3 5 Le suggestioni della musica A di Alessandro Cannavò e Paolo Isotta 7 DICEMBRE 2001 Muti: è l’ora di andare verso i giovani Dramma misterioso per due giganti e un «mediatore» Enrico Girardi i sono versati fiumi d’inchiostro per spiegare l’eccezionalità dell’incontro tra il teatro di Shakespeare e la musica di Verdi: un rapporto che pare persino ovvio, ove si consideri che i due artisti si annoverano tra i massimi drammaturghi d’ogni luogo e tempo, pochi altri avendo saputo penetrare così a fondo, e in forma d’arte tanto sublime e perfetta, gli abissi dell’umana psiche. E’ bene ricordare, tuttavia, che quando Verdi rappresentò il suo primo lavoro shakespeariano, Macbeth — era il 1847 —, la voga del drammaturgo inglese sulle scene italiane non era ancora deflagrata e che il primo Otello rappresentato sulle scene del teatro di prosa, quello di Gustavo Modena del 1842, non fu nemmeno condotto a termine per via dei fischi con cui il pubblico milanese lo accolse. Il che è sufficiente a comprendere quanto decisiva fosse stata la presenza di Verdi nel far rivivere il genio scespiriano sulle scene italiane di tutti i giorni. Certo, come ogni vero artista, Verdi fu artista del suo tempo e il suo Shakespeare è tutto tranne uno Shakespeare filologico. Il suo Shakespeare è altra cosa, è un teatro che sfrutta gli stessi archetipi del genio inglese ma per intrecciarli alla vita del tempo, oltre che ai differenti meccanismi narrativi propri del genere melodrammatico. E in ciò non sarà mai sottolineata abbastanza l’importanza della «mediazione» dello scapigliato Boito, che pure della filosofia del teatro Il compositore verdiano era stato fiero fa rivivere oppositore. Non solo aggiusta il genio la «gambe storte» del tavolo di Shakespeare di Simon Boccanegra, non adattandolo solo convince (insieme con l’instancabile Giulio Ricordi) ai suoi tempi il vecchio musicista a ritornare a occuparsi di teatro d’opera dopo un lungo silenzio, ma soprattutto gli fornisce due libretti senza i quali sarebbe impensabile la rivoluzionaria struttura operistica di Otello e Falstaff: né opere «chiuse» in senso tradizionale, né opere «aperte» in senso wagneriano, ma opere che contengono simulacri formali divenuti parodia di loro stessi. Opere troppo moderne per poter avere un seguito, come dice bene Julian Budden nell’intervista che pubblichiamo all’interno. E poi — limitandosi al titolo che inaugura stasera la stagione della Scala — ecco presentarsi a noi una nuova galleria di personaggi, sensibilmente diversa da quella scespiriana: un Otello più forte ed eroico in apparenza ma più debole e desolato nel profondo del suo animo (tale l’effetto del taglio del primo atto della tragedia originale). Uno Jago più filosofo e una Desdemona più consapevole di sé, più capace, forse, di accettare cristianamente l’ingiusta sciagura che si abbatte su di lei (una piccola Lucia di quel Manzoni cui Verdi ha dedicato il Requiem?). Boito introduce nel libretto due pagine di segno opposto ma d’uguale natura: il Credo di Jago e l’Ave Maria di Desdemona. Due atti di fede nella trascendenza, due gesti «verticali» che contrastano l’orizzontalità dell’intrigo, del potere, dell’invidia, della gelosia. Che dramma sia l’Otello di Shakespeare/Boito/Verdi, ancora ce lo chiediamo. S CORRIERE EVENTI di Guido Vergani Montaggio di copertina di Vaglieri e Paternostro con i figurini di Franca Squarciapino 8 Il Maestro e Boito così vicini e lontani di Francesco Maria Colombo 10 Al cinema e in teatro tutti i protagonisti di Claudia Provvedini e Gianluca Bauzano 18 Le tappe del restauro e del trasloco di Maurizio Di Gregorio e Pierluigi Panza