“A che libro giochiamo?”
Corso di aggiornamento sulle tecniche e modalità di lettura ad alta
voce per insegnanti delle scuole materne, elementari e medie di Asti e
Provincia.
a.s. 2004-05
In un paragrafo del libro di Bianca Pitzorno, “Storia delle mie storie”, viene
spiegato in modo semplice e chiaro l’importanza della lettura fin dalla prima
infanzia. Ecco ciò che l’autrice stessa ci dice:
“Credo sia impossibile considerare la condizione di scrittore senza riflettere
prima sulla condizione di lettore. E tanto più mi pare impossibile riflettere sulla
figura di uno scrittore per bambini e ragazzi se non si riflette sulla sua
esperienza di lettore bambino. Per quanto mi riguarda, le letture fatte prima
degli undici anni sono state fondamentali. Molto più importanti e formative
delle letture adulte, vere pietre angolari sulle quali si è poi strutturata la mia
personalità: il mio sistema di valori, il mio gusto, le mie passioni, le mie
ripugnanze, le mie indignazioni, la mia rabbia, le mie scelte politiche. I libri
hanno avuto nella mia infanzia un ruolo così importante che, se cerco di
immaginarli senza di loro, i miei primi anni si riducono a ben poca cosa. Eppure
la mia vita non era quella di una piccola ammalata confinata in un letto, alla
quale solo le parole e le immagini stampate potevano fornire notizie ed
esperienza della realtà. La mia vita era piena di cose ed esperienze concrete,
di rapporti affettivi intensi, di sensazioni fisiche, di emozioni… eppure niente di
tutto questo aveva per me un senso, un valore, un punto di riferimento, se non
in rapporto ai libri che contemporaneamente andavo leggendo e rileggendo.
Esistevo, ma senza i libri non avrei saputo di esistere. La coscienza del mio io,
la possibilità di interpretare il mondo, la scelta etica come volontà di essere in
un modo piuttosto che in altro, lo devo esclusivamente ai libri, a quei libri.”
Referenti per la Biblioteca Astense: Mauro Crosetti e Luisa Corino
C.so Alfieri, 375 – tel. 0141-593002 fax 0141-531117
e-mail: [email protected]
Parte prima
MOTIVAZIONI
La lettura ad alta voce da un lato favorisce la socializzazione, viene condivisa
dal gruppo come momento rilassante e piacevole da vivere insieme, dall’altro
sostiene e facilita la lettura individuale, diventa strumento propedeutico al
piacere della lettura e al gusto della narrazione.
L’adulto mediatore si fa portatore del piacere di una storia, la sua voce è
affascinante, egli incorpora il testo trasformandolo in voce-gesti-espressionimovimenti creando negli ascoltatori un clima positivo di attesa.
E’ dunque molto importante proporre un buon modello di lettura, ma
l’esperienza è valida soprattutto se è personalizzata, perché diventa
un’occasione per arricchire la comunicazione ed ha in sé una forte carica
affettiva.
FINALITA’
Il corso ha lo scopo di far acquisire competenze psicopedagogiche e
metodologico-didattiche relative all’educazione alla lettura, di fornire strumenti
per sperimentare strategie sul campo e di verificare la ricaduta didattica della
proposta formativa.
Intende coinvolgere i docenti nella ricerca e definizione di metodi, strategie e
tecniche di motivazione e di animazione alla lettura, per il recupero di una
dimensione seduttiva del leggere.
Si propone di:
 Acquisire competenze sulle strategie, tecniche e metodologie di lettura.
 Acquisire competenze di motivazione e animazione alla lettura.
SCELTA DEL LIBRO
Nella scelta di un libro da leggere ad alta voce ci sono alcune caratteristiche da
valutare tra cui la brevità, la chiarezza, lo schema compositivo semplice e a
volte ripetitivo o ritmato, la presenza di dialoghi, gli sviluppi e finali
imprevedibili…
E’ sottinteso che i libri per i bambini propongono diverse difficoltà di lettura
dovute, prima ancora che dal testo scritto, anche dalle immagini e alla loro
corrispondenza con il testo (quando c’è), dall’impaginazione che presentano,
dal numero di personaggi e dagli ambienti più o meno familiari in cui questi
agiscono.
Proprio in base a queste caratteristiche si è soliti suddividere i numerosi libri
oggi proposti dall’editoria per ragazzi in alcune categorie che qui di seguito
andremo ad elencare per dare degli strumenti utili agli adulti nella scelta dei
testi da proporre, non tanto in base all’età del bambino, cosa che peraltro gli
editori tendono sempre più speso a fare, quando in base all’abilità di lettura
che il bambino che abbiamo di fronte presenta e a come si possono stimolare
le sue curiosità e la sua “fame” di lettura.
RIME E FILASTROCCHE
Servono ad imparare e facilmente memorizzare parole nuove, a sperimentare
ritmi, a inventare rime e giochi di parole. Possono essere un buon mezzo per
conciliare momenti di tranquillità e introdurre alle pause come la nanna o il
momento delle coccole in cui si gioca con il corpo, si impara a conoscersi e a
ritrovarsi nell’adulto.
LIBRI DA TOCCARE, DA MORDERE, CON CUI FARE IL BAGNO..
Sono libri dalle forme e dai materiali più strani che permettono di avere un
vero e proprio contatto fisico con l’oggetto libro, di sviluppare un
atteggiamento positivo verso il libro stesso, i gusti personali e di potenziare le
capacità di osservazione e di alfabetizzazione emotiva se la lettura viene fatta
in compagnia di un adulto.
LIBRI AD IMMAGINI SEMPLICI
Presentano immagini semplici che rappresentano oggetti del quotidiano o
animali comuni che il bambino può facilmente riconoscere, servono
fondamentalmente al riconoscimento e alla denominazione, i migliori riportano
l’oggetto e, nella pagina a fianco, il nome dell’oggetto stesso.
PROTOSTORIE
Si indicano con questo termine quei libri che presentano una successione di
avvenimenti legati allo stesso personaggio. Il protagonista passa così di pagina
in pagina e interagisce con l’ambiente e gli oggetti che gli stanno intorno. Sono
molto utili per cominciare ad avvicinarsi a concetti come il prima e il dopo,
causa ed effetto…
STORIE BREVI
Qui si comincia a parlare di storie vere e proprie in quanto al protagonista si
aggiungono altri personaggi che interagiscono con lui in ambienti diversi tra di
loro, si complica decisamente la storia anche se molto spazio rimane riservato
alle immagini che permettono di seguire con attenzione la successione degli
eventi. Normalmente queste storie si presentano sotto forma di albi illustrati
che raccontano usando due distinti codici: quello verbale e quello iconico che
concorrono congiuntamente alla costruzione del significato.
STORIE COMPLESSE
In questo tipo di storie cominciano invece a scarseggiare le immagini che
riportano solo più flash su parti centrali o particolarmente significative della
narrazione. E’ evidente che sono necessarie sempre più competenze narrative
e che l’immagine illustrata lascia spazio a quella che il lettore ha ormai
imparato a costruirsi da sé, si arriva così alla capacità di creare vere e proprie
immagini mentali.
STORIE CHE EMOZIONANO
Le storie che esaltano le prime emozioni come la paura, l’affetto, il riso,
l’entusiasmo, la gelosia…sono indicate normalmente a partire dai cinque anni
sotto forma di albi illustrati e sono propedeutiche all’approccio alle fiabe vere e
proprie che, nella maggior parte dei casi, non sono più accompagnate da
immagini.
FIABE E FAVOLE
Le favole sono racconti brevi e presuppongono un insegnamento morale
chiaramente esposto all’inizio o alla fine del racconto, famose quelle di Fedro o
di Esopo, per citare gli autori più conosciuti.
Le fiabe invece sono le storie più o meno complesse che derivano dalla
tradizione popolare caratterizzate da tratti stilistici particolari (formule di inizio
e di chiusura che fanno da segnali per l’ascoltatore). La trama è decisamente
complessa, c’è un protagonista e uno o più antagonisti, uno scopo da
raggiungere, delle prove da superare, di solito tre che non prevedono solo
coraggio ma anche astuzia, e il finale in cui viene premiato il buono e punito chi
ha agito male con un chiaro messaggio educativo che risarcisce chi ha lottato
per la giustizia e la lealtà.
ALTRE STORIE
Non rientrano in nessuna delle categorie fin qui citate, sono tante e
diversissime tra loro di tantissimi scrittori più o meno contemporanei che si
sbizzarriscono nei racconti più diversi, a volte rappresentano chiaramente un
genere letterario (Fantasy, Giallo, Horror…) altre volte è semplice narrativa che
affronta problematiche comuni, temi cari ai preadolescenti ed adolescenti di
oggi.
