MENSILE DEL SINDACATO PENSIONATI ITALIANI
SPI-CGIL DELL’EMILIA-ROMAGNA
Editoriale
Autorizzazione del tribunale n.4897 del 5 marzo 1981 - Spedizione in abbonamento postale 45%
Verso il congresso:
il bilancio e i progetti
Dimensione Cgil
Danilo Barbi: la crisi
e le nostre proposte
Previdenza
Ecco come il governo
colpisce le pensioni
Diritti
Come si combatte
la violenza alle donne
Memoria
Storie di migranti:
la paura e la rabbia
La memoria
non si ruba
ma si dona ai giovani
n.1
gennaio 2010
1
In breve
Argentovivo gennaio 2010
Nuova sede
per la Lega
Marconi Zolino
di Imola
2
“Era ora che anche la nostra
Lega avesse una sua sede!”, ha
esclamato la segretaria Lucia
Pirazzini, all’inaugurazione della nuova sede della Lega Marconi Zolino, felice come una…
pasqua, anche se eravamo alla
vigilia di Natale. Finalmente
anche la Lega Marconi Zolino
dello Spi di Imola, una lega forte di circa 1900 iscritti e molto,
molto attiva, ha la sua sede, in
via Bentini 2. La struttura sarà
collegata in rete, anche per fare
da sportello di ascolto per i servizi. Sarà aperta due mattine a
settimana (mercoledì e venerdì
dalle 9 alle 11).
Rimarranno aperti sul territorio
anche gli altri recapiti della Lega
(presso i centri sociali La Stalla,
Zolino, Giovannini e la saletta
Unicoop). Ma la nuova sede potrà diventare un punto più comodo per i servizi, e si spera anche
funzioni come punto di ascolto
e d’incontro tra i pensionati, per
le informazioni, il reperimento
di materiale sindacale e di propaganda, per la visione di nostri
giornali e perché no, anche per
lo scambio di opinioni: proprio
quelle quattro chiacchiere che si
fanno sempre con tanto piacere.
Ci sembra un buon avvio e un
buon augurio per il 2010 e per il
nostro congresso.
“Consumer”:
il dialogo
con i consumatori
va in tour
nelle città
Un tour di 10 tappe in comuni
medio piccoli dell’EmiliaRomagna, con tre giorni di
presidio in ogni città per
ascoltare e raccogliere pareri
dei cittadini, ospitare associazioni dei consumatori e
di categoria e promuovere il
talk show che si terrà l’ultima
sera nei teatri e nei cinema
messi a disposizione dalle
amministrazioni comunali.
In più l’attivazione di uno
sportello virtuale e il potenziamento del sito www.ermesconsumer.it. Dieci tappe
di confronto con i cittadini
consumatori in cui saranno
raccolte proteste, considerazioni, storie, proposte in particolare su tre grandi temi:
il caro spesa, le garanzie sui
prodotti, il telemarketing
telefonico selvaggio. È la
campagna “Tu chiedi, Consumer risponde” che la Regione
Emilia-Romagna propone fino
al 26 marzo. Prima tappa a
Codigoro, l’ultima a Lugo di
Romagna. Gli altri Comuni
coinvolti sono Copparo, Savignano sul Rubicone, Castelnuovo Rangone, Calderara di
Reno, Rubiera, Bellaria Igea
Marina, Fidenza, Fiorenzuola
D’Arda.
Taglio del nastro per la nuova sede della Lega Spi di Imola
Il gazebo della campagna regionale Consumer
“Kartole”:
vanno a ruba
i ritratti
bolognesi
di Fraccon
Mille copie bruciate in meno
di un mese. Il libretto “Kartole” di Davide Fraccon ha
fatto da strenna per le feste
passate, grazie al passaparola
tra volontari e associazioni:
tanto che Auser Bologna e
associazione BandieraGialla
già pensano di ristamparlo
per rispondere alle tante
richieste. E dire che tutto era
cominciato così, per caso, per
ricordare un amico che se
n’era andato troppo giovane,
provato da un vita difficile e
dalla malattia. Davide Fraccon, 52 anni, è morto il primo
di aprile del 2009, quando solo
da poco più di un mese aveva
avuto in assegnazione una
casa popolare in via Santa
Caterina: il suo sogno, un appartamento tutto per sé, dopo
essere stato a lungo ospite da
amici e dopo 10 anni passati a
San Patrignano. Negli ultimi
anni faceva volontariato con
l’Auser e collaborava con BandieraGialla. Un uomo dolce e
colto, Davide, amante della
sua città e, soprattutto, dei
bolognesi. Quelli “doc”, che
aveva ritratto con i loro tic e
manie in “Kartole”, raccontando anche con leggerezza i luoghi e i ritrovi tipici della città:
la Bologna dei “borazzi” e di
Zanarini, delle nottate in giro
per il centro, delle angurie
dell’Agnese, la gelateria Pino,
il Moretto, l’Osteria del Sole.
Tutto documentato, sperimentato, vissuto personalmente
dall’autore e in allegato anche
un glossarietto bolognese.
Nelle ultime pagine altri
amici hanno aggiunto righe
di commozione, ironiche, di
speranza, ma sempre in linea
con l’umorismo sagace e dolcissimo di quella “kartola” di
Davide Fraccon.
In breve
A Bologna
la Lega
Saragozza
ha trovato casa
L’Arci Modena avvia un progetto di doposcuola per i ragazzi delle medie inferiori
A Modena
il doposcuola
lo fanno
i circoli Arci
Dove non arriva lo Stato, provano a pensarci le associazioni.
A fronte dell’eliminazione del
tempo prolungato in molte
scuole medie inferiori, scende
in campo Arci Modena con
un progetto di doposcuola
che è stato attivato in via
sperimentale dal 25 gennaio.
Sono state aperte le iscrizioni
(che continueranno per tutto
l’anno scolastico), e sono stati
coinvolti tre circoli nei comuni
di Modena, Carpi e Castelfranco Emilia. Accanto all’Arci
Modena, il progetto vede la
collaborazione della Regione
Emilia-Romagna, della Provincia di Modena e dei Comuni di
Passaparola
Bamboccioni: ci pensa Brunetta!
Il termine coniato dall’ex ministro del Tesoro Padoa Schioppa nel lontano 2007, torna di
attualità.
“I Bamboccioni che si rifugiano nelle famiglie, saranno stanati da una legge che a 18 anni li
obbligherà ad andare fuori casa”. È un’idea lanciata dal ministro Brunetta, forse solo un’altra
provocazione, ma attenzione, sotto c’è un intento caro a questo governo: creare il conflitto.
Il conflitto fra generazioni, “il si da più ai padri che ai figli”.
Non a caso la Meloni, ministro per le Politiche giovanili, ha risposto dicendo che bisognerebbe fare una legge per imporre ai baby pensionati di restituire i soldi presi finora per
reinvestirli in opportunità per i giovani.
Cari ministri, non si governa con le battute e coi conflitti, servono più azioni, più politiche
perché i giovani possano frequentare una scuola di qualità, possano avere una formazione
per un’occupazione stabile, c’è bisogno di politiche per lo sviluppo, per un lavoro meno
precario, per le giovani coppie, per le famiglie.
Coi tagli alla scuola, alla ricerca, all’università, si impedisce alle giovani generazioni di
crearsi un futuro e si impoverisce la società. La soluzione non è contrapporre i giovani ai
pensionati ma costruire un modello sociale giusto per tutte le età.
Modena, Carpi e Castelfranco.
La proposta – dicono all’Arci vuole essere una risposta alla
diminuzione delle classi con
tempo prolungato, “situazione
che mette in grave difficoltà
sia i genitori, che non hanno
a chi affidare i figli, sia gli
studenti, che si trovano a dover
svolgere i compiti a casa senza
nessuno che li guidi”. Arci
mette a loro disposizione delle
strutture in cui trascorrere il
pomeriggio, e degli operatori
qualificati che li assistano nello studio. Si tratta di due persone fisse per ogni circolo, alle
quali si affiancano di volta in
volta dei volontari, tra cui anche ex-insegnanti. Oltre a fare
i compiti, i ragazzi saranno impegnati in laboratori ricreativi.
È stato fissato un limite massimo di quindici studenti per
ogni centro, ed è prevista una
quota di partecipazione che
varia in base alla frequenza.
È possibile infatti partecipare
da due a cinque giorni la settimana, dalle 14.30 alle 18.30.
I circoli Arci coinvolti sono la
“Pol. 87&Gino Pini” di Modena,
l’“Atletico Cibeno” di Carpi e
la Polisportiva “la Stalla” di
Castelfranco.
Argentovivo gennaio 2010
Fino a qualche mese fa c’era
una... pellicceria, lampade
basse, pareti decorate di
rosa, atmosfere soffuse. Da
metà dicembre è la nuova
sede della Lega Saragozza
a Bologna, ovviamente riadattata e trasformata per
accogliere persone anziane,
erogare i nostri servizi, promuovere la nostra attività,
farci conoscere sempre di
più dai pensionati. Sono
stati gli stessi collaboratori
della Lega, sotto la guida
del segretario Gianni Fava,
a fare buona parte dei lavori: via la carta da parati,
nuove luci, bianco alle pareti, saletta d’attesa, uffici
(più ampi e confortevoli di
quelli precedenti). Auguri e
ad maiora!
3
Sommario
2| In breve
• Nuova sede per la Lega
Marconi Zolino di Imola
• “Consumer”: il dialogo
con i consumatori va
in tour nelle città
• “Kartole”: vanno a ruba i
ritratti bolognesi di Fraccon
3| In breve
• A Bologna la Lega Saragozza
ha trovato casa
• A Modena il doposcuola lo
fanno i circoli Arci
• Passaparola
5| Editoriale
• Verso il Congresso: i risultati
ottenuti e i nuovi progetti
Maurizio Fabbri e
Rita Turati
Argentovivo gennaio 2010
7| Dimensione Cgil
• Crisi, il peggio è in arrivo ma il
patto regionale tiene
Mayda Guerzoni
9| Previdenza
• Ecco come il governo
infierisce sulle pensioni
Tamer Favali
12| Storia e cultura
• Olocausto: un glossario
per non dimenticare
a cura del Dipartimento
memoria Spi-Cgil
Emilia-Romagna
14| Solidarietà
• Pane, libri e Costituzione: un
aiuto ai carcerati
Luca Baldazzi
15| Donne e diritti
• La risposta alla violenza
non è chiudersi in casa
Rossella Selmini
17| Economia e consumi
• Nasce la “class action”
ma è un’occasione sprecata
Renza Barani
19| Consigli utili
• Il bollo auto:
come e quando si paga
Francesco Scarlino
20| Auser
• Il trasporto sociale:
una domanda che cresce
Franco Digiangirolamo
21| Territori e leghe
• Reggio Emilia, così la crisi
colpisce i pensionati
Paola Guidetti
23| Territori e leghe
• Modena, per gli iscritti Spi
una sera di teatro e tango
Norma Lugli
24| Territori e leghe
• C’è un “Posto delle fragole”
anche a Santarcangelo
Giovanna Gazzoni
La foto di copertina è di Luigi Ottani
25| Territori e leghe
Argentovivo n. 1 gennaio 2010
Chiuso in tipografia
il 25/1/2010
la tiratura complessiva
è di 8.000 copie
• Bologna, basta un clic per
sapere come stai
Bruno Pizzica
26| I temi della
memoria
• La paura e la rabbia
Anna Maria Pedretti
• Miseria e furore: oggi
Rosarno, ieri l’America di
Steinbeck
• Gli italiani visti dagli
americani
Eva Lindenmayer
23
12
5
25
9 19
Verso il Congresso:
i risultati ottenuti
e i nuovi progetti
Olocausto: un
glossario per non
dimenticare
Modena, per gli
iscritti Spi una sera
di teatro e tango
Bologna,
basta un clic per
sapere come stai
Ecco come il governo
infierisce sulle
pensioni
4
Il bollo auto: come
e quando si paga
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PERIODICI ITALIANI
Editoriale
Verso il Congresso:
i risultati ottenuti
e i nuovi progetti
Argentovivo gennaio 2010
Maurizio Fabbri
Segretario generale
Spi-Cgil Emilia-Romagna
Rita Turati
Segretaria
Spi-Cgil Emilia-Romagna
È
tempo di fare bilanci, non solo perché abbiamo alle spalle un anno
difficilissimo, ma soprattutto perché davanti a noi c’è il Congresso della
Cgil. Questo passaggio ci impegna a fare i
conti, a misurare le distanze tra gli obiettivi che ci eravamo dati e ciò che siamo
riusciti a costruire, i risultati che abbiamo
ottenuto. Sia sul piano politico che su quello organizzativo, questo vuol dire rimettere in fila, con un ordine ben definito delle
priorità, i bisogni da affrontare e le scelte
di prospettiva.
Il 2009 non ci mancherà. È stato un anno
in cui la crisi ci ha costretti a rimettere in
discussione tante certezze. Un anno fatto
di lotte collettive e individuali non solo per
difendere i diritti, ma anche per aprire nuove prospettive. Ma se il 2009 non ci mancherà, non abbiamo certo l’illusione che
con il 2010 possa realizzarsi un miracolo.
Come sempre dovremo contare soprattutto
sulle nostre forze, sulla nostra capacità di
mettere in atto con coerenza azioni in difesa del lavoro e dei diritti e a sostegno delle
nostre proposte. Lo sciopero generale di 4
ore proclamato per il 12 marzo va in questa
direzione. Una tappa, molto importante, di
un percorso che non sarà comunque breve
e che dovrà essere riempito da una continuità delle lotte, decentrate e generali.
Così come fondamentale sarà continuare
nello sforzo di produrre, attraverso la contrattazione sociale, accordi territoriali a
sostegno del reddito e che portino al consolidamento e all’allargamento del sistema
dei servizi. Avremo bisogno di stare nelle
piazze, nei luoghi di lavoro, tra la gente, per
informare e discutere. Dovremo sostenere
una nutrita serie di alleanze sociali, come
abbiamo fatto in occasione delle manifestazioni contro le leggi razziste sull’immigrazione e per la libertà di stampa. Per far
uscire dall’isolamento in cui questo governo ha relegato i temi del lavoro e tentare di
superare la crisi.
