Enzo Kermol Le frontiere della prostituzione Con il contributo di Esma Beslagić, Marilena Contessi, Barbara De Marchi, Katia Feruglio, Alessandra Francescutto, Roberta Grimaz, Carla Maset, Alessia Vicariotto Prefazione di Pier Giorgio Ragazzoni Introduzione di Nicola Maria Pace Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste Trieste 2004 1 Indice Prefazione Dallo sfruttamento all’integrazione fondata sulla solidarietà di Pier Giorgio Ragazzoni Introduzione Immigrazione clandestina: disciplina normativa, tecniche d’indagine e concrete esperienze investigative a confronto di Nicola Maria Pace Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste 1. Migrazione: utopia, disagio e microcriminalità 2. Il “mercato nero”: gestione dei flussi, criminalità organizzata e “nuove mafie” 3. I flussi e le rotte 4. La disciplina penale: i reati di favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza; le aggravanti specifiche 5. Il crimine “indotto”; schiavitù e condizione analoga 6. Metodologie di indagine e tecniche investigative. I primi strumenti di tutela transnazionale 7. Osservazioni conclusive Parte prima Confini invisibili Capitolo primo La “nuova” schiavitù di Enzo Kermol e Roberta Grimaz 1.1. Immigrazione illegale e prostituzione 1.2. Riepilogo dati sui reati inerenti la prostituzione 1.3. La tratta internazionale delle “bianche” a scopo di sfruttamento sessuale 1.3.1. La prostituzione albanese 1.3.2. La prostituzione dall’ex Unione Sovietica e dai paesi dell’Est 1.4. Lo sfruttamento della prostituzione nell’Italia settentrionale 1.4.1. Le interviste alle ragazze moldave 1.4.2. Le interviste alle ragazze ucraine 1.4.3. Le interviste alle ragazze albanesi 1.4.4. Le interviste alle ragazze romene 1.4.5. Analisi complessiva dei dati Capitolo secondo Le storie - Parlano le ragazze dell’Est di Esma Beslagić, Katia Feruglio, Roberta Grimaz 2 Capitolo terzo Digita “escort”: il mondo della prostituzione on-line di Carla Maset 3.1. Internet, la comunicazione globale 3.2. Cenni sulla prostituzione minorile via web 3.3. Il prototipo del cyber-cliente 3.4. Annunci cartacei 3.5. I siti 3.6. Le tariffe 3.7. Il caso Metropolitan 3.8. Il volto oscuro della Rete - La pornografia 3.9. Il caso Yahoo! 3.10. Rete, pornografia minorile e legislazione Capitolo quarto Prostituzione e violenza ai minori di Enzo Kermol e Alessia Vicariotto 4.1. L’entità del fenomeno pedofilia: fra statistica e mass-media 4.2. La cronaca italiana 4.2.1. Intrafamiliare 4.2.2. Extrafamiliare 4.2.3. Lo “sfruttamento” della pedofilia 4.2.3.1. Gli episodi isolati 4.2.3.2. Il mercato dei favori 4.2.3.3. I club internazionali 4.2.3.4. Il racket internazionale 4.2.3.5. Prostituzione e pedofilia 4.2.3.6. Brevi considerazioni sul “mercato” 4.3. La pedofilia: una perversione sessuale 4.4. Proposte e provvedimenti 4.4.1. Il quadro legislativo in Italia Capitolo quinto Clienti e sfruttatori di Enzo Kermol 5.1. Sconosciuti a confronto 5.2. Come le prostitute vedono i clienti 5.3. La figura del protettore 5.4. Divagazioni 3 Parte seconda Gli interventi Capitolo sesto Il ruolo delle forze dell’ordine di Enzo Kermol e Barbara De Marchi 6.1. Modello operativo relativo al fenomeno prostituzione 6.2. Descrizione della ricerca e analisi dei dati 6.3. Conclusioni Capitolo settimo Le caratteristiche dell’azione sociale di Enzo Kermol, Marilena Contessi, Alessandra Francescutto 7.1. Ipotesi di intervento: i progetti nell’ambito della prostituzione 7.2. Il progetto Prima Accoglienza 7.2.1. Come nasce Prima Accoglienza 7.2.2. “Dal marciapiede alla libertà” 7.2.3. Kairòs 2: il completamento dell’integrazione sociale 7.2.4. I risultati 7.2.5. Le interviste agli operatori sociali 7.2.5.1. Area personale 7.2.5.2. Area della professione 7.2.6. La figura dell’operatore emergente Capitolo ottavo La normativa italiana in materia di prostituzione di Katia Feruglio Parte prima - La legge 20 febbraio 1958, n.75 8.1. Nozione di prostituzione 8.2. Cenni sulla situazione normativa precedente 8.3. Il progetto Merlin e la sua approvazione 8.4. Contenuto della legge 8.5. Le singole figure criminose 8.5.1. Proprietà ed esercizio di casa di prostituzione 8.5.2. Locazione di immobile per l’esercizio di casa di prostituzione 8.5.3. Tolleranza abituale dell’esercizio della prostituzione 8.5.4. Reclutamento e agevolazione della prostituzione a fine di reclutamento (art.3, n.4) 8.5.5. Induzione alla prostituzione e lenocinio 8.5.6. Induzione a recarsi altrove per esercitare la prostituzione 8.5.7. Attività in associazioni e organizzazioni per il reclutamento e sfruttamento della prostituzione e di agevolazione o favoreggiamento delle stesse (art.3, n.7) 8.5.8. Favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (art. 3, n.8) 4 8.6. L’oggetto della tutela penale Parte seconda - Le disposizioni contro le immigrazioni clandestine 8.7. Quadro generale del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero 8.8. Immigrazione clandestina aggravata dalla finalità di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della stessa (art.12 , comma 3) Parte terza - Il reato di sfruttamento della prostituzione nella giurisprudenza ordinaria 8.9. Lo sfruttamento della prostituzione: una nuova forma di riduzione in schiavitù 8.9.1. Sentenza della Cassazione n. 261 del 16 gennaio 1997 8.10. I delitti contro la personalità individuale 8.10.1. Il delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) 8.10.2. La tratta di schiavi e di minori (art. 601 c.p.) Conclusioni di Enzo Kermol Postfazione Comunicazione e prostituzione di Francesco Pira Allegati Legge 20 febbraio 1958 n. 75 “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui” (Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958) Legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù” (Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998) Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (Articolo 18) (Gazzetta Ufficiale n. 191 del 18 agosto 1998 Supplemento Ordinario n. 139) Bibliografia Ringraziamenti 5 Abstract La realtà della prostituzione appare oggigiorno complessa e problematica in quanto il fenomeno è emerso in tutta la sua drammaticità, aprendo importanti riflessioni a livello culturale, politico, educativo e sociale. Nel mercato del sesso sono coinvolti indistintamente adulti e minori, uomini e donne che rivestono un ruolo attivo, sia sul versante dell’offerta, sia su quello della domanda. Il panorama “globalizzante” offerto dal mercato della prostituzione si discosta ampiamente da quello auspicato nelle convenzioni internazionali, ma soprattutto da quei principi di contrasto alla pratica della schiavitù. Sembra quasi si voglia far ripiombare il pianeta intero in situazioni collocabili in epoche di cui si parla solo sui libri di storia antica. L’interesse delle istituzioni pubbliche nei confronti del tema è ampliamente dimostrato dalle numerose proposte e disegni di legge che, seppure non hanno apportato sostanziali modifiche nel sistema normativo - e neppure possono essere considerate “innovative” rispetto alla situazione presente - hanno dimostrato la consapevolezza a livello politico della necessità di un’adeguata analisi e intervento nel settore. La specificità del mondo della prostituzione richiede infatti continue attività di ricerca sociale in merito, e assidui confronti internazionali, tesi a stimolare ed incentivare momenti di riflessione congiunti, potenziando i provvedimenti di contrasto ed opposizione alle dinamiche internazionali del fenomeno, quali la tratta di esseri umani ed in particolare la mercificazione sessuale dei minori. Il problema da affrontare non è tanto la legislazione da “riformare”, ma i principi della convivenza civile che devono ritrovare quei fondamenti etici che permettono il vero progresso dell’uomo. L’educazione permanente dell’adulto non trova seguito se non vi sono le basi nel bimbo e nell’adolescente, e se i media si muovono nell’ottica di creare un mercato e non una coscienza. L’azione sociale deve indirizzarsi verso una molteplicità di obiettivi, integrando i provvedimenti in un’ottica di operatività coordinata in tutti i suoi aspetti, non trascurandone alcuno. E’ nostro intendimento sottolineare come accanto all’inflessibilità del magistrato incaricato di reprimere la tratta internazionale gestita dalle organizzazioni criminali - punto di partenza dell’intero fenomeno - occorre un’altrettanto ferma volontà di modificare la percezione collettiva del comportamento interpersonale, improntandola sulla solidarietà e non sullo sfruttamento, logica da cui deriva il concetto stesso di prostituzione. Enzo Kermol, nato a Trieste, è docente di Psicologia della Comunicazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Trieste. Dottore di ricerca in medicina materno infantile, perfezionato in metodologia e matematiche per le scienze sociali, dirige il Corso di perfezionamento in Analisi e gestione della comunicazione nella stessa Università. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo La musica del cinema, Bulzoni, Cinema, moda, pubblicità, Franco Angeli, Le strategie della comunicazione, Divismo vecchio e nuovo (con Mariselda Tessarolo), Comunicazione e Potere (con Francesco Pira), Un’analisi del fenomeno prostituzione (con Alessandra Francescutto), per i tipi della Cleup. Collabora con il quotidiano Il Gazzettino. 6 Prefazione Dallo sfruttamento all’integrazione fondata sulla solidarietà di Pier Giorgio Ragazzoni Un libro che si fa leggere tutto d’un fiato, anche se poi può lasciare l’amaro in bocca. Quanta profonda amarezza, che confina con l’orrore, per una realtà che non può lasciare nessuno indifferente, soprattutto se conosciuta più a fondo e da vicino, addirittura dal di dentro. A questa reazione emotiva, più che giustificata, deve far luogo (anche per il comune lettore che comunque deve essere maturo e professionalmente preparato e motivato) a “momenti di sospensione dell’azione al fine di valutare attentamente le circostanze, soprattutto quelle che paiono con maggior complessità” [cap.7]. Deve nascere, allora, quella riflessione che è stimolata e continuamente richiamata nello scorrere di queste pagine. Perché questa riflessione sia quanto più fondata, con una visione d'insieme della realtà: “Le frontiere della prostituzione “, visione non parcellizzata, unilaterale, che lasci facile spazio alle notizie che spesso colpiscono di più, senza richiedere adeguata conoscenza di un problema dell’ampiezza e gravità di questo fenomeno. Il lavoro ponderoso realizzato e coordinato dal Prof. Enzo Kermol ci permette di cogliere con obiettività e notevole approfondimento i “confini invisibili” di questa “nuova schiavitù”. Ci aiuta a comprendere una realtà che spesso è conosciuta solo superficialmente anche da tanti operatori e che oggi è strettamente legata all’immigrazione. Va colta la completezza del libro anche perché riporta una serie di dati sul fenomeno, fondandoli su situazioni attuali, fra l’altro non facilmente disponibili. Lo studio prende il via proprio dal capitolo introduttivo del Procuratore dottor Pace che delinea i diversi percorsi della criminalità organizzata nel campo dello sfruttamento degli esseri umani. Forse è una delle poche volte in cui queste delicate questioni si trovano scritte in modo articolato, mentre fino ad ora si conoscevano molto approssimativamente. “Dagli inizi degli anni ’90 l’immigrazione è divenuta un processo ‘globale’, provocato da fattori politici, socio-economici e demografici di varia natura, che sta caratterizzando le condizioni di vita dei paesi maggiormente industrializzati.” [cap.1] e che si appoggia sull’inganno e la costrizione. Ciò è particolarmente preoccupante quando è esercitata sui minori. Il capitolo quattro ci permette di riflettere su “episodi di violenza e sopraffazione nei confronti dei bambini.” [cap.4]. Ci apre uno spaccato, documentato, su questa “violenza sessuale a danno di minori: intrafamiliare, extrafamiliare e il cosiddetto ‘mercato della pedofilia’” [cap.3]. Ci presenta anche interessanti “ipotesi interpretative” proposte da diversi approcci psicologici [cap.3] che ci aiutano a cogliere ed approfondire diversi aspetti della “pedofilia”. Dalla conoscenza dei fenomeni e della sofferenza, spesso così poco approfondita e conosciuta non solo dai “clienti” (di cui si analizza la realtà nel capitolo cinque), dall’uomo comune di strada ed anche da chi cerca di conoscere per capire, non si può non passare alla “condivisione”. Condivisione di tanta sofferenza, per violenze di ogni genere che devono essere fatte emergere per caratterizzare una valida azione sociale e portare a dei progetti che preve- 7 dano “interventi di informazione, mediazione interculturale, intervento di strada, reintegrazone sociale accoglienza protetta, percorsi di formazione, consulenza giuridica, inserimento lavorativo” [cap.7.1], accanto a “prevenzione sanitaria”,”riduzione del danno”, “formazione professionale ed inserimento lavorativo”, ”azione di Network”, fino ad “interventi di controllo sociale e di repressione” (quando questi si rendessero veramente indispensabili, a mio parere). Tutti questi ipotizzabili interventi sono accuratamente indicati, con altri, a pagina tre del capitolo sette. Sono però fondamentali “interventi di accoglienza e presa in carico” [cap.7]. Questa prospettiva dell’accoglienza e presa in carico andrebbe, a mio parere, ulteriormente valorizzata e sicuramente non può essere posta sullo stesso piano dei “gruppi di aiutoaiuto” o degli interventi tipo “zoning” [cap.7]. Anche la ricca esemplificazione del “progetto di Prima Accoglienza nella provincia di Bergamo” [cap.7.2] è particolarmente interessante ed … incoraggiante, visto anche negli aspetti (inusuali nella presentazione di un “progetto”) che coinvolgono gli operatori sociali, le loro motivazioni, la loro esperienza, la personale crescita umana oltre alla loro professionalità. Facendo riferimento al lavoro realizzato sul territorio, in vista del recupero delle persone vittime della “schiavitù”, va qui ricordato che assieme a questa ”tipologia d’intervento esemplificatrice” [cap.7], sul territorio della nostra regione da anni è presente un progetto di “recupero” portato avanti dalle Caritas di Udine, Pordenone e Trieste che, anche per i risultati fino ad ora conseguiti, credo abbia significativa valenza. In proposito, si veda la relazione del centro di prima emergenza della Caritas di Udine, del centro di ascolto della Caritas di Pordenone e del “rapporto sull’esclusione “ della Caritas di Trieste. L’esperienza di Bergamo è presentata con molta ricchezza ed approfondimento, ritengo però sia da citare, almeno in questa occasione, che nel Triveneto (o Nord Est) esiste una preziosa rete di case di accoglienza specifiche per questa tipologia di persone, gestite dalla Caritas o da altre realtà ecclesiali. Nella stessa provincia di Udine, la Caritas è impegnata in due case di accoglienza che portano avanti un progetto come quello tratteggiato nel libro. La “riflessione è considerata punto di partenza del lavoro e quindi base per ogni intervento sociale” [cap.7] e si propone con forza anche al lettore che intenda affrontare una seria “ipotesi di intervento”. Mi sembra esauriente l’indicazione della “normativa italiana” presentata nel capitolo otto, testi indispensabili anche per chi non opera professionalmente ma vuole essere, con questa lettura, osservatore attento. E’ necessaria questa conoscenza per orientarsi nella legislazione vigente [cfr. Allegato N:1] ed in particolare aver presente particolarmente l’art. 18 del “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero “ del 25 luglio 98 n.286, più volte citato nel presente lavoro. Queste leggi danno fondamento e legittimità al “ruolo delle forze dell’ordine” [cfr.cap.6] chiamate spesso anche a “mettere in pericolo la propria vita per aiutare il prossimo” [cap.6]. In questo veloce (spero non pedante) scorrere delle pagine da me fatto per stimolare alla lettura, non va dimenticato il capitolo terzo che è importante cogliere nella sua positività ed anche nella sua novità: è quello che riguarda il mondo della prostituzione online e di ciò, fino ad ora, mi risulta non si trovi traccia in alcun libro o saggio, se si esclude qualche accenno ai rischi derivanti dall’introduzione delle nuove tecnologie. 8 Questo piccolo saggio dà un quadro sufficientemente rivelatore della “pornografia in rete”, del “cyber-cliente” [cfr.1.3.3] e mette sull’avviso l’ignaro “navigatore” che, “attraverso i links (collegamenti) si viene sballottati da un sito all’altro”, come ha potuto verificare chi si è anche casualmente avvicinato a questo “unico grande business in cui l’importante è ‘accalappiare’ i clienti” [cap.3]. Rimangono, infine, nel cuore le “storie” di vita vissuta dalle ragazze che “ci parlano” nel capitolo due. Giustamente non hanno bisogno di commento, “parlano da sole” e suscitano “rivolta” ma anche tanta “speranza“ in chi crede nei valori umani che crescono nel cuore della persona, donna o uomo. Alcuni concetti potrebbero essere ancora precisati ed ampliati: non donne “prostitute” ma “donne prostituite”, non solo “prostituzione di donne e bambini” (senza dimenticare che c’è pure quella degli uomini e di altre forme di devianza) ma “sfruttamento di esseri umani”. “Nel mercato del sesso sono coinvolti indistintamente adulti e minori, uomini e donne che rivestono un ruolo attivo, sia sul versante dell’offerta, sia su quello della domanda” [cap.9 ]. Parlando specificatamente di donne prostituite non può essere dimenticato come, secondo alcuni studiosi, la maggioranza delle donne che praticano la prostituzione, di fatto sono schiave; anche quelle che a parole dicono di averla scelta liberamente sono state costrette a farlo per una situazione di povertà economica, psicologica o culturale. Nella Postfazione [cap.10] il Prof. Francesco Pira ci coinvolge e ci fa notare che “il nostro è l’atteggiamento tipico di un paese che ha norme morali e giuridiche severe, ma nella pratica quotidiana, non si astiene dall’alimentare business del sesso”. Andrebbe notato che secondo “gli austeri principi della teologia di San Paolo” lo spirito e la “carne” (intesa come sessualità) non sono contrari, ma la “corporeità” è ricchezza che coinvolge lo spirito. San Paolo contrappone allo spirito, la “carne” intesa come schiavitù dell’egoismo che “produce … inimicizie, risse, gelosia, impeti d’ira, rivalità, discordie, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e alte cose simili” oltre a “immoralità, corruzione e vizio” (Galati: 5,19-21). Tutto ciò, secondo San Paolo, impedisce all’uomo la libertà di realizzare pienamente il proprio spirito, conformandosi “allo Spirito” che invece “produce: amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé” (c.s. v.25). Proprio in questo sforzo di affrancamento, la “Comunicazione” dei ‘mass media’ dovrebbe essere ‘attenta’, a mio parere, nel presentare “quelle trasmissioni o quelle notizie che presentano scene di vita raccapriccianti, situazioni estreme di violenza e depravazione, immagini pornografiche di sesso innaturale e stereotipato” anche se queste suscitano “gli interessi e le curiosità più smaniose del pubblico” e vengono accolte con “gran risonanza”, come fa notare la citata postfazione. Questa sommaria panoramica spero inviti ad apprezzare un lavoro così ponderoso, che “non è impresa di facile esecuzione” [cap.9]ed è arricchito da una cospicua Bibliografia. Il singolo lettore, impegnato ed attratto da costruttivo interesse, senza anticipare il giudizio che potrà dare, sarà certamente aiutato ad orientarsi verso queste “frontiere” molto più attuali e drammatiche di quelle territoriali. Si potrebbe sottolineare che, in particolare la prevenzione, va fatta alle persone non solo nel momento in cui queste si trovano nella situazione di difficoltà ma molto prima, cioè quando queste si trovano in situazione di “normalità”, attraverso un’educazione permanente alla sessualità, all’affettività, alla crescita culturale attraverso la conoscenza 9 di fenomeni, situazioni, condizioni. In pratica, si tratta della formazione integrale della persona – uomo o donna che sia, adulto o bambino – e cioè del rispetto di sé, del rispetto di ogni persona e della sua dignità. Sono i “principi etici della convivenza civile che devono ritrovare quei fondamenti etici che permettono il vero progresso dell’uomo. L’educazione permanente dell’adulto non trova seguito se non vi sono le basi nel bimbo e nell’adolescente, e se i media si muovono nell’ottica di creare un mercato e non una coscienza” [cap.9 ]. In una visione più ampia del concetto di prevenzione, lo strumento della “riduzione del danno” [cap.7 ] è solo un aspetto del problema. Può così nascere “una nuova prospettiva di intervento sottolineato nelle Conclusioni [cap.9 pag.2] che ipotizzi “le linee per una progettazione d’intervento congiunto delle istituzioni pubbliche e private prevedendo tre aree di riferimento” indicate a pag.3 nella: “prevenzione”, “accoglienza” e “socializzazione” e nella ”incentivazione di servizi specialistici”, considerando che “la prostituzione non è una mera teoria filosofica e comportamentale” ma “è una situazione sociale che vede coinvolti milioni di esseri umani” [cap.9 ]. In più di una parte del libro, viene citato il tema della cooperazione decentrata – intesa come possibilità di interventi nei paesi di origine. “La specificità del mondo della prostituzione richiede infatti … assidui confronti internazionali, tesi a stimolare ed incentivare momenti di riflessione congiunti, potenziando i provvedimenti di contrasto ed opposizione alle dinamiche internazionali del fenomeno, quali la tratta di esseri umani ed in particolare la mercificazione sessuale dei minori” [cap. 4]. E’ un tema molto importante che l’autore giustamente valorizza, argomento che raramente viene ricordato quando si parla di persone vittime dello sfruttamento; tipico è il caso dell’arrivo in questi anni – anche a Trieste – dei ragazzi del Bangladesh, nel quale paese non si è mai previsto o progettato alcun intervento mirato a sviluppare l’economia e la cultura di quel paese. Concludo ricordando ancora il magistrale intervento del dottor Nicola Maria Pace che ci introduce al problema della prostituzione con una ricca disamina dell’immigrazione clandestina (che crea “diffuso allarme, alimentato da informazioni fasulle” [Introduzione pag.1]), dei “flussi” del fenomeno, della “disciplina penale”, del “crimine indotto”, e soprattutto dei “metodi” e “strumenti delle indagini di settore” [Introduzione pagg.2-15]. L’autore dell’Introduzione osserva, per delimitare il problema, “che la produzione criminale degli immigrati non è quantitativamente e qualitativamente significativa, né percentualmente superiore a quella riferibile ai connazionali” [Introduzione pag.1]. Quest’ultima osservazione ci permette di essere sereni ed obiettivi pur di fronte al “panorama ‘globalizzante’ offerto dal mercato della prostituzione” con la “ferma volontà di modificare la percezione collettiva del comportamento interpersonale, improntandola sulla solidarietà e non sullo sfruttamento, logica da cui deriva il concetto stesso di prostituzione” . Si può forse sintetizzare il presente studio concludendo che è proprio sulla solidarietà che va fondato ogni intervento “in rete”, orientato ad utilizzare tutte le “risorse umane presenti nella comunità” [cap.7 ] del mondo di oggi, comprese le “risorse” di chi chiede “appoggio” per integrarsi nella società italiana” [cap.7] e passare dallo sfruttamento alla dignità di persona. 10 Introduzione Immigrazione clandestina: disciplina normativa, tecniche d’indagine e concrete esperienze investigative a confronto di Nicola Maria Pace Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste 1. Migrazione: utopia, disagio e microcriminalità Friedrich Ratzel, padre della Geografia Politica e fondatore della Etnologia e della Antropologia moderna, sostiene che la migrazione è il naturale evolversi della condizione umana e che la storia dell’uomo non è altro che la storia delle sue migrazioni1. Migrazione è però anche utopia, approdo nel non-luogo (u-topos), in un vuoto di affetti, di interessi e di memoria. Di qui il disagio, alimentato da diffidenze, inquietudine sociale e dal razzismo latente nell’inconscio collettivo. E dal disagio la illegalità, in genere individuale e di piccolo cabotaggio, in cui l’immigrato irregolare è sospinto da situazioni di bisogno, marginalità e non inserimento nell’economia legale. Falsità documentali, oltraggi, furti, predazioni varie, percosse, lesioni ecc. rappresentano l’ordinaria produzione criminale di quella che potremo chiamare ‘comunità extracomunitaria’: arcipelago variegato e complesso, all’interno del quale molte distinzioni sarebbero da fare se fosse in realtà questo il livello criminologico di interesse nella presente relazione. Poiché altro è il tema in esame e diversa la prospettiva della ricerca, quanto alla illegalità espressa dagli immigrati, fenomeno sovente fuso e confuso con l’altro, di ben maggiore livello, relativo alla ‘gestione’ criminale dei flussi (situazione rispetto alla quale gli immigrati divengono non più soggetti ma oggetto di reato), saranno sufficienti le sintetiche considerazioni seguenti, valide a individuare anche l’unico punto di contatto, la labile zona grigia fra le due aree criminogene indicate. Si è osservato – e il dato statistico va ribadito soprattutto a fronte del diffuso allarme, alimentato da informazioni fasulle (tipo: gli immigrati delinquono più dei connazionali), da spregiudicatezze linguistiche dei media (v. ‘invasione’, ‘emergenza’, ‘pressione’ ai confini ecc.), da iniziative odiose, grottesche e pregiudizialmente xenofobe (v. le esercitazioni anti-clandestini svolte dalla ‘guardia nazionale padana’ nell’area confinaria del Carso; i vigilantes attivi in alcuni centri del Nord-Est del Paese ecc.) – che la produzione criminale degli immigrati non è quantitativamente e qualitativamente significativa, né percentualmente superiore a quella riferibile ai connazionali. Infatti i reati di maggiore gravità e con più gravi conseguenze sociali (ci si riferisce ai reati tipici della criminalità organizzata) restano appannaggio pressoché esclusivo di gruppi nazionali. Per esempio le associazioni di tipo mafioso raramente inglobano soggetti stranieri e lo stesso traffico di stupefacenti vede gli extracomunitari inseriti ai livelli più bassi (piccoli spacciatori, intermediari, corrieri ecc.) della gerarchia criminale. Una eccezione, in questo quadro che scompone la “criminologia della migrazione” in due distinte aree di incidenza, è rappresentata dalla prostituzione ‘da strada’, settore nel quale le organizzazioni straniere (per lo più di etnia albanese, ma anche russa e centro1 F. Ratzel (1844-1904), Anthropogeographie, 1891 (v. A. Palmisano, Conferenza su Ratzel, Trieste, 1997). 11 nord africana; mentre del tutto peculiare è la criminalità cinese di settore, la quale opera invece sotto la copertura delle ‘sale di massaggio’) hanno preso il sopravvento, monopolizzando il mercato e talora gestendolo – è il caso degli albanesi - con metodo mafioso e modalità di estrema violenza2. Fatto salvo questo dato, unico indicatore del coinvolgimento di una quota di immigrazione irregolare nei circuiti criminali di un certo livello, ogni altra rilevazione statistica oggi tende a confinare la illegalità espressa dagli stranieri (siano essi regolari, irregolari o clandestini) nel novero di una microcriminalità specialistica (ossia rapportata ai bisogni di una particolare condizione di vita), a prevalenza giovanile (essendo la comunità straniera mediamente più giovane di quella nazionale), oltre che di tipo metropolitano3. Dunque l’equazione clandestini = criminalità, divenuta per taluni uno slogan di propaganda ideologica, non regge di fronte all’evidenza statistica. E’ anzi un grave errore prospettico quello che di frequente si compie accostando i due termini senza rilevare che se gli immigrati producono reati più spesso ne sono anche oggetto, come meglio vedremo più avanti. L’immigrazione irregolare, con la sua utopia, il suo disagio ed i suoi effetti microcriminogeni resta in definitiva un problema; ma un problema umano e sociale che esige strategie politiche di integrazione e di accoglienza, non un problema criminologico di particolare interesse. 2. Il “mercato nero”: gestione dei flussi, criminalità organizzata e “nuove mafie” Se la migrazione di per sé non riveste potenzialità criminogene di rilievo, e può anzi essere occasione di crescita culturale comune attraverso il ‘dare e avere’ lungo il percorso, la gestione dei flussi migratori illegali rappresenta invece un importante ‘mercato nero’ e come tale un nuovo settore di incidenza del crimine organizzato. Le modalità di occupazione di questo ‘mercato’ divergono sensibilmente da quelle verificate in altri settori analoghi e talora contigui come il contrabbando, la droga, le armi, i rifiuti; e ciò in dipendenza della mutevole entità dei flussi (a loro volta condizionati da situazioni geo-politiche), della variabilità delle ‘rotte’ (spesso influenzate anch’esse da contingenze analoghe, com’è stato per i recenti eventi bellici nel Sud dei Balcani), di fattori legati ai diversi gradi di efficienza dei controlli alle frontiere ecc. . A queste peculiarità, ben più marcate di quelle che pure connotano gli altri settori citati, le organizzazioni rispondono con straordinaria duttilità e dinamismo, essendo in grado di coordinare una grande varietà di soggetti anche esterni al sodalizio (intermediari, trasportatori, agenzie, gestori dei centri di attesa ecc.), di allacciare intese con altri gruppi etnici, di mutare le rotte in itinere, e dunque di fronteggiare con estrema rapidità ed efficienza i ricorrenti sbalzi di mercato. Questa dimensione ‘a geometria variabile’ del crimine di settore, nel quale si situano le ‘nuove mafie’, se da un lato rende i fenomeni associativi meno riconoscibili negli schemi tradizionalmente acquisiti dalla cultura investigativa, obbligando questa a conti2 V. Direzione Nazionale Antimafia – Dipartimento nuove mafie. Relazione annuale, ottobre 1998 pagg. 12 di 184: “le attività delinquenziali tipiche poste in essere da gruppi criminali organizzati albanesi sono: - lo sfruttamento della prostituzione in danno di connazionali introdotti clandestinamente in Italia e, non di rado, sequestrati nel paese di origine. Molto spesso, le vittime di tale sfruttamento sono costrette a subire una vera e propria riduzione in schiavitù e sono punite anche con la loro uccisione in caso di trasgressione alle ferree regole dettate dai loro aguzzini; - …” 3 Sul punto vedi, I confini legali della società multietnica, Secondo Forum 1999 – Roma 13 aprile 1999 – Fondazione Censis. 12 nui aggiornamenti, dall’altro permette di osservarli per così dire a distanza e addirittura di preventivarli sulla base di una loro dinamica costante: quella per cui laddove si forma una nuova area di mercato illegale ivi il crimine si organizza per riconvertire o ampliare i propri interessi di impresa, senz’altro calcolo se non quello della convenienza, ossia del conto economico dei costi e dei benefici. Ad una logica criminale di questo tipo, cui fa riferimento la calzante definizione della mafia (e della criminalità organizzata in genere) come ‘governo dei mercati neri’, risalente agli economisti di scuola americana, non si sottrae, pur con le sue specificità, anche il vasto mercato della migrazione illegale. E’ peraltro da tener presente che se di norma la gestione dei flussi fa capo a strutture associative complesse e ben ramificate anche in ambiti transnazionali (è il caso della criminalità albanese che agisce in accordo con la Sacra Corona Unita pugliese, di quella cinese, centro-nord africana4, slovena5 e, sembra, della criminalità turca, attiva nel favoreggiamento dell’ingresso in Europa dei Curdi), in alcuni teatri operativi le strutture interessate agiscono con mezzi più modesti ed organizzazione interna più semplificata. E’ questo ad esempio il caso della Romania, ove la gestione dei flussi generalmente fa capo a soggetti singoli o a piccoli imprenditori (agenzie di viaggio, gruppi familiari ecc.) dislocati in quel territorio in maniera per così dire puntiforme. Questa singolare gestione del traffico, che oltretutto avviene allo scoperto6 e in forme molto elementari, ha spiegazione essenzialmente nel fatto che in quel Paese (ma non è il solo) non vengono adottate, né a livello legislativo né tanto meno a livello investigativo e giudiziario, serie misure di contrasto, sicché il traffico dei clandestini è diventato un mercato sostanzialmente libero e alla portata di chiunque. 