ATTI DEL CORSO DI FORMAZIONE PER OPERATORI DEI CENTRI DI ASCOLTO CARITAS "La fatica di integrarsi" Il Centro di Ascolto e il fenomeno migratorio Ottobre 2001 - giugno 2002 A cura della Segreteria Centri di Ascolto 1 Primo incontro 20 ottobre 2001 La fatica di integrarsi Intervento di Maurizio Ambrosini Immigrazione, lavoro e solidarietà. Riflessioni sul caso italiano 1. Lo scenario della riflessione Secondo Michael Walzer, filosofo della politica americano, nelle società occidentali è oggi possibile distinguere due categorie di persone: cittadini a pieno titolo e altri che non sono riconosciuti come tali pur lavorando più o meno regolarmente (Walzer, 1987). Egli ricorda come nell’antica Atene convivessero due tipi di residenti: gli ateniesi, cittadini a pieno titolo, e i meteci, stranieri tollerati in quanto utili ma sprovvisti di cittadinanza. Al governo della città erano ammessi solo i cittadini e non gli stranieri. È questa probabilmente la forma di tirannia più comune nella storia dell’umanità: la negazione dell’appartenenza, che diviene il primo anello di una lunga catena di abusi. La questione dei lavoratori migranti richiama allora non delle categorie specifiche di persone da tutelare e proteggere, ma tocca un punto fondamentale di una società che si mostra incapace di invertire quella tendenza perniciosa che colloca nel cuore della democrazia la divaricazione tra cittadini a pieno titolo e non cittadini, forse tollerati in quanto utili, ma sempre relativamente e in maniera condizionata. Nello stesso tempo, credo abbia ragione Bastenier (1991) nel sottolineare come il tema dell’immigrazione sia uno di quelli più suscettibili di creare stereotipi, perché mette in moto tutta una serie di fantasmi, di paure, di vissuti problematici da parte delle popolazioni residenti che, a torto o a ragione, si sentono in qualche modo minacciate o comunque indotte ad identificare nell’immigrato il capro espiatorio delle tensioni sociali. 2. I processi migratori Generalmente per giustificare un atteggiamento di accoglienza nei confronti degli immigrati si suole sottolineare le ragioni che portano le persone a uscire dal loro paese e a cercare rifugio in altri. La miseria, senza troppe specificazioni, viene assunta come la spiegazione auto-evidente dei processi migratori. Come si dice tecnicamente, sarebbero largamente prevalenti i “fattori di spinta”. Certamente ci sono migranti di tanti tipi: ci sono persone che arrivano perché spinte dalla guerra, o dalle persecuzioni; altre sono sollecitate dalle distanze economiche; altre volte sono le condizioni istituzionali e anche strutturali che orientano i flussi migratori verso una nazione o un’altra. (cfr. tabella n.1) 2 Tab.1 Uno schema per l'analisi dei processi migratori Livello macro internazionali) (relazioni Livello intermedio (network migratori, reti e agenzie autoctone) Livello micro famiglie) (individui e Dimensioni formali Leggi sull'immigrazione: sistemi delle quote, disposizioni per l'accoglienza di rifugiati, ecc. Accordi formali tra Stati Disposizioni relative all’accesso alla cittadinanza Diritti e politiche sociali per gli immigrati Norme sui ricongiungimenti familiari Forme di sponsorship Formazione di minoranze organizzate e dotate di istituzioni riconosciute Servizi formali per gli immigrati Attivazione di procedure legali per l'emigrazione Rimesse inviate mediante canali istituzionali Dimensioni informali Permeabilità di fatto di alcune frontiere Domanda non esplicita di lavoro immigrato Differenziali di reddito tra paesi d’origine e di approdo Influenza della comunicazione di massa Formazione di reti informali di mutuo aiuto Specializzazioni etniche Catene migratorie Istituzioni facilitatrici Reti di sostegno autoctone Decisioni (individuali e familiari) di emigrazione Rimesse inviate attraverso canali informali Attivazione di meccanismi di richiamo Un altro elemento è il fatto che esistano dei settori economici che, in un modo o nell’altro, attirano e danno lavoro agli stranieri. In Italia la vasta economia sommersa e il dinamico mondo delle piccole imprese si sono rivelati terreno fertile per attirare regolarmente o irregolarmente mano d’opera straniera. Ma tutto questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Bisogna constatare, infatti, che gli immigrati non arrivano in genere dai paesi più poveri, dalle zone del mondo dove maggiore è la morsa della fame e della miseria, ma dai paesi in cui si comincia a scorgere la possibilità di una vita migliore, dove si comincia ad aprire lo sguardo e a comprendere che la sopravvivenza non è l’unico destino possibile; e dal momento che in patria le condizioni non offrono un lavoro adeguato, benessere, speranza di futuro, scatta la molla per partire. Pensiamo al ruolo esercitato dalla televisione e dai mass-media in questo ambito. C’è un secondo aspetto che dobbiamo valutare attentamente. Gli immigrati non arrivano casualmente, ma nella maggior parte dei casi scelgono determinate destinazioni perché qualcuno li ha preceduti, soprattutto quando i flussi migratori cominciano a consolidarsi: hanno degli avamposti, dei punti di riferimento. È un fenomeno d’altronde sperimentato anche da noi italiani. Le migrazioni si compiono attraverso legami e reti di persone, per cui i primi arrivati chiamano parenti, amici e compaesani. Si formano dei ponti tra terra di origine e terre di destinazione che spiegano perché, a parità di condizioni socioeconomiche, alcuni partano e altri no, e perché approdino in certi paesi e non in altri. 3 Da ultimo non bisogna trascurare l’influenza delle motivazioni individuali. Tra l'altro, occorre ricordare che le migrazioni attuali sono anche migrazioni di personale qualificato. I grandi paesi ancora aperti all’immigrazione, Stati Uniti, Canada, Australia, oggi, reclutano personale qualificato e istruito, lavoratori autonomi, imprenditori, permettendo ai loro talenti di esprimersi meglio che in patria. Alla luce di queste diverse valenze, il fenomeno dell’immigrazione non può essere connotato solo in termini di miseria. Esiste certamente una spinta derivata dalla povertà, dalle diversità di reddito tra le aree del mondo, ma occorre considerare anche le sollecitazioni derivanti dal funzionamento dei sistemi economici sviluppati, dalle reti etniche, dal rapporto che si intesse fra migranti e non migranti, senza dimenticare infine la forza delle motivazioni individuali, dell'istruzione e della mobilità professionale. Non si può, quindi, leggere l’immigrazione come un comportamento casuale e disperato degli immigrati. L’immigrazione non è solo un problema degli immigrati, ma è profondamente legata alle istituzioni, ai comportamenti e agli atteggiamenti delle società ospitanti. In altri termini ogni società plasma, definisce e costruisce il suo tipo di immigrazione. 3. Modelli di migrazione Sul piano internazionale è possibile identificare diversi modelli di migrazione, in base a come essa è stata recepita, vissuta, e costruita nei paesi riceventi (cfr. tabella n. 2) Il primo modello è quello dell’immigrazione temporanea, illustrata dal modello tedesco fino alla riforma del 1999, per cui l’immigrazione, è stata vista come un fatto temporaneo, di lavoratori ospiti che venivano chiamati in quanto necessari per rispondere a certe esigenze del mercato del lavoro, ma che non dovevano mettere le radici: ci si attendeva che tornassero in patria dopo un certo periodo. Un modello di questo genere risponde ad una concezione strumentale del lavoro, che utilizza delle persone in modo temporaneo per rispondere a determinate esigenze economiche. Il secondo modello, detto assimilativo, può essere esemplificato dal caso francese. Qui la spinta è verso una rapida assimilazione anche culturale dei nuovi arrivati. È un modello che punta all’integrazione degli individui, sprovvisti di radici. La convinzione della superiorità del proprio modello civile e nazionale ha informato l’ottimismo francese sulla capacità di assimilare gli stranieri in quanto individui, mentre la formazione di comunità minoritarie è stata lungamente scoraggiata, in quanto foriera di appartenenze parziali, tendenzialmente contrapposte all'identità nazionale. Il terzo modello è quello della società multiculturale. E’ più recente ed è forse il meno attuato storicamente, ma è certamente influente dal punto di vista culturale negli Stati Uniti, in Olanda, in Svezia e in parte in Inghilterra. Questo modello è ravvisabile nelle società in cui esiste un’idea più pluralistica di tolleranza dei confronti degli immigrati e delle loro culture. Si cerca di dotarsi di un’organizzazione sociale di tipo multietnico, valorizzando e sostenendo la formazione di comunità e di associazioni di immigrati. Sono queste i soggetti deputati all'erogazione di vari interventi sociali, che raggiungono gli individui per il tramite della comunità di appartenenza. Il quarto modello, che definisco implicito, si identifica con il caso italiano e in parte almeno con gli altri paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, che soltanto in anni recenti sono passati da società di emigrazione a società di immigrazione. Buona parte dei nostri problemi derivano dal fatto che l’immigrazione non è stata esplicitamente costruita, voluta, accettata e riconosciuta, ma è stata utilizzata economicamente e nel mercato del lavoro. Si finisce per regolarizzare chi, in un modo o nell’altro, è riuscito ad entrare, anziché prevedere un modello di regolazione e di promozione più disciplinata ed esplicita di 4 migrazione. Certamente non è una politica da paese civile quella di tenere le frontiere formalmente chiuse, utilizzare largamente il lavoro irregolare degli immigrati, e poi regolarizzare quelli che in qualche modo sono riusciti ad eludere i controlli, spesso con modalità illegali, utilizzando vari stratagemmi che sono fra l’altro sempre più spesso gestiti da organizzazioni criminali. Tab.2. Modelli di integrazione degli immigrati Temporaneo Concezione forza lavoro utile dell'immigrazion per colmare e esigenze temporanee Accesso status cittadino Rapporto autoctoniimmigrati allo Difficile di parziale Politiche lavoro del Reclutamento attivo; legame permesso di soggiornopermesso di lavoro; parità salariale e Relativamente facile Isolamento Politiche sociali assimilativo Individui destinati a diventare cittadini della società ospitante Garanzia dell'alloggio per i lavoratori; difficoltà di ricongiungiment o familiare e naturalizzazione Multiculturale Implicito minoranze Ufficialmente discriminate da non necessaria; tutelare in realtà utilizzata sia in forme regolari, sia in forme sommerse relativamente Difficile e incerto indifferente Discriminazione/ Tolleranza indifferenza Tendenziale separazione Selezione dei flussi: popolazioni "assimilabili", lavoratori qualificati azioni positive: sistema delle quote; incoraggiamento dell'imprenditori a Non specifiche; tendenti a facilitare l'inserimento individuale ed eventualmente la naturalizzazione ; dispersione territoriale tendenti a rafforzare le comunità etniche, anche come soggetti erogatori di servizi ai membri Ambivalenza tra accoglienza umanitaria e insofferenza Parità salariale nel lavoro regolare; diffusa tolleranza verso il lavoro irregolare; attività promozionali frammentarie, a livello locale Poco sviluppate, a carattere volontaristico, in gran parte devolute ad enti locali e terzo settore In questa configurazione del modello migratorio italiano, incide la diversa epoca storica in cui sono avvenuti gli spostamenti migratori e le mutate caratteristiche del contesto economico di accoglienza. La tab.3 sintetizza queste differenze, opponendo le migrazioni della fase aurea dello sviluppo industriale post-bellico alle migrazioni che si inseriscono nell’economia instabile e frammentata del periodo contemporaneo, quando l’Italia ha cominciato a diventare un punto d’approdo per gli emigranti del Sud e dell’Est del mondo. 5 Tab.3. Le migrazioni in Europa: confronto tra le migrazioni della fase dello sviluppo industriale “classico” (1945-1973) e le migrazioni contemporanee (economia “postfordista”) Paesi di provenienza Migrazioni delle società industriali classiche Europa meridionale, excolonie Migrazioni delle società “post-fordiste” Europa orientale, extraEuropa Europa centro-settentrionale Allargate, con l’emergere dell’Europa meridionale Caratteristiche demografiche Inizialmente maschi, giovani, Giovani, con rilevanti quote dei migranti a bassa istruzione. Donne al di popolazione istruita. seguito Anche donne primo-migranti Settori di inserimento Prevalentemente, attività Nicchie secondarie, con un centrali del modello di ruolo eminente delle piccole sviluppo: industrie, imprese, del basso terziario, costruzioni, miniere dell’economia informale RAPPORTO CON IL SISTEMA Richiesta esplicita, accordi Assenza di domanda ECONOMICO tra Stati per la fornitura di esplicita, ma ampio utilizzo manodopera formale e informale Aree di destinazione Cittadinanza sociale Diritti connessi al lavoro regolare in ambiti sindacalmente organizzati Accesso problematico ai diritti sociali: diffusione di lavoro irregolare, assenza di politiche esplicite di reclutamento In questo modello italiano, possiamo poi distinguere, aiutati da un contributo di Salvatore Palidda (1996), tre contesti diversi. Il primo è quello delle grandi città, che in sociologia si definiscono post-fordiste, ossia soprattutto le metropoli del Nord - Milano, Torino, Genova - caratterizzate dal declino dell’industria tradizionale, da una frammentazione del tessuto produttivo e da problemi di integrazione della società. In questo contesto gli immigrati si inseriscono, come avviene anche a New York e a Londra, in modo particolare nei servizi, con alte percentuali di irregolarità, spesso con grandi problemi dal punto di vista abitativo. Il secondo tipo di contesto è quello delle città della crescita diffusa e del buon governo locale. Sono le piccole e medie città del Centro Nord, dove è più riscontrabile l’inserimento regolare degli immigrati nella vita economica, la partecipazione al mondo della piccola e media impresa e anche una loro discreta integrazione sociale; anche se in molti casi (penso a Brescia dove ho insegnato per dieci anni) la cittadinanza sociale resta inadeguata rispetto a quella che potremmo definire come "cittadinanza economica". Il terzo contesto è quello delle grandi città del Centro-Sud, con radicate economie sommerse, dove gli immigrati sono, paradossalmente, meno inseriti regolarmente nel mercato del lavoro, ma più tollerati. Stanno male come altre fasce di lavoratori e di cittadini, per cui la loro possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro regolare è bassa, ma anche la loro criminalizzazione è abbastanza contenuta. 4. Gli immigrati nei mercati del lavoro italiani È’ evidente che in Italia esistono diversi mercati del lavoro; due sono i principali sui quali disponiamo di dati. C’è il mercato del lavoro industriale che è molto concentrato in un'area 6 abbastanza ristretta del nostro paese, anche se negli ultimi due anni si registrano segni di allargamento. Il grosso degli immigrati inseriti regolarmente nelle imprese sta al Nord, (80%) e oltre il 70% in una area che è formata da Triveneto, Lombardia e Emilia. Si registrano negli ultimi anni crescite percentuali molto elevate anche in Toscana, nelle Marche e quindi verso il Centro del paese. L’altro grande mercato del lavoro regolare è quello del lavoro domestico, che ha una caratteristica territoriale molto diversa, segnata due aspetti: è un mercato molto metropolitano, per cui le due province di Milano e Roma totalizzano oggi più del 40% del lavoro domestico regolare; in secondo luogo, è un mercato molto sparpagliato nel paese, con una prevalenza del Centro Sud. Occorre poi ricordare due mercati minori, con caratteristiche di maggiore stagionalità e precarietà del’inserimento: quello del Sud, imperniato sul lavoro agricolo, che mantiene –nonostante alcuni miglioramenti verso una maggiore continuità e specializzazione delle attività- diffusi caratteri di irregolarità e sotto-salario, e quello del lavoro temporaneeo nel Centro-Nord, che spazia dall’agricoltura (caso Trentino) all’industria turistica (ancora Trentino, ma anche zone costiere venete e romagnole), dove il lavoro è stagionale ma con maggiori opportunità di fruire di condizioni di lavoro regolari. La tab.4 sintetizza le differenze riscontrabili. Tab.4.Modelli di impiego del lavoro immigrato in Italia Modello Modello delle Modello delle dell’industria economie attività stagionali diffusa metropolitane (Centro-Nord) Aree Terza Italia, Grandi città Aree turistiche, in territoriali Lombardia (specie Roma e parte agricoltura orientale Milano) Datori di Piccole e medie Basso terziario, Ristoranti, alberghi, lavoro imprese industriali edilizia, servizi alle imprese agricole, persone, famiglie edilizia Attività Lavoro operaio Collaboratrici Manodopera per le svolte stabile domestiche; stagioni turistiche, addetti ai servizi campagne di raccolta Immigrati coinvolti Maschi, a bassa Anche una quota qualificazione rilevante di donne Incidenza Scarsa Significativa del lavoro nell’industria; più (lavoro domestico, irregolare elevata in edilizia assistenza, edilizia ) Punti di Richiesta attenzione manodopera qualificata di Difficoltà di miglioramento, specie per le donne; emergere di attività indipendenti Modello delle attività stagionali (Mezzogiorno) Aree agricole, in parte turistiche Imprese agricole; (ristoranti, alberghi) Campagne di raccolta; (manodopera per le stagioni turistiche) Mista, con In prevalenza prevalenza maschi, giornalieri, maschile, spesso stagionali stagionale Modesta, anche in Molto elevata agricoltura; nell’agricoltura abusivismo nel mediterranea commercio ambulante Consolidamento Emersione del dello status lavoro sommerso, occupazionale; accesso ai diritti possibile sviluppo sociali di attività indipendenti 7 Consideriamo ora alcuni dati statistici, basati sulle iscrizioni all’INPS. tab.5. Immigrati dipendenti da imprese: dati complessivi, 1992-1999 Regioni 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Abruzzo Basilicata Calabria Campania EmiliaRomagna Friuli-Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino-Alto Adige Umbria Val d'Aosta Veneto 692 76 138 441 16.828 996 82 135 521 14.268 1.159 53 168 538 15.154 1.217 66 179 667 18.041 1.506 94 428 1.889 20.993 1.696 87 319 1.490 23.847 1.721 96 276 1.333 25.717 1.757 82 245 1.279 29.019 % 1999 su totale Italia 0,9 0,0 0,1 0,7 15,0 3.619 3.961 4.477 5.052 5.543 5.982 6.326 7.936 4,1 6.091 1.487 25.319 2.275 66 7.342 752 168 1.294 4.314 3.848 6.120 1.411 25.896 2.524 42 6.882 670 147 1.174 4.770 4.367 5861 1.371 26.899 3.148 31 7.387 685 117 1.074 5.438 4.797 5.871 1.477 31.059 3.996 30 8.791 668 111 1.001 6.343 5.871 7.583 2.198 37.357 4.662 47 12.355 1.268 217 1.304 10.458 6.808 8.972 2.320 43.027 5.912 55 12.974 1.207 245 1.375 11.133 7.580 8.828 2.446 45.233 6.886 51 14.130 1.182 226 1.275 11.903 7782 9.293 3.148 51.468 7.701 63 15.724 1.269 159 1.284 12.751 8.950 4,8 1,6 26,7 4,0 0,0 8,1 0,7 0,1 0,7 6,6 4,6 1.130 404 13.041 1.076 364 13.093 1.269 303 15.757 1.412 318 20.154 1.961 367 25.307 2.400 369 29.554 2.260 393 33.014 3.061 429 37.412 1,6 0,2 19,4 Totale 89.325 88.499 95.686 112.324 142.274 160.364 171.078 193.029 100,0 Fonte: elaborazioni ISMU su dati INPS e Caritas di Roma tab.6. Collaboratori domestici immigrati registrati all’Inps, anno 1998. Le maggiori province (più di 1.000 colf) Province Roma Milano Torino Firenze Napoli Bologna Genova Brescia Bari Verona Perugia Padova Messina Como Maschi Femmine 7.555 4.859 795 1.283 1.269 606 407 284 404 262 217 218 518 254 Totale 23.057 15.532 3.833 3.229 2.350 2.016 1.692 1.001 832 910 947 926 597 781 30.612 20.391 4.628 4.512 3.619 2.622 2.099 1.285 1.236 1.172 1.164 1.144 1.115 1.035 8 Modena Totale Italia Totale colf (It.+ imm) 130 23.975 27.668 882 79.646 188.204 1.012 103.441 215.872 Fonte: per gentile concessione della Caritas di Roma: elaborazioni di dati INPS La scoperta fatta da alcuni economisti (Venturini, Villosio, 1998) è che questi dati sono notevolmente sotto dimensionati, in quanto il numero degli immigrati regolarmente inseriti viene calcolato sulla base di una ritenuta che il datore di lavoro paga per consentire il rientro in patria dell’immigrato in caso di necessità. A parte il fatto che questi fondi non vengono mai utilizzati a tale scopo e finiscono nel calderone dell’INPS, dal punto di vista statistico si è scoperto che molti datori di lavoro non pagano questa ritenuta e forse neppure sanno che esista. Secondo le stime di Venturini e Villosio, risulta quindi che siano almeno il doppio gli immigrati regolarmente inseriti e il dato riportato risulterebbe così nettamente sotto stimato. Un altro dato si riferisce agli avviamenti al lavoro, ossia agli ingressi nell’occupazione dipendente. Anche questo dato contiene dei limiti, perché include solo parzialmente le collaboratrici domestiche e perché non distingue né le uscite, né i ri-avviamenti delle stesse persone, frequenti soprattutto nel settore agricolo. E’ comunque un indicatore di dinamismo del mercato del lavoro, e ci consente di scendere al livello provinciale. Tab.7. Le 20 province italiane con il maggior numero di avviamenti di lavoratori immigrati. Anno 1999 Province Agricoltura Industria Servizi Milano 364 4524 7626 Brescia 733 6407 5036 Vicenza 506 6473 2225 Trento 4431 1437 3019 Treviso 636 5902 1577 Bergamo 468 3325 3333 Modena 1471 3615 1906 Verona 2269 2552 2029 Bologna 1018 2416 2906 Perugia 3085 1715 1459 Venezia 312 1459 4458 Torino 137 3487 2566 Roma 702 878 3301 Ragusa 4247 263 73 Reggio E. 542 2766 993 Firenze 716 2305 1141 Cuneo 1837 1470 854 Padova 245 2446 1401 Arezzo 1126 1495 1295 Ravenna 1596 953 1217 Totale 49.372 87.454 81.406 Italia Legenda: A= agricoltura; I= Industria; T= Terziario Totale 12514 12176 9204 8887 8115 7126 6992 6850 6340 6259 6229 6190 4881 4583 4301 4162 4161 4092 3916 3766 218.232 Modello di Occupazion e T (+I) I +T I A (+T) I T/I I I/A/T T/I A T I+T T A I I A+I I I/T/A A+T+I 9 Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero del lavoro Approfondiamo ora più da vicino il caso milanese. Detto in sintesi, il simbolo del lavoro degli immigrati a Milano è la collaboratrice domestica, che sintetizza il fabbisogno di immigrati nel tessuto della grande città, e potremmo aggiungere in maniera crescente le figure dedite all'assistenza agli anziani, le baby sitter, gli addetti alle pulizie, una serie di attività e di lavori che sono richiesti, non solo dal sistema economico ma soprattutto dalle famiglie. Possiamo notare che qui troviamo una caratteristica strutturale delle grandi città globalizzate contemporanee, città dove, come ci raccontava Bonomi nel suo primo intervento, si concentra lavoro professionale qualificato, ma dove nello stesso tempo il lavoro ricco genera lavoro povero. In America è lavoro da piccole imprese, sono le gastronomie, lavanderie, i taxi, i ristoranti, quelle attività che producono una serie di servizi che non sono più prodotti all'interno delle famiglie, soprattutto per le fasce benestanti. In Italia, molti servizi necessari per la vita quotidiana e la buona vita delle persone sono ancora generati all'interno delle famiglie, ma sono famiglie in cui ormai entrambi i coniugi lavorano, lavorano molte ore al giorno, lavorano spesso lontano da casa e hanno carichi assistenziali in aumento, basti pensare agli anziani. E' qui che s'inserisce una notevole domanda di lavoro a cui rispondono in modo particolare gli immigrati. Dei 100.000 collaboratori domestici stranieri regolari iscritti all'INPS, la metà, circa 50.000, sono concentrati nelle sole provincie di Roma e di Milano; Milano ne conta 20.000, quindi 1 /5 dei collaboratori domestici immigrati presenti in Italia. In provincia di Milano, 3 collaboratori domestici su 4 sono stranieri, quindi si tratta di una nicchia di mercato del lavoro (e non parlo degli irregolari) che è sempre più legata alla presenza straniera. Se guardiamo invece alle imprese, comunque Milano è la prima provincia d’Italia, la seconda è Brescia per avviamenti di lavoratori immigrati nel '99. Le rappresentazioni che associano questo fenomeno al Nord-Est sono vere ma non del tutto, fanno torto a questo primato della Lombardia che vedete qui nel lucido; più di un lavoratore immigrato su 4 che lavora nelle imprese sta nella nostra regione. Milano ha la caratteristica di associare una cospicua domanda di lavoro industriale con una domanda di lavoro terziario, che la rende pilota anche in questo come in altri fenomeni sociali. Se noi guardiamo ora più da vicino ai lavori svolti dagli immigrati (prendo qualche dato dal monitoraggio Ismu ultimo, diretto dal prof. Blangiardo) scopriamo che è una galleria dei lavori poveri e umili della metropoli. Si può osservare per esempio per le donne (tab.8) la centralità di pochissimi lavori; delle donne che lavorano il 35,8% sono domestiche, con punte del 47% per le donne che vengono dall'Asia, per effetto soprattutto dell’incidenza delle filippine. Un'altra notevole componente è quella dell'assistenza agli anziani, circa il 10%; pulizie 7%; nel complesso, pochissime occupazioni concentrano grandi numeri di lavoratrici. Potremmo dire che, quale che sia il titolo d'istruzione e la storia professionale delle donne immigrate, il loro destino pressoché obbligato è quello di trovare lavoro come domestiche o assistenti agli anziani, e ben scarse sono, ancora oggi, le possibilità di miglioramento. 