AMBIENTE
Più i lettori sono piccoli più è importante mantenere un contatto corporeo nel
momento dedicato al libro.
Nel momento in cui i lettori diventano autonomi negli spostamenti è utile
predisporre un ambiente gradevole, accogliente, comodo, non imporre posture
particolari, riproporre ogni volta rituali di ingresso nella stanza o nell’angolo
della lettura… In questo modo la lettura sarà sempre concepita come un dono,
un momento di grande intensità comunicativa.
TEMPI
La lettura e condivisione di un immagine e successivamente la lettura ad alta
voce di un testo scritto o di tutti e due contemporaneamente possono avere
una durata che va da un minimo di 2 a massimo 40 minuti. La durata varia
molto dalle capacità di ascolto di chi riceve la lettura e dall’abitudine che
questo ha a praticarla.
Normalmente più si legge più si aumenta la durata dell’attenzione e l’abitudine
all’ascolto.
L’attività ha una resa migliore se intervallata da momenti di svago in cui si
rielabora cosa si è ascoltato con un gioco o con un’attività manuale come, ad
esempio, un disegno. La raccolta, ovvero quella che chiamiamo “verifica” della
comprensione del testo è importante ma non è assolutamente produttiva se
proposta sotto forma di scheda di verifica, diventa un obbligo che allontana
dalla voglia ed entusiasmo di leggere!
Parte seconda
Leggere è sicuramente molto importante, ma anche esperienze di laboratori di
lettura svolti nell’ambito scolastico, con letture ad alta voce eseguite da adulti
esterni alla scuola, può essere formativo per quanto concerne lo sviluppo e
l’amore alla lettura. C’è da dire che, affinché un bambino possa apprezzare i
libri, cioè il racconto fatto di parole scritte, è indispensabile che prima abbia
raggiunto il livello del gusto della parola parlata, del racconto orale. È molto
importante che i bambini imparino prima ad ascoltare ed apprezzare la lettura
ad alta voce fatta da un adulto e poi a leggere libri per conto loro. Anche il
sentire leggere poesia, a scuola, in modo semplice e soprattutto gratuito,
quindi senza dover preoccuparsi di versioni in prosa o di studiare a memoria, è
un modo simpatico per cominciare a masticare poesia come forma letteraria,
cercando di individuare e capire la differenza tra brano in prosa e testo poetico.
Alcune indicazioni utili per una lettura ad alta voce.
La lettura ad alta voce è il risultato di due semplici operazioni: leggere e
parlare. Bisogna però rispettare alcuni principi fondamentali: consideriamo,
innanzitutto, che non è possibile rivolgersi ad un uditorio leggendo come si
legge privatamente un giornale o un romanzo; e neppure, nelle stesse
circostanze, si può respirare come in una conversazione tra amici. Chi ascolta,
infatti, deve essere posto nella condizione di capire bene il significato del testo,
senza annoiarsi o distrarsi. Ecco perché è molto importante conoscere alcuni
trucchi indispensabili per attribuire valore ed efficacia a tutti i momenti della
lettura ad alta voce.
La pre-lettura
Naturalmente chi legge per prima cosa deve aver assimilato l’esatto significato
del testo, per essere in grado di proporlo con chiarezza. È quindi necessaria
una pre-lettura approfondita e critica: infatti, non si può leggere una pagina de
“I Promessi Sposi” così come si leggerebbero una poesia di Pascoli o un
monologo di Goldoni. È perciò importante anche distinguere il genere letterario
che si deve affrontare. Un ulteriore aiuto si può ottenere sottolineando, dopo
averli individuati, le parole e i momenti più ostici; perciò, soltanto una attenta
pre-lettura ad alta voce può permetterci di sperimentare le reali difficoltà del
brano. Non dimentichiamoci che esistono molte parole facili da leggere, ma
difficili da pronunciare. Infiniti e scabrosi sono gli incontri tra vocali e
consonanti; la trappola della papera (come scherzosamente gli attori
definiscono un errore, un intoppo all’eloquio) è sempre in agguato.
Il ritmo
Una volta individuate le pause, si tratta di regolare, con una giusta velocità, la
successione delle sillabe e delle parole: una frase pronunciata con un ritmo
troppo veloce non darà il tempo a chi ascolta di organizzare nella propria
mente la successione dei suoni e quindi di comprenderne il significato. Ecco
perché una lettura in pubblico deve seguire dei ritmi molto più lenti di quelli di
una normale conversazione; inoltre il ritmo dipenderà molto dalle esigenze del
messaggio che si vuole trasmettere. Infine non va dimenticato che, più
l’ambiente di lettura è grande, più la lettura deve essere lenta per dar modo
alla voce di raggiungere tutto il pubblico.
Il tono
Normalmente si fa un uso istintivo di un certo numero di toni che si estendono
per circa un’ottava e mezza, modulando la propria voce dai toni più bassi a
quelli più alti. Per una buona lettura in pubblico, i toni da usare dovranno
essere stabiliti, durante la pre-lettura, in base all’argomento trattato, al senso
delle frasi e, naturalmente, alla propria capacità interpretativa, con cui si dovrà
cercare di catturare l’attenzione degli ascoltatori. È evidente, ad esempio, che
se l’esigenza è quella di arringare una folla, il tono dovrà essere decisamente
alto, mentre nel caso della lettura di un racconto, moduleremo la nostra voce
su una gamma di toni che possono variare dal basso, al medio, al medio alto.
Naturalmente è indispensabile evitare la cantilena (e cioè il susseguirsi
monotono degli stessi toni in uno schema fisso) e lo sbalzo di toni troppo
brusco, altrettanto difficile da accettare da parte di chi ascolta.
Le pause
Chi non conosce il testo, può comprenderne l’esatto senso solo se chi legge
rispetta sia le pause sintattiche (punteggiatura), sia quelle interpretative. Le
pause, infatti, consentono al lettore di attribuire l’esatta efficacia ad ogni
proposizione, e all’ascoltatore di riflettere e comprendere il significato del testo.
Durante la lettura di preparazione o pre-lettura, si possono segnare le pause
indicandole semplicemente con delle barrette.
Una barretta / = pausa breve.
Due barrette // = pausa lunga.
I momenti di interruzione del suono potranno essere utilizzati anche per la
respirazione. Va detto inoltre che è consigliabile una breve pausa in
corrispondenza di:
una quantità (es. “scaricarono/trentasei vagoni”)
un verbo importante (es. “ed egli/dichiarò”)
un incontro di vocali (es. “una/aiuola”)
un avverbio di tempo (es. “adesso/è importante”)
Il colore
Compito del lettore è di trasmettere a chi ascolta, attraverso l’uso della voce,
l’immagine ideale di ciò che il testo vuole esprimere. Le emozioni che il lettore
deve trasmettere arriveranno soltanto se questi ha saputo comprendere fino in
fondo il vero messaggio del testo e se, calandosi nella parte dell’autore, sa
comunicarne con partecipazione il contenuto. Si dovrà quindi evitare di essere
piatti e di leggere come se il contenuto non ci interessasse, ma anche di non
esagerare per il timore di essere noiosi. Non si può fare a meno di dar colore
alla lettura, ma bisogna farlo nel modo più naturale, senza retorica, con
equilibrio e misura. Sarebbe bene, nella lettura di preparazione, evidenziare in
margine i momenti più significativi del brano, cercando poi, con l’aiuto di tutti
gli elementi espressivi (la pausa, il ritmo, il tono ed il colore) di rendere
efficace e suggestiva la nostra esposizione.
Alcune regole di dizione e pronuncia.
Appunti
Nella lingua italiana le Vocali vanno distinte fra:
Vocali alfabetiche, in numero di CINQUE:
a, e, i, o, u
Vocali fonetiche, in numero di SETTE:
a, è (aperta), é (chiusa), i, ò (aperta), ó (chiusa), u
Come si può notare nella categoria delle Vocali fonetiche sono annoverati
due tipi di e e due tipi di o, è infatti su queste due vocali che incide la
distinzione fonetica di pronuncia.
Altra distinzione necessaria per pronunciare correttamente le parole
italiane è quella tra accento tonico e accento fonico.
Accento tonico è la forza che viene data ad una sillaba in particolare tra
quelle che compongono la parola (Es.: tàvolo, perché, tastièra)
Accento fonico indica la distinzioni tra suoni aperti e chiusi per le vocali e ed
o.
