ATTI DEL CORSO DI FORMAZIONE
PER OPERATORI DEI
CENTRI DI ASCOLTO CARITAS
"La fatica di integrarsi"
Il Centro di Ascolto e il fenomeno migratorio
Ottobre 2001 - giugno 2002
A cura della Segreteria Centri di Ascolto
1
Primo incontro
20 ottobre 2001
La fatica di integrarsi
Intervento di Maurizio Ambrosini
Immigrazione, lavoro e solidarietà. Riflessioni sul caso italiano
1. Lo scenario della riflessione
Secondo Michael Walzer, filosofo della politica americano, nelle società occidentali è oggi
possibile distinguere due categorie di persone: cittadini a pieno titolo e altri che non sono
riconosciuti come tali pur lavorando più o meno regolarmente (Walzer, 1987). Egli ricorda
come nell’antica Atene convivessero due tipi di residenti: gli ateniesi, cittadini a pieno
titolo, e i meteci, stranieri tollerati in quanto utili ma sprovvisti di cittadinanza. Al governo
della città erano ammessi solo i cittadini e non gli stranieri. È questa probabilmente la
forma di tirannia più comune nella storia dell’umanità: la negazione dell’appartenenza, che
diviene il primo anello di una lunga catena di abusi.
La questione dei lavoratori migranti richiama allora non delle categorie specifiche di
persone da tutelare e proteggere, ma tocca un punto fondamentale di una società che si
mostra incapace di invertire quella tendenza perniciosa che colloca nel cuore della
democrazia la divaricazione tra cittadini a pieno titolo e non cittadini, forse tollerati in
quanto utili, ma sempre relativamente e in maniera condizionata.
Nello stesso tempo, credo abbia ragione Bastenier (1991) nel sottolineare come il tema
dell’immigrazione sia uno di quelli più suscettibili di creare stereotipi, perché mette in moto
tutta una serie di fantasmi, di paure, di vissuti problematici da parte delle popolazioni
residenti che, a torto o a ragione, si sentono in qualche modo minacciate o comunque
indotte ad identificare nell’immigrato il capro espiatorio delle tensioni sociali.
2. I processi migratori
Generalmente per giustificare un atteggiamento di accoglienza nei confronti degli
immigrati si suole sottolineare le ragioni che portano le persone a uscire dal loro paese e
a cercare rifugio in altri. La miseria, senza troppe specificazioni, viene assunta come la
spiegazione auto-evidente dei processi migratori. Come si dice tecnicamente, sarebbero
largamente prevalenti i “fattori di spinta”.
Certamente ci sono migranti di tanti tipi: ci sono persone che arrivano perché spinte dalla
guerra, o dalle persecuzioni; altre sono sollecitate dalle distanze economiche; altre volte
sono le condizioni istituzionali e anche strutturali che orientano i flussi migratori verso una
nazione o un’altra. (cfr. tabella n.1)
2
Tab.1 Uno schema per l'analisi dei processi migratori
Livello
macro
internazionali)
(relazioni
Livello intermedio (network
migratori, reti e agenzie
autoctone)
Livello micro
famiglie)
(individui
e
Dimensioni formali
 Leggi sull'immigrazione:
sistemi
delle
quote,
disposizioni
per
l'accoglienza di rifugiati,
ecc.
 Accordi formali tra Stati
 Disposizioni
relative
all’accesso
alla
cittadinanza
 Diritti e politiche sociali
per gli immigrati
 Norme
sui
ricongiungimenti familiari
 Forme di sponsorship
 Formazione di minoranze
organizzate e dotate di
istituzioni riconosciute
 Servizi formali per gli
immigrati
 Attivazione di procedure
legali per l'emigrazione
 Rimesse inviate mediante
canali istituzionali
Dimensioni informali
 Permeabilità di fatto di
alcune frontiere
 Domanda non esplicita di
lavoro immigrato
 Differenziali di reddito tra
paesi d’origine e di
approdo
 Influenza
della
comunicazione di massa








Formazione
di
reti
informali di mutuo aiuto
Specializzazioni etniche
Catene migratorie
Istituzioni facilitatrici
Reti
di
sostegno
autoctone
Decisioni (individuali e
familiari) di emigrazione
Rimesse
inviate
attraverso canali informali
Attivazione
di
meccanismi di richiamo
Un altro elemento è il fatto che esistano dei settori economici che, in un modo o nell’altro,
attirano e danno lavoro agli stranieri. In Italia la vasta economia sommersa e il dinamico
mondo delle piccole imprese si sono rivelati terreno fertile per attirare regolarmente o
irregolarmente mano d’opera straniera.
Ma tutto questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Bisogna constatare, infatti, che
gli immigrati non arrivano in genere dai paesi più poveri, dalle zone del mondo dove
maggiore è la morsa della fame e della miseria, ma dai paesi in cui si comincia a scorgere
la possibilità di una vita migliore, dove si comincia ad aprire lo sguardo e a comprendere
che la sopravvivenza non è l’unico destino possibile; e dal momento che in patria le
condizioni non offrono un lavoro adeguato, benessere, speranza di futuro, scatta la molla
per partire. Pensiamo al ruolo esercitato dalla televisione e dai mass-media in questo
ambito.
C’è un secondo aspetto che dobbiamo valutare attentamente. Gli immigrati non arrivano
casualmente, ma nella maggior parte dei casi scelgono determinate destinazioni perché
qualcuno li ha preceduti, soprattutto quando i flussi migratori cominciano a consolidarsi:
hanno degli avamposti, dei punti di riferimento. È un fenomeno d’altronde sperimentato
anche da noi italiani. Le migrazioni si compiono attraverso legami e reti di persone, per
cui i primi arrivati chiamano parenti, amici e compaesani. Si formano dei ponti tra terra di
origine e terre di destinazione che spiegano perché, a parità di condizioni socioeconomiche, alcuni partano e altri no, e perché approdino in certi paesi e non in altri.
3
Da ultimo non bisogna trascurare l’influenza delle motivazioni individuali. Tra l'altro,
occorre ricordare che le migrazioni attuali sono anche migrazioni di personale qualificato. I
grandi paesi ancora aperti all’immigrazione, Stati Uniti, Canada, Australia, oggi, reclutano
personale qualificato e istruito, lavoratori autonomi, imprenditori, permettendo ai loro
talenti di esprimersi meglio che in patria.
Alla luce di queste diverse valenze, il fenomeno dell’immigrazione non può essere
connotato solo in termini di miseria. Esiste certamente una spinta derivata dalla povertà,
dalle diversità di reddito tra le aree del mondo, ma occorre considerare anche le
sollecitazioni derivanti dal funzionamento dei sistemi economici sviluppati, dalle reti
etniche, dal rapporto che si intesse fra migranti e non migranti, senza dimenticare infine la
forza delle motivazioni individuali, dell'istruzione e della mobilità professionale.
Non si può, quindi, leggere l’immigrazione come un comportamento casuale e disperato
degli immigrati. L’immigrazione non è solo un problema degli immigrati, ma è
profondamente legata alle istituzioni, ai comportamenti e agli atteggiamenti delle società
ospitanti. In altri termini ogni società plasma, definisce e costruisce il suo tipo di
immigrazione.
3. Modelli di migrazione
Sul piano internazionale è possibile identificare diversi modelli di migrazione, in base a
come essa è stata recepita, vissuta, e costruita nei paesi riceventi (cfr. tabella n. 2)
Il primo modello è quello dell’immigrazione temporanea, illustrata dal modello tedesco fino
alla riforma del 1999, per cui l’immigrazione, è stata vista come un fatto temporaneo, di
lavoratori ospiti che venivano chiamati in quanto necessari per rispondere a certe
esigenze del mercato del lavoro, ma che non dovevano mettere le radici: ci si attendeva
che tornassero in patria dopo un certo periodo. Un modello di questo genere risponde ad
una concezione strumentale del lavoro, che utilizza delle persone in modo temporaneo per
rispondere a determinate esigenze economiche.
Il secondo modello, detto assimilativo, può essere esemplificato dal caso francese. Qui la
spinta è verso una rapida assimilazione anche culturale dei nuovi arrivati. È un modello
che punta all’integrazione degli individui, sprovvisti di radici. La convinzione della
superiorità del proprio modello civile e nazionale ha informato l’ottimismo francese sulla
capacità di assimilare gli stranieri in quanto individui, mentre la formazione di comunità
minoritarie è stata lungamente scoraggiata, in quanto foriera di appartenenze parziali,
tendenzialmente contrapposte all'identità nazionale.
Il terzo modello è quello della società multiculturale. E’ più recente ed è forse il meno
attuato storicamente, ma è certamente influente dal punto di vista culturale negli Stati
Uniti, in Olanda, in Svezia e in parte in Inghilterra. Questo modello è ravvisabile nelle
società in cui esiste un’idea più pluralistica di tolleranza dei confronti degli immigrati e delle
loro culture. Si cerca di dotarsi di un’organizzazione sociale di tipo multietnico,
valorizzando e sostenendo la formazione di comunità e di associazioni di immigrati. Sono
queste i soggetti deputati all'erogazione di vari interventi sociali, che raggiungono gli
individui per il tramite della comunità di appartenenza.
Il quarto modello, che definisco implicito, si identifica con il caso italiano e in parte almeno
con gli altri paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo, che soltanto in anni recenti
sono passati da società di emigrazione a società di immigrazione. Buona parte dei nostri
problemi derivano dal fatto che l’immigrazione non è stata esplicitamente costruita, voluta,
accettata e riconosciuta, ma è stata utilizzata economicamente e nel mercato del lavoro.
Si finisce per regolarizzare chi, in un modo o nell’altro, è riuscito ad entrare, anziché
prevedere un modello di regolazione e di promozione più disciplinata ed esplicita di
4
migrazione. Certamente non è una politica da paese civile quella di tenere le frontiere
formalmente chiuse, utilizzare largamente il lavoro irregolare degli immigrati, e poi
regolarizzare quelli che in qualche modo sono riusciti ad eludere i controlli, spesso con
modalità illegali, utilizzando vari stratagemmi che sono fra l’altro sempre più spesso gestiti
da organizzazioni criminali.
Tab.2. Modelli di integrazione degli immigrati
Temporaneo
Concezione
forza lavoro utile
dell'immigrazion per
colmare
e
esigenze
temporanee
Accesso
status
cittadino
Rapporto
autoctoniimmigrati
allo Difficile
di parziale
Politiche
lavoro
del Reclutamento
attivo;
legame
permesso
di
soggiornopermesso
di
lavoro;
parità
salariale
e Relativamente
facile
Isolamento
Politiche sociali
assimilativo
Individui
destinati
a
diventare
cittadini
della
società
ospitante
Garanzia
dell'alloggio per i
lavoratori;
difficoltà
di
ricongiungiment
o familiare e
naturalizzazione
Multiculturale
Implicito
minoranze
Ufficialmente
discriminate da non necessaria;
tutelare
in
realtà
utilizzata sia in
forme regolari,
sia in forme
sommerse
relativamente
Difficile e incerto
indifferente
Discriminazione/ Tolleranza
indifferenza
Tendenziale
separazione
Selezione
dei
flussi:
popolazioni
"assimilabili",
lavoratori
qualificati
azioni positive:
sistema
delle
quote;
incoraggiamento
dell'imprenditori
a
Non specifiche;
tendenti
a
facilitare
l'inserimento
individuale
ed
eventualmente
la
naturalizzazione
;
dispersione
territoriale
tendenti
a
rafforzare
le
comunità
etniche, anche
come soggetti
erogatori
di
servizi
ai
membri
Ambivalenza tra
accoglienza
umanitaria
e
insofferenza
Parità salariale
nel
lavoro
regolare; diffusa
tolleranza verso
il
lavoro
irregolare;
attività
promozionali
frammentarie, a
livello locale
Poco sviluppate,
a
carattere
volontaristico, in
gran
parte
devolute ad enti
locali e terzo
settore
In questa configurazione del modello migratorio italiano, incide la diversa epoca storica in
cui sono avvenuti gli spostamenti migratori e le mutate caratteristiche del contesto
economico di accoglienza. La tab.3 sintetizza queste differenze, opponendo le migrazioni
della fase aurea dello sviluppo industriale post-bellico alle migrazioni che si inseriscono
nell’economia instabile e frammentata del periodo contemporaneo, quando l’Italia ha
cominciato a diventare un punto d’approdo per gli emigranti del Sud e dell’Est del mondo.
5
Tab.3. Le migrazioni in Europa: confronto tra le migrazioni della fase dello sviluppo
industriale “classico” (1945-1973) e le migrazioni contemporanee (economia “postfordista”)
Paesi di
provenienza
Migrazioni delle società
industriali classiche
Europa meridionale, excolonie
Migrazioni delle società
“post-fordiste”
Europa orientale, extraEuropa
Europa centro-settentrionale Allargate, con l’emergere
dell’Europa meridionale
Caratteristiche demografiche Inizialmente maschi, giovani, Giovani, con rilevanti quote
dei migranti
a bassa istruzione. Donne al di popolazione istruita.
seguito
Anche donne primo-migranti
Settori di inserimento
Prevalentemente, attività
Nicchie secondarie, con un
centrali del modello di
ruolo eminente delle piccole
sviluppo: industrie,
imprese, del basso terziario,
costruzioni, miniere
dell’economia informale
RAPPORTO CON IL SISTEMA Richiesta esplicita, accordi
Assenza di domanda
ECONOMICO
tra Stati per la fornitura di
esplicita, ma ampio utilizzo
manodopera
formale e informale
Aree di destinazione
Cittadinanza sociale
Diritti connessi al lavoro
regolare in ambiti
sindacalmente organizzati
Accesso problematico ai
diritti sociali: diffusione di
lavoro irregolare, assenza di
politiche esplicite di
reclutamento
In questo modello italiano, possiamo poi distinguere, aiutati da un contributo di Salvatore
Palidda (1996), tre contesti diversi.
Il primo è quello delle grandi città, che in sociologia si definiscono post-fordiste, ossia
soprattutto le metropoli del Nord - Milano, Torino, Genova - caratterizzate dal declino
dell’industria tradizionale, da una frammentazione del tessuto produttivo e da problemi di
integrazione della società. In questo contesto gli immigrati si inseriscono, come avviene
anche a New York e a Londra, in modo particolare nei servizi, con alte percentuali di
irregolarità, spesso con grandi problemi dal punto di vista abitativo.
Il secondo tipo di contesto è quello delle città della crescita diffusa e del buon governo
locale. Sono le piccole e medie città del Centro Nord, dove è più riscontrabile l’inserimento
regolare degli immigrati nella vita economica, la partecipazione al mondo della piccola e
media impresa e anche una loro discreta integrazione sociale; anche se in molti casi
(penso a Brescia dove ho insegnato per dieci anni) la cittadinanza sociale resta
inadeguata rispetto a quella che potremmo definire come "cittadinanza economica".
Il terzo contesto è quello delle grandi città del Centro-Sud, con radicate economie
sommerse, dove gli immigrati sono, paradossalmente, meno inseriti regolarmente nel
mercato del lavoro, ma più tollerati. Stanno male come altre fasce di lavoratori e di
cittadini, per cui la loro possibilità di inserirsi nel mercato del lavoro regolare è bassa, ma
anche la loro criminalizzazione è abbastanza contenuta.
4. Gli immigrati nei mercati del lavoro italiani
È’ evidente che in Italia esistono diversi mercati del lavoro; due sono i principali sui quali
disponiamo di dati. C’è il mercato del lavoro industriale che è molto concentrato in un'area
6
abbastanza ristretta del nostro paese, anche se negli ultimi due anni si registrano segni di
allargamento. Il grosso degli immigrati inseriti regolarmente nelle imprese sta al Nord,
(80%) e oltre il 70% in una area che è formata da Triveneto, Lombardia e Emilia. Si
registrano negli ultimi anni crescite percentuali molto elevate anche in Toscana, nelle
Marche e quindi verso il Centro del paese. L’altro grande mercato del lavoro regolare è
quello del lavoro domestico, che ha una caratteristica territoriale molto diversa, segnata
due aspetti: è un mercato molto metropolitano, per cui le due province di Milano e Roma
totalizzano oggi più del 40% del lavoro domestico regolare; in secondo luogo, è un
mercato molto sparpagliato nel paese, con una prevalenza del Centro Sud. Occorre poi
ricordare due mercati minori, con caratteristiche di maggiore stagionalità e precarietà
del’inserimento: quello del Sud, imperniato sul lavoro agricolo, che mantiene –nonostante
alcuni miglioramenti verso una maggiore continuità e specializzazione delle attività- diffusi
caratteri di irregolarità e sotto-salario, e quello del lavoro temporaneeo nel Centro-Nord,
che spazia dall’agricoltura (caso Trentino) all’industria turistica (ancora Trentino, ma anche
zone costiere venete e romagnole), dove il lavoro è stagionale ma con maggiori
opportunità di fruire di condizioni di lavoro regolari. La tab.4 sintetizza le differenze
riscontrabili.
Tab.4.Modelli di impiego del lavoro immigrato in Italia
Modello
Modello
delle Modello
delle
dell’industria
economie
attività
stagionali
diffusa
metropolitane
(Centro-Nord)
Aree
Terza
Italia, Grandi
città Aree turistiche, in
territoriali
Lombardia
(specie Roma e parte agricoltura
orientale
Milano)
Datori
di Piccole e medie Basso
terziario, Ristoranti, alberghi,
lavoro
imprese industriali edilizia, servizi alle imprese
agricole,
persone, famiglie edilizia
Attività
Lavoro
operaio Collaboratrici
Manodopera per le
svolte
stabile
domestiche;
stagioni turistiche,
addetti ai servizi
campagne
di
raccolta
Immigrati
coinvolti
Maschi, a bassa Anche una quota
qualificazione
rilevante di donne
Incidenza
Scarsa
Significativa
del lavoro nell’industria; più (lavoro domestico,
irregolare
elevata in edilizia assistenza, edilizia
)
Punti
di Richiesta
attenzione
manodopera
qualificata
di Difficoltà
di
miglioramento,
specie
per
le
donne; emergere
di
attività
indipendenti
Modello
delle
attività stagionali
(Mezzogiorno)
Aree agricole, in
parte turistiche
Imprese agricole;
(ristoranti,
alberghi)
Campagne
di
raccolta;
(manodopera per
le
stagioni
turistiche)
Mista,
con In
prevalenza
prevalenza
maschi, giornalieri,
maschile, spesso stagionali
stagionale
Modesta, anche in Molto
elevata
agricoltura;
nell’agricoltura
abusivismo
nel mediterranea
commercio
ambulante
Consolidamento
Emersione
del
dello
status lavoro sommerso,
occupazionale;
accesso ai diritti
possibile sviluppo sociali
di
attività
indipendenti
7
Consideriamo ora alcuni dati statistici, basati sulle iscrizioni all’INPS.
tab.5. Immigrati dipendenti da imprese: dati complessivi, 1992-1999
Regioni
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
EmiliaRomagna
Friuli-Venezia
Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino-Alto
Adige
Umbria
Val d'Aosta
Veneto
692
76
138
441
16.828
996
82
135
521
14.268
1.159
53
168
538
15.154
1.217
66
179
667
18.041
1.506
94
428
1.889
20.993
1.696
87
319
1.490
23.847
1.721
96
276
1.333
25.717
1.757
82
245
1.279
29.019
%
1999
su
totale
Italia
0,9
0,0
0,1
0,7
15,0
3.619
3.961
4.477
5.052
5.543
5.982
6.326
7.936
4,1
6.091
1.487
25.319
2.275
66
7.342
752
168
1.294
4.314
3.848
6.120
1.411
25.896
2.524
42
6.882
670
147
1.174
4.770
4.367
5861
1.371
26.899
3.148
31
7.387
685
117
1.074
5.438
4.797
5.871
1.477
31.059
3.996
30
8.791
668
111
1.001
6.343
5.871
7.583
2.198
37.357
4.662
47
12.355
1.268
217
1.304
10.458
6.808
8.972
2.320
43.027
5.912
55
12.974
1.207
245
1.375
11.133
7.580
8.828
2.446
45.233
6.886
51
14.130
1.182
226
1.275
11.903
7782
9.293
3.148
51.468
7.701
63
15.724
1.269
159
1.284
12.751
8.950
4,8
1,6
26,7
4,0
0,0
8,1
0,7
0,1
0,7
6,6
4,6
1.130
404
13.041
1.076
364
13.093
1.269
303
15.757
1.412
318
20.154
1.961
367
25.307
2.400
369
29.554
2.260
393
33.014
3.061
429
37.412
1,6
0,2
19,4
Totale
89.325
88.499
95.686 112.324 142.274 160.364 171.078 193.029 100,0
Fonte: elaborazioni ISMU su dati INPS e Caritas di Roma
tab.6. Collaboratori domestici immigrati registrati all’Inps, anno 1998. Le maggiori
province (più di 1.000 colf)
Province
Roma
Milano
Torino
Firenze
Napoli
Bologna
Genova
Brescia
Bari
Verona
Perugia
Padova
Messina
Como
Maschi
Femmine
7.555
4.859
795
1.283
1.269
606
407
284
404
262
217
218
518
254
Totale
23.057
15.532
3.833
3.229
2.350
2.016
1.692
1.001
832
910
947
926
597
781
30.612
20.391
4.628
4.512
3.619
2.622
2.099
1.285
1.236
1.172
1.164
1.144
1.115
1.035
8
Modena
Totale Italia
Totale colf
(It.+ imm)
130
23.975
27.668
882
79.646
188.204
1.012
103.441
215.872
Fonte: per gentile concessione della Caritas di Roma: elaborazioni di dati INPS
La scoperta fatta da alcuni economisti (Venturini, Villosio, 1998) è che questi dati sono
notevolmente sotto dimensionati, in quanto il numero degli immigrati regolarmente inseriti
viene calcolato sulla base di una ritenuta che il datore di lavoro paga per consentire il
rientro in patria dell’immigrato in caso di necessità. A parte il fatto che questi fondi non
vengono mai utilizzati a tale scopo e finiscono nel calderone dell’INPS, dal punto di vista
statistico si è scoperto che molti datori di lavoro non pagano questa ritenuta e forse
neppure sanno che esista. Secondo le stime di Venturini e Villosio, risulta quindi che siano
almeno il doppio gli immigrati regolarmente inseriti e il dato riportato risulterebbe così
nettamente sotto stimato.
Un altro dato si riferisce agli avviamenti al lavoro, ossia agli ingressi nell’occupazione
dipendente. Anche questo dato contiene dei limiti, perché include solo parzialmente le
collaboratrici domestiche e perché non distingue né le uscite, né i ri-avviamenti delle
stesse persone, frequenti soprattutto nel settore agricolo. E’ comunque un indicatore di
dinamismo del mercato del lavoro, e ci consente di scendere al livello provinciale.
Tab.7. Le 20 province italiane con il maggior numero di avviamenti di lavoratori
immigrati. Anno 1999
Province
Agricoltura
Industria
Servizi
Milano
364
4524
7626
Brescia
733
6407
5036
Vicenza
506
6473
2225
Trento
4431
1437
3019
Treviso
636
5902
1577
Bergamo
468
3325
3333
Modena
1471
3615
1906
Verona
2269
2552
2029
Bologna
1018
2416
2906
Perugia
3085
1715
1459
Venezia
312
1459
4458
Torino
137
3487
2566
Roma
702
878
3301
Ragusa
4247
263
73
Reggio E.
542
2766
993
Firenze
716
2305
1141
Cuneo
1837
1470
854
Padova
245
2446
1401
Arezzo
1126
1495
1295
Ravenna
1596
953
1217
Totale
49.372
87.454
81.406
Italia
Legenda: A= agricoltura; I= Industria; T= Terziario
Totale
12514
12176
9204
8887
8115
7126
6992
6850
6340
6259
6229
6190
4881
4583
4301
4162
4161
4092
3916
3766
218.232
Modello di
Occupazion
e
T (+I)
I +T
I
A (+T)
I
T/I
I
I/A/T
T/I
A
T
I+T
T
A
I
I
A+I
I
I/T/A
A+T+I
9
Fonte: nostre elaborazioni su dati Ministero del lavoro
Approfondiamo ora più da vicino il caso milanese.
Detto in sintesi, il simbolo del lavoro degli immigrati a Milano è la collaboratrice domestica,
che sintetizza il fabbisogno di immigrati nel tessuto della grande città, e potremmo
aggiungere in maniera crescente le figure dedite all'assistenza agli anziani, le baby sitter,
gli addetti alle pulizie, una serie di attività e di lavori che sono richiesti, non solo dal
sistema economico ma soprattutto dalle famiglie.
Possiamo notare che qui troviamo una caratteristica strutturale delle grandi città
globalizzate contemporanee, città dove, come ci raccontava Bonomi nel suo primo
intervento, si concentra lavoro professionale qualificato, ma dove nello stesso tempo il
lavoro ricco genera lavoro povero.
In America è lavoro da piccole imprese, sono le gastronomie, lavanderie, i taxi, i ristoranti,
quelle attività che producono una serie di servizi che non sono più prodotti all'interno delle
famiglie, soprattutto per le fasce benestanti. In Italia, molti servizi necessari per la vita
quotidiana e la buona vita delle persone sono ancora generati all'interno delle famiglie, ma
sono famiglie in cui ormai entrambi i coniugi lavorano, lavorano molte ore al giorno,
lavorano spesso lontano da casa e hanno carichi assistenziali in aumento, basti pensare
agli anziani.
E' qui che s'inserisce una notevole domanda di lavoro a cui rispondono in modo
particolare gli immigrati.
Dei 100.000 collaboratori domestici stranieri regolari iscritti all'INPS, la metà, circa 50.000,
sono concentrati nelle sole provincie di Roma e di Milano; Milano ne conta 20.000, quindi
1
/5 dei collaboratori domestici immigrati presenti in Italia.
In provincia di Milano, 3 collaboratori domestici su 4 sono stranieri, quindi si tratta di una
nicchia di mercato del lavoro (e non parlo degli irregolari) che è sempre più legata alla
presenza straniera.
Se guardiamo invece alle imprese, comunque Milano è la prima provincia d’Italia, la
seconda è Brescia per avviamenti di lavoratori immigrati nel '99.
Le rappresentazioni che associano questo fenomeno al Nord-Est sono vere ma non del
tutto, fanno torto a questo primato della Lombardia che vedete qui nel lucido; più di un
lavoratore immigrato su 4 che lavora nelle imprese sta nella nostra regione.
Milano ha la caratteristica di associare una cospicua domanda di lavoro industriale con
una domanda di lavoro terziario, che la rende pilota anche in questo come in altri fenomeni
sociali.
Se noi guardiamo ora più da vicino ai lavori svolti dagli immigrati (prendo qualche dato dal
monitoraggio Ismu ultimo, diretto dal prof. Blangiardo) scopriamo che è una galleria dei
lavori poveri e umili della metropoli.
Si può osservare per esempio per le donne (tab.8) la centralità di pochissimi lavori; delle
donne che lavorano il 35,8% sono domestiche, con punte del 47% per le donne che
vengono dall'Asia, per effetto soprattutto dell’incidenza delle filippine.
Un'altra notevole componente è quella dell'assistenza agli anziani, circa il 10%; pulizie 7%;
nel complesso, pochissime occupazioni concentrano grandi numeri di lavoratrici.
Potremmo dire che, quale che sia il titolo d'istruzione e la storia professionale delle donne
immigrate, il loro destino pressoché obbligato è quello di trovare lavoro come domestiche
o assistenti agli anziani, e ben scarse sono, ancora oggi, le possibilità di miglioramento.
10
Per gli uomini (tab.9) il dato è un po' più diversificato ma sempre all'interno di questa
galleria del lavoro più umile e povero che supporta la vita quotidiana delle nostre città.
Tab.8 Tipo di lavoro svolto dalle donne straniere presenti a Milano nel 1999 e classificate
per nazionalità (valori percentuali).
Nessuno
Impiegata
amministrativa
Operaia meccan.
Qualif.
Operaia generica
Muratore
Comm./ristoratore
Altro commercio
Ambulante
Cuoca
Cameriera/barista
Portinaio/posteggiat.
Domestica
Est
Europa
21,1
Nord
Africa
62,5
Altri
Africa
15,9
America
Latina
7,3
Asia
11,5
Total
e
18,
2
1,6
-
-
1,6
3,1
1,4
5,3
-
-
1,0
-
0,5
5,3
5,3
31,6
2,1
2,1
18,8
4,8
3,2
3,2
1,6
3,2
3,2
33,3
3,1
1,0
1,0
2,1
4,2
2,1
29,2
1,4
0,7
0,7
2,0
3,4
5,4
47,3
2,4
0,5
0,8
1,3
1,3
1,6
4,0
1,1
35,
8
7,0
Pulizie/disinfestazion
4,2
6,3
12,5
5,4
e
0,8
Prostituzione
5,3
1,6
1,0
1,3
Lavori artistici/creativi
5,3
4,2
0,8
Professionali
10,5
1,6
0,3
Artigiani/Servizi
1,0
5,3
Altro artigiano
13,5
4,3
Baby sitting
5,3
8,3
6,3
5,2
1,4
9,9
Assistenza agli
5,3
2,1
12,7
21,9
4,1
anziani
0,3
Servizi sanitari
1,6
0,8
Servizi
2,0
sociali/culturali
Totale
100
100
100
100
100 100
Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di
Milano.
Tab.9 Tipo di lavoro svolto dagli stranieri maschi presenti a Milano nel 1999 classificati
secondo la provenienza (valori percentuali).
Nessuno
Lavori occasionali
Imprenditore/Direttor
e
Impiegato
amministrativo
Operaio mecc.
Est
Europa
30,6
-
Nord
Africa
12,8
0,5
2,6
Altri
Africa
22,8
-
2,0
3,1
3,3
4,1
1,0
-
America
Latina
15,6
-
Asia
Totale
7,8
1,0
14,4
0,2
1,2
2,2
4,9
3,6
6,7
2,0
1,9
11
Qualificato
0,2
Operaio manufatt.
2,0
qualific.
12,0
Operaio generico
10,2
11,3
12,0
17,8
11,8
5,1
Muratore
14,3
7,7
2,2
4,4
2,0
0,7
Manovale edile
2,0
0,5
2,2
0,5
4,8
Commerciante/ristor
7,2
4,3
4,9
atore
3,6
Altro commercio
2,0
5,1
1,1
4,4
9,6
Ambulante
2,0
5,6
18,5
11,1
10,8
6,5
Cuoco
2,0
12,8
2,2
4,4
3,9
5,3
Cameriere/barista
6,1
2,6
3,3
2,2
9,3
5,1
Guardiano/custode
2,0
6,2
3,3
4,4
5,9
2,6
Facchino e simili
4,1
1,5
6,5
4,4
1,0
2,7
Autista
2,0
1,5
5,4
2,2
2,9
3,4
Domestico
2,2
6,7
7,4
6,8
Spazzino/disinfestat
4,1
7,2
4,3
6,7
8,3
ore
0,9
Lavoro
1,1
4,4
1,0
artistico/creativo
3,8
Professionali
6,1
4,6
2,2
3,9
3,6
Artigiani/servizi
4,1
5,1
4,3
2,2
2,0
0,9
Altro artigiano
2,5
0,9
Assistenza agli
1,1
2,2
1,5
anziani
0,3
Servizi sanitari
0,5
0,5
0,2
Servizi
0,5
sociali/culturali
Totale
100
100
100
100
100
100
Fonte: n/elaborazioni su dati Osservatorio Fondazione Cariplo-I.S.MU. - Provincia di
Milano.
Alcune novità si segnalano però sul fronte del lavoro autonomo.
Abbiamo circa 7.000 ditte individuali ormai di proprietà o il cui titolare è uno straniero, di
queste la maggioranza, circa 5.000, sono di immigrati provenienti dai cosiddetti paesi
extracomunitari; alcuni gruppi però monopolizzano questo settore (cinesi, egiziani). Negli
ultimi anni stanno emergendo altri soggetti come i marocchini, ma molti altri gruppi restano
indietro. I filippini, inseriti molto bene nel lavoro dipendente, hanno appena 55 iscritti alla
Camera di Commercio di Milano come titolari di ditte individuali.
Ci si può domandare a questo punto come si verifica lo strano fenomeno del lavoro
immigrato che si inserisce in un paese con tanti disoccupati; anche nella realtà milanese,
non mancano le fasce sociali che faticano a inserirsi nel mercato del lavoro.
Il discorso è molto complesso e mi limito ad accennare qualche passaggio. In realtà
proprio questa contraddizione dimostra la complessità di un mercato del lavoro come
quello italiano.
In una società sviluppata il mercato del lavoro è segmentato; possono coesistere settori e
aree in cui c’è il lavoro e non ci sono le persone disponibili a farlo, e altre aree in cui
invece le persone che cercano lavoro superano la disponibilità di posti.
Naturalmente in Italia tutto è reso più complicato dalle differenze regionali. Abbiamo
regioni che hanno tassi di disoccupazione fra i più alti d’Europa e altre che tendono verso i
12
valori più bassi. Da alcuni anni è ricominciato il fenomeno dell’immigrazione interna, che
però non è più sufficiente a rispondere ai bisogni delle imprese.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’offerta di lavoro italiana è diventata più autonoma:
con l’istruzione cresce la capacità di cercare lavoro, ma aumenta anche la selettività, cioè
il rifiuto di determinati lavori. Se si è istruiti si cerca lavoro in certi ambiti e si tende a
rifiutare il lavoro manuale. Un altro elemento da considerare riguarda il fatto che la mobilità
sociale in Italia è difficile a livello intragenerazionale; vale a dire che, nel corso della vita di
una persona, è difficile passare da operaio ad impiegato, da impiegato a dirigente (Cobalti,
Schizzerotto, 1994). Pertanto, cominciare da operaio significa rischiare un passo falso,
caricarsi di uno stigma che può condizionare tutta la carriera successiva, rendendo più
incerti e difficili i successivi cambiamenti.
Nello stesso tempo il lavoro immigrato è un lavoro flessibile e adattabile, e può risultare
più appetibile del lavoro autoctono. Poiché l’immigrato è sprovvisto, almeno nei primi anni,
di relazioni familiari e sociali ed ha bisogno di guadagnare, è spesso più disponibile a fare
orari che magari la mano d’opera italiana non accetta.
5. L’incontro tra domanda di lavoro e offerta immigrata
Un fenomeno da approfondire è quello che riguarda l’incontro tra domanda e offerta di
lavoro. (cfr. tabella n. 10) Ci sono anzitutto delle disposizioni normative per cui, per un
certo periodo, nel mercato del lavoro italiano, riuscivano a entrare regolarmente solo
lavoratori domestici. Questo spiega perché i primi arrivi siano caratterizzati in senso
femminile, almeno nel lavoro regolare.
Successivamente domanda e offerta di lavoro si incontrano soprattutto in due modi.
Anzitutto, per via delle reti etniche, delle reti di relazione fra gli immigrati; quelle reti per cui
un immigrato ne invita un altro, lo presenta al datore di lavoro, rafforza la sua candidatura,
lo sostiene, gli trova il posto per dormire. Si formano così quei fenomeni tipici che sono le
concentrazioni etniche in determinate nicchie occupazionali. Questi fenomeni di reti che si
collegano, candidano i propri connazionali e li aiutano ad inserirsi nel mercato del lavoro
sono più forti dove ci sono mercati del lavoro più grandi, aperti, poco regolati, come quello
americano.
Tab.10. Il funzionamento del mercato del lavoro immigrato
DISPOSIZIONI
NORMATIVE
E RICEZIONE SOCIETALE