3. I flussi e le rotte Per flussi intendiamo le varie correnti del traffico, distinte secondo l’appartenenza etnica dei soggetti che in prevalenza le compongono. Le rotte rappresentano invece gli abituali percorsi dei flussi dai luoghi di partenza (ove in genere sono situati anche i centri di raccolta) a quelli di destinazione (intermedia e finale): Sia i flussi che i loro itinerari presentano, come si accennava nel capitolo precedente, un elevato tasso di variabilità, in dipendenza di una molteplicità di fattori che rendono questo tipo di traffico estremamente difficile da inquadrare in ambiti geografici stabili e definiti. A parte gli effetti devianti e in certi casi assolutamente impeditivi come quelli determinati dai recenti eventi bellici nell’area balcanica (snodo importante dei flussi provenienti dall’Asia, Medio Oriente ed Est Europa), si è per esempio verificato che persino un incremento dell’azione investigativa in una data area è in grado di influenzare le rotte, l’entità dei flussi e le stesse ‘tariffe’ da pagare alle organizzazioni per l’ingresso in Italia7. Il che offre ulteriore conferma dello straordinario dinamismo del fenomeno, della 4 V. DNA – Relazione cit. sub n. 2, pagg. 11, 12, 14, 15. in base alle indagini del ‘pool clandestini’ della Procura di Trieste risultano attive nel traffico dalla Slovenia verso l’Italia almeno otto strutture associative. Il soggetto di spicco, nell’ambito di tali organizzazioni è tale Loncaric Josip. 6 V. in ordine a questo particolare segmento del mercato quanto emerso da indagini della Procura di Trieste circa la publicizzazione delle offerte di trasporto verso i Paesi dell’Unione Europea attuata attraverso inserzioni giornalistiche, avvisi murali ed altre forme palesi. 7 Recentemente infatti, a seguito dell’arresto di importanti esponenti della criminalità di settore, il prezzo medio per l’ingresso in Italia dalla Slovenia è stato elevato da 700 a 900 DM; inoltre si è accertato che i flussi normalmente in 5 13 stretta aderenza di chi lo gestisce al calcolo di convenienza e della elevata sensibilità dei gruppi criminali rispetto ai rischi di impresa. Rinviando a quanto riportato in nota8 per una disamina più dettagliata dei principali flussi illegali e delle rotte che riguardano i confini nord-orientali dell’Italia (per ciò che transito per l’area confinaria di Trieste sono stati in parte deviati verso la zona di Gorizia. Lo stesso flusso dei clandestini cinesi, la cui rotta prevedeva l’ingresso in Italia prevalentemente dai confini di Trieste, ha subito di recente, per ragioni che in questo caso non sono ancora del tutto note, una ramificazione verso le coste pugliesi. (dati attinti dal sistema informativo del ‘gruppo di lavoro-clandestini’ della Procura di Trieste). 8 I Flussi e le Rotte: BANGLADESH: La rotta più importante seguita dalle organizzazioni è la seguente: dal Bangladesh, muniti di visti per affari o altri documenti rilasciati dalle rappresentanze consolari e ottenuti dietro pagamento di cospicue somme di denaro, i clandestini raggiungono Mosca in aereo; di qui ad opera di altri associati vengono trasportati, a bordo di autovetture, camion o piccoli furgoni, in Ucraina, in prevalenza a Kiev. Dopo una breve o media permanenza a Kiev, con i mezzi più vari, vengono trasferiti a Budapest (importante snodo dei flussi migratori in genere), dove viene organizzato il passaggio illegale in Slovenia ed il successivo attraversamento del confine con l’Italia. Le comunità bengalesi più numerose in Italia si trovano a Roma e Milano. In Russia, Ucraina, Ungheria, Slovenia e Italia sono presenti soggetti criminali facenti capo alla medesima organizzazione capeggiata da cittadini del Bangladesh. Tale organizzazione spesso si avvale di una manovalanza di diversa nazionalità per singole operazioni di trasporto e per il transito alle frontiere. Ciò anche in considerazione del fatto che per tali attività è necessaria una perfetta conoscenza del territorio. Così in Ungheria agiscono dei trasportatori e passeurs ungheresi, in Slovenia gli sloveni e in Italia gli italiani. L’ingresso dei clandestini bengalesi in Italia per lo più avviene attraverso zone impervie e boschive delle aree confinarie di Trieste, Udine e Gorizia. MACEDONIA-MONTENEGRO-KOSOVOJUGOSLAVIA: i flussi migratori illegali da queste nazioni si diversifica sostanzialmente in due modi: 1) dai paesi di origine i clandestini, mediante i ‘favori’ di compiacenti agenzie pseudoturistiche le quali, sempre a scopo di lucro, organizzano la prima parte del viaggio, giungono a Lubiana (Slovenia) o a Zagabria (Croazia). In questi luoghi viene quindi organizzata la seconda tratta del viaggio che si può concludere in Italia ma anche in altri Stati occidentali e finanche negli Stati Uniti d’America; 2) in altri casi i clandestini raggiungono autonomamente e con i mezzi più svariati la capitale slovena dove si mettono in contatto con le organizzazioni criminali colà operanti che ne curano l’espatrio verso le destinazioni sopra indicate. Le basi operative di Lubiana fanno capo a due esercizi pubblici denominati ‘Subus’ e ‘Solea’ i quali costituiscono l’abituale punto di riferimento per i clandestini che dalla Slovenia intendono avviarsi alla frontiera italiana. Nei suddetti esercizi vengono quindi organizzati i trasporti che in genere avvengono a mezzo di autovetture o furgoni. Il successivo attraversamento della frontiera italiana viene curato da soggetti specializzati e interni all’organizzazione, i c.d. passeurs i quali, dopo l’attraversamento del confine, consegnano le persone ad altri incaricati del trasporto fino ai luoghi di destinazione finale. Di norma i clandestini di origine slava trovano impiego come operai nell’edilizia o nell’agricoltura, rafforzando le file del lavoro nero. Quelli che non trovano occupazione lavorativa si dedicano per lo più allo sfruttamento della prostituzione e alla commissione di reati contro il patrimonio. ROMANIA: l’immigrazione illegale di cittadini romeni , numericamente la più consistente nella provincia di Trieste, è gestita da organizzazioni locali molto semplificate e rudimentali, ma non per questo meno efficaci. La loro può essere definita ‘l’altra immigrazione’, silenziosa, ignorata dai media, ma costante e massiccia. In Romania sono frequenti gli annunci sui quotidiani o altre pubblicazioni ed anche sui muri della città, di offerte di accompagnamenti illegali in Italia: ‘porto gente in Italia’, ‘offresi per accompagnamento fino in Italia’; ‘massima serietà ed esperienza per accompagnamenti in Italia’…questo è il tenore delle offerte che le organizzazioni diramano in loco senza alcuna cautela e segretezza. Destinazione finale dei clandestini romeni è la provincia di Roma, seguita da quelle di Milano e di Torino, dove trovano collocazione lavorativa nel mercato della monodopera in nero e a basso costo. La rotta seguita da questo flusso si snoda attraverso la stessa Romania, la Croazia, la Slovenia e l’Italia. SRI LANKA-FILIPPINE-PAKISTAN-EGITTO: i vertici delle organizzazioni che dirigono i relativi flussi illegali sono stabilmente insediati nei Paesi di origine, dai quali concertano tutte le fasi dei viaggi illegali verso l’Italia e altri Stati dell’Unione Europea. Il territorio che funge da snodo è l’Ungheria dove fanno tappa e si concentrano tutti questi flussi migratori. Qui le organizzazioni si appoggiano a strutture ricettive private che mettono a disposizione dei clandestini locali idonei al loro soggiorno in attesa del successivo smistamento. Nell’area di confine ungherese-sloveno e ungherese-croato spadroneggia da tempo tale LONCARIC Josip uno dei maggiori, se non il più importante organizzatore della ‘tratta dei clandestini’; personaggio che su tale attività criminale è riuscito a costruire un impero economico radicato in Slovenia e Croazia. Il LONCARIC detiene le linee di immigrazione verso l’Italia di cittadini cinesi, cingalesi, filippini ed egiziani. Ex tassista di Lubiana, sposato con la cittadina croata di origine cinese Wang Xuemei, attualmente detenuta a Maribor in Slovenia per mandato di arresto a fini estradizionali richiesto dalla Procura di Trieste, il LONCARIC aveva intuito sin dagli anni 80 quali prospettive di profitto poteva aprire il mercato della migrazione illegale. Si era dunque attrezzato per tempo, dotandosi di mezzi (camion-frigoriferi dotati di doppi fondi), strutture logistiche (immobili e una compagnia aerea propria); aveva assoldato uomini in varie parti del mondo (Cina, Croazia, Montenegro, Albania, Austria ed Italia) e ciò gli aveva permesso, per anni di dominare una larga fetta di mercato. Va segnalato che, in alternativa, i clandestini delle predette nazionalità hanno la possibilità di appoggiarsi anche ad altre forti strutture criminali sorte a Lubiana (Slovenia) e ramificate in Italia. Il modus operandi di queste strutture è quello classico: trasporto con automezzo fino ad area prossima al confine con l’Italia, attraversamento del 14 limite di confine con un passeur, diradamento successivo con altri mezzi all’interno dell’Italia o verso altri Stati europei. C.S.I.-UCRAINA-MOLDAVIA-LETTONIA-ESTONIA-BIELORUSSIA: i flussi provenienti da questi Paesi riguardano in prevalenza giovani donne destinate ad essere sfruttate nella prostituzione con modalità similari alla riduzione in schiavitù. Nella gestione dei flussi interagiscono due distinti livelli dell’organizzazione: una prima struttura, essenzialmente formata da passeurs, si occupa dei transiti ai confini e dei trasporti delle ragazze (per lo più molto giovani) fino alla loro consegna all’altra organizzazione (in genere formata da serbi, croati, bosniaci o albanesi) che le prende in carico sfruttandone la prostituzione con metodi estremamente intimidatori e violenti. L’ingresso in Italia delle prostitute originarie dei suddetti Paesi è preceduto da: a) un primo contatto nel Paese d’origine, attraverso annunci sui giornali, false offerte di lavoro regolare pubblicizzate da agenzie legali e non, attraverso accordi o contatti telefonici con intermediari le cui utenze telefoniche vengono rese note con il sistema del “passaparola” o attraverso il reclutamento diretto in locali pubblici (night, discoteche, bar) da parte di emissari delle organizzazioni; b) trasferimento a Budapest: praticamente tutte le ragazze dell’Est, destinate al marciapiedi in Italia, transitano per questa città che raggiungono in modo legale con mezzi pubblici e privati e comunque sempre accompagnate da elementi dell’organizzazione che ne gestisce l’intero traffico; a Budapest, prima che siano rimesse in viaggio, vengono di norma alloggiate in esercizi pubblici o in case private di proprietà di soggetti collegati all’organizzazione. Tale sosta, che si potrebbe definire ‘tecnica’, si rende necessaria per pianificare le fasi successive del viaggio; c) attraversamento del confine ungherese-sloveno: da Budapest le clandestine vengono trasportate con autovetture o furgoni fino all’area di confine con la Slovenia; qui vengono prese in consegna dal passeur che le ‘traghetta’ oltre la linea confinaria per poi affidarle ad altri soggetti che le trasportano in località slovene, in genere Lubiana, dove vengono fatte alloggiare in case private in attesa di intraprendere la tappa successiva; d) attraversamento del confine sloveno-italiano: esso avviene con modalità analoghe a quelle appena descritte; una volta in Italia gli autisti effettuano la consegna delle ragazze nei luoghi indicati dall’organizzazione. Tali indicazioni vengono comunicate via telefono all’autista solamente dopo che il ‘carico’ è giunto in Italia e dopo che l’automezzo si è adeguatamente allontanato dalla linea di confine. Di norma ciò avviene presso le aree di servizio dislocate lungo l’autostrada A4 in direzione di Venezia ove si realizza anche il trasbordo delle clandestine dall’automezzo cui le aveva precedentemente indirizzate il passeur all’altro che le trasporterà verso la destinazione finale; qui avviene la consegna al ‘committente’ ossia al soggetto rappresentante del gruppo che ne sfrutterà l’attività di prostituzione. CINA: la gestione di tale flusso migratorio si può definire atipica in quanto si differenzia da tutte le altre per modalità operative, per i suoi collegamenti internazionali, per spiccate capacità organizzative e per i cospicui interessi in gioco. Le investigazioni più recenti hanno permesso di individuare due delle quattro linee migratorie che dalla Cina portano fino in Italia passando dalla Slovenia; la prima è gestita dal già citato Loncaric Josip, mentre la seconda fa capo a tale Mijanovic Vojko, cittadino sloveno residente a Roma, attualmente sottoposto a misura cautelare. Nell’immigrazione dalla Cina Popolare si assiste ad una vera e propria compravendita di esseri umani che di massima si realizza con le seguenti modalità: l’organizzatore sloveno, valendosi dei propri contatti con la malavita orientale, acquista un gruppo di cinesi al prezzo medio 10 milioni di lire a persona; prima di giungere in Slovenia, i clandestini vengono per così dire ‘parcheggiati’ in immobili privati siti generalmente in Russia, Ucraina, Romania o Ungheria; di qui con l’utilizzo di vari mezzi di trasporto il gruppo giunge in Slovenia dove viene consegnato a chi ne ha fatto l’“ordinativo”; è però sempre l’organizzatore sloveno a introdurre poi il gruppo in Italia portandolo fino ai centri situati in alcune grandi città (Milano, Roma, Firenze, Padova); in tali ‘centri di attesa’ i clandestini vengono trattenuti coattivamente finché i parenti o altre persone interessate (in genere gestori di ristoranti) paghino una sorta di riscatto per ottenerne la libertà ovvero la disponibilità come lavoratori dipendenti (va da sé che in quest’ultimo caso i clandestini lavoreranno avendo in cambio solamente vitto e alloggio fino all’estinzione del debito). Il prezzo del riscatto si aggira sui 25 milioni di lire. Un cittadino cinese impiega per giungere clandestinamente in Italia anche due anni. KURDISTAN (turco, irakeno e siriano): ad oltre un anno dall’inizio delle indagini, è possibile tracciare un quadro completo delle modalità con cui le organizzazioni criminali turche (non più di una dozzina, ad avviso dello scrivente) gestiscono i c.d. “viaggi della speranza” fino in Italia. INGRESSO: le organizzazioni reperiscono gli interessati nelle regioni più povere e più provate dalla guerra civile e li trasferiscono in autobus fino ad Istambul. Qui i viaggiatori vengono fatti alloggiare in alberghi (spesso di proprietà degli stessi organizzatori, quali l’hotel “Asia” o l’hotel “Vatan Saray”) siti nel quartiere di Aksaray, nella parte europea della capitale turca. Una volta radunato un gruppo consistente di interessati, gli organizzatori utilizzano tre canali per raggiungere l’Europa: 1) viaggio via mare con le c.d. “carrette del mare”. In questo caso più organizzatori mettono insieme i propri clienti e si affidano ad associaizoni criminali che trattano esclusivamente il viaggio con navi di grandi dimensioni. Per rendere l’idea, il rapporto tra le “parti”, in questo caso, è simile a quello tra un “tour operator” e le singole agenzie di viaggio: le agenzie procacciano gli interessati, mentre l’organizzazione logistica è devoluta alla “casa madre”. Può capitare, così, che i clandestini a bordo delle carrette del mare possano anche non essere tutti di etnia Kurda, ma anche di altre nazionalità. Come è noto, la meta di queste imbarcazioni è principalmente la Calabria, mentre solo sporadicamente si sono avuti grandi sbarchi in Puglia o Sicilia. Molti di questi sbarchi sono documentati nelle intercettazioni in corso. 2) viaggio via mare dall’Albania alla Puglia con imbarcazioni medio-piccole. Poiché l’Albania è una nazione “musulmana”, i viaggiatori possono giungervi senza necessità di “visto”. Una volta arrivati sulle coste albanesi, i viaggiatori, sempre a cura delle organizzazioni criminali turche, che nel paese hanno i loro punti di appoggio, vengono trasportati a bordo di gommoni o pescherecci in Italia: i luoghi degli sbarchi possono variare, ma sono quasi sempre siti sul litorale pugliese, da Vieste all’estremo sud. Anche di questi sbarchi vi è traccia nelle intercettazioni in atto. 3) viaggio via terra attraverso la penisola balcanica. E’ la rotta preferita dalle organizzazione criminali: si può 15 concerne l’altra grande area di ingresso, ossia le coste adriatiche della Puglia, il fenomeno è ben conosciuto, essendo da tempo al centro dell’attenzione anche per le conseguenze frequentemente tragiche degli sbarchi), è appena il caso di accennare a qualche connotazione tipica di alcune correnti del traffico. Si è già detto della Romania e delle sue strutture criminali semplificate, rudimentali e disaggregate. All’opposto, i gruppi criminali cinesi attivi nel trasporto di clandestini (ma anche nei settori dell’estorsione, del recupero crediti, delle rapine e dello sfruttamento della prostituzione in luoghi chiusi) presentano una struttura complessa, fortemente coesa (gli appartenenti di solito provengono dalla stessa città) e stratificata in rigide gerarchie. L’attività di tali gruppi è inoltre rigorosamente circoscritta nell’ambito dell’etnia, il che comporta difficoltà di intrusione investigativa del tutto particolari. Un cenno ulteriore va fatto anche alla ‘nuova mafia’ slovena di settore; entità emergente e ancora poco conosciuta ma della quale tuttavia si è in grado di tracciare, sulla base di recentissime acquisizioni investigative, un breve profilo criminologico. Va premesso, al riguardo, che rispetto all’area confinaria italiana del Nord-Est, la Slovenia riveste importanza strategica costituendo il luogo di transito obbligato per l’accesso via terra alla frontiera italiana, oggi da considerare, per gli effetti degli accordi di Schengen, come frontiera dell’intera Unione Europea. La frequenza e l’intensità del traffico di irregolari sulle rotte slovene verso l’Italia, associate all’esigenza di impiegare, nella fase ultima del transito, accompagnatori validi ed esperti conoscitori dell’ostico territorio del Carso sloveno-giuliano, hanno sollecitato l’insorgenza di una vera e propria rete di ‘passeurs’ (si tratta in genere di ex tassisti) che si è poi evoluta, a partire dagli anni ’80 (come rivela l’esperienza di un capo-scuola quale Loncaric Josip, oggi al vertice della più potente organizzazione slovena del settore), in una serie di strutture associative stabili e ben collegate (v.si alla nota 8) sia all’interno che all’estero e particolarmente in Italia. Le indagini più recenti hanno permesso di individuare otto strutture associative, fra cui quella del Loncaric, attive su tutte le correnti di traffico ad eccezione di quelle che riguardano gli albanesi, i nord-africani e i medio-orientali. dire che dal confine italo-sloveno passa “una nave alla settimana” in ogni periodo dell’anno. I viaggiatori vengono portati fino a Sarajevo (BiH) in aereo: anche in questo caso, poiché la Bosnia è una nazione musulmana, non occore alcun “visto”. Dalle ultime telefonate intercettate, tuttavia, gli organizzatori turchi lamentano che “la via della Bosnia è chiusa”; si può quindi pensare che il governo bosniaco abbia imposto qualche forma di restrizione all’ingresso dei viaggiatori provenienti dalla Turchia. Una volta giunti in Bosnia, i clandestini trovano ad accoglierli i membri dell’organizzazione cui hanno pagato il prezzo del viaggio (circa 6.000 marchi a testa): questi trafficanti sono di etnia turca o kurda e spesso sono parenti degli organizzatori turchi. Anche in questo caso i viaggiatori vengono ospitati presso alcuni hotel ormai ben noti (tra questi il famigerato hotel “Palace”) o in abitazioni private; dalla capitale bosniaca, poi, il viaggio prosegue a piedi ed in taxi fino a Zagabria ed a Lubiana, ove i sodalizi criminosi hanno numerosi complici. Da Lubiana i viaggiatori vengono portati fino nei pressi del confine italo-sloveno, che viene fatto attraversare grazie a passeurs locali; una variante del viaggio, invece, prevede il trasporto diretto degli interessati da Sarajevo all’Italia a bordo di camion. USCITA: una volta giunti in Italia, i clandestini hanno l’esigenza, in base a quanto detto loro al momento della partenza, di farsi individuare dalla Polizia e di farsi consegnare un decreto di espulsione. Una volta “regolarizzata” temporaneamente la loro posizione in Italia, contattano i membri dell’organizzazione presenti sul territorio nazionale, principalmente nell’estremo ponente Ligure (Ventimiglia, Sanremo ed Imperia) o a Milano-Como, utilizzando i numeri di cellulari forniti loro al momento della partenza. I passeur che si trovano in Italia (tutti di etnia Turca o Kurda) forniscono telefonicamente la informazioni per raggiungere in treno la Liguria o la Lombardia. Qui vengono nuovamente ospitati in alberghi, pensioni, mentre i connazionali organizzano il loro esodo, reperendo gli autisti (spesso tossicodipendenti italiani, nordafricani o francesi) per il trasporto in Francia o Svizzera. Una volta usciti dal Territorio Nazionale, il viaggio dei clandestini prosegue, sempre con l’ausilio di passeurs, fino alle destinazioni finali: Germania, Paesi Bassi, Svizzera ed Inghilterra. 16 Non si può fare a meno di accennare, infine, parlando dei traghettatori e dei vari gironi di questo ‘inferno’ per disperati, a quello che si può definire il ‘girone degli ultimi’, ossia dei più disperati di tutti: i profughi di guerra. A riguardo non si sono ancora maturate esperienze specifiche (quella analoga, relativa all’ingresso dei curdi, ha profili altrettanto gravi ma non così acuti e drammatici), e tuttavia il fenomeno, come si diceva parlandone in generale, si può già osservare a distanza preventivandone anche gli sviluppi di ‘mercato’. Sarà questo un mercato che porrà, a livello investigativo e repressivo penale di quei passeurs che agiranno al di fuori dell’ottica umanitaria, non pochi problemi di diritto e qualche interrogativo anche di ordine morale. 4. La disciplina penale: i reati di favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza; le aggravanti specifiche Con l’emanazione del D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’emigrazione e norme sulla condizione dello straniero), attuativo della delega data al Governo con legge 6 marzo 1998 n. 40, è stato varato un ‘codice dell’immigrazione’, composto di 49 articoli che, attorno al nucleo rappresentato dalle disposizioni della L. 40/1998, ha raggruppato e coordinato le norme che investono la materia del lavoro, della sanità, dell’istruzione e dell’assistenza agli immigrati. Il tratto caratteristico, ed anche il pregio riconosciuto9 a questo quadro normativo, oltre quello della sua ritrovata organicità, è di avere impostato la disciplina in chiave di intervento ‘ordinario’, senza cedere alle suggestioni di una ‘emergenza clandestini’, la quale, come si sottolineava all’inizio di questa relazione, se c’è non riguarda la migrazione in sé (per irregolare che sia) ma semmai la gestione criminale dei flussi, il ‘mercato nero’ sottostante. Nei suoi aspetti penali, la normativa interpreta pienamente questa distinzione, assegnando alla migrazione irregolare valenza di mero illecito amministrativo (sanzionato col respingimento e l’espulsione) e alla condotta di chi la favorisce valenza di delitto severamente punibile. Le fattispecie di interesse (a parte le micro-figure sparse nel T.U.: v. artt. 5, 3°; 13, 13°; 19, 10°; 24, 6°; 44, 8°;) sono essenzialmente due ed entrambe previste dall’art. 12 del Testo Unico citato: il favoreggiamento dell’ingresso illegale (a. 12 co. 1°) e il favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero (a. 12 co. 5°). La materialità della prima figura di reato, la quale – è bene sottolinearlo subito – ha spessore e ambiti applicativi ben modesti e comunque di gran lunga inferiori rispetto alla fattispecie aggravata di cui al 3° comma del medesimo articolo, è rappresentata dal mero compimento di ‘attività dirette a favorire l’ingresso…‘. Si tratta, com’è evidente, di un reato (delitto) di pura condotta, modellato sugli schemi della tutela da pericolo presunto (ancorché concreto). Non è pertanto richiesto l’evento. Il dolo è generico. Il reato è punito con la reclusione fino a 3 anni e la multa fino a lire 30 milioni. Il favoreggiamento della permanenza dello straniero entrato illegalmente nel territorio dello Stato (5° comma dell’art. 12 T.U.) è anch’essa a suo modo una figura residuale. E ciò non solo in forza della clausola di riserva che seleziona i fatti rilevanti (“fuori 9 V. R.F. Ghersi: ‘Un’occasione per sfuggire alla tentazione di nuove politiche stagionali sugli stranieri’; in Guida al Diritto – Speciale immigrazione, 12/9/98 pag. II. 17 dei casi previsti dai commi precedenti e salvo che il fatto non costituisca più grave reato…”), ma anche perché la concreta esperienza investigativa relega lo specifico fenomeno in una casistica numericamente circoscritta e poco significativa. La condotta di reato è rappresentata dal ‘favorire’ la illegale permanenza dello straniero nel territorio dello Stato; l’evento, anche in questo caso, non è richiesto sicché il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del risultato voluto. Diversamente dalla figura precedentemente esaminata, il favoreggiamento della permanenza richiede il dolo specifico, rappresentato dalla finalità “di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo”. La seconda alternativa non è cristallina, ma si intuisce il riferimento implicito a un ‘profitto’ perseguito sfruttando, in questo caso, non già solo la generica condizione di illegalità dello straniero ma anche il suo impiego in determinate attività illecite. Rimane anche inteso che il favoreggiamento della permanenza rappresenta un ‘posterius’ diverso e indipendente dalla fattispecie ex a. 12, 3° co. T.U.10, della quale stiamo per occuparci. La struttura portante della disciplina penale in materia è senz’altro costituita dalla disposizione del co. 3 dell’art. 12 citato. Si tratta del favoreggiamento aggravato della immigrazione illegale: figura che meglio riproduce l’ordinario modo di manifestarsi del fenomeno perseguito e che per questa sua capacità di ‘fondare’ la tutela penale di settore si appropria del ruolo che dovrebbe appartenere, secondo logica di sistema, alla previsione di base (a. 12, I° co.), la quale invece si rivela poco più che una scialba ipotesi di scuola. Tanto marcata è l’autonomia della figura aggravata rispetto all’ipotesi semplice che, sia pure in rapporto alla sua previsione originaria (a. 3, co. 8 D.L. 416/1989), si è a un certo punto dubitato se realmente si trattasse di fattispecie aggravata, come in effetti è, oppure di una figura di reato a sé stante11. Certo è che al 3° comma in esame, e a tutta la gamma delle sue previsioni, fa capo, in via pressoché esclusiva, la “criminologia dell’immigrazione”. La condotta tipica, essa sola, è mutuata dalla fattispecie semplice e consiste, come detto, nel compimento di attività (di qualsiasi tipo e quindi anche omissive) dirette a favorire l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato. Ogni altro elemento connotativo è frutto di specifiche previsioni, divisibili in due gruppi, a ciascuno dei quali corrisponde un diverso livello sanzionatorio. Al primo gruppo (reclusione da 4 a 12 anni e multa di lire 30 milioni per ogni straniero del quale sia stato favorito l’ingresso illegale) si riconducono i fatti commessi: a) per fine di lucro; b) da tre o più persone in concorso fra loro; c) nei riguardi di cinque o più persone; d) mediante l’uso di servizi di trasporto internazionale o di documenti falsificati. Al secondo gruppo (reclusione da 5 a 15 anni e multa di lire 50 milioni per ogni straniero) sono invece rapportati i fatti commessi: e) al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione e allo sfruttamento della prostituzione; f) nei riguardi di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento. 10 In questa linea interpretativa giudicava, ante litteram, la S.C. (Sez. I, 15/1/96) così inducendo il legislatore a innovare disciplinando come reato autonomo il favoreggiamento successivo all’ingresso. 11 V. Cass. Sez. I, 27/XI/1996 e 4/2/97, ove si ribadisce la soluzione esposta nel testo. 18 L’aggravamento di pena, rispetto all’ipotesi semplice e all’interno degli stessi gruppi di circostanze, tiene dunque conto di due essenziali fattori di (maggior) rischio, individuabili l’uno nel finalismo specifico della condotta (casi sub a, e, f) e l’altro (casi sub b, c, d) nel dispiego di particolari modalità operative. In relazione a tali previsioni penali non si prospettano, o per lo meno non si sono finora verificate nella prassi giudiziaria, particolari questioni applicative. Le disposizioni contro le immigrazioni clandestine (questo è il titolo dell’art. 12 in esame) prevedono inoltre: - l’arresto facoltativo in flagranza dei reati di cui ai comma 1 e 3 dell’art. 12 (favoreggiamento semplice o aggravato dell’ingresso illegale); - la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati (salvo che appartenga a terzi o sia destinato a pubblico servizio); - il giudizio direttissimo, salvo che non siano necessarie speciali indagini; - i controlli e le ispezioni di mezzi e cose trasportate, quando se ne presuma la correlazione ai reati avanti indicati (disposizione modellata, come la seguente, in simmetria a quanto previsto in materia di droga); - l’affidamento di immobili e automezzi in sequestro agli organismi di polizia per un loro impiego investigativo. Di rilievo, anche per alcuni problemi pratici che la sua applicazione comporta, è infine la disposizione dell’a. 16 T.U. (Espulsione come sanzione sostitutiva della detenzione). 5. Il crimine “indotto”; schiavitù e condizione analoga Migrazione illegale e attività di gestione del relativo ‘mercato’ comportano, per loro stessa fisiologia, la produzione di reati collaterali e talora connessi alle specifiche figure penali di settore. Ad un simile sistema ‘satellitare’ resta peraltro estranea la produzione criminosa propria dei clandestini giacché essa manca di un reato speciale che funga da catalizzatore delle eventuali fattispecie comuni. I clandestini infatti, come si è già sottolineato, non sono soggetti ma oggetto di reati specifici e, salvo che non siano essi stessi favoreggiatori di altri clandestini, la loro posizione, sebbene a rischio penale sotto altri profili, rimane indifferente alle previsioni dell’a. 12 del T.U. citato. L’indotto criminoso al quale intendiamo riferirci riguarda invece i singoli o i gruppi che gestiscono i flussi illegali e che per farlo sono in certo senso obbligati a compiere, oltre ai delitti in catalogo nel predetto art. 12, altri reati prima, durante o dopo la illecita introduzione di stranieri. La tipologia di questi reati, che è molto ampia e che ai suoi massimi confini lascia intravvedere ripugnanti ipotesi come il traffico di organi e la soppressione dei ‘donatori’, si può solo distinguere per grandi categorie relazionate al fenomeno di base, ossia all’introduzione illecita di stranieri nel nostro territorio. In una simile prospettiva, valida a fornire orientamenti in ordine a ricorrenti questioni tecniche afferenti la continuazione, la connessione e la competenza, è possibile individuare: una categoria di reati “strumentali” all’introduzione di clandestini (come può essere la falsità documentale, la corruzione di un pubblico ufficiale, la costituzione di 19 un’associazione per delinquere ecc.); una categoria di reati “finali”, rispetto ai quali è l’ingresso dei clandestini a fungere da “mezzo” (si pensi allo sfruttamento di immigrati nella prostituzione o all’impiego di clandestini minorenni nei furti o nello spaccio di stupefacenti); una categoria, infine, di reati collegati all’ingresso illegale da vincolo di mera occasionalità (come nei casi di ‘incidenti’ nella fase di trasporto o di ‘sbarco’). All’interno di questo complesso panorama criminale si collocano, in posizione di rilievo, due figure di reato ‘strumentali’ che per ragioni diverse vanno segnalate: l’associazione per delinquere (a. 416 c.p.) e la riduzione in schiavitù (a. 600 c.p.). Nelle pagine che precedono non sono pochi i richiami a situazioni di fatto evocative di questi reati. Si può anzi affermare che il modulo associativo costituisce il mezzo ordinario di governo del ‘mercato nero’ della migrazione e, quanto alla riduzione in schiavitù, se anche meno ricorrente, rappresenta anch’essa, la modalità tipica di gestione di alcune fasce di mercato12. Circa l’associazione, che secondo i casi potrà assumere anche connotazioni mafiose (a. 416 bis c.p.), altro non si ritiene di aggiungere in questa sede, salvo ribadirne il ruolo di strumento abituale e quasi necessitato per chi delinque nel traffico di clandestini. La riduzione in schiavitù (o in condizione analoga) ci interessa invece, oltre che per la sua inerenza ad alcuni particolari settori del fenomeno migratorio illegale, anche per una ragione di ordine storico-culturale. Questa figura, la quale offre parametro anche alle altre contigue fattispecie della tratta e commercio di schiavi (a. 601 c.p.) e dell’alienazione, acquisto o detenzione di schiavi (a. 602 c.p.) 13, era caduta infatti, anche a causa di una interpretazione restrittiva a sua volta condizionata da beghe dottrinarie, in uno stato di “sostanziale abrogazione”14. Se tale mezzo di tutela della personalità individuale è tornato di attualità lo si deve (ma non è questo certamente un merito) proprio al fenomeno di cui ci stiamo occupando, al mercato di vite umane, alle sue storie di persone sfruttate come cose, prezzate all’asta, vendute e poi magari rivendute. Questa sorta di rigenerazione giuridica costituisce un caso singolare, nel quale, una volta tanto, la realtà fattuale ha prevalso su quella virtuale del bizantinismo teoretico e non ha indotto il legislatore ai consueti interventi di urgenza. Le questioni che paralizzavano l’operatività dell’art. 600 c.p. (e delle figure limitrofe) non sono interessanti e neppure, a dire il vero, di grande momento: si dubitava, in sostanza, se la schiavitù, o meglio la condizione analoga alla schiavitù, rilevante ai fini penali, fosse una mera condizione ‘di fatto’ oppure una condizione ‘di diritto’15. L’intoppo è stato comunque superato: prima la Corte Costituzionale, sia pure giudicando in tema di plagio (Sent. N. 96 del 6/8/81), poi la Corte di Assise di Milano con una innovativa sentenza del 1988 relativa al fenomeno dei minori ‘argati’ e infine, con ripetute pronunce a partire dal 1989, la Corte di Cassazione, hanno aperto la strada ad 12 V. quanto in precedenza rilevato in relazione al flusso dei Cinesi, delle prostitute introdotta da Moldavia, Ucraina, Bielorussia ecc., delle altre sfruttate dalla mafia albanese; nonché quanto avviene nel ‘commercio’ di minori ‘argati’ di etnia Rom. 13 Una quarta ipotesi è prevista dall’a. 1153 Cod. Nav. In riferimento alla destinazione di una nave alla tratta di schiavi, mentre l’art. 1152 s.c. prevede un’aggravante speciale per il delitto di cui all’a. 601 c.p. . 