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ANNO XLII N. 5
MAGGIO 1994
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
Una storia n-ighore
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Palermo, Galleria Nazionale della Sicilia: lapide sepolcrale fatta nel 1049
dal prete Grisanto per la madre Maria morta nel 1048. I quattro testi delle
iscrizioni sono in greco e latino oltre che in arabo, quest'ultimo compare
nell'alfabeto suo proprio e in quello ebraico. Le cronologie sono diverse
a seconda delle lingue o degli alfabeti
Con chi stiamo
Con nessuno: oppure con tutti. Nei momenti di
crisi politiche o culturali molti usano domandare:
«con chi state?». La risposta è semplice: noi non
ci ancoriamo agli eventi, passivamente, ma cerchiamo di governarli con la ragione, restando fedeli ai nostri ideali di partenza, se ne abbiamo. E noi
nell'AICCRE e in tutto il CCRE ne abbiamo senz'ultro: in retrospettiva storica ci viene anche, generalmente, riconosciuto. In questo senso siamo
per altro aperti a tutti, perchi noi non abbiamo
problemi di potere, desideriamo anzi che i nostri
ideali si affemino e che ad altri si possa passare il
testimone: dopo la lunga battaglia, fa piacere rientrare nei ranghi, preoccupati solo che coloro che ci
subentrano conservino la nostra stessa tensione
ideale e la stessa visione complessiua del da farsi.
Ciò premesso vogliamo evitare un malinteso. Se
noi nel CCRE, nellJAICCREe in questo giornale
siamo femi agli ideali federalisti, che implicano
gelosa tutela della propria libertà e totale dedizione agli interessi generali, cioè al prossimo, non
uuol dire che non ci siamo sforzati o non ci sforziamo continuamente di verificare i nostri ideali
con i problemi reali che ci si oppongono. Non ci
inchiniamo al successo o alla violenza, ma rispettiamo coscienziosamente la realtà, i problemi continuamente nuovi che si presentano agli uomini
singolamente e a tutta la collettività.
La nostra posizione risulta scomoda per noi ma
anche per molti che si trovano a vivere sullo stesso
nostro territorio. Siamo veritieri, non guardiamo
in faccia a nessuno, scopriamo l'insufficiente patrimonio conoscitivo di molti «dotti» e lefinte novità che circolano:perchè non far scomparire dunque I'AICCRE? perchè non dissolvere magari anche il CCRE? perchè quanto meno non «riassorbire» queste scomode Organizzazioni? No, questo
non sarebbe in definitiva utile a nessuno. Si parla
e si scrive tanto di federalismo, un po' con entusiasmo reale e un po' a casaccio per smania di novità,
che il nostro compito, anzi diciamolo: la nostra
missione, rimangono essenziali e a questi impegni
cercheremo di trascinare ancora una volta collettività democratiche e giovani
amministratori, insomma l'intero Sistema delle autonomie territoriali, solidale nella costruzione federale di base.
L'avvenire è nostro, è dei nostri ideali: I'alternativa è l'anarchia planetaria amata e la fine del
mondo vivibile. Per questo continueremo a batterci coscienziosamente.
H
Dall' atto puro all' alibi europeista
di Umberto Serafini
H o esitato prima di decidermi a concordare
con la redazione la ristampa, dalla rivista «Queste istituzioni», di un mio scritto su Giovanni
Gentile, malgrado diversi nostri lettori, che ne
avevano avuto notizia da citazioni qua e là, ce
lo avessero chiesto. Mi con deciso per due ragioni.
La prima è stata la critica di qualche amico,
che cioè io avessi affrontato più il comportamento di Gentile che non la sua filosofia. In effetti io sono sempre pronto a riaffrontare Gentile filosofo - croce e delizia dei miei studi universitari, pisani e romani -, ma mi ha sdegnato
anzitutto questa abitudine molto italiana di
considerare gli «intellettuali» (cosa sono gli «intellettuali»?) esonerati da ogni giudizio morale
sul loro comportamento. Al terzo anno che lo
studiavo, mi nauseò - è la parola esatta: nauseò - la viltà (potrei dire: il vuoto morale) di
Gentile, che dopo aver predicato con l'enfasi
tracotante e il dogmatismo di un domenicano,
nell'intero anno accademico 1937-'38 a Roma,
l'inconciliabilità di una politica razzista col fascismo, con lo Stato «etico» per cui il Maestro
si era sempre battuto e si sarebbe battuto, una
volta scatenata la campagna razzista a fine estate (in prima fila Bottai, ministro della Diseducazione nazionale) tacque, quindi tacque, tacque
ancora. Naturalmente uno stuolo di cintellettuali», che poi si sono proclamati antifascisti,
hanno taciuto con Gentile e poi hanno collaborato, ancora durante la guerra, alla nota rivista
di Bottai, del razzista Bottai. Io non ho mai creduto nello Stato «etico», ma pensavo e penso
che chi se ne era dichiarato fautore - Maestro
e discepoli - aveva il dovere di ribellarsi apertamente alle leggi razziste. Ecco dove sono i più
reali «collaborazionisti»: e alcuni di costoro sopravvissuti - ancora pontificano da cattedre, accademie, giornali e riviste, e continuano
a vendere il proprio cervello, autentiche prostitute. Disprezziamoli e, per quel che ci riguarda,
cacciamoli da qualsiasi campo di battaglia, in
cui si soffre fino allo spasimo per costruire la
«nuova» Europa, unita, democratica, federale,
antirazzista, antimperiaiista, anticoionialista.
Comunque - e così vengo alla seconda ragione
su almeno quattro settori (chiamiamoli
così) la cultura italiana postfascista, non solo si
mostra assai spesso provinciale e non riesce a
collegarsi costruttivamente con gli altri Paesi
europei (dell'Unione dei Dodici e fuori) per verificare «comuni valori» - forse gli unici, con-
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som
ma
rio
COMUNI D'EUROPA
creti collegamenti sono fra l'incultura italiana
con le inculture (ci sono, ci sono!) degli altri
Paesi europei -, ma troppe volte non ha digerito posizioni, più ancora che fasciste, prefasciste o che hanno in qualche modo preparato
il fascismo, e che poi l'hanno accompagnato.
Direi che in questi casi convivono posizioni antifasciste di facciata - che, presentate così,
acriticamente, risultano addirittura settarie e convinzioni fasciste o parafasciste.
Non tornerò ora su Gentile, colmando questa
volta quella lacuna che mi è stata attribuita, e
mi limiterò a dire che mi riesce misterioso che
coloro, che lo «rivalutano» filosoficamente, non
mi spieghino poi come i valori, che andiamo
cercando - la libertà della persona umana e addirittura l'esistenza autonoma delle persone vengano a trovarsi nel passaggio dalla fichtiana
«Teoria generale dello Spirito come atto puro»
alla ascendenza schellinghiana (per usare le parole bonarie del mio vecchio amico Rosario Assunto) della «Filosofia dell'arte», e come poi
tutto confluisca nella sua ambigua società trascendentale (una messa in guardia utile si potrebbe ricavare dall'onesto personalismo di Pareyson). Non voglio tuttavia trattare «superficialmente» questi problemi: voglio piuttosto osservare a coloro, che mi rinfacciano i meriti di
organizzatore della cultura di Gentile, che io li
conosco e li riconosco benissimo (la Riforma
della scuola condotta con la collaborazione di
Lombardo Radice, che giudico positivamente,
malgrado la critica antistorica di riforma «elitaria» - tutto sommato ingiusta - e di emarginazione della scienza, che ritengo reale ma implicitamente aperta a una riconsiderazione della
materia da vedersi «geneticamente» o, se più vi
piace, «storicisticamente», mentre il modo di
((insegnar filosofia» nelle secondarie superiori lo
considero il capolavoro della riforma, con la
presentazione di testi esemplari di notevoli filosofi, ripartiti su tematiche diverse, dispiegati
nella storia - ma senza la pretesa di affrontare
tutta la storia della filosofia nè con buoni testi
nè col Bignami -, scelti con un assoluto criterio internazionalista e con l'obiettivo di «insegnare a leggere e possibilmente a capire»; e, naturalmente, l'Enciclopedia Treccani, che tanti
della mia generazione hanno usato con effettivo
profitto): ma - parlo sempre dei «meriti» di organizzatore della cultura - come non sottolineare il suo incredibile matrimonio col «buddista» Tucci nel fondare 1'ISMEO (Istituto per il
Medio ed Estremo Oriente), nell'ambito del
quale in un momento drammatico della storia
del mondo, Gentile arrivò a fare l'elogio di Subhas Chandra Bose, il nazionalista indiano che
collaborava coi giapponesi (e chi conosce la storia indiana e la sua dialettica, tra Gandhi, Jawaharlal Nehru, Abul Kalam Azad, Rajagopalachari, Manvendra Nath Roy, eccetera, sa quale
aberrazione era e rimane - per l'India e per
l'umanità - l'appoggio a Bose e si domanda come si conciliava - ma Gentile capiva veramente quellò che faceva? - questo appoggio con le
precedenti «opere buone»). Oserei dire che le
«opere buone» di Gentile sono servite per coprire, purtroppo, i suoi errori di fondo e la sua
sostanziale immoralità (riflettete alla oscena
proposta fatta a partire dalla campagna razzista
ad Attilio Momigliano e a Fubini - ovviamente respinta - di pubblicare loro saggi con pseudonimo).
Ma la pierre de touche di Gentile indurrebbe
a rivedere buona parte della filosofia italiana
post-bellica, la sua mancata originalità, i suoi legami europei largamente passivi - evidentemente con importanti eccezioni, per esempio gli
scolari di Banfi, Preti e Paci -, la preferenza
(sintomatica?) accordata a Heidegger su Husseri, il marxismo così scolastico (rispetto a quello francese e anche a quello inglese, guardato
con arroganza) e così condizionato dalla contingenza politica, le mode acquisite con notevole
superficialità (la simpatia iniziale per Dewey
non ebbe un seguito adeguato, malgrado la buona volontà di alcuni pedagogisti). Un recente
neo-eleatismo nostrano (con la sua antologia
parmenidea) non è arrivato a sfiorare le terribili
pagine di Michelstaedter (morto nel 1910!), che
può anche considerarsi il padre dell'esistenzialismo negativo italiano (lasciatemi ricordare che
nel tristissimo cimitero ebraico della Gorizia
slovena ho veduto recentemente la piccola pietra che ricorda l'autore di «La persuasione e la
rettorica»: era una mattina di pioggia sottile e
mi veniva di pensare all'Ecclesiaste e anche a
«Illusione e realtà» di Gaetano Chiavacci, pensatore che Gentile mi definiva «ermetico»). Ma
è questo un terreno che non voglio continuare
a percorrere - come ho detto - sbrigativamente, perchè mi preme di venire alla mia bestia nera e con essa al mio secondo motivo.
Personaggi ben noti nel mondo accademico
- anche se all'occasione hanno fatto politica in
posti chiave - non hanno affrontato e superato
lo scoglio del giuspositivismo, ma hanno dispensato e dispensano elogi ridicoli a Santi Romano
e osano un parallelo fra Santi Romano e Kelsen.
- Dall'atto puro allyalibieuropeista
- Gentile e il francobollo, di Umberto Serafini
- Le ragioni di uno scontro-incontro, di Salem Sawadhah
5 - Europa e Mediterraneo, di Enzo Bianco
6 - Fratture e convergenze mediterranee, di Renata M. Landotti
8 - Il nuovo Stato federale belga, di J. Van Ginderachter
11 - La politica sociale europea, di Lino Tomasi
13 - L'Europa di Altiero Spinelli
14 - Dalla comunità locale alla comunità sovranazionale, di Edmondo Paolini
INSERTO - Federalismo mediterraneo
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MAGGIO 1994
errando tra etica e filatelia
Gentile e il francobollo
Sono ormai diverse notti che, quando mi
sveglio, non riesco più a prendere sonno: è la
storia del francobollo che mi t\ormenta. Dico
il francobollo per Giovanni dentile. Per ?
Non ho capito bene: sarebbe in onore di
Gentile, figura esemplare, o in memoria di
Gentile, personaggio che ha comunque occupato uno spazio rilevante della storia recente
d'Italia? Credo piuttosto per il primo motivo,
poiché altrimenti dovremmo pensare, anche
prima di lui, a tanti altri personaggi; che so?
naturalmente a Mussolini, e poi a Badoglio,
a Vittorio Emanuele 111, a Primo Carnera,
eccetera.
Nell'ultima insonnia mi sono orientato a
scartare un giudizio astratto, a priori: é senza
dubbio meglio riandare alla mia personale
esperienza in merito - e ai sentimenti provati via via sul momento -, lasciando ad altri
di cavarne un giudizio per l'oggi; insomma un
verdetto etico-filatelico.
Correva l'anno 1935 ed eravamo nel mese
di luglio: io stavo dando gli
esami di maturità
classica al «Tasso» di Roma, e la commissione
esterna, mi ricordo. era presieduta dallo storico Pontieri, dell'università di Napoli. Per
la composizione italiana scelsi stranamente
quella che mi era meno congeniale, l'analisi
«estetica» di una poesia di d'Annunzio: ma
ero di cattivo umore, l'addio al liceo mi sembrava l'addio alla giovinezza ed io avevo fretta di sfogarmi con una inequivoca conclusione. D'Annunzio mi dava fastidio, lo analizzai
frettolosamente; smaniavo di sparare, alla fine, così: «Oggi viviamo in tempi di tirannide,
ci batteremo per un avvenire migliore». I professori, fascisti o no, erano gente perbene,
personalmente venni ignorato, e il fatto che
il 9 in italiano con cui ero stato ammesso agli
esami diventasse un 7 era indubbiamente dovuto alla mediocrità del mio pezzo. Ma ci fu
un codicillo semi-privato: il professore di greco, Silvio Ferri (che poi diventò, Professore
di Archeologia all'università di Pisa), mi fermò per un corridoio del «Tasso», con un troppo stentoreo «ecco il nostro antifascista» (lo
dovetti ammonire sorridendo, perché c'era a
due passi il poliziotto di Vittorio e Bruno
Mussolini, un simpaticone che senza dubbio
saDeva come la Densavo: ma non "
eli si Doteva
sbattere così in faccia): Ferri mi rivelò che
c'era a Pisa una Scuola Normale Superiore,
dove si entrava con un difficile concorso, e
che a suo avviso andava utilmente movimentata da giovanotti con la lingua lunga. Fu in
tal modo che cominciai a pensare all'avventura normalista, spintovi in tutt'altro senso,
qualche giorno dopo, anche dal professore di
filosofia, certamente non antifascista: forse
lui pensava a incrementare l'innocua, se non
ambigua, fronda dei seguaci pisani di Bottai
- definito più tardi, a torto, fascista critico
fondo, per combattere alle sue radici culturali
il fascismo. Lascio d a parte il mio impegno in
campo storico (il mio primo «colloquio» alla
Normale - si teneva a metà anno - fu in sostanza contro Spengler e l'idea di nazione come monade senza finestre, con un suo chiuso
destino organico) e vengo alla filosofia. Guid o Calogero svolgeva un corso sulla «Teoria
generale dello Spirito come atto puro» di
Gentile, il quale insegnava a Roma, ma era il
direttore a Pisa deila Normale: mi proposi,
con la baldanza non priva di presunzione frequente in gioventù, di individuare le ragioni
teoriche dell'errore pratico (fascismo) di Giovanni Gentile. Il Gentile storico e saggista
politico lo evitai per lungo tempo programmaticamente: sentivo di dissentire dalle sue
impostazioni, io che venivo dall'insegnamento liceale dell'inflessibile socialista riformista
Aldo Ferrari (il docente che mi aveva fatto
conoscere il materialismo storico e mi aveva
«l'attualismo gentiliano» ha un aspetto libertario. I n effetti è un Gentile neo-hegeliano,
che mostra per altro una interessante sintonia
con la filosofia anti-intellettualistica francese
ispirata dall'«Action» di Blondel; e offre una
affascinante via d'uscita all'implacabile determinismo positivista. Ne fui colpito anch'io, che venivo d a una posizione prevalentemente empirista. Ma accanto alla speranza
di liberazione dal determinismo, si profilava
il problema tutt'altro che semplice del soggetto dell'attualismo. Non pretendo di costringere lettori estranei alla tecnica di certe costruzioni filosofiche a seguire il campo, ove
I'attualismo sembrava chiedere un chiarimento fondamentale: mi basti dire come qui I'idealismo attualistico imboccava, a mio avviso
(e non certo solo ad avviso d i questo giovane
allievo), la strada pericolosa di un soggetto assai vago, che non si sapeva a chi facesse capo,
al singolo uomo-cittadino o alla Storia, im-
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Vinto il concorso per la Normale, giurai a
me stesso che dovevo studiare. studiare a
MAGGIO 1994
Il corso di Gentile all'università nel 1936
indotto, dopo il commento alla «Pace perpetua» di Kant, a sposare la causa del federalismo e a prendere posizione, già al liceo, contro la guerra e il nazionalismo), ma volevo affrontare senza pregiudiziali le famose «ragioni teoriche».
Mi dedicai, dunque, per mesi alla riflessione sulla riforma gentiliana della dialettica hegeliana, con la distinzione tra pensiero pensato e pensiero pensante. I n questi giorni di polemica sul francobollo, non ha interamente
torto Gennaro Sasso quando afferma che
personata dallo Stato etico. C'era - come
cominciai a sostenere allora e più sostenni dopo una riflessione, l'anno dopo, sulla gentiliana «Filosofia dell'arte» - un rapporto equivoco tra io trascendentale (un soggetto, diciamo così, astratto) e io empirico (l'io degli uomini realmente esistenti): per gli addetti ai lavori ricorderò che una critica del genere fu rivolta una ventina di anni dopo nel 1957 dal
filosofo di mestiere, tra gli allievi migliori di
Banfi, Giulio Preti, nel libro «Praxis ed empirisma».
COMUNI D'EUROPA
Insomma per dirla con le parole di un pubblicista non filosofo di mestiere, ma intelligente e spregiudicato, l'ordinovista Umberto
Calosso, in quel bellissimo libro - pubblicato l'anno dell'assassinio di Matteotti - che
lessi fra il 1936 e i1'37, ((L'anarchia di Vittorio Alfieri» - nel quale ironizzava affettuosamente col suo amico Gobetti, sedotto
dall'«atto» gentiliano -, la libertà dell'attualismo era priva di soggetto responsabile e ci
ricordava le famose vacche, che di notte risultano tutte grigie.
Mi era necessario (chiedo scusa) ricordare
succintamente tutto questo, per spiegare la
mia eroica decisione di abbandonare la Normale e correre a Roma, ove Gentile aveva la
cattedra di filosofia teoretica, e chiedergli già
al terzo anno di lettere e filosofia una tesi di
laurea sul «problema dell'esperienza», confidando (figuriamoci!) di metterlo alle strette
sulla questione delle libertà e quindi delle responsabilità individuali, di fronte allo Stato
etico (e quindi. ...al fascismo). E qui avvenne
la prima avvisaglia sul mio dissenso, non più
solo teorico, dalla stessa moralità di Gentile:
oserei dire con mia grande sorpresa.
Certamente io mi esprimevo con una certa
parsimonia o timidezza sul mio problema, ma
credo che fosse comprensibile per il docente
il mio piccolo dramma psicologico, l'abbandono della Normale - con tutti i danni conseguenti - pur di andare a fondo in quel che
mi angustiava nel profondo dello spirito.
Gentile mi ascoltò a lungo, pazientemente e
sorridendo: poi sembrò scuotersi e, quasi ammiccando, mi lanciò: «Dimmi la verità, tu hai
perso il posto alla Normale?» Dio mio, un'esigenza dello spirito e un desiderio di coerenza
non potevano mai giustificare per Gentile
l'incredibile messa in crisi della propria carriera e del proprio avvenire: più che sdegnarmi ebbi un tuffo al cuore. Non desistetti comunque dall'impresa e iniziai l'improbo tallonamento di Gentile, cercando di affrontare
anche tutto il terreno di cultura dell'attualismo (ricordo che mi dedicai, per cominciare,
allo studio sul « pragmatismo nella filosofia
contemporanea» di Ugo Spirito).
Era ormai l'anno accademico 1937-1938.
Visto che non potevo sottrarmi a un Gentile
intensivo, frequentavo regolarmente le sue
lezioni di teoretica nell'aula prima di lettere
della Città universitaria, molto ampia e sempre affollata. Le lezioni non avevano un grande interesse scientifico, sembravano i quaresimali di un padre domenicano: per questo
piacevano a molti - mi dicevo - senza vera
stoffa filosofica. Ma a un certo punto si ebbe
una svolta. Era nell'aria la possibilità di una
campagna razzista da parte del Regime, ma
con avversione o incertezze che filtravano anche da parte di ambienti fascisti e di personalità di «provata fede»: Gentile scattò e per
settimane, dall'alto della sua cattedra e con
severità che non ammetteva repliche, tuonò
contro una campagna razzista, anzi contro lo
stesso razzismo, irridendo a una falsa filosofia «biologica» che attentava alle fondamenta
di uno Stato etico, quello cioè che si cercava
di realizzare. Si vedeva che Gentile giuocava
tutto se stesso; che delineava dei confini oltre
i quali un regime, al quale egli potesse dare il
COMUNI D'EUROPA
suo consenso e partecipare, non poteva più
essere tollerato. Era un grido di battaglia che,
pur nel perdurare del mio dissenso teorico sul
rapporto fra io trascendentale e io empirico,
mi dava un indubbio conforto: il Maestro era
lì, ad assicurarci la barriera morale che avrebbe posto e difeso, qualora ci si volesse prostituire al nazismo.
Terminò l'anno accademico e andai d'estate, come d'abitudine, al mare di Santa Marinella, ove campavo di lezioni private: quell'estate ne davo, fra gli altri, a due ragazzini
ebrei, fratello e sorella. Nel mese di settembre come la folgore vennero i decreti di Bottai, Ministro dell'Educazione nazionale, (il
((fascista critico» di Giordano Bruno Guerri!), che introducevano il «razzismo» nella
scuola. Io rimasi annichilito, incapace come
mi sentivo di intervenire subito uccidendo il
tiranno; la madre dei due bambini ebrei
esprimeva, prima ancora dell'angoscia, lo
sdegno: la loro era una famiglia ((risorgimentale», che aveva un nonno garibaldino, che
aveva difeso nel 1849 la Repubblica romana
di Mazzini, e uno zio, repubblicano interventista, mutilato in seguito alla «grande guerra»
combattuta per «completare il Risorgimento
italiano». Comunque ora - pensavo io - ci
sarebbe stato lo scontro all'interno dello stesso fascismo e certamente Gentile, il filosofo
dello Stato etico, sarebbe stato in prima fila,
con le responsabilità pratiche che l'attualismo giudicava inscindibili dal pensiero. Filosofare «non è pura speculazione, ma anche
azione», aveva scritto Gentile tanti anni prima recensendo Laberthonnière : quel Laberthonnière che recentemente egli mi aveva citato nel nostro incontro privato sul «problema dell'esperienza~. Aspettai, aspettai,
aspettai: Gentile tacque. Aiutava sottobanco
qualche ebreo, continuò a far tutto il possibile per Paul Oscar Kristeller - mio lettore di
tedesco alla Normale - che egli aveva accolto assai prima in Italia esule dalla Germania
di Hitler: ma commetteva anche le viltà spicciole di accettare, dopo aver osato proporre
compromessi assai meschini, le discriminazioni di uomini di valore della stessa «corporazione» degli studiosi (inutile citare fra i tanti, i casi di Fubini o Attilio Momigliano). Fu
allora - e non adesso in vista del francobollo
- che decretai la morte morale di Giovanni
Gentile, oltretutto non solo vile (c'è chi ora
dice «testardo per non sconfessare se stesso»,
cioè il suo argomentato fascismo), ma anche
traditore di se stesso, del se stesso più profondo.
Qui mi potrei fermare, ma mi preme aggiungere che non è l'adesione successiva alla
Repubblica di Salò che mi scandalizza: è stato un atto, in qualche modo, di coerenza di automatica coerenza formale - con quel
Gentile ormai incapace di seguire la ragione
e disperatamente prigioniero dell'attaccamento irrazionale a un regime, che gli stava
dimostrando - con Mussolini - l'errore
profondo della sua filosofia e l'ispirazione
ambigua e contraddittoria di tutta la sua opera culturale. In quest'ultima, certamente, ci
sono momenti e costruzioni importanti e perfino positivi: ma tutto ciò si perde, perchè vi
campeggia la storia di un'ltalia opportunista
di fronte al principe e al principio di autorità,
inteso inevitabilmente come il diritto del più
forte. Insomma l'Italia, che non era riuscito
a riformare quel Giuseppe Mazzini, di cui
Gentile non aveva mai capito niente, fraintendendone la stessa religiosità.
L'uccisione di Gentile? Contrariamente ad
altri, penso che sia stato per lui un regalo, anche se per noi è fonte ulteriore di confusione.
La «coerenza» di Gentile suscitava e suscita
- - come spero di aver fatto capire - la mia
perplessità, perchè penso che abbia rappresentato piuttosto un atto di orgoglio, copertura di un possibile rimorso di fronte al suo
duplice fallimento, teorico e morale: ma morto così, Gentile si è risparmiato il processo, a
cui avrebbe dovuto dare risposte convincenti
nel momento della restaurata libertà. Viceversa questa morte è quel che ci voleva per
quegli storici, filosofi, politologi, per i quali
tutta la storia è positiva, non ne va sprecato
nulla, è un'ingenuità dare i1 voto morale ai
suoi protagonisti: questi «pensatori» leggono
Seneca senza darsi la pena di decifrare il suo
senso sereno di accettazione dell'ordine di
suicidarsi.
Ma noi vogliamo davvero continuare a
ghettizzare il fascismo? il fascismo che vinse
due campionati mondiali di calcio e ci dette
un impero? E poi, suvvia, da bravi italiani,
tante storie per un francobollo?
u.S.
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MAGGIO 1994
in preparazione di Valencia
Le ragioni di uno scontro-incontro
di Salem Sawadhah*
Le relazioni economiche e sociali fra le città europee e quelle arabe non sono mai nate
per caso, e la storia ci insegna che tali relazioni hanno delle radici molto antiche, dato che
la storia in comune fra l'Europa e il mondo
arabo ha messo in evidenza un'influenza positiva reciproca, sia da parte della civiltà araba islamica, che ha lasciato un segno nello
sviluppo civile in Europa attraverso 1'Andalusia, che attraverso l'influenza europea sul
mondo arabo, che ha lasciato un segno positi-
vo e chiaro a seguito delllingresso delle truppe di Napoleone Bonaparte verso Est.
Questo discorso mi impone di parlare dell'epoca della colonizzazione europea del mondo arabo e dell'esigenza di alcuni Paesi colonialisti di legare alcune colonie arabe direttamente, economicamente, socialmente, politicamente e amministrativamente, con la conseguenza che, anche in seguito alla liberazione e alla creazione di governi nazionali, queste sono rimaste comunque molto legate eco-
Europa e Mediterraneo
Il CCRE affermò a suo tempo l'esigenza di
trasformare il Mediterraneo in un lago democratico, quindi pacifico e solidale. Poi, seguendo il
suo metodo di lavorare alla base, dopo una lunga preparazione ha promosso nel 1988, d'accordo con gli amici «delle sponde opposte)), la I
Conferenza euro-araba delle città, che si è svolta
a Marrakech in Marocco. Essa non si è contentata di affrontare in astratto, in una logica settoriale, i problemi dell'organizzazione locale e regionale, quelli della cooperazione tecnologica,
dell'emigrazione, della cooperazione culturale,
ma ha cominciato ad affrontare coraggiosamente quelli più spinosi della «grande politica)),cioè
del quadro entro il quale si supera il momento
della «pace diplomatica))e si costituisce veramente la «democrazia dell'interdipendenza)).
Ovviamente si è fatto solo un primo passo: un
altro, più lungo, si farà nel prossimo settembre
dal 15 al 17, quando il CCRE ospiterà a Valencia, in Spagna, la II Conferenza delle città euroarabe. Per preparare questo importante appuntamento si svolgerà a Catania (23-24 giugno) un
seminario, organizzato dall'AICCRE e dall'Amministrazione civica, al quale parteciperanno Sindaci arabi ed europei.
Ma, se vogliamo parlare, fuori di retorica,
dello «sviluppo di una regione mediterranea)),
occorre esprimersi con assoluta schiettezza e affrontare il quadro storico-politico in modo che
ci permetta di riconoscere gli ostacoli di fondo
a questa difficile costmzione.
Ne vengono due considerazioni. La prima è
che il dialogo euro-arabo va condotto in profondità, senza pregiudizi e inquadrato nei problemi
strategici di un mondo ormai multipolare.
Quando si affronta il problema dell'emigrazione e della complessità della edificazione di una
società europea tendenzialmente multietnica,
non ci si può fermare, isolandoli, ai problemi
delle nostre città - gli amministratori locali e
regionali lo sanno benissimo - e chiedere la luna nel pozzo: bisogna viceversa, per restare nel
Mediterraneo, prendere di petto fraternamente i
problemi a monte, non limitandoci alle coste
ma analizzando l'hinterland africano e dei Paesi
MAGGIO 1994
del Vicino Oriente in base a una giustizia
socio-economica internazionale - che, beninteso, andrà applicata anche all'interno del mondo medio-orientale -, studiandoci seriamente
di frenare le cause di una emigrazione di massa.
Dietro peraltro i problemi macro-economici c'è
l'esigenza di mettere realmente in contatto le rispettive società, europea e araba. C'è lavoro per
le città e per le Regioni - e dunque per tutto
il CCRE -, c'è lavoro per le Università, c'è lavoro per i sindacati, c'è lavoro per i gruppi religiosi che non si limitino a invocare una copertura laicista a incomprensioni religiose che rimangono nel sottofondo.
In realtà, mentre i Paesi europei chiedono rispetto dei diritti umani e civili ai musulmani dirimpettai e agli ebrei di Israele, criticano giustamente il fondamentalismo e gli integralismi religiosi, fingono di voler superare il nazionalismo,
essi dovrebbero fare anzitutto una spietata autocritica, vedere se stessi con gli occhi dei loro vicini extraeuropei, chiarire che l'Unione europea
non è la somma degli Stati nazionali, che sono
all'origine dei guasti altrui che vorrebbero correggere.
Abbiamo con un 'autentica Federazione europea la possibilità di riscattarci da gravi responsabilità: ma, appunto, dobbiamo badare alla nostra casa, in modo che risulti esemplare. La Federazione rispetta per definizione le Regioni, le
minoranze, le etnie, inducendo per altro tutti a
uscire dal loro separatismo, a portare avanti un
discorso interculturale, a sottoporsi a una legge
comune. In fondo, guardando strategicamente
al di là del nostro lago comune, sappiamo che
il federalismo ha un carattere espansivo, non si
può arrestare alla porta di casa, è - prima che
un moto istituzionale - l'espressione di alcuni
essenziali valori umani e civili. Ecco dunque
che l'idea di un Mediterraneo democratico ci
porterà alla grande scoperta che possiamo lavorare insieme - europei, arabi, ebrei - per una
interdipendenza planetaria basata sulla fraternità.
Enzo Bianco
Sindaco di Catania
nomicamente e socialmente agli ex colonizzatori. Gli ex coloni, in seguito all'indipendenza, si sono trovati di fronte a dei problemi
enormi. I1 più importante era la liquidazione
dell'eredità dei Paesi colonialisti sotto il profilo economico, sociale e culturale e cercare di
costruire un futuro adatto al benessere dei
popoli. Si sono trovati davanti al problema
complesso di identificare le direzioni di uno
sviluppo celere e di programmare le priorità
culturali in base alle poche risorse disponibili.
Tali Paesi hanno dovuto affrontare vari problemi contemporaneamente, aggravati dal sistema burocratico inefficiente ereditato dal
passato. Soprattutto nell'apparato economico
hanno trovato la soluzione facile per pareggiare i conti, ottenendo dei crediti dall'estero
e soprattutto crediti concessi dai Paesi esportatori, in linea con la Banca monetaria e i
mercati del credito nell'economia capitalista
degli anni 70, con enormi giacenze di capitali
alla ricerca di investimenti, soprattutto in seguito al cosiddetto «avanzo petrolifero», dato
in gestione ai Paesi capitalisti. E stato naturale lo sviluppo dell'entità dei debiti esteri dei
Paesi in via di sviluppo, con la conseguenza
che i debiti aumentavano continuamente,
sotto forma di interessi e rate, al punto di aggravare l'economia di tali Paesi specialmente
dove non vi era sviluppo dell'esportazione
dei propri prodotti.
È possibile elencare i punti più in evidenza
di tale situazione economica come segue:
1 - assorbimento totale delle riserve
economiche;
2 - maggiore difficoltà per I'importazione;
3 - degrado del livello produttivo e di
investimenti;
4 - difficoltà nelle operazioni di investimenti programmati con la conseguenza di recessi economici;
5 - impossibilità di rispondere agli impegni già presi per la restituzione dei crediti
esteri alle scadenze;
6 - perdita della fiducia internazionale
nei Paesi debitori con la conseguenza di non
poter ottenere altri crediti esteri;
7 - instabilità interne e ribellioni dovute
alla mancanza dei prodotti di prima necessità
o dei loro costi esagerati, con la conseguenza
dell'aumento della disoccupazione.
Da quanto sopra elencato, e in seguito all'aumento dei prezzi del petrolio agli inizi degli anni 70, ne sono risultate delle scosse abbastanza violente alla struttura sociale, sia
nei Paesi arabi che nei Paesi europei.
La presenza straniera nel mondo arabo fin
dagli inizi del XIX secolo e la rivoluzione
(segue a pag. 1J)
* Funzionario della Municipalità di Amman in Giordania.
COMUNI D'EUROPA
un importante convegno a Roma
Fratture e convergenze mediterranee
di Renata M. Landotti *
Si è svolto a Roma, nei giorni 16, 17 e 18
maggio 1994 un convegno internazionale, organizzato da Fondazione RomaEuropa, Università degli Studi La Sapienza, Università
del Mediterraneo e Consiglio Nazionale delle
Ricerche, dal titolo «Fratture e convergenze
mediterranee».
I1 convegno, presieduto dal Senatore Giovanni Pieraccini, Presidente deila Fondazione RomaEuropa, ha visto la partecipazione di
politici, di economisti e di intellettuali, tra i
quali lo stesso Predrag Matveievich ( l ) , autore di quel «Mediterraneo, un nuovo breviario» dove, in pagine dense e appassionanti, ricostruisce la storia di una parola - Mediterraneo - e rievoca i molteplici significati che
essa include.
E proprio l'intervento di Matveievich, costruttivamente provocatorio, ha subito messo
in evidenza quella che è ancora oggi la realtà
mediterranea, una realtà che non si discosta
da quella che Leonardo da Vinci aveva così
efficacemente colto: «da Oriente a Occidente
in ogni punto è divisione». E ancora, Matveievich sottolinea come il panorama mediterraneo non sia rassicurante, non sia (ancora) un insieme coerente e come il pessimismo
storico si ritrovi da una riva all'altra. Quello
che le coste mediterranee hanno in comune
sono le loro insoddisfazioni, il non aver vissuto la laicità, l'aver affrontato la modernità
con ritardo e il lasciare che la retrospettiva
prevalga sulla prospettiva. Le vecchie nozioni
di periferia e di centro vanno ripensate; il
dialogo deve sostituirsi a integrare i negoziati. Le coscienze mediterranee ogni tanto si
mettono in allarme, ma con risultati troppo
limitati.
A questa lucida esposizione delle difficoltà
non ancora superate sul difficile percorso verso la costituzione d i uno spazio comune che
potrebbe modificare il baricentro politicoeconomico della Unione Europea, si contrappongono le confortanti dichiarazioni di intenti contenute, ad esempio, nella Raccomandazione 1162 (199 1) del Consiglio d'Europa
(21, in cui alla storia ed alla cultura islamica
viene riconosciuto uno status paritario a quello della storia e della cultura ebraica e cristiana nella formazione della storia e della cultura europea. Nella Raccomandazione 1162 si
prende atto (art. 6) della deformazione storica e culturale di cui ha sofferto, e ancora continua a soffrire, l'immagine dell'Islam e poiché conoscere meglio significa poter comprendere meglio il presente e preparare il futuro (art. 9), l'Assemblea raccomanda al Consiglio
- dei Ministri di riservare un più ampio
spazio allo studio del mondo islamico nell'ambito dei programmi intergovernativi delle attività del Consiglio d'Europa e delle sue
* Esperta
di lingua e cultura araba.
Raccomandazioni agli Stati Membri (art. 11).
Tale risoluzione, tra le molte altre qui non
citate, costituisce uno dei pilastri su cui costruire una solida base di partenza per uscire
dall'impasse così efficacemente descritta da
Matveievich: «I1 pensiero è rimasto più volte
prigioniero delle "costanti", anche quando si
distaccava dai luoghi comuni. La rappresentazione del Mediterraneo è rimasta troppe
volte fossilizzata nei propri stereotipi: è come
se il Mediterraneo fosse un grande anfiteatro
dove si recita sempre lo stesso repertorio, dove le gesta dei commedianti sono conosciuti
e prevedibili sottoinsiemi. Ogni gruppo del
Mediterraneo conosce le proprie alternative.
Non è sufficiente constatare, con più o meno
esasperazione o rassegnazione i fenomeni che
appaiono su ciascuna delle nostre coste: degrado ambientale, inquinamento, industria
selvaggia, corruzione, movimenti demografici e migratori mal gestiti, mancanza di disciplina e di ordine, localismo, regionalismo, nepotismo e tanti altri ismi».
Vediamo ora cosa è emerso, durante i tre
giorni di lavori del convegno, a proposito del
ruolo, o non-ruolo, della Unione Europea.
Finora, e più di un relatore lo ha sottolineato, le sorti del Mediterraneo sono state
decise al di fuori del Mediterraneo stesso: solo recentemente si è cominciato a pensare al
Mediterraneo come progetto. Inoltre, anche
i Paesi delllUnione Europea che si affacciano
sul «nostro mare» non hanno, o non hanno
Palermo, San Cataldo: la finestra dell'abside
rifatta secondo un antico modello islamico,
recuperato a San Giovanni degli Eremiti. La
specchiatura a intreccio geometrico è incorniciata da un'iscrizione araba che corre lungo il
telaio
attuato, una politica mediterranea definita e
coerente: finora essi hanno solo cercato in via
eccezionale di confrontare le loro decisioni,
parziali o occasionali, in questo settore ed i
progetti sostenuti dai Paesi rivieraschi e formulati dalle convenzioni internazionali hanno avuto risultati estremamente limitati.
«...Se il Mediterraneo fosse uno spazio
economico integrato, aperto alla libera circolazione di merci, capitali e persone ... ci scambieremmo molti più prodotti, specializzandoci ciascuno laddove abbiamo vantaggi competitivi. Noi investiremmo maggiori capitali
(nei Paesi arabi), deolocalizzando produzioni
a Sud più di quanto non stiamo già facendo.
E allo stesso tempo le nostre frontiere sarebbero più aperte ai loro lavoratori. Ma il Mediterraneo non è uno spazio economico integrato. Perché lo diventi (e perché il protezionismo dei ricchi sia privato di giustificazioni)
mancano alcune importanti condizioni politiche ed economiche: la democratizzazione dei
regimi nordafricani ed una loro compiuta
conversione all'economia di mercato. Quand o questo accadrà, non è facile prevederlo
(comunque, sarebbe assurdo escluderlo dagli
scenari del futuro prossimo)». E quanto ci
chiarisce Federico Rampini (3), nel suo interessante scritto che vale qui la pena di segnalare, oltre che a conferma del crescente interesse e conseguente dialogo sui problemi del
Mediterraneo anche come ottima documentazione integrativa delle problematiche discusse durante i lavori del convegno.
Utopia? Anche l'Unione Europea, pur con
tutte le sue imperfezioni, e persino dopo il
«disastro» di Maastricht, è partita da un'utopia che si è venuta concretizzando grazie alla
paziente, costante ed illuminata opera di
menti lungimiranti e incrollabili nella loro fed e di unione e cooperazione tra i popoli.
Da una parte, quindi, l'Unione Europea
deve adottare una politica più audace a livello
di cooperazione economica; dall'altra i Paesi
musulmani, in particolare i Paesi arabi che si
affacciano sul Mediterraneo, devono, second o Mahjoubi (4), operare un aggiustamento
strutturale alle leggi economiche della Unione Europea. La cooperazione euro-araba va
ripensata, rinnovata, riequilibrata ed attuata,
sottolinea Mahjoubi, a cominciare da subito
dai Paesi del Maghreb più rivolti verso 1'Europa che non i Paesi arabi del Machrek.
Per riuscire a realizzare questa utopia, è
però indispensabile che, oltre ad una lucida
autocritica d a parte dei Paesi Occidentali excolonizzatori, i Paesi islamici, ed in particolare quelli arabi, diano un forte impulso al processo di democratizzazione che, secondo Abdelali Benamour (51, è di per sé inevitabile. Si
tratta di Paesi che dispongono di un grande
potenziale di civiltà, umano ed economico,
ma che non hanno ancora trovato la loro via
ailo sviluppo. Infatti, in queste società, ci soMAGGIO 1994
no segnali di progresso relativamente allo stato di sotto-sviluppo economico ma continuano a persistere delle «pesantezze» dovute alla
cultura musulmana.
L'esperienza della politica dello sviluppo
sul modello socialista terzo-mondista si è rivelata catastrofica e le strategie di sviluppo
fondate sul modello liberale non hanno mantenuto le promesse: il fallimento di queste
due ideologie, in particolare di quella liberale
(che tuttavia in altri Paesi del Terzo Mondo
ha ottenuto importanti successi), ha provocato nei Paesi musulmani una tendenza al ritorno alle origini. Lo scacco relativo dei modelli
di sviluppo occidentali è stata una delle cause
del diffondersi dell'integralismo. Questo fenomeno è significativo del fatto che, se i Paesi islamici hanno una buona parte di colpa in
questi fallimenti, i Paesi Occidentali non solo
non li hanno aiutati seriamente ma hanno incoraggiato le inerzie sostenendo regimi retrogadi. E ancora «... l'estremismo religioso.. . è
il risultato di politiche miopi che hanno sacrificato i valori culturali in riame di un dirigismo economico basato sulla corruzione e sugli
interessi dei gruppi di potere» (6).
Senza addentrarci nel complesso fenomeno
dell'integralismo islamista, e non islamico come ha tenuto a precisare Ammar Mahjoubi,
vogliamo qui ricordare quanto ha dichiarato
Rabah Kebir (7) a proposito d i un'eventuale
conquista del potere in Algeria da parte del
FIS: «... I1 problema dell'Algeria è soprattutto la corruzione... Noi cercheremo la collaborazione con i nostri vicini mediterranei.. . Un
paese stabile, musulmano, che si apre agli
scambi, sarebbe meglio per tutti...». Ciò presuppone, comunque, qualche concessione alla
«laicità» poiché, come sostiene Matveievich,
è necessario che la cultura islamica, se vuole
continuare nel suo cammino verso la democratizzazione, inglobi la categoria della «laicità» e la applichi soprattutto alla religione ed
al concetto di nazione. E Benamour sottolinea il fatto che sì, la laicità ha dimostrato d i
essere portatrice di libertà, iniziativa e creatività, ma il problema della separazione tra
temporale e spirituale, si pone con acutezza.
I n un periodo in cui anche l'occidente cerca
di operare un ritorno verso valori spirituali
ed etici per riparare al materialismo ortodosso marxista e liberale, la simbiosi tra materiale e spirituale che caratterizza 1'Islam può cos t i p i r e un valore ed un punto d i incontro.
E auspicabile che le correnti progressiste
che attraversano in senso orizzontale, con più
o meno forza, i Paesi islamici riescano ad attuare le condizioni di simbiosi tra modernità
e tradizione, tra ordine individuale e ordine
collettivo, tra l'imperativo della democratizzazione e le necessarie precauzioni della transizione.
Transizione che vede protagonisti i nuovi
intellettuali laici arabi cioè di coloro che «...
dotati di una cultura originale e formati in
una cultura diversa, devono pensare il rapporto tra le due culture e, di conseguenza, tra
due lingue e due codici ... coloro che, inoltre,
dovranno definirsi rispetto alla loro propria
società ma anche rispetto alla società da cui
prendono in prestito gli strumenti della conoscenza.. .» (8). I1 nuovo intellettuale laico araMAGGIO 1994
Palermo, San Giovanni degli Eremiti: chiesa eretta da Ruggero I1 nel 1132. Sul blocco della
costruzione risaltano le coperture a cupole rialzate e intonacate di rosso. Nel muro in primo
piano si conserverebbe il muro qibli della sala di preghiera di una piccola moschea di cui restano
anche il muro occidentale e quello orientale, su cui poggia il lato destro della chiesa
bo deve svolgere una doppia missione «... difendere la cultura araba in un mondo appiattito dal modello occidentale e riformare il
pensiero arabo per meglio adattarlo alle esigenze dei tempi moderni. I1 futuro della CUItura araba è una questione di volontà: quella
degli intellettuali e quella dei governanti» (9).
Per rendere il cambiamento possibile, quindi,
bisogna renderlo pensabile: questo è l'ardua
ma stimolante sfida che si offre ai nuovi intellettuali arabi (IO).
Invece di guardare al futuro facendo tesoro
della propria cultura, molti intellettuali rimangono attaccati alla sola visione storica
delle cose, in posizione difensiva, mettendo
in evidenza lo splendore del passato. I1 nuovo
intellettuale arabo, invece, è portatore di un
sapere globale che gli permette di trattare dei
più disparati argomenti e di formulare idee e
principi che servono alla presa di coscienza e
alla strutturazione dell'opinione pubblica. I1
nuovo intellettuale, oggi, rappresenta l'avvenire soprattutto se, come è il caso di Fatima
Mernissi e di Abdel Mohammad Jabri, solo
per citarne alcuni, «... lavora sulla possibilità
di riformare la cultura islamica dall'interno,
utilizzando i suoi propri strumenti e la sua
memoria aiutandosi allo stesso tempo del
contributo della sua cultura scientifica ... »
(11).
Secondo Porcel (12) cultura e pluralità sono una grande ricchezza dell'unione Europea
e sempre più, nel contesto dell'unificazione
dell'area mediterranea, la cultura si rivela essere la nuova frontiera da esplorare e conquistare. I1 genio
e la sensibilità mediterranee
vanno mantenuti ed esaltati: a tal fine le CUIture debbono aprirsi molto le une alle altre,
lasciarsi pervadere le une dalle altre senza
perdere la propria specificità anzi cogliendo
ogni elemento utile all'arricchimento nella diversità.
Su questo fronte, l'università del Mediterraneo, tra i promotori del convegno, può vantare al suo attivo una valida attività di coordi-
namento con varie Università d i Paesi mediterranei nell'ambito di progetti, finanziati
dalla Comunità europea, ai quali partecipano
anche istituzioni non comunitarie specializzate nello studio della civiltà islamica.
Sono proprio queste grandi reti sopranazionali, come l'università del Mediterraneo,
che, in questa situazione di rransizione, permettono alla cultura di ottenere importanti
risultati: grazie a questi grandi contenitori
nascono e si sviluppano progetti tra Università e istituzioni non governative molto lontane geograficamente e culturalmente ma che
possono finalmente sentirsi un insieme e lavorare insieme per ottenere risultati tangibili.
Questi risultati, questo lavoro culturale,
come quello che, parallelamente ma in altro
ambito, sta svolgendo I'AICCRE, sono la
spinta che incoraggia non solo gli intellettuali
ma anche i cittadini, appena un po' curiosi
del mondo che li circonda, a sperare nello sviluppo d i una regione mediterranea che non rimanga un mito geopolitico ma che diventi finalmente una realtà di democrazia e di pace.
(1) Ptedran Matveievich, scrittore; professore all'Università
di Parigi.
(2) Assemblée Parlanientaire du Conseil d'Europe, quarantetroisième session ordinaire. Recommendation 1162 (1991) relative à la contribution de la civilization islamique b la culture européenne.
(3) Federico Rampini, Paura dei <<barbari»
e difficoltà ad essere italiani, in: LIMES, Rivista Italiana di Geopolitica, 2/94, Editrice Periodici Culturali, pp. 191-198.
(4) Ammar Mahjoubi, Direttore dell9Institut Superieiir d'Histoire du Mouvenient National; professore alla Facoltà di Scienze Umane e Sociali, Università di Tunisi.
( 5 ) Abdelali Benamour, economista; presidente dell'Institut
des Hautes Etudes d e Management IHEM), Casablanca (Marocco).
(6) Mohanimed Harbi, LIAlgérie prise au piège de son Iiistoire, in: Le Monde Diplomatiqiie, Maggio 1994. p. 3.
(7) Noi islamici, democratici tolleranti, colloqiiio di Jan De
Volder con Rabab Kebir (presidente del Comitato consultivo del
FIS all'estero), in: Limes Rivista Italiana di Geopolitica, 2/94,
Editrice Periodici Ciilturali, pp. 103-106.
(8) Abdellah Labdaoui, Les nouveaux iritellectuels arabes.
I'Harmattan Histoire et Perspectives Méditerranéennes, p. 107
(9) Ibidem. p. 152.
(10) Ibidem. D. 8 .
(11) ~ b i d e m ; 175.
(12) Baltassar Porcel, Institut Català d'Estudis Mediterr~nis,
Genralitat d e Cataluna.
G.
COMUNI D'EUROPA
uno sguardo agli altri paesi dell'unione
Il nuovo stato federale belga
di J. Van Ginderachter*
Dopo la revisione della Costituzione del 5
maggio 1993, il Regno del Belgio è divenuto
uno Stato Federale, composto da tre Comunità e da tre Regioni. Questa trasformazione
delle Istituzioni belghe è stata realizzata in
quattro fasi.
Nel 1970 vengono create le Comunità, i
due gruppi linguistici in seno al Parlamento,
aventi potere legislativo in materia culturale.
Nel 1980 vengono create le Regioni e la Comunità germanofona. A queste vengono trasferite ampie competenze con poteri esecutivi. I1 finanziamento è basato sul sistema delle
dotazioni.
Nel. 1988189 le competenze trasferite divengono definitive con i grandi pacchetti
«istruzione» e «lavori pubblici»: il primo per
le Comunità, il secondo per le Regioni. I1 sistema di finanziamento viene rivisto in modo
sostanziale; questo ora si basa per la maggior
parte sulle imposte proporzionali. Alla Regione di Bruxelles-Capitale vengono infine conferiti gli stessi poteri delle altre due Regioni
(Fiandra e Vallonia).
L'introduzione del federalismo viene portata a compimento nel 1993 con l'elezione diretta dei parlamenti regionali (detti Consigli),
con l'istituzione di un bicameralismo con
competenza specifica delle camere, con la
scissione della provincia del Brabante e con
alcune modifiche circa le competenze trasferite e il sistema di finanziamento.
Per effetto della riforma, alle Comunità e
alle Regioni veniva attribuita anche competenza in ordine alla conclusione di accordi internazionali (treaty-making power).
Nel corso degli ultimi 25 anni, il dibattito
politico è stato acceso, talora anche violento,
ma alla fine questa fondamentale riforma si è
realizzata nella legalità. Ogni volta si sono ottenute le maggioranze qualificate dei due terzi richiesti, tanto per la revisione della Costituzione quanto per l'approvazione delle leggi
speciali.
Fra tutti i paesi in cui è stato introdotto un
sistema federalista mediante ripartizione delle competenze, il Belgio è probabilmente
quello che si è spinto più avanti. Infatti, le
Comunità e le Regioni dispongono di competenze molto ampie, tanto che esse concorrono
fino alla misura del 40% alla spesa pubblica
del Belgio.
1. L e competenze trasferite
In Belgio vi sono tre Comunità, che sono
competenti per le materie riguardanti il diritto dei singoli. La Comunità fiamminga ha
competenza per gli abitanti della Regione
fiamminga e per gli abitanti di lingua neerlanProfessore straordinario presso l'università
Namur.
COMUNI D'EUROPA
di
- le attività di rinnovamento nelle campagne e la salvaguardia della natura;
- l'edilizia (sociale);
- la politica agricola, per quanto concerne gli interventi strutturali;
- politica economica regionale;
- la politica per l'energia, in particolare
per quanto concerne la distribuzione dell'energia elettrica e del gas, tuttavia ad esclusione della progettazione di grandi infrastrutture e della imposizione delle tariffe;
- la vigilanza sui poteri subordinati (province e comuni), pur essendo tuttavia i presidenti (governatori) delle province e i sindaci
delle città e dei comuni designati dal governo
federale;
- la politica dell'occupazione;
- i lavori pubblici e i trasporti, escluse le
ferrovie e l'aeroporto di Bruxelles-Nazionale.
