“A che libro giochiamo?” Corso di aggiornamento sulle tecniche e modalità di lettura ad alta voce per insegnanti delle scuole materne, elementari e medie di Asti e Provincia. a.s. 2004-05 In un paragrafo del libro di Bianca Pitzorno, “Storia delle mie storie”, viene spiegato in modo semplice e chiaro l’importanza della lettura fin dalla prima infanzia. Ecco ciò che l’autrice stessa ci dice: “Credo sia impossibile considerare la condizione di scrittore senza riflettere prima sulla condizione di lettore. E tanto più mi pare impossibile riflettere sulla figura di uno scrittore per bambini e ragazzi se non si riflette sulla sua esperienza di lettore bambino. Per quanto mi riguarda, le letture fatte prima degli undici anni sono state fondamentali. Molto più importanti e formative delle letture adulte, vere pietre angolari sulle quali si è poi strutturata la mia personalità: il mio sistema di valori, il mio gusto, le mie passioni, le mie ripugnanze, le mie indignazioni, la mia rabbia, le mie scelte politiche. I libri hanno avuto nella mia infanzia un ruolo così importante che, se cerco di immaginarli senza di loro, i miei primi anni si riducono a ben poca cosa. Eppure la mia vita non era quella di una piccola ammalata confinata in un letto, alla quale solo le parole e le immagini stampate potevano fornire notizie ed esperienza della realtà. La mia vita era piena di cose ed esperienze concrete, di rapporti affettivi intensi, di sensazioni fisiche, di emozioni… eppure niente di tutto questo aveva per me un senso, un valore, un punto di riferimento, se non in rapporto ai libri che contemporaneamente andavo leggendo e rileggendo. Esistevo, ma senza i libri non avrei saputo di esistere. La coscienza del mio io, la possibilità di interpretare il mondo, la scelta etica come volontà di essere in un modo piuttosto che in altro, lo devo esclusivamente ai libri, a quei libri.” Referenti per la Biblioteca Astense: Mauro Crosetti e Luisa Corino C.so Alfieri, 375 – tel. 0141-593002 fax 0141-531117 e-mail: [email protected] Parte prima MOTIVAZIONI La lettura ad alta voce da un lato favorisce la socializzazione, viene condivisa dal gruppo come momento rilassante e piacevole da vivere insieme, dall’altro sostiene e facilita la lettura individuale, diventa strumento propedeutico al piacere della lettura e al gusto della narrazione. L’adulto mediatore si fa portatore del piacere di una storia, la sua voce è affascinante, egli incorpora il testo trasformandolo in voce-gesti-espressionimovimenti creando negli ascoltatori un clima positivo di attesa. E’ dunque molto importante proporre un buon modello di lettura, ma l’esperienza è valida soprattutto se è personalizzata, perché diventa un’occasione per arricchire la comunicazione ed ha in sé una forte carica affettiva. FINALITA’ Il corso ha lo scopo di far acquisire competenze psicopedagogiche e metodologico-didattiche relative all’educazione alla lettura, di fornire strumenti per sperimentare strategie sul campo e di verificare la ricaduta didattica della proposta formativa. Intende coinvolgere i docenti nella ricerca e definizione di metodi, strategie e tecniche di motivazione e di animazione alla lettura, per il recupero di una dimensione seduttiva del leggere. Si propone di: Acquisire competenze sulle strategie, tecniche e metodologie di lettura. Acquisire competenze di motivazione e animazione alla lettura. SCELTA DEL LIBRO Nella scelta di un libro da leggere ad alta voce ci sono alcune caratteristiche da valutare tra cui la brevità, la chiarezza, lo schema compositivo semplice e a volte ripetitivo o ritmato, la presenza di dialoghi, gli sviluppi e finali imprevedibili… E’ sottinteso che i libri per i bambini propongono diverse difficoltà di lettura dovute, prima ancora che dal testo scritto, anche dalle immagini e alla loro corrispondenza con il testo (quando c’è), dall’impaginazione che presentano, dal numero di personaggi e dagli ambienti più o meno familiari in cui questi agiscono. Proprio in base a queste caratteristiche si è soliti suddividere i numerosi libri oggi proposti dall’editoria per ragazzi in alcune categorie che qui di seguito andremo ad elencare per dare degli strumenti utili agli adulti nella scelta dei testi da proporre, non tanto in base all’età del bambino, cosa che peraltro gli editori tendono sempre più speso a fare, quando in base all’abilità di lettura che il bambino che abbiamo di fronte presenta e a come si possono stimolare le sue curiosità e la sua “fame” di lettura. RIME E FILASTROCCHE Servono ad imparare e facilmente memorizzare parole nuove, a sperimentare ritmi, a inventare rime e giochi di parole. Possono essere un buon mezzo per conciliare momenti di tranquillità e introdurre alle pause come la nanna o il momento delle coccole in cui si gioca con il corpo, si impara a conoscersi e a ritrovarsi nell’adulto. LIBRI DA TOCCARE, DA MORDERE, CON CUI FARE IL BAGNO.. Sono libri dalle forme e dai materiali più strani che permettono di avere un vero e proprio contatto fisico con l’oggetto libro, di sviluppare un atteggiamento positivo verso il libro stesso, i gusti personali e di potenziare le capacità di osservazione e di alfabetizzazione emotiva se la lettura viene fatta in compagnia di un adulto. LIBRI AD IMMAGINI SEMPLICI Presentano immagini semplici che rappresentano oggetti del quotidiano o animali comuni che il bambino può facilmente riconoscere, servono fondamentalmente al riconoscimento e alla denominazione, i migliori riportano l’oggetto e, nella pagina a fianco, il nome dell’oggetto stesso. PROTOSTORIE Si indicano con questo termine quei libri che presentano una successione di avvenimenti legati allo stesso personaggio. Il protagonista passa così di pagina in pagina e interagisce con l’ambiente e gli oggetti che gli stanno intorno. Sono molto utili per cominciare ad avvicinarsi a concetti come il prima e il dopo, causa ed effetto… STORIE BREVI Qui si comincia a parlare di storie vere e proprie in quanto al protagonista si aggiungono altri personaggi che interagiscono con lui in ambienti diversi tra di loro, si complica decisamente la storia anche se molto spazio rimane riservato alle immagini che permettono di seguire con attenzione la successione degli eventi. Normalmente queste storie si presentano sotto forma di albi illustrati che raccontano usando due distinti codici: quello verbale e quello iconico che concorrono congiuntamente alla costruzione del significato. STORIE COMPLESSE In questo tipo di storie cominciano invece a scarseggiare le immagini che riportano solo più flash su parti centrali o particolarmente significative della narrazione. E’ evidente che sono