DOMANDA DI LAVORO
RETI ETNICHE

(processi di discriminazione INFORMALI

statistica)

RETI SOCIALI 
AUTOCTONE 

OFFERTA DI LAVORO
IMMIGRATA
(solidarietà interna e autoorganizzazione dei gruppi
nazionali)

ISTITUZIONI
FACILITATRICI/
SERVIZI SPECIALIZZATI
Simili processi favoriscono alcuni gruppi più organizzati e internamente più coesi rispetto
agli altri e spiegano, più che le presunte affinità culturali, come mai alcuni gruppi nazionali
13
siano più capaci di altri di inserirsi nel mercato del lavoro, ad esempio i Filippini, gli
Egiziani, i Senegalesi...
Scandagliando le ragioni che differenziano le traiettorie delle popolazioni immigrate, i
fattori esplicativi chiamati in causa dalla letteratura e dalle ricerche empiriche possono
essere così richiamati:
- la numerosità: gruppi troppo piccoli, o viceversa troppo numerosi, sembrano incontrare
maggiori difficoltà nel formare reti etniche funzionanti. I primi rischiano di trovarsi
dispersi e di dover affrontare in modo sostanzialmente individuale le sfide della ricerca
del lavoro e dell’integrazione; i secondi di non riuscire a conoscere e a filtrare i
connazionali immigrati e di dover far fronte ad una moltiplicazione di domande di aiuto;
in tal caso, le minoranze meglio inserite, all’interno dei diversi gruppi etnico-nazionali,
possono preferire prendere le distanze e attuare forme di secessione dalla turba dei
più poveri;
- il tempo: i gruppi arrivati prima tendono ad occupare gli spazi disponibili nel mercato
del lavoro e ad attivare catene di richiamo a vantaggio dei connazionali, attuando
strategie di chiusura nei confronti di altri gruppi di immigrati. Nel caso italiano, l’arrivo
più recente degli albanesi, rispetto a gruppi già insediati a partire dagli anni ’80, sembra
aver influito non poco sulle opportunità d'inserimento nel mercato del lavoro
- la distanza geografica: chi arriva da più lontano è più selezionato alla partenza,
dispone mediamente di maggiori risorse, sa di dover investire in progetti migratori più a
lungo termine, acquista consapevolezza dell’importanza della coesione di gruppo per
trovare appoggio e reggere Chi arriva da più vicino affronta costi minori, può arrivare
più facilmente anche senza l’appoggio di solide teste di ponte, può coltivare progetti
migratori meno definiti, attuando forme di pendolarismo con la madrepatria. Roberts
(1995) parla di “durate socialmente attese” delle migrazioni, e spiega in tal modo il
minor successo professionale dei migranti messicani negli Stati Uniti, rispetto ad altri
gruppi, come i giapponesi. Anche nel caso italiano, gruppi arrivati da più lontano
(filippini, sri-lankesi, peruviani, senegalesi…) appaiono in generale più capaci di
attivare forme di solidarietà interna e di promuovere l’inserimento occupazionale dei
connazionali, rispetto a gruppi più vicini a noi dal punto di vista geografico (maghrebini,
albanesi, ex-jugoslavi), anche se a livello locale le situazioni sono alquanto eterogenee
- la composizione socio-professionale del gruppo: gruppi con predominanza di soggetti
poco istruiti, provenienti da zone rurali o dal proletariato urbano incontrano maggiori
difficoltà sia nella costruzione di reti in grado di sponsorizzare i connazionali, sia più in
generale nei processi di integrazione. Gruppi con significative quote di soggetti
provenienti dalle classi medie, dotati di competenze professionali almeno in parte
spendibili o riconvertibili, con buoni livelli di istruzione, appaiono avvantaggiati. Portes e
Jensen (1989) spiegano il successo dell’immigrazione cubana in Florida, capace di
costituire a Miami un’enclave etnica rigogliosa, con l’espatrio della borghesia
professionale e commerciale all’epoca dell’avvento di Castro. Nel caso italiano, la
migliore integrazione degli egiziani, rispetto per esempio ai marocchini, si spiega
probabilmente anche in funzione della diversa composizione dei gruppi alla partenza,
oltre che in ragione del fattore tempo. Il livello d’istruzione sembra avere tuttavia nel
nostro paese un impatto ambivalente: dato che il mercato del lavoro offre agli stranieri
soprattutto lavori poveri, gli immigrati istruiti sono spesso meno soddisfatti di ciò che
trovano, rispetto ai connazionali meno scolarizzati, cosicché per una sorta di
paradosso, appare più agevole l’integrazione degli immigrati meno qualificati (Zanfrini,
2000).
- la ricezione societale e l’appoggio di agenzie e reti autoctone: essendo l’integrazione
un processo interattivo (Colasanto, Ambrosini, 1993), non può essere trascurato il
ruolo della società ricevente nei confronti delle popolazioni immigrate. Trattando
14
dell’immigrazione messicana, Portes ha recentemente sottolineato le discriminazioni
che questa componente ha costantemente subito nel Nord-America, in quanto
considerata largamente irregolare, culturalmente inferiore e concorrente sul mercato
del lavoro rispetto ai lavoratori americani: tutto ciò, oltre a condizionarne i destini
occupazionali, ne ha ridotto le stesse aspettative rispetto alle opportunità di
inserimento nella società ricevente (2000: 10). Questi rilievi correggono e integrano
l’interpretazione di Roberts prima richiamata, basata sostanzialmente sulla portata dei
progetti migratori e quindi sugli atteggiamenti propri degli immigrati. Nel caso italiano,
non si tratta genericamente del diverso grado di accettazione degli immigrati
provenienti da paesi diversi, ma più specificamente dell’aiuto concreto fornito da varie
agenzie sociali. I migranti provenienti da paesi cattolici e con predominanza di
popolazione femminile sembrano aver trovato, per esempio, più facilmente
accettazione e appoggio da parte di varie istituzioni cattoliche.
Per comprendere i processi di inserimento, oltre al ruolo delle reti etniche, che da sole non
spiegano tutto il fenomeno, occorre dunque rammentare il contributo delle agenzie sociali
e delle risorse informali grazie alle quali gli immigrati vengono aiutati ad inserirsi. Queste
risorse, fornite dalla società civile, possono essere in parte comprese sotto il termine di
“reti sociali autoctone”, che scambi di informazioni, generano un “passa parola” tra
conoscenti, favoriscono in vario modo l’inserimento di immigrati stranieri in una società
estranea, superando barriere e pregiudizi. Ad esempio una famiglia di Milano che abbia
una domestica che viene dal Perù e di cui sia soddisfatta, è probabile che, quando una
famiglia di amici si trovi nella necessità di avere un qualche servizio domestico, la indirizzi
e la consigli nella scelta verso qualche parente o connazionale della propria collaboratrice
familiare. Si producono così inavvertitamente anche nuovi stereotipi e pregiudizi favorevoli
ad alcuni gruppi di immigrati, rispetto ad altri.
Le istituzioni del volontariato, dell’associazionismo, della società civile, che offrono punti di
riferimento per gli immigrati, facendo circolare informazioni e consigli, costituiscono, molto
spesso, un’altra risorsa rilevante per il loro inserimento lavorativo. Ho introdotto a questo
riguardo il concetto di "istituzioni facilitatrici", che fanno da ponte tra gli immigrati e le reti
sociali autoctone. Credo infatti che non sarebbe spiegabile l’inserimento di decine di
migliaia di immigrati nel sistema produttivo italiano, in assenza di politiche pubbliche
adeguate, senza chiamare in causa il silenzioso bricolage di gruppi, associazioni,
sindacati, istituzioni ecclesiali, enti locali: nelle regioni del Centro-Nord più interessate al
fenomeno, la domanda del mercato del lavoro e l’attivismo delle reti etniche hanno trovato
una sponda preziosa in queste istituzioni.
6. Il lavoro irregolare
Non dobbiamo lasciarci avviluppare dalla polemica per cui il lavoro irregolare sia quasi
tutto manovalanza criminale. Certamente questa esiste, ma non può assorbire molte altre
dimensioni di un fenomeno per sua natura pervasivo e sfuggente.
C’è il lavoro dei braccianti nell’agricoltura, c’è il lavoro nelle imprese etniche dei cinesi e di
altri, ma c’è anche un fenomeno molto più normale, che è il numero enorme di
collaboratrici domestiche non regolari che lavorano nelle famiglie italiane. Si verifica,
infatti, il paradosso che il lavoro domestico regolare di una donna italiana o straniera costa
più di 2 milioni al mese, vale a dire una cifra molto vicina allo stipendio medio che la
lavoratrice italiana guadagna andando a lavorare fuori casa. Nello stesso tempo molte
famiglie, anche di classe media, hanno la necessità di avere un aiuto domestico per via
dei bambini o degli anziani da assistere. Viene così a formarsi un enorme bacino di
15
domanda di lavoro che recluta domestiche irregolari per le quali un salario di 800.000 lire o
un milione al mese è considerato sufficiente, almeno in una prima fase di insediamento: si
riapre così informalmente quella forbice economica, oltre che di status sociale, che
consente di assorbire migliaia di donne nei servizi privati, con qualche analogia con il
mercato del lavoro nordamericano.
Quindi pensare che il lavoro irregolare sia un fenomeno sempre patologico, dal punto di
vista degli interessi della società ospitante, significa coltivare una versione molto rigida del
funzionamento del mercato del lavoro, perché il lavoro nero degli immigrati può essere,
invece, assai funzionale alle esigenze dell’economia e della società.
Un altro esempio di silenzioso utilizzo del lavoro irregolare degli stranieri è collegato con
quelle funzioni che vengono esternalizzate dalle imprese con l’obiettivo di risparmiare sui
costi per essere più competitive. Decentrando, esternalizzando, terziarizzando, a costi
sempre più bassi e con pochi controlli, si finisce non di rado con l’utilizzare lavoro
irregolare, italiano e straniero. Per esempio, le imprese di pulizia sono risultate in testa alla
classifica degli utilizzatori di immigrati irregolari, sulla base delle ispezioni INPS. Un
corollario paradossale consiste nel fatto che anche le istituzioni pubbliche per risanare i
loro conti hanno esternalizzato parecchi servizi dandoli in appalto al prezzo più basso
possibile. Non ho riscontri obiettivi, ma ritengo probabile che in questo sistema lavorino in
nero molti immigrati. Credo che l’efficienza delle imprese impegnate in una competizione
internazionale sempre più serrata e lo stesso risanamento dei conti pubblici che ci ha fatto
entrare in Europa, per una piccola parte, derivino anche dal lavoro in nero degli stranieri.
7. Frammenti di accoglienza: associazionismo volontario e solidarietà verso gli
immigrati
Come si è visto, per comprendere le dinamiche dell'inserimento degli immigrati nelle
società locali e nel mercato del lavoro non è possibile prescindere dal ruolo di
associazioni, gruppi, istituzioni sociali attive nelle società locali: quelle che ho in
precedenza definito "istituzioni facilitatrici". Giustamente è stata posta in rilievo la portata
delle forme di "integrazione dal basso" realizzate in questi anni in Italia (de Bernart, 1998:
363): "il valore ed il potenziale innovativo, sociale, civile ed umano, di questo associarsi (in
quanto processo prima ed oltre che prodotto) non è legato solo a ciò che passa tra i singoli
tra i singoli o al loro scopo comune (l'uno e l'altro necessariamente regolati anche secondo
criteri di legalità) quanto alla capacità di affrontare e risolvere i problemi che effettivamente
si presentano senza rinunciare ad 'associarsi per amore' anche in situazioni difficili, tra i
direttamente coinvolti e con altri, raccordandosi con le istituzioni e la vita della città nel suo
complesso senza perdere di vista l'orizzonte del più vasto mondo" (ibid.: 363-364).
Quantificare le dimensioni di questa mobilitazione è impresa ardua, sia per la labilità di
molti gruppi e iniziative, sia per le forme fluide e spesso parziali di partecipazione cui
danno luogo, sia per i limiti intrinseci ai tentativi di rilevazione. Con le cautele del caso, si
può ricordare che una rilevazione Ismu-Fondazione italiana per il volontariato ha censito
nel 1994 1.200 organismi impegnati in questo campo, con il coinvolgimento di oltre 40.000
persone.
Ho già accennato nell'Introduzione alle diverse attività, spesso informali e debolmente
strutturate, svolte da questi attori e capaci di influire, direttamente o indirettamente,
sull'insediamento sul territorio e sull'inserimento lavorativo degli immigrati. Sulla base della
modesta letteratura disponibile credo si possano evidenziare alcuni filoni di intervento:




sensibilizzazione della società locale, iniziative interculturali
attività di assistenza immediata: pasti, abiti, assistenza medica
accoglienza abitativa
pratiche di regolarizzazione, facilitazione nell'accesso ai servizi pubblici
16