Una certezza ci dà forza. E cioè che dallo scorso congresso ad oggi una distanza
l’abbiamo sicuramente accorciata: si è
5
Argentovivo gennaio 2010
Editoriale
6
affermata infatti nel sindacato la consapevolezza di quanto sia importante la
contrattazione sociale territoriale. Non
è certo neanche questa la bacchetta magica contro la crisi, perché in assenza di
scelte chiare a livello nazionale il rischio
che corriamo è quello di creare diseguaglianze. Ne sono un esempio gli accordi regionali sugli ammortizzatori sociali e per
gli aiuti economici in favore delle famiglie
in difficoltà. Però l’esperienza maturata
in questo difficilissimo 2009 ci fa dire che
dove gli accordi sono stati fatti per molte
persone le cose sono andate meglio.
Il senso politico profondo della contrattazione sociale, che dovremo riportare nel
dibattito congressuale, sta in alcune parole chiave che in quest’anno si sono ripresentate con forza: il valore del territorio,
la centralità della persona, la necessità
di unificare i diritti, il concetto di cittadinanza; e poi il welfare come importante
fattore di crescita e di redistribuzione
della ricchezza. Tutto questo reso possibile dal fatto che è aumentata di fatto la
confederalità.
Nell’ambito di questa analisi lo Spi (e soprattutto lo Spi dell’Emilia-Romagna) è
stato un vero protagonista, perché ha contribuito ad affermarla agendo con coerenza sia sul piano politico che organizzativo
e ha investito fortemente sul successo di
questa linea.
Che bilancio possiamo trarre quindi in
questo momento di passaggio verso il nostro congresso? Gli accordi con la Regione
hanno contribuito a un ridisegno significativo del sistema di welfare regionale. Fino
ad arrivare al Piano sociale e sanitario regionale (Pssr) approvato nel giugno 2008.
Nel 2005 è partito il Fondo Regionale per
la Non Autosufficienza, con precise priorità programmatiche. Il confronto sui documenti finanziari regionali, Dpef e bilancio,
Maurizio Fabbri, segretario generale Spi-Cgil dell’Emilia-Romagna
è andato così avanti che quest’anno è stato
possibile co-firmarli. Siamo stati al tavolo
che in luglio ha definito l’accordo regionale per la ripartizione di ulteriori risorse del
Fondo regionale sociale 2008, con il quale
si è affrontato un programma straordinario
di contrasto della crisi economica. Contribuendo così a definire le risorse e a dare indicazioni su come utilizzarle nei vari territori per il sostegno al reddito, per l’assistenza all’infanzia, per la lotta alla povertà.
Ancora nel 2006 si è avviato il Piano di
azione regionale per la popolazione anziana, il bilancio sociale. Tutti strumenti che
ora stanno evolvendo per adattarli a fasce
più giovani della popolazione.
Parliamo di risultati concreti, dunque,
accanto a problemi ancora aperti. Adesso
dobbiamo dotarci di un nuovo programma
di lavoro: è anche a questo che serve il
congresso.
Dimensione Cgil
Crisi, il peggio è in arrivo
ma il patto regionale tiene
Mayda Guerzoni
S
ciopero generale del 12
marzo, il punto della
crisi in Emilia-Romagna
con le elezioni regionali sullo
sfondo, il congresso Cgil: su
questi temi abbiamo interpellato Danilo Barbi, segretario
generale della confederazione
regionale.
La Cgil ha proclamato uno
sciopero generale di quattro
ore il 12 marzo, con manifestazioni territoriali. Da cosa
è motivata questa scelta?
Innanzitutto dalla gravità della crisi, che sta entrando nella
fase più dura, sia per la tenuta
dei redditi che per l’occupazione, mentre colpisce l’assenza
di adeguate politiche di contrasto da parte del governo. Dunque la Cgil mantiene una forte
continuità con la mobilitazione
del mesi scorsi, per rivendicare ammortizzatori sociali più
consistenti e più duraturi, una
politica economica nazionale a
sostegno della domanda interna e dello sviluppo, interventi
per le fasce sociali più deboli.
Tra questi voglio richiamare
i migranti e sottolineare che
episodi gravissimi come quelli
di Rosarno non sono degni di
un Paese civile. Un altro nodo
al centro dello sciopero riguarda la vertenza fisco.
Non ti piacciono le due aliquote lanciate da Berlusconi?
Per favorire i ricchi e creare
maggiori ingiustizie? Lasciamo stare… tra l’altro le ha
sparate e poi ritrattate. Invece
la Cgil ha una proposta precisa in merito, per l’immediato
e di prospettiva: riduzione
delle tasse per lavoratori dipendenti e pensionati, con
aliquote più basse solo per i
redditi medio-bassi e maggiori
detrazioni d’imposta; recupero
dell’evasione fiscale, nuova tassazione sui grandi patrimoni e
sulle rendite finanziarie. Su
questa piattaforma abbiamo
avviato una campagna di comunicazione in tutto il Paese.
Ancora una volta però la Cgil
si muove da sola, in un clima
di rottura nei rapporti con
Cisl e Uil. Cosa vi divide?
Una profonda distinzione strategica. Cisl e Uil hanno imboccato la strada degli accordi con
il governo, anche separati, pensando così di arginare danni
ancora più vistosi nelle scelte
del centro destra. Ma in questo
modo sono scesi sul terreno del
governo e finiscono per avallare le sue politiche. Ad esempio
sulla proposta delle due aliquote fiscali hanno evitato in
realtà di pronunciarsi, parlando d’altro. La Cgil invece cerca
il confronto nella chiarezza
del rapporto con i lavoratori e
i pensionati, forte del profilo
alternativo generale delle proprie proposte politiche. Inoltre
siamo divisi anche sul modello
di sindacato. Comunque considero importante che qualche
iniziativa unitaria su temi e in
settori significativi riusciamo
ancora ad assumerla.
Argentovivo gennaio 2010
Intervista a Danilo Barbi, segretario generale dell’Emilia-Romagna
7
Argentovivo gennaio 2010
Dimensione Cgil
Veniamo alla realtà della
nostra regione. Che prezzo sta pagando alla crisi il
mondo del lavoro dell’Emilia
Romagna?
Un prezzo molto alto, anche legato al peso del manifatturiero
nella nostra economia. Tra i
precari rimasti a casa, i tempi
indeterminati in mobilità soprattutto nelle piccole imprese,
le crisi aziendali, le mancate
nuove assunzioni, parlo di alcune decine di migliaia di persone
coinvolte. È indicativo il tasso
di disoccupazione, salito dal 3,1
al 4,5%. Per di più temo che il
peggio debba ancora arrivare:
i dati di dicembre confermano
che la cassa integrazione ordinaria ha invertito la curva e sta
scendendo, ma la cig straordinaria schizza in alto e per molti si
accorciano i tempi verso la prospettiva del licenziamento.
Come ha reagito fin qui la società regionale?
Il mio giudizio è positivo, a
partire dal bilancio del patto
per attraversare la crisi che
ha determinato migliaia di
accordi aziendali, con un ruolo importante del sindacato e
delle istituzioni. Ma direi anche che molte imprese hanno
fatto la loro parte per salvaguardare l’attività produttiva
e il lavoro, adottando strategie
organizzative in controtendenza rispetto al decennio
appena concluso, per esempio
riportando all’interno attività
prima appaltate, accorciando
la filiera. In questo bilancio,
mi sento di dare due numeri
significativi: da un lato circa
50.000 posti di lavoro precari
e di piccola impresa perduti,
dall’altro almeno 40.000 salvati fin qui dagli accordi legati al
Congressi in regione:
ecco il calendario
È in pieno svolgimento la campagna congressuale della Cgil, che rappresenta un momento chiave della vita
democratica dell’organizzazione. Da dicembre e fino
al 20 febbraio sono in corso le assemblee di base, nelle quali vengono presentati e votati due documenti
congressuali globalmente alternativi: il documento “I
diritti ed il lavoro oltre la crisi”, primo firmatario Gugliemo Epifani; il documento “La Cgil che vogliamo”,
primo firmatario Domenico Moccia.
Nel fitto calendario della campagna congressuale in
Emilia-Romagna seguono i congressi di categoria dei
territori e nei giorni 2-3 marzo i congressi di tutte le
Camere del lavoro, esclusa Bologna che sarà impegnata dall’1 al 3 marzo. Sarà quindi la volta dei congressi
di tutte le categorie regionali, ultimo lo Spi.
Il congresso della Cgil regionale Emilia-Romagna si
svolgerà nei giorni 18-19 marzo 2010 al Palacongressi
di Riccione, con una platea di 710 delegate e delegati;
l’assise della Cgil nazionale è in programma a Rimini
dal 5 all’8 maggio.
8
patto, che altrimenti oggi dovremmo sommare ai primi.
Come vi attrezzate per affrontare quello che tu stesso
consideri il peggio in arrivo?
Le misure dell’intesa regionale restano valide e le abbiamo
confermate, insieme a Cisl e
Uil, nel verbale di incontro con
la Giunta della Regione sul
bilancio 2010, che concentra
risorse importanti per affrontare la crisi, in particolare a
tutela dei lavoratori e delle famiglie in difficoltà, ma anche
a sostegno delle imprese che
investono in ricerca e innovazione per agganciare la ripresa. Proseguiamo dunque sulla
strada tracciata nel 2009, per
fare ancora meglio.
Ma qual è l’idea forza attorno alla quale preparare seriamente la ripresa?
Bisogna scommettere sull’e-conomia verde, che non significa
solo energie rinnovabili, ma una
vera e propria politica industriale all’insegna della sostenibilità
ambientale, per rinnovare i processi, i prodotti, i materiali, attivando la rete regionale dei tecnopoli. Un’idea coltivata dalla
Regione, che noi condividiamo.
Che atteggiamento pensa
di assumere la Cgil in vista
dell’appuntamento con le elezioni regionali?
Le politiche sociali e le politiche pubbliche a sostegno
dello sviluppo, praticate dalla Regione Emilia-Romagna,
portano un segno alternativo
a quelle del governo di centro
destra e di certo più corrispondente alla visione degli equilibri sociali ed economici che ha
in mente la Cgil. In vista delle
elezioni e di fronte alla dura
realtà della crisi, chiederemo
alla Regione di promuovere
nuovi processi di uguaglianza.
Prima di arrivare alle elezioni c’è la scadenza del congresso Cgil. Sono in corso le
assemblee di base ed è presto
per un bilancio. Per adesso
cosa ti aspetti?
Beh, intanto non nego di essere preoccupato per le tensioni
che emergono nella gestione
del dibattito su due mozioni
globalmente alternative. Vedo
il rischio di un confronto troppo chiuso e interno, tra posizionamenti di strutture, più che
sulle proposte di merito. Ma le
scelte sono tutte legittime ovviamente, e non ho dubbi che
stiamo affrontando un grande
momento di partecipazione.
Auspico soprattutto una cosa,
con molta convinzione: che il
congresso confermi pienamente la confederalità come tratto
caratteristico della Cgil, perché è questa storicamente la
nostra forza.
Danilo Barbi
Previdenza
Ecco come il governo
infierisce sulle pensioni
Tamer Favali
Segretario Spi-Cgil
Emilia-Romagna
Argentovivo gennaio 2010
I
circa 18 milioni di pensionati italiani, ormai il 42%
della popolazione elettorale, nella loro “busta paga”
di gennaio hanno trovato l’aumento da perequazione automatica dello 0,7 per importi
fino a 2.288,80 euro (cinque
volte il trattamento minimo) e dello 0,525 per la parte
eccedente.
Hanno anche preso coscienza che l’aumento provvisorio
del 3,3 nel gennaio 2009 era
diventato un definitivo 3,2,
determinando un conguaglio
negativo dello 0,1 per 13 mensilità, che - scaricato sulla
“busta paga” di questo mese di
gennaio - non consentiva alcun
aumento nell’immediato. Anzi,
incombeva una riduzione che
l’Inps (Inpdap e gli altri Istituti previdenziali invece no) ha
mediato - anche su pressione
sindacale - decidendo di ripartire sulle rate di gennaio e
febbraio l’onere del conguaglio
negativo. Gli importi di gennaio e febbraio risulteranno non
inferiori - ma anche non superiori - a quelli in pagamento
fino a dicembre 2009, e quindi
solo con il mese di marzo inizierà il “sollievo” dell’aumento
dello 0,7.
Come molta stampa ha enfatizzato, è iniziato anche il decennio della “nuova austerità
previdenziale” per coloro che
sono ancora in attività. I più
colpiti saranno progressivamente quelli più lontani dal
traguardo della cosiddetta
terza età. Dal primo gennaio
2010 sono scattati i nuovi coefficienti di calcolo della pensione contributiva, che riguardano tutti i lavoratori in attività
ad esclusione di coloro che
al 31 dicembre 1995 potevano vantare almeno 18 anni di
contribuzione previdenziale.
Il taglio di rendimento (fra
un pensionato al 31 dicembre
2009 e uno al primo gennaio
2010) oscilla tra il 6,3 e l’8,4. E’
colpito anche chi andrà in pensione con il sistema misto (chi
ha maturato meno di 18 anni
di contribuzione previdenziale
al 31 dicembre 1995), anche se
in misura differenziata.
Per non farsi mancare davvero
nulla, nel 2010 inizia la progressione che porterà le donne
occupate nel pubblico impiego
ad andare in pensione a 65
anni nel 2018, in accompagnamento del sistema generalizzato delle quote per il pensionamento (la sommatoria degli
anni di contribuzione previdenziale e dell’età anagrafica),
del meccanismo delle finestre
di uscita (due nel 2010, per
le pensioni di anzianità con
meno di 40 anni di contribuzione) e di quello delle uscite
programmate per la pensione
di vecchiaia: per queste ultime, raggiunti i 60 anni (per le
donne) e i 65 anni (per gli uomini), non si incasserà subito
la pensione, come avveniva in
passato, ma si dovrà aspettare
l’apertura di una delle quattro
finestre previste ogni anno. Un
modo per aumentare - senza
dirlo - l’età pensionabile. Resta
- a eccezione della scuola - l’indisponibilità alla previdenza
complementare per tutto il
comparto pubblico.