Per indicare quali vocali vanno pronunciate aperte e quali chiuse si usano
due tipi di accento fonico:
Accento grave:
ò è per indicare le vocali da pronunciare aperte (Es.: pòdio, sèdia)
Accento acuto:
ó é per indicare le vocali da pronunciare chiuse (Es.: bórsa, perché)
Regola principale
Quando su una sillaba contente una e o una o non cade l'accento
tonico, la e o la o si deve pronunciare sempre chiusa.
Esempio: tàvolo, lìbro, volànte, dìsco, bottìglia
Tutta la nostra attenzione sarà perciò ora rivolta alle parole
che contengono una sillaba con e o con o sulla quale cade l'accento
tonico. In questo caso dovremo chiederci se la vocale e o o si deve
pronunciare aperta o chiusa.
APPUNTI DI DIZIONE
La è aperta
La "e" fonica aperta italiana (è) deriva spesso dalla "e" breve
e dal dittongo "ae" del latino classico.
Esempi:
decem --> dièci,
ferrum --> fèrro,
laetus --> lièto,
praesto --> prèsto.
La lettera "e" ha suono aperto nei seguenti casi:
1. Nel dittongo "-ie-"
Esempi: bandièra, ièri, cavalière, lièto, diètro
Eccezioni ("e" chiusa):
nei suffissi dei vocaboli di derivazione etnica (Es.: ateniése,
pugliése, marsigliése, ecc.),
nei suffissi dei diminutivi in "-ietto" (Es.: magliétta, fogliétto,
vecchiétto,ecc.)
nei suffissi dei sostantivi in "-iezzo" (Es.: ampiézza)
nei vocaboli chiérico e bigliétto.
2. Quand'è seguita da vocale
Esempi: colèi, costèi, fèudo, idèa, lèi
Eccezioni ("e" chiusa):
nella desinenza "-ei" del passato remoto (Es.: credéi, ecc.),
nelle preposizioni articolate (Es.: péi, néi, ecc.),
nell'aggettivo dimostrativo quéi.
3. Quand'è seguita da una consonante dopo la quale vengono
due vocali
Esempi: assèdio, gènio, egrègio, prèmio
Eccezioni ("e" chiusa):
quando è seguita dalle sillabe "-gui-", "-gua-", "-guo-" (Es.:
diléguo, perséguo, séguito, trégua, ecc.),
nei vocaboli frégio, sfrégio.
4. Nei vocaboli di origine straniera che terminano con una
consonante
Esempi: hotèl, rècord, rèbus, sèxy, prèmier, sèltz, nègus
5. Nei vocaboli tronchi di origine straniera
Esempi: caffè, bignè, tè (bevanda), gilè
6. Nelle desinenze del condizionale in "-ei", "-ebbe", "-ebbero"
Esempi: vorrèi, farèi, farèbbe, crederèbbero, dirèbbe,
marcerèbbe, marcirèbbero, circolerèbbero, fraintenderèbbero,
comprerèbbe, accetterèbbero, colpirèbbe, tradurrèbbero
7. Nelle terminazioni in "-eda", "-ede", "-edo", "-edi"
Esempi: cèdo, corrèdo, erède, prèda, schèda, arrèdo, sède, sèdi
Eccezioni ("e" chiusa):
nelle forme verbali di crédere e vedére (Es.: crédo, védo, crédi,
védi, ecc.)
nelle forme verbali derivate dalla precedenti (Es.: provvédo,
ricrédo, miscrédo, ravvédo, intravédo, rivédo, ecc.)
nel vocabolo féde.
8. Nelle terminazioni in "-eca", "-eco", "-eche", "-echi"
Esempi: tèca, èco, gèco, cortèco, trichèchi, discotèche, enotèca,
bibliotèca, paninotèca, videotèca, comprendendo anche i nomi di
popolo come Grèco, Guatemaltèco, Aztèco, Zapotèco, Toltèco,
Uzbèco
9. Nei suffissi in "-edine"
Esempi: salsèdine, pinguèdine, raucèdine, torpèdine,
intercapèdine, acrèdine
10.Nelle terminazioni in "-ello", "-ella"
Esempi: pagèlla, mastèllo, èllo, sorèlla, fratèllo, fardèllo, spinèllo,
porcèllo, padèlla, caramèlla, lavèllo, manovèlla spesso usate
anche come suffissi di diminutivi e/o vezzeggiativi come asinèllo,
torèllo, praticèllo, bricconcèlla, cattivèlla, orticèllo
11.
Eccezioni ("e" chiusa):
nelle preposizioni articolate (Es.: dél, déllo, délla, déi, dégli, délle,
nél, nélla, ecc.),
negli aggettivi dimostrativi (Es.: quél, quéllo, quélla, quéi, quélle,
ecc.)
nei vocaboli stélla e capéllo
12.Nei suffissi di sostantivi in "-emo", "-ema", "-eno", "-ena"
Esempi: teorèma, anatèma, problèma, apotèma, crisantèmo,
Polifèmo, eritèma, Trasimèno, falèna, altalèna, cantilèna, trèno
13.Nelle terminazioni in "-enda", "-endo" e in tutte le desinenze
del gerundio
Esempi: agènda, bènda, tremèndo, orrènda, corrèndo, temèndo,
cuocèndo, aprèndo, leggèndo, facèndo, morèndo, starnutèndo,
ferèndo, mettèndo
14.
Eccezioni ("e" chiusa):
nei verbi scéndo e véndo.
15.Nelle desinenze dell'infinito in "-endere"
Esempi: appèndere, sorprèndere, attèndere, intèndere
16.
Eccezioni ("e" chiusa):
nei verbi scéndere e véndere.
17.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi derivati dai numerali in
"-enne"
Esempi: decènne, ventènne, tredicènne, sessantènne,
quarantaquattrènne
18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi derivati dai numerali in
"-ennio"
Esempi: biènnio, triènnio, millènio, cinquantènnio
19.Nei suffissi di nomi etnici in "-eno"
Esempi: madrilèno, cilèno, nazarèno
20.Nelle terminazioni in "-ensa", "-ense", "-enso"
Esempi: sènso, intènso, forènse, dispènsa, mènsa, melènso,
parmènse, pènso, ripènso
21.Nelle terminazioni in "-enta", "-ente", "-ento", "-enti"
comprese tutte le desinenze del participio presente in "-ente"
Esempi: lènte, gènte, accidènte, sovènte, corrènte, silènte,
consulènte, sedicènte, seducènte, mittènte, ponènte, avènte,
dormiènte, perdènte, spingènte, cedènte, contraènte, aderènte,
facènte, bevènte, tagliènte
22.
Eccezioni ("e" chiusa):
tutti gli avverbi in "-mente" (Es.: abilménte, benevolménte,
incessanteménte, correttaménte, generalménte, scioccaménte,
duraménte, simpaticaménte, facilménte, inopinataménte,
assurdaménte, esattaménte)
nei vocaboli vénti (numero), trénta
nei vocaboli in "-mento", "-mente", "-menta", "-menti" (Es.:
laménto, paviménto, moménti, torménto, ménta, seménte)
23.Nelle terminazioni in "-enza"
Esempi: aderènza, sènza, partènza, urgènza, lènza, licènza,
ricorrènza, invadènza, maldicènza
24.Nelle terminazioni in "-erbo", "-erba"
Esempi: risèrbo, acèrbo, sèrbo, supèrbo, èrba, sèrba
25.Nelle terminazioni in "-erbia"
Esempi: supèrbia
26.Nelle terminazioni in "-erio", "-eria"
Esempi: misèria, sèrio, putifèrio
27.Nelle terminazioni in "-erno", "-erna"
Esempi: etèrno, quadèrno, lucèrna, invèrno, matèrno, tavèrna,
govèrno, lantèrna
28.
Eccezioni ("e" chiusa):
nel vocabolo schérno.
29.Nelle terminazioni in "-erro", "-erra"
Esempi: tèrra, fèrro, guèrra, affèrro, sottèrro, sèrra, vèrro,
sottèrra
30.Nelle terminazioni in "-erso", "-ersa"
Esempi: pèrso, emèrso, vèrso, tèrso, sommèrso, dispèrsa,
detèrsa, rivèrsa
31.Nelle terminazioni in "-erto", "-erta", "-erte"
Esempi: apèrto, copèrta, incèrto, soffèrto, consèrte, cèrto
32.
Eccezioni ("e" chiusa):
nei vocaboli érta (salita), érto (scosceso)
nell'espressione "all'érta".