corsi di lingua e cultura italiana
altre attività formative
raccordo tra offerta e domanda di lavoro
offerta di luoghi di aggregazione, sostegno all'associazionismo etnico.
Allo scopo di approfondire l’attività svolta dal terzo settore a sostegno degli immigrati, mi
sembra far riferimento alle tre classi di organizzazioni nonprofit identificate da Douglas: le
organizzazioni propriamente caritative, o di “cura” nei confronti di determinate categorie di
beneficiari; i gruppi di pressione; le organizzazioni di mutuo aiuto. Ponendo a confronto la
tipologia con il nostro oggetto di studio, possiamo agevolmente identificare i gruppi di
mutuo aiuto con le reti e l’associazionismo etnico, di cui tratteremo tra poco. L’attività di
cura può invece essere distinta in due categorie: quella prestata su base propriamente
volontaria, con un utilizzo esclusivo o quasi esclusivo di personale non retribuito e in
genere non specializzato; e quella invece svolta da organizzazioni strutturate che
utilizzano personale salariato e solitamente qualificato.
L'attività dell'associazionismo italiano può essere quindi distinta in almeno tre idealtipi, in
molti casi come sempre mescolati e intrecciati nelle esperienze concrete (lo stesso
Douglas avverte che la classificazione proposta è in qualche misura artificiale e arbitraria,
giacché le attività concretamente svolte sovente si intersecano o sconfinano da una
categoria all’altra): un primo tipo è quello del tradizionale associazionismo caritativo,
caratterizzato dall'aiuto diretto alle persone in difficoltà ; il secondo è invece definibile
come associazionismo rivendicativo, o di tutela dei diritti, attivo soprattutto sul fronte
dell'iniziativa politica e culturale, come la lotta al razzismo o la richiesta di cambiamenti
legislativi; infine va sottolineato l'emergere di quello che può essere definito
"associazionismo imprenditivo ", che tende a fornire servizi agli immigrati sulla base di
finanziamenti pubblici, normalmente erogati dalle istituzioni locali.
Il primo tipo è quello probabilmente più diffuso, anche se ricomprende al suo interno
esperienze diverse, più o meno organizzate: si va dalle parrocchie che offrono spazi alle
comunità straniere per le loro attività di incontro e aggregazione, organizzano corsi di
italiano con l'aiuto di insegnanti volontari, offrono cibo, abiti, pasti caldi, alle associazioni
locali che hanno realizzato, appoggiandosi ad istituzioni pubbliche o private, piccoli centri
di accoglienza, a iniziative come i "centri d'ascolto" delle Caritas parrocchiali o le mense
dei poveri che, sorte per venire incontro ai bisogni dei poveri italiani, sono sempre più
frequentate da un'utenza straniera in condizioni difficili. Nella gamma piuttosto ampia di
servizi offerti e di bisogni che cercano risposta, si possono distinguere attività di prima
assistenza, fruite dai nuovi arrivati e dagli immigrati che non riescono ad inserirsi nel
mercato del lavoro, da attività che hanno direttamente o indirettamente effetti
promozionali, nel senso del sostegno e dell'accompagnamento dell'inserimento lavorativo:
sono di questa natura, per esempio, i servizi di collegamento tra domanda e offerta di
lavoro forniti a livello del tutto informale da parrocchie e istituti religiosi che in città
rappresentano i punti d'appoggio per le comunità straniere di religione cattolica; oppure i
centri che, soprattutto in provincia, hanno offerto possibilità di alloggio ad immigrati che
altrimenti non avrebbero potuto accedere al lavoro.
Nel secondo tipo rientrano le iniziative anti-razziste e di rivendicazione politica. Spesso
collegate od ispirate ai partiti della sinistra e alle organizzazioni sindacali, hanno svolto un
ruolo attivo soprattutto nella spinta all'innovazione legislativa, culminata nelle tre leggi di
regolarizzazione. Rispetto all'inserimento lavorativo, se restano alla forma pura di
organismi di advocacy, il loro contributo è soprattutto quello rivolto alla difesa degli
immigrati che subiscono trattamenti ingiusti e discriminatori, e più in generale di tutela
della reputazione degli immigrati rispettosi delle leggi e desiderosi di integrarsi, quando
17
episodi anche clamorosi di devianza suscitano nella popolazione nativa sentimenti
xenofobi, facilmente alimentati e sfruttati da forze politiche che se ne fanno interpreti.
Iniziative sorte dal primo e dal secondo filone tendono con il tempo a trasformarsi in un
associazionismo del terzo tipo: quello che fornisce servizi con una logica più
professionale, di "impresa sociale", che assume solitamente la figura giuridica della
cooperativa. Rientrano in questa categoria i soggetti che gestiscono molti dei centri di
accoglienza tuttora aperti, e sempre più anche iniziative che possono essere ricondotte
alla "seconda accoglienza" (servizi informativi, sostegno all'inserimento scolastico dei figli
di immigrati, iniziative interculturali, formazione degli operatori, ecc.) o alla risposta alle
esigenze di segmenti particolari della popolazione immigrata: rifugiati, donne con bambini,
vittime di abusi, ecc. Determinante diventa in questi casi il rapporto tra iniziativa privata e
finanziamenti pubblici, accordati peraltro in una logica volontaristica: iniziative promettenti
e bene impostate possono essere compromesse da un cambiamento di maggioranza, o
da una stretta finanziaria che provoca la sospensione dei finanziamenti. Pur se all'interno
di questi vincoli, va sottolineato che i servizi agli immigrati producono un certo numero di
posti di lavoro per operatori italiani.
Esistono naturalmente istituzioni facilitatrici più complesse, che presentano elementi di tutti
e tre i tipi evidenziati, combinando servizi diretti e azione politica. Un caso tipico è la
Caritas. A Milano, e probabilmente questo vale anche in molte altre realtà, l'organismo di
promozione e coordinamento delle attività caritative cattoliche è anzitutto propulsore di
forme di associazionismo caritativo, come i centri di ascolto parrocchiali. Assume in
secondo luogo compiti di advocacy, in collegamento con altre associazioni e forze sociali,
nei confronti soprattutto delle istituzioni locali. Infine, attraverso associazioni e cooperative
collegate, promuove esperienze di associazionismo imprenditivo che gestiscono diversi
servizi per gli immigrati, che vanno dall'accoglienza dei rifugiati, alla protezione delle
vittime della prostituzione coatta, alla consulenza educativa per l'inserimento scolastico
delle seconde generazioni
Un punto debole dell'esperienza italiana sembra invece tuttora quello della partecipazione
degli stranieri. Quasi sempre si tratta di servizi per gli immigrati, in cui i diretti interessati
non svolgono in genere ruoli attivi di qualche importanza. Fanno parzialmente eccezione
le esperienze di associazionismo rivendicativo, in cui alcune élites straniere istruite si sono
inserite (per es., ex-studenti in Italia, rifugiati da regimi oppressivi dell'America latina),
anche grazie a legami politici preesistenti.
Nella quarta colonna dello schema viene pertanto richiamato il fenomeno
dell'associazionismo immigrato, che può essere considerato un tipico esempio di mutuo
aiuto. Nella letteratura internazionale, da tempo le associazioni a base etnica vengono
viste come un importante componente dell’offerta di servizi sociali agli immigrati: si tratta di
un tipo particolare di associazioni volontarie, basate sue legami affettivi, e insieme di un
tipo speciale di gruppi di auto-aiuto, in ragione dei degli interessi comuni che li
caratterizzano (Jenkins, 1998: 9-10, con riferimento alla definizione di etnicità secondo
Bell, 1975: un concetto che combina un interesse con un legame affettivo).
Occorre però rilevare un forte scarto tra associazionismo formale e reti informali a base
etnico-nazionale. L'associazionismo formale rappresenta un fenomeno diffuso, ma molto
fragile e soggetto ad un elevato turn-over. Nelle nostre ricerche è capitato spesso di
scoprire che molte associazioni che comparivano in elenchi e indirizzari erano chiuse o di
fatto inoperanti. La carenza di risorse, che difficilmente consente di disporre di personale
dedicato, insieme alla giovane età e alla difficile integrazione sociale dell'immigrazione
italiana (basti pensare alla questione abitativa) non offre le condizioni favorevoli alla
formazione di un tessuto associativo straniero sufficientemente stabile e organizzato, e
tanto meno forme di convenzionamento con le istituzioni pubbliche per la fornitura di
servizi alla popolazione immigrata.
18
Le reti etniche sono invece indubbiamente molto vitali, anche se alquanto differenziate a
seconda dei gruppi nazionali, e spesso capaci, come abbiamo rilevato, di sostenere in vari
modi l'inserimento sociale e lavorativo dei loro membri. La loro attività si svolge però in
larga parte nell'informalità, è sovente condizionata da problemi di scala (gruppi troppo
piccoli e a volte anche quelli troppo grandi non riescono a dar vita a reti consistenti) e dai
cleavages etnico-nazionali o religiosi; risente non di rado della defezione degli immigrati
che raggiungono un certo successo e non intendono farsi carico dei connazionali che
versano in condizioni difficili; non riesce a sostenere le fasce più deboli e marginali;
manifesta sovente tendenze particolaristiche: le azioni di sostegno o la trasmissione di
informazioni "utili" possono essere indirizzate non ai connazionali in generale, ma ai
membri del clan familiare o derivante dalla comune provenienza da una determinata città,
quartiere, villaggio, raggruppamento etnico. Ovviamente la leadership e le gerarchie
interne non sono sottoposte a procedimenti democratici e a verifiche trasparenti. I leader
di comunità si legittimano soprattutto per le attitudini personali di relazione con agenzie e
istituzioni autoctone, più che per un'effettiva capacità di rappresentare le istanze dei
connazionali, né tanto meno per un qualche tipo di investitura minimamente formalizzata.
Come osserva Zanfrini (1997: 152) sintetizzando i risultati delle indagini disponibili,
"sembra comunque trattarsi di tipologie di leadership associate ad aggregazioni di tipo
informale, finalizzate al perseguimento di bisogni primari e che si attivano in base a
necessità personali, sfruttando la capacità relazionale individuale più che il fatto di essere
portavoce del gruppo di appartenenza, e che agiscono senza aspettative di miglioramento
dell'offerta istituzionale".
Tutto questo rende le reti etniche informali poco adatte a rientrare nei canoni richiesti per
partecipare a istanze concertative a livello locale, o a essere individuate come attori semiistituzionali a cui affidare compiti di raccordo ed erogazione di servizi nei confronti degli
immigrati. Si verifica pertanto, nell'esperienza italiana attuale, un visibile scollamento tra
vitalità semi-sommersa di molte reti etniche e fragilità dell'associazionismo visibile e
riconosciuto.
TAB.11
L'ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO PER GLI IMMIGRATI
Associazionism associazionism associazionism reti etniche
o caritativo
o rivendicativo o imprenditivo
(di advocacy)
ATTIVITÀ
PREVALENTE
Interventi
immediati per le
necessità primarie
(cibo, vestiario,
posto-letto)
Pressione politica,
sensibilizzazione
della popolazione
italiana
TARGET DEI
DESTINATARI
Immigrati in
immigrati in
situazione di grave generale; vittime
emarginazione
di razzismo e
discriminazione
Gestione di centri
di accoglienza o
servizi su
finanziamenti
pubblici
immigrati regolari,
lavoratori,
categorie
specifiche (es.,
rifugiati, madri con
bambini)
Diffusione
informazioni;
orientamento;
sponsorhip per
l'accesso al
lavoro;
Sostegno in caso
di difficoltà
connazionali o
membri di reti più
ristrette (clan)
19
ATTORI IN
CONTATTO
Singoli volontari,
altre istituzioni
benefiche
COINVOLGIMENTO
DEGLI IMMIGRATI
Solitamente molto
modesto
forze politiche,
sindacati,
associazioni di
immigrati
attivo da parte di
élites istruite e
politicizzate
istituzioni locali,
altri centri di
servizi
limitato a compiti
operativi, con
eccezioni
istituzioni
facilitatrici italiane;
datori di lavoro;
uffici stranieri
nella forma
dell'auto-aiuto, con
l'emergere di
mediatori e
leaders informali
Un'altra serie di riflessioni riguarda la capacità delle esperienze associative di costruire o
partecipare a reti allargate di sostegno all'integrazione sociale e lavorativa degli immigrati.
Non sembra si possa affermare a priori che esiste un tipo di associazionismo più orientato
al networking di altri. La capacità di costruire reti appare pertanto un fattore trasversale
alle diverse forme di associazionismo, che andrebbe eventualmente approfondito con
indagini specifiche. Piccole esperienze locali di volontariato possono avere un'elevata
propensione a coinvolgere una serie di istituzioni pubbliche e private, mentre forme di
associazionismo imprenditivo che si assicurano la fornitura di servizi di cospicuo valore
economico possono gestirli in maniera puntuale ma isolata da un contesto più ampio di
iniziative per l'integrazione degli immigrati. Si può però ipotizzare che l'associazionismo
caritativo tenda a collegarsi soprattutto con altre istituzioni, pubbliche e private, che
possano fornire risposte puntuali a bisogni specifici. L'associazionismo rivendicativo
appare orientato soprattutto a stabilire legami con forze politiche e sociali in grado di
sostenere battaglie istituzionali o di opinione per la cittadinanza degli immigrati, il
riconoscimento di diritti negati, la lotta a forme di intolleranza, xenofobia, razzismo.
L'associazionismo imprenditivo si presenta come il caso più variegato e controverso. Si
può, infatti, andare dalla gestione di servizi in una logica quasi-aziendale, senza
particolare impegno a stabilire legami con altri soggetti operanti nel settore, ad una
partecipazione semi-istituzionalizzata a consulte, coordinamenti, reti di vario genere,
favorita dalla dotazione di personale dedicato e professionalizzato.
Ancora diverso è il caso delle reti etniche, per le quali non è facile operare
generalizzazioni, data la varietà delle forme in cui si presentano e il diverso grado di
strutturazione, ampiezza ed efficacia che manifestano. Il loro orientamento all'auto-aiuto
tende a produrre un'enfasi sulla solidarietà interna, eventualmente in contrapposizione
all'ostilità della società esterna, e spesso in competizione con altri gruppi etnico-nazionali.
Le modalità di costruzione e radicamento delle reti etniche nell'esperienza italiana induce
però a sottolineare il ruolo di sostegno, per esempio logistico, svolto in parecchi casi da
varie istituzioni facilitatrici italiane; e anche le attività informali di sponsorizzazione e aiuto
all'inserimento che le reti assicurano sono favorite dai rapporti con elementi della società
autoctona, secondo le modalità che abbiamo già avuto modo di illustrare. Non essendosi
prodotte nell'esperienza italiana, tranne forse e comunque parzialmente per alcuni
insediamenti cinesi, quelle enclaves etniche che hanno raggiunto un'elevata "completezza
istituzionale" e forniscono al loro interno una vasta gamma di servizi ai membri, la
comunicazione e lo scambio con la società ospitante sono risorse strategiche per
agevolare l'inserimento dei connazionali. Anche i "mediatori" e i catalizzatori di
informazioni che in molte esperienze locali sono emersi e hanno a volte acquisito un ruolo
riconosciuto anche dal punto di vista professionale, sono tali proprio per la loro capacità di
raccordo con la società autoctona.
Una recente ricerca sull’associazionismo etnico a Milano (Boccacin, 1998), stima in 17-20
le organizzazioni effettivamente promosse da stranieri, a fronte di un centinaio che si
occupano di immigrati ma sono promosse e sostenute da italiani, e conferma la difficoltà di
20
identificare una mappa reale dell’associazionismo immigrato, endemicamente fragile e in
continuo mutamento, per ragioni tra cui vengono richiamate soprattutto le vicissitudini
personali dei promotori. Le dieci associazioni studiate si caratterizzano comunque per
un’apertura inter-etnica e per una sottolineatura delle relazioni con la società ospitante. Si
può presumere che le attività di mutuo aiuto e di tutela del gruppo di appartenenza in
competizione con altri, tipiche delle reti etniche, siano svolte maggiormente a livello
informale, e non attraverso i canali formali dell’associazionismo.
TAB.12. L'ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO PER GLI IMMIGRATI E LE SUE RETI
associazionism associazionism associazionism reti etniche
o caritativo
o rivendicativo o imprenditivo
(di advocacy)
RETI DEBOLI
Volontariato
isolato
Iniziative singole
di denuncia
RETI PARZIALI
Collegamenti
situazionali,
attivati in risposta
a specifiche
esigenze
RETI SVILUPPATE
lavoro di rete con
altre agenzie,
pubbliche e di
terzo settore
legami personali
ed occasionali,
iniziative
congiunte (per es.
manifestazioni
anti-razziste)
Capacità di
mobilitazione,
influenza su attori
politici e istituzioni
pubbliche, azione
di lobbying
Semplice gestione rapporti sporadici
di un servizio
e legati a esigenze
particolari con
istituzioni
facilitatrici
Collaborazione
rapporti
con altri servizi
consolidati per
pubblici e di terzo l'organizzazione di
settore in ambito
attività,
locale
eventualmente in
forma congiunta
Partecipazione a
partecipazione
reti locali
istituzionale (in
strutturate,
forma associativa)
concertazione di
a istanze locali
interventi con
dedicate
poteri pubblici e
all'immigrazione
attori sociali
Termino con un’altra citazione. E’ di un intellettuale tedesco, Enzensberger, che
parlando del minimo di civiltà che il mondo occidentale ha raggiunto, afferma: “Nella storia
dell’umanità questo minimo è stato raggiunto solo eccezionalmente e in maniera
provvisoria. E’ fragile e facilmente vulnerabile. Chi lo vuole proteggere da contestazioni
esterne, si trova di fronte ad un dilemma: quanto più tenacemente una civiltà si difende da
una minaccia esterna, quanto più si chiude in se stessa, tanto meno alla fine ha da
difendere”.
Siamo quindi provocati a far girare la ruota della storia nella direzione giusta. Per
difendere e qualificare quel minimo di civiltà che il nostro mondo ha saputo costruire,
dobbiamo essere capaci di allargare i paletti della tenda per includere altri popoli, altre
persone, altri fratelli, dentro la tenda dei diritti di cittadinanza e di civiltà.
Bibliografia
M.AMBROSINI, Convenienze nascoste. L’inserimento degli immigrati nell’economia informale, in
“Studi di sociologia”, a.XXXVI, n.3, luglio-settembre 1998, pp.233-257.
21
M.AMBROSINI, Utili invasori. L’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano,
F.Angeli-Ismu, Milano 1999.
M.AMBROSINI, R.LODIGIANI, S.ZANDRINI, L'integrazione subalterna. Peruviani, eritrei e filippini
nel mercato del lavoro milanese, Quaderni ISMU, n.3, 1995.
M.AMBROSINI, A.DE BERNARDIS, Stranieri e centri d'ascolto. Rapporto di ricerca, Caritas
ambrosiana, Milano 1998 (datt.).
F.BAPTISTE, E.ZUCCHETTI, L'imprenditorialità immigrata nell'area milanese. Una ricerca pilota,
"Quaderni ISMU", n.4/1994.
M.BARBAGLI, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 1998.
A.BASTENIER, L'immigrazione nel quotidiano: la funzione sociale della diceria, in "Prospettiva
sindacale", n.79-80, 1991.
A.COBALTI, A.SCHIZZEROTTO, La mobilità sociale in italia, F.Angeli, Milano 1994.
H.M.ENZENSBERGER, La grande migrazione, trad.it. Einaudi, Torino 1993.
G.MOTTURA, P.PINTO, Immigrazione e cambiamento sociale. Strategie sindacali e lavoro
straniero in Italia, Ediesse, Roma 1996.
S.PALIDDA, L’intégration des immigrés dans les villes: le cas italien, rapporto realizzato per conto
dell’OCDE, Parigi 1996.
A.PORTES (ed.), The economic sociology of immigration, Russel Sage Foundation, New York
1995.
A.PORTES, The two meanings of social capital, in “Sociological Forum”, vol.15, n.1, 2000, pp.112.
A.PORTES., L.JENSEN, The Enclave and the Entrants: Patterns of Ethnic Enterprise in Miami
Before and After Mariel, in American Sociological Review, vol.54, dicembre 1989.
B.R.ROBERTS (1995), Socially expected durations and the economic adjustment of immigrants, in
A.PORTES (ed.), The economic sociology of immigration, cit., pp 42-86.
A.VENTURINI, C.VILLOSIO, Foreign workers in Italy: are they assimilating to natives? Are they
competing against natives? An analysis by the SSA data set, in "Quaderni del Dipartimento di
Scienze economiche dell'Università di Bergamo", n.3, 1998.
M.WALZER,. Sfere di giustizia, trad it. Feltrinelli, Milano 1987.
L.ZANFRINI, Leggere le migrazioni. I risultati della ricerca empirica, le categorie interpretative, i
problemi aperti, F.Angeli-Ismu, Milano 1998.
L.ZANFRINI, La discriminazione nel mercato del lavoro, in FONDAZIONE CARIPLO-ISMU, Quinto
rapporto sulle migrazioni – 1999, F.Angeli, Milano 2000.
22
Secondo incontro
17 novembre 2001
Immigrazione in Italia: normative e procedure
Intervento di don Riccardo Festa
Gli stranieri interpellano la Chiesa
In tutti gli interventi, nel momento di dibattito, è apparsa chiara l’attenzione ai significati
ecclesiali dell’accoglienza degli stranieri. La sottolineatura è positiva e merita di essere
ancora meglio rimarcata. Non si tratta solo di una questione sociale da risolvere; non si
tratta solo di un interesse della Chiesa che vuole collaborare nella soluzione delle tensioni
sociali; a livello ecclesiale, l’interesse per gli stranieri è, invece, significativo in una
prospettiva più ampia che tocca l’identità della Chiesa nel nostro contesto.
Ogni questione sociale interpella la Chiesa in quanto tale; la Chiesa è, infatti, attenta ad
ogni persona umana e sa che il Signore parla alla Chiesa attraverso ogni persona umana.
La Chiesa ha una missione da compiere e questa missione ha un punto di partenza che è
la Pasqua di Gesù e un percorso che è dato dall’incontro con le persone che attendono
l’annuncio del vangelo, in attesa del compimento di tutto con il giorno del ritorno del
Signore. In questo tempo di pellegrinaggio la Chiesa cerca ogni giorno i segni che la
guidino nel suo cammino. E’ un popolo in cammino.
L’arrivo di persone straniere è per una comunità segno di una novità attraverso la quale il
Signore interpella la comunità stessa; è una chiamata e un compito che aiuta la Chiesa a
capire la sua stessa identità e la tappa nuova del cammino che il Signore le chiede. La
Chiesa si struttura in vista della missione di annunciare il vangelo ad ogni persona e se tra
le persone ci sono degli stranieri la Chiesa sa che deve darsi una identità adatta a questo
compito.
In un intervento al momento del dibattito si concludeva con l’osservazione che
l’integrazione riguarda anche noi: non solo gli stranieri devono integrarsi, ma anche noi
dobbiamo integrarci nella situazione nuova che si è creata. Quindi anche noi dobbiamo
cambiare.
Sì, è così. Ma cambiare non significa che dobbiamo rinunciare a qualche cosa che ci è
caro per poter condividere gli spazi con altri nuovi arrivati. L’arrivo di una persona nuova,
dal punto di vista della fede, non può significare che è arrivato un problema in più o che è
23
stato portato via spazio agli altri; una persona nuova è una risorsa in più (aspetto
quantitativo) che apre nuove possibilità ed è una parola nuova (aspetto qualitativo)
attraverso la quale il Signore guida la sua Chiesa. La presenza di persone nuove deve
essere letta come una chiamata a fare cose nuove e come una condizione nuova che ci
viene donata per immaginare scelte che finora non erano state considerate perché
sembravano impossibili. D’altra parte se nella nostra Chiesa ci sono cose care che non
vorremmo perdere, ci sono anche tanti limiti che vorremmo superare: questa può essere
un’occasione buona.
La Chiesa, quindi, si occupa degli stranieri non come un generico atto di generosità, con il
quale si fa carico di evitare alcuni problemi sociali, ma con lo slancio di chi intuisce una
novità che, nelle tribolazioni che porta con sé, è piena di promesse. La Chiesa, gli stranieri
che arrivano, li accoglie con interesse.
Accogliere con un progetto
La relazione ascoltata rilevava come la qualità dell’accoglienza determini la qualità
dell’immigrazione: in situazioni diverse gli immigrati si integrano in modo diverso nel
contesto comunitario e promuovono nuovi arrivi coerenti con le forme di integrazioni
trovate. E’ importante prendere coscienza del fenomeno. Un Centro di ascolto deve
chiedersi con quali attese accoglie gli immigrati e se queste attese sono diventate un
progetto consapevole e dichiarabile.
Richiamiamo, infine, l’osservazione secondo cui la promozione sociale degli immigrati
favorisce la stima nella pubblica considerazione. Il Centro di ascolto, in accordo con le
Caritas parrocchiali può, quindi, non solo ascoltare i problemi degli immigrati, ma porre
loro nuovi obiettivi di integrazione, suggerendo percorsi formativi ed altre esperienze utili,
in vista dell’arricchimento culturale e della promozione sociale.
24
Intervento di Monica Molteni
Leggi sull’immigrazione in Italia
 943/86 Legge settoriale che disciplina l’inserimento lavorativo dello straniero
 39/90 (legge Martelli) Legge quadro, che tenta di disciplinare tutti gli aspetti della vita
dello straniero.
 40/98 (in vigore dal 27/3/98) normativa ad oggi in vigore, si riferisce a stranieri 1
extracomunitari (non ai cittadini CE, non ai richiedenti asilo, non a coloro che hanno
doppia nazionalità di cui una europea).
Testo Unico: Decreto Legislativo (D.L. 25/7/98, n. 286) che raccoglie sia la legge 40, sia
alcuni articoli di precedenti leggi ancora in vigore.
TU art.2 Diritti e doveri: vengono riconosciuti i diritti fondamentali della persona
 dir. alla vita,
 dir. ad un processo equo,
 dir. di matrimonio (anche in caso di clandestinità, ma non regolarizza la persona sul
territorio)
 dir. a richiedere documenti presso le strutture preposte (consolati per passaporti,
nullaosta, traduzione ufficiale dei medesimi),
 dir. di prendere contatto con autorità del proprio paese d’origine,
 dir. al ricovero ospedaliero urgente (tutela della vita) e a cure essenziali (cure salvavita
o per evitare cronicizzazioni),
 dir. all’iscrizione scolastica per i minori,
 dir. a certificati di morte,
 dir. ad attività ricreative temporanee e abbonamenti (vedi decreto),
solo per coloro che hanno un permesso di soggiorno di lunga durata
 dir. ad autocertificazione,
 dir. al lavoro/casa,
 dir. assistenza sanitaria,
 dir. alla vita pubblica,
 tutela di dir. ed interessi legittimi (servizi pubblici),
Regolamento di attuazione: Decreto del Presidente della Repubblica (31/8/99, n.394),
attua il T.U.
25
Documento programmatico: (Art.3 TU) ogni tre anni viene emanato un documento
approvato dal Governo e trasmesso al Parlamento, in cui si indicano le azioni governativi,
le misure economico - sociali, i criteri per la definizione dei flussi di ingresso e gli interventi
pubblici volti ad un inserimento positivo della persona nella società.
Decreto flussi: (art.3 TU) Decreto del Presidente dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e
le commissioni, definisce le quote massime di ingresso sul territorio per lavoro stagionale,
subordinato e autonomo, tenuto conto di ricongiungimenti famigliari e di eventi eccezionali
(art.20 TU). In caso di mancata pubblicazione, vale il decreto dell’anno precedente!
Regioni, Provincie, comuni ed enti locali sono chiamati ad adottare provvedimenti che
rimuovano gli impedimenti al pieno riconoscimento dei dir. ed interessi riconosciuti allo
straniero (alloggio, lingua, integrazione sociale…).
Consigli territoriali per l’immigrazione: (art.3 TU) su decreto del Presidente dei Ministri, con
il Ministro dell’Interno, si costituiscono i Consigli territoriali, che hanno il compito di
analizzare le esigenze sul territorio e promuovere gli interventi locali. Nei consigli ci sono
rappresentanti competenti di amministrazioni locali governative, Regione, enti locali, enti e
associazioni attivi nel territorio, organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro.
L’ingresso nel territorio dello Stato
Documenti necessari:
 passaporto valido o documento equipollente2,
 luogo di destinazione,
 motivo e durata del soggiorno,
 visto di ingresso, rilasciato dalle autorità diplomatiche o consolari italiane presenti nel
paese di origine (vedi decreto Ministero degli affari esteri 12/7/2000 con modalità e tipi
di visto), previa indicazione del luogo (documentato), motivo (documentato), durata del
soggiorno, mezzi di trasporto utilizzati e mezzi di sostentamento per la durata del
soggiorno >(www.stranieritalia.it ; www.anolf.it aggiornato con tutte le circolari dal 98).
1
In questo documento, per tanto, con stranieri si intendono i cittadini extracomunitari.
2
Documento di viaggio per apolidi, per rifugiati o per stranieri, Libretto di navigazione, Documento di navigazione aerea, Lascia
passare delle Nazioni Unite, Lascia passare o tessera di frontiera…per maggiori informazioni consultare il sito
www.stranieriinitalia.com/leggi/minister1.htlm.
26
Il visto dà solo l’ingresso nel territorio, definendo l’arco di validità del medesimo e il periodo
di tempo di validità del visto dall’ingresso nel territorio (es. un visto può valere 1 anno dalla
data di emissione, ma consentire un soggiorno di pochi giorni).
Il visto non regolarizza la posizione dello straniero che resta in Italia oltre 1 settimana. Egli,
infatti, deve presentarsi alla questura della provincia in cui intende soggiornare entro 8gg.
lavorativi dal suo ingresso, al fine di ottenere il permesso di soggiorno.

Il visto è rilasciato in assenza di cause ostative.

