annullarsi a vicenda: la libertà e l'ordine. Abbiamo bisogno della libertà di moltissime e piccole unità autonome e, nello stesso tempo, dell'ordine, dell'unità e del coordinamento su grande scala, possibilmente globale». «Al giorno d'oggi - scriveva Schumacher - soffriamo di una idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile ... le città più belle della storia erano molto piccole secondo i parametri del ventesimo secolo.. .» (1). Consentono, infine, con l'analisi compiuta, verso la fine degli anni '50, da Arthur Morgan, il primo presidente della Tennessee Valley Authority, nel suo volume La Comunità delfuturo ( 2 ) per il quale «qualunque cambiamento sociale o economico possa aversi, a qualunque scala di grandezza, i rapporti inerenti alle piccole comunità continueranno ad essere necessari per la sopravvivenza delle fondamentali qualità culturali dell'umanità. Raramente e forse mai una civiltà o una cultura è sopravvissuta di molto tempo alla decadenza e alla dissoluzione della vita delle piccole comunità. La comunità di vicinato è infatti una unità necessaria della società, che, insieme con la famiglia, è stata e continua ad essere il mezzo principale per la trasmissione diretta e vivente della tradizione culturale di base. Le piccole comunità del futuro non potranno tuttavia essere né una copia del villaggio del passato, né una accettazione della grande città d'oggi. Saranno invece una creazione nuova, tale da unire i valori di ambedue evitandone il più possibile le limitazioni». Questo è Bassiano. Ma anche molto di più. Come ci ricorda il libro di Pacilli - notevole per la cura dell'impaginato, la bellezza delle foto, l'equilibrio dei testi - certamente degno del concittadino Aldo Manuzio, il padre degli editori italiani - Bassiano, legandosi in gemellaggio con la cittadina francese di Ponten-Royans, ha contribuito ad esportare la sua civiltà, e quella del suo vicinato direttamente in Europa, inserendola nel grande progetto federale, che parte dal Manifesto di Ventote- La prima e la quarta di copertina del libro di Mattia Pacilli COMUNI D'EUROPA ne, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Nel libro, infatti, si afferma giustamente che «il processo dei gemellaggi dilata la definizione di identità civica dei Comuni implicati ed ha una profonda incidenza sulla mentalità dei cittadini, chiamati dal momento storico attuale a vivere in società sempre più aperte in comunità regionali multietniche, multirazziali e multiculturali. È una sfida da raccogliere senza illudersi di evitarla; in quanto I'interdipendenza crescente tra i paesi del pianeta, in ogni settore dell'attività umana, impone che tutto riguardi tutti. I1 fenomeno era stato lucidamente presentato, durante gli anni sessanta, dall'americano Marshall Mc Luhan esperto nell'analisi dei "media" o strumenti di comunicazione: «Dopo tremila anni di espansione in ogni settore.. . il nostro mondo, con drammatico rovesciamento di prospettive, si è ora reso improvvisamente contratto. L'elettricità ha ridotto il globo a poco più che un villaggio, e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza della responsabilità umana». Bassiano e la sua comunità hanno già dato la risposta concreta al grande interrogativo che ci troviamo di fronte: come conciliare la tendenza mondiale alla concentrazione di potere in politica ed in economia, resa sempre più forte dalle tecno-strutture, con la sopravvivenza dell'individuale, dell'uomo, con il suo intelletto e la sua coscienza. Più concretamente, per i problemi che riguardano il nostro continente che tenta di unificarsi, come conservare la libertà del singolo cittadino di fronte alle attuali e future interdipendenze politiche ed economiche, che presuppongono un quadro di riferimento più ampio di quello nazionale - già così lontano dalla misura umana -, quanto meno a livello dell'attuale Unione europea. La scelta federalista, da anni compiuta dai cittadini bassanesi e dalla loro amministrazione, è la sola che permette loro di essere, al tempo stesso, comunità locale e comunità sovranazionale, attraverso quei principi concepiti proprio duecento anni fa nella prima costituzione federale della storia, gli Stati Uniti d'America, e da Emmanuel Kant nella sua Pace pevpetua; che in Europa