Premessa la nostra posizione
9
Argentovivo gennaio 2010
Previdenza
10
totalmente critica riguardo
il “Libro bianco” governativo
per l’obiettivo determinante di
ridurre il peso della parte previdenziale a ripartizione e favorire l’espansione della parte
a capitalizzazione, sottolineo
alcuni nostri obiettivi strategici sulle questioni sopra citate,
sempre al centro dell’attenzione popolare. Sono questioni
spesso oggetto di campagne
piene di menzogne, che spargono senso di insicurezza per
chi vive la fase post-lavorativa,
che mirano alla sudditanza sociale, culturale e politica nel
mondo del lavoro, e che puntano alla rottura di ogni solidarietà e alla lacerazione dei
rapporti fra le generazioni.
Così non va. Continueremo a
batterci a fondo per reintrodurre significativi elementi
redistributivi e solidaristici,
indispensabili a ridare un senso al sistema a ripartizione,
consapevoli che per questo
è indispensabile anche una
svolta culturale e politica nel
Paese.
Morena Piccinini, nella sua
apprezzata relazione al convegno nazionale Cgil del 3
dicembre scorso “Il futuro
delle pensioni: più equità,
più solidarietà, più sostenibilità sociale”, ha affermato:
“Come Cgil siamo stati protagonisti della costruzione del
grande e strutturale cambiamento del sistema previdenziale costituito dalla riforma
Dini del 1995. Non ne siamo
pentiti, ma ogni giorno cresce la critica a chi disconosce e irride l’enorme senso
di responsabilità che ci assumemmo e continuiamo ad
onorare. Da allora è stata tutta una rincorsa a snaturare
ideologicamente la riforma e
comprimere semplicemente
la spesa pensionistica. Perché la ‘Dini’ non aveva solo la
funzione di stabilizzare nel
tempo la spesa pensionistica
in rapporto al Prodotto interno lordo, risultato pienamente conseguito per ammissione di tutti compresa la stessa
Ragioneria generale dello
Stato, ma si poneva obiettivi
di giustizia ed equità, nella
piena conferma della validità
strategica di un sistema pensionistico a ripartizione”.
Spesa pensionistica
Il bilancio d’esercizio Inps
del 2008, consolidando pienamente il risultato del 2007,
registra un attivo di 6 miliardi e 858 milioni di euro, pur
oberato di prestazioni che
in un’eventuale separazione
fra previdenza ed assistenza
(obiettivo ormai storico) non
sarebbero di competenza:
fatto a cui si aggiunge lo scandalo dei dirigenti industriali
rientrati nell’ex odiata Inps,
mantenendo sfacciate condizioni di miglior favore.
Per il 2009 e il 2010 è prevista
una stabilizzazione dei risultati 2007/08. La lettura del
risultato 2008, in particolare,
evidenzia aspetti interessanti.
Il Fondo lavoratori dipendenti
segna un più 8 miliardi 170 milioni. Inoltre il deficit dei Fondi degli autonomi (coltivatori
diretti-coloni-mezzadri: meno
5.073 milioni, artigiani: meno
3.676, commercianti: meno
456) richiama al tema indifferibile del loro equilibrio finanziario. Non possono pretendere solidarietà a vita dal lavoro
dipendente e da quello parasubordinato che, a sua volta, ha
un avanzo di 8 miliardi e 251
milioni di euro, e non pensare
minimamente alla parificazione dell’aliquota contributiva e
nemmeno alla strutturazione
di un vero secondo pilastro. E
ci sono 30 miliardi di crediti
accertati che l’Inps vanta verso aziende per contributi non
versati!
La gestione economica 2008
dell’Inpdap presenta un disavanzo di 4 miliardi e 381 milioni di euro, ed è una questione
che va affrontata molto seriamente. Va sottolineato, infine,
che vogliamo che i risparmi
realizzati di anno in anno siano utilizzati per l’insieme delle
politiche previdenziali e non
assorbiti in altri capitoli del
bilancio dello Stato, fra l’altro
senza alcuna attinenza neppure con la spesa sociale in senso
lato, com’è avvenuto con la Finanziaria 2010.
La condizione per le risposte
urgenti alle pensioni basse
è quindi evitare l’impoverimento delle altre (il nostro
tasso di sostituzione, cioè
il mantenimento del potere
d’acquisto della prima pensione, è diventato il più basso
dei Paesi di prima fascia in
Europa) e risarcire proporzionalmente le pensioni vecchie, a partire da quelle che
nel frattempo hanno perso
più del 30% del loro valore
iniziale.
Occorre sviluppare il percorso
aperto con l’accordo del 23 luglio 2007 con il governo Prodi,
intrecciandolo con le recenti
proposte fiscali della Cgil, che
potrebbero diventare rapidamente un patrimonio confederale unitario, a partire dal
fatto che negli ultimi 10 anni
l’incidenza dell’Irpef sui redditi da pensione è aumentata
di oltre il 4%, così come resta
inalterato il valore della Piattaforma nazionale unitaria dei
pensionati.
Nuovi coefficienti
Bisogna modificare un atteggiamento mentale assai presente, che non riguarda solo
i giovani in una generica proiezione nel futuro. Nel 2009 ci
sono già 750.000 pensioni a sistema misto o totalmente contributivo, in larga misura liquidate a donne. L’Inps prevede
oltre 200.000 pensioni all’anno
liquidate a sistema misto, con
un risparmio di oltre 300 milioni di euro l’anno, e a crescere. Già al dicembre 2009 quelle
pensioni sono molto più basse
di quelle liquidate con il sistema retributivo: figurarsi con i
nuovi coefficienti!
La revisione dei coefficienti
discende dall’accordo del 23
luglio 2007con il governo Prodi, nel senso che il Protocollo
sottoscritto e la Legge successiva prevedevano la costituzione di una Commissione per la
verifica dei criteri che danno
origine ai coefficienti, con
l’impegno di ridefinirli per il
2010. Questo governo delle destre non ha costituito la Commissione, non ha aperto alcun
tavolo di confronto, ha semplicemente deciso. E oltre a Cgil
e Spi, e in parte l’opposizione
parlamentare, non c’è stata
molta protesta in giro.
La nuova normativa produce
disastri incalcolabili dal punto di vista sociale: e nel 2013 è
prevista una nuova botta! Quel
tavolo di confronto impedito
serve ancora, da subito. La
riforma Dini permette diverse
interpretazioni dei parametri
di riferimento: aspettativa di
vita, certo, ma per esempio è
uguale per tutti, in tutti i lavori? E la questione dei lavori
usuranti? E l’intensità del fenomeno migrazione? E quanto
sta cambiando la tipologia della composizione delle famiglie?
E perché i nuovi coefficienti
devono permeare l’intera vita
contributiva e non valere solo
dal primo gennaio 2010?
Al convegno del 3 dicembre
scorso Enrico Letta, nel 2007
uno dei ministri più influenti
nella trattativa con il governo
Prodi, ha fatto severa autocritica per non essersi fatto carico delle proposte sindacali,
specie della Cgil, di affrontare
la questione dei tempi del pensionamento sul terreno della
flessibilità come opportunità, e
non dell’obbligo normativo. Sarebbe importante che la cultura dell’opportunità soppiantasse progressivamente la rigidità
della coercizione; solamente
su quel terreno la parola “riforma” riassume il senso positivo
che storicamente l’accompagna e non la negatività che
l’ha contrassegnata nell’ultima
fase storica. Su questo terreno,
come già è successo, possono
coesistere positivamente processi di razionalizzazione e
bisogni personali, visione generale e comportamento individuale. Confidiamo che l’esperienza insegni...
Infine, per dirla con Morena
Piccinini, ad oltre 10 anni dalla attivazione del primo Fondo
negoziale per la previdenza
complementare è bene indagare
collettivamente luci ed ombre
del sistema, peraltro ancora largamente incompleto. L’opinione
lì espressa è che lo strumento
in sé appare sufficientemente
equilibrato, oltre che bisognoso
di manutenzione appropriata ed
innovazioni mirate.
Non vado oltre perchè in materia l’elaborazione generale
dello Spi è inesistente (personalmente lo considero un limite da affrontare), e perché,
comunque, segnalo quanto sia
attenta e presente la Confederazione, oltre che le Categorie
del lavoro privato, su una questione essenziale. Dobbiamo
rafforzare certezze, rimotivare la solidarietà generazionale, rafforzare la responsabilità
pubblica, sviluppare equità
e giustizia sociale. Ci aiuterà
parlarne per bene nei nostri
percorsi congressuali.
Argentovivo gennaio 2010
Previdenza
11
Storia e cultura
Olocausto: un glossario
per non dimenticare
a cura del
Dipartimento memoria
Spi-Cgil Emilia-Romagna
particolare coloro che credevano negli ideali del comunismo e
del socialismo.
Argentovivo gennaio 2010
I
12
n base alla Legge n° 211
del 20 luglio 2000, la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data
dell’abbattimento dei cancelli
di Auschwitz, come “Giorno
della memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del
popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei
cittadini ebrei, gli italiani che
hanno subito la deportazione,
la prigionia, la morte, nonché
coloro che, anche in campi e
schieramenti diversi, si sono
opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria
vita, hanno salvato altre vite e
protetto perseguitati.
Pubblichiamo qui di seguito
un glossario delle parole con
cui si racconta la storia della
Shoah. Per conoscere, riflettere, non dimenticare.
Olocausto
Con questo termine si intende
la persecuzione e lo sterminio
sistematico di circa 6 milioni
di ebrei, attuati con burocratica organizzazione dal regime
nazista e dai suoi collaboratori. “Olocausto” è un termine
di origine greca che significa
“sacrificio tramite fuoco”.
Durante il periodo dell’Olocausto, le autorità tedesche
presero di mira oltre agli ebrei
altri gruppi ritenuti di “razza
inferiore”: i Rom (gli zingari), i disabili, le popolazioni
slave, i testimoni di Geova,
gli omosessuali e altri gruppi
per le loro idee politiche, in
Genocidio
Il termine “genocidio” non esisteva prima del 1944. Si tratta
di un termine molto specifico,
che indica crimini violenti
commessi contro determinati
gruppi di individui con l’intento di distruggerli. Nel 1944
un avvocato ebreo polacco,
Raphael Lemkin, cercò di
descrivere la politica nazista
di sterminio sistematico che
includeva la distruzione degli
“Stalag XB”, un libro a fumetti
racconta i militari che dissero no
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i militari italiani furono disarmati dai tedeschi
e costretti ad una drammatica scelta: proseguire la guerra sotto le insegne nazifasciste
o essere deportati nei campi di concentramento. Molti di loro, oltre 750mila, rifiutarono
di combattere al fianco dei tedeschi, scelsero di non aderire alla Repubblica di Salò e
vennero internati nei lager nazisti. Non come prigionieri di guerra, ma come Internati
militari italiani (Imi): uno status voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente. Costretti a lavorare duramente, spesso ridotti alla fame, più
di 45mila soldati e graduati morirono tra la fine del 1943 e il 1945.
Sulla storia degli “Imi” abbiamo diari, documenti e testimonianze. Ora anche una versione a fumetti: l’autore e disegnatore Marco Ficarra l’ha raccontata nel graphic novel
“Stalag XB”, pubblicato dalle edizioni Becco Giallo. Tra quei soldati italiani che rifiutarono di aderire a Salò c’era suo zio, Gioacchino Virga, giovane ufficiale
uscito dall’Accademia di Modena. Ficarra ne ha ricostruito la storia
di internato attraverso le commoventi lettere che lo zio scriveva ai
familiari, e le foto scattate di nascosto nel lager dal compagno di
prigionia Vittorio Vialli. Altre informazioni su www.stalagxb.net e
su www.8settembre1943.info.
Luca Baldazzi
Zyklon B: quando le deportazioni raggiunsero la massima
intensità venivano uccise, con
il gas, 6.000 persone al giorno.
Le Ss consideravano i campi
di sterminio un’operazione
top secret: per cancellare
ogni traccia delle uccisioni,
unità speciali formate da prigionieri (Sonderkommandos)
erano obbligate a rimuovere
i cadaveri dalle camere a gas
e a cremarli. Alcuni campi di
sterminio vennero camuffati o
modificati, nel tentativo di nascondere l’avvenuto assassinio
di milioni di persone.
milioni di persone. Questi
campi erano usati con diversi
scopi: lavoro forzato, transito
e quindi stazioni intermedie e
quelli, invece, costruiti esclusivamente per l’eliminazione
in massa dei prigionieri.
Il regime nazista cominciò a
realizzare una serie di strutture di detenzione per imprigionare ed eliminare i cosiddetti “nemici dello Stato”. La
maggior parte dei prigionieri,
nel 1933, era costituita da cittadini tedeschi: comunisti,
socialisti, social-democratici,
Rom, testimoni di Geova, omosessuali e persone accusate di
comportamenti ritenuti asociali o devianti. Si chiamavano
“campi di concentramento”
perché servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri
in un unico luogo.
Nel 1938 ( annessione dell’Austria alla Germania) i nazisti
iniziarono ad arrestare gli
ebrei tedeschi ed austriaci
e imprigionarli nei campi di
Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen, tutti situati in Germania. Dopo l’invasione della
Polonia, nel settembre 1939,
i nazisti realizzarono diversi
campi per i lavori forzati, dove
migliaia di persone morirono
per sfinimento, malnutrizione
o esposizione alle intemperie.
La direzione e la conduzione dei campi erano affidate
a unità delle Ss e in alcuni di
essi medici nazisti effettuarono numerosi esperimenti sui
prigionieri.