10 Per gli uomini (tab.9) il dato è un po' più diversificato ma sempre all'interno di questa galleria del lavoro più umile e povero che supporta la vita quotidiana delle nostre città. Tab.8 Tipo di lavoro svolto dalle donne straniere presenti a Milano nel 1999 e classificate per nazionalità (valori percentuali). Nessuno Impiegata amministrativa Operaia meccan. Qualif. Operaia generica Muratore Comm./ristoratore Altro commercio Ambulante Cuoca Cameriera/barista Portinaio/posteggiat. Domestica Est Europa 21,1 Nord Africa 62,5 Altri Africa 15,9 America Latina 7,3 Asia 11,5 Total e 18, 2 1,6 - - 1,6 3,1 1,4 5,3 - - 1,0 - 0,5 5,3 5,3 31,6 2,1 2,1 18,8 4,8 3,2 3,2 1,6 3,2 3,2 33,3 3,1 1,0 1,0 2,1 4,2 2,1 29,2 1,4 0,7 0,7 2,0 3,4 5,4 47,3 2,4 0,5 0,8 1,3 1,3 1,6 4,0 1,1 35, 8 7,0 Pulizie/disinfestazion 4,2 6,3 12,5 5,4 e 0,8 Prostituzione 5,3 1,6 1,0 1,3 Lavori artistici/creativi 5,3 4,2 0,8 Professionali 10,5 1,6 0,3 Artigiani/Servizi 1,0 5,3 Altro artigiano 13,5 4,3 Baby sitting 5,3 8,3 6,3 5,2 1,4 9,9 Assistenza agli 5,3 2,1 12,7 21,9 4,1 anziani 0,3 Servizi sanitari 1,6 0,8 Servizi 2,0 sociali/culturali Totale 100 100 100 100 100 100 Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di Milano. Tab.9 Tipo di lavoro svolto dagli stranieri maschi presenti a Milano nel 1999 classificati secondo la provenienza (valori percentuali). Nessuno Lavori occasionali Imprenditore/Direttor e Impiegato amministrativo Operaio mecc. Est Europa 30,6 - Nord Africa 12,8 0,5 2,6 Altri Africa 22,8 - 2,0 3,1 3,3 4,1 1,0 - America Latina 15,6 - Asia Totale 7,8 1,0 14,4 0,2 1,2 2,2 4,9 3,6 6,7 2,0 1,9 11 Qualificato 0,2 Operaio manufatt. 2,0 qualific. 12,0 Operaio generico 10,2 11,3 12,0 17,8 11,8 5,1 Muratore 14,3 7,7 2,2 4,4 2,0 0,7 Manovale edile 2,0 0,5 2,2 0,5 4,8 Commerciante/ristor 7,2 4,3 4,9 atore 3,6 Altro commercio 2,0 5,1 1,1 4,4 9,6 Ambulante 2,0 5,6 18,5 11,1 10,8 6,5 Cuoco 2,0 12,8 2,2 4,4 3,9 5,3 Cameriere/barista 6,1 2,6 3,3 2,2 9,3 5,1 Guardiano/custode 2,0 6,2 3,3 4,4 5,9 2,6 Facchino e simili 4,1 1,5 6,5 4,4 1,0 2,7 Autista 2,0 1,5 5,4 2,2 2,9 3,4 Domestico 2,2 6,7 7,4 6,8 Spazzino/disinfestat 4,1 7,2 4,3 6,7 8,3 ore 0,9 Lavoro 1,1 4,4 1,0 artistico/creativo 3,8 Professionali 6,1 4,6 2,2 3,9 3,6 Artigiani/servizi 4,1 5,1 4,3 2,2 2,0 0,9 Altro artigiano 2,5 0,9 Assistenza agli 1,1 2,2 1,5 anziani 0,3 Servizi sanitari 0,5 0,5 0,2 Servizi 0,5 sociali/culturali Totale 100 100 100 100 100 100 Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di Milano. Alcune novità si segnalano però sul fronte del lavoro autonomo. Abbiamo circa 7.000 ditte individuali ormai di proprietà o il cui titolare è uno straniero, di queste la maggioranza, circa 5.000, sono di immigrati provenienti dai cosiddetti paesi extracomunitari; alcuni gruppi però monopolizzano questo settore (cinesi, egiziani). Negli ultimi anni stanno emergendo altri soggetti come i marocchini, ma molti altri gruppi restano indietro. I filippini, inseriti molto bene nel lavoro dipendente, hanno appena 55 iscritti alla Camera di Commercio di Milano come titolari di ditte individuali. Ci si può domandare a questo punto come si verifica lo strano fenomeno del lavoro immigrato che si inserisce in un paese con tanti disoccupati; anche nella realtà milanese, non mancano le fasce sociali che faticano a inserirsi nel mercato del lavoro. Il discorso è molto complesso e mi limito ad accennare qualche passaggio. In realtà proprio questa contraddizione dimostra la complessità di un mercato del lavoro come quello italiano. In una società sviluppata il mercato del lavoro è segmentato; possono coesistere settori e aree in cui c’è il lavoro e non ci sono le persone disponibili a farlo, e altre aree in cui invece le persone che cercano lavoro superano la disponibilità di posti. Naturalmente in Italia tutto è reso più complicato dalle differenze regionali. Abbiamo regioni che hanno tassi di disoccupazione fra i più alti d’Europa e altre che tendono verso i 12 valori più bassi. Da alcuni anni è ricominciato il fenomeno dell’immigrazione interna, che però non è più sufficiente a rispondere ai bisogni delle imprese. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’offerta di lavoro italiana è diventata più autonoma: con l’istruzione cresce la capacità di cercare lavoro, ma aumenta anche la selettività, cioè il rifiuto di determinati lavori. Se si è istruiti si cerca lavoro in certi ambiti e si tende a rifiutare il lavoro manuale. Un altro elemento da considerare riguarda il fatto che la mobilità sociale in Italia è difficile a livello intragenerazionale; vale a dire che, nel corso della vita di una persona, è difficile passare da operaio ad impiegato, da impiegato a dirigente (Cobalti, Schizzerotto, 1994). Pertanto, cominciare da operaio significa rischiare un passo falso, caricarsi di uno stigma che può condizionare tutta la carriera successiva, rendendo più incerti e difficili i successivi cambiamenti. Nello stesso tempo il lavoro immigrato è un lavoro flessibile e adattabile, e può risultare più appetibile del lavoro autoctono. Poiché l’immigrato è sprovvisto, almeno nei primi anni, di relazioni familiari e sociali ed ha bisogno di guadagnare, è spesso più disponibile a fare orari che magari la mano d’opera italiana non accetta. 5. L’incontro tra domanda di lavoro e offerta immigrata Un fenomeno da approfondire è quello che riguarda l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. (cfr. tabella n. 10) Ci sono anzitutto delle disposizioni normative per cui, per un certo periodo, nel mercato del lavoro italiano, riuscivano a entrare regolarmente solo lavoratori domestici. Questo spiega perché i primi arrivi siano caratterizzati in senso femminile, almeno nel lavoro regolare. Successivamente domanda e offerta di lavoro si incontrano soprattutto in due modi. Anzitutto, per via delle reti etniche, delle reti di relazione fra gli immigrati; quelle reti per cui un immigrato ne invita un altro, lo presenta al datore di lavoro, rafforza la sua candidatura, lo sostiene, gli trova il posto per dormire. Si formano così quei fenomeni tipici che sono le concentrazioni etniche in determinate nicchie occupazionali. Questi fenomeni di reti che si collegano, candidano i propri connazionali e li aiutano ad inserirsi nel mercato del lavoro sono più forti dove ci sono mercati del lavoro più grandi, aperti, poco regolati, come quello americano. Tab.10. Il funzionamento del mercato del lavoro immigrato DISPOSIZIONI NORMATIVE E RICEZIONE SOCIETALE DOMANDA DI LAVORO RETI ETNICHE (processi di discriminazione INFORMALI statistica) RETI SOCIALI AUTOCTONE OFFERTA DI LAVORO IMMIGRATA (solidarietà interna e autoorganizzazione dei gruppi nazionali) ISTITUZIONI FACILITATRICI/ SERVIZI SPECIALIZZATI Simili processi favoriscono alcuni gruppi più organizzati e internamente più coesi rispetto agli altri e spiegano, più che le presunte affinità culturali, come mai alcuni gruppi nazionali 13 siano più capaci di altri di inserirsi nel mercato del lavoro, ad esempio i Filippini, gli Egiziani, i Senegalesi... Scandagliando le ragioni che differenziano le traiettorie delle popolazioni immigrate, i fattori esplicativi chiamati in causa dalla letteratura e dalle ricerche empiriche possono essere così richiamati: - la numerosità: gruppi troppo piccoli, o viceversa troppo numerosi, sembrano incontrare maggiori difficoltà nel formare reti etniche funzionanti. I primi rischiano di trovarsi dispersi e di dover affrontare in modo sostanzialmente individuale le sfide della ricerca del lavoro e dell’integrazione; i secondi di non riuscire a conoscere e a filtrare i connazionali immigrati e di dover far fronte ad una moltiplicazione di domande di aiuto; in tal caso, le minoranze meglio inserite, all’interno dei diversi gruppi etnico-nazionali, possono preferire prendere le distanze e attuare forme di secessione dalla turba dei più poveri; - il tempo: i gruppi arrivati prima tendono ad occupare gli spazi disponibili nel mercato del lavoro e ad attivare catene di richiamo a vantaggio dei connazionali, attuando strategie di chiusura nei confronti di altri gruppi di immigrati. Nel caso italiano, l’arrivo più recente degli albanesi, rispetto a gruppi già insediati a partire dagli anni ’80, sembra aver influito non poco sulle opportunità d'inserimento nel mercato del lavoro - la distanza geografica: chi arriva da più lontano è più selezionato alla partenza, dispone mediamente di maggiori risorse, sa di dover investire in progetti migratori più a lungo termine, acquista consapevolezza dell’importanza della coesione di gruppo per trovare appoggio e reggere Chi arriva da più vicino affronta costi minori, può arrivare più facilmente anche senza l’appoggio di solide teste di ponte, può coltivare progetti migratori meno definiti, attuando forme di pendolarismo con la madrepatria. Roberts (1995) parla di “durate socialmente attese” delle migrazioni, e spiega in tal modo il minor successo professionale dei migranti messicani negli Stati Uniti, rispetto ad altri gruppi, come i giapponesi. Anche nel caso italiano, gruppi arrivati da più lontano (filippini, sri-lankesi, peruviani, senegalesi…) appaiono in generale più capaci di attivare forme di solidarietà interna e di promuovere l’inserimento occupazionale dei connazionali, rispetto a gruppi più vicini a noi dal punto di vista geografico (maghrebini, albanesi, ex-jugoslavi), anche se a livello locale le situazioni sono alquanto eterogenee - la composizione socio-professionale del gruppo: gruppi con predominanza di soggetti poco istruiti, provenienti da zone rurali o dal proletariato urbano incontrano maggiori difficoltà sia nella costruzione di reti in grado di sponsorizzare i connazionali, sia più in generale nei processi di integrazione. Gruppi con significative quote di soggetti provenienti dalle classi medie, dotati di competenze professionali almeno in parte spendibili o riconvertibili, con buoni livelli di istruzione, appaiono avvantaggiati. Portes e Jensen (1989) spiegano il successo dell’immigrazione cubana in Florida, capace di costituire a Miami un’enclave etnica rigogliosa, con l’espatrio della borghesia professionale e commerciale all’epoca dell’avvento di Castro. Nel caso italiano, la migliore integrazione degli egiziani, rispetto per esempio ai marocchini, si spiega probabilmente anche in funzione della diversa composizione dei gruppi alla partenza, oltre che in ragione del fattore tempo. Il livello d’istruzione sembra avere tuttavia nel nostro paese un impatto ambivalente: dato che il mercato del lavoro offre agli stranieri soprattutto lavori poveri, gli immigrati istruiti sono spesso meno soddisfatti di ciò che trovano, rispetto ai connazionali meno scolarizzati, cosicché per una sorta di paradosso, appare più agevole l’integrazione degli immigrati meno qualificati (Zanfrini, 2000). - la ricezione societale e l’appoggio di agenzie e reti autoctone: essendo l’integrazione un processo interattivo (Colasanto, Ambrosini, 1993), non può essere trascurato il ruolo della società ricevente nei confronti delle popolazioni immigrate. Trattando 14 dell’immigrazione messicana, Portes ha recentemente sottolineato le discriminazioni che questa componente ha costantemente subito nel Nord-America, in quanto considerata largamente irregolare, culturalmente inferiore e concorrente sul mercato del lavoro rispetto ai lavoratori americani: tutto ciò, oltre a condizionarne i destini occupazionali, ne ha ridotto le stesse aspettative rispetto alle opportunità di inserimento nella società ricevente (2000: 10). Questi rilievi correggono e integrano l’interpretazione di Roberts prima richiamata, basata sostanzialmente sulla portata dei progetti migratori e quindi sugli atteggiamenti propri degli immigrati. Nel caso italiano, non si tratta genericamente del diverso grado di accettazione degli immigrati provenienti da paesi diversi, ma più specificamente dell’aiuto concreto fornito da varie agenzie sociali. I migranti provenienti da paesi cattolici e con predominanza di popolazione femminile sembrano aver trovato, per esempio, più facilmente accettazione e appoggio da parte di varie istituzioni cattoliche. Per comprendere i processi di inserimento, oltre al ruolo delle reti etniche, che da sole non spiegano tutto il fenomeno, occorre dunque rammentare il contributo delle agenzie sociali e delle risorse informali grazie alle quali gli immigrati vengono aiutati ad inserirsi. Queste risorse, fornite dalla società civile, possono essere in parte comprese sotto il termine di “reti sociali autoctone”, che scambi di informazioni, generano un “passa parola” tra conoscenti, favoriscono in vario modo l’inserimento di immigrati stranieri in una società estranea, superando barriere e pregiudizi. Ad esempio una famiglia di Milano che abbia una domestica che viene dal Perù e di cui sia soddisfatta, è probabile che, quando una famiglia di amici si trovi nella necessità di avere un qualche servizio domestico, la indirizzi e la consigli nella scelta verso qualche parente o connazionale della propria collaboratrice familiare. Si producono così inavvertitamente anche nuovi stereotipi e pregiudizi favorevoli ad alcuni gruppi di immigrati, rispetto ad altri. Le istituzioni del volontariato, dell’associazionismo, della società civile, che offrono punti di riferimento per gli immigrati, facendo circolare informazioni e consigli, costituiscono, molto spesso, un’altra risorsa rilevante per il loro inserimento lavorativo. Ho introdotto a questo riguardo il concetto di "istituzioni facilitatrici", che fanno da ponte tra gli immigrati e le reti sociali autoctone. Credo infatti che non sarebbe spiegabile l’inserimento di decine di migliaia di immigrati nel sistema produttivo italiano, in assenza di politiche pubbliche adeguate, senza chiamare in causa il silenzioso bricolage di gruppi, associazioni, sindacati, istituzioni ecclesiali, enti locali: nelle regioni del Centro-Nord più interessate al fenomeno, la domanda del mercato del lavoro e l’attivismo delle reti etniche hanno trovato una sponda preziosa in queste istituzioni. 6. Il lavoro irregolare Non dobbiamo lasciarci avviluppare dalla polemica per cui il lavoro irregolare sia quasi tutto manovalanza criminale. Certamente questa esiste, ma non può assorbire molte altre dimensioni di un fenomeno per sua natura pervasivo e sfuggente. C’è il lavoro dei braccianti nell’agricoltura, c’è il lavoro nelle imprese etniche dei cinesi e di altri, ma c’è anche un fenomeno molto più normale, che è il numero enorme di collaboratrici domestiche non regolari che lavorano nelle famiglie italiane. Si verifica, infatti, il paradosso che il lavoro domestico regolare di una donna italiana o straniera costa più di 2 milioni al mese, vale a dire una cifra molto vicina allo stipendio medio che la lavoratrice italiana guadagna andando a lavorare fuori casa. Nello stesso tempo molte famiglie, anche di classe media, hanno la necessità di avere un aiuto domestico per via dei bambini o degli anziani da assistere. Viene così a formarsi un enorme bacino di 15 domanda di lavoro che recluta domestiche irregolari per le quali un salario di 800.000 lire o un milione al mese è considerato sufficiente, almeno in una prima fase di insediamento: si riapre così informalmente quella forbice economica, oltre che di status sociale, che consente di assorbire migliaia di donne nei servizi privati, con qualche analogia con il mercato del lavoro nordamericano. Quindi pensare che il lavoro irregolare sia un fenomeno sempre patologico, dal punto di vista degli interessi della società ospitante, significa coltivare una versione molto rigida del funzionamento del mercato del lavoro, perché il lavoro nero degli immigrati può essere, invece, assai funzionale alle esigenze dell’economia e della società. Un altro esempio di silenzioso utilizzo del lavoro irregolare degli stranieri è collegato con quelle funzioni che vengono esternalizzate dalle imprese con l’obiettivo di risparmiare sui costi per essere più competitive. Decentrando, esternalizzando, terziarizzando, a costi sempre più bassi e con pochi controlli, si finisce non di rado con l’utilizzare lavoro irregolare, italiano e straniero. Per esempio, le imprese di pulizia sono risultate in testa alla classifica degli utilizzatori di immigrati irregolari, sulla base delle ispezioni INPS. Un corollario paradossale consiste nel fatto che anche le istituzioni pubbliche per risanare i loro conti hanno esternalizzato parecchi servizi dandoli in appalto al prezzo più basso possibile. Non ho riscontri obiettivi, ma ritengo probabile che in questo sistema lavorino in nero molti immigrati. Credo che l’efficienza delle imprese impegnate in una competizione internazionale sempre più serrata e lo stesso risanamento dei conti pubblici che ci ha fatto entrare in Europa, per una piccola parte, derivino anche dal lavoro in nero degli stranieri. 7. Frammenti di accoglienza: associazionismo volontario e solidarietà verso gli immigrati Come si è visto, per comprendere le dinamiche dell'inserimento degli immigrati nelle società locali e nel mercato del lavoro non è possibile prescindere dal ruolo di associazioni, gruppi, istituzioni sociali attive nelle società locali: quelle che ho in precedenza definito "istituzioni facilitatrici". Giustamente è stata posta in rilievo la portata delle forme di "integrazione dal basso" realizzate in questi anni in Italia (de Bernart, 1998: 363): "il valore ed il potenziale innovativo, sociale, civile ed umano, di questo associarsi (in quanto processo prima ed oltre che prodotto) non è legato solo a ciò che passa tra i singoli tra i singoli o al loro scopo comune (l'uno e l'altro necessariamente regolati anche secondo criteri di legalità) quanto alla capacità di affrontare e risolvere i problemi che effettivamente si presentano senza rinunciare ad 'associarsi per amore' anche in situazioni difficili, tra i direttamente coinvolti e con altri, raccordandosi con le istituzioni e la vita della città nel suo complesso senza perdere di vista l'orizzonte del più vasto mondo" (ibid.: 363-364). Quantificare le dimensioni di questa mobilitazione è impresa ardua, sia per la labilità di molti gruppi e iniziative, sia per le forme fluide e spesso parziali di partecipazione cui danno luogo, sia per i limiti intrinseci ai tentativi di rilevazione. Con le cautele del caso, si può ricordare che una rilevazione Ismu-Fondazione italiana per il volontariato ha censito nel 1994 1.200 organismi impegnati in questo campo, con il coinvolgimento di oltre 40.000 persone. Ho già accennato nell'Introduzione alle diverse attività, spesso informali e debolmente strutturate, svolte da questi attori e capaci di influire, direttamente o indirettamente, sull'insediamento sul territorio e sull'inserimento lavorativo degli immigrati. Sulla base della modesta letteratura disponibile credo si possano evidenziare alcuni filoni di intervento: sensibilizzazione della società locale, iniziative interculturali attività di assistenza immediata: pasti, abiti, assistenza medica accoglienza abitativa pratiche di regolarizzazione, facilitazione nell'accesso ai servizi pubblici 16 corsi di lingua e cultura italiana altre attività formative raccordo tra offerta e domanda di lavoro offerta di luoghi di aggregazione, sostegno all'associazionismo etnico. Allo scopo di approfondire l’attività svolta dal terzo settore a sostegno degli immigrati, mi sembra far riferimento alle tre classi di organizzazioni nonprofit identificate da Douglas: le organizzazioni propriamente caritative, o di “cura” nei confronti di determinate categorie di beneficiari; i gruppi di pressione; le organizzazioni di mutuo aiuto. Ponendo a confronto la tipologia con il nostro oggetto di studio, possiamo agevolmente identificare i gruppi di mutuo aiuto con le reti e l’associazionismo etnico, di cui tratteremo tra poco. L’attività di cura può invece essere distinta in due categorie: quella prestata su base propriamente volontaria, con un utilizzo esclusivo o quasi esclusivo di personale non retribuito e in genere non specializzato; e quella invece svolta da organizzazioni strutturate che utilizzano personale salariato e solitamente qualificato. L'attività dell'associazionismo italiano può essere quindi distinta in almeno tre idealtipi, in molti casi come sempre mescolati e intrecciati nelle esperienze concrete (lo stesso Douglas avverte che la classificazione proposta è in qualche misura artificiale e arbitraria, giacché le attività concretamente svolte sovente si intersecano o sconfinano da una categoria all’altra): un primo tipo è quello del tradizionale associazionismo caritativo, caratterizzato dall'aiuto diretto alle persone in difficoltà ; il secondo è invece definibile come associazionismo rivendicativo, o di tutela dei diritti, attivo soprattutto sul fronte dell'iniziativa politica e culturale, come la lotta al razzismo o la richiesta di cambiamenti legislativi; infine va sottolineato l'emergere di quello che può essere definito "associazionismo imprenditivo ", che tende a fornire servizi agli immigrati sulla base di finanziamenti pubblici, normalmente erogati dalle istituzioni locali. Il primo tipo è quello probabilmente più diffuso, anche se ricomprende al suo interno esperienze diverse, più o meno organizzate: si va dalle parrocchie che offrono spazi alle comunità straniere per le loro attività di incontro e aggregazione, organizzano corsi di italiano con l'aiuto di insegnanti volontari, offrono cibo, abiti, pasti caldi, alle associazioni locali che hanno realizzato, appoggiandosi ad istituzioni pubbliche o private, piccoli centri di accoglienza, a iniziative come i "centri d'ascolto" delle Caritas parrocchiali o le mense dei poveri che, sorte per venire incontro ai bisogni dei poveri italiani, sono sempre più frequentate da un'utenza straniera in condizioni difficili. Nella gamma piuttosto ampia di servizi offerti e di bisogni che cercano risposta, si possono distinguere attività di prima assistenza, fruite dai nuovi arrivati e dagli immigrati che non riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro, da attività che hanno direttamente o indirettamente effetti promozionali, nel senso del sostegno e dell'accompagnamento dell'inserimento lavorativo: sono di questa natura, per esempio, i servizi di collegamento tra domanda e offerta di lavoro forniti a livello del tutto informale da parrocchie e istituti religiosi che in città rappresentano i punti d'appoggio per le comunità straniere di religione cattolica; oppure i centri che, soprattutto in provincia, hanno offerto possibilità di alloggio ad immigrati che altrimenti non avrebbero potuto accedere al lavoro. Nel secondo tipo rientrano le iniziative anti-razziste e di rivendicazione politica. Spesso collegate od ispirate ai partiti della sinistra e alle organizzazioni sindacali, hanno svolto un ruolo attivo soprattutto nella spinta all'innovazione legislativa, culminata nelle tre leggi di regolarizzazione. Rispetto all'inserimento lavorativo, se restano alla forma pura di organismi di advocacy, il loro contributo è soprattutto quello rivolto alla difesa degli immigrati che subiscono trattamenti ingiusti e discriminatori, e più in generale di tutela della reputazione degli immigrati rispettosi delle leggi e desiderosi di integrarsi, quando 17 episodi anche clamorosi di devianza suscitano nella popolazione nativa sentimenti xenofobi, facilmente alimentati e sfruttati da forze politiche che se ne fanno interpreti. Iniziative sorte dal primo e dal secondo filone tendono con il tempo a trasformarsi in un associazionismo del terzo tipo: quello che fornisce servizi con una logica più professionale, di "impresa sociale", che assume solitamente la figura giuridica della cooperativa. Rientrano in questa categoria i soggetti che gestiscono molti dei centri di accoglienza tuttora aperti, e sempre più anche iniziative che possono essere ricondotte alla "seconda accoglienza" (servizi informativi, sostegno all'inserimento scolastico dei figli di immigrati, iniziative interculturali, formazione degli operatori, ecc.) o alla risposta alle esigenze di segmenti particolari della popolazione immigrata: rifugiati, donne con bambini, vittime di abusi, ecc. Determinante diventa in questi casi il rapporto tra iniziativa privata e finanziamenti pubblici, accordati peraltro in una logica volontaristica: iniziative promettenti e bene impostate possono essere compromesse da un cambiamento di maggioranza, o da una stretta finanziaria che provoca la sospensione dei finanziamenti. Pur se all'interno di questi vincoli, va sottolineato che i servizi agli immigrati producono un certo numero di posti di lavoro per operatori italiani. Esistono naturalmente istituzioni facilitatrici più complesse, che presentano elementi di tutti e tre i tipi evidenziati, combinando servizi diretti e azione politica. Un caso tipico è la Caritas. A Milano, e probabilmente questo vale anche in molte altre realtà, l'organismo di promozione e coordinamento delle attività caritative cattoliche è anzitutto propulsore di forme di associazionismo caritativo, come i centri di ascolto parrocchiali. Assume in secondo luogo compiti di advocacy, in collegamento con altre associazioni e forze sociali, nei confronti soprattutto delle istituzioni locali. Infine, attraverso associazioni e cooperative collegate, promuove esperienze di associazionismo imprenditivo che gestiscono diversi servizi per gli immigrati, che vanno dall'accoglienza dei rifugiati, alla protezione delle vittime della prostituzione coatta, alla consulenza educativa per l'inserimento scolastico delle seconde generazioni Un punto debole dell'esperienza italiana sembra invece tuttora quello della partecipazione degli stranieri. Quasi sempre si tratta di servizi per gli immigrati, in cui i diretti interessati non svolgono in genere ruoli attivi di qualche importanza. Fanno parzialmente eccezione le esperienze di associazionismo rivendicativo, in cui alcune élites straniere istruite si sono inserite (per es., ex-studenti in Italia, rifugiati da regimi oppressivi dell'America latina), anche grazie a legami politici preesistenti. Nella quarta colonna dello schema viene pertanto richiamato il fenomeno dell'associazionismo immigrato, che può essere considerato un tipico esempio di mutuo aiuto. Nella letteratura internazionale, da tempo le associazioni a base etnica vengono viste come un importante componente dell’offerta di servizi sociali agli immigrati: si tratta di un tipo particolare di associazioni volontarie, basate sue legami affettivi, e insieme di un tipo speciale di gruppi di auto-aiuto, in ragione dei degli interessi comuni che li caratterizzano (Jenkins, 1998: 9-10, con riferimento alla definizione di etnicità secondo Bell, 1975: un concetto che combina un interesse con un legame affettivo). Occorre però rilevare un forte scarto tra associazionismo formale e reti informali a base etnico-nazionale. L'associazionismo formale rappresenta un fenomeno diffuso, ma molto fragile e soggetto ad un elevato turn-over. Nelle nostre ricerche è capitato spesso di scoprire che molte associazioni che comparivano in elenchi e indirizzari erano chiuse o di fatto inoperanti. La carenza di risorse, che difficilmente consente di disporre di personale dedicato, insieme alla giovane età e alla difficile integrazione sociale dell'immigrazione italiana (basti pensare alla questione abitativa) non offre le condizioni favorevoli alla formazione di un tessuto associativo straniero sufficientemente stabile e organizzato, e tanto meno forme di convenzionamento con le istituzioni pubbliche per la fornitura di servizi alla popolazione immigrata. 