MENSILE DEL SINDACATO PENSIONATI ITALIANI SPI-CGIL DELL’EMILIA-ROMAGNA Editoriale Autorizzazione del tribunale n.4897 del 5 marzo 1981 - Spedizione in abbonamento postale 45% Verso il congresso: il bilancio e i progetti Dimensione Cgil Danilo Barbi: la crisi e le nostre proposte Previdenza Ecco come il governo colpisce le pensioni Diritti Come si combatte la violenza alle donne Memoria Storie di migranti: la paura e la rabbia La memoria non si ruba ma si dona ai giovani n.1 gennaio 2010 1 In breve Argentovivo gennaio 2010 Nuova sede per la Lega Marconi Zolino di Imola 2 “Era ora che anche la nostra Lega avesse una sua sede!”, ha esclamato la segretaria Lucia Pirazzini, all’inaugurazione della nuova sede della Lega Marconi Zolino, felice come una… pasqua, anche se eravamo alla vigilia di Natale. Finalmente anche la Lega Marconi Zolino dello Spi di Imola, una lega forte di circa 1900 iscritti e molto, molto attiva, ha la sua sede, in via Bentini 2. La struttura sarà collegata in rete, anche per fare da sportello di ascolto per i servizi. Sarà aperta due mattine a settimana (mercoledì e venerdì dalle 9 alle 11). Rimarranno aperti sul territorio anche gli altri recapiti della Lega (presso i centri sociali La Stalla, Zolino, Giovannini e la saletta Unicoop). Ma la nuova sede potrà diventare un punto più comodo per i servizi, e si spera anche funzioni come punto di ascolto e d’incontro tra i pensionati, per le informazioni, il reperimento di materiale sindacale e di propaganda, per la visione di nostri giornali e perché no, anche per lo scambio di opinioni: proprio quelle quattro chiacchiere che si fanno sempre con tanto piacere. Ci sembra un buon avvio e un buon augurio per il 2010 e per il nostro congresso. “Consumer”: il dialogo con i consumatori va in tour nelle città Un tour di 10 tappe in comuni medio piccoli dell’EmiliaRomagna, con tre giorni di presidio in ogni città per ascoltare e raccogliere pareri dei cittadini, ospitare associazioni dei consumatori e di categoria e promuovere il talk show che si terrà l’ultima sera nei teatri e nei cinema messi a disposizione dalle amministrazioni comunali. In più l’attivazione di uno sportello virtuale e il potenziamento del sito www.ermesconsumer.it. Dieci tappe di confronto con i cittadini consumatori in cui saranno raccolte proteste, considerazioni, storie, proposte in particolare su tre grandi temi: il caro spesa, le garanzie sui prodotti, il telemarketing telefonico selvaggio. È la campagna “Tu chiedi, Consumer risponde” che la Regione Emilia-Romagna propone fino al 26 marzo. Prima tappa a Codigoro, l’ultima a Lugo di Romagna. Gli altri Comuni coinvolti sono Copparo, Savignano sul Rubicone, Castelnuovo Rangone, Calderara di Reno, Rubiera, Bellaria Igea Marina, Fidenza, Fiorenzuola D’Arda. Taglio del nastro per la nuova sede della Lega Spi di Imola Il gazebo della campagna regionale Consumer “Kartole”: vanno a ruba i ritratti bolognesi di Fraccon Mille copie bruciate in meno di un mese. Il libretto “Kartole” di Davide Fraccon ha fatto da strenna per le feste passate, grazie al passaparola tra volontari e associazioni: tanto che Auser Bologna e associazione BandieraGialla già pensano di ristamparlo per rispondere alle tante richieste. E dire che tutto era cominciato così, per caso, per ricordare un amico che se n’era andato troppo giovane, provato da un vita difficile e dalla malattia. Davide Fraccon, 52 anni, è morto il primo di aprile del 2009, quando solo da poco più di un mese aveva avuto in assegnazione una casa popolare in via Santa Caterina: il suo sogno, un appartamento tutto per sé, dopo essere stato a lungo ospite da amici e dopo 10 anni passati a San Patrignano. Negli ultimi anni faceva volontariato con l’Auser e collaborava con BandieraGialla. Un uomo dolce e colto, Davide, amante della sua città e, soprattutto, dei bolognesi. Quelli “doc”, che aveva ritratto con i loro tic e manie in “Kartole”, raccontando anche con leggerezza i luoghi e i ritrovi tipici della città: la Bologna dei “borazzi” e di Zanarini, delle nottate in giro per il centro, delle angurie dell’Agnese, la gelateria Pino, il Moretto, l’Osteria del Sole. Tutto documentato, sperimentato, vissuto personalmente dall’autore e in allegato anche un glossarietto bolognese. Nelle ultime pagine altri amici hanno aggiunto righe di commozione, ironiche, di speranza, ma sempre in linea con l’umorismo sagace e dolcissimo di quella “kartola” di Davide Fraccon. In breve A Bologna la Lega Saragozza ha trovato casa L’Arci Modena avvia un progetto di doposcuola per i ragazzi delle medie inferiori A Modena il doposcuola lo fanno i circoli Arci Dove non arriva lo Stato, provano a pensarci le associazioni. A fronte dell’eliminazione del tempo prolungato in molte scuole medie inferiori, scende in campo Arci Modena con un progetto di doposcuola che è stato attivato in via sperimentale dal 25 gennaio. Sono state aperte le iscrizioni (che continueranno per tutto l’anno scolastico), e sono stati coinvolti tre circoli nei comuni di Modena, Carpi e Castelfranco Emilia. Accanto all’Arci Modena, il progetto vede la collaborazione della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Modena e dei Comuni di Passaparola Bamboccioni: ci pensa Brunetta! Il termine coniato dall’ex ministro del Tesoro Padoa Schioppa nel lontano 2007, torna di attualità. “I Bamboccioni che si rifugiano nelle famiglie, saranno stanati da una legge che a 18 anni li obbligherà ad andare fuori casa”. È un’idea lanciata dal ministro Brunetta, forse solo un’altra provocazione, ma attenzione, sotto c’è un intento caro a questo governo: creare il conflitto. Il conflitto fra generazioni, “il si da più ai padri che ai figli”. Non a caso la Meloni, ministro per le Politiche giovanili, ha risposto dicendo che bisognerebbe fare una legge per imporre ai baby pensionati di restituire i soldi presi finora per reinvestirli in opportunità per i giovani. Cari ministri, non si governa con le battute e coi conflitti, servono più azioni, più politiche perché i giovani possano frequentare una scuola di qualità, possano avere una formazione per un’occupazione stabile, c’è bisogno di politiche per lo sviluppo, per un lavoro meno precario, per le giovani coppie, per le famiglie. Coi tagli alla scuola, alla ricerca, all’università, si impedisce alle giovani generazioni di crearsi un futuro e si impoverisce la società. La soluzione non è contrapporre i giovani ai pensionati ma costruire un modello sociale giusto per tutte le età. Modena, Carpi e Castelfranco. La proposta – dicono all’Arci vuole essere una risposta alla diminuzione delle classi con tempo prolungato, “situazione che mette in grave difficoltà sia i genitori, che non hanno a chi affidare i figli, sia gli studenti, che si trovano a dover svolgere i compiti a casa senza nessuno che li guidi”. Arci mette a loro disposizione delle strutture in cui trascorrere il pomeriggio, e degli operatori qualificati che li assistano nello studio. Si tratta di due persone fisse per ogni circolo, alle quali si affiancano di volta in volta dei volontari, tra cui anche ex-insegnanti. Oltre a fare i compiti, i ragazzi saranno impegnati in laboratori ricreativi. È stato fissato un limite massimo di quindici studenti per ogni centro, ed è prevista una quota di partecipazione che varia in base alla frequenza. È possibile infatti partecipare da due a cinque giorni la settimana, dalle 14.30 alle 18.30. I circoli Arci coinvolti sono la “Pol. 87&Gino Pini” di Modena, l’“Atletico Cibeno” di Carpi e la Polisportiva “la Stalla” di Castelfranco. Argentovivo gennaio 2010 Fino a qualche mese fa c’era una... pellicceria, lampade basse, pareti decorate di rosa, atmosfere soffuse. Da metà dicembre è la nuova sede della Lega Saragozza a Bologna, ovviamente riadattata e trasformata per accogliere persone anziane, erogare i nostri servizi, promuovere la nostra attività, farci conoscere sempre di più dai pensionati. Sono stati gli stessi collaboratori della Lega, sotto la guida del segretario Gianni Fava, a fare buona parte dei lavori: via la carta da parati, nuove luci, bianco alle pareti, saletta d’attesa, uffici (più ampi e confortevoli di quelli precedenti). Auguri e ad maiora! 3 Sommario 2| In breve • Nuova sede per la Lega Marconi Zolino di Imola • “Consumer”: il dialogo con i consumatori va in tour nelle città • “Kartole”: vanno a ruba i ritratti bolognesi di Fraccon 3| In breve • A Bologna la Lega Saragozza ha trovato casa • A Modena il doposcuola lo fanno i circoli Arci • Passaparola 5| Editoriale • Verso il Congresso: i risultati ottenuti e i nuovi progetti Maurizio Fabbri e Rita Turati Argentovivo gennaio 2010 7| Dimensione Cgil • Crisi, il peggio è in arrivo ma il patto regionale tiene Mayda Guerzoni 9| Previdenza • Ecco come il governo infierisce sulle pensioni Tamer Favali 12| Storia e cultura • Olocausto: un glossario per non dimenticare a cura del Dipartimento memoria Spi-Cgil Emilia-Romagna 14| Solidarietà • Pane, libri e Costituzione: un aiuto ai carcerati Luca Baldazzi 15| Donne e diritti • La risposta alla violenza non è chiudersi in casa Rossella Selmini 17| Economia e consumi • Nasce la “class action” ma è un’occasione sprecata Renza Barani 19| Consigli utili • Il bollo auto: come e quando si paga Francesco Scarlino 20| Auser • Il trasporto sociale: una domanda che cresce Franco Digiangirolamo 21| Territori e leghe • Reggio Emilia, così la crisi colpisce i pensionati Paola Guidetti 23| Territori e leghe • Modena, per gli iscritti Spi una sera di teatro e tango Norma Lugli 24| Territori e leghe • C’è un “Posto delle fragole” anche a Santarcangelo Giovanna Gazzoni La foto di copertina è di Luigi Ottani 25| Territori e leghe Argentovivo n. 1 gennaio 2010 Chiuso in tipografia il 25/1/2010 la tiratura complessiva è di 8.000 copie • Bologna, basta un clic per sapere come stai Bruno Pizzica 26| I temi della memoria • La paura e la rabbia Anna Maria Pedretti • Miseria e furore: oggi Rosarno, ieri l’America di Steinbeck • Gli italiani visti dagli americani Eva Lindenmayer 23 12 5 25 9 19 Verso il Congresso: i risultati ottenuti e i nuovi progetti Olocausto: un glossario per non dimenticare Modena, per gli iscritti Spi una sera di teatro e tango Bologna, basta un clic per sapere come stai Ecco come il governo infierisce sulle pensioni 4 Il bollo auto: come e quando si paga Direttore responsabile: Mirna Marchini Vice direttore: Mauro Sarti In redazione: Roberto Melli, Luca Baldazzi, Paola Guidetti, Valentina Vecchiattini, Franco Digiangirolamo. 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Sia sul piano politico che su quello organizzativo, questo vuol dire rimettere in fila, con un ordine ben definito delle priorità, i bisogni da affrontare e le scelte di prospettiva. Il 2009 non ci mancherà. È stato un anno in cui la crisi ci ha costretti a rimettere in discussione tante certezze. Un anno fatto di lotte collettive e individuali non solo per difendere i diritti, ma anche per aprire nuove prospettive. Ma se il 2009 non ci mancherà, non abbiamo certo l’illusione che con il 2010 possa realizzarsi un miracolo. Come sempre dovremo contare soprattutto sulle nostre forze, sulla nostra capacità di mettere in atto con coerenza azioni in difesa del lavoro e dei diritti e a sostegno delle nostre proposte. Lo sciopero generale di 4 ore proclamato per il 12 marzo va in questa direzione. Una tappa, molto importante, di un percorso che non sarà comunque breve e che dovrà essere riempito da una continuità delle lotte, decentrate e generali. Così come fondamentale sarà continuare nello sforzo di produrre, attraverso la contrattazione sociale, accordi territoriali a sostegno del reddito e che portino al consolidamento e all’allargamento del sistema dei servizi. Avremo bisogno di stare nelle piazze, nei luoghi di lavoro, tra la gente, per informare e discutere. Dovremo sostenere una nutrita serie di alleanze sociali, come abbiamo fatto in occasione delle manifestazioni contro le leggi razziste sull’immigrazione e per la libertà di stampa. Per far uscire dall’isolamento in cui questo governo ha relegato i temi del lavoro e tentare di superare la crisi. Una certezza ci dà forza. E cioè che dallo scorso congresso ad oggi una distanza l’abbiamo sicuramente accorciata: si è 5 Argentovivo gennaio 2010 Editoriale 6 affermata infatti nel sindacato la consapevolezza di quanto sia importante la contrattazione sociale territoriale. Non è certo neanche questa la bacchetta magica contro la crisi, perché in assenza di scelte chiare a livello nazionale il rischio che corriamo è quello di creare diseguaglianze. Ne sono un esempio gli accordi regionali sugli ammortizzatori sociali e per gli aiuti economici in favore delle famiglie in difficoltà. Però l’esperienza maturata in questo difficilissimo 2009 ci fa dire che dove gli accordi sono stati fatti per molte persone le cose sono andate meglio. Il senso politico profondo della contrattazione sociale, che dovremo riportare nel dibattito congressuale, sta in alcune parole chiave che in quest’anno si sono ripresentate con forza: il valore del territorio, la centralità della persona, la necessità di unificare i diritti, il