I campi di concentramento
nazisti
Tra il 1933 e il 1945, la Germania nazista costruì circa 20.000
campi di concentramento,
con l’intento di imprigionarvi
(Le informazioni di questo
articolo sono state raccolte
dal sito dello United States Holocaust Memorial
Museum.
http://www.ushmm.org).
ebrei europei. Egli coniò la parola “genocidio” unendo il prefisso “geno” - dal greco razza
o tribù - con il suffisso “cidio”,
dal latino “uccidere”.
Ghetto
Il termine “ghetto” ha origine
dal nome del quartiere ebraico
di Venezia creato nel 1516, nel
quale le autorità veneziane obbligavano a risiedere gli ebrei.
Nel XVI e XVII secolo si istituirono altri ghetti per ebrei a
Praga, Roma, Francoforte e in
altre città.
Durante la seconda guerra
mondiale i ghetti erano costituiti da quartieri (spesso
recintati) nei quali i tedeschi
concentravano la popolazione
ebraica (sia quella residente nella città, sia – a volte
– quella dell’intera regione)
obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Lo
scopo del ghetto era quello di
isolare gli ebrei. Il ghetto poteva essere considerato “un
luogo di transito” nell’ambito
della “Soluzione finale”, il piano che prevedeva l’uccisione
di tutti gli ebrei d’Europa e
che ebbe inizio negli ultimi
mesi del 1941. I tedeschi distrussero sistematicamente
la maggior parte dei ghetti. I
residenti erano generalmente
fucilati o deportati ai centri di
sterminio.
Esistevano tre tipi di ghetto:
i ghetti chiusi, quelli aperti
e quelli destinati alla distruzione. Il ghetto più grande in
Polonia fu quello di Varsavia,
dove oltre 400.000 ebrei erano
ammassati in un’area di meno
di due chilometri quadrati.
Campi di sterminio
I nazisti istituirono i campi
di sterminio per rendere più
efficiente possibile l’assassinio di massa. Erano chiamati
anche “campi della morte”, ed
erano quasi esclusivamente
vere e proprie “fabbriche di
morte”. Nei campi di sterminio le Ss e la polizia tedesca
assassinarono quasi 2.700.000
ebrei tramite l’uso di gas tossici o tramite fucilazione. Il
primo campo di sterminio ad
essere realizzato fu quello di
Chelmno, nel dicembre 1941
e i prigionieri venivano uccisi all’interno di camere a gas
mobili, installate su appositi
furgoni. Il centro di sterminio
più grande fu quello di Auschwitz-Birkenau, in Polonia,
dove alla fine della primavera
del 1943 funzionavano quattro
camere a gas che utilizzavano
la sostanza tossica nota come
Argentovivo gennaio 2010
Storia e cultura
13
Solidarietà
Pane, libri e Costituzione:
un aiuto ai carcerati
Luca Baldazzi
Argentovivo gennaio 2010
D
14
are un piccolo contributo “per la dignità
degli ultimi”. E ricevere in cambio un pezzo di pane
e una copia della Costituzione,
la Carta fondamentale che regola per tutti noi i diritti e i
doveri della convivenza civile.
È questo il senso dell’iniziativa di solidarietà “Pane e alfabeto”, che chiama a raccolta i
bolognesi per dare un sostegno
concreto ai loro concittadini
in carcere e agli stranieri rinchiusi nel Cie, Centro di identificazione ed espulsione.
“Sono questi, le persone recluse, gli emarginati tra gli
emarginati – ricorda Roberto
Morgantini dell’Ufficio stranieri della Cgil, che ha promosso
l’appello alla cittadinanza
insieme a Mattia Fontanella
e Riccardo Lenzi -. Infatti la
situazione dei nostri concittadini nel carcere della Dozza
o nei centri di detenzione per
i ‘clandestini’ è spesso drammatica. In una condizione di
cronico sovraffollamento e di
tagli di bilancio imposti dal
governo alle amministrazioni
penitenziarie, molti detenuti
non dispongono dei beni primari necessari alle più semplici azioni quotidiane: prodotti
per l’igiene personale (spazzolini da denti, saponi, shampoo,
dentifrici, bagnoschiuma, deodoranti), ma anche francobolli,
carta da lettera, biancheria intima, infradito per doccia”.
Per questo, il 6 gennaio scorso, in piazza Nettuno la festa
dell’Epifania è diventata un’occasione per raccogliere offerte,
libri e prodotti di uso comune
per i carcerati. In cambio i
Lucio Dalla al banchetto di “Pane e alfabeto”
L’iniziativa in piazza Nettuno
promotori hanno distribuito
pagnotte donate dall’Associazione panificatori bolognesi e
copie della Costituzione donate da Spi-Cgil e Arci, che hanno
dato così la loro adesione concreta all’iniziativa.
Lusinghiero il bilancio di questa prima giornata: sono stati
raccolti circa 1200 euro e tanti libri e prodotti per l’igiene
personale. Numerose, inoltre,
le adesioni di personaggi del
mondo della politica e dell’associazionismo, della cultura e
dello spettacolo: dalla piazza
sono passati per lasciare il loro
contributo, fra gli altri, Lucio
Dalla e il sindaco di Bologna
Flavio Delbono. Ma l’iniziativa
non si è fermata lì. “Abbiamo
gettato un seme e la solidarietà si è messa in moto – dice
Morgantini -: alcune persone
che sono venute in piazza ci
hanno detto che ripeteranno
la raccolta nei paesi della
provincia. Diversi consiglieri
comunali di Bologna hanno
devoluto un gettone di presenza a questa raccolta fondi. Così
abbiamo deciso di continuare
per tutto il mese di gennaio,
confidando nella generosa
risposta di una comunità civile e solidale come quella
bolognese. E per il prossimo
8 marzo pensiamo a un’altra
iniziativa a favore delle donne
detenute”.
Il punto di raccolta per i prodotti e le donazioni di singoli
cittadini, associazioni e gruppi si trova al Centro lavoratori
stranieri della Cgil di Bologna,
in via del Porto 16/c (tutti i
giorni dalle 9 alle 13 e dalle 14
alle 18, chiuso il giovedì mattina, aperto sabato mattina).
Per informazioni si può scrivere all’indirizzo mail: [email protected].
Donne e diritti
Rossella Selmini
Responsabile servizio
Politiche per la sicurezza
e la Polizia locale
Regione
Emilia-Romagna
N
el corso dei quindici
anni di attività del
Servizio politiche per
la sicurezza e la polizia locale,
ci siamo occupati in più occasioni di violenza maschile
contro le donne, soprattutto
con alcune ricerche di natura
qualitativa e, recentemente,
con una rassegna degli interventi normativi, soprattutto
regionali, che si occupano del
tema, attraverso una pubblicazione realizzata in collaborazione con il Servizio segreteria
e affari generali della Giunta,
pari opportunità e con il Servizio politiche familiari, infanzia e adolescenza.
La scelta di utilizzare la definizione di violenza maschile
contro le donne è coerente con
l’impostazione teorica che guida questa analisi, che è quella
del conflitto di genere. È nostra convinzione, infatti, che
la violenza maschile sulle donne sia in misura ampiamente
prevalente la manifestazione
di un conflitto di genere e che
queste forme di violenza, nella
loro diversità, siano parte di
un continuum che attraversa
lo spazio pubblico e quello privato, anche se è in quest’ultimo
che tale conflitto si esprime in
modo più frequente, diffuso e
a volte estremo.
(…)Dall’indagine dell’Istat
emerge un quadro nazionale piuttosto sconfortante. In
Italia, circa una donna su tre
nella fascia d’età considerata
ha subito una violenza fisica
o sessuale. Molte donne subiscono ripetutamente queste
violenze, spesso entrambe le
tipologie. La ricerca dimostra
anche come il fenomeno sia
ancora largamente sommerso, perché, oltre a denunciare
raramente (e nonostante la
percentuale di denunce di violenza sessuale sia passata dal
5% del 1996 al 17% del 2005), le
donne non parlano volentieri
di quanto è loro accaduto, neppure con persone amiche.
L’Emilia-Romagna è una regione in cui la violenza sembra essere molto diffusa, perché registra un tasso di vittime assai
sopra la media nazionale. Solo
il Lazio e poche altre regioni
del Nord registrano più o meno
lo stesso tasso.
(…)Emerge però con chiarezza che nella nostra regione le
donne dichiarano – e percepiscono come violenza – un
numero maggiore di comportamenti maschili, e che la nostra regione è una di quelle,
insieme a Trentino Alto Adige
e Friuli-Venezia Giulia, dove il
tasso medio di denuncia dal
1996 al 2006 è il più elevato
rispetto alla media nazionale.
Le donne che dichiarano di
essere state vittime di violenza fisica in Emilia Romagna
sono una su quattro (23,1%);
due terzi lo sono state più volte
(62,4%).
La violenza è più probabile
quando c’è un conflitto tra
l’uomo e la donna, che coincide spesso con la fine della loro
relazione. Gli autori principali
e allo stesso tempo più recidivi
Argentovivo gennaio 2010
La risposta alla violenza
non è chiudersi in casa
15
Argentovivo gennaio 2010
Donne e diritti
16
sono infatti gli ex fidanzati, ex
mariti o ex conviventi. La ricerca conferma anche come il
luogo dove solitamente si consumano le violenze sia la casa.
Abbiamo alcune ipotesi per
spiegare questa maggiore diffusione del fenomeno nella nostra regione (e, in generale, in
tutte le regioni del Nord Italia,
più il Lazio) e le abbiamo verificate in questo lavoro incrociando i risultati con alcune
variabili regionali: i tassi di
separazione, il livello di istruzione, il tasso di occupazione
femminile, la percentuale di
donne che vivono sole, il numero di donne che ha uno stile di
vita dinamico e che si prende
cura di sé (ricostruito attraverso la percentuale di donne che
dichiarano di fare sport nel
tempo libero). Esiste una forte
relazione, in Emilia-Romagna
e anche in altre regioni, tra
queste variabili e la dichiarazione di vittimizzazione.
(…)Infine, un’ulteriore spiegazione della maggiore percezione di insicurezza delle
donne, come emerge dalle inchieste di vittimizzazione o da
altre indagini qualitative, ha a
che fare con l’associazione delle donne alla definizione di sé
come soggetti vulnerabili e bisognosi di protezione, mentre
agli uomini viene insegnato a
nascondere le loro emozioni e,
soprattutto, a non manifestare
le loro paure.
La vera differenza rimane nella percezione di sicurezza nel
muoversi nello spazio pubblico, dove ancora le donne esprimono una preoccupazione
maggiore, e soprattutto dove
si vede che la limitazione dei
propri comportamenti e della propria sfera di autonomia
per paura della criminalità è
ancora molto più alta di quella
maschile. E questo a dimostrazione che il discorso pubblico
contemporaneo e il senso comune, che individua il pericolo
maggiore per le donne fuori
casa e per opera di sconosciuti, è in grado di influenzare
fortemente le opinioni femminili, mettendo in secondo piano quello che è invece, per le
donne, il luogo più pericoloso,
la propria sfera domestica, e
quelli che sono gli autori più
probabili, i propri compagni o
amici.
(…) Questa è solo una parte,
e neppure la più rilevante, del
fenomeno della violenza sulle
donne, ma è stata in grado di
condizionare le opinioni comuni – incluse quelle femminili - e spesso anche le scelte
in materia di prevenzione. In
questi anni, abbiamo così visto susseguirsi proposte e iniziative tutte centrate sull’idea
della protezione di donne indifese dalla minaccia di uno
sconosciuto, attraverso la videosorveglianza, i taxi rosa, i
parcheggi riservati e così via.
Più recentemente, inoltre, abbiamo visto moltiplicarsi gli
sforzi per accentuare l’intervento di natura penale in chiave fortemente repressiva.
(…) Il cuore del problema sta
nel conflitto di genere, conflitto che si acuisce in condizioni
di maggiore indipendenza e
autonomia delle donne, di cui
le varie forme di violenza sono
una manifestazione estrema, ma ampiamente diffusa
nell’esperienza di vita di molte
donne. Crediamo sia da questo dato che si dovrebbe partire per impostare politiche
di prevenzione centrate sulla
responsabilizzazione degli autori e sul sostegno alle donne
non nell’ottica della tutela,
ma della estensione delle loro
libertà a vivere serenamente
sia nello spazio pubblico che
in quello privato.
Per questo motivo, da alcuni
anni la Regione Emilia-Romagna ha affiancato alla consolidata attività di sostegno ai centri antiviolenza alcuni progetti
più sperimentali, legati alla
prevenzione precoce: campagne di educazione al rispetto
della differenza dalla scuola
materna alla scuola dell’obbligo, interventi sull’adolescenza,
secondo una logica che è quella
di prevenire nei giovanissimi
la diffusione di questi comportamenti, educare gli uomini al
rispetto della differenza sessuale, continuare a intervenire
nel momento dell’emergenza
(ricordiamo qui anche la diffusione di programmi formativi
delle polizie municipali per
l’accoglienza alle donne che
subiscono violenza).
La soluzione non è tornare indietro e chiudere le donne in
casa. La soluzione è ampliare
gli spazi di libertà e di autonomia delle donne, educare
i maschi a rispettarle, sostenere le coppie nelle fasi di
separazione e nelle crescenti
difficoltà ad affrontare la difficile condivisione dei compiti
domestici e di cura, correggere
le distorsioni istituzionali che
ancora impediscono il pieno
riconoscimento dei diritti delle donne, e così via. Per questo le nostre politiche vanno
ripensate in una dimensione
molto più ampia, che sia in
grado di affrontare questi diversi aspetti, mentre il sistema
penale va sollecitato ad introdurre anche tipologie nuove
di intervento sugli autori, programmando, per esempio, interventi di recupero, anche in
ambiente carcerario, degli uomini violenti. Esperienze che a
tutt’oggi sono nel nostro Paese
ancora molto limitate.
L’articolo è la sintesi dell’intervento di presentazione di
una ricerca sulla violenza di
genere, l’11 gennaio 2010. Il
testo integrale è nel volume
“Città sicure” n.35, anno 2010.