18 Le reti etniche sono invece indubbiamente molto vitali, anche se alquanto differenziate a seconda dei gruppi nazionali, e spesso capaci, come abbiamo rilevato, di sostenere in vari modi l'inserimento sociale e lavorativo dei loro membri. La loro attività si svolge però in larga parte nell'informalità, è sovente condizionata da problemi di scala (gruppi troppo piccoli e a volte anche quelli troppo grandi non riescono a dar vita a reti consistenti) e dai cleavages etnico-nazionali o religiosi; risente non di rado della defezione degli immigrati che raggiungono un certo successo e non intendono farsi carico dei connazionali che versano in condizioni difficili; non riesce a sostenere le fasce più deboli e marginali; manifesta sovente tendenze particolaristiche: le azioni di sostegno o la trasmissione di informazioni "utili" possono essere indirizzate non ai connazionali in generale, ma ai membri del clan familiare o derivante dalla comune provenienza da una determinata città, quartiere, villaggio, raggruppamento etnico. Ovviamente la leadership e le gerarchie interne non sono sottoposte a procedimenti democratici e a verifiche trasparenti. I leader di comunità si legittimano soprattutto per le attitudini personali di relazione con agenzie e istituzioni autoctone, più che per un'effettiva capacità di rappresentare le istanze dei connazionali, né tanto meno per un qualche tipo di investitura minimamente formalizzata. Come osserva Zanfrini (1997: 152) sintetizzando i risultati delle indagini disponibili, "sembra comunque trattarsi di tipologie di leadership associate ad aggregazioni di tipo informale, finalizzate al perseguimento di bisogni primari e che si attivano in base a necessità personali, sfruttando la capacità relazionale individuale più che il fatto di essere portavoce del gruppo di appartenenza, e che agiscono senza aspettative di miglioramento dell'offerta istituzionale". Tutto questo rende le reti etniche informali poco adatte a rientrare nei canoni richiesti per partecipare a istanze concertative a livello locale, o a essere individuate come attori semiistituzionali a cui affidare compiti di raccordo ed erogazione di servizi nei confronti degli immigrati. Si verifica pertanto, nell'esperienza italiana attuale, un visibile scollamento tra vitalità semi-sommersa di molte reti etniche e fragilità dell'associazionismo visibile e riconosciuto. TAB.11 L'ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO PER GLI IMMIGRATI Associazionism associazionism associazionism reti etniche o caritativo o rivendicativo o imprenditivo (di advocacy) ATTIVITÀ PREVALENTE Interventi immediati per le necessità primarie (cibo, vestiario, posto-letto) Pressione politica, sensibilizzazione della popolazione italiana TARGET DEI DESTINATARI Immigrati in immigrati in situazione di grave generale; vittime emarginazione di razzismo e discriminazione Gestione di centri di accoglienza o servizi su finanziamenti pubblici immigrati regolari, lavoratori, categorie specifiche (es., rifugiati, madri con bambini) Diffusione informazioni; orientamento; sponsorhip per l'accesso al lavoro; Sostegno in caso di difficoltà connazionali o membri di reti più ristrette (clan) 19 ATTORI IN CONTATTO Singoli volontari, altre istituzioni benefiche COINVOLGIMENTO DEGLI IMMIGRATI Solitamente molto modesto forze politiche, sindacati, associazioni di immigrati attivo da parte di élites istruite e politicizzate istituzioni locali, altri centri di servizi limitato a compiti operativi, con eccezioni istituzioni facilitatrici italiane; datori di lavoro; uffici stranieri nella forma dell'auto-aiuto, con l'emergere di mediatori e leaders informali Un'altra serie di riflessioni riguarda la capacità delle esperienze associative di costruire o partecipare a reti allargate di sostegno all'integrazione sociale e lavorativa degli immigrati. Non sembra si possa affermare a priori che esiste un tipo di associazionismo più orientato al networking di altri. La capacità di costruire reti appare pertanto un fattore trasversale alle diverse forme di associazionismo, che andrebbe eventualmente approfondito con indagini specifiche. Piccole esperienze locali di volontariato possono avere un'elevata propensione a coinvolgere una serie di istituzioni pubbliche e private, mentre forme di associazionismo imprenditivo che si assicurano la fornitura di servizi di cospicuo valore economico possono gestirli in maniera puntuale ma isolata da un contesto più ampio di iniziative per l'integrazione degli immigrati. Si può però ipotizzare che l'associazionismo caritativo tenda a collegarsi soprattutto con altre istituzioni, pubbliche e private, che possano fornire risposte puntuali a bisogni specifici. L'associazionismo rivendicativo appare orientato soprattutto a stabilire legami con forze politiche e sociali in grado di sostenere battaglie istituzionali o di opinione per la cittadinanza degli immigrati, il riconoscimento di diritti negati, la lotta a forme di intolleranza, xenofobia, razzismo. L'associazionismo imprenditivo si presenta come il caso più variegato e controverso. Si può, infatti, andare dalla gestione di servizi in una logica quasi-aziendale, senza particolare impegno a stabilire legami con altri soggetti operanti nel settore, ad una partecipazione semi-istituzionalizzata a consulte, coordinamenti, reti di vario genere, favorita dalla dotazione di personale dedicato e professionalizzato. Ancora diverso è il caso delle reti etniche, per le quali non è facile operare generalizzazioni, data la varietà delle forme in cui si presentano e il diverso grado di strutturazione, ampiezza ed efficacia che manifestano. Il loro orientamento all'auto-aiuto tende a produrre un'enfasi sulla solidarietà interna, eventualmente in contrapposizione all'ostilità della società esterna, e spesso in competizione con altri gruppi etnico-nazionali. Le modalità di costruzione e radicamento delle reti etniche nell'esperienza italiana induce però a sottolineare il ruolo di sostegno, per esempio logistico, svolto in parecchi casi da varie istituzioni facilitatrici italiane; e anche le attività informali di sponsorizzazione e aiuto all'inserimento che le reti assicurano sono favorite dai rapporti con elementi della società autoctona, secondo le modalità che abbiamo già avuto modo di illustrare. Non essendosi prodotte nell'esperienza italiana, tranne forse e comunque parzialmente per alcuni insediamenti cinesi, quelle enclaves etniche che hanno raggiunto un'elevata "completezza istituzionale" e forniscono al loro interno una vasta gamma di servizi ai membri, la comunicazione e lo scambio con la società ospitante sono risorse strategiche per agevolare l'inserimento dei connazionali. Anche i "mediatori" e i catalizzatori di informazioni che in molte esperienze locali sono emersi e hanno a volte acquisito un ruolo riconosciuto anche dal punto di vista professionale, sono tali proprio per la loro capacità di raccordo con la società autoctona. Una recente ricerca sull’associazionismo etnico a Milano (Boccacin, 1998), stima in 17-20 le organizzazioni effettivamente promosse da stranieri, a fronte di un centinaio che si occupano di immigrati ma sono promosse e sostenute da italiani, e conferma la difficoltà di 20 identificare una mappa reale dell’associazionismo immigrato, endemicamente fragile e in continuo mutamento, per ragioni tra cui vengono richiamate soprattutto le vicissitudini personali dei promotori. Le dieci associazioni studiate si caratterizzano comunque per un’apertura inter-etnica e per una sottolineatura delle relazioni con la società ospitante. Si può presumere che le attività di mutuo aiuto e di tutela del gruppo di appartenenza in competizione con altri, tipiche delle reti etniche, siano svolte maggiormente a livello informale, e non attraverso i canali formali dell’associazionismo. TAB.12. L'ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO PER GLI IMMIGRATI E LE SUE RETI associazionism associazionism associazionism reti etniche o caritativo o rivendicativo o imprenditivo (di advocacy) RETI DEBOLI Volontariato isolato Iniziative singole di denuncia RETI PARZIALI Collegamenti situazionali, attivati in risposta a specifiche esigenze RETI SVILUPPATE lavoro di rete con altre agenzie, pubbliche e di terzo settore legami personali ed occasionali, iniziative congiunte (per es. manifestazioni anti-razziste) Capacità di mobilitazione, influenza su attori politici e istituzioni pubbliche, azione di lobbying Semplice gestione rapporti sporadici di un servizio e legati a esigenze particolari con istituzioni facilitatrici Collaborazione rapporti con altri servizi consolidati per pubblici e di terzo l'organizzazione di settore in ambito attività, locale eventualmente in forma congiunta Partecipazione a partecipazione reti locali istituzionale (in strutturate, forma associativa) concertazione di a istanze locali interventi con dedicate poteri pubblici e all'immigrazione attori sociali Termino con un’altra citazione. E’ di un intellettuale tedesco, Enzensberger, che parlando del minimo di civiltà che il mondo occidentale ha raggiunto, afferma: “Nella storia dell’umanità questo minimo è stato raggiunto solo eccezionalmente e in maniera provvisoria. E’ fragile e facilmente vulnerabile. Chi lo vuole proteggere da contestazioni esterne, si trova di fronte ad un dilemma: quanto più tenacemente una civiltà si difende da una minaccia esterna, quanto più si chiude in se stessa, tanto meno alla fine ha da difendere”. Siamo quindi provocati a far girare la ruota della storia nella direzione giusta. Per difendere e qualificare quel minimo di civiltà che il nostro mondo ha saputo costruire, dobbiamo essere capaci di allargare i paletti della tenda per includere altri popoli, altre persone, altri fratelli, dentro la tenda dei diritti di cittadinanza e di civiltà. Bibliografia M.AMBROSINI, Convenienze nascoste. L’inserimento degli immigrati nell’economia informale, in “Studi di sociologia”, a.XXXVI, n.3, luglio-settembre 1998, pp.233-257. 21 M.AMBROSINI, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, F.Angeli-Ismu, Milano 1999. M.AMBROSINI, R.LODIGIANI, S.ZANDRINI, L'integrazione subalterna. Peruviani, eritrei e filippini nel mercato del lavoro milanese, Quaderni ISMU, n.3, 1995. M.AMBROSINI, A.DE BERNARDIS, Stranieri e centri d'ascolto. Rapporto di ricerca, Caritas ambrosiana, Milano 1998 (datt.). F.BAPTISTE, E.ZUCCHETTI, L'imprenditorialità immigrata nell'area milanese. Una ricerca pilota, "Quaderni ISMU", n.4/1994. M.BARBAGLI, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 1998. A.BASTENIER, L'immigrazione nel quotidiano: la funzione sociale della diceria, in "Prospettiva sindacale", n.79-80, 1991. A.COBALTI, A.SCHIZZEROTTO, La mobilità sociale in italia, F.Angeli, Milano 1994. H.M.ENZENSBERGER, La grande migrazione, trad.it. Einaudi, Torino 1993. G.MOTTURA, P.PINTO, Immigrazione e cambiamento sociale. Strategie sindacali e lavoro straniero in Italia, Ediesse, Roma 1996. S.PALIDDA, L’intégration des immigrés dans les villes: le cas italien, rapporto realizzato per conto dell’OCDE, Parigi 1996. A.PORTES (ed.), The economic sociology of immigration, Russel Sage Foundation, New York 1995. A.PORTES, The two meanings of social capital, in “Sociological Forum”, vol.15, n.1, 2000, pp.112. A.PORTES., L.JENSEN, The Enclave and the Entrants: Patterns of Ethnic Enterprise in Miami Before and After Mariel, in American Sociological Review, vol.54, dicembre 1989. B.R.ROBERTS (1995), Socially expected durations and the economic adjustment of immigrants, in A.PORTES (ed.), The economic sociology of immigration, cit., pp 42-86. A.VENTURINI, C.VILLOSIO, Foreign workers in Italy: are they assimilating to natives? Are they competing against natives? An analysis by the SSA data set, in "Quaderni del Dipartimento di Scienze economiche dell'Università di Bergamo", n.3, 1998. M.WALZER,. Sfere di giustizia, trad it. Feltrinelli, Milano 1987. L.ZANFRINI, Leggere le migrazioni. I risultati della ricerca empirica, le categorie interpretative, i problemi aperti, F.Angeli-Ismu, Milano 1998. L.ZANFRINI, La discriminazione nel mercato del lavoro, in FONDAZIONE CARIPLO-ISMU, Quinto rapporto sulle migrazioni – 1999, F.Angeli, Milano 2000. 22 Secondo incontro 17 novembre 2001 Immigrazione in Italia: normative e procedure Intervento di don Riccardo Festa Gli stranieri interpellano la Chiesa In tutti gli interventi, nel momento di dibattito, è apparsa chiara l’attenzione ai significati ecclesiali dell’accoglienza degli stranieri. La sottolineatura è positiva e merita di essere ancora meglio rimarcata. Non si tratta solo di una questione sociale da risolvere; non si tratta solo di un interesse della Chiesa che vuole collaborare nella soluzione delle tensioni sociali; a livello ecclesiale, l’interesse per gli stranieri è, invece, significativo in una prospettiva più ampia che tocca l’identità della Chiesa nel nostro contesto. Ogni questione sociale interpella la Chiesa in quanto tale; la Chiesa è, infatti, attenta ad ogni persona umana e sa che il Signore parla alla Chiesa attraverso ogni persona umana. La Chiesa ha una missione da compiere e questa missione ha un punto di partenza che è la Pasqua di Gesù e un percorso che è dato dall’incontro con le persone che attendono l’annuncio del vangelo, in attesa del compimento di tutto con il giorno del ritorno del Signore. In questo tempo di pellegrinaggio la Chiesa cerca ogni giorno i segni che la guidino nel suo cammino. E’ un popolo in cammino. L’arrivo di persone straniere è per una comunità segno di una novità attraverso la quale il Signore interpella la comunità stessa; è una chiamata e un compito che aiuta la Chiesa a capire la sua stessa identità e la tappa nuova del cammino che il Signore le chiede. La Chiesa si struttura in vista della missione di annunciare il vangelo ad ogni persona e se tra le persone ci sono degli stranieri la Chiesa sa che deve darsi una identità adatta a questo compito. In un intervento al momento del dibattito si concludeva con l’osservazione che l’integrazione riguarda anche noi: non solo gli stranieri devono integrarsi, ma anche noi dobbiamo integrarci nella situazione nuova che si è creata. Quindi anche noi dobbiamo cambiare. Sì, è così. Ma cambiare non significa che dobbiamo rinunciare a qualche cosa che ci è caro per poter condividere gli spazi con altri nuovi arrivati. L’arrivo di una persona nuova, dal punto di vista della fede, non può significare che è arrivato un problema in più o che è 23 stato portato via spazio agli altri; una persona nuova è una risorsa in più (aspetto quantitativo) che apre nuove possibilità ed è una parola nuova (aspetto qualitativo) attraverso la quale il Signore guida la sua Chiesa. La presenza di persone nuove deve essere letta come una chiamata a fare cose nuove e come una condizione nuova che ci viene donata per immaginare scelte che finora non erano state considerate perché sembravano impossibili. D’altra parte se nella nostra Chiesa ci sono cose care che non vorremmo perdere, ci sono anche tanti limiti che vorremmo superare: questa può essere un’occasione buona. La Chiesa, quindi, si occupa degli stranieri non come un generico atto di generosità, con il quale si fa carico di evitare alcuni problemi sociali, ma con lo slancio di chi intuisce una novità che, nelle tribolazioni che porta con sé, è piena di promesse. La Chiesa, gli stranieri che arrivano, li accoglie con interesse. Accogliere con un progetto La relazione ascoltata rilevava come la qualità dell’accoglienza determini la qualità dell’immigrazione: in situazioni diverse gli immigrati si integrano in modo diverso nel contesto comunitario e promuovono nuovi arrivi coerenti con le forme di integrazioni trovate. E’ importante prendere coscienza del fenomeno. Un Centro di ascolto deve chiedersi con quali attese accoglie gli immigrati e se queste attese sono diventate un progetto consapevole e dichiarabile. Richiamiamo, infine, l’osservazione secondo cui la promozione sociale degli immigrati favorisce la stima nella pubblica considerazione. Il Centro di ascolto, in accordo con le Caritas parrocchiali può, quindi, non solo ascoltare i problemi degli immigrati, ma porre loro nuovi obiettivi di integrazione, suggerendo percorsi formativi ed altre esperienze utili, in vista dell’arricchimento culturale e della promozione sociale. 24 Intervento di Monica Molteni Leggi sull’immigrazione in Italia 943/86 Legge settoriale che disciplina l’inserimento lavorativo dello straniero 39/90 (legge Martelli) Legge quadro, che tenta di disciplinare tutti gli aspetti della vita dello straniero. 40/98 (in vigore dal 27/3/98) normativa ad oggi in vigore, si riferisce a stranieri 1 extracomunitari (non ai cittadini CE, non ai richiedenti asilo, non a coloro che hanno doppia nazionalità di cui una europea). Testo Unico: Decreto Legislativo (D.L. 25/7/98, n. 286) che raccoglie sia la legge 40, sia alcuni articoli di precedenti leggi ancora in vigore. TU art.2 Diritti e doveri: vengono riconosciuti i diritti fondamentali della persona dir. alla vita, dir. ad un processo equo, dir. di matrimonio (anche in caso di clandestinità, ma non regolarizza la persona sul territorio) dir. a richiedere documenti presso le strutture preposte (consolati per passaporti, nullaosta, traduzione ufficiale dei medesimi), dir. di prendere contatto con autorità del proprio paese d’origine, dir. al ricovero ospedaliero urgente (tutela della vita) e a cure essenziali (cure salvavita o per evitare cronicizzazioni), dir. all’iscrizione scolastica per i minori, dir. a certificati di morte, dir. ad attività ricreative temporanee e abbonamenti (vedi decreto), solo per coloro che hanno un permesso di soggiorno di lunga durata dir. ad autocertificazione, dir. al lavoro/casa, dir. assistenza sanitaria, dir. alla vita pubblica, tutela di dir. ed interessi legittimi (servizi pubblici), Regolamento di attuazione: Decreto del Presidente della Repubblica (31/8/99, n.394), attua il T.U. 25 Documento programmatico: (Art.3 TU) ogni tre anni viene emanato un documento approvato dal Governo e trasmesso al Parlamento, in cui si indicano le azioni governativi, le misure economico - sociali, i criteri per la definizione dei flussi di ingresso e gli interventi pubblici volti ad un inserimento positivo della persona nella società. Decreto flussi: (art.3 TU) Decreto del Presidente dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e le commissioni, definisce le quote massime di ingresso sul territorio per lavoro stagionale, subordinato e autonomo, tenuto conto di ricongiungimenti famigliari e di eventi eccezionali (art.20 TU). In caso di mancata pubblicazione, vale il decreto dell’anno precedente! Regioni, Provincie, comuni ed enti locali sono chiamati ad adottare provvedimenti che rimuovano gli impedimenti al pieno riconoscimento dei dir. ed interessi riconosciuti allo straniero (alloggio, lingua, integrazione sociale…). Consigli territoriali per l’immigrazione: (art.3 TU) su decreto del Presidente dei Ministri, con il Ministro dell’Interno, si costituiscono i Consigli territoriali, che hanno il compito di analizzare le esigenze sul territorio e promuovere gli interventi locali. Nei consigli ci sono rappresentanti competenti di amministrazioni locali governative, Regione, enti locali, enti e associazioni attivi nel territorio, organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro. L’ingresso nel territorio dello Stato Documenti necessari: passaporto valido o documento equipollente2, luogo di destinazione, motivo e durata del soggiorno, visto di ingresso, rilasciato dalle autorità diplomatiche o consolari italiane presenti nel paese di origine (vedi decreto Ministero degli affari esteri 12/7/2000 con modalità e tipi di visto), previa indicazione del luogo (documentato), motivo (documentato), durata del soggiorno, mezzi di trasporto utilizzati e mezzi di sostentamento per la durata del soggiorno >(www.stranieritalia.it ; www.anolf.it aggiornato con tutte le circolari dal 98). 1 In questo documento, per tanto, con stranieri si intendono i cittadini extracomunitari. 2 Documento di viaggio per apolidi, per rifugiati o per stranieri, Libretto di navigazione, Documento di navigazione aerea, Lascia passare delle Nazioni Unite, Lascia passare o tessera di frontiera…per maggiori informazioni consultare il sito www.stranieriinitalia.com/leggi/minister1.htlm. 26 Il visto dà solo l’ingresso nel territorio, definendo l’arco di validità del medesimo e il periodo di tempo di validità del visto dall’ingresso nel territorio (es. un visto può valere 1 anno dalla data di emissione, ma consentire un soggiorno di pochi giorni). Il visto non regolarizza la posizione dello straniero che resta in Italia oltre 1 settimana. Egli, infatti, deve presentarsi alla questura della provincia in cui intende soggiornare entro 8gg. lavorativi dal suo ingresso, al fine di ottenere il permesso di soggiorno. Il visto è rilasciato in assenza di cause ostative. Il visto viene rilasciato anche per le persone al carico del richiedente. Il visto indica il motivo per cui viene concesso l’ingresso e la durata massima del soggiorno definita da due categorie: Visto di breve durata o di Schengen Uniformi (V.S.U), durata massima 90 gg., detti di tipo C. Per il suo rilascio sono necessari e seguenti requisiti: - il possesso dei soldi necessari per il viaggio di andata e ritorno; - mezzi di sussistenza per il soggiorno3; - assicurazione medica privata del paese di origine o iscrizione volontaria a quella italiana. E’ rilasciato per motivi di: turismo, affari, sport, invito, missione, motivi religiosi, trasporto, vacanze-lavoro4. Attenzione: tale visto non consente di ottenere un permesso di soggiorno di durata superiore a 90 gg! E non è convertibile in visto per lavoro! Visto di lunga durata o nazionale (V.N.), dura da 1 a 2 anni, rinnovabile per un numero di volte illimitato e con una durata non superiore al doppio di quella stabilita dal primo rilascio5. E’ contrassegnato con la lettera D. Questo visto consente di risiedere nel paese corrispondente all’ambasciata che lo ha emesso, ma dà mobilità nel territorio CE6. E’ rilasciato per motivi di: - lavoro autonomo, - lavoro stagionale dipendente, - lavoro dipendente con contratto a tempo determinato o indeterminato, - reingresso, 3 L’onere del mantenimento può anche essere assolto presentando le garanzie necessarie da parte di un terzo (cittadino italiano, straniero, ente pubblico o privato). 4 Visti brevi per transito aeroportuale, definiti di tipo A, validi solo negli aeroporti e usati normalmente per voli in coincidenza; visti di massimo 5 giorni, tipo B, per transito sul territorio. 5 Ciò significa che un permesso di soggiorno potrà essere rinnovato un massimo di 4 anni per volta. 6 Tuttavia la persona che soggiorni oltre i 60gg. ed entro i 90gg. in un altro paese della CE, deve denunciare la propria presenza alle autorità competenti in loco, entro 8gg dal proprio ingresso. 