14 Così A. Di Martino: ‘Schiavitù e condizione analoga …’ in Foro It. 1994, pag. 298. 15 Per l’analisi anche storiografica del delitto, V. G. Spagnolo: Schiavitù, in Enc. Dir. Pag. 633 e segg., nonché G. Porco: ‘Schiavitù un fenomeno in trasformazione’ in Giust. Pen. 1998, II pag. 730 segg. . 20 una espansione della ‘condizione analoga’ verso tutte le situazioni in cui ‘di fatto’ si verifichi l’asservimento totale di un soggetto ai poteri di un altro. Va annotato che già sulla base dell’a. 1 della Convenzione supplementare sottoscritta a Ginevra il 7 settembre 1956 (relativa all’abolizione della schiavitù) era possibile individuare almeno quattro ‘condizioni analoghe’ rilevanti ai fini dell’art. 600 c.p., fra cui quella, che più da vicino ci interessa16 , relativa alla cessione di minori (c.d. ‘argati’) a terzi per lo sfruttamento del loro lavoro o della persona. Tali previsioni, come le altre elencate alle lettere a, b, c, dell’art. 1 citato, rappresentano oggi, alla luce della giurisprudenza indicata, solo degli esempi delle nuove forme di riduzione in schiavitù. Altri esempi provengono, come si è visto, da vicende di clandestini cinesi e da determinati settori della prostituzione. La fisionomia del delitto in esame è plasticamente descritta nella massima seguente: “la condizione analoga della schiavitù, presa in considerazione negli artt. 600 e segg. del C.P. si identifica in qualunque situazione di fatto in cui la condotta dell’agente abbia per effetto la riduzione della persona offesa nella condizione materiale dello schiavo, e cioè nella soggezione esclusiva a un altrui potere di disposizione, con conseguente disconoscimento di soggettività e di capacità di libera determinazione” (Cass. Pen. Sez. V 16/XII/97 – 11/2/98 n. 1615)17. Il caso in giudizio riguardava proprio dei clandestini. 6. Metodologie di indagine e tecniche investigative. I primi strumenti di tutela transnazionale La migrazione illegale, col suo vasto mercato nero e le sue nuove mafie, col suo indotto criminoso e le sue sacche non del tutto esplorate, col suo spaventoso carico di costi sociali e – non dimentichiamolo – soprattutto umani, disegna uno scenario di fronte al quale non si può più pensare a strategie18 di contrasto meramente interne a singoli Stati o a singoli loro raggruppamenti, qual è ad esempio l’Unione Europea (la quale, peraltro, solo di recente ha avviato iniziative19 mirate alla specifica materia). Tanto meno si può ancora pensare, di fronte alla complessità e alle fisiologiche articolazioni transnazionali del fenomeno, a modelli di investigazione e repressione penale che non abbiano un grado di organizzazione e di efficienza per lo meno pari a quello che si richiede in altri settori contigui, come la droga, le armi, il terrorismo ecc. . Neppure si dovrebbe fare a meno, rispetto a fenomeni di questo tipo, più che mai in grado di rendere il mondo veramente ‘piccolo’, di un livellamento20 delle singole legislazioni nazionali in materia; il che costituirebbe un primo passo verso una sorta di ‘fe- 16 In questo paradigma si inserisce perfettamente il caso dei minori Rom alienati e illegalmente introdotti nel Paese per essere sfruttati nell’accattonaggio o nei furti. 17 Massima riportata in nota a ‘Schiavitù un fenomeno in trasformazione’, citato sub n. 15’. 18 L’elaborazione di una strategia globale rappresenta l’idea-guida della Convenzione sottoscritta nel corso della Conferenza ONU “Global crime 2000” svoltasi a Palermo dal 12 al 15 dic. 2000. 19 V. in particolare il Trattato di Amsterdam, ratificato dall’Italia con L. 16/6/98 n. 209 che si propone l’obiettivo di prevenire e reprimere la criminalità organizzata attiva nella tratta di esseri umani e nei reati contro i minori, nonché la proposta di Decisione-quadro emessa all’inizio dell’anno dal Consiglio dell’Unione Europea per la lotta alla tratta di esseri umani. 20 Interessante è l’iniziativa assunta dalla Slovenia che ha recentemente varato norme che fra l’altro elevano sensibilmente (fino ad anni 8 di reclusione) le pene per il reato di favoreggiamento della migrazione illegale; in precedenza il reato era perseguito con sanzioni prive di effettiva deterrenza. 21 derazione delle sovranità’21 nella lotta alla criminalità internazionale, nella quale si situa, a pieno titolo, quella di cui ci stiamo occupando. La riflessione che può trarre oggi la Magistratura da questo stato di cose è, almeno sul piano metodologico, piuttosto semplice: in attesa che maturi quella specie di patto federativo22 e insieme ad esso una più diffusa sensibilità alla ‘criminologia della migrazione’, è necessario attrezzarsi per opporre all’organizzazione del crimine una pari organizzazione delle indagini e dell’attività repressiva penale in genere. L’alternativa a questo metodo, il quale impone di prescegliere nella dicotomia dell’a. 330 c.p.p. la nozione del ‘prendere’ piuttosto che l’altra del ‘ricevere’ notizie di reato ed impone quindi al pubblico ministero un ruolo più attivo nella ideazione, preparazione e sviluppo delle investigazioni, non solo non porterebbe le indagini … da nessuna parte (e abbiamo visto fin dove invece possono arrivare) ma avrebbe l’effetto, anche più deleterio, di condurle magari dalla parte sbagliata o comunque di ben minore interesse: quella della microcriminalità specialistica, giovanile e in certo modo necessitata, attribuibile ai clandestini; 21 Così M. Pisani: “Criminalità organizzata e cooperazione internazionale”, in Riv. It. Dir. E Proc. Pen. III, 1998 pag. 703 e segg. . 22 Rilevante, in questo senso, la recente “Iniziativa italo-statunitense per combattere il traffico di donne e bambini” di cui si riproduce il “comunicato stampa”, diramato dalla Casa Bianca il 6/5/98: Gli Stati Uniti e l’Italia riconoscono che le attività criminali che oltrepassano i confini nazionali, in particolare il problema crescente del traffico di donne e bambini, rappresentano una sfida pericolosa alla comunità internazionale. Questo è un problema internazionale con implicazioni nazionali. Il preoccupante aumento del coinvolgimento della criminalità organizzata internazionale nel traffico di donne e bambini a scopo di lucro richiede sempre maggiore attenzione ed impegno. I trafficanti di donne e bambini, come i trafficanti di droga, ora, operano impunemente tra i confini internazionali, usando mezzi di comunicazione e commercio d’avanguardia. Sia negli Stati Uniti che in Italia ci sono stati casi di traffico di donne e bambini a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, e sfruttamento per lavori domestici. Il Presidente Clinton ed il presidente del Consiglio Prodi si impegnano ad intraprendere i passi necessari a fronteggiare questa attività criminale in espansione. Sono stati concordi sulla necessità di nuove strategie per sradicare il traffico, ponendo l’accento sul rafforzamento della salvaguardia dei diritti umani delle vittime del traffico, aumentando le azioni giudiziarie contro i reati legati al traffico, trovando il modo di aiutare le vittime a fornire il loro sostegno nei procedimenti contro detti trafficanti, aumentando nell’opinione pubblica la consapevolezza del problema, e coordinando la lotta al traffico insieme a tutti i Paesi coinvolti, compresi quelli di origine, transito e destinazione. Il Presidente Clinton ed il Presidente del Consiglio Prodi hanno stabilito che gli Stati Uniti e l’Italia parteciperanno a questo progetto prendendo delle misure specifiche per combattere il traffico di donne e bambini. A questo fine gli Stati Uniti e l’Italia hanno recentemente creato un Gruppo di lavoro U.S.A. – Italia sul traffico di donne e bambini. Il gruppo, il cui primo meeting si è tenuto a Roma il 14 aprile, ha concordato le seguenti azioni congiunte: salvaguardia dei diritti delle vittime del traffico attraverso lo scambio delle prassi più efficaci nel campo dell’assistenza, della protezione e della integrazione sociale delle vittime, iniziative comuni, tra cui un programma congiunto a favore delle vittime da applicare separatamente in Italia e negli Stati Uniti; protezione alle famiglie delle vittime nei Paesi di origine del traffico; campagne pubbliche congiunte di informazione nei Paesi di origine del traffico con la collaborazione delle autorità del paese e delle organizzazioni non governative; scambio costante di informazioni, con la collaborazione della Direzione nazionale antimafia italiana e nei limiti dei provvedimenti di legge vigenti nei due Paesi per quanto riguarda la riservatezza delle indagini su: - indagini; - metodi e procedure investigative valide; - dati statistici ed analisi generale del traffico; formazione per operatori delle forze di polizia, immigrazione e frontiera nei Paesi di origine, per identificare i metodi e gli schemi del traffico e prevenire il traffico attraverso indagini e procedimento penali efficaci; sviluppo delle procedure di protezione ai testimoni e servizi per le vittime nei Paesi di origine nei casi di rimpatrio, tra cui formazione per le forze di polizia ed assistenza alle organizzazioni non governative che forniscono servizi alle vittime; promozione di iniziative congiunte presso i forum multilaterali per combattere il traffico, in aggiunta agli sforzi in corso delle Nazioni Unite per sviluppare una convenzione sulla criminalità organizzata. Il Presidente Clinton ed il Presidente del Consiglio Prodi si sono mostrati concordi sul fatto che queste azioni comuni rappresenterebbero un elemento importante della nostra futura collaborazione bilaterale in campo politico e di polizia 22 così accreditando nell’immaginario sociale quella stolta equazione clandestini = criminalità che porta in definitiva a confondere le vittime con gli aguzzini. Da queste riflessioni e da tutte le considerazioni che precedono è sorta l’idea, poi elaborata di concerto con i Sostituti, di istituire presso la Procura di Trieste un ‘gruppo di lavoro per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e per i fatti di reato connessi’. L’iniziativa, risalente al novembre del 1997, è stata concepita anche come ‘test’ del nuovo assetto organizzativo che avrebbe poi assunto l’Ufficio con la riforma sul giudice unico di primo grado. Il ‘gruppo di lavoro’ materializza un vero e proprio ‘sistema’, nel senso che ad esso si collegano persone, mezzi e servizi di supporto. Composto da due Magistrati, entrambi addetti anche alla DDA e coordinato dallo scrivente, il gruppo si avvale: di un sistema informativo proprio, ossia di una specifica banca-dati (cui è stata aggiunta un’altra di tipo fotografico); di un ufficiale di polizia giudiziaria addetto alla catalogazione, selezione e inserimento dei dati; di altro personale di p.g. (polizia di frontiera) altamente specializzato ed esperto in materia, che ha il compito di affiancare i magistrati nelle indagini e di coordinare i collegamenti fra la Procura e i Servizi di p.g. operanti sul territorio; di uno scelto numero di interpreti e traduttori da varie lingue che costantemente assicurano, sia ai magistrati che alla p.g., la propria disponibilità. Complementari al ‘sistema’ sono anche le direttive scritte alla p.g. ed i frequenti contatti, non solo operativi ma anche informativi e programmatici, con l’Autorità Giudiziaria e di Polizia dei Paesi confinari. Le linee guida di questo modulo investigativo sono descritte nel testo riportato in no23 ta , relativo alla prima direttiva inoltrata alla p.g. e costituente una sorta di ‘protocollo’ della investigazione nella sua prima fase. 23 Direttiva n. 91/97 Prot. Il Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fatto rapportabile alle distinte ipotesi di reato ex art. 3, VIII co. D.L. 416/89, l’una (agevolazione dell’ingresso di stranieri senza fine di lucro) di competenza del Pretore, l’altra (agevolazione per fini di lucro ovvero attuata da tre o più persone in concorso fra loro) di competenza del Tribunale, è un fenomeno che riveste particolare interesse nel circondario di Trieste, e nelle altre aree confinarie del distretto, non solo per la sua elevata incidenza quantitativa ma anche e soprattutto per le sue spiccate potenzialità criminogene, ponendosi come fattore di rischio rispetto ad altre e più gravi manifestazioni delinquenziali. Difatti l’esperienza investigativa più recente, per quanto frammentata e parziale, dimostra chiaramente come l’immigrazione clandestina, di per sé considerata, rappresenti solo la fase mediana di un fenomeno ben più ampio e articolato alle cui estremità si collocano, come antefatti e come postfatti talora anche fra loro collegati, altri illeciti penali importanti e per lo più riconducibili ad efficienti e stabili strutture associative. Ci si riferisce alle associazioni costituite per organizzare il flusso dei clandestini verso i Paesi comunitari; a quelle strutturate per “gestire” successivamente (talora con metodi che rasentano la riduzione schiavitù) gli immigrati avviandoli o scambiandoli sui “mercati neri” del lavoro irregolare, della droga, della prostituzione ecc., quindi al complessivo “indotto” criminoso del fenomeno e a tutto ciò che ne deriva anche in termini di costi, gravissimi, sul piano sociale e su quello umano. L’entità e la rilevanza del fenomeno è dunque tale, e talmente pressante nel circondario di Trieste (oltre che nell’area confinaria dell’intero distretto, per ciò che attiene le competenze di questa Direzione Antimafia), da richiedere, insieme a una più ampia e diffusa consapevolezza dell’importanza degli interessi sociali in gioco, un drastico e immediato rimodellamento del “sistema” investigativo in materia. In una prospettiva di questo tipo si colloca la direttiva che segue. Essa è intesa a superare le prassi correnti, basate su interventi investigativi frammentari, episodici, scoordinati e dispersivi, e a impostare le indagini di settore, sin dalla prima fase di p.g., secondo più adeguati criteri di sistematicità, coordinamento, concentrazione dei dati e dei fatti connessi, incentivazione dell’attività informativa e preparatoria, migliore fruizione delle esperienze specifiche maturate sul campo sia dagli Operatori di p.g. che dai Magistrati. A quest’ultimo riguardo giova segnalare che questo ufficio ha di recente istituito un apposito “gruppo di lavoro” per lo specifico settore anche allo scopo di fornire alla polizia Giudiziaria un punto di riferimento costante ed omogeneo, Tale gruppo, al quale si potrà accedere per ogni questione o informazione afferente la specifica materia anche a prescindere dai turni di reperibilità, è costituito dai Sostituti: dott. Raffaele Tito e dott. Federico Frezza. Direttiva 1 – Individuazione dell’Ufficio competente in ordine ai reati di cui all’art. 3 co. VIII D.L. 416/1989 – Criteri (omissis…; la relativa questione di competenza per materia, all’epoca rilevante, risulta superata in seguito alla unificazione degli Uffici 23 I risultati conseguiti dal ‘gruppo’, anche grazie allo straordinario impegno di tutta la struttura operativa’ (allo scrivente va il solo merito di averla organizzata), sono andati ben al di là di ogni positiva previsione: basti rilevare che già nell’anno ’98 le misure cautelari emesse, nella materia specifica, hanno avuto un incremento rispetto all’anno precedente del seicento per cento. Non per questo però il modulo dev’essere preso, né per tale lo si vuole proporre, come esempio da seguire necessariamente: altri possono essere i sistemi e i criteri organizzativi adottabili per fronteggiare al meglio il fenomeno di interesse. Noi stessi d’altra parte non riteniamo di aver raggiunto la perfezione. Esemplare è semmai l’idea, la ‘filosofia’ sottostante: quella per cui, come si diceva in precedenza, al crimine organizzato non si possono opporre azioni di contrasto episodiche e improvvisate. Altrimenti il rischio, in questo particolare teatro criminale, è addirittura quello di distribuire agli attori le parti sbagliate. I metodi e gli strumenti delle indagini di settore, benché risentano del tecnologismo imperante nell’odierna cultura investigativa, al tempo stesso valorizzano anche sistemi acquisitivi per così dire tradizionali. Ne è un esempio l’assunzione di informazioni dai clandestini rintracciati dopo il loro ingresso nel territorio nazionale. Tale adempimento normalmente rappresenta il primo atto investigativo della serie e viene eseguito dalla polizia giudiziaria secondo gli schemi di una precisa direttiva della Procura. Va da sé che l’assunzione avviene ai sensi dell’art. 351, 1° c.p.p., riguardando soggetti che non rispondono penalmente e ai quali è addebitabile il solo illecito amministrativo. Le informazioni che la p.g. sollecita allo straniero essenzialmente vertono sulla onerosità dell’aiuto prestatogli e su ogni altro profilo aggravante del reato presupposto. Vengono richieste anche indicazioni in merito alla provenienza, alle modalità di ingresso, alla destinazione intermedia o finale e naturalmente in ordine all’identità di chi ha favorito l’espatrio e di chi avrebbe dovuto prendere eventualmente in carico lo straniero dopo la sua entrata in Italia. Sovente si perviene alla contestuale acquisizione di appunti, inquirenti di primo grado). 2 – Assunzione di informazioni da cittadini stranieri abusivamente entrati, con l’agevolazione di terzi, nel nostro territorio. Adempimenti complementari: - al fine di rendere più incisiva ed esauriente tale attività di indagine (utile ad acquisire elementi anche in ordine ad altri collaterali profili criminosi del fatto), questo Ufficio reputa opportuno uniformare la metodica investigativa indicando ai servizi di P.G. interessati la necessità di procedere, sempre e dettagliatamente, all’assunzione di informazione dai “clandestini” in ordine alle circostanze del loro ingresso, al luogo o al Paese di destinazione, ai soggetti che li abbiano favoriti nell’espatrio (in tutte le relative fasi), all’entità e alle modalità del compenso, alle persone (o gruppi) eventualmente incaricati di prenderli in carico una volta giunti sul territorio dello Stato; - in considerazione delle prevedibili difficoltà di reperimento e di tempestivo intervento di interpreti qualificati, si ritiene che in mancanza sia possibile sopperire facendo ricorso, nell’ottica dell’art. 348, 4^ c.p.p., ad una qualsiasi “persona idonea” , la quale non potrà rifiutare la propria opera; ove anche ciò non risultasse possibile, o non lo fosse nei tempi ragionevolmente richiesti, la p.g. operante si porrà in contatto con il predetto “gruppo” di lavoro che darà le specifiche direttive del caso; - dell’avvenuta intercettazione di clandestini sul territorio di interesse la Polizia Giudiziaria procedente darà immediato avviso al Magistrato di turno presso questa Procura anche se non si sia proceduto ad arresti; - l’espulsione dei clandestini non dovrà mai avvenire senza il nulla osta di questo Ufficio, che vi provvederà una volta accertata la completezza delle indagini; - qualora ciò sia reso possibile dall’atteggiamento collaborativo del “passeur” si tenterà di far proseguire i clandestini, sotto scorta non palese, fino a destinazione, allo scopo di individuare eventuali altri soggetti coinvolti nell’illecito “traffico” (per i loro delicati e complessi profili tali operazioni vanno organizzate e dirette dai responsabili dei Servizi di p.g. interessati i quali avranno cura di darne tempestiva informazione al Magistrato di turno ovvero a quelli dello speciale “gruppo” di lavoro); - è opportuno, infine, che i Comandi dell’Arma dei carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato individuino degli Ufficiali di p.g. ai quali questa Procura possa fare riferimento per la delega di particolari indagini nello specifico settore. (La direttiva, com’è ovvio faceva riferimento alla normativa all’epoca vigente). 24 indirizzi, recapiti telefonici ecc.: dati che, una volta inseriti nel sistema informativo, si rivelano utili anche per indagini successive. L’assunzione di informazioni presenta difficoltà logistiche non facili da superare senza la predisposizione di un adeguato schema organizzativo. Si pensi, per avere un’idea, ai tempi strettissimi a disposizione della p.g. prima che lo straniero venga respinto, alla necessità di presenza dell’interprete, agli orari notturni ecc. . Se ben condotta, e soprattutto se fatta sempre e nei confronti di tutti i clandestini intercettati, l’assunzione di informazioni si rivela una preziosa fonte di conoscenza e talvolta una tessera decisiva per la formazione del mosaico investigativo. Le intercettazioni telefoniche sono a loro volta uno strumento ancora in grado di offrire, in questo settore, risultati di rilievo. Particolare importanza rivestono quelle internazionali c.d. ‘ad imbuto’, ossia in grado di captare tutte le conversazioni convogliate dall’Italia (anche provenienti da cabine telefoniche) sull’utenza estera di interesse. Le difficoltà correlate a questo abituale strumento di indagine risiedono in primo luogo nella individuazione dell’utenza estera e secondariamente nel fatto che il chiamante non di rado si serve di telefoni ‘puliti’ ossia intestati ad altre persone. Va inoltre rilevato che con l’ingresso nella telefonia mobile di più gestori e l’introduzione di schede prepagate acquistabili senza troppe formalità, un soggetto ha la possibilità di utilizzare numerose utenze e di cambiarle continuamente. I tabulati telefonici rivestono anch’essi un notevole interesse investigativo ed in alcuni casi un importante valore probatorio: lo sviluppo e l’analisi della traccia elettronica lasciata dai telefoni mobili nelle ‘celle’ che formano la rete, consentono di ricostruire i contatti e i movimenti delle persone implicate negli illeciti traffici. L’acquisizione di dati da memorie telefoniche, appunti, agende ecc. rappresenta una ulteriore forma di arricchimento della banca-dati e spesso consente, attraverso l’incrocio di tali dati con altri già inseriti in memoria, di conferire alle indagini un primo orientamento. Il G.P.S. (Global Position System) è uno degli ultimi ritrovati tecnologici frequentemente impiegato nell’attività di indagine. Esso è basato su un sistema satellitare ad uso civile ed una stazione base che riceve gli impulsi provenienti dallo spazio. Permette, se installato su un veicolo, di registrarne in tempo reale tutti gli spostamenti. Sovente usato nell’attività investigativa anti-droga, viene impiegato in maniera altrettanto proficua per ‘seguire’, anche a media distanza, gli automezzi adoperati per il trasporto dei clandestini onde aver conto della loro destinazione e dei soggetti variamente coinvolti nel traffico. La collaborazione di ‘pentiti’ è un’altra risorsa investigativa importante. Perché maturi una decisione di collaborare e perché la collaborazione possa portare a risultati concreti, è però necessario, in questo come negli altri settori del crimine organizzato, che a interloquire col ‘pentito’ sia una struttura investigativa credibile e soprattutto dotata di un patrimonio informativo proprio. Solo a queste condizioni è possibile stimolare e alimentare il ‘dialogo’, effettuare le necessarie verifiche e capitalizzare al meglio tutti gli spunti investigativi offerti. 25 Auspicabile, e di sicura efficacia operativa, sarebbe una normativa che introducesse ulteriori strumenti di intrusione investigativa, quali l’attività di p.g. ‘sotto copertura’, la ‘consegna controllata’ dei clandestini, l’arresto differito dei passeurs ecc. . 7. Osservazioni conclusive I ripetuti riferimenti, fatti nel testo di questa relazione, all’area confinaria del NordEst dell’Italia e alle coste adriatiche della Puglia come principali luoghi di ingresso dei flussi migratori illegali verso il nostro Paese e verso l’Unione Europea, potrebbero suscitare l’idea che a doversi occupare dei fenomeni descritti siano solo, o soprattutto, gli Uffici Giudiziari (ed i relativi Servizi di polizia) dislocati a ridosso delle linee confinarie più esposte. In realtà non è così; anche se poi di fatto tali Uffici, per i meccanismi che regolano la competenza in caso di connessione, rischiano di diventare il ‘terminale giudiziario’ del complessivo indotto della migrazione illegale, anche di quello che per solito si genera in aree interne ben lontane dalla zona di confine (zona nella quale si realizza il reato di ‘favoreggiamento aggravato dell’ingresso’, che in genere rappresenta, agli effetti dell’a. 16 c.p.p., la fattispecie più grave di tutta la catena criminosa). Ora, se questo meccanismo certamente determina ‘un problema in più’ per gli Uffici di frontiera, non vuol dire che esso debba rappresentare ‘un problema in meno’ per tutti gli altri, quasi un alibi alla loro inerzia investigativa. E’ invece essenziale, tenuto conto che il fenomeno dilata lo strascico dei suoi crimini anche e soprattutto nelle aree interne del Paese, che esso sia perseguito ‘a tutto campo’ e con pari impegno di tutti sul piano organizzativo, operativo e della collaborazione. Lo impone la straordinaria rilevanza degli interessi in gioco ed anche la nostra sensibilità morale. Un’altra necessaria osservazione, in chiusura di questo saggio introduttivo, riguarda il modo in cui è stato concepito. La natura dell’incarico (significativamente conferito dal CSM al magistrato di un Ufficio ‘operativo’ piuttosto che a uno ‘studioso’ della materia) e il prefissato obiettivo di offrire ai Colleghi (ed a un più amplio pubblico) una prima forma di ‘alfabetizzazione’ sulla criminologia della migrazione, obbligava a corrispondervi con una esposizione di taglio essenzialmente pratico e per quanto possibile ‘totalizzante’. Si adeguano al primo indirizzo i molteplici riferimenti a una casistica giudiziaria concreta e alle attuali manifestazioni dei fenomeni per come appaiono, o solo traspaiono, nella esperienza investigativa di tutti i giorni. Al secondo indirizzo di metodo, ossia all’esigenza di presentare la materia in una visione d’assieme, si allinea, nella relazione, il tentativo di travolgere un pericoloso e antistorico pregiudizio (immigrazione = criminalità), di ricollocare la criminologia della migrazione nella sua area propria (la gestione organizzata di un ‘mercato nero’), di evidenziare l’‘indotto criminoso’ complessivo e di mettere in risalto la fisiologica e parossistica dimensione transnazionale del fenomeno24. 24 La prima stesura di questa introduzione è stata redatta in forma di relazione al Primo corso di formazione sulla funzione inquirente e requirente “Falcone e Borsellino”, tenuto a Frascati nell’aprile 1999, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione, Tirocinio e Formazione professionale. 26 Parte prima Confini invisibili Capitolo primo La “nuova” schiavitù di Enzo Kermol e Roberta Grimaz Le condizioni di schiavitù e sfruttamento riguardano spesso le donne immigrate in Italia e coinvolte nel mercato della prostituzione. Dall’entrata in vigore della legge sull’immigrazione del 1999 il fenomeno ha acquisito contorni più precisi. La legge infatti ha introdotto la possibilità di assistenza e regolarizzazione per le donne straniere che decidono di sottrarsi alle organizzazioni dalle quali sono controllate e sfruttate. Sulla dimensione del fenomeno dello sfruttamento sessuale non si hanno dati precisi. Secondo Livia Turco (ex-ministro della Solidarietà Sociale) l’80% delle prostitute straniere, circa trentamila in Italia, sono costrette a svolgere quest’attività; per l’associazione “On The Road” (legata al C.N.C.A. e alla Caritas) sono il 30%, mentre – stando ai dati rilevati da un’indagine Parsec del ‘98 – le “schiave del sesso” sarebbero almeno diciannovemila. Infine il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute calcola in circa tremila il numero delle donne sottoposte a coercizione violenta. Queste differenze di stime sono dovute alla difficile definizione, in termini legali e comuni, del concetto di “costrizione”. La prostituzione, in taluni casi, può anche essere vista come un’opportunità di “inserimento socio-economico” per coloro che vivono situazioni di particolare disagio ed emarginazione. Per ragioni culturali, le donne scelgono questa strada, mentre gli uomini si indirizzano prevalentemente verso attività illecite violente. Da qui un confine ambiguo che rende difficile la definizione di molti casi. 1.1. Immigrazione illegale e prostituzione Dagli inizi degli anni ‘90 l’immigrazione è divenuta un processo “globale”, provocato da fattori politici, socio-economici e demografici di varia natura, che sta caratterizzando le condizioni di vita nei paesi maggiormente industrializzati. Ogni anno circa quindici milioni di persone si spostano nei diversi continenti. I due flussi principali sono quello dal Centro e Sud America verso gli Stati Uniti ed il Canada e quello dall’Africa, Asia e paesi ex-comunisti verso l’Unione Europea. Anche l’Italia, fin dalla seconda metà degli anni ‘80, ha visto aumentare in maniera esponenziale il numero degli ingressi dei cittadini stranieri: immigrati per ragioni di lavoro, rifugiati, profughi di guerra e persone che cercano di migliorare le proprie condizioni economiche. Alle spalle dei numerosi stranieri regolari vi è però l’ombra dei clandestini, probabilmente altrettanto numerosi. Gli immigrati irregolari sono un’entità difficile da quantificare; secondo l’Istat25 sono circa ottocentomila gli stranieri non iscritti all’anagrafe che lavorano irregolarmente in Italia, ma questo dato ci fornisce solo un’indicazione parziale. Oltre ai numerosi immigrati nord-africani, già da tempo presenti nel nostro paese, nell’ultimo decennio si è fatto sempre più significativo l’afflusso di clandestini provenienti dai paesi dell’Est. 25 Istat, I numeri dell'Italia, Annuario statistico italiano, http://petra.istat.it/Anumital/Menu.html 27 Per quanto concerne le correnti migratorie provenienti dall’Albania la rotta che attraversa il canale d’Otranto è ormai consolidata: dai porti di Valona, Saranda e Durazzo partono ogni notte gommoni e pescherecci stipati di clandestini e sostanze stupefacenti. Queste imbarcazioni raggiungono i porti del versante adriatico italiano: Trieste, Ancona, Pescara e in particolare i porti di Bari, Brindisi, Lecce e Otranto. Dai paesi dell’exUnione Sovietica giungono in prevalenza giovani donne destinate ad essere sfruttate nella prostituzione con modalità similari alla riduzione in schiavitù. L’immigrazione illegale di cittadini romeni è invece gestita da organizzazioni locali molto semplificate e rudimentali, ma non per questo meno efficaci. La loro immigrazione è silenziosa, ignorata dai media, ma costante e numerosa. Il viaggio di un cittadino cinese che vuole raggiungere l’Italia, infine, può durare fino a due anni ed ha come tappa obbligata la Slovenia, oltre a soste intermedie (generalmente in Russia o Ungheria) in cui viene temporaneamente sistemato in attesa sia organizzata l’ultima parte del tragitto. La caratteristica peculiare di questo traffico risulta essere la modalità di riscatto. Una volta giunti in Italia i clandestini vengono trattenuti dai “trafficanti”, finché i parenti o altre persone interessate (in genere gestori di ristoranti) pagano un riscatto per ottenerne la “libertà”, o meglio la disponibilità come lavoraratori dipendenti (è evidente che in questo caso i clandestini lavoreranno avendo in cambio solamente vitto e alloggio fino ad estinzione del debito). A causa di una serie di fattori concatenati, tra cui le precarie condizioni economiche, il vuoto d’affetti e la marginalità in cui si trovano a vivere, i clandestini sono spesso coinvolti in attività illegali. Fra i reati compiuti dagli immigrati irregolari, i più diffusi risultano essere furti, percosse, lesioni, falsificazioni di documenti e spaccio di droga. Si tende dunque a confinare l’illegalità espressa da questi soggetti all’interno della microcriminalità prevalentemente giovanile e di tipo metropolitano. I reati di maggiore gravità, e con le peggiori conseguenze sociali, restano appannaggio pressoché esclusivo di associazioni nazionali di tipo mafioso che, solitamente, inseriscono gli extracomunitari ai livelli più bassi della gerarchia criminale. Un’eccezione in questo quadro è rappresentata dallo sfruttamento della prostituzione, e in particolare quella da strada, settore nel quale le organizzazioni straniere – per la maggior parte di etnia albanese, russa e africana – hanno preso il sopravvento monopolizzando il mercato e gestendolo con metodo mafioso e modalità di estrema violenza. Queste organizzazioni rispondono con straordinaria versatilità e dinamismo ai cambiamenti essendo in grado di coordinare una grande varietà di soggetti - quali intermediari, trasportatori, gestori di agenzie - di allacciare rapporti con altri gruppi in altri territori, di fronteggiare con estrema rapidità i frequenti mutamenti del mercato. Questi tipi di organizzazioni vengono classificate come “nuove mafie”. Nel panorama della criminalità organizzata in Italia risulta sempre più ampio lo spazio occupato da gruppi criminali di origine straniera, in prevalenza strutturati su base etnica. “Queste nuove mafie stanno affiancando le tradizionali malavitose italiane. Tale situazione si è creata dopo l’abbattimento delle frontiere avvenuto per favorire la globalizzazione dei mercati e che ha portato alla progressiva caduta dei monopoli storici persino nell’ambito criminale26“. 