concetto di cittadinanza; e poi il welfare come importante fattore di crescita e di redistribuzione della ricchezza. Tutto questo reso possibile dal fatto che è aumentata di fatto la confederalità. Nell’ambito di questa analisi lo Spi (e soprattutto lo Spi dell’Emilia-Romagna) è stato un vero protagonista, perché ha contribuito ad affermarla agendo con coerenza sia sul piano politico che organizzativo e ha investito fortemente sul successo di questa linea. Che bilancio possiamo trarre quindi in questo momento di passaggio verso il nostro congresso? Gli accordi con la Regione hanno contribuito a un ridisegno significativo del sistema di welfare regionale. Fino ad arrivare al Piano sociale e sanitario regionale (Pssr) approvato nel giugno 2008. Nel 2005 è partito il Fondo Regionale per la Non Autosufficienza, con precise priorità programmatiche. Il confronto sui documenti finanziari regionali, Dpef e bilancio, Maurizio Fabbri, segretario generale Spi-Cgil dell’Emilia-Romagna è andato così avanti che quest’anno è stato possibile co-firmarli. Siamo stati al tavolo che in luglio ha definito l’accordo regionale per la ripartizione di ulteriori risorse del Fondo regionale sociale 2008, con il quale si è affrontato un programma straordinario di contrasto della crisi economica. Contribuendo così a definire le risorse e a dare indicazioni su come utilizzarle nei vari territori per il sostegno al reddito, per l’assistenza all’infanzia, per la lotta alla povertà. Ancora nel 2006 si è avviato il Piano di azione regionale per la popolazione anziana, il bilancio sociale. Tutti strumenti che ora stanno evolvendo per adattarli a fasce più giovani della popolazione. Parliamo di risultati concreti, dunque, accanto a problemi ancora aperti. Adesso dobbiamo dotarci di un nuovo programma di lavoro: è anche a questo che serve il congresso. Dimensione Cgil Crisi, il peggio è in arrivo ma il patto regionale tiene Mayda Guerzoni S ciopero generale del 12 marzo, il punto della crisi in Emilia-Romagna con le elezioni regionali sullo sfondo, il congresso Cgil: su questi temi abbiamo interpellato Danilo Barbi, segretario generale della confederazione regionale. La Cgil ha proclamato uno sciopero generale di quattro ore il 12 marzo, con manifestazioni territoriali. Da cosa è motivata questa scelta? Innanzitutto dalla gravità della crisi, che sta entrando nella fase più dura, sia per la tenuta dei redditi che per l’occupazione, mentre colpisce l’assenza di adeguate politiche di contrasto da parte del governo. Dunque la Cgil mantiene una forte continuità con la mobilitazione del mesi scorsi, per rivendicare ammortizzatori sociali più consistenti e più duraturi, una politica economica nazionale a sostegno della domanda interna e dello sviluppo, interventi per le fasce sociali più deboli. Tra questi voglio richiamare i migranti e sottolineare che episodi gravissimi come quelli di Rosarno non sono degni di un Paese civile. Un altro nodo al centro dello sciopero riguarda la vertenza fisco. Non ti piacciono le due aliquote lanciate da Berlusconi? Per favorire i ricchi e creare maggiori ingiustizie? Lasciamo stare… tra l’altro le ha sparate e poi ritrattate. Invece la Cgil ha una proposta precisa in merito, per l’immediato e di prospettiva: riduzione delle tasse per lavoratori dipendenti e pensionati, con aliquote più basse solo per i redditi medio-bassi e maggiori detrazioni d’imposta; recupero dell’evasione fiscale, nuova tassazione sui grandi patrimoni e sulle rendite finanziarie. Su questa piattaforma abbiamo avviato una campagna di comunicazione in tutto il Paese. Ancora una volta però la Cgil si muove da sola, in un clima di rottura nei rapporti con Cisl e Uil. Cosa vi divide? Una profonda distinzione strategica. Cisl e Uil hanno imboccato la strada degli accordi con il governo, anche separati, pensando così di arginare danni ancora più vistosi nelle scelte del centro destra. Ma in questo modo sono scesi sul terreno del governo e finiscono per avallare le sue politiche. Ad esempio sulla proposta delle due aliquote fiscali hanno evitato in realtà di pronunciarsi, parlando d’altro. La Cgil invece cerca il confronto nella chiarezza del rapporto con i lavoratori e i pensionati, forte del profilo alternativo generale delle proprie proposte politiche. Inoltre siamo divisi anche sul modello di sindacato. Comunque considero importante che qualche iniziativa unitaria su temi e in settori significativi riusciamo ancora ad assumerla. Argentovivo gennaio 2010 Intervista a Danilo Barbi, segretario generale dell’Emilia-Romagna 7 Argentovivo gennaio 2010 Dimensione Cgil Veniamo alla realtà della nostra regione. Che prezzo sta pagando alla crisi il mondo del lavoro dell’Emilia Romagna? Un prezzo molto alto, anche legato al peso del manifatturiero nella nostra economia. Tra i precari rimasti a casa, i tempi indeterminati in mobilità soprattutto nelle piccole imprese, le crisi aziendali, le mancate nuove assunzioni, parlo di alcune decine di migliaia di persone coinvolte. È indicativo il tasso di disoccupazione, salito dal 3,1 al 4,5%. Per di più temo che il peggio debba ancora arrivare: i dati di dicembre confermano che la cassa integrazione ordinaria ha invertito la curva e sta scendendo, ma la cig straordinaria schizza in alto e per molti si accorciano i tempi verso la prospettiva del licenziamento. Come ha reagito fin qui la società regionale? Il mio giudizio è positivo, a partire dal bilancio del patto per attraversare la crisi che ha determinato migliaia di accordi aziendali, con un ruolo importante del sindacato e delle istituzioni. Ma direi anche che molte imprese hanno fatto la loro parte per salvaguardare l’attività produttiva e il lavoro, adottando strategie organizzative in controtendenza rispetto al decennio appena concluso, per esempio riportando all’interno attività prima appaltate, accorciando la filiera. In questo bilancio, mi sento di dare due numeri significativi: da un lato circa 50.000 posti di lavoro precari e di piccola impresa perduti, dall’altro almeno 40.000 salvati fin qui dagli accordi legati al Congressi in regione: ecco il calendario È in pieno svolgimento la campagna congressuale della Cgil, che rappresenta un momento chiave della vita democratica dell’organizzazione. Da dicembre e fino al 20 febbraio sono in corso le assemblee di base, nelle quali vengono presentati e votati due documenti congressuali globalmente alternativi: il documento “I diritti ed il lavoro oltre la crisi”, primo firmatario Gugliemo Epifani; il documento “La Cgil che vogliamo”, primo firmatario Domenico Moccia. Nel fitto calendario della campagna congressuale in Emilia-Romagna seguono i congressi di categoria dei territori e nei giorni 2-3 marzo i congressi di tutte le Camere del lavoro, esclusa Bologna che sarà impegnata dall’1 al 3 marzo. Sarà quindi la volta dei congressi di tutte le categorie regionali, ultimo lo Spi. Il congresso della Cgil regionale Emilia-Romagna si svolgerà nei giorni 18-19 marzo 2010 al Palacongressi di Riccione, con una platea di 710 delegate e delegati; l’assise della Cgil nazionale è in programma a Rimini dal 5 all’8 maggio. 8 patto, che altrimenti oggi dovremmo sommare ai primi. Come vi attrezzate per affrontare quello che tu stesso consideri il peggio in arrivo? Le misure dell’intesa regionale restano valide e le abbiamo confermate, insieme a Cisl e Uil, nel verbale di incontro con la Giunta della Regione sul bilancio 2010, che concentra risorse importanti per affrontare la crisi, in particolare a tutela dei lavoratori e delle famiglie in difficoltà, ma anche a sostegno delle imprese che investono in ricerca e innovazione per agganciare la ripresa. Proseguiamo dunque sulla strada tracciata nel 2009, per fare ancora meglio. Ma qual è l’idea forza attorno alla quale preparare seriamente la ripresa? Bisogna scommettere sull’e-conomia verde, che non significa solo energie rinnovabili, ma una vera e propria politica industriale all’insegna della sostenibilità ambientale, per rinnovare i processi, i prodotti, i materiali, attivando la rete regionale dei tecnopoli. Un’idea coltivata dalla Regione, che noi condividiamo. Che atteggiamento pensa di assumere la Cgil in vista dell’appuntamento con le elezioni regionali? Le politiche sociali e le politiche pubbliche a sostegno dello sviluppo, praticate dalla Regione Emilia-Romagna, portano un segno alternativo a quelle del governo di centro destra e di certo più corrispondente alla visione degli equilibri sociali ed economici che ha in mente la Cgil. In vista delle elezioni e di fronte alla dura realtà della crisi, chiederemo alla Regione di promuovere nuovi processi di uguaglianza. Prima di arrivare alle elezioni c’è la scadenza del congresso Cgil. Sono in corso le assemblee di base ed è presto per un bilancio. Per adesso cosa ti aspetti? Beh, intanto non nego di essere preoccupato per le tensioni che emergono nella gestione del dibattito su due mozioni globalmente alternative. Vedo il rischio di un confronto troppo chiuso e interno, tra posizionamenti di strutture, più che sulle proposte di merito. Ma le scelte sono tutte legittime ovviamente, e non ho dubbi che stiamo affrontando un grande momento di partecipazione. Auspico soprattutto una cosa, con molta convinzione: che il congresso confermi pienamente la confederalità come tratto caratteristico della Cgil, perché è questa storicamente la nostra forza. Danilo Barbi Previdenza Ecco come il governo infierisce sulle pensioni Tamer Favali Segretario Spi-Cgil Emilia-Romagna Argentovivo gennaio 2010 I circa 18 milioni di pensionati italiani, ormai il 42% della popolazione elettorale, nella loro “busta paga” di gennaio hanno trovato l’aumento da perequazione automatica dello 0,7 per importi fino a 2.288,80 euro (cinque volte il trattamento minimo) e dello 0,525 per la parte eccedente. Hanno anche preso coscienza che l’aumento provvisorio del 3,3 nel gennaio 2009 era diventato un definitivo 3,2, determinando un conguaglio negativo dello 0,1 per 13 mensilità, che - scaricato sulla “busta paga” di questo mese di gennaio - non consentiva alcun aumento nell’immediato. Anzi, incombeva una riduzione che l’Inps (Inpdap e gli altri Istituti previdenziali invece no) ha mediato - anche su pressione sindacale - decidendo di ripartire sulle rate di gennaio e febbraio l’onere del conguaglio negativo. Gli importi di gennaio e febbraio risulteranno non inferiori - ma anche non superiori - a quelli in pagamento fino a dicembre 2009, e quindi solo con il mese di marzo inizierà il “sollievo” dell’aumento dello 0,7. Come molta stampa ha enfatizzato, è iniziato anche il decennio della “nuova austerità previdenziale” per coloro che sono ancora in attività. I più colpiti saranno progressivamente quelli più lontani dal traguardo della cosiddetta terza età. Dal primo gennaio 2010 sono scattati i nuovi coefficienti di calcolo della pensione contributiva, che riguardano tutti i lavoratori in attività ad esclusione di coloro che al 31 dicembre 1995 potevano vantare almeno 18 anni di contribuzione previdenziale. Il taglio di rendimento (fra un pensionato al 31 dicembre 2009 e uno al primo gennaio 2010) oscilla tra il 6,3 e l’8,4. E’ colpito anche chi andrà in pensione con il sistema misto (chi ha maturato meno di 18 anni di contribuzione previdenziale al 31 dicembre 1995), anche se in misura differenziata. Per non farsi mancare davvero nulla, nel 2010 inizia la progressione che porterà le donne occupate nel pubblico impiego ad andare in pensione a 65 anni nel 2018, in accompagnamento del sistema generalizzato delle quote per il pensionamento (la sommatoria degli anni di contribuzione previdenziale e dell’età anagrafica), del meccanismo delle finestre di uscita (due nel 2010, per le pensioni di anzianità con meno di 40 anni di contribuzione) e di quello delle uscite programmate per la pensione di vecchiaia: per queste ultime, raggiunti i 60 anni (per le donne) e i 65 anni (per gli uomini), non si incasserà subito la pensione, come avveniva in passato, ma si dovrà aspettare l’apertura di una delle quattro finestre previste ogni anno. Un modo per aumentare - senza dirlo - l’età pensionabile. Resta - a eccezione della scuola - l’indisponibilità alla previdenza complementare per tutto il comparto pubblico. Premessa la nostra posizione 9 Argentovivo gennaio 2010 Previdenza 10 totalmente critica riguardo il “Libro bianco” governativo per l’obiettivo determinante di ridurre il peso della parte previdenziale a ripartizione e favorire l’espansione della parte a capitalizzazione, sottolineo alcuni nostri obiettivi strategici sulle questioni sopra citate, sempre al centro dell’attenzione popolare. Sono questioni spesso oggetto di campagne piene di menzogne, che spargono senso di insicurezza per chi vive la fase post-lavorativa, che mirano alla sudditanza sociale, culturale e politica nel mondo del lavoro, e che puntano alla rottura di ogni solidarietà e alla lacerazione dei rapporti fra le generazioni. Così non va. Continueremo a batterci a fondo per reintrodurre significativi elementi redistributivi e solidaristici, indispensabili a ridare un senso al sistema a ripartizione, consapevoli