Poiché le competenze attribuite alle Comunità e alle Regioni sono in linea generale
esclusive, l'elencazione sopra riportata è da
ritenersi solo come indicativa, in quanto la legislazione in materia è molto dettagliata sia
per la definizione delle competenze che per le
eccezioni.
dese della Regione di Bruxelles-Capitale. La
Comunità francese ha competenza per gli abitanti della Vallonia - esclusi gli abitanti della Comunità germanofona - e per gli abitanti di lingua francese della Regione di
Bruxelles-Capitale, anche se di recente alcune delle sue competenze (ad esempio, formazione professionale e turismo) sono state trasferite in parte alla Regione vallona e in parte
alla Commissione comunitaria francese a
Bruxelles. Infine, la Comunità germanofona
ha competenza per i 68.000 abitanti dei sei
comuni dell'area ad Est.
Le Regioni sono competenti per le materie
territoriali. Le Regioni sono tre: la Fiandra,
la Vallonia e Bruxelles-Capitale, con 19 comuni.
Lo schema, qui di seguito riportato, illustra in modo chiaro la complessa situazione
del Belgio, soprattutto a Bruxelles, dove risiede il 29% degli stranieri; non si conosce
l'esatta percentuale degli abitanti di lingua
francese e neerlandese, pertanto in campo fiscale e finanziario vengono utilizzate delle
percentuali forfettarie (80% lingua francese
e 20% neerlandese).
POPOLAZIONE DEL BELGIO
al l o gennaio 1993
(per 1.000)
Tot.
Regione BruxellesCapitale
Regione fiamminga
Regione vallona
di cui: Comunità
nermanofona
TOTALE
fonte: N.I.S.
Stranieri %
CE
Yo
950
5.825
3.293
278
273
358
29,2%
4,7%
10,9%
127
141
269
13,3%
2,4%
8,2%
68
1O
14,8%
1O
14,1%
10.068
909
9,OYo
537
5,3%
Le Comunità hanno competenza per:
- le materie culturali, ivi comprese la radiodiffusione e la televisione, la formazione
professionale e gli sport;
- l'istruzione, fatta eccezione per la determinazione della durata del periodo previsto per l'obbligo scolastico e delle condizioni
necessarie per il conseguimento di diplomi;
- le materie concernenti il diritto dei singoli, e in particolare la politica della sanità esclusa I'assicurazione contro malattie e infortuni - e l'assistenza alle persone (politica
della famiglia, assistenza sociale, tutela dei
giovani, politica per i portatori di handicap,
politica per la terza età e per l'accoglienza e
l'integrazione degli immigrati).
Le Regioni hanno competenza per:
- la pianificazione del territorio;
- l'ambiente e la politica delle risorse
idriche;
In molti casi, delle leggi speciali prevedono
la conclusione di accordi di cooperazione (talvolta obbligatori) tra lo Stato federale e le
Comunità e10 Regioni, o anche fra queste ultime. In particolare, la cooperazione riguarda
la ricerca e lo sviluppo - campi di competenza esclusiva delle Regioni e delle Comunità
- nonché la rete di comunicazione fluviale e
per il trasporto terrestre.
La Costituzione stabilisce anche che il potere residuale spetta ai Comuni e alle Regioni, ma prima che tale articolo entri in vigore
occorre che il legislatore abbia potuto definire in modo dettagliato le materie per le quali
resta competente lo Stato federale - e ciò,
senza dubbio, non sarà facile. Nell'attesa di
tale definizione, restano di competenza dello
Stato federale la sicurezza sociale; il diritto
civile, commerciale e penale; l'imposizione fiscale; la politica monetaria e della concorrenMAGGIO 1994
Federalismo
mecliterraneo
Verso Valencia
Il 15-16-17 settembre si svolgerà in Spagna (a
Valencia) la seconda Conferenza euro-araba
delle Città: la prima si svolse a Marrakech ed
ebbe una partecipazione di tutto rilievo. E una
delle imprese che caratterizzano il CCRE, rappresentante di tutto il sistema europeo delle autonomie tewitoriali e dedito in via prioritaria a
porre le basi di quella che dovrà essere - dipende da noi - una autentica Federazione europea. Federalismo, autonomie, solidarietà: non
c'è alternativa razionale, quindi gli euroscettici
sono semplicemente dei pigri in morale e in fantasia. La politica della libertà (per fare le cose
in cui si crede) e dell'amore per il prossimo ha
sempre trovato non solo i nemici, ma gli scettici: non sono dei realisti, sono semplicemente dei
vili. Il compito, non ce lo nascondiamo, è
dijhicile, se vogliamo procedere al di sopra delle
ipocrisie correnti. Per l'Europa - e per la sua
democrazia di base, cioè noi - è ancora una
volta l'occasione di un esame di coscienza.
Quanto nazionalismo arabo dipende dalllEuropa <(occidentale)>?
e quanto fondamentalismo
islamico? Torniamo a consigliare un vecchio libretto del liberale Francesco Gabrieli, «Gli
MAGGIO 1994
Arabi», pubblicato nel 1957 e più volte ristampato e integrato. In preparazione della Conferenza di Valencia si pongono - ci pare - alcuni specifici problemi attuali.
Anzitutto la disunione dell'unione europea.
Nella ex]ugoslavia - che dovrà tornare ad essere, e ad essere realmente (cioè nella libertà e
nella democrazia), una Federazione degli Slavi
del Sud - ci sono «slavi mussulmani»: quali
sono le responsabilità di Stati nazionali europei
verso di essi (e non pensiamo soltanto alla Germania - la Croazia! - e alla Grecia - i Serbi! -)?
La Comunità (ora Unione) europea e la sua
Commissione esecutiva si stanno muovendo verso i Paesi del Mediterraneo, con una concezione
che chiamano «globale»: ma viene subito in
mente di pensare alla Convenzione di Lomé.
Anzi il discorso andrebbe addirittura allargato:
come i Paesi supersviluppati - coloro che hanno compiuto e compiono il massimo di rapine
della ricchezza del mondo e che regolano gli
scambi coi Paesi più poveri e più deboli - procedono, in un impeto di fraternità - o di paura
- ad aiutare i Paesi ((bisognosi)),
bisognosi per
povertà naturale o bisognosi per congiuntura
Cfallimentodel socialismo reale)? L'esempio del
capitalismo selvaggio «occidentale» non è dei
migliori: ma poi gli aiuti sono spesso dati in funzione della sua logica, a cui si cerca di legare
quei Paesi, che avrebbero esigenze autonome e
non la convenienza di legarsi agli alti e bassi della «congiuntura» del capitalismo ricco. Tornando a Lomé, l'Europa (la <piccola»Europa) prima ha favorito la monocultura, ha distrutto
un'economia primitiva, ma articolata e armoniosa - con bisogno d'aiuto, non di distruzione
-: poi si è capito, ma tardi, l'errore e, in modo
del tutto contraddittorio, si sono invitati i Paesi
«aiutati» a misure protezioniste e autarchiche
«nazionali», ormai impossibili e d'altronde negative nei riguardi di una migliore cooperazione
interafricana. Ora poi - torniamo ai nostri
montoni -, in luogo di favorire una intesa tra
il Sud europeo e il Nord africano, suscitiamo
frequentemente una alleanza del capitale delle
regioni ricche del Centro-Nord dell'Europa con
le classi al potere dei Paesi africani: la conseguenza potrà essere la guerra dei poveri, tra le regioni del Sud Europa e quelle del Nord - e non
solo del Nord - dell'Africa.
Ma c'è un altro, delicato problema: l'alleanza
«europea» con le nuove classi politiche delllAfrica, e particolarmente con quelle - talvolta
COMUNI D'EUROPA
ex-nemiche, al momento della «liberazione»
(cfr. l'Algeria) - particolamente occidentalizzate (e talvolta covotte). Quando queste classi
politiche locali, non di rado distaccate dagli elementi più poveri o emarginati delle loro rispettive società, hanno fallito una politica
economico-sociale, che ha tradito facili promesse, gli emarginati (sobborghi di città in crescita,
vilkqgi rurali, giovani disoccupati, ecc.) sempre
più hanno finito per identificare mancate promesse», «lusso dei parvenus della politica»,
«corruzione», con occidente, Europa e magari
cristianesimo, e non hanno saputo resistere all'attrazione di un Islam che promette, al suo intemo, rigore ed eguaglianza.
Queste prime ossewazioni sono del tutto
semplificative, ma non è semplificativo, sullo
sfondo, il nostro obiettivo epocale di federalisti:
«cambiare il mondo», cioè creare un nuovo ordine economico-sociaie planetario, giusto libero
e pacifico. La Federazione europea, per altro cosi difficile, è solo un momento della «rivoluzione federalista». Comunque queste poche righe,
che avranno bisogno di approfondimento e di
sviluppo, possono spiegare la pubblicazione del
saggio «stravagante» (nel significato fatto suo da
Giorgio Pasquali, il famoso e umanissimo filologo) di un illustre geologo, Gian Lupo del Bono, anarco-federalista, come egli stesso si definisce. E' un saggio inconsueto, molto bello, molto ricco, molto stimolante. Ci pare che vada
pubblicato soprattutto per tre ragioni specifiche.
Anzitutto l'anaico-jederalismo. Il CCRE
non è anarco-federalista, anche se gli anarchici
(si pensi a Kropotkin) hanno sempre costituito
un punto di riferimento per i federalisti. Oggi
l'anarco-federalismo, col suo radicalismo, fa capire lucidamente l'inganno di un federalismo
«separatista». Il separatismo è lontano un miglio
dal federalismo. Tutti gli anarchici si sono sentiti sempre cittadini del mondo, polemizzano
contro il potere, non contro gli uomini «diversi»
o «lontani». La loro gelosa difesa della propria
autonomia non ha niente a che fare con l'egoismo autarchico, anzi è esattamente il contrario:
non vuole paraventi, confini, sbavamenti.
Qualche «separatista» ha richiamato, a proposito di disobbedienza civile, Thoreau: ma Thoreau era un anarchico, ce l'aveva col potere, non
col prossimo.
INDICE
La sostanza del problema
Federalismo mediterraneo ................
Federazione mediterranea ................
I1 nostro mondo unitario mediterraneo .............................................
La possibilità di azione concreta ......
«La Méditerranée des pauvres* ........
La via dei Sufi ...............................
Bassora ..........................................
Anacoreti cristiani e primo «monachesimo» islamico ...................................
Le persecuzioni ...............................
Il Sufismo e i diritti dell'uomo ........
Il riconoscimento del Sufismo: Ain E1
Ghazali ..........................................
COMUNI D'EUROPA
In secondo luogo, del Bono fa una cavellata
straordinaria attraverso l'islamismo. E' una carrellata eterodossa, abbastanza eretica, ma non
snob: e ci spieghiamo. C'è qualche <<modernista» islamico che piace molto agli occidentali,
perchè semina paradossi e sgomento nel suo
campo: lasciamo questo divertimento agli «intellettuali~;quanto in genere ci richiama Gian
Lupo è una tensione ecumenica che vive nell'islamismo, con difficoltà, come vive con difficoltà in altre grandi religioni, a cominciare dal
cristianesimo. Tutto qui. L'islamismo, come il
cristianesimo, ha avuto, in fatto di tolleranza o,
meglio, di ecumenismo, alti e bassi; vanno bene
i richiami storici, le scuole di studi ebraici e cristiani nelle regioni governate un tempo da Musulmani in Spagna: ma poi bisogna approfondire
meglio il presente. Ci occowe spesso di citare il
grande coranista Abul Kalam Azad, uscito da
El Azhar, l'università teologica egiziana, laico
e collaboratore di Jawaharlal Nehru, laddove il
capo della Lega musulmana indiana era Jinnah,
in partenza un miscredente marito di una parsi
(è la religione di una minoranza di seguaci di
Zoroastro, tra i massimi capitalisti indiani).
Infine il sagio tocca il problema del Mediterraneo visto, tutto sommato, da un federalista,
quindi non contrapposto al tradizionale federalismo europeo: spinge l'Europa non solo verso
Nord-Ovest o verso Est, ma anche verso la culla
della sua civiltà, a Sud. E' un Meditevaneo di
tutta l'Europa. Ci sovviene un vecchio libro (è
una edizione dei Fratelli Bocca, Torino, 1926)
di Giuseppe Sergi, <(Leprime e le più antiche civiltà - I creatori»: dopo uno sguardo paneuropeo, il libro si dedicava particolamente al Mediterraneo e a una zona umana euroafromeditevanea (coi «ricordi più primitivi dell'umanità»). Sergi era un antropologo, del Bono è un
geologo.
PS - Qualche libro utile? Elenchi del genere sono abbastanza casuali, comunque molto
soggettivi. Meglio non avere pretese di rigore e
suggerire qualche libro che sembra comodo, anche perchè ne cita altri e pemette di cominciare
a muoversi entrando nei problemi.
Sviluppo, affermazione transfideistica,
attualità del Sufismo .......................
Libertà spirituale: contestazione di
dogmi e poteri ................................
Intesa necessaria e indispensabile .....
Vivere, difendere, sviluppare la propria
cultura ...........................................
Conclusioni
I motivi principali ...........................
Possibili programmi .........................
Le difficoltà da preventivarsi ...........
I) Difficoltà di ordine politico ..
a) precedenza Est-Ovest .........
b) estremismo islamico ..........
C) estremismo cristiano ...........
d) consewatorismo storico ......
27
29
30
31
Alessandro Bausani, c<LJlslam».E' un libro
non recentissimo, ristampato, dovuto a quel
personaggio straordinario, poliglotta incredibile,
che era Bausani. Il libro ha in particolare un'appendice su <<Lareligione Babi-BahaJi», che era
anche la fissazione del caro Sandrino. Il Babismo è, in fondo, «una nuova religione che abroga l'lslam e si pone come una nuova religione
per i tempi nuovi».
Recentissimo è «Il partito di Dio - L'Islam
radicale contro l'Occidente» (1994 [edizioni
Angelo Guewini e Associati, Milano]. Piace a
un Sindaco - un Sindaco filosofo, il Cacciari
con barba, di Venezia -.
In edizione Città nuova (1988) un grande
islamista, Louis Gardet, ci ha dato «LIIslam e
i Cristiani - convergenze e divergenze)) (nell'originale francese il titolo è ~Regardschrétiens
sur l'lslam»: ma sono ricordi di uno che per
mezzo secolo è stato profondo amico di molti
mussulmani).
Paolo Branca, «Voci delllIslam moderno Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento
e tradizione» (Marietti [Genova, 19911).
Un libro o m a i stagionato è: ((Ilpensiero politico arabo» di Anouar AbdeLMalek (Editori
Riuniti, prima edizione italiana del 1973 - in
Francia è uscito per le Editions du Seuil).
La vivista italiana di geopolitica «Limes» ha
pubblicato (1994, Editrice periodici culturali)
un numero su «Meditevaneo, Z'Arabia vicina».
Ha una parte dedicata alla Bosnia.
Per gli italiani, che non sono «brava gente»,
suggeriamo i due volumi di Angelo Del Boca
(Editori Laterza, 1986 e 1988), «Gli italiani in
Libia - Tripoli bel suo1 d'amore 1860-1922»,
«Gli italiani in Libia - dal fascismo a Gheddafi)).
Naturalmente non poteva mancare un libro
di Renzo De Felice, «Il fascismo e l'Oriente Arabi, ebrei, indiani nella politica di Mussolini» (Il Mulino [Bologna, 19881).
Ci piace anche di ricordare il vecchio, classico libro di Giorgio Assan (Editori Riuniti
[l 9591), «La Libia e il mondo arabo - nell'ex
colonia italiana problemi, contraddizioni e speranze del divenire della nazione araba*.
Infine ricordiamo il numero monografico di
((Comunid'Europa» del maggio 1989, ((Europa
federata e Meditevaneo».
11) Difficoltà di ordine istituzionale .................................... 35
111) Difficoltà di carattere sociale ....................................
36
Condizioni facilitanti i programmi proposti
i) Aspetti di carattere economico
e socio-culturale ................... 37
11) Aspetti di carattere politico: la
Costituzione di Medina ........ 37
111) Aspetti umano-caratteriali: la
nostra mediterraneità ........... 38
a) Meditevaneità cosciente ...... 38
b) Meditewaneità istintiva ...... 40
La scelta degli operatori .................. 41
Tornare alle origini .........................
42
I1 problema di fondo ....................... 42
Noi per primi .................................
43
MAGGIO 1994
Federalismo mediterraneo
di Gian Lupo del Bono
La proposta che vi faccio - vengo subito al
nocciolo (") - è di aprire immediatamente
una campagna e di studiare, a scadenza immediata, un programma di azione, in favore
di quella che potrebbe essere la soluzione dei
drammatici problemi mediterranei:
La federazione dei popoli mediterranei
Con questa proposta intendo esprimere
quello che ritenevo ieri, ma ritengo soprattutto oggi come improcrastinabile necessità: la
creazione di un Federalismo mediterraneo.
La sostanza del. problema
Federalismo mediterraneo
Per brevità, il tempo stringe, vengo ai motivi di questa proposta:
1) I1 primo motivo parrebbe dover essere
la guerra in corso nel Golfo. Nessuno di noi,
men che meno chi vi parla, dimentica che
mentre pronuncio queste parole, ogni second o che passa, ogni minuto, diecine, centinaia
di uomini periscono nella Guerra del Golfo;
e in effetti, se una Federazione mediterranea
fosse esistita, i problemi della parte orientale
di essa (del Medio-oriente cioè) avrebbero
potuto trovare ben altra soluzione.
2) Eppure, questo primo drammatico,
contingente, tragico motivo, non è, in prospettiva storica, il principale di essi, anche se
questo stesso motivo - la guerra - è quello
che mi costringe a intervenire presso di voi a
parlarvi, cosa che non faccio da molti anni ormai. e a farlo in un momento in cui ~ e r s o n a l mente,. professionalmente, faniiliarmente, tutto dovrei fare fuorché venir qui a parlare e a
farvi certe proposte; ma devo farlo, lo esigono
i morti della Guerra del Golfo. i «malsepolti
compagni*, per dirla con il poeta dia!ettale
sardo Sebastiano Sanna - ammesso che siano sepolti! - io esige quanti stanno ora morendo in questo stesso istante, quanti moriranno nelle prossime ore, nei prossimi giorni,
noi non ossia amo trincerarci-dietro i doveri
familiari e gli impegni di lavoro, di carriera,
per quanto importanti possano essere, i figli,
l'età. l'incapacità ad affrontare ~ r o b l e m così
i
colossali, la stanchezza, gli impegni di ogni
genere: sarebbe una allucinante ipocrisià, la
A
(*) Il sdggio che pubblichiamo è preceduto, in qiranto testo esteso
de//'i~iferve>itoeffettuato in forma sintetica in scdufa plenaria a/
Congresso del Partito Federalista Tranrnazionale in Roma ne//'inurnio 1191, &l setuente preambolo:
«Amici, Colleghi federalisti e transnazionali,
chi vi parla non è un "radicale storico" anche se ora si riconosce, quanto meno nella definizione, quale fautore del Partito
Transnazionale Federalista, proprio perché transnazionale e federalista e soprattutto perché organismo che è stato capace di
sottrarsi alle lotte per il potere in Italia, per dedicarsi ad altri tipi
di lotta, assai più importanti, assai più legittimi, soprattutto improcrastinabili.
Chi vi parla è altresì un federalista di vecchia data, segretario
romano del Congresso per il Popolo Europeo, allora affidato alla
Segreteria europea di Luciano Bolis, parlo degli anni dal '56 al
'61. quei gloriosi anni federalisti in cui Roma, fino alla periferia
MAGGIO 1994
più macabra fra tutte le ipocrisie, quella di
noi stessi nei confronti di noi stessi.
Eppure il motivo più importante, il vero
fondamentale motivo, è un motivo culturale,
paradossalmente assai più profondo, che
emerge dalla notte dei tempi e nella notte dei
tempi futuri sprofonda, il motivo delle radici
culturali mediterranee, di quelle radici culturali talmente radicate in noi da risultare fisiologiche; che accomunano noi tutti mediterranei con una identità di caratteri comportamentali da rappresentare un denominatore
comune che forse non ha precedenti sulla superficie del globo, perché non vi sono forse
sulla superficie del globo comunità le cui comuni radici sprofondino fino alle origini della
protostoria, dell'epoca in cui i popoli sahariano-mediterranei e camuni incidevano le loro
speranze, i loro timori e davano libero sfogo
alla loro fantasia mediante incisioni e pitture
sulle pareti rupestri, a quelle epoche altrettanto misteriose che vanno dalle ere egiziane
alle mesopotamiche, surneriche, alle cretesi-micenee, alle pre-indo europee, dalle paleo-mediterranee - intendo basco-sarde e
forse anche guanche integrate (popolazioni
indigene delle isole Canarie, ndr) - con tutte le loro favolose leggende, i poemi, i miti
grandiosi sulla creatività e la creazione, fino
alle indo europee i cui rappresentanti, in successive ondate, hanno avuto un poco la funzione del mestolo che tutto rimescola, rivolge, unifica e che, pur lasciando a ciascuno la
propria identità, tutto confonde in un inestricabile, insostituibile valore unitario comune.
Credo che non occorrano parole per descrivere il valore di questa cultura così composita, così variegata e profonda, così permeante
qualunque ricettività umana, qualunque coscienza, qualunque istinto, persino.
Occorre rilevare forse come questa cultura,
più ancora, assai più di quella caratterizzante
popoli o etnie assai più uniforrni e meno differenziate, ci coinvolge al punto di darci a noi
mediterranei, pur nelle vistose differenze, un
cemento creativo culturale di fondo che sarebbe delitto sacrificare o anche solo trascurare.
Ed è un coinvolgimento che interessa anche molti "non mediterranei", tutti coloro
- cioè - che "sentono" la vocazione mediterranea, e non sono pochi, nei paesi nordici;
ed è un coinvolgimento di cui non si può fare
a meno, neppure se lo volessimo, perché ciò
significherebbe semplicemente rinunciare al-
europea, praticamente ignorata dal mondo federalista attivo, si
doveva rivelare all'avangiiardia grazie alle elezioni popolari di
base per il Congresso del Popolo Europeo (CPE) nei comuni della provincia prima (con record europeo assoluto di percentuale di
votanti), successivamente nell'università di Roma, infine, nel
'61, trionfalmente in tutta la città di Roma, con oltre 100.000
voti, altro primato rispetto ai centri "storici" del federalismo europeo (Maastricht, Milano, Darmstadt, Lione, Anversa, ecc.);
furono elette, ricordo, a "furor di popolo", mediante 104 seggi
aperti da volontari in tutte le strade di Roma, personalità quali
Giovan Battista Angioietti, allora segretario degli scrittori europei, Vincenzo Arangio Ruiz, Angelo Bandinelli. Helinut Goetz
(primo "straniero" eletto con voti italiani), Franco Lombardi,
Claudio Monteverdi, Marco Pannella, Altiero Spinelli e tanti altri, non vi voglio tediare: tutte persone, sia chiaro, clie non avevano soltanto dato il proprio nome ma clie avevano collaborato
attivamente, e ancora ricordo il magnifico manifesto europeo e l a ~
la nostra più profonda natura mediterranea o
al richiamo di essa.
Ora, questa cultura mediterranea, questa
cultura che non soltanto affronta con tanta
ampiezza di respiro il problema delle origini
della creazione, del destino dell'universo e
dei fini culturali della umana avventura, questa cultura che, soprattutto nelle sue componenti, la civiltà biblico-israeliana, quella greco-latina, quella cristiana e quella islamica e scusate se dico poco! - (ma non soltanto in
quelle, come oggi si comincia a scoprire), concepì per prima lo spiritualismo unitario e universale rifacentesi al Dio unico, questa stessa
cultura sta per essere frantumata, peggio, deformata proprio dal nascente «Stato unitario»
europeo: questo, pur indispensabile, ma solo
come autentica federazione integrale, per risolvere autonomamente i sempre più drammatici problemi del nostro continente, appare sempre più strutturato sul modello degli
stati nazionali di infausta memoria e attualità, munito soprattutto di quei precisi confini
di interesse che, per essere esclusivisti e prioritari sono di per ciò stesso mafiosi; confini,
il più meridionale dei quali è destinato a spaccare, come di fatto sta spaccando, il composito mondo mediterraneo.
Ed ecco i motivi del mio lungo preambolo
sui trascorsi federalisti miei e delle comunità
di cui faccio parte, ed ecco i motivi della mia
riaffermazione di federalismo attuale, a livello di fiducia nel sistema teorico - l'unico
concettualmente valido - e di fiducia nella
sua applicazione pratica - graduale quanto si
vuole - di federalismo integrale, nei limiti,
tuttavia, in cui si riesca ad applicare veramente il federalismo veramente integrale.
Solo in questo caso infatti, solo, ripeto, se
si riuscirà a dare attuazione al federalismo integrale, si riuscirà ad evitare cataclismi e tragedie quali quelli della Guerra del Golfo, la
più sanguinosa guerra - si badi - della storia dell'umanità, considerato il bassissimo
tempo entro il quale si è esplicata - 200.000
morti in tre giorni di battaglia; né sappiamo
quanti altri periranno nei prossimi giorni né
quanti periranno fra gli Armeni, Curdi, Sciiti, oggi invitati a rivoltarsi al regime di Saddam, domani presumibilmente abbandonati
alle vendette di quello.
Ecco, volevo, con i1 mio preambolo, evitare che il timore, ora espresso, di una possibile
frantumazione definitiva del mondo culturale
mediterraneo, venisse interpretato come una
borato da Claudio Monteverdi e le serate di lavoro passate a casa
di Arangio Ruiz. Fui anche eletto nel '56 segretario alla Sezione
MFE di Roma, carica alla quale rinuiiciai in favore di Giuliano
Rendi, il patrimonio culturale-politico ed il rigore robesperriano
del quale. pur non condividendone molti degli aspetti politici, ritenevo caratterizzare la persona più adatta a gestire quella carica.
Ma soprattutto devo ricordare la mia partecipazione, insieme
a molti altri validissimi amici federalisti, alla gestione del giornale "Lotta Federalista", in circolazione fin dal lontano 1961; ritengo che tale giornale sia stato uno degli organi giornalistico-federalisti di maggior durata, se non quello di maggior durata, quasi venticinque anni ed ancora potenzialmente attivo; fin d'allora
avevamo prospettato la società senza frontiere, avevamo contestato i poteri nazionali in quanto tali in favore di gestioni federaliste di base, rifiutando qualunque centro di potere politico da
sostituirsi con organizzazioni spontanee decentrate di servizi,
sottolineando l'aspetto fondamentale dei valori culturali delle co-
COMUNI D'EUROPA
critica al federalismo in cui mi riconosco; anche se, in effetti, quello in cui più probabilmente credo è quell'anarco-federalismo che
non riconosce autorità centrale o centri di poteri (salvo i servizi centrali, la famosa piramide rovesciata di Mario Mariani) sui quali invecc appaiono strutturati certi «stati federa, li» che non sono federazioni, quali gli Stati
Uniti e 1'Urss e sul modello dei quali mi pare
avviata anche l'Europa, ossia quello che pavento diventi uno «Stato» europeo, somma di
conservativi interessi europei - gli Stati
Uniti d'Europa, anziché una libera federazione di Comunità.
Purtroppo, dalla costruzione, anziché di
una federazione europea, di uno «Stato» europeo accentrato su un qualsiasi centro di potere, strutturato come centro di potere e circoscritto da precisi limiti territoriali - gli infami «confini» la cui esistenza ha devastato
l'Europa e la sta devastando - vedo conseguire quello che ritengo una delle più grandi
jatture delle vicende. politiche attuali: la frattura del Mediterraneo in due mondi distinti,
quello europeo nel quale far convergere a forza tutte le com~onentisud-euro~eecommese
quelle più tipicamente mediterranee (quali,
solo per portare alcuni esempi, la Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna, Andalusia, ecc...),
ed un mondo africano nel quale far convergere a forza tutte le componenti mediterranee
nord-africane (per esempio Tunisia, Egitto,
Libano, Algeria, Libia, Marocco, ecc.) - ma
prima di tutto mediterranee - con la conseguente perdita della propria preziosa identità
mediterranea: strumento indispensabile per
l'integrazione reciproca di quel favoloso
mondo composito a tre, Europa-Africa-Medio Oriente, dal quale è sorta nel passato una
delle strutture culturali spirituali più possenti
della storia delle comunità mondiali e dalla
quale, tramite soluzioni federaliste, una nuova esplosione creativa è facilmente preventivabile.
In una parola temo che avvenga quello che,
per constatazione generale, sta già purtroppo
avvenendo, che i Siciliani cioè - e solo per
fare un esem~io- saranno coattivamente
fatti diventare europei e sottoposti alle regolamentazioni di questo continente - tramite
gli «ordini» di Strasburgo, ed i Tunisini saranno coattivamente fatti diventare africani
e sottoposti alle regolazioni di questo altro
continente, tramite qualche altro futuro centro di potere africano; con la conseguenza
che, non solo si deformerebbe una verità lo ripeto, una verità plurimillenaria di fatto
- o la si distorcerebbe atrocemente, ma si
creerebbero presupposti sicuri per cui, sempre per fare un esempio, il composito complementare mondo siciliano-tunisino, permeato
di componenti fenice, arabe, normanne, afri-
cane, greche, romane, berbere e via dicendo,
verrebbe non solo frantumato. ma costretto.
dai rispettivi poteri, a differenziarsi prima, a
fronteggiarsi poi, a ostacolarsi successivamente, infine a scontrarsi, esattamente come
avvenne due secoli fa per il mondo alpino
frantumato nella sua unitaria comunità per
divenire frontiera fra mega potentati. Le
«battaglie» fra motovedette tunisine e pescherecci siciliani sono sintomatiche da questo punto di vista quando le due componenti
sociali sono, a dir poco, splendidamente complementari.
Di questo «scontro» sono sinistri presagi le
gradualmente crescenti opposizioni agli interscambi autonomi «naturali» fra le due parti
della comunità regionale siculo-tunisina. la rivalità nello stesso sfruttamento turistico, soDrattutto i contrasti sulla delimitazione delle
acque territoriali, con i conseguenti aspri
contrasti sul ~roblemadella Desca. artificialmente creati dai rispettivi poteri (quello comunitario europeo e quello tunisino), quando
la maggior ricchezza in pesca dei fondali tunisini e la straordinaria maggior ricchezza di assorbimento dei mercati italiani consentirebbe, raccomanderebbe economicamente, socialmente, umanamente, l'integrazione a tutti i livelli. Questa, di fatto, avviene ma clandestinamente (emigrati clandestini tunisini,
pescatori non autorizzati italiani, manovalanza tunisina e nordafricana Der c o ~ r i r eincarichi per i quali non si trova mano d'opera in
Sicilia, operatori turistici italiani in Africa,
ecc.) per sfuggire alle leggi dei rispettivi poteri o. dal Dunto di vista sociale ed umano. attraverso le comunicazioni nell'etere (televisione) dove ancora i poteri non sono fortunatamente riusciti a stabilire leggi o frontiere.
Analoga situazione fra Puglia ed Albania dove interessi complementari premono per
sfondare assurde leggi di frontiera marittima:
si pensi che la Comunità Europea ha ordinato
di abbattere migliaia di capi di bestiame italiano eccedenti la produzione comunitaria
senza considerare che al di là del Canale d'Otranto, in Albania, tali animali ed i loro prodotti sarebbero stati indispensabili per la sopravvivenza di migliaia di bambini, gestanti,
malati o ricoverati di ogni genere.
Lentamente. gradualmente. auesta infame
frontiera «europea» che tronca longitudinalmente il Mediterraneo si va creando. seDarando gente dello stesso sangue, della stessa
costituzione fisica, dagli analoghi elementi
caratteriali, della stessa storia, abitudini, necessità, sottoposta agli stessi stessi agenti climatici, agli stessi condizionamenti geografici,
alle stesse necessità, persino agli stessi cataclismi naturali ed artificiali: terremoti, alluvioni, maremoti, inquinamenti, desertificazioni avanzate e siccità.
Ma vorrei tornare brevemente all'esempio
delle Alpi, una regione di cui i poteri apparentemente legittimi, apparentemente democratici, apparentemente progressisti - gli
«Stati» europei - ma sempre poteri centralizzati di stato. limitati da «sacri» confini di
stato, hanno voluto per il passato servirsi come «linee di confine» entro le quali imporre
e «standardizzare» le proprie nazionalità, anche per poterle contrapporre alle limitrofe,
creando appositamente artificiali interessi
economici o falso-culturali o politici contrapposti: contrapposizioni, ovviamente che servivano a giustificare l'esistenza dei poteri
centrali, delle relative burocrazie politiche e
militari e dei conseguenti ben noti cospicui
interessi a livello individuale e di gruppi di
potere.
Senza citare il tromo noto esem~iodel Tirolo, per contrapporre i Tirolesi «tedeschi» ai
Tirolesi «italiani». con l'allucinante esem~io
della prima Guerra mondiale dove la bravura
e l'eroismo di quelle popolazioni era stata
sfruttata per scagliarle, sotto le etichette di
diversa nazionalità, l'una contro l'altra; senza, ripeto, ricordare troppo questo esempio,
si potrebbe citare il caso meno conosciuto,
ma forse ancor più emblematico dei «Walser», i «re delle Alpi», popolazione alemanna
cui si deve di fatto, da oltre un millennio, la
colonizzazione e la civilizzazione delle più
impervie regioni alpine - depositari fra l'altro di una loro arcaica validissima lingua paleotedesca: il Tisch - anello ~reziosodi congiunzione tra le limitrofe popolazioni basso-alpine dei versanti Nord e Sud delle Alpi,
per secoli garanzia di pace, commercio, transitabilità, assistenza di passeggeri, depositari
di un particolare patrimonio architettonico
alpino che tutti conosciamo senza peraltro attribuirgli tale indispensabile e ormai ampiamente documentata origine.
Ebbene, la sostanza culturale di tale popolazione si sta dissolvendo dinanzi alla logica
spietata dello Stato centralizzato e delle sue
frontiere. Si sarebbe di fatto già dissolta se
non fosse stato per l'esistenza di qualche rara, per quanto combattiva, associazione locale o culturale che ha invocato e invoca da
tempo la soluzione anarco-federalista per salvare il salvabile della cultura «Walser».
Solo in tale quadro federalista - lo stesso
che noi invochiamo Der il Mediterraneo scrivevano Zanzi e Pezzi, fra i massimi studiosi in materia, (vedi i volumi «Prospettive
di vita nell'arco alpino» e «I Walser nella storia delle Alpi», ambedue edizioni Jaca), «Solo
in tale quadro federalista, in chiave di rivendicazione antinazionalista (e si badi che uno
«stato» federale europeo strutturato su organismi centrali continentali di potere può rappresentare un analogo pericolo per il mondo
mediterraneo) e di rimetto federalista delle
autonomie locali, si può attuare quella tutela
munità di base e la assoluta necessità che ciascuna di esse fosse
messa in g a d o non solo di prendere coscienza di sé ed autogestirsi, ma di svilupparsi secondo sempre nuove forme creative e nuove estensioni comunitarie: un modello organizzativo che avrebbe
potuto definirsi, come di fatto si definì, di anarco-federalismo.
Non per niente abbiamo dedicato pagine intere del giornale alle variegate espressioni linguistiche e dialettali delle comunità
europee ed extraeuropee, non per niente ci siamo rivolti, oltre
che ai politici, soprattutto agli artisti, chiedendo ed ottenendo
spesso la loro collaborazione - famoso rimane un censimento tra
tutti i grandi violinisti del mondo sulla figura di federalista di
uno di essi, Bronislaw Hubermann, campagna promossa da Helmut Goetz - ed oggi che almeno tre delle g a n d i comunità dell'Europa orientale, nello scrollarsi di dosso i non più tollerati regimi totalitari, hanno affidato la massima guida dei loro Paesi ad
esponenti del mondo artistico creativo, oggi noi siamo legittima-
mente fieri di questo giornale, con il quale, nonostante le poche
migliaia di copie di tiratura (distribuite peraltro in tutti i centri
federalisti, culturali e contestatori di Europa), siamo sicuri di
aver aperto certe strade, di averle sperimentate, ad esempio nella
gestione totalmente libertaria del giornale, di aver proposto certe
soluzioni federaliste integrali, molte delle quali sono state recepite ad esempio da questo Partito dalla cui tribuna vi parlo, Partito
che ha saputo pienamente realizzarle, ottenendo risultati insperati, riconoscimenti in tutto il mondo e soprattutto aprendo quella che è forse la prima concreta linea d'azione transnazionale in
Europa e fuori d'Europa.
Mi auguro, amici, che non pensiate che mi rivolgo a voi per
vanità - io ed il Gruppo che rappresento o almeno quella parte
di esso che crede ancora nei principi che ispirarono la nostra
azione di allora - o per esibire certi trascorsi, o peggio, per vantare le nostre lungimiranti precorritrici ragioni di allora: sarebbe
veramente triste, in un momento come questo in cui infuria la
Guerra del Golfo, una delle guerre più allucinanti di questo secolo, nella quale centinaia di migliaia di uomini, sottoposti a poteri
di stato, sono costretti ad ammazzare o a farsi ammazzare davanti alla restante umanità che si gode lo spettacolo d a televisione,
commentandolo sprofondata nel comodo delle proprie poltrone.
No, se ho ricordato tutti questi trascorsi, perdendo fra l'altro
cinque minuti del preziosissimo tempo concessomi, prima di farvi le proposte concrete che vi farò sappiate che sono stato e sono
sempre federalista, federalista integrale o, se preferite, federalista decentralizzatore, tolstoiano-gandhiano, fautore dell'idea di
Federalismo alla Proudhom - comunque sempre anarco-federalista. Ho fatto questa lunga premessa perché non equivochiate
sul mio conto quando, nel farvi le proposte che vi farò, le motiverò così come udrete».
A
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COMUNI D'EUROPA
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u
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L
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della autonomia linguistica che è sempre stato il principio di una rivendicazione e di una
riappropriazione della storia locale.. .».
«...Anche per tale motivo - rincarano gli
autori - sarebbe delittuoso che tale cultura
materiale dei Walser venisse perduta» (noi
vorremmo aggiungere «quanto resta di essa»,
perché quanti di noi, quanti di voi a cui parlo,
auanto io stesso siamo veramente a conoscenz'a del problema dei Walser e della loro lingua
«Tisch»?); come irrimediabilmente accadrà
qualora, nelle regioni montane, si dovesse
continuare lo scempio ambientale e culturale
che, da parte degli stati centralizzati, continua ad imperversare ovunque.
Non vogliamo che questo scempio, già da
tempo in atto nella regione mediterranea, si
aggravi con la istituzionalizzazione di una linea di «frontiera europea» che spacchi il Sud
Mediterraneo dal Nord Mediterraneo favorendo o promuovendo situazioni - che già si
stanno verificando - di un nascente nazionalismo arabo-africano da contrapporre ad un
nascente nazionalismo economico-sociale
quanto si vuole, ma sempre nazionalismo europeo.
Tale nazionalismo «federale» europeo, infatti, che già tenta di contrapporsi agli Stati
Uniti d'America sulla scia di nazionalismi
francesi o analoghi, mira non solo alla soddisfazione della sacrosanta, legittima necessità
di dare una voce all'Europa e di risolvere i
suoi ancora scottanti problemi europei ma,
purtroppo, in modo sempre crescente, alla difesa conservativa di un benessere che si va rapidamente estendendo e che malauguratamente si intende mantenere e soprattutto sviluppare anche a scapito dei «malesseri» delle
regioni terzomondiste, come dimostra il dilagante razzismo (riservato esclusivamente ai
«poveri» terzomondisti) e soprattutto la dilagante opposizione ad ospitare individui dei
paesi mediterranei nordafricani più sacrificati.
Purtroppo l'Europa cosiddetta «federale»
nasce - e deve pur nascere - ma nasce Stato centralizzato. anche se concede. al suo interno, una certa autonomia alle regioni, molte delle quali legittimamente lo desiderano
per liberarsi delle pastoie burocratiche opprimenti degli stati nazionali nei quali sono attualmente inserite; l'Europa nasce però, purtroppo, anche conservatrice, perché atavicamente non si riesce a rinunciare al benessere
conquistato, con la conseguenza che si continua a ricorrere ad un modello di stato. anche
se fortemente ampliato con la auspicata abolizione dei nazionalismi interni, che ripete il
modello degli stati da cui siamo partiti, e che
segnarono, sì, un progresso sostanziale sugli
ottocenteschi staterelli regio-dittatoriali precedenti - si veda il caso dell'Italia - ma che
già nella loro costituzione adombravano le
grandi spaccature nazionali da cui dovevano
derivare all'Europa le grandi guerre dell'ultimo secolo.
Ed ecco, lo ripeto ancora una volta, perché
ho lungamente ricordato la mia passata militanza di federalista e la mia quarantennale illimitata fiducia nella soluzione federalista,
più che mai all'ordine del giorno oggi per la
risoluzione dei drammatici problemi europei
attuali: perché non si creda che io mi opponga al federalismo europeo in cui credo e in cui
continuerò a credere anche e soprattutto perché non si deve ritenere che la pelle dell'orso
sia già disponibile, dato che l'orso non è stato
ancora catturato. Solo che vi credo da federalista integrale e da anarcofederalista: credo
D
MAGGIO 1994
cioè nel solo federalismo che consenta alle
singole comunità regionali - non agli stati,
troppo convalescenti ancora di nazionalismo,
ammesso e non concesso che la malattia sia
veramente passata - di essere anche disponibili per una indispensabile, assolutamente indispensabile ed improcrastinabile:
Federazione mediterranea
Federazione mediterranea
Ma come può essere concepito un federalismo mediterraneo? Che caratteristiche deve
avere? Come può essere realizzato?
Si badi che parlo, per ora, di federalismo
mediterraneo, la federazione è il suo obiettivo, ma se si vuole ora concretamente proporre qualcosa di immediatamente attuabile, è al
federalismo mediterraneo che occorre guardare, così come quarant'anni fa guardavamo
al federalismo europeo e agivamo, sulle piazze, concretamente in favore di esso.
Non pretendiamo, per ora, di raggiungere
immediatamente la meta, l'obiettivo, cerchiamo di porci il problema di come cominciare
a lavorare concretamente in favore di esso.
Quali debbono essere, dunque, le caratteristiche di questo federalismo mediterraneo?
1) Deve essere anzitutto autonomo, fiorire
localmente, come già il federalismo di base
europeo, in rispetto degli unici principi etici
validi per qualunque organizzazione di base e
libertaria, che ha un senso ed un valore storico solo se nasce dall'interno delle comunità
che ne sono interessate, come espressione
delle proprie basi culturali, nel senso più etnico del termine.
Pertanto:
2) Non deve essere estensione del federalismo europeo nonostante il positivo esemplare
sviluppo storico-concettuale di quest'ultimo
- Spinelli insegni - e la maturità ed esperienza di esso.
Non può essere neppure espansione settentrionale di un pur auspicabile federalismo
africano, né, nella sua parte orientale, di un
altrettanto auspicabile federalismo medio-orientale.
Deve essere promosso e perseguito da uomini e comunità che chiaramente intendano
il significato e il valore culturale dell'area anzidetta, il valore storico umano, sociale ed
economico, artistico-creativo dell'entità mediterranea che non è Europa, nè Africa, nè
Medio Oriente, ma una entità geografica dalla personalità territoriale più forte ancora
delle tre precedenti citate, e soprattutto un
prezioso anello di congiungimento fra i tre
sopracitati mondi - europeo, africano e medio orientale - dai quali ha ipotecato preziosi elementi culturali ed ai quali ha soprattutto
versato più validi ancora valori culturali: si
pensi solo all'influenza culturale mediterranea sulle basi culturali europee ed alla influenza spirituale mediterranea sulle attuali
basi spirituali europee, africane e medio
orientali.
Graficizzando quanto sopra proposto, occorre che il Mediterraneo sia identificato per
quello che sostanzialmente è, per la verità
profonda di quello che sostanzialmente è, verità solo sulla quale si può costruire la interna
armonia, la successiva graduale integrazione
delle comunità che ne fanno parte, l'autoge-
stione culturale e amministrativa da parte di
esse, con la conseguente nuova esplosione di
creatività che è per ora solo potenziale e latente.
Un anello di congiunzione siffatto può essere rappresentato graficamente (cfr. figura a
pagina seguente) evidenziando i tre anelli culturali principali (Africa, Europa e Medio
Oriente) ed il fondamentale quarto anello di
sintesi e congiunzione: il Mediterraneo.
Sul grafico sono evidenziate e tratteggiate le
aree politicamente più delicate ed importanti,
cioè quelle che appartengono contemporaneamente ad anelli diversi. dove la simbiosi
fra comunità, etniche, tradizioni e costumi
viene ad assumere rilievo prioritario per la già
citata fondamentale finalità di congiunzione
e sintesi di culture diverse da parte dell'anello Mediterraneo.
Operativamente parlando è necessario
concepire quattro federalismi paralleli ed autonomi, destinati in futuro a federarsi a loro
volta. Così come il federalismo euroineo è nato e si è sviluppato secondo un'armonica integrazione di autonomi federalismi locali confluenti in un'unica autogestione - e se era,
come era, vero federalismo, non poteva non
convergere in una gestione unitaria assembleare, il ben noto Congresso del Popolo Europeo (CPE) realizzato al di fuori di qualsiasi
potere centrale (governi) o centri di potere
nazionale (inartiti) - così il federalismo mediterraneo dovrà svilupparsi su nuclei locali
convergenti verso organi centrali di servizi e
successivamente integrarsi con gli analoghi
processi federalisti europei, africani e medio
orientali con i quali in parte si saranno già sovrapposti.
Qualunque altra soluzione - ad esempio,
la più classica, tre federalismi continentali
(europeo, africano, medio orientale) - potrebbe risultare catastrofica, in quanto la
mancanza dell'«anello di congiunzione» - il
federalismo mediterraneo - causerebbe un
lento, graduale aumento del «vuoto», come
nel caso di una immensa «deriva dei continenti», nel senso di una crescente separazione tra di essi. Lungo tale «vuoto» si concretizzerebbe l'eterno nefasto concetto di «frontiera», in corrispondenza della quale ed a causa della quale - oltre al disastro prioritario
della distruzione della «personalità» culturale, etnica, storica e sociale del Mediterraneo,
con tutta la sua potenziale creatività a venire
- si verrebbero inevitabilmente a stabilire
rivalità prima economiche e di interessi varii
(come accentuazione di quelli, già inizialmente in corso, sopra citati), poi catastrofici contrasti politici o di potere.
Avverrebbe, cioè, esattamente quello che
avvenne quando si formarono gli agglomerati
di regioni e piccoli stati che diedero luogo agli
stati nazionali unitari italiano, francese, tedesco, austriaco; per riprendere l'esempio dell'Impero austro-ungarico e dello Stato nazionale italiano. ne doveva derivare la distruzione delle comunità medio-alpine (Tirolo italiano e austriaco), feroci contrasti (guerre) con
conseguenze che perdurano tutt'ora.
E s e m ~ i oancora D ~ Ùeclatante e amaramente attuale potrebbe essere fatto ricordando la
distruzione attualmente in atto di comunità di
«frontiera» (Medio Oriente) quali i Curdi, gli
Sciiti, gli Armeni, le cui popolazioni sono state smembrate a forza e suddivise in stati nazionali diversi (e noi occidentali abbiamo gravi e determinanti resinonsabiliti in materia.
vedi Zanotti-Bianco e le sue pubblicazioni sui
popoli d'Europa, edite subito dopo la I Guer/
-
COMUNI D'EUROPA
(Fig. 1)
1)
2)
3)
4)
Federalismo
Federalismo
Federalismo
Federalismo
europeo
africano
mediorientale
Mediterraneo
A) Area mediterraneo-europea
(Es: Grecia, Italia, ecc.)
B) Area mediterraneo-africana
(Es. Marocco, Algeria, ecc.)
C) Area mediterraneo-mediorientale
(Es. Arabia, Turchia, Irak, Kwait, ecc).
CI
(Fig.2)
I
II
---t--+--J--1I
A
l
I
1) Federaiismo europeo
2) Federaiismo africano
3) federaiismo medio-orientale
A) Area crescente di dissoluzione della
cultura «viva» mediterranea
+rq*
1'ii,
A
l
,
H
---------C--+ I
l
I
I
l
+
ra mondiale) per essere poi ferocemente perseguitate, mediante autentiche campagne di
genocidio, perché considerate infide e indesiù
derabili., auando non ancora ~ i odiosamente
usate per la distruzione reciproca (Armeni e
Curdi).
No, l'anello di congiunzione, nel nostro caso il Mediterraneo, è dunque non solo eticamente fondamentale per consentire la salvaguardia della verità culturale unitaria delMediterraneo ed il suo sviluppo in autogestione comunitaria - difficile quanto si vuole, ma indispensabile - ma anche, con altrettanta urgenza e gravità, per evitare «contrapposizioni», lo si ripete, foriere di catastrofi, fra due
futuri presumibili megastati, l'Europa e l'Africa e la conseguente «alienazione» di popolazioni rivierasche, ridotte da comunità prioritariamente mediterranee a comunità di frontiera, rispettivamente europea ed africana,
contrapposte le une alle altre, così come le antiche valli alpine, ridotte da superbe e fiorenti linee di comunicazione fra versanti sud e
nord delle Alpi, a fondi di sacco economicamente in miseria. militarmente attrezzate le
une contro le altre.
L'autonomia locale di nascita e di sviluppo
del federalismo mediterraneo deve essere all'inizio totale e solo successivamente destinata a svilupparsi in graduali integrazioni con
movimenti federalisti o con federazioni - se
saranno veramente tali - limitrofi.
Sarà più che auspicabile, veramente raccomandabile, che i federalisti europei, ad esempio, come chi vi parla, partecipassero ad esso
(iniziative federaliste mediterranee).
ma sa.
rebbe grave jattura se si avesse anche solo
l'impressione che il federalismo europeo voL
,
COMUNI D'EUROPA
lesse «fagocitare» quello mediterraneo di cui
si auspica la nascita.
No, se i federalisti europei intendono, come si auspica, essere anche federalisti mediterranei, devono farlo aderendo totalmente
all'autonomia gestionale ed alla indipendenza
di questa nuova augurabile struttura e dissociandola totalmente dal federalismo europeo,
almeno per i primi anni.
Né pare impossibile essere contemporaneamente federalisti europei e federalisti mediterranei, purché questa fondamentale distinzione culturale, psicologica, territoriale ed
operativa, sia sempre tenuta ben chiara. Garibaldi, ad esempio, lottò per la libertà delle
comunità sudamericane ed italiane, senza che
le due diverse iniziative interferissero l'una
con l'altra. Mi si risponderà che la distanza
aiutava in tal senso. reciso che non mi faccio
illusioni circa la maggiore difficoltà del problema mediterraneo che Dresenta aree di sovrapposizione (vedi aree tratteggiate negli
schizzi soma r i ~ o r t a t i fra
) autonomi federalismi, areeLperafiro che sono di gran lunga le
più preziose perché consentono quella simbiosi tramite la quale si potranno prevenire
fenomeni razzisti o contrasti etnici di qualunque natura.
Del resto, se taluni individui o gruppi di
individui mediterranei accettassero passivamente, o addirittura auspicassero una sorta di
deprecabile fagocitazione europea, lo farebbero solo per motivi di interessi economici
personali o corporativi, asfittici e negativi a
qualunque livello, d i nessun valore sociocomunitario e comunque aspiranti a vantaggi
a brevissimo termine.
Né il federalismo mediterraneo deve fioriL
re dalle radici di una cultura, di una storia, di
un comune denominatore sociologico che non
sia quello tramite il quale il Mediterraneo caratterizza le sue popolazioni, perché solo nel
rispetto di questa sua ricchissima autenticità
esso può rappresentare quel fattore monumentale di progresso e di unione che può e
deve diventare a favore di tutta la società
umana.
3) Conseguenzialmente a quanto sopra
detto, il federalismo mediterraneo non può,
neppure come prima fase, essere inteso quale
attività iniziale per un federalismo mondiale:
ciò per una indispensabile esigenza di concretezza e di identificazione di obiettivi graduali
ma precisi a breve e media scadenza, dovendo il federalismo mondiale restare, come già
per il federalismo europeo, la «ultima grande
meta» e soprattutto il principio di fondo in
base al quale operare localmente in qualunque comunità, o complesso di comunità della
superficie del globo.