necessarie sempre più competenze narrative e che l’immagine illustrata lascia spazio a quella che il lettore ha ormai imparato a costruirsi da sé, si arriva così alla capacità di creare vere e proprie immagini mentali. STORIE CHE EMOZIONANO Le storie che esaltano le prime emozioni come la paura, l’affetto, il riso, l’entusiasmo, la gelosia…sono indicate normalmente a partire dai cinque anni sotto forma di albi illustrati e sono propedeutiche all’approccio alle fiabe vere e proprie che, nella maggior parte dei casi, non sono più accompagnate da immagini. FIABE E FAVOLE Le favole sono racconti brevi e presuppongono un insegnamento morale chiaramente esposto all’inizio o alla fine del racconto, famose quelle di Fedro o di Esopo, per citare gli autori più conosciuti. Le fiabe invece sono le storie più o meno complesse che derivano dalla tradizione popolare caratterizzate da tratti stilistici particolari (formule di inizio e di chiusura che fanno da segnali per l’ascoltatore). La trama è decisamente complessa, c’è un protagonista e uno o più antagonisti, uno scopo da raggiungere, delle prove da superare, di solito tre che non prevedono solo coraggio ma anche astuzia, e il finale in cui viene premiato il buono e punito chi ha agito male con un chiaro messaggio educativo che risarcisce chi ha lottato per la giustizia e la lealtà. ALTRE STORIE Non rientrano in nessuna delle categorie fin qui citate, sono tante e diversissime tra loro di tantissimi scrittori più o meno contemporanei che si sbizzarriscono nei racconti più diversi, a volte rappresentano chiaramente un genere letterario (Fantasy, Giallo, Horror…) altre volte è semplice narrativa che affronta problematiche comuni, temi cari ai preadolescenti ed adolescenti di oggi. AMBIENTE Più i lettori sono piccoli più è importante mantenere un contatto corporeo nel momento dedicato al libro. Nel momento in cui i lettori diventano autonomi negli spostamenti è utile predisporre un ambiente gradevole, accogliente, comodo, non imporre posture particolari, riproporre ogni volta rituali di ingresso nella stanza o nell’angolo della lettura… In questo modo la lettura sarà sempre concepita come un dono, un momento di grande intensità comunicativa. TEMPI La lettura e condivisione di un immagine e successivamente la lettura ad alta voce di un testo scritto o di tutti e due contemporaneamente possono avere una durata che va da un minimo di 2 a massimo 40 minuti. La durata varia molto dalle capacità di ascolto di chi riceve la lettura e dall’abitudine che questo ha a praticarla. Normalmente più si legge più si aumenta la durata dell’attenzione e l’abitudine all’ascolto. L’attività ha una resa migliore se intervallata da momenti di svago in cui si rielabora cosa si è ascoltato con un gioco o con un’attività manuale come, ad esempio, un disegno. La raccolta, ovvero quella che chiamiamo “verifica” della comprensione del testo è importante ma non è assolutamente produttiva se proposta sotto forma di scheda di verifica, diventa un obbligo che allontana dalla voglia ed entusiasmo di leggere! Parte seconda Leggere è sicuramente molto importante, ma anche esperienze di laboratori di lettura svolti nell’ambito scolastico, con letture ad alta voce eseguite da adulti esterni alla scuola, può essere formativo per quanto concerne lo sviluppo e l’amore alla lettura. C’è da dire che, affinché un bambino possa apprezzare i libri, cioè il racconto fatto di parole scritte, è indispensabile che prima abbia raggiunto il livello del gusto della parola parlata, del racconto orale. È molto importante che i bambini imparino prima ad ascoltare ed apprezzare la lettura ad alta voce fatta da un adulto e poi a leggere libri per conto loro. Anche il sentire leggere poesia, a scuola, in modo semplice e soprattutto gratuito, quindi senza dover preoccuparsi di versioni in prosa o di studiare a memoria, è un modo simpatico per cominciare a masticare poesia come forma letteraria, cercando di individuare e capire la differenza tra brano in prosa e testo poetico. Alcune indicazioni utili per una lettura ad alta voce. La lettura ad alta voce è il risultato di due semplici operazioni: leggere e parlare. Bisogna però rispettare alcuni principi fondamentali: consideriamo, innanzitutto, che non è possibile rivolgersi ad un uditorio leggendo come si legge privatamente un giornale o un romanzo; e neppure, nelle stesse circostanze, si può respirare come in una conversazione tra amici. Chi ascolta, infatti, deve essere posto nella condizione di capire bene il significato del testo, senza annoiarsi o distrarsi. Ecco perché è molto importante conoscere alcuni trucchi indispensabili per attribuire valore ed efficacia a tutti i momenti della lettura ad alta voce. La pre-lettura Naturalmente chi legge per prima cosa deve aver assimilato l’esatto significato del testo, per essere in grado di proporlo con chiarezza. È quindi necessaria una pre-lettura approfondita e critica: infatti, non si può leggere una pagina de “I Promessi Sposi” così come si leggerebbero una poesia di Pascoli o un monologo di Goldoni. È perciò importante anche distinguere il genere letterario che si deve affrontare. Un ulteriore aiuto si può ottenere sottolineando, dopo averli individuati, le parole e i momenti più ostici; perciò, soltanto una attenta pre-lettura ad alta voce può permetterci di sperimentare le reali difficoltà del brano. Non dimentichiamoci che esistono molte parole facili da leggere, ma difficili da pronunciare. Infiniti e scabrosi sono gli incontri tra vocali e consonanti; la trappola della papera (come scherzosamente gli attori definiscono un errore, un intoppo all’eloquio) è sempre in agguato. Il ritmo Una volta individuate le pause, si tratta di regolare, con una giusta velocità, la successione delle sillabe e delle parole: una frase pronunciata con un ritmo troppo veloce non darà il tempo a chi ascolta di organizzare nella propria mente la successione dei suoni e quindi di comprenderne il significato. Ecco perché una lettura in pubblico deve seguire dei ritmi molto più lenti di quelli di una normale conversazione; inoltre il ritmo dipenderà molto dalle esigenze del messaggio che si vuole trasmettere. Infine non va dimenticato che, più l’ambiente di lettura è grande, più la lettura deve essere lenta per dar modo alla voce di raggiungere tutto il pubblico. Il tono Normalmente si fa un uso istintivo di un certo numero di toni che si estendono per circa un’ottava e mezza, modulando la propria voce dai toni più bassi a quelli più alti. Per una buona lettura in pubblico, i toni da usare dovranno essere stabiliti, durante la pre-lettura, in base all’argomento trattato, al senso