Economia e consumi
Renza Barani
Presidente
Federconsumatori
Modena
D
al primo gennaio 2010
anche in Italia esiste
la “class action”, ovvero la “azione collettiva”. Purtroppo, la grande attesa e le
legittime aspirazioni dei consumatori per quello che poteva
rappresentare un forte ed efficace strumento di tutela dei
loro diritti, sono state deluse.
La class action all’italiana è
nata dopo anni di discussioni
parlamentari, iniziate nel 2004
a seguito del crac Parmalat
(uno dei primi shock finanziari
che hanno colpito i risparmiatori e i cittadini). Dopo numerosi
rinvii della sua entrata in vigore, prevista inizialmente per luglio 2008, poi slittata a gennaio
2009 dopo le elezioni politiche
ed il cambio della maggioranza
di governo, e nuovamente rinviata a luglio, ora è realtà.
Nel frattempo, purtroppo,
l’esecutivo ha presentato una
serie di emendamenti che hanno modificato in modo radicale
la normativa già approvata. La
legge che ora è in vigore, pur
rappresentando una novità per
il nostro Paese, nel quale non
esisteva alcuno strumento di
tutela collettiva per i consumatori e gli utenti che subiscono
le conseguenze di comportamenti o pratiche commerciali
scorrette, è stata svuotata di
contenuto, e i suoi effetti sono
assai ridotti. Per non parlare
del percorso complesso e ricco
di ostacoli da affrontare per
potere indire la class action.
Insomma, l’impressione di
molti è che “la montagna abbia
partorito il topolino”.
L’aspetto più ingiusto è la
mancanza di retroattività.
Cosa significa, è presto detto:
l’azione collettiva può essere
promossa solo per gli illeciti
commessi dal 16 agosto 2009
in poi. Resta quindi esclusa
la possibilità di promuovere
delle cause collettive per i risparmiatori coinvolti nei crac
recenti (Cirio, Parmalat, bond
argentini, Lehman).
Non siamo nemmeno sicuri
della costituzionalità di una
tale previsione, che comunque
Federconsumatori ritiene particolarmente negativa, in quanto toglie la possibilità ai consumatori di ottenere un equo
risarcimento a fronte della perdita dei loro risparmi.
Ma questo non è l’unico ostacolo all’azione dei consumatori
e delle loro associazioni. Innanzitutto l’azione collettiva
non può essere promossa dalle
associazioni dei consumatori,
come era, invece, previsto nella
precedente norma varata a fine
2007 dal governo Prodi. A promuoverla prima di tutto possono
essere i soli consumatori, che
solo successivamente possono
conferire mandato ad una associazione. Per avviare un’azione
collettiva è anche necessario
che i diritti da tutelare siano
“identici”. Nel caso di una azione collettiva nei confronti delle
banche, i diritti dei consumatori
sono “identici”? Anche se quelle
commissioni più onerose del
massimo scoperto sono tutte diverse fra di loro? E si chiamano
in modo diverso, come “tasso di
sconfinamento” o “commissione di istruttoria urgente”? Se
la legge deve essere presa alla
lettera, si potrebbe ribattere
che no, non sono “identici”: conseguentemente, non sarebbe
nemmeno possibile impostare
una azione di classe.
Un altro ordine di problemi riguarda i tribunali competenti.
La normativa prevede infatti
che, salvo eccezioni, è competente solo il capoluogo della
Regione in cui ha sede l’impresa imputata. Questo potrebbe
significare che, se l’azienda
responsabile di un disservizio
o di un danno collettivo che
si è verificato in tutta Italia
si trova a Milano, i promotori
dell’azione collettiva devono
andare a Milano, con un dispendio di denaro e tempo da
impiegare.
Inoltre chi manda avanti
un’azione collettiva è obbligato a pagarsi la pubblicità. Su
questo la normativa è categorica. Dove farla e come lo dovrà
stabilire il giudice. Quindi, ancora costi che si aggiungono.
C’è poi tutto il capitolo che riguarda la rappresentatività. Il
giudice può dichiarare l’azione
inammissibile per diverse ragioni: perché “manifestamente
infondata”, o perché “sussista
Argentovivo gennaio 2010
Nasce la “class action”
ma è un’occasione sprecata
17
Argentovivo gennaio 2010
Economia e consumi
18
un conflitto di interessi” o “il
proponente non appare in grado di curare adeguatamente
l’interesse della classe”. Altro
intralcio, piuttosto nebuloso,
che assegna ancor più potere
decisionale al giudice. Ancora,
nel caso il giudice dichiarasse
inammissibile la domanda di
azione di classe, i proponenti
dovranno pagare le spese di
pubblicità per informare tutti della propria sconfitta, ma
c’è la possibilità che debbano
anche risarcire l’impresa che
hanno chiamato in giudizio.
Per quanto poi, riguarda l’azione collettiva contro le inefficienze della Pubblica amministrazione, i cittadini che
volessero promuoverla sono
decisamente disincentivati dal
farlo, perché non ne ricaverebbero alcun vantaggio personale. La class action italiana prevede che coloro che aderiscono
all’azione debbano pagare le
spese di procedimento sia in
caso di compensazione delle
spese (cosa che accade spesso
davanti al Tar, anche in caso di
accoglimento del ricorso) sia in
caso di successo dell’Amministrazione (anche in questo caso
i Tar condannano abitualmente
i ricorrenti a pagare le spese).
Perché, stando così le cose, il
cittadino dovrebbe partecipare, sapendo che ha solo da perdere dall’adesione alla azione?
In questi casi potranno essere
le Associazioni dei consumatori ad avviare le azioni collettive: questo è positivo, certo, ma
dovranno sopportarne i costi
anche in caso di vittoria.
Sono queste, in sintesi, le nostre
riflessioni “a caldo”. Nei prossimi giorni, la Consulta giuridica nazionale darà indicazioni
più precise. Certamente non è
questa la normativa che volevamo, perché non garantisce la
tutela dei consumatori e degli
utenti. Non è questa la legge
per la quale ci siamo battuti in
questi anni, quando abbiamo
chiesto uno strumento per fare
fronte agli squilibri contrattuali, che da sempre caratterizzano i rapporti fra consumatori
ed imprese, e per poter agire
nei confronti delle imprese che
attuano meccanismi vessatori
a danno dei consumatori. Nemmeno l’azione della Autorità
garante della concorrenza e
del mercato è sufficiente a debellare gli abusi delle imprese.
Siamo contrari all’idea che una
class action realmente efficace
avrebbe costituito uno strumento dannoso per l’economia del
Paese, come sostenuto da alcune associazioni imprenditoriali.
Un’impresa seria, che rispetta le
regole della concorrenza, della
tutela dei lavoratori e della sicurezza dei prodotti non ha niente
da temere. Anzi, a lungo andare
sarà più forte sul mercato. Solo
le imprese che non rispettano
le regole dovrebbero temere la
class action.
In questi primi giorni del 2010
molte Associazioni dei consumatori, e tra queste anche
Federconsumatori, hanno annunciato l’apertura di azioni
collettive su diverse materie:
si va dai servizi bancari e finanziari ai test “fai da te”
per l’influenza suina, dai mutui al monopolio informatico
di Microsoft. È evidente che
dopo tanti anni di attesa c’è
la voglia e la volontà di avere
più giustizia per i consumatori. È evidente però che, per
le ragioni che abbiamo elencato, l’azione collettiva, come
ribadito anche dal presidente
dell’Antitrust, deve essere
usata in queste prime fasi con
molta attenzione, ponderando
bene la fondatezza delle azioni
da portare avanti. Altrimenti
vi è il serio rischio che essa
perda di importanza e diventi
uno strumento residuale. Questo significherebbe una sconfitta per i consumatori e per le
loro associazioni.
Auspichiamo compattezza ed
unità di intenti delle Associazioni dei consumatori, sia
nelle azioni stesse che nel rivendicare le variazioni di cui
questa legge avrà bisogno una
volta che ne sarà misurata la
sua reale efficacia.
Pillole d’Europa
a cura di Livio Melgari Dipartimento internazionale Spi
I pilastri dell’Unione
L’Unione europea prende decisioni in tre “ambiti” (settori politici) distinti, noti anche come
i tre “pilastri” dell’Ue.
Il primo pilastro è l’”ambito comunitario”, che comprende la maggior parte delle politiche
comuni e nel quale le decisioni sono prese con il “metodo comunitario”, cioè con la presentazione da parte della Commissione di una proposta al Consiglio e al Parlamento, che
la discutono, propongono emendamenti e infine la adottano, facendone un atto legislativo
dell’Ue (durante questo processo vengono spesso consultati altri organi, quali il Comitato
economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni).
Il secondo pilastro è la “politica estera e di sicurezza comune”, ambito nel quale il Consiglio
decide da solo.
Il terzo pilastro è la “cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale”: anche in questo
caso l’unica istituzione a prendere decisioni è il Consiglio.
Nell’ambito del primo pilastro il Consiglio decide di norma mediante “voto a maggioranza
qualificata”, mentre per gli altri pilastri il Consiglio deve decidere all’unanimità: qualsiasi
decisione può essere bloccata dal veto di un singolo Paese.
Consigli utili
Il bollo auto:
come e quando si paga
ad
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Francesco Scarlino
Segretario nazionale Ficiesse
via rilasciato dagli uffici della ex Motorizzazione civile. Per le auto acquistate usate
da un rivenditore, vale la data di autentica
notarile dell’atto di vendita.
Le auto anziane (con almeno 30 anni)
Sono esenti dalla tassa automobilistica i
veicoli (autovetture, motoveicoli…) costruiti da almeno trent’anni, senza che
siano necessari particolari requisiti. Il
beneficio spetta automaticamente, non
occorre presentare una domanda apposita. Per verificare se si ha diritto al beneficio, fa fede la data di immatricolazione
risultante dal “libretto” di circolazione.
Se i veicoli in questione sono messi in
circolazione su strade pubbliche, sono tenuti al pagamento di una tassa forfettaria
dovuta in misura fissa a titolo di tassa di
circolazione (indipendentemente dalla
potenza del motore). Il pagamento può
effettuarsi, senza sanzioni, in qualsiasi
mese dell’anno, purché prima della messa
in circolazione del veicolo. Questo regime
agevolato non si applica ai veicoli “ ad uso
professionale” . Sono da considerarsi tali,
ad esempio, quelli adibiti al servizio pubblico da piazza, a noleggio, da rimessa o a
scuola guida.
I benefici indicati per le auto “anziane”
si applicano con le stesse modalità nei
riguardi dei veicoli che abbiano compiuto vent’anni e che abbiano i requisiti per
essere considerati di particolare interesse
storico e collezionistico. Si considerano
tali i veicoli costruiti per le competizioni,
quelli costruiti a scopo di ricerca tecnica o
estetica, anche in vista di partecipazione
ad esposizioni o mostre, e infine i veicoli
che rivestono un particolare interesse in
ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume. A differenza dei
veicoli con almeno 30 anni, il beneficio in
questo caso non spetta automaticamente,
ma solo se vi è stata, da parte dell’apposito
Ente associativo riconosciuto dalla legge
(Asi, Automotoclub storico italiano), la
preventiva determinazione che individui
quali sono i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico. Se questi
veicoli sono messi in circolazione su strade pubbliche, sono tenuti al pagamento di
una tassa forfettaria in misura fissa, con le
stesse condizioni di pagamento applicate
alle “auto anziane”.
Argentovivo gennaio 2010
Il
programma per il conteggio del
bollo auto permette di calcolare
l’importo della tassa automobilistica nel periodo di pagamento (che coincide con il mese successivo alla scadenza).
Ad esempio: per i bolli che sono scaduti
il 31/12/2009 il periodo di pagamento va
dall’1/1/2010 al 31/1/2010. Se il calcolo
viene effettuato in una data successiva al
periodo di pagamento, il servizio calcolerà
anche le eventuali sanzioni ed interessi.
Ad esempio: se il calcolo viene effettuato
dall’1/1/2010 al 31/1/2010, per le tasse automobilistiche scadute il 31/12/2009, non
saranno calcolati sanzioni ed interessi. Se
il calcolo viene effettuato dopo il 31/1/2010
verranno calcolati invece sanzioni ed
interessi. Attenzione: l’indicazione di
eventuali sanzioni e interessi non implica
l’irregolarità di versamenti già effettuati.
La competenza per la tassazione del bollo
auto spetta alle Regioni, che gestiscono le
banche dati relative ai versamenti.
Il primo bollo per l’auto nuova
Il primo bollo deve essere eseguito entro il
mese di immatricolazione. Se però questa è
avvenuta negli ultimi dieci giorni del mese,
per pagare c’è tempo fino all’ultimo giorno
del mese successivo. Se l’ultimo giorno del
mese cade di giorno festivo o di sabato, la
scadenza è spostata al primo giorno feriale. In ogni caso, il mese di immatricolazione deve essere pagato per intero (anche
nel caso limite di immatricolazione avvenuta l’ultimo giorno del mese). La data di
immatricolazione si rileva dalla carta di
circolazione o, in mancanza, dal foglio di
19
Auser
Il trasporto sociale:
una domanda che cresce
Franco Digiangirolamo
Presidente Auser
Emilia-Romagna
Argentovivo gennaio 2010
Il
20
bisogno-domanda di
accompagnamento e
trasporto sociale è in
forte crescita per una serie di
fattori: l’invecchiamento della
popolazione, il ridimensionamento delle reti di protezione
familiari, l’aumento delle famiglie unicellulari, l’organizzazione e la distribuzione sul
territorio dei servizi pubblici
(spesso anch’essi produttori
di diseguaglianze negli accessi), l’estensione del diritto
al lavoro, allo studio, alla vita
sociale.