27 - residenza elettiva, - ricongiungimento famigliare, - missione, - affari diplomatici. Permanenza nel territorio dello Stato Un cittadino straniero che abbia tutti i documenti in regola per l’ingresso in Italia e possa soggiornarvi per un periodo maggiore ai 7gg. lavorativi, è tenuto obbligatoriamente a fare domanda di Permesso di Soggiorno alla Questura della Provincia ove intende avere dimora o domicilio 7. Attenzione: Il Permesso di Soggiorno è legato alle ragioni, al tipo e alla durata del visto. Il Permesso di Soggiorno deve essere esibito ad ogni richiesta di controllo di un pubblico ufficiale. Documenti necessari: passaporto e visto validi con fotocopia di entrambe, 4 fotografie, marca da bollo da £ 20.000, il modulo 209 dato dalla questura. Inoltre può essere richiesta documentazione atta a dimostrare: necessità di soggiornare per il tempo richiesto (es. contratto di lavoro o dichiarazione del datore di lavoro, iscrizione scolastica…) disponibilità di mezzi finanziari di sussistenza durante il soggiorno per sé e per le persone a carico (es. fideiussione bancaria, busta paga…) disponibilità di un alloggio idoneo (certificato di idoneità alloggiativa rilasciato gratuitamente dai Comuni o a pagamento dalle ASL),. Il Permesso di Soggiorno va richiesto almeno 30gg. prima della scadenza di quello in corso (fino a 60gg. dopo) e la Questura sarebbe tenuta a rilasciarlo entro 20 gg.! Attenzione: In caso di iscrizione alle liste di collocamento fino ad 1 anno, non vi è revoca del permesso! Assistenza sanitaria: l’iscrizione all’assistenza sanitaria pubblica è obbligatoria per i titolari di permessi di soggiorno per lavoro dipendente e autonomo o iscritti alle liste di collocamento, per affidamento e per i famigliari a carico, 7 Ovvero: ogni cittadino straniero è tenuto a presentarsi alla questura entro e non oltre gli 8gg. lavorativi dal suo ingresso (dalla data stampata sul visto) per la richiesta del permesso di soggiorno. 28 è volontaria per coloro che soggiornino in Italia per un periodo di tre mesi, per gli studenti o i lavoratori alla pari, e corrisponde ad un contributo forfetario annuo (circa £750.000), a chiunque lo Stato garantisce le cure urgenti (salvavita) ed essenziali (che evitino patologie o cronicizzazioni) ed è garantito: tutela sociale della gravidanza e della maternità, tutela della salute del minore, vaccinazioni, profilassi internazionale, profilassi, diagnosi e cura di malattie infettive. Per coloro che entrano in Italia con un visto della durata non superiore ai 90gg., vi è la necessità di stipulare una polizza assicurativa privata. Carta di Soggiorno: E’ un documento che sostituisce il permesso di soggiorno, ogni 5 anni può essere vidimata e ha la validità di 10 anni. Per ottenerla lo straniero deve dimostrare: di essere in possesso del permesso di soggiorno che consenta un numero illimitato di rinnovi, di essere presente sul territorio italiano regolarmente da almeno 5 anni, di avere un reddito sufficiente per sé e per le persone a carico, di avere lavorato ininterrottamente da 5 anni. Modalità di regolarizzazione: (art.19 T.U.: casi di non espulsione per gli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno) i minori stranieri non accompagnati ottengono un permesso di soggiorno per minore età, gli stranieri con parenti entro il 4° grado di cittadinanza italiana (coniuge, zio, nonno, fratello, genitore) ottengono un permesso di soggiorno per motivi famigliari, permesso di soggiorno turistico convertibile in coesione famigliare entro 1 anno dalla scadenza del permesso di soggiorno, le donne in gravidanza e i mariti conviventi ottengono un permesso di soggiorno per cure mediche, rinnovabile fino al 6° mese di vita del neonato a cui provvedono, genitore naturale di cittadino minore italiano può ottenere il permesso di soggiorno per motivi famigliari, 29 clandestino con parenti che siano stati riconosciuti in Italia come rifugiati (coniuge, figlio minore, genitore al carico, parenti fino al 3° grado invalidi al lavoro) ottiene il permesso per coesione famigliare, (art.39 comma7 Reg. d’attuazione) possibilità di convertire il permesso di soggiorno che non consente attività lavorativa in permesso per lavoro autonomo. Ricongiungimento famigliare: Può essere esercitato dai seguenti soggetti attivi: cittadino italiano, cittadino di un paese della CE, straniero regolarmente soggiornante in Italia e in possesso di uno dei seguenti documenti: carta di soggiorno, permesso di soggiorno della durata minima di 1 anno per lavoro subordinato e autonomo, studio, asilo, motivi religiosi. I soggetti passivi del diritto a mantenere o ristabilire il diritto all’unità famigliare: coniuge non separato legalmente, figli minorenni al carico, minori legalmente adottati o affidati, genitori a carico, parenti a carico, inabili al lavoro entro il 3° grado. La bozza del decreto flussi per il 2002 non è ancora stata presentata e quindi non si conoscono le cifre relative agli ingressi per lavoro e per inserimento nel mercato del lavoro. a. Qui a seguito si presentano i percorsi di ingresso per lavoro e ricerca lavoro che potrebbero essere modificati a seguito dell’eventuale approvazione del nuovo ddl sull’immigrazione. Ricordiamo che non è possibile in nessun caso ottenere un permesso di soggiorno per lavoro se non si è presenti in Italia in maniera regolare nonostante si possa aver trovato un datore di lavoro disponibile ad assumere. Infatti non è mai consentita la regolarizzazione in Italia dei un cittadino straniero, presente su territorio italiano in maniera “clandestina” o “non regolare”, anche là dove abbia trovato un datore di lavoro disponibile ad assumerlo: È SEMPRE NECESSARIO CHE LO STRANIERO RIENTRI NEL PROPRIO PAESE D’ORIGINE. 30 Se si dovesse accertare che lo straniero, prima o durante la presentazione della domanda di ingresso regolare, si trovava in Italia, sono annullati d’ufficio l’autorizzazione al lavoro, il visto di ingresso e il permesso di soggiorno stesso! 1. INGRESSO PER LAVORO SUBORDINATO Per quanto riguarda le procedure di ingresso per lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato, su chiamata nominativa, è necessario che il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante, residente in Italia, segua la procedura qui a seguito: Inviare una proposta di lavoro allo straniero residente all’estero affinché la firmi e quindi la rispedisca in Italia così che valga come contratto di lavoro. Chiedere alla Direzione Provinciale del Lavoro, competente per il territorio in cui si svolgerà il lavoro, il rilascio dell’apposita autorizzazione al lavoro. Generalmente la domanda che il datore di lavoro deve presentare deve contenere le seguenti informazioni: - le complete generalità del titolare o del legale rappresentante dell’impresa; per il lavoro a domicilio le generalità del datore di lavoro; - le complete generalità del lavoratore straniero; - l’impegno di assicurare allo straniero il trattamento retributivo e assicurativo previsto dai contratti collettivi applicabili e dalle leggi vigenti; - la sede dell’impresa o del luogo in cui prevalentemente sarà svolta l’attività lavorativa; - l’indicazione dell’ubicazione dell’alloggio idoneo da comprovare mediante autocertificazione. Se lo straniero alloggiasse in alberghi o pensioni o se fosse ospite del titolare dell’alloggio, occorre allegare alla domanda una dichiarazione del titolare stesso. Alla richiesta di autorizzazione al lavoro devono essere allegati: - il certificato di iscrizione dell’impresa alla Camera di Commercio, industria o artigianato, munito della dicitura antimafia (nei casi in cui il lavoro riguardi l’attività di impresa); - copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero residente all’estero, alla sola condizione dell’effettivo rilascio del permesso di soggiorno; - copia della documentazione prodotta dal datore di lavoro ai fini fiscali attestante la sua capacità economica. - La Direzione Provinciale del lavoro di Milano richiede un’autocertificazione comprovante che il dichiarante sia titolare o legale rappresentante della ditta. 31 La Direzione Provinciale del Lavoro di Milano è in Via Lepetit, 8 al IV piano, Ufficio Stranieri; quella di Lecco si trova a Como in v.le Masia Massenzio, 26; a Varese è in via Daverio, 10. L’autorizzazione al lavoro deve essere rilasciata o negata dalla Direzione provinciale del lavoro entro 20 giorni dalla data di presentazione della domanda. Una volta ottenuta l’autorizzazione al lavoro, il datore di lavoro deve chiedere, all’ufficio stranieri della Questura territorialmente competente, il nulla-osta provvisorio per l’ingresso in Italia del cittadino extracomunitario. Tale nulla-osta viene rilasciato, entro 20 giorni dalla presentazione della domanda, in calce all’autorizzazione al lavoro. Il nulla-osta può essere rifiutato qualora il datore di lavoro risulti denunciato per uno dei reati del Testo Unico della legge dell’immigrazione (favoreggiamento dell’ingresso e/o permanenza illegale di stranieri, ecc…), ovvero per uno dei reati previsti dal Codice di procedura Penale, artt. 380 e 381 (furto, rapine, lesione personale, truffa, appropriazione indebita, corruzione, ecc..). I documenti da esibire in questura per ottenere il nulla-osta provvisorio sono: - domanda in carta da bollo da £.20.000; - autorizzazione al lavoro rilasciata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, più due fotocopie; - documento di identità valido del datore di lavoro (rappresentante legale), più una fotocopia (permesso di soggiorno se trattasi di cittadino straniero); - fotocopia del passaporto del cittadino extracomunitario assunto; - originale di iscrizione alla camera di Commercio recente, più una fotocopia; - copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero; - dichiarazione dei redditi della ditta, più una fotocopia. Quindi inviare l’autorizzazione al lavoro e il nulla-osta provvisorio al lavoratore straniero all’estero così che li possa esibire al consolato o ambasciata italiana per chiedere e ottenere il visto di ingresso per lavoro subordinato. In ogni caso l’autorizzazione al lavoro deve essere utilizzata entro 6 mesi dal rilascio. Le autorità diplomatiche italiane rilasciano il visto di ingresso entro 30 giorni dalla presentazione della domanda. 2. INGRESSO PER LAVORO SUBORDINATO PER COLLABORATORI FAMILIARI. Premettendo che il numero di ingressi per i collaboratori familiari rientrano nella quota annuale di ingressi per lavoro subordinato e che quindi è necessario seguire le procedure 32 sopra elencate, la Direzione Provinciale del Lavoro ha predisposto una modulistica distinta per la richiesta di autorizzazione all’ingresso di collaboratori familiari stranieri residenti all’estero di cui alleghiamo copia. Ottenuta l’autorizzazione all’ingresso in Italia del lavoratore domestico, il datore di lavoro dovrà richiedere in questura il nulla-osta seguendo la procedura esposta sopra (ingresso per lavoro subordinato) ma allegando i seguenti diversi documenti: - domanda in carta da bollo da £.20.000; - autorizzazione al lavoro rilasciata dalla Direzione provinciale del lavoro, più due fotocopie; - documento d’identità valido del datore di lavoro, più una fotocopia; - fotocopia del passaporto del cittadino extracomunitario assunto; - originale dell’ultima dichiarazione dei redditi, più una fotocopia. Tale documentazione può anche essere autocertificata dall’interessato davanti al funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro, incaricato di ricevere l’istanza. - copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero. È bene sapere che: Per poter assumere un collaboratore familiare extracomunitario il datore di lavoro deve dimostrare un proprio reddito annuo (anche mediante autocertificazione) variabile in base alla sua provincia di residenza. - Per Milano e provincia il reddito necessario corrisponde a £.99.222.400 per un’assunzione a tempo pieno e a £.87.222.400 per assunzione part-time. - Per Varese e provincia il reddito necessario corrisponde a £.92.413.833 per un’assunzione a tempo pieno e a £.80.413.833 per assunzione part-time. - Per Lecco e provincia il reddito necessario corrisponde a £.93.443.692 per un’assunzione a tempo pieno e a £.81.443.692 per un’assunzione part-time. La documentazione attestante la capacità economica del datore di lavoro si deduce dalle copie delle denuncie IRPEF/IRPEG (modello Unico), dal registro dei corrispettivi (in mancanza delle precedenti denunce), dal bilancio d’esercizio, dalle ricevute dei contributi previdenziali versati e da ogni altra documentazione utile ad attestarne la capacità economica. Per quanto riguarda la titolarità di un reddito sufficiente a coprire le spese per retribuzione, vitto, alloggio e contributi per il lavoratore da assumere (vedi importi sopra indicati), la circolare n°55/2000 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, precisa che detto reddito potrà risultare anche dal cumulo dei redditi dei parenti di 33 primo grado (figli e genitori) o, in mancanza, di altri soggetti tenuti legalmente all’assistenza, sulla base di una autocertificazione dei medesimi. Il nuovo contratto collettivo dei collaboratori familiari non prevede più, per l’assunzione di un collaboratore familiare, un limite minimo di ore lavorative giornaliere e settimanali ma una retribuzione minima mensile di £.850.000 nette, oltre alla disponibilità di un alloggio idoneo. Nel caso in cui il datore di lavoro non possa recarsi personalmente presso la Direzione provinciale del lavoro per la presentazione della domanda, potrà delegare per iscritto persona di fiducia e consegnarle fotocopia del proprio documento d’identità da esibire e allegare all’istanza. Il datore di lavoro potrà licenziare il lavoratore e, viceversa, il lavoratore potrà dimettersi in qualsiasi momento previo preavviso di: - 15 giorni se si ha un contratto a tempo pieno; - 8 giorni se si ha un contratto part-time. 3. INGRESSO PER LAVORO AUTONOMO Nell’ambito della programmazione dei flussi migratori e della relativa quota d’ingresso annuale, sono previste anche quote destinate all’ingresso in Italia per l’esercizio di attività di lavoro autonomo, a condizione che l’esercizio di tale attività non sia espressamente riservato dalla legge ai cittadini italiani o appartenenti all’Unione Europea. Quest’anno sono stati previsti 3.000 ingressi per lavoro autonomo. I requisiti e la documentazione necessaria per i nuovi ingressi in Italia per lavoro autonomo sono: Il possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l’esercizio della specifica attività. Compresi, dove richiesti, i requisiti per l’eventuale iscrizione agli albi e ai registri specifici. Infatti lo straniero può svolgere in Italia una libera professione se ha superato gli esami abilitativi o ha ottenuto l’iscrizione all’albo, registro o ordine previsto dalla legge. L’iscrizione ai predetti albi o elenchi è condizione necessaria per l’esercizio delle professioni anche con rapporto di lavoro subordinato. Disporre di risorse economiche adeguate per l’esercizio dell’attività che intende intraprendere in Italia. È quindi necessaria un’ATTESTAZIONE dei parametri di riferimento riguardanti la disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio dell’attività. Tale attestazione è rilasciata dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per il luogo in cui l’attività lavorativa deve essere 34 svolta, oppure dal competente Ordine professionale per le attività soggette ad iscrizione negli ordini stessi. Inoltre l’attestazione è indispensabile anche per quelle attività che non richiedono il rilascio di alcun titolo abilitativo o autorizzatorio. La DICHIARAZIONE dell’autorità competente, concessa in data non anteriore a tre mesi, che attesti che non ci siano motivi che ostacolino il rilascio dell’autorizzazione o della licenza specifica per l’esercizio dell’attività che si intende svolgere. Tale dichiarazione è, infatti, necessaria allo straniero che intende svolgere in Italia tutte quelle attività per le quali è richiesto il possesso di una autorizzazione o licenza o l’iscrizione in apposito registro o albo professionale, ovvero là dove è richiesta la presentazione di una dichiarazione o denuncia e di ogni altro adempimento amministrativo. La dichiarazione può essere richiesta anche tramite un proprio procuratore. NULLA-OSTA provvisorio rilasciato dalla questura territorialmente competente. Deve essere richiesto dallo straniero, anche tramite procuratore, facendone domanda e allegando ad essa la dichiarazione che non sussistono motivi ostativi al rilascio del titolo abilitativo o autorizzatorio, unitamente a copia della domanda e della documentazione prodotta per il suo rilascio e dell’attestazione dei parametri di riferimento riguardanti la disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio dell’attività rilasciata dalla Camera di commercio, industria, artigianato o dall’organo di competenza. Tale nulla-osta è posto in calce alla dichiarazione entro venti giorni dal ricevimento, previa verifica che non sussistono, nei confronti dello straniero, motivi ostativi all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato per motivi di lavoro autonomo. Disporre di un’idonea sistemazione alloggiativa. Il Decreto Ministero Affari esteri, 12 luglio 2000 prevede che tale requisito su può dimostrare mediante l’esibizione di un contratto di acquisto o locazione di un immobile mediante una dichiarazione resa dallo straniero stesso ai sensi degli articoli 2 e 4 della Legge n° 15 del 4 gennaio 1968, ovvero a mezzo di una dichiarazione (così detta autocertificazione) resa ai sensi delle medesime norme da un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia, che attesti di aver messo a disposizione del richiedente il visto un alloggio idoneo. Disporre di un reddito annuo di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione del ticket sanitario (£.16.000.000 circa, annui), ovvero disporre di una 35 corrispondente garanzia da parte di enti, cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti. Per ottenere il visto di ingresso, il cittadino straniero deve quindi presentare alla rappresentanza diplomatica o consolare competente i seguenti documenti: la dichiarazione; l’attestazione; il nulla-osta provvisorio. La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia il visto di ingresso per lavoro autonomo con l’espressa indicazione dell’attività cui il visto si riferisce, nei limiti numerici stabiliti a norma dal decreto flussi annuale. Tale visto di ingresso deve essere rilasciato o negato entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda e della relativa documentazione e deve essere utilizzato entro 180 giorni dalla data di rilascio. 4. INGRESSO PER INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO SU PRESTAZIONE DI GARANZIA. Anche per gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro su prestazione di garanzia è fissata una quota annuale nel decreto flussi che quest’anno, si presume, corrisponde a 15.000 unità. Il presupposto per l’ingresso in Italia per inserimento nel mercato del lavoro (sponsor o garanzia) sono i seguenti: Autorizzazione all’ingresso rilasciata dalla questura dietro apposita garanzia verificata e presentata da cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto annuale sulle quote di ingresso. Quindi: - il garante deve ritirare gli appositi moduli per la garanzia presso l’ufficio stranieri della Questura nella provincia in cui risiede; - stipulare un contratto di fideiussione bancaria o assicurativa di £.10.500.000. Con la fideiussione la banca o l’assicurazione dichiarano di sostituirsi al garante nel pagamento delle spese di vitto, alloggio, assistenza sanitaria e spese di rimpatrio, al cittadino straniero che entrerà in Italia, qualora il garante, per qualsiasi motivo, non ottemperi all’impegno assunto. Generalmente la banca o l’assicurazione di cui il garante è già cliente non richiedono il versamento di tutta la quota ma semplicemente il pagamento di £. 400.000 circa relativo alle spese sostenute per la stipula del contratto; 36 - dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo (rogito, contratto di locazione registrato relativo all’alloggio, nonché dichiarazione di ospitalità corredata da certificato di idoneità igienico-sanitario rilasciato dall’Asl competente per territorio, oppure di attestazione dell’ufficio comunale inerente l’idoneità alloggiativa). Oltre alla fideiussione e all’alloggio, all’atto della consegna dei documenti in Questura, è necessario allegare alla domanda per il rilascio dell’autorizzazione all’ingresso (modulo allegato n.10) anche i seguenti documenti: - copia del documento di identità di chi presta la garanzia e, nel caso di cittadino straniero, copia del permesso di soggiorno con validità residua di almeno 1 anno; - copia del passaporto dello, o degli, stranieri beneficiari della garanzia; - certificato dello stato di famiglia del garante (autocertificabile); - certificato dei carichi pendenti del garante (autocertificabile). Entro 60 giorni dalla data di presentazione della domanda la Questura comunicherà se la stessa è stata accettata. In questo caso verrà consegnata al garante l’autorizzazione all’ingresso in Italia dello straniero che deve essere inviata, a cura del garante, al cittadino straniero nel suo paese d’origine. A sua volta, il cittadino straniero, dietro presentazione di tale autorizzazione al Consolato o Ambasciata Italiana all’estero, otterrà, entro 30 giorni, il visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro della durata di 1 anno e non rinnovabile. Entro 8 giorni lavorativi dall’ingresso in Italia, il cittadino straniero, munito di regolare visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro, dovrà presentarsi in questura per richiedere il permesso di soggiorno per ricerca lavoro. È importante ricordare che: ciascun garante può garantire l’ingresso per un massimo di due cittadini stranieri ogni anno; tra i soggetti ammessi a prestare la garanzia rientrano: - le regioni; - gli enti locali; - le comunità montane e i loro consorzi e associazioni; - le associazioni professionali e sindacali; - gli enti e le associazioni di volontariato operanti nel settore delle immigrazioni da almeno tre anni iscritti nel registro nazionale delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati; 37 è indispensabile che il contraente della fideiussione sia anche il titolare del contratto di locazione o del rogito dell’alloggio dove verrà ospitato il cittadino straniero. Appena il cittadino straniero ottiene un lavoro con regolare assunzione potrà convertire il permesso di soggiorno per ricerca lavoro in permesso di soggiorno per lavoro subordinato e il garante potrà ritirare la fideiussione. Nel caso in cui il cittadino straniero dopo un anno di soggiorno in Italia non avesse trovato alcun impiego regolare, è tenuto a rientrare al proprio paese d’origine e solo a questa condizione verrà restituita la fideiussione al garante. Se invece il cittadino straniero soggiornasse in modo irregolare in Italia allo scadere del permesso di soggiorno, la fideiussione verrà trattenuta dalla questura per 30 mesi allo scopo di utilizzarla per il pagamento del biglietto di rimpatrio qualora venga fermato il cittadino straniero irregolare. 5. RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE Il diritto a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari residenti all’estero può essere esercitato dalle seguenti persone: cittadino italiano; cittadino membro dell’Unione Europea residente in Italia; cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante in Italia e titolare di uno dei seguenti titoli di soggiorno: - carta di soggiorno; - permesso di soggiorno di durata non inferiore ad 1 anno rilasciato per uno dei seguenti motivi: a) lavoro subordinato; b) lavoro autonomo; c) studio; d) motivi religiosi; d) asilo; e) motivi familiari. Il diritto a mantenere, a ristabilire o a mantenere l’unità familiare può essere esercitato nei confronti dei seguenti familiari: coniuge non legalmente separato; figli minorenni non coniugati o legalmente separati, a carico anche di un solo coniuge o nati fuori del matrimonio, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; minori legalmente affidati o adottati; genitori a carico; parenti entro il terzo grado inabili al lavoro secondo la legislazione italiana. 38 L’ “essere a carico” deve essere dimostrato in modo adeguato esibendo al consolato italiano nel Paese di origine ogni tipo di documentazione con la quale si prova che: lo straniero (genitore o parente entro il terzo grado inabile) non sia titolare di alcun reddito e non sia proprietario di immobili; al sostentamento provvede in tutto o in parte il familiare regolarmente soggiornante in Italia. Il soggetto che richiede il ricongiungimento familiare deve dimostrare, all’ufficio stranieri della Questura, il possesso dei seguenti requisiti: un alloggio idoneo, che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale di edilizia residenziale pubblica. Tale requisito è attestato dal certificato di idoneità alloggiativa rilasciato dall’ufficio tecnico del Comune o dall’ufficio igiene dell’ASL; reddito annuo minimo di importo non inferiore a £.8. 366.800, in caso di ricongiungimento di un solo familiare, del doppio dell’importo di cui sopra in caso di ricongiungimento di due o tre familiari, del triplo in caso di ricongiungimento di quattro o più familiari. Il cittadino presente in Italia che chiede il ricongiungimento familiare deve procurarsi i documenti elencati nei modelli rilasciati dalle Questure di competenza e presentarli all’ufficio stranieri della Questura per ottenere il nulla-osta al ricongiungimento familiare che verrà rilasciato entro 90 giorni e successivamente inviato ai familiari al paese di origine. A loro volta questi ultimi dovranno presentare il nulla-osta alle autorità diplomatiche italiane per ottenere il visto di ingresso per ricongiungimento familiare. Se la Questura, entro 90 giorni dalla presentazione della domanda, non rilascia il nullaosta, il cittadino richiedente il ricongiungimento familiare potrà inviare ai parenti da ricongiungere, copia dei documenti presentati in questura, e debitamente contrassegnanti, in sostituzione del nulla-osta mancante. Quindi, arrivati su territorio italiano, è obbligatorio presentarsi, entro 8 giorni lavorativi, presso la Questura del territorio competente, per il rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Con questo permesso di soggiorno è possibile lavorare fin da subito sia come lavoratore subordinato che come lavoratore autonomo. 