delle frasi e, naturalmente, alla propria capacità interpretativa, con cui si dovrà cercare di catturare l’attenzione degli ascoltatori. È evidente, ad esempio, che se l’esigenza è quella di arringare una folla, il tono dovrà essere decisamente alto, mentre nel caso della lettura di un racconto, moduleremo la nostra voce su una gamma di toni che possono variare dal basso, al medio, al medio alto. Naturalmente è indispensabile evitare la cantilena (e cioè il susseguirsi monotono degli stessi toni in uno schema fisso) e lo sbalzo di toni troppo brusco, altrettanto difficile da accettare da parte di chi ascolta. Le pause Chi non conosce il testo, può comprenderne l’esatto senso solo se chi legge rispetta sia le pause sintattiche (punteggiatura), sia quelle interpretative. Le pause, infatti, consentono al lettore di attribuire l’esatta efficacia ad ogni proposizione, e all’ascoltatore di riflettere e comprendere il significato del testo. Durante la lettura di preparazione o pre-lettura, si possono segnare le pause indicandole semplicemente con delle barrette. Una barretta / = pausa breve. Due barrette // = pausa lunga. I momenti di interruzione del suono potranno essere utilizzati anche per la respirazione. Va detto inoltre che è consigliabile una breve pausa in corrispondenza di: una quantità (es. “scaricarono/trentasei vagoni”) un verbo importante (es. “ed egli/dichiarò”) un incontro di vocali (es. “una/aiuola”) un avverbio di tempo (es. “adesso/è importante”) Il colore Compito del lettore è di trasmettere a chi ascolta, attraverso l’uso della voce, l’immagine ideale di ciò che il testo vuole esprimere. Le emozioni che il lettore deve trasmettere arriveranno soltanto se questi ha saputo comprendere fino in fondo il vero messaggio del testo e se, calandosi nella parte dell’autore, sa comunicarne con partecipazione il contenuto. Si dovrà quindi evitare di essere piatti e di leggere come se il contenuto non ci interessasse, ma anche di non esagerare per il timore di essere noiosi. Non si può fare a meno di dar colore alla lettura, ma bisogna farlo nel modo più naturale, senza retorica, con equilibrio e misura. Sarebbe bene, nella lettura di preparazione, evidenziare in margine i momenti più significativi del brano, cercando poi, con l’aiuto di tutti gli elementi espressivi (la pausa, il ritmo, il tono ed il colore) di rendere efficace e suggestiva la nostra esposizione. Alcune regole di dizione e pronuncia. Appunti Nella lingua italiana le Vocali vanno distinte fra: Vocali alfabetiche, in numero di CINQUE: a, e, i, o, u Vocali fonetiche, in numero di SETTE: a, è (aperta), é (chiusa), i, ò (aperta), ó (chiusa), u Come si può notare nella categoria delle Vocali fonetiche sono annoverati due tipi di e e due tipi di o, è infatti su queste due vocali che incide la distinzione fonetica di pronuncia. Altra distinzione necessaria per pronunciare correttamente le parole italiane è quella tra accento tonico e accento fonico. Accento tonico è la forza che viene data ad una sillaba in particolare tra quelle che compongono la parola (Es.: tàvolo, perché, tastièra) Accento fonico indica la distinzioni tra suoni aperti e chiusi per le vocali e ed o. Per indicare quali vocali vanno pronunciate aperte e quali chiuse si usano due tipi di accento fonico: Accento grave: ò è per indicare le vocali da pronunciare aperte (Es.: pòdio, sèdia) Accento acuto: ó é per indicare le vocali da pronunciare chiuse (Es.: bórsa, perché) Regola principale Quando su una sillaba contente una e o una o non cade l'accento tonico, la e o la o si deve pronunciare sempre chiusa. Esempio: tàvolo, lìbro, volànte, dìsco, bottìglia Tutta la nostra attenzione sarà perciò ora rivolta alle parole che contengono una sillaba con e o con o sulla quale cade l'accento tonico. In questo caso dovremo chiederci se la vocale e o o si deve pronunciare aperta o chiusa. APPUNTI DI DIZIONE La è aperta La "e" fonica aperta italiana (è) deriva spesso dalla "e" breve e dal dittongo "ae" del latino classico. Esempi: decem --> dièci, ferrum --> fèrro, laetus --> lièto, praesto --> prèsto. La lettera "e" ha suono aperto nei seguenti casi: 1. Nel dittongo "-ie-" Esempi: bandièra, ièri, cavalière, lièto, diètro Eccezioni ("e" chiusa): nei suffissi dei vocaboli di derivazione etnica (Es.: ateniése, pugliése, marsigliése, ecc.), nei suffissi dei diminutivi in "-ietto" (Es.: magliétta, fogliétto, vecchiétto,ecc.) nei suffissi dei sostantivi in "-iezzo" (Es.: ampiézza) nei vocaboli chiérico e bigliétto. 2. Quand'è seguita da vocale Esempi: colèi, costèi, fèudo, idèa, lèi Eccezioni ("e" chiusa): nella desinenza "-ei" del passato remoto (Es.: credéi, ecc.), nelle preposizioni articolate (Es.: péi, néi, ecc.), nell'aggettivo dimostrativo quéi. 3. Quand'è seguita da una consonante dopo la quale vengono due vocali Esempi: assèdio, gènio, egrègio, prèmio Eccezioni ("e" chiusa): quando è seguita dalle sillabe "-gui-", "-gua-", "-guo-" (Es.: diléguo, perséguo, séguito, trégua, ecc.), nei vocaboli frégio, sfrégio. 4. Nei vocaboli di origine straniera che terminano con una consonante Esempi: hotèl, rècord, rèbus, sèxy, prèmier, sèltz, nègus 5. Nei vocaboli tronchi di origine straniera Esempi: caffè, bignè, tè (bevanda), gilè 6. Nelle desinenze del condizionale in "-ei", "-ebbe", "-ebbero" Esempi: vorrèi, farèi, farèbbe, crederèbbero, dirèbbe, marcerèbbe, marcirèbbero, circolerèbbero, fraintenderèbbero, comprerèbbe, accetterèbbero, colpirèbbe, tradurrèbbero 7. Nelle terminazioni in "-eda", "-ede", "-edo", "-edi" Esempi: cèdo, corrèdo, erède, prèda, schèda, arrèdo, sède, sèdi Eccezioni ("e" chiusa): nelle forme verbali di crédere e vedére (Es.: crédo, védo, crédi, védi, ecc.) nelle forme verbali derivate dalla precedenti (Es.: provvédo, ricrédo, miscrédo, ravvédo, intravédo, rivédo, ecc.) nel vocabolo féde. 8. Nelle terminazioni in "-eca", "-eco", "-eche", "-echi" Esempi: tèca, èco, gèco, cortèco, trichèchi, discotèche, enotèca, bibliotèca, paninotèca, videotèca, comprendendo anche i nomi di popolo come Grèco, Guatemaltèco, Aztèco, Zapotèco, Toltèco, Uzbèco 9. Nei suffissi in "-edine" Esempi: salsèdine, pinguèdine, raucèdine, torpèdine, intercapèdine, acrèdine 10.Nelle terminazioni in "-ello", "-ella" Esempi: pagèlla, mastèllo, èllo, sorèlla, fratèllo, fardèllo, spinèllo, porcèllo, padèlla, caramèlla, lavèllo, manovèlla spesso usate anche come suffissi di diminutivi e/o vezzeggiativi come asinèllo, torèllo, praticèllo, bricconcèlla, cattivèlla, orticèllo 11. Eccezioni ("e" chiusa): nelle preposizioni articolate (Es.: dél, déllo, délla, déi, dégli, délle, nél, nélla, ecc.), negli aggettivi dimostrativi (Es.: quél, quéllo, quélla, quéi, quélle, ecc.) nei vocaboli stélla e capéllo 12.Nei suffissi di sostantivi in "-emo", "-ema", "-eno", "-ena" Esempi: teorèma, anatèma, problèma, apotèma, crisantèmo, Polifèmo, eritèma, Trasimèno, falèna, altalèna, cantilèna, trèno 13.Nelle terminazioni in "-enda", "-endo" e in tutte le desinenze del gerundio Esempi: agènda, bènda, tremèndo, orrènda, corrèndo, temèndo, cuocèndo, aprèndo, leggèndo, facèndo, morèndo, starnutèndo, ferèndo, mettèndo 14. Eccezioni ("e" chiusa): nei verbi scéndo e véndo. 