che per questo è indispensabile anche una svolta culturale e politica nel Paese. Morena Piccinini, nella sua apprezzata relazione al convegno nazionale Cgil del 3 dicembre scorso “Il futuro delle pensioni: più equità, più solidarietà, più sostenibilità sociale”, ha affermato: “Come Cgil siamo stati protagonisti della costruzione del grande e strutturale cambiamento del sistema previdenziale costituito dalla riforma Dini del 1995. Non ne siamo pentiti, ma ogni giorno cresce la critica a chi disconosce e irride l’enorme senso di responsabilità che ci assumemmo e continuiamo ad onorare. Da allora è stata tutta una rincorsa a snaturare ideologicamente la riforma e comprimere semplicemente la spesa pensionistica. Perché la ‘Dini’ non aveva solo la funzione di stabilizzare nel tempo la spesa pensionistica in rapporto al Prodotto interno lordo, risultato pienamente conseguito per ammissione di tutti compresa la stessa Ragioneria generale dello Stato, ma si poneva obiettivi di giustizia ed equità, nella piena conferma della validità strategica di un sistema pensionistico a ripartizione”. Spesa pensionistica Il bilancio d’esercizio Inps del 2008, consolidando pienamente il risultato del 2007, registra un attivo di 6 miliardi e 858 milioni di euro, pur oberato di prestazioni che in un’eventuale separazione fra previdenza ed assistenza (obiettivo ormai storico) non sarebbero di competenza: fatto a cui si aggiunge lo scandalo dei dirigenti industriali rientrati nell’ex odiata Inps, mantenendo sfacciate condizioni di miglior favore. Per il 2009 e il 2010 è prevista una stabilizzazione dei risultati 2007/08. La lettura del risultato 2008, in particolare, evidenzia aspetti interessanti. Il Fondo lavoratori dipendenti segna un più 8 miliardi 170 milioni. Inoltre il deficit dei Fondi degli autonomi (coltivatori diretti-coloni-mezzadri: meno 5.073 milioni, artigiani: meno 3.676, commercianti: meno 456) richiama al tema indifferibile del loro equilibrio finanziario. Non possono pretendere solidarietà a vita dal lavoro dipendente e da quello parasubordinato che, a sua volta, ha un avanzo di 8 miliardi e 251 milioni di euro, e non pensare minimamente alla parificazione dell’aliquota contributiva e nemmeno alla strutturazione di un vero secondo pilastro. E ci sono 30 miliardi di crediti accertati che l’Inps vanta verso aziende per contributi non versati! La gestione economica 2008 dell’Inpdap presenta un disavanzo di 4 miliardi e 381 milioni di euro, ed è una questione che va affrontata molto seriamente. Va sottolineato, infine, che vogliamo che i risparmi realizzati di anno in anno siano utilizzati per l’insieme delle politiche previdenziali e non assorbiti in altri capitoli del bilancio dello Stato, fra l’altro senza alcuna attinenza neppure con la spesa sociale in senso lato, com’è avvenuto con la Finanziaria 2010. La condizione per le risposte urgenti alle pensioni basse è quindi evitare l’impoverimento delle altre (il nostro tasso di sostituzione, cioè il mantenimento del potere d’acquisto della prima pensione, è diventato il più basso dei Paesi di prima fascia in Europa) e risarcire proporzionalmente le pensioni vecchie, a partire da quelle che nel frattempo hanno perso più del 30% del loro valore iniziale. Occorre sviluppare il percorso aperto con l’accordo del 23 luglio 2007 con il governo Prodi, intrecciandolo con le recenti proposte fiscali della Cgil, che potrebbero diventare rapidamente un patrimonio confederale unitario, a partire dal fatto che negli ultimi 10 anni l’incidenza dell’Irpef sui redditi da pensione è aumentata di oltre il 4%, così come resta inalterato il valore della Piattaforma nazionale unitaria dei pensionati. Nuovi coefficienti Bisogna modificare un atteggiamento mentale assai presente, che non riguarda solo i giovani in una generica proiezione nel futuro. Nel 2009 ci sono già 750.000 pensioni a sistema misto o totalmente contributivo, in larga misura liquidate a donne. L’Inps prevede oltre 200.000 pensioni all’anno liquidate a sistema misto, con un risparmio di oltre 300 milioni di euro l’anno, e a crescere. Già al dicembre 2009 quelle pensioni sono molto più basse di quelle liquidate con il sistema retributivo: figurarsi con i nuovi coefficienti! La revisione dei coefficienti discende dall’accordo del 23 luglio 2007con il governo Prodi, nel senso che il Protocollo sottoscritto e la Legge successiva prevedevano la costituzione di una Commissione per la verifica dei criteri che danno origine ai coefficienti, con l’impegno di ridefinirli per il 2010. Questo governo delle destre non ha costituito la Commissione, non ha aperto alcun tavolo di confronto, ha semplicemente deciso. E oltre a Cgil e Spi, e in parte l’opposizione parlamentare, non c’è stata molta protesta in giro. La nuova normativa produce disastri incalcolabili dal punto di vista sociale: e nel 2013 è prevista una nuova botta! Quel tavolo di confronto impedito serve ancora, da subito. La riforma Dini permette diverse interpretazioni dei parametri di riferimento: aspettativa di vita, certo, ma per esempio è uguale per tutti, in tutti i lavori? E la questione dei lavori usuranti? E l’intensità del fenomeno migrazione? E quanto sta cambiando la tipologia della composizione delle famiglie? E perché i nuovi coefficienti devono permeare l’intera vita contributiva e non valere solo dal primo gennaio 2010? Al convegno del 3 dicembre scorso Enrico Letta, nel 2007 uno dei ministri più influenti nella trattativa con il governo Prodi, ha fatto severa autocritica per non essersi fatto carico delle proposte sindacali, specie della Cgil, di affrontare la questione dei tempi del pensionamento sul terreno della flessibilità come opportunità, e non dell’obbligo normativo. Sarebbe importante che la cultura dell’opportunità soppiantasse progressivamente la rigidità della coercizione; solamente su quel terreno la parola “riforma” riassume il senso positivo che storicamente l’accompagna e non la negatività che l’ha contrassegnata nell’ultima fase storica. Su questo terreno, come già è successo, possono coesistere positivamente processi di razionalizzazione e bisogni personali, visione generale e comportamento individuale. Confidiamo che l’esperienza insegni... Infine, per dirla con Morena Piccinini, ad oltre 10 anni dalla attivazione del primo Fondo negoziale per la previdenza complementare è bene indagare collettivamente luci ed ombre del sistema, peraltro ancora largamente incompleto. L’opinione lì espressa è che lo strumento in sé appare sufficientemente equilibrato, oltre che bisognoso di manutenzione appropriata ed innovazioni mirate. Non vado oltre perchè in materia l’elaborazione generale dello Spi è inesistente (personalmente lo considero un limite da affrontare), e perché, comunque, segnalo quanto sia attenta e presente la Confederazione, oltre che le Categorie del lavoro privato, su una questione essenziale. Dobbiamo rafforzare certezze, rimotivare la solidarietà generazionale, rafforzare la responsabilità pubblica, sviluppare equità e giustizia sociale. Ci aiuterà parlarne per bene nei nostri percorsi congressuali. Argentovivo gennaio 2010 Previdenza 11 Storia e cultura Olocausto: un glossario per non dimenticare a cura del Dipartimento memoria Spi-Cgil Emilia-Romagna particolare coloro che credevano negli ideali del comunismo e del socialismo. Argentovivo gennaio 2010 I 12 n base alla Legge n° 211 del 20 luglio 2000, la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come “Giorno della memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto perseguitati. Pubblichiamo qui di seguito un glossario delle parole con cui si racconta la storia della Shoah. Per conoscere, riflettere, non dimenticare. Olocausto Con questo termine si intende la persecuzione e lo sterminio sistematico di circa 6 milioni di ebrei, attuati con burocratica organizzazione dal regime nazista e dai suoi collaboratori. “Olocausto” è un termine di origine greca che significa “sacrificio tramite fuoco”. Durante il periodo dell’Olocausto, le autorità tedesche presero di mira oltre agli ebrei altri gruppi ritenuti di “razza inferiore”: i Rom (gli zingari), i disabili, le popolazioni slave, i testimoni di Geova, gli omosessuali e altri gruppi per le loro idee politiche, in Genocidio Il termine “genocidio” non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli. Nel 1944 un avvocato ebreo polacco, Raphael Lemkin, cercò di descrivere la politica nazista di sterminio sistematico che includeva la distruzione degli “Stalag XB”, un libro a fumetti racconta i militari che dissero no Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 i militari italiani furono disarmati dai tedeschi e costretti ad una drammatica scelta: proseguire la guerra sotto le insegne nazifasciste o essere deportati nei campi di concentramento. Molti di loro, oltre 750mila, rifiutarono di combattere al fianco dei tedeschi, scelsero di non aderire alla Repubblica di Salò e vennero internati nei lager nazisti. Non come prigionieri di guerra, ma come Internati militari italiani (Imi): uno status voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente. Costretti a lavorare duramente, spesso ridotti alla fame, più di 45mila soldati e graduati morirono tra la fine del 1943 e il 1945. Sulla storia degli “Imi” abbiamo diari, documenti e testimonianze. Ora anche una versione a fumetti: l’autore e disegnatore Marco Ficarra l’ha raccontata nel graphic novel “Stalag XB”, pubblicato dalle edizioni Becco Giallo. Tra quei soldati italiani che rifiutarono di aderire a Salò c’era suo zio, Gioacchino Virga, giovane ufficiale uscito dall’Accademia di Modena. Ficarra ne ha ricostruito la storia di internato attraverso le commoventi lettere che lo zio scriveva ai familiari, e le foto scattate di nascosto nel lager dal compagno di prigionia Vittorio Vialli. Altre informazioni su www.stalagxb.net e su www.8settembre1943.info. Luca Baldazzi Zyklon B: quando le deportazioni raggiunsero la massima intensità venivano uccise, con il gas, 6.000 persone al giorno. Le Ss consideravano i campi di sterminio un’operazione top secret: per cancellare ogni traccia delle uccisioni, unità speciali formate da prigionieri (Sonderkommandos) erano obbligate a rimuovere i cadaveri dalle camere a gas e a cremarli. Alcuni campi di sterminio vennero camuffati o modificati, nel tentativo di nascondere l’avvenuto assassinio di milioni di persone. milioni di persone. Questi campi erano usati con diversi scopi: lavoro forzato, transito e quindi stazioni intermedie e quelli, invece, costruiti esclusivamente per l’eliminazione in massa dei prigionieri. Il regime nazista cominciò a realizzare una serie di strutture di detenzione per imprigionare ed eliminare i cosiddetti “nemici dello Stato”. La maggior parte dei prigionieri, nel 1933, era costituita da cittadini tedeschi: comunisti, socialisti, social-democratici, Rom, testimoni di Geova, omosessuali e persone accusate di comportamenti ritenuti asociali o devianti. Si chiamavano “campi di concentramento” perché servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri in un unico luogo. Nel 1938 ( annessione dell’Austria alla Germania) i nazisti iniziarono ad arrestare gli ebrei tedeschi ed austriaci e imprigionarli nei campi di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen, tutti situati in Germania. Dopo l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, i nazisti realizzarono diversi campi per i lavori forzati, dove migliaia di persone morirono per sfinimento, malnutrizione o esposizione alle intemperie. La direzione e la conduzione dei campi erano affidate a unità delle Ss e in alcuni di essi medici nazisti effettuarono numerosi esperimenti sui prigionieri. I campi di concentramento nazisti Tra il 1933 e il 1945, la Germania nazista costruì circa 20.000 campi di concentramento, con l’intento di imprigionarvi (Le informazioni di questo articolo sono state raccolte dal sito dello United States Holocaust Memorial Museum. http://www.ushmm.org). ebrei europei. Egli coniò la parola “genocidio” unendo il prefisso “geno” - dal greco razza o tribù - con il suffisso “cidio”, dal latino “uccidere”. Ghetto Il termine “ghetto” ha origine dal nome del quartiere ebraico di Venezia creato nel 1516, nel quale le autorità veneziane obbligavano a risiedere gli ebrei. Nel XVI e XVII secolo si istituirono altri ghetti per ebrei a Praga, Roma, Francoforte e in altre città. Durante la seconda guerra mondiale i ghetti erano costituiti da quartieri (spesso recintati) nei quali i tedeschi concentravano la popolazione ebraica (sia quella residente nella città, sia – a volte – quella dell’intera regione) obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Lo scopo del ghetto era quello di isolare gli ebrei. Il ghetto poteva essere considerato “un luogo di transito” nell’ambito della “Soluzione finale”, il piano che prevedeva l’uccisione di tutti gli ebrei d’Europa e che ebbe inizio negli ultimi mesi del 1941. I tedeschi distrussero sistematicamente la maggior parte dei ghetti. I residenti erano generalmente fucilati o deportati ai centri di sterminio. Esistevano tre tipi di ghetto: i ghetti chiusi, quelli aperti