4 ) Al sopraindicato federalismo devono
poter partecipare tutte le comunità mediterranee: si vorrebbe dire «devono partecipare»,
ma non lo si fa per rispetto a quei principi
anarchici e libertari che devono essere alla
base di qualunque vero federalismo integrale;
e questa seconda volta l'espressione «devono», applicata ai principi anarchici e libertari,
va usata per distinguere e caratterizzare il vero federalismo cui si mira senza compromessi
di carattere statal-nazionale o semplicemente
di poteri centralizzati.
Intendo dire che l'obiettivo non deve essere uno«stato federalista», quello che minaccia di diventare l'Europa diventando, con ciò
stesso, un'entità a conservatorismo crescente, cosa che purtroppo sta già avvenendo: deve essere una federazione di comunità mediterranee con i soli indispensabili servizi comuni centralizzati.
5) Ma quali sono queste comunità mediterranee e qual è l'estensione territoriale del
mondo che abbiamo finora chiamato «mediterraneo»?
Geograficamente si potrebbe definire il
mondo mediterraneo come quello composto
dalle comunità territoriali affacciate ai suoi
mari o ai fiumi che sfociano in essi e risalendo
i quali si coinvolgono territori che completano ed integrano il suo ambiente fisico e culturale.
Ci si potrebbe riferire quindi, da un punto
di vista più specificatamente scientifico al
«bacino idrografico» confluente nel Mediterraneo.
Tuttavia, dato che il ragionamento vuole
svilupparsi logicamente su un piano umano e
sociale, preferiamo limitarci al concetto del
mondo mediterraneo composto dalle comunità non solo che si affacciano su di esso direttamente, ma che gravitano su di esso culturalmente, economicamente, socialmente, psicologicamente.
Così ne farebbero parte comunità come il
Sudan che, pur non affacciandosi direttamente su di esso, si affaccia pur tuttavia su
una delle sue principali arterie - il fiume Nilo - che fanno parte integrante del mondo
mediterraneo; o come il Niger, il Chad, il
Mali, paesi saheliani-sahariani, ma che, proprio attraverso il «mare sahariano» (le grandi
distese rev va lente mente sabbiose che, come
un immenso oceano, vanno a sfociare sulle
coste meridionali del Mediterraneo), gravitaMAGGIO 1994
no verso di esso per motivi etnici, culturali,
commerciali, spirituali.
Così infine ne fanno parte tutte quelle comunità che «sentano» di farne parte, che alla
cultura mediterranea si sono sentite inarrestabilmente attratte e ad essa hanno fornito
preziosi contributi: ad esempio gli Armeni,
comprese le componenti di quelle popolazioni
e parte principale di esse, geograficamente inserite nelle regioni limitrofe al Mar Caspio,
ma che mediterranee si sono sempre sentite,
si sentono tutt'ora e che alla cultura mediterranea hanno sostanzialmente contribuito (ved i Venezia).
~ u a l c h e ' d u b b i opotrebbe sorgere sul fatto
che di questa area geografico-sociale possa far
parte il Mar Nero, per la propria profonda incuneazione nell'Europa orientale e nel Medio
Oriente, oltre che per la attribuzione di un
nome (Mar Nero) che sembra volerlo differenziare dal Mediterraneo.
A questa osservazione vorrei far rispondere Predrag Matvejevic, uno dei più grandi
esponenti dell'attuale letteratura jugoslava,
diciamo di più, un esponente di quelle comunità che forse fra le ultime si sono affacciate
al Mediterraneo, ma proprio per sentirsene
affascinate più di ogni altra e ad iniziarne una
compartecipazione che le fa non solo mediterranee ad ogni effetto, ma addirittura all'avanguardia delle comunità mediterranee.
Non per niente Claudio Magris definisce
Predrag Matvejevic un «uomo della costa»,
benché croato, nato a Mostar nella Erzegovina, ad una cinquantina d i chilometri dall'Adriatico. ma fin da bambino affascinato dai
fiumi e dalle rive mediterranee.
D i Predrag Matvejevic vi segnalo un libro,
piccolo di formato ma ricchissimo di contenuti che forse molti di voi astanti conosceranno, ma che raccomando vivamente a coloro
che non ne abbiano preso ancora conoscenza;
un libretto fondamentale Der auanto di autenticamente mediterraneo spumeggia d a esso, per quella «consistenza» che ho sopra definito «fisiologica mediterranea», che sembra
prorompere d a ogni sua riga, nella quale qualunque mediterraneo non può che riconoscersi, non può non rabbrividire nell'intuire tratteggiata, in essa, l'essenza della sua patria più
vera, nella quale è più radicato, della quale è
più profondamente intriso, l'unica cui spetti
di diritto, per esso, la denominazione, altrimenti retorica. d i « ~ a t r i a » .
I n questo «libretto» - neppure duecento
pagine - il cui titolo, assai azzeccato è «Breviario mediterraneo», il Matvejevic scrive:
A
L
«Attraverso il Bosforo e i Dardanelli scorre, alla maniera di una vera corrente fluviale. l'enorme eccedenza d'acaua che
hanno portato nel Mar Nero il Danubio e
i vecchi fiumi russi. H o girato di sfuggita
le foci del Don, del Dnjester e del battesimale Dnjeper: le loro acque si differenziano in effetti da quelle mediterranee, anche
se, nell'immediata vicinanza, del' mare,
meno di quanto di solito non si supponga.
«E tuttavia il Mar Nero non è separabile dal Mediterraneo. nonostante lo stretto
che li separa e li tiene lontani».
«A Belgrado o a Novi Sad un Ucraino di
Odessa mi ha confidato che il Danubio in
quei posti gli ricordava l'odore del Mar
Nero e che si considerava un Mediterraneo: "Ex Ponto". Gli afflussi che provengono dal continente non servono solo al
mantenimento del livello dell'acqua».
E per quanto riguarda la penetrazione delMAGGIO 1994
lo spirito e dell'atmosfera del Mediterraneo
fin nelle province montagnose interne, dove
molti di noi talvolta ritengono siano insediate
popolazioni montanare che nulla hanno da
spartire col Mediterraneo, lasciamo ancora rispondere al Matvejevic:
«E a questo modo si può compilare per
ogni terra una apposita carta idrografica.
Nell'ambiente vicino a noi lungo il corso
del Vardar i soffi del Mediterraneo Denetrano fino a Skoplje e ancor più in làiil lago Ohrib è come un'isola del Mediterraneo fra i monti, con i fichi, i mandorli e
il rosmarino attorno ai vecchi monasteri
macedoni), tramite 1'Isonzo pervengono
fino alle Alpi Giulie, sulla Neretva scorrono fino a Mostar (la città dove sono nato)
e su fino alla ~ o s n i a col
, lago di Scutari
la Moraca si avvertono fino all'altro versante del Montenegro. Ci sono tanti fiumi, che ingiustamente trascuriamo, che
nelle loro anse conservano affinità e restituiscono le peculiarità del Mediterraneo:
dalla Bojana alla Mirna e alla Dragonja,
passando attraverso la Zrmania e la Krka,
la Cetina e i Polici e la loro piccola repubblica, lungo tutti gli affluenti di questo tipo e i loro principati».
I n definitiva sono mediterranee non solo
tutte le popolazioni del Sud europeo e dell'Oriente mediterraneo europeo, ora collaboranti nell'ambito dei ~ r o c e s s iunitari del continente, non solo tutte le popolazioni nordafricane, dai rnarocchini agli algerini, ai troppo misconosciuti maghrebini, la cui cultura si
va rapidamente affermando in campo internazionale con riconoscimenti di ogni genere
fino alla conquista del Nobel, in una drammatica inquietudine mediterranea che va alla
ricerca della propria identità fino alla ricerca
della propria espressione linguistica; un
dramma esistenziale che, ritengo, possano risolvere solo nella unità mediterranea: sono
mediterranee anche le popolazioni dell'interno montagnoso jugoslavo, le popolazioni di
quella «grande penisola mediterranea» rappresentata dai Balcani, dai Croati ai Serbi, ai
Bosniaci, agli Albanesi, tutte comunità il cui
sogno mediterraneo è di poter disporre d i
scali su questo mare per poter partecipare a
quella «festa» mediterranea che, se autogestita dalle comunità mediterranee -- federalismo mediterraneo - tale potrebbe effettivamente diventare. Paradossalmente l'Europa
continentale è psicologicamente troppo lontana da queste popolazioni. E, tornando al
versante meridionale del Mediterraneo, bisogna citare ancora, fra gli altri, i Berberi, i
Touareg, con il loro alfabeto e la loro lingua,
i Libici, i Senussi, gli Egiziani - e scusate se
dico poco! - i Libanesi, i Siriani, gli Armeni,
i Curdi - oggi così di «moda» perché insorti
contro i tanti poteri oppressori, e preferisco
non andare oltre perché, ancora una volta, lo
fa magistralmente Matvejevic, lo fa d'istinto,
lo fa da mediterraneo, con ciò comprovando
ancor più l'asserto:
«È difficile scoprire che cos'è tutto quel
che ci spinge a provare a ricomporre,
ognuno a modo suo, il mosaico del Mediterraneo nel passato e nel presente, a comporre per l'ennesima volta il catalogo di
tutte le già conosciute componenti del
Mediterraneo, a verificare il significato
specifico d i ciascuna di esse e il valore dell'una nei confronti dell'altra: l'Europa, il
Maghreb e il Levante; il Giudaismo, il
Cristianesimo e 1'Islam: il Talmud. la Bib
bia e il Corano; Atene, Roma e Gerusalemme; Alessandria, Costantinopoli e Venezia; la dialettica, l'arte e la democrazia
greca; il diritto, il foro e la repubblica roinana; l'antica dottrina araba; la produzione poetica provenzale e catalana; il Rinascimento italiano; la Spagna dei vari periodi, straordinari e atroci; gli Slavi del
Sud dell'Adriatico. Q u i popoli e razze per
secoli continuarono a mescolarsi, fondersi
e contrapporsi gli uni agli altri, come in
nessuna altra parte di questo pianeta...».
I n definitiva, tutti quei popoli, quelle comunità che, da più di migliaia di anni, recitano su quello «spazio mediterraneo» che sempre il Matvejevic definisce, in modo singolare, come «composito palcoscenico mediterraneo»:
«La riva, il porto, il molo, la piazza di città, il mercato e la pescheria, l'osteria, lo
spazio vicino alla fontana o al faro, talvolta la chiesa, il convento o persino il cimitero, come del resto anche altri luoghi simili
all'aperto, sono palcoscenici naturali e
idonei, sui quali vari attori recitano le loro
parti, grandi e piccole, insignificanti e fatali: con simili spettacoli è collegata la storia del teatro mediterrano e del Mediterraneo in quanto tale».
Ed è curioso che, a questa analogia del Mediterraneo come grande spazio teatrale (un
palcoscenico unitario, pur nella molteplicità
dei suoi scenari). si rifaccia auello che è forse
il più grande s;orico attuali del Mediterraneo, Fernand Braudel, quando dice dei tedeschi: «i tedeschi sono soliti dire che il Mediterraneo è un mondo in sé, eine welt fu7 sich.
Dicono anche che è ein welttheatev, un teatro
di dimensioni mondiali o un teatro del mond o ... una parte del globo che costituisce un
insieme, un proscenio assai difficile da rappresentare» (Chiteauvallon - Giornate Fernand Braudel - ottobre 1985). E si può proprio parlare di attori che si sono succeduti e
prodigati a risolvere i problemi del loro mare,
artefici della grandiosità culturale del territorio mediterraneo d a loro abitato o da loro invaso; «ad esempio - cita ancora Matvejevic
- i Goti, gli Ostrogoti, i Veneti, i Sorabi, gli
Illiri o i Traci, i Troiani, i Proto-Montenegrini, i Paleo-Danubiani ed altri ancora», che
così l'autore ricorda:
u
«Conosco e apprezzo dei mediterranei che
hanno appassionatamente e talvolta insensatamente dedicato la loro vita alla soluzione dei grandi enigmi del Mediterraneo:
da quello fenicio o punico, all'etrusco, colchidico o copto, illirico o tracio, o albanese, maltese, celtico e celtico-iberico, venet o liburnico, basco, morlacco e altri ancora, e naturalmente di quelli degli Slavi del
Sud, e in particolare dei Croati e dei Dalmati».
6 ) Infine l'ultima, ma fondamentale, caratteristica del federalismo mediterraneo deve consistere nella esigenza che esso comporta d a parte dei federalisti europei, degli anarchici, dei libertari e uomini di cultura di ogni
genere, di aiutare tutti i mediterranei, indistintamente, a prendere coscienza di quello
che sono, e che non sanno per lo più di essere, e non lo sanno perché questa loro natura
è talmente radicata nel loro spirito da apparire alla stregua di una semplice forza vitale,
come la capacità motoria dei propri arti o la
COMUNI D'EUROPA
prensilità delle mani, troppo scontata, comunque, perché se ne possa o se ne debba
prendere coscienza: la loro, la nostra profonda natura mediterranea.
Bisogna prendere coscienza di essa, amici
che mi ascoltate, partecipanti a questo Congresso del Partito Transnazionale Federalista, occorre prendere coscienza della nostra
natura di mediterranei, che ci piaccia o no,
prima che sia troppo tardi.
Strana pretesa questa per un anarchico fiero d i esserlo e che di anno in anno, per le ragioni storiche che lo confortano, si rallegra
sempre di più di esserlo.
Strana richiesta, questa «quasi imposizione», prendetela magari come una raccomandazione vivissima, perché ciascuno di noi si
senta finalmente, non solo fisiologicamente,
ma anche soprattutto umanamente, socialmente, culturalmente, quindi politicamente,
mediterraneo, aggiungerei «tumultuosamente» mediterraneo, tanto da rivoltarsi allo
scempio che si sta facendo dei nostri compatrioti mediterranei, della nostra cultura, del
nostro complesso linguistico, dello scempio
che continua implacabile dall'inizio del secolo, da quando, disfatto il tanto criticato impero turco del Mediterraneo, se ne è fatto strame per favorire avventurieri di ogni estrazione, per giustificare rigurgiti imperialisti, avidità, interessi, cinismo, razzismo, le cui nefaste conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Purtroppo prendere coscienza della nostra
mediterraneità oggi significa constatare come
persino un'azione quale quella indispensabile
in favore dell'unità dell'Europa - alla quale,
lo ripeto, chi vi parla ha dedicato buona parte
degli anni dai 1955 in avanti - persino questo processo unitario europeo tende ad ignorare il valore unitario, culturale, sociale e politico del Mediterraneo, tende a prendere in
considerazione i soli interessi petroliferi e
commerciali che sempre più ingrassano il nostro continente, tende a considerare i1 Mediterraneo come «confine d'Europa e degli interessi europei», a valutarlo quale una spaccatura, non più riempibile, fra due continenti,
violentando, compromettendo, la plurimillenaria funzione unitaria del Mediterraneo, la
sua superba fertilità creativa a tutti i livelli,
derivante dal prezioso cosmopolitismo delle
sue componenti.
E badate che quando i «sacri confini» europei saranno definitivamente sanciti nel nostro mare sarà la fine definitiva del Mediterraneo, una fine già anticipata dal genocidio
dei nostri compatrioti Armeni e Curdi, degli
Sciiti, dallo sterminio «scientifico» di molti
degli stessi Iracheni - visti come popolo e
non come entità strumentalizzata da un dittatore amato da noi - i cadaveri dei quali, in
queste serate, vediamo alla televisione cospargere le piane desertiche della Mesopotamia antica.
Vedremo tra poco quale valore culturaleterritoriale queste regioni rivestono e devono
avere per noi, perché di esso consiste una parte troppo importante della nostra cultura,
delle nostre radici culturali che fanno sì che
si sia quello che siamo; perdute le quali, e le
stiamo perdendo, avremo tradito noi stessi e
non ci rimarrà che invocare le scuse - lavoro, preoccupazioni, età, famiglia, figli - per
giustificare la mancata preservazione della
comune patria mediterranea e della sua potenziale creatività, consolandoci forse per essere diventati quello che stiamo diventando:
grassi e tranquilli rottami europei, galleggianti in paludi senza vita.
COMUNI D'EUROPA
Si badi che io non voglio qui avanzare contestazioni sulla legittimità o meno dell'intervento militare che ci vede impegnati in questi
mesi in Iraq; sono rimasto stupefatto, ma anche assai soddisfatto, per l'assoluta libertà di
pensiero degli oratori che mi hanno preceduto, alcuni dei quali accaniti fautori d i questo
intervento, altri severissimi critici: il carattere libertario del Partito Federalista Transnazionale si è esplicato nel migliore dei modi.
Non è questo, lo sottolineo, lo ripeto, il
motivo del mio intervento: esso è rappresentato dal mondo mediterraneo, dalla sua unità
sociale, culturale, umana che, come nel caso
della già citata immensa deriva dei continenti
e per una contemporanea apertura di fosse ulteriori nella crosta terrestre, sta lentamente
sprofondando in esse, a favore di «stati» continentali che rischiano di essere federalisti solo di nome - impegnati come sono al solo incremento del proprio già cospicuo benessere,
anche a scapito del benessere altrui, Africa
insegni.
Il nostro mondo unitario
mediterraneo
Ma cos'è questo Mediterraneo, in favore
del quale mi appello a voi, amici, che avete
avuto la pazienza di ascoltarmi finora?
Non c'è ovviamente modo d i trattare esaurientemente l'argomento, ora, con le poche
parole che il tempo concessomi mi permette
di dirvi; parole, fra l'altro, che vogliono sfociare in proposte concrete.
Vorrei soltanto citarvi, a proposito della
mediterraneità di cui, senza esserne pienamente coscienti, siamo pervasi, il pensiero di
alcuni compatrioti mediterranei nordafricani,
maghrebini in particolare, come Khair Eddine, il quale descrive il territorio mediterraneo, tratteggiandolo come un luogo dove «la
geologia e la metafisica si mescolano in molteplici immagini»; immagini che, se ne sia o
non se ne sia coscienti, lasciano nel nostro
spirito «quasi il sigillo magico della serenità
imbiancata da soffi puri della Genesi»; e Jean
Amrouche, altro scrittore magrebino, autore
dei «Chantes berbères» sottolinea ancora di
più la medesima compenetrazione mediterranea, di cui siamo oggetti, paragonandola all'attrazione che ciascuno di noi ha per la propria madre, così che, per noi mediterranei, la
madre e la terra rappresentano il bene più
prezioso e l'uomo non potrebbe uscire dal
cerchio della loro tenerezza senza deperire;
laddove Dib, altro maghrebino, nel volume
«Qui se sourient de la mére» (Seuil, Parigi,
1972), precisa: «senza il nostro mare, senza le
nostre donne. saremmo rimasti definitivamente orfani», e finisce con una immagine tipicamente maghrebina «ci coprirono con il
sale della loro lingua».
Jacques Madeleine, francese, nel commentare tali autori («L9erranza e l'itinerario»)
precisa: «tale corrispondenza è profonda nello spirito dell'uomo e forse più specificatamente nello spirito mediterraneo».
Lo stesso Mediterraneo di cui l'algerino
André Nouschi (nativo di Costantina, I'antica capitale della Numidia, ai tempi di Siface),
professore all'università di Nizza, dirà nello
stesso già citato pubblico incontro di Cha«personalmente sono angosciato dal Mediterraneo. mi sembra sbriciolato, lo percepisco veramente come sbriciolato; ma non
tanto per le contrapposizioni, bensì per i1
fatto che i mediterranei non sono più padroni del loro destino. Sono altri a regnare su di
loro, a regolarne la vita ...»
Ma non riesco a chiudere questa breve parentesi di giudizi sul nostro Mediterraneo
senza richiamare ancora una volta le parole d i
Fernand Braudel (Le Méditerranée - Les
hommes et l'héritage):
«Qu'est-ce que la Méditerranée? Mille
choses à la fois. Non pass un paysage, mais
d'innombrables paysages. Non pas une
mere, mais una successione de mers. Non
pas une civilisation, mais des civilisations
entassées ies unes sur les autres ... La Méditerranée est un très vieux carrefour. Depuis des millénaires tout a conflué vers elle, brouillant, enrichissant son histoire:
hommes, betes de charge, voitures, marchandises, navires, idées, religions, arts de
vivre.
E t meme les plantes ... Dans son paysage physique comme dans son paysage humain, la Méditerranée carrefour, la Méditerranée héteroclite se présente dans nos
souvenirs comme una image cohérente,
comme un systéme où tout se mélange et
se recompose en un unité originale...P.
Le possibilità di azione concreta
Tornando ai oroblemi concreti che ci sovrastano, mentre la guerra sta devastando le
regioni medio orientali della nostra patria
mediterranea, qualora dovessimo riunirci anche in pochi, anche in meno di una diecina di
persone, per costituire d i fatto un primo
Gruppo di lavoro per il federalismo mediterraneo, quali potrebbero essere le nostre prime finalità, cosa potremmo combinare di
concreto, quale una nostra possibile iniziale
attività?
Per porre il problema, ancora una volta su
livelli molto concreti, vediamo anzitutto cosa
dovremmo fare in teoria. successivamente
esamineremo cosa potremmo fare, essendo,
come saremo all'inizio. in ridottissimo numero, con disponibilità vicine allo zero, oberati
da oroblemi di lavoro. di famiglia e altri dalla
mattina alla sera, con la complicazione ulteriore della distanza delle rispettive residenze.
Tuttavia, anche nell'esaminare quello che
«dovremmo» fare teoricamente. cerchiamo di
attenerci ad una sostanziale umiltà che rappresenta l'unica via che ci può consentire un
inizio altrettanto umile ma concreto.
1) Anzitutto occorrerà fare un inventario
di tutte le comunità umane - le etnie cioè,
sia che siano indipendenti, sia che non lo siano - caratterizzanti la nostra patria mediterranea, molte delle quali sono poco conosciute, se non sconosciute del tutto agli stessi abitanti del Mediterraneo.
2) Secondariamente occorrerà enucleare,
da questo tessuto di comunità, quelle maggiormente a rischio che non sono rappresentate, lo si ricordi, dai soli Curdi, per il loro attuale sollevamento nei confronti dei poteri
che li opprimono, ma anche, per citare solo
quelle che mi vengono in mente, e nel cui territorio ho recentemente lavorato: gli A m e n i
(il cui terrificante genocidio continua da più
di un secolo a intervalli regolari) - i Touareg
(nelle cui zone in rivolta mi sono recentemente trovato per lavoro e dove ho potuto apprendere fatti e particolari di gravità eccezioMAGGIO 1994
nale che conto di riferirvi in altra sede)
-
Mauro-Berberi del Polisario (Sahara centro-occidentale) - i Palestinesi (inutile parlarne, sono da anni su tutti i giornali ed oggetto
d i scandaloso sfruttamento per ogni sorta d i
potere) - i Tebu (peraltro abilissimi combattenti), «deserticoli» totali, e quindi difficilmente perseguibili nelle loro regioni desertiche e che, con la propria partecipazione, fanno pendere le sorti della guerra fra Gheddafi,
Tchad e francesi a favore d i coloro con i quali
alternativamente si alleano) - gli stessi
Maghvebini (prima sotto colonizzazione francese, ora suddivisi fra tre stati che il colonialismo ha «lasciato in eredità» ai nord-africani,
profondamente sofferenti per la propria perduta identità culturale, ancora mal sostituita
da una nuova doppia cultura che consente loro, sì, di esprimersi ad altissimo livello in arabo e francese - vedi il Premio Nobel Jalloun
- ma che non consente loro di intravedere
un passato recuperabile o un futuro proponibile, sempre che non possa essere, come può
essere, il Mediterraneo di cui si parla) - ed
altvi facenti parte degli stati nord-mediterranei e che sono più o meno troppo sotto gli occhi di tutti per doverne riparlare, oltre ad altri ancora di cui non sono a conoscenza o che
posso aver dimenticato.
3 ) Come sviluppo logico delle comunità a
rischio, occorrerà enucleare le minoranze più
o meno sacrificate o comunaue non ancora
totalmente soddisfatte nei paesi, cosiddetti
sviluppati, del Sud Europa Mediterraneo; per
esempio, in Italia, a parte i ben noti problemi
dei Sud-Tirolesi e dei Valdostani. che stanno
ben difendendosi, quelli delle residue comunità Occitane e soprattutto di quanto rimane
dei già citati insediamenti Walser, dei Romanzi (limitrofi ai Walser) e dei Ladini - la
differenza fra questi ultimi, se esiste, non è
chiara neppure a me - dei Cimbri e Teutoni,
degli Slavi, per quanto riguarda le Alpi, degli
Albanesi, Greci, Bulgari persino, di antico
insediamento. dei Croati d'Abruzzo. per
quanto riguarda l'Italia peninsulare, fino ai
più recenti ospiti di colore ed orientali (africani ed indiani soprattutto); e vorremmo qui
ricordare fuori dall'Italia, ma ad un passo dalle sue sponde, quell'«unico» individuale Antonio Udine Burbur (originariamente «Tuone
Udaina Burbur») dell'lsola di Veglia, del quale sempre Predrag Matvejevic si chiedeva, alla sua scomparsa a Fiume o Pola nel 1898: «se
si trattasse proprio dell'ultimo uomo sulla
s ~ o n d aorientale dell'adriatico a saDer parlare l'ormai estinta lingua romanza dalmata o
- 2
A
L
-
L
vegliata».
4) Invitare gradualmente a far pare del
Gruppo di lavoro per il federalismo mediterraneo tutti coloro - e non sono pochi - che
sentano il problema con particolare intensità
o, per usare ancora le parole di Predrag Matvejevic, che sentano il Mediterraneo come
una ((tentazione continua».
Invitare anche coloro che, pur non avendo
coscienza della propria mediterraneità, per le
loro particolari vocazioni si intuisce possano
essere «mediterraneizzati», che possano essere responsabilizzati cioè, nel senso di sentire
il dovere di salvare non tanto la cultura mediterranea - e sarebbe già molto - quanto la
creatività mediterranea, cioè quanto di meglio c'è in noi, quanto di meglio possiamo suscitare negli altri, quanto di meglio gli altri
possano suscitare in noi.
Perché siamo nati per creare e non è la liMAGGIO 1994
bertà - si badi - la più grande delle nostre
esigenze; essa potrebbe trasformarsi in grettezza, egoismo, conservatorismo. La libertà,
in una parola, per chi è ricco di restare ricco
e di aumentare le proprie ricchezze, per chi è
povero di restare povero e di vedere incrementare la propria povertà, la libertà per i
soldati di essere mandati in guerra ad uccidere ed essere uccisi e la libertà per noi di goderci lo spettacolo alla televisione, sprofondati nelle nostre poltrone. Mi ripeto, lo so,
ma non posso farne a meno: ho troppo orrore
di queste poltrone e d i me stesso che non ha
saputo non far parte di questa obesa porzione
dell'umanità che si è goduta lo spettacolo serale della guerra nel comodo d i esse, «tanto
stanco per il lavoro diurno». Perciò sono qui
a parlare, perciò vi parlo, perciò vi chiedo di
aiutarmi, disposto ad aiutarvi nello stesso
senso.
Non è la libertà che va cercata, ma la creatività: ho avuto l'onore di esporre questo concetto in Commissione Nazionale Unesco e la
soddisfazione di vederlo accettato e diffuso
in ambiente Unesco internazionale, dopo che
la sostituzione del concetto di reciproca tolleranza, da parte del sociologo Tullio Tentori,
con il concetto d i reciproca collaborazione fu
analogamente accettato all'unesco stessa,
questa volta in seduta plenaria a Parigi.
È la creatività che giustifica l'esigenza della libertà, senza la quale la creatività non esiste. è vero. ma è anche vero che. senza creatività, la libertà è un concetto i h e tende ad
esaurirsi in se stesso; si combatte per la libertà, ma, ottenutala, non si sa cosa farne: è un
po' il dramma esistenziale di questo secondo
dopoguerra, a meno che non si accetti il melanconico slogan: «la libertà serve a farci ingrassare più di quanto non potemmo fare sott o le dittature».
E la creatività è concetto fondamentale
mediterraneo, perché il Mediterraneo, più
che qualsiasi altra regione della terra, seppe
suscitare e stimolare la creatività, cioè quanto
d i meglio potenzialmente è in noi: perché siamo uomini in quanto siamo coscientemente
creativi e siamo potenzialmente creativi in
quanto siamo uomini; purché si accetti di
prendere coscienza della nostra creatività
senza sacrificare le sue esigenze ai nostri interessi materiali.
Voler essere mediterranei perlestare o per
diventare creativi; per dirla con Norman
Douglas («Siren Land» - 1911), un autore
«non» mediterraneo (sebbene morto - guarda caso - a Capri), quindi un osservatore potenzialmente più obiettivo di altri: «Many of
us would d o well t o Mediterraneanise ourselfs for a season ... to quicken those ethnic
roots from wich has sprung so much of what
is best in our natures».
(Molti di noi farebbero bene a mediterraneizzarsi per una stagione, per stimolare
quelle radici etniche dalle quali è sempre scaturito quanto di meglio è in noi).
Ma che ne è di questa collettività mediterranea, di questo prezioso strumento, di questa potenziale, grandiosa fonte di futura creatività, di questo catalizzatore e stimolatore
della creatività altrui?
Cosa permettiamo, «noi», che diventi, cosa
accettiamo, «noi», che se ne faccia?
Come ossia amo accettare che la si disintegri, come si sta facendo attualmente, eventualmente anche s~accandolasu una frontiera
Europa-Africa, come si sta per fare?
E in nome d i cosa? D i chi?
5) Cominciamo a scegliere, all'interno delle comunità mediterranee, interlocutori validi a cui proporre piani di studio e d i azione,
sulla linea di un crescente federalismo mediterraneo.
La cosa non dovrebbe essere difficile. concettualmente, fra le comunità mediterranee
sud-europee; difficoltà caso mai sorgerebbero
dal punto di vista logistico: come identificare, cioè, centri culturali e sociali disponibili
in tal senso, come avvicinarli, come comunicare, come cooperare in una pressoché totale
iniziale crisi finanziaria.
Assai più concettuale - e pertanto più grave - è il problema dell'avvicinamento, dei
futuri rapporti e dell'eventuale collaborazione con le comunità mediterranee islamiche.
Da questo punto di vista la cosiddetta
Guerra del golfo, che sta imperversando, è di
una gravità senza parole: una catastrofe senza
precedenti, anche se paragonata alle due precedenti guerre mondiali.
A torto o a ragione - qui, sì, occorre essere pragmatici - tutte, senza distinzione, le
comunità islamiche, comprese quelle in contrasto feroce fra di loro da lustri e decenni.
quando non da secoli, compresi gli atavici
contendenti Sciiti e Sunniti, tutti costoro
hanno sentito e sentono tale guerra come un
contrasto fra occidentali e islarnici e. ~ i eù
peggio, come contrasto fra popoli ricchi e popoli poveri, popoli che vogliono conservare
l'attuale «ordine» internazionale, nel quale i
paesi progrediti possono restare ricchi e dominatori, ed i paesi poveri hanno il diritto di
restare ~ o v e r ie farsi dominare economicamente quando non socialmente e quindi politicamente dai ricchi.
Si, lo so, qualcuno griderà che l'Iraq, con
i suoi immensi giacimenti di petrolio è un
Daese non ricco. ma ricchissimo.
Signori, guardiamoci in faccia e non pigliamoci in giro: quando si dispone di ricchezze
immense ma non delle tradizioni e capacità
amministrative. economiche e scientifiche
per sfruttarle, è come essere poveri, anzi è
peggio che essere poveri perché non si dispone dell'equilibrio, la pazienza, l'avvedutezza
dei poveri, soggetti come si è alla tentazione,
cui non si può essere in grado di resistere, di
svendere tutto per cercare di importare metodolonie scientifiche. armi e ~ e r s i n oculture
dai paesi ricchi; dissolvendo in questo modo
gran parte delle proprie radici culturali (vedi
Iran ai tempi dello Scià), salvo poi cercare d i
riconauistarle imponendole con rivoluzioni
sanguinose, stragi, dittature, allucinanti aberrazioni rappresentanti mali maggiori ancora
di quelli che si volevano evitare: Khomeini
insegni. Né può essere altrimenti, perché noi
abbiamo dato loro l'esempio, noi diamo ancora oggi loro l'esempio.
No, Signori, che ci piaccia o no, Iraq, Iran
e via dicendo. con tutto il loro petrolio., sono
paesi del terzo mondo, chiamateli «in via di
sviluppo» o «sottosviluppati»; e noi, con tutte
le nostre crisi interne. deficit di bilancio. inflazione, ecc., siamo dei paesi sviluppati.
E questa guerra, a torto o a ragione, è stata
vista da «tutti» questi popoli anche e soprattutto come una guerra fra dominatori, regolatori del mondo e dominati, che le regole economiche, sociali e culturali degli altri devono
accettare.
Caso mai possono rappresentare «eccezione» quel certo numero di paesi del terzo mond o (Egitto, Siria, ecc.), che stanno facendo
parte della coalizione, ma sono una piccola
cosa e con uno di essi, la Siria, che presto o
A
-
L
-~
COMUNI D'EUROPA
~
tardi ci «chiederà il conto», esigendo, a proprio favore, l'annullamento della indipendenza del Libano e aggiungendo quindi questa
comunità al numero di quelle sacrificate: e
non sperate che il conto non ci venga chiesto,
e presto.
E allora, fra l'altro, ci si pone il problema
se la legittima difesa di una comunità aggredita quale il Kuwait, poteva e doveva essere
fatta a spese della distruzione, peggio, dell'asservimento di una comunità come il Libano
(già nell'occhio del ciclone da un ventennio,
il massacro della principale famiglia di dirigenti cristiani-maroniti. di alto valore intelTettuale e livello morali, è di pochi mesi fa),
che fra l'altro ha radici culturali ben più profonde di quelle del Kuwait.
Che Dio non mi faccia profeta: ma se veramente il Libano sarà «venduto» da noi occidentali alla Siria, in compenso della sua «solidarietà» avremo ottenuto questo bel risultato: avremo «salvato» il Kuwait accettando la
distruzione del Libano, e l'avremo fatto nel
più miserabile dei modi, nel più sudicio dei
silenzi, e così sarà definitivamente sfatata anche l'ultima illusione del nostro intervento in
favore della «etica internazionale». Saranno
salvi, forse, i nostri interessi petroliferi e solo
quelli.
Non ci resta che sperare: «Dio salvi il Libano» - naturalmente se Dio non si è troppo
stufato di noi.
Macabro commercio di popoli che non può
non aver luogo quando la società internazionale è strutturata su centri di potere quali i
nostri stati - per quanto molti di essi organizzati, «al loro interno», su sistemi democratici - miranti, come tutti gli stati, cioè tutte
le mafie. alla conservazione ed all'accrescimento del proprio benessere, imperniati sul
controllo da parte di gruppi di potere politici
(comunismo) od economici (capitalismo): miranti, altresì, come tutte le mafie, all'eliminazione di qualunque ostacolo possa compromettere il proprio benessere e l'accrescimento di esso.
Ripeto ancora una volta che non voglio qui
criticare la Guerra del Golfo e l'azione promossa dai paesi, fra i quali l'Italia, per la liberazione del Kuwait; liberazione che mi auguro possa avvenire al più presto e che auguro
sinceramente a quel paese come a tutti i paesi: liberazione da ogni vincolo od oppressione
militare, politica, sociale, culturale od economica.
Si, certo, se accettassi le leggi degli attuali
stati di potere, e fossi stato al posto di Bush,
avrei fatto lo stesso di quanto ha fatto il Presidente americano.
Ma solo se accettassi la logica degli attuali
stati di potere, con il loro schiacciante potere
condizionante. culturale ed economico., caDace di asservire economicamente oggi ancor
~ i di
ù auanto non sia stato consentito di fare
in passato: così per il Nord-Africa, così per il
Medio Oriente.
Ma questa logica, di questi stati di potere
nazionale, non l'accetto; non l'accetto soprattutto per il Mediterraneo che, grazie ad essi,
è dilaniato e minacciato da una spaccatura
defi~itivaEuro~a-Africa,i ~ o t e s iauest'ultima che si verificherà quando apparirà sulla
scena l'Europa. Questa sempre più si sta rivelando, anziché una federazione aperta - com'era nel voto dei federalisti - uno stato
sommatorio di tutti gli egoismi degli stati che
ne fanno parte e di quelli che vorranno farne
parte, non per motivi di etica federalista, ma
semplicemente e ingordamente attratti dai
L
COMUNI D'EUROPA
vantaggi economici che sperano di ricavarne.
Propongo, conseguentemente, il «Mediterraneo dei poveri», delle comunità niediterranee più sacrificate, da privilegiarsi a seconda
del grado di oppressione, economica, sociale
o culturale, cui sono soggette, o di povertà
materiale: il che è la stessa cosa.
Quel «Mediterraneo dei poveri», dalle' terre arse e dai colori violenti già auspicato da
Fernand Braudel che lo definirà (sempre ne
«Le Méditerranée - Les hommes et l'heritaeeì:
- .
«La Mediterranée - mais Apre et capiteuse: La Méditerranée des pauvres».
La Méditerranée des pauvres
Per questo Mediterraneo. non Der altri. io
chiedo la collaborazione. P& esso' vale la ;ena di lavorare: per il suo riscatto, il suo progresso, la sua unità: per farne un modello valido anche fuori di esso, capace di fungere
quale elemento fondamentale di connessioile
fra comunità europee, centro-africane e medio-orientali; per tutto ciò credo che possa
valer la pena di dedicare quella piccola parte
di tempo che ciascuno di noi - di voi - se
vuole, può trovare.
Ma, andando sul concreto - e mi scuso
per queste continue divagazioni ma, come voi
capite, vanno fatte per chiarire sempre scopi
e finalità delle proposte che si vanno facendo
- a chi appellarsi dunque in campo islamico,
se gli intellettuali, i centri culturali più vitali
dei paesi islamici, dal Marocco all'Algeria al
Medio-Oriente, hanno preso posizione contro l'occidente e a favore di Saddam Hussein,
nonostante i suoi riconosciuti torti, solo perché campione, anche casuale dell'opposizione
alle dominanti culture occidentali?
A chi appellarsi, se questo concetto di «civiltà occidentale» che pure per noi occidentali, accanto a riconosciuti aspetti negativi, ha
indiscutibili aspetti positivi (soprattutto dal
punto di vista scientifico e dal riconoscimento dei diritti degli individui che ne fanno parte - ma solo di quelli!), viene considerata,
non del tutto a torto - anche quando non
più direttamente aggressiva o colonialista, cosa che, obiettivamente, non è più - economicamente fagocitante e con tendenza incontrollabile ad assoggettare le fragili strutture
civili dei Paesi in via di sviluppo, condizionandole in ogni
modo e somattutto distor"
tendone la naturale evoluzione in forme occidentali?
Inutile ricordare le imposizioni, apparentemente non coattive, di mercati e consumismi
occidentali nel tessuto sociale dei paesi africani e medio orientali, le urbanizzazioni selvagge, le industrializzazioni socialmente catastrofiche, conseguenti all'inevitabile imitazione dei modelli occidentali. adatte. forse a
favorire solo i mercati occidentali, con conseguenze che, nella migliore delle ipotesi, si
possono definire alienanti e culturalmente disastrose per quelle società.
A chi appellarsi se anche un Premio Nobel
come Ben Jelloun, una delle vere obiettive
voci dell'Africa mediterranea moderna e conoscitore dei suoi drammi materiali sociologici e psicologici, profondo conoscitore della
cultura occidentale, è costretto «suo malgrado» a dichiararsi solidale con Saddam Hussein, assieme a tutto il mondo islamico, africano ed orientale? Lo stesso Ben Jelloun, si
badi, che, ad un famoso personaggio, Moha,
Le Fou («il figlio della pietra e della terra ar-
gillosa») di un suo romanzo, «La priére de
l'absente», farà rivolgere, ai propri compatrioti, come difesa contro il contagio consumistico e la relativa alienazione occidentale,
l'appello, di carattere derviscio, a rifugiarsi
sulle cime delle montagne algerine e sahariane:
«La nostra epidermide si chiuda contro
ogni messaggio ed ogni richiamo (consumistico). Si corrughi ma non si renda disponibile. Fate come me. Spogliatevi, andate nudi al mare, andate nudi alla foresta
e al cielo. Non portate più i soldi con voi.
Lasciate tutto ciò nella strada a venite a
danzare sulle cime».
( = a ritrovare voi stessi, ad essere liberi,
ad essere felici).
Paradossi? Certamente.
Ma quando vengono da un Ben Jelloun, lasciatevi dire: «chi ha orecchi da intendere, intenda.. .».
La via dei Sufi
Eppure qualcosa da fare c'è.
La sapienza e la cultura islamica, in tanti
secoli di storia, come del resto quella cristiana, hanno saDuto trovare in se stesse nuclei di
tolleranza, di saggezza, di sapienza in senso
spirituale; e, come dirò ripetutamente più
avanti, attribuisco a questa voce «spirituale»
solo il significato di spiritualismo non dogmatico, di tolleranza, comprensione reciproca,
di solidarietà e collaborazione di carattere civile, sapendo che parlo ad una assemblea la
maggior parte dei cui componenti non intende, in questa sede, ancorare tali concetti a
motivi di carattere trascendentale o fideistico; nuclei, quelli citati, che, dalle stesse origini dell'Islam, si sono battuti perché le istanze
originarie di esso fossero salvaguardate contro le deformazioni e strumentalizzazioni del
potere, di ogni genere di potere, da quello politico a quello stesso religioso-fanatico, a
quello economico, affinché il messaggio della
tolleranza, della convivenza, dell'amore universale si conservasse e si estendesse come
espansione geografica articolandosi e ulteriormente approfondendosi dal punto di vista
s~irituale.
Sono gruppi che, in genere, vengono chiamati nell'Islam con l'appellativo di «Sufi»,
voce ipotecata dagli antichi palandrani di lana erezza che ne caratterizzava i com~onenti:
ricordiamoci i cilici di lana nodosa, portati, in
segno di umiltà dai nostri primi francescani,
dai penitenti del primo medioevo; quello
stesso cilicio che, trovato dal nobile gaudente
Jacopo Ottone de Benedetti da Todi sul corpo della propria giovane moglie morente, ne
scatenò la vocazione spirituale e ne fece il celebre «Jacopone da Todi», il cantore di laudi,
il diffusore di uno dei più possenti messaggi
dell'amore universale: «Amore, amore, tutto
il mondo grida - amore, amore, tutto il
mondo clama».
Sono, questi Sufi, individui e gruppi che,
diffusisi proprio nelle stesse aree mesopotamiche ed irachene dove, in queste ore, imperversa la Guerra del Golfo, avevano così profondamente recepito il messaggio del Dio della Misericordia. dell'Amore. dell'unicità divina, da erigersene subito a difesa contro le
false inter~retazionie la strumentalizzazione
di esso che ne facevano esponenti di califfati
successivi e di potentati di ogni estrazione,
per avidità di potere.
L.
MAGGIO 1994
Conseguentemente.
lavorando nella stessa
"
area, i Sufi si incontrano, nel senso materiale
e spirituale del termine, con gli Anacoreti cristiani che dal Nord dilagavano verso il Sud,
così come i primi Sufi dal Sud iniziavano la
loro «lunga secolare marcia» verso il Nord.
Si sviluppa pertanto quella fertile «unione
di base» che introdurrà i Sufi nella stupenda
realtà del primo spiritualismo eremitico cristiano, i cui fautori elaboravano i testi evangelici nel quieto delle proprie grotte, preparandosi a diffonderli Der tutto il bacino del
Mediterraneo e oltre: le grotte e i piccoli monasteri basiliani (tante volte incontrati, da
chi vi parla, nelle sue campagne di lavoro in
Basilicata) insegnano.
Nasce così, sull'esempio cristiano, il validissimo monachesimo islamico che, tuttavia,
a differenza di quello cristiano, si doveva ritrasmettere autonomo, non soggetto cioè ad
autorità centrali religiose, fino ai nostri giorni, da cui la sua importanza di fine delle proposte che vorrei presentarvi.
E che il monachesimo islamico sia stato, almeno inizialmente, ipotecato da quello cristiano, lo comprova anzitutto il fatto che la
vita monacale ascetica non solo non era rev vista dal Corano, ma persino negata dal Profeta
(«non ci sono asceti nell'Islam»), il cui modello di vita, sempre tenuto presente dagli islamici, quale che siano i livelli di ispirazione
che l'hanno di fatto caratterizzato, certo non
presentava aspetti ascetici o monacali. In
questo quadro può essere considerato i1 caso
di quello che viene nell'Islam comunemente
ritenuto il primo monaco (") e santo, islamico: il ricco mercante Abu Darda, creato, dal
secondo califfo Omari, giudice supremo niente di meno che a Damasco. Questi, abbandonati improvvisamente tutti i suoi beni, cariche e famiglia, si murò vivo in una stanza della sua casa, salvo un pertugio attraverso il
quale si faceva passare, al modo degli eremiti
cristiani, croste di pane ed acqua; ed agli amici e conoscenti che. letteralmente esterefatti.
introducevano la testa nel pertugio per chiedergli cosa diavolo gli fosse preso, lui, giudice
e mercante così abile, famoso e ricco, rispondeva fra la recitazione di una Sura e l'altra
del Corano: «Quando divenni mussulmano
volli far marciare parallelamente il servizio di
Dio e del commercio, ma essi divergevano: allora abbandonai il commercio...», e non si
trattava, si badi, di commercio di armi moderne.. .
Le cronache di auesti incontri tra monaci
ed eremiti islamici e cristiani sono diffuse nei
testi storici e nelle cronache del tempo, ovviamente se si vanno a cercare e nonostante
che i locali dispotismi autoritari delle due religioni, per la conservazione ed estensione dei
rispettivi poteri, non ne facciano cenno.
Essi rappresentano uno dei fenomeni più
grandiosi e paradossalmente attuali nella storia del bacino di quella che consideriamo la
nostra patria mediterranea.
Gruppi comunitari di poveri cristiani e
islamici, senza istruzione scolastica, senza sostegno di potere - neppure quello religioso
che, come si è visto, per i mussulmani non era
previsto dal Corano che non riconosceva gli
asceti - poveri «in spirito» nei senso più cri-
(*) Usiamo il termine «monaco» - al quale dovrebbe forse più
propriamente sostituirsi il termine aspiritualisra». data la storicamente comprovata assenza di un «monachesimo» ufficiale islamico - per indicare i primi «severi» spiritualisti islamici formatisti
su esempio del monachesimo cristiano e per consentire una analisi comparativa dei due fenomeni.
MAGGIO 1994
stiano del termine. forti solo ris~ettivamente
del Vangelo e dei Corano, ric'onoscendone
l'analogia per quanto riguarda le tematiche di
fondo (Dio Unus, Dio Clemente e Misericordioso, Dio dell'Amore), si spogliavano di tutto e armati della loro fede o si ritiravano dal
mondo in ascesi, o andavano di villaggio in
villaggio a predicare il concetto di Amore
Universale.
Nasceva in questi anni, da radici spontanee, in quelle assolate, povere lande mesopotamiche (il «Mediterraneo dei poveri» di
Braudel!), la filosofia della tolleranza, della
non violenza, della solidarietà, dell'amore:
quella stessa filosofia che Ain E1 Ghazali,
uno dei più grandi spiritualisti di tutti i tempi, poco meno di mezzo millennio dopo, riusciva non solo a far «tollerare» nelle strutture
religiose islamiche, ma aderendovi personalmente, a tramandare nella sua preziosa autonomia; a differenza, in ciò, da Innocenzo IJI
che, pur col merito di essere riuscito a far accettare dal potere gerarchico della Chiesa il
messaggio ed il sodalizio francescano, apriva
la strada - e forse ciò era inevitabile come
conseguenza della struttura gerarchica della
Chiesa - ad una sua «istituzionalizzazione»
che doveva spegnerne l'autonomia e limitarne il magnifico messaggio iniziale: ciò che
certo non corrispondeva ai desideri di Francesco.
Ma torniamo a quei tempi anteriori al mille, su quelle piane mesopotamiche, laddove
due grandi fiumi, il Tigri e I'Eufrate, si avvicinano per sfociare poi nel Golfo Persico; e
nei deserti limitrofi, in quelle distese sabbiose lievemente ondulate sotto quello csheltering sky», quel cielo stellato protettore, per
dirla con Paul Bawels, nel così mal tradotto
titolo (<(I1thè nel deserto») del suo recente lavoro; quegli stessi cieli che sono fatti ruotare
- secondo il Sufi Rhumi (dal poema «Matnavi», sec. XIII) - dalle «Onde dell'amore»,
senza le quali i cieli stellati e nuvolosi non
avrebbero l'anima che hanno; Dante, nello
stesso periodo, rispondeva «l'amar che muove il sole e l'altre stelle».
Ed è in quegli spazi sahariani senza confini
che si sviluppa il messaggio cristiano e coranico, in quella parte così importante del nostro
mondo mediterraneo. che ne costituisce eran
parte delle coste meridionali, placandosi solo
con le sue dune. si ~ o t r e b b edire. in corrispondenza delle schiume del mare, a quella
entità senza limiti, nella quale il già citato
Rhumi intravede un simbolo dell'Amore universale: «l'amore è come un mare infinito in
cui i cieli non sono che un fiocco di schiuma»,
dandoci cosi una nuova chiave da interpretare. valutare il nostro mare. le risacche festose
dille sue rive, i nostri cieli'primaverili ed estivi che lo sovrastano, i lembi di nuvole che li
vanno solcando, tutte le cose fin d'ora apprezzate come componenti delle nostre vacaqze.
E in questa regione sahariana e perisahariana che sta nascendo la filosofia della pace,
della solidarietà e tolleranza, della non violenza. dell'amore fra uomo e uomo. elaborata
meditando e rimeditando il messaggio cristiano e coranico, dell'amore fra uomo e cose, base di quella che sarà poi la filosofia ismailita
della natura. riaffermata dal teosofo Mohammed Sorkh di Nishamur, su concetti già esposti da Nasir-E-Khojraw, ancor oggi un cardine del pensiero filosofico iraniano e patrimonio acquisito di molti scienziati e anche semplici naturalisti: la Natura cioè, entità all'origine soltanto materia, sulla quale si proietta
L
.
<
.
la contemplazione dell'Anima trasformandola appunto in Natura, autonoma entità autonomamente dialogante con noi.
Ed ecco un certo
Hasan Al Basri rivagare per quelle spiagge e quelle dune, un uomo
simboleggiante l'importanza di quello straordinario angolo del mondo mediterraneo che è
la sua regione medio orientale, figlio di un
prigioniero di guerra persiano, liberto dei
vincitori, islamico di Medina, eccolo apostolo
dell'Amore universale. eccolo somattutto
predicare il rispetto e l'amicizia per ogni uomo, ogni singolo uomo. Sua è la celebre frase:
«non ti comprare l'affetto di mille uomini a
prezzo dell'inimicizia di uno solo di essi»; così come predicava l'esaltazione dell'umiltà:
«una delle condizioni dell'umiltà è che tu esca
di casa e tutti auelli che incontri li consideri
migliori di te»; ma soprattutto, angosciato
dalla violenza che si stava scatendando pur
nel mondo islamico del Dio della Misericordia.
Al Basir viveva infatti il tragico periodo
che vede le origini dei contrasti fra quelle che
dovevano diventare le sette islamiche sciite e
le sunnite, tra l'assassinio del califfo Othman
Omayyade, traduttore del Corano, ed il successivo califfo Alì, cugino del Profeta.
E lo viveva constatando il rapido fenomeno - purtroppo sempre ripetentesi nella storia - dei poteri che cercano di asservire alle
proprie finalità le grandi tematiche della solidarietà umana ed i loro esponenti, e le viveva
vedendo i veri seguaci del Dio della Misericordia assassinati. ed il Corano conteso Der
giustificare il potere di questo o di quello; ed
ecco un'altra delle sue celebri, amare dichiarazioni: «l'Islam sta nei libri, i veri mussulmani stanno sotto terra».
Ed eccolo quindi vagare per le lande mesopotamiche, quelle stesse su cui infuria la guerra odierna, invocando la .
Dace. la non violenza, procla&ando la veridicità del messaggio
del Dio della Clemenza e della Misericordia.
fautore anche di quel distacco del mondo, se
per mondo si intende quello dei poteri, della
proprietà, del denaro, ma che nel mondo proclama che occorre agire per riportarlo a quegli
ideali di convivenza, di pace e di reciproca solidarietà che derivava del messaggio evangelico e coranico: «Fuori dal mondo» proclama
dunque Al Hasan Al Basri, «ma lottare per la
Dace del mondo ed il suo benessere».