15.Nelle desinenze dell'infinito in "-endere" Esempi: appèndere, sorprèndere, attèndere, intèndere 16. Eccezioni ("e" chiusa): nei verbi scéndere e véndere. 17.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi derivati dai numerali in "-enne" Esempi: decènne, ventènne, tredicènne, sessantènne, quarantaquattrènne 18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi derivati dai numerali in "-ennio" Esempi: biènnio, triènnio, millènio, cinquantènnio 19.Nei suffissi di nomi etnici in "-eno" Esempi: madrilèno, cilèno, nazarèno 20.Nelle terminazioni in "-ensa", "-ense", "-enso" Esempi: sènso, intènso, forènse, dispènsa, mènsa, melènso, parmènse, pènso, ripènso 21.Nelle terminazioni in "-enta", "-ente", "-ento", "-enti" comprese tutte le desinenze del participio presente in "-ente" Esempi: lènte, gènte, accidènte, sovènte, corrènte, silènte, consulènte, sedicènte, seducènte, mittènte, ponènte, avènte, dormiènte, perdènte, spingènte, cedènte, contraènte, aderènte, facènte, bevènte, tagliènte 22. Eccezioni ("e" chiusa): tutti gli avverbi in "-mente" (Es.: abilménte, benevolménte, incessanteménte, correttaménte, generalménte, scioccaménte, duraménte, simpaticaménte, facilménte, inopinataménte, assurdaménte, esattaménte) nei vocaboli vénti (numero), trénta nei vocaboli in "-mento", "-mente", "-menta", "-menti" (Es.: laménto, paviménto, moménti, torménto, ménta, seménte) 23.Nelle terminazioni in "-enza" Esempi: aderènza, sènza, partènza, urgènza, lènza, licènza, ricorrènza, invadènza, maldicènza 24.Nelle terminazioni in "-erbo", "-erba" Esempi: risèrbo, acèrbo, sèrbo, supèrbo, èrba, sèrba 25.Nelle terminazioni in "-erbia" Esempi: supèrbia 26.Nelle terminazioni in "-erio", "-eria" Esempi: misèria, sèrio, putifèrio 27.Nelle terminazioni in "-erno", "-erna" Esempi: etèrno, quadèrno, lucèrna, invèrno, matèrno, tavèrna, govèrno, lantèrna 28. Eccezioni ("e" chiusa): nel vocabolo schérno. 29.Nelle terminazioni in "-erro", "-erra" Esempi: tèrra, fèrro, guèrra, affèrro, sottèrro, sèrra, vèrro, sottèrra 30.Nelle terminazioni in "-erso", "-ersa" Esempi: pèrso, emèrso, vèrso, tèrso, sommèrso, dispèrsa, detèrsa, rivèrsa 31.Nelle terminazioni in "-erto", "-erta", "-erte" Esempi: apèrto, copèrta, incèrto, soffèrto, consèrte, cèrto 32. Eccezioni ("e" chiusa): nei vocaboli érta (salita), érto (scosceso) nell'espressione "all'érta". 33.Nelle terminazioni in "-ervo", "-erva" Esempi: sèrvo, cèrvo, risèrva, nèrvo 34.Nelle terminazioni in "-ervia" Esempi: protèrvia 35.Nei suffissi dei superlativi in "-errimo" Esempi: integèrrimo, aspèrrimo, acèrrimo 36.Nei suffissi dei numerali ordinali in "-esimo" Esempi: centèsimo, millèsimo, milionèsimo, ventèsimo, trentèsimo 37.Nelle terminazioni in "-estre", "-estra", "-estro", "-estri" Esempi: alpèstre, terrèstre, palèstra, canèstro, finèstra, pedèstre, maldèstro, ambidèstro, dèstra 38.Nelle desinenze del passato remoto in "-etti", "-ette", "-ettero" Esempi: credètti, dovèttero, stèttero, cedètte 39.Nei vocaboli terminanti in "-ezio", "-ezia" Esempi: inèzia, scrèzio, facèzia APPUNTI DI DIZIONE La é chiusa La "e" fonica chiusa italiana (é) deriva spesso dalla "e" lunga e dalla "i" breve del latino classico. Esempi: cera --> céra semen --> séme vitrum --> vétro capillus --> capéllo La lettera "e" ha suono chiuso nei seguenti casi: 1. Nei monosillabi atoni Esempi: é (congiunzione), mé, né, té, sé, ré (monarca), vé, pér 2. Eccezioni: ("e" aperta) il vocabolo rè (nota musicale) 3. Nei suffissi di avverbi in "-mente" Esempi: sinceraménte, inutilménte, praticaménte, segretaménte, popolarménte, frugalménte, correttaménte 4. Nelle terminazioni in "-mento" e "-menta" Esempi: sentiménto, proponiménto, moménto, ménta, struménto, torménto, godiménto, struggiménto, falliménto 5. Eccezioni ("e" aperta): le voci del verbo mentire: io mènto, tu mènti, egli mènte, che tu mènta, ecc. 6. Nei vocaboli tronchi in "-ché" Esempi: perché, giacché, anziché, poiché, fuorché, sicché, macché 7. Nelle terminazioni in "-eccio", "-eccia" Esempi: fréccia, féccia, tréccia, libéccio, villeréccio, intréccio, cicaléccio 8. Nei sostantivi con terminazione in "-efice" Esempi: oréfice, carnéfice, artéfice, pontéfice 9. Nei suffissi di sostantivi e verbi in "-eggio", "-eggia", "-egge", "-eggi" Esempi: campéggio, manéggio, postéggio, pontéggio, alpéggio, cartéggio, légge (sostantivo), puléggia 10. Eccezioni ("e" aperta): I vocaboli: èggia, sèggio, pèggio le forme del verbo lèggere: tu lèggi, egli lègge 11.Nei suffissi di aggettivi in "-esco" Esempi: pazzésco, burlésco, guerrésco, goliardésco, principésco, farsésco, manésco 12.Nelle terminazioni in "-ese", "-esa", "-eso", "-esi" Esempi: arnése, frésa, sospéso, paése, francése, imprésa, péso, illéso 13. Eccezioni ("e" aperta): nei vocaboli nei quali la "e" fonica forma dittongo con la "i" (Es.: chièsa) nei vocaboli blèso, obèso, tèsi(sostantivo), catechèsi, esegèsi 14.Nei suffissi di sostantivi in "-esimo" Esempi: battésimo, umanésimo, cristianésimo, paganésimo 15. Eccezioni ("e" aperta): nel vocabolo infinitèsimo i numerali ordinali (Es.: centèsimo, millèsimo, ecc...) 16.Nei suffissi di sostantivi femminili in "-essa" Esempi: dottoréssa, principéssa, contéssa, elefantéssa, badéssa 17.Nei suffissi di sostantivi collettivi in "-eto", "-eta" Esempi: fruttéto, meléto, pinéta, agruméto, roséto 18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi diminutivi e collettivi in "-etto", "-etta" Esempi: librétto, casétta, chiesétta, pezzétto, navétta, terzétto, quintétto, palchétto, porchétta, forchétta, carrétta, collétto 19.Nelle terminazioni in "-eguo", "-egua" Esempi: séguo, adéguo, trégua, diléguo, ecc. 20.Nei suffissi di aggettivi che al singolare terminano in "-evole" Esempi: lodévole, incantévole, ammirévole, caritatévole, deplorévole, cedévole, arrendévole 21.Nei suffissi di sostantivi in "-ezza" Esempi: bellézza, debolézza, chiarézza, salvézza, dolcézza, mitézza, arrendevolézza, segretézza 22. Eccezioni ("e" aperta): nel vocabolo mèzza 23.Nelle preposizioni articolate Esempi: dél, délla, déllo, dégli, délle, déi, nél, néllo, nélla, négli, nélle, néi, péi 24.Nei pronomi personali Esempi: égli, élla, ésso, éssa, éssi, ésse 