MAGAZINE OPERA ROMA ONLINE N. 1 - STAGIONE 2012 - 2013 In occasione dell’inaugurazione della Stagione IL MAESTRO RICCARDO MUTI presenta il SIMON BOCCANEGRA di GIUSEPPE VERDI UNIVERSITÀ LA SAPIENZA AULA MAGNA DEL RETTORATO lunedì 26 novembre, ore 18.00 INGRESSO LIBERO sino a esaurimento dei posti 2 “ESTATICO REGNO” O “ALVO FRENETICO”: SIMBOLOGIE MARINE DEL TARDO VERDI di Antonio Rostagno Che strano! Le due ultime tragedie di Verdi, Simon Boccanegra e Otello, sembrano legate da una curiosa continuità: il Boccanegra è chiuso da una scena marina, e una scena marina apre l’Otello. In entrambe il palcoscenico è affollato, con grandi concertati da cui emergono episodicamente alcuni solisti; in entrambe il mare assume un rilevo simbolico addirittura protagonistico, ben più di un semplice sfondo per l’azione. Ma queste analogie sono irrilevanti a confronto delle differenze. La marina del Boccanegra (il porto di Genova, che le scenografie originali di Girolamo Magnani per la versione 1881 ponevano sullo sfondo) viene collocata da Verdi in una luminosità degradante, avvolta da una strumentazione sempre più rarefatta ed esausta, fino alla quasi oscurità finale, in cui ogni conflitto trova armonizzazione. La scena marina che apre Otello, al contrario, è nella piena luce meridiana, e gli elementi sono sconvolti da un uragano, tanto atmosferico quanto psicologico; una tempesta che sembra raffigurare il ‘diabolico’ istinto di Jago, quasi fosse lui a governare il contrasto degli elementi e fra gli esseri umani. Il suo celebre a parte: “L’alvo frenetico del mar sia la sua tomba”, al culmine dell’uragano, denuncia la sua anima nera; esattamente l’opposto di Simone. Che strano! Torno a dire: nel 1881 Verdi trova ancora nel placido mare notturno il simbolo dell’armonia universale: la natura, gli elementi, gli esseri umani grazie al sacrificio del Doge ritornano all’ordine, con una soluzione irenica, rasserenante, pacificatoria. Solo sei anni dopo il mare diviene un opposto simbolo della disarmonia demoniaca che governa il creato. Certo, è strano, ma non inspiegabile a chi voglia spingersi un poco più a fondo nella biografia psicologica di Verdi. Sorgono a questo punto due domande: 1) la relazione fra le due scene di ambientazione marina è frutto del caso o è scelta consapevole? 2) Se è scelta consapevole, qual è il senso del capovolgimento di senso simbolico attribuito al mare? Alla prima domanda, l’ovvia risposta è che il Verdi degli anni Ottanta era del tutto consapevole dei propri obiettivi (artistici e non) e perfettamente padrone degli strumenti musico-drammatici per realizzarli; la relazione fra le due situazioni e la loro opposizione simbolica sono perciò del tutto intenzionali. La risposta alla seconda domanda è più complessa, e richiede qualche riflessione. Nel Boccanegra si fronteggiano due elementi ambientali, a cui Verdi assegna valori simbolici antitetici: il mare e la notte, dapprima opposti, infine convergenti nella conclusione dell’opera in più che pianissimo, come prescrive la partitura. Nella versione originale del 1857 (e nelle lievi revisioni durante le prime esecuzioni) 3 Dante Ferretti, bozzettto per Simon Boccanegra (Atto III), 2012 Verdi e Piave avevano assegnato un evidente spicco ai due temi-ambiente. All’inizio del I atto, nel palazzo dei Grimaldi, Amelia/Maria contempla la “cerula marina tremolante” nella luce dell’alba. Ella qui si volge al mare luminoso, ma ricorda la notte “atra, crudel” nella quale fu lasciata sola al mondo. Mare luminoso e notte si fronteggiano qui per la prima volta, dopo che la notte ha predominato nel Prologo. L’avvio del I atto con la “marina tremolante” costituisce il primo momento protagonistico del mare, e Verdi infatti nella revisione del 1881 introduce un’invenzione sonora inedita in orchestra; nella prima versione l’identica linea vocale era accompagnata da semplici ripercussioni dell’accordo tonale (Mi bemolle); ma nel 1881, convinto dell’importanza dell’elemento marino, Verdi crea una nuova ed efficace sonorizzazione fonosimbolica della luce tremolante, che può stare a pari con la descrizione della notte all’inizio del III atto di Aida. Altro momento del Boccanegra in cui il mare 4 assume rilievo protagonistico è nel III atto, scena terza; Simone, ormai estenuato dal veleno, “volgendosi verso il mare esclama: Ah! ch’io respiri l’aura beata del libero cielo” (così si legge nella Disposizione scenica del 1883). Il testo di Piave prosegue: “Oh refrigerio! … La marina brezza! … / il mare! … il mare! Quale in rimirarlo/ di glorie e di sublimi rapimenti/ Mi si affaccian ricordi!”. Il breve cantabile si chiude con melanconiche recriminazioni: “perche in suo grembo non trovai la tomba?”