affascinarono gli illuministi francesi e gli uomini del nostro Risorgimento; che furono fatti propri, diventando strumento di concreta battaglia politica, dai Resistenti europei nella lotta contro il nazismo e il fascismo, durante la seconda guerra mondiale. Principi dell'autonomia, del pluralismo, del coordinamento, della solidarietà, della sussidiarietà, della partecipazione, che qui vogliamo ricordare, in un momento d i grande confusione politica e culturale, spesso dovuta a colpevole ignoranza. Solo atMAGGIO 1994 traverso l'applicazione di tali principi federalisti la persona, il cittadino, ritornato il centro della società, soggetto e non oggetto della politica, potrà superare l'angoscia che ci afferra soprattutto per l'impotenza di fronte ai problemi che sono ormai a livello planetario e al fatto che non possiamo incidere sulle decisioni che vengono prese al di fuori e al di sopra delle nostre volontà. È così che le mura, gli archi, le fontane, i capitelli, ma anche gli orti, i fiori, le capanne di Bassiano, fissati nel libro, e quelli d i Ponten-Royans, e di mille altri comuni europei gemellati, rivivono come centri e fondamento d i una storia dell'Europa, che solo nella speranza di una sua unità politica potrà sopravvi¤ vere. I n ogni caso, risulta evidente la complessità di quei meccanismi messi in atto al fine di apportare un contributo al superamento di tensioni latenti fra le due grandi Comunità del Belgio. Per raggiungere tale obiettivo occorre che i politici si assumano le proprie responsabilità e non facciano ricorso al benché minimo pretesto per bloccare il sistema. Sarà la storia a dimostrare se la riforma dello Stato che il Belgio ha portato a compimento sarà in g a d o d i determinare una decisiva svolta verso il progresso. m La politica sociale europea (segue da pag 12) (11 Ernst F. Schumacher. Piccolo P bello, Mondadori. Milano 1978. (2i Arthur E. Morgan, Le comuniti del fuiuro. edizioni di Comunità, Milano 1959 I1 nuovo stato federale belga ( s q u r da pag IO) crocevia fra culture germaniche e romanze. Non si tratta soltanto di lingue diverse (il neerlandese parlato al Nord e il francese parlato al Sud), ma anche d i notevoli diversità sul piano sociologico, in particolare per quanto concerne il ruolo dell'autorità pubblica nella vita dei cittadini. A ciò si aggiunge la situazione di BruxellesCapitale in cui vivono non solo dei cittadini di lingua francese e neerlandese, ma anche molti stranieri (il 29% della popolazione). Vi è inoltre la Comunità germanofona, con 68.000 abitanti, che fa parte della Vallonia per quanto concerne le questioni territoriali, ma che al tempo stesso è costituita in Comunità autonoma per le materie concernenti il diritto dei singoli. Questo è probabilmente il motivo per cui sono stati necessari tempi lunghi in sede costituente per arrivare ad un accordo. E senza dubbio anche il motivo alla base della estrema complessità del nuovo quadro costituzionale. Ciò non facilita certamente la trasparenza per il cittadino, che spesso non comprende chi è responsabile per che cosa. In tale contesto, si comprende anche perché il Belgio ha un notevole numero di meccanismi di coordinamento, non soltanto al livello ministeriale, ma anche e soprattutto al livello delle amministrazioni. Non occorre soltanto evitare controversie fra le Regioni e lo Stato federale, ma anche fra le Regioni e le Comunità stesse, e nel medesimo tempo occorre migliorare l'efficienza della gestione pubblica. Fin dall'inizio, del resto, il Consiglio d i Stato ha ritenuto che una Comunità o una Regione che si fossero sentite lese - seppure indirettamente - dalla decisione di un altro potere locale avrebbero potuto portare la questione dinanzi al Comitato d i concertazione, e ciò succede costantemente. Per gli stessi motivi, infine, la Costituzione impone in maniera esplicita la lealtà federale alle entità federate. MAGGIO 1994 scono primariamente la molteplicità. I1 principio di sussidiarietà può trovare una sua propria realizzazione solo dando la concreta possibilità a tutte le istanze sociali di partecipare attivamente all'interno del processo decisionale. Vi sono infatti settori nei quali le regioni, per esempio, riescono ad affrontare determinati problemi più efficacemente delle autorità