25.Negli aggettivi dimostrativi Esempi: quésto, quésta, quéste, quésti, quéllo, quélla, quégli, quélli, quélle, codésto, codésta, codésti, codéste 26.Nelle desinenze del Passato Remoto in "-ei", "-esti", "-e", "-emmo", "-este", "-ettero" Esempi: credéi, credéste, credéttero, poté, potémmo, dicémmo, volésti 27.Nelle desinenze del Futuro in "-remo, "-rete" Esempi: vedrémo, diréte, cadréte, volerémo, fileréte, caricherémo, toccheréte, calcolerémo 28.Nelle desinenze dell'Infinito della seconda coniugazione Esempi: cadére, avére, volére, bére, sedére, potére, godére 29.Nelle desinenze del Congiuntivo Imperfetto in "-essi", "-esse", "-essimo", "-este", "-essero" Esempi: dovéssi, volésse, prendéssimo, cadéste, godéssero 30.Nelle desinenze del Condizionale Presente in "-resti", "-remmo", "-reste" Esempi: farémmo, vedréste, cadrésti, potrésti, vorrémmo 31.Nelle desinenze del Indicativo Presente e dell'Imperativo in "-ete" Esempi: prendéte, cadéte, rompéte, voléte, potéte, dovéte 32.Nelle desinenze dell'Indicativo Imperfetto in "-evo", "-eva", "-evano" Esempi: dicévo, facévano, mettévo, volévano, potévo, dovévano APPUNTI DI DIZIONE La ò aperta La "o" fonica aperta italiana (ò) deriva spesso dalla "o" breve e dal dittongo "au" del latino classico. Esempi: focus --> fuòco locus--> luògo aurum --> òro paucus --> pòco La lettera "o" ha suono aperto nei seguenti casi: 1. Nel dittongo "-uo" Esempi: tuòno, scuòla, uòmo, suòi, tuòi, buòi, vuòi, suòcera, nuòra, suòra, cuòre 2. Eccezioni ("o" chiusa): quando il dittongo fa parte dei suffissi di sostantivi in "-uosa", "-uoso" (Es.: affettuóso, sinuóso, flessuósa, lussuósa, fruttuóso, acquósa, ecc.) nei vocaboli liquóre, languóre. 3. Nei vocaboli tronchi terminanti in "-o" comprese le forme verbali del futuro e del passato remoto Esempi: però, falò, andrò, arrivò, cercò, sognò, pedalò, ritirò, acquistò 4. Nei vocaboli in cui la "o" sia seguita da una consonante dopo la quale vengono due vocali Esempi: negòzio, sòcio, petròlio 5. Eccezioni ("o" chiusa): nel vocabolo incrócio. 6. Nelle terminazioni in "-orio", "-oria" Esempi: stòria, glòria, dormitòrio, conservatòrio 7. Nei vocaboli di origine straniera entrati a far parte del linguaggio comune Esempi: bòxe, gòng, yògurt, lòden, lòrd, pòster 8. Nelle terminazioni in "-occio", "-occia" Esempi: cartòccio, saccòccia, bòccia, grassòccio, ròccia, figliòccio 9. Eccezioni ("o" chiusa): nei vocaboli dóccia e góccia. 10.Nelle terminazioni in "-odo", "-oda", "-ode" Esempi: bròdo, chiòdo, sòda, mòda, pagòda, chiòdo, lòdo, òdo, fròdo, fròde 11. Eccezioni ("o" chiusa): nel verbo ródere e nei suoi composti (Es.: ródo, eródo, corródo, ecc.) nel vocabolo códa. 12.Nelle terminazioni in "-oge", "-ogia", "-ogio", "-oggia", "-oggio", "-oggi" Esempi: dòge, fòggia, òggi, piòggia, barbògio, allòggio, fròge, appòggia, appòggio 13.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oide" Esempi: tiròide, mattòide, collòide, steròide, pazzòide 14.Nei suffissi di sostantivi in "-olo", "-ola" Esempi: carriòla, tritòlo, stagnòla, tagliòla, bagnaròla, mariuòlo, mentòlo 15. Eccezioni ("o" chiusa): i vocaboli sólo, vólo le voci del verbo colare e i suoi derivati (Es.: cólo, scólo, ecc.) 16.Nelle terminazioni in "-osi", "-osio" in sostantivi usati in campo scientifico e medico Esempi: calcolòsi, fibròsi, tubercolòsi, artròsi, ipnòsi, lattòsio, destròsio, maltòsio, saccaròsio, glucòsio 17.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-otto" e in generale nelle terminazioni in "-otto", "-otta" Esempi: sempliciòtto, bambolòtto, lòtto, bòtta, còtto, còtta, salòtto, dòtto, decòtto 18. Eccezioni ("o" chiusa): nei verbi derivati dal latino "ducere" (Es.: indótto, condótto, ridótto, tradótto, ecc.) nei vocaboli ghiótto, rótto, sótto 19.Nei suffissi di sostantivi in "-ottola", "-ottolo" Esempi: viòttolo, collòttola, naneròttolo, pallòttola 20.Nei suffissi di sostantivi in "-ozzo", "-ozza" Esempi: tinòzza, tavolòzza, còzzo, tòzzo, còzza, piccòzza 21. Eccezioni ("o" chiusa): i vocaboli gózzo, pózzo, singhiózzo, rózzo, sózzo 22.Nelle terminazioni in "-olgia", "-orgia" Esempi: bòlgia, fòrgia, òrgia 23.Nelle desinenze "-olsi", "-olse", "-olsero" del Passato Remoto Esempi: còlsi, tòlsero, sconvòlsero, vòlsero, vòlsi, avvòlsero, raccòlsi 24.Nel Participio Passato in "-osso" Esempi: mòsso, scòssa, percòsso 25.Nei suffissi di derivazione greca: "-ologo", "-ogico", "-ografo", "-omico" Esempi: pròlogo, psicològico, fotògrafo, còmico APPUNTI DI DIZIONE La ó chiusa La "o" fonica chiusa italiana (ó) deriva spesso dalla "o" lunga e dalla "u" breve del latino classico. Esempi: nomen --> nóme cognosco --> conósco fuga --> fóga supra --> sópra La lettera "o" ha suono chiuso nei seguenti casi: 1. Nei monosillabi che terminano con consonante Esempi: cón, nón, cól 2. Eccezioni ("o" aperta): nei vocaboli sòl (nota musicale) e dòn. 3. Nelle terminazioni in "-oce" Esempi: cróce, feróce, atróce, fóce, nóce 4. Eccezioni ("o" aperta): nei casi in cui la "o" sia preceduta dalla vocale "u" formando il dittongo "-uo-" (Es.: nuòce, cuòce, ecc.) nel vocabolo precòce 5. Nelle terminazioni in "-ogno", "-ogna" Esempi: bisógno, carógna, sógno, cicógna, zampógna, rampógna 6. Nei suffissi di aggettivi in "-ognolo" Esempi: amarógnolo, giallógnolo 7. Nelle terminazioni in "-one" Esempi: missióne, ottóne, nasóne, calzóne, coccolóne, briccóne, mascalzóne, pantalóne, giaccóne, veglióne, torrióne, bastióne 8. Nelle terminazioni in "-zione" Esempi: azióne, creazióne, dizióne, lezióne, situazióne 9. Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oio", "-oia" Esempi: abbeveratóio, galoppatóio, mangiatóia, mattatóio, corridóio, feritóia, cesóia, tettóia 10. Eccezioni ("o" aperta): nei vocaboli sòia, salamóia, 11.Nelle terminazioni in "-ondo", "-onda" Esempi: fóndo, móndo, secóndo, sónda, ónda 12.Nelle terminazioni in "-onto", "-onte", "-onta" Esempi: frónte, cónto, ónta, mónte, scónto, accónto, viscónte 13.Nei suffissi di sostantivi in "-onzolo" Esempi: medicónzolo, pretónzolo, girónzolo, frónzolo 14.Nelle terminazioni in "-ore", "-ora" Esempi: dolóre, amóre, óra, ancóra, finóra, attóre, candóre, tenóre, fattóre, corridóre, calóre, livóre, fervóre, colóre, nuotatóre, pescatóre 15. Eccezioni ("o" aperta): nei casi in cui la "o" sia preceduta dalla vocale "u" formando il dittongo "-uo-" (Es.: nuòra, cuòre, ecc.). 