26 J. Pezzetta, “Le alleanze tra le mafie tradizionali e le mafie etniche”, Antimafia Duemila, Anno 1, n. 8, dicembre 2000. 28 Le nuove organizzazioni hanno trovato spazio nelle regioni del Centro-Nord: Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto. Risulta in aumento la penetrazione della malavita straniera anche in Campania, Puglia e Calabria. Sacra Corona Unita e Camorra hanno rapporti molto stretti con i boss stranieri, soprattutto albanesi e slavi, ma anche nigeriani. Si può dunque parlare di una vera e propria alleanza fra mafie, che consente di svolgere più agevolmente tutte le attività (traffico di stupefacenti, di armi, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione) che richiedono collegamenti internazionali nonché un’integrazione nel tessuto socio-economico delle zone interessate. “Tra i diversi gruppi stranieri ritroviamo i sodalizi albanesi, ormai distribuiti in tutto il territorio italiano, ma soprattutto nella zona di Milano, i quali sembra abbiano monopolizzato la gestione della prostituzione ed il traffico di droga. La malavita albanese pur non avendo una strutturazione verticistica, presenta modelli organizzativi che, in quanto a rigidità delle regole interne e a metodi punitivi nei confronti degli affiliati, evidenzia connotazioni tipiche dei sodalizi mafiosi. Ricorre spesso ai crimini violenti, come le lesioni personali, i sequestri di persona e gli omicidi perpetrati con ferocia. La criminalità cinese, concentrata soprattutto nel Lazio, Emilia Romagna, Lombardia e Toscana opera prevalentemente all’interno delle comunità di immigrati connazionali, attraverso il racket delle estorsioni, il traffico degli stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione e lo sfruttamento della manodopera clandestina e della prostituzione, il sequestro di persona, il gioco d’azzardo e la contraffazione. Anche la criminalità cinese presenta caratteristiche pari a quelle della malavita mafiosa, tuttavia, sebbene si ritenga sia legata alle “triadi”, non ha una struttura verticistica, ma i sodalizi sono uniti in una rete di collegamenti. L’espansione del mercato cinese della prostituzione è fenomeno recentissimo. Le motivazioni, come indica Amadori, vanno riscontrate in “prezzi bassi, rapporti non protetti, possibilità di soddisfare ogni genere di perversione dei clienti. Così le case di tolleranza gestite da immigrati di Pechino stanno prendendo il controllo della prostituzione. A Milano e nelle altre città italiane”27. La prova di questa tendenza è fornita dai giornali di annunci gratuiti dove ormai oltre il 70% delle inserzioni alla voce “Salute e bellezza” riguardano “massaggiatrici cinesi”. Alle altre nazionalità rimane un esiguo spazio. La conferma arriva anche dal commissario capo di Milano, Manfredi Fava, che dichiara: “abbiamo capito che a Milano i cinesi stanno prendendo in mano il controllo della prostituzione d’appartamento, lasciando quella di strada agli albanesi”28. Un ultimo dato, scorrendo le tabelle degli arresti e denunce dei cinesi in Italia scopriamo che dal 1991 al 2000, anno per anno, vi è un incremento esponenziale: dai 38 arrestati del ’91 ai 544 del ’00, dai 310 denunciati nel ’91 ai 4.563 del 200029. I gruppi nigeriani sono fortemente presenti in Campania e nel Centro-Nord e in generale in tutte le regioni, con eccezione di Puglia, Calabria e Sicilia. I malavitosi nigeriani sono suddivisi in blocchi, non hanno cioè una struttura piramidale, bensì orizzontale, caratterizzata da un’assoluta segretezza e da una forte componente magico-religiosa attraverso la quale influenzano pesantemente gli affiliati, che possono così essere spinti a compiere qualsiasi delitto. I nigeriani sono spesso minacciosi nei confronti delle Forze dell’Ordine oltre che particolarmente attivi nel settore dello sfruttamento della prostituzione, in quello dell’immigrazione clandestina, nel falso documentale e 27 G. Amadori, “Dalla Cina con Hard-core”, Panorama, n. 51, 20 dicembre 2001, pag. 80. G. Amadori, “Il mercato adesso è in mano alle triadi”, Panorama, n. 51, 20 dicembre 2001, pag. 83. 29 F. Folda, “La mafia gialla arriva in business class”, Panorama, n. 51, 20 dicembre 2001, pag. 85. 28 29 nell’esportazione illegale di valuta, nel traffico di stupefacenti e nei reati contro il patrimonio”30. Queste sono le tre organizzazioni straniere più pericolose presenti all’interno dell’Italia, ma ne esistono altre comunque “degne” di essere citate, come quella russa, la montenegrina, la nord-africana e la rumena. Lo schema malavitoso è profondamente mutato in questi ultimi anni. Non ci sono più organizzazioni che si occupano esclusivamente di prostituzione e altre dedite al traffico di droga, di armi, al contrabbando. “È vero invece che le cupole mafiose organizzano tutti i traffici. Presumibilmente nei Balcani si trovano cinque o sei di queste cupole, che da alcuni anni hanno deciso di convivere pacificamente e che sono strettamente collegate con le mafie italiana, turca, russa e cinese. Alla loro guida si trovano persone esperte che conoscono il mercato, sia quello della malavita sia quello degli affari, e mettono a frutto gli altissimi guadagni delle loro attività nel riciclaggio e nel business illegale. Nei Balcani la prostituzione genera un indotto che fa vivere almeno centomila persone tra passatori, sorveglianti, aguzzini, carcerieri, e quant’altro31“. Le storie delle donne provenienti dall’Est Europa che si prostituiscono in Italia sono quasi tutte uguali. Vengono soprattutto dalla Moldavia, dall’Ucraina, dalla Russia, dalla Romania e dall’Albania. Alcune di loro sono state reclutate da altre donne con il miraggio di un lavoro onesto in Occidente (commessa, barista, ballerina, parrucchiera), altre sono state rapite all’uscita di casa o del posto di lavoro. Tutte sono state violentate, picchiate, talvolta seviziate per spezzare ogni possibile resistenza fisica o psicologica fino a renderle schiave, arrendevoli. Merce da comprare e vendere. Punto nevralgico di questo traffico sono sicuramente i Balcani. Qui annualmente entrano nel giro della prostituzione almeno cinquemila ragazze. Da questo business si genera un volume d’affari simile a quello degli stupefacenti. In alcune zone della Bosnia, ad esempio, esistono mercati in cui si trova in vendita buona parte di quanto viene rubato o contraffatto in Europa. Oltre a cellulari, abiti, armi, è possibile comprare esseri umani: più precisamente giovani donne che alloggiano nei numerosi motel della zona. E questa spesso è solo la prima tappa di un viaggio che le porterà verso il ricco Occidente. In ognuno di questi motel si possono trovare decine di donne in attesa di clienti: costano 100 marchi tedeschi all’ora. Il denaro non viene dato a loro, ma all’uomo che le controlla, spesso il proprietario del locale che ha pagato in media 1.500 marchi per ognuna. La seconda vendita avverrà pochi giorni dopo per un prezzo medio leggermente superiore a quello di acquisto. Molte ragazze vengono vendute per essere trasferite in Macedonia, lo stato “cerniera” di tutti i traffici balcanici. Quando arrivano in questo paese sono già al terzo o quarto passaggio e, essendosi maggiormente adattate al “lavoro”, le loro prestazioni sono salite di prezzo ed il loro valore si aggira quindi sui 3.000 marchi. “Con il passaggio in Macedonia si avvicina, per le prostitute, il momento in cui verranno inviate in Europa seguendo varie strade, l’attraversamento dell’Adriatico dal Montenegro (porto di Bar) e dall’Albania (porto di Valona) verso l’Italia, considerata dai trafficanti un mercato di élite, o attraverso la Serbia, la Croazia e la Slovenia, verso l’Europa centrale e del Nord. Molte ragazze, più del 30 per cento, considerate meno appetibili per i mercati europei, prenderanno la strada della Turchia e del Medio Oriente, soprattutto Libano e Giordania”32. 30 J. Pezzetta, “Le alleanze tra le mafie tradizionali e le mafie etniche”, Antimafia Duemila, Anno 1, n. 8, dicembre 2000. 31 B. Crimi, “Comprate e vendute”, Panorama, 28 dicembre 2000. 32 B. Crimi, “Comprate e vendute”, Panorama, 28 dicembre 2000. 30 1.2. Riepilogo dati sui reati inerenti la prostituzione Riportiamo i dati più significativi estrapolati dal “Rapporto sulla Criminalità Organizzata” del Ministero dell’Interno per l’anno 1999-2000. Sono state evidenziate le categorie che possono maggiormente interessare ed astratti i dati inerenti le aree di analisi relative alla prostituzione. Una particolare attenzione è stata rivolta all’andamento del fenomeno nel corso dell’ultimo decennio, ai confronti fra le diverse etnie e la presenza della prostituzione nei territori compresi nell’area geografica italiana. Un dato risulta maggiormente evidente nella visione unitaria offerta dai grafici, riguarda l’incidenza dell’immigrato albanese sul totale degli extracomunicati denunciati per reati inerenti la prostituzione. Per quanto concerne il numero di reati denunciati, risulta rilevante la disparità che emerge fra le cifre riferite al Nord Italia e le altre aree geografiche del nostro Paese. Tabella n.1 Numero delle persone denunciate in Italia per reati inerenti la prostituzione33 Valori Assoluti. Anni 1990-2000 (30 Giugno)34 Anno 33 34 N. Persone % sul totale Anni Differenza % su anno precedente 1990 1.291 3,60% 1991 2.579 7,10% 1990/1991 99,77% 1992 2.574 7,10% 1991/1992 -0,19% 1993 3.405 9,40% 1992/1993 32,28% 1994 2.798 10,50% 1993/1994 -17,83% 1995 3.735 10,30% 1994/1995 33,49% 1996 4.387 12,10% 1995/1996 17,46% 1997 3.621 10,00% 1996/1997 -17,46% 1998 3.833 10,70% 1997/1998 5,85% 1999 4.091 11,30% 1998/1999 6,73% 2000 2.941 8,10% 1999/2000 -28,11% Totale 36.035 100,00% Delitti di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Ministero dell’Interno. Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata. Anni 1990-2000. 31 Tabella n.2 Numero dei reati inerenti la prostituzione denunciati in Italia35 Valori Assoluti. Anni 1990-2000 (30 Giugno)36 Anno N. Reati % sul totale Anni 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Totale 1.192 2.123 2.158 2.724 2.761 2.756 3.566 2.714 2.893 2.519 2.497 27.903 4,27% 7,61% 7,73% 9,76% 9,89% 9,88% 12,78% 9,73% 10,37% 9,03% 8,95% 100,00% Differenza % su anno precedente 1990/1991 1991/1992 1992/1993 1993/1994 1994/1995 1995/1996 1996/1997 1997/1998 1998/1999 1999/2000 78,10% 1,65% 26,23% 1,36% -0,18% 29,39% -23,89% 6,60% -12,93% -0,87% Tabella n.3 Extracomunitari denunciati in Italia per reati inerenti la prostituzione37 Distinzione per nazionalità. Valori percentuali e assoluti. Anno 199938 Nazionalità Incidenza % sul tota- N.denunciati le extracomunicari denunciati Albanese 60,14% 1148 Nigeriana Romena Jugoslava Colombiana 10,06% 8,96% 5,50% 3,25% 192 171 105 62 Ucraina Brasiliana 2,99% 2,62% 57 50 Macedone Ghanese 2,41% 2,04% 46 39 35 Delitti di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Ministero dell’Interno. Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata. Anni 1990-2000. 37 Delitti di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. 38 Ministero dell’Interno. Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata. Anni 1990-2000. 36 32 Moldava Totale 2,04% 100,00% 39 1909 Tabella n.4 Numero di reati inerenti la prostituzione39 denunciati in Italia Suddivisione per area geografica. Valori assoluti. Anni 1996-199940 1996 1997 1998 1999 Nord Italia 1652 1111 1476 1257 Centro Italia 816 540 593 693 Sud Italia 952 887 635 448 Isole italiane 146 176 189 121 Totale 3566 2714 2893 2519 Rispetto all’area di confine del Nord-Est dell’Italia, la Slovenia è d’importanza strategica per il controllo del fenomeno, considerato che costituisce il luogo di passaggio obbligatorio per accedere via terra alla frontiera italiana. Quest’area va oggi considerata, per gli effetti degli accordi di Schengen, come frontiera dell’intera Unione Europea. Attraverso questo confine passano ogni anno almeno 35.000 clandestini (anche se una stima precisa è pressoché impossibile). Tra questi vi sono la maggior parte delle donne destinate al mercato della prostituzione, originarie dai paesi dell’Est europeo (Ucraina, Russia, ex-Jugoslavia). Per quanto concerne l’altra grande area d’ingresso (ossia le coste adriatiche della Puglia) il fenomeno è invece ben più conosciuto, essendo da tempo al centro dell’attenzione anche per le frequenti conseguenze tragiche degli sbarchi clandestini. 1.3. La tratta internazionale delle “bianche” a scopo di sfruttamento sessuale La “tratta”, secondo la definizione giuridica progressivamente affinata dalla Comunità Internazionale è “il reato di trasporto, trasferimento, reclutamento o accoglienza di una persona, ottenuta per mezzo di minaccia o uso di forza o altri mezzi coercitivi, o in maniera fraudolenta o ingannatoria, o in conseguenza di un abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità della vittima stessa. E’ la “transnanzionalità” del crimine che lo qualifica come reato di tratta nonché come ampiamente dimostrato dall’esame del fenomeno e dal progressivo emergere di casi di tratta, il coinvolgimento del gruppo criminale organizzato. Ed è infine lo sfruttamento della persona che fa di questo reato un crimine che offende la persona stessa”41. 39 Delitti di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Ministero dell’Interno. Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata. Anni 1990-2000. 41 Il governo non combatte la tratta, 18 aprile 2001, http://www.dsonline.it/primopiano/dettaglio.asp 40 33 La quota di donne immigrate vittime del trafficking si stima intorno al 10% del totale nazionale. Esse sono principalmente albanesi, romene, moldave, ucraine, russe, e nigeriane. Si ritiene che la prostituzione sia la terza voce di guadagno per il crimine internazionale organizzato, dopo armi e droga. Si calcola che una prostituta possa fruttare almeno dieci milioni al mese. La media del lavoro delle ragazze è di circa tre sere a settimana. Secondo calcoli approssimativi, il business della prostituzione delle donne immigrate, nel nostro paese, si aggira sui 180 miliardi al mese. L’Italia, a causa della sua posizione geografica, si trova al centro di rotte e intensi movimenti nella circolazione della prostituzione, ed è un paese di forte attrazione come territorio di passaggio e destinazione. Il fenomeno della prostituzione ha registrato tre grossi flussi di immigrazione straniera: le donne nigeriane verso la fine degli anni ‘80, le albanesi agli inizi degli anni ‘90 e le ragazze dell’ex-Unione Sovietica a partire dal 1995 (che tuttora risulta come uno dei più intensi). Dai risultati della “Conferenza di Vienna sulla tratta delle persone a scopo di sfruttamento sessuale” del 199642 emergono con sufficiente chiarezza le metodologie di reclutamento delle donne nei loro paesi di origine, ovvero: • annunci sui giornali da parte di agenzie che offrono lavoro all’estero (cameriera, ballerina, assistente agli anziani, colf); • agenzie di copertura quali quelle matrimoniali (diffuse soprattutto nei paesi dell’Est); • offerte di lavoro e di grandi guadagni da parte di conoscenti comuni agli sfruttatori ed alle vittime; • coinvolgimento della famiglia di origine che può giungere fino alla vera e propria vendita della figlia per risolvere i gravi problemi economici; • coinvolgimento sentimentale delle ragazze da parte di sedicenti “fidanzati” che giunti in Italia le obbligano alla prostituzione; • rapimento vero e proprio. Si stima che le prostitute in Italia siano circa cinquantamila, ma è molto difficile quantificare il fenomeno, spesso sommerso, della prostituzione. “Secondo i dati dell’osservatorio di Milano le straniere sono dalle diciannovemila alle venticinquemila43“, di queste il 48% provengono dai paesi dell’Est Europa, il 30% dal centro Africa (prevalentemente dalla Nigeria) ed il restante 22% dal Sud America, dalla Cina e da altri paesi orientali. Una ricerca datata novembre 1999, condotta dall’OIM (Organizzazione Internazionale Migrazioni), in sette regioni italiane ha messo in evidenza come il Lazio e la Lombardia siano in testa per numero di donne straniere spinte alla prostituzione. Nella sola città di Roma la stima è di tremilacinquecento, mentre a Milano, dove quasi l’80% della prostituzione è straniera, è di duemilacinquecento. Il fenomeno risulta molto più evidente al Centro-Nord44, in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna ed in Lazio. 42 Il traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi, http://www.isinet.it/PdD/num9/sommario.htm 43 E. Kermol, A. Francescutto, Un’analisi del fenomeno prostituzione. Fra stili di vita e ipotesi di intervento, Cleup, Padova, 2000, pag. 24. 44 Elaborazioni Parsec, L’Espresso, 3 febbraio 2000, pag. 72. 34 1.3.1. La prostituzione albanese I recenti, difficili anni della transizione politica e sociale successivi alla caduta del regime dittatoriale, hanno portato in Albania una rapida crescita del numero di donne coinvolte nell’industria del sesso. Bisogna tener presente la particolarità dell’Albania isolata dall’Europa fin dal 1468, quando divenne provincia dell’impero Ottomano, quindi, in tempi più recenti il legame con la Cina e quindi la chiusura rispetto a tutte le forme di collaborazione internazionale. Il modello intrapreso alla caduta del regime non è stato particolarmente fausto, indirizzandosi verso un capitalismo “selvaggio”. In tale contesto, il disordine e l’illegalità sono diventate ambiente comune in cui le mafie hanno trovato fecondo terreno di coltura, e serbatoio di reclutamento per la prostituzione europea. In un sistema sociale in cui non vi era alcuna regola, aggravata dalla lattitanza di un reale potere politico, la disoccupazione, stante l’assenza di un’industria in grado di sopperire all’assorbimento della forza lavoro, è divenuta la causa dell’accettazione di norme malavitose come stile di vita. Contrabbando, immigrazione clandestina e prostituzione. Con gli anni ’90 le ragazze albanesi iniziarono una lenta invasione dei mercati italiani, greci e più in generale europei non trascurando una quota verso i paesi arabi del mediterraneo.La motivazione del flusso era data dalla relativa economicità della nuova “merce” e dalla, almeno iniziale, immunità al contagio dell’A.I.D.S., dovuta all’isolamento dell’Albania. La forma iniziale, per brevissimo tempo, vide coinvolte le ragazze provenienti dalle città, con un’istruzione medio-alta, con conoscenza delle lingue estere che cercavano una fuga dallo stato di disagio di una società in disfacimento. La rete di sfruttamento che si creò immediatamente si basò su piccoli gruppi indipendenti spesso di origine familiare che rastrellarono le campagne per avviare le ragazze alla prostituzione europea. Su questo terreno si collocò l’intervento delle mafie italiane ed europee che videro nell’Albania una zona franca per esercitare i propri commerci. Tirana, Durazzo, Fier, Valona, Elbasan, Berat, Lushnjë e le campagne circostanti sono le aree in cui la mafia attinge le ragazza da portare all’estero, soprattutto attraverso l’Italia. Si tratta prevalentemente del sud dell’Albania in cui le tradizioni sono più deboli anche se la perdurante crisi economica del paese spinge ormai in maniera indiscriminata verso una diffusa forma di criminalizzazione di tutte le fasce sociali e di tutte le aree geografiche. All’ingaggio in aree rurali segue un trasferimento in città, dove vengono raccolte e preparate alla partenza, segue l’attraversamento del canale d’Otranto, dal porto di Valona grazie agli “scafisti”, quindi lo smistamento verso le città di esercizio della prostituzione. La realtà delle ragazze albanesi che si prostituiscono in Italia è senz’altro complessa e mutevole e quindi eccessive generalizzazioni risulterebbero inadeguate. Ciononostante “è possibile definire una casistica di ragazze condotte all’estero per poi esercitare l’attività di prostitute: 1. Ragazze sedotte e imbrogliate: si tratta di ragazze coinvolte in relazioni affettive con un uomo (il trafficante) che si finge innamorato e convince la ragazza a seguirlo in Italia promettendole una vita migliore. Per rendere l’operazione più realistica si ricorre alla tecnica del fidanzamento formale in famiglia (si fa quindi un uso strumentale di antiche tradizioni) che permette una consegna simbolica della ragazza al futuro sposo il quale ne assume la custodia sociale. Da quel momento l’uomo diventa il punto di rife- 35 rimento della ragazza, assume un atteggiamento protettivo che faciliterà poi il passaggio alla fase dello sfruttamento e delle violenze. Il fidanzamento inoltre impedisce alla ragazza di rientrare autonomamente in patria, in quanto l’abbandono del compagno da parte sua comporterebbe il rischio di esclusione sociale. Scappare e tornare in Albania non è semplice perché si teme la reazione dei familiari e l’opinione pubblica. 2. Ragazze rapite: generalmente sono molto giovani, provengono dalle zone di provincia e vengono sottratte a famiglie molto povere. 3. Ragazze vendute dai genitori: ciò avviene in contesti caratterizzati da una profonda miseria materiale, sociale e culturale . 4. Ragazze che lasciano autonomamente l’Albania in cerca di maggiori prospettive: si tratta di ragazze che lasciano il paese spesso con i documenti in regola, ma che giunte in Italia non riescono a sistemarsi e cadono vittime dei clan di connazionali i quali ritirano loro i documenti e le costringono a prostituirsi. 5. Ragazze consapevoli e consenzienti: sono ragazze che già si prostituivano in Albania o che sono disposte a farlo con lo scopo di arricchirsi velocemente. Alcune sono autonome, ma poiché l’attività è rischiosa preferiscono avere come riferimento un ragazzo che le protegga”45. Una caratteristica della prostituzione albanese è l’estrema violenza esercitata dai clan verso le donne per costringerle ad esercitare sul marciapiede. I maltrattamenti e le torture inflitte non trovano paragone con le altre mafie. Così anche l’arroganza e la presenza degli sfruttatori che ritengono di essere “intoccabili”. Un’altra caratteristica è rappresentata dalla sovrapposizione dell’area di residenza con quella di esercizio, dovuta anche alla tipologia di vita degli sfruttatori. 1.3.2. La prostituzione dall’ex Unione Sovietica e dai paesi dell’Est Queste ragazze arrivano prevalentemente dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Russia, dalla Romania e dall’Ungheria. Uno dei paesi maggiormente interessati al fenomeno della tratta è l’Ucraina, dove le donne sono spesso reclutate attraverso annunci sui giornali in cui non meglio identificate agenzie ricercano modelle, ballerine o cameriere. Spesso le più ingenue “abboccano”, quindi con la violenza sono obbligate a prostituirsi. In altri casi sono le donne stesse a scegliere di venire in Italia per prostituirsi, generalmente per un periodo che varia dai tre ai sei mesi e che consentirebbe loro di guadagnare qualche migliaio di dollari con lo scopo di innalzare il tenore di vita. Ma non sempre le cose vanno come sperano. In molti casi, una volta giunte nel nostro Paese, si rendono conto che la somma da restituire è notevolmente superiore a quella pattuita e, non essendo più in possesso dei propri documenti, si ritrovano in balia dei loro sfruttatori. Esiste anche un discreto numero di donne che si mettono in vendita per essere comprate come mogli: sono disponibili veri e propri cataloghi curati da agenzie specializzate di cui si servono soprattutto uomini tedeschi o del Nord Europa46. Per quanto riguarda l’Italia le ragazze dell’ex-Unione Sovietica rappresentano l’ultima generazione di arrivi delle donne “trafficate”. L’ingresso di queste ragazze sul “mercato” ha modificato il tipo di presenza sulla strada delle prostitute. Grazie alla loro bellezza, alla capacità di costruire il proprio look, alla loro cultura, hanno provocato un 45 O. Benzi, Prostitute. Vi passeranno davanti nel regno dei cieli, Mondadori, Milano, 2001, pag. 16. E. Kermol, A. Francescutto, Un’analisi del fenomeno prostituzione. Fra stili di vita e ipotesi di intervento, Cleup, Padova, 2000, pag. 54. 46 36 abbassamento di interesse da parte dei clienti nei confronti delle nigeriane e delle albanesi. Molte di queste donne si prostituiscono in appartamenti, o vengono offerte tramite Internet, ad una clientela ricca ed esigente. “Proprio come gli schiavi dei secoli passati le donne non devono solo essere belle, ma soprattutto docili e sottomesse”47. A queste ragazze viene spesso richiesta una prestazione diversa, più vicina a quella dell’accompagnatrice. Con il cliente, si reca a cena, in discoteca o in vacanza. Queste nuove richieste da parte dei clienti spiegano in parte il boom di agenzie turistiche e “mediatori della notte” che sfruttano il mercato del sesso. Il trattamento riservato a russe, ucraine e slovacche in genere non è duro come quello destinato alle albanesi, perché molte di loro sono entrate nel circuito della prostituzione d’alto bordo. Le ragazze moldave provengono prevalentemente dai villaggi delle zone rurali: “qui le storie di ragazze rapite e vendute sono attualità”48. La campagna moldava può offrire un lavoro che impegna dodici ore al giorno in qualche piantagione per una paga di 20 dollari USA al mese. Così molte ragazze, costrette a vivere in queste condizioni, vengono contattate da una conoscente, o un’amica che collabora con i criminali, e che promette loro un lavoro ben retribuito in Occidente. In Romania la situazione non è molto diversa: lo stipendio medio per una commessa è di 50 dollari USA al mese. La stessa somma che una ragazza può guadagnare trascorrendo una notte con qualche facoltoso uomo straniero. Anche in patria la prostituzione è gestita da “boss”, spesso zingari, che procurano i clienti alle ragazze e trattengono parte del compenso. Non è raro che gli sfruttatori connazionali si occupino anche dell’organizzazione del viaggio verso l’Italia. In Romania non sono infrequenti gli annunci su quotidiani o altre pubblicazioni di offerte di accompagnamenti illegali in Italia. E’ facile imbattersi in offerte del tipo: “Porto gente in Italia” o “Massima serietà ed esperienza per accompagnamenti in Italia”. Questo è il tipo di offerta che le organizzazioni divulgano senza alcuna segretezza e cautela. 1.4. Lo sfruttamento della prostituzione nell’Italia settentrionale Ogni tipo di informazione va verificata. Così i dati presentati finora, provenienti da fonti giornalistiche e scientifiche, possono essere confrontati con la testimonianza di ragazze che hanno vissuto in prima persona i tristi esiti di uno sfruttamento, spesso brutale, ma in ogni caso lesivo della dignità e della capacità di scelta umana, che accompagna il fenomeno della prostituzione proveniente dai paesi dell’est Europa. Si tratta di interviste rilasciate da ragazze che sono appena uscite dal racket gestito dalle varie mafie, conversazioni registrate dalla viva voce di testimoni incolpevoli di una sorte non certo felice. Da queste testimonianze emergono numerosi elementi utili alla comprensione dei percorsi e delle condizioni di vita delle donne vittime di uno sfruttamento umano legato alla prostituzione. Le interviste sono state raccolte nelle città di Trieste, Udine, Milano e Torino. Molte delle ragazze, durante il periodo in cui si sono prostituite, si muovevano fra le città di Genova, Mestre (Venezia), Udine, Trieste, Bologna, Mondovì, Torino, Milano, Rimini, Alessandria, Venezia, Jesolo e Conegliano. 47 48 S. Ottolenghi, “Una schiava? 4.000.000 ed è tua”, Panorama, n.15, 1998. F. Gatti, “Così vengono vendute le ragazze dell’Est”, Corriere della Sera, 26 aprile 2000. 37 Le regioni in cui si riscontra il numero più alto di ragazze straniere che si prostituiscono sono Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto (in cui si stima che le presenze oscillino fra le 10.000 e le 12.000 unità). In particolare le città con maggiore presenza di donne straniere che lavorano in strada (circa un terzo del totale) sono le aree metropolitane di Milano e Torino. In Emilia Romagna e Veneto il numero di donne si aggira tra 1.500 e 2.000 con punte significative presenti nelle città di Venezia e Bologna, dove le unità stimate sono rispettivamente 500 e 1000. Anche a Modena, Rimini e Ravenna il numero è significativo, in quanto nel periodo estivo si trasferiscono in queste località molte ragazze che durante il resto dell’anno lavorano nell’entroterra. La forte mobilità intra-regionale ed extra-regionale caratterizza il fenomeno in tutta l’area settentrionale grazie alla maggior funzionalità dei trasporti pubblici rispetto alle altre regioni d’Italia49. Nelle rimanenti regioni del Nord la presenza di prostitute straniere “sembra” piuttosto contenuta, ma spesso è solo “mascherata” meglio. 1.4.1. Le interviste alle ragazze moldave Dalle storie di queste donne emergono chiaramente alcuni dei temi ricorrenti in ambito di sfruttamento della prostituzione delle ragazze dell’ex-Unione Sovietica. In primo luogo, molte di loro parlano di agenzie di collocamento lavorativo che si occupano di procurare documenti, lavoro e sistemazioni all’estero. Queste stesse agenzie ottengono poi un risarcimento delle spese affrontate trattenendo gran parte del denaro ricavato dall’attività di prostituzione delle ragazze. Un altro aspetto evidenziato riguarda il viaggio attraverso i Balcani, durante il quale subiscono diverse compravendite, che in genere coincidono con il passaggio fra uno stato e l’altro. Una ragazza ha raccontato di essersi ritrovata in un vero e proprio “centro di raccolta donne”, dove erano presenti più di trenta ragazze di proprietà di un criminale slavo che le vendeva come merce. Diverse donne finiscono in mano a criminali albanesi che, come emergerà poi dalle storie delle loro connazionali, sottopongono le ragazze a continue violenze fisiche (docce fredde, sfregi, bruciature, percosse) e sessuali. In un solo caso emerge la figura di una donna sfruttatrice che gestisce un appartamento in cui vivono e lavorano alcune donne dell’Est. Vorremmo sottolineare il caso in cui si accenna ad un tentativo di matrimoniovendita in cui l’Associazione è disposta a cedere la ragazza per la somma di 5.000 dollari USA. Comunque, anche se non con queste modalità, il matrimonio è per molte di loro l’unica opportunità per rimanere nel nostro Paese e condurre una vita più agiata. Quasi nessuna ha infatti intenzione di ritornare in Moldavia, dove spesso un’intera famiglia è costretta a vivere con poche decine di dollari USA al mese. Le donne moldave che hanno raccontato la loro storia sono sette. L’età è compresa tra i 19 e i 24 anni, con l’eccezione per una di loro che ne ha 34. Nonostante la giovane età, tre donne dichiarano di avere figlie; una è tuttora sposata, mentre le altre due sono separate. Le ragazze nubili sono quattro. Soltanto due hanno parlato dei loro studi: una ha ottenuto il diploma di scuola superiore e se ne avesse la possibilità vorrebbe iscriver- 49 Dati tratti da F. Carchedi, A. Piccolini, G. Mottura, G. Campani, I colori della notte. Migrazioni, sfruttamento sessuale, esperienze di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, 2000. 