Il visto viene rilasciato anche per le persone al carico del richiedente.
Il visto indica il motivo per cui viene concesso l’ingresso e la durata massima del
soggiorno definita da due categorie:
Visto di breve durata o di Schengen Uniformi (V.S.U), durata massima 90 gg., detti di tipo
C.
Per il suo rilascio sono necessari e seguenti requisiti:
-
il possesso dei soldi necessari per il viaggio di andata e ritorno;
-
mezzi di sussistenza per il soggiorno3;
-
assicurazione medica privata del paese di origine o iscrizione volontaria a quella
italiana.
E’ rilasciato per motivi di:
turismo, affari, sport, invito, missione, motivi religiosi, trasporto, vacanze-lavoro4.
Attenzione: tale visto non consente di ottenere un permesso di soggiorno di durata
superiore a 90 gg! E non è convertibile in visto per lavoro!
Visto di lunga durata o nazionale (V.N.), dura da 1 a 2 anni, rinnovabile per un numero di
volte illimitato e con una durata non superiore al doppio di quella stabilita dal primo
rilascio5. E’ contrassegnato con la lettera D. Questo visto consente di risiedere nel paese
corrispondente all’ambasciata che lo ha emesso, ma dà mobilità nel territorio CE6.
E’ rilasciato per motivi di:
-
lavoro autonomo,
-
lavoro stagionale dipendente,
-
lavoro dipendente con contratto a tempo determinato o indeterminato,
-
reingresso,
3
L’onere del mantenimento può anche essere assolto presentando le garanzie necessarie da parte di un terzo (cittadino
italiano, straniero, ente pubblico o privato).
4
Visti brevi per transito aeroportuale, definiti di tipo A, validi solo negli aeroporti e usati normalmente per voli in coincidenza; visti
di massimo 5 giorni, tipo B, per transito sul territorio.
5
Ciò significa che un permesso di soggiorno potrà essere rinnovato un massimo di 4 anni per volta.
6
Tuttavia la persona che soggiorni oltre i 60gg. ed entro i 90gg. in un altro paese della CE, deve denunciare la
propria presenza alle autorità competenti in loco, entro 8gg dal proprio ingresso.
27
-
residenza elettiva,
-
ricongiungimento famigliare,
-
missione,
-
affari diplomatici.
Permanenza nel territorio dello Stato
Un cittadino straniero che abbia tutti i documenti in regola per l’ingresso in Italia e possa
soggiornarvi per un periodo maggiore ai 7gg. lavorativi, è tenuto obbligatoriamente a fare
domanda di Permesso di Soggiorno alla Questura della Provincia ove intende avere
dimora o domicilio 7.
Attenzione: Il Permesso di Soggiorno è legato alle ragioni, al tipo e alla durata del visto.
Il Permesso di Soggiorno deve essere esibito ad ogni richiesta di controllo di un pubblico
ufficiale.
Documenti necessari:
 passaporto e visto validi con fotocopia di entrambe,
 4 fotografie,
 marca da bollo da £ 20.000,
 il modulo 209 dato dalla questura.
Inoltre può essere richiesta documentazione atta a dimostrare:
 necessità di soggiornare per il tempo richiesto (es. contratto di lavoro o dichiarazione
del datore di lavoro, iscrizione scolastica…)
 disponibilità di mezzi finanziari di sussistenza durante il soggiorno per sé e per le
persone a carico (es. fideiussione bancaria, busta paga…)
 disponibilità di un alloggio idoneo (certificato di idoneità alloggiativa rilasciato
gratuitamente dai Comuni o a pagamento dalle ASL),.
Il Permesso di Soggiorno va richiesto almeno 30gg. prima della scadenza di quello in
corso (fino a 60gg. dopo) e la Questura sarebbe tenuta a rilasciarlo entro 20 gg.!
Attenzione: In caso di iscrizione alle liste di collocamento fino ad 1 anno, non vi è revoca
del permesso!
Assistenza sanitaria: l’iscrizione all’assistenza sanitaria pubblica
 è obbligatoria per i titolari di permessi di soggiorno per lavoro dipendente e autonomo o
iscritti alle liste di collocamento, per affidamento e per i famigliari a carico,
7
Ovvero: ogni cittadino straniero è tenuto a presentarsi alla questura entro e non oltre gli 8gg. lavorativi dal suo
ingresso (dalla data stampata sul visto) per la richiesta del permesso di soggiorno.
28
 è volontaria per coloro che soggiornino in Italia per un periodo di tre mesi, per gli
studenti o i lavoratori alla pari, e corrisponde ad un contributo forfetario annuo (circa
£750.000),
 a chiunque lo Stato garantisce le cure urgenti (salvavita) ed essenziali (che evitino
patologie o cronicizzazioni) ed è garantito:
 tutela sociale della gravidanza e della maternità,
 tutela della salute del minore,
 vaccinazioni,
 profilassi internazionale,
 profilassi, diagnosi e cura di malattie infettive.
Per coloro che entrano in Italia con un visto della durata non superiore ai 90gg., vi è la
necessità di stipulare una polizza assicurativa privata.
Carta di Soggiorno:
E’ un documento che sostituisce il permesso di soggiorno, ogni 5 anni può essere vidimata
e ha la validità di 10 anni.
Per ottenerla lo straniero deve dimostrare:
 di essere in possesso del permesso di soggiorno che consenta un numero illimitato di
rinnovi,
 di essere presente sul territorio italiano regolarmente da almeno 5 anni,
 di avere un reddito sufficiente per sé e per le persone a carico,
 di avere lavorato ininterrottamente da 5 anni.
Modalità di regolarizzazione: (art.19 T.U.: casi di non espulsione per gli stranieri sprovvisti
di permesso di soggiorno)
 i minori stranieri non accompagnati ottengono un permesso di soggiorno per minore
età,
 gli stranieri con parenti entro il 4° grado di cittadinanza italiana (coniuge, zio, nonno,
fratello, genitore) ottengono un permesso di soggiorno per motivi famigliari,
 permesso di soggiorno turistico convertibile in coesione famigliare entro 1 anno dalla
scadenza del permesso di soggiorno,
 le donne in gravidanza e i mariti conviventi ottengono un permesso di soggiorno per
cure mediche, rinnovabile fino al 6° mese di vita del neonato a cui provvedono,
 genitore naturale di cittadino minore italiano può ottenere il permesso di soggiorno per
motivi famigliari,
29
 clandestino con parenti che siano stati riconosciuti in Italia come rifugiati (coniuge, figlio
minore, genitore al carico, parenti fino al 3° grado invalidi al lavoro) ottiene il permesso
per coesione famigliare,
 (art.39 comma7 Reg. d’attuazione) possibilità di convertire il permesso di soggiorno
che non consente attività lavorativa in permesso per lavoro autonomo.
Ricongiungimento famigliare:
Può essere esercitato dai seguenti soggetti attivi:
 cittadino italiano,
 cittadino di un paese della CE,
 straniero regolarmente soggiornante in Italia e in possesso di uno dei seguenti
documenti:
 carta di soggiorno,
 permesso di soggiorno della durata minima di 1 anno per lavoro subordinato e
autonomo, studio, asilo, motivi religiosi.
I soggetti passivi del diritto a mantenere o ristabilire il diritto all’unità famigliare:
 coniuge non separato legalmente,
 figli minorenni al carico,
 minori legalmente adottati o affidati,
 genitori a carico,
 parenti a carico, inabili al lavoro entro il 3° grado.
La bozza del decreto flussi per il 2002 non è ancora stata presentata e quindi non si
conoscono le cifre relative agli ingressi per lavoro e per inserimento nel mercato del
lavoro.
a. Qui a seguito si presentano i percorsi di ingresso per lavoro e ricerca lavoro che
potrebbero essere modificati a seguito dell’eventuale approvazione del nuovo ddl
sull’immigrazione.
Ricordiamo che non è possibile in nessun caso ottenere un permesso di soggiorno per
lavoro se non si è presenti in Italia in maniera regolare nonostante si possa aver trovato un
datore di lavoro disponibile ad assumere.
Infatti non è mai consentita la regolarizzazione in Italia dei un cittadino straniero, presente
su territorio italiano in maniera “clandestina” o “non regolare”, anche là dove abbia trovato
un datore di lavoro disponibile ad assumerlo: È SEMPRE NECESSARIO CHE LO
STRANIERO RIENTRI NEL PROPRIO PAESE D’ORIGINE.
30
Se si dovesse accertare che lo straniero, prima o durante la presentazione della domanda
di ingresso regolare, si trovava in Italia, sono annullati d’ufficio l’autorizzazione al lavoro, il
visto di ingresso e il permesso di soggiorno stesso!
1. INGRESSO PER LAVORO SUBORDINATO
Per quanto riguarda le procedure di ingresso per lavoro subordinato, a tempo determinato
o indeterminato, su chiamata nominativa, è necessario che il datore di lavoro italiano o
straniero regolarmente soggiornante, residente in Italia, segua la procedura qui a seguito:

Inviare una proposta di lavoro allo straniero residente all’estero affinché la firmi e quindi
la rispedisca in Italia così che valga come contratto di lavoro.

Chiedere alla Direzione Provinciale del Lavoro, competente per il territorio in cui si
svolgerà il lavoro, il rilascio dell’apposita autorizzazione al lavoro. Generalmente la
domanda che il datore di lavoro deve presentare deve contenere le seguenti
informazioni:
-
le complete generalità del titolare o del legale rappresentante dell’impresa; per il
lavoro a domicilio le generalità del datore di lavoro;
-
le complete generalità del lavoratore straniero;
-
l’impegno di assicurare allo straniero il trattamento retributivo e assicurativo previsto
dai contratti collettivi applicabili e dalle leggi vigenti;
-
la sede dell’impresa o del luogo in cui prevalentemente sarà svolta l’attività
lavorativa;
-
l’indicazione
dell’ubicazione
dell’alloggio
idoneo
da
comprovare
mediante
autocertificazione. Se lo straniero alloggiasse in alberghi o pensioni o se fosse
ospite del titolare dell’alloggio, occorre allegare alla domanda una dichiarazione del
titolare stesso.
Alla richiesta di autorizzazione al lavoro devono essere allegati:
-
il certificato di iscrizione dell’impresa alla Camera di Commercio, industria o
artigianato, munito della dicitura antimafia (nei casi in cui il lavoro riguardi l’attività di
impresa);
-
copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero residente all’estero, alla sola
condizione dell’effettivo rilascio del permesso di soggiorno;
-
copia della documentazione prodotta dal datore di lavoro ai fini fiscali attestante la
sua capacità economica.
-
La Direzione Provinciale del lavoro di Milano richiede un’autocertificazione
comprovante che il dichiarante sia titolare o legale rappresentante della ditta.
31
La Direzione Provinciale del Lavoro di Milano è in Via Lepetit, 8 al IV piano, Ufficio
Stranieri; quella di Lecco si trova a Como in v.le Masia Massenzio, 26; a Varese è in
via Daverio, 10.
L’autorizzazione al lavoro deve essere rilasciata o negata dalla Direzione provinciale
del lavoro entro 20 giorni dalla data di presentazione della domanda.

Una volta ottenuta l’autorizzazione al lavoro, il datore di lavoro deve chiedere, all’ufficio
stranieri della Questura territorialmente competente, il nulla-osta provvisorio per
l’ingresso in Italia del cittadino extracomunitario. Tale nulla-osta viene rilasciato, entro
20 giorni dalla presentazione della domanda, in calce all’autorizzazione al lavoro.
Il nulla-osta può essere rifiutato qualora il datore di lavoro risulti denunciato per uno dei
reati del Testo Unico della legge dell’immigrazione (favoreggiamento dell’ingresso e/o
permanenza illegale di stranieri, ecc…), ovvero per uno dei reati previsti dal Codice di
procedura Penale, artt. 380 e 381 (furto, rapine, lesione personale, truffa,
appropriazione indebita, corruzione, ecc..).
I documenti da esibire in questura per ottenere il nulla-osta provvisorio sono:
-
domanda in carta da bollo da £.20.000;
-
autorizzazione al lavoro rilasciata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, più due
fotocopie;
-
documento di identità valido del datore di lavoro (rappresentante legale), più una
fotocopia (permesso di soggiorno se trattasi di cittadino straniero);

-
fotocopia del passaporto del cittadino extracomunitario assunto;
-
originale di iscrizione alla camera di Commercio recente, più una fotocopia;
-
copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero;
-
dichiarazione dei redditi della ditta, più una fotocopia.
Quindi inviare l’autorizzazione al lavoro e il nulla-osta provvisorio al lavoratore straniero
all’estero così che li possa esibire al consolato o ambasciata italiana per chiedere e
ottenere il visto di ingresso per lavoro subordinato.
In ogni caso l’autorizzazione al lavoro deve essere utilizzata entro 6 mesi dal rilascio.
Le autorità diplomatiche italiane rilasciano il visto di ingresso entro 30 giorni dalla
presentazione della domanda.
2. INGRESSO PER LAVORO SUBORDINATO PER COLLABORATORI FAMILIARI.
Premettendo che il numero di ingressi per i collaboratori familiari rientrano nella quota
annuale di ingressi per lavoro subordinato e che quindi è necessario seguire le procedure
32
sopra elencate, la Direzione Provinciale del Lavoro ha predisposto una modulistica distinta
per la richiesta di autorizzazione all’ingresso di collaboratori familiari stranieri residenti
all’estero di cui alleghiamo copia.
Ottenuta l’autorizzazione all’ingresso in Italia del lavoratore domestico, il datore di lavoro
dovrà richiedere in questura il nulla-osta seguendo la procedura esposta sopra (ingresso
per lavoro subordinato) ma allegando i seguenti diversi documenti:
-
domanda in carta da bollo da £.20.000;
-
autorizzazione al lavoro rilasciata dalla Direzione provinciale del lavoro, più due
fotocopie;
-
documento d’identità valido del datore di lavoro, più una fotocopia;
-
fotocopia del passaporto del cittadino extracomunitario assunto;
-
originale
dell’ultima
dichiarazione
dei
redditi,
più
una
fotocopia.
Tale
documentazione può anche essere autocertificata dall’interessato davanti al
funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro, incaricato di ricevere l’istanza.
-
copia del contratto di lavoro stipulato con lo straniero.
È bene sapere che:

Per poter assumere un collaboratore familiare extracomunitario il datore di lavoro deve
dimostrare un proprio reddito annuo (anche mediante autocertificazione) variabile in
base alla sua provincia di residenza.
-
Per Milano e provincia il reddito necessario corrisponde a £.99.222.400 per
un’assunzione a tempo pieno e a £.87.222.400 per assunzione part-time.
-
Per Varese e provincia il reddito necessario corrisponde a £.92.413.833 per
un’assunzione a tempo pieno e a £.80.413.833 per assunzione part-time.
-
Per Lecco e provincia il reddito necessario corrisponde a £.93.443.692 per
un’assunzione a tempo pieno e a £.81.443.692 per un’assunzione part-time.
La documentazione attestante la capacità economica del datore di lavoro si deduce
dalle copie delle denuncie IRPEF/IRPEG (modello Unico), dal registro dei corrispettivi
(in mancanza delle precedenti denunce), dal bilancio d’esercizio, dalle ricevute dei
contributi previdenziali versati e da ogni altra documentazione utile ad attestarne la
capacità economica.
Per quanto riguarda la titolarità di un reddito sufficiente a coprire le spese per
retribuzione, vitto, alloggio e contributi per il lavoratore da assumere (vedi importi sopra
indicati), la circolare n°55/2000 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale,
precisa che detto reddito potrà risultare anche dal cumulo dei redditi dei parenti di
33
primo grado (figli e genitori) o, in mancanza, di altri soggetti tenuti legalmente
all’assistenza, sulla base di una autocertificazione dei medesimi.

Il nuovo contratto collettivo dei collaboratori familiari non prevede più, per l’assunzione
di un collaboratore familiare, un limite minimo di ore lavorative giornaliere e settimanali
ma una retribuzione minima mensile di £.850.000 nette, oltre alla disponibilità di un
alloggio idoneo.

Nel caso in cui il datore di lavoro non possa recarsi personalmente presso la Direzione
provinciale del lavoro per la presentazione della domanda, potrà delegare per iscritto
persona di fiducia e consegnarle fotocopia del proprio documento d’identità da esibire
e allegare all’istanza.

Il datore di lavoro potrà licenziare il lavoratore e, viceversa, il lavoratore potrà
dimettersi in qualsiasi momento previo preavviso di:
-
15 giorni se si ha un contratto a tempo pieno;
-
8 giorni se si ha un contratto part-time.
3. INGRESSO PER LAVORO AUTONOMO
Nell’ambito della programmazione dei flussi migratori e della relativa quota d’ingresso
annuale, sono previste anche quote destinate all’ingresso in Italia per l’esercizio di attività
di lavoro autonomo, a condizione che l’esercizio di tale attività non sia espressamente
riservato dalla legge ai cittadini italiani o appartenenti all’Unione Europea.
Quest’anno sono stati previsti 3.000 ingressi per lavoro autonomo.
I requisiti e la documentazione necessaria per i nuovi ingressi in Italia per lavoro autonomo
sono:

Il possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana per l’esercizio della specifica
attività.
Compresi, dove richiesti, i requisiti per l’eventuale iscrizione agli albi e ai registri
specifici. Infatti lo straniero può svolgere in Italia una libera professione se ha superato
gli esami abilitativi o ha ottenuto l’iscrizione all’albo, registro o ordine previsto dalla
legge. L’iscrizione ai predetti albi o elenchi è condizione necessaria per l’esercizio delle
professioni anche con rapporto di lavoro subordinato.

Disporre di risorse economiche adeguate per l’esercizio dell’attività che intende
intraprendere in Italia. È quindi necessaria un’ATTESTAZIONE dei parametri di
riferimento riguardanti la disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio
dell’attività. Tale attestazione è rilasciata dalla Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura competente per il luogo in cui l’attività lavorativa deve essere
34
svolta, oppure dal competente Ordine professionale per le attività soggette ad
iscrizione negli ordini stessi. Inoltre l’attestazione è indispensabile anche per quelle
attività che non richiedono il rilascio di alcun titolo abilitativo o autorizzatorio.

La DICHIARAZIONE dell’autorità competente, concessa in data non anteriore a tre
mesi, che attesti che non ci siano motivi che ostacolino il rilascio dell’autorizzazione o
della licenza specifica per l’esercizio dell’attività che si intende svolgere. Tale
dichiarazione è, infatti, necessaria allo straniero che intende svolgere in Italia tutte
quelle attività per le quali è richiesto il possesso di una autorizzazione o licenza o
l’iscrizione in apposito registro o albo professionale, ovvero là dove è richiesta la
presentazione di una dichiarazione o denuncia e di ogni altro adempimento
amministrativo. La dichiarazione può essere richiesta anche tramite un proprio
procuratore.

NULLA-OSTA provvisorio rilasciato dalla questura territorialmente competente. Deve
essere richiesto dallo straniero, anche tramite procuratore, facendone domanda e
allegando ad essa la dichiarazione che non sussistono motivi ostativi al rilascio del
titolo abilitativo o autorizzatorio, unitamente a copia della domanda e della
documentazione prodotta per il suo rilascio e dell’attestazione dei parametri di
riferimento riguardanti la disponibilità delle risorse finanziarie occorrenti per l’esercizio
dell’attività rilasciata dalla Camera di commercio, industria, artigianato o dall’organo di
competenza. Tale nulla-osta è posto in calce alla dichiarazione entro venti giorni dal
ricevimento, previa verifica che non sussistono, nei confronti dello straniero, motivi
ostativi all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato per motivi di lavoro
autonomo.

Disporre di un’idonea sistemazione alloggiativa. Il Decreto Ministero Affari esteri, 12
luglio 2000 prevede che tale requisito su può dimostrare mediante l’esibizione di un
contratto di acquisto o locazione di un immobile mediante una dichiarazione resa dallo
straniero stesso ai sensi degli articoli 2 e 4 della Legge n° 15 del 4 gennaio 1968,
ovvero a mezzo di una dichiarazione (così detta autocertificazione) resa ai sensi delle
medesime norme da un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in
Italia, che attesti di aver messo a disposizione del richiedente il visto un alloggio
idoneo.

Disporre di un reddito annuo di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge
per l’esenzione del ticket sanitario (£.16.000.000 circa, annui), ovvero disporre di una
35
corrispondente garanzia da parte di enti, cittadini italiani o stranieri regolarmente
soggiornanti.
Per ottenere il visto di ingresso, il cittadino straniero deve quindi presentare alla
rappresentanza diplomatica o consolare competente i seguenti documenti:

la dichiarazione;

l’attestazione;

il nulla-osta provvisorio.
La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia il visto di ingresso per lavoro autonomo
con l’espressa indicazione dell’attività cui il visto si riferisce, nei limiti numerici stabiliti a
norma dal decreto flussi annuale.
Tale visto di ingresso deve essere rilasciato o negato entro 120 giorni dalla data di
presentazione della domanda e della relativa documentazione e deve essere utilizzato
entro 180 giorni dalla data di rilascio.
4. INGRESSO PER INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO SU PRESTAZIONE
DI GARANZIA.
Anche per gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro su prestazione di garanzia è
fissata una quota annuale nel decreto flussi che quest’anno, si presume, corrisponde a
15.000 unità.
Il presupposto per l’ingresso in Italia per inserimento nel mercato del lavoro (sponsor o
garanzia) sono i seguenti:

Autorizzazione all’ingresso rilasciata dalla questura dietro apposita garanzia verificata
e presentata da cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante entro 60 giorni
dalla pubblicazione del decreto annuale sulle quote di ingresso. Quindi:
-
il garante deve ritirare gli appositi moduli per la garanzia presso l’ufficio stranieri
della Questura nella provincia in cui risiede;
-
stipulare un contratto di fideiussione bancaria o assicurativa di £.10.500.000. Con la
fideiussione la banca o l’assicurazione dichiarano di sostituirsi al garante nel
pagamento delle spese di vitto, alloggio, assistenza sanitaria e spese di rimpatrio,
al cittadino straniero che entrerà in Italia, qualora il garante, per qualsiasi motivo,
non ottemperi all’impegno assunto. Generalmente la banca o l’assicurazione di cui
il garante è già cliente non richiedono il versamento di tutta la quota ma
semplicemente il pagamento di £. 400.000 circa relativo alle spese sostenute per la
stipula del contratto;
36
-
dimostrare la disponibilità di un alloggio idoneo (rogito, contratto di locazione
registrato relativo all’alloggio, nonché dichiarazione di ospitalità corredata da
certificato di idoneità igienico-sanitario rilasciato dall’Asl competente per territorio,
oppure di attestazione dell’ufficio comunale inerente l’idoneità alloggiativa).