16.Nelle terminazioni in "-orno", "-orna" Esempi: giórno, contórno, fórno, adórna, ritórna, ritórno 17. Eccezioni ("o" aperta): nel vocabolo còrno, còrna, pòrno 18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oso", "-osa" Esempi: affettuóso, afóso, erbósa, gioióso, dolorósa, ambizióso, contenzióso, collósa, medicamentósa, curióso, pallósa, sediziósa, caloróso, stizzóso, baldanzósa, borióso 19. Eccezioni ("o" aperta): nei vocaboli ròsa (fiore e colore), còsa, iòsa, spòsa 20.Nei pronomi personali Esempi: nói, vói, lóro, costóro, colóro Le consonanti sibilanti dentali Una distinzione simile a quella fatta per le vocali è anche individuabile per le Consonanti Sibilanti Dentali che sono la "S" e la "Z". Pertanto avremo: Consonanti sibilanti dentali alfabetiche sono in numero di DUE: "S", "Z" Consonanti sibilanti dentali fonetiche sono in numero di QUATTRO: "S" aspra, "Z" aspra (dette anche sorde) "S" dolce, "Z" dolce (dette anche sonore) La pronuncia fonetica di queste consonanti sarà: "S" sorda o aspra, come nelle parole sole, rosso, cascare "S" sonora o dolce, come nelle parole rosa, asilo, vaso "Z" sorda o aspra, come nelle parole zucchero, bellezza, stanza "Z" sonora o dolce, come nelle parole zanzara, azalea, dozzina La S aspra o sorda La "S" aspra o sorda italiana è quella usata per pronunciare il vocabolo sale e si presenta nei seguenti casi: 1. Quando si trova in principio di vocabolo ed è seguita da vocale Esempi: sole, sale, sapere, sedano, sorpresa, sabato, sicuro, solluchero, sedurre, sospetto, situazione, secessione, superiore, sultano 2. Quando è iniziale del secondo componente di un vocabolo composto Esempi: affittasi, disotto, girasole, prosegue, risapere, unisono, preservare, riservare, reggiseno, pluristrato, multistrato 3. Quando è doppia Esempi: essere, asso, tosse, dissidio, tessera, rissa, fossa, riscossa, affossare, arrossare, assistente, intossicante 4. Quando è preceduta da consonante Esempi: arso, polso, comprensione, corso, ascensore, censore, pulsore, arsura, tonsura, censo, incenso 5. Eccezioni ("s" dolce o sonora): nei vocaboli con prefisso "trans-" (Es.: transalpino, transatlantico, transigere, transitare, translucido, transoceanico). 6. Quando è seguita dalle consonanti cosiddette sorde "c", "f", "p", "q", "t" Esempi: scala, sfera, spola, squadra, storta, ascolto, aspetto Nota Bene: alcuni dizionari fonetici stabiliscono che il suono della "s" debba essere aspro anche in molti altri casi come casa, cosa, così, mese, naso, peso, cinese, piemontese, goloso, bisognoso e altri. In realtà questo tipo di pronuncia è caduta quasi del tutto in disuso, fatta eccezione per qualche parlata dell'Italia centrale e meridionale. La S dolce o sonora La "s" dolce o sonora italiana è quella usata per pronunciare il vocabolo asma e si presenta nei seguenti casi: 1. Quando si trova tra due vocali Esempi: viso, rosa, chiesa, bisogno, uso, coeso, difeso, contuso, colluso, reso, steso, bleso, blusa 2. Eccezioni ("s" aspra o sorda): In alcuni vocaboli come preside, presidente, trasecolare, disegno. Questi vocaboli, in realtà, sono vocaboli composti anche se questa caratteristica non è immediatamente evidente. 3. Quando è seguita dalle consonanti cosiddette sonore "b", "d", "g", "l", "m", "n", "r", "v" Esempi: sbarco, sdegno, sdoppiare, sgarbo, sgridare, slitta, slegare, smania, sminuzzare, sniffare, snaturare, sradicare, svelto, sventare APPUNTI DI DIZIONE La Z aspra o sorda La "z" aspra o sorda italiana è quella usata per pronunciare il vocabolo calza e deriva spesso dalla "-ti-" seguita da vocale del latino classico. Esempi: pretium --> prezzo tertium --> terzo facetia --> facezia La lettera "z" ha suono aspro o sordo nei seguenti casi: 1. Quando è preceduta dalla lettera "L" Esempi: alzare, sfilza, calza, milza, innalzare, scalzare, colza, balzano, filza, calzolaio 2. Eccezioni ("z" dolce o sonora): nei vocaboli elzeviro e belzebù. 3. Quando è lettera iniziale di un vocabolo e la seconda sillaba inizia con una delle consonanti cosiddette mute "c", "f", "p", "q", "t" Esempi: zampa, zoccolo, zoppo, zappa, zattera, zufolo, zinco, zucchero, zitto, zolfo, zecca 4. Eccezioni ("z" dolce o sonora): nei vocaboli zaffiro, zefiro, zotico, zeta, zafferano, Zacinto. 5. Quando è seguita dalla vocale "i" seguita a sua volta da un'altra vocale Esempi: zio, agenzia, polizia, grazia, ospizio, silenzio, vizio 6. Eccezioni ("z" dolce o sonora): nel vocabolo azienda in tutti quei vocaboli derivati da altri vocaboli che seguono la regola della zeta dolce o sonora (Es.: romanziere che deriva da romanzo, ecc.). 7. Nei vocaboli con terminazioni in "-ezza", "-ozza", "-uzzo" Esempi: grandezza, tinozza, spruzzo, carrozza, puzzo, pozzo, olezzo, piccozza, piccolezza 8. Eccezioni ("z" dolce o sonora): nel vocabolo brezza. 9. Nelle desinenze dell'Infinito in "-azzare" Esempi: ammazzare, strapazzare, sghignazzare, cozzare, insozzare, sminuzzare 10.Nei suffissi in "-anza", "-enza" Esempi: speranza, usanza, credenza, assenza, prudenza, portanza, vicinanza, incompetenza, impazienza, tolleranza, tracotanza, presenza 11.Nei suffissi in "-onzolo" Esempi: ballonzolo, pretonzolo, mediconzolo La Z dolce o sonora La "z" dolce o sonora italiana è quella usata per pronunciare il vocabolo zero e deriva spesso dalla "-di-" seguita da vocale del latino classico. Esempi: prandium --> pranzo, radius --> razzo. La lettera "z" ha suono dolce o sonoro nei seguenti casi: 1. Nei suffissi dei verbi in "-izzare" Esempi: organizzare, penalizzare, coalizzare, concretizzare, carbonizzare, sinterizzare, sintetizzare 2. Quando è lettera iniziale di un vocabolo ed è seguita da due vocali Esempi: zaino, zuavo, zoologo 3. Eccezioni ("z" aspra o sorda): nel vocabolo zio e suoi derivati che rientrano nella regola della zeta aspra o sorda perché presentano la vocale "i" seguita da un'altra vocale. 4. Quando è lettera iniziale di un vocabolo e la seconda sillaba inizia con una delle consonanti cosiddette sonore "b", "d", "g", "l", "m", "n", "r", "v" Esempi: zebra, zodiaco, zigote, zelante, zummare, zenzero, zero, zavorra 5. Eccezioni ("z" aspra o sorda): nei vocaboli zanna e zazzera nel vocabolo zigano perché in realtà deriva dal termine caucasico "tzigan". 