38 si all’università in Italia, mentre l’altra ragazza ha terminato la scuola dell’obbligo, ma non ha potuto proseguire gli studi a causa della gravidanza. Per quanto riguarda l’occupazione svolta in patria una donna racconta di aver fatto l’operaia per dieci anni e un’altra di aver lavorato come barista. Tutte hanno deciso di venire in Italia per migliorare la propria situazione economica e quella della loro famiglia. In due casi il “tramite” per il viaggio risulta essere un uomo, di nazionalità slava o albanese, che promette un lavoro onesto e ben retribuito in Italia; in altri due casi le donne si sono rivolte a vere e proprie agenzie; due, invece, hanno risposto ad annunci sui giornali. Una sola donna dichiara di essere venuta nel nostro paese per svolgere l’attività di prostituta, rivolgendosi ad un uomo slavo che aveva una sorella residente a Bologna, disposta ad aiutarla. Le altre donne si aspettavano di lavorare come raccoglitrici di frutta, colf o cameriere. Tutte hanno dovuto affrontare un viaggio piuttosto lungo per raggiungere la meta: due hanno attraversato la Romania, l’ex-Jugoslavia e l’Albania; una il confine italosloveno, una l’Ungheria e la Slovenia; due hanno dovuto affrontare percorsi ancora più lunghi, che toccavano la Romania, l’ex-Jugoslavia, il Montenegro, la Macedonia e l’Albania. I mezzi di trasporto utilizzati dalle organizzazioni criminali per trasferire le donne sono i più svariati. Vengono utilizzate auto private, camion e gommoni, o motoscafi, per la traversata del canale d’Otranto. Tra le donne che non sono giunte dalle coste albanesi una ha dovuto attraversare il confine italo-sloveno a piedi camminando tra i boschi, l’altra ha viaggiato su un camion che è stato imbarcato su un traghetto dell’Anek Line con destinazione Trieste. Una volta giunte nel nostro paese le ragazze si sono prostituite in varie città del nord: una a Genova, una a Torino, una a Firenze e Treviso, una a Trieste, una a Bologna e Trieste, e una fra Jesolo, Conegliano e Mestre. Tre di loro si sono prostituite esclusivamente in strada, mentre due saltuariamente utilizzavano anche un appartamento. Ad una di loro, che si è categoricamente rifiutata di prostituirsi, è stato imposto un matrimonio con un uomo italiano che avrebbe dovuto comprarla al prezzo di 5.000 dollari USA. Fra le donne che si sono prostituite, due risulta abbiano lavorato solo pochi mesi, una circa un anno e un’altra più di due (anche autonomamente). In quattro dicono di aver abitato in appartamenti privati forniti dagli sfruttatori, mentre due vivevano in albergo. Due ragazze che hanno parlato in modo più dettagliato delle “tariffe” medie indicano per un rapporto di pochi minuti in auto 50.000 lire, in appartamento invece il prezzo arriva fino a 300.000 lire. In sei non sono venute a prostituirsi volontariamente e tutte per questo hanno subito violenze: quattro hanno subito violenze fisiche e sessuali, una solo fisiche ed una solo sessuali. Una donna dichiara che gli sfruttatori hanno seriamente minacciato di fare del male alla sua famiglia nel caso avesse cercato di denunciarli ed una ha subito minacce di morte dopo averlo fatto. Una sola ragazza è riuscita a rivolgersi ai Carabinieri appena arrivata in Italia e tutte hanno sporto denuncia contro gli sfruttatori: in due casi con l’aiuto di un cliente, in altri due grazie a retate della Polizia, in un caso approfittando dell’assenza dello sfruttatore. Sei hanno usufruito della protezione sociale garantita dall’Art.18. Nonostante la dolorosa esperienza vissuta soltanto una dichiara di volere tornare al più presto in Moldavia. 39 1.4.2. Le interviste alle ragazze ucraine Queste interviste sono state raccolte nelle città di Udine, Trieste e Torino. Una discreta parte delle ucraine che giunge nel nostro paese è consapevole di doversi prostituire. In alcuni casi sono le donne stesse a cercare un tramite per il viaggio, magari dopo aver conosciuto persone che, rientrate in patria, hanno raccontato loro delle possibilità di facili guadagni in Italia. Ciò che in molti casi non si aspettano è di doversi prostituire in strada e sotto lo stretto controllo di organizzazioni criminali, il più delle volte violente, che lasciano loro ben poco del denaro guadagnato. Alcune delle ragazze sarebbero state disposte a lavorare nei night e nei club privee, a patto di poter tenere per sé almeno una buona parte del denaro ricavato dalla loro attività. Vorremmo inoltre precisare che generalmente le ucraine hanno un alto indice di scolarità. E’ da sottolineare anche come da queste storie non affiorino particolari testimonianze di violenze fisiche e sessuali, più diffuse nell’ambito della prostituzione “di strada”. Sono state raccolte le testimonianze di quattro donne ucraine di età compresa fra i 21 ed i 36 anni. Delle due donne “più anziane”, una è sposata con due figli, l’altra – come il resto delle ragazze – è nubile, ma ha un figlio. Non indicano il livello scolare. Una sola donna dichiara di aver conseguito in patria il diploma elementare e di essersi iscritta in Italia alla scuola media inferiore. In un caso il “tramite” per il viaggio è stato un uomo albanese, in due un’organizzazione che prometteva inserimenti lavorativi all’estero e nell’ultimo caso un’agenzia turistica. La metà delle ragazze è entrata con documenti regolari e con un visto turistico (in un caso con motivazione “Giubileo”), mentre una dichiara di aver attraversato l’Albania e di essere giunta sulle coste pugliesi in gommone. Per quanto riguarda le aspettative di lavoro emerge che due donne erano a conoscenza del doversi prostituire: una avrebbe voluto lavorare come entreneuse in un night o in un club privee, mentre l’atra era totalmente all’oscuro di ciò che l’aspettava. Una volta in Italia hanno svolto le loro attività nelle città di Torino, Milano, Alessandria, Venezia, Trieste ed Udine. Una sola si è prostituita esclusivamente in strada e dichiara di aver guadagnato una media di 300.000 lire a sera; il resto delle ragazze lavorava invece in appartamenti e night. Una di loro spiega di essersi trovata a lavorare a Venezia in una vera e propria casa per appuntamenti in cui le donne attendevano i clienti in una sorta di “hall” ed avevano i rapporti nelle rispettive stanze. Una sorta di “casa chiusa” antecedente la legge Merlin. Hanno lavorato per periodi piuttosto lunghi (da uno a due anni) in due casi, e per pochi mesi e per pochi giorni le restanti due. Nessuna di loro dichiara di avere subito violenze fisiche o sessuali. Tutte hanno denunciato i propri sfruttatori: in due casi con l’aiuto di clienti, in uno grazie ad una connazionale incontrata durante la fuga. Due di loro hanno ottenuto la protezione sociale (Art.18). Una ragazza si è sposata con un italiano ed ha ottenuto il permesso di soggiorno. Anche da queste interviste emerge la volontà delle donne di rimanere nel nostro paese, una sola dichiara di volersi ricongiungere alla propria famiglia, ma le condizioni economiche non glielo permettono. 40 1.4.3. Le interviste alle ragazze albanesi Queste interviste sono state svolte a Milano, Trieste, Torino e Udine. Dall’analisi dei racconti emerge con chiarezza la figura tipica nello sfruttamento della prostituzione albanese: il “fidanzato”. Questi uomini illudono le ragazze con promesse di matrimonio e di opportunità di lavoro e riescono nella maggior parte dei casi ad ottenere l’approvazione dei loro familiari. La storia di una delle ragazze (Lindita) merita un’attenzione particolare in quanto fa emergere un chiaro quadro dei comportamenti degli sfruttatori albanesi, caratterizzati da una totale mancanza di rispetto nei confronti delle donne, considerate come proprietà e mezzo per realizzare facili guadagni. In questa storia Lindita parla di un aborto provocato alla sorella a “calci sulla pancia”, di continue percosse e delle numerose vendite alle quali sono state sottoposte. Di norma gli uomini albanesi pretendono di avere rapporti non protetti con le proprie donne. Per questo motivo i casi di gravidanza non sono rari. Se le donne sono fortunate l’aborto viene praticato da qualche medico (profumatamente pagato), altrimenti vengono picchiate fino a perdere il bambino. Si può dire che queste organizzazioni criminali sono fra le più spietate. Le ragazze albanesi, spesso poco più che bambine, sono sottoposte a violenze fisiche e psicologiche tali da inibire ogni tentativo di ribellione, per questo molte di loro rimangono per periodi molto lunghi nelle mani dei propri sfruttatori. Le ragazze albanesi intervistate sono quattro, di età compresa fra i 18 e i 26 anni: tre sono nubili e una separata con un figlio. Tra le due ragazze che hanno parlato dei propri studi una risulta essere in possesso del diploma superiore e l’altra sta frequentando l’ultimo anno per conseguire la maturità in Italia. Il tramite per il viaggio è stato in tre casi il fidanzato e nel quarto un conoscente. Nessuna di loro ha scelto volontariamente di prostituirsi, una è venuta in Italia per ricongiungersi alla sorella e un’altra pensando di lavorare nel ristorante del proprio “fidanzato”. Hanno raggiunto le coste pugliesi con un gommone e da lì si sono spostate al nord, più precisamente nelle città di Milano, Mondovì, Reggio Emilia, Padova e Udine, dove in tre sono state costrette a prostituirsi in casa ed una in appartamento. L’unica che ha parlato dei prezzi delle prestazioni è quest’ultima, che domandava 100.000 lire a rapporto. In tre casi le ragazze si sono dovute prostituire per periodi molto lunghi (due/tre anni) mentre una è riuscita a liberarsi dopo pochi mesi. Due donne hanno subito violenze sia fisiche che sessuali, una fisiche ed una sessuali; tutte sono state costantemente minacciate e terrorizzate dai propri sfruttatori. Solo due hanno sporto denuncia: una con l’aiuto di un cliente e l’altra di un’associazione. Tra le ragazze che hanno scelto di non denunciare, una è riuscita a liberarsi dei propri sfruttatori grazie ad un cliente che in seguito è diventato suo marito. Soltanto una di loro sta seguendo il percorso dell’Art.18, nessuna ha intenzione di ritornare al proprio paese e due si sono sposate con uomini italiani. 1.4.4. Le interviste alle ragazze romene Queste interviste sono state svolte nelle città di Trieste e Torino. 41 L’immigrazione illegale dei cittadini romeni è gestita da criminali locali e da organizzazioni piuttosto semplificate. Le donne che non vengono in seguito vendute ad altri gruppi criminali esercitano la prostituzione in luoghi chiusi, essendoci per strada un chiaro monopolio albanese o nigeriano. Le ragazze, il più delle volte, finiscono nelle mani di sfruttatori albanesi che riservano loro lo stesso trattamento violento che riservano alle loro connazionali. Da queste testimonianze emergono ben due casi di sequestro di persona.. Una di loro, giovanissima, è stata rapita per strada e costretta a prostituirsi, in un primo momento in patria, rinchiusa per due mesi in un appartamento, ed in seguito in Italia. Daniela invece, studentessa universitaria, è partita per una vacanza con il suo fidanzato che, una volta attraversato il confine, l’ha venduta a dei criminali che l’hanno condotta nel nostro Paese. Le quattro romene intervistate sono molto giovani, di età compresa tra i 17 ed i 22 anni, tutte nubili. In patria una di loro svolgeva l’attività di barista, una era studentessa universitaria e una si prostituiva, obbligata dal medesimo uomo che l’ha rapita e portata in Italia. Altre due ragazze sono state convinte a trasferirsi da persone che hanno promesso loro un lavoro come cameriera o assistente agli anziani nel nostro Paese, mentre una è stata rapita e venduta dal proprio fidanzato. Nessuna dichiara di essere venuta in Italia con l’intento di prostituirsi. Una ragazza, per giungere in Italia, ha attraversato il confine con la Slovenia, mentre due hanno attraversato la Serbia e l’Albania e sono sbarcate sulle coste pugliesi con il gommone. Le città in cui si sono trasferite sono Bologna, Milano, Genova e Torino, dove due ragazze si sono prostituite in appartamento, una in strada ed una in un night club. Solo una delle ragazze si è prostituita per circa un anno, mentre le altre, dopo pochi mesi, hanno smesso. Due dichiarano di aver subito violenze sia fisiche che sessuali. Le ragazze che hanno sporto denuncia sono due: una in seguito ad una retata della Polizia e l’altra grazie all’appoggio di un cliente e, in seguito, di un’associazione. La ragazza che ha deciso di non sporgere denuncia dichiara di essere stata lasciata libera dietro la restituzione di una somma di denaro. Soltanto una ragazza ha seguito il percorso dell’Art.18 e due sono in attesa di rimpatrio, dichiarando di essere felici di tornare casa. 1.4.5. Analisi complessiva dei dati Le venti ragazze che hanno rilasciato la loro testimonianza provengono tutte dai paesi dell’Est Europa. Sette di loro sono moldave, quattro ucraine, quattro albanesi, quattro romene ed una serba. La loro età è compresa tra i 17 e i 36 anni, ma il gruppo più consistente è quello tra i 17 ed i 24 anni. Tre di loro dichiarano di avere un solo figlio, una ne ha due ed una tre. Due risultano sposate con connazionali mentre due sono separate; le rimanenti sono nubili. Tre si sono sposate con italiani dopo essere uscite dal giro della prostituzione. Un dato sicuramente significativo è che ben diciassette ragazze hanno sporto denuncia contro i loro sfruttatori, la maggior parte grazie all’aiuto dei clienti o all’intervento delle Forze dell’Ordine che le hanno poi indirizzate verso i progetti di assistenza. La metà del campione sta dunque seguendo il percorso dell’Art.18. Non tutte le ragazze hanno fornito informazioni dettagliate sulla propria storia. Vista la delicatezza dell’argomento trattato si è preferito evitare domande troppo specifiche nei casi in cui le ragazze si sono dimostrate meno collaborative. 42 Nella tabella n. 5 sono riportati i dati significativi emersi dall’analisi complessiva e già presentati in modo più approfondito nei paragrafi dedicati alla nazionalità. Tabella n.5 Nazionalità Stato civile Tramite per il viaggio Volontaria Violenze subite Luogo di lavoro Periodo di prostituzione Via d’uscita Sposata a italiani Entrata in art.18 In attesa di rimpatrio Vuole tornare a casa Località dell’intervista Ha sporto denuncia moldava 7 Nubile 16 Conoscente ucraina 4 Sposata 2 Fidanzato 9 Si 4 Fisiche 3 Appartamento 6 Mesi 6 4 No 16 Sessuali 2 Strada 6 Anni 9 Forze dell’Ordine 6 Si 3 Si 10 Si 3 Si 4 Milano 2 Si 17 Clienti/ Conoscenti 3 No 17 No 10 No 17 No 16 Torino 4 No 3 43 albanese romena serba 4 4 1 Separata 2 Agenzia/ Or- Annuncio n.p. ganizzazione di lavoro 4 2 1 Entrambe 8 Entrambe 5 n.p. 5 Nessuna 7 n.p. 3 Progetto n.p. 3 2 Trieste 12 Udine 2 Capitolo secondo Le storie - Parlano le ragazze dell’Est di Esma Beslagić, Katia Feruglio, Roberta Grimaz50 Le interviste sono precedute da alcuni elementi anagrafici forniti dalla persona che ha risposto alle domande. I dati riportati sono il nome (sostituito per motivi di sicurezza), l’età, il paese d’origine e la località di nascita. Le interviste raccolte sono state trascritte in forma fedele all’originale. Sono state apportate alcune correzioni grammaticali e sintattiche per facilitarne la lettura. Quando si è agito diversamente è riportata in nota la metodologia utilizzata. Elka, 22 anni, Moldavia, Bender Sono arrivata in Italia nell’agosto del 1999. Sono partita dalla Moldavia all’età di vent’anni per lavorare come raccoglitrice di frutta in Spagna. Nel mio paese giravano voci a proposito delle ricche prospettive di guadagno che in poco tempo mi avrebbero permesso di risollevare la situazione economica piuttosto precaria della mia famiglia. Ho poi scoperto che quello che mi aspettava era tutt’altro. Mi sono sposata a 16 anni perché sono rimasta incinta e mi sono trasferita a casa di mia suocera, che mi ha sempre trattato molto male facendomi sentire un peso. Avrei voluto proseguire gli studi perché sono sempre stata molto brava a scuola nonostante dovessi lavorare duramente nei campi con i miei genitori. Quando è finito il mio matrimonio sono tornata a casa dei miei genitori con mio figlio. Dopo meno di un anno sono partita dunque per la Spagna. Ho iniziato il viaggio con sette persone ed in Romania siamo stati venduti a 200 dollari l’uno. Di lì siamo stati portai nella ex-Yugoslavia e quattro di noi sono stati rivenduti e portati in Albania. Sono rimasta in Albania per tre mesi ed è stato un periodo terribile… ricordo la sporcizia, le violenze e le minacce continue degli uomini che vivevano con noi. Ci dissero che se avessimo cercato di scappare ci avrebbero tagliato la faccia e buttate in mare, così nessuno ci avrebbe riconosciuto. Durante questo periodo mi sono ammalata gravemente, forse a causa di una puntura d’insetto. Quando mi sono ripresa ho dovuto affrontare il viaggio verso l’Italia in gommone. In Albania ero stata comprata da un’albanese di nome R. che si è occupato della mia sistemazione in Italia. Mi portò a vivere a casa sua ad Oderzo. R. mi ha portato insieme ad un suo amico a Jesolo, dove ho iniziato a prostituirmi. Durante l’inverno invece mi prostituivo a Conegliano ed a Mestre, dove dormivo in albergo. Questo mi consentiva di vedere R. solamente in strada quando passava a prendere i soldi. Ho informato R. che lì non c’era molto lavoro e lui mi ha riportata a lavorare a Jesolo a Febbraio. Questo è stato probabilmente il periodo peggiore: i clienti erano in buona parte tunisini e marocchini (alcuni di loro particolarmente violenti) e le strade in cui ero costretta a trascorrere la notte erano molto poco frequentate. Per difendermi andavo al lavoro con 50 Roberta Grimaz ha raccolto le storie riportate in questo testo durante l’attività di tirocinio svolta presso il progetto “Stella Polare” di Trieste. Inoltre, grazie all’interessamento della responsabile del progetto, Carla Corso, si è potuta avvalere della collaborazione di operatrici e mediatrici culturali del progetto “Antares” di Torino per intervistare altre ragazze lì residenti. Le interviste trascritte da Katia Feruglio sono state ottenute grazie alla disponibilità di avvocati e funzionari di Pubblica Sicurezza delle Questure di Udine, Cividale, Trieste e Milano. L’ultima intervista è stata raccolta da Esma Beslagić. 44 un coltello. Guadagnavo 50.000 lire per un rapporto di dieci/quindici minuti, se invece mi prostituivo in casa potevo ricavare anche 300.000 lire. In questo periodo ho conosciuto un ragazzo che si è innamorato di me e mi ha aiutato a liberarmi di R. portandomi a vivere a casa sua. In realtà non è stato così facile liberarmi del mio protettore, infatti una notte ha fatto un’irruzione in casa nostra armato, ma alla fine tutto si è risolto dopo una violenta “discussione”. L’uomo con cui vivevo, però, era sposato e sapevo che la mia era una sistemazione precaria; così, attraverso un contatto con un parroco dei dintorni, ho incontrato un maresciallo dei carabinieri. Parlando con lui mi sono resa conto di avere poche speranze di ottenere l’Art.18, perché la mia storia era troppo vecchia e non avevo informazioni particolarmente dettagliate da fornire alle forze dell’ordine. Così mi sono rivolta a un progetto in cui le operatrici mi hanno aiutata molto: ho avuto la possibilità di trovare un lavoro come cameriera e di vivere in un appartamento assieme ad altre ragazze che, come me, hanno denunciato i loro sfruttatori e sono in protezione sociale. Secel, 22 anni, Moldavia Sono arrivata in Italia alla fine di agosto del 1999, sapendo già di dovermi prostituire. Sono arrivata assieme ad una mia conoscente (S.) che era già stata a Bologna a prostituirsi per cinque mesi. Siamo state ingaggiate da un uomo della ex-Jugoslavia per venire in Italia, ma a lui non abbiamo dato soldi, neppure per il viaggio. Ci hanno lasciate al confine con l’Italia in un bosco sloveno ed abbiamo dovuto attraversare il confine a piedi. Nel territorio italiano ci hanno viste due uomini italiani e ci hanno denunciate ai carabinieri perché, vedendo i nostri vestiti e le scarpe sporche, ci hanno credute clandestine; così siamo state rimandate in Slovenia. Dopo esserci ritrovate nuovamente nei boschi sloveni abbiamo telefonato ad una conoscente della ragazza che era con me – anche lei moldava – che era a Bologna e che aveva fatto per diverso tempo la prostituta (L.), chiedendole aiuto. Questa donna ci ha raggiunte con la macchina fino al bosco dove eravamo nascoste e insieme siamo andate a Bologna dove per qualche giorno ci siamo prostituite. A Bologna però la strada era già piena di ragazze e non c’era molto lavoro, per cui ci siamo trasferite a Trieste. Giunte a Trieste abbiamo iniziato a prostituirci davanti ad un negozio, dove ogni sera la L. veniva a raccogliere i soldi. L. prima di iniziare a lavorare ci ha detto che avremmo dovuto darle i soldi necessari al nostro mantenimento per tre mesi e la somma era di 850.000 lire al giorno. Dopo qualche giorno però siamo state fermate dai carabinieri e ci hanno dato un’espulsione. Quando L. l’ha saputo ha preso i nostri passaporti. Così ci siamo ritrovate al lavoro in qualsiasi condizione, anche da malate. Dopo un mese di lavoro mi si e’ rotto un preservativo durante un rapporto e sono rimasta in cinta. L. non si e’ preoccupata di nulla: ne’ di farmi visitare, ne’ di farmi abortire. E’ stato un mio amico che mi ha aiutata sia a trovare l’ospedale che a farmi abortire pagando tutto il necessario (quasi 1.500.000). Dopo l’aborto avevo molte emorragie, ma L. mi ha comunque costretta a lavorare facendomi mettere dei tamponi di cotone. Dopo un mese di questa situazione S. ha abbandonato L. allontanandosi con un suo amico, mentre io ho continuato a lavorare per lei. Trovandomi da sola ero costretta a lavorare in appartamento dalle 10.00 fino alle 22.00 e dalle 23.00 fino alle 05.00 in strada. Pian piano essendo stanca e stufa ho detto a L. che non volevo più lavorare e di darmi i 45 miei soldi, ma L. mi ha detto che prima dei tre mesi che avevo pattuito avrei potuto andarmene ma non avrei preso un soldo. Dopo un po’ di tempo L. ha affittato un appartamento in centro a Trieste dove mi potevo prostituire e dove ogni tanto veniva anche lei con i suoi clienti. Mentre lei si prostituiva io facevo da baby-sitter a suo figlio. Poi L. ha portato a Trieste altre due ragazze moldave a prostituirsi per lei. Le ragazze uscivano a lavorare con me e abitavamo insieme. Dopo poche settimane sono arrivati i carabinieri nel nostro appartamento e ci hanno portate in caserma, hanno interrogato le due ragazze moldave e hanno messo in carcere me e L.. Mentre eravamo in cella insieme L. mi ha convinta a non raccontare dei rapporti fra lei e le ragazze dicendomi che così non ci sarebbero stati problemi e lei avrebbe potuto continuare a lavorare una volta uscita di prigione. Vi è stato un processo in cui Secel ha testimoniato contro L. e suo marito, ma fin dall’inizio si è capito che Secel avrebbe difficilmente ottenuto l’articolo 18 in quanto il P.M. che avrebbe dovuto rilasciarle il nulla osta per il medesimo articolo, era la stessa persona che l’ha condannata per sfruttamento della prostituzione. Pochi giorni dopo Secel è rimasta incinta e ha deciso di tenere il bambino, sperando così di ottenere il permesso di soggiorno. Lia, 17 anni, Moldavia Sono partita dalla Moldavia il 6 dicembre dopo aver risposto ad un annuncio di giornale: la richiesta era di giovani donne per venire a fare assistenza agli anziani in Italia. Io sono sposata e ho un bambino di un anno. Avevo molto bisogno di soldi e ho deciso di partire, però non avevo il passaporto. Questa specie di agenzia mi ha detto che la carta di identità ed un certificato di residenza sarebbero stati sufficienti e avrebbero pensato a tutto loro. Così un paio di giorni dopo ho iniziato il mio viaggio alla volta dell’Italia, naturalmente con me c’erano altre ragazze che avevano risposto allo stesso annuncio. Dalla Moldavia siamo state portate in Romania regolarmente, visto che la carta d’identità è sufficiente per entrare, poi – clandestinamente – siamo state condotte in Jugoslavia, da lì in Macedonia e poi in Albania.Durante tutto il viaggio siamo state sempre controllate dagli uomini che ci accompagnavano e quando passavamo da una paese all’altro venivamo vendute. Ogni tanto degli uomini venivano a vederci e ci sceglievano, oppure le più brutte le lasciavano. Quando qualcuna di noi domandava il perché di tutti questi visitatori e perché venivamo continuamente “vendute” per passare da un paese all’altro ci veniva risposto che arrivare in Italia clandestinamente non è molto facile, quindi dovevamo fare in quel modo. Ricordo che per attraversare il confine tra la Macedonia e l’Albania abbiamo camminato a lungo fra le montagne e con noi c’erano anche due bambini (uno di due e uno di quattro anni) che poi sono stati portati in Grecia, probabilmente per essere venduti. Durante il viaggio sono stata costretta ad avere rapporti sessuali con uno degli uomini che mi aveva comprata, è successo in Serbia, l’uomo poteva avere più di 45 anni, ha usato il preservativo durante il rapporto, però mi ha presa con brutalità, mi ha picchiata e mi ha lasciato dei lividi su tutto il corpo. Il viaggio è durato così tanto perché in tutti i paesi ci fermavamo in delle case in attesa che tutto fosse organizzato per continuare. In Macedonia sono stata venduta a N. e H. che mi hanno condotta fino in Italia nascosta a bordo di un camion greco imbarcato su un traghetto della “Anek Line”. Il viaggio dall’Albania all’Italia lo facevamo una alla volta e io sono stata la prima a partire 46 accompagnata da tale N., un giovane che parlava italiano e greco. Il camionista è stato profumatamente pagato per nasconderci a bordo del camion e quando siamo arrivati a Trieste N. mi ha detto che lui e H. avevano pagato per me 5.000 Marchi, quindi adesso mi sarei dovuta prostituire per loro per saldare il mio debito. Il traghetto ha attraccato al molo bersaglieri, e dopo aver superato il controllo della guardia di finanza il camionista ci ha condotti nei paraggi del “Piccolo” (la sede del quotidiano locale) dove ci ha fatti scendere. Io piangevo e N. mi teneva sempre stretta per un braccio per paura che scappassi e nel frattempo si avvicinava a delle cabine telefoniche per chiamare dei numeri di telefono che prima di partire H. mi aveva consegnato dicendomi che quelle persone mi avrebbero aiutata una volta in Italia. Ad un certo punto è passata una macchina dei vigili urbani, quindi N. si è allontanato un attimo dicendo che andava a telefonare e mi ha ordinato di restare alla fermata dell’autobus. Sono rimasta ferma per circa 20 minuti e, non vedendolo tornare, sono andata verso la cabina qualche metro più in là, ma era sparito. Ho vagato un po’ per quella zona alla ricerca di aiuto finché ho fermato un signore e ho chiesto della polizia. Quest’uomo mi ha fatta salire in macchina e mi ha accompagnato dai carabinieri. I carabinieri mi hanno messa in contatto con un progetto d’intervento sociale. Lì mi hanno aiutata a riprendere i contatti con mio marito a cui abbiamo spiegato cos’era successo e lui mi ha detto di ritornare a casa. Vetla, 34 anni, Moldavia La mia situazione in Moldavia era economicamente disastrosa. Ho lavorato per dodici anni in una fabbrica di scarpe come operaia, ma lo stipendio non mi permetteva di mantenere tutta la mia famiglia. Ho tre figli che ora sono con me a Trieste, ma che al tempo lasciai con mia cugina e la nonna. Accettai di venire in Italia – con la promessa di lavorare come pulitrice – convinta da un ragazzo moldavo che aveva una sorella (Caterina) a Bologna disposta ad aiutarmi. Il ragazzo si occupò del viaggio ed io non dovetti pagare niente. Partimmo in cinque, tutte giovanissime, fra i diciotto e i vent’anni. Soltanto io ne avevo trentadue. Quest’uomo ci accompagnò in treno fino a Budapest e per un mese restammo in Ungheria senza fare nulla. E’ stato in quel periodo che ho avuto i primi dubbi rispetto al lavoro che sarei andata a fare, ma venivo costantemente tranquillizzata dal nostro accompagnatore. Dopo un mese un uomo sloveno ci portò in una cantina dove restammo per altri quattro o cinque giorni finché ci portarono al confine con l’Italia. Due ragazze vennero trattenute come garanzia finché il marito di Caterina non arrivò a pagare l’uomo. Entrammo a Trieste attraversando il confine a piedi e con lui andammo a Bologna. A casa di Caterina scoprimmo che il nostro lavoro sarebbe stato in strada come prostitute. Io mi rifiutai immediatamente di fare quella vita, ma successivamente un uomo albanese di nome G. portò me e una delle altre ragazze a casa sua dove la moglie F. cercò di convincerci a prostituirci facendo leva sul fattore economico prospettando grandi guadagni. Io non mi lasciai convincere e a questo punto Caterina e il marito tornarono a prendermi e cominciarono ad essere meno teneri, mi dissero che avevano speso dei soldi per me e in qualche modo avrei dovuto restituirglieli. Iniziai ad avere paura, ma decisi di non cedere, mentre le altre ragazze che erano con me iniziarono a lavorare in strada. A questo punto Caterina mi propose di sposare un uomo italiano dicendomi che avrei dovuto darle 5.000 dollari USA a matrimonio avvenuto. Io accettai. Trascorsi quattro 47 giorni a casa di A. (il mio futuro marito), era un uomo gentile ma nonostante questo io ero sconvolta, stavo male e piangevo continuamente. L’uomo non sapendo che cosa fare chiamò Caterina e le disse che mi avrebbe lasciata andare. Tornai a casa di Caterina e incontrai una delle ragazze che si prostituiva per Caterina, la quale mi spaventò molto dicendomi che non aveva potuto rifiutarsi di fare quella vita perché veniva continuamente picchiata. Mi raccontò di essere stata venduta per 4.000 dollari USA a un uomo che la violentasse perché era ancora vergine. Mi feci forza e dissi a Caterina che io me ne volevo andare. La donna si arrabbiò moltissimo e mi aggredì picchiandomi, tuttavia mi fece comunque partire dandomi un biglietto del treno per Bucarest. Quando arrivai alla frontiera però mi rimandarono indietro perché non avevo il passaporto con il visto. In stazione mi misi a piangere e raccontai la mia storia ad un uomo che lavorava lì, che mi consigliò di raccontare tutto alla polizia e mi accompagnò alla stazione di Opicina. Lì mi sentii male e venni portata all’Ospedale Maggiore e in seguito andai a sporgere denuncia e la questura si occupò di fornirmi un alloggio temporaneo in un albergo. Ho fatto il percorso dell’Art.18 e attualmente sono riuscita a portare a Trieste anche i miei tre figli. Ora viviamo tutti ospiti da un uomo italiano di 56 anni da cui cominciai a lavorare come colf e con cui in seguito ho instaurato una relazione. Non sono innamorata di quest’uomo e vorrei andarmene perché beve molto e oltretutto ho notato delle strane attenzioni nei confronti di mia figlia. Ho trovato lavoro in una cooperativa e spero di poter trovare un alloggio indipendente. Adriana, 19 anni, Moldavia, Camenca Cuhurestii Ero nella città di Chisinau, nella Moldavia Russa, e lavoravo in un bar. Mentre lavoravo in quel posto sono stata contattata da un certo Costel che mi ha detto di essere in grado di trovarmi un lavoro onesto in Italia dove avrei potuto guadagnare molto di più continuando a fare la cameriera in un bar o in un ristorante. Io avevo già il passaporto perché avevo lavorato in Turchia dove c’è mio padre, per cui mi è sembrata una buona idea ed ho accettato subito. Sono partita dopo circa una settimana con Costel che mi ha accompagnata in auto a Timisoara dove siamo rimasti per un paio di giorni in un albergo. Successivamente Costel se n’è andato ed io sono stata trasferita in un ostello. Quando ho incominciato a chiedergli che cosa facessimo in quella città lui si arrabbiava molto e io ho intuito che c’era qualcosa di strano. Dopo circa dieci giorni, a notte fonda, io, Costel ed altri due uomini jugoslavi abbiamo attraversato il Danubio con un motoscafo entrando nel territorio jugoslavo. Lì ci attendeva un uomo che ci ha accompagnati in auto a casa sua vicino a Belgrado. Siamo rimasti in quella casa per due giorni, dopodiché abbiamo raggiunto Podgorica in treno. In questa città Costel mi ha consegnato a un tale che da quel momento si è occupato di me, mi tranquillizzava spesso dicendomi che lui portava in Italia ragazze solo per fare lavori onesti e non per fare le prostitute, ma dopo una settimana circa sono stata nuovamente venduta ad un albanese che mi ha fatto passare la frontiera attraverso delle strade secondarie e che continuava a ripetermi che dovevo lavorare bene, così avremmo potuto fare a metà. Gli ho chiesto più volte di poter telefonare, ma non me l’ha mai permesso dicendomi che io non avevo più una casa. Dopo un po’ di giorni è arrivato un altro albanese che mi ha osservata per bene, mi ha fatta alzare per guardare meglio il mio fisico e mi ha chiesto se avevo dei numeri di telefono italiani. Io gli ho risposto che, non essendo mai stata in Italia, non conoscevo nes- 48 suno, così se n’è andato dicendomi che ci saremmo rivisti molto presto. Infatti, dopo poco tempo mi ha portato a casa sua, dove sono rimasta per cinque giorni. Lì c’era anche suo fratello Adi e mi veniva continuamente chiesto se mi piaceva e se ne ero innamorata, ma io rispondevo di non essere innamorata proprio di nessuno. Gli albanesi hanno contattato uno scafista e una notte siamo partiti con un motoscafo e abbiamo raggiunto la costa di Bari. Sono stata portata a Genova in treno e lì ho alloggiato in un albergo assieme ad un’altra ragazza di nazionalità russa. Adi era il mio sfruttatore. Mi ha ordinato di vestirmi e di andare con lui perché doveva farmi vedere dove avrei lavorato. Mi ha rimproverata perché non sapevo cosa dovevo fare e mi ha detto che avrei dovuto chiedere ai clienti 50.000 lire ma sarei dovuta rimanere al massimo per quindici minuti in auto. La prima sera ho incontrato solo un cliente jugoslavo che mi ha offerto da bere e mi ha regalato 30.000 lire senza pretendere prestazioni sessuali, ma quest’uomo non mi permetteva più di ritornare nel posto dove ero stata portata da Adi e solo dopo due ore sono riuscita a convincerlo a riaccompagnarmi. Mentre ero ancora in auto con lo slavo si sono avvicinati Adi ed il suo socio e mi hanno fatto scendere dall’auto. Adi è salito sull’auto e se n’è andato con lo slavo. In seguito Adi mi ha sgridata e picchiata dicendomi che se avessi continuato a piangere e a rifiutarmi di prostituirmi non gli avrei fatto guadagnare niente e mi avrebbe passata ad un altro albanese. Io gli rispondevo che non potevo essere “super” la prima sera, che avrei avuto bisogno di tempo. Ma poco dopo mi obbligò ad avere un rapporto sessuale con lui, ho dovuto subire questo trattamento anche tutte le sere successive quando tornavo in albergo. Non sono mai riuscita a ribellarmi per paura perché il gruppo di albanesi che avevo intorno era molto numeroso. Adi mi ha sempre detto che se li avessi denunciati avrebbe mandato un suo amico – che è spesso in Moldavia – a fare del male alla mia