Oltre alla fideiussione e all’alloggio, all’atto della consegna dei documenti in Questura,
è necessario allegare alla domanda per il rilascio dell’autorizzazione all’ingresso
(modulo allegato n.10) anche i seguenti documenti:
-
copia del documento di identità di chi presta la garanzia e, nel caso di cittadino
straniero, copia del permesso di soggiorno con validità residua di almeno 1 anno;
-
copia del passaporto dello, o degli, stranieri beneficiari della garanzia;
-
certificato dello stato di famiglia del garante (autocertificabile);
-
certificato dei carichi pendenti del garante (autocertificabile).
Entro 60 giorni dalla data di presentazione della domanda la Questura comunicherà se la
stessa è stata accettata. In questo caso verrà consegnata al garante l’autorizzazione
all’ingresso in Italia dello straniero che deve essere inviata, a cura del garante, al cittadino
straniero nel suo paese d’origine. A sua volta, il cittadino straniero, dietro presentazione di
tale autorizzazione al Consolato o Ambasciata Italiana all’estero, otterrà, entro 30 giorni, il
visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro della durata di 1 anno e non
rinnovabile.
Entro 8 giorni lavorativi dall’ingresso in Italia, il cittadino straniero, munito di regolare visto
di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro, dovrà presentarsi in questura per
richiedere il permesso di soggiorno per ricerca lavoro.
È importante ricordare che:

ciascun garante può garantire l’ingresso per un massimo di due cittadini stranieri ogni
anno;

tra i soggetti ammessi a prestare la garanzia rientrano:
-
le regioni;
-
gli enti locali;
-
le comunità montane e i loro consorzi e associazioni;
-
le associazioni professionali e sindacali;
-
gli enti e le associazioni di volontariato operanti nel settore delle immigrazioni da
almeno tre anni iscritti nel registro nazionale delle associazioni e degli enti che
svolgono attività a favore degli immigrati;
37

è indispensabile che il contraente della fideiussione sia anche il titolare del contratto di
locazione o del rogito dell’alloggio dove verrà ospitato il cittadino straniero.
Appena il cittadino straniero ottiene un lavoro con regolare assunzione potrà convertire il
permesso di soggiorno per ricerca lavoro in permesso di soggiorno per lavoro subordinato
e il garante potrà ritirare la fideiussione.
Nel caso in cui il cittadino straniero dopo un anno di soggiorno in Italia non avesse trovato
alcun impiego regolare, è tenuto a rientrare al proprio paese d’origine e solo a questa
condizione verrà restituita la fideiussione al garante.
Se invece il cittadino straniero soggiornasse in modo irregolare in Italia allo scadere del
permesso di soggiorno, la fideiussione verrà trattenuta dalla questura per 30 mesi allo
scopo di utilizzarla per il pagamento del biglietto di rimpatrio qualora venga fermato il
cittadino straniero irregolare.
5. RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
Il diritto a riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari residenti all’estero può
essere esercitato dalle seguenti persone:

cittadino italiano;

cittadino membro dell’Unione Europea residente in Italia;

cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante in Italia e titolare di uno dei
seguenti titoli di soggiorno:
-
carta di soggiorno;
-
permesso di soggiorno di durata non inferiore ad 1 anno rilasciato per uno dei
seguenti motivi: a) lavoro subordinato; b) lavoro autonomo; c) studio; d) motivi
religiosi; d) asilo; e) motivi familiari.
Il diritto a mantenere, a ristabilire o a mantenere l’unità familiare può essere esercitato nei
confronti dei seguenti familiari:

coniuge non legalmente separato;

figli minorenni non coniugati o legalmente separati, a carico anche di un solo coniuge o
nati fuori del matrimonio, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia
dato il suo consenso;

minori legalmente affidati o adottati;

genitori a carico;

parenti entro il terzo grado inabili al lavoro secondo la legislazione italiana.
38
L’ “essere a carico” deve essere dimostrato in modo adeguato esibendo al consolato
italiano nel Paese di origine ogni tipo di documentazione con la quale si prova che:

lo straniero (genitore o parente entro il terzo grado inabile) non sia titolare di alcun
reddito e non sia proprietario di immobili;

al sostentamento provvede in tutto o in parte il familiare regolarmente soggiornante in
Italia.
Il soggetto che richiede il ricongiungimento familiare deve dimostrare, all’ufficio stranieri
della Questura, il possesso dei seguenti requisiti:

un alloggio idoneo, che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale di
edilizia residenziale pubblica. Tale requisito è attestato dal certificato di idoneità
alloggiativa rilasciato dall’ufficio tecnico del Comune o dall’ufficio igiene dell’ASL;

reddito annuo minimo di importo non inferiore a £.8. 366.800, in caso di
ricongiungimento di un solo familiare, del doppio dell’importo di cui sopra in caso di
ricongiungimento di due o tre familiari, del triplo in caso di ricongiungimento di quattro o
più familiari.
Il cittadino presente in Italia che chiede il ricongiungimento familiare deve procurarsi i
documenti elencati nei modelli rilasciati dalle Questure di competenza e presentarli
all’ufficio stranieri della Questura per ottenere il nulla-osta al ricongiungimento familiare
che verrà rilasciato entro 90 giorni e successivamente inviato ai familiari al paese di
origine.
A loro volta questi ultimi dovranno presentare il nulla-osta alle autorità diplomatiche
italiane per ottenere il visto di ingresso per ricongiungimento familiare.
Se la Questura, entro 90 giorni dalla presentazione della domanda, non rilascia il nullaosta, il cittadino richiedente il ricongiungimento familiare potrà inviare ai parenti da
ricongiungere, copia dei documenti presentati in questura, e debitamente contrassegnanti,
in sostituzione del nulla-osta mancante.
Quindi, arrivati su territorio italiano, è obbligatorio presentarsi, entro 8 giorni lavorativi,
presso la Questura del territorio competente, per il rilascio del permesso di soggiorno per
ricongiungimento familiare.
Con questo permesso di soggiorno è possibile lavorare fin da subito sia come lavoratore
subordinato che come lavoratore autonomo.
39
Terzo incontro
La relazione di aiuto
19 gennaio 2002
Intervento di Cherubina Bertola
La relazione di aiuto
Esistono diversi tipi di relazioni, definibili secondo diverse variabili relativamente a:
-
contenuto che le riguarda: relazioni pubbliche, internazionali, politiche, economicocommerciali (industriali, sindacali), professionali;
-
persone che ne sono coinvolte : parentali (coniugali, genitoriali, fraterne, etc.),
sentimentali (affettive, amicali), educative (insegnanti, educatori, etc.);
-
strumenti che per esse vengono utilizzati: scritte, telefoniche, virtuali (informatica,
radio/televisione, etc.), gestuali.
La relazione di cui qui si tratta è la RELAZIONE DI AIUTO.
La definizione che ne dà Carl Rogers, uno dei maggiori studiosi di riferimento per gli
operatori sociali, mi sembra molto appropriata ai fini delle questioni che qui si intendono
approfondire. Egli intende, con il termine RELAZIONE DI AIUTO, “ …delle relazioni in cui
almeno uno dei due protagonisti cerca di favorire nell’altro la crescita, lo sviluppo, la
maturità, un miglior funzionamento ed una maggior capacità di affrontare la vita.”
In tal senso, la relazione di aiuto è l’oggetto dell’intervento di diverse professioni sociali
(dette anche di aiuto alla persona): assistente sociale, psicologo, medico, educatore,
insegnante, infermiere, etc.
Il Vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2000 così indica l’origine del termine
“RELAZIONE”: “voce dotta dal latino relatione, da relatus, participio passato di referre
“riferire”; dove, aggiungo io, il termine latino ferre significa portare e quindi referre
“riportare”. A questo insieme di significati è facile pertanto ricondurre il senso di “legame”
che viene conferito al termine “relazione”, dove, per la sussistenza del legame stesso,
occorre che siano implicati almeno due soggetti che hanno un reciproco interesse ad
avere “qualcosa” in comune.
Alla parola “relazione” potremmo quindi affiancare i termini vincolo, rapporto, dialogo,
contratto: ognuno di questi termini darà al contenuto “relazione” una diversa connotazione,
che ne determinerà obiettivi, tempi, modi e caratteristiche.
Passiamo ora al secondo termine della questione: l’AIUTO.
40
Il termine “aiuto” (mi riferisco sempre allo Zingarelli) proviene dal latino tardo adiutu, dal
participio passato del verbo ad-iuvare, dove iuvo significa “giovare ”, “essere utile ”,
“favorire”. La preposizione ad apre alla presenza di un altro, a favore del quale va la nostra
attenzione, il nostro intervento, la nostra opera.
Il termine “aiuto” si può poi connotare di diverse significati che ne rendono, con sfumature
diverse, una specifica definizione: ascolto, sostegno (anche fisico), orientamento,
informazione, educazione, accompagnamento, condivisione, presa in carico. Le diverse
professionalità, a cui precedentemente si accennava, danno una propria specificità al
termine “aiuto”, connotando il proprio intervento su alcuni determinati aspetti, che vengono
a costituire l’oggetto e le finalità della professione, oltreché delimitarne le metodologie, gli
strumenti e le tecniche.
Quali condizioni sono indispensabili a chi attui una relazione di aiuto?
Nella relazione di aiuto, comunque connotata e declinata, la strumento principale
attraverso cui prende forma l’aiuto stesso è sempre e principalmente la persona che attua
l’intervento: per questo motivo, chi si dedica alle professioni di aiuto non può e non deve
prescindere da un approfondito lavoro di conoscenza di sé, in quanto il sé non rimane fuori
dalla relazione di aiuto ma ne costituisce piuttosto il fondamentale veicolo. A tale riguardo
è nota a tutti la carenza, nella formazione universitaria di medici ed insegnanti, di
approfondimenti delle questioni psicologiche e pedagogiche, premesse necessarie per
entrare in una relazione educativa o per gestire un corretto intervento sanitario. Altrettanto
note sono le conseguenze di ciò.
La conoscenza di sé richiede tempo e volontà ma è un passaggio imprescindibile anche
per chi voglia, volontariamente, dedicare risorse e disponibilità in un’attività fondata sulla
relazione con l’altro. La conoscenza di sé porta non tanto ad essere “perfetti”, quanto
all’acquisizione
di
una
profonda
consapevolezza
delle
proprie
caratteristiche
caratteriologiche e psicologiche, delle proprie modalità di reazione, delle proprie risorse e
dei limiti, delle difficoltà, delle paure, delle resistenze e della storia personale che ha
“prodotto” me oggi, “qui ed ora”. Ci si illude di poter entrare in relazione con un altro, se
non si è capaci di “stare in relazione” con se stessi!
La relazione di aiuto implica, oltre alla conoscenza di sé, anche una serie di
predisposizioni senza le quali non si dà relazione. Le principali sono:
-
la capacità di ascolto,
-
la curiosità,
-
una grande passione per l’essere umano,
41
-
la tolleranza,
-
una certa forza e chiarezza interiore,
-
la capacità di empatia e compassione,
-
la disponibilità.
Mi soffermo qui soprattutto sull’empatia e sulla disponibilità.
Riprendo da Jaques Salomè “L’empatia è l’insieme dei segnali che circolano in ogni
relazione in cui una persona facilita lo sviluppo o la crescita di un’altra, la aiuta a maturare,
ad adattarsi, ad integrarsi o a mettere a frutto la sua esperienza. “
L’empatia si manifesta quando sono presenti contemporaneamente questi elementi:
1. Comprensione empatica: chi aiuta comprende l’altro dal punto di vista di quest’ultimo;
riconosce ciò che è reale o significativo per l’altro in un dato momento; cerca di sapere
come l’altro vede e sente le cose e quali sono i suoi atteggiamenti personali di fronte ai
vari aspetti della vita; vive in un certo modo l’esperienza dell’altro, purché non confonda i
sentimenti e le percezioni dell’altro con i propri.
L’esperienza mette però in evidenza che raramente possiamo essere certi di quello che un
altro vuole dire o sente esattamente : perlopiù reagiamo secondo l’idea migliore che ci
facciamo di quello che l’altro vuol dire in quel momento. Dobbiamo tuttavia rimanere
sempre disponibili a correggere e modificare il nostro giudizio. Questo non solo aumenta
la possibilità di capire esattamente i pensieri e i sentimenti dell’altro, ma contribuisce a
renderlo più libero, a permettergli di cambiare egli stesso il suo modo di percepire o di
formulare la sua esperienza, di esaminare altre opportunità e di dare alla sua esperienza
un significato nuovo.
2. Fiducia nell’altro: Quando l’altro possiede forze proprie per crescere e diviene
consapevole delle risorse della sua storia, l’empatia sviluppa questa fiducia e si appoggia
su di essa. E’ pertanto fondamentale essere per primi convinti che l’altro possiede nel
profondo una tendenza a crescere e a sviluppare al massimo le sue possibilità; che noi
non possiamo caricarci delle sue responsabilità ma che possiamo facilitare e mantenere
(anche quando l’altro per primo non ci crede più) la sua aspirazione ad uno sviluppo
integrato più vasto.
3.Interesse e rispetto senza riserve: E’ molto difficile muoversi sempre sulla base di queste
due dimensioni ma non dobbiamo dimenticare che solo attraverso di esse possiamo
giungere a provare ed a manifestare tenerezza ed affetto verso chi cerchiamo di aiutare,
sentimenti senza i quali ogni relazione è arida, anche se tecnicamente “perfetta”.
42
5. Accettazione dell’altro: l’altro non deve aver bisogno di guadagnarsi la nostra
approvazione o simpatia esprimendo o sopprimendo certi desideri e atteggiamenti o
idee,
cercando di essere una persona piuttosto che un’altra; l’altro deve avere tutta la libertà di
essere quello che più profondamente e più completamente è in quel momento. Nella
relazione egli può verificare che non c’è alcun rischio nell’affrontare se stessi apertamente,
nel percepire o ammettere le proprie debolezze, così come il proprio smarrimento o le
proprie paure. Questo è possibile solo se sappiamo accettare l’altro per quello che gli è, e
soprattutto esprimere tale accettazione.
E’ da chiarire, a questo punto, una questione importante: non c’è relazione di aiuto senza
accettare che non ci sia reciprocità. Può sembrare discutibile, ma va ribadito che, nel
contesto di cui stiamo parlando, non si tratta di uno scambio, di una relazione alla pari tra
due persone che si incontrano: per questo dobbiamo ricorrere e riferirci ad altri tipi di
relazione. Ciò che viene all’operatore dalla relazione di aiuto, in termini di gratificazione,
soddisfazione, gratitudine, non è previsto, aspettato, calcolato: tutto ciò è gratuito e non
può quindi essere “esigito” o “preteso”.
Fondamentale, infatti, per la scuola di Carl Rogers, cui ancora ci riferiamo, è il “centrarsi
sull’altro”.
Entrare in relazione = appartenersi
Il primo bisogno delle persone che incontriamo è spesso il bisogno di relazione,
d'appartenenza. Saper ascoltare significa riconoscere cosa sta dietro alla richiesta, alla
domanda esplicitata. Spesso si tratta di una semplice richiesta di aiuto materiale e,
quando è così, si attiveranno le risposte più adeguate o si stimoleranno i servizi, pubblici e
privati, chiamati ad intervenire. Quando però, in un rapporto di ascolto e conoscenza della
persona, si individuasse l’espressione di una domanda di relazione, di un desiderio di
“sentirsi parte”, di “sentirsi tenuto, contenuto” da qualcuno, occorrerà dare voce a questo
bisogno, riconoscerlo ed accoglierlo.
Molti
poveri
che
incontriamo
oggi
manifestano,
dietro
modalità
non
sempre
immediatamente interpretabili o dietro richieste che fungono da pretesto per creare
l’aggancio, un vuoto relazionale, una realtà affettiva carente, o addirittura inesistente, una
mancanza di riferimenti certi per affrontare la vita quotidiana, sia negli aspetti concreti che
in quelli emotivo-relazionali. Esempio di ciò possono essere le persone che vengono da
lontano o le loro famiglie, che devono tentare di inserirsi, di ri-trovarsi in un contesto
sociale e culturale del tutto diverso da quello di provenienza; ancora possiamo pensare
43
alle famiglie dove si manifestano gravi difficoltà di rapporto o di comunicazione, che poi si
esprimono attraverso un sintomo di disagio di un solo membro (alcolisti, tossicodipendenti,
malati psichiatrici); oppure la stessa famiglia, colpita da un problema, di cui ci si può anche
vergognare, può sperimentare la stigmatizzazione e l’isolamento sociale, che recidono
rapporti e relazioni e che lasciano completamente soli ed allo sbaraglio, nel portare un
peso che si ingigantisce e che fa perdere spesso i contorni della realtà.
Rispondere al bisogno di appartenenza vuol dire offrire la possibilità di sentirsi parte di una
comunità o almeno di sentirsi “tenuti” da qualcuno che accetta di entrare in relazione con
noi. Questa appartenenza deve essere però un’appartenenza che “libera”, non che
imbriglia, che chiude nei lacci di un ricatto: io ti do (aiuto, ascolto, sostegno), se tu ti lasci
prendere, di lasci inquadrare nelle mie categorie e nei miei criteri. Ci sono persone che,
molte efficacemente, danno l’illusione di poter fornire una risposta a questo bisogno (la
rete criminale, l’organizzazione che sfrutta la prostituzione e l’accattonaggio, lo stesso
abuso sessuale). A mio parere, il “successo” di queste forme conferma implicitamente
quanto grande sia questo bisogno e questa povertà di rapporti e di legami.
Questa allora credo sia la più grande capacità di servizio: accettare di entrare in relazione
con la gratuità di chi sa che la risposta dell’altro e l’adesione alla nostra proposta ed alla
nostra offerta dipendono solo dalla sua libertà, non dal nostro impegno o dalla nostra
bravura o, peggio ancora, dai nostri “ricatti”.
Relazionarsi = ricondurre
D’altra parte, il termine stesso “relazione” (da re-ferre = riportare) implica il concetto di
reciprocità, quindi di disponibilità a farsi prossimi e, più ancora, il significato di ri-condurre,
restituire l’altro a se stesso. Quante storie di sofferenza sono proprio connotate dalla
difficoltà di stare con se stessi, di riconoscersi, di accettare la propria storia, di rileggerla
per fare la pace con legami poveri, con scelte sbagliate, con incontri fuorvianti. Solo
ascoltando se stessi, le proprie emozioni, i ricordi, solo facendo un po’ di silenzio, la
persona può ricondursi a se stessa, può intrattenersi con se stessa e con chi ha vicino. Il
volontario deve, nell’ascolto attento ed allenato, accompagnare l’altro in questo cammino,
o intuire quando l’altro abbia eventualmente bisogno di un aiuto più specifico in questo
senso e fornirgli indicazioni e consigli.
Credo che lo specifico del volontario che sceglie la strada del servizio, stia proprio nel
mettere a disposizione se stesso, la propria persona, il proprio tempo, le conoscenze e le
competenze, per decidere di intrattenersi con l’altro e, nell’ascolto reciproco, accogliersi
come persone ed offrire una possibilità di appartenenza.
44
E’ fondamentale creare le condizioni perché tutte le nostre comunità cristiane, le famiglie,
le parrocchie, diventino accoglienti e tentino di rispondere al bisogno di appartenenza,
soprattutto dei più poveri: il volontario, soprattutto se lavora in un gruppo o in
un’associazione, ha anche questa responsabilità e questo compito.
Bisogna trovare il modo per farsi portavoce di questo fondamentale bisogno umano,
riconoscendolo vero per tutti: se io ho bisogno di sapere che Dio mi ama, che, anche se
non avessi nessuno, sono almeno suo, sono nelle sue preoccupazioni, come posso
pensare che lo stesso bisogno non l’abbia anche il più diseredato, l’infimo tra gli uomini?
Come la comunità cristiana può non accogliere la sfida di riconoscere questo bisogno,
negato o “nascosto” dalla nostra società e offrire spazi ed occasioni di incontro o strumenti
per portare segni di appartenenza?
45
Intervento di Carmine Guanci
Introdurrei la mia relazione con le parole pronunciate dal Cardinale Martini in occasione dl
Natale 1989, parole che ben conoscerete ma che sintetizzano con estrema lucidità la
tematica che oggi affrontiamo: “ Oggi le persone hanno più bisogno d’ascolto che di
parole. Abbiamo imparato tutti a parlare, magari anche più lingue, e non siamo più capaci
di ascoltarci. Soltanto quando diamo ascolto all’altro con attenzione e non distratti, con
pazienza e non in fretta, con meraviglia e non annoiati, acquistiamo il diritto e
l’autorevolezza di parlargli al cuore. Efficientismi come siamo diventati, a volte crediamo
che il tempo dedicato all’ascolto sia perso; in realtà, se pensiamo così, forse è perché non
abbiamo tempo a disposizione per gli altri, ma soltanto per noi stessi e per i nostri
interessi. Non di rado il parlare esprime voglia di potere sull’altro, nasconde i nostri
sentimenti di sfiducia e rifiuto, è un susseguirsi di razionalizzazioni e scuse per
giustificarsi, è pieno di ambiguità e contraddizioni. Mentre un ascolto attento diventa un
grande servizio e un effettivo aiuto che si offre al fratello”.
Sono ormai passati più di 12 anni da quel giorno e sono stati anni epocali per il fenomeno
migratorio in Italia, si sono succedute diverse leggi, la presenza di stranieri sul territorio
nazionale non solo è aumentata ma ha subito continue modificazioni dal punto di vista
qualitativo, abbiamo conosciuto da vicino gli esodi di popolazioni colpite dalla guerra e,
punto a mio avviso di non ritorno rispetto ad una incosciente e irresponsabile convivenza
tra culture e religioni diverse, abbiamo assistito sgomenti ai fatti dell’ 11 Settembre 2001.
La vera sfida a cui non possiamo più sottrarci è quella di creare le condizioni per una
convivenza pacifica e gettare le basi per una società realmente interculturale.
Come cristiani non possiamo accettare la logica del più forte, l’idea che la presenza di
poveri, sfruttati e umiliati sia frutto del normale fluire della storia; ma siamo ancora in grado
di vedere nel povero, nel viandante, nello straniero il volto del Cristo ?
E’ proprio una bella responsabilità quella che ci assumiamo nel momento in cui ci
mettiamo all’ascolto dell’altro! Da un lato rappresentiamo la comunità cristiana che si
mette a disposizione di chi è in difficoltà, siamo al servizio della comunità e dall’altro è ad
essa che ci riferiamo affinché si prenda cura di quanti incontriamo. Sono proprio i volontari
del Centro d’Ascolto ad operare quella mediazione (che con gli stranieri è anche culturale)
tra chi bussa alla porta e chi quella porta l’ha creata affinché si apra sui bisogni della
società.
46
Il Centro di Ascolto è in frontiera, è il braccio operativo di quella Caritas la cui capacità
pedagogica si misura anche sulla capacità di sensibilizzazione della comunità cristiana in
primis ma anche della società civile affinché si conoscano i problemi e possano maturare
una maggiore corresponsabilità e condivisione. A mio pare questo è un versante del
lavoro che i volontari del Centro di Ascolto sono chiamati ad assolvere che bisognerà
tenere sempre più in considerazione; sono infatti convinto che il solo Centro di Ascolto,
l’intero mondo del volontariato, i servizi pubblici siano comunque inadeguati nel dare
risposte ai sempre nuovi bisogni delle persone che sono in difficoltà. Solo il coinvolgimento
della società civile e la diffusione di una diversa cultura della solidarietà che non riduca
tutto al concetto di elemosina ma che sia strettamente connessa al sentimento di giustizia,
potranno creare un reale cambiamento in positivo.
L’altro versante del lavoro a cui sono chiamati i volontari del Centro di Ascolto è
ovviamente l’incontro con l’altro in questa relazione d’aiuto che, riprendendo l’intervento di
Cherubina, dovrebbe in qualche modo prevedere un protagonista che tenta di favorire
nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed una maggior capacità di affrontare la vita.
Parlando di relazione è però implicito un legame… quale legame sente il volontario nei
confronti dello straniero che si rivolge al Centro di Ascolto? Il volontario è parte della
società civile e della comunità cristiana in cui viviamo… qual è il modello d’accoglienza
che queste propongono agli stranieri? Il volontario si rende conto delle diverse
problematiche implicite nell’incontro con lo straniero? Lo scambio tra culture, religioni,
modelli sociali, organizzazioni familiari, si gioca anche in questo contesto; la costruzione di
una società “INTER-CULTURALE” e l’accettazione reciproca vedono in questo incontro
un’occasione ricca di potenzialità e da non perdere. Ma quanto di tutto ciò viene poi
“restituito” alla comunità ?
Se non si tiene conto di questo aspetto del “lavoro” nel Centro di Ascolto si rischia di
trasmettere implicitamente un’immagine falsata di ciò che il Centro di Ascolto rappresenta,
la comunità si limita a lamentarsi per il “disagio” arrecato dalle file di stranieri che
aspettano davanti al Centro di Ascolto, addirittura si potrà sentire “infastidita” da questa
presenza e si rischia così di ottenere un rafforzamento dei pregiudizi e dei preconcetti che
tanti ostacoli frappongono ad una corretta comprensione delle situazioni.
Anche se è difficile da comprendere nei suoi diversi aspetti e in forma non certo esplicita,
è indiscusso che lo straniero che prende la decisione di rivolgersi al Centro di Ascolto ha
bisogno di relazione e di appartenenza, di sentirsi “parte” in un contesto che molto
probabilmente lo tiene ai margini, lo esclude. Il nostro atteggiamento, le nostre attività
47
devono rispondere a questi bisogni e contemporaneamente dobbiamo esser coscienti che
è in atto uno “scambio”. Dietro alle frequenti domande di casa e lavoro c’è una domanda
inespressa, incosciente e forse neppure ben valutata da parte di chi la pone, relativa al
bisogno di “inserirsi” nella nostra società, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità !!
Proprio così, anche se atteggiamenti “predatori” da parte di diverse persone che hanno
probabilmente scelto la scorciatoia di accaparrare tutto ciò che sono in grado di ottenere
dalla società ospitante potrebbero negare quanto detto sopra, è in ogni caso un dato di
fatto che la persona nel momento in cui varca la soglia del Centro di Ascolto, decide di non
essere più un ombra, un numero ma si assume la responsabilità di essere persona,
portatrice di bisogni ma anche di ricchezze… spetta a noi “restituire” alla persona questa
sua scelta offrendo la possibilità di “accompagnarla per un tratto di strada”, standole al
fianco e non certo sostituendosi.
Vorrei essere molto chiaro su questo aspetto; penso che il gratuito buonismo abbia
prodotto notevoli problemi in passato, gli atteggiamenti paternalistici hanno troppo spesso
relegato lo straniero ad una condizione di “inferiorità” ed incapacità ad assumersi le
responsabilità connesse alle proprie scelte di vita creando nella società accogliente
un’immagine falsata della realtà. Ho visto molti Centri di Ascolto entrare in difficoltà perché
sotto la pressione della domanda si erano ritrovati a svolgere più le funzioni di
“supermercato dei pacchi viveri” che quelle proprie di un Centro di Ascolto, troppi volontari
abbandonare il Centro di Ascolto perché incapaci di sopportare lo stress relativo a bisogni
che non trovavano risposte, troppe situazioni in cui gli stranieri non vissuti dai volontari
come singole persone ma come “i marocchini”, “gli albanesi” ecc. in quanto non si erano
create relazioni ma a domanda immediata si rispondeva in forma immediata. L'istinto
all’immediatezza non è malvagio ma non può essere esaustivo, il vero problema che ci
troviamo ad affrontare è quello delle nuove convivenze che pongono questioni molto serie
…io non ho ovviamente le risposte ma penso che sia fondamentale interrogarsi ed
approfondire esigendo nell’altro (lo straniero ma anche il nostro vicino di casa) il rispetto
delle altrui specificità.
In tutto ciò il prezioso strumento della “COMPRENSIONE EMPATICA” ovviamente
incontra maggiori problemi applicativi nella relazione d’aiuto con lo straniero ma se ci
riserviamo la possibilità di correggere continuamente il nostro giudizio penso che gran
parte delle difficoltà verranno meno. Nel mio lavoro e nella mia esperienza quotidiana ho
maturato la convinzione che gli stranieri hanno la caratteristica di fungere da lente
d’ingrandimento che esalta i problemi della nostra società. Con la loro presenza e con le
48
loro richieste mettono a nudo l’incapacità della nostra società ad accettare il diverso in
quanto tale (quindi anche il disabile, il povero, il malato di mente ecc.), ci impongono a
riflettere sulle carenze organizzative dei nostri servizi per l’infanzia, della scuola, dei servizi
socio-sanitari, fanno risaltare i problemi della mancanza di alloggi a costi accettabili e di
una organizzazione del mondo del lavoro che puntando ai massimi profitti calpesta spesso
i diritti dei lavoratori. Questa nuova convivenza ci impone quindi di riflettere sul sistema
organizzativo della nostra società e sui valori che sottendono alla nostra vita quotidiana.
Altro problema significativo è il rispetto della legge che regola la presenza degli stranieri in
Italia; l’incontro scorso è stato dedicato appunto a questa tematica pertanto non mi
dilungherò ma lo affronto unicamente per riflettere anche sulla responsabilità che il Centro
di Ascolto si assume nel momento in cui affronta i problemi degli stranieri e orienta verso
alcune possibili soluzioni. Se è vero che il nostro concetto di solidarietà non può essere
disgiunto da quello di giustizia, come ci comportiamo di fronte al problema del lavoro nero,
dei contratti d’affitto irregolari, delle discriminazioni sul posto di lavoro ecc. ?
Franco Vernò nel prossimo incontro vi parlerà del lavoro di rete; penso sia opportuno
accennare velocemente al fatto che il Centro di Ascolto non deve considerarsi l’unico
interlocutore per la persona che è in difficoltà ma deve essere cosciente di inserirsi in una
rete di servizi pubblici e privati che possono e, almeno per il momento, in alcuni casi
devono prendersi in carico la situazione. Da un lato quindi il Centro di Ascolto si deve
rendere disponibile a collaborare con soggetti terzi ma dall’altro deve essere pronto ad
un’azione di advocacy nei casi in cui i diritti della persona vengono negati o quantomeno
ostacolati.
Sentirete sicuramente Franco parlare delle reti primarie in quanto in Italia esistono delle
innovative leggi che identificano la comunità locale, i vicini di casa, i compagni di scuola
come soggetti a cui i servizi pubblici possono e devono rivolgersi nella realizzazione di
percorsi promozionali e d’assistenza. Siamo pronti a tutto ciò ?
Pensate poi a quello che accadrà tra non più di 10 anni; avremo in Italia decine di migliaia
di giovani, adolescenti nati in Italia da genitori stranieri. Come li considereremo e come si
considereranno loro… italiani o stranieri? Quali problemi intra-familiari emergeranno?
Come ci attrezzeremo per prevenire il disagio di questi giovani? La famiglia immigrata
troverà nel Centro di Ascolto un supporto competente?
Chi lavora con gli stranieri avrà sicuramente imparato a stupirsi continuamente e rimettere
in discussione ogni supposta certezza pertanto non mi sembra il caso di trasmettere
metodologie e prassi operative da ritenersi sempre e comunque valide, lascio spazio a voi
49
per sottoporre questioni pratiche a cui mi permetterò di fornire risposte basate
sull’esperienza maturata da me o da altri servizi.
Concluderei pertanto rammentando a tutti voi la semplicità e la gioia con cui i bambini si
relazionano indipendentemente dal colore della pelle o dalla nazionalità. Forse è proprio
vero che dovremmo tornare tutti ad essere bambini… ma siamo adulti e dobbiamo
assumerci la responsabilità di costruire le condizioni per una pacifica e giusta convivenza,
essere coscienti che la FATICA D’INTEGRARSI non è solo dello straniero ma anche
nostra in quanto ci impone in primo luogo di guardare dentro noi stessi, giudicare la nostra
società, essere coscienti dei nostri valori ed essere capaci di testimoniarli coi i fatti.
50
Quarto incontro
2 marzo 2002
Percorsi e soggetti nel lavoro di rete
Intervento di Anny Pacciarini
Presentazione di un caso
Paola è nata in Romania, ha 35 anni. Diplomata, lavorava in Romania come operaia.
Aveva avuto una convivenza per 5 anni con persona con problemi di alcolismo, e che
aveva cominciato a maltrattarla pesantemente, tanto da decidere di lasciarlo e di andare
ad abitare con un’amica. In Romania Paola viveva quindi in una situazione economica
buona, aveva un regolare lavoro e aveva trovato anche una soluzione abitativa (anche se
i parametri di valutazione sono molto differenti dai nostri). Paola però, essendo anche una
persona positivamente ambiziosa, voleva migliorare la propria vita e riteneva di
raggiungere il suo obiettivo andando all’estero.
Un “amico” rumeno, che faceva il camionista e aveva contatti con l’Italia, le aveva
presentato il sig. X di 50 anni, divorziato e con 3 figli che abitavano, con la ex moglie,
nello stesso stabile in un paese dell’hinterland di Milano.
Il sig. X veniva presentato come persona buona e desiderosa di ricostruirsi una famiglia.
Il sig. X era tornato alcune volte in Romania a trovarla. Lei era molto contenta perché lui si
comportava bene e le diceva di volerle bene e di desiderare di avere un futuro insieme,
tanto che, dopo pochi mesi dalla conoscenza, si sono sposati e sono venuti in Italia.
In Italia, dopo un paio di settimane di coabitazione tranquilla, sono cominciati i primi
episodi di lite anche per futili motivi fino ad arrivare a maltrattamenti da parte del marito,
sempre più frequenti e sempre più violenti. Paola, peraltro si era accorta che il marito
assumeva psicofarmaci (prima lui li prendeva senza farsi vedere) mischiandoli con alcool.
Di fronte all’indisponibilità del marito di affrontare i propri problemi e già scottata
dall’esperienza in Romania, decide di andarsene e glielo dice provocatoriamente in faccia.
Da quel momento lui la tiene segregata in casa. Non può però impedirle di continuare a
frequentare il corso serale di italiano presso la parrocchia per non dare elementi di
sospetto, nella certezza che Paola non avrebbe parlato del maltrattamento perché lui
l’aveva minacciata anche esibendole una pistola.
La situazione di Paola diventa di giorno in giorno più angosciosa per lei. Ha fallito il nuovo
legame, le viene impedito di lavorare, di avere contatti con altre persone, non sa l’italiano
e non conosce i parametri sociali, culturali ecc. italiani.
51
Pertanto la prossimità della fine del corso, unico suo momento di contatto con l’esterno
che sarebbe venuto meno, e l’escalation del maltrattamento hanno dato finalmente
coraggio a Paola di chiedere aiuto.
IL PERCORSO DI AIUTO
La richiesta di aiuto di Paola è rivolta quindi ai volontari che svolgono il corso di italiano
presso la parrocchia di zona, essendo questo l’unico momento di contatto che la donna ha
con l’esterno. Una insegnante volontaria si gioca un po’ di più nella relazione ed è quella
che attiva il centro di ascolto parrocchiale la cui volontaria, dopo aver conosciuto P. presso
la scuola, si rivolge alla segreteria donne per un supporto metodologico e per il
reperimento della eventuale comunità di pronto intervento (Paola/scuola/c.d.a./segreteria
donne Caritas = rete primaria e con privato sociale)
Viene individuata la comunità di P.I. e viene definito il momento della fuga da casa,
facendolo coincidere con la sicura assenza del marito per una visita medica, così da poter
organizzare il bagaglio essenziale. Di fatto, i sospetti del marito sempre crescenti e il
timore di non trovare altri momenti possibili, inducono P. a realizzare la sua fuga la
domenica antecedente, sfruttando il momento della festa conclusiva del corso di italiano.
LA PRESA IN CARICO
Paola viene accompagnata in comunità di P.I., dove rimane circa 20 giorni, durante i quali
è possibile per la segreteria donne (che si assume la titolarità del progetto) effettuare i
colloqui per conoscere la donna e la sua storia al fine di valutare la compatibilità per un
suo eventuale inserimento in casa di fuga ad indirizzo segreto e la sua disponibilità ad
accogliere le proposte.
Il primo colloquio con l’assistente sociale della segreteria donne avviene in comunità di P.I.
per motivi di protezione. I colloqui successivi avvengono invece in segreteria donne, dove
Paola viene accompagnata da volontarie.
Questi incontri servono per conoscere la storia e le richieste di Paola, ma anche per
informarla su ciò che l’attende in un eventuale accompagnamento verso l’autonomia, che
deve partire da un progetto di protezione che comporta anche dei disagi (es. indirizzo
segreto della comunità).
Appare subito persona con buone risorse personali (in possesso del diploma di maturità)
e sicura di non avere difficoltà a trovare lavoro. La sua fragilità emerge, invece, rispetto
alla sfera affettiva e la sua storia lo dimostra. Questa fragilità unita ad un’ambizione che la
spinge a desiderare di andare all’estero immaginandosi di fare un salto di qualità nella sua
52
vita, le fanno sottovalutare la complessità di sposare una persona che conosce poco e
appartenente ad un contesto sociale così diverso dal suo.
LA SEGRETERIA DONNE
Allo scadere dei 20 giorni, quindi, P. entra in D/2, la segreteria donne (titolare del progetto)
si pone in posizione di regìa della rete che comincia a costruirsi intorno alla donna.
Partendo dall’obiettivo condiviso di accompagnare P. in un percorso di autonomia, con lei
e con l’educatrice della comunità vengono individuati gli obiettivi intermedi e viene stabilita
l’ordine di precedenza, per cui vengono attivate risorse sia all’interno del sistema Caritas,
sia con istituzione pubbliche e private esterne.
Segreteria donne - Rete interna ai servizi Caritas
Segreteria donne – segreteria stranieri
Il primo punto che viene affrontato riguarda il permesso di soggiorno ottenuto per
matrimonio e in scadenza dopo qualche mese. Paola, infatti, teme che avviando la
separazione il p.d.s. possa essere revocato (come spesso il marito le diceva così da
tenerla vincolata a sé) e che il suo matrimonio potesse essere considerato strumentale
all’ottenimento del permesso di soggiorno. Per questo motivo P. viene messa in contatto
con la segreteria stranieri per consulenze legali al riguardo.
Segreteria donne - Siloe (Servizi Integrati Lavoro Orientamento Educazione)
La messa in contatto col Siloe è a avvenuta dopo circa un mese dall’entrata della donna in
D/2, al fine di attivare informazioni su percorsi formativi (corsi FSE) e per l’avvio di ricerca
di un lavoro, inteso inizialmente come impegno part time.
Segreteria donne – rete con servizi esterni
Segreteria donne - Comunità
Nel momento in cui Paola entra in “comunità di progetto a indirizzo segreto”, viene avviata
una collaborazione tra la segreteria donne della Caritas e la comunità.
Viene costruita la struttura organizzativa di verifica e sostegno alla donna, che prevede:
- incontri quindicinali con l’assistente sociale della segreteria per la verifica e la
ridefinizione degli obiettivi. All’inizio questo spazio ha favorito la costruzione di una
relazione di aiuto donna con donna (elemento su cui si fonda il servizio);
- un incontro ogni 2 mesi presso la segreteria donne, con Paola e con l’educatrice, al fine
di condividere gli obiettivi.
(In un lavoro di rete che coinvolge molteplici servizi è indispensabile chiarire chi fa, che
cosa, quando e come, in relazione al ruolo di ogni servizio e al livello di coinvolgimento).
53
Segreteria donne- cooperativa di lavoro
Parallelamente alla ricerca del lavoro tramite il Siloe, la segreteria donne ha attivato anche
dei contatti con cooperative di lavoro, per la ricerca di un’attività
in sintonia con gli
interessi di Paola e con il corso FSE da lei iniziato e riguardante l’ambito della ristorazione.
Era anche importante trovare un lavoro in regola anche ai fini della separazione, per poter
dimostrare al giudice la sua autonomia rispetto al marito e la sua volontà di ricostruire la
propria vita, facendo riferimento alle proprie risorse personali.
Paola veniva quindi assunta in una mensa aziendale.
Segreteria donne- avvocato consulente – gratuito patrocinio
Dapprima Paola ha usufruito di una consulenza legale da parte di una donna avvocato,
collaboratrice volontaria della segreteria donne, che le ha fornito le prime informazioni
rispetto alle pratiche della separazione e le ha indicato la documentazione per la domanda
di gratuito patrocinio.
Al momento dell’udienza per la separazione in Tribunale, avvenuta qualche mese dopo, è
risultato importante il fatto che Paola
fosse già autonoma economicamente, avendo
trovato un regolare lavoro, e non volesse quindi risarcimenti o l’assegno di mantenimento,
ma puntasse unicamente a potersi ricostruire un suo futuro.
Segreteria donne – medico di base - C.P.S.
Subito dopo l’accoglienza in comunità, l’attenzione di Paola si sposta dalla paura nei
confronti del marito alla delusione verso se stessa per aver fallito ancora una volta la sua
scelta affettiva, tanto da cadere in uno stato depressivo.
E’ stato quindi necessario attivare un sostegno psicologico e farmacologico, realizzato
attraverso l’invio di Paola al CPS della sua zona, avvenuto dopo un primo contatto col
medico di base.
Spesso era questo l’argomento dei colloqui con l’educatrice e con l’assistente sociale.
Segreteria donne – amica
Nel primo periodo in cui l’insegnante/amica non poteva tenere i contatti direttamente con
Paola (il sig. X, infatti, le chiedeva notizie supponendo che lei la vedesse e soprattutto
esprimeva senza pudore le sue minacce di ritrovarla, nella certezza che lei avrebbe
riferito), il tramite è stata la segreteria donne che ha fatto anche da cuscinetto per evitare
che le notizie di minacce arrivassero a Paola e per sostenere la volontaria nella sua
difficile situazione.
54
Segreteria donne - Aler
La segreteria donne ha preso i primi contatti con l’Aler, per individuare gli uffici e il
percorso da indicare a Paola al fine di ottenere l’autorizzazione alla coabitazione con una
collega di lavoro, nella speranza di poter avviare successivamente una richiesta
di
assegnazione di un proprio alloggio.
L’INTERVENTO DELLA COMUNITA’
Come detto sopra, trascorsi i 20 giorni in pronto intervento, Paola è stata accolta in
comunità di progetto. Per lei era particolarmente urgente ricevere sostegni e attivare
anche quella rete primaria (amicizie, volontariato ecc.) che, ovviamente, le mancava.
L’unica persona che si poneva in un rapporto d’amicizia, non poteva tenere contatti con lei
in quel momento, perché rischioso per sé e per Paola e solo dopo parecchi mesi sarebbe
stato possibile riprendere i contatti.
La permanenza in comunità ha permesso la definizione di un progetto, elaborato dalla
Segreteria donne insieme a Paola e alla comunità.
Il progetto prevedeva inizialmente un momento di cura della persona, per poi attivare una
crescita personale di rafforzamento della propria identità e poi l’accompagnamento ad una
vita autonoma e quindi ad un inserimento lavorativo e sociale.
La rete di sostegno interna alla comunità
Paola si è ben inserita anche nella vita di comunità, interagendo positivamente con le altre
ospiti con le quali settimanalmente avveniva una riunione coordinata dall’educatrice, tesa
ad aiutare le relazioni nella quotidianità (gruppo di auto - aiuto).
A lei veniva offerto inizialmente uno spazio giornaliero di colloquio con un’educatrice,
necessario a costruire una relazione di fiducia che l’avesse messa in condizione di fidarsi
delle persone che le stanno per la prima volta vicino e di affidarsi per quel tanto che è
necessario all’avvio dei primi contatti con persone e con servizi, che in questa fase è utile
siano mediati dall’educatrice.
Nel primo periodo viene posta molta attenzione alla persona sia dal punto di vista sanitario
sia psicologico.
Superata la fase di accoglienza gli incontri formali all’interno della comunità hanno assunto
cadenza quindicinale, fermo restando la disponibilità dell’educatrice in ogni momento di
necessità.
Paola aveva instaurato una relazione privilegiata con un’altra donna ospite della comunità,
più avanti nel percorso d’autonomia. Successivamente era stata Paola stessa a offrire il
proprio sostegno ad una giovane donna, entrata dopo di lei in comunità (relazione di auto
55
- aiuto). Anche queste positive relazioni e la condivisione di alcune esperienze con le altre
ospiti, hanno aiutato Paola a ripensare al suo passato e a sentirsi più forte nella
ricostruzione del presente e del futuro.
COMUNITA’ (coordinatrice + Paola) – Rete con servizi esterni
Comunità – segreteria donne
Paola incontra quindicinalmente l’assistente sociale della segreteria donne e si instaura
una relazione di aiuto donna con donna (che è uno degli strumenti fondamentali
nell’approccio proposto dalla segreteria donne). Paola inizia il suo percorso dapprima per
la soluzione di alcuni problemi inerenti il suo recente passato e poi per mettere le basi per
un percorso verso l’autonomia.
Comunità - amica
Dopo circa tre mesi, quando il marito sembrava aver accettato la situazione e non
disturbava più l’amica al fine di capire se la medesima avesse contatti con la moglie, Paola
può finalmente riprendere sia pur con estrema prudenza i contatti con lei.
Comunità – medico di base – C.P.S.
Come detto sopra, Paola prende anche contatti dapprima col medico di base e poi col
CPS (al fine di affrontare la sua situazione depressiva).
Comunità – avvocato – gratuito patrocinio
Paola viene accompagnata legalmente alla separazione dal marito.
Comunità – Siloe – cooperative di lavoro
Continuano i contatti col Siloe (che le offre la possibilità di un Corso FSE) e con le
cooperative di lavoro (grazie alle quali trova lavoro in una mensa).
Comunità - Aler
Dopo le indicazioni della segreteria donne, la responsabile della comunità e Paola
continuano i contatti con gli uffici Aler per l’espletamento delle pratiche intese ad ottenere
l’autorizzazione alla coabitazione con una collega di lavoro sperando poi di riuscire ad
ottenere l’assegnazione di un alloggio proprio.
Alcune riflessioni metodologiche
Il coordinamento della rete che si è sviluppata verso l'autonomia è stato effettuato dalla
"Segreteria Donne"- Caritas Ambrosiana che ha cercato di tenere insieme le molteplici
istituzioni pubbliche e private, sollecitate ad intervenire in una situazione così complessa.
Al centro del processo è sempre stata Paola che, all’inizio è stata supportata sia a livello
personale sia nell’accompagnamento ai contatti con le istituzioni, ma appena è stato
possibile Paola ha continuato da sola i contatti, supportata dai colloqui con l’educatrice e
56
con l’assistente sociale della segreteria donne, orientati a ridare fiducia nelle proprie
capacità. Infatti, come è già stato detto, la persona è portatrice non solo di problemi ma
anche di risorse delle quali, nel momento acuto della crisi, può non averne la
consapevolezza
Come succede in genere nei processi d’accompagnamento all’autonomia, all’inizio
la rete è stata a maglie strette perché la donna doveva essere tenuta nel progetto,
incoraggiata e accompagnata anche materialmente. Man mano che il processo si è
avviato e la donna ha potuto tirare fuori ed utilizzare le proprie risorse, le maglie si
sono allargare, affinché la donna potesse anche sperimentarsi e riappropriarsi delle
proprie risorse e competenze.
La persona va, inoltre, considerata all’interno della sua rete primaria (amicale/parentale,
ma anche istituzionale), per il mantenimento delle risorse già presenti alle quali,
eventualmente, ne possono essere aggiunte delle altre.
Per il volontario/operatore cogliere la capacità/possibilità della persona di instaurare buone
relazioni con gli altri, è uno degli elementi che possono far capire il livello di autonomia o,
viceversa, di difficoltà della persona, oltre a far capire il livello di complessità della
situazione.
Qualche volta la persona che si rivolge a noi, ci presenta una situazione di assoluto
isolamento dal contesto familiare e sociale e se ciò fosse vero, potrebbe essere anche un
segnale di difficoltà soggettive che devono essere tenute in considerazione. Nel nostro
caso si tratta di persona straniera da poco in Italia che, nonostante l’isolamento in cui il
marito ha cercato di tenerla, è riuscita a sfruttare l’unico contatto, la scuola.
In un lavoro di rete ci deve essere un titolare del progetto con ruolo di regia (non
sempre i due aspetti coincidono, infatti a volte la regia viene assunta da chi si sente più
motivato e coinvolto).
La rete può essere ampliata man mano che se ne presenti la necessità, e può essere
di tipo primario (amicale/parentale) e di tipo secondario misto (servizi pubblici e
privati ). E’ molto complesso gestire questo tipo di rete perché ogni istituzione, specie
quelle pubbliche, ha approcci, tempi, metodologie diverse.
Il percorso d’aiuto all’interno di una rete non è così lineare come potrebbe apparire
nell’esposizione, ma ha dovuto individuare momento per momento le strategie, trovare le
soluzioni, ecc. per il raggiungimento degli obiettivi… Sia pur in una metodologia a cui far
riferimento non ci sono interventi standardizzati , ma è necessaria una continua ricerca di
57
risposte adeguate (complessità della persona straniera… per la quale va considerata la
cultura di riferimento, la sua posizione giuridica ecc.)
Per concludere, nella storia sopra indicata il centro di ascolto ha avuto un ruolo
fondamentale nell’avvio della presa in carico della donna. Successivamente, per i motivi
evidenti di prudenza al fine di non creare tracce per il marito, non ha potuto direttamente
partecipare alla costruzione della rete e ha tenuto solo qualche contatto più che altro per
ricevere informazioni rassicuranti.
In altre situazioni (quando comunque si tratti di persone adulte delle quali non si fa carico
l’ente pubblico), il centro d’ascolto può anche assumersi la titolarità del progetto e favorire
la costruzione della rete. Ciò non è opportuno quando sono presenti anche minori, che
sono tutelati dalle leggi italiane. Per ovviare ai timori (a volte legittimi ma non sempre)
della persona adulta di rivolgersi ai servizi pubblici perché
teme che i figli vengano
allontanati, è opportuno assumersi il ruolo di accompagnamento della persona, che
significa anche conoscere prima l’assistente sociale con cui, se possibile, instaurare una
relazione di collaborazione e fare così un invio mirato.
E’ opportuno che il Centro d’ascolto cerchi di costruirsi a priori dei contatti con le istituzioni
pubbliche e private del proprio territorio con cui cercare di avviare un processo di
condivisione di obiettivi, di metodologie, di linguaggio ecc. Questo processo è sicuramente
difficile sia che si tratti di istituzioni esterne sia interne all’ambito parrocchiale in quanto è
necessario uscire da un approccio autoreferenziale, per mettere davvero al centro
dell’attenzione la PERSONA e gli obiettivi che la medesima vuole raggiungere.
58
Intervento di Franco Vernò
Bisogni - Risposte - Organizzazioni: elementi di contesto
 Ai servizi si rivolgono sempre di più persone che presentano situazioni problematiche
sempre più complesse.
 Si pone l'imperativo etico di dover garantire un'attenzione alla globalità della persona.
 Le domande di aiuto spesso risultano contraddittorie: non ci si sottrae all'aiuto, ma non
si rendono praticabili progetti di cambiamento. Diventa allora importante presidiare tali
situazioni da parte di tutti i servizi intervenuti.
 Il sistema delle competenze è frantumato.
 I servizi di conseguenza sono settoriali e autocentrati.
 Esiste una scarsa attenzione a presidiare le "zone di confine" (tra i bisogni, tra le
professioni, tra le organizzazioni, etc.).
 Esistono vuoti nelle risposte ai bisogni.
 Assistiamo a forme di autoreferenzialità delle professioni, delle organizzazioni, delle
istituzioni.
In tale contesto operativo, perché gli interventi siano efficaci, nasce l'esigenza di:
 Connettere.
 Collegare.
 Annodare fili.
 Attivare comunicazioni.
 Darsi regole.
In tale contesto possiamo collocare il nostro discorso sul lavoro di rete.
Rete è strumento di diagnosi.
Rete è metodologia di intervento.
59
Insieme di fattori da prendere in esame parlando di reti
Significati
Cosa significano le reti
Oggetti
Quali sono i contenuti
Occasioni
Quando si attivano
Soggetti
Chi
Metodologie
Come funzionano
Motivazioni
Perché sono necessarie
60
I concetti di rete - I significati
"Un insieme specifico di legami che si stabiliscono fra un insieme definito di persone"
Mitchell
"Un insieme di contatti interpersonali per effetto dei quali l'individuo mantiene la propria
identità sociale"
Walcher
Dice Franca Ferrario:
"La rete costituisce un passaggio obbligato
-
per capire la persona e le sue difficoltà,
-
per aiutarla in un rapporto di autonomizzazione e di costruzione di un rinnovato
rapporto con l'ambiente che può passare dalla rete".
Ogni persona ha bisogno di reti.