33.Nelle terminazioni in "-ervo", "-erva"
Esempi: sèrvo, cèrvo, risèrva, nèrvo
34.Nelle terminazioni in "-ervia"
Esempi: protèrvia
35.Nei suffissi dei superlativi in "-errimo"
Esempi: integèrrimo, aspèrrimo, acèrrimo
36.Nei suffissi dei numerali ordinali in "-esimo"
Esempi: centèsimo, millèsimo, milionèsimo, ventèsimo,
trentèsimo
37.Nelle terminazioni in "-estre", "-estra", "-estro", "-estri"
Esempi: alpèstre, terrèstre, palèstra, canèstro, finèstra,
pedèstre, maldèstro, ambidèstro, dèstra
38.Nelle desinenze del passato remoto in "-etti", "-ette",
"-ettero"
Esempi: credètti, dovèttero, stèttero, cedètte
39.Nei vocaboli terminanti in "-ezio", "-ezia"
Esempi: inèzia, scrèzio, facèzia
APPUNTI DI DIZIONE
La é chiusa
La "e" fonica chiusa italiana (é) deriva spesso dalla "e" lunga
e dalla "i" breve del latino classico.
Esempi:
cera --> céra
semen --> séme
vitrum --> vétro
capillus --> capéllo
La lettera "e" ha suono chiuso nei seguenti casi:
1. Nei monosillabi atoni
Esempi: é (congiunzione), mé, né, té, sé, ré (monarca), vé, pér
2.
Eccezioni: ("e" aperta)
il vocabolo rè (nota musicale)
3. Nei suffissi di avverbi in "-mente"
Esempi: sinceraménte, inutilménte, praticaménte, segretaménte,
popolarménte, frugalménte, correttaménte
4. Nelle terminazioni in "-mento" e "-menta"
Esempi: sentiménto, proponiménto, moménto, ménta,
struménto, torménto, godiménto, struggiménto, falliménto
5.
Eccezioni ("e" aperta):
le voci del verbo mentire: io mènto, tu mènti, egli mènte, che tu
mènta, ecc.
6. Nei vocaboli tronchi in "-ché"
Esempi: perché, giacché, anziché, poiché, fuorché, sicché,
macché
7. Nelle terminazioni in "-eccio", "-eccia"
Esempi: fréccia, féccia, tréccia, libéccio, villeréccio, intréccio,
cicaléccio
8. Nei sostantivi con terminazione in "-efice"
Esempi: oréfice, carnéfice, artéfice, pontéfice
9. Nei suffissi di sostantivi e verbi in "-eggio", "-eggia", "-egge",
"-eggi"
Esempi: campéggio, manéggio, postéggio, pontéggio, alpéggio,
cartéggio, légge (sostantivo), puléggia
10.
Eccezioni ("e" aperta):
I vocaboli: èggia, sèggio, pèggio
le forme del verbo lèggere: tu lèggi, egli lègge
11.Nei suffissi di aggettivi in "-esco"
Esempi: pazzésco, burlésco, guerrésco, goliardésco, principésco,
farsésco, manésco
12.Nelle terminazioni in "-ese", "-esa", "-eso", "-esi"
Esempi: arnése, frésa, sospéso, paése, francése, imprésa, péso,
illéso
13.
Eccezioni ("e" aperta):
nei vocaboli nei quali la "e" fonica forma dittongo con la "i" (Es.:
chièsa)
nei vocaboli blèso, obèso, tèsi(sostantivo), catechèsi, esegèsi
14.Nei suffissi di sostantivi in "-esimo"
Esempi: battésimo, umanésimo, cristianésimo, paganésimo
15.
Eccezioni ("e" aperta):
nel vocabolo infinitèsimo
i numerali ordinali (Es.: centèsimo, millèsimo, ecc...)
16.Nei suffissi di sostantivi femminili in "-essa"
Esempi: dottoréssa, principéssa, contéssa, elefantéssa, badéssa
17.Nei suffissi di sostantivi collettivi in "-eto", "-eta"
Esempi: fruttéto, meléto, pinéta, agruméto, roséto
18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi diminutivi e collettivi in
"-etto", "-etta"
Esempi: librétto, casétta, chiesétta, pezzétto, navétta, terzétto,
quintétto, palchétto, porchétta, forchétta, carrétta, collétto
19.Nelle terminazioni in "-eguo", "-egua"
Esempi: séguo, adéguo, trégua, diléguo, ecc.
20.Nei suffissi di aggettivi che al singolare terminano in "-evole"
Esempi: lodévole, incantévole, ammirévole, caritatévole,
deplorévole, cedévole, arrendévole
21.Nei suffissi di sostantivi in "-ezza"
Esempi: bellézza, debolézza, chiarézza, salvézza, dolcézza,
mitézza, arrendevolézza, segretézza
22.
Eccezioni ("e" aperta):
nel vocabolo mèzza
23.Nelle preposizioni articolate
Esempi: dél, délla, déllo, dégli, délle, déi, nél, néllo, nélla, négli,
nélle, néi, péi
24.Nei pronomi personali
Esempi: égli, élla, ésso, éssa, éssi, ésse
25.Negli aggettivi dimostrativi
Esempi: quésto, quésta, quéste, quésti, quéllo, quélla, quégli,
quélli, quélle, codésto, codésta, codésti, codéste
26.Nelle desinenze del Passato Remoto in "-ei", "-esti", "-e",
"-emmo", "-este", "-ettero"
Esempi: credéi, credéste, credéttero, poté, potémmo, dicémmo,
volésti
27.Nelle desinenze del Futuro in "-remo, "-rete"
Esempi: vedrémo, diréte, cadréte, volerémo, fileréte,
caricherémo, toccheréte, calcolerémo
28.Nelle desinenze dell'Infinito della seconda coniugazione
Esempi: cadére, avére, volére, bére, sedére, potére, godére
29.Nelle desinenze del Congiuntivo Imperfetto in "-essi",
"-esse", "-essimo", "-este", "-essero"
Esempi: dovéssi, volésse, prendéssimo, cadéste, godéssero
30.Nelle desinenze del Condizionale Presente in "-resti",
"-remmo", "-reste"
Esempi: farémmo, vedréste, cadrésti, potrésti, vorrémmo
31.Nelle desinenze del Indicativo Presente e dell'Imperativo in
"-ete"
Esempi: prendéte, cadéte, rompéte, voléte, potéte, dovéte
32.Nelle desinenze dell'Indicativo Imperfetto in "-evo", "-eva",
"-evano"
Esempi: dicévo, facévano, mettévo, volévano, potévo, dovévano
APPUNTI DI DIZIONE
La ò aperta
La "o" fonica aperta italiana (ò) deriva spesso dalla "o" breve
e dal dittongo "au" del latino classico.
Esempi:
focus --> fuòco
locus--> luògo
aurum --> òro
paucus --> pòco
La lettera "o" ha suono aperto nei seguenti casi:
1. Nel dittongo "-uo"
Esempi: tuòno, scuòla, uòmo, suòi, tuòi, buòi, vuòi, suòcera,
nuòra, suòra, cuòre
2.
Eccezioni ("o" chiusa):
quando il dittongo fa parte dei suffissi di sostantivi in "-uosa",
"-uoso" (Es.: affettuóso, sinuóso, flessuósa, lussuósa, fruttuóso,
acquósa, ecc.)
nei vocaboli liquóre, languóre.
3. Nei vocaboli tronchi terminanti in "-o" comprese le forme
verbali del futuro e del passato remoto
Esempi: però, falò, andrò, arrivò, cercò, sognò, pedalò, ritirò,
acquistò
4. Nei vocaboli in cui la "o" sia seguita da una consonante dopo
la quale vengono due vocali
Esempi: negòzio, sòcio, petròlio
5.
Eccezioni ("o" chiusa):
nel vocabolo incrócio.
6. Nelle terminazioni in "-orio", "-oria"
Esempi: stòria, glòria, dormitòrio, conservatòrio
7. Nei vocaboli di origine straniera entrati a far parte del
linguaggio comune
Esempi: bòxe, gòng, yògurt, lòden, lòrd, pòster
8. Nelle terminazioni in "-occio", "-occia"
Esempi: cartòccio, saccòccia, bòccia, grassòccio, ròccia, figliòccio
9.
Eccezioni ("o" chiusa):
nei vocaboli dóccia e góccia.
10.Nelle terminazioni in "-odo", "-oda", "-ode"
Esempi: bròdo, chiòdo, sòda, mòda, pagòda, chiòdo, lòdo, òdo,
fròdo, fròde
11.
Eccezioni ("o" chiusa):
nel verbo ródere e nei suoi composti (Es.: ródo, eródo, corródo,
ecc.)
nel vocabolo códa.
12.Nelle terminazioni in "-oge", "-ogia", "-ogio", "-oggia",
"-oggio", "-oggi"
Esempi: dòge, fòggia, òggi, piòggia, barbògio, allòggio, fròge,
appòggia, appòggio
13.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oide"
Esempi: tiròide, mattòide, collòide, steròide, pazzòide
14.Nei suffissi di sostantivi in "-olo", "-ola"
Esempi: carriòla, tritòlo, stagnòla, tagliòla, bagnaròla, mariuòlo,
mentòlo
15.