e quelli destinati alla distruzione. Il ghetto più grande in Polonia fu quello di Varsavia, dove oltre 400.000 ebrei erano ammassati in un’area di meno di due chilometri quadrati. Campi di sterminio I nazisti istituirono i campi di sterminio per rendere più efficiente possibile l’assassinio di massa. Erano chiamati anche “campi della morte”, ed erano quasi esclusivamente vere e proprie “fabbriche di morte”. Nei campi di sterminio le Ss e la polizia tedesca assassinarono quasi 2.700.000 ebrei tramite l’uso di gas tossici o tramite fucilazione. Il primo campo di sterminio ad essere realizzato fu quello di Chelmno, nel dicembre 1941 e i prigionieri venivano uccisi all’interno di camere a gas mobili, installate su appositi furgoni. Il centro di sterminio più grande fu quello di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, dove alla fine della primavera del 1943 funzionavano quattro camere a gas che utilizzavano la sostanza tossica nota come Argentovivo gennaio 2010 Storia e cultura 13 Solidarietà Pane, libri e Costituzione: un aiuto ai carcerati Luca Baldazzi Argentovivo gennaio 2010 D 14 are un piccolo contributo “per la dignità degli ultimi”. E ricevere in cambio un pezzo di pane e una copia della Costituzione, la Carta fondamentale che regola per tutti noi i diritti e i doveri della convivenza civile. È questo il senso dell’iniziativa di solidarietà “Pane e alfabeto”, che chiama a raccolta i bolognesi per dare un sostegno concreto ai loro concittadini in carcere e agli stranieri rinchiusi nel Cie, Centro di identificazione ed espulsione. “Sono questi, le persone recluse, gli emarginati tra gli emarginati – ricorda Roberto Morgantini dell’Ufficio stranieri della Cgil, che ha promosso l’appello alla cittadinanza insieme a Mattia Fontanella e Riccardo Lenzi -. Infatti la situazione dei nostri concittadini nel carcere della Dozza o nei centri di detenzione per i ‘clandestini’ è spesso drammatica. In una condizione di cronico sovraffollamento e di tagli di bilancio imposti dal governo alle amministrazioni penitenziarie, molti detenuti non dispongono dei beni primari necessari alle più semplici azioni quotidiane: prodotti per l’igiene personale (spazzolini da denti, saponi, shampoo, dentifrici, bagnoschiuma, deodoranti), ma anche francobolli, carta da lettera, biancheria intima, infradito per doccia”. Per questo, il 6 gennaio scorso, in piazza Nettuno la festa dell’Epifania è diventata un’occasione per raccogliere offerte, libri e prodotti di uso comune per i carcerati. In cambio i Lucio Dalla al banchetto di “Pane e alfabeto” L’iniziativa in piazza Nettuno promotori hanno distribuito pagnotte donate dall’Associazione panificatori bolognesi e copie della Costituzione donate da Spi-Cgil e Arci, che hanno dato così la loro adesione concreta all’iniziativa. Lusinghiero il bilancio di questa prima giornata: sono stati raccolti circa 1200 euro e tanti libri e prodotti per l’igiene personale. Numerose, inoltre, le adesioni di personaggi del mondo della politica e dell’associazionismo, della cultura e dello spettacolo: dalla piazza sono passati per lasciare il loro contributo, fra gli altri, Lucio Dalla e il sindaco di Bologna Flavio Delbono. Ma l’iniziativa non si è fermata lì. “Abbiamo gettato un seme e la solidarietà si è messa in moto – dice Morgantini -: alcune persone che sono venute in piazza ci hanno detto che ripeteranno la raccolta nei paesi della provincia. Diversi consiglieri comunali di Bologna hanno devoluto un gettone di presenza a questa raccolta fondi. Così abbiamo deciso di continuare per tutto il mese di gennaio, confidando nella generosa risposta di una comunità civile e solidale come quella bolognese. E per il prossimo 8 marzo pensiamo a un’altra iniziativa a favore delle donne detenute”. Il punto di raccolta per i prodotti e le donazioni di singoli cittadini, associazioni e gruppi si trova al Centro lavoratori stranieri della Cgil di Bologna, in via del Porto 16/c (tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18, chiuso il giovedì mattina, aperto sabato mattina). Per informazioni si può scrivere all’indirizzo mail: [email protected]. Donne e diritti Rossella Selmini Responsabile servizio Politiche per la sicurezza e la Polizia locale Regione Emilia-Romagna N el corso dei quindici anni di attività del Servizio politiche per la sicurezza e la polizia locale, ci siamo occupati in più occasioni di violenza maschile contro le donne, soprattutto con alcune ricerche di natura qualitativa e, recentemente, con una rassegna degli interventi normativi, soprattutto regionali, che si occupano del tema, attraverso una pubblicazione realizzata in collaborazione con il Servizio segreteria e affari generali della Giunta, pari opportunità e con il Servizio politiche familiari, infanzia e adolescenza. La scelta di utilizzare la definizione di violenza maschile contro le donne è coerente con l’impostazione teorica che guida questa analisi, che è quella del conflitto di genere. È nostra convinzione, infatti, che la violenza maschile sulle donne sia in misura ampiamente prevalente la manifestazione di un conflitto di genere e che queste forme di violenza, nella loro diversità, siano parte di un continuum che attraversa lo spazio pubblico e quello privato, anche se è in quest’ultimo che tale conflitto si esprime in modo più frequente, diffuso e a volte estremo. (…)Dall’indagine dell’Istat emerge un quadro nazionale piuttosto sconfortante. In Italia, circa una donna su tre nella fascia d’età considerata ha subito una violenza fisica o sessuale. Molte donne subiscono ripetutamente queste violenze, spesso entrambe le tipologie. La ricerca dimostra anche come il fenomeno sia ancora largamente sommerso, perché, oltre a denunciare raramente (e nonostante la percentuale di denunce di violenza sessuale sia passata dal 5% del 1996 al 17% del 2005), le donne non parlano volentieri di quanto è loro accaduto, neppure con persone amiche. L’Emilia-Romagna è una regione in cui la violenza sembra essere molto diffusa, perché registra un tasso di vittime assai sopra la media nazionale. Solo il Lazio e poche altre regioni del Nord registrano più o meno lo stesso tasso. (…)Emerge però con chiarezza che nella nostra regione le donne dichiarano – e percepiscono come violenza – un numero maggiore di comportamenti maschili, e che la nostra regione è una di quelle, insieme a Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, dove il tasso medio di denuncia dal 1996 al 2006 è il più elevato rispetto alla media nazionale. Le donne che dichiarano di essere state vittime di violenza fisica in Emilia Romagna sono una su quattro (23,1%); due terzi lo sono state più volte (62,4%). La violenza è più probabile quando c’è un conflitto tra l’uomo e la donna, che coincide spesso con la fine della loro relazione. Gli autori principali e allo stesso tempo più recidivi Argentovivo gennaio 2010 La risposta alla violenza non è chiudersi in casa 15 Argentovivo gennaio 2010 Donne e diritti 16 sono infatti gli ex fidanzati, ex mariti o ex conviventi. La ricerca conferma anche come il luogo dove solitamente si consumano le violenze sia la casa. Abbiamo alcune ipotesi per spiegare questa maggiore diffusione del fenomeno nella nostra regione (e, in generale, in tutte le regioni del Nord Italia, più il Lazio) e le abbiamo verificate in questo lavoro incrociando i risultati con alcune variabili regionali: i tassi di separazione, il livello di istruzione, il tasso di occupazione femminile, la percentuale di donne che vivono sole, il numero di donne che ha uno stile di vita dinamico e che si prende cura di sé (ricostruito attraverso la percentuale di donne che dichiarano di fare sport nel tempo libero). Esiste una forte relazione, in Emilia-Romagna e anche in altre regioni, tra queste variabili e la dichiarazione di vittimizzazione. (…)Infine, un’ulteriore spiegazione della maggiore percezione di insicurezza delle donne, come emerge dalle inchieste di vittimizzazione o da altre indagini qualitative, ha a che fare con l’associazione delle donne alla definizione di sé come soggetti vulnerabili e bisognosi di protezione, mentre agli uomini viene insegnato a nascondere le loro emozioni e, soprattutto, a non manifestare le loro paure. La vera differenza rimane nella percezione di sicurezza nel muoversi nello spazio pubblico, dove ancora le donne esprimono una preoccupazione maggiore, e soprattutto dove si vede che la limitazione dei propri comportamenti e della propria sfera di autonomia per paura della criminalità è ancora molto più alta di quella maschile. E questo a dimostrazione che il discorso pubblico contemporaneo e il senso comune, che individua il pericolo maggiore per le donne fuori casa e per opera di sconosciuti, è in grado di influenzare fortemente le opinioni femminili, mettendo in secondo piano quello che è invece, per le donne, il luogo più pericoloso, la propria sfera domestica, e quelli che sono gli autori più probabili, i propri compagni o amici. (…) Questa è solo una parte, e neppure la più rilevante, del fenomeno della violenza sulle donne, ma è stata in grado di condizionare le opinioni comuni – incluse quelle femminili - e spesso anche le scelte in materia di prevenzione. In questi anni, abbiamo così visto susseguirsi proposte e iniziative tutte centrate sull’idea della protezione di donne indifese dalla minaccia di uno sconosciuto, attraverso la videosorveglianza, i taxi rosa, i parcheggi riservati e così via. Più recentemente, inoltre, abbiamo visto moltiplicarsi gli sforzi per accentuare l’intervento di natura penale in chiave fortemente repressiva. (…) Il cuore del problema sta nel conflitto di genere, conflitto che si acuisce in condizioni di maggiore indipendenza e autonomia delle donne, di cui le varie forme di violenza sono una manifestazione estrema, ma ampiamente diffusa nell’esperienza di vita di molte donne. Crediamo sia da questo dato che si dovrebbe partire per impostare politiche di prevenzione centrate sulla responsabilizzazione degli autori e sul sostegno alle donne non nell’ottica della tutela, ma della estensione delle loro libertà a vivere serenamente sia nello spazio pubblico che in quello privato. Per questo motivo, da alcuni anni la Regione Emilia-Romagna ha affiancato alla consolidata attività di sostegno ai centri antiviolenza alcuni progetti più sperimentali, legati alla prevenzione precoce: campagne di educazione al rispetto della differenza dalla scuola materna alla scuola dell’obbligo, interventi sull’adolescenza, secondo una logica che è quella di prevenire nei giovanissimi la diffusione di questi comportamenti, educare gli uomini al rispetto della differenza sessuale, continuare a intervenire nel momento dell’emergenza (ricordiamo qui anche la diffusione di programmi formativi delle polizie municipali per l’accoglienza alle donne che subiscono violenza). La soluzione non è tornare indietro e chiudere le donne in casa. La soluzione è ampliare gli spazi di libertà e di autonomia delle donne, educare i maschi a rispettarle, sostenere le coppie nelle fasi di separazione e nelle crescenti difficoltà ad affrontare la difficile condivisione dei compiti domestici e di cura, correggere le distorsioni istituzionali che ancora impediscono il pieno riconoscimento dei diritti delle donne, e così via. Per questo le nostre politiche vanno ripensate in una dimensione molto più ampia, che sia in grado di affrontare questi diversi aspetti, mentre il sistema penale va sollecitato ad introdurre anche tipologie nuove di intervento sugli autori, programmando, per esempio, interventi di recupero, anche in ambiente carcerario, degli uomini violenti. Esperienze che a tutt’oggi sono nel nostro Paese ancora molto limitate. L’articolo è la sintesi dell’intervento di presentazione di una ricerca sulla violenza di genere, l’11 gennaio 2010. Il testo integrale è nel volume “Città sicure” n.35, anno 2010. Economia e consumi Renza Barani Presidente Federconsumatori Modena D al primo gennaio 2010 anche in Italia esiste la “class action”, ovvero la “azione collettiva”. Purtroppo, la grande attesa e le legittime aspirazioni dei consumatori per quello che poteva rappresentare un forte ed efficace strumento di tutela dei loro diritti, sono state deluse. La class action all’italiana è nata dopo anni di discussioni parlamentari, iniziate nel 2004 a seguito del crac Parmalat (uno dei primi shock finanziari che hanno colpito i risparmiatori e i cittadini). Dopo numerosi rinvii della sua entrata in vigore, prevista inizialmente per luglio 2008, poi slittata a gennaio 2009 dopo le elezioni politiche ed il cambio della maggioranza di governo, e nuovamente rinviata a luglio, ora è realtà. Nel frattempo, purtroppo, l’esecutivo ha presentato una serie di emendamenti che hanno modificato in modo radicale la normativa già approvata. La legge che ora è in vigore, pur rappresentando una novità per il nostro Paese, nel quale non esisteva alcuno strumento di tutela collettiva per i consumatori e gli utenti che subiscono le conseguenze di comportamenti o pratiche commerciali scorrette, è stata svuotata di contenuto, e i suoi effetti sono assai ridotti. Per non