. Già qui, anticipando la scena finale, il mare ha per Simone l’attrattiva di pace suprema: il mare come origine e come grembo materno in cui rifugiarsi, a cui tornare dopo i travagli penosi della vita. Amelia/Maria mostra poi una vera attrazione fisica per il mare, tanto da rischiare la vita per una passeggiata serale in riva (“Nell’ora soave, che all’estasi invita/ soletta men giva sul lito del mar”). Sappiamo che Verdi, sin dal libretto in prosa preparatorio, nel 1856, era del tutto consapevole della novità e del rilievo dramma- turgico di questo “mare luccicante”. Ma è nella revisione del 1881 che Verdi e Boito elevano l’ambientazione marina a un’importanza davvero protagonistica. Nella grande scena politica, il finale del I atto nel palazzo ducale, Simone esorta le fazioni in contrasto con quei versi memorabili di Boito, a cui Verdi assegna un peso smisurato: “Plebe! Patrizi! – Popolo/ dalla feroce storia!/ Erede sol dell’odio/ dei Spinola e dei Doria,/ mentre v’invita estatico/ il regno ampio dei mari/ voi nei fraterni lari/ vi lacerate il cuor”; è già chiarissimo come, nella mente di Simone-Verdi, il mare sia il simbolo dell’armonia fra uomini e con la natura, il luogo mentale oltre che fisico dove l’uomo trova la pace; mentre la terra è il luogo dell’intrigo, della sopraffazione, della disarmonia. Proseguendo, all’inizio del III atto il libretto originale del 1857 non menzionava il mare; ciò lascia pensare che nelle prime scenografie non venisse assegnato grande rilievo alla sua presenza scenica. Ma nel 1881 Boito e Verdi rivedono intensivamente questo punto; nella didascalia che apre il III atto Boito cancella le parole “vedrassi la Piazza Doria illuminata”, e le sostituisce con “vedrassi la città illuminata. In fondo il mare”. Nel II e nel III atto il mare è un “correlativo oggettivo” della condizione mentale di Simone e, a tratti, della psicologia collettiva; arriverei a dire che nella versione 1881 è quasi un mare simbolista. E altrettanto frequente nella poetica simbolista è anche l’opposta ambientazione notturna. La notte, in questa interpretazione, diviene il contraltare del sogno marino dove tutto trova armonia: è la notte degli inganni, degli intrighi, della dissonanza, la notte in cui si stringono alleanze e amicizie trasversali e di convenienza, destinate a finire presto; la notte del complotto di Pietro e Paolo nel Prologo, o del tentato tradimento che Paolo propone a Fiesco nel III atto. Il mare è quindi oggetto simbolico di un desiderio di regressione, verso la mitica età della purezza incontaminata dal contatto con il mondo; mentre la notte raffigura una atmo- 5 sfera opprimente, dove il giusto (Simone) perde l’orientamento; è l’ambiente in cui si muovono gli intriganti, i politicanti, i ladri, i “rapitori di fanciulle”. E anche quando Simone chiede di smorzare le luci, alle ultime battute del III atto, la particolare atmosfera marina rimane il simbolo dell’armonia universale. In questa opposizione simbolista mare-notte quindi risiede il principale conflitto posto in scena nel Boccanegra. E non credo casuale che notte e mare siano anche i simboli principali del Tristan e del Pelléas et Mélisande di Debussy: l’inizio e l’apogeo dell’opera simbolista, appunto. Che significa ciò? Che Verdi va associato al movimento di Mallarmé e che nessuno se n’era mai accorto? Naturalmente no, anzi … ma il simbolismo è un movimento animato dal rifiuto dell’esistente, dal coraggioso tentativo di dissolvere il mondo percepito. E non ci sono dubbi che il Boccanegra, soprattutto nella versione 1881, sia testimonianza di uno sforzo di Verdi di andare ‘oltre’ il realismo. Certo, il mare è tema frequente nell’opera; L’olandese volante, La Gioconda, Peter Grimes ne sono esempi celebri. In ognuno di questi titoli il mare assume un diverso ruolo, una diversa accezione simbolica, ma sempre con un’importanza tale da farne un vero e proprio personaggio, un’entità che influenza l’intreccio, non un semplice sfondo neutro o pittoresco. È ora di tornare all’enigmatico confronto con Otello, proposto in inizio, per tentare forse qualche utile conclusione, e trovare una risposta alla domanda lasciata in sospeso. La differenza fra l’attrazione verso il mare come simbolo irenico d’armonia universale di Simone e l’uragano marino di Jago come “bufera infernal che mai non resta” (l’opposta disarmonia universale) non è solo un rilievo pittoresco, una diversa “pittura” di scene naturalistiche; dietro questa opposizione simbologica si consuma tutta l’evoluzione spirituale del tardo Verdi, a cui sono venute a mancare la fiducia nell’uomo, nella storia, nella possibilità di migliorare l’esistente attraverso il dialogo, la politica (nel nobile senso aristotelico), l’arte. Il mare placido e pacificante