In una rete parentale si nasce;

In una rete di amici si decide di stare;

In una rete possiamo trovarci per motivi terapeutici (pensiamo ai Club Alcolisti
Anonimi);

In una rete di servizi possiamo trovarci per scelta o per volere di altri (l'anziano non
autosufficiente assistito a domicilio, un minore allontanato dalla famiglia di origine).
Tipologie di reti
Le reti vengono comunemente distinte in tre tipologie.
-
Reti primarie
Sono gli ambiti in cui si vivono normalmente i rapporti caratterizzati da contenuti affettivi,
amicali, da affinità. Pensiamo alla famiglia, alla parentela, ai gruppi di amici, al vicinato, ai
compagni di studio, di lavoro, alle persone con cui si condividono scelte di fede, politiche…
Queste reti sostengono, aiutano, danno sicurezza e identità.
-
Reti secondarie
Insiemi di persone che si costituiscono in gruppi per sostenersi reciprocamente o per
aiutare altri. Pensiamo alle associazioni culturali, ai gruppi di auto - mutuo aiuto, alle
associazioni per l'autotutela…
- Reti secondarie istituzionali
L'insieme delle istituzioni che attraverso servizi e prestazioni supportano i processi di
crescita delle persone e delle famiglie, ne promuovono lo sviluppo, intervengono quando
sorge la necessità di tutelare i diritti sanciti dalle leggi.
61
La letteratura esistente sul tema "reti" non contempla questa ultima tipologia di reti,
soffermandosi sulle prime due. Oggi, anche in considerazione di caratteristiche specifiche
della storia del welfare in Italia, sempre di più il legislatore, chi si occupa di
organizzazione dei servizi, chi approfondisce le problematiche di ordine metodologico, chi
forma gli operatori, parla di reti tra soggetti e di reti tra organizzazioni, quindi di reti di
responsabilità e reti di risorse (L 285/97; L 328/00; …).
Il lavoro con le reti
Intendiamo il processo metodologico attivato da un amministratore, un responsabile, un
operatore con altri amministratori, responsabili, operatori di altre istituzioni (pubbliche o
private), per affrontare in modo:

integrato

unitario

globale
un problema di:

una persona (rete di operatori per mettere in rete servizi)

un gruppo

della comunità.
Lavorare con le reti.