Questa domanda si somma a
quella “non espressa” perché
la probabilità di ottenere risposte è molto bassa, oppure
perché non si ha neppure la
forza e la possibilità di “chiedere”. La dimensione di questa
domanda si può stimare solo
attraverso l’attività delle numerose associazioni e cooperative sociali che se ne occupano
direttamente. Infatti questa
domanda si scarica totalmente sulle famiglie, sui Comuni
(che l’affrontano quasi sempre
in modo singolo e non associato) e sull’associazionismo di
volontariato e di promozione
sociale. In un contesto di grave
crisi economica, la domanda di
trasporto sociale e accompagnamento aumenta mentre le
risorse pubbliche e private per
poterla soddisfare diventano
sempre più scarse.
Su 12 associazioni Auser territoriali in Emilia-Romagna,
che operano sia sulla base
di convenzioni con strutture
pubbliche che su richieste
dirette a Filo d’Argento, solo
due dichiarano di essere riuscite a rispondere a tutte le
richieste ricevute, mentre 10
dicono di non essere in grado
di rispondere a tutte le domande espresse. La domanda che
abbiamo cercato di soddisfare
come Auser aveva le seguenti
caratteristiche: 75% accompagnamento e trasporto verso
strutture sanitarie; 12% per
attività di socializzazione; 12%
verso strutture scolastiche;
1% verso luoghi di lavoro. Tra i
trasportati la stragrande maggioranza è di ultra65enni, e i
diversamente abili sono il 15%
del totale.
In Emilia-Romagna i Comuni
adottano criteri di priorità
per organizzare la risposta ai
cittadini (salute, età, urgenza,
consistenza delle reti familiari…), e 2/3 degli Enti locali
convenzionati richiedono un
contributo al cittadino. La
compartecipazione dei cittadini alla spesa viene discussa, è
oggetto di contrattazione con
le organizzazioni sindacali,
ed è estremamente difforme
da realtà a realtà. Poche, ma
preziose, le esperienze di coordinamento distrettuale o
intercomunale dell’attività di
trasporto sociale.
Riteniamo, come Auser, che il
miglioramento del trasporto
sociale e accompagnamento
sia uno dei terreni di lotta per
superare le disuguaglianze
nell’accesso ai servizi sanitari e sociali e le barriere che si
frappongono ai diritti di cittadinanza, per la prevenzione
del rischio di solitudine e di
emarginazione di gran parte
della popolazione anziana e
disabile. La mobilità non è solo
uno spazio di libertà ma una
precondizione per l’esigibilità
di fondamentali diritti (lavoro, istruzione, salute, relazioni
sociali). Per il suo raggiungimento occorre un salto di qualità: nelle politiche pubbliche
della Regione Emilia Romagna; nelle politiche territoriali
delle istituzioni (Comuni, Asp,
Aziende Usl in primo luogo),
chiamate alla elaborazione
dei “Piani per il benessere”;
nel ruolo dell’associazionismo
e della cooperazione sociale;
nel ruolo della contrattazione
sociale territoriale promossa
dalle organizzazioni sindacali.
Intendiamo farci carico di un
processo di innovazione del
welfare locale sul terreno del
trasporto sociale e dell’accompagnamento, mettendo in pratica un concetto di sussidiarietà orizzontale che non si limiti
a predisporre risposte che il sistema pubblico non è in grado
o non vuole offrire, ma sappia
proporre l’analisi dei bisogni e
dei diritti dei cittadini più deboli, e avanzare proposte per
il più efficiente utilizzo delle
risorse pubbliche e private.
Territori e leghe
Paola Guidetti
G
uglielmo Epifani l’ha
definita la crisi più
grave degli ultimi 80
anni. “Non passerà da un giorno all’altro”. E ha aggiunto: “Il
governo quindi la smetta di
fare ottimismo: serve un progetto all’altezza del problema
e un piano di coesione sociale
che coinvolga chi paga il prezzo più alto... servono nuove
politiche redistributive, altrimenti si condannano migliaia
di persone a valicare la soglia
della povertà e a vivere sotto la
dignità minima”.
Maurizio Piccagli, segretario provinciale del sindacato
pensionati Spi-Cgil di Reggio
Emilia, elenca i punti e le cifre
di questa crisi che ha colpito
pesantemente anche il sistema economico e produttivo
emiliano. “I pensionati nella
nostra provincia sono 130mila:
di questi - sottolinea - più del
50% hanno bisogno di un intervento strutturale, perché percepiscono una pensione mensile al di sotto dei 700 euro.
Gli interventi del governo sono
stati parziali e non hanno certo risolto il problema. La Social card non si è mostrata una
soluzione utile. Non è giusto
che chi ha lavorato 35-40 anni
in fabbrica o in campagna ed
è andato in pensione qualche
anno fa abbia oggi difficoltà ad
arrivare a fine mese”.
Cosa chiede la Cgil
Una riduzione delle tasse sui
redditi da pensione (a partire
dal superamento del Fiscal
drag), un intervento sui meccanismi di rivalutazione delle
pensioni che possa garantire
la copertura del costo della
vita e il reddito perso negli
anni scorsi, uno Stato sociale
degno di un Paese civile (basato cioè sull’assistenza, ispirato
a criteri di equità e giustizia
sociale), e non un sostegno residuale fatto di misure caritatevoli (i bonus).
Pesanti conseguenze per i
lavoratori autonomi
La crisi ha modificato anche
questioni di carattere previdenziale. Auro Algeri, del
patronato Inca Cgil di Reggio
Emilia, parla delle conseguenze pensionistiche dei lavoratori autonomi. “Per queste categorie economiche non esistono
ammortizzatori sociali che
garantiscono trattamenti sostitutivi del reddito da lavoro,
mentre il lavoro dipendente
può avere cassa integrazione,
disoccupazione, mobilità… I
commercianti e gli artigiani
non hanno trattamenti economici sostitutivi del reddito per
i periodi di crisi, se si esclude
la cosiddetta rottamazione dei
negozi: infatti nel commercio
le donne di 57 anni e gli uomini di 62, se restituiscono le
licenze, hanno diritto ad un
trattamento economico pari
alla pensione minima fino a
quando non raggiungono l’età
per la pensione di vecchiaia”.
Il popolo delle partite Iva
Parlare di questo a Reggio
Emilia è importante, perché
in questa provincia esistono
migliaia di lavoratori autonomi, in particolare nel settore
dell’edilizia, che hanno scelto
o sono stati costretti ad aprire
le cosiddette partite Iva, pur
essendo essenzialmente dei
prestatori d’opera e quindi dei
lavoratori dipendenti. Questi
lavoratori hanno un danno
immediatamente percepibile a causa della mancanza
di lavoro e di reddito. Quello
che spesso ignorano è il grave
danno che subiscono sul piano
previdenziale e pensionistico.
Per coloro che hanno scelto di
inquadrarsi nel lavoro autonomo o hanno subito tale situazione con l’illusione di avere
un reddito diretto più elevato
(a scapito delle loro coperture
assicurative e previdenziali),
si pone il problema di riconsiderare la loro prospettiva e
di battersi, al fine di vedersi
riconosciuta l’effettiva posizione di prestatori d’opera, come
lavoratori dipendenti. Non
Argentovivo gennaio 2010
Reggio Emilia, così la crisi
colpisce i pensionati
21
Argentovivo gennaio 2010
Territori e leghe
22
tutte le attività autonome hanno registrato un azzeramento
del reddito o si sono cancellate per chiusura dell’attività:
molte hanno avuto una consistente riduzione del lavoro
e di conseguenza del reddito.
Questo significa che ai fini delle pensioni di questi soggetti
si determineranno delle conseguenze molto pesanti. Molto
più di quanto non succeda nel
settore del lavoro dipendente.
I lavoratori dipendenti con gli
ammortizzatori sociali hanno
magari consistenti riduzioni
di reddito, ma la contribuzione
figurativa li tutela per quanto
riguarda la pensione. Mentre
gli artigiani e i commercianti,
che magari fino al 2008 dichiaravano redditi piuttosto elevati, con la crisi avranno, oltre
ad una consistente riduzione
del reddito, una consistente riduzione dei contributi versati.
Tali contributi sono calcolati
in percentuale sull’imponibile
fiscale del loro reddito. La riduzione consistente di questi
imponibili potrà avere pesanti
conseguenze sul calcolo delle
loro pensioni, che ovviamente
sono differenziate sulla base
di parametri diversi. Tutto dipende da quanto consistente
sarà la riduzione del reddito,
per quanto tempo durerà questa riduzione, quanto sarà l’anzianità maturata nella gestione autonoma. Dunque inserire
anni di bassa contribuzione
dopo periodi di importi superiori può abbassare in modo
consistente ed irreversibile la
prestazione. Questo danneggia
maggiormente i soggetti molto
giovani, che andranno in pensione con il sistema contributivo: già sono penalizzati perchè
accantonano il 20% contro il
33% dei dipendenti, se poi il
20% viene calcolato su imponibili bassi il danno è altissimo.
“Sempre sul piano delle diversità che caratterizzano la gestione previdenziale tra lavoratori dipendenti e autonomi
- conclude Algeri - segnaliamo
inoltre che per il calcolo della
pensione dei dipendenti si può
applicare - in virtù di una sentenza della Corte costituzionale - una norma che permette
di escludere gli ultimi anni
dal calcolo della pensione,
qualora questi fossero penalizzanti. I lavoratori autonomi
sono invece esclusi da questa
opportunità”.
È chiaro allora quanto sia indispensabile una attenta gestione delle conseguenze previdenziali che la crisi comporta,
conseguenze che non vengono
immediatamente
percepite
dai lavoratori interessati. Occorre allora che coloro che
sono formalmente artigiani
(ma in quanto puri prestatori d’opera dovrebbero essere
inquadrati come dipendenti)
riflettano sulla loro attuale
condizione e si documentino
bene sulle prospettive pensionistiche, per non trovarsi alla
fine dell’attività lavorativa con
una pensione ‘da fame’. Il patronato Inca Cgil è a disposizione di tutti questi lavoratori
per l’indispensabile attività di
assistenza.
Un esempio
Un dipendente che ha accumulato 35 anni di contributi (con
una media salariale di 50mila
euro lordi l’anno) avrebbe maturato il 70% di 50mila euro,
cioè 35mila euro lordi annui di
pensione. A causa della crisi,
questo dipendente potrebbe
trovarsi una riduzione del salario da 50mila a 30mila euro
annui. Tra 5 anni, quando avrà
40 anni di contributi e la media
salariale su cui verrà calcolata
la pensione sarà tale da determinare un importo di pensione
molto più basso, il lavoratore
potrà chiedere di riportare la
sua pensione ai 35mila euro
che aveva maturato prima
della riduzione dello stipendio. Tutto ciò invece, per motivi che non sono socialmente
comprensibili, non può essere
applicato a favore dei lavoratori autonomi, i quali dovrebbero
mobilitarsi per ottenere parità
di diritti.
Territori e leghe
Norma Lugli
Segretaria territoriale
Spi-Cgil Modena
S
i è rinnovato anche nel
2009 il tradizionale
concerto-spettacolo che
da ormai quattordici anni il
sindacato pensionati di Modena offre per Natale ai propri
volontari e iscritti. Lunedì
21 dicembre scorso, al teatro
Storchi di Modena, è andato
in scena lo spettacolo “Scritto sull’acqua, vita e voci dalla
savana” con Ivana Monti, Anna
Palumbo e Teri Weikel.
Lo spettacolo, opera della scrittrice modenese Annalisa Vandelli, racconta la vita dell’altopiano e della savana in Etiopia,
dove l’acqua è il filo conduttore
dell’esistenza. Un emozionante viaggio nelle arti che vuole
dar voce alle minoranze, e che
si snoda in una serie di lunghi
monologhi interiori di diversi
personaggi africani posti di
fronte alle difficoltà della vita e
della Storia.
Il secondo tempo è stato dedicato al concerto del quintetto
Tango Fatal, che ha proposto
le atmosfere suggestive e sensuali della musica rioplatense,
in una alternanza tra brani e
pezzi strumentali, tra tango
classico del primo Novecento,
“tango nuevo” di Astor Piazzolla e composizioni originali,
per una performance tutta al
femminile.
Lo spettacolo è stato preceduto da un saluto della segretaria provinciale Spi-Cgil Luisa
Zuffi e della segretaria confederale Fiorella Prodi.
Il concerto-spettacolo è stato
dedicato alle lotte delle donne
per l’emancipazione e i diritti,
e rientra nelle celebrazioni
partite fin dal 2008 in occasione del centenario dell’8 marzo, festa internazionale della
donna: la manifestazione ha
inoltre avuto il patrocinio del
Comune e della Provincia di
Modena.
Un momento dello spettacolo. In basso il teatro Storchi,
l’attrice Ivana Monti e il pubblico della serata
Argentovivo gennaio 2010
Modena, per gli iscritti Spi
una sera di teatro e tango
23
Territori e leghe
C’è un “Posto delle fragole”
anche a Santarcangelo
Giovanna Gazzoni
Coordinamento donne
Spi-Cgil Santarcangelo
Argentovivo gennaio 2010
Il
24
pomeriggio del 15 dicembre scorso, allo
Zoe Caffè di Santarcangelo, è nato il terzo “Posto
delle fragole” della provincia
di Rimini. Il Coordinamento
donne del Sindacato pensionati, come già a Riccione e a
Bellaria, dove sono costituiti
da tempo i “Posti delle fragole” come luoghi di socializzazione e di incontro dedicati
alle donne, ha pensato di organizzare a Santarcangelo un
primo confronto sulla possibilità di realizzare sul territorio
Rimini-nord (Santarcangelo,
Poggio Berni, Torriana) tale
esperienza, che ha dimostrato
nel tempo di essere una risposta concreta ai problemi delle
donne.
Non esistono modi e regole
prefissate nella organizzazione e nella gestione dei gruppi,
ma il forte convincimento che
insieme è possibile conoscere
meglio ed affrontare i molteplici problemi che connotano
oggi la condizione femminile,
sia a livello individuale che
politico-sociale; ogni gruppo
quindi decide in autonomia i
tempi, i modi, i contenuti degli
incontri.