parlare del percorso complesso e ricco di ostacoli da affrontare per potere indire la class action. Insomma, l’impressione di molti è che “la montagna abbia partorito il topolino”. L’aspetto più ingiusto è la mancanza di retroattività. Cosa significa, è presto detto: l’azione collettiva può essere promossa solo per gli illeciti commessi dal 16 agosto 2009 in poi. Resta quindi esclusa la possibilità di promuovere delle cause collettive per i risparmiatori coinvolti nei crac recenti (Cirio, Parmalat, bond argentini, Lehman). Non siamo nemmeno sicuri della costituzionalità di una tale previsione, che comunque Federconsumatori ritiene particolarmente negativa, in quanto toglie la possibilità ai consumatori di ottenere un equo risarcimento a fronte della perdita dei loro risparmi. Ma questo non è l’unico ostacolo all’azione dei consumatori e delle loro associazioni. Innanzitutto l’azione collettiva non può essere promossa dalle associazioni dei consumatori, come era, invece, previsto nella precedente norma varata a fine 2007 dal governo Prodi. A promuoverla prima di tutto possono essere i soli consumatori, che solo successivamente possono conferire mandato ad una associazione. Per avviare un’azione collettiva è anche necessario che i diritti da tutelare siano “identici”. Nel caso di una azione collettiva nei confronti delle banche, i diritti dei consumatori sono “identici”? Anche se quelle commissioni più onerose del massimo scoperto sono tutte diverse fra di loro? E si chiamano in modo diverso, come “tasso di sconfinamento” o “commissione di istruttoria urgente”? Se la legge deve essere presa alla lettera, si potrebbe ribattere che no, non sono “identici”: conseguentemente, non sarebbe nemmeno possibile impostare una azione di classe. Un altro ordine di problemi riguarda i tribunali competenti. La normativa prevede infatti che, salvo eccezioni, è competente solo il capoluogo della Regione in cui ha sede l’impresa imputata. Questo potrebbe significare che, se l’azienda responsabile di un disservizio o di un danno collettivo che si è verificato in tutta Italia si trova a Milano, i promotori dell’azione collettiva devono andare a Milano, con un dispendio di denaro e tempo da impiegare. Inoltre chi manda avanti un’azione collettiva è obbligato a pagarsi la pubblicità. Su questo la normativa è categorica. Dove farla e come lo dovrà stabilire il giudice. Quindi, ancora costi che si aggiungono. C’è poi tutto il capitolo che riguarda la rappresentatività. Il giudice può dichiarare l’azione inammissibile per diverse ragioni: perché “manifestamente infondata”, o perché “sussista Argentovivo gennaio 2010 Nasce la “class action” ma è un’occasione sprecata 17 Argentovivo gennaio 2010 Economia e consumi 18 un conflitto di interessi” o “il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe”. Altro intralcio, piuttosto nebuloso, che assegna ancor più potere decisionale al giudice. Ancora, nel caso il giudice dichiarasse inammissibile la domanda di azione di classe, i proponenti dovranno pagare le spese di pubblicità per informare tutti della propria sconfitta, ma c’è la possibilità che debbano anche risarcire l’impresa che hanno chiamato in giudizio. Per quanto poi, riguarda l’azione collettiva contro le inefficienze della Pubblica amministrazione, i cittadini che volessero promuoverla sono decisamente disincentivati dal farlo, perché non ne ricaverebbero alcun vantaggio personale. La class action italiana prevede che coloro che aderiscono all’azione debbano pagare le spese di procedimento sia in caso di compensazione delle spese (cosa che accade spesso davanti al Tar, anche in caso di accoglimento del ricorso) sia in caso di successo dell’Amministrazione (anche in questo caso i Tar condannano abitualmente i ricorrenti a pagare le spese). Perché, stando così le cose, il cittadino dovrebbe partecipare, sapendo che ha solo da perdere dall’adesione alla azione? In questi casi potranno essere le Associazioni dei consumatori ad avviare le azioni collettive: questo è positivo, certo, ma dovranno sopportarne i costi anche in caso di vittoria. Sono queste, in sintesi, le nostre riflessioni “a caldo”. Nei prossimi giorni, la Consulta giuridica nazionale darà indicazioni più precise. Certamente non è questa la normativa che volevamo, perché non garantisce la tutela dei consumatori e degli utenti. Non è questa la legge per la quale ci siamo battuti in questi anni, quando abbiamo chiesto uno strumento per fare fronte agli squilibri contrattuali, che da sempre caratterizzano i rapporti fra consumatori ed imprese, e per poter agire nei confronti delle imprese che attuano meccanismi vessatori a danno dei consumatori. Nemmeno l’azione della Autorità garante della concorrenza e del mercato è sufficiente a debellare gli abusi delle imprese. Siamo contrari all’idea che una class action realmente efficace avrebbe costituito uno strumento dannoso per l’economia del Paese, come sostenuto da alcune associazioni imprenditoriali. Un’impresa seria, che rispetta le regole della concorrenza, della tutela dei lavoratori e della sicurezza dei prodotti non ha niente da temere. Anzi, a lungo andare sarà più forte sul mercato. Solo le imprese che non rispettano le regole dovrebbero temere la class action. In questi primi giorni del 2010 molte Associazioni dei consumatori, e tra queste anche Federconsumatori, hanno annunciato l’apertura di azioni collettive su diverse materie: si va dai servizi bancari e finanziari ai test “fai da te” per l’influenza suina, dai mutui al monopolio informatico di Microsoft. È evidente che dopo tanti anni di attesa c’è la voglia e la volontà di avere più giustizia per i consumatori. È evidente però che, per le ragioni che abbiamo elencato, l’azione collettiva, come ribadito anche dal presidente dell’Antitrust, deve essere usata in queste prime fasi con molta attenzione, ponderando bene la fondatezza delle azioni da portare avanti. Altrimenti vi è il serio rischio che essa perda di importanza e diventi uno strumento residuale. Questo significherebbe una sconfitta per i consumatori e per le loro associazioni. Auspichiamo compattezza ed unità di intenti delle Associazioni dei consumatori, sia nelle azioni stesse che nel rivendicare le variazioni di cui questa legge avrà bisogno una volta che ne sarà misurata la sua reale efficacia. Pillole d’Europa a cura di Livio Melgari Dipartimento internazionale Spi I pilastri dell’Unione L’Unione europea prende decisioni in tre “ambiti” (settori politici) distinti, noti anche come i tre “pilastri” dell’Ue. Il primo pilastro è l’”ambito comunitario”, che comprende la maggior parte delle politiche comuni e nel quale le decisioni sono prese con il “metodo comunitario”, cioè con la presentazione da parte della Commissione di una proposta al Consiglio e al Parlamento, che la discutono, propongono emendamenti e infine la adottano, facendone un atto legislativo dell’Ue (durante questo processo vengono spesso consultati altri organi, quali il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni). Il secondo pilastro è la “politica estera e di sicurezza comune”, ambito nel quale il Consiglio decide da solo. Il terzo pilastro è la “cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale”: anche in questo caso l’unica istituzione a prendere decisioni è il Consiglio. Nell’ambito del primo pilastro il Consiglio decide di norma mediante “voto a maggioranza qualificata”, mentre per gli altri pilastri il Consiglio deve decidere all’unanimità: qualsiasi decisione può essere bloccata dal veto di un singolo Paese. Consigli utili Il bollo auto: come e quando si paga ad uid La g dino tta el ci Francesco Scarlino Segretario nazionale Ficiesse via rilasciato dagli uffici della ex Motorizzazione civile. Per le auto acquistate usate da un rivenditore, vale la data di autentica notarile dell’atto di vendita. Le auto anziane (con almeno 30 anni) Sono esenti dalla tassa automobilistica i veicoli (autovetture, motoveicoli…) costruiti da almeno trent’anni, senza che siano necessari particolari requisiti. Il beneficio spetta automaticamente, non occorre presentare una domanda apposita. Per verificare se si ha diritto al beneficio, fa fede la data di immatricolazione risultante dal “libretto” di circolazione. Se i veicoli in questione sono messi in circolazione su strade pubbliche, sono tenuti al pagamento di una tassa forfettaria dovuta in misura fissa a titolo di tassa di circolazione (indipendentemente dalla potenza del motore). Il pagamento può effettuarsi, senza sanzioni, in qualsiasi mese dell’anno, purché prima della messa in circolazione del veicolo. Questo regime agevolato non si applica ai veicoli “ ad uso professionale” . Sono da considerarsi tali, ad esempio, quelli adibiti al servizio pubblico da piazza, a noleggio, da rimessa o a scuola guida. I benefici indicati per le auto “anziane” si applicano con le stesse modalità nei riguardi dei veicoli che abbiano compiuto vent’anni e che abbiano i requisiti per essere considerati di particolare interesse storico e collezionistico. Si considerano tali i veicoli costruiti per le competizioni, quelli costruiti a scopo di ricerca tecnica o estetica, anche in vista di partecipazione ad esposizioni o mostre, e infine i veicoli che rivestono un particolare interesse in ragione del loro rilievo industriale, sportivo, estetico o di costume. A differenza dei veicoli con almeno 30 anni, il beneficio in questo caso non spetta automaticamente, ma solo se vi è stata, da parte dell’apposito Ente associativo riconosciuto dalla legge (Asi, Automotoclub storico italiano), la preventiva determinazione che individui quali sono i veicoli di particolare interesse storico e collezionistico. Se questi veicoli sono messi in circolazione su strade pubbliche, sono tenuti al pagamento di una tassa forfettaria in misura fissa, con le stesse condizioni di pagamento applicate alle “auto anziane”. Argentovivo gennaio 2010 Il programma per il conteggio del bollo auto permette di calcolare l’importo della tassa automobilistica nel periodo di pagamento (che coincide con il mese successivo alla scadenza). Ad esempio: per i bolli che sono scaduti il 31/12/2009 il periodo di pagamento va dall’1/1/2010 al 31/1/2010. Se il calcolo viene effettuato in una data successiva al periodo di pagamento, il servizio calcolerà anche le eventuali sanzioni ed interessi. Ad esempio: se il calcolo viene effettuato dall’1/1/2010 al 31/1/2010, per le tasse automobilistiche scadute il 31/12/2009, non saranno calcolati sanzioni ed interessi. Se il calcolo viene effettuato dopo il 31/1/2010 verranno calcolati invece sanzioni ed interessi. Attenzione: l’indicazione di eventuali sanzioni e interessi non implica l’irregolarità di versamenti già effettuati. La competenza per la tassazione del bollo auto spetta alle Regioni, che gestiscono le banche dati relative ai versamenti. Il primo bollo per l’auto nuova Il primo bollo deve essere eseguito entro il mese di immatricolazione. Se però questa è avvenuta negli ultimi dieci giorni del mese, per pagare c’è tempo fino all’ultimo giorno del mese successivo. Se l’ultimo giorno del mese cade di giorno festivo o di sabato, la scadenza è spostata al primo giorno feriale. In ogni caso, il mese di immatricolazione deve essere pagato per intero (anche nel caso limite di immatricolazione avvenuta l’ultimo giorno del mese). La data di immatricolazione si rileva dalla carta di circolazione o, in mancanza, dal foglio di 19 Auser Il trasporto sociale: una domanda che cresce Franco Digiangirolamo Presidente Auser Emilia-Romagna Argentovivo gennaio 2010 Il 20 bisogno-domanda di accompagnamento e trasporto sociale è in forte crescita per una serie di fattori: l’invecchiamento della popolazione, il ridimensionamento delle reti di protezione familiari, l’aumento delle famiglie unicellulari, l’organizzazione e la distribuzione sul territorio dei servizi pubblici (spesso anch’essi produttori di diseguaglianze negli accessi), l’estensione del diritto al lavoro, allo studio, alla vita sociale. Questa domanda si somma a quella “non espressa” perché la probabilità di ottenere risposte è molto bassa, oppure perché non si ha neppure la forza e la possibilità di “chiedere”. La dimensione di questa domanda si può stimare solo attraverso l’attività delle numerose associazioni e cooperative sociali che se ne occupano direttamente. Infatti questa domanda si scarica totalmente sulle famiglie, sui Comuni (che l’affrontano quasi sempre in modo singolo e non associato) e sull’associazionismo di volontariato e di promozione sociale. In un contesto di grave crisi economica, la domanda di trasporto sociale e accompagnamento aumenta mentre le risorse pubbliche e private per poterla soddisfare diventano sempre più scarse. Su 12 associazioni Auser territoriali in Emilia-Romagna, che operano sia sulla base di convenzioni con strutture pubbliche che su richieste dirette a Filo d’Argento, solo due dichiarano di essere riuscite a rispondere a tutte le richieste ricevute, mentre 10 dicono di non essere in grado di rispondere a tutte le domande espresse. La domanda che abbiamo cercato di soddisfare come Auser aveva le seguenti