39 Terzo incontro La relazione di aiuto 19 gennaio 2002 Intervento di Cherubina Bertola La relazione di aiuto Esistono diversi tipi di relazioni, definibili secondo diverse variabili relativamente a: - contenuto che le riguarda: relazioni pubbliche, internazionali, politiche, economicocommerciali (industriali, sindacali), professionali; - persone che ne sono coinvolte : parentali (coniugali, genitoriali, fraterne, etc.), sentimentali (affettive, amicali), educative (insegnanti, educatori, etc.); - strumenti che per esse vengono utilizzati: scritte, telefoniche, virtuali (informatica, radio/televisione, etc.), gestuali. La relazione di cui qui si tratta è la RELAZIONE DI AIUTO. La definizione che ne dà Carl Rogers, uno dei maggiori studiosi di riferimento per gli operatori sociali, mi sembra molto appropriata ai fini delle questioni che qui si intendono approfondire. Egli intende, con il termine RELAZIONE DI AIUTO, “ …delle relazioni in cui almeno uno dei due protagonisti cerca di favorire nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità, un miglior funzionamento ed una maggior capacità di affrontare la vita.” In tal senso, la relazione di aiuto è l’oggetto dell’intervento di diverse professioni sociali (dette anche di aiuto alla persona): assistente sociale, psicologo, medico, educatore, insegnante, infermiere, etc. Il Vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2000 così indica l’origine del termine “RELAZIONE”: “voce dotta dal latino relatione, da relatus, participio passato di referre “riferire”; dove, aggiungo io, il termine latino ferre significa portare e quindi referre “riportare”. A questo insieme di significati è facile pertanto ricondurre il senso di “legame” che viene conferito al termine “relazione”, dove, per la sussistenza del legame stesso, occorre che siano implicati almeno due soggetti che hanno un reciproco interesse ad avere “qualcosa” in comune. Alla parola “relazione” potremmo quindi affiancare i termini vincolo, rapporto, dialogo, contratto: ognuno di questi termini darà al contenuto “relazione” una diversa connotazione, che ne determinerà obiettivi, tempi, modi e caratteristiche. Passiamo ora al secondo termine della questione: l’AIUTO. 40 Il termine “aiuto” (mi riferisco sempre allo Zingarelli) proviene dal latino tardo adiutu, dal participio passato del verbo ad-iuvare, dove iuvo significa “giovare ”, “essere utile ”, “favorire”. La preposizione ad apre alla presenza di un altro, a favore del quale va la nostra attenzione, il nostro intervento, la nostra opera. Il termine “aiuto” si può poi connotare di diverse significati che ne rendono, con sfumature diverse, una specifica definizione: ascolto, sostegno (anche fisico), orientamento, informazione, educazione, accompagnamento, condivisione, presa in carico. Le diverse professionalità, a cui precedentemente si accennava, danno una propria specificità al termine “aiuto”, connotando il proprio intervento su alcuni determinati aspetti, che vengono a costituire l’oggetto e le finalità della professione, oltreché delimitarne le metodologie, gli strumenti e le tecniche. Quali condizioni sono indispensabili a chi attui una relazione di aiuto? Nella relazione di aiuto, comunque connotata e declinata, la strumento principale attraverso cui prende forma l’aiuto stesso è sempre e principalmente la persona che attua l’intervento: per questo motivo, chi si dedica alle professioni di aiuto non può e non deve prescindere da un approfondito lavoro di conoscenza di sé, in quanto il sé non rimane fuori dalla relazione di aiuto ma ne costituisce piuttosto il fondamentale veicolo. A tale riguardo è nota a tutti la carenza, nella formazione universitaria di medici ed insegnanti, di approfondimenti delle questioni psicologiche e pedagogiche, premesse necessarie per entrare in una relazione educativa o per gestire un corretto intervento sanitario. Altrettanto note sono le conseguenze di ciò. La conoscenza di sé richiede tempo e volontà ma è un passaggio imprescindibile anche per chi voglia, volontariamente, dedicare risorse e disponibilità in un’attività fondata sulla relazione con l’altro. La conoscenza di sé porta non tanto ad essere “perfetti”, quanto all’acquisizione di una profonda consapevolezza delle proprie caratteristiche caratteriologiche e psicologiche, delle proprie modalità di reazione, delle proprie risorse e dei limiti, delle difficoltà, delle paure, delle resistenze e della storia personale che ha “prodotto” me oggi, “qui ed ora”. Ci si illude di poter entrare in relazione con un altro, se non si è capaci di “stare in relazione” con se stessi! La relazione di aiuto implica, oltre alla conoscenza di sé, anche una serie di predisposizioni senza le quali non si dà relazione. Le principali sono: - la capacità di ascolto, - la curiosità, - una grande passione per l’essere umano, 41 - la tolleranza, - una certa forza e chiarezza interiore, - la capacità di empatia e compassione, - la disponibilità. Mi soffermo qui soprattutto sull’empatia e sulla disponibilità. Riprendo da Jaques Salomè “L’empatia è l’insieme dei segnali che circolano in ogni relazione in cui una persona facilita lo sviluppo o la crescita di un’altra, la aiuta a maturare, ad adattarsi, ad integrarsi o a mettere a frutto la sua esperienza. “ L’empatia si manifesta quando sono presenti contemporaneamente questi elementi: 1. Comprensione empatica: chi aiuta comprende l’altro dal punto di vista di quest’ultimo; riconosce ciò che è reale o significativo per l’altro in un dato momento; cerca di sapere come l’altro vede e sente le cose e quali sono i suoi atteggiamenti personali di fronte ai vari aspetti della vita; vive in un certo modo l’esperienza dell’altro, purché non confonda i sentimenti e le percezioni dell’altro con i propri. L’esperienza mette però in evidenza che raramente possiamo essere certi di quello che un altro vuole dire o sente esattamente : perlopiù reagiamo secondo l’idea migliore che ci facciamo di quello che l’altro vuol dire in quel momento. Dobbiamo tuttavia rimanere sempre disponibili a correggere e modificare il nostro giudizio. Questo non solo aumenta la possibilità di capire esattamente i pensieri e i sentimenti dell’altro, ma contribuisce a renderlo più libero, a permettergli di cambiare egli stesso il suo modo di percepire o di formulare la sua esperienza, di esaminare altre opportunità e di dare alla sua esperienza un significato nuovo. 2. Fiducia nell’altro: Quando l’altro possiede forze proprie per crescere e diviene consapevole delle risorse della sua storia, l’empatia sviluppa questa fiducia e si appoggia su di essa. E’ pertanto fondamentale essere per primi convinti che l’altro possiede nel profondo una tendenza a crescere e a sviluppare al massimo le sue possibilità; che noi non possiamo caricarci delle sue responsabilità ma che possiamo facilitare e mantenere (anche quando l’altro per primo non ci crede più) la sua aspirazione ad uno sviluppo integrato più vasto. 3.Interesse e rispetto senza riserve: E’ molto difficile muoversi sempre sulla base di queste due dimensioni ma non dobbiamo dimenticare che solo attraverso di esse possiamo giungere a provare ed a manifestare tenerezza ed affetto verso chi cerchiamo di aiutare, sentimenti senza i quali ogni relazione è arida, anche se tecnicamente “perfetta”. 42 5. Accettazione dell’altro: l’altro non deve aver bisogno di guadagnarsi la nostra approvazione o simpatia esprimendo o sopprimendo certi desideri e atteggiamenti o idee, cercando di essere una persona piuttosto che un’altra; l’altro deve avere tutta la libertà di essere quello che più profondamente e più completamente è in quel momento. Nella relazione egli può verificare che non c’è alcun rischio nell’affrontare se stessi apertamente, nel percepire o ammettere le proprie debolezze, così come il proprio smarrimento o le proprie paure. Questo è possibile solo se sappiamo accettare l’altro per quello che gli è, e soprattutto esprimere tale accettazione. E’ da chiarire, a questo punto, una questione importante: non c’è relazione di aiuto senza accettare che non ci sia reciprocità. Può sembrare discutibile, ma va ribadito che, nel contesto di cui stiamo parlando, non si tratta di uno scambio, di una relazione alla pari tra due persone che si incontrano: per questo dobbiamo ricorrere e riferirci ad altri tipi di relazione. Ciò che viene all’operatore dalla relazione di aiuto, in termini di gratificazione, soddisfazione, gratitudine, non è previsto, aspettato, calcolato: tutto ciò è gratuito e non può quindi essere “esigito” o “preteso”. Fondamentale, infatti, per la scuola di Carl Rogers, cui ancora ci riferiamo, è il “centrarsi sull’altro”. Entrare in relazione = appartenersi Il primo bisogno delle persone che incontriamo è spesso il bisogno di relazione, d'appartenenza. Saper ascoltare significa riconoscere cosa sta dietro alla richiesta, alla domanda esplicitata. Spesso si tratta di una semplice richiesta di aiuto materiale e, quando è così, si attiveranno le risposte più adeguate o si stimoleranno i servizi, pubblici e privati, chiamati ad intervenire. Quando però, in un rapporto di ascolto e conoscenza della persona, si individuasse l’espressione di una domanda di relazione, di un desiderio di “sentirsi parte”, di “sentirsi tenuto, contenuto” da qualcuno, occorrerà dare voce a questo bisogno, riconoscerlo ed accoglierlo. Molti poveri che incontriamo oggi manifestano, dietro modalità non sempre immediatamente interpretabili o dietro richieste che fungono da pretesto per creare l’aggancio, un vuoto relazionale, una realtà affettiva carente, o addirittura inesistente, una mancanza di riferimenti certi per affrontare la vita quotidiana, sia negli aspetti concreti che in quelli emotivo-relazionali. Esempio di ciò possono essere le persone che vengono da lontano o le loro famiglie, che devono tentare di inserirsi, di ri-trovarsi in un contesto sociale e culturale del tutto diverso da quello di provenienza; ancora possiamo pensare 43 alle famiglie dove si manifestano gravi difficoltà di rapporto o di comunicazione, che poi si esprimono attraverso un sintomo di disagio di un solo membro (alcolisti, tossicodipendenti, malati psichiatrici); oppure la stessa famiglia, colpita da un problema, di cui ci si può anche vergognare, può sperimentare la stigmatizzazione e l’isolamento sociale, che recidono rapporti e relazioni e che lasciano completamente soli ed allo sbaraglio, nel portare un peso che si ingigantisce e che fa perdere spesso i contorni della realtà. Rispondere al bisogno di appartenenza vuol dire offrire la possibilità di sentirsi parte di una comunità o almeno di sentirsi “tenuti” da qualcuno che accetta di entrare in relazione con noi. Questa appartenenza deve essere però un’appartenenza che “libera”, non che imbriglia, che chiude nei lacci di un ricatto: io ti do (aiuto, ascolto, sostegno), se tu ti lasci prendere, di lasci inquadrare nelle mie categorie e nei miei criteri. Ci sono persone che, molte efficacemente, danno l’illusione di poter fornire una risposta a questo bisogno (la rete criminale, l’organizzazione che sfrutta la prostituzione e l’accattonaggio, lo stesso abuso sessuale). A mio parere, il “successo” di queste forme conferma implicitamente quanto grande sia questo bisogno e questa povertà di rapporti e di legami. Questa allora credo sia la più grande capacità di servizio: accettare di entrare in relazione con la gratuità di chi sa che la risposta dell’altro e l’adesione alla nostra proposta ed alla nostra offerta dipendono solo dalla sua libertà, non dal nostro impegno o dalla nostra bravura o, peggio ancora, dai nostri “ricatti”. Relazionarsi = ricondurre D’altra parte, il termine stesso “relazione” (da re-ferre = riportare) implica il concetto di reciprocità, quindi di disponibilità a farsi prossimi e, più ancora, il significato di ri-condurre, restituire l’altro a se stesso. Quante storie di sofferenza sono proprio connotate dalla difficoltà di stare con se stessi, di riconoscersi, di accettare la propria storia, di rileggerla per fare la pace con legami poveri, con scelte sbagliate, con incontri fuorvianti. Solo ascoltando se stessi, le proprie emozioni, i ricordi, solo facendo un po’ di silenzio, la persona può ricondursi a se stessa, può intrattenersi con se stessa e con chi ha vicino. Il volontario deve, nell’ascolto attento ed allenato, accompagnare l’altro in questo cammino, o intuire quando l’altro abbia eventualmente bisogno di un aiuto più specifico in questo senso e fornirgli indicazioni e consigli. Credo che lo specifico del volontario che sceglie la strada del servizio, stia proprio nel mettere a disposizione se stesso, la propria persona, il proprio tempo, le conoscenze e le competenze, per decidere di intrattenersi con l’altro e, nell’ascolto reciproco, accogliersi come persone ed offrire una possibilità di appartenenza. 44 E’ fondamentale creare le condizioni perché tutte le nostre comunità cristiane, le famiglie, le parrocchie, diventino accoglienti e tentino di rispondere al bisogno di appartenenza, soprattutto dei più poveri: il volontario, soprattutto se lavora in un gruppo o in un’associazione, ha anche questa responsabilità e questo compito. Bisogna trovare il modo per farsi portavoce di questo fondamentale bisogno umano, riconoscendolo vero per tutti: se io ho bisogno di sapere che Dio mi ama, che, anche se non avessi nessuno, sono almeno suo, sono nelle sue preoccupazioni, come posso pensare che lo stesso bisogno non l’abbia anche il più diseredato, l’infimo tra gli uomini? Come la comunità cristiana può non accogliere la sfida di riconoscere questo bisogno, negato o “nascosto” dalla nostra società e offrire spazi ed occasioni di incontro o strumenti per portare segni di appartenenza? 45 Intervento di Carmine Guanci Introdurrei la mia relazione con le parole pronunciate dal Cardinale Martini in occasione dl Natale 1989, parole che ben conoscerete ma che sintetizzano con estrema lucidità la tematica che oggi affrontiamo: “ Oggi le persone hanno più bisogno d’ascolto che di parole. Abbiamo imparato tutti a parlare, magari anche più lingue, e non siamo più capaci di ascoltarci. Soltanto quando diamo ascolto all’altro con attenzione e non distratti, con pazienza e non in fretta, con meraviglia e non annoiati, acquistiamo il diritto e l’autorevolezza di parlargli al cuore. Efficientismi come siamo diventati, a volte crediamo che il tempo dedicato all’ascolto sia perso; in realtà, se pensiamo così, forse è perché non abbiamo tempo a disposizione per gli altri, ma soltanto per noi stessi e per i nostri interessi. Non di rado il parlare esprime voglia di potere sull’altro, nasconde i nostri sentimenti di sfiducia e rifiuto, è un susseguirsi di razionalizzazioni e scuse per giustificarsi, è pieno di ambiguità e contraddizioni. Mentre un ascolto attento diventa un grande servizio e un effettivo aiuto che si offre al fratello”. Sono ormai passati più di 12 anni da quel giorno e sono stati anni epocali per il fenomeno migratorio in Italia, si sono succedute diverse leggi, la presenza di stranieri sul territorio nazionale non solo è aumentata ma ha subito continue modificazioni dal punto di vista qualitativo, abbiamo conosciuto da vicino gli esodi di popolazioni colpite dalla guerra e, punto a mio avviso di non ritorno rispetto ad una incosciente e irresponsabile convivenza tra culture e religioni diverse, abbiamo assistito sgomenti ai fatti dell’ 11 Settembre 2001. La vera sfida a cui non possiamo più sottrarci è quella di creare le condizioni per una convivenza pacifica e gettare le basi per una società realmente interculturale. Come cristiani non possiamo accettare la logica del più forte, l’idea che la presenza di poveri, sfruttati e umiliati sia frutto del normale fluire della storia; ma siamo ancora in grado di vedere nel povero, nel viandante, nello straniero il volto del Cristo ? E’ proprio una bella responsabilità quella che ci assumiamo nel momento in cui ci mettiamo all’ascolto dell’altro! Da un lato rappresentiamo la comunità cristiana che si mette a disposizione di chi è in difficoltà, siamo al servizio della comunità e dall’altro è ad essa che ci riferiamo affinché si prenda cura di quanti incontriamo. Sono proprio i volontari del Centro d’Ascolto ad operare quella mediazione (che con gli stranieri è anche culturale) tra chi bussa alla porta e chi quella porta l’ha creata affinché si apra sui bisogni della società. 46 Il Centro di Ascolto è in frontiera, è il braccio operativo di quella Caritas la cui capacità pedagogica si misura anche sulla capacità di sensibilizzazione della comunità cristiana in primis ma anche della società civile affinché si conoscano i problemi e possano maturare una maggiore corresponsabilità e condivisione. A mio pare questo è un versante del lavoro che i volontari del Centro di Ascolto sono chiamati ad assolvere che bisognerà tenere sempre più in considerazione; sono infatti convinto che il solo Centro di Ascolto, l’intero mondo del volontariato, i servizi pubblici siano comunque inadeguati nel dare risposte ai sempre nuovi bisogni delle persone che sono in difficoltà. Solo il coinvolgimento della società civile e la diffusione di una diversa cultura della solidarietà che non riduca tutto al concetto di elemosina ma che sia strettamente connessa al sentimento di giustizia, potranno creare un reale cambiamento in positivo. L’altro versante del lavoro a cui sono chiamati i volontari del Centro di Ascolto è ovviamente l’incontro con l’altro in questa relazione d’aiuto che, riprendendo l’intervento di Cherubina, dovrebbe in qualche modo prevedere un protagonista che tenta di favorire nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed una maggior capacità di affrontare la vita. Parlando di relazione è però implicito un legame… quale legame sente il volontario nei confronti dello straniero che si rivolge al Centro di Ascolto? Il volontario è parte della società civile e della comunità cristiana in cui viviamo… qual è il modello d’accoglienza che queste propongono agli stranieri? Il volontario si rende conto delle diverse problematiche implicite nell’incontro con lo straniero? Lo scambio tra culture, religioni, modelli sociali, organizzazioni familiari, si gioca anche in questo contesto; la costruzione di una società “INTER-CULTURALE” e l’accettazione reciproca vedono in questo incontro un’occasione ricca di potenzialità e da non perdere. Ma quanto di tutto ciò viene poi “restituito” alla comunità ? Se non si tiene conto di questo aspetto del “lavoro” nel Centro di Ascolto si rischia di trasmettere implicitamente un’immagine falsata di ciò che il Centro di Ascolto rappresenta, la comunità si limita a lamentarsi per il “disagio” arrecato dalle file di stranieri che aspettano davanti al Centro di Ascolto, addirittura si potrà sentire “infastidita” da questa presenza e si rischia così di ottenere un rafforzamento dei pregiudizi e dei preconcetti che tanti ostacoli frappongono ad una corretta comprensione delle situazioni. Anche se è difficile da comprendere nei suoi diversi aspetti e in forma non certo esplicita, è indiscusso che lo straniero che prende la decisione di rivolgersi al Centro di Ascolto ha bisogno di relazione e di appartenenza, di sentirsi “parte” in un contesto che molto probabilmente lo tiene ai margini, lo esclude. Il nostro atteggiamento, le nostre attività 47 devono rispondere a questi bisogni e contemporaneamente dobbiamo esser coscienti che è in atto uno “scambio”. Dietro alle frequenti domande di casa e lavoro c’è una domanda inespressa, incosciente e forse neppure ben valutata da parte di chi la pone, relativa al bisogno di “inserirsi” nella nostra società, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità !! Proprio così, anche se atteggiamenti “predatori” da parte di diverse persone che hanno probabilmente scelto la scorciatoia di accaparrare tutto ciò che sono in grado di ottenere dalla società ospitante potrebbero negare quanto detto sopra, è in ogni caso un dato di fatto che la persona nel momento in cui varca la soglia del Centro di Ascolto, decide di non essere più un ombra, un numero ma si assume la responsabilità di essere persona, portatrice di bisogni ma anche di ricchezze… spetta a noi “restituire” alla persona questa sua scelta offrendo la possibilità di “accompagnarla per un tratto di strada”, standole al fianco e non certo sostituendosi. Vorrei essere molto chiaro su questo aspetto; penso che il gratuito buonismo abbia prodotto notevoli problemi in passato, gli atteggiamenti paternalistici hanno troppo spesso relegato lo straniero ad una condizione di “inferiorità” ed incapacità ad assumersi le responsabilità connesse alle proprie scelte di vita creando nella società accogliente un’immagine falsata della realtà. Ho visto molti Centri di Ascolto entrare in difficoltà perché sotto la pressione della domanda si erano ritrovati a svolgere più le funzioni di “supermercato dei pacchi viveri” che quelle proprie di un Centro di Ascolto, troppi volontari abbandonare il Centro di Ascolto perché incapaci di sopportare lo stress relativo a bisogni che non trovavano risposte, troppe situazioni in cui gli stranieri non vissuti dai volontari come singole persone ma come “i marocchini”, “gli albanesi” ecc. in quanto non si erano create relazioni ma a domanda immediata si rispondeva in forma immediata. L'istinto all’immediatezza non è malvagio ma non può essere esaustivo, il vero problema che ci troviamo ad affrontare è quello delle nuove convivenze che pongono questioni molto serie …io non ho ovviamente le risposte ma penso che sia fondamentale interrogarsi ed approfondire esigendo nell’altro (lo straniero ma anche il nostro vicino di casa) il rispetto delle altrui specificità. In tutto ciò il prezioso strumento della “COMPRENSIONE EMPATICA” ovviamente incontra maggiori problemi applicativi nella relazione d’aiuto con lo straniero ma se ci riserviamo la possibilità di correggere continuamente il nostro giudizio penso che gran parte delle difficoltà verranno meno. Nel mio lavoro e nella mia esperienza quotidiana ho maturato la convinzione che gli stranieri hanno la caratteristica di fungere da lente d’ingrandimento che esalta i problemi della nostra società. Con la loro presenza e con le 48 loro richieste mettono a nudo l’incapacità della nostra società ad accettare il diverso in quanto tale (quindi anche il disabile, il povero, il malato di mente ecc.), ci impongono a riflettere sulle carenze organizzative dei nostri servizi per l’infanzia, della scuola, dei servizi socio-sanitari, fanno risaltare i problemi della mancanza di alloggi a costi accettabili e di una organizzazione del mondo del lavoro che puntando ai massimi profitti calpesta spesso i diritti dei lavoratori. Questa nuova convivenza ci impone quindi di riflettere sul sistema organizzativo della nostra società e sui valori che sottendono alla nostra vita quotidiana. Altro problema significativo è il rispetto della legge che regola la presenza degli stranieri in Italia; l’incontro scorso è stato dedicato appunto a questa tematica pertanto non mi dilungherò ma lo affronto unicamente per riflettere anche sulla responsabilità che il Centro di Ascolto si assume nel momento in cui affronta i problemi degli stranieri e orienta verso alcune possibili soluzioni. Se è vero che il nostro concetto di solidarietà non può essere disgiunto da quello di giustizia, come ci comportiamo di fronte al problema del lavoro nero, dei contratti d’affitto irregolari, delle discriminazioni sul posto di lavoro ecc. ? Franco Vernò nel prossimo incontro vi parlerà del lavoro di rete; penso sia opportuno accennare velocemente al fatto che il Centro di Ascolto non deve considerarsi l’unico interlocutore per la persona che è in difficoltà ma deve essere cosciente di inserirsi in una rete di servizi pubblici e privati che possono e, almeno per il momento, in alcuni casi devono prendersi in carico la situazione. Da un lato quindi il Centro di Ascolto si deve rendere disponibile a collaborare con soggetti terzi ma dall’altro deve essere pronto ad un’azione di advocacy nei casi in cui i diritti della persona vengono negati o quantomeno ostacolati. Sentirete sicuramente Franco parlare delle reti primarie in quanto in Italia esistono delle innovative leggi che identificano la comunità locale, i vicini di casa, i compagni di scuola come soggetti a cui i servizi pubblici possono e devono rivolgersi nella realizzazione di percorsi promozionali e d’assistenza. Siamo pronti a tutto ciò ? Pensate poi a quello che accadrà tra non più di 10 anni; avremo in Italia decine di migliaia di giovani, adolescenti nati in Italia da genitori stranieri. Come li considereremo e come si considereranno loro… italiani o stranieri? Quali problemi intra-familiari emergeranno? Come ci attrezzeremo per prevenire il disagio di questi giovani? La famiglia immigrata troverà nel Centro di Ascolto un supporto competente? Chi lavora con gli stranieri avrà sicuramente imparato a stupirsi continuamente e rimettere in discussione ogni supposta certezza pertanto non mi sembra il caso di trasmettere metodologie e prassi operative da ritenersi sempre e comunque valide, lascio spazio a voi 49 per sottoporre questioni pratiche a cui mi permetterò di fornire risposte basate sull’esperienza maturata da me o da altri servizi. Concluderei pertanto rammentando a tutti voi la semplicità e la gioia con cui i bambini si relazionano indipendentemente dal colore della pelle o dalla nazionalità. Forse è proprio vero che dovremmo tornare tutti ad essere bambini… ma siamo adulti e dobbiamo assumerci la responsabilità di costruire le condizioni per una pacifica e giusta convivenza, essere coscienti che la FATICA D’INTEGRARSI non è solo dello straniero ma anche nostra in quanto ci impone in primo luogo di guardare dentro noi stessi, giudicare la nostra società, essere coscienti dei nostri valori ed essere capaci di testimoniarli coi i fatti. 