garantisce una maggior efficacia negli interventi e miglior qualità nei programmi e nei
progetti,

promuove corresponsabilità sui risultati;

ottimizza l'uso delle risorse.
Perché sia possibile il lavoro con le reti, in chi "attiva" sono richieste:

la conoscenza dei "punti" della rete,

la consapevolezza delle "crucialità" degli altri punti della rete perché il progetto, il
processo di aiuto risultino efficaci,

un linguaggio, una formazione, una metodologia comuni,

un coinvolgimento reciproco non solo nella fase di realizzazione di un progetto, ma
anche e soprattutto nella fase di ideazione / costruzione dello stesso.
Il lavoro per le reti
Intendiamo il processo metodologico attivato da un soggetto istituzionale o comunitario
perché si sviluppino forme di:
-
presa in "carico comunitaria" di problemi da affrontare o di opportunità da garantire,
62
- passaggio da territorio a comunità (da sommatoria a reti di soggetti che concorda
ideologicamente sulle soluzioni da adottare e che mette in rete le proprie risorse per
realizzare gli obiettivi condivisi);
- costruzioni di reti di servizi (solo pubblici, misti Pubblico/privato, etc.) definendo le
regole di funzionamento, di accesso alla rete, di governo della rete.
Lavorare per le reti è puntare ad una qualità della polis sul versante delle.
- garanzie dell'esigibilità dei diritti di cittadinanza sociale;
- maggior tutela e inclusione sociale,
- qualità delle relazioni tra soggetti;
- corresponsabilità.
Sono richieste:
- funzioni di leadership nel promuovere e governare tavoli di concertazione;
- funzioni di mediazione tra culture, soggetti, bisogni, interessi diversi.
63
Quinto incontro
18 maggio 2002
Intervento di Graziella Favaro
Le radici e le foglie
Genitori e bambini nella migrazione
Le foglie dell'albero
cadono sempre
vicino alle sue radici.
Proverbio cinese
Una frattura e un incontro
La migrazione è al tempo stesso "frattura" e incontro, che comporta il rompersi /
riallacciarsi dei legami e la rielaborazione dei ruoli familiari e intergenerazionali. La
presenza dei figli - immigrati o nati nel paese ospite - pone con forza ai genitori venuti da
lontano il tema della trasmissione della cultura e delle appartenenze in un contesto nuovo
e per certi versi, estraneo, segnato dal cambiamento e dalle discontinuità. Il passaggio alla
nuova generazione di riferimenti, pratiche, saperi, avviene in una situazione che cerca di
integrare, da un alto, la volontà di inserimento, il progetto di riuscita nel nuovo paese e
dall'altro, il timore di erosione della cultura d'origine e dell'affievolirsi dei legami di filiazione
e dell'appartenenza religiosa.
Come elaborano i genitori immigrati la necessità di trasmettere e di mantenere fedeltà e
appartenenza, con il processo continuo di mediazione tra mondi, riferimenti, lingue
differenti? Quali strategie educative adottano perché i loro figli possano inserirsi nel "qui e
ora" senza perdersi, senza negare o rimuovere le radici, i legami e la storia familiare?
E le nuove generazioni - nate o educate nel paese di immigrazione - come riescono a
elaborare valori, riferimenti e messaggi educativi che a volte possono presentare aree di
conflitto?
Tra la famiglia immigrata che chiede spesso al figlio - esplicitamente o implicitamente "devi essere come noi", i bambini e i ragazzi dell'immigrazione costruiscono le loro
traiettorie di vita al crocevia tra aspettative divergenti, in un'alchimia inedita di riferimenti,
storie familiari, scelte personali. A volte essi "lasciano i genitori sull'altra riva" ancorati al
passato e alla tradizione; più spesso i loro percorsi di acculturazione, che compiono qui e
ora, modificano profondamente anche i rapporti familiari e il quotidiano della famiglia.
Modificano, ad esempio, almeno in parte, la rigidità dei ruoli genitoriali, sfumando l'autorità
del padre a vantaggio di affettività meglio distribuite tra i coniugi. Modificano le modalità
comunicative intrafamiliari, introducendo insieme al suono e all'accento delle nuove parole,
anche riferimenti a oggetti, situazioni, valori differenti. La maggiore competenza linguistica
dei figli nel nuovo codice - se, da un lato, rappresenta una risorsa per tutto il nucleo - può
tuttavia dall'altro lato, minacciare il prestigio dei genitori e in particolare del padre. Un
padre non competente nella seconda lingua ha infatti difficoltà ad assumere il ruolo di
interprete e mediatore tra lo spazio interno, della famiglia, e quello esterno, della società di
64
accoglienza e dei servizi e a rappresentare un esempio da imitare per i figli. Se, da un lato,
la sua situazione di genitore lo colloca nel ruolo del soccorritore nei confronti del figlio
(perché è piccolo e quindi incapace; oppure perché è già grande, ma ridiventato piccolo
perché deve affrontare le perdita dei riferimenti e degli oggetti conosciuti), dall'altro,
l'incapacità linguistica lo colloca nel ruolo di bambino, appunto di infans (colui che non
parla). La mancata o scarsa competenza in italiano rischia quindi di produrre una sorta di
ribaltamento dei ruoli tra genitore e figlio e un'eccessiva attribuzione di responsabilità ai
minori attraverso la loro funzione di "intermediario" nei confronti dell'esterno.
E ancora, per i figli, il fatto di crescere qui "tra e con" due culture, modifica il riferimento
allo spazio (a quale paese si appartiene?) e al tempo (dove si colloca il futuro?) rendendo
stabile e duratura la parentesi migratoria.
La situazione di provvisorietà, diffusa fra gli immigrati e continuamente rinforzata dal
paese di accoglienza, può a volte costituire un fattore di "equilibrio" per l'adulto singolo,
che mette il presente fra parentesi, in attesa di riprendere la sua vita altrove. Non è
certamente così per il bambino nato qui, che si trova a vivere sospeso tra appartenenze
mai definite, a contatto con la nostalgia di un luogo e di un tempo che non ha mai abitato e
vissuto. E ancora, se gli adulti non hanno ancora elaborato il distacco dalle illusioni e dal
paese perduto, se la loro permanenza è segnata dal rimpianto e dal radicamento verso il
passato, sarà il figlio a dover compiere il cammino del distacco, prima di riuscire ad
appartenere al paese che lo vede crescere.
Il rapporto con il paese di immigrazione e con il paese di origine, le paure e le aspettative
per il futuro si traducono naturalmente in messaggi e in progetti educativi nei confronti
della nuova generazione. Così, tra le famiglie immigrate possiamo distinguere tra:
 coloro che sono "installati" nella provvisorietà e che oscillano tra scelte ambivalenti,
aspettando che gli accadimenti esterni li indirizzino verso decisioni più precise;
 coloro che sono radicati verso il passato e che temono fortemente una progressiva
erosione della cultura d'origine attraverso l'influenza della scuola e dell'ambiente
esterno;
 coloro che cercano, attraverso sforzi e tentativi quotidiani, di costruire per i loro figli,
legami e appartenenze plurali, senza che vi siano fratture e distanze, al fine di
integrare i riferimenti alla cultura e alla storia familiare con quelli del paese in cui
vivono.
In quest'ultimo caso, la famiglia immigrata funziona come un luogo, reciprocamente
arricchente, di mediazione tra due mondi, resa possibile dal fatto che genitori e figli
stabiliscono una "doppia autorizzazione".
I genitori stranieri hanno fatta propria la convinzione secondo la quale l'appartenenza a
due culture, tra loro in ibridazione, è più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un
solo mondo culturale. Questo significa, in alcuni casi e situazioni, accettare che il figlio sia
in parte diverso da come essi se lo erano rappresentato, meno "fedele" alle origini di
quanto avrebbero voluto. I genitori autorizzano e incoraggiano l'appartenenza del figlio alla
nuova realtà, alla sua lingua, ai valori e comportamenti. Essi riconoscono che la storia del
bambino - il suo progetto e traiettoria - è legittima senza che sia la propria. Il figlio, da
parte sua, accetta l'appartenenza dei genitori alla cultura d'origine, conosce e stima i loro
sforzi e progetti, valorizza i loro saperi.
Le storie delle due generazioni si articolano e si sviluppano allora secondo una continuità
che vede la presenza non solo di elementi di somiglianza, ma anche delle differenze. In
questa dinamica familiare, tra mantenimento e mutamento, la madre ha un ruolo
fondamentale di trait-d'union poiché tesse i legami tra il mondo del bambino, che è quello
del futuro e dei progetti e quello del padre, del passato, della memoria e della nostalgia.
65
Spazi educativi a confronto
Il primo luogo entro il quale la famiglia immigrata incontra le differenze e deposita le
proprie aspettative è rappresentato in genere dai servizi educativi per i più piccoli o dalla
scuola. Luoghi "chiave" nei quali il processo di inculturazione o di socializzazione primaria,
proprio dalla famiglia, può integrarsi con i messaggi e il nucleo di regole sociali propri
dell'acculturazione. Vengono dunque a confronto in questi spazi temi fondamentali quali:
la concezione dell'infanzia, la relazione tra la madre e il bambino, l'acquisizione della/e
lingua/e, le differenze di genere e i modelli educativi diversi per il bambino e la bambina; il
rapporto con lo spazio, il cibo, la disciplina, i divieti e l'autonomia…
Nella relazione tra famiglia e servizi educativi si possono cogliere tre diversi modi di
elaborare i messaggi educativi e di "gestire" le differenze da parte dei due partner
educativi. Il primo modo prevede la complementarità tra gli spazi e i riferimenti. Essa
comporta una chiara distinzione tra i due momenti, una certa gerarchia dei messaggi e la
valorizzazione dei nuovi saperi che il figlio apprende. La famigli trasmette il "nocciolo
duro" dell'identità che definisce profondamente le appartenenze e le scelte di vita
fondamentali; la società di accoglienza e la scuola trasmettono saperi, opportunità, risorse.
Raramente vi è conflitto fra i due momenti educativi; frequenti sono invece la distanza e
forme più o meno marcate di difesa dei confini.
In altri casi vi possono essere invece forme esplicite o silenziose di antagonismo.
Ciascuno dei due spazi educativi rifiuta i messaggi dell'altro: la scuola cerca di stabilire
un'alleanza privilegiata con il bambino; la famiglia disconosce nuovi modelli e riferimenti e
si richiama a ciò che si è sempre fatto, alla tradizione come riconoscimento e
giustificazione delle proprie scelte.
E infine, dall'una all'altra parte, vi possono essere atteggiamenti di reinterpretazione,
basati sull'adattamento e sul rispetto reciproco, sull'accettazione di pratiche culturali e sul
riconoscimento del loro valore. Le famiglie immigrate dunque, accettano, rifiutano,
trasformano messaggi, saperi, comportamenti, riferimenti.
Naturalmente, ogni famiglia compone una propria storia educativa e definisce di volta in
volta ciò che è "irrinunciabile" e costituisce il nocciolo duro della così detta "cultura
d'origine" e ciò che invece può cambiare e adattarsi alla nuova situazione. Per alcuni, la
cultura d'origine coincide con l'appartenenza religiosa; per altri è invece la lingua; per altri
ancora sta tutta nei legami tra le generazioni e con gli antenati. Essa ha comunque peso e
valore diversi per l'una e l'altra generazione. I genitori vivono i loro riferimenti d'origine fatti di valori, norme, pratiche - come la loro storia, la riserva di significati a partire dalla
quale decodificano e comprendono il mondo. Per i figli nati qui o arrivati da piccoli, la
cultura d'origine si colloca su uno sfondo nebuloso, fatta di frammenti che non sempre
riescono a dare significato alle pratiche di ogni giorno. Cultura d'origine viene quindi a
volte a coincidere con i divieti, con le prescrizioni collettive che si oppongono alle scelte
individuali.
Riferimenti di qui e riferimenti d'altrove: sulle spalle dei bambini della immigrazione vi sono
due diversi nuclei composti di regole, saperi, messaggi, rappresentazioni e norme.
Da parte della scuola - e della società di accoglienza - i rischi più diffusi sono quelli di
considerare rigidi e immutabili gli aspetti propri della cultura familiare, oppure di negarli o
svalorizzarli. Anche da parte della famiglia, vi è il rischio della rigidità nella trasmissione
culturale e della "fragilità" di un passaggio di saperi tra le generazioni che avviene in una
situazione di discontinuità tra spazio interno ed esterno.
Per i bambini della immigrazione, la storia familiare rappresenta la riva dalla quale si parte
per il proprio - singolarissimo - viaggio e l'approdo al quale tornare di volta in volta per
ritrovare echi e significati, memoria e narrazioni.
66
Incidenti interculturali o conflitti?
Nella relazione tra famiglie immigrate e operatori dei servizi possono a volte verificarsi
malintesi, fraintendimenti, distanze comunicative. "Incidenti" che sono dovuti più spesso a
difficoltà linguistiche, oppure a riferimenti e significati culturali differenti pur in presenza di
linguaggio e parole comuni. Da parte del servizio, cause principali degli incidenti
comunicativi possono essere: la rigidità e la non "trasparenza" del funzionamento; la
difficoltà a negoziare e a comprendere il punto di vista dell'altro; il considerare l'altro
appiattito entro un'ipotetica cultura di origine, o, viceversa, totalmente isolato dal suo
contesto di appartenenza. Da parte delle famiglie immigrate, la relazione con i servizi per
tutti, mette a nudo le dinamiche e i ruoli familiari. Ciò che fino a quel momento ha trovato
soluzione e aggiustamento nella sfera privata fa irruzione sulla scena pubblica,
coinvolgendo degli estranei nella storia del nucleo.
In genere, incidenti critici e distanze comunicative si hanno quando si rileva uno scarto tra
i comportamento attesi - e ritenuti positivi - e i comportamenti reali, ritenuti inaccettabili.
Naturalmente sono i figli che più spesso adottano pratiche e atteggiamenti che possono
essere sanzionati dai genitori e accettati dai servizi. Si scontrano le rappresentazioni
diverse, proprie di ciascuna generazione, di autonomia / dipendenza; individuo /
appartenenza; desiderio / obbligo; rispetto / infrazione delle regole…
Può succedere anche che all'interno della famiglia stessa vi sia disaccordo sui modi di
adattarsi e rispondere a situazioni nuove nelle quali le forme consuete di comportamento e
interazione appaiono inadeguate.
E questa "barriera" può sorgere non solo tra una generazione e l'altra ma anche all'interno
della stessa generazione: tra padre e madre, tra fratelli…
E tuttavia la famiglia, contando sulle proprie risorse di affetti, storia, legami e attenzioni, e
sulle risorse esterne, di informazioni, confronti, opportunità, può elaborare la sua capacità
di mediare, accogliendo i cambiamenti e le metamorfosi di ciascuno dei suoi componenti.
Per quanto riguarda gli operatori dei servizi, gli incidenti interculturali possono
rappresentare invece occasioni importanti per interrogarsi, per rendere comprensibili a tutti
i riferimenti, i valori, le regole di ogni istituzione, per descrivere e analizzare il nostro
sistema.
In altre parole, per costruire insieme relazioni disvelate e più autentiche.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
AA.VV., I ricongiungimenti familiari e la famiglia, in G. Zincone (a cura di), Secondo
rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna 2001
- AA.VV., Dossier, Le nuove famiglie, TAM TAM n° 3, Milano, dicembre 1994
- AA.VV., Identità cangianti. Nascita, riproduzione e legami familiari nella migrazione.
Marginalità e società n° 28, Angeli, Milano 1995
- AA.VV., Minori immigrati. Identità, bisogni, servizi. Servizi sociali n°2/1998, Fondazione
E. Zancan, Padova 1998
- F. Balsamo (a cura di), Da una sponda all'altra del Mediterraneo. Donne immigrate e
maternità. L'Harmattan Italia, Torino 1997
- Comune di Parma - Centro per le Famiglie, Ufficio Stranieri, Famiglie immigrate a
Parma, cicl. 1993
- G. Favaro, Bambine e bambini di qui e d'altrove. La migrazione dei minori e delle
famiglie, Guerini, Milano 1998
- G. Favaro, Essere genitori nella migrazione, in Erranze, Adultità n°11- 2000
67
-
G. Favaro, Famiglie immigrate e servizi educativi per l'infanzia, in G. Favaro, A.
Genovese (a cura di), Incontri di infanzie, CLUEB, Bologna 1996
G. Favaro, Le famiglie immigrate: microcosmo di affetti, progetti, cambiamento, in AA.
VV. La rete spezzata, Feltrinelli, Milano 2000
G. Favaro, I bambini migranti, Giunti, Firenze 2001
G. Giovannini (a cura di), A partire dai figli… Dossier di ricerca, Regione Emilia
Romagna - Centri per le famiglie, cicl. e CD-Rom
Labos - Osservatorio sui bisogni sociali, Famiglie immigrate: bisogni e servizi sociali,
Edizioni TER, Roma 1993
C. Landuzzi, A. Tarozi, A. Treossi, Tra luoghi e generazioni, l'Harmattan Italia, Torino
1995
G. Magistrali, S. Fava, V. Argenziano (a cura di), Quando l'immigrazione è familiare,
Angeli, Milano 1999
E. Scabini, P. Donati (a cura di), La famiglia in una società multietnica, Vita e Pensiero,
Milano 1993
M. Tognetti (a cura di), Legami famigliari e immigrazione: i matrimoni misti,
L'Harmattan Italia, Torino 1996
M. Tognetti, Ricongiungere la famiglia altrove, in Erranze - Adultità n°11 - 2000
68
Per l'intervento di Laura Rancilio
Schede Pratiche Legge Immigrazione di P. Bonetti e M. Molteni
XXII - ASSISTENZA SANITARIA
(Artt. 34 - 35 - 36 T.U. e artt. 42- 43 - 44 Regolam.)
Obbligo di copertura sanitaria
In base all'art. 34 T.U. la copertura contro i rischi per la salute non più una semplice
facoltà per gli stranieri, ma un obbligo che esteso il più possibile a tutti gli stranieri
regolarmente soggiornanti (condizione per il rilascio e per il rinnovo dei permesso di
soggiorno) mediante:
A)
iscrizione obbligatoria al Servizio sanitario nazionale per tutti gli stranieri aventi titoli
di lungo soggiorno e per numerosi permessi di soggiorno di breve periodo;
B)
polizza assicurativa contro i rischi da malattia, infortunio o maternità oppure
iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale per gli stranieri titolari di permessi di
soggiorno per studio o di altri permessi di breve periodo.
Iscrizione al SSN dei detenuti stranieri
Sono iscritti al Servizio sanitario nazionale gli stranieri, limitatamente al periodo in
cui sono detenuti o internati negli istituti penitenziari. Tali soggetti hanno parità di
trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal
regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia (art. 1, co. 5 D. lgs. 22 giugno 1999, n.
230).
Stranieri soggetti all'obbligo di iscrizione al SSN (art. 32 co.1 TU)
Hanno l'obbligo di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale e hanno parità di diritti e doveri
rispetto ai cittadini italiani(ticket, sanitometro):
a) gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro, familiari, per asilo politico,
per richiesta d'asilo, per asilo umanitario, per attesa adozione, per affidamento, per attesa
cittadinanza;
b) gli stranieri iscritti nelle liste di collocamento o che comunque svolgono un regolare
rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo (l'iscrizione non invece obbligatoria
per gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per affari e per gli stranieri che abbiano
uno degli speciali permessi di soggiorno per lavoro rilasciati ai sensi dell'art. 27 T.U. ai
dirigenti o al personale altamente specializzato di società aventi sede o filiali in Italia, ai
lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro residenti aventi sede
all'estero, ai giornalisti corrispondenti ufficialmente accreditati in Italia, che non siano tenuti
a corrispondere in Italia, per l'attività ivi svolta, l'IRPEF - cfr. art. 42 co. 5 regolam.).
L'iscrizione obbligatoria al S.S.N. è:
 gratuita;
 non più a durata annuale, ma a tempo indeterminato per tutta la durata dei permesso
di soggiorno e anche nelle more dei suo rinnovo;
 copre soltanto l'assistenza sanitaria erogata in Italia compresa l'assistenza riabilitativa
e protesica (art. 42, co. 1 regolam.). Eventuali cure erogate all'estero sono a carico dei
paziente straniero.
L'assistenza sanitaria spetta altresì ai familiari a carico regolarmente soggiornanti. (art.34
co.2 T.U.).
Ai minori l'assistenza sanitaria è assicurata fin dalla nascita anche prima dell'iscrizione al
S.S.N.
La cessazione dell'iscrizione al S.S.N. avviene (art. 42 co. 4 regolam.) nei seguenti
69
casi:
 scadenza dei permesso di soggiorno, salvo che l'interessato esibisca la
documentazione comprovante la richiesta di rinnovo dei permesso di soggiorno o il
permesso di soggiorno rinnovato;
 diniego dei rinnovo, revoca o annullamento del permesso di soggiorno ovvero
espulsione, comunicati alla ASL dalla Questura, salvo che l'interessato esibisca la
documentazione comprovante la pendenza dei ricorso contro tali provvedimenti;
 in caso di variazione nello status della persona che fanno venire meno l'obbligo di
iscrizione al S.S.N (per es. fine della convivenza per i familiari a carico, conversione dei
permesso di soggiorno in un permesso diverso rispetto a quelli che impongono
l'iscrizione obbligatoria al SSN, cessazione dell'attività lavorativa o dell'iscrizione nelle
liste di collocamento per lo straniero che non titolare di un permesso di soggiorno che
rende obbligatoria l'iscrizione al SSN).
B) Obbligo di assicurazione sanitaria per le altre categorie di stranieri regolarmente
soggiornanti
Tutti gli stranieri regolari non rientranti tra quelli per cui è previsto l'obbligo d'iscrizione al
S.S.N. hanno l'obbligo ad assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità
mediante una delle seguenti coperture:
A) stipula di apposita polizza assicurativa con un istituto assicurativo italiano o straniero
contro il rischio di malattia, infortunio e maternità;
B)
iscrizione volontaria al S.S.N. dietro pagamento di un contributo annuale
determinato con Decreto interministeriale (art.34 co.3 T.U.), nei seguenti casi:
a) L'iscrizione volontaria al S.S.N. (valida anche per i familiari a carico) può essere
richiesta dietro pagamento di un contributo (per ora +. 750.000) dallo straniero che abbia
richiesto un permesso di soggiorno di durata superiore a 3 mesi (art. 42, co. 6 regolam.);
N.B.: per i permessi di durata non superiore a tre mesi la copertura sanitaria deve essere
adempiuta mediante polizza assicurativa (perciò la circ. Min. sanità n. 5/2000 esclude
espressamente i titolari di permesso di sogg. per turismo dalla possibilità d'iscrizione
volontaria al Servizio sanitario nazionale);
b) l'iscrizione volontaria al S.S.N. (non valida per i familiari a carico dietro
pagamento di un contributo forfettario (per ora L. 350.000) puo essere richiesta soltanto
dai seguenti stranieri (art. 34, commi 4, 5, 6 T. U.):
 stranieri soggiornanti in Italia titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio;
 stranieri regolarmente soggiornanti collocati alla pari, ai sensi dell'accordo europeo sul
collocamento alla pari, adottato a Strasburgo il 24 novembre 1969, ratificato e reso
esecutivo ai sensi della legge 18 maggio 1973 n. 304.
Iscrizione al SSN presso la ASL competente
Lo straniero assicurato al S.S.N. iscritto nell'azienda sanitaria locale del Comune in cui
dimora (art.34 co.7 T.U.) e non più in quella dei Comune di residenza.
In mancanza di iscrizione anagrafica, per luogo di effettiva dimora si intende quello
indicato nel permesso di soggiorno. L'iscrizione alla A.S.L. è valida per tutta la durata del
permesso di soggiorno. (art.43 co.2 regolam.).
Documentazione richiesta:
1) permesso di soggiorno (o carta di soggiorno o iscrizione dei minore sul permesso o
sulla carta di soggiorno) oppure ricevuta della domanda di rinnovo;
2) autocertificazione dello straniero di avere effettivamente domiciliazione in un Comune
situato nel territorio della USL oppure attestazione analoga rilasciata dallo stesso Comune.
Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al SSN
 Per le prestazioni sanitarie gli stranieri non iscritti al S.S.N. devono corrisponderne il
pagamento secondo le tariffe determinate dalle regioni e province autonome, salvo
quanto previsto da trattati e accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità
70