E nasce con lui la prima delle confraternite
islamiche, alcune delle quali sussistono ancora oggi, ed alle quali penso si possa oggi appellarsi per ricucire quell'unità mediterranea
che la Guerra del Golfo sembra avere per
sempre travolto.
Ed in suo onore. in onore di Al Basri olitico, giurista, teologo, predicatore, e della
confraternita da lui fondata, nasce, dal nome
di Al Basri il villaggio, poi città, di Bassora,
la stessa che oggi vediamo giornalmente bombardata con i sistemi più sofisticati, percorsa
da bombe «intelligenti», cosparsa di cadaveri
di ogni tipo, dopo essere stata - non lo si
scordi - semidevastata durante la recentissima guerra Iran-Iraq, il cui fronte principale
correva proprio in sua corrispondenza.
Bassora
E da Bassora doveva provenire, nei decenni e nei secoli a venire, uno dei più importanti messaggi di pace, di spiritualismo e di amore universale che una comunità umana possa
aver ritrasmesso ai suoi simili: ciò che è più
COMUNI D'EUROPA
importante, doveva esserci trasmessa da una
successione di uomini, in gran parte senza
istruzione. senza beni di fortuna o che ad essi
avevano volontariamente rinunciato, occasionalmente anche da giuristi, letterati, artisti
che avevano rinunciato alla propria carriera
per farsi tutti, invariabilmente testimoni o
predicatori itineranti, apostoli della pace,
della non violenza, del Dio «Clemente e Misericordioso».
E d è di Bassora, come abbiamo visto, un
altro di questi predicatori islamici seminatori
di pace, il primo, secondo le cronache - e
siamo ancora all'epoca dei primi cinque califfi, pochi anni dopo la morte del Profeta - il
primo monaco a rinunciare ai Diaceri della vi;a ed alla famiglia per dedicaisi alla predicazione dell'amore di Dio e del Prossimo; quand o la sua religione, e Maometto soprattutto,
non solo non avevano mai né comandato. né
raccomandato rinunce a piaceri legittimi o
astinenze sessuali. ma avevano raccomandato
casomai il contrario, secondo lo stesso esempio del Profeta. E d è forse a questo monaco
di Bassora che dobbiamo la prima scintilla di
auell'anarchismo che avrebbe successivamente permeato sempre più profondamente le
confraternite Sufi, quando, invitato dal quinto Califfo Muavyya che lo voleva al suo servizio, offrendogli donne e doti per mantenerle,
rifiutava per l'orrore di asservirsi ad un potere:
«In quanto alla dote - rispondeva al califf o Muavyya - preferisco quella che Dio
mi fornisce, sia pure un dattero o un boccone di pane».
E d è di Bassora Habib Al Agiami che passa
le notti nello studio, nella meditazione e nella
preghiera, assopendosi verso l'alba e che, al
primo apparire del sole, veniva incitato dalla
moglie Amrah perché ripigliasse bravamente
il suo posto fra gli uomini:
«Alzati uomo! finì la notte, venuto è il
giorno, sono scomparse le stelle degli Angeli superni, avanzano le carovane dei devoti, se tu resti indietro non le raggiungerai!».
E questa immagine degli uomini che avanzano in carovana mi pare veramente suggestiva; chi vi parla ha potuto vivere a lungo, durante la sua attività ~rofessionale.in tali ambienti, assistere ai primi albori nel deserto e
incontrare ripetutamente le odierne carovane
dei pellegrini.
Tornando a quei giorni, al disprezzo del
mondo si andava ormai felicemente sostituendo la devozione per gli uomini, la solidarietà per essi, da esercitarsi, anche asceticamente, ma fra essi, ed è questo forse uno dei
~ i grandi
ù
tra i meriti dei Sufi e del Sufismo.
Perché quei «devoti» in carovana non sono
necessariamente soltanto degli uomini di fede
ma, tramite i sacri testi - Corano, Vangelo
- nei quali credevano e, secondo gli ammaestramenti di questi, devoti anche agli uomini
fra i auali vivevano.
E d 'ecco ancora apparire dalle fuliggini del
passato, fra le grandi figure che onorarono
Bassora, la «nostra Bassora», mia e di voi tutti a cui parlo, alla cui distruzione feroce stiamo oggi placidamente assistendo, ecco apparire un altro apostolo della non violenza, Sufvan At Tauri, monaco,. medicatore della
mansuetudine, povero in canna, fattosi tale
rinunciando alla propria posizione di massimo esperto di diritto del suo tempo, capace,
lui sciita, di rivoltarsi contro il massacro dei
A
-
A
COMUNI D'EUROPA
nemici degli Sciiti, che avevano luogo sulla
scia delle faide tra islamici fin d'allora iniziate, stragi che pure la sua gente approvava
esultando; rinunciatario ad ogni posizione di
potere per non consentire di essere, tramite
esso, ricattato, celebre per la fiera difesa della
propria indipendenza spirituale (la storia ci
tramanda il testo d i una sua risposta al califfo
al Mansur gli offriva denaro, potere, onori:
«Non poterla egli accettare per non perdere
la sua autonomia più preziosa di ogni ricchezza»), capace di abbandondarsi ogni tanto anche ai piaceri della vita, ma ben deciso, sempre, a non sacrificare ad essi il suo dovere
principale di aiutare il prossimo, a favore del
quale era capace anche di guadagnare denaro,
«ma solo a favore d i esso». Ed ecco10 sotto la
persecuzione dei potenti, i quali, come è noto, non si accontentano di combattere i propri nemici, ma esigono sottomissione totale
anche da chi loro nemico non è.
Per le stesse strade della «nostra Bassora*,
patria della contestazione storica della violenza, sopra la quale oggi transitano in volo aerei
di ogni parte del mondo, tutto distruggendo
con il loro successivo corredo di carri armati
e marce trionfanti di «vincitori», transitava
nel 778 il suo corteo funebre seguito da tutti
quei rinnovati spiriti dell'Islam che avevano
ormai capito, anche sull'esempio degli Anacoreti cristiani. che occorreva non essere del
mondo per poter aiutare veramente coloro
che sono nel mondo, ed ancora, dietro a lui
tutti coloro che da lui erano stati aiutati.
E d ecco apparirci, fra i vicoli della città di
quel tempo, Dawud Nussair At Ta'I, povero
per amore della povertà e per amore del prossimo, con il solo corredo del suo «cuscino» costituito da un mattone di argilla cotta al sole
(tanti ne abbiamo incontrati di tali «cuscini»
ricavati da argilla di cave situate negli stessi
villaggi durante le nostre peregrinazioni
scientifiche nel Sahara) ed ecco la sua ultima
raccomandazione che. da uomo di scienze
quale era, ritrasmette a quanti, fra gli uomini,
sono ricercatori e studiosi:
«La scienza si persegue innanzitutto per
operare; se lo studioso passa tutta la vita
ad accumulare nozioni, quando mai le
metterà in opera?»
ed il messaggio a tutti rivolto:
((Guardatevi bene dal tenere in casa qualcosa più del viatico di un viaggiatore che
va in paesi lontani».
Ricordate, amici, ancora una volta quel solito Francesco D'Assisi che d i lì a poco avrebbe diffuso, con l'esempio personale, lo stesso
messaggio per analoghi villaggi dell'Italia
centrale?
Ed ecco. tra i fantasmi della Bassora di allora, fantasmi fortunatamente esistiti, ecco
seduto sulla sua porta di casa, sfiorato dal
passo lieve e cadenzato dei cammelli, ecco
Malik Ibn Dinar, al lavoro per guadagnarsi
da vivere come noi, come voi, intrecciando
fibre di palma, copiando libri sacri fra gli oggetti del suo abitudinario «corredo»: un Corano, una brocca per l'acqua e una stuoia,
~robabilmenteanche il solito barattolo con le
croste di pane che in questo caso lo storico
non ha citato ma che caratterizza tutti i Sufi
ed i campioni della pace e dello spiritualismo
di allora; croste d i pane non per esibire povertà, ma perché era quello che restava del
pane dei giorni precedenti parsimoniosamente risparmiato; mentre la cronaca del tempo
riferisce sul condimento usato dallo stesso
Malik, due soldi di sale che, peraltro dovranno servire per tutto l'anno. Ed è ancora la
storia che ci riporta le proteste della moglie
- si sa. le mogli sono mogli ed hanno le loro
esigenze - non esattamente entusiasta dello
«stile» di vita del marito e la rimosta di auest'ultimo a lei, come tramandano le cronache:
«Se vai d'accordo come me quanto alla parsimonia, bene, altrimenti ciascuno per la sua
strada.. .D.
E d ecco che incontriamo Al Waid - siamo ancora negli anni prima del Mille - fondatore di un'altra fra le prime congregazioni
dell'Islam, nelle vicinanze di Abadan, pro~ r i o1'Abadan dei pozzi petroliferi odierni.. .
Ed ecco Utba ~ h u l a m ~ altro
u n fra i grandi
pensatori spiritualisti di Bassora, caduto nel
784 nella guerra cui, tanto per cambiare, fu
costretto a partecipare, contro i Bizantini,
ma che, pur combattendo contro i cristiani,
tanto aveva assorbito da essi, da portare il cilicio, ad esempio, e da vivere in solitudine
sulle rive del mare di Bassora. Si, amici, proprio quello stesso mare, il famigerato «Golfo»
che riempie gli schermi dei nostri televisori e
.
delle armi che gli abche un d e s ~ o t a armato
biamo venduto, facendocele profumatamente
pagare, sta distruggendo, inquinandolo con il
famigerato olio nero, fonte principale delle
nostre ricchezze di occidentali: mare che. ai
suoi tempi, Utba Ghulam abbandonava solo
il venerdì Der recarsi a Bassora alla funzione
religiosa ed a salutare gli amici, giorno in cui
- ci assicura Sha'Rani, forse il più grande
storico islamico del XVI secolo e sufista egli
stesso - lasciava il cilicio per vestire gli unici
indumenti di cui disponeva: «due teli grigi:
uno era il vestito, l'altro il mantello...».
Non vedremo forse più la luna rispecchiarsi nelle acque del Golfo, mare chiuso in gran
parte, che si ha buona probabilità di ritenere
irrecuperabile ecologicamente, ma bisogna
avere il coraggio di immaginarla, questa luna,
con la fantasia, mentre diffonde il proprio
chiarore sulle terrazze, le logge, le case della
Bassora di allora, la Bassora dei Sufi poveri e
fieri della loro indigenza, nei silenzi notturni
ai quali il Sahara sembra attribuire una voce
Darticolare.
Bisogna avere la capacità di ricrearci con la
fantasia questi ambienti, questi vicoli, per
poter «rivedere» aggirarsi fra di essi un'altra
fra le tante figure che non posso non ricordare - e la scelta è così vasta - quella di Rabi'a, la Santa dell'Islam, elegante, minuta,
graziosa, devota, perdutamente devota, al
Dio della Clemenza e della Misericordia. Anche essa rompe il silenzio notturno dei vicoli
di Bassora al suono del suo flauto, perché dopo essere stata schiava, era stata suonatrice di
flauto, forse (?) all'inizio una delle pubbliche
donne di allora. che del flauto si servivano
per attirare su di sé l'attenzione del pubblico
(il
Densiero corre subito alla Maddalena di
,
cristiana memoria), poi travolta dall'amore
per l'illimitato universo ed il suo illimitato
Creatore.
Anch'essa successivamerite eremita nel deserto sahariano, ma è il suo pensiero, ancor
più che la memoria di Lei, che illumina I'oscurità della nostra Bassora, più di quanto
non facciano oggi i missili e i razzi illuminati
che forniscono luce per meglio distruggere.
C i dirà Rabi'a:
-
-
L
A
-
,
L
~
~
«Dio mio, se ti amassi per paura dell'inferno, mandami all'inferno, se ti amassi per
desiderio del paradiso, negami il paradiso».
MAGGIO 1994
e anticipando il successivo sviluppo del
pensiero dei Sufi, confesserà di dover superare persino la devozione al Profeta per poter
meglio confondersi nell'amore per il dio Universale:
«Maometto è una creatura e l'amore per
lui (Maometto) è da considerarsi come una
distrazione dell'amore per Lui (Dio Universale)».
fino a riconoscere di dover trascendere l'amore per gli uomini in favore dell'amore per
Dio:
«L'Amore del Creatore mi ha distolto dall'amore per le Creature»
senza accorgersi di aver così affermato due
verità di straordinaria importanza, l'universalità del Creato e delllUno Creatore, senza
regole o «frontiere» religiose, e l'importanza
dell'umanità tutta e quindi dei suoi componenti, gli Uomini, unità inscindibile dal Creato e Creatore.
E per riportarne la figura alla sua straordinaria umiltà e femminilità - la Rabi'a dei
datteri - non posso non ricordare la risposta
data a Sufyan che cercava di soddisfarne i desideri più umani:
«Sufyan come mai tu, che sei un uomo sapiente, ti esprimi in questo modo? Dio esaltato Egli sia - sa che da dodici anni
desidero dei datteri maturi, che non sono
certo rari a Basra ( = Bassora). Tuttavia
sono restata senza mangiarli fino ad oggi.
Non sono che serva (serva di Dio) e non
mi è dato seguire le passioni del cuore...».
Le sapeva affermare le sue verità, la piccola Rabi'a, al suono del flauto, sotto la luna discreta di Bassora.
Ed era quella stessa silenziosa luna di Bassora ad illuminare sugli schermi televisivi di
qualche giorno fa, il grande panno bianco disteso sul cadavere di un soldato iracheno caduto - «aggressore», presumibilmente, per
non offendere la nostra sensibilità di occidentali in poltrona - e da questo panno usciva
la forma di un piede umano già gonfio, cosparso di mosche. E guardando le pieghe di
quel grande panno bianco illuminato dalla luna, mi ricordavo i versi del già citato scrittore
magrebino, premio Nobel Ben Jelloun («La
priére de l'absente»):
«Trovate il segreto del mio amico nelle
pieghe di ciò che rimane»:
così come ricordavo le parole di quella che
era più di una preghiera di S. Gregorio Palmas, pronunciata all'incirca mille anni fa, riportata nel quinto volume del testo greco della Filocalia, la celebre cronistoria di gran parte degli anacoreti, fratelli mediterranei dei
mediterranei islamici e collaboranti con essi,
scritta in greco, tradotta successivamente in
paleoslavo, e che penso si adatti in modo particolare a questo nostro compatriota caduto:
«fratello, chiunque tu sia...))
Anacoreti cristiani e primo amonachesimo» islamico
E d è proprio nella piana di Bassora, sui
bordi del mare del Golfo, e nelle dune e lande
pietrose che si estendono fra Bassora e Kufra,
sì, proprio dove stanno marciando le forze
reali britanniche e la folgorante cforce d e
frappe» francese e dove è caduto il nostro aeMAGGIO 1994
e
reo - non faccio dell'ironia. non voglio
"
non posso farla sulla tragedia, ma non posso
non guardare alla realtà, i fatti parlano da sé
- è proprio in queste aride aree, fra i principali centri filosofici e spirituali della più vasta
regione mediterranea orientale e medio
orientale, dove si era diffuso successivamente
il messaggio cristiano e quello islamico in favore del Dio Uno e Misericordioso; è proprio
qui che dovevano incontrarsi i latori dell'un
messaggio e dell'altro, i «poveri» delle rispettive regioni, quelli che poveri avevano voluto
restare in omaggio ai testi dei rispettivi libri
sacri, per non dover scendere a compromessi
con i poteri che erano proliferati sfruttando
e manipolando a proprio vantaggio il messaggio dei rispettivi Profeti, per non essere ricattati da questi stessi poteri, per poter mantenere la libera dedizione del proprio spirito allo Spirito Creatore dell'Universo Creato, per
poter donare il proprio, tutto il proprio, agli
indigenti dei rispettivi paesi.
Soprattutto qui si incontravano per confrontare i testi delle rispettive Sacre Scritture, per farsi coraggio, per aiutarsi a vicenda.
All'inizio sono gli Anacoreti cristiani, maestri di ormai consumato secolare spiritualismo eremitico a sbigottire ed a fare da modello agli ammirati «aspiranti» eremiti delle prime generazioni islamiche: successivamente
saranno gli spiritualisti islamici a «guidare» la
corsa. riuscendo a disinserirsi gradualmente
sempre più dai poteri costituiti, rispetto ai
cristiani, altrettanto gradualmente sempre
più «risucchiati» negli ormai rigidi schemi
della piramide gerarchica delle proprie strutture religiose.
E d era una lotta comune - all'inizio, e fu
un inizio che durò più secoli - per difendere
i valori di fondo dei messaggi spirituali delle
proprie religioni, il loro vero significato.
In quei caldi deserti, il messaggio cristiano,
l ' e s e m ~ i ocristiano arriva a folate dal Nord.
dalla Siria e dai paesi limitrofi, così come verso il Nord. ad altrettante grandi folate. arriverà subito dopo, col vento caldo del Sud, il
messaggio degli spiritualisti islamici.
Forse mai si saprà l'eccezionale importanza
di questo incontro-confronto, di questa reciproca constatazione, dell'analogia dei due rispettivi messaggi: il messaggio del Dio della
Clemenza e della Misericordia ed il messaggio del Dio dell'Amore, anche se estrinsecati
in chiave apparentemente diversa e adattata
alla particolare sensibilità del mondo sociale
e culturale in cui essi venivano diffusi: auello
acuto, ipercritico, filosofico e problematico
del mondo ebraico, e quello concreto, sbrigativo, primitivo, ma anche profondamente
poetico del mondo arabo e medio orientale di
allora. Le testimonianze di questi stupendi
incontri sono innumerevoli. sottolineate dalla
particolare suggestione degli ambienti medio
orientali in cui avevano luogo.
Dalle grotte e dai deserti di Siria, partivano verso i limitrofi deserti arabi mesopotamici e iraniani i messaggi della prima, volontaria
grande rinuncia al mondo ed alle sue «forme»
violerite: potere, proprietà, ricchezza.
«Nel niente possedere c'è la certezza di
avere tutto», proclamava I'anacoreta cristiano San Simeone al tramonto del secolo e rincarava il concetto risolvendolo in senso sociale:
-
'
,
'
,
«Chi reputa il suo prossimo uguale a se
stesso, non tollera di avere qualcosa più di
lui».
E sulla stessa linea si era espresso, ben pri-
ma di lui (morì nel 662) I'anacoreta San Massimo il confessore, uno dei principali spiritualisti della Chiesa greca, da lui erede del mond o romano enfatizzata verso l'azione:
«Chi unisce l'azione alla conoscenza innalza un trono a Dio (la conoscenza) e serve
da piedistallo (l'azione) ai suoi piedi».
Parole il cui significato profondo ed il cui
valore di incitamento dovrebbero sfuggire a
pochi.
Di lì a poco, affascinato da quell'esempio
di devozione cristiana (si ricorda ancora che
Maometto non aveva mai incitato alla povertà né all'astinenza), si era espresso in quel
senso anche l'islamico Abul Hasan An Nuri
formulando una delle più celebri definizioni
dei Sufi e del Sufismo che potrebbe essere assunta come sintesi di quel movimento:
«I1 Sufi non possiede nulla e nulla lo possiede».
Per comprendere l'importanza che il monachesimo cristiano doveva avere su quello
islamico delle origini, basta leggere la descrizione che uno dei più grandi sufi della storia
dell'Iran, il principe Ibrahim Adham (deceduto nel 777).
. , fa del suo incontro in Siria e
nel deserto con l'anacoreta cristiano Simeone. della ~ o v e r t àdi auest'ultimo. delle sue visioni d i pace, del suo fascino spirituale: «In
quel momento la gnosi discese nel mio cuore», afferma Ibrahim Adham e sul suo esemDio nasce. nel mondo dell'Islam., i s ~ i r a t adirettamente dal Cristianesimo, una delle più
grandi scuole del Sufismo iraniano, quella di
Balkh nel Khorasan.
E senza rifarsi addirittura a Maometto
che, secondo leggenda, e forse non soltanto
leggenda, pare abbia tollerato, nel pietroso
atrio della Moschea di Medina, la Dresenza d i
45 Sufi di costume ascetico - dopo aver più
volte sconfessato l'ascetismo - proprio per
l'ammirazione e la stima provata per il monachesimo ascetico cristiano in Siria, si potrebbe comunque citare il Sufi Malek - guarda
caso, un altro apostolo della non violenza vissuto nella «nostra Bassora» - che attribuisce
il suo inserimento nel mondo dei Sufi e Dervisci all'incontro con un monaco cristiano ed
al suo consiglio:
L
A
«Costituisci, se ce la fai, un muro di ferro
che ti separi dalle tue brame».
Gerard Schweizer. uno scienziato dell'Università di Tubinga, specialista in scienza
della civiltà, affermerà che: «Non c'è leggenda penitenziale islamica che non riferisca dell'incontro tra un mussulmano ed un cristiano».
Ma non si può non ricordare come le stesse
leggende circolanti fra Sufi e Dervisci sui primi «quattro califfi illuminati» (Abu Beker,
Omar. Asman - traduttore del Corano ed Alì) fossero strettramente intrecciate a
leggende su Gesù, e come fra gli stessi racconti sul califfo Alì, si leggano frasi come:
«Sono Dochi coloro che rinunciano a auesto mondo e guardano a quello futuro. Lo
fa chi usa la terra come stuoia per dormire, la polvere per letto, l'acqua come profumo, il Corano e la preghiera per vestito
e per mantello. Essi impongono al mondo,
con l'esempio, di seguire la via d i
Gesù...».
E del resto la devozione per Maria, madre
di Gesù, fu sempre intensissima presso gli
islamici. Addirittura, nei primi secoli, più
COMUNI D'EURQPA
diffusa ancora di auanto non fosse Dresso i
cristiani di allora, superiore alla stessa devozione per la più grande delle loro sante, la celebre, già citata Rabi'A di Bassora.
Ed è ~ r o ~ r dal
i o libro islamico «I detti di
Rabi'A», cronache di tutti coloro che la conobbero, tra i quali Attar - questo misterioso grande poeta sufi persiano del XII secolo,
uno dei grandi maestri della scuola sufi del
Khorazan ed autore del celebre testo «Gli uccelli a convegno» - che si ricavano giudizi e,
commenti quali:
L
L
«Si annullava nell'unione a Dio, gradita
agli uomini come una seconda Maria, pura
di cristallina purezza.. .D.
mentre Abbasa Al Tusi, sufi persiano della
città di Tus (morto nel 909)) dichiara:
«Quando nel giorno della resurrezione saremo chiamati - o uomini! - la Drima ad
avanzare nel rango degli eletti sarà Maria
- su di Lei la pace!».
Ma perché questi fatti non sono maggiorinsemente conosciuti? Perché non veneono
"
gnati nelle scuole? Perché questo fiorire delle
più possenti tematiche della pace - la vera
pace - della non violenza, dell'amore reciproco, dell'Amore per il Dio Universale della
Clemenza e della Misericordia, elaborate nella comune ricerca, nel reciproco ritrovarsi,
conoscersi, assistersi, tra i più poveri e derelitti dei cristiani ed islamici delle origini, perché tutto questo viene, non solo ignorato e sarebbe il meno - ma sistematicamente negato tramite la sua totale cancellazione dalle
cronache che ci vengono esibite nel mondo
occidentale?
La logica dei poteri, dei centri di potere,
degli stati, dei dogmatismi interessati o ispirati al fanatismo, non poteva evidentemente
tollerare auesta «unione federale» ante-litteram dei popoli del Mediterraneo, sia pure
delle sue regioni medio orientali: ma di quali
regioni e di quale importanza! Si scatenava la
libidine del potere, occorreva comandare, asservire gli uomini, stimolandone interessi e
ambizioni, creare perciò confini, promuovere
ed esaltare i fanatismi, creare strutture gerarchiche che non si tollerassero a vicenda, o,
più odiosamente ancora, rivestire con l'assolutismo del dogma taluni aspetti delle verità
rivelate nei testi rispettivamente ritenuti sacri, non solo imponendone coattivamente il
rispetto. ma sottolineandone la carenza nei
testi sacri altrui: perché di carenze si trattava. avvenimenti o verità rivelati in un testo
e non nell'altro, e mai di veri contrasti.
Bisognava suscitare l'odio. incitare i cosiddetti fideli contri i cosiddetti infedeli, solo
così il potere giustificava la propria esistenza
e la conseguente esigenza di strutture statali,
con i relativi interessi conservatori, l'esigenza
di armi, di armati, di eserciti ovviamente, di
guerre che non poterono non essere «sante»,
finalizzate alla difesa della «vera» fede.
W
ferocemente contestate dai ~ o t e r icostituiti.
La loro fiera difesa accomuna nella storia perseguitati e martiri di origine islamica e cristiana.
Trascurando questi ultimi, troppo conosciuti da noi, occorre almeno citare alcuni dei
cosiddetti «eretici» islarnici per la ricchezza
del loro spiritualismo, la profondità del loro
pensiero tramandatoci, per fortuna, attraverso i loro scritti, ed i movimenti che ad essi facevano capo.
Certi movimenti cui ci riferiamo erano di
carattere preminentemente religioso, se non
addirittura ascetico. ma non Doteva essere altrimenti, in un mondo quale quello islamico
e nella relativa società nella auale tutto ciò
che aveva un valore - culturale, sociale, politico - non poteva non essere spirituale; ciò
come conseguenza di una «verticalità» ed individualità del pensiero filosofico islamico
per il quale tutto va rapportato dall'individuo
al cosmo. a differenza della «orizzontalità»
temporale del pensiero filosofico e della cultura cristiana, questione su cui dovrò tornare
brevemente più avanti.
La contestazione, tuttavia, era intrinseca
in questi movimenti che. con la loro stessa
esistenza, con il totale rifiuto dei poteri, ricchezze, proprietà - della quale ultima era rifiutato persino il concetto - dei relativi meccanismi politici di protezione, costituivano,
davanti al popolo, una critica vivente dei potentati che affermavano di voler difendere e
diffondere la religione, ma che di fatto, per
giustificare la propria esistenza, dovevano
impegnarsi in sempre nuove guerre, aggressioni, ammissioni, servendosi dell'lslam appositamente ridotto a strumento di fanatica
intolleranza, cosa che di fatto non era mia
stato, né tanto meno era mai stato voluto da
Maometto, né risultava dall'articolata cosmogonia del Corano.
E il potere si scatenava contro costoro con
ferocia non molto dissimile da quella usata
dai «bracci secolari della giustizia» dei paesi
cosiddetti cristiani.
Fra auelli che la tradizione vuole come ~ r i mi martiri Sufisti dei poteri intolleranti dei
propri paesi si potrebbero citare: Ibrahim Al
Taymi e Said'Ibn Gubayr.
Ma una menzione Darticolare merita il ~ i ù
emblematico di essi: quel mistico Sufi Al
Hallaj (858/922), chiamato dai suoi contemporanei «colui che soccorre» e «colui che sa»,
per il quale il senso della libertà era così congenito da fargli ritenere che essa fosse una
conseguenza dell'unione del Mistero con la
Divinità e che tale unione desse all'individuo
il diritto di credere nella «propria» Verità e
affermarla, identificandosi in essa («Io sono
la Verità»), facendone una persona sacra proprio in nome di essa: una nuova originale via
di affermare la sacralità e persino l'intangibilità della persona umana.
Al Hallaj era ben cosciente che le sue tesi
potevano essere convalidate solo dall'accettazione del proprio sacrificio («Uccidetemi, la
mia vita è nelle mie oDere. la mia morte è vivere, la mia vita è morire») ed affronta il sacrificio con uno stoicismo memorabile nella
storia dell'Islam.
Adorava. fra l'altro. oltre a Maometto. il
più grande dei profeti, Gesù, ritenuto il più
grande dei santi, come gran parte degli islamici e la totalità dei Sufi.
Condannato come eretico fu ucciso alla
porta dell'Arco in Bagdad: flagellato, mozzati piedi e mani, crocifisso, poi impiccato, infine decapitato e bruciato, le sue ceneri disper-
L
Le persecuzioni
E si creò, quasi d'istinto, un'altra stupenda
unità, una unità di coraggio, di temperamento nell'affrontare le persecuzioni, furono perseguitati cristiani e islamici. E fu la sagra delle «cosiddette eresie» e dei «cosiddetti eretici».
L'universalità dell'amore, il rifiuto delle
frontiere fra analoghi spiritualisrni, la libertà
di pensiero e di concezione spirituale furono
COMUNI D'EUROPA
,
~
se al vento; l'aveva previsto:
«mi si ucciderà, si brucerà il mio corpo e
i venti violenti che sollevano la sabbia disperderanno lontano i miei atomi».
Lontano, appunto, nel Mediterraneo. Fino
a noi.
I1 pensiero corre a Giordano Bruno come
se il Mediterraneo volesse ricordarci che su
tutte le sue rive sono distribuite le memorie
di questi grandi fautori di libertà - e di libertà spirituale in particolare - e come il loro sacrificio possa rappresentare l'indispensabile cemento di base Der costruire soma di esso l'edificio della unità dei popoli di questo
mare, il fedeualismo mediterraneo.
Le ultime parole di Al Hallaj, prima della
morte: «l'importante per il singolo è che l'T-no lo riduca alllUnità», ricordano invece un
certo Giovanni XXIII e le sue ultime parole:
«Ut Unum sint».
Concetti questi che, soprattutto se risolti
in chiave laica, amore per la libertà e per l'uomo, come del resto raccomandano anche i testi sacri sopra citati, penso giustifichino la
presenza di molti di noi in questa sala.
Scrive Nazzareno Venturi nell'introduzione al volume sui detti di Al Hallaj, parlando
della s a ~ i e n z a «orientale» dei Sufi.
dell'«oriente» della sapienza Sufi: «...noi crediamo che tale Oriente. se ben attinto., oossa
significare un recupero dell'oriente interiore
e, con esso la riscoperta della illusouietà dei
confini su ogni livello» - e con questo, amici,
siamo nel cuore del nostro ~roblemadi federalisti, nel cuore soprattutto del nostro problema di federalisti mediterranei.
Chi ne vuole sapere di più si procuri le opere di Louis Massignon, uno dei più grandi e
obiettivi studiosi di Francia che, a questo
personaggio, in particolare, dedicò pressoché
per intero l'ultimo quarto della propria vita.
.
Il Sufismo e i diritti dell'uomo
I1 Sufismo si doveva così gradualmente affermare, inserendosi anche nel campo della
giustizia sociale considerata naturalmente come un particolare aspetto dell'amore spirituale per l'uomo.
Fra i Dervisci, esponenti della componente
più estroversa del Sufismo che, proprio per
questo, dovevano storicamente differenziarsi
da esso, pur mantenendo le comuni radici, fra
i Dervisci, dunque, un certo celebre Fozeil
Ayaz, persiano, doveva così esprimersi nei
confronti del califfo Harun:
«Apri la tua anima e ascolta: il giorno del
giudizio dovrai rispondere della condizione di vita di tutto il tuo popolo; e se una
vecchia donna andrà a dormire senza mangiare, tu, o califfo, ne sarai responsabile.. .».
Trecento anni dopo, il mistico persiano Firiduddin Attar, autore di alcune tra le più
belle e significative leggende mediterranee
medio orientali, quale quella che ho appena
citato su «Gli uccelli a parlamento», doveva,
proprio tramite la sua opera letteraria, condannare - Tolstoj ante litteram - tutti i potenti e tutti i poteri, ascrivendosi fra i più
grandi libertari del suo tempo.
Contemporaneamente, allora, nel mondo
dei Sufi, dalle radici originarie, in prevalenza
mistiche e ascetiche, nasceva una certa esigenza di azione, certo un concetto di azione
visto con «occhio» medio orientale, che non
MAGGIO 1994
è ovviamente quello medio occidentale: e la
pura ricerca dell'assoluto, del Dio unico, Clemente e Misericordioso (nella contemolazione del quale, e nell'unione col quale, si dovevano ~ e r s i n odimenticare i drammi della terra e le tragedie degli uomini) si viene completando con la riconosciuta esigenza di un'azione in favore dell'uomo.
Ed ecco Saadi di Shiraz ricordarci che la
stragrande maggioranza dei Sufi era impegnata, solitamente a livello individuale ~ l i b e r t a rio»,, in ~rofessionio in attività artigianali o
culturali, appositamente per non dover dioendere da nessuno (si ricorda ancora il celeLre pensiero di ~ u r i «il
: Sufi non possiede
nulla e nulla lo possiede») e riconfermarci
l'asserto in senso più generale: «I1 Sufismo è
azione, non istituzione» (frase che sembra
preannunciare, da lontano, nel tempo, la migliore concettualità dell'attuale contestazione
anti-istituzionalista di base italiana al governo).
E ancora Saadi di Shiraz (non dimentichiamo che era del XIII secolo) ci ricorderà:
.
-
«Non si può conoscere senza l'azione:
un asino carico di libri non è né un intellettuale né un saggio»
e conferma l'esigenza di agire in favore dei
diseredati:
aquando vedo il povero derviscio affamato
il mio nutrimento è veleno per me».
E d ecco il conseguente rifiuto di qualunque forma di potere che sia responsabile delle
miserie del popolo:
«Lascia che il sultano riceva gli omaggi di
coloro i quali ricercano i suoi favori.
E digli pure che i poteri sono stati creati
per proteggere il popolo.
I1 popolo non è creato per servire i poteri».
Ed ecco la denuncia dell'inutilità e pericolosità di qualunque azione di forza:
«Per ogni mezzo uovo che il sultano ritiene suo diritto legittimo prendere con la
forza, le sue truppe metteranno mille volatili allo spiedo» (frase che ancora una volta
richiama amaramente il pensiero nella tragedia del popolo irakeno).
E d ecco, infine, l'esaltazione del valore
della vita dell'uomo:
«Dominare il mondo, da confine a confine, non vale una goccia di sangue versato».
Né va dimenticato lo specifico riferimento
all'importanza del servizio che si può rendere
all'umanità, non solo nei suoi confronti diretti, ma persino nei nostri confronti, soddisfacendo quanto di vero dentro di noi esige il
nostro contributo concreto a favore di tutti:
«Servire l'umanità non aiuta soltanto a vivere da giusti. E il mezzo con cui si può
conservare, concentrare e trasmettere la
conoscenza interiore».
Con precisazione circa il raggio d'azione
della propria attività:
«L'attività locale è la nota dominante del
sentiero derviscio».
Le due ultime citate frasi sul localismo, sono estratte da massime della Khajagan, una
scuola derviscia dell'Asia centrale la cui influenza, tramite il Sufismo, si estese a tutto
MAGGIO 1994
il Mediterraneo orientale.
E, del resto, è proprio il Corano che colloca in successione consequenziale, fede e azione, quando afferma (Cor. 41,8):
«Chi avrà creduto e operato il bene, avrà
una ricompensa senza obbligazioni».
Concetto, come si è visto, che viene accettato dal mondo dei Sufi solo per la prima parte, in quanto nessun Sufi accetterebbe ricompense per un'attività eticamente e spiritualmente costruttiva, imponendosi che l'azione
si giustifichi in se stessa o sia effettuata per
disinteressato amore per Dio e per l'uomo.
Il riconoscimento del Sufismo:
Ain E1 Ghazali
La fortuna nostra e loro, in quell'epoca
della massima fioritura delle scuole, confraternite e conseguentemente del pensiero dei
Sufi e Dervisci, la fortuna nostra e loro, dicevo, fu l'apparizione su una delle tante strade
oosdella cultura mediterranea. della fieura
"
sente di Ain E1 Ghazali, personaggio troppo
ooco conosciuto dal mondo occidentale e Dersino dallo stesso mondo orientale mediterraneo: sempre a causa delle infami barriere culturali innalzate dai poteri costituiti e dai «filtri» cui la documentazione culturale era sottoposta prima di essere affidata alla diffusione in occidente.
Non c'è tempo, purtroppo, di soffermarci
su questo individuo, se non per accennare
che., da oosizione di assoluta oreminenza nel
mondo giuridico ed universitario islamico,
seppe giudicare il Sufismo, apprezzandone in
modo gradualmente sempre maggiore le
straordinarie oreroeative fino ad aderire ad
esso con tutta l'onestà della propria coscienza
mediante un travaglio interiore penosissimo,
riconoscendo anzitutto in esso la propria stessa natura di «innamorato dell'amore», dei
propri stessi principi di tolleranza, spiritualità, conseguente non violenza.
Ma Ain E1 Ghazali ebbe somattutto l'eccezionale capacità, nel contempo, valutando la
straordinaria imoortanza che la conservazione e lo sviluppo di un Sufismo autonomo
avrebbe potuto avere per le tradizioni di tolleranza dell'Islam, di studiare e realizzare un
«modus vivendi» fra Islamismo istituzionale
e Sufismo islamico che, assicurando l'autonomia di quest'ultimo, avrebbe consentito al
messaggio coranico di espandersi per il mondo, recependo da tutte le filosofie, sociologie
e religioni quanto di utile fosse recepibile ai
fini dell'unità del creato e del riconoscimento
dei cardini principali dei suoi valori spirituali
e associativi, l'amore per il Dio Unico della
Clemenza e della Misericordia, il rispetto per
l'uomo, la tolleranza, l'amore per il creato.
Quello che affascina in Ain E1 Ghazali non è
tanto il successo politico ottenuto (a prezzo,
non lo si scordi, di nuove persecuzioni sulle
quali la storia dell'Islam, forse volutamente,
non si diffonde, ma che, proprio per questo
pudico silenzio, appaiono più che confermate; persecuzioni, del resto, superate con lo
straordinario potere di una competenza giuridica a cui nessuno sapeva opporsi e di un'autorità morale a cui nessuno saDeva sottrarsi)
quanto il fatto che questo successo non sia
stato conseguito grazie a sottili marchingegni
politici, ma come conseguenza di una verità
pubblicamente riconosciuta, palesata in ogni
strato sociale e diffusa con ~ a z i e n t einesauri.
bile determinazione a tutti i livelli, contro
A
- -
L
L
ogni tipo d i autorità: in una parola, mediante
l'uso sapiente della verità impiegata come arrria rigorosamente pacifica da parte di chi
avrebbe ben potuto ricorrere ad altra autorità
- alla quale aveva pubblicamente rinunciato, così come alla famiglia e alla proprietà e ai sistemi coercitivi di questa.
I1 oensiero corre. ancora una volta. a Francesco d'Assisi, ugualmente sapiente nell'identificazione e nell'uso della verità. anche
se operante a livelli sociali assai inferiori, ma
a prezzi personali analoghi e con consegueiize
storiche analogamente importanti.
Dirà Ain E1 Ghazali:
«Chi è retto verso Dio grande e potente,
si comporta bene con la gente, trattandola
con pazienza.. . buon comportamento nei
confronti degli uomini consiste non già
nel piegarli al volere del proprio animo,
bensì piegare 'il proprio animo al loro valere, fintanto che questo non sia in contrasto' con la legge di Dio».
(da «Oh, figlio!» di Ain E1 Ghazali).
C'è tutto, se ben ci pensate, in questo
scritto: i limiti della libertà umana condizionati dal rispetto per l'amore universale (la
legge di Dio), i doveri degli uomini l'uno verso l'altro, il rifiuto di qualunque forma di imposizione politica, religiosa, intellettuale, oltre che personale, naturalmente.
Lo stesso Ain E1 Ghazali intemerà il Droprio pensiero con questa frase lapidaria:
u
«La fede di un uomo non è perfetta finché
non ama per gli altri ciò che ama per sè».
Concetto indubbiamente ipotecato dal cristianesimo, ma nel quale è evidente lo sforzo
sempre più diffuso del pensiero islamico, ed
Ain E1 Ghazali è fra i massimi esponenti di
esso, di far coincidere la legge dell'amore di
Dio con i principi dell'amore, rispetto, solidarietà per l'uomo.
Del resto la devozione di Ain E1 Ghazali,
come quella di Al Hallay, per Gesù è celebre,
così come la frase che sempre associa nel pronunciarne il nome:
«Gesù, a lui la salvezza eterna».
L'affiancamento al Sufismo, in un primo
momento, e l'invito successivo di Ain E1
Ghazali a tutto l'Islam, ad aderire a questa filosofia incernierata sull'amore dell'amore
universale e della persona umana, così come
delle singole, futili cose, nelle quali tutto si rispecchia il Creatore, può essere riflessa da un
altro suo scritto:
«Se sei capace di sacrifici, vieni con noi,
altrimenti non ti occiipare della futilità dei
Sufi ...».
In tal modo Ain E1 Ghazali consentirà al
Sufismo stesso di estendersi spaziando gradualmente ovunque, ovunque diffondendo il
verbo della potenza ed unicità dell'amore
universale, dell'amore dell'uomo per l'uomo,
della solidarietà e tolleranza, ovunque attingendo alle locali scuole di spiritualismo, moderazione, soprattutto di rispetto della vita,
di ogni forma di vita, secondo tematiche assai
diffuse soprattutto in oriente.
Sviluppo, affermazione
transfideistica, attualità del Sufismo
Col maturare dei tempi e con il successivo
affinarsi delle sue cognizioni, il Sufisrno si
andava sviluppando per tutto il bacino del
COMUNI D'EUROPA
Mediterraneo, favorito, ora che se ne era ottenuto il riconoscimento, dallo splendore delle comunità islamiche che ne costellavano la
costa e dalle loro esigenze di cultura e creatività; si sviluppava particolarmente agli estremi di tale bacino, in Spagna e in Medio
Oriente, creando ovunque scuole di spiritualismo, assistenza, moderazione, non violenza,
alcune delle quali sopravviveranno fino ai
giorni nostri e rappresentano attualmente potenziali punti di riferimento per l'azione federalista mediterranea che si va prospettando.
I Sufi sapranno tuttavia mantenere fede ai
postulati di povertà, spiritualismo profondo,
universalità che ne avevano caratterizzato le
origini.
Ne derivarono, allora, sempre più profond e e articolate tematiche sul valore dell'uomo, sul significato profondo dello spirito universale, cui non erano esenti aspetti «ecologici» che non erano però visti come oggi quali
temi enucleabili o a se stanti, ma quali sfaccettature della stessa vita del cosmo della
quale l'uomo era considerato fondamentale
parte pensante e responsabile, non solamente
una frazione di esso. Questo «spirito universale» auesto amore da riversare in esso e in
esso d a attingersi, andava cercato dovunque,
in qualunque forma vivente, in qualsiasi definita entità materiale, in qualunque luogo,
persino.
Sentiamo, ad esempio, con quanta liberalità il già citato Hafez - siamo arrivati al XIV
secolo - un altro Sufi di quella fucina di
pensatori e poeti islamici che fu la città di
Shiraz, si riferisce all'Amore Universale:
L.
«Nessuri mortale ha potuto vederti ...
Là sei tu dove il tuo volto
riflette il suo splendore.
Sui muri del monastero
e nel suolo della Taverna
là dove l'asceta avvolto nel suo turbante
notte e giorno celebra il suo Dio
dove le campane delle Chiese chiamano
alla preghiera
e dove si innalza la croce del Cristo...».
Nessuna distinzione, ovviamente, fra Cristianesimo e Islam, il rispetto per lo spiritualismo è identico e Haykali, attingendo ancor
più profondamente alle tematiche orientali
ed africane, ma inquadrandole ancora di più
nei temi dell'amore universale. come ci è riportato da Idries Shah, principe medio orientale, uno dei più grandi attuali studiosi orientali della civiltà mediterranea occidentale ed
orientale, ci dirà:
«I1 .barlume d i luce nel crepuscolo del deserto: là sei tu
fra i passi oscillanti dell'elefante: là sei tu
nell'armonia, nell'amore, nell'esistenza
stessa, nella verità, nell'assoluto: là sei tu,
la perla gettata dal ghiotto mangiatore di
ostriche: là sei tu
...
nel bagliore, nelle scintille, nella lingua di
fuoco, nel calore e la fiamma ... là sei tu».
I1 già citato Francesco d7Assisirisponderà
dall'occidente, ~ a r l a n d oai frati pesci, a frate
lupo, ai fratelli uccelli, a sora luna e veramente sembra che il suo cantico si spanda attraverso la superficie del Mediterraneo come il
rombo lontano del passo oscillante degli elefanti. ritrasmesso di costa in costa dal frangersi delle risacche, dal succedersi festoso e
pittoresco delle onde, dal soffiare dei venti
nei cieli nuvolosi dello stesso mare.
COMUNI D'EUROPA
Si potrà obiettare che non c'era la stampa,
allora, non la posta, ed i fatti che accadevano
ù
aree medio orientali del Menelle ~ i remote
diterraneo, non potevano ritrasmettersi «fisicamente» agli angoli occidentali d i esso.
Si dimostra invece così proprio il contrario: la cultura non ha frontiere, l'unità vivente del Mediterraneo ritrasmetteva quelle
idee, queste tematiche, queste meditazioni ed
estrinsecazioni dello spirito umano da riva a
riva.
Senza parlare - per tornare a elementi
concreti - del continuo fittissimo interscambio navale fra tutti i porti del Mediterraneo,
tramite il quale si esplicava e si infittiva gradualmente l'unità delle popolazioni gravitanti su d i esso.
E per tornare a San Francesco, non va dimenticato che la madre era provenzale, nata
e cresciuta nella regione mediterranea forse
più aperta, fra tutte, agli influssi di questo
mare e che a auesto mare aveva versato contributi culturali di ogni genere. Non per niente oggi, Francesco d'Assisi è considerato tra
i grandi spiriti dell'umanità, non solo ovviamente nel mondo cristiano. ma anche e direi
soprattutto, in quello islamico e persino, in
misura crescente, in quelli più esterni, orientali, buddisti, induisti, dalle quali regioni, in
questi anni, carovane di pellegrini e studiosi,
vengono a venerarne e studiarne i luoghi di
origine.
Ain E1 Ghazali, poi, ricordava a tutti, ed
a ciascuno, che lo spirito universale - ciascuno lo interpreti trascendentalmente o meno,
così come vuole - non dimentica mai nulla
o nessuno, neppure chi si crede abbandonato
o reietto, e ci tramanda per scritto:
«Egli conosce le ansietà degli animi, le cose celate nell'interno dei cuori.. .. conosce
l'incedere della formica nera. sulla roccia
sorda, nella notte tenebrosa.. .D.
Tale era lo svilumo «concettuale» del Sufismo, un prendere coscienza della creatività
mirituale dell'uomo e soDrattutto un riconoscere ovunque lo spirito onnipotente della
creazione. Né Doteva essere altrimenti Der
una concezione di vita nata indiscutibilmente
nella s~iritualitàe nella filosofia della tolleranza ampiamente esplicate nel Corano, ma
che aveva saputo attingere, tuttavia, preziosi
concetti, a piene mani, dal cristianesimo, oltre che dalle grandi tematiche della filosofia
indiana, che molti degli illuminati califfi locali, a differenza dei contemporanei potentati
cristiani, erano ansiosi di conoscere e importare in Medio Oriente.
Si andavano soprattutto sviluppando, accanto alle prime grandi scuole sufi, alle cui
origini
ci siamo soma riferiti. le confraternite
u
(molte delle quali, analogamente sopravvissut e fino ad oggi, anche se in condizioni politiche ed economiche estremamente precarie),
ambedue accomunate dal nome islamico di
Tariq At, nome col quale è anche indicata la
«via» concettuale o spirituale seguendo la
quale tali comunità islamiche intendevano
perseguire i loro obiettivi; ma soprattutto andava sviluppandosi, tramite esse, una concezione liberatoria che, da una iniziale volontà
di difesa dei veri essenziali valori dello spirito
islamico, tracimava in una esigenza di spiritualità individuale e collettiva non soaaetta
-- a
formalismi, dogmatismi, soprattutto a coercizioni di qualsiasi genere.
Tale esigenza si sviluppava, secondo una
insopprimibile logica, in una ricerca - la si
potrebbe ben definire «federativa» se non
L
~L
L
stonasse la modernità, ma non la concettualità!, del termine - di ogni ulteriore spiritualità esistente, chiunque la professasse, quando
questi si ispirasse agli stessi principi di amore
illimitato, di tolleranza, di solidarietà con lo
spirito universale e le sue diverse componenti, da quelle rappresentate dalla autocoscienza di ogni singolo uomo, a quelle rappresentat e dalla natura della terra, con i suoi oggetti,
i suoi fenomeni, i suoi ambienti, fino ai suoi
più piccoli atomi, quando su di essi si dovesse
riversare la coscienza vivificatrice dell'uomo
che proprio in tale azione potrebbe riconoscere uno dei compiti prioritari della propria
esistenza.
Ci precisa Ain E1 Ghazali:
«...ma per gli uomini spirituali, per coloro
che posseggono il dono della intuizione
mistica (ed io aggiungerei, cosa che penso
sia implicita nel pensiero di Ain Al Ghazali, per coloro che sanno conquistarsela e
meritarsela), Iddio fa parlare ogni atomo
d e cieli e della terra ... con un linguaggio
privo di lettere e di suoni, né arabo, né
barbaro ... ti dirò che ogni atomo nei cieli
e nella terra ha con gli uomini colloqui spirituali e infiniti, perché con parole attinte
al mare infinito del Discorso di Dio...».
Una ecologia «fisico nucleare» e «spirituale» ante litteram.
Ed era una ecologia «al calor bianco» cui
neppure oggi, che il concetto è di moda, si è
riusciti a pervenire, inquadrata com'era, allora, con geniale intuito, non solo nella spiritualità universale, ma anche in quella umile,
ma altrettanto importante, della vita quotidiana.
L'assoluta «indipendenza» spirituale e sociale, diciamo pure la «transnazionalità» visto
che parlo ad una assemblea internazionale di
transnazionali, l'assoluta disponibilità per chi
voglia disporre d i lui è espressa da Rumi, un
Sufi, anzitutto, ma anche poeta - tra i più
grandi dell'Islam - politico, filosofo, con
concetti che sono, secondo chi vi parla, fra i
più possenti della espressività e sincerità
umane:
«Che posso fare, Musulmani? Non coriosco me stesso.
Non sono Cristiano, né Ebreo, né Mago,
né Musulmano.
Non sono dell'Est, non sono dell'Ovest.
Non della terra, non del mare.
Non delle ricchezze della Natura, non dei
cieli rotanti,
Non di terra, non di acqua, non di aria,
non d i fuoco;
Non del trono, non del suolo, dell'esistenza, dell'essere;
Non dell'India, Cina, Bulgaria, Sassonia;
Non del regno degli Iracheni (!), o dei Coreani:
Non di questo mondo o dell'altro: del cielo o dell'inferno;
Non di Adamo, Eva, dei Giardini del Paradiso, dell!Eden;
I1 mio posto senza posto, la mia traccia
senza traccia.
Né corpo, né anima:
Sono inebriato dalla coppa dell'amore.. .».
L'amore universale trascende ormai ogni
religione e lo stesso Rurni tornerà poi sul concetto della santità dei fenomeni naturali, dei
fatti di ogni giorno, della vita, delle «cose» vero anticipatore in poesia delle «cose» vive
e silenziose ritratte nelle pitture di Morandi,
anche se più estroverso di lui:
MAGGIO 1994
«È il fuoco dell'amore che erompe nel
flauto,
E il ribollimento dell'amore che ferve nel
vino!».
Riprendendo il precedente celebre canto di
Baba Kuhi (m. 1074)
«Nel mercato e nel chiostro non ho visto
che Dio
Nella valle e nella montagna non ho visto
che Dio
Nella prosperità e nella fortuna non ho visto che Dio
E lui che vedo accanto a me nelle affezioni.. .
Non ho visto né anima, né corpo, né accidente, né sostanza
Né qualità, né causa; non ho visto che Dio
Come candela mi sono fuso nel suo fuoco
Tra le fiamme sfavillanti non ho visto che
Dio
Sono svanito nel nulla, sono scomparso
Ero diventato il Vivente
Non ho visto che Dio».
Dove è fin troppo chiaro che questa onnipresenza di Dio, annullandone il «Potere
Centrale» soddisfaceva sia gli atei spiritualisti
- cioè coloro che si proponevano il problema
del creato e dell'esistenza - il cui nulla
omnicomprensivo veniva a identificarsi in
questo altrettanto omnicomprensivo Dio, sia
i credenti che. come Al Hallai.
,, si identificavano nell'amore di Dio fino a confondersi in
esso («io sono Dio» fu la celebre sua «bestemmia d'amore», uno dei principali capi d'accusa per il suo supplizio).
E lo stesso Al Hallaj confermerà dalla croce, cui, già martirizzato e mozzategli le mani,
era stato appeso:
«Mio Dio, tu che ti riveli in ogni luogo e
non sei in nessun luogo».