Eccezioni ("o" chiusa):
i vocaboli sólo, vólo
le voci del verbo colare e i suoi derivati (Es.: cólo, scólo, ecc.)
16.Nelle terminazioni in "-osi", "-osio" in sostantivi usati in
campo scientifico e medico
Esempi: calcolòsi, fibròsi, tubercolòsi, artròsi, ipnòsi, lattòsio,
destròsio, maltòsio, saccaròsio, glucòsio
17.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-otto" e in generale
nelle terminazioni in "-otto", "-otta"
Esempi: sempliciòtto, bambolòtto, lòtto, bòtta, còtto, còtta,
salòtto, dòtto, decòtto
18.
Eccezioni ("o" chiusa):
nei verbi derivati dal latino "ducere" (Es.: indótto, condótto,
ridótto, tradótto, ecc.)
nei vocaboli ghiótto, rótto, sótto
19.Nei suffissi di sostantivi in "-ottola", "-ottolo"
Esempi: viòttolo, collòttola, naneròttolo, pallòttola
20.Nei suffissi di sostantivi in "-ozzo", "-ozza"
Esempi: tinòzza, tavolòzza, còzzo, tòzzo, còzza, piccòzza
21.
Eccezioni ("o" chiusa):
i vocaboli gózzo, pózzo, singhiózzo, rózzo, sózzo
22.Nelle terminazioni in "-olgia", "-orgia"
Esempi: bòlgia, fòrgia, òrgia
23.Nelle desinenze "-olsi", "-olse", "-olsero" del Passato Remoto
Esempi: còlsi, tòlsero, sconvòlsero, vòlsero, vòlsi, avvòlsero,
raccòlsi
24.Nel Participio Passato in "-osso"
Esempi: mòsso, scòssa, percòsso
25.Nei suffissi di derivazione greca: "-ologo", "-ogico", "-ografo",
"-omico"
Esempi: pròlogo, psicològico, fotògrafo, còmico
APPUNTI DI DIZIONE
La ó chiusa
La "o" fonica chiusa italiana (ó) deriva spesso dalla "o" lunga
e dalla "u" breve del latino classico.
Esempi:
nomen --> nóme
cognosco --> conósco
fuga --> fóga
supra --> sópra
La lettera "o" ha suono chiuso nei seguenti casi:
1. Nei monosillabi che terminano con consonante
Esempi: cón, nón, cól
2.
Eccezioni ("o" aperta):
nei vocaboli sòl (nota musicale) e dòn.
3. Nelle terminazioni in "-oce"
Esempi: cróce, feróce, atróce, fóce, nóce
4.
Eccezioni ("o" aperta):
nei casi in cui la "o" sia preceduta dalla vocale "u" formando il
dittongo "-uo-" (Es.: nuòce, cuòce, ecc.)
nel vocabolo precòce
5. Nelle terminazioni in "-ogno", "-ogna"
Esempi: bisógno, carógna, sógno, cicógna, zampógna, rampógna
6. Nei suffissi di aggettivi in "-ognolo"
Esempi: amarógnolo, giallógnolo
7. Nelle terminazioni in "-one"
Esempi: missióne, ottóne, nasóne, calzóne, coccolóne, briccóne,
mascalzóne, pantalóne, giaccóne, veglióne, torrióne, bastióne
8. Nelle terminazioni in "-zione"
Esempi: azióne, creazióne, dizióne, lezióne, situazióne
9. Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oio", "-oia"
Esempi: abbeveratóio, galoppatóio, mangiatóia, mattatóio,
corridóio, feritóia, cesóia, tettóia
10.
Eccezioni ("o" aperta):
nei vocaboli sòia, salamóia,
11.Nelle terminazioni in "-ondo", "-onda"
Esempi: fóndo, móndo, secóndo, sónda, ónda
12.Nelle terminazioni in "-onto", "-onte", "-onta"
Esempi: frónte, cónto, ónta, mónte, scónto, accónto, viscónte
13.Nei suffissi di sostantivi in "-onzolo"
Esempi: medicónzolo, pretónzolo, girónzolo, frónzolo
14.Nelle terminazioni in "-ore", "-ora"
Esempi: dolóre, amóre, óra, ancóra, finóra, attóre, candóre,
tenóre, fattóre, corridóre, calóre, livóre, fervóre, colóre,
nuotatóre, pescatóre
15.
Eccezioni ("o" aperta):
nei casi in cui la "o" sia preceduta dalla vocale "u" formando il
dittongo "-uo-" (Es.: nuòra, cuòre, ecc.).
16.Nelle terminazioni in "-orno", "-orna"
Esempi: giórno, contórno, fórno, adórna, ritórna, ritórno
17.
Eccezioni ("o" aperta):
nel vocabolo còrno, còrna, pòrno
18.Nei suffissi di sostantivi e aggettivi in "-oso", "-osa"
Esempi: affettuóso, afóso, erbósa, gioióso, dolorósa, ambizióso,
contenzióso, collósa, medicamentósa, curióso, pallósa, sediziósa,
caloróso, stizzóso, baldanzósa, borióso
19.
Eccezioni ("o" aperta):
nei vocaboli ròsa (fiore e colore), còsa, iòsa, spòsa
20.Nei pronomi personali
Esempi: nói, vói, lóro, costóro, colóro
Le consonanti sibilanti dentali
Una distinzione simile a quella fatta per le vocali è anche
individuabile per le Consonanti Sibilanti Dentali che sono la "S" e la
"Z".
Pertanto avremo:
Consonanti sibilanti dentali alfabetiche sono in numero di DUE:
"S", "Z"
Consonanti sibilanti dentali fonetiche sono in numero di
QUATTRO:
"S" aspra, "Z" aspra (dette anche sorde)
"S" dolce, "Z" dolce (dette anche sonore)
La pronuncia fonetica di queste consonanti sarà:
"S" sorda o aspra, come nelle parole sole, rosso, cascare
"S" sonora o dolce, come nelle parole rosa, asilo, vaso
"Z" sorda o aspra, come nelle parole zucchero, bellezza, stanza
"Z" sonora o dolce, come nelle parole zanzara, azalea, dozzina
La S aspra o sorda
La "S" aspra o sorda italiana è quella usata per pronunciare il
vocabolo sale e si presenta nei seguenti casi:
1. Quando si trova in principio di vocabolo ed è seguita da vocale
Esempi: sole, sale, sapere, sedano, sorpresa, sabato, sicuro,
solluchero, sedurre, sospetto, situazione, secessione, superiore,
sultano
2. Quando è iniziale del secondo componente di un vocabolo
composto
Esempi: affittasi, disotto, girasole, prosegue, risapere, unisono,
preservare, riservare, reggiseno, pluristrato, multistrato
3. Quando è doppia
Esempi: essere, asso, tosse, dissidio, tessera, rissa, fossa,
riscossa, affossare, arrossare, assistente, intossicante
4. Quando è preceduta da consonante
Esempi: arso, polso, comprensione, corso, ascensore, censore,
pulsore, arsura, tonsura, censo, incenso
5.
Eccezioni ("s" dolce o sonora):
nei vocaboli con prefisso "trans-" (Es.: transalpino, transatlantico,
transigere, transitare, translucido, transoceanico).
6. Quando è seguita dalle consonanti cosiddette sorde "c", "f",
"p", "q", "t"
Esempi: scala, sfera, spola, squadra, storta, ascolto, aspetto
Nota Bene: alcuni dizionari fonetici stabiliscono che il suono della
"s" debba essere aspro anche in molti altri casi come casa, cosa,
così, mese, naso, peso, cinese, piemontese, goloso, bisognoso e
altri. In realtà questo tipo di pronuncia è caduta quasi del tutto in
disuso, fatta eccezione per qualche parlata dell'Italia centrale e
meridionale.
La S dolce o sonora
La "s" dolce o sonora italiana è quella usata per pronunciare il
vocabolo asma e si presenta nei seguenti casi:
1. Quando si trova tra due vocali
Esempi: viso, rosa, chiesa, bisogno, uso, coeso, difeso, contuso,
colluso, reso, steso, bleso, blusa
2.
Eccezioni ("s" aspra o sorda):
In alcuni vocaboli come preside, presidente, trasecolare, disegno.
Questi vocaboli, in realtà, sono vocaboli composti anche se questa
caratteristica non è immediatamente evidente.