caratteristiche: 75% accompagnamento e trasporto verso strutture sanitarie; 12% per attività di socializzazione; 12% verso strutture scolastiche; 1% verso luoghi di lavoro. Tra i trasportati la stragrande maggioranza è di ultra65enni, e i diversamente abili sono il 15% del totale. In Emilia-Romagna i Comuni adottano criteri di priorità per organizzare la risposta ai cittadini (salute, età, urgenza, consistenza delle reti familiari…), e 2/3 degli Enti locali convenzionati richiedono un contributo al cittadino. La compartecipazione dei cittadini alla spesa viene discussa, è oggetto di contrattazione con le organizzazioni sindacali, ed è estremamente difforme da realtà a realtà. Poche, ma preziose, le esperienze di coordinamento distrettuale o intercomunale dell’attività di trasporto sociale. Riteniamo, come Auser, che il miglioramento del trasporto sociale e accompagnamento sia uno dei terreni di lotta per superare le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari e sociali e le barriere che si frappongono ai diritti di cittadinanza, per la prevenzione del rischio di solitudine e di emarginazione di gran parte della popolazione anziana e disabile. La mobilità non è solo uno spazio di libertà ma una precondizione per l’esigibilità di fondamentali diritti (lavoro, istruzione, salute, relazioni sociali). Per il suo raggiungimento occorre un salto di qualità: nelle politiche pubbliche della Regione Emilia Romagna; nelle politiche territoriali delle istituzioni (Comuni, Asp, Aziende Usl in primo luogo), chiamate alla elaborazione dei “Piani per il benessere”; nel ruolo dell’associazionismo e della cooperazione sociale; nel ruolo della contrattazione sociale territoriale promossa dalle organizzazioni sindacali. Intendiamo farci carico di un processo di innovazione del welfare locale sul terreno del trasporto sociale e dell’accompagnamento, mettendo in pratica un concetto di sussidiarietà orizzontale che non si limiti a predisporre risposte che il sistema pubblico non è in grado o non vuole offrire, ma sappia proporre l’analisi dei bisogni e dei diritti dei cittadini più deboli, e avanzare proposte per il più efficiente utilizzo delle risorse pubbliche e private. Territori e leghe Paola Guidetti G uglielmo Epifani l’ha definita la crisi più grave degli ultimi 80 anni. “Non passerà da un giorno all’altro”. E ha aggiunto: “Il governo quindi la smetta di fare ottimismo: serve un progetto all’altezza del problema e un piano di coesione sociale che coinvolga chi paga il prezzo più alto... servono nuove politiche redistributive, altrimenti si condannano migliaia di persone a valicare la soglia della povertà e a vivere sotto la dignità minima”. Maurizio Piccagli, segretario provinciale del sindacato pensionati Spi-Cgil di Reggio Emilia, elenca i punti e le cifre di questa crisi che ha colpito pesantemente anche il sistema economico e produttivo emiliano. “I pensionati nella nostra provincia sono 130mila: di questi - sottolinea - più del 50% hanno bisogno di un intervento strutturale, perché percepiscono una pensione mensile al di sotto dei 700 euro. Gli interventi del governo sono stati parziali e non hanno certo risolto il problema. La Social card non si è mostrata una soluzione utile. Non è giusto che chi ha lavorato 35-40 anni in fabbrica o in campagna ed è andato in pensione qualche anno fa abbia oggi difficoltà ad arrivare a fine mese”. Cosa chiede la Cgil Una riduzione delle tasse sui redditi da pensione (a partire dal superamento del Fiscal drag), un intervento sui meccanismi di rivalutazione delle pensioni che possa garantire la copertura del costo della vita e il reddito perso negli anni scorsi, uno Stato sociale degno di un Paese civile (basato cioè sull’assistenza, ispirato a criteri di equità e giustizia sociale), e non un sostegno residuale fatto di misure caritatevoli (i bonus). Pesanti conseguenze per i lavoratori autonomi La crisi ha modificato anche questioni di carattere previdenziale. Auro Algeri, del patronato Inca Cgil di Reggio Emilia, parla delle conseguenze pensionistiche dei lavoratori autonomi. “Per queste categorie economiche non esistono ammortizzatori sociali che garantiscono trattamenti sostitutivi del reddito da lavoro, mentre il lavoro dipendente può avere cassa integrazione, disoccupazione, mobilità… I commercianti e gli artigiani non hanno trattamenti economici sostitutivi del reddito per i periodi di crisi, se si esclude la cosiddetta rottamazione dei negozi: infatti nel commercio le donne di 57 anni e gli uomini di 62, se restituiscono le licenze, hanno diritto ad un trattamento economico pari alla pensione minima fino a quando non raggiungono l’età per la pensione di vecchiaia”. Il popolo delle partite Iva Parlare di questo a Reggio Emilia è importante, perché in questa provincia esistono migliaia di lavoratori autonomi, in particolare nel settore dell’edilizia, che hanno scelto o sono stati costretti ad aprire le cosiddette partite Iva, pur essendo essenzialmente dei prestatori d’opera e quindi dei lavoratori dipendenti. Questi lavoratori hanno un danno immediatamente percepibile a causa della mancanza di lavoro e di reddito. Quello che spesso ignorano è il grave danno che subiscono sul piano previdenziale e pensionistico. Per coloro che hanno scelto di inquadrarsi nel lavoro autonomo o hanno subito tale situazione con l’illusione di avere un reddito diretto più elevato (a scapito delle loro coperture assicurative e previdenziali), si pone il problema di riconsiderare la loro prospettiva e di battersi, al fine di vedersi riconosciuta l’effettiva posizione di prestatori d’opera, come lavoratori dipendenti. Non Argentovivo gennaio 2010 Reggio Emilia, così la crisi colpisce i pensionati 21 Argentovivo gennaio 2010 Territori e leghe 22 tutte le attività autonome hanno registrato un azzeramento del reddito o si sono cancellate per chiusura dell’attività: molte hanno avuto una consistente riduzione del lavoro e di conseguenza del reddito. Questo significa che ai fini delle pensioni di questi soggetti si determineranno delle conseguenze molto pesanti. Molto più di quanto non succeda nel settore del lavoro dipendente. I lavoratori dipendenti con gli ammortizzatori sociali hanno magari consistenti riduzioni di reddito, ma la contribuzione figurativa li tutela per quanto riguarda la pensione. Mentre gli artigiani e i commercianti, che magari fino al 2008 dichiaravano redditi piuttosto elevati, con la crisi avranno, oltre ad una consistente riduzione del reddito, una consistente riduzione dei contributi versati. Tali contributi sono calcolati in percentuale sull’imponibile fiscale del loro reddito. La riduzione consistente di questi imponibili potrà avere pesanti conseguenze sul calcolo delle loro pensioni, che ovviamente sono differenziate sulla base di parametri diversi. Tutto dipende da quanto consistente sarà la riduzione del reddito, per quanto tempo durerà questa riduzione, quanto sarà l’anzianità maturata nella gestione autonoma. Dunque inserire anni di bassa contribuzione dopo periodi di importi superiori può abbassare in modo consistente ed irreversibile la prestazione. Questo danneggia maggiormente i soggetti molto giovani, che andranno in pensione con il sistema contributivo: già sono penalizzati perchè accantonano il 20% contro il 33% dei dipendenti, se poi il 20% viene calcolato su imponibili bassi il danno è altissimo. “Sempre sul piano delle diversità che caratterizzano la gestione previdenziale tra lavoratori dipendenti e autonomi - conclude Algeri - segnaliamo inoltre che per il calcolo della pensione dei dipendenti si può applicare - in virtù di una sentenza della Corte costituzionale - una norma che permette di escludere gli ultimi anni dal calcolo della pensione, qualora questi fossero penalizzanti. I lavoratori autonomi sono invece esclusi da questa opportunità”. È chiaro allora quanto sia indispensabile una attenta gestione delle conseguenze previdenziali che la crisi comporta, conseguenze che non vengono immediatamente percepite dai lavoratori interessati. Occorre allora che coloro che sono formalmente artigiani (ma in quanto puri prestatori d’opera dovrebbero essere inquadrati come dipendenti) riflettano sulla loro attuale condizione e si documentino bene sulle prospettive pensionistiche, per non trovarsi alla fine dell’attività lavorativa con una pensione ‘da fame’. Il patronato Inca Cgil è a disposizione di tutti questi lavoratori per l’indispensabile attività di assistenza. Un esempio Un dipendente che ha accumulato 35 anni di contributi (con una media salariale di 50mila euro lordi l’anno) avrebbe maturato il 70% di 50mila euro, cioè 35mila euro lordi annui di pensione. A causa della crisi, questo dipendente potrebbe trovarsi una riduzione del salario da 50mila a 30mila euro annui. Tra 5 anni, quando avrà 40 anni di contributi e la media salariale su cui verrà calcolata la pensione sarà tale da determinare un importo di pensione molto più basso, il lavoratore potrà chiedere di riportare la sua pensione ai 35mila euro che aveva maturato prima della riduzione dello stipendio. Tutto ciò invece, per motivi che non sono socialmente comprensibili, non può essere applicato a favore dei lavoratori autonomi, i quali dovrebbero mobilitarsi per ottenere parità di diritti. Territori e leghe Norma Lugli Segretaria territoriale Spi-Cgil Modena S i è rinnovato anche nel 2009 il tradizionale concerto-spettacolo che da ormai quattordici anni il sindacato pensionati di Modena offre per Natale ai propri volontari e iscritti. Lunedì 21 dicembre scorso, al teatro Storchi di Modena, è andato in scena lo spettacolo “Scritto sull’acqua, vita e voci dalla savana” con Ivana Monti, Anna Palumbo e Teri Weikel. Lo spettacolo, opera della scrittrice modenese Annalisa Vandelli, racconta la vita dell’altopiano e della savana in Etiopia, dove l’acqua è il filo conduttore dell’esistenza. Un emozionante viaggio nelle arti che vuole dar voce alle minoranze, e che si snoda in una serie di lunghi monologhi interiori di diversi personaggi africani posti di fronte alle difficoltà della vita e della Storia. Il secondo tempo è stato dedicato al concerto del quintetto Tango Fatal, che ha proposto le atmosfere suggestive e sensuali della musica rioplatense, in una alternanza tra brani e pezzi strumentali, tra tango classico del primo Novecento, “tango nuevo” di Astor Piazzolla e composizioni originali, per una performance tutta al femminile. Lo spettacolo è stato preceduto da un saluto della segretaria provinciale Spi-Cgil Luisa Zuffi e della segretaria confederale Fiorella Prodi. Il concerto-spettacolo è stato dedicato alle lotte delle donne per l’emancipazione e i diritti, e rientra nelle celebrazioni partite fin dal 2008 in occasione del centenario dell’8 marzo, festa internazionale della donna: la manifestazione ha inoltre avuto il patrocinio del Comune e della Provincia di Modena. Un momento dello spettacolo. In basso il teatro Storchi, l’attrice Ivana Monti e il pubblico della serata Argentovivo gennaio 2010 Modena, per gli iscritti Spi una sera di teatro e tango 23 Territori e leghe C’è un “Posto delle fragole” anche a Santarcangelo Giovanna Gazzoni Coordinamento donne Spi-Cgil Santarcangelo Argentovivo gennaio 2010 Il 24 pomeriggio del 15 dicembre scorso, allo Zoe Caffè di Santarcangelo, è nato il terzo “Posto delle fragole” della provincia di Rimini. Il Coordinamento donne del Sindacato pensionati, come già a Riccione e a Bellaria, dove sono costituiti da tempo i “Posti delle fragole” come luoghi di socializzazione e di incontro dedicati alle donne, ha pensato di organizzare a Santarcangelo un primo confronto sulla possibilità di realizzare sul territorio Rimini-nord (Santarcangelo, Poggio Berni, Torriana) tale esperienza, che ha dimostrato nel tempo di essere una risposta concreta ai problemi delle donne. Non esistono modi e regole prefissate nella organizzazione e nella gestione dei gruppi, ma il forte convincimento che insieme è possibile conoscere meglio ed affrontare i molteplici problemi che connotano oggi la condizione femminile, sia a livello individuale che politico-sociale; ogni gruppo quindi decide in autonomia i tempi, i modi, i contenuti degli incontri. Così a Bellaria e a Riccione, con cadenza settimanale, le donne dello Spi, ma anche chi voglia liberamente partecipare, si incontrano per seguire corsi di scrittura autobiografica (quest’anno la conoscenza di sé attraverso un percorso sulla memoria dei sensi), laboratori di cucina creativa, incontri di approfondimento su temi e luoghi di cui si parla: da un reportage di viaggio in Palestina, alla figura femminile nella Costituzione, dalla discussione e approfondimento del tema della violenza sulle donne, alla condivisione delle diversità con le donne appartenenti ad altre culture. Sono momenti di auto-formazione e di confronto, in cui si scambiano conoscenze e saperi, due ore tutte “per sé” sottratte ai molteplici impegni familiari e professionali che occupano i tempi delle donne, da cui si esce più consapevoli e con una accresciuta stima di sé. Punto di riferimento fondante e condiviso, alla base di ogni attività ed iniziativa, il convincimento