centrali, avendo esse diretto accesso ai bisogni dei cittadini interessati. I1 Libro verde avrebbe dovuto sottolineare tali aspetti più energicamente. L'Europa ha una sua propria fisionomia e pertanto non abbisogna di essere iilteriormente realizzata. Ciò che però bisognerebbe promuovere maggiormente - soprattutto in riferimento alle prospettive scaturenti dal Comitato delle regioni che recentemente è stato costituito è un inserimento più attivo delle istanze locali e regionali nel processo decisionale concernente, tra l'altro, lo sviluppo di una politica sociale europea. Un'Europa determinata da una pluralità di diversità essenziali non può permettersi di prescindere dalle realtà regionali che sono le prime a costituire e rendere possibile questa pluralità stessa. della città di Amman, con tutti i suoi contrasti sociali in seguito al conflitto arabo israeliano e l'immigrazione palestinese nel 48 e nel 67, nonché con l'ultima immigrazione di persone tornate dai paesi del petrolio in seguito alla guerra del Golfo. Tale sviluppo demografico innaturale ad Amman ha creato un raddoppio della popolazione varie volte, creando una pressione sociale non indifferente per garantire i bisogni primari dei cittadini e la creazione di un peso economico innaturale per assorbire tale popolazione e garantire gli stessi servizi sociali della stessa qualità. Malgrado tutte le sfide, la Giordania, sotto la guida di Sua Maestà Re Al Hussein Ben Tallal il Grande, ha scelto una via democratica evidenziata nel Medio Oriente, per dividere con il popolo le decisioni e affrontare le difficoltà politiche, economiche e sociali, permettendo votazioni libere e trasparenti per il Parlamento giordano. Da quanto è emerso nel mio discorso, la cooperazione fra il mondo arabo e quello europeo è un obbligo storico, e quindi alcune delle più importanti basi per lo sviluppo di tale cooperazione sono: 1 - aumentare e modernizzare le relazioni economiche, sociali e culturali attraverso l'incoraggiamento delle varie possibilità di collaborazione diretta fra le città arabe ed eiiropee; 2 - la presentazione dei prodotti industriali e artigianali attraverso mostre ed esposizioni fra i vari Paesi; 3 - l'incoraggiamento dello scambio culturale attraverso l'ospitalità dei complessi folkloristici nazionali dei vari Paesi per la reciproca conoscenza delle arti, nonché l'incoraggiamento per gli incontri sportivi fra città; 4 - la concessione d i borse di studio presso le diverse Università onde consentire un valido scambio culturale e scientifico fra i vari popoli; 5 - incoraggiare la collaborazione culturale attraverso gli inviti di vari esperti in storia e scienze sociali, nonché la preparazione dei vari congressi ed incontri per far meglio conoscere la civiltà araba agli altri popoli. m Il dialogo euro-arabo (segue da pag. ELENCO DELLE NUOVE ADESIONI DI ENTI LOCALI ALL'AICCRE j) scientifica e tecnologica in Europa contemporaneamente ai movimenti di liberazione, nonché la scoperta del petrolio e il gettito incontrollato e immenso dei capitali, sono state tra le cause più importanti nella creazione dell'attuale società araba, con tutte le sue contraddizioni. La popolazione aumentata in dismisura e la concentrazione della maggior parte di essa nelle città, a causa dell'attrazione economica e dei servizi. Tale sviluppo demografico nelle città arabe ha portato a una pressione colossale sul sociale, creando dei quartieri poveri, diffusione delle malattie sociali, problema dei senza tetto, disoccupazione, criminalità e l'estremismo politico. Non sono più un segreto per nessuno le conseguenze negative di tali malattie sociali nella struttura sociale in generale nelle città arabe. Permettetemi di illustrarvi il caso specifico l l al 30 Aprile 1994 1 ~ b . Comuni Montefalcione (AV) . . . . . . . . Capua (CE) . . . . . . . . . . . . . . . Isola Capo Rizzuto (CZ) . . . . Sassuolo (MO) . . . . . . . . . . . . Castelviscardo (TR) . . . . . . . . Pederobba (TV) . . . . . . . . . . . ... .. .... .. Raveo (UD) . . . . . . . . . . . . . . Borgoricco (PD) COMUNI D'EUROPA Dall'atto puro all'alibi.. . (regue do pag. 2) Romano, istituzionalista pluralista, non prese la tessera fascista quando, nel 1925, fu in prima linea nella commissione che preparò il passaggio