3. Quando è seguita dalle consonanti cosiddette sonore "b", "d",
"g", "l", "m", "n", "r", "v"
Esempi: sbarco, sdegno, sdoppiare, sgarbo, sgridare, slitta,
slegare, smania, sminuzzare, sniffare, snaturare, sradicare,
svelto, sventare
APPUNTI DI DIZIONE
La Z aspra o sorda
La "z" aspra o sorda italiana è quella usata per pronunciare il
vocabolo calza e deriva spesso dalla "-ti-" seguita da vocale del
latino classico.
Esempi:
pretium --> prezzo
tertium --> terzo
facetia --> facezia
La lettera "z" ha suono aspro o sordo nei seguenti casi:
1. Quando è preceduta dalla lettera "L"
Esempi: alzare, sfilza, calza, milza, innalzare, scalzare, colza,
balzano, filza, calzolaio
2.
Eccezioni ("z" dolce o sonora):
nei vocaboli elzeviro e belzebù.
3. Quando è lettera iniziale di un vocabolo e la seconda
sillaba inizia con una delle consonanti cosiddette mute
"c", "f", "p", "q", "t"
Esempi: zampa, zoccolo, zoppo, zappa, zattera, zufolo, zinco,
zucchero, zitto, zolfo, zecca
4.
Eccezioni ("z" dolce o sonora):
nei vocaboli zaffiro, zefiro, zotico, zeta, zafferano, Zacinto.
5. Quando è seguita dalla vocale "i" seguita a sua volta da
un'altra vocale
Esempi: zio, agenzia, polizia, grazia, ospizio, silenzio, vizio
6.
Eccezioni ("z" dolce o sonora):
nel vocabolo azienda
in tutti quei vocaboli derivati da altri vocaboli che seguono la
regola della zeta dolce o sonora (Es.: romanziere che deriva da
romanzo, ecc.).
7. Nei vocaboli con terminazioni in "-ezza", "-ozza",
"-uzzo"
Esempi: grandezza, tinozza, spruzzo, carrozza, puzzo, pozzo,
olezzo, piccozza, piccolezza
8.
Eccezioni ("z" dolce o sonora):
nel vocabolo brezza.
9. Nelle desinenze dell'Infinito in "-azzare"
Esempi: ammazzare, strapazzare, sghignazzare, cozzare,
insozzare, sminuzzare
10.Nei suffissi in "-anza", "-enza"
Esempi: speranza, usanza, credenza, assenza, prudenza,
portanza, vicinanza, incompetenza, impazienza, tolleranza,
tracotanza, presenza
11.Nei suffissi in "-onzolo"
Esempi: ballonzolo, pretonzolo, mediconzolo
La Z dolce o sonora
La "z" dolce o sonora italiana è quella usata per pronunciare il
vocabolo zero e deriva spesso dalla "-di-" seguita da vocale del
latino classico.
Esempi:
prandium --> pranzo,
radius --> razzo.
La lettera "z" ha suono dolce o sonoro nei seguenti casi:
1. Nei suffissi dei verbi in "-izzare"
Esempi: organizzare, penalizzare, coalizzare, concretizzare,
carbonizzare, sinterizzare, sintetizzare
2. Quando è lettera iniziale di un vocabolo ed è seguita da due
vocali
Esempi: zaino, zuavo, zoologo
3.
Eccezioni ("z" aspra o sorda):
nel vocabolo zio e suoi derivati che rientrano nella regola della
zeta aspra o sorda perché presentano la vocale "i" seguita da
un'altra vocale.
4. Quando è lettera iniziale di un vocabolo e la seconda sillaba
inizia con una delle consonanti cosiddette sonore "b", "d", "g",
"l", "m", "n", "r", "v"
Esempi: zebra, zodiaco, zigote, zelante, zummare, zenzero, zero,
zavorra
5.
Eccezioni ("z" aspra o sorda):
nei vocaboli zanna e zazzera
nel vocabolo zigano perché in realtà deriva dal termine caucasico
"tzigan".
6. Quando è semplice in mezzo a due vocali semplici
Esempi: azalea, azoto, ozono, Ezechiele, Azeglio, nazareno
7.
Eccezioni ("z" aspra o sorda):
nel vocabolo nazismo.
APPUNTI DI DIZIONE
Il rafforzamento
La regola del rafforzamento sintattico, in genere ignorata (al
nord) o malamente utilizzata (al sud), impone di pronunciare
alcune consonanti semplici, poste ad inizio di parola, come se
fossero doppie.
Questo raddoppiamento pronunciato, e non scritto, deve
essere effettuato nei seguenti casi:
1. Dopo tutte le parole polisillabe tronche
Esempi:
perché no --> perché-nnò
città santa --> città-ssanta
sarò tua --> sarò-ttua
2. Dopo i monosillabi accentati o tonici né, già, quà, là, fa, più,
sì, ma, sa, fra, se, a, e, o,ecc..
Esempi:
già detto --> già-ddetto
là sotto -->là-ssotto
fra noi --> fra-nnoi
se dici --> se-ddici
e poi --> e-ppoi
a noi --> a-nnoi
3. Dopo la forma è del verbo essere
Esempi:
è vero --> è-vvero
è falso --> è-ffalso
APPUNTI DI DIZIONE
I numeri, i mesi, i giorni
I numeri cardinali.
ùno
dùe
tré
quàttro
cìnque
sèi
sètte
òtto
nòve
dièci
ùndici
dódici
trédici
quattórdici
quìndici
sédici
diciassètte
diciòtto
diciannòve
vénti
trénta
----cènto
----milióne
I numeri ordinali.
prìmo
secóndo
tèrzo
quàrto
quìnto
sèsto
sèttimo
ottàvo
nòno
dècimo
undicèsimo
dodicèsimo
tredicèsimo
quattordicèsimo
quindicèsimo
sedicèsimo
diciassettèsimo
diciottèsimo
diciannovèsimo
ventèsimo
I mesi dell'anno.
gennàio
màggio
settèmbre
febbràio
giùgno
ottóbre
màrzo
lùglio
novèmbre
aprìle
agósto
dicèmbre
I giorni della settimana.
lunedì martedì mercoledì giovedì venerdì sàbato doménica
APPUNTI DI DIZIONE
I nomi propri
I nomi propri non seguono le regole esposte
precedentemente. Occorre quindi conoscerne l'esatta pronuncia
imparando a memoria quelli più comuni. Eccone un elenco:
ABCDEFGILMNOPRSTUV
Abèle, Adèlchi, Adèle, Adòlfo, Adóne, Albèrto, Agnèse, Alèssio,
Alfrédo, Alighièro, Ambrògio, Amedèo, Amèlia, Amlèto, Anaclèto,
Andrèa, Angèlica, Antònio, Antonèllo, Ansèlmo, Arnòldo, Auròra
Benedétto, Bèrta, Bòris
Carlòtta, Carmèlo, Celèste, Césare, Clèlia, Clemènte, Cornèlio,
Còsimo, Cristòforo,
Danièle, Demètrio, Desidèrio, Diègo, Doménico, Dòra, Donatèlla,
Èbe, Edmóndo, Ègle, Èlena, Eleonòra, Elèttra, Èlio, Elisabètta,
Elisèo, Élsa, Emanuèle, Èmma, Ènnio, Ènzo, Ernèsto, Èster,
Èttore, Eugènio, Eusèbio, Èva,
Fedéle, Fedòra, Filibèrto, Fiorènzo, Francésco, Fulgènzio,
Gabrièle, Gabrièlla, Galilèo, Gaudènzio, Gastóne, Gèmma,
Genèsio, Genovèffa, Gilbèrto, Ginévra, Gigliòla, Giórgio, Giosuè,
Giròlamo, Gisèlla, Giusèppe, Goffrédo, Gregòrio, Gualtièro,
Guglièlmo,
Innocènzo, Irène, Isabèlla, Isòtta, Ippòlito,
Leopòldo, Lambèrto, Lorènzo,
Maddalena, Marcèllo, Mattèo, Michèle, Milèna, Mirèlla, Mònica,
Nicòla, Nòra, Nòrma,
Ofèlia, Olivièro, Òlga, Omèro, Orèste, Ornèlla, Órsola, Òscar,
Otèllo,
Perpètua, Piètro, Pompèo,
Rachèle, Raffaèle, Raimóndo, Rebècca, Rèmo, Robèrto, Romèo,
Ròcco, Ròmolo, Ròsa, Ruggèro,
Salvatóre, Secóndo, Sèrgio, Sèsto, Sèttimo, Sevèro, Silvèstro,
Simóne, Simonétta, Stéfano, Sònia,
Taddèo, Telèmaco, Teodòro, Terènzio, Terèsa, Tesèo,
Umbèrto,
Valèrio, Verònica, Vincènzo, Vittòrio
APPUNTI DI DIZIONE
Gli omonimi
Nella lingua italiana si presentano casi di omonimie che si
differenziano nel loro significato proprio in ragione del diverso tipo
di accento fonico che le caratterizza, sebbene, per altro, tale
accento non sia mai segnalato dalla grafica.