famiglia. Sono stata liberata grazie a una retata della polizia di Genova che da tempo teneva sotto controllo i movimenti della banda albanese. In seguito a questa operazione ho denunciato i miei sfruttatori e mi sono trasferita a Milano dove vivo con un ragazzo di cui sono molto innamorata. Sto seguendo il percorso dell’Art.18 per cercare di ottenere il permesso di soggiorno. Se riuscissi ad ottenerlo vorrei iscrivermi all’università per continuare gli studi in chimica che avevo iniziato nel mio paese. Olga, 23 anni, Moldavia, Hincesti La storia di Olga viene riportata in terza persona in quanto è stata raccolta in più incontri e con l’ausilio di una mediatrice culturale che si è occupata della traduzione. Olga ha 23 anni ed è di Hincesti, Moldavia. E’ giunta in Italia il 27 novembre 1999 con il “Gommone” dall’Albania. Il suo viaggio incomincia dopo aver letto un annuncio su un quotidiano del suo paese (“Macler”); nell’annuncio si proponeva, in Italia, un buon lavoro ed ottimi guadagni (800 dollari USA), come domestica, babysitter, forse segretaria… Olga risponde all’annuncio e viene in contatto con due donne entrambe moldave, ma che parlano russo (la prima ha circa 40 anni e la seconda 30 e si chiama Alessia. Prima parla ed incontra la più vecchia e poi incontra la seconda. Le dicono che l’accompagneranno fino a Montenegro perché è lì che vanno gli “Italiani” ad assumere le ragazze. Le procurano un passaporto vero con i suoi dati anagrafici, ed in macchina inizia un viaggio verso la Romania in compagnia di altre due ragazze. Con loro viaggiava una delle due donne moldave (la più giovane), ed un uomo che fungeva da autista. A Timisoara cambiano macchina 49 ed è per strada che avviene lo scambio: la donna e l’autista scompaiono quasi immediatamente lasciandole in balia di un uomo rumeno a bordo di una grossa auto blu. L’uomo le porta a Moldovanova, ai confini con la Jugoslavia, rispondendo a tutte le loro domande con un laconico “State tranquille…”. Alla sera tutte e tre vengono portata in una casa dove, dopo qualche ora, vengono raggiunte da due ragazzi che parlano sia slavo che rumeno, ma che Olga ritiene Rumeni. Questi due le trasportano in un altro posto dove ci sono altre donne – in prevalenza russe – dove pernottano. Al mattino, verso le nove, con una barca attraversano il fiume Dunari, che segna il confine tra Romania e Jugoslavia. La traversata dura circa trenta minuti e sull’altra sponda li attende un’altra autovettura che li conduce in un’altra casa dove passano un’altra notte. Il giorno dopo vengono portate in un bar ed affidate ad un uomo sulla cinquantina che le porta in una famiglia e poi in un’altra casa ancora dove passano la notte per poi essere accompagnate a Belgrado. Lì, poco fuori città hanno aspettato per circa tre quarti d’ora che un uomo le venisse a prendere e le portasse in quello che sembrava un “centro di raccolta donne” dove incontra altre donne (circa 30) di varie nazionalità, tutte bianche: un uomo slavo le aveva comprate tutte e le rivendeva ad altri. Era in quel centro che avveniva la vendita. “Io ho aspettato un mese prima di essere comprata” - dice Olga – “ci venivano fornite indicazioni precise su come comportarci, vestirci, ed acconciarsi per renderci piacenti ai compratori”. Verso settembre arriva anche il momento per Olga: lei ed altre due ragazze moldave vengono comprate da due uomini slavi che le portano a Montenegro. Il viaggio viene organizzato in aereo usando biglietti di viaggio falsi con nomi falsi… “tutte e tre siamo state obbligate al silenzio e siamo state condotte in una casa dove c’era già una ragazza comprata a Belgrado”. Sono state in quella casa per tre giorni, durante i quali hanno assistito alla vendita di una ragazza che probabilmente non aveva nemmeno 18 anni. La ragazza sembrava avere un problema fisico ad una gamba, ed è stata comprata per 2300 marchi tedeschi, altre per 2200 marchi. Tra gli uomini che erano andati là per comprare, uno parlava albanese: è quello che compra Olga. Alla sera chiede ad Olga di vestirsi in modo seducente e la porta in un ristorante, un uomo, amico di quello che l’ha comprata, la porta a casa sua e mentre erano soli l’aggredisce e la violenta. Olga cerca aiuto, ma nessuno si preoccupa per lei. Viene portata in una casa isolata dove ritrova il cameriere del ristorante, lui fa da guardia alla donna e nel frattempo gli altri uomini si allontanano per organizzare il viaggio verso l’Albania. Il cameriere approfitta di Olga, che anche questa volta subisce violenza ed è costretta a rapporti non protetti. Il “proprietario” di Olga, con la complicità di un amico poliziotto, riesce ad oltrepassare il confine tenendo sempre con sé i documenti della ragazza. Arrivano a Sterbets in Albania in una località di montagna e lì si fermano poco meno di tre mesi. La ragazza dorme all’aperto in un campo perché in casa potrebbe dare nell’occhio ai poliziotti e le viene fornito il cibo da un bar nelle vicinanze. Poi vanno a Leja dove si fermano in una discoteca per tre giorni. Qui l’uomo ha contatti con dei poliziotti che paga per andare a Valona, ma a causa del brutto tempo non è stato possibile affrontare il viaggio. A Sterbets l’uomo teneva della altre ragazze: una di queste viene venduta mentre le altre proseguono il viaggio fino a Valona, dove vengono a loro volta vendute. Dopo qualche giorno di attesa arriva il momento della partenza con il gommone e durante la notte arrivano a Bari dove ci sono diverse macchine che aspettano di caricare i clandestini. In una di queste salgono quattro ragazze e il compratore. In seguito prendono un treno per Milano dove trovano un altro uomo ad aspettarle alla stazione. Da lì so- 50 no portate a Piacenza ed in seguito a Torino. A Torino restano Olga ed un’altra ragazza e vanno tutti insieme a casa di un italiano. Quest’uomo le fa immediatamente una pessima impressione: assiste con frequenza a liti e discussioni riguardanti la loro futura sistemazione. Trascorrono i primi tempi in un albergo assieme a una donna ucraina che si occupa di introdurle al lavoro comprando loro i vestiti e insegnando loro come comportarsi e che cosa chiedere ai clienti. Le condizioni economiche consistono nella restituzione di sei milioni più la metà di quello che guadagna e viene continuamente controllata dal suo sfruttatore che conta quanti preservativi usa, chi sono e quanti sono i clienti con cui va, e ogni dieci minuti la chiama al cellulare per controllare la situazione. Da quest’uomo subisce continui maltrattamenti, viene picchiata e torturata con delle docce ghiacciate. Una volta viene picchiata in modo talmente violento da procurarle una cicatrice all’occhio sinistro. In questo periodo Olga lavora dalle 21.00 alle 3.00 il lunedì, martedì e mercoledì, e dalle 21.00 alle 5.00 o 6.00 del mattino il giovedì, venerdì e sabato. Non può parlare con nessuno ed è costretta ad avere rapporti sessuali con il suo sfruttatore. E’ continuamente minacciata: l’uomo le dice che se tenterà di scappare lui si vendicherà sui suoi familiari in Moldavia. Ad agosto il suo sfruttatore va in Albania con tutti i soldi e lascia Olga nelle mani di un suo amico. Quando ritorna – il mese successivo – ha con sé un’altra ragazza Moldava, che però dopo pochi mesi scappa con un cliente. Questo fatto rende l’uomo ancora più violento e sospettoso: pretende di controllare continuamente la vita di Olga che dice di avergli dato in un anno e mezzo di lavoro una cifra enorme che si aggira sui duecento milioni. L’uomo era alcolizzato e spesso usa anche un coltello minacciandola alla gola. A Pasqua finalmente Olga trova il coraggio di scappare approfittando dell’assenza del suo sfruttatore che era andato a trovare la moglie. Anche dopo la denuncia la ragazza continua a ricevere minacce di morte. Luana, 24 anni, Moldavia Sono arrivata in Italia nel luglio del 1999 perché avevo assoluto bisogno di una occupazione regolare per poter aiutare la mia famiglia che viveva in condizioni economiche precarie. La mia famiglia è composta da sei persone: mio padre vive in Moldavia e fa il contadino assieme a mia sorella e ai miei due fratelli, mentre mia madre vive a Roma da alcuni anni dove lavora come baby-sitter presso una famiglia. Mi sono rivolta ad un’agenzia come molte mie connazionali pensando di trovare lavoro in qualche bar o ristorante in Italia per alcuni mesi, invece il mio viaggio verso l’Italia è stato guidato da un’organizzazione di persone di nazionalità slava e albanese che mi hanno trattenuto il passaporto e tutti i documenti di cui ero in possesso finché sono arrivata a Firenze dove mi hanno imposto di lavorare come prostituta. Ho lavorato per un periodo a Firenze, poi mi sono trasferita a Treviso grazie all’incontro con un uomo che da subito si è preso a cuore la mia situazione. Ero confusa ed impaurita e non avevo una dimora sicura. Quest’uomo, Raif, è un macedone che vive e lavora a Sacile come muratore. E’ sposato e padre di due figli, ma tutta la sua famiglia abita con la madre in Macedonia. Mi ha accolta in casa sua facendosi carico del pericolo che correvo sottraendomi ai miei sfruttatori che puntualmente, a seguito della denuncia, sono venuti a cercarmi riuscendo ad arrivare fino a lui. Raif è stato minacciato molte volte, ma non si è lasciato intimidire e non ha mai accettato di riconsegnarmi a loro. Mi ha aiutata molto più della polizia italiana che dopo aver accolto la mia denuncia e avermi promesso che si sarebbero presi cura di me non se ne sono più occupati. 51 Durante l’anno e mezzo in cui sono vissuta nell’abitazione di Raif ero in una condizione di forte stress psicologico connesso all’esperienza di sfruttamento, tanto che non ero in grado di uscire da sola se non nei negozi vicini e spesso entravo in stato confusionale e mi capitava di perdere conoscenza. Fra me e quest’uomo c’era un forte legame affettivo, ma col passare del tempo lui lamentava la difficoltà di continuare ad occuparsi di me. Raif, impaurito per l’inasprirsi del conflitto bellico in Macedonia, mi ha fatto capire che era arrivato il momento di lasciare la sua abitazione. La situazione si è protratta per un breve periodo di tempo, durante il quale Raif perdeva sempre più spesso il controllo e diventava violento. Una sera arrivò addirittura a violentarmi. Visto che la situazione era precipitata le operatrici del progetto a cui mi ero rivolta mi hanno trovato una sistemazione momentanea presso la Caritas. Nina, 29 anni, Ucraina La proposta di venire in Italia mi è stata fatta da un conoscente di nome V. che mi fu presentato all’interno del gruppo di amici che frequentavo abitualmente nel mio paese. V. organizzò il viaggio per me ed altre quattro ragazze aggregandoci ad una comitiva che veniva in visita in Italia con un viaggio organizzato da un’agenzia turistica e anticipando la somma di denaro necessaria per il biglietto del pullman. Avremmo dovuto restituire il denaro una volta iniziato a lavorare. Sono entrata in Italia nel luglio del 1998 con un visto per turismo. Dopo una tappa di due giorni a Rimini, come previsto dal programma dell’agenzia, partimmo alla volta di Alessandria. Qui V. ci mise in contatto con due impresari che ci collocarono in un night in provincia di Asti. All’interno del locale il mio lavoro consisteva nell’intrattenimento clienti. Non mi è mai stato chiesto di spingermi oltre. Ma il modo con cui mi guardavano certi uomini, i loro tentativi di prendere confidenza, il fatto di non comprendere la lingua italiana e quindi ciò che mi dicevano, mi procurava un enorme disagio. All’interno del night ho conosciuto S., un ragazzo macedone, che mi ha proposto di seguirlo in un paese dove lavorava come muratore, mentre io avrei potuto provvedere al mio mantenimento attraverso lavori nell’agricoltura. Accettai e fu S. a comunicare al padrone del locale la decisione di lasciare il lavoro, subendo la sua ira che gli procurò un ricovero in ospedale per un pugno in faccia. In questo paesino ho lavorato per un mese circa in campagna per la raccolta dell’uva. Qui vivevamo in un appartamento di proprietà della zia di S.. Quando S. litigò con sua zia mi disse che avremmo dovuto cercare un’altra casa. Una sera all’interno del bar del paese S. mi ha presentato tre uomini albanesi. Non avevo mai visto nessuno di questi uomini, ma in seguito ho saputo che uno di loro mi osservava da tempo (per esempio al mercato quando facevo la spesa etc.). Nel locale gli uomini parlavano tra loro in albanese impedendomi di capire ciò che dicevano. Non avevo idea delle intenzioni e dei progetti che questi uomini avevano fatto su di me. Quella stessa sera S. mi ha accompagnato a casa per fare i bagagli e mi ha costretta a partire con questi uomini albanesi per Torino. Io ero molto disorientata e in macchina gli uomini mi dicevano di non preoccuparmi e di stare tranquilla, speravo che S. avesse provveduto a trovarmi un’altra sistemazione presso degli amici… Quando siamo arrivati a Torino, sono stata condotta in un appartamento in cui abitavano già quattro uomini e quattro ragazze (tre albanesi ed una moldava). Fu quest’ultima a informarmi che avrei dovuto prostituirmi, come facevano loro, lasciandomi sconvolta. Ho cominciato a lavorare nei giorni immediatamente successivi. 52 All’interno del gruppo, Z., che risiedeva da più tempo in Italia, era il capo, colui che prendeva tutte le decisioni, gestiva e controllava il lavoro di noi donne sulla strada. Mi lamentavo spesso del lavoro con F. (un altro uomo che viveva con noi). Egli più volte ha litigato con Z. per convincerlo a non farmi più lavorare. Verso la metà di ottobre, una mattina presto, verso le 6, i carabinieri hanno fatto irruzione nell’appartamento; gli uomini sono riusciti a fuggire scappando dal balcone, ma noi donne siamo state prelevate e portate in caserma. Sono stata rilasciata intorno alle 22 e non sapendo a chi rivolgermi ho telefonato a F. affinché mi venisse a prendere. Sono stata accompagnata alla pensione in cui da quel momento ho alloggiato per un mese continuando a lavorare per Z.. Mentre ero lì un uomo albanese si è presentato (con gli indumenti macchiati di sangue) per riferire a F. che i suoi due cugini Z. e N. erano stati accoltellati in un locale. Non capendo l’albanese non sono riuscita a seguire la conversazione fra i due uomini, per cui non ho realizzato ciò che era successo. Il giorno dopo, mentre mi trovavo nella sala TV della pensione, si è presentato un uomo albanese Sp., la cui fidanzata lavorava con me, a comunicarmi della morte di Z. e N.. Quest’uomo, saputo che F. era stato costretto ad assentarsi per fare ritorno in Albania e che ero rimasta sola, mi disse che avrei dovuto seguirlo. Sono partita per Milano con lui e la sua compagna. Qui abbiamo alloggiato in un albergo non lontano dalla stazione per sei giorni durante i quali ho dovuto riprendere a lavorare in una zona un po’ fuori Milano. Sono nuovamente stata venduta, questa volta al fratello di Sb., il quale mi ha costretta a partire per Sirmione. Anche qui abbiamo alloggiato in un albergo ed io sono stata obbligata a lavorare sulla strada, ogni giorno dalle 17.00 alle 6.00 del mattino, venendo picchiata dal mio sfruttatore ogni volta che tentavo di rifiutarmi. Durante questo periodo ho continuato a mantenere i contatti telefonici con F., che più volte mi ha esortato a smettere di lavorare e a raggiungerlo nel paese dove vivevo in precedenza con S.. Mi decisi e scappai per andare da lui, ma poco dopo Sb. e la sua donna si sono presentati a casa di F. per “riprendermi” indietro. F. si rifiutò e furono costretti a rinunciare alla loro impresa. Fu proprio in questo paese che riuscii a trovare un lavoro onesto presso un ristorante. Nel tempo restante mi occupavo della casa, ma a causa delle incomprensioni con i fratelli di F., che rendevano difficile la convivenza, ho deciso di lasciare il paese e andare a Torino, dove ho chiesto aiuto ad un progetto d’intervento sociale. Svetlana, 21 anni, Ucraina Nella primavera del 1998 sono stata contattata da un giovane albanese di nome Nico. Ci siamo incontrati in un locale dove mi ha spiegato che se avessi voluto andare in Italia mi sarei dovuta prostituire per riuscire a guadagnare del denaro. Considerando la mia situazione personale (ero da molto tempo senza lavoro) ho accettato la sua proposta. Non è stato facile raggiungere l’Italia: abbiamo atteso di imbarcarci per qualche giorno e quando finalmente ci siamo riusciti la barca è stata sorvolata da due elicotteri e siamo stati costretti a ritornare al punto di partenza. Dopo qualche giorno io, assieme alle stesse persone sono riuscita a ripartire verso la costa italiana. Le altre persone erano due donne, quattro bambini di circa sette anni e una decina di uomini. Dopo lo sbarco, che è avvenuto in una zona costiera dove c’era anche una pineta ci siamo incamminati lungo una strada. L’unica cosa che sono riuscita a tenere con me è stato il mio passaporto, visto che il bagaglio era tutto bagnato e comunque mi hanno detto che non avrei potuto portarlo con me. A un certo punto lungo la strada sono stata affiancata da una mac- 53 china. A bordo c’erano due uomini che mi hanno portata in una strada in cui c’era Nico che mi aspettava. Con lui sono andata alla stazione ferroviaria e ho preso il treno diretto al Nord e dopo molte ore di viaggio siamo arrivati a Monza. Ci siamo fermati lì per una notte ed il giorno successivo siamo ripartiti per Udine: la città in cui ho lavorato. All’inizio Nico ha sostenuto le mie spese di vitto e alloggio visto che non c’era un posto disponibile per me dove prostituirmi. Ho incominciato a lavorare circa una settimana dopo in un viale alberato dove c’erano anche molte altre ragazze. Ne ho conosciute due, una albanese e l’altra moldava, che lavoravano per i miei stessi sfruttatori che, quando eravamo per strada, passavano continuamente davanti a noi per controllarci alternandosi alla guida di diverse macchine. Mi sono prostituita a Udine per un paio di mesi. Consegnavo quasi tutti i soldi a Nico e tenevo per me solo 100.000 lire che mi servivano per pagare le spese di vitto e alloggio. Quando lavoravo per strada guadagnavo un minimo di 300.000 lire a sera. Mentre lavoravo ho conosciuto un uomo di nome Mario che si è innamorato di me e per starmi vicino è venuto ad alloggiare nel mio stesso hotel. Dopo aver conosciuto quest’uomo ho detto a Nico che non volevo più lavorare in strada, ma lui aveva il mio passaporto e tutta la mia roba e mi ha detto che avrei dovuto dargli 5.000.000 di lire per riavere i miei documenti. In un primo momento Mario si è dimostrato disponibile ad aiutarmi accettando le condizioni del mio sfruttatore, ma poi non ha mantenuto le promesse ed è partito per la Germania. Mentre era via ho continuato a fare la solita vita, ma fortunatamente dopo poco tempo è tornato in Italia e mi ha permesso di trasferirmi a casa sua a Lignano dove ho vissuto da quel momento in poi. Solo in seguito, quando non mi ritenevo più in pericolo ho deciso di sporgere denuncia. Mila, 30 anni, Ucraina, Krivoj Rog Sono arrivata in Italia tre anni fa con documenti falsi, i trafficanti che mi hanno fatta arrivare mi hanno venduta ad un serbo che gestiva un giro di prostituzione a Trieste. Dopo alcune settimane di lavoro io e altre due ragazze ucraine abbiamo denunciato l’uomo che ci sfruttava ai carabinieri, sperando anche di ottenere il permesso di soggiorno. L’uomo è tuttora in carcere. Ho dato la mia ultima testimonianza in tribunale a febbraio e due mesi fa il mio sfruttatore mi ha fatto recapitare dal carcere una lettera di minaccia in cui mi diceva di essere in galera a causa mia e che appena fosse uscito sarebbe venuto a cercarmi. Ho portato le lettere ai carabinieri, che dovrebbero averne tuttora una fotocopia, ma ho buttato l’originale. Dopo la denuncia ho continuato a prostituirmi saltuariamente in modo autonomo. Poi ho conosciuto un uomo italiano con il quale ho iniziato una relazione e che mi ha aiutato a portare in Italia anche la mia bambina che attualmente ha sei anni. Avrei voluto che mi sposasse ma per un periodo di sei mesi è stato in carcere per bancarotta fraudolenta. E’ stato molto difficile anche ottenere il certificato di stato civile, così per cinque mesi io e mia figlia abbiamo vissuto in un istituto finché ha chiuso per restauro. Avendo bisogno di un nuovo alloggio mi sono rivolta al progetto S. in cui le operatrici mi hanno spiegato quale poteva essere il percorso da fare per potere ottenere il permesso di soggiorno. Le uniche soluzioni possibili erano l’articolo 18 o il matrimonio. Ho alloggiato per un periodo dalle suore, sempre in attesa di potermi sposare, e nel frattempo entrambi i procedimenti penali che mi vedevano come teste si sono conclusi con una condanna dei miei sfruttatori ed io ho ottenuto un permesso di sei mesi. Ho comin- 54 ciato a frequentare la scuola per ottenere il diploma di terza media e contemporaneamente seguivo dei corsi per ottenere una formazione professionale per piccoli lavori di sartoria. A marzo ho lasciato definitivamente l’alloggio presso le suore per andare a vivere nell’appartamento che io e il mio fidanzato abbiamo affittato in attesa di sposarci. In Italia le procedure sono tuttavia troppo tortuose e complicate e mi hanno costretta a tornare nel mio paese per sposarmi. Sono rimasta lì un altro mese in viaggio di nozze e poi sono ritornata in Italia, dove finalmente ho ottenuto il permesso di soggiorno per motivi familiari. Ang, 36 anni, Ucraina, Lvov Prima di venire in Italia vivevo a Lvov in Ucraina con mio marito ed i miei due figlio (la femmina di 15 anni e il maschio di 10) a casa di mia madre. La nostra situazione economica era disastrosa, in pratica eravamo costretti a vivere con i 20 Dollari al mese della pensione di mia madre. Avevo sentito che tanti miei connazionali venivano in Italia per lavorare ed aiutare le loro famiglie, così anch’io ho deciso di tentare questa strada. Ho dato 1000 dollari ad un’organizzazione per ottenere il visto ed il biglietto dell’autobus fino a Venezia. Il mio visto era valido per soli cinque giorni, motivazione: Giubileo. Siamo partiti da Lvov all’inizio di dicembre. Il viaggio è durato quattro giorni, forse abbiamo attraversato anche la Francia, però non saprei dirlo precisamente perché le mie conoscenze sono un po’ limitate, visto che per me era la prima volta che oltrepassavo il confine del mio paese. Ultima meta del mio lungo viaggio è stata Venezia: piazzale Roma. Lì sono rimasta da sola, ho vagato per la piazza qua e là e dopo un po’ mi si sono avvicinati due uomini: uno dei due parlava un po’ di russo e mi ha fatto capire che se ero in cerca di un lavoro loro mi potevano aiutare. Io ho risposto che avevo tanto bisogno di trovare un lavoro, e che per questo motivo ero venuta in Italia. Prima di propormi di seguirli gli uomini mi hanno detto di consegnare loro i documenti e tutti i soldi che avevo con me sostenendo che a loro sarebbero serviti per assicurarmi vitto e alloggio finché avrei guadagnato i miei soldi. Ho accettato perché non avevo niente e nessuno a cui chiedere un consiglio, così mi sono affidata a loro, però ho tenuto il mio passaporto dicendo che con me non avevo nessun documento. Così tutti e tre insieme ci siamo incamminati verso questa casa: era abbastanza lontano. La casa aveva più di due piani, nel piano terra c’era un grande salotto arredato con grandi e belle poltrone, divani e divanetti. In quel salotto c’era una decina di donne, tutte parlavano in russo o in lingua ucraina, erano vestite in modo inequivocabile, molto truccate e con scollature e spacchi esagerati. Delle giovani donne mi hanno accompagnata al primo piano in una camera molto carina con un letto matrimoniale molto bello, l’armadio, il comò ed una poltrona. L’armadio era pieno di bei vestiti, scarpe, collant, bigiotteria, cipria e tante altre cose che può usare una donna per farsi bella. Non avevo mai visto in vita mia così tante cose belle. Dopo avermi mostrato la camera le ragazze mi hanno spiegato in che cosa consisteva il mio lavoro e spiegato come dovevo vestirmi e truccarmi (mi hanno fatto anche una prova di acconciatura, trucco e abiti). Poi mi hanno detto che il guadagno andava diviso così: la metà passava agli uomini, un quarto sarebbe andato alla casa come vitto e alloggio ed un quarto sarebbe rimasto per me. Quella sera mi hanno detto che potevo riposare ma l’indomani avrei dovuto incominciare il mio nuovo lavoro. 55 Durante la notte non ho potuto chiudere occhio pensando a dov’ero capitata e a come uscire da quella situazione. Piangevo dalla disperazione, però una cosa era certa: che quel lavoro non l’avrei mai fatto. Sono una donna di 36 anni, una mamma… non avrei mai immaginato di ritrovarmi in tanto squallore. L’indomani, vestita e truccata con l’aiuto delle altre donne, sono scesa in salotto e mi sono seduta con loro. Sono stata più volte rimproverata perché non sorridevo e non mettevo in evidenza il petto e le gambe, intanto continuavo a pensare come fare per scappare da quell’incubo. Dopo pranzo nel salotto era rimasta solo la donna che era addetta alla porta, le altre erano appartate nelle loro camere per riposare e per me questo era il momento migliore per prendere la fuga. Ho messo il passaporto sotto i pochi vestiti che avevo addosso, e ho preso un paio di pantaloni leggeri e una maglietta, li ho piegati per bene e messi in un sacchetto di plastica, poi ho cominciato a pregare la donna sulla porta di lasciarmi uscire a prendere una boccata d’aria. La donna non ne voleva sapere, continuava a ripetermi che dovevo restare lì perché quello ormai era il mio posto, che non mi mancava niente e che poi non avrei potuto di certo uscire così conciata. Io sentivo che dovevo insistere perché questa era l’unica occasione che avevo per fuggire. Per convincerla cominciai a piangere così la donna, impietosita, mi aprì la porta. Appena fuori ho iniziato a correre, dietro di me sentivo grida, minacce e insulti, ma non potevo fermarmi, continuavo a correre per le calle di Venezia. La mia fuga è durata più di un’ora, finché in un angolo nascosto, ho tolto i vestiti ed ho messo la maglietta e i pantaloni che avevo portato con me. Ho cominciato a vagare per la città cercando di rimanere sempre in zone affollate e di non incontrare i miei sfruttatori. Vagando incontrai una donna che mi sembrava una connazionale perché portava la fede alla mano destra che è tipico delle donne dell’est. Mi avvicinai a lei e le confidai la mia storia chiedendole aiuto per trovare un posto dove mangiare e dormire perché ero stremata e non riuscivo più a reggermi in piedi, la donna mi offrì un panino e una bibita e poi si offrì di accompagnarmi alla Caritas. Le suore, dopo aver sentito la mia storia, dissero che potevano darmi vitto e alloggio per qualche giorno. Non trovando altre soluzioni mi fermai alla Caritas per quasi due mesi. Intanto cercavo lavoro, ma era un’impresa molto difficile anche perché non conoscevo la lingua e questo peggiorava le cose finché un giorno mi venne proposto un lavoro a Trieste. Il lavoro consisteva nel prestare assistenza al marito malato di una signora che mi offrì vitto, alloggio e 1.300.000 Lire al mese. Berta, 17 anni, Albania Provengo da una famiglia molto povera. Mio padre e mia madre fanno i contadini, e le entrate familiari non bastavano per soddisfare il fabbisogno familiare. In realtà non avevo intenzione di venire in Italia, ma poi ho incontrato Jonny. Ci siamo frequentati per un po’ ed io mi sono innamorata di lui, nonostante la differenza di età (lui ha 11 anni più di me). Ha sempre dato l’impressione di essere un ragazzo per bene e senza grossi problemi economici così, anche con la compiacenza dei miei genitori, ci siamo fidanzati. Dovevamo andare a vivere da soli, ma poi lui mi ha raccontato che il resto della sua famiglia stava in Italia (a Roma) e gestivano un ristorante e, facendomi credere che loro avevano bisogno di altre due persone al lavoro, mi ha convinta facilmente ad andare in Italia con lui. Siamo venuti in Italia con uno scafista amico di Jonny. Non so con precisione quanto ci sia costato il viaggio perché Jonny ha pagato anche per me, tuttavia ho visto lo scam- 56 bio di denaro e doveva essere una somma considerevole. Gli ho domandato dove avesse preso tutti quei soldi e lui mi ha risposto che li aveva messi da parte nel corso degli anni. Qualche minuto prima di partire lui mi ha detto che aveva un problema urgente da risolvere e che sarei dovuta partire da sola. Lui mi avrebbe raggiunto con il viaggio successivo. E’ stata l’ultima volta che l’ho visto. Sul motoscafo che ci ha portati in Italia (sulla costa pugliese) c’erano altre 8 ragazze, tutte di nazionalità ucraina. Nessuna di loro aveva bagaglio quindi, impaurita dalla situazione, ho cominciato a fare domande. Qui ho scoperto l’orribile verità: Jonny mi aveva venduta e mi stavano portando in Italia per farmi lavorare sulla strada. Ci hanno lasciato in mare vicino alla costa. Erano circa le 6 del mattino e l’acqua era molto fredda, tuttavia appena arrivati a terra abbiamo trovato due macchine ad aspettarci. C’erano due uomini – entrambi albanesi – e uno dei due si è presentato: ci ha detto di chiamarsi Eddie (credo che fosse il diminutivo di Edgard) e che dovevamo stare tranquille. Mi ha requisito il passaporto (l’unica cosa che ero riuscita a salvare nel dal viaggio in gommone) e ci ha accompagnate tutte alla stazione di Lecce. Lì siamo salite con lui sul treno per Milano. Durante il viaggio, ci ha minacciate più volte dicendoci che se avessimo tentato la fuga avrebbe fatto del male ai nostri familiari. Una volta arrivati a Milano credo di essere stata venduta una seconda volta: sono stata consegnata ad un ragazzo soprannominato Cico (non ho mai saputo il suo vero nome). Cico – che aveva preso in consegna altre due delle ragazze che avevano fatto il viaggio con me – ci ha condotte a casa sua e ci ha spiegato che l’indomani avremmo cominciato a lavorare. Io mi sono messa a piangere dicendo che non volevo prostituirmi e lui mi ha picchiato e ha abusato di me sessualmente davanti alle altre ragazze di modo che servisse di lezione a tutte. La sera dopo ho cominciato a lavorare. Contrariamente alle altre ragazze, che avevano tutte superato i 25 anni di età, io non lavoravo sulla strada: i clienti venivano direttamente nell’appartamento. In questa maniera Cico poteva controllarmi costantemente ed io non vedevo nemmeno il denaro che veniva pagato per le mie prestazioni. Dovevo chiedere ai clienti 200.000 lire ed avevo una media di quattro rapporti al giorno. La mia salvezza è stato un cliente di nome Giulio che mi ha frequentata abitualmente fino ad innamorarsi di me. Giulio ha chiesto a Cico di comprarmi e si sono accordati per un prezzo di 20.000.000 di lire. Da allora non ho più visto Cico (sono passati ormai 8 mesi) e per il momento non intendo sporgere denuncia perché ho ancora molta paura di quello che potrebbe fare alla mia famiglia, ma più passa il tempo e più mi convinco che devo farlo soprattutto per evitare che altre ragazze come me subiscano lo stesso trattamento. Nel frattempo mi sono sposata e vivo con Giulio. In questa maniera ho anche potuto ottenere il permesso di soggiorno. Mio marito non ha problemi di soldi, quindi durante il giorno, mentre lui lavora, posso studiare e per la fine dell’anno scolastico 2001-2002 conto di dare l’esame di maturità e poi cercherò un lavoro onesto in Italia: per quanto la mia esperienza sia stata traumatica non voglio ritornare in Albania. Risa, 23 anni, Albania In Albania vivevo in un paese con la mia famiglia, la nostra situazione economica non era disastrosa, ma io speravo di potermi sistemare presto… magari innamorandomi di qualcuno e sposandolo, per non essere più di peso alla mia famiglia. Non era facile trovare lavoro, nonostante avessi un diploma… poi un giorno le cose sono cambiate. Ho conosciuto Sh., ci siamo innamorati, lui ha frequentato per un po’ casa mia, conquistan- 57 dosi la fiducia dei miei genitori, così quando abbiamo deciso di trasferirci per cercare di migliorare la nostra posizione economica, i miei erano addirittura felici per me. Inizialmente Sh. non mi aveva parlato di un eventuale trasferimento all’estero, abbiamo vissuto per cinque mesi a Tirana, in una pensione, ma quando i soldi iniziarono a scarseggiare il mio ragazzo mi ha convinta a partire per l’Italia. Ha pagato lui il viaggio per entrambi. Siamo arrivati a Taranto o a Bari… non ricordo, con un gommone. Lì abbiamo incontrato un amico di Sh. e con lui abbiamo proseguito il viaggio fino in Olanda. E’ stato proprio in questo paese che Sh. mi ha chiesto per la prima volta di prostituirmi perché avevamo un assoluto bisogno di soldi. Sono rimasta sconcertata… era questa la felicità che avevo tanto cercato? Sulla strada al freddo… a guadagnare soldi per l’uomo che sosteneva di amarmi. Quello era solo l’inizio, non potevo più scegliere. Ero entrata nel “giro”. Dopo poche settimane siamo ritornati in Italia. Prima a Reggio Emilia, dove ho continuato a prostituirmi per 6 mesi, ed in seguito a Cuneo, dove ho lavorato per 2 anni. Sh., che era ormai il mio sfruttatore, era in Albania a fare visita alla sua famiglia. Non ne potevo più di prostituirmi, e per fortuna, in quel periodo a Cuneo ho conosciuto un uomo piuttosto anziano (che non era mio cliente) che ha deciso di aiutarmi, mi diede anche l’indirizzo di un’associazione. In verità i lavori che ho trovato in seguito non