del fascismo a regime totalitario: egli non accettava il monismo a cui sembrava approdare il fascismo. In realtà i1 problema è complesso e va sbrogliato: si potrebbe affermare audacemente che egli teorizzò avanti lettera il corporativismo - sublimandolo -, avendo in questo neofeudalesimo inevitabilmente nello sfondo (anche lui, esplicitamente o implicitamente) quello Stato etico - di cui aveva assorbito alcuni motivi ispiratori nell'atmosfera dei «Fondamenti della filosofia del «diritto» di Gentile (si pensi al transito nell'università di Pisa di Romano) - e col sottinteso dell'esigenza di un «monarca» che coordinasse il caotico pluralismo (come poi - lo vedremo - capitò a Bottai, che non poteva prescindere da un partito unico). Si finge di ignorare che lo stesso giuspositivista Kelsen fu accusato in sede europea di essere stato, suo malgrado, un ostetrico del nazismo: ma la posizione di Kelsen, del neo-kantiano Kelsen, non ha le conclusioni totalitarie di Romano, il difficile rapporto che gli si pone di fronte al diritto internazionale è noto (a un certo punto l'autore della «Dottrina pura del diritto» si lasciò scappare che la origine profonda dell'imperialismo è la sovranità nazionale illimitata): rozzamente si può dire che Kelsen non finì a Salò, ma in esilio fuori di Germania e Austria naziste, presso nazioni libere. Quel che qui ci interessa è che la lunga battaglia di Croce contro il diritto naturale - unitamente con le posizioni di Gentile - hanno tenuto lungamente e tengono lontana buona parte della cultura giuridica italiana dall'afferrare i pericoli del disdegno verso, appunto, il diritto naturale e la relativa considerazione dei fondamenti dei diritti dell'uomo (può essere parzialmente utile rivedere il saggio di Erhard Denninger - «Sul rapporto tra diritti dell'uomo e diritto positivo» - in «Hans Kelsen nella cultura filosofico-giuridica del Novecento», edito dall'Enciclopedia Italiana [1983], ma mi hanno spesso colpito acute osservazioni finali di Renato Treves, kelseniano assai attento). A parte le incisive pagine del cattolico Capograssi, la rivalutazione da parte del tardo Carlo Antoni del diritto naturale, con una severa critica alla posizione di Benedetto Croce e dei suoi cattivi effetti, dovrebbero insegnarci qualcosa. Del resto, scendendo terra terra, si sente talora qualche distratto professorino esclamare: «Si ubbidisce alle leggi, ancorchè ingiuste, come recita il 'Critone' platonico», lad- dove Platone polemizza contro un sofista anarchico e sposa in quel dialogo la teorica, per lui inconsueta, del «contratto sociale» (le Leggi, comparse in sogno a Socrate, gli ricordano che egli poteva «persuaderle» ad essere diverse, e se poi non gli piacevano ecc..). E scendiamo quindi - terzo motivo - a Giuseppe Bottai, «un programmatore degli anni trenta»: programmatore in che senso? Non fu certo un precursore della programmazione politica, poichè - come si diceva - daile sue corporazioni non scaturiva una sintesi programmatoria, se non fosse intervenuto un partito unico, che avesse rotto e ricomposto il settorialismo delle corporazioni: il corporativismo è il grande nemico della politica tout court, ma c'è in Italia e in Europa chi non lo ha ancora capito. Infine, malgrado tanti sforzi generosi di giovani e meno giovani storici - seguiti alla vecchia generazione di Tasca (parlo dello storico e quindi non prendo posizione sul suo comportamento politico, che non ho elementi conoscitivi adeguati per giudicare) e di Salvatorelli - non mi pare ci sia una storia del fascismo, che non si limiti alle «buone» e alle «cattive» azioni di Mussolini e del regime dittatoriale ma approfondisca gli effetti psicologici, culturali, comportamentali del regime nel trasformare in sudditi gli italiani che si accingevano - lentamente, d'accordo - a diventare cittadini. Se ci rifacciamo a un Risorgimento italiano, che affonda la sua preparazione intellettuale e morale nei Verri, Beccaria, Genovesi, Filangeri, Pagano, ma anche in Romagnosi maestro di Cattaneo, nel giansenismo della madre di Mazzini, nel dialogo del giovane Cavour con i De Sellon e gli altri parenti ginevrini, calvinisti, sociniani e di altre eterodossie (chi non ricorda le splendide pagine di «La giovinezza del Conte di Cavour» di Francesco