Così a Bellaria e a Riccione,
con cadenza settimanale, le
donne dello Spi, ma anche chi
voglia liberamente partecipare, si incontrano per seguire
corsi di scrittura autobiografica (quest’anno la conoscenza
di sé attraverso un percorso
sulla memoria dei sensi), laboratori di cucina creativa,
incontri di approfondimento
su temi e luoghi di cui si parla:
da un reportage di viaggio in
Palestina, alla figura femminile nella Costituzione, dalla
discussione e approfondimento del tema della violenza sulle
donne, alla condivisione delle
diversità con le donne appartenenti ad altre culture. Sono
momenti di auto-formazione
e di confronto, in cui si scambiano conoscenze e saperi, due
ore tutte “per sé” sottratte ai
molteplici impegni familiari
e professionali che occupano
i tempi delle donne, da cui si
esce più consapevoli e con una
accresciuta stima di sé.
Punto di riferimento fondante
e condiviso, alla base di ogni
attività ed iniziativa, il convincimento che solo una reale
parità, ancora lontana dall’essere raggiunta in tutti i campi,
dal privato al politico, può garantire il riconoscimento delle
capacità e dei “talenti” delle
donne. Ma per realizzare ciò è
necessario che le donne stesse
ne siano consapevoli. E questo può avvenire meglio in un
gruppo aperto, in cui si scambiano conoscenze, esperienze
e perché no, momenti di svago.
Silvana Cerruti, responsabile
del coordinamento donne della Provincia, convinta organizzatrice e instancabile animatrice dei Posti delle fragole, ha
presentato alcune delle esperienze più importanti realizzate in questi anni su temi diversi: dalla democrazia paritaria,
alla violenza in tutti gli aspetti
in cui si manifesta, fisica, psicologica, verbale; dal lavoro di
cura in ambito familiare alle
varie forme di razzismo che
agiscono inconsapevolmente
anche in noi. Gianna Bisagni,
segretaria provinciale dello
Spi, ha ricordato la necessità
che la componente femminile, ancora non pienamente
presente e significativa nel
mondo sindacale, acquisti
maggiore forza, sottolineando
però il fatto che la provincia
di Rimini si distingue per iniziative tendenti a favorire una
reale “pari opportunità”. Come
ad esempio il recente corso di
formazione “Stima e autostima
nel lavoro sindacale”, a cura
del dottor Gilberto Giaretta.
A Santarcangelo, che pure è
un paese con forte identità,
ricco di storia, di cultura. di
associazioni, non esiste un
luogo “dedicato” in modo specifico alle donne: l’auspicio è
che ciò che nasce oggi possa
diventare un’opportunità per
raccogliere e coordinare tutte
quelle iniziative che in ambiti
e in modi diversi tendono a favorire il percorso delle donne
verso un compiuto riconoscimento. I prossimi appuntamenti, di cui si darà notizia,
potrebbero riguardare, oltre
ai lavori in preparazione del
Congresso per garantire un’effettiva parità tra donne e uomini nella composizione degli
organismi dirigenti ed esecutivi, due ricorrenze importanti:
la Giornata della memoria e l’8
marzo.
Territori e leghe
Bologna, basta un clic
per sapere come stai
Bruno Pizzica
Segretario generale
Spi-Cgil Bologna
al presidente Romano Prodi.
Il cittadino potrà decidere il
grado di riservatezza delle
informazioni di cui disporrà il
proprio fascicolo; il medico curante potrà essere autorizzato
ad accedere al sito per tenere
sempre aggiornate e sotto controllo le condizioni di salute
del proprio paziente.
Gli usi pratici? A naso e in attesa di verificare gli esiti della
sperimentazione, almeno due:
il primo, quello di non aver più
bisogno di faticose (e ogni tanto inutili) ricerche dell’ultima
lastra, quella fatta 2 o forse 3
anni fa e che occorre esibire
al radiologo per un confronto (“... com’era il colesterolo
l’ultima volta? 190, no 220...
boh, chissà dove sarà finito il
risultato di quell’esame”), ovvero ancora di avere a portata
di mano i dati sensibili della
propria cartella clinica dopo
un ricovero; il secondo, ancora
più importante e in certi casi
determinante, è la possibilità
di rendere noti in tempo reale
i propri dati sanitari e la loro
evoluzione a chi mi sta curando, magari lontano da casa.
Il progetto, al quale lo Spi di
Bologna ha aderito con interesse e curiosità e con il quale
sta collaborando, coinvolgerà
in una prima fase sperimentale una cinquantina di cittadini
“volontari” ai quali sarà fornita la password e che saranno
aiutati a creare il proprio fascicolo e a tenerlo aggiornato.
La collaborazione con Cup
2000 è ormai antica e consolidata: da ultimo, i compagni
e le compagne delle leghe di
città San Ruffillo, Savena e
Borgo Panigale lavorano con
alacrità e soddisfazione al progetto “e-care/oldes”, una presa
in carico a distanza di persone anziane fragili, che dovrà
costituire un importante antidoto alla solitudine, all’abbandono, all’insorgenza della non
autosufficienza.
In questo senso il Fascicolo sanitario elettronico è una ulteriore tappa verso la costruzione
di un sistema sanitario e sociale attento alle condizioni
di vita delle persone, che si
metta in grado di stabilire una
relazione positiva, di “copertura”, prima che si manifestino
patologie invalidanti; nel percorso ha grande importanza il
progetto “Sole”, che prevede il
collegamento in rete dei medici di medicina generale e il
loro accesso diretto ai sistemi
di prenotazione di visite e diagnostica. Una medicina organizzata attorno alla persona
e non al tipo di patologia del
quale si è portatori, quindi più
umana e disponibile ma anche
più in grado di promuovere
buone condizioni di vita, il
più a lungo possibile, ciascuno
nella propria abitazione. Come
non farsi coinvolgere?
(N.B., per la cronaca: anche il
vostro cronista ha cercato di
ottenere la password e entrare
nel gruppo di chi sperimenta
il Fse; non è stato possibile...
i miei anni sono troppo pochi.
Ci riproverò).
Argentovivo gennaio 2010
L
a propria storia sanitaria in un clic. È il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) l’ultima innovazione
del sistema Cup a Bologna, che
rappresenterà una piccola rivoluzione nella gestione delle
notizie sanitarie personali. Il
progetto è stato presentato alla
fine di dicembre e comincerà
ad essere sperimentato in queste settimane: a far da cavia
alcune decine di over 60enni
indicati, tra gli altri, dallo Spi,
che, come sempre, collabora
attivamente ad iniziative che
provano a migliorare il rapporto dei cittadini con i servizi e
a garantire la migliore presa
in carico. Cos’è il Fse? La registrazione informatica di tutti i
dati che riguardano il singolo
cittadino, dalla prima malattia
infantile, alle influenze, agli
esiti diagnostici e di laboratorio, ai ricoveri ospedalieri... La
storia sanitaria in un clic appunto, quello necessario ad accendere il computer, segnalare
la propria password ed entrare
nel fascicolo personale. Ogni
cittadino coinvolto disporrà di
una propria chiave d’entrata,
per garantire a tutti il pieno
rispetto della privacy: la prima
“chiave” è stata consegnata,
rigorosamente in busta chiusa,
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I temi della memoria
La paura e la rabbia
Vivere l’altrove: storie di migranti nella globalizzazione
Anna Maria Pedretti
L
stesso, ma uno strumento che ci rammenti
il nostro passato anche recente e le condizioni che ci hanno portato ad emigrare
(ventinove milioni di italiani tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
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’intento di questa sezione del giornale che da più di un anno i nostri
lettori seguono è sempre stato quello di fare della memoria non un’operazione
di nostalgia, un come eravamo fine a se
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“Caino negli Stati Uniti”, opera del pittore David Alfaro Siqueiros
hanno popolato le regioni più lontane del
pianeta! e questa, come tutti sanno, non è
stata l’unica ondata migratoria) per dotarci di una lente che ci permetta di leggere
ciò che accade nel nostro presente con
I temi della memoria
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi,
Se questo è un uomo,
Einaudi, Torino, 1976
Miseria e furore:
oggi Rosarno,
ieri l’America
di Steinbeck
Il brano che segue è tratto dal capitolo 21° del romanzo Furore dello scrittore americano John Steinbeck che
descrive l’America durante il periodo
della Grande Depressione quando,
come oggi a Rosarno, la miseria dei
contadini cacciati dalle loro terre da
cui non possono più ricavare il necessario per vivere diventa un “marchio
d’infamia”.
Ora gli emigranti sono trasformati in nomadi. Quella gente che aveva vissuto di
stenti sui magri prodotti d’un pezzetto di
terra, adesso ha l’intero Occidente in cui
spaziare. E lo va rovistando da un capo
all’altro, e le strade son convertite in fiumane di gente, e gli argini dei corsi d’acqua sono presidiati da falangi di straccioni. Finché erano rimasti nei loro poderi del
Middle West e del South West, erano stati
tutti coloni, coloni che l’industria aveva lasciati intatti, contadini che non sentivano
il bisogno di ricorrere alle macchine per
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maggiore consapevolezza, ci eviti di cadere vittime di una propaganda violenta e intimidatoria che stimola sentimenti di odio
e di separatezza, ci impedisca di diventare
massa informe manovrata da altri. Questo,
a mio parere, è il pericolo maggiore che
corre oggi la nostra democrazia: quello di
fare dimenticare ai cittadini che quando
una sola persona viene privata dei diritti
fondati nella nostra Costituzione, la democrazia è in pericolo per tutti. Nessuno può
sentirsi sicuro che domani non tocchi a lui
quello che vede accadere all’altro.
È per questo che abbiamo scelto (e si tratta di una scelta politica, non sentimentale) di raccontare la storia delle persone:
la storia di Anna, di Cristina, di Ismail, di
Chen, di Valda, di Maurizio, di Angelo, di
Enrico, di San e di tutti coloro che, ieri o
oggi, hanno conosciuto l’esperienza totalizzante della migrazione. Per testimoniare e conservare la loro voce. Per dare
loro voce. Per far riconoscere tutti i nostri
narratori come persone portatrici di una
storia degna come quella di chiunque altro, portatrici dunque dei diritti umani
universali.
Il racconto in prima persona, raccolto con
rispetto e attenzione dai biografi e dalle
biografe dello Spi, costituisce il riconoscimento del valore di ciascuna esperienza
restituendole la dignità di essere narrata
e letta. narra le esperienze di vita più tragiche o felici di un altro da noi, restituisce la parola alle persone, anche alle più
umili, ce le avvicina, ce le rende amiche,
ci permette di immedesimarci in loro, di
comprendere i moti più intimi del loro animo, di vedere specchiati nei loro i nostri
sentimenti e le nostre emozioni.
È per questo che oggi, dopo i fatti di cronaca clamorosi che hanno visto i nuovi migranti sottoposti nel nostro Paese a trattamenti disumani e ad azioni di odio e di
xenofobia violenti e ingiustificati, abbiamo
deciso di usare questo spazio per pubblicare documenti, anche fotografici, poesie
e testi letterari che permettano a ciascuno
di noi di capire la paura e la rabbia che ci
attraversano e di usare il nostro cuore e la
nostra ragione.
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I temi della memoria
Argentovivo gennaio 2010
John Steinbeck
lavorare la terra, né conoscevano la potenza e il pericolo delle macchine nelle
mani di privati. Non si erano assuefatti ai
paradossi dell’industria. Vedevano distintamente il lato assurdo e ridicolo della vita
industriale.
Ed ecco che, spodestati e sfrattati dalle
macchine, si ritrovano a trascinarsi senza meta sulle strade. Il moto li trasforma
totalmente; la strada li trasforma, e la
vita nella tenda, e la paura della fame, e
la fame stessa. E li trasformano i bambini senza cibo, e gli interminabili spostamenti. Ormai sono solo dei nomadi. E li
trasforma l’ostilità che incontrano dappertutto, e che li cementa, li salda insieme..,
quell’ostilità che induce i paesini a organizzarsi e ad armarsi come per respingere
un invasore, con bande armate di bastoni,
impiegati e commercianti coi loro fucili da
caccia, preparati a difendersi contro i loro
stessi fratelli.
Ed ecco che nel West subentra il panico,
ora che i nomadi vanno moltiplicandosi
per le strade. I ricchi sono terrorizzati dalla loro miseria. Individui che non avevano
mai provato la fame, ora vedono gli occhi
degli affamati. Individui che non avevano
mai provato desideri intensi per qualche
cosa, vedono ora l’ardente brama che divampa negli occhi dei profughi. Ed ecco gli
abitanti delle città e della pigra campagna
suburbana organizzarsi a difesa, dinanzi all’imperioso bisogno di rassicurare se
stessi di essere loro i buoni e i cattivi gli
invasori, come è buona regola che l’uomo
pensi e faccia prima della lotta.
Dicono: vedi come sono sudici, ignoranti,
questi maledetti Okies. Pervertiti, maniaci sessuali. Ladri tutti dal primo all’ultimo.
Gente che ruba per istinto, perché non ha
il senso della proprietà. Ed è giustificata,
se vogliamo, quest’ultima accusa; perché
come potrebbe, chi nulla possiede, avere
la coscienza angosciosa del possesso?
E dicono: vedi come son lerci, questi maledetti Okies; ci appestano tutto il paese.
Nelle nostre scuole non ce li vogliamo,
perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe
veder tua sorella parlare con uno di questi
pezzenti?
E così le popolazioni locali si foggiano un
carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le
armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è
nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti
Okies prenderci la mano. E gli uomini che
vengono armati non sono proprietari, ma si
persuadono di esserlo; gli impiegatucci che
maneggiano le armi non possiedono nulla,
e i piccoli commercianti che brandiscono
Quando la Romania non voleva gli italiani
“A metà del ’900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere
invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti e indisciplinati. (…).
I problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra ‘Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo’. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno inviata nel
1942 a tutti i Questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al governo della Dalmazia, alla Polizia di Zara e all’Alto commissariato di Lubiana, diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania.
(…)
La più antica documentazione è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”.
(…)
La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica,
ma anche in altri Paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di
transito, ma non lasciavano il Paese in cui erano solo di passaggio. Altri ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America
attraverso biglietti inviati (…) in realtà dall’altra parte dell’Oceano ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di
lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza.