erano molto diversi, ho lavorato in un night come danzatrice del ventre e poi in un privee dove facevo compagnia ai clienti, non ero obbligata ad avere rapporti completi, ma lo squallore rimaneva. Avevo bisogno di un lavoro onesto, ho messo varie inserzioni sui giornali ma non ho torvato nulla. Nel frattempo Sh. era tornato dall’Albania con una nuova ragazza, anche lei era stata ingannata, ma è stata più forte di me e lo ha denunciato. E’ stato arrestato, ma questo non mi tranquillizza. Le operatrici del progetto a cui mi sono rivolta mi hanno spiegato che denunciandolo potrei ottenere una borsa lavoro o un permesso di soggiorno, ma lui conosce la mia famiglia… ed io ho paura per loro. Se lo denunciassi, non avrebbe dubbi che sono stata io: ha avuto solo due donne ed una l’ha già fatto. Valbona, 26 anni, Albania, Pogradec La storia di Valbona viene riportata in terza persona in quanto è stata raccolta in più incontri e con l’ausilio di una mediatrice culturale che si è occupata della traduzione. Valbona si è separata dal marito maltrattante quando era all’ottavo mese di gravidanza ed è ritornata a casa dai propri genitori. Dopo sei mesi un’amica le ha fatto conoscere un uomo, Pepa Ilir, con cui è uscita per tre mesi: lui era gentile e la aiutava dandole dei soldi per il bambino e lei se ne è innamorata. Valbona, Ilir, la cugina di Valbona e il suo ragazzo sono partiti da Durazzo col gommone ed hanno raggiunto le coste italiane nel maggio 1997. Il fratello di Ilir li aspettava e li ha accompagnati con una macchina a Mondovì dove le ragazze hanno dormito in albergo, mentre i ragazzi possedevano una casa. Valbona voleva lavorare per poter mandare dei soldi a casa, per il bambino, e una delle ragazze degli amici di Ilir l’ha portata in macchina per farla iniziare a lavorare sulla strada. Lei non sapeva che avrebbe dovuto prostituirsi e si è messa a piangere mentre la ragazza, con il primo cliente, le insegnava come doveva fare. Tornata in albergo ha riferito a Ilir quello che era successo e lui l’ha 58 costretta a farlo pretendendo di ottenere in restituzione i soldi del viaggio che lui le aveva pagato. Ilir la accompagnava al lavoro e poi la riportava in albergo portandole via tutti i soldi che riusciva a guadagnare lasciandole soltanto 100.000 Lit. (di cui 75.000 Lit per pagare l’alberto ed il resto per pagarsi il treno per Malignano, la località dove si prostituiva). Lavorava dalle 17.00 alle 02.00. Nei 3 anni in cui ha lavorato per Ilir, lui – nonostante le promesse – ha mandato dei soldi in Albania, per aiutare la famiglia e mantenere il figlio di Valbona, soltanto tre volte. Così Valbona, preoccupata per il suo bambino, ha iniziato a lavorare di più e tenere un po’ di soldi per sè da spedire in Albania, di nascosto dal suo sfruttatore. Valbona voleva tornare in Albania per prendersi cura del figlio, ma lui la costringeva a rimanere, la picchiava continuamente e la torturava, provocandole ustioni con la sigaretta su tutto il corpo, per ottenere più soldi da lei. Valbona ha poi incontrato un cliente buono che, impietosito dalla sua storia, le ha offerto dei soldi per tornare in Albania. Lei, consapevole di non poter più tornare in Albania, perché i suoi fratelli l’avrebbero ammazzata per la vita fatta in Italia, ha spedito una parte dei soldi alla sua famiglia e ha dato la parte rimanente al suo sfruttatore in modo che la lasciasse un po’ in pace. Per mantenersi e per spedire i soldi in Albania per il bambino Valbona ha continuato poi a prostituirsi saltuariamente. Ilir nel frattempo ha trovato un’altra ragazza albanese da sfruttare ed ha incaricato Valbona di istruirla al lavoro di strada. Valbona ha contattato un maresciallo dei Carabinieri e gli ha detto dove poteva trovare la ragazza e lo sfruttatore, che così è stato arrestato. Sembra che attualmente Ilir Pepa si trovi ancora in carcere in seguito alla denuncia sporta dalla ragazza e alla sua implicazione in traffici di armi e droga. I due fratelli di Ilir hanno poi contattato telefonicamente Valbona (perché la ragazza ha riferito loro che è stata Valbona ad incastrare lo sfruttatore). L’hanno minacciata di uccidere il bambino, lei ha spiegato loro che è stata l’altra ragazza a sporgere denuncia e li ha minacciati a sua volta di denunciarli qualora avessero fatto del male a suo figlio. Ora Valbona non può tornare in Albania, perché i fratelli non la accetterebbero a causa della vita che ha fatto qui e perché incolpano lei e Zhulieta del fallimento del matrimonio dei loro genitori. Racconta di aver fatto domanda per la sanatoria (a Cuneo nel marzo 1998) quando era ancora legata a Ilir il quale, appena ne è venuto a conoscenza, ha strappato tutti i suoi documenti e la ricevuta attestante la presentazione della domanda, impedendole con la forza di uscire, se non per prostituirsi. Dal 13 dicembre 2000 Valbona è alloggiata in accoglienza presso una pensione dove rimarrà, a carico del Progetto Antares, fino al termine massimo di accoglienza. Tale sistemazione si è resa necessaria per garantirle la possibilità di verificare l’esito della domanda di permesso di soggiorno per sanatoria e, qualora questa possibilità risultasse impraticabile, riflettere sull’eventualità di entrare in un percorso di protezione sociale. Lindita, 24 anni, Albania, Berat Sono arrivata in Italia con un motoscafo e sono sbarcata a Lecce; sul motoscafo eravamo io, altre due ragazze e Haky. Siamo partiti da Valona e abbiamo pagato lo scafista un milione a testa. Per me pagò Haky, mentre per le altre ragazze pagarono i loro fidanzati. Sono venuta in Italia di mia spontanea volontà perché egli mi disse che mi avrebbe accompagnata da mia sorella, certamente non era mia intenzione finire sulla strada. So- 59 no praticamente andata via di casa senza avvisare i miei genitori, cosa che feci solo un mese dopo il mio arrivo in Italia. A Lecce erano venute a prenderci delle macchine con targa italiana, ma nei pressi di Fasano la Guardia di Finanza ci fermò. Eravamo in macchina io, le due ragazze ed un quarto albanese mentre Haky era andato da un’altra parte. Fatto sta che tre giorni dopo fummo rimpatriati con la nave. Anche Haky in quei giorni fu rimpatriato da Bari e pertanto ci ritrovammo tutti a Durazzo. Decidemmo di ritentare la settimana dopo con lo stesso scafista. Questa volta non pagammo nulla e sbarcammo nel cosiddetto “tacco d’Italia”. Eravamo in trentadue e ci vennero a prendere sulla spiaggia cinque macchine. Ci dividemmo ed io andai a Lecce con la mia amica Kosetta. Fummo custodite da due giovani, un italiano ed un albanese, per due ore. Dopodiché Kosetta uscì di casa con un italiano e telefonò ad Haky che venne a prenderci per portarci nel suo alloggio. In questa casa vivevano anche sua moglie e sua figlia e per dieci giorni sono rimasta chiusa lì. In quei giorni l’uomo andò a Ravenna da un suo amico per farsi dare del denaro che serviva per vestirmi e quando tornò mi disse che saremmo andati a trovare mia sorella a Padova. Andammo a casa di un amico albanese di Haky dove vivevano anche altri miei connazionali, uomini e donne. Le ragazze erano chiaramente vestite in modo provocante e subito mi dissero che anch’io avrei dovuto fare il loro stesso lavoro e vestirmi nella loro stessa maniera. Io protestai dicendo che in realtà volevo vedere mia sorella e che non ero andata lì per lavorare sulla strada, ma Haky mi disse che se non avessi accettato mi avrebbe venduta ad un altro albanese e sarei ritornata in Puglia. Rimasi due giorni chiusa in casa perché non ne volevo sapere. Il mio sfruttatore mi propose, in un primo momento, di dividere a metà il guadagno, ma io continuai ad oppormi. A questo punto usò le maniere forti e mi obbligò ad andare sulla strada dove io rifiutavo tutti i clienti che si avvicinavano. Mi controllava a distanza e notava il mio atteggiamento, pertanto mi costrinse a salire sulle macchine degli italiani, altrimenti ne avrei pagato le conseguenze. In questo periodo, durato alcuni mesi, la mia vita si era ridotta tra la strada dove lavoravo e l’appartamento in cui vivevo. Le cose funzionavano in questa maniera: io sostavo nei pressi della stazione o vicino al casello dell’autostrada di Padova Ovest e poi avevo il rapporto in casa mia. I rapporti con i clienti li ho sempre avuti in appartamento. Lì vivevo assieme alla mia amica Ermelinda e al suo ragazzo. Naturalmente dovevo consegnare tutto il denaro che guadagnavo. Lui controllava quanti clienti avevo aspettandomi fuori dall’appartamento e a volte si fermava a dormire lì e pretendeva di avere rapporti con me. Ad un certo punto chiamai mia madre in Albania e le chiesi dove potevo rintracciare mia sorella Brikena; ella mi diede il numero di cellulare ed io chiamai. Rispose un ragazzo che non conoscevo e mi disse di essere il fidanzato di mia sorella. Il giorno dopo la richiamai e ci accordammo per incontrarci alla stazione di Milano. Chiesi ad Haky di accompagnarmi ed arrivammo all’appuntamento in auto. Cercammo di parlare fra noi e piangemmo per la nostra situazione; io le chiesi se lavorava sulla strada per il suo “fidanzato”, ma lei mi disse di non parlare di queste cose perché lui era un uomo molto pericoloso e girava sempre armato. La sera ci salutammo e io ripartii per Padova. Poco tempo dopo Haky mi disse che sarebbe andato in Albania a portare i soldi ai miei genitori; in realtà seppi che si era fermato a Brindisi da un suo amico italiano a cui consegnò il denaro; credo che fossero tre o quattro milioni di lire. Dopo un po’ di tempo Brikena venne a Padova e mi disse che era incinta. Mi disse che il suo uomo l’aveva messa sotto la doccia fredda e le aveva fatto passare la corrente 60 elettrica, oltre ad averle bruciato le braccia con le sigarette. Venne da me con il treno, da sola. Haky non voleva che tenessi mia sorella perché aveva paura, ma lei era disperata: voleva tenere il bambino. Il suo sfruttatore le aveva detto che se non avesse abortito di sua iniziativa ci avrebbe pensato lui prendendola a calci sulla pancia. Inoltre, nonostante fosse incinta, era obbligata a continuare a prostituirsi. Nel periodo in cui Brikena si è fermata a Padova il suo sfruttatore era in Albania, ma una volta rientrato in Italia la picchiò fino a procurarle l’emorragia che causò l’aborto. Da quel momento comunque mia sorella iniziò a prostituirsi per Haky perché si era interrotto il rapporto con il suo precedente sfruttatore. Haky più volte mi aveva detto che io dovevo stare sulla strada mentre lui si occupava di affari con la droga e quando un giorno andammo a Udine la vidi per la prima volta: si trattava di un sacchetto di polvere bianca. Mi portarono in giro per la città di Udine facendomi vedere dove si prostituivano le ragazze e dicendomi che anch’io avrei potuto lavorare lì perché era una zona dove giravano molti soldi, mentre lui avrebbe potuto continuare a trafficare in stupefacenti. Dopo questo giro ritornammo a Padova, ma poco dopo mia sorella fu venduta ad un certo Francesco che la portò a Udine, separandoci definitivamente. Io per un certo periodo non diedi i soldi ad Haky, si trattava di nove milioni: avevo lavorato molto dalle 13.00 fino alle 5.00 del mattino tutti i giorni ed avevo racimolato rapidamente questa somma. Il denaro lo avevo nascosto in una bambola in casa, ma Haky si arrabbiò moltissimo, mi minacciò e mi condusse con altri due albanesi su un ponte di Casalserubo. Lì cercò di intimidirmi promettendomi che mi avrebbe gettato giù da un ponte e poi mi puntò anche una pistola contro dicendomi che prima o poi mi avrebbe ammazzata. Il giorno dopo fui costretta a dargli tutto il denaro. Subivo continue violenze: anche dopo un’operazione (per problemi ginecologici) sono stata costretta a lavorare avendo rapporti orali perché Haky insisteva affinché continuassi a procurargli del denaro. Questa situazione terminò quando conobbi un giovane italiano di nome Giovanni con il quale cominciai a confidarmi e ad allacciare un rapporto affettivo. Chiesi ad Haky di darmi almeno un po’ di tutto il denaro che avevo guadagnato in quei mesi, ma egli si rifiutò dicendomi che non mi avrebbe mai lasciata libera a meno che non avessi trovato qualcuno disposto a pagarlo venti milioni di lire. Parlai con Giovanni che si offrì di darmi il denaro. Ora io e Giovanni siamo sposati e ho trovato il coraggio di denunciare. Paula, 18 anni, Romania, Vadu-Moldovei Nella città di Falticeni lavoravo in un bar, ma dopo una settimana mi sono licenziata, sia perché abitavo in un altro paese e dovevo fare la pendolare in autostop, sia perché la paga era molto bassa e perché era un posto mal frequentato. Dopo una settimana la ragazza con cui lavoravo nel bar mi ha telefonato a casa e mi ha proposto di incontrare suo fratello Daniel e due suoi amici che mi avrebbero proposto un lavoro. I tre mi offrirono di trasferirmi in Italia dove avrei potuto lavorare in un bar o in un albergo. Essendo io in possesso del passaporto accettai e partii lo stesso giorno. Venni accompagnata in auto a Falticeni da Daniel e da uno dei suoi amici. Lì caricammo un’altra ragazza romena di nome Augustina, prendemmo un treno fino a Timisoara dove incontrammo un serbo che mi fece capire che avrebbe provveduto a condurre sia me che l’altra ragazza fino in Italia ed io mi fidai in quanto amico di Daniel. Dalla città di Timisoara io, Augustina ed il serbo prendemmo un treno fino a Varsas che è la 61 frontiera fra la Romania e la Jugoslavia. Qui trovammo un uomo di una certa età che ci accompagnò fino alla città di Podgorica. Congedandosi il serbo mi disse che doveva tornare indietro per accompagnare altre ragazze. Arrivata a destinazione alloggiai in una camera dove incontrai due ragazze moldave che aspettavano un uomo albanese che le avrebbe condotte in Italia per prostituirsi. Io credevo ancora di essere condotta in Italia per lavorare onestamente, ma le ragazze mi rivelarono che in realtà ero stata venduta a degli albanesi che sicuramente mi avrebbero condotto oltre confine per farmi lavorare in strada. Sentito ciò dissi all’uomo che mi aveva accompagnato se quanto mi era stato raccontato dalle ragazze era vero. L’uomo mi rispose che avrei potuto lavorare onestamente, ma la sua versione non mi convinse e cercai di fuggire. L’uomo riuscì a riprendermi e mi affidò ad un uomo iugoslavo di nome Castro, il quale mi tenne nel suo appartamento chiusa a chiave. Qui conobbi una ragazza della Moldavia russa di nome Dalia che mi disse che era sua intenzione andare in Italia per prostituirsi. Dopo aver trascorso una notte nell’appartamento del signor Castro, quest’ultimo accompagnò me e Dalia fino alla frontiera con l’Albania dove venimmo prese in consegna da un uomo albanese di nome David. Passammo la notte a bordo di un’autovettura in un campo e la mattina seguente ci raggiunse un altro uomo che rimase con noi mentre David andò a cercare un poliziotto che ci avrebbe fatto passare la frontiera tra la Jugoslavia e l’Albania. Effettivamente dopo circa un’ora e mezza David tornò in compagnia di un poliziotto in divisa che condusse me e Dalia fino alla città di Durazzo. A questo punto ero già in viaggio da circa una settimana. Nella città di Durazzo il poliziotto ci consegnò ad un uomo che era proprietario di un albergo nel quale alloggiammo. Qui incontrai una ragazza di sedici anni che mi raccontò di essere in quel luogo da circa due mesi, di prostituirsi e di essere soddisfatta di quello che faceva. La ragazza riceveva i clienti nel posto in cui eravamo alloggiate. Rimasi in quel luogo per circa una settimana e in tutto il periodo cercai di litigare con tutti con la speranza di essere mandata via. Litigavo spesso anche con l’uomo che mi aveva condotta nell’albergo, perché ero terrorizzata dall’idea che mi facesse prostituire e volevo in tutti i modi scappare. Un giorno questo tizio arrivò all’albergo e prese una ragazza lasciando lì me e Dalia; dopo circa cinque minuti arrivò la polizia albanese e ci chiese i documenti. Io non avevo il passaporto perché era rimasto all’uomo che mi aveva presa in consegna a Podgorica, così passammo una notte negli uffici della polizia albanese e i poliziotti, il giorno successivo, ci accompagnarono in una città di nome Skodra. Lì i poliziotti a cui avevamo raccontato la nostra storia confabularono fra loro. Dopo un po’ uno di loro si allontanò e ritorno accompagnato da un ragazzo di Cimi che, dopo avergli pagato una somma di denaro, ci prese in consegna e ci condusse al suo albergo. Dopo circa tre giorni di permanenza, Dalia andò via e io non ne seppi più niente. Probabilmente venne portata via mentre dormivo. Rimasi in quest’albergo per circa un mese finché venne a prendermi un uomo di nome Samir. Mi condusse a casa sua dove rimasi per dieci giorni con tutta la sua famiglia. In quella casa venne condotta anche una ragazza moldava che successivamente venne condotta a Genova con me. Un giorno venimmo condotte nella città di Vlora dove Samir contattò uno scafista. La notte stessa ci imbarcammo su un motoscafo e fummo lasciti in mare vicino alla costa di bari. Una volta raggiunta la riva a nuoto attraversammo una zona di campagna 62 finché arrivammo in un luogo in cui c’era un furgone che si occupò del trasporto di tutti i passeggeri del motoscafo alla stazione ferroviaria di Bari. Dopo un lungo viaggio arrivai a Genova e venni condotta in un albergo. Il giorno successivo fui condotta in una via di Genova in cui dovevo prostituirmi. Samir mi disse che dovevo portare i clienti nel parcheggio vicino allo stadio e chiedere come prezzo la somma di 50.000 lire; mi rifornì di preservativi e di fazzoletti di carta. Mi diede anche un telefono cellulare e ogni mezz’ora mi chiamava per dirmi che cosa dovevo fare. Mentre io e le altre ragazze lavoravamo sulla strada, Samir e gli altri albanesi stavano a distanza intorno a noi in modo da poterci sorvegliare. Dovevamo consegnargli tutto l’incasso della serata a parte 50.000 lire che tenevamo per noi. Per convincermi a prostituirmi minacciava di uccidere tutta la mia famiglia nel caso in mi fossi rivolta alla polizia. Se protestavo mi picchiava… una volta mi ha picchiata per tre giorni di seguito e mi ha violentata più volte; mi diceva che dovevo ricordarmi sempre che lui era il mio “boss” e dovevo fare tutto quello che mi ordinava. Una sera - dopo essere stata con cinque clienti - mi affiancò un’auto con un uomo che dopo avermi osservata mi chiamò per chiedermi se andava tutto bene e se mi stavo prostituendo di mia spontanea volontà. Gli dissi che avrei voluto smettere ma che ero spaventata ed obbligata da alcuni albanesi. Lui disse che avrebbe potuto aiutarmi, così gli diedi l’indirizzo del mio albergo dicendogli che sarebbe stato meglio incontrarci lì perché in quel momento ero controllata a vista. Nel frattempo Samir mi aveva chiamata per dirmi di non perdere tempo… in realtà aveva capito prima di me che si trattava di un poliziotto. Il giorno dopo ricevetti la visita del poliziotto e mi accordai con lui per rivederci in serata e decidere in quale maniera poteva aiutarmi. La sera successiva ho lavorato fino alle due e trenta e sono stata con cinque clienti, ma preciso che sono andata a lavorare solo perché volevo che venissero presi i miei sfruttatori facendoli vedere al poliziotto. La sera stessa giunsero alcune auto della polizia e alcuni poliziotti fermarono Claudio che nel frattempo era salito su un autobus cercando di scappare. Io e la ragazza che si prostituiva con me salimmo su un’auto della polizia e fummo portate in questura. Adesso aspetto che finisca il processo per ritornare nel mio paese. Tina, 22 anni, Romania Sono stata fermata dalla polizia di frontiera slovena quando stavo cercando di superare il confine in treno per ritornare nel mio paese: la Romania. Assieme a me viaggiava una ragazza, Silvia. Non avendo il visto di transito necessario per attraversare la Slovenia siamo state rimandate in Italia. Così quando la polizia ci ha fermate abbiamo dovuto raccontare la nostra storia. Siamo state condotte in Italia da un Romeno di nome Dorin che ci aveva promesso un lavoro come cameriere o assistenti alle anziani. Dorin ha organizzato tutto il viaggio in treno con la complicità del cuccettista che ci ha fatto nascondere in una botola. Quando siamo arrivate alla stazione di Mestre è venuto a prenderci un albanese con una donna, probabilmente russa, ai quali Dorin aveva dato una nostra foto. Io e Silvia ci aspettavamo che questo albanese ci conducesse al lavoro in qualche ristorante, invece ci ha detto che lui ci aveva pagate 5.000 Marchi e adesso eravamo di sua proprietà e avremmo dovuto restituirgli tutti i soldi per essere di nuovo libere. Inoltre avremmo dovuto aggiungere altri 4.000 Marchi a testa perché lui ci aveva comprato il telefono e dei vestiti. Quando gli abbiamo chiesto come avremmo fatto a guadagnare tutti quei soldi lui ci ha 63 chiaramente detto che ci saremmo dovute prostituire. Le sue parole furono:-“Come, non lo sapevate? Cosa pensavate di poter fare in Italia?”. Siamo rimaste sconvolte, ignoravamo che Dorin ci avesse vendute e che avremmo dovuto fare le prostitute per quest’albanese. Gli abbiamo detto che in ogni caso non avremmo restituito i 4.000 Marchi per i vestiti e le altre cose perché sicuramente non avevano speso tanto. L’uomo ci ha risposto che allora avremmo dovuto avere dei rapporti con lui e un altro uomo albanese per una notte. Abbiamo accettato, non avevamo molta scelta. Nei giorni successivi hanno stabilito che Silvia si sarebbe prostituita in strada e io in appartamento, hanno messo un annuncio sul giornale e mi hanno spiegato che cosa avrei dovuto rispondere alle persone che telefonavano. La storia non è durata molto: infatti fin dai primi giorni che l’hanno portata in strada Silvia non ha fatto altro che piangere e mandare via tutti i clienti che si avvicinavano. Quando è tornata a casa ha detto in modo perentorio che non avrebbe mai più fatto quel lavoro e la stessa cosa è stata ribadita da me. A questo punto gli albanesi ci hanno proposto di chiamare Dorin dicendo che se lui fosse stato disposto a restituire i 10.000 marchi noi saremmo state libere. (A quanto dicono le ragazze non appena gli albanesi hanno riavuto i soldi da Dorin le hanno accompagnate alla stazione di Mestre dove hanno potuto prendere il treno per l’Ungheria). Monica, 17 anni, Romania Stavo passeggiando a Craiova assieme alla mia amica Mirella quando sono stata avvicinata da due individui: Beniamino ed il suo braccio destro. Si sono avvicinati in macchina, siamo andati in un bar e ci hanno offerto da bere e poi ci hanno portate in un appartamento. Qui c’era la fidanzata di Beniamino e l’altra ragazza che si chiama Marinella. Marinella aveva vent’anni e l’altra ragazza sedici. Sono venute tutte e due in Italia con noi. Noi volevamo andarcene ma non ce lo hanno consentito. Venivamo picchiate e non ci davano da mangiare a sufficienza. Potevamo uscire dall’appartamento solo per andare a prostituirci, ma venivamo portate direttamente a casa dei clienti (tutte persone molto ricche). Se mi avessero portato per strada sarei scappata. Un giorno Beniamino mi ha detto di andare a comprare qualcosa in un negozio di alimentari e ho colto l’occasione per scappare, ma i suoi “amici” mi hanno subito ritrovata, mi hanno riportata a casa e picchiata davanti a tutti. Sono stata picchiata molte altre volte, anche solo perché avevo parlato con qualcuno dalla terrazza, sono stata minacciata di essere frustata e mi hanno anche sfregiato le gambe con un coltello. Beniamino ci faceva fare tutti i lavori più umili. Dovevamo addirittura lavargli i piedi. Eravamo le sue schiave personali. Dopo un paio di mesi siamo state portate in Italia per fare sempre lo stesso “lavoro”. Beniamino ha organizzato il viaggio, si è informato con dei suoi amici di Bucarest e lì siamo stati fatti salire su un camion: eravamo 37. Il camion era targato Bucarest e sopra aveva un telone blu. Trasportava delle casse di alluminio, si capiva perché il materiale non era imballato. I camionisti erano due: uno si chiamava Paul ed era quello che guidava più spesso, l’altro Marian. Ovviamente sapevano che eravamo sul camion, ogni tanto ci davano un po’ da mangiare, ma non potevamo mai scendere, nemmeno per i bisogni… dovevamo utilizzare il camion. Siamo state più volte picchiate durante il viaggio da Beniamino e il suo uomo. Io sono stata obbligata ad avere rapporti con entrambi i camionisti nella cabina dove c’erano due letti. Durante il rapporto sono stata ferita e per 64 questo motivo, appena arrivati in Italia, sono andata a farmi medicare all’ospedale di Trieste. Quando siamo arrivati al confine Italo-Sloveno abbiamo aspettato tanto a causa di uno sciopero; intanto all’interno del camion l’aria era diventata irrespirabile. Prima abbiamo tagliato il telone per avere un po’ di sollievo e più tardi siamo usciti per proseguire a piedi. Ci siamo addentrati in un bosco dove abbiamo camminato molto (circa due giorni) cercando di arrivare in Italia. Beniamino aveva degli amici a Bologna e dovevamo arrivare lì al più presto. Assieme a noi viaggiavano dei cittadini del Bangladesh e Pakistani. Durante il cammino nei boschi Beniamino è entrato in una casa dove ha rubato dell’acqua e del cibo. Avrebbe voluto rubare una macchina per proseguire il viaggio verso Bologna, ma non l’ha fatto perché c’era troppa gente ed era pericoloso. Gli uomini sapevano che avremmo trovato numerosi carabinieri lungo la strada, e per questo ci hanno intimato di dire che eravamo le loro fidanzate se ci avessero fermato. Quando siamo arrivate in Italia ci siamo prostituite a Bologna nell’appartamento in cui alloggiavamo, ma non abbiamo mai potuto trattenere del denaro per noi e da inviare a casa. Facevo la prostituta anche in Romania e avrei accettato di farlo in Italia per un periodo se avessi guadagnato del denaro, ma così no: ero continuamente sfruttata e minacciata. Un giorno chiamai mia madre in Romania e mi disse che erano stati da lei degli uomini che le avevano detto di conoscermi molto bene e l’avevano spaventata molto… non so di preciso come è andata comunque questo mi era sufficiente per convincermi a non denunciare i miei sfruttatori. E’ stato grazie ad un poliziotto in borghese che sono riuscita a raccontare la mia storia ed a farmi aiutare ad uscire dalla mia condizione. Daniela, 22 anni, Romania, Timisioara La storia di Daniela viene riportata in terza persona in quanto è stata raccolta in più incontri e con l’ausilio di una mediatrice culturale che si è occupata della traduzione. Incomincia tutto nel novembre 1999 a Iasi dove frequentava il collegio universitario cittadino con specializzazione in chimica. In quel periodo Daniela richiede all’autorità competente il passaporto poiché aveva l’intenzione d’intraprendere un viaggio di piacere con il suo fidanzato di nome Claudiu ed un’altra coppia di amici del ragazzo. In pochi giorni il passaporto era pronto. L’auto utilizzata era una station wagon, di una conoscete del fidanzato. Dopo un tour della Romania arrivarono nella città di Brasov. Pernottarono in una pensione per una notte e l’indomani pomeriggio ripartirono per arrivare a Timisoara con la felicità di due fidanzati spensierati e desiderosi di passare una gioiosa vacanza, all’oscuro di quello che il fidanzato aveva architettato. Nel primo pomeriggio, in un bar vicino alla stazione, le ragazze hanno atteso i loro compagni che si erano allontanati – a loro dire – alla ricerca di un posto per pernottare. Tornati dopo un’ora, sono ripartiti in macchina alla volta di una fabbrica dove li ha raggiunti una Mercedes nera. Dalla Mercedes sono uscite due persone, apparentemente una coppia, che sono state raggiunte da un bambino con lo zaino a tracolla in quale presumibilmente era uscito dalla vicina scuola. Queste due persone sembravano avere molta confidenza con i due ragazzi. Tornati in auto, hanno mostrato alle ragazze le chiavi di un appartamento dove hanno passato la nottata. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, sono ripartiti e, dopo un’ora di viaggio, si sono fermati ad un’area di ristoro per incontrare l’uomo della Mercedes nera. Le ragazze in questo frangente sono rimaste in macchina non potendo così sentire la conversazione; 65 tuttavia, una volta ripartiti e poco prima di addormentarsi per la stanchezza, Daniela ha notato che la Mercedes li precede. Al suo risveglio la macchina era ferma e ne si vedevano solo i fari e le due persone che vi stavano sedute all’interno: una era lo stesso uomo che l’aveva guidata fin’ora, e l’altro era un ometto basso e robusto che non aveva visto prima d’allora. Daniela a questo punto ha deciso di scendere dall’auto, ma Claudiu glielo ha vietato ed è ripartito cercando di tranquillizzarla su cosa stesse succedendo. Proseguendo il viaggio sono giunti ad una stradina secondaria dalla quale intravedevano le luci dell’autostrada e lì li ha raggiunti un’ulteriore autovettura di colore rosso dalla quale sono scesi due uomini che la hanno costretta a seguirli in silenzio. Daniela ha cercato in tutte le maniere di avvicinarsi al ragazzo per chiedere spiegazioni, ma i due uomini la tenevano debitamente a distanza. Dopo circa venti minuti hanno attraversato un vallone dove si ipotizza ci sia il confine con la Jugoslavia. Lì c’erano la Mercedes ed un fuoristrada che li attendevano. Finalmente, dopo che Daniela ha insistito a lungo, il fidanzato le spiegò il suo piano: imbrogliare i due individui della macchina rossa sottraendogli i soldi. Lei a quel punto è stata presa dal panico, ma Stefania è riuscita a tranquillizzarla spiegandole che erano ancora in Romania e che una volta presi i soldi sarebbe stato molto facile scappare dai due compratori. Daniela – impaurita e lontana da casa – ha dovuto accettare la decisione del fidanzato. La situazione si è in parte fatta più chiara quando, una volta raggiunto un villaggio, l’uomo della Mercedes ed altri individui che parlavano Serbo si sono scambiati del denaro e le ragazze sono state obbligate a salire sulla Mercedes. Daniela era nervosa e voleva parlare con Claudio perché la situazione si faceva sempre più complicata e pericolosa, ma Stefania a questo punto si è rivelata complice del ragazzo. Nei pressi di Belgrado, forse nel villaggio di Novisad, le hanno portate in una casa dove sono rimaste sole con un ragazzo. Daniela ha chiesto a Stefania i dettagli del piano di fuga, ma la risposta è stata vaga: se avesse voluto sarebbe dovuta scappare da sola. Con la scusa di andare in bagno è uscita da una porta secondaria, ma non ha fatto in tempo ad allontanarsi che è stata subito ripresa (sicuramente grazie all’allarme dato da Stefania) e portata in un altro alloggio che aveva le sbarre alle finestre e dove era controllata a vista da un guardiano. Aveva ormai perso ogni speranza di fuga. A mezzanotte due uomini la hanno prelevata e portata a Belgrado in una villa dove il padrone di casa e la moglie la accolgono in una stanza al primo piano. L’uomo era robusto, sulla cinquantina, con barba e capelli brizzolati e anche la moglie si teneva bene. Quasi immediatamente l’ha raggiunta un uomo alto e calvo con due guardie del corpo (da lei soprannominato “il Dio” per i suoi modi autoritari). Il dialogo tra i due è avvenuto in inglese e lei è stata invitata a spogliarsi “per poter visionare la merce appena acquistata”. E’ stata poi condotta ad un night club (il “Cat Club”) che si trovava alla periferia della città ed era di proprietà del padrone di casa. Una volta arrivatavi “il dio” le ha presentato una donna rumena di nome Camelia che era lì da cinque anni in modo che imparasse il mestiere di entreneuse. Daniela ha cercato in tanti modi di evitare di prostituirsi, arrivando addirittura a tagliarsi l’inguine per simulare un ciclo mestruale. Ha tentato in tutte le maniere di evadere, ma il club era controllato da telecamere, una decina di cani da guardia, ed era cinto da un muro insormontabile. Dopo circa tre giorni un uomo di nome Misha l’ha portata in un altro luogo di periferia e, fermatosi con l’auto in attesa di un’altra persona, ha tentato di violentarla. Mentre lei si ribellava li ha raggiunti un uomo basso e magro sulla cinquantina che li ha accom- 66 pagnati in una casa nei dintorni di Belgrado dove c’erano diverse altre donne – tutte dell’est. Era sicuramente un centro di smistamento per la tratta. Lì è stata comprata da altri due uomini (uno dei due si chiamava Andrey) per 3.000 Marchi tedeschi. I due uomini la hanno portata nel loro locale – un locale di striptease ad un’ora dall’aeroporto di Belgrado. Sono rimasti lì fino alle 6.00 del mattino per poi raggiungere l’aeroporto e partire assieme ad altre due compagne di viaggio (portate anch’esse da Misha). Una delle due aveva solo sedici anni. Alle 8.30 sono arrivate all’aeroporto di Podgorica dove sono state divise. Un taxi ha condotto Daniela fino ad un ristorante dove – raggiunti da un amico Andrei – sono saliti su di una Pontiak rossa ed arrivano presso Budvà. In un bar li hanno raggiunti due cugini di Andrei, uno di nome Darko e l’altro Sahsa e hanno condotto la ragazza in un albergo dei paraggi (il “Losa Hotel”). Qui ha incontrato due delle sue compagne di viaggio ed altre quattro ragazze e vi è rimasta per circa un mese. Durante la sua permanenza Daniela ha conosciuto Lubo – il padrone dell’albergo e di molti altri locali – il quale sembrava avere delle attenzioni particolari per Daniela, così ogni volta che si trovava nell’albergo pagava per non far lavorare la ragazza: il costo era di circa 1000/1500 marchi. Tuttavia quando Lubo non c’era la obbligavano con la forza (a volte persino minacciandola con armi da fuoco) ad avere rapporti sessuali di ogni genere. Il lavoro si svolgeva dalle 21.00 alle 5.00 – a volte fino alle 7.00. Nel locale girava molta droga – soprattutto cocaina – e Lubo ne faceva un uso spropositato. Una sera Lubo le ha fatto conoscere un ispettore di polizia. I due sono entrati subito in confidenza, così una sera, approfittando dell’assenza di Lubo, lei si è fatta coraggio ed ha raccontato all’ispettore tutto ciò che succedeva in quel hotel: la droga, le violenze, le armi ed anche di ciò che poteva essere successo ad una ragazza minorenne che aveva tentato di fuggire… una volta ripresa questa ragazza non si è più saputo niente di lei e sono rimaste diverse tracce di sangue sulle pareti e sul pavimento della sua stanza. L’ispettore le ha raccomandato di non dire nulla a nessuno e di attendere il ritorno di Lubo per procedere alla denuncia. Probabilmente qualcuno ha sentito i loro discorsi perché la mattina è stata portata al confine con l’Albania presso un cascinale. Qui il fattore ha messo a disposizione dei suoi compratori un trattore a rimorchio sul quale sono saliti e si sono diretti verso la riva di una specie di lago. Di lì una barca li condusse dall’altra sponda: era gennaio. Al di là del lago c’erano due fuoristrada con i quali sono stati trasportati al villaggio di Dober dove ha alloggiato per due settimane in una casa di proprietà di una famiglia con bambini per circa due settimane. Poi è stata comprata da un uomo di nome Fredric che la ha portata a Skodra dove ha cambiato due volte dimora e nella seconda Fredric ha abusato di lei. Due giorni dopo la polizia ha fatto irruzione trovando delle armi (un Kalashnikov ed una pistola), ma dopo aver scambiato due chiacchiere se ne sono andati senza procedere ad alcun arresto. Quella stessa sera Fredric ha nuovamente spostato Daniela, questa volta in casa della sua fidanzata, dove sono rimasti per una notte prima di partire per Tirana. Lì hanno alloggiato due notti in un albergo e poi hanno raggiunto Valona con un’auto della polizia. A questo punto Fredric ha consegnato entrambe ed una borsa piena di banconote albanesi ad un uomo di circa quarant’anni il quale fa aspettare Daniela e Mirella in una casa dove c’erano almeno altre cento persone. Venivano accompagnate ai gommoni circa trenta persone alla volta. Il tragitto veniva fatto in ginocchio e per ben due volte il gommone si è fermato perché imbarcava acqua. Daniela era terrorizzata. Dopo un viaggio di circa tre, quattro ore sono giunti a Lecce. 