che solo una reale parità, ancora lontana dall’essere raggiunta in tutti i campi, dal privato al politico, può garantire il riconoscimento delle capacità e dei “talenti” delle donne. Ma per realizzare ciò è necessario che le donne stesse ne siano consapevoli. E questo può avvenire meglio in un gruppo aperto, in cui si scambiano conoscenze, esperienze e perché no, momenti di svago. Silvana Cerruti, responsabile del coordinamento donne della Provincia, convinta organizzatrice e instancabile animatrice dei Posti delle fragole, ha presentato alcune delle esperienze più importanti realizzate in questi anni su temi diversi: dalla democrazia paritaria, alla violenza in tutti gli aspetti in cui si manifesta, fisica, psicologica, verbale; dal lavoro di cura in ambito familiare alle varie forme di razzismo che agiscono inconsapevolmente anche in noi. Gianna Bisagni, segretaria provinciale dello Spi, ha ricordato la necessità che la componente femminile, ancora non pienamente presente e significativa nel mondo sindacale, acquisti maggiore forza, sottolineando però il fatto che la provincia di Rimini si distingue per iniziative tendenti a favorire una reale “pari opportunità”. Come ad esempio il recente corso di formazione “Stima e autostima nel lavoro sindacale”, a cura del dottor Gilberto Giaretta. A Santarcangelo, che pure è un paese con forte identità, ricco di storia, di cultura. di associazioni, non esiste un luogo “dedicato” in modo specifico alle donne: l’auspicio è che ciò che nasce oggi possa diventare un’opportunità per raccogliere e coordinare tutte quelle iniziative che in ambiti e in modi diversi tendono a favorire il percorso delle donne verso un compiuto riconoscimento. I prossimi appuntamenti, di cui si darà notizia, potrebbero riguardare, oltre ai lavori in preparazione del Congresso per garantire un’effettiva parità tra donne e uomini nella composizione degli organismi dirigenti ed esecutivi, due ricorrenze importanti: la Giornata della memoria e l’8 marzo. Territori e leghe Bologna, basta un clic per sapere come stai Bruno Pizzica Segretario generale Spi-Cgil Bologna al presidente Romano Prodi. Il cittadino potrà decidere il grado di riservatezza delle informazioni di cui disporrà il proprio fascicolo; il medico curante potrà essere autorizzato ad accedere al sito per tenere sempre aggiornate e sotto controllo le condizioni di salute del proprio paziente. Gli usi pratici? A naso e in attesa di verificare gli esiti della sperimentazione, almeno due: il primo, quello di non aver più bisogno di faticose (e ogni tanto inutili) ricerche dell’ultima lastra, quella fatta 2 o forse 3 anni fa e che occorre esibire al radiologo per un confronto (“... com’era il colesterolo l’ultima volta? 190, no 220... boh, chissà dove sarà finito il risultato di quell’esame”), ovvero ancora di avere a portata di mano i dati sensibili della propria cartella clinica dopo un ricovero; il secondo, ancora più importante e in certi casi determinante, è la possibilità di rendere noti in tempo reale i propri dati sanitari e la loro evoluzione a chi mi sta curando, magari lontano da casa. Il progetto, al quale lo Spi di Bologna ha aderito con interesse e curiosità e con il quale sta collaborando, coinvolgerà in una prima fase sperimentale una cinquantina di cittadini “volontari” ai quali sarà fornita la password e che saranno aiutati a creare il proprio fascicolo e a tenerlo aggiornato. La collaborazione con Cup 2000 è ormai antica e consolidata: da ultimo, i compagni e le compagne delle leghe di città San Ruffillo, Savena e Borgo Panigale lavorano con alacrità e soddisfazione al progetto “e-care/oldes”, una presa in carico a distanza di persone anziane fragili, che dovrà costituire un importante antidoto alla solitudine, all’abbandono, all’insorgenza della non autosufficienza. In questo senso il Fascicolo sanitario elettronico è una ulteriore tappa verso la costruzione di un sistema sanitario e sociale attento alle condizioni di vita delle persone, che si metta in grado di stabilire una relazione positiva, di “copertura”, prima che si manifestino patologie invalidanti; nel percorso ha grande importanza il progetto “Sole”, che prevede il collegamento in rete dei medici di medicina generale e il loro accesso diretto ai sistemi di prenotazione di visite e diagnostica. Una medicina organizzata attorno alla persona e non al tipo di patologia del quale si è portatori, quindi più umana e disponibile ma anche più in grado di promuovere buone condizioni di vita, il più a lungo possibile, ciascuno nella propria abitazione. Come non farsi coinvolgere? (N.B., per la cronaca: anche il vostro cronista ha cercato di ottenere la password e entrare nel gruppo di chi sperimenta il Fse; non è stato possibile... i miei anni sono troppo pochi. Ci riproverò). Argentovivo gennaio 2010 L a propria storia sanitaria in un clic. È il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) l’ultima innovazione del sistema Cup a Bologna, che rappresenterà una piccola rivoluzione nella gestione delle notizie sanitarie personali. Il progetto è stato presentato alla fine di dicembre e comincerà ad essere sperimentato in queste settimane: a far da cavia alcune decine di over 60enni indicati, tra gli altri, dallo Spi, che, come sempre, collabora attivamente ad iniziative che provano a migliorare il rapporto dei cittadini con i servizi e a garantire la migliore presa in carico. Cos’è il Fse? La registrazione informatica di tutti i dati che riguardano il singolo cittadino, dalla prima malattia infantile, alle influenze, agli esiti diagnostici e di laboratorio, ai ricoveri ospedalieri... La storia sanitaria in un clic appunto, quello necessario ad accendere il computer, segnalare la propria password ed entrare nel fascicolo personale. Ogni cittadino coinvolto disporrà di una propria chiave d’entrata, per garantire a tutti il pieno rispetto della privacy: la prima “chiave” è stata consegnata, rigorosamente in busta chiusa, 25 I temi della memoria La paura e la rabbia Vivere l’altrove: storie di migranti nella globalizzazione Anna Maria Pedretti L stesso, ma uno strumento che ci rammenti il nostro passato anche recente e le condizioni che ci hanno portato ad emigrare (ventinove milioni di italiani tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Argentovivo gennaio 2010 ’intento di questa sezione del giornale che da più di un anno i nostri lettori seguono è sempre stato quello di fare della memoria non un’operazione di nostalgia, un come eravamo fine a se 26 “Caino negli Stati Uniti”, opera del pittore David Alfaro Siqueiros hanno popolato le regioni più lontane del pianeta! e questa, come tutti sanno, non è stata l’unica ondata migratoria) per dotarci di una lente che ci permetta di leggere ciò che accade nel nostro presente con I temi della memoria Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976 Miseria e furore: oggi Rosarno, ieri l’America di Steinbeck Il brano che segue è tratto dal capitolo 21° del romanzo Furore dello scrittore americano John Steinbeck che descrive l’America durante il periodo della Grande Depressione quando, come oggi a Rosarno, la miseria dei contadini cacciati dalle loro terre da cui non possono più ricavare il necessario per vivere diventa un “marchio d’infamia”. Ora gli emigranti sono trasformati in nomadi. Quella gente che aveva vissuto di stenti sui magri prodotti d’un pezzetto di terra, adesso ha l’intero Occidente in cui spaziare. E lo va rovistando da un capo all’altro, e le strade son convertite in fiumane di gente, e gli argini dei corsi d’acqua sono presidiati da falangi di straccioni. Finché erano rimasti nei loro poderi del Middle West e del South West, erano stati tutti coloni, coloni che l’industria aveva lasciati intatti, contadini che non sentivano il bisogno di ricorrere alle macchine per Argentovivo gennaio 2010 maggiore consapevolezza, ci eviti di cadere vittime di una propaganda violenta e intimidatoria che stimola sentimenti di odio e di separatezza, ci impedisca di diventare massa informe manovrata da altri. Questo, a mio parere, è il pericolo maggiore che corre oggi la nostra democrazia: quello di fare dimenticare ai cittadini che quando una sola persona viene privata dei diritti fondati nella nostra Costituzione, la democrazia è in pericolo per tutti. Nessuno può sentirsi sicuro che domani non tocchi a lui quello che vede accadere all’altro. È per questo che abbiamo scelto (e si tratta di una scelta politica, non sentimentale) di raccontare la storia delle persone: la storia di Anna, di Cristina, di Ismail, di Chen, di Valda, di Maurizio, di Angelo, di Enrico, di San e di tutti coloro che, ieri o oggi, hanno conosciuto l’esperienza totalizzante della migrazione. Per testimoniare e conservare la loro voce. Per dare loro voce. Per far riconoscere tutti i nostri narratori come persone portatrici di una storia degna come quella di chiunque altro, portatrici dunque dei diritti umani universali. Il racconto in prima persona, raccolto con rispetto e attenzione dai biografi e dalle biografe dello Spi, costituisce il riconoscimento del valore di ciascuna esperienza restituendole la dignità di essere narrata e letta. narra le esperienze di vita più tragiche o felici di un altro da noi, restituisce la parola alle persone, anche alle più umili, ce le avvicina, ce le rende amiche, ci permette di immedesimarci in loro, di comprendere i moti più intimi del loro animo, di vedere specchiati nei loro i nostri sentimenti e le nostre emozioni. È per questo che oggi, dopo i fatti di cronaca clamorosi che hanno visto i nuovi migranti sottoposti nel nostro Paese a trattamenti disumani e ad azioni di odio e di xenofobia violenti e ingiustificati, abbiamo deciso di usare questo spazio per pubblicare documenti, anche fotografici, poesie e testi letterari che permettano a ciascuno di noi di capire la paura e la rabbia che ci attraversano e di usare il nostro cuore e la nostra ragione. 27 I temi della memoria Argentovivo gennaio 2010 John Steinbeck lavorare la terra, né conoscevano la potenza e il pericolo delle macchine nelle mani di privati. Non si erano assuefatti ai paradossi dell’industria. Vedevano distintamente il lato assurdo e ridicolo della vita industriale. Ed ecco che, spodestati e sfrattati dalle macchine, si ritrovano a trascinarsi senza meta sulle strade. Il moto li trasforma totalmente; la strada li trasforma, e la vita nella tenda, e la paura della fame, e la fame stessa. E li trasformano i bambini senza cibo, e gli interminabili spostamenti. Ormai sono solo dei nomadi. E li trasforma l’ostilità che incontrano dappertutto, e che li cementa, li salda insieme.., quell’ostilità che induce i paesini a organizzarsi e ad armarsi come per respingere un invasore, con bande armate di bastoni, impiegati e commercianti coi loro fucili da caccia, preparati a difendersi contro i loro stessi fratelli. Ed ecco che nel West subentra il panico, ora che i nomadi vanno moltiplicandosi per le strade. I ricchi sono terrorizzati dalla loro miseria. Individui che non avevano mai provato la fame, ora vedono gli occhi degli affamati. Individui che non avevano mai provato desideri intensi per qualche cosa, vedono ora l’ardente brama che divampa negli occhi dei profughi. Ed ecco gli abitanti delle città e della pigra campagna suburbana organizzarsi a difesa, dinanzi all’imperioso bisogno di rassicurare se stessi di essere loro i buoni e i cattivi gli invasori, come è buona regola che l’uomo pensi e faccia prima della lotta. Dicono: vedi come sono sudici, ignoranti, questi maledetti Okies. Pervertiti, maniaci sessuali. Ladri tutti dal primo all’ultimo. Gente che ruba per istinto, perché non ha il senso della proprietà. Ed è giustificata, se vogliamo, quest’ultima accusa; perché come potrebbe, chi nulla possiede, avere la coscienza angosciosa del possesso? E dicono: vedi come son lerci, questi maledetti Okies; ci appestano tutto il paese. Nelle nostre scuole non ce li vogliamo, perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe veder tua sorella parlare con uno di questi pezzenti? E così le popolazioni locali si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che maneggiano le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono Quando la Romania non voleva gli italiani “A metà del ’900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti e indisciplinati. (…). I problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra ‘Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo’. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno inviata nel 1942 a tutti i Questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al governo della Dalmazia, alla Polizia di Zara e all’Alto commissariato di Lubiana, diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania. (…) La più antica documentazione è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”. (…) La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica, ma anche in altri Paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di transito, ma non lasciavano il Paese in cui erano solo di passaggio. Altri ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America attraverso biglietti inviati (…) in realtà dall’altra parte dell’Oceano ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. (…) questo “racket” è documentato con materiale del 1908 (ministero degli Esteri) e contribuisce all’affresco di un’epoca, non troppo lontana, quando i criminalizzati, non graditi o sfruttati, eravamo noi”. Tratto dal sito web “Il pane e le rose di Trento”, Unione italiana degli immigrati, da un articolo di S.Parmeggiani. 