50 Quarto incontro 2 marzo 2002 Percorsi e soggetti nel lavoro di rete Intervento di Anny Pacciarini Presentazione di un caso Paola è nata in Romania, ha 35 anni. Diplomata, lavorava in Romania come operaia. Aveva avuto una convivenza per 5 anni con persona con problemi di alcolismo, e che aveva cominciato a maltrattarla pesantemente, tanto da decidere di lasciarlo e di andare ad abitare con un’amica. In Romania Paola viveva quindi in una situazione economica buona, aveva un regolare lavoro e aveva trovato anche una soluzione abitativa (anche se i parametri di valutazione sono molto differenti dai nostri). Paola però, essendo anche una persona positivamente ambiziosa, voleva migliorare la propria vita e riteneva di raggiungere il suo obiettivo andando all’estero. Un “amico” rumeno, che faceva il camionista e aveva contatti con l’Italia, le aveva presentato il sig. X di 50 anni, divorziato e con 3 figli che abitavano, con la ex moglie, nello stesso stabile in un paese dell’hinterland di Milano. Il sig. X veniva presentato come persona buona e desiderosa di ricostruirsi una famiglia. Il sig. X era tornato alcune volte in Romania a trovarla. Lei era molto contenta perché lui si comportava bene e le diceva di volerle bene e di desiderare di avere un futuro insieme, tanto che, dopo pochi mesi dalla conoscenza, si sono sposati e sono venuti in Italia. In Italia, dopo un paio di settimane di coabitazione tranquilla, sono cominciati i primi episodi di lite anche per futili motivi fino ad arrivare a maltrattamenti da parte del marito, sempre più frequenti e sempre più violenti. Paola, peraltro si era accorta che il marito assumeva psicofarmaci (prima lui li prendeva senza farsi vedere) mischiandoli con alcool. Di fronte all’indisponibilità del marito di affrontare i propri problemi e già scottata dall’esperienza in Romania, decide di andarsene e glielo dice provocatoriamente in faccia. Da quel momento lui la tiene segregata in casa. Non può però impedirle di continuare a frequentare il corso serale di italiano presso la parrocchia per non dare elementi di sospetto, nella certezza che Paola non avrebbe parlato del maltrattamento perché lui l’aveva minacciata anche esibendole una pistola. La situazione di Paola diventa di giorno in giorno più angosciosa per lei. Ha fallito il nuovo legame, le viene impedito di lavorare, di avere contatti con altre persone, non sa l’italiano e non conosce i parametri sociali, culturali ecc. italiani. 51 Pertanto la prossimità della fine del corso, unico suo momento di contatto con l’esterno che sarebbe venuto meno, e l’escalation del maltrattamento hanno dato finalmente coraggio a Paola di chiedere aiuto. IL PERCORSO DI AIUTO La richiesta di aiuto di Paola è rivolta quindi ai volontari che svolgono il corso di italiano presso la parrocchia di zona, essendo questo l’unico momento di contatto che la donna ha con l’esterno. Una insegnante volontaria si gioca un po’ di più nella relazione ed è quella che attiva il centro di ascolto parrocchiale la cui volontaria, dopo aver conosciuto P. presso la scuola, si rivolge alla segreteria donne per un supporto metodologico e per il reperimento della eventuale comunità di pronto intervento (Paola/scuola/c.d.a./segreteria donne Caritas = rete primaria e con privato sociale) Viene individuata la comunità di P.I. e viene definito il momento della fuga da casa, facendolo coincidere con la sicura assenza del marito per una visita medica, così da poter organizzare il bagaglio essenziale. Di fatto, i sospetti del marito sempre crescenti e il timore di non trovare altri momenti possibili, inducono P. a realizzare la sua fuga la domenica antecedente, sfruttando il momento della festa conclusiva del corso di italiano. LA PRESA IN CARICO Paola viene accompagnata in comunità di P.I., dove rimane circa 20 giorni, durante i quali è possibile per la segreteria donne (che si assume la titolarità del progetto) effettuare i colloqui per conoscere la donna e la sua storia al fine di valutare la compatibilità per un suo eventuale inserimento in casa di fuga ad indirizzo segreto e la sua disponibilità ad accogliere le proposte. Il primo colloquio con l’assistente sociale della segreteria donne avviene in comunità di P.I. per motivi di protezione. I colloqui successivi avvengono invece in segreteria donne, dove Paola viene accompagnata da volontarie. Questi incontri servono per conoscere la storia e le richieste di Paola, ma anche per informarla su ciò che l’attende in un eventuale accompagnamento verso l’autonomia, che deve partire da un progetto di protezione che comporta anche dei disagi (es. indirizzo segreto della comunità). Appare subito persona con buone risorse personali (in possesso del diploma di maturità) e sicura di non avere difficoltà a trovare lavoro. La sua fragilità emerge, invece, rispetto alla sfera affettiva e la sua storia lo dimostra. Questa fragilità unita ad un’ambizione che la spinge a desiderare di andare all’estero immaginandosi di fare un salto di qualità nella sua 52 vita, le fanno sottovalutare la complessità di sposare una persona che conosce poco e appartenente ad un contesto sociale così diverso dal suo. LA SEGRETERIA DONNE Allo scadere dei 20 giorni, quindi, P. entra in D/2, la segreteria donne (titolare del progetto) si pone in posizione di regìa della rete che comincia a costruirsi intorno alla donna. Partendo dall’obiettivo condiviso di accompagnare P. in un percorso di autonomia, con lei e con l’educatrice della comunità vengono individuati gli obiettivi intermedi e viene stabilita l’ordine di precedenza, per cui vengono attivate risorse sia all’interno del sistema Caritas, sia con istituzione pubbliche e private esterne. Segreteria donne - Rete interna ai servizi Caritas Segreteria donne – segreteria stranieri Il primo punto che viene affrontato riguarda il permesso di soggiorno ottenuto per matrimonio e in scadenza dopo qualche mese. Paola, infatti, teme che avviando la separazione il p.d.s. possa essere revocato (come spesso il marito le diceva così da tenerla vincolata a sé) e che il suo matrimonio potesse essere considerato strumentale all’ottenimento del permesso di soggiorno. Per questo motivo P. viene messa in contatto con la segreteria stranieri per consulenze legali al riguardo. Segreteria donne - Siloe (Servizi Integrati Lavoro Orientamento Educazione) La messa in contatto col Siloe è a avvenuta dopo circa un mese dall’entrata della donna in D/2, al fine di attivare informazioni su percorsi formativi (corsi FSE) e per l’avvio di ricerca di un lavoro, inteso inizialmente come impegno part time. Segreteria donne – rete con servizi esterni Segreteria donne - Comunità Nel momento in cui Paola entra in “comunità di progetto a indirizzo segreto”, viene avviata una collaborazione tra la segreteria donne della Caritas e la comunità. Viene costruita la struttura organizzativa di verifica e sostegno alla donna, che prevede: - incontri quindicinali con l’assistente sociale della segreteria per la verifica e la ridefinizione degli obiettivi. All’inizio questo spazio ha favorito la costruzione di una relazione di aiuto donna con donna (elemento su cui si fonda il servizio); - un incontro ogni 2 mesi presso la segreteria donne, con Paola e con l’educatrice, al fine di condividere gli obiettivi. (In un lavoro di rete che coinvolge molteplici servizi è indispensabile chiarire chi fa, che cosa, quando e come, in relazione al ruolo di ogni servizio e al livello di coinvolgimento). 53 Segreteria donne- cooperativa di lavoro Parallelamente alla ricerca del lavoro tramite il Siloe, la segreteria donne ha attivato anche dei contatti con cooperative di lavoro, per la ricerca di un’attività in sintonia con gli interessi di Paola e con il corso FSE da lei iniziato e riguardante l’ambito della ristorazione. Era anche importante trovare un lavoro in regola anche ai fini della separazione, per poter dimostrare al giudice la sua autonomia rispetto al marito e la sua volontà di ricostruire la propria vita, facendo riferimento alle proprie risorse personali. Paola veniva quindi assunta in una mensa aziendale. Segreteria donne- avvocato consulente – gratuito patrocinio Dapprima Paola ha usufruito di una consulenza legale da parte di una donna avvocato, collaboratrice volontaria della segreteria donne, che le ha fornito le prime informazioni rispetto alle pratiche della separazione e le ha indicato la documentazione per la domanda di gratuito patrocinio. Al momento dell’udienza per la separazione in Tribunale, avvenuta qualche mese dopo, è risultato importante il fatto che Paola fosse già autonoma economicamente, avendo trovato un regolare lavoro, e non volesse quindi risarcimenti o l’assegno di mantenimento, ma puntasse unicamente a potersi ricostruire un suo futuro. Segreteria donne – medico di base - C.P.S. Subito dopo l’accoglienza in comunità, l’attenzione di Paola si sposta dalla paura nei confronti del marito alla delusione verso se stessa per aver fallito ancora una volta la sua scelta affettiva, tanto da cadere in uno stato depressivo. E’ stato quindi necessario attivare un sostegno psicologico e farmacologico, realizzato attraverso l’invio di Paola al CPS della sua zona, avvenuto dopo un primo contatto col medico di base. Spesso era questo l’argomento dei colloqui con l’educatrice e con l’assistente sociale. Segreteria donne – amica Nel primo periodo in cui l’insegnante/amica non poteva tenere i contatti direttamente con Paola (il sig. X, infatti, le chiedeva notizie supponendo che lei la vedesse e soprattutto esprimeva senza pudore le sue minacce di ritrovarla, nella certezza che lei avrebbe riferito), il tramite è stata la segreteria donne che ha fatto anche da cuscinetto per evitare che le notizie di minacce arrivassero a Paola e per sostenere la volontaria nella sua difficile situazione. 54 Segreteria donne - Aler La segreteria donne ha preso i primi contatti con l’Aler, per individuare gli uffici e il percorso da indicare a Paola al fine di ottenere l’autorizzazione alla coabitazione con una collega di lavoro, nella speranza di poter avviare successivamente una richiesta di assegnazione di un proprio alloggio. L’INTERVENTO DELLA COMUNITA’ Come detto sopra, trascorsi i 20 giorni in pronto intervento, Paola è stata accolta in comunità di progetto. Per lei era particolarmente urgente ricevere sostegni e attivare anche quella rete primaria (amicizie, volontariato ecc.) che, ovviamente, le mancava. L’unica persona che si poneva in un rapporto d’amicizia, non poteva tenere contatti con lei in quel momento, perché rischioso per sé e per Paola e solo dopo parecchi mesi sarebbe stato possibile riprendere i contatti. La permanenza in comunità ha permesso la definizione di un progetto, elaborato dalla Segreteria donne insieme a Paola e alla comunità. Il progetto prevedeva inizialmente un momento di cura della persona, per poi attivare una crescita personale di rafforzamento della propria identità e poi l’accompagnamento ad una vita autonoma e quindi ad un inserimento lavorativo e sociale. La rete di sostegno interna alla comunità Paola si è ben inserita anche nella vita di comunità, interagendo positivamente con le altre ospiti con le quali settimanalmente avveniva una riunione coordinata dall’educatrice, tesa ad aiutare le relazioni nella quotidianità (gruppo di auto - aiuto). A lei veniva offerto inizialmente uno spazio giornaliero di colloquio con un’educatrice, necessario a costruire una relazione di fiducia che l’avesse messa in condizione di fidarsi delle persone che le stanno per la prima volta vicino e di affidarsi per quel tanto che è necessario all’avvio dei primi contatti con persone e con servizi, che in questa fase è utile siano mediati dall’educatrice. Nel primo periodo viene posta molta attenzione alla persona sia dal punto di vista sanitario sia psicologico. Superata la fase di accoglienza gli incontri formali all’interno della comunità hanno assunto cadenza quindicinale, fermo restando la disponibilità dell’educatrice in ogni momento di necessità. Paola aveva instaurato una relazione privilegiata con un’altra donna ospite della comunità, più avanti nel percorso d’autonomia. Successivamente era stata Paola stessa a offrire il proprio sostegno ad una giovane donna, entrata dopo di lei in comunità (relazione di auto 55 - aiuto). Anche queste positive relazioni e la condivisione di alcune esperienze con le altre ospiti, hanno aiutato Paola a ripensare al suo passato e a sentirsi più forte nella ricostruzione del presente e del futuro. COMUNITA’ (coordinatrice + Paola) – Rete con servizi esterni Comunità – segreteria donne Paola incontra quindicinalmente l’assistente sociale della segreteria donne e si instaura una relazione di aiuto donna con donna (che è uno degli strumenti fondamentali nell’approccio proposto dalla segreteria donne). Paola inizia il suo percorso dapprima per la soluzione di alcuni problemi inerenti il suo recente passato e poi per mettere le basi per un percorso verso l’autonomia. Comunità - amica Dopo circa tre mesi, quando il marito sembrava aver accettato la situazione e non disturbava più l’amica al fine di capire se la medesima avesse contatti con la moglie, Paola può finalmente riprendere sia pur con estrema prudenza i contatti con lei. Comunità – medico di base – C.P.S. Come detto sopra, Paola prende anche contatti dapprima col medico di base e poi col CPS (al fine di affrontare la sua situazione depressiva). Comunità – avvocato – gratuito patrocinio Paola viene accompagnata legalmente alla separazione dal marito. Comunità – Siloe – cooperative di lavoro Continuano i contatti col Siloe (che le offre la possibilità di un Corso FSE) e con le cooperative di lavoro (grazie alle quali trova lavoro in una mensa). Comunità - Aler Dopo le indicazioni della segreteria donne, la responsabile della comunità e Paola continuano i contatti con gli uffici Aler per l’espletamento delle pratiche intese ad ottenere l’autorizzazione alla coabitazione con una collega di lavoro sperando poi di riuscire ad ottenere l’assegnazione di un alloggio proprio. Alcune riflessioni metodologiche Il coordinamento della rete che si è sviluppata verso l'autonomia è stato effettuato dalla "Segreteria Donne"- Caritas Ambrosiana che ha cercato di tenere insieme le molteplici istituzioni pubbliche e private, sollecitate ad intervenire in una situazione così complessa. Al centro del processo è sempre stata Paola che, all’inizio è stata supportata sia a livello personale sia nell’accompagnamento ai contatti con le istituzioni, ma appena è stato possibile Paola ha continuato da sola i contatti, supportata dai colloqui con l’educatrice e 56 con l’assistente sociale della segreteria donne, orientati a ridare fiducia nelle proprie capacità. Infatti, come è già stato detto, la persona è portatrice non solo di problemi ma anche di risorse delle quali, nel momento acuto della crisi, può non averne la consapevolezza Come succede in genere nei processi d’accompagnamento all’autonomia, all’inizio la rete è stata a maglie strette perché la donna doveva essere tenuta nel progetto, incoraggiata e accompagnata anche materialmente. Man mano che il processo si è avviato e la donna ha potuto tirare fuori ed utilizzare le proprie risorse, le maglie si sono allargare, affinché la donna potesse anche sperimentarsi e riappropriarsi delle proprie risorse e competenze. La persona va, inoltre, considerata all’interno della sua rete primaria (amicale/parentale, ma anche istituzionale), per il mantenimento delle risorse già presenti alle quali, eventualmente, ne possono essere aggiunte delle altre. Per il volontario/operatore cogliere la capacità/possibilità della persona di instaurare buone relazioni con gli altri, è uno degli elementi che possono far capire il livello di autonomia o, viceversa, di difficoltà della persona, oltre a far capire il livello di complessità della situazione. Qualche volta la persona che si rivolge a noi, ci presenta una situazione di assoluto isolamento dal contesto familiare e sociale e se ciò fosse vero, potrebbe essere anche un segnale di difficoltà soggettive che devono essere tenute in considerazione. Nel nostro caso si tratta di persona straniera da poco in Italia che, nonostante l’isolamento in cui il marito ha cercato di tenerla, è riuscita a sfruttare l’unico contatto, la scuola. In un lavoro di rete ci deve essere un titolare del progetto con ruolo di regia (non sempre i due aspetti coincidono, infatti a volte la regia viene assunta da chi si sente più motivato e coinvolto). La rete può essere ampliata man mano che se ne presenti la necessità, e può essere di tipo primario (amicale/parentale) e di tipo secondario misto (servizi pubblici e privati ). E’ molto complesso gestire questo tipo di rete perché ogni istituzione, specie quelle pubbliche, ha approcci, tempi, metodologie diverse. Il percorso d’aiuto all’interno di una rete non è così lineare come potrebbe apparire nell’esposizione, ma ha dovuto individuare momento per momento le strategie, trovare le soluzioni, ecc. per il raggiungimento degli obiettivi… Sia pur in una metodologia a cui far riferimento non ci sono interventi standardizzati , ma è necessaria una continua ricerca di 57 risposte adeguate (complessità della persona straniera… per la quale va considerata la cultura di riferimento, la sua posizione giuridica ecc.) Per concludere, nella storia sopra indicata il centro di ascolto ha avuto un ruolo fondamentale nell’avvio della presa in carico della donna. Successivamente, per i motivi evidenti di prudenza al fine di non creare tracce per il marito, non ha potuto direttamente partecipare alla costruzione della rete e ha tenuto solo qualche contatto più che altro per ricevere informazioni rassicuranti. In altre situazioni (quando comunque si tratti di persone adulte delle quali non si fa carico l’ente pubblico), il centro d’ascolto può anche assumersi la titolarità del progetto e favorire la costruzione della rete. Ciò non è opportuno quando sono presenti anche minori, che sono tutelati dalle leggi italiane. Per ovviare ai timori (a volte legittimi ma non sempre) della persona adulta di rivolgersi ai servizi pubblici perché teme che i figli vengano allontanati, è opportuno assumersi il ruolo di accompagnamento della persona, che significa anche conoscere prima l’assistente sociale con cui, se possibile, instaurare una relazione di collaborazione e fare così un invio mirato. E’ opportuno che il Centro d’ascolto cerchi di costruirsi a priori dei contatti con le istituzioni pubbliche e private del proprio territorio con cui cercare di avviare un processo di condivisione di obiettivi, di metodologie, di linguaggio ecc. Questo processo è sicuramente difficile sia che si tratti di istituzioni esterne sia interne all’ambito parrocchiale in quanto è necessario uscire da un approccio autoreferenziale, per mettere davvero al centro dell’attenzione la PERSONA e gli obiettivi che la medesima vuole raggiungere. 58 Intervento di Franco Vernò Bisogni - Risposte - Organizzazioni: elementi di contesto Ai servizi si rivolgono sempre di più persone che presentano situazioni problematiche sempre più complesse. Si pone l'imperativo etico di dover garantire un'attenzione alla globalità della persona. Le domande di aiuto spesso risultano contraddittorie: non ci si sottrae all'aiuto, ma non si rendono praticabili progetti di cambiamento. Diventa allora importante presidiare tali situazioni da parte di tutti i servizi intervenuti. Il sistema delle competenze è frantumato. I servizi di conseguenza sono settoriali e autocentrati. Esiste una scarsa attenzione a presidiare le "zone di confine" (tra i bisogni, tra le professioni, tra le organizzazioni, etc.). Esistono vuoti nelle risposte ai bisogni. Assistiamo a forme di autoreferenzialità delle professioni, delle organizzazioni, delle istituzioni. In tale contesto operativo, perché gli interventi siano efficaci, nasce l'esigenza di: Connettere. Collegare. Annodare fili. Attivare comunicazioni. Darsi regole. In tale contesto possiamo collocare il nostro discorso sul lavoro di rete. Rete è strumento di diagnosi. Rete è metodologia di intervento. 59 Insieme di fattori da prendere in esame parlando di reti Significati Cosa significano le reti Oggetti Quali sono i contenuti Occasioni Quando si attivano Soggetti Chi Metodologie Come funzionano Motivazioni Perché sono necessarie 60 I concetti di rete - I significati "Un insieme specifico di legami che si stabiliscono fra un insieme definito di persone" Mitchell "Un insieme di contatti interpersonali per effetto dei quali l'individuo mantiene la propria identità sociale" Walcher Dice Franca Ferrario: "La rete costituisce un passaggio obbligato - per capire la persona e le sue difficoltà, - per aiutarla in un rapporto di autonomizzazione e di costruzione di un rinnovato rapporto con l'ambiente che può passare dalla rete". Ogni persona ha bisogno di reti. In una rete parentale si nasce; In una rete di amici si decide di stare; In una rete possiamo trovarci per motivi terapeutici (pensiamo ai Club Alcolisti Anonimi); In una rete di servizi possiamo trovarci per scelta o per volere di altri (l'anziano non autosufficiente assistito a domicilio, un minore allontanato dalla famiglia di origine). Tipologie di reti Le reti vengono comunemente distinte in tre tipologie. - Reti primarie Sono gli ambiti in cui si vivono normalmente i rapporti caratterizzati da contenuti affettivi, amicali, da affinità. Pensiamo alla famiglia, alla parentela, ai gruppi di amici, al vicinato, ai compagni di studio, di lavoro, alle persone con cui si condividono scelte di fede, politiche… Queste reti sostengono, aiutano, danno sicurezza e identità. - Reti secondarie Insiemi di persone che si costituiscono in gruppi per sostenersi reciprocamente o per aiutare altri. Pensiamo alle associazioni culturali, ai gruppi di auto - mutuo aiuto, alle associazioni per l'autotutela… - Reti secondarie istituzionali L'insieme delle istituzioni che attraverso servizi e prestazioni supportano i processi di crescita delle persone e delle famiglie, ne promuovono lo sviluppo, intervengono quando sorge la necessità di tutelare i diritti sanciti dalle leggi. 61 La letteratura esistente sul tema "reti" non contempla questa ultima tipologia di reti, soffermandosi sulle prime due. Oggi, anche in considerazione di caratteristiche specifiche della storia del welfare in Italia, sempre di più il legislatore, chi si occupa di organizzazione dei servizi, chi approfondisce le problematiche di ordine metodologico, chi forma gli operatori, parla di reti tra soggetti e di reti tra organizzazioni, quindi di reti di responsabilità e reti di risorse (L 285/97; L 328/00; …). Il lavoro con le reti Intendiamo il processo metodologico attivato da un amministratore, un responsabile, un operatore con altri amministratori, responsabili, operatori di altre istituzioni (pubbliche o private), per affrontare in modo: integrato unitario globale un problema di: una persona (rete di operatori per mettere in rete servizi) un gruppo della comunità. Lavorare con le reti. garantisce una maggior efficacia negli interventi e miglior qualità nei programmi e nei progetti, promuove corresponsabilità sui risultati; ottimizza l'uso delle risorse. Perché sia possibile il lavoro con le reti, in chi "attiva" sono richieste: la conoscenza dei "punti" della rete, la consapevolezza delle "crucialità" degli altri punti della rete perché il progetto, il processo di aiuto risultino efficaci, un linguaggio, una formazione, una metodologia comuni, un coinvolgimento reciproco non solo nella fase di realizzazione di un progetto, ma anche e soprattutto nella fase di ideazione / costruzione dello stesso. Il lavoro per le reti Intendiamo il processo metodologico attivato da un soggetto istituzionale o comunitario perché si sviluppino forme di: - presa in "carico comunitaria" di problemi da affrontare o di opportunità da garantire, 62 - passaggio da territorio a comunità (da sommatoria a reti di soggetti che concorda ideologicamente sulle soluzioni da adottare e che mette in rete le proprie risorse per realizzare gli obiettivi condivisi); - costruzioni di reti di servizi (solo pubblici, misti Pubblico/privato, etc.) definendo le regole di funzionamento, di accesso alla rete, di governo della rete. Lavorare per le reti è puntare ad una qualità della polis sul versante delle. - garanzie dell'esigibilità dei diritti di cittadinanza sociale; - maggior tutela e inclusione sociale, - qualità delle relazioni tra soggetti; - corresponsabilità. Sono richieste: - funzioni di leadership nel promuovere e governare tavoli di concertazione; - funzioni di mediazione tra culture, soggetti, bisogni, interessi diversi. 