I n modo che sia i credenti che i non credenti potessero tenerne conto: quegli stessi
credenti nel nulla, quegli adoratori spiritualisti d i esso che nel nulla troveranno i motivi
del proprio rigore etico, concetto sul quale
ancora si esprimerà:
«I1 Nulla è l'officina di Dio e le distese di
quel deserto diventeranno per l'Uomo i
Gradini del Paradiso».
Libertà spirituale:
contestazione di dogmi e poteri
C'era in questo rispetto per credenti e non
credenti, in questa identificazione, dell'Amore Universale con il nulla e con la totalità delle cose, un'ansia di libertà spirituale con i
suoi presupposti d i libertà personale e cioè
politica, alla quale molti Sufi si riferiranno
tuttavia anche assai più esplicitamente quand o non a chiarissime lettere.
Comincerà il Sufi Al Khaliq, considerato il
più grande dei «Maestri di saggezza» del XII
secolo:
«In tutte le attività esteriori conserva la
tua libertà interiore. Impara a non identificarti con alcunché, cioè sii esteriormente
con la gente e interiormente con Dio. Sii
capace di entrare completamente nella vita del mondo esteriore senza mai perdere
la tua libertà».
Sentiamo ancora il più volte citato Al HalMAGGIO 1994
laj a proposito della imposizione legale, o anche solo morale, di «una sola religione»:
Non pretendere dall'uomo una religione,
ch'essa lo allontanerebbe dal principio
certo.
Sarà invece il principio che verrà imperiosamente a cercare l'uomo per spiegarli tutte le idee, tutte le sublimità».
Ovviamente - e qui subentrano le tematiche anarchiche e federaliste - occorre realizzare le condizioni politiche tali che non si
creino strumenti di potere in grado di «imporre» una religione e condizioni sociali ed
economiche tali che ciascuno possa trovare
e d essere trovato dal «suo» principio.
Tali considerazioni vengono riprese addirittura da Ain E1 Ghazali il quale, prima del
suo abbandono di Università, figli, famiglia,
gloria, potere e ricchezze - per prendere la
veste di lana grezza dei Sufi e farsi solitario
pellegrino errante - prima d i quel momento,
era e resta ancora uno dei massimi giuristi
mediterranei. Dirà dunque Ain E1 Ghazali
(m. 1111):
«È il destino della fede autoritaria: chi la
professa non se ne rende conto, e quando
prende coscienza d i essere un credente autoritario, rompe il bicchiere della propria
religione, tanto che non è più possibile rimettere insieme i cocci».
Dove l'acume grandissimo dell'autore analizza le conseguenze fondamentali della fede
«imposta» o inculcata quando si è giovani e
che si può passivamente accettare, come solitamente avviene, ma alla quale, una volta rivoltatisi, si rischia di dover rinunciare definitivamente - i cocci non ricostruibili - sia
per risentimento contro l'imposizione, che
per timore di esserne nuovamente fagocitati.
E lo stesso Ain E1 Ghazali riferirà il proprio travaglio interiore, tramite il quale arriverà a tale conclusione:
«La sete di capire le cose così come sono
era radicata in me fin da piccolo. Ecco
perché l'autorità e la tradizione cessarono
di essere dei legami per me a mano a mano
che diventavo uomo. Le parole della fede
che mi avevano trasmesso fecero via via
meno presa su di me, perché vedevo che i
giovani cristiani erano sempre troppo cristiani e gli ebrei troppo ebrei e i musulmani troppo musulrnani~.
La tolleranza islamica si estrinsecherà in
forme ancora più esplicite con l'invito a seguire la fede che più aggrada, quella per la
quale noi e la nostra gente ci sentiamo più
portati o quella sola che «riusciremo» a seguire.
Sentiamo ancora Rumi (m. 1273):
«Percorrete la via d i Maometto (come si
ricorderà, nell'Islam se Maometto è il Sigillo dei Profeti, Gesù è il Sigillo dei Santi, unico destinato a tornare fra gli uomini
alla fine dei tempi), ma, se non vi è possibile, percorrete la via dei Cristiani...».
E ribadiva:
«Se c'è un amante,
a questo mondo,
O musulmani,
sono io.
Se c'è un credente
o eremita cristiano
sono io.
E vino e coppa
e canto, arpa e musica,
l'amato e la candela
e sorso d'ebbra gioia
sono io.
E sette e religioni
sono io».
Non è da stupire se nel 1273, ai funerali,
in Konya, di Gelaladdin Rumi, nella marea di
fedeli che, affranti, seguiranno il feretro, ci
fossero altrettanti cristiani quanti islamici ...
Tale libertà aveva radici profondamente
culturali, libere radici che affondavano fino
ai lontani substrati orientali; scrive Gerad
Schweizer, della Facoltà d i Scienze della Civiltà dell'università di Turingia:
«Furono i musulmani di Persia i primi e
più potenti motori della civiltà islamica
abbaside. A Ctesifonte, l'ex capitale, c'erano università e accademie che accoglievano artisti e dotti provenienti da ogni
parte dell'Asia e dell'Europa: zoroastriani, cristiani, buddisti, indù.. . gli abbasidi
non fecero altro che agganciarsi a queste
tradizioni. liberi com'erano dalla r i ~ u gnanza verso le altrui religioni che restringeva gli orizzonti dei cristiani (e, prima di
loro, degli israeliti) ... i dotti persiani tradussero in arabo le opere dei filosofi e degli scienziati greci.. . perché (contemporanemente) in quasi tutta l'Europa (cristiana) le opere dei pagani venivano respinte
con arroganza.. .D.
Questa libera spiritualità si esprimeva talvolta persino in termini «rivoluzionari» anche
se con «rivoluzionarietà» limitata al camDo
spirituale e alle parole, per quanto siano ben
noti i poteri rivoluzionari di queste ultime, e
senza che occorra ricordare l'intervento di
Gesù contro i mercanti del Tempio e le sue
parole «Sono venuto a portare fuoco in questa Terra ... e mettere i figli contro ai padri e
i padri contro ai figli ...»
Si passa da un misticismo disperato che richiama le parole sopracitate del Vangelo, ma
questa volta con accenti profondamente
umani:
«Sono uccello di fuoco, che basta distenda
le ali
Der infocare tutto il mondo in incendio di
fiamme;
se un pittore dipinge l'immagine mia sul
muro,
il mio simbolo rosso avvolge la casa di
vampe.
I1 cuore ho pieno di fuoco, e pieno d i
lacrime gli occhi;
l'anfora della mia vita trabocca di sangue
bruciante.
Al tuo profumo vita nuova ritroverò nella
morte.
~,
se passerai leggero presso la tomba mia!».
Dovuto a Baba Taher (sec. XI), alle parole,
d i fierissima i n d i p e n d e n z a misticointellettuale contro tutti gli elaboratori di
coercizioni religiose, del sufista e filosofo,
probabilmente il più grande sufi e filosofo
dell'Islam, Ibn Arabi (sec. XIII):
«Ho
tutti
ogni
ogni
confuso tutti i sapienti dell'Islam
coloro che hanno studiato i salmi
rabbino ebreo
prete cristiano».
Fino alla celebre dichiarazione del sufi
Abu-Said Ibn Abi-Khair (sec. XI):
«Fino a quando collegio e minareto non
COMUNI D'EUROPA
cadranno in polvere
questo nostro santo lavoro non sarà compiuto
fino a quando la fede non diventerà rifiuto, ed il rifiuto credenza
non ci sarà un vero Musulmano».
Ma si farebbe un torto alla vera natura del
Sufismo se non se ne sottolineasse la base di
Amore Universale che costituisce l'essenza di
ogni sua iniziativa, di ogni scritto dei suoi
a d e ~ t iamore
.
che si estrinseca nel corso della
differente vita di ciascuno di noi e della nostra collettività in una tolleranza che coinvolge persino l'amore terreno e sfiora i limiti
della trascendenza.
«Lo spirito del poeta sufi» -- dirà sempre
lo studioso Gerhard Schweizer, e il Sufi mistico e filosofo, teosofo o pellegrino errante,
sarà sempre un poeta - «lo spirito del poeta
sufi resterà spalancato a 360°, purché l'angolo giro' sia permeato d'amore».
Come stupirsi allora delle parole ancora di
Ibn Arabi:
L
«I1 mio cuore è aDerto a tutti gli orizzonti.
è un pascolo per le gazzelle, un monastero
per i monaci cristiani, un tempio per gli
idoli, una caaba per i pellegrini, ha le tavole dei Turchi ed il libro del Corano. E la
religione dell'Amore, la mia, ed essa resterà la mia religione e la mia fede qualunque
pista percorra la mia carovana».
u
Intesa necessaria e indispensabile
Su queste basi, amici transnazionali, amici
federalisti, amici anarchici, su queste basi,
amici cristiani, israeliani, maomettani, idolatri di qualunque natura, adoratori e contestatori del Nulla e del Tutto, su queste basi non
solo è possibile, ma drammaticamente necessario come «vamDe creative)) Der le fiamme
del sopracitato Uccello di Fuoco, costruire la
nostra federazione mediterranea. la federazione dei popoli ora oppressi e sofferenti che
ne hanno costruito la storia e la creatività e
che comunque frantumati dai poteri loro imposti e in procinto di essere definitivamente
spaccati dai monoblocchi europeo e africano,
hanno gravitato e gravitano ancora su di esso.
E del resto quando si parla di federalismo,
di radici comuni, di unità non si fa retorica,
non si cerca di introdurre «astutamente» e
«politicamente» argomenti grati all'assemblea
che ascolta.
Basterebbe, per quanto riguarda le radici
comuni delle religioni che ci caratterizzano,
ricordare sempre Al Hallaj:
«...Ho riflettuto a fondo: cosa sono le religioni? Una pianta con radici e con una
molteplicità di ramificazioni...».
Dove, a parte I'equiparazione delle religioni, rivoluzionaria per l'epoca, - Al Hallaj fu
«giustiziato» nel 922!! - è troppo implicito
anzitutto che le ramificazioni non possono fare a meno delle radici - e le nostre radici,
amici federalisti, sono rappresentate dalla
cultura, cioè dal mondo mediterraneo, da
quel mondo cioè che si vuole misconoscere in
nome di monolitismi conservatori e interessati quali quello europeo e quello futuribile e simile africano. E si badi che non intendo qui
contestare l'attuale federalismo europeo, al
Movimento in favore del quale mi onoro di
essere iscritto, anche se, da anarchico, non ne
accetto la disciplina, né i giovani federalisti
che meritoriamente si battono per esso, inCOMUNI D'EUROPA
tendo contestare quell'europeismo che fatalmente sta approdando ad uno stato nazionale
europeo centralizzato, con la foglia di fico di
un regionalismo di forma, in effetti munito di
sacrosante frontiere (il concetto di «Europa
senza frontiere» dove comprendere non solo
le frontiere interne, ma anche quelle esterne
di essa) destinate a difendere, perseverare,
incrementare i grassi interessi economici e finanziari europei, a scapito di tutto e di tutti,
così, come avviene per gli Stati Uniti d'America o per il Giappone. .
Forse raramente il concetto di base federalista è stato espresso con tanta semplicità, sapienza e verità come nella sopracitata frase di
Al Hallai. Ma i meriti culturali «federalisti»
dei Sufi sono pressoché inavvertitamente, ma
proprio perciò più concretamente, riconosciuti da Idries Shah, che, nel suo fondamentale testo «La strada dei Sufi», dirà:
«Personaggi apparentemente diversi come
Rumi, il retto, Chishti il santo, Hallaj l'inebriato di Dio, gli statisti del Mujaddis e
tanti altri, hanno lavorato per secoli per
Dortare avanti una vera riunificazione delle comunità in apparenza irrevocabilmente divise».
Né è da credere che tali concetti, relativi
spesso a pensieri espressi o a persone vissute
prevalentemente negli anni «splendidi» del1'Islamismo dal IX al XVI secolo, possano essere s ~ p e r a t io anche soltanto non riferibili
alle ansie esistenziali della civiltà occidentale
moderna.
I1 già citato Ibn Arabi, con 800 fra opere
tecniche o filosofiche, il più prolifico scrittore islamico definito da Gerhard Shweizer
«Sufi» e «inarrivabile rivoluzionario»., « ~ i ùdi
ogni altro filosofo» - è sempre Schweizer
che Darla - «mise radicalmente in dubbio la
conoscenza di una Verità Assoluta.
Era del parere che nessuna religione potesse pretendere la definitiva, unica vera rivelazione».
«Le verità filosofiche (o teosofiche) - affermava Ibn Arabi - non si possono dimostrare ma soltanto vivere». così come l'umile
frate francescano con il suo saio e l'umile Sufi
errante con la sua veste di lana grezza - né
si può dimenticare che lo stesso Gesù volle
«vivere» la sua passione e il suo riscatto del
genere umano.
E d è un altro grande filosofo islamico, Al
Kind, che Jean Joliset, nel corso di un pubblico dibattito organizzato dall'unesco, in occasione della sua X X Conferenza generale per
la celebrazione del 1400° anniversario dell'Egira, ebbe a definire «un punto capitale di
uno dei due cicli logici filosofici che, dal neoplatonismo islamico portano fino ad Avicenna», è proprio Al Kind a esprimere, con rigorosa razionalità filosofica. il concetto che il
Vero definitivo non esiste, ma che esso viene
acquisito dall'umanità gradualmente per l'accumulo delle cognizioni di secolo in secolo;
un Vero. conseguentemente. alla conoscenzs
del quale contribuisce lo studio del pensiero
passato e presente di tutti i popoli; studio che
viene quindi a prendere aspetto provvisorio
nella nostra etica intellettuale ed al quale concetto fondamentale - può essere apportato anche il contributo del nostro pensiero,
amici, di noi transnazionali, cioè.
Una modernitk sbalorditiva se si pensa che
Al Kind. nato nel I X secolo. doveva es~licare
la sua creatività nel X secolo, anticipando
quindi di quasi un millennio problematiche e
concetti che trasferiti dal campo filosofico a
L
u
quello scientifico - continuo graduale avvicinamento alla vera natura dei fenomeni corrispondono in pieno alle nostre esigenze e
soprattutto alle nostre ansie ed al frenetico
attivismo della nostra attuale civiltà occidentale.
È da rilevare altresì che, proprio in linea
con questo paragone, Al Kind riproponga eccezionalmente la dimensione storica, cioè lo
sviluppo «orizzontale», temporale della ricerca del Vero. differenziando da essa la religione con la tendenza ascensionale, «verticale»
dello s ~ i r i t o .
H o fatto brevemente cenno a questi concetti che possono sembrare eccessivamente
teorici, per sottolineare l'analogia dei risultati cui il Sufi Ibn Arabi e il filosofo Al Kind
stavano arrivando, anticipando così non solo
l'ansia creativa positiva del Rinascimento,
ma soprattutto - e ciò riguarda principalmente Ibn Arabi - denunciando il pericolo
futuro dell'insorgere di un altro tipo di ansia,
tipica del mondo occidentale, questa volta
negativa, i cui sintomi sono oggi rappresentati dallo scientifismo frenetico e da un consuù
ambedue dimismo semDre ~ i insaziabile.
sancorati dallo sviluppo «verticale-etico» del
pensiero umano.
Ed è proprio la fisica, ed in particolare la
fisica nucleare e soprattutto l'astronomia, nel
nostro affannoso storicismo orizzontale senza
meta, neppure ipotetica, a mettere in seria discussione quella dimensione spaziotemporale
nella quale noi occidentali ci siamo rifugiati
Der cercare. se non di finalizzare. almeno di
dare una logica alla nostra ansia ed alle sconvolgenti crisi olit ti che e sociali che la caratterizzano nei nostri tempi.
Henri Corbin, forse il maggior storico delI'Islamismo e del Sufismo, parlerà di energia
spirituale, non sottoposta a divenire - I'esoterico di cui sono campioni i Sufi - in contrapposizione all'essoterico, al formale, lo
storico, l'orizzontale che viene percorso dal
mondo moderno occidentale (e di quello medio orientale modellatosi a sua somiglianza),
senza obiettivi che non siano contingenti e
destinati a rivelarsi inconsistenti uno alla volta, fra disastri sociali gravissimi, anche se con
risultati materiali (scientifici) di tutto rispetto.
Si vuole così sottolineare l'importanza di
quelle comuni radici, alle quali si riferirà Al
Hallaj, e senza le quali i rami sradicati non saranno che oggetti destinati ad essere travolti
da qualsiasi corrente per quanto ampi e apparentemente redditizi possano essere stati i
gorghi che li hanno trascinati nei luoghi più
disparati ed invitanti: radici che ritenevamo
e continuiamo a ritenere Radici Mediterranee per la salvaguardia e la ricostituzione delle quali, amici federalisti, amici transnazionali, amici anarchici, vi sto attualmente parlando, sto chiedendo la vostra indispensabile
collaborazione.
Abbiamo cercato così di accennare agli ampi spazi collaborativi che ci sono consentiti
con il mondo dal quale, per coercizione millenaria e per recenti e meno recenti eventi storici, siamo stati traumaticamente separati: il
mondo islamico cioè, uno delle fondamentali
componenti mediterranee che, con il mondo
greco-pagano, quello ebraico e quello cristiano, tutti ancora fortunatamente spumeggianti nella nostra psicologia individuale o collettiva di mediterranei, formano un «unicum»,
indivisibile, in tanto più indivisibile in quanto apparentemente profondamente diversificato e che proprio nella sua diversificazione,
C.
L
i
-
MAGGIO 1994
tro, della sezione romana del Movimento Federalista Europeo, di cui non condividevo
molte delle idee politiche, ma di un rigore
«laico-spiritualista» tale da preferire il proprio auto-annientamento alla constatazione
di una propria presunta incapacità di contribuire ulteriormente allo sviluppo intellettuale
della comunità entro cui viveva: a lui I'omapgio di chi vi parla e - ne sono convinto di tutti coloro che, in quegli anni '60, dal federalismo rovente, contribuirono alla diffusione del federalismo stesso in Roma e in ogni
parte d'Italia.
L'importanza della cultura religiosa, spirituale e laica, quest'ultima sempre inglobata
dagli islamici nel campo deilo spiritualismo,
in quanto manifestazione dell'anima, viene
quindi ad avere importanza determinante nel
campo dell'Islam ed anche dei Sufi, nonostante il privilegio da questi dato alla componente s~irituale«trascendente», all'intuito
mistico spirituale.
E certo comunaue che tutti i Sufi che Doterono permetterseio da Ain E1 Ghazali ;Ibn
Arabi. com~resitutti i filosofi sufi. fecero
della conoscenza del pensiero altrui un fattore fondamentale, senza preclusioni dogmatiche di sorta.
La conoscenza e la creatività spirituale purché totalmente disinteressata e sottratta al
farneticante «orizzontalismo» del consumismo, della temporalità e del contingente, venivano considerate, assieme al proselitismo
finalizzato alla medesima etica, unica opera
degna dell'uomo, non solo, ma unico strumento capace di vincere la morte.
Giustamente Henry Corbin ricorda la disperazione dell'andaluso Ibn Arabi che di
questa concettualità può essere considerato
uomo simbolo, mentre assiste ai funerali di
Averroè che aveva portato l'inserimento reciproco di Islamismo e Aristotelismo alle sue
estreme conseguenze.
La cavalcatura funeraria portava da un lato
il feretro del grande filosofo islamico, dall'altro le opere da lui scritte che sembravano bilanciare i resti umani dello scomparso.
E fu soltanto considerando emblematica«Adora Dio, non i suoi servi
mente come l'opera spirituale fosse stata in
la legge rende schiavi, l'intelligenza liberi
grado di bilanciarne, cioè di compensarne, la
il bene non è digiuno ...
morte, che il povero desolato Ibn Arabi trovò
non è preghiera rituale ...
la forza di proseguire nella sua opera che doveva portarlo ai massimi vertici dello spiriè piuttosto rigettare da sè il male
tualismo mondiale, in un vero «coro» polifoscuotere dal petto rancore e invidia
nico di cui doveva essere nota dominante, ma
...
le cui «voci» provenivano da ogni parte del
faccia l'anima il bene perché è buono e
mondo, dai Cristiani, per intendersi, alle vabello
rie fondamentali correnti di pensiero del Menon per ricompensa che ti è promessa...».
dio Oriente e soprattutto del «profondo»
Oriente.
Se questo, dicevamo, è - come è - il sotSi andava insomma confermando la 'morale
tofondo del Sufismo islamico. e tante citaziolibertaria già anticipata dai primi Sufi.
ni precedenti lo confermano, è evidente che
Come sopra citato, tutte le morali etiche
esistono ampie piattaforme di intesa religio(amore per il prossimo e il creato) sono valisa, intellettuali, profane con l'occidente mede. a ciascuno la «sua» morale secondo le sue
diterraneo, purché non manchi la volontà di
tradizioni, secondo soprattutto i suoi bisogni.
utilizzarle.
Mi permetto di aggiungere che si tratta di
E si badi, non intendo collaborazione con
proposta che il potere ecclesiastico cristiano
la sola cultura politica «religiosa» dell'occiprese in considerazione con l'ultimo Concidente, per intendersi esemplificativamente
lio, ma dinnanzi al quale sembra essersi fercon i Maritain, i La Pira, i Dossetti, i Lorenmato in auesto momento storico di «rifluszo Milani, ma anche e soprattutto con la culso». Unirsi al concerto degli Uomini, di tutti
tura'politico-laica, ad esempio, per quanto rigli Uomini,
senza esclusivismi fideistici, dogguarda l'Italia, sempre esemplificativamente,
. .
con i Di Vittorio - il cui «sDessore» s~iritua- matici. ..
le laico deve essere ancora tutto compreso al
«Uniamoci all'assemblea degli uomini»,
i i Berlindi fuori del suo mondo di a d e ~ t canterà il più grande dei poeti Sufi, Jaliguer ed altri: per non parlare - tanto per enloddin Rumi.
trare nel campo più specificatamente romano
Siamo dunque arrivati al momento forse
- di un Giuliano Rendi, segretario, fra l'al-
nella differenza di percorsi ed obiettivi, peraltro indispensabili gli uni agli altri, attinge
i motivi più profondi e più seri della propria
potenziale unità, libertà e conseguente potenziale creatività.
Dirà il solito Braudel: «Il Mediterraneo
non ha altra unità che quella creata dal movimento degli uomini, le relazioni che ne derivano, le strade da essi seguite».
Ibn Arabi può essere preso come individuo
emblematico di questa potenziale collaborazione, di questa potenziale, ma indispensabile futura integrazione mediterranea dalla
quale - non ci si stancherà mai di ripeterlo,
coileghi federalisti e anarchici - dipende la
sorte non solo del Mediterraneo, ma dell'Europa e dell'Africa.
Quel «gigantesco uomo di pensiero», quel
«Sufi rivoluzionario», quel «derviscio eretico», come Schweizer definirà Ibn Arabi,
«non si limitò ad essere un musulmano di
stretta osservanza, ma divenne il pioniere di
un moderno umanesimo».
Per lui «l'essere umano non conta per la religione che professa o per la visione del mondo che ha, conta invece l'intensità e la volontà con la quale egli vive questi ideali».
Non importa quali siano questi ideali, purché eticamente validi. volti alla solidarietà.
all',Amore per il Creato e per l'Uomo.
E un concetto fondamentale., somattutto
per quanti di noi, di voi amici, reputa 1'Islamismo troppo «deificato», troppo limitato al
concetto teosofico. E vero per la parte essoterica dell'Islam. non è vero Der la Darte esoterica di esso, il Sufismo che si può dire nato
proprio per preservare i significati più profondi dello spiritualismo e della tolleranza
dell'Islam e che proponiamo come interlocutore principale nel processo federativo del
Mediterraneo che riteniamo indispensabile e
improcrastiriabile.
Se i Sufi considerarono - come di fatto
considerano - fra i loro massimi esponenti il
poeta siriano cieco Al Ma'Arri (sec. XI) autore del celebre amaro e pessimista capolavoro
«Luzumiyat ( = Costruzioni):
L
MAGGIO 1994
della massima fioritura del pensiero sufista e
derviscio, quando pur agendo rigorosamente
nel quadro islamico, liberatosi ormai dal modello monastico cristiano e del relativo concetto, cui quello era stato costretto a sottomettersi, di disciplina e rispetto del potere,
tale tematica si liberava anche di tutte le imbardature che condizionavano la morale coranica, rifiutando persino il «modello» del Profeta, preferendo il modello ricavato dalla propria autonoma interpretazione del Corano
stesso (ricordate la piccola santa Raid'A e la
sua affermazione: «l'amore del Profeta può
distrarmi dall'amore di Dio»?) riaffermando,
a rischio della propria vita, l'autonomia di
ciascun gruppo sufista - e, nell'ambito di
auesti. della coscienza di ciascun individuo
- di ciascun gruppo derviscio («a ciascuno la
propria morale, a seconda delle proprie tradizioni e dei propri bisogni»), ovviamente nella
accettazione dei temi di fondo del Corano
stesso.
I1 già citato Gerard Schweizer, riferendosi
a quell'epoca ed allo straordinario fenomeno
di questa eccezionale emancipazione autonomistica dello spirito umano, dirà:
«Una cosa straordinaria! Una idea che, oltre a superare ogni capacità d'immaginazione dei musulmani di allora, resta una
provocazione per parecchi cristiani del
XX secolo».
Resta cioè una provocazione per noi, amici, ed è fra gli eredi di quegli individui - pochi ne restano, pare, e di difficile identificazione - che occorre cercare, per quanta fatica ci costi, che occorre trovare, perché solo su
costoro - ritengo - potremo contare per
proporre una ri-collaborazione al fine di costruire, dallo sfacelo attuale del Mediterraneo, dalle rovine materiali e morali della
Guerra del Golfo, quell'idea anzitutto, quella
concreta realtà subito dopo, dell'unità federale del Mediterraneo, del nostro Mediterraneo, il Mediterraneo dei poveri, il Mediterraneo della creatività.
Vivere, difendere, sviluppare
la propria cultura
A questi risultati in campo islamico si era
giunti in epoca posteriore a Gesù Cristo attraverso secoli di fallimenti, di martiri, di fatiche, di sacrifici, nel magistrale insostituibile
esempio iniziale degli anacoreti cristiani: perché se è vero - e ce lo conferma il solito
Schweizer - che «L'Islam non ha papi che
dicano in materia di fede una parola vincolante per tutti, cosi come la dogmatica cocciutaggine dei teologi può venire contestata da
ciascun musulmano.. .» (i «monaci» musulmani, o quanto meno coloro che più si avvicinarono a tale «categoria», conquistarono e mantennero una loro costante indipendenza, a
differenza dei confratelli cristiani). è Dur anche vero che dovettero sottostare occasionalmente a feroci dittature locali (il supplizio di
Al Hallaj e quello, altrettanto emblematico,
di Sohrawardi il creatore della «filosofia della
luce» e fondatore fin da quei secoli della filosofia moderna iraniana, giustiziato, a soli 36
anni dal fanatico Salahddin - il celebre «feroce Saladino» dei Crociati), delle quali un
esempio moderno potrebbe essere rappresentato da Khomeini: questi, si noti bene, si è
imposto proprio sulla più ricettiva, futuribile
e culturalmente valida setta musulmana,
,
A
COMUNI D'EUROPA
quella degli Sciiti dove storicamente è più vivo lo sforzo di restare fedeli ai valori di fondo
e soprattutto a quelli della tolleranza islamica, così come è rimasta più viva l'esigenza di
trattare tutti i temi filosofici e teosofici. da
quelli orientali a quelli cristiani.
Costante è stato quindi lo sforzo nelle categorie sufi più umili di approfondire, preservare e diffondere i significati profondi del messaggio coranico mentre altrettanto intenso,
d a parte dei «filosofi», poeti e scrittori, operanti nell'area Sufi, l'impegno e la fatica per
la trascrizione, lo studio e la diffusione dei
~ a t r i m o nculturali
i
greco-romani. orientali ed
"
ebraico-cristiani, fatica improba che comportava tra l'altro continui spostamenti fra i vari
centri universitari e culturali (biblioteche)
islamici.
I1 Sufi e l'uomo di pensiero islamico non
dovevano conoscere ostacoli, dovevano contribuire alla cultura di tutti, senza considerazioni di confine, per dirla con il solito Rumi:
«Egli non è di vento, né di terra, non è di
fuoco né d'acqua
Fa piovere perle senza nuvole
l'Uomo di Dio è un mare senza sponde»
e ci piace identificare questo mare con il Mediterraneo «mare senza sponde» i cui messaggi di pace, di tolleranza, di amore - nel senso più lato sopra precisato - benché apparentemente sovrastati dalle silaventose aberrazioni, contrasti e soprusi dei poteri costituiti, di fatto si espandevano sulla sua superficie, portati dai nuovi venti, ritrasmessi dalle
sue onde ben oltre i «confini» fisici del mare
in tutti i territori che su di esso gravitavano.
E l'incitazione era costante, agire, agire
per la pace, la tolleranza, la conoscenza vera
che non poteva non portare come conseguenza l'Amore universale e reciproco; vivere
concretamente la propria cultura, considerarla emblematica di tutte le culture del mondo.
Faticare, viaggiare, comunicare - era stato già il dramma degli apostoli di Gesù studiare soprattutto, creare e studiare, giorno
e notte, senza cedere a fatiche o a coercizioni
fisiche o morali da parte di chicchessia, senza
lasciarsi distogliere dai propri impegni spirituali, dal servizio degli altri, dalla passione
per la propria cultura o per qualunque componente di essa:
«I1 mio animo inclina ad ogni cuore soverchiato dell'Amore.
ad ogni lingua che parla di passione
ad ogni ciglio che non cede al sonno»,
canterà l'egiziano Ibn Farid (XIII sec.), un
altro dei grandi della storia dei Sufi, considerato il più celebre dei poeti mistici arabi.
E le sue parole sembreranno riecheggiare
quelle che da sempre vengono ritrasmesse
dalle risacche mediterranee fino alle più sperdute e desolate spiagge, per l'orecchio attento
di chi voglia ascoltarle, le parole, umili e maestose ad un tempo, di Lucrezio:
«Ho vegliato le notti serene»
(«...me inducit noctes vigilare serenas»)
Conclusioni
I motivi principali
Abbiamo tanto insistito sul concetto di Sufismo perché di esso consiste la vera profonda
COMUNI D'EUROPA
natura dei possibili, potenziali interlocutori
mediterranei, nordafricani e medio orientali,
con le comunità dei quali riteniamo indispensabile stabilire vincoli federalisti in vista di
una autonoma federazione mediterranea. e vi
abbiamo insistito perché sappiamo che scuole
di Sufismo assai efficienti ancora sono diffuse nel mondo islamico benché, come sopra
precisato, spesso perseguitate, quasi ovunque
fortemente indigenti.
Vi abbiamo insistito perché taluni aspetti
essoterici (estroversi) di esso, quale ad esempio i1 fenomeno dei cosiddetti «dervisci», è
ancora in piena fioritura, pure in mezzo a innumerevoli ostacoli persecutori di carattere
politico, ed esso rappresenta una fondamentale frazione dell'indipendente spiritualismo
islamico «attivo» ed estroverso, da non confondere tuttavia integralmente con il Sufismo, aspetto «esoterico» ( = profondamente
interiore) di esso, con il suo rigoroso, logico
conseguenzialismo: il Sufismo, lo si ripete,
rappresenta uno dei caposaldi su cui riteniamo dovrà poggiarsi l'anarco-federalismo mediterraneo quale noi lo intendiamo, nei suoi
rapporti con 1'Islamismo.
Non sarà un'impresa facile, la diffidenza
islamica, africana e medio orientale nei confronti di noi occidentali è ormai profonda e
disastrosamente approfondita dalla recente
Guerra del Golfo, comunque la si voglia considerare: ma si ritiene che occorra insistere in
questa direzione, non scoraggiandosi per inevitabili ostilità locali, diffidenze, persino ironie nei nostri confronti.
I1 nostro benessere. così accuratamente
preservato e idolatrato, rapportato alla terribile indigenza della maggior parte di quelle
popolazioni, rappresenta il nostro tallone di
Achille.
Ma la solidarietà tra uomo e uomo di cui
l'occidente necessita, nella sua spiritualmente
sterile sovrabbondanza, più di quanto non vi
necessitino i «poveri del Mediterraneo», ci
esorta ad insistere, paradossalmente applicando un altro dei principi base del Sufismo,
questa volta dovuto ad Ar-Rudhabari (deceduto nel 935), una regola di vita per quanti
credono in essa:
-
- -
«I1 Sufismo consiste nel fare inginocchiare
il nostro cammello davanti alla porta dell'Amato anche se l'Amato ci respinge»,
dove, con il termine «Amato» tutto può essere inteso, nella sovrana libertà e autonomia
spirituali dei Sufi, dal Dio Clemente e Misericordioso, al Dio Universale dell'amore, all'uomo, creatura di Dio, all'Uomo semplicemente senza alcun riferimento a creatori.
quando la solidarietà laica verso di esso giustifichi l'esistenza di una regola s~iritualeinteriore, che è quanto basta ai Sufi perché si
ilossa collaborare con essi.
Volendo in definitiva riassumere i motivi
del suggerimento di tale strada preferenziale
«sufista» nel quadro di un programma federalista mediterraneo, essi possono essere definiti così come segue:
1) I1 Sufi ha sempre lottato per mantenere
fede allo spirito originario dell'lslam che è
tolleranza, spiritualismo, solidarietà, devozione Der il Creato. tutti attributi che un vero
anarco-federalismo, quale quello che andiamo
propagando da decenni, deve sentire come
propri; sente, di fatto, come propri, anchese
spesso in forma non trascendentale.
2) I1 Sufismo ha influenzato direttamente
grandi esponenti di base della nostra cultura
cosiddetta «cristiana», di fatto rappresentan-
-
-
L
d o quindi una delle principali componenti di
quelle radici culturali, in difesa e in sviluppo
delle quali proponiamo il federalismo mediterraneo.
Solo per citare alcune delle figure profondamente influenzate dal Sufismo e che hanno
storicamente modellato la nostra cultura, cioè
noi tutti, voi che mi ascoltate - fra gli altri
- ed io che vi parlo, si potrebbero fare i nomi, fra i «laici», di Dante, di Paracelso - quel
minatore, medico, filantropo, europeista vagante per tutti i paesi d'Europa, scienziato
indipendente, odiato perciò da tutti i cattedratici che lo accusavano di magia, mistico,
neoplatonico, cattolico agostiniano, contestatore, perseguitato perciò dai fautori di tutte
le forme dogmatiche di religione - d i Fibonacci, matematico del XII-XIII secolo, mediterraneista nel senso più specifico del termine, pellegrino dall'Egitto alla Siria, dalla Sicilia alla Provenza, a raccogliere, elaborare e
trasmettere, per l'occidente, i risultati dello
stuoendo fiorire delle scienze esatte nell'Islam, il riformatore delle scienze matematiche in Europa, il cui sviluppo dopo di lui, e
ancora ai nostri giorni, non avrebbe più avut o soste, introduttore in Italia e nella stessa
Europa della numerazione araba, autore di
magistrali opere matematiche in una delle
auali «Lettura Abbaci* doveva fornire una
volgarizzazione dell'uso della matematica ad
uso dei mercanti mediterranei che doveva
consentire una esplosione senza precedenti di
commerci fra i iloiloli di auesto mare e una
costituzione di fatto di una «comunità economica» mediterranea, era anche commerciante, lui stesso; di Federico 11, d i Raimondo Lullo, il mediterraneo per antonomasia di Palma
di Majorca del XIII-XIV secolo, «federalista.
culturale» ante-litteram, conoscitore delle
principali lingue del tempo, dal latino all'arabo, dal catalano al provenzale, autore di 243
oilere sicure e di un numero vistoso attribuitegli, mistico geniale, sofferto e creativo,
scienziato lirico e rivoluzionario. a lui si devono le prime modernissime astrazioni nel
campo delle ricerche.. ., di Bacone, di Pascal,
e via via fino al tempo nostro, fino a Beniamino Franklin e scusate se dico poco ... per non
parlare dei religiosi, basterà citare esemplificativamente papa Silvestro 11, Tomaso d'AL
L
quino.
Tutti costoro attinsero, per frequenti esplicite ammissioni. dal Densiero e dal «modello»
di vita dei Sufi; e salterà agli occhi come fra
i nomi sopra citati sono i più grandi spiriti
«transnazionali» che al «modello Sufi» direttamente o indirettamente si is~irarono.
E questo «modello di Maestro sufi» - come ci dice Gabriele Mondel, direttore di istituto e docente alla Facoltà di Lingue e Letteratura straniera di Milano e nell'università
Europea di Bruxelles e soprattutto direttore
dell'Istituto islamico di Archeologia orientale
- «oDera segretamente nel mondo. confuso
fra la folla cui suggerisce di continuo i modi
e le modalità per evolvere (ad esempio le prime università d'Europa vennero segretamente organizzate da Maestri sufi della Spagna
musulmana), grazie al simbolo, alle arti simboliche, alla cultura antinazionalista e atemporale, alla disinibizione formale dello spirito, alla meditazione, alla contemplazione, superando concetti dogmatici e precetti.. . Per
questo i valori usuali perdono significato, la
verità contingente viene superata e spesso negata, per cui il vero Sufi è esattamente l'opposto di un religioso fanatico...».
3) Vi è tuttavia un altro elemento prefeL
-
MAGGIO 1994
renziale che suggerisce una prima proposta di
ramorti di collaborazione con il mondo sufista: ed è il «concretismo islamico» di costoro,
in ciò forse ~ i simili
ù
agli
,/ occidentali. con il
vantaggio di una maggiore fedeltà alle motivazioni di fondo, troppo spesso dimenticate
da questi ultimi nella loro frenesia scientifico-progressista.
Scrive a questo proposito Idries Shah, fra
i maggiori Sufi odierni esistenti, come si è
visto:
L L
«Ma non abbiamo nemmeno incominciato
ad enumerare i campi in cui questi grandi
Sufi ed i notoriamente formati dai Sufi
(questi sono una minoranza fra quelli esistenti, perché il Sufismo è azione non istituzione) hanno compiuto attività sociali filosofiche o d'altro tipo negli ultimi mille anni ... per questa loro fatica sono stati accusati di essere segretamente cristiani, ebrei,
indù, apostati.. . vennero e vengono tuttora, in alcuni luoghi, ritenuti immorali perché permettevano alle donne di partecipare alle loro riunioni». ..
E d è il Sufi Rauf Mazari che esprime, forse
con maggior sintetismo, la connessione fra
questi diversi elementi, tracciando, in un certo senso, una linea logica, un anello di potenzialità creativa dirompente su cui tanti mediterranei, di varia origine, cultura, provenienza, possono convergere e nella quale possono
riconoscersi soprattutto i transnazionali e gli
anarco-federalisti:
«l'Amore è Azione; l'Azione è Conoscenza;
la Conoscenza è Verità; la Verità è Amore».
Possibili programmi
Si va così delineando, per questo aspetto
apparentemente così complesso, una sorta di
articolazione dei rapporti di collaborazione
con il mondo islamico - rapporti, lo si ripete, prioritari per qualunque finalità federalista mediterranea - una sorta di linea di azione, di programma iniziale che potrebbe essere così sintetizzato:
1) Ricerca di tutti i centri culturali Sufi vedremo poi le difficoltà di tale iniziativa o influenzati da Sufi, o comunque meno soggetti ai fenomeni di radicalizzazione estremista, nazionalista o xenofoba, forse più espliciti attualmente nel mondo islamico, notoriamente più estroverso, ma ben presenti anche
nel mondo occidentale, benché meglio camuffati, come vedremo fra poco: ad esempio,
i centri culturali magrebini, benché tutti concordemente anti occidentali in occasione dell'attuale Guerra del Golfo, sono troppo interconnessi con la cultura occidentale - e quella francese in Darticolare: la linpua
francese è
"
fra l'altro divenuta la loro seconda lingua madre - Der non essere coscienti del contributo
da essi fornito alla cultura cosiddetta occidentale come di quello da essa ipotecato e per
non essere conseguentemente aperti a certe
forme di collaborazione soprattutto a livello
creativo. artistico. culturale.
Analogamente i centri universitari per
quanto politicamente massimalisti, soprattutto a livello studentesco, sono troppo interessati ad un proseguimento ed incremento della
collaborazione scientifica con i centri universitari occidentali - interesse, del resto, perfettamente reciproco - per non vedere con
favore un superamento dell'attuale fase di
contrasto.
MAGGIO 1994
Ad esempio, a chi vi parla risulta che l'attività della «Associazione delle università mediterranee» (cum) continui regolarmente il
proprio proficuo lavoro.
Infine i centri artistici a tutti i livelli mantengono per antomasia un rapporto di «collaborazione e interscambio~di creatività con
analoghi centri occidentali, al di sopra dei pur
presenti contrasti politici.
Ed è in questo trinomio: cultura-Sufismocreatività, che vedo la chiave di volta per risolvere i problemi di una collaborazione iniziale la cui potenzialità successiva può gradualmente divenire esplosiva in senso transnazionale e comunitario.
Di aui l'eccezionale im~ortanzadelle associazioni culturali, artistiche e scientifiche,
delle più grandi, quale 1'Unesco (che appare
tuttavia fortemente condizionata dalla sua rigida nazional-dipendenza, cioè dal fatto che
i suoi esponenti sono rigorosamente selezionati dagli stati nazionali e sottoposti alla disciplina di questi) al sopracitato Cum, per il
campo scientifico, al Movimento Federalista
per le proprie componenti culturali e artistiche (una volta assai forti), alle minori; e qui
mi riferisco esemplificativamente, ma esplicitamente, a organizzazioni del recente
e del presente quali «Lotta Federalista» che
fin dagli anni 1960, partendo dall'aspetto politico, comprese e sottolineò, esemplificandola, l'importanza determinante della creatività
artistica e la validità degli elementi utopici
per affrontare problemi politici apparentemente irrisolvibili, od il Teatro Globale che,
partendo questa volta dalla «via opposta», dal
campo creativo ed utopistico, ne sta comprendendo e valutando l'importanza determinante in campo politico.
2) Analisi, con le controparti comunitarie
mediterranee, delle comuni radici culturali,
del loro attuale stato di crisi., so~rattuttodel
pericolo - mai come in questa fase storica
drammaticamente incombente - di una definitiva spaccatura del fondamentale creativo
«anello» mediterraneo ~reziosoDer la sintesi
dei valori europei, africani e medio orientali;
spaccatura che seguirà inevitabilmente, anche senza la specifica volontà di alcuno, al
graduale consolidarsi dei due monolitici blocchi europeo ed africano e dei rispettivi interessi.
Vorrei aggiungere, abbandonandomi anch'io, solo per un momento, alla validità piacevole della creativa fantasia, che occorre
prevedere analisi comuni del rischio gravissimo che corre la nostra «lam~adadi Aladino»
tramite la quale possiamo ancora oggi - ma
fino a quando? - evocare il Genio onnipotente dello Spirito del Mediterraneo con il
suo grande turbante.
Ce la stanno rompendo, amici transnazionali, anarchici e federalisti, la nostra lampada. e con essa scom~ariràil nostro Genio mediterraneo: e sarà rottura irrimediabile, come
lo fu per le Alpi, sede un tempo di una cultura
comune e di un complesso di popolazioni che
le caratterizzarono, successivamente linea di
frontiera fra etnie standardizzate e finalizzate allo scontro frontale.
Difendiamola, amici, la nostra lampada di
Aladino, sediamo attorno ad essa come attorno ai fuochi notturni sahariani., ~ e r c h ci
é è indispensabile individualmente e collegialmente. Essa rappresenta la nostra cultura mediterranea che, opportunamente «maneggiata»,
crea il gigantesco spirito della creatività mediterranea mediante il quale qualunque pro-
-
L
-
.
-~
-
blema sociale e politico può essere affrontato
e risolto.
E «maneggiarla» significa prenderne adeguata conoscenza in tutte le sue articolazioni
e derivazioni, identificarne le origini, proporci - sempre in cooperazione fra comunità
mediterranee - quali custodi e gestori di essa, poi amministratori della cultura in essa
racchiusa, in una parola chiedere, esigere,
conquistare il Federalismo mediterraneo.
3) Identificare tutte le etnie e soprattutto
le minoranze gravitanti nel bacino del Mediterraneo, cercare di raccoglierne quanti più
dati possibili di carattere culturale (storia,
lingua, creatività), caratteristiche territoriali
(architettura, urbanistica, tradizioni, folklore), e di carattere sociale (livello economico,
esigenze varie).
4) Identificare le etnie o comunque le comunità a rischio, sia per motivi politici contingenti (esempi fin troppo evidenti sono rappresentati da Curdi, Armeni, Touareg, ecc.)
sia per lento degrado dovuto a disinteresse
degli stati nazionali maggioritari.
Tali ricerche, sono sicuro, riserveranno
sorpresa per ciascuno di noi e comunque ci
compenseranno dell'eventuale fatica, fornendoci un corredo di notizie che ci sarà prezioso
non foss'altro perché coinvolge comunità
umane di cui facciamo Darte culturalmente.
5 ) Cercare di stabilire una interconnessione fra i principali centri culturali e politico-culturali mediterranei disposti ad un eventuale programma di federalismo meditevaneo;
e scambiarci ogni possibile informazione cercando di coordinare i corrispettivi sforzi. Si
potrebbe esemplificativamente citare fra questi il Partito transnazionale, per la concordanza ~ressochétotale sulle finalità. il Movimento Federalista Europeo, nei limiti già sopracitati in cui le due linee programmatiche
vengono tenute rigorosamente separate, il
gruppo Lotta Federalista-Teatro Globale per
la valenza utopico-federalista che già negli
anni '60 e '70 preannunciò l'indirizzo anarchico-culturale, adesso riconosciuta come
causa ed effetto del crollo degli imperi totalitari («la fantasia al Dotere». l'Arte. la Creatività artistica ed i suoi esponenti come avanguardia e sostituti dei poteri politici), 1'Areda, Associazione Radicale per lo Stato di Diritto in Africa.
A proposito di quest'ultima, se ne vorrebbe sottolineare l'importanza particolare, non
solo da un punto di vista «progettuale», perché dal suo successo dipende la sorte dell'auspicabile riferimento ai paesi nordafricani e
sahariani (un federalismo non è concepibile
che fra comunità democratiche o in fase di
democratizzazione), ma soprattutto per l'esempio fornito di azione concreta in loco, volontaristica in condizioni socio-ambientali
particolarmente difficili e complesse.
6) Attivare, in ogni settore della creatività
umana, interessi verso il mondo mediterraneo con riferimento specifico, per non restare
nel vago, alla sua realtà odierna, alla sua realtà passata, alla sua creatività passata e soprattutto a quella potenziale moderna: sia in campofigurativo (e qui pensiamo all'esempio assai
probante della Biennale di Venezia nella quale potrebbe essere enucleato un «corpo» mediterraneo), che in campo teatrale soprattutto
(riproducendo, diffondendo, recitando o anche solo dando pubblica lettura di testi teatrali elaborati nelle varie comunità mediterranee, quelli africani assai interessanti per
quanto poco conosciuti), in campo musicale (e
qui pensiamo alle varie associazioni di musica
COMUNI D'EUROPA
moderna. alcune delle auali validissime in
Roma: il giornale «Lotta Federalista» potrebbe essere riattivizzato anche in auesto senso
e riprendere la gloriosa tradizione della «Bronislaw Hubermann Society» ("), così come in
tutti gli altri campi della creatività (dalla letteratura alla danza. al mimo e via dicendo):
con particolare riguardo ai fondamentali problemi mediterranei di natura politico-etnica
(minoranze di ogni genere); sociale (miserie,
carenze di sviluppo, fanatismi, problemi della
donna, soprattutto arretratezza medico-assistenziale, istruzione pubblica, ecc.); ambientale (desertificazione avanzante, siccità, problemi di difesa e valorizzazione ambientale,
ecc.), economica, la cui importanza è ovviamente basilare, ma che abbiamo citato per ultima proprio perché tale problematica sia vista in funzione delle finalità precedenti, e non
come «fine a se stessa» secondo il modello occidentale i cui limiti e i cui disastri ambientali
e psicologici sono sotto gli occhi di tutti.
7) Creare, a livello di pura creatività o di
promozione e stimolo, testi di qualunque genere. dai letterari ai teatrali. musicali. televisivi, documentaristico-creativi (la «documentazione» e rappresentazione saggistica, giornalistica, televisiva o altro dell'attuale realtà
socio-ambientale-artistico mediterranea può
assurgere a livelli di creatività originaria di
primissimo ordine), cercando di diffonderne
i contenuti a tutti i livelli e negli ambienti più
vasti possibile.
8) Inutile sottolineare ancora una volta come la ripresa dei giornali «storici» federalisti,
da «Popolo Europeo» a «Lotta Federalista»,
oltre alla diffusione di «creatività diretta» potrebbe rivestire importanza basilare per ogni
tipo di proposta, diffusione e discussione organizzativa nei sensi sopra esposti; non si
scordi che i valori metodologici e organizzativi di cui alcune persone dispongono equivalgono in ogni senso a valori creativi, come
quelli artistici dei quali rappresentano «forme» dovute a particolari aspetti di talenti
spesso eccezionali.
~
~
Le difficoltà da preventivarsi
Inutile nascondere e nasconderci le difficoltà del progetto di «Federalismo mediterraneo» su cui ci siamo prima dilungati; cerchiamo di esaminarle rapidamente nei limiti di
tempo concessi dal presente intervento, riservandoci di tornare su di esse nel corso dei
successivi indispensabili incontri fra coloro
che decideranno di aderire a questa «proposta di programma» per un federalismo mediterraneo.
I ) Difficoltà di ordine politico
a) Precedenza Est-Ovest: inutile dilungarsi
sulla prioritaria importanza che tale argomento (rapporti Est-Ovest) riveste attualmente e
per motivi certo non secondari, nelle attenzioni, impegni, sforzi dell'attività politica internazionale.
Le recenti vicende dell'Est europeo giustificano questo «stato di fatto» che distrae non
poco l'attenzione di tutti e di ciascuno dal
(') La ben nota associazione musicale federalista intestata al violinista Bronislaw Hubermann che, in alcuni anni di attività e di
concerti, ottenne l'adesione al federalismo europeo, mediante
lettere circostanziate al giornale «Lotta Federalista)) di violinisti
e musicisti di ogni parte del mondo.
COMUNI D'EUROPA
problema Nord-Sud, cioè dal problema dei
paesi in via di sviluppo, di quelli africani in
particolare e specificatamente del problema
mediterraneo che connette concettualmente,
politicamente, geograficamente, socialmente
l'Europa all'Africa.
Solo il Vaticano, più preoccupato degli uomini che delle vicende politiche, intuisce che
la gravità dei problemi dei paesi dell'Est potrà essere risolto forse in tempi anche abbastanza brevi a causa delle risorse economiche
di questi (come è noto le ricchezze agricolo-minerarie-energetiche
dei ~ a e s ex
i sovieti"
ci, Russia compresa, sono superiori a quelle
degli Stati Uniti), mentre il problema dei paesi in via di sviluppo (sahariani e africani in
particolare) è per ora senza prospettive di soluzione e ogni «ampliamento» del solco («hiatus» in termine Unesco: voce ipotecata dalla
geologia) che divide Europa da Africa, ossia
il mondo cosiddetto «occidentale» dal Terzo
mondo, rischia di creare una frattura irreparabile e le cui conseguenze possono essere catastrofiche e inimmaginabili.
Toccherà a noi federalisti, soprattutto a
noi anarchici-federalisti e libertari, sviluppare il discorso federalista Nord-Sud, imperniandolo sul «mito mediterraneo» che ci potrà essere di grandissimo aiuto, proprio per la
sua natura di «mito» e di leggendaria, concreta utopia foriera di tempi migliori per il disastrato mondo mediterraneo in agonia nel auale ci stiamo attualmente dibattendo.
b) Estremismo islamico: in attesa di esaminare fra qualche istante l'estrernismo cristiano, forse più pericoloso del precedente, per
quanto meno appariscente, la particolare risonanza di quello islamico in questo momento è causata dalla presenza di masse popolari
carenti di tutto, dilaniate da guerre stimolate
dall'occidente mediante apenetrazioni economiche» alienanti rispetto alle delicate e fondamentali caratteristiche geo-culturali locali:
con conseguenti
fenomeni di neocoloniali"
smo, vendita diretta di quantità ingenti di armi, manovre politiche ad ogni livello per salvaguardare gli indispensabili rifornimenti petroliferi a favore dei paesi più progrediti.