28 le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur qualche cosa, l’impiego è pur qualche cosa. L’impiegatuccio pensa: io guadagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti? E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la loro indigenza e la loro fame sono visibili nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho i bambini che han fame! Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro. E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati. Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù. E ora i latifondisti e le società inventano un metodo nuovo. Metton su fabbriche di frutta in conserva, e quando le pesche e le pere e le susine sono mature fanno calare il prezzo della frutta fresca al di sotto del costo di produzione. Così comprano la frutta fresca a prezzo irrisorio, ma tengono alto quello della frutta in conserva, e realizzano enormi profitti. E i contadini, i contadini che non possiedono fabbriche di frutta in conserva, perdono i loro frutteti; e i frutteti vengono assorbiti dai latifondisti e dalle banche e dalle società che possiedono le fabbriche di frutta in conserva. I contadini allora si trasferiscono in città, e in poco tempo vi esauriscono il loro credito, e perdono gli amici e s’alienano i parenti e finalmente si riducono anch’essi sulla strada. E le strade sono affollate di gente avida di lavoro, ma avida al punto da esser disposta ad assassinare pur di trovarne. E le banche e le società si scavano la fossa con le proprie mani, ma non lo sanno. I campi sono fecondi, e sulle strade circola l’umanità affamata. I granai sono pieni, e i bimbi dei poveri crescono rachitici e pieni di pustole. Le grandi società non sanno che la linea di demarcazione tra fame e furore è sottile come un capello. E il denaro che potrebbe andare in salari va in gas, in esplosivi, in fucili, in spie, in polizie e in liste nere. Sulle strade la gente formicola in cerca di pane e lavoro, e in seno ad essa serpeggia il furore, e fermenta. Gli italiani visti dagli americani (a cura di Eva Lindenmayer) Nel suo bestseller L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi (Bur, 2003) Gian Antonio Stella ci ricorda che è una “patriottica ipocrisia” credere che i nostri emigrati erano molto diversi da quelli che oggi sbarcano sulle coste italiane e che la loro integrazione nei Paesi di destinazione si sia svolta senza problemi. Scrive Stella: “Forse nessun’altra comunità di emigrati è stata al centro di una massa di articoli, saggi e documenti ingenerosi, ostili, ridicoli o spietati come la nostra”. Il peggio del peggio di quanto è stato scritto sugli italiani in America è stato raccolto nel libro Whop! di Salvatore J. LaGumina, professore al Nassau Community College, ampiamente citato da Stella. Scrive LaGumina: “C’è stato un periodo in cui gli italiani nella considerazione di molti americani erano collocati in posizione inferiore persino a quella dei neri”. Va ricordato che in America l’odio e il disprezzo nei confronti degli italiani non veniva espresso soltanto dagli xenofobi fondamentalisti del movimento “nativista” (che voleva salvare la “razza” di coloro che in America erano nati salvo ovviamente i pellerossa), o dai razzisti incalliti del Ku Klux Klan. Facevano parte del coro anche organi di stampa rispettabili come il “New York Times”, riviste prestigiose come “Harper’s Weekly” e “Leslie’s Illustrated” e alcuni scrittori socialmente impegnati che trascuravano accuratamente ogni aspetto positivo della vita degli immigrati. Un gruppo di immigrati italiani ai primi del ’900, ad Ellis Island, la “porta d’accesso” agli Stati Uniti Argentovivo gennaio 2010 I temi della memoria 29 I temi della memoria Argentovivo gennaio 2010 Riportiamo qui qualche stralcio uscito a cavallo del Novecento, da cui risulta che non c’è stereotipo rinfacciato oggi agli immigrati che non sia stato in altri tempi rinfacciato ai nostri emigrati. 30 Sono poveri “Da quando New York è stata fondata non è mai esistita una classe così abietta e ignorante tra gli immigrati come gli italiani meridionali sbarcati qui in massa l’anno scorso. Provengono dalle province più povere a sud di Napoli che esportano per lo più straccioni. Sono province così povere che pare del tutto inverosimile che questa gente possa avercela fatta ad arrivare fin qui con mezzi propri. Più di una volta viene il grave sospetto che siano stati i comuni italiani ad inviarceli contenti di essersene sbarazzati. […] Appena arrivati questi contadini e contadine intraprendono poi i mestieri più degradanti che si possano trovare in una grande città. Sono loro che ripuliscono dall’immondizia le nostre strade, i loro figli crescono in luridi scantinati colmi di cenci e di ossa o in solai sovraffollati dove vivono insieme molte famiglie e vengono poi mandati nelle strade a raccattare qualche soldo nei commerci spiccioli. Ai genitori non importa niente del loro benessere e non si curano minimamente della loro istruzione. Questi bambini trascorrono le giornate in giro per le strade dove dovrebbero raccogliere rifiuti, lucidare scarpe o svolgere altri mestieracci, ma di fatto vengono su come vagabondi e fannulloni. Non sanno la nostra lingua e non ricevono alcuna educazione che potrebbe prepararli a diventare cittadini americani”. (New York Times, 5 marzo 1882, LaGumina, p. 5). Sono ignoranti e fannulloni “Solo il 40% circa della popolazione italiana sa leggere e scrivere e questa percentuale viene spesso ritenuta inattendibile. Quando, per esempio, recentemente c’è stata una visita di leva di mille uomini è risultato che solo il 26% di questi sapeva leggere. Quando ai tassisti nelle città si indica una strada e un numero civico, portano i clienti nella strada desiderata e chiedono loro di dire stop quando il relativo numero civico è stato raggiunto. A forza di viverci conoscono le strade delle città, ma non sanno leggere i numeri e devono ricorrere all’aiuto dei clienti. A volte fermano passanti per chiedere informazioni. Per quanto riguarda i loro scopi nella vita, pochi sono coloro che aspirano a fare altro che condurre una esistenza dedicata al dolce far niente. Un po’ di maccheroni per colazione, una strimpellata di chitarra, di mandolino o di cetra per passare allegramente le notti suonando sotto le finestre per racimolare qualche centesimo, e l’italiano è contento”. (Regina Armstrong, “Startling Facts About Our Pauper Italian Immigrants” [“Fatti allarmanti sui nostri immigrati italiani poveri”], Leslie’s Illustrated, marzo 1901, LaGumina, p. 117-118). Sono sporchi e puzzano “Tra i giri che ero abituato a fare nei quartieri più poveri c’era quello che mi portava a “Five Points”, quartiere italiano. Qui in enormi casermoni erano ammucchiati centinaia di italiani poveri, in gran parte impegnati a portare in giro per città e campagne l’immancabile organetto o a vendere statuine. In una stessa Un’altra opera di David Alfaro Siqueiros stanza trovai scimmie, bambini, uomini e donne, con organetti e stampi di gesso tutti accalcati gli uni sugli altri. Vi era uno schiamazzo da manicomio e un misto di odori composto da aglio, puzza di scimmie e tanfo di persone sporchissime. Era senza eccezione la popolazione più sozza che avessi mai incontrata”. (Charles Loring Brace, The Dangerous Classes of New York [Le classi pericolose di New York], 1872, LaGumina, p. 50). Portano criminalità “L’importazione in grande stile di italiani dalla Calabria e dalla Sicilia è entrata in una nuova fase. […] Rappresentanti della Società Italiana affermano che questi uomini sono la classe più pericolosa d’Europa. Sono carbonari e banditi e alla minima provocazione manifestano il loro carattere. Alla luce di questi fatti la Società […] protesterà contro l’avvio di questa gente a New York, che diventerebbe nientemeno che la colonia penale per i rifiuti d’Italia se questo tipo di emigrazione non verrà fermata”. (New York Herald, 12 dicembre 1872, LaGumina, p. 25-26). “Anche se non disponiamo di stime nemmeno approssimative circa il numero complessivo di criminali italiani negli Stati Uniti, una cosa è certa: i crimini da loro commessi negli ultimi dieci anni hanno raggiunto un record ineguagliato nella storia di un paese civile in tempo di pace”. (Frank Marshall White, Fostering Foreign Criminals [Favorendo i criminali stranieri], Harper’s Weekly, 8 maggio 1909, LaGumina, p. 93). Sfruttano il nostro benessere “Gli operatori delle istituzioni caritative concordano nel dire che molti italiani meridionali sbarcano con le più bizzarre idee su ciò che qui li aspetta. Immediatamente ricorrono agli aiuti sociali con l’aria strafottente di chi dice: ‘Eccoci qui. Cosa farete per noi?’. Insistono addirittura sugli aiuti come se fossero loro dovuti. Nel loro Paese si è sparsa la voce che nella stupida America panieri di cibo I temi della memoria verrebbero mandati a chiunque ne avesse bisogno e alcuni attraversano l’oceano proprio per approfittare di questa generosità. […] E’ curioso che gli immigrati appena arrivati, poco adattabili agli standard americani, imparino invece rapidamente ad individuare le istituzioni alle quali possono tranquillamente affidare i figli facendoli nutrire, vestire e accudire a spese dei contribuenti. Infatti è questo uno dei motivi che li ha spinti a lasciare il paese natio”. (Edward Alsworth Ross, A Study of the Social Effects of Immigrants [Studio sugli effetti sociali degli immigrati], Century Magazine, vol. 87, dicembre 1913, LaGumina, p. 124). La campanella Serve aria nuova, al cinema e non solo “Avanti, emarginati”, titolava Goffredo Fofi, su “Domenica del Sole 24 ore” del 20 dicembre scorso, a proposito dei “Corti d’autore” cui ha dato vita Intesa Sanpaolo dando fiducia a giovani trentenni, sia pure con la garanzia di registi affermati – Salvatores, Sorrentino e Olmi - e scriveva che “il contrario di fiducia è sfiducia e diffidenza, è paura e negazione. Viva la fiducia, dunque, ma non dimenticando la tentazione sempre forte che ogni generazione ha di prediligere i figli che gli somigliano o che non si trasformano in rivali. Il rischio evidente… è quello di dar fiducia ai giovani pronti a farsi avanti nel mondo adulto non scombinandone gli equilibri, i consolidati usi e costumi, e non scalzando gli adulti dal loro sudato piedistallo. Di dar fiducia solo ai giovani che non mettono in crisi, che non fanno paura … mentre oggi si avrebbe piuttosto bisogno di novità, di diversità, di occhi nuovi e sentimenti nuovi. … Mai come ora c’è bisogno di azzardi, di sbalzi, di rotture, di deviazioni, di stranezze, di stravaganze, di provocazioni. Di guardare oltre gli occhi, di leggere e ascoltare oltre le parole, di capire oltre la coscienza, di inventare oltre la ragionevolezza, di non accettare oltre il giusto e il lecito l’ordine di cose esistente. Nel cinema e nel resto”. Credo non si potesse dar meglio voce al disagio che ogni pensionato “di buona volontà” avverte a proposito della mancanza di futuro del nostro Paese. Tocca a noi “tirarci indietro” - perché non mandare tutti in pensione a 65 anni, intendendo anche politici, medici, dirigenti e quanti potrebbero, lasciando posto ai giovani, continuare da pensionati – nessuno di questi col minimo! – a dare il loro contributo di esperienza, di coordinamento, di controllo? Non si può più volere che “tutto cambi purché nulla cambi per me”. Non c’è difesa di alcun diritto personale senza la decisa volontà di affermarlo per tutti. Sostengo che dobbiamo rompere questo schema: mio figlio se l’è cavata, ha avuto un posto, pazienza per gli altri! – mia figlia ha sposato un ragazzo ricco, pazienza per le altre - “terremotato” a me han dato la casa, pazienza per gli altri – ho un medico amico in ospedale, pazienza per gli altri – ho trovato i mandarini a un euro, pazienza se raccolti da nuovi schiavi! -. Difendendo soltanto tutte le nostre sicurezze senza provocatorie nuove strategie, anche per noi non c’è futuro: sottrarsi al ciclo della vita significa di certo sentirsi più soli, perché sfiduciati, e invecchiare male! Argentovivo gennaio 2010 Una manifestazione contro il razzismo * I tre corti d’autore vincitori (“L’altra metà” di Pippo Mezzapesa, “L’ape e il vento” di Massimiliano Camaiti, “La pagella” di Alessandro Celli) e quelli degli esordienti si possono vedere sul sito web www.perfiducia.com. Miriam Ridolfi 31 Salari e pensioni sono stati erosi in questi anni, anche a causa del prelievo fiscale. Ma il Governo, dopo aver promesso di tagliare le tasse ora dice che non si possono più ridurre per colpa della crisi Non è vero! ridurre le tasse su salari e pensioni serve proprio a combattere la crisi e a favorire la ripresa! Lo hanno già fatto molti governi europei CGIL SINDACATO PENSIONATI ITALIANI