63 Quinto incontro 18 maggio 2002 Intervento di Graziella Favaro Le radici e le foglie Genitori e bambini nella migrazione Le foglie dell'albero cadono sempre vicino alle sue radici. Proverbio cinese Una frattura e un incontro La migrazione è al tempo stesso "frattura" e incontro, che comporta il rompersi / riallacciarsi dei legami e la rielaborazione dei ruoli familiari e intergenerazionali. La presenza dei figli - immigrati o nati nel paese ospite - pone con forza ai genitori venuti da lontano il tema della trasmissione della cultura e delle appartenenze in un contesto nuovo e per certi versi, estraneo, segnato dal cambiamento e dalle discontinuità. Il passaggio alla nuova generazione di riferimenti, pratiche, saperi, avviene in una situazione che cerca di integrare, da un alto, la volontà di inserimento, il progetto di riuscita nel nuovo paese e dall'altro, il timore di erosione della cultura d'origine e dell'affievolirsi dei legami di filiazione e dell'appartenenza religiosa. Come elaborano i genitori immigrati la necessità di trasmettere e di mantenere fedeltà e appartenenza, con il processo continuo di mediazione tra mondi, riferimenti, lingue differenti? Quali strategie educative adottano perché i loro figli possano inserirsi nel "qui e ora" senza perdersi, senza negare o rimuovere le radici, i legami e la storia familiare? E le nuove generazioni - nate o educate nel paese di immigrazione - come riescono a elaborare valori, riferimenti e messaggi educativi che a volte possono presentare aree di conflitto? Tra la famiglia immigrata che chiede spesso al figlio - esplicitamente o implicitamente "devi essere come noi", i bambini e i ragazzi dell'immigrazione costruiscono le loro traiettorie di vita al crocevia tra aspettative divergenti, in un'alchimia inedita di riferimenti, storie familiari, scelte personali. A volte essi "lasciano i genitori sull'altra riva" ancorati al passato e alla tradizione; più spesso i loro percorsi di acculturazione, che compiono qui e ora, modificano profondamente anche i rapporti familiari e il quotidiano della famiglia. Modificano, ad esempio, almeno in parte, la rigidità dei ruoli genitoriali, sfumando l'autorità del padre a vantaggio di affettività meglio distribuite tra i coniugi. Modificano le modalità comunicative intrafamiliari, introducendo insieme al suono e all'accento delle nuove parole, anche riferimenti a oggetti, situazioni, valori differenti. La maggiore competenza linguistica dei figli nel nuovo codice - se, da un lato, rappresenta una risorsa per tutto il nucleo - può tuttavia dall'altro lato, minacciare il prestigio dei genitori e in particolare del padre. Un padre non competente nella seconda lingua ha infatti difficoltà ad assumere il ruolo di interprete e mediatore tra lo spazio interno, della famiglia, e quello esterno, della società di 64 accoglienza e dei servizi e a rappresentare un esempio da imitare per i figli. Se, da un lato, la sua situazione di genitore lo colloca nel ruolo del soccorritore nei confronti del figlio (perché è piccolo e quindi incapace; oppure perché è già grande, ma ridiventato piccolo perché deve affrontare le perdita dei riferimenti e degli oggetti conosciuti), dall'altro, l'incapacità linguistica lo colloca nel ruolo di bambino, appunto di infans (colui che non parla). La mancata o scarsa competenza in italiano rischia quindi di produrre una sorta di ribaltamento dei ruoli tra genitore e figlio e un'eccessiva attribuzione di responsabilità ai minori attraverso la loro funzione di "intermediario" nei confronti dell'esterno. E ancora, per i figli, il fatto di crescere qui "tra e con" due culture, modifica il riferimento allo spazio (a quale paese si appartiene?) e al tempo (dove si colloca il futuro?) rendendo stabile e duratura la parentesi migratoria. La situazione di provvisorietà, diffusa fra gli immigrati e continuamente rinforzata dal paese di accoglienza, può a volte costituire un fattore di "equilibrio" per l'adulto singolo, che mette il presente fra parentesi, in attesa di riprendere la sua vita altrove. Non è certamente così per il bambino nato qui, che si trova a vivere sospeso tra appartenenze mai definite, a contatto con la nostalgia di un luogo e di un tempo che non ha mai abitato e vissuto. E ancora, se gli adulti non hanno ancora elaborato il distacco dalle illusioni e dal paese perduto, se la loro permanenza è segnata dal rimpianto e dal radicamento verso il passato, sarà il figlio a dover compiere il cammino del distacco, prima di riuscire ad appartenere al paese che lo vede crescere. Il rapporto con il paese di immigrazione e con il paese di origine, le paure e le aspettative per il futuro si traducono naturalmente in messaggi e in progetti educativi nei confronti della nuova generazione. Così, tra le famiglie immigrate possiamo distinguere tra: coloro che sono "installati" nella provvisorietà e che oscillano tra scelte ambivalenti, aspettando che gli accadimenti esterni li indirizzino verso decisioni più precise; coloro che sono radicati verso il passato e che temono fortemente una progressiva erosione della cultura d'origine attraverso l'influenza della scuola e dell'ambiente esterno; coloro che cercano, attraverso sforzi e tentativi quotidiani, di costruire per i loro figli, legami e appartenenze plurali, senza che vi siano fratture e distanze, al fine di integrare i riferimenti alla cultura e alla storia familiare con quelli del paese in cui vivono. In quest'ultimo caso, la famiglia immigrata funziona come un luogo, reciprocamente arricchente, di mediazione tra due mondi, resa possibile dal fatto che genitori e figli stabiliscono una "doppia autorizzazione". I genitori stranieri hanno fatta propria la convinzione secondo la quale l'appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, è più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale. Questo significa, in alcuni casi e situazioni, accettare che il figlio sia in parte diverso da come essi se lo erano rappresentato, meno "fedele" alle origini di quanto avrebbero voluto. I genitori autorizzano e incoraggiano l'appartenenza del figlio alla nuova realtà, alla sua lingua, ai valori e comportamenti. Essi riconoscono che la storia del bambino - il suo progetto e traiettoria - è legittima senza che sia la propria. Il figlio, da parte sua, accetta l'appartenenza dei genitori alla cultura d'origine, conosce e stima i loro sforzi e progetti, valorizza i loro saperi. Le storie delle due generazioni si articolano e si sviluppano allora secondo una continuità che vede la presenza non solo di elementi di somiglianza, ma anche delle differenze. In questa dinamica familiare, tra mantenimento e mutamento, la madre ha un ruolo fondamentale di trait-d'union poiché tesse i legami tra il mondo del bambino, che è quello del futuro e dei progetti e quello del padre, del passato, della memoria e della nostalgia. 65 Spazi educativi a confronto Il primo luogo entro il quale la famiglia immigrata incontra le differenze e deposita le proprie aspettative è rappresentato in genere dai servizi educativi per i più piccoli o dalla scuola. Luoghi "chiave" nei quali il processo di inculturazione o di socializzazione primaria, proprio dalla famiglia, può integrarsi con i messaggi e il nucleo di regole sociali propri dell'acculturazione. Vengono dunque a confronto in questi spazi temi fondamentali quali: la concezione dell'infanzia, la relazione tra la madre e il bambino, l'acquisizione della/e lingua/e, le differenze di genere e i modelli educativi diversi per il bambino e la bambina; il rapporto con lo spazio, il cibo, la disciplina, i divieti e l'autonomia… Nella relazione tra famiglia e servizi educativi si possono cogliere tre diversi modi di elaborare i messaggi educativi e di "gestire" le differenze da parte dei due partner educativi. Il primo modo prevede la complementarità tra gli spazi e i riferimenti. Essa comporta una chiara distinzione tra i due momenti, una certa gerarchia dei messaggi e la valorizzazione dei nuovi saperi che il figlio apprende. La famigli trasmette il "nocciolo duro" dell'identità che definisce profondamente le appartenenze e le scelte di vita fondamentali; la società di accoglienza e la scuola trasmettono saperi, opportunità, risorse. Raramente vi è conflitto fra i due momenti educativi; frequenti sono invece la distanza e forme più o meno marcate di difesa dei confini. In altri casi vi possono essere invece forme esplicite o silenziose di antagonismo. Ciascuno dei due spazi educativi rifiuta i messaggi dell'altro: la scuola cerca di stabilire un'alleanza privilegiata con il bambino; la famiglia disconosce nuovi modelli e riferimenti e si richiama a ciò che si è sempre fatto, alla tradizione come riconoscimento e giustificazione delle proprie scelte. E infine, dall'una all'altra parte, vi possono essere atteggiamenti di reinterpretazione, basati sull'adattamento e sul rispetto reciproco, sull'accettazione di pratiche culturali e sul riconoscimento del loro valore. Le famiglie immigrate dunque, accettano, rifiutano, trasformano messaggi, saperi, comportamenti, riferimenti. Naturalmente, ogni famiglia compone una propria storia educativa e definisce di volta in volta ciò che è "irrinunciabile" e costituisce il nocciolo duro della così detta "cultura d'origine" e ciò che invece può cambiare e adattarsi alla nuova situazione. Per alcuni, la cultura d'origine coincide con l'appartenenza religiosa; per altri è invece la lingua; per altri ancora sta tutta nei legami tra le generazioni e con gli antenati. Essa ha comunque peso e valore diversi per l'una e l'altra generazione. I genitori vivono i loro riferimenti d'origine fatti di valori, norme, pratiche - come la loro storia, la riserva di significati a partire dalla quale decodificano e comprendono il mondo. Per i figli nati qui o arrivati da piccoli, la cultura d'origine si colloca su uno sfondo nebuloso, fatta di frammenti che non sempre riescono a dare significato alle pratiche di ogni giorno. Cultura d'origine viene quindi a volte a coincidere con i divieti, con le prescrizioni collettive che si oppongono alle scelte individuali. Riferimenti di qui e riferimenti d'altrove: sulle spalle dei bambini della immigrazione vi sono due diversi nuclei composti di regole, saperi, messaggi, rappresentazioni e norme. Da parte della scuola - e della società di accoglienza - i rischi più diffusi sono quelli di considerare rigidi e immutabili gli aspetti propri della cultura familiare, oppure di negarli o svalorizzarli. Anche da parte della famiglia, vi è il rischio della rigidità nella trasmissione culturale e della "fragilità" di un passaggio di saperi tra le generazioni che avviene in una situazione di discontinuità tra spazio interno ed esterno. Per i bambini della immigrazione, la storia familiare rappresenta la riva dalla quale si parte per il proprio - singolarissimo - viaggio e l'approdo al quale tornare di volta in volta per ritrovare echi e significati, memoria e narrazioni. 66 Incidenti interculturali o conflitti? Nella relazione tra famiglie immigrate e operatori dei servizi possono a volte verificarsi malintesi, fraintendimenti, distanze comunicative. "Incidenti" che sono dovuti più spesso a difficoltà linguistiche, oppure a riferimenti e significati culturali differenti pur in presenza di linguaggio e parole comuni. Da parte del servizio, cause principali degli incidenti comunicativi possono essere: la rigidità e la non "trasparenza" del funzionamento; la difficoltà a negoziare e a comprendere il punto di vista dell'altro; il considerare l'altro appiattito entro un'ipotetica cultura di origine, o, viceversa, totalmente isolato dal suo contesto di appartenenza. Da parte delle famiglie immigrate, la relazione con i servizi per tutti, mette a nudo le dinamiche e i ruoli familiari. Ciò che fino a quel momento ha trovato soluzione e aggiustamento nella sfera privata fa irruzione sulla scena pubblica, coinvolgendo degli estranei nella storia del nucleo. In genere, incidenti critici e distanze comunicative si hanno quando si rileva uno scarto tra i comportamento attesi - e ritenuti positivi - e i comportamenti reali, ritenuti inaccettabili. Naturalmente sono i figli che più spesso adottano pratiche e atteggiamenti che possono essere sanzionati dai genitori e accettati dai servizi. Si scontrano le rappresentazioni diverse, proprie di ciascuna generazione, di autonomia / dipendenza; individuo / appartenenza; desiderio / obbligo; rispetto / infrazione delle regole… Può succedere anche che all'interno della famiglia stessa vi sia disaccordo sui modi di adattarsi e rispondere a situazioni nuove nelle quali le forme consuete di comportamento e interazione appaiono inadeguate. E questa "barriera" può sorgere non solo tra una generazione e l'altra ma anche all'interno della stessa generazione: tra padre e madre, tra fratelli… E tuttavia la famiglia, contando sulle proprie risorse di affetti, storia, legami e attenzioni, e sulle risorse esterne, di informazioni, confronti, opportunità, può elaborare la sua capacità di mediare, accogliendo i cambiamenti e le metamorfosi di ciascuno dei suoi componenti. Per quanto riguarda gli operatori dei servizi, gli incidenti interculturali possono rappresentare invece occasioni importanti per interrogarsi, per rendere comprensibili a tutti i riferimenti, i valori, le regole di ogni istituzione, per descrivere e analizzare il nostro sistema. In altre parole, per costruire insieme relazioni disvelate e più autentiche. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV., I ricongiungimenti familiari e la famiglia, in G. Zincone (a cura di), Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna 2001 - AA.VV., Dossier, Le nuove famiglie, TAM TAM n° 3, Milano, dicembre 1994 - AA.VV., Identità cangianti. Nascita, riproduzione e legami familiari nella migrazione. Marginalità e società n° 28, Angeli, Milano 1995 - AA.VV., Minori immigrati. Identità, bisogni, servizi. Servizi sociali n°2/1998, Fondazione E. Zancan, Padova 1998 - F. Balsamo (a cura di), Da una sponda all'altra del Mediterraneo. Donne immigrate e maternità. L'Harmattan Italia, Torino 1997 - Comune di Parma - Centro per le Famiglie, Ufficio Stranieri, Famiglie immigrate a Parma, cicl. 1993 - G. Favaro, Bambine e bambini di qui e d'altrove. La migrazione dei minori e delle famiglie, Guerini, Milano 1998 - G. Favaro, Essere genitori nella migrazione, in Erranze, Adultità n°11- 2000 67 - G. Favaro, Famiglie immigrate e servizi educativi per l'infanzia, in G. Favaro, A. Genovese (a cura di), Incontri di infanzie, CLUEB, Bologna 1996 G. Favaro, Le famiglie immigrate: microcosmo di affetti, progetti, cambiamento, in AA. VV. La rete spezzata, Feltrinelli, Milano 2000 G. Favaro, I bambini migranti, Giunti, Firenze 2001 G. Giovannini (a cura di), A partire dai figli… Dossier di ricerca, Regione Emilia Romagna - Centri per le famiglie, cicl. e CD-Rom Labos - Osservatorio sui bisogni sociali, Famiglie immigrate: bisogni e servizi sociali, Edizioni TER, Roma 1993 C. Landuzzi, A. Tarozi, A. Treossi, Tra luoghi e generazioni, l'Harmattan Italia, Torino 1995 G. Magistrali, S. Fava, V. Argenziano (a cura di), Quando l'immigrazione è familiare, Angeli, Milano 1999 E. Scabini, P. Donati (a cura di), La famiglia in una società multietnica, Vita e Pensiero, Milano 1993 M. Tognetti (a cura di), Legami famigliari e immigrazione: i matrimoni misti, L'Harmattan Italia, Torino 1996 M. Tognetti, Ricongiungere la famiglia altrove, in Erranze - Adultità n°11 - 2000 68 Per l'intervento di Laura Rancilio Schede Pratiche Legge Immigrazione di P. Bonetti e M. Molteni XXII - ASSISTENZA SANITARIA (Artt. 34 - 35 - 36 T.U. e artt. 42- 43 - 44 Regolam.) Obbligo di copertura sanitaria In base all'art. 34 T.U. la copertura contro i rischi per la salute non più una semplice facoltà per gli stranieri, ma un obbligo che esteso il più possibile a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti (condizione per il rilascio e per il rinnovo dei permesso di soggiorno) mediante: A) iscrizione obbligatoria al Servizio sanitario nazionale per tutti gli stranieri aventi titoli di lungo soggiorno e per numerosi permessi di soggiorno di breve periodo; B) polizza assicurativa contro i rischi da malattia, infortunio o maternità oppure iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale per gli stranieri titolari di permessi di soggiorno per studio o di altri permessi di breve periodo. Iscrizione al SSN dei detenuti stranieri Sono iscritti al Servizio sanitario nazionale gli stranieri, limitatamente al periodo in cui sono detenuti o internati negli istituti penitenziari. Tali soggetti hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia (art. 1, co. 5 D. lgs. 22 giugno 1999, n. 230). Stranieri soggetti all'obbligo di iscrizione al SSN (art. 32 co.1 TU) Hanno l'obbligo di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e hanno parità di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani(ticket, sanitometro): a) gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro, familiari, per asilo politico, per richiesta d'asilo, per asilo umanitario, per attesa adozione, per affidamento, per attesa cittadinanza; b) gli stranieri iscritti nelle liste di collocamento o che comunque svolgono un regolare rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (l'iscrizione non invece obbligatoria per gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per affari e per gli stranieri che abbiano uno degli speciali permessi di soggiorno per lavoro rilasciati ai sensi dell'art. 27 T.U. ai dirigenti o al personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia, ai lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro residenti aventi sede all'estero, ai giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia, che non siano tenuti a corrispondere in Italia, per l'attività ivi svolta, l'IRPEF - cfr. art. 42 co. 5 regolam.). L'iscrizione obbligatoria al S.S.N. è: gratuita; non più a durata annuale, ma a tempo indeterminato per tutta la durata dei permesso di soggiorno e anche nelle more dei suo rinnovo; copre soltanto l'assistenza sanitaria erogata in Italia compresa l'assistenza riabilitativa e protesica (art. 42, co. 1 regolam.). Eventuali cure erogate all'estero sono a carico dei paziente straniero. L'assistenza sanitaria spetta altresì ai familiari a carico regolarmente soggiornanti. (art.34 co.2 T.U.). Ai minori l'assistenza sanitaria è assicurata fin dalla nascita anche prima dell'iscrizione al S.S.N. La cessazione dell'iscrizione al S.S.N. avviene (art. 42 co. 4 regolam.) nei seguenti 69 casi: scadenza dei permesso di soggiorno, salvo che l'interessato esibisca la documentazione comprovante la richiesta di rinnovo dei permesso di soggiorno o il permesso di soggiorno rinnovato; diniego dei rinnovo, revoca o annullamento del permesso di soggiorno ovvero espulsione, comunicati alla ASL dalla Questura, salvo che l'interessato esibisca la documentazione comprovante la pendenza dei ricorso contro tali provvedimenti; in caso di variazione nello status della persona che fanno venire meno l'obbligo di iscrizione al S.S.N (per es. fine della convivenza per i familiari a carico, conversione dei permesso di soggiorno in un permesso diverso rispetto a quelli che impongono l'iscrizione obbligatoria al SSN, cessazione dell'attività lavorativa o dell'iscrizione nelle liste di collocamento per lo straniero che non titolare di un permesso di soggiorno che rende obbligatoria l'iscrizione al SSN). B) Obbligo di assicurazione sanitaria per le altre categorie di stranieri regolarmente soggiornanti Tutti gli stranieri regolari non rientranti tra quelli per cui è previsto l'obbligo d'iscrizione al S.S.N. hanno l'obbligo ad assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità mediante una delle seguenti coperture: A) stipula di apposita polizza assicurativa con un istituto assicurativo italiano o straniero contro il rischio di malattia, infortunio e maternità; B) iscrizione volontaria al S.S.N. dietro pagamento di un contributo annuale determinato con Decreto interministeriale (art.34 co.3 T.U.), nei seguenti casi: a) L'iscrizione volontaria al S.S.N. (valida anche per i familiari a carico) può essere richiesta dietro pagamento di un contributo (per ora +. 750.000) dallo straniero che abbia richiesto un permesso di soggiorno di durata superiore a 3 mesi (art. 42, co. 6 regolam.); N.B.: per i permessi di durata non superiore a tre mesi la copertura sanitaria deve essere adempiuta mediante polizza assicurativa (perciò la circ. Min. sanità n. 5/2000 esclude espressamente i titolari di permesso di sogg. per turismo dalla possibilità d'iscrizione volontaria al Servizio sanitario nazionale); b) l'iscrizione volontaria al S.S.N. (non valida per i familiari a carico dietro pagamento di un contributo forfettario (per ora L. 350.000) puo essere richiesta soltanto dai seguenti stranieri (art. 34, commi 4, 5, 6 T. U.): stranieri soggiornanti in Italia titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio; stranieri regolarmente soggiornanti collocati alla pari, ai sensi dell'accordo europeo sul collocamento alla pari, adottato a Strasburgo il 24 novembre 1969, ratificato e reso esecutivo ai sensi della legge 18 maggio 1973 n. 304. Iscrizione al SSN presso la ASL competente Lo straniero assicurato al S.S.N. iscritto nell'azienda sanitaria locale del Comune in cui dimora (art.34 co.7 T.U.) e non più in quella dei Comune di residenza. In mancanza di iscrizione anagrafica, per luogo di effettiva dimora si intende quello indicato nel permesso di soggiorno. L'iscrizione alla A.S.L. è valida per tutta la durata del permesso di soggiorno. (art.43 co.2 regolam.). Documentazione richiesta: 1) permesso di soggiorno (o carta di soggiorno o iscrizione dei minore sul permesso o sulla carta di soggiorno) oppure ricevuta della domanda di rinnovo; 2) autocertificazione dello straniero di avere effettivamente domiciliazione in un Comune situato nel territorio della USL oppure attestazione analoga rilasciata dallo stesso Comune. Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al SSN Per le prestazioni sanitarie gli stranieri non iscritti al S.S.N. devono corrisponderne il pagamento secondo le tariffe determinate dalle regioni e province autonome, salvo quanto previsto da trattati e accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità 70 sottoscritti in Italia(art. 35 co. 2 T. U.). Ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, ma non iscritti al S.S.N., sono assicurate le prestazioni sanitarie urgenti dietro pagamento delle tariffe determinate dalle regioni e dalle provincie autonome. Gli stranieri non iscritti al S.S.N. possono inoltre chiedere all'azienda ospedaliera o alla unità sanitaria locale di fruire, dietro pagamento delle relative tariffe, di prestazioni sanitarie di elezione (art. 43 co. 1 regol.). Assistenza sanitaria prevista per gli stranieri clandestini o irregolari Ai cittadini stranieri clandestini e in posizione irregolare garantito il diritto alle cure ospedaliere o ambulatoriali urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative. Per malattie, infortuni, maternità e sono estesi i programmi di medicina preventiva. (art.35 co.3 T.U.). Il Ministero della Sanità con la circolare n. 5 dei 24 marzo 2000 considera il principio della continuità delle cure urgenti essenziali nel senso di assicurare all'infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell'evento morboso e definisce: a) cure urgenti" quelle cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; b) "cure essenziali" quelle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti), e dall'altro considerano. L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero clandestino e alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvi i casi in cui la legge preveda l'obbligo dei referto (per es. in caso di ferita da arma da fuoco o da taglio o di malattia infettiva o di incidente sul lavoro). (art.35 co. 5 T. U.). Tuttavia la circ. Min. Sanità n. 5/2000 prescrive che la struttura sanitaria deve in ogni caso provvedere, anche in assenza di documenti d'identità, alla registrazione delle generalità fornite dall'assistito, sia perché il beneficiario delle prestazioni non può , in linea di principio, rimanere anonimo (per es.: per l'accertamento di eventuali responsabilità degli operatori sanitari), sia ai fini degli adempimenti previsti dall'art. 4 regolam., in ordine a e comunicazioni, previo consenso e 3 interessato salvo che sia impossibilitato a farlo, alla autorità consolare dei suo Stato di appartenenza, e della rilevazione dei casi di malattie infettive e diffusive soggette a notifica obbligatoria. Le cure sono gratuite per gli Stranieri indigenti. A tal fine fa fede una autodichiarazione dello stato di indigenza da parte dei soggetti interessati. Gli oneri per le prestazioni sanitarie erogate a soggetti privi di risorse economiche sufficienti, comprese i ticket eventualmente non versati, sono a carico dell'U.S.L. competente per il luogo in cui le prestazioni sono state erogate. In caso di prestazioni sanitarie lasciate insolute dal cittadino straniero, l'azienda ospedaliera ne chiede il pagamento alla U.S.L., ovvero, se si tratta di prestazioni urgenti o comunque essenziali, al Ministero dell'interno. (art. 43 co. 4 regolam.) La comunicazione al Ministero dell'interno effettuata in forma anonima, mediante il codice S.T.P. (vedi oltre) con l'indicazione della diagnosi, dei tipo di prestazione erogata e della somma di cui si chiede il rimborso. (art. 43 co. 5 regolam). Tali procedure si applicano anche nel caso di prestazioni sanitarie effettuate nei confronti di profughi o sfollati. (art. 43 co. 6 regolam.). La prescrizione e la registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi dei permesso di soggiorno vengono effettuate utilizzando un codice reg. a sigla STP (Straniero temporaneamente presente). Tale codice identificativo identifica l'assistito per tutte le prestazioni e deve essere utilizzato anche per la rendicontazione delle prestazioni effettuate da parte delle strutture pubbliche e private accreditate ai fini dei rimborso e la 71 prescrizione di farmaci erogabili alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani. (art. 43 co. 3 regolam.). Cure ospedaliere e/o ambulatoriali che devono essere comunque garantite (art.35 co.3 TU) Agli stranieri, anche se clandestini, spettano comunque le seguenti cure ospedaliere o ambulatoriali: tutela della gravidanza e della maternità (aborto incluso) a parità di trattamento con le cittadine italiane; tutela della salute del minore; vaccinazioni nell'ambito delle campagne di prevenzione collettiva decise dalle Regioni; interventi di profilassi internazionale; profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive. La circ. Min. Sanità n. 5 dei 24 marzo 2000 ha espressamente esteso anche agli stranieri illegalmente soggiornanti in Italia l'accesso ai servizi per le tossicodipendenze e gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope emanato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 1309. Ingressi in Italia per cure mediche (art. 36 commi 1 e 2 TU) A) Straniero che chieda il visto di ingresso per motivo di cure mediche (cfr. art. 36, comma 1, T.U. e dall'art. 44, comma 1, regolamento). In tal caso ai fini dei rilascio dei visto l'interessato o un suo familiare o chiunque vi abbia interesse deve presentare la seguente documentazione: a) dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura, la data di inizio e la durata presumibile della stessa; b) attestazione dell'avvenuto deposito, a favore della struttura prescelta, di una somma a titolo cauzionale, in lire italiane, in euro o in dollari statunitensi, pari al 30% dei costo complessivo presumibile delle prestazioni richieste; c) documentazione comprovante, anche attraverso la dichiarazione di un garante, la disponibilità in Italia di risorse sufficienti per l'integrale pagamento delle spese sanitarie di quelle di vitto e alloggio, fuori da a struttura sanitaria, e di rimpatrio per l'assistito e per l'eventuale accompagnatore. B) Straniero che sia trasferito per cure in Italia nell'ambito di interventi umanitari autorizzati dal Ministero della sanità ai sensi de 'art. 1 comma 2, lett. c) D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, così come modificato dal D. Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 (cfr. art. 36, comma 2, T.U. e art. 44, comma 2, regolam.). Tale intervento si concretizza nell'autorizzazione all'ingresso per cure in Italia, da parte dei Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero degli Affari esteri, di cittadini stranieri residenti in paesi privi di strutture sanitarie idonee ed adeguate. L'individuazione dei soggetti beneficiari di tale intervento rientra nell'ambito della discrezionalità politica dei due Ministri. Il Ministero della Sanità, sulla base della documentazione acquisita, provvede ad individuare le strutture che si ritengono idonee all'erogazione delle prestazioni sanitarie richieste ed a rimborsare direttamente alle stesse strutture l'onere delle relative prestazioni sanitarie; non si può far luogo al rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno al di fuori della struttura sanitaria. C) Straniero che sia trasferito in Italia nell'ambito di programmi di intervento umanitario delle Regioni, ai sensi dell'art. 32, comma 15, legge 27 dicembrel997, n. 449. Le Regioni, nell'ambito della quota dei Fondo Sanitario Nazionale a esse destinata, autorizzano, d'intesa con il Ministero della Sanità, le Unità Sanitarie Locali e le Aziende ospedaliere ad erogare prestazioni di alta specializzazione, che rientrino in programmi assistenziali approvati dalle Regioni, a favore di: a) cittadini provenienti da Paesi extracomunitari nei quali non esistono o non sono 72 facilmente accessibili competenze medico - specialistiche per il trattamento di specifiche gravi patologie e non sono in vigore accordi di reciprocità relativi all'assistenza sanitaria; b) cittadini di Paesi la cui particolare situazione contingente non rende attuabili, per ragioni politiche, militari o di altra natura, gli accordi in vigore per l'erogazione dell'assistenza sanitaria da parte dei Servizio Sanitario Nazionale. 73 Modulo di "Assistenza tecnica" Premessa Nei mesi di dicembre 2001, febbraio e aprile 2002 in sei zone pastorali della diocesi, sono stati realizzati alcuni incontri detti di "assistenza tecnica" per approfondire i contenuti proposti nei seminari del percorso "La fatica di integrarsi" Il centro di ascolto e il fenomeno migratorio. Le proposte di esercitazione che seguono, possono essere utilizzate dalle singole équipe con l'aiuto del coordinatore, al fine di approfondire alcuni aspetti del lavoro in un centro di ascolto. Per ogni eventuale chiarimento e per essere aiutati nella formazione è sempre possibile fare riferimento ad Alessandra Tufigno e Nicoletta D'Oria Colonna presso: Segreteria Centri di Ascolto - Caritas Ambrosiana Via S. Bernardino, 4 - Milano Tel. 02.76037.335/257 e-mail: [email protected] http://www.caritas.it - cliccare su "centri di ascolto" 74 Prima esercitazione "Aspetti normativi" Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione Obiettivi: partendo dall'analisi delle situazioni riportate, stimolare nel gruppo una riflessione sul ruolo del Centro di Ascolto e sulle sue modalità operative. Modalità: L'équipe si suddivida in due o tre gruppetti. Ciascun sottogruppo prenda in esame cinque delle "storie" riportate di seguito e, per ciascuna di esse, compili la griglia "per analizzare i casi" (una griglia per ogni gruppo). Per "status del richiedente" si intende la posizione giuridica dell'utente, il "problema emerso" è quello che il gruppo ha percepito come bisogno/richiesta, le "opportunità legislative" sono le possibilità legali di intervenire rispetto allo specifico caso, i "soggetti competenti" rappresentano coloro che dovrebbero poter intervenire e, da ultimo, per "azione del CdA" si intende ciò che gli operatori di un Centro di Ascolto Caritas devono e possono fare e le modalità di questo agire. Tempi: 5 minuti per leggere e riflettere singolarmente sul caso. 10 minuti per la discussione nel sottogruppo e la compilazione della "griglia per analizzare i casi". …idem per gli altri 4 casi 15 minuti per le riflessioni in plenaria rispetto alle risposte date nella "griglia…". 20 minuti per la compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri" Sintesi/verifica: L'équipe al completo si confronti - in particolare - rispetto alla voce della "griglia…" "Azione del CdA" e compili insieme lo "schema per la relazione degli incontri". 75 Studio di casi 1 1. Yossef cittadino tunisino è in Italia da quattro anni senza permesso di soggiorno. Ha trovato un datore di lavoro disposto ad assumerlo regolarmente a partire dal 15 dicembre 2001 con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Come può ottenere il permesso di soggiorno per lavoro? 2. Un cittadino cingalese vive in Italia con un regolare permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Attualmente è disoccupato. Il figlio minorenne si è ammalato e deve essere ricoverato in ospedale per accertamenti. Può ottenere l’assistenza sanitaria gratuita? In che modo? Oppure deve pagare interamente le prestazioni sanitarie? 3. Ping cittadino cinese vive in Italia con un permesso di soggiorno per lavoro autonomo. La moglie è entrata in Italia con un visto per turismo oramai scaduto da oltre due mesi. E’ possibile ottenere la coesione familiare? E se sì in che modo? 4. Un marocchino è in Italia con regolare permesso di soggiorno. I due figli (di cui uno minorenne) vorrebbero frequentare la scuola. E’ possibile? Come possono regolarizzare la loro posizione? 5. Rolando cittadino peruviano è entrato in Italia con un visto di ingresso per turismo, attualmente in corso di validità, della durata di 30 giorni. Durante la permanenza in Italia subisce un incidente stradale che gli procura ferite tali da costringerlo a 30 di permanenza in ospedale. Può ottenere la tessera sanitaria? 76 Studio dei casi 2 1. Beatrice cittadina ivoriana vive in Italia con un permesso di soggiorno per lavoro. Vorrebbe chiedere il ricongiungimento familiare con il fratello, il marito e i due figli di cui uno maggiorenne. E’ possibile ottenere il ricongiungimento con tutti i parenti suindicati? Quali sono i requisiti per ottenere il nulla osta al ricongiungimento familiare? 2. Una signora brasiliana vive in Italia con regolare permesso di soggiorno per lavoro insieme ad un nipote maggiorenne inabile al lavoro titolare di un permesso di soggiorno per turismo scaduto da quattro mesi. La signora può chiedere la coesione familiare con il nipote? 3. Un cittadino algerino è titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato scaduto il 31/10/01. E’ stato licenziato il 31/7/01. Attualmente è disoccupato. Può ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno e se sì per quanto tempo? 4. Peter cittadino polacco è entrato in Italia clandestinamente per raggiungere la moglie che ha ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro con la sanatoria del 1998, ma che attualmente è disoccupata. Può regolarizzare la sua posizione in Italia? E se sì, come? 5. Ahmed in Italia da 7 anni con la moglie e i due figli minori entrati in Italia l’anno scorso mediante ricongiungimento familiare chiede quali requisiti essenziali sono richiesti per ottenere la carta di soggiorno. Cosa rispondete? 77 Studio dei casi 3 1. Svetla cittadina ucraina vive in Italia con un regolare permesso di soggiorno per lavoro. Ha un lavoro e un contratto di locazione intestato a suo nome. Vorrebbe aiutare un’amica clandestina a regolarizzare la sua posizione in Italia. Che cosa le suggerite di fare? 2. Una signora albanese è entrata in Italia con un visto d’ingresso per cure mediche con il figlio minorenne in quanto il bimbo deve essere sottoposto ad intervento cardiochirurgico. La signora vorrebbe però continuare a vivere in Italia lavorando. Può convertire il permesso di soggiorno? E se sì in che modo? 3. Una cittadina bulgara è titolare di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Dopo un anno di convivenza in Italia con il marito decide di separarsi. Cosa succede al suo permesso di soggiorno? Verrà revocato? 4. Una signora titolare di un permesso di soggiorno per lavoro si trova al 4° mese di gravidanza e vive in Italia con il marito clandestino. Lui può ottenere un permesso di soggiorno? E se sì quale e in che modo? 5. Una cittadina rumena clandestina è al terzo mese di gravidanza. Viene fermata dalla polizia che le notifica un decreto di espulsione. E’ legittimo il decreto? 78 Griglia per analizzare i casi Status del "richiedente" Problema emerso Opportunità legislative Soggetti competenti Azione cda 1 2 3 4 5 79 Seconda esercitazione "La relazione di aiuto" Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione Obiettivi: aiutare l'operatore del Centro di Ascolto a comprendere che, ogni volta che si instaura una relazione d'aiuto nei confronti di qualcuno, si attuano contemporaneamente le fasi di seguito descritte. Modalità: Il coordinatore stimoli nel gruppo due persone che, nella simulazione, assumeranno rispettivamente il ruolo di "utente" e di "operatore". Pur riconoscendo l'artificiosità della situazione proposta, ciascuno si immedesimi nell'operatore e cerchi di riflettere su "cosa e come agirei al suo posto". Al termine della simulazione, tutti, "attori" compresi, leggano individualmente le quattro domande di seguito riportate. A questo punto si compili ciascun foglio, cercando di dare risposta soltanto alla domanda considerata di volta in volta. Per "come reagisco?" si intendono i sentimenti che quella determinata situazione fa provare (cosa mi "provoca dentro", ciò che ascolto dove si colloca dentro me?); per "come mi comporto?" si intendono le azioni che si compiono a seguito della reazione durante il colloquio; per "come intervengo?" si intende l'ordine delle azioni che si potrebbero fare per aiutare la persona che ho di fronte, le priorità che si possono individuare, i suggerimenti che si possono dare… e per "chi coinvolgo?" si intende la rete nella quale ci si può muovere nell'aiutare l'altro ad affrontare la situazione. Tempi: 5 minuti iniziali: i due "attori" leggono "le parti". Nel frattempo il coordinatore prepara "la scena": una scrivania e due sedie una di fronte all'altra. 15 minuti per fare la "simulazione". 5 minuti per la lettura e l'elaborazione individuale rispetto alla prima domanda. …idem per le altre tre domande. 20 minuti: verifica di gruppo sulle risposte date alle domande. 20 minuti per la compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri". Sintesi/verifica: il coordinatore aiuti a far sintesi del lavoro fatto. Venga stimolato il confronto tra le risposte alla stessa domanda. Il gruppo compili insieme lo "schema per la relazione degli incontri". 80 Istruzioni per "l’utente” Hai a disposizione 15 minuti circa per raccontare questa storia, rispondendo, per quanto possibile, alle sollecitazioni dell’operatore. Prova a metterti nei panni di Mary, scegli come esporre la situazione, non sentirti osservato, non sei sotto esame, non c’è un modo giusto o sbagliato di esporre questo “caso”! Stai facendo un servizio utile a tutto il gruppo. Grazie! 81 Istruzioni per l’operatore Hai a disposizione 15 minuti circa per condurre il colloquio, cerca di comportarti nel modo più naturale possibile come se questa storia ti venisse raccontata al Centro di Ascolto. Evidentemente "l’utente” potrà fornirti solo le informazioni che ha a disposizione, non potrai approfondire oltre quello che lui conosce della situazione. Non c’è un modo giusto o sbagliato di condurre la situazione, non sentirti sotto esame. Stai facendo un servizio utile a tutto il gruppo. Grazie! 82 “La storia” Mary Chavez ha 26 anni, viene dall’Ecuador. Nel suo Paese ha conseguito un diploma come infermiera professionale. E’ arrivata in Italia due anni fa con un permesso di soggiorno per turismo di tre mesi, mai rinnovato. Quasi subito ha trovato lavoro come collaboratrice domestica e “infermiera” presso una coppia di anziani coniugi. L'anziano ha diversi problemi di salute: è diabetico, soffre di ipertensione, fatica a muoversi a causa di un'ernia ernie al disco. Sei mesi fa il marito di Mary, Josè, è venuto in Italia con la loro bambina Selina, di quattro anni. Anche lui è arrivato in Italia con un permesso di soggiorno per turismo di tre mesi. Josè vive in un monolocale con alcuni connazionali ai quali paga 300mila lire al mese per un posto letto. La bambina vive con la mamma nella casa degli anziani coniugi dove Mary lavora. Tre mesi fa l'anziana è improvvisamente deceduta in seguito ad un ictus. La figlia dell'anziana non vorrebbe che Mary restasse a vivere con l'anziano padre. Da qualche giorno Mary ha scoperto di essere incinta. Non si sente bene, ma non ha ancora fatto una visita. Ha paura di rivelare il suo stato ai suoi datori di lavoro, tema che la figlia della coppia anziana la allontanerebbe. Mary pensa che se sua madre potesse venire in Italia potrebbe aiutarla occupandosi dei figli. Josè fa solo qualche lavoretto ad ore presso un officina dove lavora un suo parente, lava le macchine, fa qualche piccola riparazione, riesce a malapena a pagarsi il posto letto. Josè non ha accolto con molta gioia la notizia della nuova gravidanza. Mary chiede al Centro di Ascolto qualche vestitino per la figlia… Qualcuno le ha detto che la bambina potrebbe frequentare la scuola materna comunale, ma non sa a chi si deve rivolgere. 83 1. Come reagisco? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 84 2. Come mi comporto? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 85 3. Come intervengo? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 86 4. Chi coinvolgo? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 87 Terza esercitazione "Il lavoro di rete" Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione Obiettivi: aiutare gli operatori dei Centri di Ascolto a mettere in luce le differenze tra: la presa in carico di una persona con regolare permesso di soggiorno, e la presa in carico di una persona senza permesso di soggiorno (irregolare o clandestina). Pur rimanendo, infatti, invariato il senso di prossimità nei confronti di chi arriva al centro senza un regolare permesso di soggiorno, sono però differenti le possibilità d'azione, di messa in rete e di coinvolgimento dei possibili interlocutori territoriali, venendo meno i diritti esigibili. Ulteriore obiettivo dell'esercitazione è di far riflettere il gruppo sulla "qualità" delle relazioni con gli altri soggetti presenti sul territorio, istituzionali e non. Modalità: questa esercitazione deve essere fatta in due tempi (anche in due occasioni diverse). La "storia" da prendere in considerazione è la stessa, una volta nella versione di "regolarità" e la seconda volta nella versione di "non regolarità". La "Mappa" da compilare è sempre la stessa in entrambi i casi. Il coordinatore riproduca a mano la mappa su un foglio formato poster: servirà alla fine di entrambe le esercitazioni. Fondamentalmente l'esercitazione è individuale: il confronto si avrà soltanto alla fine, quando si compilerà la "grande mappa" di sintesi. La prima volta: il coordinatore legga la storia proposta considerando la versione in cui lo straniero ha un regolare permesso di soggiorno. Vengano distribuite le “mappe” (una per ogni partecipante, i partecipanti non vengono suddivisi in sottogruppi), venga fornita a ciascuno una penna di colore nero. Si proceda alla compilazione dei tre anelli della Mappa (uno per volta). Nel cerchio della mappa identificato col numero 2, vengano indicati i "bisogni dell'utente" (non solo i bisogni espressi da Jhon, le sue richieste evidenti - il pacco viveri). Nel cerchio della mappa identificato col numero 3, vengano indicati i "soggetti competenti" rispetto ai problemi individuati nel cerchio precedente (chi se ne dovrebbe occupare: il medico di base, l'insegnante, l'associazione tal dei tali…) Nel cerchio della mappa identificato col numero 4, vengano descritte le "relazioni del cda con i soggetti competenti" definiti nell’anello precedente (tipo di rapporto occasionale, frequente, telefonico, personale… - difficoltà, azioni possibili di miglioramento…). La seconda volta: Il coordinatore legga la storia proposta considerando la versione in cui lo straniero non ha un regolare permesso di soggiorno. Vengano riprese le “mappe” (le stesse di prima, ognuno la sua) e venga fornita a ciascuno una penna di colore rosso. Si passi alla compilazione degli anelli della mappa: secondo il procedimento adottato prima, usando questa volta la penna rossa. Naturalmente ci saranno dei bisogni, dei soggetti competenti e dei rapporti con questi uguali a quanto già segnato di nero: in questi casi non si riscriveranno le stesse cose ma si cerchieranno di rosso quelle già segnate. Si 88 metteranno così in evidenze le "differenze" che, a vario titolo, si presentano nel caso ci si rapporti ad uno straniero regolare o non regolare. Si metterà anche ben in evidenza il tipo di rapporto che il centro di ascolto ha con il territorio. Soprattutto su questo si dovrà riflettere nelle conclusioni. Al termine delle due esercitazioni, il gruppo con l'aiuto del coordinatore, farà sintesi di quanto emerso sulla "grande mappa" che sarà "appesa" in modo da essere visibile e tutti. Tempi: Per la prima e per la seconda versione della storia 5 minuti: lettura della storia. 5 minuti: risposta individuale scritta, primo anello della mappa (bisogni). …idem per gli altri due anelli. Alla fine di entrambe le esercitazioni 20 minuti: sintesi sulla "grande mappa" visibile a tutti. 20 minuti: compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri". Sintesi/verifica: L'équipe al completo si confronti rispetto a quanto emerso nelle singole "mappe" e compili insieme lo "schema per la relazione degli incontri". E' importante cercare di far emergere dove si colloca il Centro di Ascolto, su quali problemi ha “titolarità” per intervenire, quale ruolo svolge, qual è la sua funzione specifica rispetto agli altri soggetti. Inoltre è importante far emergere le differenze fra i soggetti a cui fare riferimento nel caso di regolarità o irregolarità della famiglia e il conseguente diverso atteggiamento/funzione del Centro di Ascolto. 89 “La storia” Jhon è un cittadino rumeno di 35 anni. Si presenta al Centro di Ascolto chiedendo un pacco di viveri. Vive in Italia dal mese di gennaio del 1998. E’ entrato con un regolare permesso di soggiorno per lavoro. La moglie Sofia e la figlia di sei anni Lucy, sono entrate grazie al ricongiungimento familiare. Jhon ha un altro figlio, si chiama Mark, è nato in Italia due anni fa. Jhon è un perito elettrotecnico, da quando è in Italia ha sempre lavorato in una ditta tessile della zona. Ad ottobre del 2001 la ditta è fallita e lui è rimasto senza lavoro. (Nel secondo caso leggi: a gennaio 2001 la ditta è fallita e lui è rimasto senza lavoro). Si è iscritto al collocamento ma, fino ad ora, senza soluzione. Da quando è senza lavoro non ha più soldi per pagare l’affitto di casa. Vive, con la famiglia, in un retrobottega per il quale paga, in nero, 150 euro al mese. Sofia in Romania insegnava alle scuole elementari, adesso fa la domestica ad ore, saltuariamente ed in nero. Mark a causa dell’umidità dell’ambiente in cui vive ha spesso la febbre. In ospedale consigliano un ricovero per accertamenti. Lucy frequenta la prima elementare, fa molta fatica ad ambientarsi. Spesso è a casa da sola con il fratellino. 90 “La Mappa” 4 3 2 1 Jhon e la sua famiglia 91 Proposta discussione/verifica di gruppo Il Centro di Ascolto nella rete delle responsabilità Quali soggetti/organizzazioni hanno voluto il Centro di Ascolto in cui operate? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Chi effettua il monitoraggio del funzionamento del Centro di Ascolto (formalmente e/o di fatto)? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Esistono intese (formali e/o di fatto) tra l’organismo ecclesiale che ha voluto il Centro di Ascolto e istituzioni pubbliche e/o altri soggetti del territorio? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Se si, esistono momenti di verifica periodica sulle collaborazioni? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Il Centro di Ascolto, periodicamente, restituisce alla comunità cristiana e alla società civile, con le sue istituzioni e formazioni, significati su ciò che porta avanti, nodi che emergono…? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 92 Proposta di discussione/ verifica di gruppo IL Centro di Ascolto nella rete dei soggetti e dei servizi nella presa in carico e nei processi di aiuto Soggetto 1 Soggetto 2 Soggetto 3 Su quale tipologia di problemi si collabora Come sono le relazioni(formali/ informali collaborative / conflittuali, continuative/ episodiche) Quali nodi problematici emergono Quali strategie migliorative sono ipotizzabili 93 Schema per la relazione degli incontri Data: 1. Quali obiettivi abbiamo raggiunto? ………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………….... 2. Quali difficoltà abbiamo incontrato? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 3. Qual è il ruolo del Centro di Ascolto rispetto alla situazione discussa? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 4. Abbiamo consapevolezza della specificità e dei limiti del Centro di Ascolto? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 5. Il nostro gruppo tende a ricercare e valorizzare le altre risorse del territorio? ………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………… 6. Siamo capaci di analizzare il contesto? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 7. Abbiamo partecipato tutti attivamente all'esercitazione? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 94 8. Siamo riusciti a prestare attenzione al compito proposto dall'esercitazione? ………………………………………………………………………………………………………… 9. Quali contenuti ci sembra di aver recepito? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 10. Cosa ci sembra di dover approfondire? ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Altre considerazioni ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… 95 Vi suggeriamo una preghiera per iniziare o per concluderei vostri incontri Perseveranti nella carità Signore nostro Dio, vogliamo affidarti Il Centro di Ascolto della nostra comunità, la condivisione con gli ultimi, le attese dei poveri. La nostra è una goccia d'acqua nell'oceano, la piccola pietra nel muro di una grande cattedrale. Ci impegnamo a mettere responsabilità e passione, umiltà e gioia, fedeltà a una storia di salvezza più grande che dà senso all'impegno di ciascuno. O Dio Padre, che sei abbraccio sconfinato d'amore, ti affidiamo la sofferenza dei piccoli, la fatica degli esclusi, l'angoscia dei senza speranza. Donaci la forza di dire il nostro "si" ai bisogni dei fratelli, alle speranze della gente, ai cammini delle comunità, perché ogni opera cui poniamo mano sia risposta pronta e fedele alla tua carità che sta trasformando il cuore della Chiesa e la storia del mondo. Amen 96