Tali «masse popolari» sono ovviamente facilmente fanatizzabili soprattutto in senso
anti-occidentale ma ciò, se denuncia gravi responsabilità da parte islamica, ne denuncia di
più gravi da parte dei paesi cosiddetti «sviluppati»: non si dimentichi che i contrasti pluridecennali fra occidentali e orientali ricchi (fra
occidente e comunismo sovietico) ha istigato
ancora di più la manipolazione dei governi di
tali popolazioni nel tentativo di strumentalizzare queste ultime rispettivamente a favore
delle due parti.
La Guerra del Golfo ha portato la situazione ad uno stato di crisi apparentemente senza
rimedio almeno nei brevi termini: ed è per
questo che, nella prima parte del mio intervento, mi sono tanto soffermato su questo
punto e sulla «via dei Sufi» che sembra oggi
l'unica via percorribile non tanto per una
provvisoria riconciliazione, per una «panacea» provvisoria per fronteggiare il disastro
in corso, ma perché - secondo chi vi parla
- essa rappresenta «la via» attraverso la quale l'unità mediterranea. il federalismo mediterraneo possono essere prima prospettati come meta comune, successivamente perseguiti
e, se Dio ci aiuta, un giorno raggiunti. Ma
riuscire ad impegnarsi su questo obiettivo sarebbe già un trionfo.
C) Estremismo cristiano: forse più che di
estremismo nei confronti del mondo dell'I-
-
slam si può parlare di secolare diffidenza radicata nella gente comune come conseguenza
di una altrettanto plurisecolare educazione
che ben raramente ha messo in risalto la
straordinaria valenza spirituale dell'Islam, le
profonde derivazioni1 connessioni con il Cristianesimo, la potenzialità universale della
sua cultura che, se ha attinto a piene mani da
quella orientale greca e biblico-cristiana, ha
elaborato e restituito in maniera maggiore di
quanto ne abbia attinto facendoci di conseguenza più debitori che creditori nei suoi
confronti.
Inutile stare ora a polemizzare sul perché,
nei secoli passati, siamo stati tenuti all'oscuro
della verità di questo interscambio, di queste
radici comuni con l'Islam, cosa che avveniva
molto meno, come si è visto, in ambito islamico dove le grandi figure della religione cristiana e i loro messaggi scritti (Gesù, Maria,
i Santi, il Vangelo, la Bibbia) erano venerati
come in quello cristiano (insistiamo ancora su
Gesù «sigillo dei Santi» considerato almeno
«in parallelo» con Maometto «sigillo dei Profeti») e dove conseguentemente le forme di
«integralismo ed esclusivismo» di fondo erano meno radicate che nel mondo cristiano
con la conseguenza di una tolleranza assai più
accentuata. Tale fenomeno era poi favorito
dalla mancanza di potere centrale che limitava gli estremismi a potentati locali, estremismi destinati conseguentemente a spegnersi
con la scomparsa dello stesso potentato.
Comunque ci troviamo a dover fronteggiare, da parte cristiana, una diffidenza «pseudo
religiosa» assai radicata nella gente di scarsa
coscienza culturale, associata ad una diffidenza per stadi comportamentali sociali ritenuti
«inferiori» ai nostri, se non addirittura primitivi: patriarcato, poligamia, scarsi diritti riconosciuti alla donna (la donna occidentale è infatti l'elemento istintivamente più diffidente
verso il «sistema» islamico e conseguentemente verso il mondo corrispondente). E ancora occorre aggiungere la carente differenziazione fra diritti civili e religione, con conseguente carente libertà personale addirittura
con carente «esigenza di libertà».
Abbiamo visto come tali «situazioni» siano
state superate dalla filosofia islamica e soprattutto lo sia stato da parte dei suoi esponenti più prestigiosi fautori dei suoi più profondi significati etici, quelli appunto difesi
strenuamente per oltre un millennio dai Sufi.
Ma, in occidente, in genere, il Sufismo non
si sa neppure cosa sia.
Certo, la situazione del federalismo nel caso «europeo» (anni '50-'60) era ben differente, l'azione federalista era favorita da uno
«snobismo intellettuale» dove tutti e ciascuno
preferivano sentirsi e considerarsi europei,
eredi ed artefici della cultura europea.
Nel caso del federalismo mediterraneo occorrerà ristabilire la verità della situazione
storica, ciò che non sarà comunque difficile,
la verità della situazione culturale, la sua potenzialità creativa futura: perciò l'intervento
del mondo culturale e soprattutto artistico-creativo è letteralmente fondamentale.
Siamo invece avvantaggiati da una ((vocazione» mediterranea, che mi pare aver sopra
definita «fisiologica», sulla quale si tornerà
più avanti e da una nuova «ottica» con cui la
Chiesa comincia a guardare al mondo islamico ed ai popoli africani ed in particolare a
quelli sahariani dove, come è noto, l'lslam è
predominante.
d) Conservatorismo storico: infine una ulteriore «complessità>>politica è rappresentata
MAGGIO 1994
da una precedenza storica che i movimenti
unionisti europei ed africani sembrano avere,
e vorranno presumibilmente mantenere, su
ipotetici analoghi movimenti di carattere mediterraneo, peraltro non ancora comparsi sugli orizzonti politici.
Senza voler parlare del Movimento Federalista Europeo, artefice primo, con personaggi emblematici quali Altiero Spinelli, delle azioni integrative del Continente (anche se
purtroppo sfociate in progetti e realizzazioni
eticamente e socialmente ben differenti, se
non contrarie, a quelle sognate, idealizzate e
concretamente progettate negli anni '60), si
potrebbe parlare del Movimento per l'Unità
Africana, sponsorizzato, almeno a parole,
dalla maggior parte dei «governi» più o meno
democratici attualmente al potere e appoggiati anche con una certa concretezza dal Ministero degli Affari Esteri italiano. Inutile ricordare come questo, tramite l'Istituto Italo-Africano, festeggia ogni anno questo movimento in Roma con l'intervento dei principali rappresentanti «ufficiali» dei governi al potere in Africa.
Nonostante le prevalenti componenti economico-conservatrici dei movimenti europeisti e la blanda adesione, forse più formale che
altro, al movimento unionista africano da
parte dei paesi interessati di quel continente,
è certo che ogni nostra iniziativa in senso federalista mediterraneo per una federazione
dei poveri e della creatività, sarà accolta, nella migliore delle ipotesi, da considerazioni
quali «facciamo prima l'Europa» o «facciamo
prima l'Africa», da parte di chi non capisce
che, una volta costituiti i «blocchi statali» europei e africani, già il federalismo mediterraneo sarà sepolto, distrutta ogni possibilità di
autogestione socio-culturale mediterranea;
distrutte cioè le basi di quello che riteniamo
l'indispensabile federalismo mediterraneo.
Non solo, ma con la distruzione di questo sarà distrutta sia ogni possibilità di democratizzare in senso progressista-utopista l'Europa
(dando al termine utopista il suo valore di vera creatività politica in senso umano e sociale), estraendola dagli attuali pantani di una
difesa esclusiva della propria presente «opulenza a qualsiasi costo» e di quella futura da
incrementarsi in ogni modo, che sembrano
essere i soli ideali oggi imperanti in campo ufficiale europeo, così come ogni possibilità di
democratizzare in senso sociale federalista la
stessa Africa destinata a prendere l'opulenza
come modello, sacrificando ad essa ogni prioritario valore culturale.
In tal caso non ci resterà che l'amara prospettiva di assistere o partecipare all'allestimento di ipotetiche sempre crescenti opulenze europee ed africane destinate a confrontarsi sulle rovine del mondo culturale mediterraneo, un «ricordo storico» quest'ultimo
- tale è la prospettiva che resta per esso lungo una «frontiera» marittima, una nuova
infame frontiera su cui fronteggiarsi e più
probabilmente ostacolarsi a vicenda, salvo le
esigenze del turismo naturalmente: le Alpi e
il fiume Reno, una volta splendide armoniose
aree culturali, fra le più creative del mondo,
insegnino in materia, ridotte come sono a
successioni di cimiteri di guerra nelle quali, a
loro volta, imperversa il turismo, destinato
- è fatale - a incrementarne l'opulenza ma
che non ci restituisce né i nostri morti di
guerra, né le etnie soffocate, né la creatività
locale della quale, spesso, si è soppressa persino la documentazione.
Occorre quindi insistere, da parte dei tranMAGGIO 1994
snazionali e degli anarco-federalisti. su come
il «federalismo mediterraneo» abbia un senso
ed uno s c o ~ osolo se lo si introduce. almeno
programmaticamente prima della consolidazione, nel bene e nel male, dei due monoliti
europeo ed africano, per quanto «federalisti»
questi vogliano autoconsiderarsi.
Le già citate scariche di mitraglietta fra i
guardiacoste tunisini, in fase di «africanizzazione». e i ~eschereccidi Sicilia in fase di
«strarburghizzazione» sono un sinistro presagio in materia: così come lo sono gli altezzosi
rifiuti da parte italiana di ricevere sul suolo
italiano i compatrioti albanesi: si poteva forse
chiedere e studiare una gradualità di arrivi,
non opporre un rifiuto per salvaguardare i
propri comodi politico-nazionali ed i grassi
interessi statal-nazionali, e si doveva soprattutto accettare tali compatrioti, ridotti allo
stremo, anche a scapito di tali interessi.
Tali «sinistri presagi» possono tuttavia rappresentare una fortuna se, anziché accettarli
per tali, si reagisce ad essi - come ha fatto
ad esempio la popolazione pugliese ospitando
in ogni modo gli ospiti albanesi - cercando
di creare condizioni tali (nel nostro caso pronrammando un federalismo mediterraneo)
perché essi non abbiano a ripetersi.
e) Ultimo ostacolo politico è rappresentato
proprio dalle mire politiche dell'attuale cosiddetto «integralismo islamico», che tenderebbe a unire in una unica «nazione» (!) islamica
tutta la fascia mediorientale e nordafricana
costituita da paesi dalla popolazione per la
stragrande maggioranza islamica.
Si tratta, come si vede, di qualcosa di ben
diverso non solo dall'auspicabile federalismo
ma anche da qualunque forma di Unitarismo
autoritario africano, altrettanto pericoloso
perché «spaccherebbe» in uguale irreparabile
modo il «mondo unitario» mediterraneo; probabilmente più pericoloso ancora perché alimentato da integralismi religiosi, fanatismi,
nazionalismi sciovinistici che potrebbero rappresentare una meta più appetibile, facile e
sicura rispetto alla complessa unità federale
africana.
Tale integralismo islamico sarebbe deleterio per tutti, per la pace del mondo anzitutto,
perché alimenterebbe espansioni in ogni parte del globo, per le popolazioni interessate,
che sarebbero coinvolte in guerre continue e
sottoposte verosimilmente a dittature spietate uniche forse in grado di gestire tali coacervi, ma esso sarebbe deleterio soprattutto per
1'Islam che perderebbe la sua prerogativa di
religione e costume di vita al di fuori e al di
sopra di politica e potere - esemplarmente
esente esso stesso da poteri - e che da questa sua obiettivamente riconoscibile aualità
(le eccezioni locali, per quanto vistose ed attuali. non fanno testo) ha derivato il suo fascino principale, il suo valore culturale di fondo, la sua potenzialità creativa nel quadro
della cultura universale.
A questa jattura ancora una volta il federalismo mediterraneo potrebbe porre rimedio
offrendo, con il contesto mediterraneo, un
palcoscenico sul quale tutte le religioni potrebbero estrinsecarsi, confrontarsi, difendersi e arricchirsi vicendevolmente, il che fra l'altro - è nei postulati del migliore Islam
(e si accennerà più avanti alla esemplare Costituzione di Medina) e del Sufismo in particolare. come si è visto soma.
In questo caso l'azione degli anarcofederalisti mediterranei dovrebbe consistere
nel persuadere le controparti che la «proposta» per una federazione di popoli mediterrau
u
nei è nell'interesse di tutti e dell'Islam e della
sua cultura principalmente.
Ancora una volta il problema non sarà facile ed è ancora una volta al mondo Sufi, ed a
quello più specificatamente culturale islamico, anche se non propriamente Sufi, che ci
dovremmo rivolgere, dove ritengo l'accoglienza potrebbe essere cautamente favorevole.
11) Difficoltà di ordine istituzionale
Benché non sia questo né il luogo né il posto per affrontare problemi così complessi,
tuttavia essi vanno identificati per non essere
troppo facilmente accusati di vano velleitarismo, di aspirazioni a mete irraggiungibili. Si
tratta in definitiva di prospettare soluzioni,
anche se solo adombrate, circa la situazione
di eventuali comunità, che intendessero aderire ad una prospettata federazione mediterranea, facendo già parte, ad esempio, di una
«federazione europea».
Non si può naturalmente disfare la federazione europea per fare quella mediterranea e
ciò anche se quest'ultima potesse sembrare
più urgente, nel quadro dell'attuale tragico
sconquasso dell'area interessata. Occorre
quindi preventivare soluzioni quali «zone
franche, zone di libero scambio, doppie cittadinanze», legislazioni a scelte alternative: si
pensi all'attuale sistema italiano, e non solo
italiano, di devolvere parte dell'esborso per
tasse a questa o a quella attività amministrativa o sociale o benefica o religiosa, sistema che
potrebbe essere ampliato ad interi corpi legislativi da scegliersi, nei limiti in cui l'uno non
danneggi l'altro.
Renato Angeloni, uno dei più grandi costituzionalisti italiani e mondiali (fra i fondatori
- oltre al resto - assieme a chi vi parla e a
pochi altri, del Centro socio-scientifico internazionale di «Geomorfologia integrata per
l'Area mediterranea»), incaricato dall'Onu di
studiare una costituzione democratica per l'islamica Somalia, riuscì a creare un «capolavoro» di integrazione, conciliando la «morale
religioso-legislativa» islamica con i corpi legislativi dei paesi laici, con risultati che si rivelarono pienamente funzi~nantianche se, in
tempi successivi invalidati dalle solite faide
per il potere comuni a tutti quei paesi, islamici o meno.
Ed era certamente più difficile conciliare
una legislazione religiosa integralista quale
quella islamica con una legislazione laica di
quanto non possa essere conciliare due legislazioni - Europea e Mediterranea - che,
per quanto al servizio di esigenze, comunità
e problematiche diverse, hanno comunque, o
dovrebbero avere, obiettivi di fondo identici,
quali la preservazione della libertà, del federalismo, della pace, del diritto, dell'assistenza
alle categorie più disagiate e via dicendo.
Problema complesso dunque, ma non irrisolvibile, la soluzione del quale, tra l'altro,
consentirebbe quella profonda osmosi fra cultura sociale e legislatura mediterranea ed europea contribuendo a democratizzare in senso più progressista ed internazionalista quest'ultima ora concentrata nella preservazione
ed accentuazione del benessere della comunità che si riconosce in essa, così come contribuirebbe a democratizzare, in senso maggiormente rivolto ai diritti del singolo uomo, una
eventuale legislazione mediterranea con forti
influenze islamiche.
Del resto, fu proprio un grande islamico,
COMUNI D'EUROPA
Averroè, che, fin dal XII secolo, identificando i limiti che si erano andati definendo attorno all'Islam, ma comprendendo altresì che
l'Islam, per la sua stessa natura, non poteva
tollerare limiti, salvo quelli che negassero il
Dio Clemente e Misericordioso, proclamava
alla sua gente, e in effetti proclamava a tutta
la cultura universale:
«O uomini! io non dico che questa scienza
che voi chiamate divina sia falsa: dico soltanto che io sono uno che conosce la scienza umana.. .».
Con ciò stesso rivendicando, accanto ai diritti inalienabili dello spiritualismo islamico
(«io n9n dico che questa scienza divina sia
falsa...»), i diritti dell'uomo e le sue esigenze
(«dico soltanto che io sono uno che conosce
la scienza umana...»). cioè la necessità che le
due «esigenze» si integrassero a vicenda: in
ogni modo che l'Uomo venisse riconosciuto
come soggetto fondamentale della vita terrena.
Era il preannuncio del Rinascimento ed un
preannuncio, si badi bene, datato anteriormente al 1200: gli ortodossi islamici, le componenti più bigotte delle masse, presenti in
tutte le religioni, sotto tutte le latitudini, le stesse così facilmente fanatizzabili oggigiorno - si scagliarono contro di lui, richiamato e relegato perciò in Marocco dal sovrano Almohade Al-Mansur. Ma l'affermazioneproclama doveva ripercuotersi come una
bomba nell'Andalusia, patria di Averroè e,
dalla cassa di risonanza della allora scintillante e dilagante cultura islamica, alla stessa medioevale Europa, scardinandone le componenti più oscurantiste.
Ai funerali di Averroè partecipava tutto il
mondo della «vera» cultura di allora, la disperazione di Ibn Arabi per una tale perdita era
bene comprensibile.
Si creava un altro «punto di riferimento»
cui potremo rifarci noi federalisti mediterranei moderni. Né ci si venga a dire che si trattava di un uomo e di una affermazione di 800
anni fa: significa non conoscere 1'Islam e gli
islamici Der i auali non sussiste una successione «orizzontale storicista» del pensiero dello
spiritualismo, ciò che, se ne limita l'aggiornamento in rapporto alle vicende storiche, ne
valorizza anche, attualizzandolo, ogni principio veramente valido per il quale non c'è passato, esiste solo il presente e l'infinità del
Creato, sempre uguale, riferibile ad esso.
Averroè, Ibn Arabi, la loro comune patria,
1'Andalusia... Ma che cos'è 1'Andalusia se
non Mediterraneo? E cosa sono Andalusia,
Sicilia, Maghreb ed altre regioni se non emblematici cardini fisici-geografici della unitarietà del mondo mediterraneo, se non dimostrazioni senza tempo di quale trionfo di
creatività può derivarci da un reciproco innesto di queste diverse culture, il cui identico
denominatore comune, il Mediterraneo,
avrebbe garantito, garantisce e potrà garantire Der il futuro - se solo ci muoviamo in
tempo, e siamo già in ritardo - un insostituibile ~otenzialeassociativo e creativo senza
precedenti?
In definitiva è proprio in funzione di tale
osmosi tendente a «connettere» mondo EuroDeo e mondo Africano che viene considerata
e prospettata l'urgenza di una programmazione finalizzata al federalismo mediterraneo.
Per inciso, tali «soluzioni» interesserebbero oltre alla connessione Mediterraneo-Europa, anche la connessione Mediterraneo-Africa così come potrebbero essere in forme diCOMUNI D'EUROPA
verse riutilizzate per conciliare le esigenze
autonomistiche e legislative del mondo
nordico-europeo che, come si sa, teme motivatamente una eccessiva propria sudditanza
al mondo centroeuropeo.
I1 problema non può che essere affrontato
da giuristi che credano nel federalismo e nella
cultura mediterranea, che abbiano in definitiva quella «vocazione per il Mediterraneo»
che sola può convincerli ad affrontare un problema talmente complesso ma, lo si ripete, di
non impossibile soluzione.
I1 pensiero, scomparso Renato Angeloni,
va a quegli specialisti e studiosi di scienze legislative e costituzionali che a suo tempo anni 1960! - promossero e gestirono le iniziative federaliste di allora (quelle di piazza
in particolare che portarono al Congresso del
Popolo Europeo), o che oggi sono ai vertici
dei centri di studio sulla legge, il diritto e la
costituzione.
Essi, anche per antica vocazione federalista, potrebbero, se non risolvere, almeno affrontare il problema e suggerirne possibili soluzioni.
finirò mai di ricordare). Der ricorrere ad i m ~ o sizioni coercitive allucinanti cosiddette «sociali», al prezzo di soppressioni di libertà e
creatività (si ricordi il suicidio di Majakovski)
e di un devastante burocraticismo. sembra
giustificare, dinnanzi ad una società pigra ed
opulenta, la necessità di curare soltanto la
propria «personale» opulenza, in nome della
propria «personale» tranquillità, della propria
«carriera», assolutamente prioritaria, della
«professionalità» oggi idolatrata in sé e negli
altri: i progettisti delle camere a gas di Dachau sostengono, probabilmente a ragione, di
essere stati «professionisti» seri e coscienziosi, così come il dr. J.I. Guillotin, inventore
della celebre ghigliottina, così come gli inventori e i progettisti delle famigerate modernissime - presto elettroniche - «sedie elettriche» oggi in allegra continua funzione negli
Stati Uniti d'America.
«La famiglia innanzi tutto», questo lo slogan odierno, i «figli» che devono avere la precedenza assoluta, il «lavoro», non più visto
come fonte di sostentamento o soddisfazione
di una vocazione sociale e creativa, ma come
fonte di accumulo di ricchezze., semDre nuove
e più estese ricchezze, per rispondere a stimoli sempre più parossistici. Le Università di
Economia e Commercio rigurgitano di aspiranti «miliardari proprietari di panfilio. Questa triste ipocrisia si trasforma spesso in «autoipocrisia»: il singolo cioè si autopersuade
della legittimità delle motivazioni cui ho fatto prima riferimento e si sente pienamente
giustificato della propria inerzia dinnanzi alla
tragedia degli uomini, del loro mondo e della
loro cultura.
L'assuefazione al proprio benessere ed a
forme sempre maggiori di esso, diventa una
droga che irresponsabilizza gli individui, dai
quali è ben difficile ottenere qualcosa di più
di un generico apprezzamento per le «buone
intenzioni» che si dovessero esibire.
In questo particolare quadro sociale, una
iniziativa auale auella di un federalismo mediterraneo, rispondendo a criteri etico-politici di coordinare l'unione di sempre maggiori
e più estesi sistemi di comunità (come del resto fa da temDo il Movimento Federalista Europeo), risponderebbe anche a urgenti criteri
politico-sociali che, nel riportare la pace e nel
proporre sistemi integrati mediterranei, porrebbe le basi per risolvere i drammatici problemi sociali locali non solo nella fascia dei
paesi africano-sahariani, privi quasi del tutto
di risorse (se non ambientali), ma anche in
quelli «petroliferi» (ad es. Algeria) dove la situazione sociale è, a dir poco, catastrofica,
per non parlare dei paesi dell'area orientale
del bacino del Mediterraneo semidistrutti
dalle recenti nuerre.
In definitiva, pur nei limiti inizialmente
modesti delle proposte che qui si fanno in favore di un federalismo mediterraneo, si tornerebbe a rispondere, oltre alle esigenze culturali sulle quali ci siamo precedentemente
lungamente soffermati, anche e soprattutto a
quelle istanze sociali e umane che caratterizzarono e nobilitarono all'inizio del secolo i liberi autonomi movimenti di base dei lavoratori, con possibilità non solo di «drenare» tutti coloro che nell'attuale quadro politico non
trovano incentivi sufficienti a giustificare un
proprio intervento e sacrificio personale a favore di esso, ma di stimolare e vivificare, verso ideali concreti, urgenti, improcastinabili,
sociali e culturali, una società in fase di sprofondamento sempre maggiore in una torbida,
interessata inerzia assenteista.
A
L
III) Difficoltà di carattere sociale
Forse più che di difficoltà di carattere sociale si tratta di difficoltà di carattere psicologico-sociale.
Occorre cioè lavorare, soprattutto in Europa, in una società convertita faticosamente e
solo parzialmente all'europeismo; purtroppo
non al vero federalismo rifacentesi alle federazioni di base dei lavoratori del secolo scorso
ed alle loro s~lendideanarchiche iniziative
autonomistiche per rivendicare i propri e gli
altrui diritti.
Tale odierna società cerca di adattarsi stancamente all'idea di Europa per motivi di carattere prevalentemente economici e personali. la difesa dei ~ r o ~interessi
ri
materiali.
dei propri capitali, delle proprie ricchezze
che sembrano menlio difese in un contesto
europeo e soprattutto passibili di essere convenientemente incrementate in esso.
Si badi che non si vuole fare qui demagogia
anticapitalista, riconoscendo alla libera iniziativa, ed al capitalismo che la presuppone e
la finalizza, i meriti di dinamismo e progresso
economico generale, anche se non di progresso umano individuale, che tutti conoscono.
Si vuole solo constatare che dinnanzi alla
droga del proprio benessere materiale ed all'esistenza di un crescente consumismo astutamente finalizzato a tale scopo, è ben difficile chiedere e ottenere adesioni su nuove finalità politiche, su nuovi programmi, per quanto la loro validità, la loro improcrastinabilità
risulti evidente, solare.
Non esistono, nella società attuale - diciamo nella parte assolutamente prevalente di
essa - esinenze e diritti che non siano le proprie esigenze, commisurate alle sempre più
pletoriche esigenze dei tempi, ed i propri diritti, benessere che non sia il proprio benessere, commisurato al benessere a sua volta pletorico della società nella quale siamo inseriti.
La crisi degli «altri», l'oppressione degli
«altri», la fame degli «altri», la fame di tre
quarti della intera umanità, proprio non interissa, disturba, non viene perciò presa in considerazione: le istanze sociali internazionali
di un tempo sono assopite, il tragico errore
del comunismo di abbandonare l'anarco-federalismo di base (le famose federazioni operaie ottocentesche della Va1 Padana che non
A
-
-
-
MAGGIO 19'34
Condizioni facilitanti
i programmi proposti
Dopo esserci soffermati sulle difficoltà, accenniamo qui brevemente agli aspetti facilitanti una attività quale quella sopra proposta:
I ) Aspetti di carattere economico
e socio-culturale
a) Qualunque persona riflessiva o anche
solo sollecita dell'attuale situazione europea e
mediterranea non potrà non convenire sull'allucinante assurdità del vicolo cieco in cui
si è infilata l'Europa alla stanca ricerca di una
unità che le consenta di isolarsi sempre più
nella gretta difesa ed incremento del proprio
benessere; situazione che sta arrivando a tali
gradi di gravità da ripercuotersi anche psicologicamente nell'equilibrio dei singoli individui.
Conseguentemente la nostra proposta, a
parte tutte le altre motivazioni e finalità di
fondo, anche se accettata all'inizio solo da
una minoranza. lo sarà da una minoranza i
cui componenti disporranno di una vitalità,
di un equilibrio e di una chiarezza di idee socio-politiche, tali da metterli in grado di appoggiare, sostenere e diffondere l'iniziativa
in favore del Mediterraneo.
b) Le uniche organizzazioni politiche giovanili oggi valide ed efficienti sono quelle
ecologiche e ciò, come noto, non solo in Italia: non è un caso che tutte queste organizzazioni siano fortemente internazionaliste e lo
siano specificatamente in campo mediterraneo.
«Marevivo», per citarne solo una, attualmente fra le più attive in Italia (con il record
di 32.000 iscritti) auspica, sollecita e organizza su piano organizzativo, e persino su piano
operativo in mare, la cooperazione fra i vari
paesi meditewanei, e non poteva essere diversamente data l'indivisibilità di questo mare e
soprattutto dalle caratteristiche ecologiche
che lo caratterizzano nel bene e nel male.
In Sardegna si sta organizzando un grande
parco geominerario, storico e ambientale, in
corrispondenza della regione mineraria costiera dell'Iglesiente nella gestione e sfruttamento della quale hanno successivamente sostanzialmente collaborato comunità come le
cretesi, fenice, cartaginesi, romane, pisane,
spagnole, tanto che si è creduto di doversi rivolgere a questi paesi per proporre una «autogestione in comune» di una area meditewaneamente così integrata. E così via.
E evidente che non sarà difficile fare proselitismo in questi ambienti, non solo, ma ottenerne collaborazione. Chi vi parla ha avuto
sempre la netta impressione che tali organizzazioni sentano addirittura la necessità di essere affiancate, a livello politico-culturale,
cioè a livello federalista, da iniziative nel senso di quello sopra esposto.
C) La gravità della situazione economica,
persino nei paesi nord-africani apparentemente più progrediti, quali l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, fa sì che le locali popolazioni
tanto diffidino di un «inglobamento» del
mondo europeo, dalla libera iniziativa economica dal quale sanno, ed a ragione, di non poter non essere colonizzate, tanto guardano
con fiducia ad una collaborazione mediterranea, area nella quale si riconoscono geograficamente, spiritualmente, culturalmente (zona
di espansione storica dell'Islam) nei confronti
della quale sanno di essere economicamente
u
MAGGIO 1994
in debito, ma culturalmente anche in grosso
credito.
In particolare le comunità islamiche riconoscono, negli altri paesi non islamici gravitanti nella loro stessa area mediterranea, problematiche simili alle proprie, non temendo
conseguentemente fagocitazioni da essi, mentre nelle caratteristiche fisiologiche, psicologiche e persino socio-culturali di essi vedono
un riflesso non molto dissimile delle proprie.
Ancora una volta le esperienze professionali di chi vi parla confermano il particolare
interesse - ed anche qualcosa di più - di
queste popolazioni per soluzioni federative
mediterranee, soprattutto negli ambiti sociali
più sacrificati e negli ambienti geografici più
severi (Sahel, Sahara). Si sottolinea che non
vi sono, alla base di questi interessi, solo motivazioni di ordine economico, ma soprattutto di ordine sociologico e psicologico conseguenti alla curiosità e interesse di queste comunità all'interscambio ed alla comune gestione culturale di un mondo al cui sviluppo,
soprattutto attraverso l'Islam, sono coscienti
di aver contribuito in modo determinante.
d) Per quanto riguarda l'accettazione della
proposta negli ambienti culturali più qualificati non vi dovrebbero essere problemi. Naturalmente ci si riferisce a quei purtroppo ristretti ambiti culturali, che siano autenticamente e disinteressatamente tali, disposti
cioè ad impegnarsi e sacrificarsi per verità
culturali e programmi apparentemente utopistici quali quelli mediterranei; più di una riserva quindi per molti ambiti universitari
troppi dei quali condizionati, in alcuni dei loro esponenti, da motivi, forse inevitabili, di
carriera o di~endentida fonti di finanziamento erogati dai poteri o enti politicizzati e
pertanto dipendenti da essi.
Ancora una volta posso portare la mia
esperienza professionale per quanto riguarda
17Unescoquando, componente della delegazione ufficiale della Commissione nazionale
del17Unesco alla Conferenza "
generale delle
Commissioni nazionali della «Regione Euròpea», lamentando, in seduta pubblica, il fatto
che la suddivisione mondiale ufficiale dell'Unesco in Regioni (Regione Europea, Regione
Nordamericana, Regione Sudamericana,
ecc.) non considerasse la «Regione Mediteranea», ebbi a proporne la istituzione.
I1 successo fu pieno e immediato, inaspettato per il suo calore, soprattutto, ovviamente, da parte dei paesi mediterranei, i cui delegati vennero poco dopo a rallegrarsi ed a raccomandarsi di non lasciar cadere l'iniziativa.
11) Aspetti di carattere politico:
La Costituzione di Medina
La Costituzione di Medina, la sua promulgazione, i motivi che la ispirarono, la sua gestione, la sua connessione, persino, con i
principi coranici di cui si può dire rappresenti
una estrinsecazione politica pressoché contemporanea, se è ben nota tra gli studiosi islamici, lo è assai meno nella cultura occidentale.
Assai più grave è il fatto che essa sia molto
poco nota nello stesso ambito federalista, pur
rappresentando un «corpus» legislativo fra i
più federalisti che siano stati concepiti e realizzati nella storia.
I fatti sono noti: Maometto, avendo dovuto lasciare la Mecca (dove gli idolatri locali
erano riusciti a sollevare la popolazione, proclamando eretica la religione del Dio Unico e
Misericordioso da lui predicata, e progettavano di assassinarlo).
, , si era trasferito a Medina
dopo aver distrutto, assieme al cugino Alì, il
più grande idolo pagano ubicato alla Mecca
sul tetto della Kaba'H di allora, idolo che,
emblematicamente, si può ritenere, alla luce
dei fatti seguenti, simbolo non solo del panteismo, ma della violenza e della intolleranza.
A Medina il Profeta aveva dovuto rima
risolvere il problema di «sistemare» le centinaia di monoteisti islamici, suoi seguaci e con
lui fuggiti dalla Mecca: problema risolto invitando ogni famiglia maomettana di Medina a
ospitare una famiglia di rifugiati, invito prontamente accolto. E qui è forse opportuno ricordare che si tratta della stessa ospitalità
fornita in tempi recentissimi dalle famiglie
pugliesi di rifugiati albanesi, in deroga alle disposizioni governative che tramavano - in
parte riuscendovi - non solo di respingere i
fuoriusciti ma addirittura di fingere di «accoglierli» per meglio catturarli e rispedirli alle
autorità di provenienza con tutte le conseguenze penali e amministrative immaginabili.
Ma un secondo problema, questa volta di
natura politica, si presentava con drammatica
urgenza a Maometto, come conseguenza della
minaccia delle autorità della Mecca di distruggere Medina se i neo-rifugiati non ne
fossero stati espulsi.
Maometto dovette,. per la prima volta nella
sua vita, decidersi a proporre una «organizzazione comunitaria» in grado di accontentare
tutti i Medinesi e di opporsi efficacemente all'esercito della Mecca.
I1 risultato fu raggiunto con una soluzione
squisitamente federalista, invitando i rappresentanti di tutte le comunità presenti a Medina, musulmani, israeliti, cristiani, pagani di
varia estrazione, spiegando loro la convenienza di difendersi uniti, anziché affrontare singolarmente i propri avversari, ciascuna comunità per suo conto, come era stato fatto con
pessimi risultati fino ad allora, ciò che stimolava l'aggressività dei nemici. Speculando soprattutto sulle sanguinose contese interne verificatesi a Medina fra le citate comunità, ed
in particolare quella fra Awniti e Khazraiti
della quale non si era ancora arrivati a capo,
si realizzò il progetto proposto da Maometto:
una città-stato, presieduta dallo stesso profeta, sorretto da una costituzione: la Costituzione di Medina, appunto.
L'importanza di tale documento consiste
nel fatto che esso risulta il primo in senso assoluto nella storia del mondo antico.
Uno dei più grandi studiosi e specialisti del
mondo islamico. Muhammad Hamidullah.
invitato a celebiare solennemente alle sedi
centrali dell'unesco di Parigi, nel 1980, il
millenario della nascita di Abdallah Ibm Sina
( = Averroè: celebrazione proposta e approvata in seduta plenaria nel corso della XX sezione della Conferenza Generale Unesco,
nella quale si decise, fra l'altro, di abbinare la
celebrazione dell'ingresso nel XV secolo del1'Egira con il millenario della nascita di Avicenna), ebbe a precisare che, fin ad allora,
non erano stati compilati documenti analoghi
né presso i romani, né presso i greci o gli indiani o gli antichi cinesi.
Precisò, cioè, che la Costituzione di Medina rappresentava, in senso assoluto, il primo
documento scritto sanzionante la legge costituzionale
- . di
. uno stato, e tale legge costitutiva
era federale.
Ma non è questa la sola importanza del documento, né il fatto peraltro stupefacente che
esso sia stato compilato da un analfabeta,
u
COMUNI D'EUROPA
«cet illettré» come ebbe a definirlo Muhammad Hamidullah: il vero valore di tale prima
Costituzione storica Der noi anarco-federalisti risiede nel fatto che essa era radicalmente
basata sui principi di tolleranza reciproca, di
autonomia di base, di rispetto reciproco delle
singole comunità, più ancora, e qui siamo ai
vertici dell'anarco-federalismo, sulla impossibilità del potere centrale di interferire nello
sviluppo delle singole comunità.
Ancora una volta il tempo tiranno non mi
concede di intrattenermi troppo su un tale
documento e sulla applicazione concreta che
se ne è fatta: basta ricordare che in esso era
prevista - e fu attuata - una sorta di modernissima «assicurazione sociale» - in base
alla quale - solo per fare un esempio - un
individuo gravato da obbligazioni «doveva»
legalmente essere aiutato dalla propria unità
sociale, e questa a sua volta dalla propria comunità e questa a sua volta, per gradi successivi dalla organizzazione superiore, fino alla
città-stato che diveniva cosi la debitrice ultima.
Una sorta di «piramide alla rovescia», per
dirla con il mai abbastanza rimpianto Mario
Mariani, l'apostolo dell'anarco-federalismo
durante i già citati anni roventi del federalismo romano, la stessa invocata dai contestatori «costruttivi» del 1968, i quali presumibilmente non sapevano di invocare, almeno in
parte, diritti sanciti e concretamente applicati dalla Costituzione di Medina.
Ma il punto veramente più significativo
di tale Costituzione, il vertice «federalista»
di essa era rappresentato dal diritto di ciascuna comunità facente parte della federazione. ed in Darticolare di ciascuna comunità religiosa, di accettare permanentemente
nel suo ambito aualunaue individuo «esterno» essa ritenesse di dover accettare - ad
esempio un pellegrino cristiano o uno straniero ospite da parte della comunità cristiana senza che la «città-stato», chiamiamola più
modernamente «federazione», pur governata
inizialmente da Maomettani, potesse minimamente interferire; essa doveva solo accettare questo nuovo «cittadino», che assumeva
tutti i conseguenti diritti ed obblighi, perché
così era stato richiesto dalla comunità interessata.
Qualcosa di simile, come voi sapete, esiste
attualmente soltanto nella Costituzione svizzera e chi vi parla considera perciò tale paese
ù
in camDo federalista: in
come il ~ i avanzato
Svizzera infatti solo l'accettazione da parte
della Comunità di un Cantone consente ad
uno straniero di divenire cittadini di quella
federazione.
Lo stesso Muhammad Hamidullah, per
sottolineare la coerenza del pensiero religioso
e politico di Maometto, ci ricorda, al proposito, la II Sura del Corano (la d u r a della Vacca») la prima sura medinese, cioè, e in particolare il versetto 285: «l'apostolo (N.B. qualunque apostolo di qualunque religione) crede
in ciò che è stato fatto scendere in lui da parte del Suo Signore (N.B. «Signore» comunque
lo si voglia configurare), ed i fedeli (N.B. nel
«proprio» Dio), ai suoi angeli, ai suoi apostoli...».
Nasce cosi, nella forma e nella sostanza,
la tradizione della tolleranza islamica, più
volte «dimenticata» dagli stessi locali potentati, nel corso dei successivi avvenimenti storici, ma della quale soprattutto i sufisti dovevano sentirsi permeati, facendosene paladini
erranti, ancora una volta nella forma e nella
sostanza.
COMUNI D'EUROPA
Nel riassumere i risultati della Celebrazione per 1'Egira ed Avicenna, Amadou Mahtar
M'Bow, allora Direttore generale dell'unesco, ebbe così ad esprimersi:
«Ce sont là des principes qui restent et
resteront toujours actuels - car ils répondent aux aspirations les plus hautes et les
plus permanentes de l'homme, en meme
temps qu'aux espoir qu'il fonde légitimement sur l'innovation et le changement; à
son besoin de transcendance spirituelle,
comme à son exigence d'équité à son désir
de progrès».
Qualcuno potrà obiettare che Maometto,
storicamente parlando, fu costretto a concepire la Costituzione di Medina dalle necessità
contingenti: una minoranza musulmana in
una città - Medina - sede di comunità di
ogni genere in contrasto fra di loro, in procinto di essere attaccata e distrutta dalla più potente forza armata della regione, quella della
Mecca.
Ma, per quanto riguarda le proposte di «federalismo mediterraneo» che vi vado illustrando, nessuno pretende che esso sia stato
ispirato solo da concetti etici o idealistici, o
tanto meno trascendentali, esso risponde a
necessità improcastinabili del momento: o ci
si impegna nella trafila comunque faticosa del
federalismo mediterraneo - questo è il primo fondamentale passo, impegnarsi è già gettare le fondamenta per la costruzione futura
- o dovremo rinunciare alla cultura mediterranea «viva e creativa» accontentandoci di
studiarne i ruderi, per quanto interessanti,
sui testi nella sua nuova veste di «archeologia
di una cultura».
In tal caso dovremo tuttavia accollarci davanti a noi stessi - coscienti come siamo di
essere in grado di valutare la gravità del problema - e davanti agli altri, la responsabilità
di non aver voluto neppure tentare la difesa
della nostra più profonda, concreta e creativa
cultura e la conseguente responsabilità di un
ulteriore gradino di discesa, da parte della società della quale facciamo parte, verso una
alienazione progressiva, i cui catastrofici effetti iniziali sono ormai percepibili ovunque,
giorno dopo giorno.
La Costituzione di Medina ci offre l'occasione di riproporre ai compatrioti mediterranei di qualunque estrazione un modello politico, ovviamente concentrato nelle sue più salienti caratteristiche federalistiche: modello
che non potrà non soddisfare la componente
islamica del nostro mondo rappresentando al
contempo una bandiera i cui concreti simboli
sono auelli che sottolineano la necessità di
cui più che mai oggi noi, come individui e come società, sentiamo il bisogno: tolleranza reciproca; più ancora, sempre ricordando la definizione di Tullio Tentori all'unesco, «collaborazione reciproca», più ancora, difesa reciproca dei reciproci valori culturali e spirituali, vivificazione della comune cultura unitaria, capace di riportarci, dalle paludi della
eretta conservazione di un benessere Darossisticamente consumistico, infarcito di paure,
conformismi, egoismi sociali (benessere abnorme e distorto destinato, come sappiamo
bene dalla storia. a ritorcersi contro di noi)
alla navigazione nel «Grande Mare Oceano»
per dirla con Cristoforo Colombo, alla ricerca, come delle «sue» Indie, delle «nostre» Indie federaliste; badando a che, nel prosegui0
dell'azione. non facciano scem~iodelle nostre scoperte, come troppo si è fatto di quelle
di Colombo.
C,
III) Aspetti umano caratteriali:
la n o s h mediterraneità
Ritengo tuttavia che il nostro maggior punto a favore sia rappresentato dalla profonda
«mediterraneità» di cui sono pervasi molti
degli abitanti dei paesi che guardano su questo mare, forse la maggioranza di essi, anche
se è una mediterraneità di cui non si rendono
conto, di cui non sono coscienti, ma proprio
per questo più viva, vitale, probante, non
conseguente solo ad un «ragionamento» intellettuale, ma soprattutto ad un insopprimibile
ist(nto.
E sicuramente il denominatore comune più
valido che caratterizza gli abitanti del bacino
mediterraneo, una attrazione possente verso
il proprio mare, verso la stesia navigazione
che ne consente il percorrimento, verso la conoscenza degli insediamenti umani installati
presso le sue rive, una instancabile ansia di
rapporti reciproci, di reciproco commercio,
di reciproca imitazione, di reciproci incontri
e che non Dossono non derivare da connessioni così intense e fitte.
che accomuI1 mare comune è un crogiolo
"
na le comuni credenze, leggende, speranze,
timori: medesime anche se espresse con definizioni diverse, uguali le divinità, le idolatrie,
le religioni, anche se le minori differenze tra
esse possono suscitare - strumentalizzate da
centri di potere interessati - i peggiori contrasti conseguenti al comune temperamento,
estremamente ricettivo, ipersensibile, suscettibile, pericoloso da un lato, dall'altro «conditio sine qua non» per la propria qualità più
im~ortantee sofferta: la creatività.
I1 fascino culturale, di carattere direi «fisiologico», di questo mare è tale e talmente
profondo da coinvolgere anche coloro che,
non facendone Darte. ci si avventurano: e sono proprio i cosiddetti «stranieri al Mediterraneo», che si «mediterraneizzano» in esso,
quelli che meglio percepiscono l'importanza
di questa straordinaria influenza - soprattutto raffrontata all'influsso della cultura del
proprio territorio di origine - e che, esseni al momento in cui ne sodone stati ~ r i vfino
no stati improvvisamente coinvolti, possono
forse prenderne meglio coscienza: tanto che
mi sentirei di differenziare due forme di Mediterraneismo: una cosciente, e pertanto intellettuale, ed una istintiva che ad esso aderisce con tanta naturale ~ienezzada non essere
in grado di prendere coscienza di essa.
L
,
a) Mediterraneità cosciente
Sentiamo, ad esempio, fra i primi, l'inglese
Leigh Hunt, amico di Byron, che, nell'amarezza di una vita caratterizzata da povertà,
incomprensioni e da una non riconosciuta
creatività, doveva ricordare nella sua «Autobiografia» (1850) le sue navigazioni nel Mediterraneo:
«This soft air in your face comes from the
grove of 'Dafne by Orontes'; these lucid
waters, that part before you like oil, are
the same from wich Venus arose, pressing
them out of their hair. In that quarter
Vulcan fell - 'Dropt from the Zenith like
a fallint star' - and there in Circe's Island, and Calypso's, and the promontory
of Plato, and Ulysses wandering, and Cymon and Miltiades fighting, and Regulus
crossing the sea to Carthage, and ...
The mind hardly separates truth from fiction .in thinking of al1 these things, nor
does it wish to do so».
MAGGIO 1994
(«Venti leggeri spirano sul tuo volto dal
sepolcro di Dafne; queste lucide acque che
la nave solca come olio davanti a voi sono
le stesse dalle quali sorse Venere detergendosi da esse i capelli, in queste acque precipitò Vulcano, 'calando dallo Zenith come una stella cadente', e qui è l'isola di
Circe, e di Calipso, e il promontorio di
Plutone, e le tracce vaganti di Ulisse, e di
Cimone e di Milziade combattente, e di
Attilio Regolo che queste acque traversò
per recarsi a Cartagine e...»).
L'ubriacatura sembra non aver fine ma. osserverà in conclusione l'autore:
«L'intelletto non riesce a discernere verità
da fantasia, nel riflettere su tutto questo,
ma neanche desidera farlo.. .».
Ecco dunque la «cosciente volontà» di
sprofondare in questo mondo creativo reale e
fantastico assieme; ecco dunque, la volontà di
non separare il reale dall'immaginario, l'uno
specchio dell'altro, ambedue componenti indispensabili della potenza creativa dell'uomo,
della sua fantastica creatività, il patrimonio
più grande del Mediterraneo e dei Mediterranei, che sussisterà potenzialmente solo fino a
quando i Mediterranei saranno capaci di restare e sentirsi tali: condizione necessaria ma
non sufficiente, dovendo essere integrata dalla volontà di continuare a gestire in proprio,
autonomamente anche fra miserie e contrasti, il proprio patrimonio etnico, naturale e
culturale.. .
E di rincalzo, più recentemente, fa eco a
Hunt il connazionale D.H. Lawrence il celeberrimo autore dei «7 Pilastri della Saggezza», scrivendo del Mediterraneo in «Middle
of the World» (da Lost Poems - 1932):
«This sea will never die, neither will it
ever grow old/nor cease to be blue, nor in
the dawnlcease to lift up its hillsland let
the slim black ship of Dionysos come sailing inlwith grapeIvines u p ~ t h emast, and
dolphin leaping.. ./I see descending from
the ships at dawnlslim naked men from
Cnossos, smiling the archaic smilelof
those that will without fai1 come back
again,/and kindling little fires upon the
shoresland crouching, and speaking the
music of lost languages./And the Minoan
Greeks. and the Gods of Tirvnslare
heard
,
softly laughing and chatting, as ever;/and
Dionysos, young, and a stranger/leans
listening on ghe gate, in al1 respect».
(«Mai auesto mare morirà. nè ~ o t r àmai
invecchiare, nè sarà meno azzurro, nè alle
prime luci dell'alba rifiuterà di esibire i riflessi delle sue coste, nè respingerà le sottili scure navi di Dionisio che arrivano veleggiando con i loro carichi di vini, fra i
guizzi dei delfini.. .
Ed ecco sbarcare da quelle navi, all'alba,
agili figure umane, vengono da Cnosso, ed
ecco il loro arcaico sorriso t i ~ i c odi chi sa
che continuerà a tornare, ed eccoli raccolti
attorno a piccoli fuochi accesi sulle spiagge ed eccoli parlare, ed ecco la musica dei
perduti idiomi.
E d ecco i greco-minoici e le divinità fenice, eccoli ridere e chiacchierare, e così per
sempre, ed ecco Dionisio giovane, ed uno
straniero appoggiato allo scoglio, che rispettosamente ascolta»).
tura con la natura, da pietra divenuta storia
ridivenuta pietra e, come tale, natura, una sola natura, quella mediterranea, una sola comunità che-la vive, la caratterizza e la gestisce, l'insieme dei popoli mediterranei: si
esprime in tal senso Albert Camus, il celeberrimo autore de «LIHomme révolté», la cui testimonianza è tanto più valida se solo si consideri la sua estrazione franco-algerina e la
sua «attualità» storica quale membro della
Resistenza europea, che i diritti dell'uomo
seppe comunque rivendicare non solo nei
confronti del potere allora imperante, ma anche nei confronti di qualsivoglia ideologia politica ed economica tendente a standardizzare
l'uomo, di responsabilizzarlo, sottrarlo dalla
realtà autogestita del proprio territorio:
«Dans ce mariage de ruines et du printemps, les ruines sont redivenues pierres,
et, perdant le poli imposé par l'homme,
sont rentrées dans la nature».
Sviluppa poi il proprio pensiero Camus, in
«L'etè a Algere» (da «Noches»), rifacendosi a
quella vocazione per l'unità fra gli uomini
della quale consiste l'anima più profonda del
federalismo politico; cercando altresì di identificarne gli attributi fisici, psicologicamente
unitari, che caratterizzano un territorio emblematico - il suo, il Mediterraneo - scelto
quale prototipo del concetto di «territorio»,
nell'ambito del quale solamente può esplicarsi tale attività comunitaria ed assemblante
dell' uomo:
d e t t e union, que souhaitait Plotin, quoi
d'etrange a la retrouver sur la terre?
L'Unitè s'exprime ici en termes du soleil
e de mer... Je sais seulement que ce ciel
durerà plus que moi (Camus, come noto,
dove morire .di li a poco in un incidente
d'auto, privando l'Europa e il federalismo
europeo forse del più significativo, creativo e chiaroveggente dei suoi grandi spiriti)
et qui appellerais-je éternité si non ce qui
continuera après ma mort?. ..
I1 n'est pas toujours facile d'$tre un
homme, moins encore d'$tre pur. Mais
$tre pur, c'est ritrover cette patrie de
l'ame où devient sensible la parènte du
monde, où les coupes du sang rejoignent
les pulsations violentes de deux heures
(l'ardente meriggio mediterraneo.. .)D.
#
r
L
Ed ecco anche le rovine storiche ed archeologiche abbarbicate alle coste, eccole riconfondersi non solo con la fantasia ma addiritMAGGIO 1994
Unità, partecipazione alla comunità umana, i temi federalisti giostrano nello spirito di
Camus incantato dalla sua «patria Mediterranea» che esemplifica nella località archeologica costiera algerina di Tipasa, ma che potrebbe essere Paestum o Selinunte:
«...une premiere fois déjà, j'étais revenu à
Tipasa, ...toujour la meme mer aussi, presque impalpable dans le matin, que je
retrouvai au bout de l'horizon, dés que la
route, gruttand le Sahel et ses collines aux
vignes couleur de bronze, s'abbaisse vers
la c6te ..., je retrouvai exactement ce que
j'etais venu chercher ... en ce lieu en
effect, il y a plus de vingt ans, j'ai passé
des matinées entiéres a errer parmi les ruines, a respirer les absinthes, a me chauffer
contre le pierres ... a midi seulement, a
l'heure ou le cigales elles-memes retairaint, assonnées, je fujais devant l'aride
flamboiment d'une lumiére qui decorait
tout (ciascuno di noi, potrebbe dire lo
stesso della frazione di Mediterraneo che
frequenta attualmente per residenza, per
lavoro, per vacanza). ..;
e lo scrittore introduce infine, depurato da
qualunque retorica, il concetto di «Patria»,
concludendo amaramente:
«...il est bien connu que la patrie se reconnait toujour au moment de la perdre ...».
E qui non possiamo fare a meno di sottolineare la citazione di Camus nei riguardi del
neoplatonico Plotino e del suo ideale di Unità
fra l'individuale e l'universale, unità che non
può prescindere dall'accordo - federalismo
appunto - fra gli «individuali».
E Plotino, guarda caso, è quanto di più mediterraneo si possa concepire, egiziano di origine, alessandrino per educazione, romano
per adozione e per centro di diffusione del
proprio pensiero, greco-platonico per convinzione di idee; di una chiarezza nell'esplorare
il concetto di trascendenza, di un rigore etico
e di una coerenza morale da richiamare I'ammirata attenzione di personaggi i più disparati del mondo di allora, dall'imperatore Gallieno e l'imperatrice Salonina, allo stesso S.
Agostino che lo ebbe carissimo e che ebbe a
dirne «Cambiate solo qualche 'parola' al suo
pensiero e avrete un cristiano».