6. Quando è semplice in mezzo a due vocali semplici Esempi: azalea, azoto, ozono, Ezechiele, Azeglio, nazareno 7. Eccezioni ("z" aspra o sorda): nel vocabolo nazismo. APPUNTI DI DIZIONE Il rafforzamento La regola del rafforzamento sintattico, in genere ignorata (al nord) o malamente utilizzata (al sud), impone di pronunciare alcune consonanti semplici, poste ad inizio di parola, come se fossero doppie. Questo raddoppiamento pronunciato, e non scritto, deve essere effettuato nei seguenti casi: 1. Dopo tutte le parole polisillabe tronche Esempi: perché no --> perché-nnò città santa --> città-ssanta sarò tua --> sarò-ttua 2. Dopo i monosillabi accentati o tonici né, già, quà, là, fa, più, sì, ma, sa, fra, se, a, e, o,ecc.. Esempi: già detto --> già-ddetto là sotto -->là-ssotto fra noi --> fra-nnoi se dici --> se-ddici e poi --> e-ppoi a noi --> a-nnoi 3. Dopo la forma è del verbo essere Esempi: è vero --> è-vvero è falso --> è-ffalso APPUNTI DI DIZIONE I numeri, i mesi, i giorni I numeri cardinali. ùno dùe tré quàttro cìnque sèi sètte òtto nòve dièci ùndici dódici trédici quattórdici quìndici sédici diciassètte diciòtto diciannòve vénti trénta ----cènto ----milióne I numeri ordinali. prìmo secóndo tèrzo quàrto quìnto sèsto sèttimo ottàvo nòno dècimo undicèsimo dodicèsimo tredicèsimo quattordicèsimo quindicèsimo sedicèsimo diciassettèsimo diciottèsimo diciannovèsimo ventèsimo I mesi dell'anno. gennàio màggio settèmbre febbràio giùgno ottóbre màrzo lùglio novèmbre aprìle agósto dicèmbre I giorni della settimana. lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sàbato doménica APPUNTI DI DIZIONE I nomi propri I nomi propri non seguono le regole esposte precedentemente. Occorre quindi conoscerne l'esatta pronuncia imparando a memoria quelli più comuni. Eccone un elenco: ABCDEFGILMNOPRSTUV Abèle, Adèlchi, Adèle, Adòlfo, Adóne, Albèrto, Agnèse, Alèssio, Alfrédo, Alighièro, Ambrògio, Amedèo, Amèlia, Amlèto, Anaclèto, Andrèa, Angèlica, Antònio, Antonèllo, Ansèlmo, Arnòldo, Auròra Benedétto, Bèrta, Bòris Carlòtta, Carmèlo, Celèste, Césare, Clèlia, Clemènte, Cornèlio, Còsimo, Cristòforo, Danièle, Demètrio, Desidèrio, Diègo, Doménico, Dòra, Donatèlla, Èbe, Edmóndo, Ègle, Èlena, Eleonòra, Elèttra, Èlio, Elisabètta, Elisèo, Élsa, Emanuèle, Èmma, Ènnio, Ènzo, Ernèsto, Èster, Èttore, Eugènio, Eusèbio, Èva, Fedéle, Fedòra, Filibèrto, Fiorènzo, Francésco, Fulgènzio, Gabrièle, Gabrièlla, Galilèo, Gaudènzio, Gastóne, Gèmma, Genèsio, Genovèffa, Gilbèrto, Ginévra, Gigliòla, Giórgio, Giosuè, Giròlamo, Gisèlla, Giusèppe, Goffrédo, Gregòrio, Gualtièro, Guglièlmo, Innocènzo, Irène, Isabèlla, Isòtta, Ippòlito, Leopòldo, Lambèrto, Lorènzo, Maddalena, Marcèllo, Mattèo, Michèle, Milèna, Mirèlla, Mònica, Nicòla, Nòra, Nòrma, Ofèlia, Olivièro, Òlga, Omèro, Orèste, Ornèlla, Órsola, Òscar, Otèllo, Perpètua, Piètro, Pompèo, Rachèle, Raffaèle, Raimóndo, Rebècca, Rèmo, Robèrto, Romèo, Ròcco, Ròmolo, Ròsa, Ruggèro, Salvatóre, Secóndo, Sèrgio, Sèsto, Sèttimo, Sevèro, Silvèstro, Simóne, Simonétta, Stéfano, Sònia, Taddèo, Telèmaco, Teodòro, Terènzio, Terèsa, Tesèo, Umbèrto, Valèrio, Verònica, Vincènzo, Vittòrio APPUNTI DI DIZIONE Gli omonimi Nella lingua italiana si presentano casi di omonimie che si differenziano nel loro significato proprio in ragione del diverso tipo di accento fonico che le caratterizza, sebbene, per altro, tale accento non sia mai segnalato dalla grafica. Nelle due tabelle seguenti sono elencati quei casi nei quali occorre prestare particolare attenzione al fine di evitare ambiguità e malintesi. Vocale è aperta Accètta (verbo e aggettivo) Affètto (sentimento, colpito da malanno) Arèna (circo, anfiteatro) Collèga (compagno) Corrèsse (verbo correggere) Crèdo (preghiera e sostantivo) Crèta (isola del mediterraneo) Èsca (verbo uscire) Èsse (lettera dell'alfabeto) Lègge (verbo leggere) Mènto (verbo mentire) Mèsse (raccolto) Nèi (macchie della pelle) Pèsca (frutto) Pèste (malattia) Rè (nota musicale) Tè (bevanda) Vocale é chiusa Accétta (scure) Affétto (verbo affettare) Aréna (sabbia) Colléga (verbo collegare) Corrésse (verbo correre) Crédo (verbo credere) Créta (argilla) Ésca (cibo, richiamo per pesci) Ésse (pronome) Légge (norma) Ménto (parte del viso) Mésse (funzioni religiose) Néi (preposizione articolata) Pésca (verbo pescare) Péste (tracce, orme) Ré (monarca, regnante) Té (pronome) Tèlo (dardo, freccia) Tèma (argomento, componimento) Vènti (plurale di vento) Télo (tessuto) Térna (verbo temere e sostantivo) Vénti (numero) Vocale ò aperta Accòrsi (verbo accorgere) Bòtte (percosse) Còlto (verbo cogliere) Còppa (tazza) Vocale ó chiusa Accórsi (verbo accorrere) Bótte (recipiente per vini) Cólto (istruito, coltivato) Cóppa (parte del collo) Córso (sostantivo e verbo Còrso (abitante della Corsica) correre) Fòro (tribunale, piazza) Fóro (buco passante) Fòsse (buche) Fósse (verbo essere) Indòtto (non dotto, ignorante) Indótto (verbo indurre) Pòrsi (verbo porgere) Pórsi (verbo porre) Pòsta (ufficio postale, somma Pósta (verbo porre) in gioco) Ròcca (fortezza) Rócca (conocchia del filatoio) Ròsa (fiore) Rósa (verbo rodere) Scòpo (fine, obiettivo) Scópo (verbo scopare) Scòrsi (verbo scorgere) Scórsi (verbo scorrere) Sòrta (specie) Sórta (verbo sorgere) Tócco (sostantivo e verbo Tòcco (pezzo, berretto) toccare) Tòrre (verbo togliere) Tórre (edificio) Tòrta (verbo torcere) Tórta (dolce) Vòlto (verbo volgere) Vólto (viso) Vòlgo (verbo volgere) Vólgo (plebe, popolo) Vóto (proponimento, desiderio, Vòto (vuoto) scelta) APPUNTI DI DIZIONE Riassunto sui tempi dei verbi I verbi ausiliari (essere e avere). Modo/Tempo Verbo essere Verbo avere sóno, sèi, è, siète, Indicativo/Presente hò, avéte sóno avévo, avévi, Indicativo/Imperfetto èro, èri, èra, èrano avéva, avévano Indicativo/Futuro sarò, sarémo, avrò, avrémo, semplice saréte avréte èbbi, avésti, èbbe, Indicativo/Passato fósti, fóste avémmo, avéste, remoto èbbero sarèi, sarésti, avrèi, avrésti, Congiuntivo/Presente sarèbbe, sarémmo, avrèbbe, avrémmo, saréste, sarèbbero avréste, avrèbbero fóssi, fósse, avéssi, avésse, Congiuntivo/Imperfetto fóssimo, fóste, avéste, avéssero fóssero Participio/Presente -------avènte Gerundio/Presente essèndo avèndo Esercizi di lettura Sógno di Giovanni Pascoli Pér un attimo fui nél mio villaggio, nélla mia casa. Nulla èra mutato. Stanco tórnavo, cóme da un viaggio; stanco, al mio padre, ai mòrti, èro tórnato. Sentivo una gran giòia, una gran péna; una dolcézza e un’angòscia muta. “Mamma?” – “è là, che ti scalda un po’ di céna” Pòvera mamma! E lèi non l’hò veduta. La nuvola pigra di Ugo Bétti Dópo l’acquata le nuvóle, prónte, pigliano il vólo, scavalcano il mónte. Or cón la gónna di vélo sóttile, la più pigra s’impiglia al campanile. “Làsciami, cón codésta banderuòla, mi strappi tutta! Són rimasta sóla!” Ma il campanaro, sènza discrézióne le rispónde cól campanóne! Ché sobbalzo, ché sgoménto! Pér fortuna c’èra il vènto che cón tutta galantéria la piglia e sé la pòrta via. Favolétta di Umberto Saba Tu sèi la nuvolétta, io sóno il vènto; ti pòrto óve a mé piace; qua e là ti pòrto pér il firmaménto, e nón ti dò mai pace. Vanno a séra a dórmire diètro i mónti le nuvolétte stanche; tu nél tuo letticciòlo i sónni hai prónti sótto le cóltri bianche. Più in là di Eugènio Montale S’è rifatta la calma néll’aria: tra gli scògli parlòtta la marétta. Sulla còsta quiètata, néi bròli, qualche palma a péna svétta. Una carézza disfióra la linèa dél