Nelle due tabelle seguenti sono elencati quei casi nei quali
occorre prestare particolare attenzione al fine di evitare ambiguità
e malintesi.
Vocale è aperta
Accètta (verbo e aggettivo)
Affètto (sentimento, colpito da
malanno)
Arèna (circo, anfiteatro)
Collèga (compagno)
Corrèsse (verbo correggere)
Crèdo (preghiera e sostantivo)
Crèta (isola del mediterraneo)
Èsca (verbo uscire)
Èsse (lettera dell'alfabeto)
Lègge (verbo leggere)
Mènto (verbo mentire)
Mèsse (raccolto)
Nèi (macchie della pelle)
Pèsca (frutto)
Pèste (malattia)
Rè (nota musicale)
Tè (bevanda)
Vocale é chiusa
Accétta (scure)
Affétto (verbo affettare)
Aréna (sabbia)
Colléga (verbo collegare)
Corrésse (verbo correre)
Crédo (verbo credere)
Créta (argilla)
Ésca (cibo, richiamo per
pesci)
Ésse (pronome)
Légge (norma)
Ménto (parte del viso)
Mésse (funzioni religiose)
Néi (preposizione articolata)
Pésca (verbo pescare)
Péste (tracce, orme)
Ré (monarca, regnante)
Té (pronome)
Tèlo (dardo, freccia)
Tèma (argomento,
componimento)
Vènti (plurale di vento)
Télo (tessuto)
Térna (verbo temere e
sostantivo)
Vénti (numero)
Vocale ò aperta
Accòrsi (verbo accorgere)
Bòtte (percosse)
Còlto (verbo cogliere)
Còppa (tazza)
Vocale ó chiusa
Accórsi (verbo accorrere)
Bótte (recipiente per vini)
Cólto (istruito, coltivato)
Cóppa (parte del collo)
Córso (sostantivo e verbo
Còrso (abitante della Corsica)
correre)
Fòro (tribunale, piazza)
Fóro (buco passante)
Fòsse (buche)
Fósse (verbo essere)
Indòtto (non dotto, ignorante) Indótto (verbo indurre)
Pòrsi (verbo porgere)
Pórsi (verbo porre)
Pòsta (ufficio postale, somma
Pósta (verbo porre)
in gioco)
Ròcca (fortezza)
Rócca (conocchia del filatoio)
Ròsa (fiore)
Rósa (verbo rodere)
Scòpo (fine, obiettivo)
Scópo (verbo scopare)
Scòrsi (verbo scorgere)
Scórsi (verbo scorrere)
Sòrta (specie)
Sórta (verbo sorgere)
Tócco (sostantivo e verbo
Tòcco (pezzo, berretto)
toccare)
Tòrre (verbo togliere)
Tórre (edificio)
Tòrta (verbo torcere)
Tórta (dolce)
Vòlto (verbo volgere)
Vólto (viso)
Vòlgo (verbo volgere)
Vólgo (plebe, popolo)
Vóto (proponimento, desiderio,
Vòto (vuoto)
scelta)
APPUNTI DI DIZIONE
Riassunto sui tempi dei verbi
I verbi ausiliari (essere e avere).
Modo/Tempo
Verbo essere
Verbo avere
sóno, sèi, è, siète,
Indicativo/Presente
hò, avéte
sóno
avévo, avévi,
Indicativo/Imperfetto
èro, èri, èra, èrano
avéva, avévano
Indicativo/Futuro
sarò, sarémo,
avrò, avrémo,
semplice
saréte
avréte
èbbi, avésti, èbbe,
Indicativo/Passato
fósti, fóste
avémmo, avéste,
remoto
èbbero
sarèi, sarésti,
avrèi, avrésti,
Congiuntivo/Presente
sarèbbe, sarémmo, avrèbbe, avrémmo,
saréste, sarèbbero avréste, avrèbbero
fóssi, fósse,
avéssi, avésse,
Congiuntivo/Imperfetto fóssimo, fóste,
avéste, avéssero
fóssero
Participio/Presente
-------avènte
Gerundio/Presente
essèndo
avèndo
Esercizi di lettura
Sógno
di Giovanni Pascoli
Pér un attimo fui nél mio villaggio,
nélla mia casa. Nulla èra mutato.
Stanco tórnavo, cóme da un viaggio;
stanco, al mio padre, ai mòrti, èro tórnato.
Sentivo una gran giòia, una gran péna;
una dolcézza e un’angòscia muta.
“Mamma?” – “è là, che ti scalda un po’ di céna”
Pòvera mamma! E lèi non l’hò veduta.
La nuvola pigra
di Ugo Bétti
Dópo l’acquata le nuvóle, prónte,
pigliano il vólo, scavalcano il mónte.
Or cón la gónna di vélo sóttile,
la più pigra s’impiglia al campanile.
“Làsciami, cón codésta banderuòla,
mi strappi tutta! Són rimasta sóla!”
Ma il campanaro, sènza discrézióne
le rispónde cól campanóne!
Ché sobbalzo, ché sgoménto!
Pér fortuna c’èra il vènto
che cón tutta galantéria
la piglia e sé la pòrta via.
Favolétta
di Umberto Saba
Tu sèi la nuvolétta, io sóno il vènto;
ti pòrto óve a mé piace;
qua e là ti pòrto pér il firmaménto,
e nón ti dò mai pace.
Vanno a séra a dórmire diètro i mónti
le nuvolétte stanche;
tu nél tuo letticciòlo i sónni hai prónti
sótto le cóltri bianche.
Più in là
di Eugènio Montale
S’è rifatta la calma néll’aria:
tra gli scògli parlòtta la marétta.
Sulla còsta quiètata, néi bròli, qualche palma
a péna svétta.
Una carézza disfióra
la linèa dél mare e la scómpiglia
un attimo, sóffio liève che vi s’infrange e ancóra
il cammino ripiglia.
Sótto l’azzurro fitto dél cièlo,
qualche uccèllo di mare sé né va;
né sòsta mai: ché, su tutte le còse pare sia scritto:
“più in là”.
Vicólo
di Salvatore Quasimodo
Mi richiama talvòlta la tua vóce,
e nón sò ché cièli ed acque
mi si svégliano déntro;
una réte di sóle ché si smaglia
sui tuòi muri, ch’èrano a séra
un dondólio di lampade
dalle bottéghe tarde
piène di vènto e di tristézza.
Altro tèmpo: un télaio battéva nél córtile,
e s’udiva la nòtte un pianto
di cuccióli e bambini.
Vicólo: una cróce di case
ché si chiamano piano,
e nón sanno ch’è paura
di réstare sóle nél buio.
Le fióraie di San Babila
di Leonardo Sinisgalli
Trascina, il vènto délla séra,
attaccate agli ombrèlli a colóri,
le piccole fióraie
ché strillano gaie
nélle maglie.
Cóme róndini alle gróndaie
restéranno sospése néll’aria
le vénditrici di dàlie,
óra ché il vènto délla séra
gónfia gli ombrèlli
a mongolfièra.
Nuvóle
di Giacinto Grassi
Stanco, dópo una lunga camminata pómeridiana, mi sóno
appóggiato ad uno déi pilastri ché circóndano la fóntana délla
piazza. La stanchézza dólce mi dava l’impressióne di affóndare
lentaménte, toglièndomi ógni sènso di materialità. Istintivaménte
l’òcchio, cércando uno spiraglio óltre la córnice dura délle
costruzióni laterali, ricércava uno spiraglio di cièlo. Néll’azzurro
frésco e profóndo si profilava nétta la tórre dél Palazzo di città,
róssa. Dal céntro dél tétto si ergéva vèrso l’alto, cóme un èsile
stèlo néro, un’anténna alta e sóttile. Mi suggeriva l’immagine di
una linea di traguardo méssa lì, chi sa cóme, pér qualche gara nél
cièlo. E le nubi passavano infatti, basse néll’azzurro, cóme in córsa.