Si andava diffondendo, irrefrenabile, nel
mondo di allora, il messaggio cristiano e spettava a queste grandi figure dello spirito filosofico - e vogliamo ricordare con Plotino il
già citato successivo Boezio - pur senza aderire al Cristianesimo. di assimilarne le componenti ritenute più valide e diffonderle nelle
articolazioni dell'im~erodi allora: con riferimento intrinseco ed estrinseco a quelle condizioni che formano l'indispensabile presupposto, di tolleranza reciproca, rispetto per l'uomo e per ogni sua forma di pensiero o di spiritualità civile; si andavano, in una parola,
creando le radici di quel comunitarismo di individui e di comunità che rappresenta, secondo chi vi parla, la base più profonda di ogni
futuro autentico federalismo.
Non c'è tempo purtroppo di soffermarci su
Plotino, ma una cosa, nell'economia di quanto vi sto proponendo, va sottolineata.
Da Plotino e dal neoplatonismo attinsero a
piene mani i Sufi - come del resto da tante
altre tematiche filosofiche e non filosofiche
greche - e ne diffusero le istanze, a livello
di popolo, per tutto il vasto impero islamico
africano, e di qua in Ispagna, da cui la splendida scuola di Cordova, della quale già abbiamo citato due fondamentali personaggi, caposaldi dello «spirito» mediterraneo ed universale: Ibn Arabi ed Averroè: queste voci dovevano attraversare l'Europa e ripercuotersi in
Grecia, da cui erano partite.
E così l'anello si richiude attorno alla gemma dell'azzurro Mediterraneo, proprio quale
unitaria «ghirlanda» per dirla con Dante nel
suo Paradiso (episodio di Folco da Marsiglia:
«fuor di quel mar che la terra inghirlanda»).
Si richiude connettendo popoli e comunità e
sottolineando emblematicamente la drammaticamente sofferta ma incontenibile potenzialità creativa delle comunità umane per quanto povere - non si dimentichi la caratteristica randagia e nullatenente che contraddistinguerà i Sufi di sempre, così come i francescani di allora - quando a queste stesse comunità è concesso di liberamente integrarsi.
Di questa disperata esigenza creativa, la
tragica ossessione per la bellezza materiale e
spirituale di allora, che sembra fondersi con
l'ardore del clima, parla ancora Camus paragonandola alla disperazione alaida» della convulsa Europa di oggi:
COMUNI D'EUROPA
«La Méditerranée a son tragique solaire
qui n'est pas celui des brumes. Certains
soirs, sur la mer, au pied des montagnes,
la nuit tombe sur la courbe parfait d'une
petit baie et, des eaux silencieuses, monte
alors une plénitude angoissée. On peut
comprendre en ces lieux que si les Grecs
ont touché au désespoir, c'est toujours à
travers la beauté, et ce qu'elle a d'oppressant. Dans ce malheur doré, la tragédie
culmine. Notre temps, au contraire, a
nourri son déses~oirdans la laideur et
dans les convulsions. C'est pourquoi
1'Europe serait ignoble, si la douleur pouvait jamais 13etre».
I1 dolore ieri dell'Europa sconvolta dall'ultima guerra; il dolore oggi di coloro, marginali all'Europa, sacrificati o abbandonati a se
stessi sull'altare della quieta conservazione
della opulenza degli odierni europei.
Ed è ancora Camus a definire amaramente
tale «posizione» dell'Europa, nascosta per
non dover affrontare le proprie responsabilità a scapito dei propri interessi economici:
«c'est pourquoi 1'Europe hait le jour et ne
sait qu'opposer l'injustice a elle-meme».
Ed è il Mediterraneo di d o r a , il sacrificato
Mediterraneo di oggi, era ed è quella che Camus chiama la nostra patria, nel caso particolare la nostra patria mediterranea, il Mediterraneo dei Doveri. il Mediterraneo della sofferta creatività, quella patria alla cui comune
difesa e integrazione io vi sto invitando, alla
cui federazione chiedo che vogliate dare il vostro contributo di pensiero e di opere.
b) Mediterraneità istintiva
Ma vi è un'altra forma di «ricezione» della
vocazione mediterranea. una ricezione non
più «razionale» e «cosciente» come quelle sopra esemplificate, ma istintiva, irrefrenabile,
documentazione incontestabile e manifestazione di una cultura di cui l'individuo è intriso, e che tende a diventare creativa a spese
della sofferenza dell'individuo stesso.
E parliamo, sempre solo per fare un esempio - e tanti se ne potrebbero fare - di un
poeta modernissimo, Dino Campana, uno dei
pochissimi a «vivere» sulla propria pelle la
propria poesia, così come i Sufi invocarono
che i veri credenti «vivessero» la propria fede, quale che fosse, per palesarla e rivelarla
così come essi vivevano la propria: e Campana visse la propria poesia al punto da rinunciare a tutto per essa, da vagare randagio, totalmente «nullatenente», per anni, dalle pampas argentine, alle steppe russe, all'olanda,
alla stessa Sardegna, a tutti gli ambienti di lavoro e di miseria, aggregato persino alle carovane di saltimbanchi, associandosi per lunghi
periodi ai lavoratori locali, fino a rientrare in
Italia, ed esprimere in saggi, cronache, versi,
le proprie sofferte esperienze nei celeberrimi
«Canti orfici» che dovevano sbalordire, per il
loro valore, gli stessi Papini e Soffici. Quest'ultimo tuttavia doveva ... perderne i manoscritti: ed ecco il povero Campana riscriverli
- a memoria, stamparli drammaticamente a
proprie spese, ed ecco10 venderli personalmente fra i tavolini dei caffé e nei luoghi pubù
come
blici di Firenze ... Fermato ~ i volte
randagio, scomodo a tutti, fino a morire di
setticemia nell'ospedale psichiatrico di Caste1
Pulci in Toscana, proprio quando i medici si
chiedevano perché lo avevano lì ricoverato e
li mantenuto per tanto tempo.
Dirà di lui Emilio Cecchi: «Campana dette
COMUNI D'EUROPA
un esempio di eroica fedeltà alla poesia: un
esempio di poesia scritta davvero col sangue ...» - perciò diciamo che sarebbe piaciuto agli altrettanto randagi Sufisti - mentre
Dino Bo, parlando della cosiddetta «follia» di
Campana la definisce come conferma della
sua «diversità» (dal conformismo imperante)
e come «delimitazione della sua ragione poetica» e riconosce in Campana «il poeta toccato e divorato dal fuoco» (ricordate, amici che
mi ascoltate, l'«Uccello di fuoco» sopra citato
dal sufista Beba Taher?)., concludendo che la
poesia «ha continuato per altre vie» (la via del
successo e dei premi letterari), ma non ha più
coinciso con il destino dell'uomo così come
era accaduto con Campana.
Dirà dunque Campana rientrato nella sua
patria mediterranea, in grado di sentirla come pochi altri, grazie ad una sofferta morbosa sensibilità dinnanzi allo sfacelo di essa, paragonata con tutte le svariate parti del mondo
in cui aveva per lustri peregrinato:
,
«La luna.. .
appar velata di lacrime e bruma si come
Venere
sorge dal mare nel primo mattino del
mondo
del mondo sconvolto ancora fremente con
riso
ahi quanto tenero e triste...»;
e descrive la miseria del mondo mediterraneo, emblemizzata dalla «donna dei porti»
«O siciliana proterva opulenta matrona
a la finestra ventosa del vico mormora
classica mediterranea fernina dei porti
«Vedevo alle finestre lucenti come stelle
passare le ombre delle famiglie marine: e
canti
udivo lenti ed ambigui ne le vene de la città mediterranea:
ch'era la notte fonda
«O siciliana.. ...
l'ombra rinchiusa tu eri
la piovra delle notti mediterranee
«e dentro al cavo della notte serena
il debole cuore batteva con più alto palpito: tu,
la finestra avevi spenta:
nuda mistica in alto cava
infinitamente occhiuta devastazione era la
notte tirrena».
Napoli? Algeri? Alessandria? ... Palermo?
Mediterraneo anzitutto e la prostituta mediterranea diviene di colpo nostra compatriota, la prima e la più necessitante fra i nostri
compatrioti mediterranei, emblema di una
condizione che si perpetua e permane su gran
parte del nostro bacino, di una costrizione ad
arrendersi a esigenze di sopravvivenza, a poteri, a ideologie, soprattutto ad arrendersi a
interessi, culture, «protervie» altrui, personali, sociali e politiche.. .
In effetti a Genova si riferiva Campana e
a auesto suo
si abbandonerà senza ritegno
"
«amore mediterraneo» con parole che, al loro
inizio. sono di im~rontachiaramente sufista
«O l'anima vivente delle cose...
non sono come i sogni dei mattini
torpidi.. .
O poesia siimi tu faro
siimi tu faro e porterò un voto laggiù
sotto agli infrenati archi marini ...
cirraggia lo splendore orientale,
Genova.. .
Genova marinara che fa festa
sotto la torre orientale».
Oriente e occidente si confondono in Genova, così come a Venezia, così come in tutto
il Mediterraneo, finché questo composito
mondo straordinariamente unitario non sarà
troncato come linea di confine tra Africa ed
Europa.
E Genova mediterranea «gronda>>dalle sue
colli verso la marina:
«come le cateratte del Niagara
canta ride svaria
ferrea sinfonia
feconda urgente verso l'aperto mare
canta il tuo canto, o Genova».
I1 poeta prende tuttavia coscienza, almeno
saltuariamente, della «mediterraneità» della
propria poesia, e la poesia mediterranea, anche la più disperata, è sempre felicità:
«La ~ o e s i amediterranea.. .
si ingolfa per i vichi antichi e profondi
fragore di vita
gioia intensa e fugace
velario d'oro di felicità»;
e i viaggiatori transitano per questi porti,
e siamo noi uomini di oggi, ossessionati dalle
nostre ambizioni e dai nostri interessi, uomini ciechi che non sanno vedere e perciò non
sanno di essere mediterranei e ciononostante
lo sono e devono prenderne coscienza e deve
essere nostro compito far si che prendano coscienza della loro mediterraneità:
«La grande luce mediterranea
s'è fusa in pietra di cenere ...
perdute nel crepuscolo tonante
ombre di viaggiatori
vanno per la Superba
terribili e grotteschi come ciechi».
I1 Mediterraneo ha conquistato definitivamente l'artista
«col caro mare nel petto
col caro mare nell'anima.. .»;
e la necessità della difesa ecologica di esso
- di una ecologia «spirituale», si badi
-
coinvolgente tutto il mondo mediterraneo si prospetta improvvisamente davanti al
Campana, tanto più straordinaria ove solo si
rifletta che l'autore espresse questa sua protesta agli inizi del secolo:
«le navi sferrate sul mare senza colore
si, senza colore alla fine.. .
Anche il mare hanno imbastardito
come il sangue che oggi sa di miasmi»;
poi l'anima inebriata dall'artista si distende sul mare, in quell'anelito di viaggi - così
chiaramente sottolineato da Braudel e Remy
- che ben sottintende la creatività mediterranea aperta su ogni parte del mondo;
«Le vele, le vele, le vele!
che schioccano, frustano il vento
gonfiate di vane sequele
le vele, le vele, le vele
«ai venti, ai venti, presso l'augurale
forma di chi affàcciato a le fortune
MAGGIO 1994
l'inquieta prora ha il Sogno suo navale
Ah, ch'io parta, ch'io parta! E che un
lontano
giorno, l'ultimo sono in t e laggiù
Genova
sotto degli infrenati archi marini
dall'alterna tua chiesa azzurro e bianco
dove una fiamma pallida s'infranca
in arco eburneo e magici confini»;
è il mito di Ulisse che si perpetua, Itaca diventa Genova, ma la sostanza non cambia,
non cambia il mondo mediterraneo e il nostro
dovere verso la sua preservazione e la sua
creatività presente e futura, perché altri Ulisse, altri Campana si riaffaccino su di esso.
Dante, con il suo spietato raziocinio, aveva
fatto «spiegare» a Ulisse i motivi profondi di
questa creatività esplorativa, scientifica, artistica, con i ben noti versi:
«nati non foste a viver come bruti ma per
seguir virtute e conoscenza»;
ma Dante va oltre e coglie l'essenzialità
unitaria del mondo mediterraneo quando definisce, sempre tramite Ulisse il nostro mare:
«l'un cielo e l'altro vidi infin la Spagna/
fin nel Marocco e l'isola dei Sardi/ e l'altre
che quel mare intorno bagna»;
ed ancor più 1'Ariosto che la funzione di
«connessione» del Mediterraneo fra Europa e
Africa maggiormente intuisce quando, nell'orlando Furioso lo definisce per bocca di
Andronica, emblema di saggezza, nella sua
navigazione verso il Golfo Persico, insieme
ad Astolfo d'Inghilterra:
il mar ch'in mezzo serra di là l'Europa di
qua 1'Afro Aprico»,
dove in quel «serra» c'è tutto il senso della
«funzione» del mondo mediterraneo che perciò chiediamo sia strutturato in Federazione.
La scelta degli operatori
Ancora una volta l'appello per questa improcrastinabile azione transn'azionale ed unitaria viene rivolto alla assemblea dei transnazionali, degli anarchici e dei federalisti, ai Sufi anche e soprattutto, ma occorre raggiungerli - e deve essere uno dei nostri primi
compiti - nel loro complesso mondo di perseguitati e di comunità fatiscenti in ambienti
di estrema indigenza, per fortuna diffusi da
oriente a occidente in tutte le regioni dell'Islam, vera anima positiva di essi.
E veramente non sapremmo a chi altro rivolgere questo appello.
Solo tra di noi, amici trasnazionali, federalisti e libertari, vale il vecchio principio di
Rumi:
«Voi avete un dovere da compiere. Fate
pure qualsiasi altra cosa, quante più cose
vogliate, occupate pienamente il vostro
tempo; sarà perduto.. .».
principio nel quale si risolve la definizione
del Sufi ad opera di Nuri Mujudi:
«I1 Sufi è uno che fa quello ~ h fanno
e
gli
altri quando è necessario. E anche uno
che, nel caso indicato, fa quello che gli altri non possono fare».
E d io aggiungerei «che non vogliono fare»
per quanto possano essere valide le motivazioni addotte per il loro rifiuto.
Noi ci rivolgiamo a tutti coloro che voglioMAGGIO 1994
no dare anche un minimo contributo a questa
im~resa.
A nessuno si chiede più di quanto possa essere dato. Per tutti, e a noi per primi, vale la
regola «Fare quello che si può, nei limiti in
cui si può, nel tempo in cui si può».
p u ò darsi che si intraprenda un'azione destinata ad arrivare in porto ma non ad essere
vista da noi. Sarebbe "
già un eccezionale suecesso l'averla intrapresa, ed un motivo d i legittimo orgoglio l'averla intrapresa per primi.
Sempre amici federalisti, mi ricorderò di una
frase scritta da un partigiano comunista, Pietro Benedetti, operaio ebanista di Chieti, fucilato a Roma i1 29 aprile 1944, poco prima
dell'esecuzione della condanna a morte contro di lui.
«...Ma che fare? Vi sono nel mondo due
modi di sentire la vita. Uno come attori.
l'altro come spettatori. Io, senza volerlo,
mi sono trovato sempre fra gli attori. Sempre fra quelli cioè che conoscono più la parola 'dovere' che quella 'diritto'.
Non per niente costruiamo i letti perché ci
dormano su gli altri».
Certo non possiamo né dobbiamo aspettarci ricompense per quel molto, quel poco che
riusciremo a fare in favore della Federazione
Mediterranea, del Federalismo Mediterraneo.
Anche senza voler sperare in una nostra ricompensa platonica a lunga scadenza, come la
vede il sufista Gjal Ad-Din Rumi, perché si
possa dire di noi: «quando saremo morti non
cercate le nostre tombe sotto terra/ le troverete nel cuore degli uomini» (frase, fra l'altro,
che serve da epitaffio per la tomba del grande
filosofo, spiritualista e poeta islamico), per
restare, d a buoni occidentali, nella concretezza «cinica» del presente, una ricompensa «nostro malgrado» sarà costituita dalla conoscenza che gradualmente faremo del mondo culturale nel quale siamo inseriti, del quale siamo
permeati, anche se quasi sempre senza che se
ne sia a conoscenza. Sarà una conoscenza alla
quale saremo portati d a colleghi militanti nel
nostro stesso «servizio mediterraneo». sarà
conoscenza di cui noi porteremo a conoscenza gli altri e si sa bene che la conoscenza è veramente tale ed è componente del valore spirituale di un individuo o di una comunità solo
quando, trasmessa ad altri o ricevuta da essi,
diventa anello di una catena della quale consiste non solo il federalismo, soprattutto il federalismo, ma qualunque attività costruttiva
degna d i questo nome.
E ciascuno di noi conosce qualcosa del Mediterraneo e dei mediterranei che altri non
conoscono, sia pure l'impressione di un viaggio, di una amicizia, di un libro, di un articolo letti: si tratta di sistematizzare per il futuro
queste conoscenze «mediterranee» apparentemente occasionali e secondarie, ma che occasionali e secondarie non sono, proprio perché sono i tasselli di una vita «mediterranea»
vissuta da ciascuno di noi in mezzo alla multiforme comunità mediterranea - di cui 1'Italia con tutti i suoi difetti e qualità è esempio
emblematico - comunità mediterranea della
quale chiediamo l'autonomia, l'autogestione
culturale e sociale, in altre parole l'Unità Federale.
Non sottovalutate amici federalisti, amici
libertari, l'importanza di questa conoscenza
che, dalla reciproca collaborazione, è destinata a incrementarsi gradualmente fino a farci,
altrettanto gradualmente, sempre più coscienti del «dramma mediterraneo» che stia-
mo vivendo e che nolenti o volenti coinvolge
e soprattutto sempre più in futuro coinvolgerà ciascuno di noi, delle cause di questo
dramma, ed infine dei possibili rimedi.
Idries Shah, il già citato odierno grande sufista orientale, nato fra l'altro d a una principesca famiglia indiana, residente in Afghanistan, cita (in «La strada dei Sufi») una definizione della conoscenza, dovuta ad Alì che
suona:
«La conoscenza è migliore della ricchezza.
Alla ricchezza devi badare tu; la conoscenza avrà cura di te».
E d E1 Zubeir, figlio di Abu Bakar, il principale collaboratore del Profeta, aveva intuito fin dall'inizio dell'Islam tale principio:
«Mira alla conoscenza. Se diventerai DOvero sarà per te una ricchezza; se diventerai ricco sarà per t e un ornamento)).
Ma uscendo dal concetto generico di conoscenza e finalizzandolo ancora una volta al
problema dell'unità mediterranea resta, come
ricompensa, la coscienza di agire per la salvaguardia delle nostre radici culturali le quali
non sono tali se non autogestite dai popoli
che ad esse si rifanno, e voi tutti sapete che
le nostre comuni radici stanno per scomparire
per il dilaniamento del mondo mediterraneo
e per la sua quasi definitiva soggezione a interessi economici e culturali di altri potentati
del mondo.
Scompariranno, amici anarchici, federalisti, transnazionali, come sono scomparse le
radici culturali unitarie delle popolazioni alpine quando le Alpi da mondo culturale autonomo - e ne abbiamo sopra parlato - di
connessione fra mondo germanico e mondo
latino divennero frontiera fra monoblocchi.
Scompariranno, amici europei ed africani,
quando tali monoblocchi economico-sociali,
usurpando la definizione di federazione, si
fronteggeranno sulla «frontiera mediterranea». E sarà anche il fallimento delle istanze
federaliste europee ed africane ridotte a degenerare in «stati» centralizzati (anche se con
autonomie regionali, al loro interno) delimitati da ben precise frontiere - e il Mediterraneo sarà una di aueste - destinate a delimitare i grassi interessi economici europei da
un lato e i non ancora grassi. ma aus~icabilmente grassi interessi economici nordafricani dall'altro.
Mi ripeto, lo so, signori, e me ne scuso con
voi che avete la pazienza di ascoltarmi, ma la
constatazione di quanto sta avvenendo, il
pensiero cioé d i questo nostro mondo mediterraneo che, dopo millenni di creatività, sta
lentamente sprofondando verso il proprio autoannullamento, mi perseguita come un incubo, mi perseguita come un incubo essere spettatore di una dissoluzione che farà del nostro
mondo un ricordo per libri d i storia e un ambiente turistico sulle cui spiagge - come in
quelle caraibiche, sede un tempo di una delle
più importanti culture periferiche indie sotto il cui sole mediterraneo, andranno ad
esibirsi i «prodotti umani» più belli del consumismo internazionale, e noi, belli o brutti,
fra di essi, partecipi responsabili della prostituzione del nostro mondo culturale o almeno
della parte principale di esso.
Quando, e qui sta l'aspetto di gran lunga
più drammatico di tutta la situazione, esiste
una potenzialità creativa che, d a una interazione autonoma e autogestita, cioé federale
delle comunità mediterranee, aprirebbe al genere umano nuove inimmaginabili prospetti-
-
.
COMUNI D'EUROPA
ve, forse ancora superiori a quelle che, in passato, in mezzo a molti contrasti è vero, hanno
portato all'uomo quanto di meglio spiritualmente, concettualmente, artisticamente esso
oggi dispone.
{(Mediterraneo grande lago di pace» diceva
Platone e non era incosciente, le guerre - e
che guerre! - esistevano anche a suoi tempi;
Roma non era ancora arrivata a stabilire il
«suo» ordine nel Mediterraneo, ed era un ordine, proprio perché «suo», assai discutibile.
La pace cui si riferiva Platone era la pace della creatività e dell'armonia che quel mondo,
pur turbolento, sapeva promuovere in misura
che non sarebbe stata più superata: primo
anello di una catena della quale gli splendori
del Cristianesimo, dell'Islam e del Rinascimento non sarebbero stati che anelli successivi.
E ancora oggi, nonostante le devastanti
violenze, soprattutto a danno dei valori culturali, il Mediterraneo, così come può, continua a influire, soprattutto sugli individui
creativi, gli artisti.
«A ceux ci le Méditerranée continue d e
donner des leqon d e misure, d'ordre et
d'harmonie»,
ci dirà Braudel. E della stessa violenza ora
imperante, parafrasata dagli aspetti più scarni
e severi del suo ambiente naturale, il Mediterraneo ha cercato di fare, suo forse ultimo
dono, tramite il mondo dell'arte, motivo di
ulteriore creatività che sembra purtroppo andare lentamente spegnendosi.
Afferma ancora Braudel:
«Depuis prés d'un siècle la Méditerranée
propose à ceux qui guettent, aux avantpostes d e l'espoir, un visage d e violence.
Véhémence du soleil aui dévore les couleurs, véhémence des parfums du jardin
d'Adonis véhémence du vent et d e l'orage
sur la pierre séche et le buissons noirs,
dans un pays sévère, gris et blanc, érigeant
ses cippes dans le silence et la solitude au
bord d'une mer sombre et parcimonieuse,
et qui ensegne le dénuement.
E n sortent lés architectures dénudées de
Soulaaes.
- Comme en sortent les emblèmes
crispés de la douleur que l'on voit gesticuler, tordus par les bourrasques marines,
sur le grand théhtre d e Picasso. Comme en
d'André
s o r t e n t les "Massacres"
Masson».
-
Si, certo, il Mediterraneo, fintanto che
non sarà «sistematizzato», cioé annullato da
una frontiera fra due diversi consumismi continentali, ancora agisce, influenza.
Si, ma fino a quando?
H o parlato prima di un incubo; non crediate, amici transnazionali che abbia usato tale
termine solo come «appoggio retorico». Vi
posso assicurare che ogni volta che mi avvicino alla riva del mare, il Mediterraneo ovviamente, mi pare che questo, col quieto rifrangersi delle sue onde minori, mi inviti a «fare
qualcosa». Un messaggio che io cerco di trasmettere a voi che mi ascoltate.
Tornare alle origini
Del resto, dalla riuscita del tentativo federale mediterraneo dipende la riuscita degli
apparentemente assai più progrediti processi
federativi europei ed in misura minore africani, ai primi dei quali, come vi ho sopra premesso, ho avuto l'onore di partecipare, e con
COMUNI D'EUROPA
contributo allora costante e giornaliero, e assai spesso notturno, dagli anni 1955 in avanti. E non è vero che l'Europa non abbia fatto
passi giganteschi verso la propria unità, solo
che l'ha fatto cambiando gradualmente la meta che allora ci eravamo prefissa; non è certo
questa l'Europa che sognavano i giovani federalisti romani quando, negli anni '60, sciamavano per le vie di Roma, appellandosi alla
popolazione locale, armando contemporaneamente qualcosa come 120 seggi, distribuendosi settimanalmente, per più anni - le famose spedizioni notturne! - fra gran parte
dei comuni della provincia con i loro migliori
conferenzieri, stabilendo ovunque primati di
voti per il Congresso del Popolo Europeo,
azione proposta da Altiero Spinelli, allora in
fiera attualissima polemica con tutti i partiti,
e gestita da Luciano Bolis.
Qualcosa è cambiato lungo la strada, s'è
preferito agire solo fra i poteri politici nazionali (partiti) e le organizzazioni economiche
centrali europee, fra i quali occorreva pure
agire, ma si è abbandonata l'azione di piazza,
l'azione di base, per usare un termine più pertinente: forse mancarono le forze, forse.
Si è imposto così I'«Europeismo» anche se
con tendenze regionaliste, ma il federalismo
è ben altra cosa.
Arrivati alla meta, e dobbiamo ormai arrivarci, avremo un'Europa tecnocratica il cui
unico scopo sarà di assicurare gli interessi
consumistici di tutti, a sfavore, ovviamente,
di chi non rientra nelle «sacre» frontiere europee. Non si dice, con ciò, che si vuole il
danno di chi non rientra nelle sacre frontiere
europee, affermo soltanto che l'Europa assisterà imperturbabile a qualunque tragedia
sconvolga il resto del mondo - compreso il
mondo a lei confinante, ad es. il Mediterraneo - occupata soltanto dei propri pur legittimi problemi del burro, del latte, della carne, dei pomodori, degli olii, dei grassi, ed uso
quest'ultimo termine in forma emblematica,
in definitiva dei propri interessi economici
nella cieca, unilaterale ed esclusivista intenzione di difenderli e incrementarli.
Non per questo, certamente, ci siamo impegnati e sacrificati a suo tempo, abbiamo dedicato buona parte delle nostre giornate, non
a questo miravano le nostre speranze di allora.
Ebbene, la Federazione Mediterranea che
stiamo proponendo con la fascia di sovrapposizione fra comunità appartenenti a due complessi federati - o almeno a quelli che proponiamo per tali - costringerà l'Europa a tornare a livelli federalisti quali quelli proposti
agli inizi degli anni '50 dal vitale federalismo
di allora. Essa eviterà che l'Europa si chiuda
nell'isolamento della difesa dei propri esclusivi interessi inserendo ai suoi fondamentali
margini meridionali nuclei di popolazioni e
comunità impegnate anche e soprattutto nelle
drammatiche problematiche sociali, culturali,
umane, cioé politiche, delle regioni mediterranee, che non possono essere superate per
altra via che non sia quella del federalismo
mediterraneo.
Analogamente una Federazione Mediterranea, o concreti procedimenti in favore di essa, influenzerà i processi federativi del mondo africano, evitando, tramite le popolazioni
insediate sui margini settentrionali di esso,
che l'Africa si isoli in un già adombrato minaccioso nazionalismo africano o islamico.
Infine, la millenaria «attrazione verso il
Mediterraneo» delle comunità meridionali,
ancora sconvolte dalle guerre recenti, da
quelle attuali e da quelle che gradualmente si
vanno parando all'orizzonte - per non parlare dei genocidi in corso, simboleggiati emblematicamente da quello dei Curdi e da quello,
di poco precedente, degli Armeni - farà sì
che anche questi attuali drammatici problemi
possano essere affrontati in sede mediterranea adeguata, e non lasciati alla risoluzione di
potentati quali quelli europei, troppo occupati nella difesa esclusiva dei propri interessi
economici e di prestigio - e che proprio per
la loro natura esclusivistica divengono sordid i e meschini - o a auelli africani ancora
troppo fatiscenti; o a potentati quali quelli
mondiali extraeuropei, efficienti sì, sul piano
tecnocratico e militare, ma troppo influenzati
da interessi economici e politici altrettanto
mondiali per potersi veramente curare di
realtà culturali, sociali, umane, spirituali,
quali quelle medio orientali, troppo estranee
da ogni loro costume o filosofia o concezione
di vita.
E non si scordi che le regioni limitrofe al
Mar Nero. al Mar Rosso. al Golfo Persico ed
al Mar caspio sono, comé abbiamo prima più
volte sottolineato., le più mediterranee. culturalmente parlando, di tutte le regioni.
L
Il problema di fondo
Ma al di là di questi pur fondamentali interessi culturali, sociali, etnici, politici, la cui
solo identificazione e denuncia sarà Der noi
soddisfazione tale da compensarci di ogni
maggiore o minore nostra fatica, al di là di essi - dicevo - vi sarà la possibilità. se non
di arrivare a soluzione, almeno di indicare la
soluzione ad una delle maggiori crisi esistenziali dei nostri tempi: il tragico contrasto fra
il terrificante e frenetico fenomeno del consumismo occidentale, una allucinante spirale
che soffoca ogni altra prospettiva, che condiziona sempre più ogni settore della nostra vita, addirittura della nostra psicologia - nostra. intendo anche di chi vi parla e di voi che
mi ascoltate - e l'altrettanto terrificante fenomeno della dissoluzione della realtà culturale e dell'eauilibrio sociale del cosiddetto
«terzo mondo in via di sviluppo» (termine
adottato dall'UNESC0) che, come voi ben
sapete, in via di sviluppo non è, esattamente
il contrario.
E lo sfascio di una società culturale, in particolare di quella africana e islamica, minata
forse involontariamente da uno sfruttamento
strisciante, dal contagio di un consumismo
estraneo alle esigenze locali, devastato dal fenomeno dell'urbanizzazione selvaggia che, da
un tessuto economico sociale equilibrato e
decentrato, come conseguenza dei fenomeni
precedentemente citati, ha creato delle megalopoli, veri inferni umani, dove si aggirano,
private di qualsiasi radice culturale, orde di
uomini senza lavoro, senza assistenza sanitaria o sociale, senza prospettive, senza speranze; aggrappati quanto possibile all'antica loro
vocazione spirituale, malignamente alterata
in fanatismo pseudo-religioso, in intolleranza
e odio feroce verso i «diversi», fanatismo stimolato, armato e sfruttato da potentati di
ogni natura per finalità di potere o di conservazione di grassi interessi o comunque per fini che con il progresso umano e sociale nulla
hanno a che fare.
Bene, i due aspetti degenerativi, chiamiamoli per semplicità «occidentali» e «terzomondisti», hanno purtuttavia componenti
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positive che si possono per brevità sintetizzare nel progresso tecnologico a favore dell'individuo - medicina, sanità, alimentazione,
trasporti, comunicazioni - del mondo occidentale e nella tenace componente spiritualistica e filosofica di una forte componente del
«terzomondismo» che, se innestate l'una nell'altra, potrebbero fungere da antidoto per i
reciproci catastrofici estremismi e indicare
soluzioni per una società umana che vede le
sue due contrapposte metà, occidente e terzomondo, separate da un baratro sempre crescente, lo «hiatus», per dirla in termini geologici ed in termini politici ancora una volta
ipotecati dall'Unesco (organizzazione che con
questi problemi è meritoriamente, continuamente alle prese).
Si tratta della famosa componente «orizzontale» basata nel tempo, che caratterizza il
mondo occidentale impegnato a sfruttare disperatamente ogni più piccola frazione di esso per profitti e consumi alienanti per tutti,
e la componente «verticale» caratterizzante il
Terzo mondo, soprattutto quello africano e
islamico che privilegia, sì, il problema dell'uomo nel suo inquadramento «verticale» nell'universo Creato, ma lo abbandona alle esigenze materiali più disparate, trascurandone
totalmente la difesa contro lo sfruttamento e
il contagio consumistico contro le quali propone soluzioni di «fanatismo» che ottengono
esattamente l'effetto contrario.
Ebbene, la Federazione Mediterranea portando a contatto, a integrazione, ed autogestione comune tali componenti più positive,
può consentire un'armonica soluzione del
problema di fondo, conciliare e temperare
l'orizzontale con il verticale, integrando gradualmente, questa volta sì in senso positivo,
i due mondi malati, l'occidentale ed il terzomondo nella fattispecie, cioè nel nostro caso,
i tre grandi malati, l'Europa, l'Africa settentrionale ed il Medio Oriente.
A
Noi per primi
Come?! Noi riuscire in tutto questo? Noi
farci arbitri di tali complessi problemi?
Non noi, signori che mi ascoltate, non noi
soli certamente, ma quella composita comunità mediterranea al cui mondo, volenti o nolenti, noi apparteniamo, con una appartenenza che responsabilizza.
Noi, è vero, non possiamo risolvere ora,
con le nostre forze, questi problemi; possiamo però unirci fra mediterranei, fra principali interessati, per identificarli, denunciarli,
proporne le soluzioni, iniziare, forse - ma io
direi iniziare senza «forse», nei limiti delle
nostre possibilità - le attività tendenti alle
soluzioni d i essi, passo per passo, piccolo passo per piccolo passo, ma con spietata determinazione: spietata almeno quanto quella che
cospira alla scomparsa del mondo mediterraneo visto come una unità, per la preservazione e la attivazione della quale, non ci si stancherà mai di ripeterlo, occorre che i suoi valori unitari, culturali e sociali siano autogestiti,
anche se fra inevitabili contrasti. ma autonestiti da un complesso federato che comprenda
le comunità umane socialmente, storicamente, spiritualmente, economicamente, gravitanti attorno a questo mare.
Utopie? Già sentiamo i detrattori, i conservatori di ogni estrazione, gli scettici, i realisti, accusarci di perseguire chimere, di per-
-
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derci dietro sogni assurdi.
Assurdi? «credo quia absurdum!» ruggiva
dalllAfrica uno dei «Padri della Chiesa», quel
Tertulliano, cartaginese, nella cui frase precedente gli esterefatti e razionalisti romani avevano creduto di dover sintetizzare il suo pensiero: l'uomo, cui la cristianità deve, fra l'altro, la preghiera del «Pater Noster», insegnataci, sì, dal Vangelo, ma strutturata in preghiera e canonizzata proprio da lui.
E del resto, in cos'altro si potrebbe «credere»? Forse nelle guerre, come in quella dell'Iraq? Forse nei massacri ancora una volta goduti in televisione, dal profondo delle nostre
~ o l t r o n e ?Forse nelle forche o nelle sedie
elettriche, dove ben istruiti - e disgraziati!
- gendarmi operano disciplinatamente, e legalmente assassinano «a nostro favore», come
dice il potere?
Se una fede va spesa, non può che essere
spesa nella speranza di un mondo diverso che
proprio per essere tale non può che apparire
assurdo ai conformismi interessati di qualunque estrazione.
Ma, riporta un principio derviscio, applicato nell'insegnamento dei Sufi e riportato da
Idries Shah: «Lottare per una cosa irraggiungibile genera l'attività occorrente a compiere
ciò che è necessario». Si intende, ciò che è necessario oggi. E , fra l'altro, il federalismo mediterraneo i r r a g g i ~ n ~ i b i non
l e è, troppo evidente è la sua necessità da ogni punto di
vista.
Certo la meta è difficile; forse - è la solita
storia della costruzione dei letti. su cui altri
Dotranno dormire - non saremo noi a vedere
l'opera compiuta, ce ne resterà parte del merito e non sarà poca cosa.
E la tenacia, la pazienza di perseverare chi
ce la darà? Chi la darà a coloro di cui chiederemo la collaborazione?
Agostino da Tagaste in Numidia, guarda
caso un altro africano ed un altro campione
della Cristianità, uno dei quattro Dottori della Chiesa d'occidente,, ~resumibilmenteun
esponente di quel mondo berbero cristiano,
una parte del quale, sospinto verso il Sahara
dall'espansione islamica, doveva dar luogo alla comunità dei Touaregh, altra etnia oggi
sottoposta a parziale genocidio, Agostino
dunque ci istruisce a sua volta in questo
senso:
«se speriamo in ciò che non vediamo, troviamo la pazienza di perseverare» ( = aspettare), riciclando nella sua «Esposizione sui Salmi», una frase riportata da Paolo di Tarso un israelita questa volta: quando si dice il
Mediterraneo!! - «Hoc est unde dicitur: Si
autem quod non videmus speramus, per patientiam aspectamus». Dove è troppo evidente, conoscendo Paolo ed Agostino che di speranza attiva si tratta, quell'attività che generando speranza, dalla speranza è alimentata e
tramite la speranza giungerà al suo traguardo.
È chiaro, comunque, amici federalisti, amici anarchici e transnazionali. che è solo su di
noi, all'inizio, che possiamo, dobbiamo contare: quali che siano i nostri impegni di carriera iniziale, professionali, età, famiglia.
Molto spesso le abitudini, le più giuste, le
più umane, le più legittime, addirittura le più
doverose quale la partecipazione annuale al
Congresso Internazionale del Partito Transnazionale, ci dissuadono a prendere nuovi
impegni: «ne abbiamo troppi», «non sarebbe
serio», «meglio fare poche cose e farle bene»,
ecc..
Le abitudini, le più lodevoli, intorpidiscono la coscienza la quale deve essere vigile,
giorno per giorno, direi ora per ora, alle sempre nuove esigenze, non affrontando le quali
compromettiamo quelle che riteniamo di aver
affrontato e lodevolmente risolto.
Abbandonare sistematicamente, continuamente, il mondo delle abitudini, a ogni nuovo
legittimo richiamo ed il richiamo del Mediterraneo, con le tragedie che imperversano
attorno a noi dall'Algeria al Libano, dall'Iraq
alla Persia, ai Curdi e chi più ne ha più ne
metta, tale richiamo, dicevo, Dio solo sa se è
legittimo:
«In piedi, amici!, partiamo! È tempo di lasciar il mondo delle abitudini!
Nel cielo risuona il tamburo e ci chiama.
Vedi: il cammelliere si è alzato, ha preparato la carovana e si appresta a partire!».
È il richiamo di Jalaloddin Rumi, il più volte citato grande spiritualista, filosofo e poeta
islamico il quale aveva negli stessi versi identificato i motivi di crisi:
«un sonno pesante ti è caduto addosso dagli astri volteggianti.. .
non fidarti di questo sonno così pesante!».
È il miraggio mediterraneo, il richiamo di
questo mare e di quanto significa, della «bellezza» insita nell'armonia, nell'unione, nella
creatività, per quanto sofferta essa possa essere, tutto simboleggiato nello stesso rombo
del mare.
«È tempo d'unione e d'incontro, e tempo
d'eterna bellezza,
è tempo di grazia e di dono, che il mare è
chiarore, è chiarore!
è giunta l'ondata di grazia, ci arriva il
rombo del mare! ...».
Rumi, l'autore, moriva nel 1273... Retorica? Sentiamo Camus, il già ricordato membro
della Resistenza europea, scrittore concreto
come pochi altri e notiamo il medesimo riferimento alla «bellezza» già usato da Rumi, intesa come armonia creativa, emblematicamente
ravvisata nella Grecia di un tempo per il suo
gigantesco contributo alla creatività in tutti i
sensi, quella creatività che rappresenta il motivo primo dell'esigenza d i una armonica unità federale mediterranea; nella ricostruzione
dell'Armonia Mediterranea, Camus, l'autore
d e «L'Uomo in rivolta», credeva ed incitava
a credere:
«L'ignorante reconnue, le refus du fanatisme, les bornes du monde et de
I'homme, le visage aimé, la beauté enfin,
voici le camp où nous rejoindrons les
Grecs. D'une certaine manière, le sens de
l'histoire d e demain d'est pas celui qu'on
croit. I1 est dans la lutte entre la création et
l'inquisition. Malgré le prix que coiìteront
aux artistes leurs mains vides, o n peut
espérer leur victoire. Une fois de plus, la
philosophie des ténèbres se dissipera audessus d e la mer éclatante».
«Le mer éclatante»..., il «rombo del
mare». ..
Non è retorica, amici, e alzi la mano chi di
voi, avvicinandosi alla riva del mare Mediterraneo, non abbia almeno una volta pensato a
queste cose. Solo che non basta pensare, occorre agire.
E , se ancora non bastasse, sentiamo ancora
il grande giurista e spiritualista islamico Ain
COMUNI D'EUROPA
E1 Ghazali nel capitolo della sua autobiografia dedicata alla narrazione della sua conversione al Sufismo:
«Partenza, partenza! Breve è lo spazio di
vita che ti rimane, e lunga è la via da percorrere ... Se non ti metti in cammino
adesso, quando ti ci metterai?»
E gli fa eco Agostino da Tagaste, vescovo
di Ippona, nelle sue «Confessioni»:
«Amiamo, Corriamo» (Amemus, Curremus),
gli risponde dal Nord del bacino del Mediterraneo della povera grande Milano, un certo Ambrogio da Treviri, dottore della Chiesa,
attraverso i suoi Inni, con un appello volto,
«come il gallo del mattino a scuotere gli inerti, rimproverare gli assennati, accusare i renitenti».
«Coraggio, ora leviamoci!»
(Surgemus ergo strenue!)
Ma perché noi? Perché sempre a noi, oberati da incarichi urgenti, urgentissimi, il rinnovamento delle istituzioni, i problemi della
droga, l'Europa orientale! E poi per che cosa?
Andiamo al concreto: per il Mediterraneo,
un mondo in cancrena, un mondo di poveri,
di ignoranti, di affamati fanatici, zolfanelli
accendibili da qualsiasi accensore, turbolenti
mafiosi, visionari, assassini, un mondo di
AICCRE
SEZIONE
proporvi, come antidoto alla Guerra del Golfo, o quelle che seguiranno nella stessa area,
ed ai genocidi presenti e futuri che si stanno
consumando e si consumeranno nel bacino
del nostro mare, il federalismo mediterraneo,
la federazione dei popoli mediterranei, rispondendo concretamente all'appello di Fernand Braudel: chi lo conosce sa trattarsi di
uno dei più grandi storici di questo secolo, ed
in assoluto il più grande storico del Mediterraneo:
«Quand nous révons d'accomplissement
humain, de la fiertè et du bonheur d'etre
homme, notre regard se tourne vers la
Méditerranée.. .
La source est là, dans I'espace méditerranéen, la source ~rofondede la haute culture dont notre civilisation se réclame.. .
Nous n'avons nullement répudeé le vieil
héritage, mais nous avons choisi des nous
établir dans sa part ténèbreuse:
La Mediterranee - mais apre et capiteuse.
La Mediterranee des pauvres
Appello al quale, parafrasando Albert Camus, mi permetto aggiungere:
«Per il Mediterraneo della Creatività».
Si, amici, per questo siamo e saremo fra di
voi, per la Federazione dei Popoli del Mediterraneo:
Per il Mediterraneo dei poveri,
per il Mediterraneo della creatività.
gente perduta, di morti.
Di gente perduta? Di morti? Son tali solo
se noi tali li consideriamo, o, il che è lo stesso, se tolleriamo che $i altri li considerino tali: siamo ancora in temDo ad intervenire. ma
per poco. Costituita definitivamente 1'Europa, il Mediterraneo come autonomo mondo
autogestito sprofonderà negli abissi delle cose
che si potevano fare e non furono fatte, diverrà miserabile «frontiera» turistica d'Europa, il ricordo di noi finirà nei libri di storia.
Di gente perduta? Di morti? «Se sono perduto» - ci dice S. Agostino nella sua esposizione sui salmi - «in qual modo sono tuo fratello?),.
La responsabilità viene ancora gettata su
noi, ma legittimamente, unici forse come siamo, ad avere per personale ambizione, quella
sola che si possa dire di noi ciò che Agostino
di Tagaste, ancora citando gli esposti di Paolo
da Tarso ( l alett. ai Cor.), raccomanda che si
possa in effetti dire di noi:
«I1 tuo fratello era morto, ed è resuscitato;
si era perduto ed è stato ritrovato»
(...si ergo perii, inquit, quomodo sum frater tuus. Ut dicatur mihi de te: Frater
mortus erat, et re-vixit; perierat et inventus est).
Scusatemi, Amici transnazionali ed anarco
federalisti, se vi ho cosl a lungo tediato, ma
non ho creduto di dover oltre attendere per
ITALIANA
DEL
CONSIGLIO
DEI
COMUNI
E
DELLE
REGIONI
D'EUROPA
ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE, DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI
00187 ROMA
COMUNI D'EUROPA
i
PIAZZA
DI TREVI; 86
i
TELEFONO
(06) 699.40.461 ( 6 LINEE) - FAX (06) 6793275
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za, per quanto non sia stato trasferito alla Comunità europea; la difesa nazionale, nei limiti
di quanto non sia stato trasferito alla NATO;
e il debito pubblico. Va anche sottolineato
che lo Stato federale resta pienamente competente per gli affari interni e per l'ordine
pubblico, come non sempre avviene negli altri Stati federali. In Belgio, la giustizia è di
competenza dello Stato federale; tutto converge verso una sola Corte di cassazione e i
giudici devono applicare non solo le leggi nazionali, ma anche le leggi (decreti e ordinanze) delle Comunità e delle Regioni, senza dimenticare evidentemente la legislazione europea.
2 . I rapporti con l'estero
La nuova Costituzione stabilisce che il Re
ovvero il Governo federale - curi i rapporti internazionali e concluda i trattati, senza pregiudizio della competenza delle Comunità e delle Regioni per quanto concerne la
cooperazione internazionale, comprendente
anche la conclusione di accordi, per le materie che rientrano nelle loro competenze
(esclusive) in virtù della Costituzione.
Per garantire la coerenza nella politica
estera belga, la Costituzione prevede anche
che i governi delle Comunità e delle Regioni
informino il governo federale circa le proprie
intenzioni di avviare negoziati per la conclusione di un accordo. I1 governo federale dispone allora di trenta giorni per sollevare riserve e, nel caso di mancato consenso, esso
può, nei trenta giorni successivi, sospendere
la negoziazione che il governo locale interessato aveva inteso avviare. Ma ciò può avvenire soltanto in quattro casi molto precisi, ovvero quando:
- la parte contraente non è riconosciuta
dal Belgio;
- il Belgio non intrattiene rapporti diplomatici con la parte contraente;
- i rapporti diplomatici con la parte contraente interessata sono interrotti, sospesi o
gravemente compromessi;
- il Trattato previsto è contrario agli obblighi internazionali del Belgio.
Questa è la procedura nel caso delle competenze esclusive; mentre per quanto riguarda le competenze miste, lo Stato federale, le
Comunità e le Regioni concludono un accordo di cooperazione al fine di assicurare il
coordinamento dei negoziati volti alla conclusione di un Trattato. Le Comunità e le Regioni mantengono tuttavia la loro piena libertà
di essere cofirmatarie del Trattato per le materie di loro competenza.
Per la rappresentanza del Belgio in seno al
Consiglio dei Ministri della Comunità europea, il Belgio intende avvalersi pienamente
della facoltà attribuita dal nuovo articolo
146, che prevede che ogni Stato membro
debba essere rappresentato in seno al Consiglio da un ministro, abilitato ad impegnare il
Governo dello Stato che rappresenta.
In concreto, ciò vuol dire che per le materie di esclusiva competenza delle Comunità e
Regioni (cultura, istruzione, giovani, turismo, edilizia e pianificazione territoriale) il
-
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Belgio sarà rappresentato in seno al Consiglio
dell'unione da un Ministro comunitario o regionale, abilitato a negoziare e ad impegnare
tutto il paese, ovvero anche tutte le altre Comunità e/o Regioni belghe. A tale scopo verrà
creato un sistema di rotazione, con cadenza
semestrale, per consentire ad ogni Comunità
e Regione di rappresentare il Belgio in seno
al Consiglio. Per le materie in cui prevale la
competenza comunitaria o regionale (industria, ricerca e sviluppo), sarà ugualmente un
Ministro comunitario o regionale a rappresentare il Belgio in seno al Consiglio, ma con
l'assistenza di un Ministro federale assessore.
Per le materie dove prevale la competenza federale (agricoltura, ambiente, trasporti, mercato interno, energia e affari sociali), il Belgio
sarà rappresentato da un Ministro federale,
assistito - a seconda dei casi - da un Ministro comunitario o regionale assessore. Infine, per le materie di esclusiva competenza del
Governo federale (affari generali, economia e
finanza, bilancio, giustizia, telecomunicazioni, cooperazione, tutela dei consumatori e
protezione civile), il Belgio sarà rappresentato da un ministro federale.
Tutto ciò richiede un coordinamento molto preciso e costante fra i differenti Governi
del Belgio. Tale funzione viene svolta da un
Comitato ad hoc che si riunisce anche dueltre
volte alla settimana e alle cui riunioni sono
invitati a partecipare tutti i rappresentanti
dei ministri interessati (gabinetti e/o amministrazioni), anche se la materia in discussione
non è di loro competenza. Questo sistema di
coordinamento interno funziona già da qualche tempo con piena soddisfazione di tutti e
con punti di divergenza estremamente limitati, il che si comprende se si considera che il
Belgio è un piccolo paese, di appena 10 milioni di abitanti, le cui esportazioni di beni e
servizi rappresentano il 70% del suo Prodotto Interno Lordo (PIL), e che è, da sempre,
saldamente legato alla Comunità Europea.
Nella Costituzione belga è altresì previsto
che lo Stato federale abbia l'obbligo di citare
davanti ad una giurisdizione internazionale o
sopranazionale ogni persona giuridica di diritto internazionale su richiesta del o dei Governi comunitari o regionali interessati. Tale
articolo riguarda essenzialmente la Corte di
Giustizia della Comunità europea, presso la
quale il Belgio ha già subito numerose condanne, talvolta proprio a causa delle Comunità o delle Regioni, che non rispettano i regolamenti o le direttive europee. D'altra parte,
tuttavia, lo Stato federale può sostituirsi agli
organi legislativi ed esecutivi delle Comunità
e delle Regioni, quando essi siano stati condannati da una giurisdizione internazionale
per il mancato adempimento di un obbligo internazionale al fine di dare concreta esecuzione allo stesso. Lo Stato federale può anche rivalersi presso la Comunità o la Regione interessata delle spese derivanti dal mancato rispetto di un obbligo internazionale. Tale recupero può essere realizzato tramite una ritenuta sui mezzi finanziari di spettanza della
Comunità o della Regione interessata (imposte proporzionali).
In linea generale le Comunità e le Regioni possono anche fare appello agli ambascia-
tori e ai diplomatici belgi nelle sedi estere per
la tutela dei loro interessi o, più in generale,
per organizzare delle missioni di Comunità o
Regioni che, in ogni caso, assumeranno in
proprio l'onere delle spese relative a tali attività. Le Comunità e le Regioni hanno anche
il diritto di nominare dei propri addetti presso le ambasciate e le rappresentanze permanenti del Belgio, o anche al di fuori di queste.
Pertanto, mentre la maggior parte delle Comunità e delle Regioni ha un addetto in seno
alla rappresentanza permanente belga presso
la Comunità europea, la Fiandra e la Vallonia
hanno degli addetti per le attività commerciali e di investimento sia presso le ambasciate
e i consolati belgi sia al di fuori di questi, in
quanto il commercio estero è largamente regionalizzato e spesso uno degli obiettivi della
politica regionale è quello di acquisire investimenti esteri.
3 . Le Istituzioni
Le Comunità e le Regioni esercitano il potere legislativo ed esecutivo in ordine alle materie per le quali la Costituzione e le leggi speciali hanno ad esse attribuito la piena sovranità. Cosi, ad esempio, le vecchie leggi nazionali in materia di istruzione vengono costantemente modificate dai decreti delle Comunità, in quanto lo Stato federale, in pratica,
non ha più alcuna competenza in materia.
Ciò comporta, evidentemente, una diversa
evoluzione della legislazione fra le differenti
Comunità e Regioni, e in particolare per
quanto concerne la cultura, l'istruzione, la
formazione professionale, l'assistenza sociale, la politica dell'occupazione e i trasporti.
Per altre materie, quali l'ambiente, l'agricoltura e l'industria, la legislazione europea stabilisce spesso delle norme o dei programmi
d'intervento che, pertanto, costituiscono la
base di riferimento per le legislazioni regionali in materia.
Per il resto le Istituzioni comunitarie e regionali funzionano come le Istituzioni nazionali, ovvero in seno ai parlamenti vi è una
maggioranza, così come definitasi, che forma
un governo, presenta alle assemblee un programma e lo attua, fermo restando che le assemblee parlamentari, comunitarie e regionali, mantengono il pieno diritto d'iniziativa in
materia.