mare e la scómpiglia un attimo, sóffio liève che vi s’infrange e ancóra il cammino ripiglia. Sótto l’azzurro fitto dél cièlo, qualche uccèllo di mare sé né va; né sòsta mai: ché, su tutte le còse pare sia scritto: “più in là”. Vicólo di Salvatore Quasimodo Mi richiama talvòlta la tua vóce, e nón sò ché cièli ed acque mi si svégliano déntro; una réte di sóle ché si smaglia sui tuòi muri, ch’èrano a séra un dondólio di lampade dalle bottéghe tarde piène di vènto e di tristézza. Altro tèmpo: un télaio battéva nél córtile, e s’udiva la nòtte un pianto di cuccióli e bambini. Vicólo: una cróce di case ché si chiamano piano, e nón sanno ch’è paura di réstare sóle nél buio. Le fióraie di San Babila di Leonardo Sinisgalli Trascina, il vènto délla séra, attaccate agli ombrèlli a colóri, le piccole fióraie ché strillano gaie nélle maglie. Cóme róndini alle gróndaie restéranno sospése néll’aria le vénditrici di dàlie, óra ché il vènto délla séra gónfia gli ombrèlli a mongolfièra. Nuvóle di Giacinto Grassi Stanco, dópo una lunga camminata pómeridiana, mi sóno appóggiato ad uno déi pilastri ché circóndano la fóntana délla piazza. La stanchézza dólce mi dava l’impressióne di affóndare lentaménte, toglièndomi ógni sènso di materialità. Istintivaménte l’òcchio, cércando uno spiraglio óltre la córnice dura délle costruzióni laterali, ricércava uno spiraglio di cièlo. Néll’azzurro frésco e profóndo si profilava nétta la tórre dél Palazzo di città, róssa. Dal céntro dél tétto si ergéva vèrso l’alto, cóme un èsile stèlo néro, un’anténna alta e sóttile. Mi suggeriva l’immagine di una linea di traguardo méssa lì, chi sa cóme, pér qualche gara nél cièlo. E le nubi passavano infatti, basse néll’azzurro, cóme in córsa. Èrano masse enórmi, grigie o gialle ché muòvevano cómpatte spinte da un vènto invisibile. Si spingévano innanzi, a cuneo, a punta, a frastaglio, in mille fórme strane, buffe o pauróse. La córsa pareva sfiancarle. Il blòcco si rarefacéva, si sfilacciava e i biòccoli brillavano vivaci pér un attimo cóme felici délla vittòria. Èra una córsa gioiósa cóme di bimbi sorridènti. Óra sembrava un córrere cónvulso di gióvani a qualche misteriósa cónquista. Pòi il mòto si facéva frenètico cóme una ridda di móstri e infine si placava in un lènto incèdere di còcchi gigantéschi e sontuòsi. Vicino al mio orécchio il gócciolare festóso délle varie bócche di leóne. Un sènso di vitale freschézza animava il vólto di piètra, impassibile e mi scéndeva déntro, cóme una sórsata di acqua immatèriale. Èra la sóla musica ché mi potésse piacére in un moménto di létargo spirituale, incapace di ógni riflessióne. Musica eleméntare e pure autèntica melódia pari a quélla déll’uòmo. Fórse anche superióre. Il piacére fisico èra in quél moménto giòia artistica, di un’arte ché si liberava di ógni cifrario intelléttuale pér attingére alla sorgènte délla vita. La córsa nél cièlo cóntinuava óltre il traguardo immaginario. Mi riscòssi cóme da un torpóre. Da mólto tèmpo nón mi sorprendévo a guardare le nuvóle. Fórse dal tèmpo in cui, affóndata la tèsta néll’èrba, mé né stavo a lungo supino a stórdirmi gli òcchi di quélle fantasmagórie luminóse. Mi levavo stanchissimo e cóme svuòtato. Gli stèli alti déll’èrba mi facévano sollético al viso e grilli e fórmiche tutt’intórno tentavano la scalata dél mio còrpo. Striature di néro macchiavano la massa liminósa che, sènza trégua, fióriva nél cièlo. Pòi una néra córtina si levò a cóprire ógni còsa, cóme una palpebra su di un òcchio chiaro e sógnante. Si spènse anche la luce d’òro sul fóndo délla piazza ed il suòno délle cannèlle si féce cupo e insostenibilménte monòtono. Nón mi piacéva pénsare al di là di quél néro la córsa nélla luce di quélle meraviglióse creature dél vènto. Da: Sótto le lune di marte di E.R. Burroughs Sóno mólto vècchio, nón sò esattaménte quanto. Fórse hò cènto anni, fórse più; ma nón pòsso dirlo perché nón sóno mai invecchiato cóme gli altri uòmini e nón ricòrdo neppure di avére avuto un’infanzia. Fin dóve arriva la mia memòria, ricòrdo di èssere sèmpre stato adulto: un uòmo di circa trént’anni. Òggi il mio aspètto è idèntico a quéllo di quaranta è più anni fa, éppure sènto che nón pòsso cóntinuare a vivére pér sèmpre; che un giórno affronterò la véra mòrte dalla quale nón c’è più resurrezióne. Nón sò perché dovrèi temére la mòrte, io che sóno mòrto due vòlte è sóno sèmpre in vita; tuttavia, al suo pensièro, pròvo lo stésso orróre che provate vói, che nón siète mai mòrti. Ed a causa di quésto terróre délla mòrte, crédo, che sóno così cónvinto che morirò. È, a causa di quésta mia convinzióne, mi sóno deciso a scrivére la stòria dégli anni délla mia vita è délla mia mòrte. Nón sò spiégare il fenòmeno: pòsso soltanto scrivére qui, cóme può scrivérla un sóldato di ventura, la crònaca dégli strani evènti che mi sóno accaduti néi dièci anni durante i quali il mio còrpo privo di vita è rimasto célato, agli òcchi di tutti, in una cavèrna déll’Arizòna. Nón ho mai raccóntato quésta stòria, né alcun mortale leggerà mai quésto manoscritto fino a quando io nón sarò passato pér sèmpre néll’eternità. Sò che gli uòmini nón credéranno a ciò che nón pòssono concépire, perciò nón intèndo èssere mésso alla gógna dal pubblico, dai pulpiti, dalla stampa, descritto cóme un colossale bugiardo méntre, al contrario, raccónto una sémplice verità che un giórno sarà confermata dalla sciènza. Fórse quéllo che hò appréso su Marte è le informazióni che vi darò attravèrso quésta crònaca, serviranno a dare una prima comprensióne déi mistèri dél nòstro pianéta fratèllo: mistèri pér vói, ma nón più pér mé. Il mio nóme è John Cartèr, ma sóno mèglio conosciuto cóme il Capitano Jack Cartèr délla Virginia. Bibliografia di approfondimento corso di aggiornamento del Progetto “A che libro giochiamo?” Argilli Marcello, Ci sarà una volta, immaginario infantile e fiaba moderna, La Nuova Italia, 1995. Bettelheim Bruno, Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicanalitici delle fiabe, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977. Bettelheim Bruno, Imparare a leggere, Milano, Ed. Feltrinelli, 1983. Blezza Picherle Silvia, Leggere nella scuola materna, Brescia, La Scuola, 1996. Brusa Mario, La pésca con la pèsca. Appunti di dizione, respirazione, educazione alla voce, Ed. Piazza, 2002. Buongiorno T., Dizionario della letteratura per ragazzi, Fabbri, Milano, 2002. Campanile Silvia, Lovo Annamaria, Musella Maria Rosaria, Parlato Paola, Il vizio di leggere, Napoli, Liguori, 2001. Cardarello Roberta, Chiantera Angela, Leggere prima di leggere, infanzia e cultura scritta, Firenze, Ed. La Nuova Italia, 1989. 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