sottoscritti in Italia(art. 35 co. 2 T. U.).
Ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, ma non iscritti al S.S.N., sono
assicurate le prestazioni sanitarie urgenti dietro pagamento delle tariffe determinate
dalle regioni e dalle provincie autonome. Gli stranieri non iscritti al S.S.N. possono
inoltre chiedere all'azienda ospedaliera o alla unità sanitaria locale di fruire, dietro
pagamento delle relative tariffe, di prestazioni sanitarie di elezione (art. 43 co. 1 regol.).
Assistenza sanitaria prevista per gli stranieri clandestini o irregolari
Ai cittadini stranieri clandestini e in posizione irregolare garantito il diritto alle cure
ospedaliere o ambulatoriali urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative. Per
malattie, infortuni, maternità e sono estesi i programmi di medicina preventiva. (art.35 co.3
T.U.). Il Ministero della Sanità con la circolare n. 5 dei 24 marzo 2000 considera il principio
della continuità delle cure urgenti essenziali nel senso di assicurare all'infermo il ciclo
terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell'evento morboso e
definisce:
a) cure urgenti" quelle cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o
danno per la salute della persona;
b) "cure essenziali" quelle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a
patologie non pericolose nell'immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero
determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o
aggravamenti), e dall'altro considerano.
L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero clandestino e alcun tipo di
segnalazione all'autorità, salvi i casi in cui la legge preveda l'obbligo dei referto (per es. in
caso di ferita da arma da fuoco o da taglio o di malattia infettiva o di incidente sul lavoro).
(art.35 co. 5 T. U.).
Tuttavia la circ. Min. Sanità n. 5/2000 prescrive che la struttura sanitaria deve in ogni
caso provvedere, anche in assenza di documenti d'identità, alla registrazione delle
generalità fornite dall'assistito, sia perché il beneficiario delle prestazioni non può , in linea
di principio, rimanere anonimo (per es.: per l'accertamento di eventuali responsabilità degli
operatori sanitari), sia ai fini degli adempimenti previsti dall'art. 4 regolam., in ordine a e
comunicazioni, previo consenso e 3 interessato salvo che sia impossibilitato a farlo, alla
autorità consolare dei suo Stato di appartenenza, e della rilevazione dei casi di malattie
infettive e diffusive soggette a notifica obbligatoria.
Le cure sono gratuite per gli Stranieri indigenti. A tal fine fa fede una autodichiarazione
dello stato di indigenza da parte dei soggetti interessati.
Gli oneri per le prestazioni sanitarie erogate a soggetti privi di risorse economiche
sufficienti, comprese i ticket eventualmente non versati, sono a carico dell'U.S.L.
competente per il luogo in cui le prestazioni sono state erogate.
In caso di prestazioni sanitarie lasciate insolute dal cittadino straniero, l'azienda
ospedaliera ne chiede il pagamento alla U.S.L., ovvero, se si tratta di prestazioni urgenti o
comunque essenziali, al Ministero dell'interno. (art. 43 co. 4 regolam.)
La comunicazione al Ministero dell'interno effettuata in forma anonima, mediante il codice
S.T.P. (vedi oltre) con l'indicazione della diagnosi, dei tipo di prestazione erogata e della
somma di cui si chiede il rimborso. (art. 43 co. 5 regolam).
Tali procedure si applicano anche nel caso di prestazioni sanitarie effettuate nei confronti
di profughi o sfollati. (art. 43 co. 6 regolam.).
La prescrizione e la registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi dei
permesso di soggiorno vengono effettuate utilizzando un codice reg. a sigla STP
(Straniero temporaneamente presente). Tale codice identificativo identifica l'assistito per
tutte le prestazioni e deve essere utilizzato anche per la rendicontazione delle prestazioni
effettuate da parte delle strutture pubbliche e private accreditate ai fini dei rimborso e la
71
prescrizione di farmaci erogabili alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani.
(art. 43 co. 3 regolam.).
Cure ospedaliere e/o ambulatoriali che devono essere comunque garantite (art.35
co.3 TU)
Agli stranieri, anche se clandestini, spettano comunque le seguenti cure ospedaliere o
ambulatoriali:
 tutela della gravidanza e della maternità (aborto incluso) a parità di trattamento con le
cittadine italiane;
 tutela della salute del minore;
 vaccinazioni nell'ambito delle campagne di prevenzione collettiva decise dalle Regioni;
 interventi di profilassi internazionale;
 profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive.
La circ. Min. Sanità n. 5 dei 24 marzo 2000 ha espressamente esteso anche agli stranieri
illegalmente soggiornanti in Italia l'accesso ai servizi per le tossicodipendenze e gli
interventi preventivi, curativi e riabilitativi previsti dal testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope emanato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n.
1309.
Ingressi in Italia per cure mediche (art. 36 commi 1 e 2 TU)
A) Straniero che chieda il visto di ingresso per motivo di cure mediche (cfr. art. 36, comma
1, T.U. e dall'art. 44, comma 1, regolamento). In tal caso ai fini dei rilascio dei visto
l'interessato o un suo familiare o chiunque vi abbia interesse deve presentare la seguente
documentazione:
a) dichiarazione della struttura sanitaria italiana prescelta che indichi il tipo di cura,
la data di inizio e la durata presumibile della stessa;
b) attestazione dell'avvenuto deposito, a favore della struttura prescelta, di una
somma a titolo cauzionale, in lire italiane, in euro o in dollari statunitensi, pari al
30% dei costo complessivo presumibile delle prestazioni richieste;
c) documentazione comprovante, anche attraverso la dichiarazione di un garante,
la disponibilità in Italia di risorse sufficienti per l'integrale pagamento delle
spese sanitarie di quelle di vitto e alloggio, fuori da a struttura sanitaria, e di
rimpatrio per l'assistito e per l'eventuale accompagnatore.
B) Straniero che sia trasferito per cure in Italia nell'ambito di interventi umanitari autorizzati
dal Ministero della sanità ai sensi de 'art. 1 comma 2, lett. c) D. Lgs. 30 dicembre 1992, n.
502, così come modificato dal D. Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 (cfr. art. 36, comma 2, T.U.
e art. 44, comma 2, regolam.).
Tale intervento si concretizza nell'autorizzazione all'ingresso per cure in Italia, da parte dei
Ministero della Sanità, di concerto con il Ministero degli Affari esteri, di cittadini stranieri
residenti in paesi privi di strutture sanitarie idonee ed adeguate. L'individuazione dei
soggetti beneficiari di tale intervento rientra nell'ambito della discrezionalità politica dei due
Ministri. Il Ministero della Sanità, sulla base della documentazione acquisita, provvede ad
individuare le strutture che si ritengono idonee all'erogazione delle prestazioni sanitarie
richieste ed a rimborsare direttamente alle stesse strutture l'onere delle relative prestazioni
sanitarie; non si può far luogo al rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno al di fuori
della struttura sanitaria.
C) Straniero che sia trasferito in Italia nell'ambito di programmi di intervento umanitario
delle Regioni, ai sensi dell'art. 32, comma 15, legge 27 dicembrel997, n. 449.
Le Regioni, nell'ambito della quota dei Fondo Sanitario Nazionale a esse destinata,
autorizzano, d'intesa con il Ministero della Sanità, le Unità Sanitarie Locali e le Aziende
ospedaliere ad erogare prestazioni di alta specializzazione, che rientrino in programmi
assistenziali approvati dalle Regioni, a favore di:
a) cittadini provenienti da Paesi extracomunitari nei quali non esistono o non sono
72
facilmente accessibili competenze medico - specialistiche per il trattamento di specifiche
gravi patologie e non sono in vigore accordi di reciprocità relativi all'assistenza sanitaria;
b) cittadini di Paesi la cui particolare situazione contingente non rende attuabili, per
ragioni politiche, militari o di altra natura, gli accordi in vigore per l'erogazione
dell'assistenza sanitaria da parte dei Servizio Sanitario Nazionale.
73
Modulo di "Assistenza tecnica"
Premessa
Nei mesi di dicembre 2001, febbraio e aprile 2002 in sei zone pastorali della diocesi,
sono stati realizzati alcuni incontri detti di "assistenza tecnica" per approfondire i contenuti
proposti nei seminari del percorso "La fatica di integrarsi" Il centro di ascolto e il fenomeno
migratorio. Le proposte di esercitazione che seguono, possono essere utilizzate dalle
singole équipe con l'aiuto del coordinatore, al fine di approfondire alcuni aspetti del lavoro
in un centro di ascolto.
Per ogni eventuale chiarimento e per essere aiutati nella formazione è sempre
possibile fare riferimento ad Alessandra Tufigno e Nicoletta D'Oria Colonna presso:
Segreteria Centri di Ascolto - Caritas Ambrosiana
Via S. Bernardino, 4 - Milano
Tel. 02.76037.335/257
e-mail: [email protected]
http://www.caritas.it
- cliccare su "centri di ascolto"
74
Prima esercitazione
"Aspetti normativi"
Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione
Obiettivi: partendo dall'analisi delle situazioni riportate, stimolare nel gruppo una
riflessione sul ruolo del Centro di Ascolto e sulle sue modalità operative.
Modalità: L'équipe si suddivida in due o tre gruppetti. Ciascun sottogruppo prenda in
esame cinque delle "storie" riportate di seguito e, per ciascuna di esse, compili la griglia
"per analizzare i casi" (una griglia per ogni gruppo).
Per "status del richiedente" si intende la posizione giuridica dell'utente, il "problema
emerso" è quello che il gruppo ha percepito come bisogno/richiesta, le "opportunità
legislative" sono le possibilità legali di intervenire rispetto allo specifico caso, i "soggetti
competenti" rappresentano coloro che dovrebbero poter intervenire e, da ultimo, per
"azione del CdA" si intende ciò che gli operatori di un Centro di Ascolto Caritas devono e
possono fare e le modalità di questo agire.
Tempi:
 5 minuti per leggere e riflettere singolarmente sul caso.
 10 minuti per la discussione nel sottogruppo e la compilazione della "griglia per
analizzare i casi".
 …idem per gli altri 4 casi
 15 minuti per le riflessioni in plenaria rispetto alle risposte date nella "griglia…".
 20 minuti per la compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri"
Sintesi/verifica: L'équipe al completo si confronti - in particolare - rispetto alla voce della
"griglia…" "Azione del CdA" e compili insieme lo "schema per la relazione degli incontri".
75
Studio di casi 1
1. Yossef cittadino tunisino è in Italia da quattro anni senza permesso di soggiorno. Ha
trovato un datore di lavoro disposto ad assumerlo regolarmente a partire dal 15
dicembre 2001 con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Come può ottenere il
permesso di soggiorno per lavoro?
2. Un cittadino cingalese vive in Italia con un regolare permesso di soggiorno per lavoro
subordinato. Attualmente è disoccupato. Il figlio minorenne si è ammalato e deve
essere ricoverato in ospedale per accertamenti. Può ottenere l’assistenza sanitaria
gratuita? In che modo? Oppure deve pagare interamente le prestazioni sanitarie?
3. Ping cittadino cinese vive in Italia con un permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
La moglie è entrata in Italia con un visto per turismo oramai scaduto da oltre due mesi.
E’ possibile ottenere la coesione familiare? E se sì in che modo?
4. Un marocchino è in Italia con regolare permesso di soggiorno. I due figli (di cui uno
minorenne) vorrebbero frequentare la scuola. E’ possibile? Come possono
regolarizzare la loro posizione?
5. Rolando cittadino peruviano è entrato in Italia con un visto di ingresso per turismo,
attualmente in corso di validità, della durata di 30 giorni. Durante la permanenza in
Italia subisce un incidente stradale che gli procura ferite tali da costringerlo a 30 di
permanenza in ospedale. Può ottenere la tessera sanitaria?
76
Studio dei casi 2
1. Beatrice cittadina ivoriana vive in Italia con un permesso di soggiorno per lavoro.
Vorrebbe chiedere il ricongiungimento familiare con il fratello, il marito e i due figli
di cui uno maggiorenne. E’ possibile ottenere il ricongiungimento con tutti i parenti
suindicati? Quali sono i requisiti per ottenere il nulla osta al ricongiungimento
familiare?
2. Una signora brasiliana vive in Italia con regolare permesso di soggiorno per lavoro
insieme ad un nipote maggiorenne inabile al lavoro titolare di un permesso di
soggiorno per turismo scaduto da quattro mesi. La signora può chiedere la
coesione familiare con il nipote?
3. Un cittadino algerino è titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato
scaduto il 31/10/01. E’ stato licenziato il 31/7/01. Attualmente è disoccupato. Può
ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno e se sì per quanto tempo?
4. Peter cittadino polacco è entrato in Italia clandestinamente per raggiungere la
moglie che ha ottenuto un permesso di soggiorno per lavoro con la sanatoria del
1998, ma che attualmente è disoccupata. Può regolarizzare la sua posizione in
Italia? E se sì, come?
5. Ahmed in Italia da 7 anni con la moglie e i due figli minori entrati in Italia l’anno
scorso mediante ricongiungimento familiare chiede quali requisiti essenziali sono
richiesti per ottenere la carta di soggiorno. Cosa rispondete?
77
Studio dei casi 3
1. Svetla cittadina ucraina vive in Italia con un regolare permesso di soggiorno per
lavoro. Ha un lavoro e un contratto di locazione intestato a suo nome. Vorrebbe
aiutare un’amica clandestina a regolarizzare la sua posizione in Italia. Che cosa le
suggerite di fare?
2. Una signora albanese è entrata in Italia con un visto d’ingresso per cure mediche
con il figlio minorenne in quanto il bimbo deve essere sottoposto ad intervento
cardiochirurgico. La signora vorrebbe però continuare a vivere in Italia lavorando.
Può convertire il permesso di soggiorno? E se sì in che modo?
3. Una cittadina bulgara è titolare di un permesso di soggiorno per ricongiungimento
familiare. Dopo un anno di convivenza in Italia con il marito decide di separarsi.
Cosa succede al suo permesso di soggiorno? Verrà revocato?
4. Una signora titolare di un permesso di soggiorno per lavoro si trova al 4° mese di
gravidanza e vive in Italia con il marito clandestino. Lui può ottenere un permesso
di soggiorno? E se sì quale e in che modo?
5. Una cittadina rumena clandestina è al terzo mese di gravidanza. Viene fermata
dalla polizia che le notifica un decreto di espulsione. E’ legittimo il decreto?
78
Griglia per analizzare i casi
Status del
"richiedente"
Problema
emerso
Opportunità
legislative
Soggetti
competenti
Azione cda
1
2
3
4
5
79
Seconda esercitazione
"La relazione di aiuto"
Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione
Obiettivi: aiutare l'operatore del Centro di Ascolto a comprendere che, ogni volta che si
instaura una relazione d'aiuto nei confronti di qualcuno, si attuano contemporaneamente le
fasi di seguito descritte.
Modalità: Il coordinatore stimoli nel gruppo due persone che, nella simulazione,
assumeranno rispettivamente il ruolo di "utente" e di "operatore". Pur riconoscendo
l'artificiosità della situazione proposta, ciascuno si immedesimi nell'operatore e cerchi di
riflettere su "cosa e come agirei al suo posto".
Al termine della simulazione, tutti, "attori" compresi, leggano individualmente le quattro
domande di seguito riportate. A questo punto si compili ciascun foglio, cercando di dare
risposta soltanto alla domanda considerata di volta in volta. Per "come reagisco?" si
intendono i sentimenti che quella determinata situazione fa provare (cosa mi "provoca
dentro", ciò che ascolto dove si colloca dentro me?); per "come mi comporto?" si
intendono le azioni che si compiono a seguito della reazione durante il colloquio; per
"come intervengo?" si intende l'ordine delle azioni che si potrebbero fare per aiutare la
persona che ho di fronte, le priorità che si possono individuare, i suggerimenti che si
possono dare… e per "chi coinvolgo?" si intende la rete nella quale ci si può muovere
nell'aiutare l'altro ad affrontare la situazione.
Tempi:
 5 minuti iniziali: i due "attori" leggono "le parti". Nel frattempo il coordinatore prepara
"la scena": una scrivania e due sedie una di fronte all'altra.
 15 minuti per fare la "simulazione".
 5 minuti per la lettura e l'elaborazione individuale rispetto alla prima domanda.
 …idem per le altre tre domande.
 20 minuti: verifica di gruppo sulle risposte date alle domande.
 20 minuti per la compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri".
Sintesi/verifica: il coordinatore aiuti a far sintesi del lavoro fatto. Venga stimolato il
confronto tra le risposte alla stessa domanda. Il gruppo compili insieme lo "schema per la
relazione degli incontri".
80
Istruzioni per "l’utente”
Hai a disposizione 15 minuti circa per raccontare questa storia, rispondendo,
per quanto possibile, alle sollecitazioni dell’operatore. Prova a metterti nei
panni di Mary, scegli come esporre la situazione, non sentirti osservato, non
sei sotto esame, non c’è un modo giusto o sbagliato di esporre questo “caso”!
Stai facendo un servizio utile a tutto il gruppo. Grazie!
81
Istruzioni per l’operatore
Hai a disposizione 15 minuti circa per condurre il colloquio, cerca di
comportarti nel modo più naturale possibile come se questa storia ti venisse
raccontata al Centro di Ascolto. Evidentemente "l’utente” potrà fornirti solo le
informazioni che ha a disposizione, non potrai approfondire oltre quello che
lui conosce della situazione. Non c’è un modo giusto o sbagliato di condurre
la situazione, non sentirti sotto esame.
Stai facendo un servizio utile a tutto il gruppo. Grazie!
82
“La storia”
Mary Chavez ha 26 anni, viene dall’Ecuador. Nel suo Paese ha conseguito un diploma
come infermiera professionale. E’ arrivata in Italia due anni fa con un permesso di
soggiorno per turismo di tre mesi, mai rinnovato. Quasi subito ha trovato lavoro come
collaboratrice domestica e “infermiera” presso una coppia di anziani coniugi.
L'anziano ha diversi problemi di salute: è diabetico, soffre di ipertensione, fatica a
muoversi a causa di un'ernia ernie al disco.
Sei mesi fa il marito di Mary, Josè, è venuto in Italia con la loro bambina Selina, di quattro
anni. Anche lui è arrivato in Italia con un permesso di soggiorno per turismo di tre mesi.
Josè vive in un monolocale con alcuni connazionali ai quali paga 300mila lire al mese per
un posto letto.
La bambina vive con la mamma nella casa degli anziani coniugi dove Mary lavora.
Tre mesi fa l'anziana è improvvisamente deceduta in seguito ad un ictus. La figlia
dell'anziana non vorrebbe che Mary restasse a vivere con l'anziano padre.
Da qualche giorno Mary ha scoperto di essere incinta. Non si sente bene, ma non ha
ancora fatto una visita. Ha paura di rivelare il suo stato ai suoi datori di lavoro, tema che la
figlia della coppia anziana la allontanerebbe. Mary pensa che se sua madre potesse
venire in Italia potrebbe aiutarla occupandosi dei figli.
Josè fa solo qualche lavoretto ad ore presso un officina dove lavora un suo parente, lava
le macchine, fa qualche piccola riparazione, riesce a malapena a pagarsi il posto letto.
Josè non ha accolto con molta gioia la notizia della nuova gravidanza.
Mary chiede al Centro di Ascolto qualche vestitino per la figlia…
Qualcuno le ha detto che la bambina potrebbe frequentare la scuola materna comunale,
ma non sa a chi si deve rivolgere.
83
1. Come reagisco?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
84
2. Come mi comporto?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
85
3. Come intervengo?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
86
4. Chi coinvolgo?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
87
Terza esercitazione
"Il lavoro di rete"
Indicazioni operative per la conduzione dell’esercitazione
Obiettivi: aiutare gli operatori dei Centri di Ascolto a mettere in luce le differenze tra: la
presa in carico di una persona con regolare permesso di soggiorno, e la presa in carico di
una persona senza permesso di soggiorno (irregolare o clandestina). Pur rimanendo,
infatti, invariato il senso di prossimità nei confronti di chi arriva al centro senza un regolare
permesso di soggiorno, sono però differenti le possibilità d'azione, di messa in rete e di
coinvolgimento dei possibili interlocutori territoriali, venendo meno i diritti esigibili. Ulteriore
obiettivo dell'esercitazione è di far riflettere il gruppo sulla "qualità" delle relazioni con gli
altri soggetti presenti sul territorio, istituzionali e non.
Modalità: questa esercitazione deve essere fatta in due tempi (anche in due occasioni
diverse). La "storia" da prendere in considerazione è la stessa, una volta nella versione di
"regolarità" e la seconda volta nella versione di "non regolarità". La "Mappa" da compilare
è sempre la stessa in entrambi i casi. Il coordinatore riproduca a mano la mappa su un
foglio formato poster: servirà alla fine di entrambe le esercitazioni. Fondamentalmente
l'esercitazione è individuale: il confronto si avrà soltanto alla fine, quando si compilerà la
"grande mappa" di sintesi.
La prima volta:
il coordinatore legga la storia proposta considerando la versione in cui lo straniero ha un
regolare permesso di soggiorno.
Vengano distribuite le “mappe” (una per ogni partecipante, i partecipanti non vengono
suddivisi in sottogruppi), venga fornita a ciascuno una penna di colore nero.
Si proceda alla compilazione dei tre anelli della Mappa (uno per volta).
 Nel cerchio della mappa identificato col numero 2, vengano indicati i "bisogni
dell'utente" (non solo i bisogni espressi da Jhon, le sue richieste evidenti - il pacco
viveri).
 Nel cerchio della mappa identificato col numero 3, vengano indicati i "soggetti
competenti" rispetto ai problemi individuati nel cerchio precedente (chi se ne dovrebbe
occupare: il medico di base, l'insegnante, l'associazione tal dei tali…)
 Nel cerchio della mappa identificato col numero 4, vengano descritte le "relazioni del
cda con i soggetti competenti" definiti nell’anello precedente (tipo di rapporto occasionale, frequente, telefonico, personale… - difficoltà, azioni possibili di
miglioramento…).
La seconda volta:
Il coordinatore legga la storia proposta considerando la versione in cui lo straniero non ha
un regolare permesso di soggiorno.
Vengano riprese le “mappe” (le stesse di prima, ognuno la sua) e venga fornita a ciascuno
una penna di colore rosso.
Si passi alla compilazione degli anelli della mappa: secondo il procedimento adottato
prima, usando questa volta la penna rossa. Naturalmente ci saranno dei bisogni, dei
soggetti competenti e dei rapporti con questi uguali a quanto già segnato di nero: in questi
casi non si riscriveranno le stesse cose ma si cerchieranno di rosso quelle già segnate. Si
88
metteranno così in evidenze le "differenze" che, a vario titolo, si presentano nel caso ci si
rapporti ad uno straniero regolare o non regolare. Si metterà anche ben in evidenza il tipo
di rapporto che il centro di ascolto ha con il territorio. Soprattutto su questo si dovrà
riflettere nelle conclusioni. Al termine delle due esercitazioni, il gruppo con l'aiuto del
coordinatore, farà sintesi di quanto emerso sulla "grande mappa" che sarà "appesa" in
modo da essere visibile e tutti.
Tempi:
Per la prima e per la seconda versione della storia
 5 minuti: lettura della storia.
 5 minuti: risposta individuale scritta, primo anello della mappa (bisogni).
 …idem per gli altri due anelli.
Alla fine di entrambe le esercitazioni
 20 minuti: sintesi sulla "grande mappa" visibile a tutti.
 20 minuti: compilazione dello "Schema per la relazione degli incontri".
Sintesi/verifica: L'équipe al completo si confronti rispetto a quanto emerso nelle singole
"mappe" e compili insieme lo "schema per la relazione degli incontri". E' importante
cercare di far emergere dove si colloca il Centro di Ascolto, su quali problemi ha “titolarità”
per intervenire, quale ruolo svolge, qual è la sua funzione specifica rispetto agli altri
soggetti. Inoltre è importante far emergere le differenze fra i soggetti a cui fare riferimento
nel caso di regolarità o irregolarità della famiglia e il conseguente diverso
atteggiamento/funzione del Centro di Ascolto.
89
“La storia”
Jhon è un cittadino rumeno di 35 anni. Si presenta al Centro di Ascolto chiedendo un
pacco di viveri.
Vive in Italia dal mese di gennaio del 1998.
E’ entrato con un regolare permesso di soggiorno per lavoro.
La moglie Sofia e la figlia di sei anni Lucy, sono entrate grazie al ricongiungimento
familiare. Jhon ha un altro figlio, si chiama Mark, è nato in Italia due anni fa.
Jhon è un perito elettrotecnico, da quando è in Italia ha sempre lavorato in una ditta tessile
della zona.
Ad ottobre del 2001 la ditta è fallita e lui è rimasto senza lavoro.
(Nel secondo caso leggi: a gennaio 2001 la ditta è fallita e lui è rimasto senza lavoro).
Si è iscritto al collocamento ma, fino ad ora, senza soluzione.
Da quando è senza lavoro non ha più soldi per pagare l’affitto di casa.
Vive, con la famiglia, in un retrobottega per il quale paga, in nero, 150 euro al mese. Sofia
in Romania insegnava alle scuole elementari, adesso fa la domestica ad ore,
saltuariamente ed in nero.
Mark a causa dell’umidità dell’ambiente in cui vive ha spesso la febbre. In ospedale
consigliano un ricovero per accertamenti.
Lucy frequenta la prima elementare, fa molta fatica ad ambientarsi. Spesso è a casa da
sola con il fratellino.
90
“La Mappa”
4
3
2
1
Jhon e la
sua famiglia
91
Proposta discussione/verifica di gruppo
Il Centro di Ascolto nella rete delle responsabilità
Quali soggetti/organizzazioni hanno voluto il Centro di Ascolto in cui operate?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Chi effettua il monitoraggio del funzionamento del Centro di Ascolto (formalmente e/o di
fatto)?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Esistono intese (formali e/o di fatto) tra l’organismo ecclesiale che ha voluto il Centro di
Ascolto e istituzioni pubbliche e/o altri soggetti del territorio?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Se si, esistono momenti di verifica periodica sulle collaborazioni?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Il Centro di Ascolto, periodicamente, restituisce alla comunità cristiana e alla società civile,
con le sue istituzioni e formazioni, significati su ciò che porta avanti, nodi che
emergono…?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
92
Proposta di discussione/ verifica di gruppo
IL Centro di Ascolto nella rete dei soggetti e dei servizi nella presa in carico e nei
processi di aiuto
Soggetto 1
Soggetto 2
Soggetto 3
Su quale
tipologia di
problemi si
collabora
Come sono le
relazioni(formali/
informali
collaborative /
conflittuali,
continuative/
episodiche)
Quali nodi
problematici
emergono
Quali strategie
migliorative sono
ipotizzabili
93
Schema per la relazione degli incontri
Data:
1. Quali obiettivi abbiamo raggiunto?
…………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………....
2. Quali difficoltà abbiamo incontrato?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
3. Qual è il ruolo del Centro di Ascolto rispetto alla situazione discussa?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
4. Abbiamo consapevolezza della specificità e dei limiti del Centro di Ascolto?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
5. Il nostro gruppo tende a ricercare e valorizzare le altre risorse del territorio?
…………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………
6. Siamo capaci di analizzare il contesto?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
7. Abbiamo partecipato tutti attivamente all'esercitazione?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
94
8. Siamo riusciti a prestare attenzione al compito proposto dall'esercitazione?
…………………………………………………………………………………………………………
9. Quali contenuti ci sembra di aver recepito?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
10. Cosa ci sembra di dover approfondire?
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Altre considerazioni
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
95
Vi suggeriamo una preghiera per iniziare
o per concluderei vostri incontri
Perseveranti nella carità
Signore nostro Dio, vogliamo affidarti
Il Centro di Ascolto della nostra comunità,
la condivisione con gli ultimi, le attese dei poveri.
La nostra è una goccia d'acqua nell'oceano,
la piccola pietra nel muro di una grande cattedrale.
Ci impegnamo a mettere responsabilità e passione,
umiltà e gioia, fedeltà a una storia di salvezza più grande
che dà senso all'impegno di ciascuno.
O Dio Padre, che sei abbraccio sconfinato d'amore,
ti affidiamo la sofferenza dei piccoli, la fatica degli esclusi,
l'angoscia dei senza speranza.
Donaci la forza di dire il nostro "si" ai bisogni dei fratelli,
alle speranze della gente, ai cammini delle comunità,
perché ogni opera cui poniamo mano sia
risposta pronta e fedele alla tua carità
che sta trasformando il cuore della Chiesa
e la storia del mondo.
Amen
96
Scarica

la fatica di integrarsi