Esiste, tuttavia, una sola assemblea legislativa per le Comunità e le Regioni a differenza
dello Stato federale, in cui è stato mantenuto
il bicameralismo, seppure con l'introduzione
di una divisione del lavoro tra la Camera dei
Rappresentanti e il Senato: la prima è divenuta la Camera politica, che vota la fiducia al
governo federale e approva i bilanci, mentre
il Senato ha assunto piuttosto la funzione di
una Camera della riflessione, che si occupa
anche delle eventuali controversie fra le assemblee legislative federali, da una parte, e
quelle comunitarie o regionali, dall'altra.
Le elezioni per il parlamento federale (Camera e Senato) avranno luogo ogni quattro
anni; quelle per i Consigli comunitari e regionali, ogni cinque anni; quelle per le province
e i comuni, ogni sei anni. La composizione
COMUNI D'EUROPA
dei governi comunitari e regionali può essere
riformulata soltanto mediante una mozione
positiva di sfiducia, il che vale in linea generale anche per il governo federale. Tale rimpasto governativo deve avvenire entro il termine di tre giorni, trascorso il quale - se non
vi è accordo fra i partiti - il Re può procedere allo scioglimento delle Camere per indire
nuove elezioni.
Dopo le elezioni, spetta al Re incaricare il
Primo Ministro per la formazione del nuovo
governo federale. È sempre il Re che nomina
e destituisce dall'incarico i Ministri, mentre
al livello comunitario e regionale i Governi
vengono formati dalla maggioranza determinatasi, poiché i ministri vengono nominati
dai Consigli e solo i ministri-presidenti delle
Comunità e delle Regioni prestano giuramento nelle mani del Re.
La Camera dei rappresentanti sarà in futuro composta da 150 deputati (contro gli attuali 212). I1 Senato, che avrà una funzione
di concertazione fra Comunità e Regioni, sarà composto da 71 senatori, di cui 40 (25 di
lingua neerlandese e 15 di lingua francese)
eletti direttamente, mentre ogni Assemblea
comunitaria designerà inoltre alcuni dei suoi
membri che dovranno far parte del Senato
(21 in totale: 10 per la Comunità Fiamminga;
10 per la Comunità Francese e 1 per la Comunità Germanofona); 10 Senatori (6 fiamminghi e 4 francofoni) saranno cooptati da loro pari, eletti in maniera diretta.
I1 Consiglio fiammingo conterà 124 membri, di cui 6 provenienti dal Consiglio regionale di Bruxelles al quale spetta la loro designazione. I1 Consiglio vallone conterà 75
membri. Con 19 membri del Consiglio regionale d i Bruxelles, designati dal medesimo, essi formano il Consiglio della Comunità francese (dunque, in totale, 94). I1 Consiglio della
Regione d i Bruxelles-Capitale conta 75 membri e il Consiglio della Comunità germanofona 25.
Ciò pone chiaramente in risalto una delle
caratteristiche dell'introduzione di un sistema federalista nel Regno del Belgio, ovvero
I'asimmetria. Infatti, sul versante fiammingo
abbiamo una sola assemblea legislativa e un
solo governo per la Comunità e la Regione,
mentre sul versante francofono abbiamo due
assemblee e due governi, gli uni competenti
per le materie comunitarie, gli altri per le materie regionali, dunque con due amministrazioni e due bilanci.
Va inoltre sottolineato che le Comunità
fiamminga e francofona e la Regione vallona
avranno, d'ora in avanti, piena autonomia in
ordine alla determinazione del numero dei
membri dei loro Consigli e il numero dei ministri comunitari e regionali. La Regione d i
Bruxelles-Capitale e la Comunità germanofona non godranno invece d i tale autonomia.
I1 numero dei ministri federali è fissato in
un massimo di 15. Essi cessano di essere
membri del parlamento a partire dal conferimento dell'incarico.
Per completare il quadro di quanto fin qui
esposto è opportuno aggiungere che il sistema
elettorale belga è quello proporzionale e che
l'elettorato attivo è composto da tutti i cittaCOMUNI D'EUROPA
dini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età.
4. Conflitti di competenza e di interesse
Diversamente da altri Stati federali, il Belgio non ha previsto una gerarchia di norme
fra lo Stato federale e le entità federate. Vale
a dire, l'adagio «Bundesrecht bricht Landesrecht» («il diritto federale prevale sulla legislazione di un Land») non è adatto a rappresentare la situazione in Belgio. Le leggi, i decreti e - in una certa misura anche - le ordinanze hanno lo stesso valore giuridico. È
dunque opportuna la massima chiarezza per
quanto concerne I'individuazione di soluzioni nel caso di conflitti di competenza (giuridica) e d'interesse (politico).
Per quanto riguarda i conflitti di competenza, il Belgio ha istituito una Corte di arbitrato che può giudicare in ordine a conflitti
concernenti atti legislativi. Essa funziona come una sorta di Corte costituzionale per la
tutela di alcune libertà dei cittadini, in particolare in materia d i istruzione. Per quanto
concerne gli atti amministrativi, i conflitti d i
competenza vengono risolti dal Consiglio di
Stato.
I conflitti d'interesse costituiscono oggetto
di arbitrato in seno al Comitato di concertazione governo federalelgoverni comunitari e
regionali. Esso funziona secondo la regola del
consenso. Un disaccordo insanabile su una
materia giudicata importante può provocare
la caduta del Governo federale.
5. 11 sistema di finanziamento
Per poter pienamente svolgere le funzioni
conseguenti alle competenze ad esse attribuite, le Comunità e le Regioni hanno beneficiato di un trasferimento di crediti, previsto a
tale scopo nel bilancio 1989 al livello nazionale per le diverse materie. Al fine di conseguire anche da parte delle entità federate un
contributo al risanamento delle finanze pubbliche, gli importi da trasferire, precedentemente definiti, sono stati tuttavia ridotti del
2,1940.
Per finanziare le spese - più del 1 0 % del
PIL del Belgio - le Comunità e le Regioni
dispongono di due fonti principali: le imposte
proprie e le imposte proporzionali.
Le imposte proprie - che rappresentano
solo il 1 0 % delle loro entrate - sono in realtà le vecchie imposte nazionali, che sono state trasferite alle Comunità e alle Regioni. Si
tratta d'imposte, la cui individuazione non
comporta difficoltà: la ritenuta sugli immobili, la tassa di registrazione, i diritti di successione, il canone radio-televisivo e alcune imposte di minore importanza (lotterie ecc.), oltre che - in teoria - la tassa di circolazione
che, attualmente, è ancora attribuita allo Stato federale. Le imposte proprie vengono assorbite dallo Stato federale centrale, ma le
entrate riscosse nelle diverse regioni vengono
ad esse integralmente trasferite.
La principale fonte d i finanziamento delle
Comunità e delle Regioni è tuttavia costituita
dalle imposte proporzionali:
- le imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (40% del totale delle imposte
così riscosse)
- la tassa sul valore aggiunto (IVA) (60%
del totale dell'IVA riscossa).
A partire dall'anno 2000 - al momento
attuale e fino al 1999 rimarrà in vigore un regime provvisorio - le necessità delle Comunità e delle Regioni saranno definite in funzione delle dotazioni d i base, stabilite nel
1989 e ritoccate in dipendenza dell'inflazione e della crescita economica. L'importo
complessivo sarà allora espresso nella percentuale dell'IRPEF e ogni Comunità e Regione
riceverà la medesima percentuale. E ciò sta a
significare che le Regioni, il cui gettito delI'IRPEF è più elevato, riceveranno somme
relativamente maggiori. Qui si tratta di una
responsabilità finanziaria, e non di una responsabilità fiscale, in quanto le Comunità e
le Regioni non hanno pressocht: poteri né per
quanto riguarda la definizione dell'assetto fiscale né per la definizione delle tariffe.
Vi sono tuttavia due principali eccezioni a
questa regola:
- per quanto concerne le entrate IVA,
tarsferite per il finanziamento dell'istruzione
e che costituiscono la voce di spesa più elevata (circa il 50% delle spese delle Comunità e
delle Regioni nell'insieme), esse non vengono
assegnate in funzione della loro riscossione
nelle Comunità rispettive, ma in funzione
delle necessità effettive (in base al numero di
alunni e studenti negli istituti di istruzione d i
vario grado, università comprese, delle Comunità);
- per quanto concerne il canone radiotelevisivo, di competenza delle Comunità, si
è convenuto che si applicherà un sistema forfettario nella Regione di Bruxelles-Capitale:
1'80% delle entrate riscosse andranno alla
Comunità francese e il 20% alla Comunità
fiamminga.
Poiché la maggior parte delle spese sostenute dalle Comunità viene indicata in funzione delle necessità, non vi è bisogno di un
meccanismo di solidarietà. Per contro, è stato
creato un meccanismo di solidarietà nazionale per le Regioni. Tale meccanismo è estremamente semplice: lo Stato verserà 468 Fr.B indicizzati ai prezzi al consumo - per abitante e per punto percentuale nella differenza
di rendimento dell11RPEFtra la Regione interessata e la media nazionale. I n virtù di tale
meccanismo d i solidarietà, la Regione Vallonia, con un rendimento/IRPEF dell' l l % inferiore alla media nazionale, ha ricevuto nel
1991 circa 18 miliardi di Fr.B, somma che
rappresenta circa 1'1% del PIL della Vallonia.
Una solidarietà implicita molto più consistente esiste tra le diverse Regioni delle Comunità a titolo di sicurezza sociale nazionale;
secondo le stime circa 10 volte superiore.
È opportuno aggiungere che, contrariamente al sistema - ad esempio - del «Finanzausgleich» tedesco (perequazione finanziaria), non è prevista in Belgio la proporzionale dell'imposta societaria.
I1 Belgio è un paese complesso, situato al
(segue a puy. 15)
MAGGIO 1994
il Libro verde della Commissione europea
La politica sociale europea: opzioni per l'Unione
di Lino Tomasi*
I1 Libro verde viene pubblicato in concomitanza con la ratifica del Trattato di Maastricht. L'entrata in vigore del Trattato sull'unione europea comporta nuove possibilità
operative della Comunità da attuarsi nell'ambito sociale. L'intenzione è di stimolare in
tutti gli Stati membri un ampio dibattito sull'orientamento da imprimere alla politica sociale nell'unione europea. Il Libro verde è
pertanto volto a fornire una piattaforma al
dibattito che si auspica abbia luogo non solo
a livello nazionale in ogni Stato membro, ma
anche a livello regionale e locale e fra tutte le
parti interessate comprese le parti sociali e gli
specifici gruppi di interesse.
Siccome lo scopo del Libro verde consiste
nel fornire indicazioni che possano orientare
la politica sociale europea nei suoi prossimi
sviluppi, risulta ovvio che anche l'analisi e le
proposte d'azione contenute nel Libro bianco
sulla crescita economica, la competitività e
l'occupazione, saranno d'aiuto nel determinare il clima e la sostanza del dibattito che si
terrà sul problema di come conciliare gli
obiettivi del progresso economico con quelli
del progresso sociale. La Commissione prenderà in adeguata considerazione tutti gli elementi di rilevanza sociale che scaturiranno
dal dibattito attuato fra le diverse istanze sociali, per dar loro successivamente quell'organicità che verrà a costituire l'intelaiatura del
Libro bianco sulla politica sociale dell'unione
europea.
Uno dei punti più significativi, che caratterizzano l'intelaiatura del Libro verde, è sicuramente la convinzione - fortemente radicata nella costellazione sociale attuale - che ci
troviamo in un'Europa soggetta a profonde
trasformazioni. Molteplici principi e valori,
che fino a poco tempo fa costituivano la base
del nostro agire quotidiano, sono stati, nel
frattempo, messi in discussione. Molti valori
sono stati svuotati del loro originario contenuto, divenendo così obsoleti e perdendo anche la loro rilevanza etica.
Da ciò consegue una grande insicurezza
che percorre il settore dell'agire in ogni sua
manifestazione. Gli ambiti dell'agire politico
e sociale devono pertanto essere rivisitati. I1
modo in cui la realtà quotidiana si dispiega
rende necessaria una rimessa a fuoco di molti
nodi strutturali della realtà sociale. Ciò significa, anche, che non pochi settori dell'interazione sociale abbisognano di un ridimensionamento che sia in linea con le attuali condizioni storiche profondamente mutate.
Il Libro verde si sforza di individuare possibili risposte al problema di come sia possibile soddisfare le aspettative di una società eu-
* Servizio studi e relazioni linguistiche della Regione
Trentino-Alto Adige. Relazione di sintesi tenuta a
Barcellona il 20 aprile al Consiglio di presidenza della
Comunità di lavoro delle Regioni europee di confine.
MAGGIO 1994
ropea che sta attraversando un profondo
cambiamento strutturale dell'agire sia individuale, sia pubblico. Di fronte a questi cambiamenti, l'Unione europea deve cercare d i
mettere a fuoco la sua posizione in maniera
tale da saper creare le premesse per una società giusta, attiva, dinamica ed aperta. Ciò deve accadere in una maniera che sia in grado
di mobilizzare le attitudini di tutti gli attori
sociali, affinché questi possano migliorare la
qualità della loro esistenza sulla base dei mutati condizionamenti storici.
La prima parte riporta in sintesi le conquiste della dimensione sociale comunitaria. Fra
le più importanti, v'è sicuramente la libera
circolazione dei lavoratori, una delle quattro
libertà sancite dal Trattato, nella fattispecie
per quanto riguarda il coordinamento tra i sistemi di sicurezza sociale a favore dei lavoratori migranti. Un'ulteriore conquista è la parità d i trattamento tra uomini e donne con
particolare riguardo alla promozione della parità di opportunità, essenziale contributo alla
creazione di una società moderna e progressista, basata sul fondamento di diritti consolidati giuridicamente. La tutela della salute e la
sicurezza dei lavoratori, così come pure il diritto del lavoro garantito dalla Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata nel 1989, costituiscono elementi giuridici
che pongono in chiara evidenza la vocazione
della Comunità a realizzare concretamente la
dimensione sociale.
Di notevole importanza sono pure i massicci finanziamenti concessi dal Fondo sociale
europeo (FSE) agli interventi in materia di
formazione e di occupazione che hanno notevolmente contribuito allo sviluppo di misure
rivolte alla lotta contro la disoccupazione, alla creazione di attività professionali, allo sviluppo delle risorse umane ed al miglioramento dell'efficienza del mercato del lavoro e della competitività, il tutto con particolare riguardo alle regioni della Comunità depresse e
sottosviluppate. Anche l'introduzione di programmi di scambio ha notevolmente contribuito a fornire una risposta concreta ed efficace alle trasformazioni sociali ed economiche e alle sfide con cui devono confrontarsi
gli Stati membri. A tal riguardo, va menzionata anche la pratica di estese consultazioni
con le parti sociali, mediante la rete di Comitati consultivi tripartiti - a livello comunitario, statale e local-regionale - la cui funzione
consiste soprattutto nel produrre il più ampio
consenso sociale in tutti i settori di attività
social-politica. I1 dialogo sociale ed il comune
sforzo d i negoziazione rivolto alla produzione
di un consenso sociale descrivono dall'interno il modo in cui si dispiega la politica sociale
della Comunità.
La seconda parte riguarda le sfide sociali
per l'Europa. Lo spettro sociale della dimensione comunitaria è costituito, nella sua glo-
balità, da una molteplicità di problemi diversi. Si tratta di situazioni problematiche, le
quali mettono in chiara evidenza che in determinati settori sociali è venuta a spezzarsi
la continuità comunicativa. Un confronto
con queste sfide è pertanto non solo auspicabile, bensì anche indispensabile, costituendo
esso la premessa fondamentale per una discussione relativa allo sviluppo futuro della
politica sociale.
Il progresso sociale dipende sicuramente
da solide basi economiche: un buon livello sociale è però la componente fondamentale per
la costituzione di un'economia competitiva.
La dimensione sociale, a sua volta, non è primariamente costituita dall'economia, bensì
risiede in più profonde strutture culturali.
Difatti, sembra esistere un diffuso anelito
verso un'Europa meno dominata da considerazioni economiche e tecnocratiche e più vicina ai bisogni della gente.
L'Europa è caratterizzata dal fatto che essa
consiste di una molteplicità di diversità etniche, linguistiche e culturali. Ciò contribuisce
notevolmente a rendere l'Europa un sistema
estremamente complesso ed altamente stratificato, motivo questo per il quale spesso è
possibile prendere decisioni rilevanti dal punto di vista comunitario solo mediante lunghe
e faticose trattative. Ciò costituisce da un lato una barriera, dall'altro lato, tuttavia, ciò
consente anche di assumere punti di vista ed
opinioni diverse, di imparare gli uni dagli altri e di concrescere così in un contesto comunicativo in cui le decisioni vengono prese
consorzialmente su di un piano dialogico-argomentativo.
Democrazia, diritti e libertà individuali,
parità di opportunità, molteplicità culturale,
rispetto della dignità dell'uomo, sicurezza sociale e stato d i diritto sono ulteriori, inalienabili diritti fondamentali che costituiscono in
maniera essenziale la dimensione sociale della
Comunità. Questi principi inequivocabilmente riconosciuti, che sono enormemente
importanti per quanto riguarda il dispiegamento di una società moderna, attiva e dinamica, riescono ad esprimere la loro intima ed
originaria efficacia operativa solo qualora la
sfera economica viene posta in interazione
col contesto sociale in tutte le sue manifestazioni culturali.
Nel Libro verde, ciò viene sottolineato
energicamente: la componente economica deve essere intrecciata con la componente sociale. E necessario saper adeguatamente intendere l'ambito della produzione come processo
sociale, rilevante quindi anche dal punto di
vista dell'agire, ancorato saldamente nelle
strutture dei bisogni culturali di tutti gli attori sociali. La tendenza che scaturisce da una
simile costellazione viene così ad articolarsi
nella creazione di una società aperta ed attiva, ail'interno della quale ad ognuno si diCOMUNI D'EUROPA
schiude la possibilità di prender parte non solo ai processi produttivi, ma anche e soprattutto allo sviluppo e alla crescita della società
intesa nella sua globalità.
Una disoccupazione elevata è un segnale
estremamente preoccupante dal punto di vista sociale. Bisogna quindi necessariamente
cercare di creare nuovi posti di lavoro. Una
società che non è in grado di controllare il numero dei disoccupati è inevitabilmente esposta al rischio fatale di disgregazione. Si è tuttavia consapevoli del fatto che il lavoro non
ha la sola funzione di procurare i mezzi per
la sussistenza economica, ma rappresenta anche una premessa essenziale per realizzare la
propria personalità, per instaurare contatti
sociali e per plasmare quindi la propria esistenza quotidiana. Si capisce allora perché il
ruolo dello stato assistenziale debba essere
redifinito. È necessario porre in stretta connessione il problema economico-finanziario
con un'attiva politica di inserimento di tutti
gli attori sociali nel contesto produttivo e nella vita sociale. Un'adeguata politica sociale
deve impegnarsi con lo scopo di aiutare le
persone a trovare il loro giusto collocamento
all'interno della società. Questo traguardo
non è raggiungibile soltanto mediante attività
di tipo remunerativo, ma anche e soprattutto
attivando una stretta interazione tra economia e cultura.
L'Europa sta per affrontare una fase, nella
quale diventa per essa estremamente importante riuscire nell'intento di costruire una società aperta che sia in grado di cogliere la sua
collocazione storica nel contesto dei bisogni
culturali attuali. Gli europei intendono realizzare un modello di società in cui la logica
economica e la dinamica sociale vengono ad
interconnettersi in maniera tale da consentire
a tutti gli interagenti di partecipare direttamente, attivamente e responsabilmente al dispiegamento della loro esistenza individuale e
della loro attività interrelazionale. Si vuole,
dunque, realizzare una società aperta e giusta
che mobiliti l'energia e le attitudini dei cittadini e che migliori così la loro qualità esistenziale, sia in quanto lavoratori, sia in quanto
membri della società civile.
La terza sezione del Libro verde contiene
possibili risposte dell'unione europea alle sfide summenzionate. La politica sociale riveste
un ruolo fondamentale, in quanto, più di ogni
altro settore, riguarda l'esistenza quotidiana.
Essa, infatti, determina le condizioni di lavoro, lo standard di vita e la qualità esistenziale
di consociati, ma soprattutto esercita notevole influsso in riferimento alla realizzazione
del loro essere individuale, in quanto persone. I1 suo compito fondamentale consiste perciò nell'affrontare e nel risolvere tutti i problemi con cui devono confrontarsi gli abitanti
della città e della campagna, le donne e gli uomini, i giovani e gli anziani. Un compito tutt'altro che facile da affrontare, in quanto, come si è visto sopra, la politica sociale è sempre costretta ad operare in un ambito che vede, da un lato, le aspettative dei singoli, dall'altro lato, ciò che per la società è di fatto
possibile.
Un primo passo, che deve essere compiuto
senza esitazione, consiste nel migliorare la
COMUNI D'EUROPA
condizione occupazionale. La disoccupazione
attuale, che è estremamente elevata, è socialmente molto pericolosa e pertanto non è sostenibile né politicamente né economicamente. Si è tutti d'accordo nel ritenere che questo problema possa essere risolto mediante
una crescita economica. Sono, infatti, già stati presi molteplici provvedimenti a tal riguardo. Si è tuttavia anche consapevoli di come la
crescita economica, da sola, non sia sufficiente. Vi sono ostacoli strutturali che rendono
estremamente difficoltosa la creazione di
nuovi posti di lavoro, con i quali bisogna sapersi confrontare in modo più radicale. Ma
non solo in modo più radicale, bensì anche
comunitariamente, essendo per i singoli Stati
membri molto difficile operare singolarmente
ed individuare soluzioni efficaci.
Bisogna riuscire a sviluppare strutture di
gestione maggiormente decentrate; è inoltre
necessario modificare i profili operativi, cercando di venire incontro alle nuove esigenze
professionali. È altresì indispensabile riorganizzare i sindacati e le aziende, migliorare la
qualità del lavoro (le condizioni di lavoro, la
difesa e la sicurezza dei lavoratori), introdurre regolamentazioni pensionistiche più flessibili, creare concetti integrati per i giovani, tali da consentir loro un adeguato passaggio dal
contesto produttivo a quello sociale.
Un ulteriore passo da effettuarsi consiste
nel prendere provvedimenti che promuovino
la solidarietà e l'integrazione. Una politica
sociale attiva ed orientata al futuro deve sia
combattere la disoccupazione sia fornire un
giusto ruolo sociale alla popolazione attiva ed
anche a quella parte di società che non partecipa immediatamente alla produzione, in
quanto entrambe sono portatrici di una loro
propria personalità che vuole essere realizzata. Le tendenze demografiche attuali indicano inequivocabilmente che l'integrazione sociale degli anziani costituisce un problema
che va assumendo sempre maggior rilevanza.
Altrettanto importante è il miglioramento
dell'integrazione sociale di quegli immigrati
che risiedono legalmente nel territorio della
Comunità, mediante parità di opportunità
nei settori quali l'occupazione, l'istruzione, il
diritto all'abitazione, la sicurezza sociale e
l'assistenza sanitaria. Devono inoltre essere
moltiplicati ed intensificati gli sforzi rivolti
ad integrare socialmente le persone in difficoltà e quelle che soffrono di disabilità fisiche
o mentali. Di estrema importanza è pure la
lotta contro la discriminazione razziale e la
xenofobia, contro lo spopolamento e la marginalizzazione delle aree rurali più deboli,
nonché contro il declino sociale delle popolazioni interessate.
Ulteriori passi che bisognerà compiere sono: l'attuazione del diritto ad esercitare
un'attività economica nel territorio di uno
Stato membro di cui gli interessati non siano
cittadini, la promozione della parità di opportunità per le donne e per gli uomini, la realizzazione dell'unione economica e monetaria,
l'intensificazione del dialogo sociale, il miglioramento della sanità, il rafforzamento
della cooperazione sul piano internazionale
(in particolar modo, con i Paesi dell'EFTA e
con i Paesi dell'Europa centro-orientale), la
democratizzazione del processo di trasformazione sociale ed il dispiegamento di un'Europa dei cittadini, il consolidamento della coesione economica e sociale e del ruolo del Fondo sociale europeo (FSE).
I1 Fondo sociale, in quanto componente
della politica sociale della Comunità (art. 3,
lett. i del Trattato sull'unione europea) e uno
dei quattro fondi strutturali comunitari, mediante la modifica del regolamento riguardante il Fondo sociale europeo (si veda il regolamento n. 2084193 del Consiglio del 20 luglio
1993), è stato dotato di nuovi strumenti che
ne ampliano la portata e l'efficacia. I1 Fondo
sociale europeo amministra 1'80-90% del bilancio dell'unione europea e può pertanto rivestire una funzione molto importante nel
dare risposta alle sfide descritte nel Libro
verde. E stato creato un nuovo obiettivo n.
4, che favorisce l'adattamento dei lavoratori
ai processi di trasformazione industriale ai
mutamenti dei sistemi produttivi. Vengono
espressamente prese in considerazione le persone che rischiano di rimanere escluse dal
mercato del lavoro, così come viene energicamente affrontata la disoccupazione cronica.
Naturalmente, ci si concentrerà sulle regioni
meno favorite, potendo così intervenire direttamente nella soluzione di una molteplicità di problemi diversi.
In conclusione, è possibile formulare alcune considerazioni critiche. La politica sociale
europea, che soprattutto nella nostra era riveste una funzione centrale, dovrebbe mirare
alla soluzione di problemi concreti socialmente rilevanti. I1 Libro verde sulla politica sociale europea è un occasione privilegiata per discutere diffusamente molteplici esigenze e
necessità sociali; non riesce, però, a formulare proposte concrete dal punto di vista operativo. In tal senso, esso sarebbe esposto al pericolo di rappresentare un sistema chiuso,
qualora non venisse integrato - secondo gli
auspici della Commissione - dalle proposte
e dai suggerimenti via via formulati dalle
molteplici istanze sociali.
Nel definire una politica sociale di portata
europea, è indispensabile mettere maggiormente in evidenza la componente della diversità. Sul piano comunitario, sono individuabili diversità sociali, economiche, culturali e
geografiche. Bisogna pertanto prendere in seria considerazione dette diversità, ascrivendo
maggior rilevanza alle autorità locali e regionali.
I1 ruolo dei partners sociali, così come esso
è stato ridefinito nella formulazione della politica sociale europea, è da valutarsi in modo
sicuramente positivo. Essi, tuttavia, dovrebbero acquistare maggior peso operativo e ciò
dovrebbe valere anche e precipuamente per il
piano regional-locale. L'Europa è caratterizzata da una complessa stratigrafia storica e da
una culturale policromia. Per questo motivo,
il cammino verso il raggiungimento di un'intesa comune non è sempre agevole da percorrersi, tuttavia la molteplicità conferisce
all'«arcipelago» Europa vitalità e dinamicità.
Anche nel settore della politica sociale, nel
definire un consenso sociale, vanno attivate
quelle istanze locali e regionali che costitui(segue a pag. l>)
MAGGIO 1994
in una mostra a Milano
L'Europa di Altiero SpineIli
Il 3 maggio è stata inaugurata a Milano, al «Palazzo della Ragione», una mostra storico-biografica dedicata all'azione politica di Altiero Spinelli, su un progetto generale di Fausto Colombo ed Edmondo Paolini.
La mostra, che è restata aperta fino al 29 maggio, per poi spostarsi in altre città italiane ed europee, ha documentato, attraverso l'esposizione di scritti (di cui molti in versione originale), di immagini fotografiche, di audio-visivi,
di ricostruzioni di ambienti, la figura di Spinelli - dalla sua lotta antifascista alla battaglia per la Federazione europea - nel più ampio contesto della storia europea e mondiale di questi ultimi sessanta anni.
Nel corso della manifestazione il senatore a vita Leo Valiani, l'onorevole Giorgio Napolitano, il professore Arialdo
Banfi, e l'assessore alla cultura del Comune di Milano - che ha patrocinato l'iniziativa - Philippe Daverio, hanno
affermato come, di fronte alle sfide mondiali, aperte in questi ultimi anni da avvenimenti che stanno sconvolgendo
l'assetto politico, economico e sociale in numerosi Paesi d'Europa ma anche di altri Continenti, il messaggio per una
Europa libera e unita, a struttura federale, lanciato da Spinelli dal confino di Ventotene nel 1941 e sostenuto fino
alla sua morte, non solo resta attuale, ma è l'unico ragionevole e possibile.
L'idea dell'unità europea si aggira come uno spettro sul vecchio continente,
forse fin dalla caduta dell'Impero romano. Ma lo spettro ha visitato a lungo sempre solo qualche poeta, filosofo, profeta o
avventuriero, ed è stato ignorato dai costruttori della realtà europea durevole.
Costoro andarono invece costruendo.
dapprima inconsapevolmente, poi sempre più consapevolmente e coerentemente, un'Europa divisa in stati-nazione assolutamente sovrani, frantumando sempre come utopie le idee che con essi erano
in contraddizione (il Sacro Romano Impero, l'universalismo cristiano, il cosmopolitismo umanista, l'internazionalismo
operaio) e riuscendo a persuadere pressoché tutti gli europei che la suprema realtà
politica, quasi un dio terreno, era lo stato-nazione sovrano, e che il lealismo verMAGGIO 1994
so di esso era la suprema virtù politica.
Solo quando quest'Europa indurita ed
imbestialita delle sovranità nazionali illimitate, delle alleanze, dei concerti di potenze, dei nazionalismi politici ed economici, dei brutali tentativi di dominio imperiale ha sprofondato, tra il 1914 ed il
1945, tutti i nostri popoli nella lunga
guerra civile europea dei 31 anni del XX
secolo, solo allora lo spettro dell'unità europea si è trasformato in disegno politico,
che alcuni si proposero non già di sognare
per un futuro lontano e imprecisabile, ma
di realizzare nella nostra epoca per opera
della generazione che aveva visto e sofferto le nefandezze dell'Europa dei nazionalismi.. .
Ciononostante il disegno federalista
apparve troppo visionario, troppo poco
radicato nella storia per poter essere accolto.. .
È per tentare di salvare le realizzazioni
e il disegno europeo che ci si rivolge infine al popolo europeo ...
(da un discotso al Parlamento italiano, 1977)
COMUNI D'EUROPA
I LIBRI
Dalla comunità locale alla comunità sovranazionale
di Edmondo Paolini
Mattia Pacilli, Viaggio nella cittadella europea di Bassiano, (foto di Bruno Palombo),
Comune di Bassiano e Associazione
Italia-Francia per l'Europa, Bassiano 1993,
pp. 215. L. 40.000.
Mentre rivedo, attraverso le pagine del bel
volume curato da Mattia Pacilli Viaggio nella
cittadella europea di Bassiano, le strade del
piccolo comune pontino, molte volte percorse
a piedi, mi tornano alla memoria letture,
azioni politiche, speranze che coprono gli ultimi cinquant'anni d i storia italiana ed europea.
Partono da Adriano Olivetti e dalla sua intuizione e disegno dell'organizzazione federale interna allo Stato, basata sulla definizione di comunità concreta - a misura d'uomo
- che, attraverso i vari livelli di aggregazione - comune, ente intermedio, regione, stato - arriva sino alla federazione europea e,
infine, ad un nuovo ordine mondiale sovranazionale.
Si soffermano sulle considerazion di Ernst
Schumacher, l'autore d i Piccolo è bello, per il
quale «le relazioni umane hanno una apparente necessità di due condizioni, le quali, pur
presentandosi contemporaneamente, sembrano essere in contrasto per poi annullarsi a vicenda: la libertà e l'ordine. Abbiamo bisogno
della libertà di moltissime e piccole unità autonome e, nello stesso tempo, dell'ordine,
dell'unità e del coordinamento su grande scala, possibilmente globale». «Al giorno d'oggi
- scriveva Schumacher - soffriamo di una
idolatria quasi universale per il gigantismo.
Perciò è necessario insistere sulle virtù della
piccola dimensione, almeno dovunque essa
sia applicabile ... le città più belle della storia
erano molto piccole secondo i parametri del
ventesimo secolo.. .» (1).
Consentono, infine, con l'analisi compiuta, verso la fine degli anni '50, da Arthur
Morgan, il primo presidente della Tennessee
Valley Authority, nel suo volume La Comunità delfuturo ( 2 ) per il quale «qualunque cambiamento sociale o economico possa aversi, a
qualunque scala di grandezza, i rapporti inerenti alle piccole comunità continueranno ad
essere necessari per la sopravvivenza delle
fondamentali qualità culturali dell'umanità.
Raramente e forse mai una civiltà o una cultura è sopravvissuta di molto tempo alla decadenza e alla dissoluzione della vita delle piccole comunità. La comunità di vicinato è infatti una unità necessaria della società, che,
insieme con la famiglia, è stata e continua ad
essere il mezzo principale per la trasmissione
diretta e vivente della tradizione culturale di
base. Le piccole comunità del futuro non potranno tuttavia essere né una copia del villaggio del passato, né una accettazione della
grande città d'oggi. Saranno invece una creazione nuova, tale da unire i valori di ambedue
evitandone il più possibile le limitazioni».
Questo è Bassiano. Ma anche molto di più.
Come ci ricorda il libro di Pacilli - notevole
per la cura dell'impaginato, la bellezza delle
foto, l'equilibrio dei testi - certamente degno del concittadino Aldo Manuzio, il padre
degli editori italiani - Bassiano, legandosi in
gemellaggio con la cittadina francese di Ponten-Royans, ha contribuito ad esportare la sua
civiltà, e quella del suo vicinato direttamente
in Europa, inserendola nel grande progetto
federale, che parte dal Manifesto di Ventote-
La prima e la quarta di copertina del libro di Mattia Pacilli
COMUNI D'EUROPA
ne, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto
Rossi.
Nel libro, infatti, si afferma giustamente
che «il processo dei gemellaggi dilata la definizione di identità civica dei Comuni implicati ed ha una profonda incidenza sulla mentalità dei cittadini, chiamati dal momento storico attuale a vivere in società sempre più aperte in comunità regionali multietniche, multirazziali e multiculturali. È una sfida da raccogliere senza illudersi di evitarla; in quanto
I'interdipendenza crescente tra i paesi del
pianeta, in ogni settore dell'attività umana,
impone che tutto riguardi tutti. I1 fenomeno
era stato lucidamente presentato, durante gli
anni sessanta, dall'americano Marshall Mc
Luhan esperto nell'analisi dei "media" o
strumenti di comunicazione: «Dopo tremila
anni di espansione in ogni settore.. . il nostro
mondo, con drammatico rovesciamento di
prospettive, si è ora reso improvvisamente
contratto. L'elettricità ha ridotto il globo a
poco più che un villaggio, e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e
politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza della responsabilità
umana».
Bassiano e la sua comunità hanno già dato
la risposta concreta al grande interrogativo
che ci troviamo di fronte: come conciliare la
tendenza mondiale alla concentrazione di potere in politica ed in economia, resa sempre
più forte dalle tecno-strutture, con la sopravvivenza dell'individuale, dell'uomo, con il
suo intelletto e la sua coscienza. Più concretamente, per i problemi che riguardano il nostro continente che tenta di unificarsi, come
conservare la libertà del singolo cittadino di
fronte alle attuali e future interdipendenze
politiche ed economiche, che presuppongono
un quadro di riferimento più ampio di quello
nazionale - già così lontano dalla misura
umana -, quanto meno a livello dell'attuale
Unione europea.
La scelta federalista, da anni compiuta dai
cittadini bassanesi e dalla loro amministrazione, è la sola che permette loro di essere, al
tempo stesso, comunità locale e comunità sovranazionale, attraverso quei principi concepiti proprio duecento anni fa nella prima costituzione federale della storia, gli Stati Uniti
d'America, e da Emmanuel Kant nella sua
Pace pevpetua; che in Europa affascinarono gli
illuministi francesi e gli uomini del nostro Risorgimento; che furono fatti propri, diventando strumento di concreta battaglia politica, dai Resistenti europei nella lotta contro il
nazismo e il fascismo, durante la seconda
guerra mondiale. Principi dell'autonomia, del
pluralismo, del coordinamento, della solidarietà, della sussidiarietà, della partecipazione, che qui vogliamo ricordare, in un momento d i grande confusione politica e culturale,
spesso dovuta a colpevole ignoranza. Solo atMAGGIO 1994
traverso l'applicazione di tali principi federalisti la persona, il cittadino, ritornato il centro della società, soggetto e non oggetto della
politica, potrà superare l'angoscia che ci afferra soprattutto per l'impotenza di fronte ai
problemi che sono ormai a livello planetario
e al fatto che non possiamo incidere sulle decisioni che vengono prese al di fuori e al di sopra delle nostre volontà.
È così che le mura, gli archi, le fontane, i
capitelli, ma anche gli orti, i fiori, le capanne
di Bassiano, fissati nel libro, e quelli d i Ponten-Royans, e di mille altri comuni europei gemellati, rivivono come centri e fondamento
d i una storia dell'Europa, che solo nella speranza di una sua unità politica potrà sopravvi¤
vere.
I n ogni caso, risulta evidente la complessità di quei meccanismi messi in atto al fine di
apportare un contributo al superamento di
tensioni latenti fra le due grandi Comunità
del Belgio. Per raggiungere tale obiettivo occorre che i politici si assumano le proprie responsabilità e non facciano ricorso al benché
minimo pretesto per bloccare il sistema. Sarà
la storia a dimostrare se la riforma dello Stato
che il Belgio ha portato a compimento sarà in
g a d o d i determinare una decisiva svolta verso il progresso.
m
La politica sociale europea
(segue da pag 12)
(11 Ernst F. Schumacher. Piccolo P bello, Mondadori. Milano
1978.
(2i Arthur E. Morgan, Le comuniti del fuiuro. edizioni di Comunità, Milano 1959
I1 nuovo stato federale belga
( s q u r da pag IO)
crocevia fra culture germaniche e romanze.
Non si tratta soltanto di lingue diverse (il
neerlandese parlato al Nord e il francese parlato al Sud), ma anche d i notevoli diversità
sul piano sociologico, in particolare per quanto concerne il ruolo dell'autorità pubblica
nella vita dei cittadini.
A ciò si aggiunge la situazione di BruxellesCapitale in cui vivono non solo dei cittadini
di lingua francese e neerlandese, ma anche
molti stranieri (il 29% della popolazione). Vi
è inoltre la Comunità germanofona, con
68.000 abitanti, che fa parte della Vallonia
per quanto concerne le questioni territoriali,
ma che al tempo stesso è costituita in Comunità autonoma per le materie concernenti il
diritto dei singoli.
Questo è probabilmente il motivo per cui
sono stati necessari tempi lunghi in sede costituente per arrivare ad un accordo. E senza
dubbio anche il motivo alla base della estrema complessità del nuovo quadro costituzionale. Ciò non facilita certamente la trasparenza per il cittadino, che spesso non comprende chi è responsabile per che cosa. In tale contesto, si comprende anche perché il Belgio ha un notevole numero di meccanismi di
coordinamento, non soltanto al livello ministeriale, ma anche e soprattutto al livello delle amministrazioni. Non occorre soltanto evitare controversie fra le Regioni e lo Stato federale, ma anche fra le Regioni e le Comunità
stesse, e nel medesimo tempo occorre migliorare l'efficienza della gestione pubblica. Fin
dall'inizio, del resto, il Consiglio d i Stato ha
ritenuto che una Comunità o una Regione
che si fossero sentite lese - seppure indirettamente - dalla decisione di un altro potere
locale avrebbero potuto portare la questione
dinanzi al Comitato d i concertazione, e ciò
succede costantemente. Per gli stessi motivi,
infine, la Costituzione impone in maniera
esplicita la lealtà federale alle entità federate.
MAGGIO 1994
scono primariamente la molteplicità. I1 principio di sussidiarietà può trovare una sua propria realizzazione solo dando la concreta possibilità a tutte le istanze sociali di partecipare
attivamente all'interno del processo decisionale. Vi sono infatti settori nei quali le regioni, per esempio, riescono ad affrontare determinati problemi più efficacemente delle autorità centrali, avendo esse diretto accesso ai
bisogni dei cittadini interessati.
I1 Libro verde avrebbe dovuto sottolineare
tali aspetti più energicamente. L'Europa ha
una sua propria fisionomia e pertanto non abbisogna di essere iilteriormente realizzata.
Ciò che però bisognerebbe promuovere maggiormente - soprattutto in riferimento alle
prospettive scaturenti dal Comitato delle regioni che recentemente è stato costituito è un inserimento più attivo delle istanze locali e regionali nel processo decisionale concernente, tra l'altro, lo sviluppo di una politica
sociale europea. Un'Europa determinata da
una pluralità di diversità essenziali non può
permettersi di prescindere dalle realtà regionali che sono le prime a costituire e rendere
possibile questa pluralità stessa.
della città di Amman, con tutti i suoi contrasti sociali in seguito al conflitto arabo israeliano e l'immigrazione palestinese nel 48 e nel
67, nonché con l'ultima immigrazione di persone tornate dai paesi del petrolio in seguito
alla guerra del Golfo. Tale sviluppo demografico innaturale ad Amman ha creato un raddoppio della popolazione varie volte, creando
una pressione sociale non indifferente per garantire i bisogni primari dei cittadini e la
creazione di un peso economico innaturale
per assorbire tale popolazione e garantire gli
stessi servizi sociali della stessa qualità.
Malgrado tutte le sfide, la Giordania, sotto
la guida di Sua Maestà Re Al Hussein Ben
Tallal il Grande, ha scelto una via democratica evidenziata nel Medio Oriente, per dividere con il popolo le decisioni e affrontare le
difficoltà politiche, economiche e sociali, permettendo votazioni libere e trasparenti per il
Parlamento giordano.
Da quanto è emerso nel mio discorso, la
cooperazione fra il mondo arabo e quello europeo è un obbligo storico, e quindi alcune
delle più importanti basi per lo sviluppo di tale cooperazione sono:
1 - aumentare e modernizzare le relazioni economiche, sociali e culturali attraverso
l'incoraggiamento delle varie possibilità di
collaborazione diretta fra le città arabe ed eiiropee;
2 - la presentazione dei prodotti industriali e artigianali attraverso mostre ed esposizioni fra i vari Paesi;
3 - l'incoraggiamento dello scambio culturale attraverso l'ospitalità dei complessi
folkloristici nazionali dei vari Paesi per la reciproca conoscenza delle arti, nonché l'incoraggiamento per gli incontri sportivi fra città;
4 - la concessione d i borse di studio
presso le diverse Università onde consentire
un valido scambio culturale e scientifico fra i
vari popoli;
5 - incoraggiare la collaborazione culturale attraverso gli inviti di vari esperti in storia e scienze sociali, nonché la preparazione
dei vari congressi ed incontri per far meglio
conoscere la civiltà araba agli altri popoli.
m
Il dialogo euro-arabo
(segue da pag.
ELENCO DELLE
NUOVE ADESIONI
DI ENTI LOCALI
ALL'AICCRE
j)
scientifica e tecnologica in Europa contemporaneamente ai movimenti di liberazione, nonché la scoperta del petrolio e il gettito incontrollato e immenso dei capitali, sono state tra
le cause più importanti nella creazione dell'attuale società araba, con tutte le sue contraddizioni. La popolazione aumentata in dismisura e la concentrazione della maggior
parte di essa nelle città, a causa dell'attrazione economica e dei servizi. Tale sviluppo demografico nelle città arabe ha portato a una
pressione colossale sul sociale, creando dei
quartieri poveri, diffusione delle malattie sociali, problema dei senza tetto, disoccupazione, criminalità e l'estremismo politico. Non
sono più un segreto per nessuno le conseguenze negative di tali malattie sociali nella
struttura sociale in generale nelle città arabe.
Permettetemi di illustrarvi il caso specifico
l
l
al 30 Aprile 1994
1
~ b .
Comuni
Montefalcione (AV) . . . . . . . .
Capua (CE) . . . . . . . . . . . . . . .
Isola Capo Rizzuto (CZ) . . . .
Sassuolo (MO) . . . . . . . . . . . .
Castelviscardo (TR) . . . . . . . .
Pederobba (TV) . . . . . . . . . . .
... .. .... ..
Raveo (UD) . . . . . . . . . . . . . .
Borgoricco (PD)
COMUNI D'EUROPA
Dall'atto puro all'alibi..
.
(regue do pag. 2)
Romano, istituzionalista pluralista, non prese la
tessera fascista quando, nel 1925, fu in prima linea nella commissione che preparò il passaggio
del fascismo a regime totalitario: egli non accettava il monismo a cui sembrava approdare il fascismo. In realtà i1 problema è complesso e va
sbrogliato: si potrebbe affermare audacemente
che egli teorizzò avanti lettera il corporativismo
- sublimandolo -, avendo in questo neofeudalesimo inevitabilmente nello sfondo (anche lui, esplicitamente o implicitamente) quello
Stato etico - di cui aveva assorbito alcuni motivi ispiratori nell'atmosfera dei «Fondamenti
della filosofia del «diritto» di Gentile (si pensi
al transito nell'università di Pisa di Romano)
- e col sottinteso dell'esigenza di un «monarca» che coordinasse il caotico pluralismo (come
poi - lo vedremo - capitò a Bottai, che non
poteva prescindere da un partito unico). Si finge di ignorare che lo stesso giuspositivista Kelsen fu accusato in sede europea di essere stato,
suo malgrado, un ostetrico del nazismo: ma la
posizione di Kelsen, del neo-kantiano Kelsen,
non ha le conclusioni totalitarie di Romano, il
difficile rapporto che gli si pone di fronte al diritto internazionale è noto (a un certo punto
l'autore della «Dottrina pura del diritto» si lasciò scappare che la origine profonda dell'imperialismo è la sovranità nazionale illimitata): rozzamente si può dire che Kelsen non finì a Salò,
ma in esilio fuori di Germania e Austria naziste,
presso nazioni libere. Quel che qui ci interessa
è che la lunga battaglia di Croce contro il diritto
naturale - unitamente con le posizioni di Gentile - hanno tenuto lungamente e tengono lontana buona parte della cultura giuridica italiana
dall'afferrare i pericoli del disdegno verso, appunto, il diritto naturale e la relativa considerazione dei fondamenti dei diritti dell'uomo (può
essere parzialmente utile rivedere il saggio di
Erhard Denninger - «Sul rapporto tra diritti
dell'uomo e diritto positivo» - in «Hans Kelsen nella cultura filosofico-giuridica del Novecento», edito dall'Enciclopedia Italiana [1983],
ma mi hanno spesso colpito acute osservazioni
finali di Renato Treves, kelseniano assai attento). A parte le incisive pagine del cattolico Capograssi, la rivalutazione da parte del tardo
Carlo Antoni del diritto naturale, con una severa critica alla posizione di Benedetto Croce e
dei suoi cattivi effetti, dovrebbero insegnarci
qualcosa. Del resto, scendendo terra terra, si
sente talora qualche distratto professorino
esclamare: «Si ubbidisce alle leggi, ancorchè ingiuste, come recita il 'Critone' platonico», lad-
dove Platone polemizza contro un sofista anarchico e sposa in quel dialogo la teorica, per lui
inconsueta, del «contratto sociale» (le Leggi,
comparse in sogno a Socrate, gli ricordano che
egli poteva «persuaderle» ad essere diverse, e se
poi non gli piacevano ecc..).
E scendiamo quindi - terzo motivo - a
Giuseppe Bottai, «un programmatore degli anni
trenta»: programmatore in che senso? Non fu
certo un precursore della programmazione politica, poichè - come si diceva - daile sue corporazioni non scaturiva una sintesi programmatoria, se non fosse intervenuto un partito unico,
che avesse rotto e ricomposto il settorialismo
delle corporazioni: il corporativismo è il grande
nemico della politica tout court, ma c'è in Italia
e in Europa chi non lo ha ancora capito.
Infine, malgrado tanti sforzi generosi di giovani e meno giovani storici - seguiti alla vecchia generazione di Tasca (parlo dello storico e
quindi non prendo posizione sul suo comportamento politico, che non ho elementi conoscitivi
adeguati per giudicare) e di Salvatorelli - non
mi pare ci sia una storia del fascismo, che non
si limiti alle «buone» e alle «cattive» azioni di
Mussolini e del regime dittatoriale ma approfondisca gli effetti psicologici, culturali, comportamentali del regime nel trasformare in sudditi gli italiani che si accingevano - lentamente, d'accordo - a diventare cittadini. Se ci rifacciamo a un Risorgimento italiano, che affonda la sua preparazione intellettuale e morale nei
Verri, Beccaria, Genovesi, Filangeri, Pagano,
ma anche in Romagnosi maestro di Cattaneo,
nel giansenismo della madre di Mazzini, nel dialogo del giovane Cavour con i De Sellon e gli altri parenti ginevrini, calvinisti, sociniani e di altre eterodossie (chi non ricorda le splendide pagine di «La giovinezza del Conte di Cavour» di
Francesco Ruffini?), nel socialismo libertario
del napoletano duca di San Giovanni, Carlo Pisacane, o nel socialismo federalista dell'altro allievo di Romagnosi, Giuseppe Ferrari, se ci rifacciamo a questi e ad altri elementi vivi scaturiti dalla nostra terra col nostro «risorgere» (perchè non parlare di Rosmini, di Manzoni, eccetera?), il fascismo rappresenta, miei cari storici,
un allontanamento degli italiani dall'autentico
«patriottismo» (disponibilità a sacrificarsi per lo
Stato nazionale, che è il proprio Stato, scaturito
dalla propria terra e col 'dovere di farne valere
tutti i motivi ideali, di fronte agli altri popoli
«fratelli» - scusate se penso a Mazzini e anche
al Manzoni del «marzo 1 8 2 1 -)~ e la crescita
di un popolo di cinici mormoratori inframezzati
da eroi retorici, fotocopie caserecce del Superuomo nazista. È tutta la prospettiva della storiografia di De Felice che non ci permette di
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ISSN 0010-4973
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COMUNI D'EUROPA
giudicare passo passo il fascismo, certo ben lontani anche daila agiografia antifascista: è cosa
secondaria che le singole azioni della dittatura
(cioè della tirannide) fascista fossero nere, ma
anche grige o talvolta bianche di fronte alla diseducazione di un intero popolo ridotto in
«quotidiana servitù» - fingendo di credere,
ubbidendo nei limiti del saluto fascista, scaricando su pochi ingenui coraggiosi l'imperativo
di combattere -.
A parte tutto ciò, adesso si insinua che con la
sconfitta nazifascista è crollata una «civiltà europea» (così veniamo ail'alibi europeista), perchè siamo diventati una appendice dell'America: si rilancia l'equivoco per cui, dopo il Primato di Gioberti e quello di Bottai, ci sarebbe anche un «Primato» dell'Europa degli europeisti.
Ora questa Europa eurocentrica, erede del nazionalismo e dell'imperialismo otto-novecentesco, potrà piacere a qualche neo-hegeliano, a
qualche ammiratore di Spengler, a qualche tardo seguace del Patto antikomintern, e sarebbe
in linea con Gentile recensore di Chandra Bose,
ma non è l'Europa federale dei federalisti, 1'Europa della Resistenza europea, che non conosce
primati, ma solo ii dovere di battersi ovunque
per il federalismo e i suoi ideali di pace «costruita» - il dovere dell'Europa di federarsi è un
dovere di esemplarità, punto e basta -. Comunque Lafayette andò in aiuto della Rivoluzione americana, il senatore americano Fullbright fece votare al Parlamento del suo Paese
l'appoggio aila costituzione degli Stati Uniti
d'Europa «nel quadro delle Nazioni Unite». Ecco, non le miserabili prospettive a cui si era inchinato Gentile, ma la creazione (quanto cammino da percorrere ancora) di Nazioni Unite
ampiamente rappresentative, democratiche, dotate di poteri reali, guardandosi bene che queste
Nazioni Unite non siano la copertura pudica di
un tipico (paterno?) imperialismo dei «più forti», ma siano l'espressione di un nuovo e giusto
ordine economico-sociale planetario e, anche a
questo titolo, rivendichino il diritto-dovere di
interventi umanitari. Quanto siamo lontani da
Gentile e dal regime «che fu suo»!.
P.S.: Mio padre, antropologo, criminologo,
ecc., autore di un famoso saggio su «La genesi
del delitto di fronte alla psicologia moderna»,
per il quale aveva consultato - a parte il contatto diretto in molti casi - centinaia e migliaia
di schede di detenuti in carcere per «reati comuni», mi diceva: «Non hai idea come autori di efferati delitti esprimano sovente sentimenti gentili e come si scopra più di una volta che siano
stati autori di opere buone». Non ci si turbi dunque per le contraddizioni di Giovanni Gentile.
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