Èrano masse enórmi, grigie o gialle ché muòvevano cómpatte
spinte da un vènto invisibile. Si spingévano innanzi, a cuneo, a
punta, a frastaglio, in mille fórme strane, buffe o pauróse. La córsa
pareva sfiancarle. Il blòcco si rarefacéva, si sfilacciava e i biòccoli
brillavano vivaci pér un attimo cóme felici délla vittòria. Èra una
córsa gioiósa cóme di bimbi sorridènti. Óra sembrava un córrere
cónvulso di gióvani a qualche misteriósa cónquista. Pòi il mòto si
facéva frenètico cóme una ridda di móstri e infine si placava in un
lènto incèdere di còcchi gigantéschi e sontuòsi. Vicino al mio
orécchio il gócciolare festóso délle varie bócche di leóne. Un sènso
di vitale freschézza animava il vólto di piètra, impassibile e mi
scéndeva déntro, cóme una sórsata di acqua immatèriale. Èra la
sóla musica ché mi potésse piacére in un moménto di létargo
spirituale, incapace di ógni riflessióne. Musica eleméntare e pure
autèntica melódia pari a quélla déll’uòmo. Fórse anche superióre. Il
piacére fisico èra in quél moménto giòia artistica, di un’arte ché si
liberava di ógni cifrario intelléttuale pér attingére alla sorgènte
délla vita. La córsa nél cièlo cóntinuava óltre il traguardo
immaginario. Mi riscòssi cóme da un torpóre. Da mólto tèmpo nón
mi sorprendévo a guardare le nuvóle. Fórse dal tèmpo in cui,
affóndata la tèsta néll’èrba, mé né stavo a lungo supino a stórdirmi
gli òcchi di quélle fantasmagórie luminóse. Mi levavo stanchissimo
e cóme svuòtato. Gli stèli alti déll’èrba mi facévano sollético al viso
e grilli e fórmiche tutt’intórno tentavano la scalata dél mio còrpo.
Striature di néro macchiavano la massa liminósa che, sènza trégua,
fióriva nél cièlo. Pòi una néra córtina si levò a cóprire ógni còsa,
cóme una palpebra su di un òcchio chiaro e sógnante. Si spènse
anche la luce d’òro sul fóndo délla piazza ed il suòno délle cannèlle
si féce cupo e insostenibilménte monòtono. Nón mi piacéva
pénsare al di là di quél néro la córsa nélla luce di quélle
meraviglióse creature dél vènto.
Da: Sótto le lune di marte
di E.R. Burroughs
Sóno mólto vècchio, nón sò esattaménte quanto. Fórse hò cènto
anni, fórse più; ma nón pòsso dirlo perché nón sóno mai
invecchiato cóme gli altri uòmini e nón ricòrdo neppure di avére
avuto un’infanzia. Fin dóve arriva la mia memòria, ricòrdo di èssere
sèmpre stato adulto: un uòmo di circa trént’anni. Òggi il mio
aspètto è idèntico a quéllo di quaranta è più anni fa, éppure sènto
che nón pòsso cóntinuare a vivére pér sèmpre; che un giórno
affronterò la véra mòrte dalla quale nón c’è più resurrezióne. Nón
sò perché dovrèi temére la mòrte, io che sóno mòrto due vòlte è
sóno sèmpre in vita; tuttavia, al suo pensièro, pròvo lo stésso
orróre che provate vói, che nón siète mai mòrti. Ed a causa di
quésto terróre délla mòrte, crédo, che sóno così cónvinto che
morirò. È, a causa di quésta mia convinzióne, mi sóno deciso a
scrivére la stòria dégli anni délla mia vita è délla mia mòrte. Nón sò
spiégare il fenòmeno: pòsso soltanto scrivére qui, cóme può
scrivérla un sóldato di ventura, la crònaca dégli strani evènti che mi
sóno accaduti néi dièci anni durante i quali il mio còrpo privo di vita
è rimasto célato, agli òcchi di tutti, in una cavèrna déll’Arizòna. Nón
ho mai raccóntato quésta stòria, né alcun mortale leggerà mai
quésto manoscritto fino a quando io nón sarò passato pér sèmpre
néll’eternità. Sò che gli uòmini nón credéranno a ciò che nón
pòssono concépire, perciò nón intèndo èssere mésso alla gógna dal
pubblico, dai pulpiti, dalla stampa, descritto cóme un colossale
bugiardo méntre, al contrario, raccónto una sémplice verità che un
giórno sarà confermata dalla sciènza. Fórse quéllo che hò appréso
su Marte è le informazióni che vi darò attravèrso quésta crònaca,
serviranno a dare una prima comprensióne déi mistèri dél nòstro
pianéta fratèllo: mistèri pér vói, ma nón più pér mé. Il mio nóme è
John Cartèr, ma sóno mèglio conosciuto cóme il Capitano Jack
Cartèr délla Virginia.
Bibliografia di approfondimento corso di aggiornamento del Progetto
“A che libro giochiamo?”
 Argilli Marcello, Ci sarà una volta, immaginario infantile e fiaba moderna, La
Nuova Italia, 1995.
 Bettelheim Bruno, Il mondo incantato: uso, importanza e significati
psicanalitici delle fiabe, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977.
 Bettelheim Bruno, Imparare a leggere, Milano, Ed. Feltrinelli, 1983.
 Blezza Picherle Silvia, Leggere nella scuola materna, Brescia, La Scuola,
1996.
 Brusa Mario, La pésca con la pèsca. Appunti di dizione, respirazione,
educazione alla voce, Ed. Piazza, 2002.
 Buongiorno T., Dizionario della letteratura per ragazzi, Fabbri, Milano, 2002.
 Campanile Silvia, Lovo Annamaria, Musella Maria Rosaria, Parlato Paola, Il
vizio di leggere, Napoli, Liguori, 2001.
 Cardarello Roberta, Chiantera Angela, Leggere prima di leggere, infanzia e
cultura scritta, Firenze, Ed. La Nuova Italia, 1989.
 Cardarello Roberta, Libri e bambini: la prima formazione del lettore, Firenze,
Ed.La Nuova Italia,1995.
 Catarsi Enzo, Leggere le figure: il libro nell’asilo nido e nella scuola
dell’infanzia, Pisa, Ed. Del Cerro, 1999.
 Celi Fabio, Avviamento alla lettura, percorsi fonetici e globali, Ed.
Erickson,1996.
 Detti Ermanno, Il piacere di leggere, La Nuova Italia, 1987.
 Ferreiro Emilia, Teberosky Ana, La costruzione della lingua scritta nel
bambino, Firenze, Giunti, 1995.
 Ferrieri Luca, Innocenti Piero, Il piacere di leggere. Teoria e pratica della
lettura, Milano, UNICOPLI, 1995.
 Fochesato Walter, Libri illustrati: come sceglierli?, Milano, Mondatori,
Infanzie Strumenti.
 Gherardi Vanna, Manini Milena, I bambini e la lettura: la cultura del libro
dall’infanzia all’adolescenza, Roma, Carocci, 1999.
 Handler Spitz Ellen, Libri con le figure: un viaggio tra parole e immagini,
Milano, Mondatori, Infanzie, Saggi, 2001.
 Lazzarato Francesca, Scrivere per bambini, Milano, Mondadori, Infanzie,
1997.
 Lumbelli Lucia, Incoraggiare a leggere, Firenze, La Nuova Italia, 1988.
 Miari Eros, A che libro giochiamo?, Milano, Mondadori, Infanzie Strumenti,
1999.
 Pennac Daniel, Come un romanzo, Ed. Feltrinelli, Milano 1993.
 Pitzorno Bianca, Storia delle mie storie, Parma, Nuova Pratiche Editrice,
1995.
 Romagnoli Anna Maria, La parola che conquista. Manuale di pronuncia e
dizione per i professionisti della parola. Milano, Mursia, 1990.
 Valentino Merletti Rita, Leggere ad alta voce, Milano, Ed. Mondadori,
Infanzie, 1996.
 Valentino Merletti Rita, Raccontar storie, Milano, Ed. Mondadori, Infanzie,
Saggi, 1998.
 Valentino Merletti Rita, Racconti (di)versi, Milano, Ed. Mondadori, Infanzie,
Saggi, 2000.
 Valentino Merletti Rita, Libri e lettura da 0 a 6 anni, Mondadori, Infanzie
Strumenti, 2001.
 Valentino Merletti Rita, Libri per ragazzi: come valutarli?, Mondadori,
Infanzie Strumenti, 1999.
 Vegetti Finzi S., A piccoli passi, la psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque
anni, Mondadori, Oscar Saggi, 1997.
 Verità Roberta, Con la testa fra le nuvole, favole per bambini che pensano
serenamente, Trento, Ed. Erickson, 2000.
 Zahaler, Kathy A., Ai bambini piace leggere, Milano, Tea, 1999.
 Zannoner Paola, Come si costruisce un percorso di lettura, Milano,
Mondadori, Infanzie Strumenti, 2000.
 Zoppei Elisa, Laboratori di lettura: metodi e tecniche di animazione del libro,
Milano, Mondatori Infanzie Strumenti, 2003.
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