di Simone è sì espressione del pessimismo del vecchio Doge, sgomento davanti alla conflittualità 6 umana che semina soprusi, crimini e morti; ma rimane un sogno positivo, una concreta aspirazione alla pace e all’armonia. Il mare di Jago è l’“alvo frenetico” che trascina tutti con sé verso il basso, nelle profondità melanconiche del nulla eterno. Questo percorso verso il melanconico pessimismo di Verdi viene confermato da un pur semplice confronto uditivo fra la scena della luminaria del porto di Genova che chiude il Boccanegra e l’urgano che apre Otello. Il mare di Simone, come la “cerula marina tremolante” della figlia, sono resi con strumentazioni quasi cameristiche, ritmicamente frastagliate, senza massa sonora nei registri gravi e centrali: già nella versione del 1857, per esempio, l’invocazione alla morte in mare durante le imprese di gioventù da parte di Simone (“Oh, refrigerio! La marina brezza”) avviene con un declamato a fior di labbra (nella versione 1881 Simone non è consapevole di essere ormai condannato, ma il pubblico sì poiché l’ha visto bere l’acqua avvelenata “amara al labbro dell’uom che regna”). Al contrario, il mare in cui Jago vorrebbe sprofondare il mondo è un mare oscuro, intorbidato da un triplice pedale di organo, violento di dissonanze non funzionali, di strumentazioni inusuali e contraddittorie, di spezzature irruente, con una massa pesantissima nei registri gravi. Da un lato violini sovracuti, legni e timbri tenui, dall’altro tromboni e organo con armonie sconvolte e continue frammentazioni del discorso; da un lato visioni al futuro di un’armonia sublime, dall’altro visioni al futuro di annullamento del creato. E sono passati solo sei anni fra una scena e l’altra; il confronto fra il finale irenico e l’inizio sconvolgente deve essere saltato agli occhi e alle orecchie dell’uditorio coevo. E allora: cos’è successo in quei sei anni, cosa ha generato in Verdi una simile catastrofe? Cosa può aver motivato una simbolizzazione tanto diversa dello stesso oggetto? Negli ultimi tre decenni di vita, Verdi va incontro a un pessimismo progressivo, una perdita di fiducia nell’essere umano, che capovolge l’idealismo dei decenni risorgimentali; fino a negare persino la forma del dialogo. In Otello ogni per- 8 sonaggio è solo, incapace di comunicare con gli altri; nel Boccanegra invece rimaneva la convinzione che l’armonia terrena potesse realizzarsi, sia pur a prezzo di un sacrificio mortale. La morte di Simone ha come esito il ripristino dell’armonia terrena; Otello e Desdemona muoiono per il nulla universale, la loro morte non ha nessuna luce futura, non redime alcunché. Ed è da questa disposizione pessimista che deriva il mutamento della simbologia del mare fra Simone e Jago: dal “sublime rapimento” del primo all’“alvo frenetico” del secondo (e sono tutti versi di Boito). Il tardo Verdi è disilluso e pessimista su tutto: sulla politica italiana del trasformismo, sullo sciagurato colonialismo della Nuova Italia, sulla dissennata politica internazionale, sulla progressiva mescolanza di politica e religione, sull’economia che penalizzava senza scrupoli intere classi sociali; insomma sul fallimento del Risorgimento in cui aveva sempre creduto. Le sue lettere di questi anni sono sconsolate, lasciano trasparire una profonda demoralizzazione; la stessa che emerge dal confronto fra le due ultime sue tragedie. Il mare, quindi, non è affatto un semplice sfondo, ma più che mai è una presenza protagonistica. Un ultimo rilievo; nel 1910 il musicologo Fausto Torrefranca auspicava la nascita di un’opera rappresentativa del carattere italiano: un’“opera anadiomene” (è attributo di Venere, la bellissima dea uscita dalle acque). Che il mare costituisse un fattore determinante per l’identità italiana, quasi un simbolo nazionalista, non dovrebbe destar meraviglia; d’altronde quasi settant’anni prima Vincenzo Gioberti aveva indicato i veri progenitori della razza italica nei “Pelasgi” (“uomini del mare”, appunto). Insomma, il parallelismo identitario mare=italianità non è certo specioso né infrequente. Anche da questo punto di vista Simon Boccanegra conclude un’epoca; il mare è qui per l’ultima volta il luogo psichico in cui i nuovi Italiani trovano la loro armonia, la loro identità. Con il mare tempestoso dell’Otello quell’oggetto simbolico non è più “l’ampio regno dei mari” di Simone, il luogo fisico e spirituale dell’identificazione storico-identitaria, l’attraente meta di un mitico ritorno alle origini; ma diviene l’“alvo frenetico”, la “tomba”, nella visione pessimistica del tardo Verdi. 9 # % !! " (" $%# # # '% '' % ''# % " & # % ) %% # # '# (& $$ % # % (' % " # %-.'% %0%!, !.(- -*!.( !.(! 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