(…) questo “racket” è documentato con materiale del 1908 (ministero degli Esteri) e contribuisce all’affresco di un’epoca,
non troppo lontana, quando i criminalizzati, non graditi o sfruttati, eravamo noi”.
Tratto dal sito web “Il pane e le rose di Trento”, Unione italiana degli immigrati, da un articolo di S.Parmeggiani.
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le clave possiedono solo debiti. Ma il debito
è pur qualche cosa, l’impiego è pur qualche
cosa. L’impiegatuccio pensa: io guadagno
quindici dollari la settimana; mettiamo
che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la
concorrenza di chi non ha debiti?
E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la
loro indigenza e la loro fame sono visibili
nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta
cents, io mi contento di venticinque.
Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.
No, prendete me, io ho fame, posso farlo
per quindici.
Io ho bambini, ho i bambini che han fame!
Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole
in tutto il corpo, deboli che non stanno in
piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e
mi date un po’ di carne per fare il brodo ai
miei bambini, e io non chiedo altro.
E questo, per taluno, è un bene, perché
fa calar le paghe mantenendo invariati
i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e
fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a
calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la
schiavitù.
E ora i latifondisti e le società inventano
un metodo nuovo. Metton su fabbriche di
frutta in conserva, e quando le pesche e
le pere e le susine sono mature fanno calare il prezzo della frutta fresca al di sotto
del costo di produzione. Così comprano la
frutta fresca a prezzo irrisorio, ma tengono alto quello della frutta in conserva, e
realizzano enormi profitti. E i contadini, i
contadini che non possiedono fabbriche di
frutta in conserva, perdono i loro frutteti;
e i frutteti vengono assorbiti dai latifondisti e dalle banche e dalle società che possiedono le fabbriche di frutta in conserva.
I contadini allora si trasferiscono in città, e in poco tempo vi esauriscono il loro
credito, e perdono gli amici e s’alienano i
parenti e finalmente si riducono anch’essi
sulla strada. E le strade sono affollate di
gente avida di lavoro, ma avida al punto
da esser disposta ad assassinare pur di
trovarne.
E le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I
campi sono fecondi, e sulle strade circola
l’umanità affamata. I granai sono pieni, e
i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno
che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro
che potrebbe andare in salari va in gas, in
esplosivi, in fucili, in spie, in polizie e in
liste nere.
Sulle strade la gente formicola in cerca di
pane e lavoro, e in seno ad essa serpeggia
il furore, e fermenta.
Gli italiani visti
dagli americani
(a cura di Eva Lindenmayer)
Nel suo bestseller L’orda. Quando gli
albanesi eravamo noi (Bur, 2003)
Gian Antonio Stella ci ricorda che
è una “patriottica ipocrisia” credere che i nostri emigrati erano molto
diversi da quelli che oggi sbarcano
sulle coste italiane e che la loro integrazione nei Paesi di destinazione
si sia svolta senza problemi. Scrive
Stella: “Forse nessun’altra comunità
di emigrati è stata al centro di una
massa di articoli, saggi e documenti
ingenerosi, ostili, ridicoli o spietati
come la nostra”. Il peggio del peggio
di quanto è stato scritto sugli italiani
in America è stato raccolto nel libro
Whop! di Salvatore J. LaGumina, professore al Nassau Community College,
ampiamente citato da Stella. Scrive
LaGumina: “C’è stato un periodo in
cui gli italiani nella considerazione
di molti americani erano collocati in
posizione inferiore persino a quella
dei neri”. Va ricordato che in America l’odio e il disprezzo nei confronti
degli italiani non veniva espresso soltanto dagli xenofobi fondamentalisti
del movimento “nativista” (che voleva salvare la “razza” di coloro che in
America erano nati salvo ovviamente
i pellerossa), o dai razzisti incalliti
del Ku Klux Klan. Facevano parte del
coro anche organi di stampa rispettabili come il “New York Times”, riviste
prestigiose come “Harper’s Weekly” e
“Leslie’s Illustrated” e alcuni scrittori socialmente impegnati che trascuravano accuratamente ogni aspetto
positivo della vita degli immigrati.
Un gruppo di immigrati italiani ai primi del ’900, ad Ellis Island, la “porta d’accesso” agli Stati Uniti
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I temi della memoria
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I temi della memoria
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Riportiamo qui qualche stralcio uscito a cavallo del Novecento, da cui
risulta che non c’è stereotipo rinfacciato oggi agli immigrati che non sia
stato in altri tempi rinfacciato ai nostri emigrati.
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Sono poveri
“Da quando New York è stata fondata non
è mai esistita una classe così abietta e
ignorante tra gli immigrati come gli italiani meridionali sbarcati qui in massa
l’anno scorso. Provengono dalle province
più povere a sud di Napoli che esportano
per lo più straccioni. Sono province così
povere che pare del tutto inverosimile
che questa gente possa avercela fatta ad
arrivare fin qui con mezzi propri. Più di
una volta viene il grave sospetto che siano stati i comuni italiani ad inviarceli
contenti di essersene sbarazzati. […]
Appena arrivati questi contadini e contadine intraprendono poi i mestieri più
degradanti che si possano trovare in una
grande città. Sono loro che ripuliscono
dall’immondizia le nostre strade, i loro
figli crescono in luridi scantinati colmi
di cenci e di ossa o in solai sovraffollati
dove vivono insieme molte famiglie e vengono poi mandati nelle strade a raccattare qualche soldo nei commerci spiccioli.
Ai genitori non importa niente del loro
benessere e non si curano minimamente
della loro istruzione. Questi bambini trascorrono le giornate in giro per le strade
dove dovrebbero raccogliere rifiuti, lucidare scarpe o svolgere altri mestieracci,
ma di fatto vengono su come vagabondi e
fannulloni. Non sanno la nostra lingua e
non ricevono alcuna educazione che potrebbe prepararli a diventare cittadini
americani”. (New York Times, 5 marzo
1882, LaGumina, p. 5).
Sono ignoranti e fannulloni
“Solo il 40% circa della popolazione italiana sa leggere e scrivere e questa percentuale viene spesso ritenuta inattendibile. Quando, per esempio, recentemente
c’è stata una visita di leva di mille uomini è risultato che solo il 26% di questi
sapeva leggere. Quando ai tassisti nelle
città si indica una strada e un numero civico, portano i clienti nella strada desiderata e chiedono loro di dire stop quando il
relativo numero civico è stato raggiunto.
A forza di viverci conoscono le strade delle città, ma non sanno leggere i numeri
e devono ricorrere all’aiuto dei clienti.
A volte fermano passanti per chiedere
informazioni.
Per quanto riguarda i loro scopi nella
vita, pochi sono coloro che aspirano a
fare altro che condurre una esistenza dedicata al dolce far niente. Un po’ di maccheroni per colazione, una strimpellata
di chitarra, di mandolino o di cetra per
passare allegramente le notti suonando
sotto le finestre per racimolare qualche
centesimo, e l’italiano è contento”. (Regina Armstrong, “Startling Facts About
Our Pauper Italian Immigrants” [“Fatti
allarmanti sui nostri immigrati italiani
poveri”], Leslie’s Illustrated, marzo 1901,
LaGumina, p. 117-118).
Sono sporchi e puzzano
“Tra i giri che ero abituato a fare nei
quartieri più poveri c’era quello che mi
portava a “Five Points”, quartiere italiano. Qui in enormi casermoni erano ammucchiati centinaia di italiani poveri, in
gran parte impegnati a portare in giro
per città e campagne l’immancabile organetto o a vendere statuine. In una stessa
Un’altra opera di David Alfaro Siqueiros
stanza trovai scimmie, bambini, uomini
e donne, con organetti e stampi di gesso
tutti accalcati gli uni sugli altri. Vi era
uno schiamazzo da manicomio e un misto
di odori composto da aglio, puzza di scimmie e tanfo di persone sporchissime. Era
senza eccezione la popolazione più sozza
che avessi mai incontrata”. (Charles Loring Brace, The Dangerous Classes of New
York [Le classi pericolose di New York],
1872, LaGumina, p. 50).
Portano criminalità
“L’importazione in grande stile di italiani dalla Calabria e dalla Sicilia è entrata
in una nuova fase. […] Rappresentanti della Società Italiana affermano che
questi uomini sono la classe più pericolosa d’Europa. Sono carbonari e banditi e
alla minima provocazione manifestano il
loro carattere. Alla luce di questi fatti la
Società […] protesterà contro l’avvio di
questa gente a New York, che diventerebbe nientemeno che la colonia penale per i
rifiuti d’Italia se questo tipo di emigrazione non verrà fermata”. (New York Herald,
12 dicembre 1872, LaGumina, p. 25-26).
“Anche se non disponiamo di stime nemmeno approssimative circa il numero
complessivo di criminali italiani negli
Stati Uniti, una cosa è certa: i crimini
da loro commessi negli ultimi dieci anni
hanno raggiunto un record ineguagliato
nella storia di un paese civile in tempo di
pace”. (Frank Marshall White, Fostering
Foreign Criminals [Favorendo i criminali stranieri], Harper’s Weekly, 8 maggio
1909, LaGumina, p. 93).
Sfruttano il nostro benessere
“Gli operatori delle istituzioni caritative
concordano nel dire che molti italiani
meridionali sbarcano con le più bizzarre
idee su ciò che qui li aspetta. Immediatamente ricorrono agli aiuti sociali con
l’aria strafottente di chi dice: ‘Eccoci
qui. Cosa farete per noi?’. Insistono addirittura sugli aiuti come se fossero loro
dovuti. Nel loro Paese si è sparsa la voce
che nella stupida America panieri di cibo
I temi della memoria
verrebbero mandati a chiunque ne avesse bisogno e alcuni attraversano l’oceano
proprio per approfittare di questa generosità. […] E’ curioso che gli immigrati
appena arrivati, poco adattabili agli standard americani, imparino invece rapidamente ad individuare le istituzioni alle
quali possono tranquillamente affidare i
figli facendoli nutrire, vestire e accudire
a spese dei contribuenti. Infatti è questo
uno dei motivi che li ha spinti a lasciare
il paese natio”. (Edward Alsworth Ross, A
Study of the Social Effects of Immigrants
[Studio sugli effetti sociali degli immigrati], Century Magazine, vol. 87, dicembre 1913, LaGumina, p. 124).
La campanella
Serve aria nuova, al cinema e non solo
“Avanti, emarginati”, titolava Goffredo Fofi, su “Domenica del Sole 24 ore” del 20 dicembre scorso, a proposito dei
“Corti d’autore” cui ha dato vita Intesa Sanpaolo dando fiducia a giovani trentenni, sia pure con la garanzia di registi
affermati – Salvatores, Sorrentino e Olmi - e scriveva che “il contrario di fiducia è sfiducia e diffidenza, è paura e negazione. Viva la fiducia, dunque, ma non dimenticando la tentazione sempre forte che ogni generazione ha di prediligere
i figli che gli somigliano o che non si trasformano in rivali. Il rischio evidente… è quello di dar fiducia ai giovani pronti
a farsi avanti nel mondo adulto non scombinandone gli equilibri, i consolidati usi e costumi, e non scalzando gli adulti
dal loro sudato piedistallo. Di dar fiducia solo ai giovani che non mettono in crisi, che non fanno paura … mentre oggi
si avrebbe piuttosto bisogno di novità, di diversità, di occhi nuovi e sentimenti nuovi. … Mai come ora c’è bisogno di
azzardi, di sbalzi, di rotture, di deviazioni, di stranezze, di stravaganze, di provocazioni. Di guardare oltre gli occhi, di
leggere e ascoltare oltre le parole, di capire oltre la coscienza, di inventare oltre la ragionevolezza, di non accettare
oltre il giusto e il lecito l’ordine di cose esistente. Nel cinema e nel resto”.
Credo non si potesse dar meglio voce al disagio che ogni pensionato “di buona volontà” avverte a proposito della
mancanza di futuro del nostro Paese. Tocca a noi “tirarci indietro” - perché non mandare tutti in pensione a 65 anni,
intendendo anche politici, medici, dirigenti e quanti potrebbero, lasciando posto ai giovani, continuare da pensionati
– nessuno di questi col minimo! – a dare il loro contributo di esperienza, di coordinamento, di controllo? Non si può più
volere che “tutto cambi purché nulla cambi per me”. Non c’è difesa di alcun diritto personale senza la decisa volontà
di affermarlo per tutti. Sostengo che dobbiamo rompere questo schema: mio figlio se l’è cavata, ha avuto un posto,
pazienza per gli altri! – mia figlia ha sposato un ragazzo ricco, pazienza per le altre
- “terremotato” a me han dato la casa, pazienza per gli altri – ho un medico amico in ospedale, pazienza per gli altri –
ho trovato i mandarini a un euro, pazienza se raccolti da nuovi schiavi! -. Difendendo soltanto tutte le nostre sicurezze
senza provocatorie nuove strategie, anche per noi non c’è futuro: sottrarsi al ciclo della vita significa di certo sentirsi
più soli, perché sfiduciati, e invecchiare male!
Argentovivo gennaio 2010
Una manifestazione contro il razzismo
* I tre corti d’autore vincitori (“L’altra metà” di Pippo Mezzapesa, “L’ape e il vento” di Massimiliano Camaiti, “La pagella” di Alessandro Celli) e quelli degli esordienti si possono vedere sul sito web www.perfiducia.com.
Miriam Ridolfi
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Salari e pensioni
sono stati erosi
in questi anni,
anche a causa del
prelievo fiscale.
Ma il Governo, dopo
aver promesso di tagliare
le tasse ora dice che
non si possono più ridurre
per colpa della crisi
Non è vero!
ridurre le tasse
su salari e pensioni serve proprio
a combattere la crisi e
a favorire la ripresa!
Lo hanno già fatto
molti governi europei
CGIL
SINDACATO
PENSIONATI
ITALIANI
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La memoria non si ruba ma si dona ai giovani