Ruffini?), nel socialismo libertario del napoletano duca di San Giovanni, Carlo Pisacane, o nel socialismo federalista dell'altro allievo di Romagnosi, Giuseppe Ferrari, se ci rifacciamo a questi e ad altri elementi vivi scaturiti dalla nostra terra col nostro «risorgere» (perchè non parlare di Rosmini, di Manzoni, eccetera?), il fascismo rappresenta, miei cari storici, un allontanamento degli italiani dall'autentico «patriottismo» (disponibilità a sacrificarsi per lo Stato nazionale, che è il proprio Stato, scaturito dalla propria terra e col 'dovere di farne valere tutti i motivi ideali, di fronte agli altri popoli «fratelli» - scusate se penso a Mazzini e anche al Manzoni del «marzo 1 8 2 1 -)~ e la crescita di un popolo di cinici mormoratori inframezzati da eroi retorici, fotocopie caserecce del Superuomo nazista. È tutta la prospettiva della storiografia di De Felice che non ci permette di mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Umberto Serafini Condirettore: Giaricarlo Piombino Redazione: Mario Marsala Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma tel. 69940461-2-3-4-5, fax 6793275 Questo numero è stato finito di stampare il 28/6/1994 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 COMUNI D'EUROPA giudicare passo passo il fascismo, certo ben lontani anche daila agiografia antifascista: è cosa secondaria che le singole azioni della dittatura (cioè della tirannide) fascista fossero nere, ma anche grige o talvolta bianche di fronte alla diseducazione di un intero popolo ridotto in «quotidiana servitù» - fingendo di credere, ubbidendo nei limiti del saluto fascista, scaricando su pochi ingenui coraggiosi l'imperativo di combattere -. A parte tutto ciò, adesso si insinua che con la sconfitta nazifascista è crollata una «civiltà europea» (così veniamo ail'alibi europeista), perchè siamo diventati una appendice dell'America: si rilancia l'equivoco per cui, dopo il Primato di Gioberti e quello di Bottai, ci sarebbe anche un «Primato» dell'Europa degli europeisti. Ora questa Europa eurocentrica, erede del nazionalismo e dell'imperialismo otto-novecentesco, potrà piacere a qualche neo-hegeliano, a qualche ammiratore di Spengler, a qualche tardo seguace del Patto antikomintern, e sarebbe in linea con Gentile recensore di Chandra Bose, ma non è l'Europa federale dei federalisti, 1'Europa della Resistenza europea, che non conosce primati, ma solo ii dovere di battersi ovunque per il federalismo e i suoi ideali di pace «costruita» - il dovere dell'Europa di federarsi è un dovere di esemplarità, punto e basta -. Comunque Lafayette andò in aiuto della Rivoluzione americana, il senatore americano Fullbright fece votare al Parlamento del suo Paese l'appoggio aila costituzione degli Stati Uniti d'Europa «nel quadro delle Nazioni Unite». Ecco, non le miserabili prospettive a cui si era inchinato Gentile, ma la creazione (quanto cammino da percorrere ancora) di Nazioni Unite ampiamente rappresentative, democratiche, dotate di poteri reali, guardandosi bene che queste Nazioni Unite non siano la copertura pudica di un tipico (paterno?) imperialismo dei «più forti», ma siano l'espressione di un nuovo e giusto ordine economico-sociale planetario e, anche a questo titolo, rivendichino il diritto-dovere di interventi umanitari. Quanto siamo lontani da Gentile e dal regime «che fu suo»!. P.S.: Mio padre, antropologo, criminologo, ecc., autore di un famoso saggio su «La genesi del delitto di fronte alla psicologia moderna», per il quale aveva consultato - a parte il contatto diretto in molti casi - centinaia e migliaia di schede di detenuti in carcere per «reati comuni», mi diceva: «Non hai idea come autori di efferati delitti esprimano sovente sentimenti gentili e come si scopra più di una volta che siano stati autori di opere buone». Non ci si turbi dunque per le contraddizioni di Giovanni Gentile. Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) su1c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comunid'Europa", piazza di Trevi, 86-00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955. Tip. Della Valle F. Roma, Via Spoleto, 1 Fotocomposizione: Graphic Art 6 S.r.l., Roma, Via Ludovico Muratori 11/13 Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana MAGGIO 1994