67 All’alba hanno raggiunto un campo dove li hanno fatti cambiare di abito. C’erano dei taxi ai quali l’uomo con la borsa ha dato parecchi soldi in banconote italiane. Hanno poi raggiunto le vicinanze della stazione di Bari dove l’uomo ha consegnato loro il passaporto e dei soldi a Mirella e con lei sono arrivati fino a Torino viaggiando in prima classe. Anche a Torino – alla stazione di Porta Nuova – c’era un taxi ad aspettarle e le ha condotte a casa di Mirella a circa venti minuti di distanza. Fredric era già a Torino. Era arrivato con l’aereo ed un passaporto con il visto Schengen. Dopo circa tre giorni Fredric ha consegnato Daniela al suo vero compratore: il suo nome era Alban ed era in possesso di un documento falso con il nome di Afran. La casa in cui Daniela sarebbe dovuta stare era sita in via Gioberti a Torino. Lì ad aspettarla c’era la ragazza di Alban: Alma detta Cosetta. Stavano assieme da circa quattro anni. La prima sera in cui Daniela si è prostituita a Torino era l’11 gennaio 2000 all’altezza di via Reiss Romoli. Con il suo lavoro doveva mantenere entrambe le persone. Dopo circa quattro mesi ha conosciuto un Italiano con il quale è uscita di nascosto fino a quando Alban se ne è accorto e, avendo perso fiducia in lei, le ha negato ogni momento di libertà. Nel mese di Luglio Daniela ricorda di essere stata infastidita ogni sera da un ragazzo di origini calabresi di nome Marcello. Era basso, aveva capelli corti e neri e saltuariamente indossava un paio di occhiali da vista. Marcello le era addosso così spesso che Alban, visto il tempo che le faceva perdere, pretendeva che la pagasse lo stesso, anche se facevano esclusivamente conversazione. Marcello a quel punto le ha fatto una proposta: andare con lui in Calabria. Sarebbe stato disposto a proteggerla, ma una sera Alban e Marcello ebbero una discussione… il motivo erano rapporti di lavoro in comune: Marcello si occupava di droga (ed era evidente visto il tenore di vita che poteva permettersi), mentre Alban doveva procurargli una pistola. Durante l’agosto 2000 Alban è stato fermato dalla polizia in via Reiss Romoli. Dovendo lasciare l’Italia, ha dato ordini ben precisi a Cosetta: non far uscire di casa Daniele per nessun motivo fino al suo ritorno. A fine settembre è rientrato in Italia, tuttavia due mesi dopo – in seguito ad una retata – Cosetta è stata fermata dalle autorità e lui è diventato molto nervoso, obbligando Daniela a fare cose contro la sua volontà fino a quando Daniela non ha più retto la situazione. Ha lasciato in fretta il bar che frequentavano ed è ritornata a casa a prepararsi la borsa per andarsene, ma è stata raggiunta da Alban il quale – alquanto irritato – la ha schiaffeggiata ed insultata, minacciandola con un coltello per impedirle di andarsene. Una sera Daniela ha parlato con Olga, l’unica persona in grado di comprendere la sua situazione in quel periodo, la quale le confida che probabilmente era riuscita ad ottenere che Alban la vendesse a Fran, il suo protettore di allora. In realtà non successe niente di tutto ciò. Il 18 dicembre 2000 Alban ha fatto in modo di farsi prendere dalle autorità per ritornare in Albania ad aiutare Cosetta a rientrare in Italia. Da quel giorno Daniela è rimasta sola e, approfittando dell’assenza del suo protettore, si prostituiva solo per pochissimo tempo al giorno – quello che le era sufficiente per guadagnare i soldi per il suo sostentamento. Andava sul posto di lavoro con il pullman numero 52 e, nonostante la lontananza, Alban continuava ad assillarla al telefono ricordandole che doveva mandargli i soldi in Albania e le mandava con una certa regolarità un amico di Milano a controllare che il denaro ottenuto con il suo lavoro arrivasse a destinazione attraverso un’agenzia della Western Union. 68 Il 18 gennaio 2001 Daniela ha ricevuto una telefonata di Olga che la invitava a raggiungerla nel solito bar dove c’erano anche Fran e Tatiana. Qui le hanno raccontato che Alban era morto: gli avevano sparato e la sua fidanzata era rimasta gravemente ferita. Fran, ovviamente, le ha proposto di lavorare per lui, ma Daniela ha spiegato che per un po’ preferiva provare a lavorare in proprio. Il tentativo è stato sufficientemente inutile perché tutti i protettori della zona – che sapevano cosa era successo ad Alban – le stavano addosso obbligandola ad appoggiarsi a qualcuno. Così Fran è diventato il suo nuovo protettore… non era cambiato molto, ma almeno Daniela sapeva di poter contare su una buona amica come Olga. Fran sistemò a dormire le tre donne in via Dei Quartieri, mentre lui alloggiava in via Gioberti. Fran era un uomo davvero spregevole: non perdeva tempo a fare delle proposte a Daniela tentando di metterla contro le altre due donne. La mattina dell’8 Marzo 2001 Fran ha picchiato Olga, alimentando l’odio delle due ragazze nei suoi confronti. Da quel momento il loro unico pensiero è stato la pianificazione di una fuga e così, anche sotto consiglio di un cliente, hanno deciso per il giorno di Pasqua. Olga e Daniela si sono rivolte all’operatrice del progetto Antares per essere soccorse ed accompagnate a sporgere denuncia. Tey, 24 anni, Serbia, Belgrado Sono nata a Belgrado, in una famiglia un po’ particolare. Ho visto mio padre un’unica volta quando avevo 16 anni e non si è mai interessato a me; fino a quattro anni ho vissuto con mia madre che era alcolizzata, ma poi i servizi sociali mi hanno data in affido ad una famiglia che non è riuscita a tenermi a causa delle continue intromissioni di mia madre. Ho subito violenze sessuali all’età di sedici anni… ma preferirei non parlarne. Successivamente sono stata inserita in un collegio per orfani dove sono rimasta per diverso tempo. Ho frequentato le scuole dell’obbligo (per otto anni) e poi ho iniziato un corso per parrucchiera che però non ho mai finito. Poi sono passata da un collegio all’altro finché il marito di mia zia mi propose di venire in Italia senza spiegarmi esattamente cosa sarei venuta a fare. Sono arrivata in Italia nel novembre del 1995 con la nave dal Montenegro a Bari. Ho viaggiato con un gruppo di ragazze accompagnate dalla ex-moglie di mio zio. Il viaggio era stato organizzato da un tale S. che si occupa di cercare le ragazze sul territorio Serbo e mandarle in Italia dove ha una rete di collaboratori. Io ero minorenne ed avevo un passaporto falso, ci hanno portata a Bologna e ci hanno sistemate in una pensione. S. di sera andava in strada per cercare clienti e li portava in pensione per le prestazioni. Sulla strada ero sempre sorvegliata da diverse persone. Ogni giorno dovevo pagare un milione e a me rimanevano tre milioni al mese. Dopo sei mesi, nell’aprile del 1996 sono arrivata a Trieste con una tale D. e sono andata ad abitare in una pensione. Ho continuato a lavorare per un mese finché ho incontrato un ragazzo di Trieste che si è innamorato di me; così ho deciso di andare a vivere a casa sua e lasciare la strada. Nel febbraio del 1997 sono tornata in Serbia per farmi il passaporto e poi sono rientrata in Italia con un visto regolare. Continuavo a vivere con il mio ragazzo, ma sua madre e sua sorella non mi hanno mai aiutata ad ottenere il permesso di soggiorno perché avevano paura che si potesse scoprire la mia vera identità e per questo motivo avrei potuto essere espulsa. Mi trattavano bene, però ero sempre sotto controllo perché il mio ragazzo pensava che avrei potuto tornare a lavorare come prostituta. 69 Nel gennaio del 2000 ho deciso di lasciare il mio ragazzo e di tornare dalla zia che mi aveva portato in Italia e ho vissuto in provincia di Udine per circa un mese. Siccome non avevo il permesso di soggiorno avevo molte difficoltà a trovare lavoro, perciò tornai a Trieste per chiedere aiuto alla comunità Serba. Ho lavorato per un periodo in una taverna serba come cameriera dove guadagnavo circa settecentomila lire al mese, ma non venivo pagata con regolarità. Lì ho conosciuto una coppia con cui dopo poco sono andata a vivere. Ho sempre continuato a cercare lavoro per integrare il mio salario, così sono venuta in contatto con un’agenzia che mi propose di ballare nelle feste, nelle sagre etc. Questo lavoro mi divertiva e mi piaceva, però dopo un breve periodo la moglie del responsabile dell’agenzia mi ha proposto di fare dei massaggi (senza specificare di cosa si trattasse realmente). Ho scoperto in seguito che avrei dovuto fare questi massaggi in topless e se veniva richiesto avrei dovuto fornire anche prestazioni sessuali. Con questi massaggi il mio guadagno era di cinquantamila lire, anche se il cliente ne pagava duecento. Nel novembre del 2000 i carabinieri hanno fatto irruzione nell’appartamento dove facevo i massaggi. Mi sono spaventata molto e ho denunciato la sfruttatrice… confesso che se non ci fosse stata questa irruzione probabilmente non avrei trovato in coraggio di denunciarla. Nel periodo in cui facevo i massaggi ho fatto uso di extasy per essere meno inibita nel lavoro. Mi veniva dato da una delle mie amiche, ma non ne ho mai prese più di quattro o cinque la settimana. Quando sono entrata in protezione sono stata accompagnata al SERT di Trieste dove mi è stata fatta tutta una serie di analisi per capire quale fosse la mia situazione rispetto alle sostanze stupefacenti assunte. Per fortuna non ho subito danni permanenti. Attualmente però ho un po’ di problemi con l’alcool che purtroppo è l’unica cosa che mi da sollievo nei momenti in cui sono più depressa. Le operatrici del progetto in cui sono inserita finalmente mi hanno permesso di trovare un lavoro decoroso come banconiera in un bar… decisamente più elegante rispetto ai locali in cui ho lavorato fino a questo momento. In questo locale ho buone possibilità di essere regolarmente assunta e raggiungere così la mia autonomia. Sasa, 24 anni, Ucraina Mi chiamo Sasa e vengo dall'Ucraina. Ho 24 anni e ho fatto una scuola superiore professionale per parrucchieri. In Ucraina vivevo in un piccolo paese insieme a mia madre, la nonna materna ed altre due sorelle. Io sono la più grande delle tre. Non vedo la mia famiglia da quasi due anni. Nel luglio 1999 ho letto un annuncio di un'agenzia che cercava ragazze di bella presenza per lavorare in Europa. Risposi all'annuncio e li mi diedero un modulo da compilare con i miei dati e dissero di lasciare a loro il passaporto per ottenere il visto. Dopo quindici giorni mi richiamarono per dirmi che partivamo la domenica successiva. Eravamo in quattro, io altre due ragazze e una signora che diceva di essere la nostra “tutor” o manager. Siamo salite sul treno convinte di fare le modelle, che i nostri sogni finalmente si realizzavano, ma… Siamo finite a Doboj, una cittadina nella parte serba della Federazione Bosniaca. La nostra “cara tutor” ci accompagnò in una casa dove c'erano, circa, altre veti ragazze (di nazionalità diversa: Serbe, Albanesi, Russe…). Abbiamo subito capito di cosa si trattava. Abbiamo preteso dalla “tutor” i nostri documenti dicendo che volevamo andarcene, che avremmo pagate da sole il viaggio di ritorno. In quello lei si rivolse a dei militari, e questi ci presero le borse e ci portarono in una stanza. Siamo 70 state chiuse per molte ore, si era fatto buio ormai da tempo. Poi entrò una ragazza russa e ci disse: “Mi dispiace! Però dovete fare quello che vi dicono, anch'io ho tentato di scappare, ma…come vedete sono ancora qui. Siete fortunate, almeno siete qui…è pulito e i clienti non sono male… a differenza di quello che trovi a Zenica”. Ci diede la nostra “pita51” e poi uscì. L'indomani incominciammo a “lavorare”. Non ti dico come funziona perché lo sanno tutti (piangeva), le prime volte piangevo, mentre loro “si servivano” poi però ci fai l'abitudine. Dopo un mese mi mostrarono una lettera indirizzata alla mia famiglia nella quale c'era scritto che io stavo bene e così via e c'erano dei soldi, pochissimi, che io mandavo a loro. In Bosnia non uscivo fuori dalla casa. A che fare poi? Soldi non ne avevo e non conoscevo nessuno e la lingua l'ho imparate dopo un po’ grazie ad alcuni clienti. In quel periodo la casa la frequentava anche S. che veniva solo per parlarmi, ma pagava perché se no non poteva vedermi. Alla sua prima volta anche lui si spogliò subito, ma quando mi vide piangere sotto di lui, si fermò e parlammo per più di un'ora. Era la prima volta che raccontavo la mia storia. Nel salotto vedevamo spesso parlare la “tutor” con un militare, un giorno li ho sentiti parlare in francese. Chiesi alla ragazza russa chi era e lei mi disse il Capo. Erano passati quasi cinque mesi ed una mattina io ed altre sette ragazze venimmo caricate su un pulmino militare. Io e le due ragazze arrivate con me ci mettemmo ad urlare: " Non abbiamo fatto niente! E' colpa loro!" Ma nessuno ci diede retta. Viaggiammo per un bel po’ - circa 3/4 ore dopo di che ci fecero salire su un aereo militare. Non mi ricordo il viaggio, mi dissero che dormivo ed anche le mie “compagne” dormivano e non ricordano nulla, strano? Al risveglio ci dissero che eravamo in Italia, poi scoprì che era Torino. Una ragazza albanese ci diede un panino e disse: “Dopo incomincia la lezione”. Non capivo più niente! Ma presto scoprì che la “lezione” era su come stare in strada, cosa fare e come scappare se vedevi un poliziotto o se qualcuno mi chiedeva i documenti. Incominciai ad urlare e tentai di scappare. In quello un uomo, grasso e burbero, mi prese per i capelli e disse: “Sono il capo e qui fai quello che dico io!”. Gli risposi che poteva scordarselo e che sarei andata alla polizia. Quella sera mi picchio così a lungo che tutt'oggi ho le bruciature delle sue sigarette. Aveva ragione: ho imparato la lezione! E ben presto imparai anche a stare in strada. Devo dire che a Doboj stavo molto meglio, non dovevo scappare e non soffrivo il freddo che c'era a Torino. Se ho amiche? Le uniche sono le mie compagne. Sai quando vivi nello stesso schifo è difficile essere nemici. Cerchiamo di aiutarci a vicenda e a curarci dopo le botte. Il capo in Italia non è poi così male, basta non stargli vicino. Dopo circa tre mesi ci rimandarono in Bosnia, Doboj, dicendoci: “Avete fatto le brave ed ora vi diamo il cambio”. E così eravamo di nuovo a “casa”. Ora sai cosa viviamo e spero che il tuo lavoro ci aiuti, anche se dubito. Sarò libera solo da morta. 51 Piatto tipico bosniaco, pastasfoglia ripiena di carne. 71 Capitolo terzo Digita “escort”: il mondo della prostituzione on-line di Carla Maset 3.1. Internet, la comunicazione globale In questi anni i modi di comunicare sono radicalmente mutati e le informazioni viaggiano ad una velocità prima impensabile. Le distanze sembrano essere sparite grazie ad un mezzo che ci fa sentire parte di un mondo in cui il concetto spazio-tempo viene annullato. Così aprendo una “finestra” si va dove si vuole, restando comodamente seduti sulla propria poltrona. Questo è il potere di Internet, l’aver globalizzato la comunicazione, offrendo una libertà illimitata a chiunque sappia usare la nuova tecnologia. Fin dalle origini però, l’uomo non è stato in grado di volgere solo al positivo una libertà senza vincoli ed anche Internet si è fatto strumento per pedofili, sfruttatori, venditori di fumo, maghi, truffatori. Scrive Mario Parisi: “E’ il computer che gradatamente fagocita l’individuo, il suo schermo è il teatro della nuova sessualità, Internet è il laboratorio che fornisce la più nuova e ampia degradazione all’io postmoderno”52. Meno catastrofico, il convegno organizzato a Milano, nell’ottobre 2000, dalla Iulm (Libera università di lingue e comunicazione), intitolato “Sesso al tempo di Internet”, che ha evidenziato le due facce della Rete. Da un lato regno indisturbato di chi cerca sesso e pornografia, dall’altro luogo di incontri e nuove conoscenze che possono tramutarsi anche in amore. Un reticolo inaspettato di relazioni e di contatti. Questo aspetto è il sintomo di un diverso modo di socializzare, come sottolinea il sociologo Giampaolo Fabris “Internet può essere responsabile di un impoverimento dei rapporti umani, ma dallo studio e dalla frequentazione delle chat emergono con chiarezza le potenzialità della Rete nel mondo degli affetti, dei sentimenti, delle emozioni”, e così sintetizza “Il Web non è solo l’autostrada della pornografia, ma anche le stradine cementate percorse dall’amore”.53 Un altro aspetto importante nella socializzazione attraverso Internet è l’utilizzo limitato dei sensi. La persona nelle relazioni quotidiane utilizza tutti e cinque i sensi, mentre tramite la Rete si trova limitato a vista e udito. Nel futuro se aumenterà l’utilizzo dei contatti virtuali, sicuramente si affineranno i due sensi utilizzati a scapito del tatto, del gusto e dell’olfatto. Anche per questo motivo i siti sono costruiti per attirare in primo luogo con le immagini, accompagnandole in alcuni casi con il sonoro. Sicuramente il mercato del sesso ha trovato nella Rete una fonte di guadagno enorme ed in continua espansione, con introiti in costante aumento grazie alla crescita della domanda. Anche la prostituzione, seguendo le leggi del mercato, ha diversificato e aumentato l’offerta, con un vero e proprio boom della Rete. Una vera rivoluzione per il business del sesso, e chi ha saputo guardare lontano ora guadagna cifre da capogiro. Il giro d’affari del porno su Internet è stimato attorno a 1,5 miliardi di dollari l’anno. Set Warshavsky, un ventisettenne americano, fattura 50 milioni di dollari con la sua Internet 52 53 M. Parisi, La prostituzione dalla storia allo spazio, www.publinet.it A. Di Nicola, “Internet nuovo cupido”, La Repubblica, 20 ottobre 2000, www.larepubblica.it 72 Entertainment Group, una società che offre a pagamento ragazze che si spogliano davanti alla web cam.54 Anche in Italia, tre giovani trentenni, proprietari del sito www.contattami.com, raccontano a Panorama: “In tre mesi abbiamo registrato 300 mila contatti, senza alcuna promozione, affidandoci solo al tam tam della Rete… gli annunci delle ragazze sono gratuiti, l’unica fonte di entrata è la pubblicità, per adesso sui tre milioni al mese. L’inserzionista paga mezzo dollaro ogni volta che qualcuno clicca sul suo spazio all’interno delle nostre pagine web. Al momento ospitiamo una trentina di ragazze, ma ogni giorno siamo sommersi dalle richieste e per il futuro non escludiamo di far pagare le inserzioniste”55. Perché la Rete sta diventando il mezzo preferito di chi cerca la “trasgressione”? La prima ragione è sicuramente l’anonimato, il poter navigare tra le proprie fantasie non dichiarate, sicuri di non essere riconosciuti. La morale dell’apparenza in questo caso la fa da padrone: padre di famiglia di giorno, e la notte davanti al computer, fruitore di siti porno. Una sorta di Dr. Jackyll e Mr. Hyde, senza la paura di essere scoperti. Osservando la quantità giornaliera di contatti nei vari siti specializzati si deduce che devono essere in molti a vivere questa doppia identità. Secondo Roberta Tatafiore infatti “Tutto ciò che riguarda il sesso non sarebbe divertente se non fosse doppia vita”56. Il secondo aspetto è la facilità con cui si può fruire di questi siti. Anche per i novellini non c’è niente di più facile che arrivare ad un sito a luci rosse. Aprendo un qualunque motore di ricerca e digitando qualsiasi parola che abbia la pur minima relazione con il sesso, si aprono un numero impressionante di possibilità. Si stima che le pagine per adulti oscillino tra 30 e 80 mila. Ed i gestori dei vari siti sono all’avanguardia nella velocità di ricezione delle immagini e nella capacità di attirare i visitatori, adattandosi ai gusti e alle esigenze. Gli uomini, la parte maggiore dei frequentatori, anche se è in aumento il mercato femminile, vanno soprattutto alla ricerca di immagini, e i siti pullulano di foto, video, web cam. La ricerca ha messo in rilievo come la maggior parte del materiale relativo al sesso sulla Rete riguardi soprattutto la pornografia. Anche ricercando il temine “escort”, una percentuale altissima di risultati porta a siti pesantemente pornografici nei quali l’offerta di accompagnatrici fa solo da contorno. Le foto invitano il navigatore a continuare la “ricerca” per approdare a pagine hard normalmente a pagamento. Ciò non accade nei siti esteri dove troviamo servizi riservati all’accompagnamento di alto livello, in cui le foto delle ragazze sono sexy, ma non volgari. In Europa gli italiani risultano essere i navigatori meno assidui nella ricerca di sesso on line. Dal rapporto dell’Eurispes 2002, i maggiori frequentatori, di pagine hard risultano i tedeschi che trascorrono in media ben 59,2 minuti al mese all’interno di siti a luce rossa, di seguito i norvegesi con 55,4, gli svedesi 53,6, gli spagnoli 52, i danesi 49,8, gli inglesi 45,6, i francesi 40,4 ed infine gli italiani con 36,5. Molto in voga sul web è il fenomeno della “chat sessuale”. Viene utilizzata per i motivi più svariati, semplicemente per parlare di sesso, per conoscere nuove persone viste 54 G. Ortolano, “Soft e hard: quando si naviga senza veli”, Panorama, 16 febbraio 2001, www.panorama.it 55 C. Abbate,”Se la squillo risponde al clic”, Panorama, 28 luglio 2000, www.panorama.it 56 R. Tatafiore, Sesso al lavoro. Da prostitute a sex-worker. Miti e realtà dell’eros commerciale, Il Saggiatore, Milano, 1994. 73 come potenziali partner, per eccitarsi con le immagini e le idee altrui. Chattare permette di mantenere l’anonimato e persino di crearsi una diversa identità, senza freni inibitori, facendo emergere oscuri lati della personalità. Molto interessante in questo contesto risulta l’intervista rilasciata a Mediamente, trasmissione televisiva e telematica sui problemi della comunicazione, da Helena Velena, transessuale, uno tra i primi a sondare il campo delle chat: “Il cyber sex è piuttosto il rapporto tra la sessualità, il parlare, il comunicare di sesso attraverso le nuove tecnologie di comunicazione mettendosi in rapporto appunto tra il proprio sé esistente e i desideri di essere o vivere altri tipi di sessualità… per infrangere un altro degli stereotipi classici che è quello di chiedersi come mai tanti uomini si fingano donne e come mai tante donne si fingano uomini su Internet, il problema non è fingersi, il problema è sperimentarsi, sperimentarsi con un’identità diversa proprio per vedere che cosa succede, per vedere se è ipotizzabile un percorso di questo tipo. Il fatto che ci sia una deprivazione sensoriale e che il linguaggio sia veramente e solamente la comunicazione, cioè un gioco di domande e di risposte dove non c’è un’interpretazione strutturale, ma dove a data domanda sussegue realmente una precisa risposta, permette di essere molto di più se stessi…”57. Il già citato rapporto Italia 2002 dell’Eurispes ha rilevato nel nostro Paese 10 mila chat e circa 2 milioni di frequentatori abituali. Il desiderio più forte di chi utilizza le chat sembra quello di liberarsi della propria identità di genere, fingendosi altro da sé, proiettando sul computer le proprie fantasie. La crisi che emerge è il rifiuto della propria identità, la ricerca di un ibrido, né uomo né donna, quasi un elogio dell’indifferenziato. Anche nella moda e nella pubblicità troviamo questa tendenza, uomini vestiti con indumenti tipicamente femminili e donne che sembrano uomini. Provando a chattare con Libero, utilizzando un nick-name neutro, sono entrata in stanze dove semplicemente si chiacchiera. La sensazione iniziale è stata il sentirmi spaesata come quando ci si inserisce in un gruppo senza conoscere nessuno. Le prime frasi sono state di ovvia banalità e sono cominciati vari segnali di benvenuto. Alla fine l’aggancio c’è stato con un ragazzo diciottenne di Milano, solo in casa e probabilmente molto annoiato. Gli scambi sono stati molto veloci, cominciando anche ad entrare nel privato, cosa che può succedere solo via Internet, dove i rapporti diventano “intimi” dopo un’ora di chat. La cosa strana è che non mi aveva chiesto se ero donna o uomo ed io avevo dato informazioni vaghe. Non appena però ha capito la mia identità la comunicazione si è chiusa con un “non mi interessa”. Sono rimasta allibita, ma l’esperienza è stata proficua. Il computer ti da una sensazione di protezione ed aiuta anche i più timidi, ma può davvero diventare un’ossessione se non si tengono i contatti con la realtà. Lo stato d’animo finale, spento il computer, è stato di grande vuoto, ed il pensiero è andato a chi ritornato alla realtà, si trova più solo di prima. Carlo Galeotti, che ha condotto un’inchiesta riassunta nel libro Sesso no-profit, dice: “Grazie al computer ognuno di noi può mostrare il proprio lato oscuro, quello che in ufficio nascondiamo sotto la giacca e la cravatta”58. E questo lato oscuro si rivela, a volte, nei sui aspetti più torbidi. Non sono rari infatti i casi di molestie sessuali. Lo sa bene Deborah (il nome è di fantasia, la storia nient’affatto) che subisce da sei mesi, in una chat, le morbose attenzioni di un maniaco che ha pubblicato moltissime informazioni 57 “Helena Velena, io donna transgender, nei meandri del cibersex”, Mediamente, 14 maggio 1999, Roma. G. Amadori, “Giochino erotici su Internet? Sì, ma solo se non profit”, Panorama, 8 giugno 2001, www.panorama.it 58 74 personali sul suo conto e un fotomontaggio che la ritrae in pose erotiche. “Va in giro a dire che mi drogo, che cerco persone per fare sesso e ha minacciato di violentarmi e uccidermi”, racconta la donna, vittima sempre meno isolata del “cyberstalking”, la molestia sessuale on-line59. L’anonimato facilita la strada a chi ha cattive intenzioni e in molti casi le persone non denunciano per paura di non essere credute. Per rendersi conto della vastità del fenomeno è sufficiente un dato: in America sono circa cinquecento al giorno le chiamate che arrivano all’associazione Cyberangels, organizzazione nata per aiutare persone molestate attraverso Internet. Chiaramente non tutti si accontentano solo di guardare e chiacchierare, tanti cercano compagnia. Ed ecco l’offerta di costose accompagnatrici, contattabili via web. Indubbiamente la possibilità di scelta è ampia, ma i prezzi non sono molto abbordabili. Il mercato della prostituzione ha notevolmente abbassato i prezzi sulla strada, con l’arrivo delle immigrate, ed è diventata di alto bordo sul web. Se in Italia l’uso di Internet, relativamente al “mercato sessuale”, sta aumentando, ma non è ancora largamente diffuso, in altre parti del mondo il problema ha raggiunto dimensioni clamorose. In Brasile, sui giornali, vi è la pubblicità di siti che vendono servizi di accompagnamento, dietro ai quali si celano veri e propri traffici internazionali di prostituzione. Da recenti statistiche, ed indagini condotte dalle polizie di vari Stati, sembra proprio che, in un anno in cui vi è stata la chiusura di moltissimi siti di commercio B2B o B2C in tutto il mondo, quelli che propongono servizi di “accompagnatrici” si siano inseriti in un business fiorente ed in continua crescita. Secondo il Dipartimento di Giustizia statunitense, le donne ed i bambini venduti tramite Internet sarebbero stati più di 50.000 negli ultimi anni60. Scegliendo tra i tanti commerci offerti via Internet ci si può anche “comprare” una sposa su misura. Sono davvero numerose le agenzie matrimoniali sulla Rete, che propongono un catalogo in cui vi sono le schede delle ragazze proposte. Età, peso, altezza, luogo di provenienza, e ad ognuna corrisponde un numero progressivo. Sono merce in vendita al migliore offerente. Tatiana è il numero progressivo 36779, ha 25 anni, vive a Riga, la puoi ordinare dal sito www.loveme.com/foreign.affair, se le sue caratteristiche corrispondono alle tue esigenze. Navigando tra le proposte “sessuali” della Rete, risulta molto evidente come il sesso venga vissuto in maniera contorta e problematica. Non vi è nulla di naturale in questa ricerca spasmodica di input sempre diversi per dare vitalità ad una sessualità spenta ed apatica. Con Internet il sesso si può fare davanti ad uno schermo, si può guardare, comprare, rendere virtuale. Anche per questo oggi più che mai, vi è una crescita di perversioni e disturbi legati alla sfera sessuale. Le perversioni portano ad una mancanza di libertà, una prigione in cui il perverso trova rifugio. L’ultima moda via web, sembrano essere corsi erotici via Internet, un vero successo soprattutto in Brasile. Pretendono di insegnare alle donne come tenere vivo il desiderio dei propri uomini, attraverso un sito ricco di particolari. Una delle ideatrici Nelma Penteado sostiene la serietà dell’iniziativa, tanto che queste “lezioni” vengono richieste anche all’estero con conferenze nelle università e nelle imprese. 59 R. Stagliano, “Allarme rosso in Rete per le molestie sessuali”, La Repubblica, 2 maggio 2000, www.repubblica.it 60 A cura di Internet magazine, “Internet ed il sesso: è allarme rosso!”, 3 gennaio 2001. 75 3.2. Cenni sulla prostituzione minorile via web Purtroppo la Rete si è rivelata il “paradiso” dei pedofili, che la utilizzano per scambiarsi foto, informazioni e materiale vario. La pedofilia ha trovato nuove strade e nuovi metodi per sfruttare l’infanzia, come il “commercio” dei bambini su Internet. I numeri di questo mercato sono allarmanti. Secondo Telefono Arcobaleno i siti di pedofili denunciati tra il 1996 e il 2000 nel mondo sono circa 29.000 (dato può essere verificato nei documenti d’archivio), le immagini che circolano in rete sono circa 12 milioni e i bambini coinvolti circa 2 milioni e mezzo con un’età che va dai 10 giorni fino ai 12 anni. “Molto spesso - spiega don Fortunato Di Noto, fondatore di Telefono Arcobaleno - i siti di pedofili si nascondono dietro giustificazioni culturali. Ci sono anche 5 siti italiani di pedofilia culturale, Il sito P, Fronte liberazione pedofili, Associazione danese per pedofili, Fronte liberazione dei bambini, Il sito di Kikko, Smettete di proteggermi e Giornata Boy love Italia. (AGI)”61. La legge 269/98 punisce anche i fruitori di materiale pornografico che utilizzano Internet, e la Polizia delle Telecomunicazioni ha la possibilità di creare siti esca. Con questa legge, entrata in vigore l’11 agosto del 1998, la pena per lo sfruttamento della prostituzione minorile va da 6 a 12 anni oltre il pagamento di una somma di denaro da 15 a 150 mila Euro. L’Italia ha aderito alla Convenzione sui diritti del Fanciullo, tenutasi a New York nel 1989 in cui, oltre a ribadire i diritti di protezione e di tutela del minore, si evidenziava la battaglia dei Paesi aderenti contro lo sfruttamento e la violenza sessuale, contro la prostituzione e la pornografia minorile. Gli investigatori si comportano come pedofili, cercando di individuarli e agganciarli attraverso le chat. Il meccanismo per farsi accettare all’interno dei siti è quello di offrire nuove foto come scambio. Ma Internet viene utilizzato anche per circuire i ragazzini. La Polizia delle Telecomunicazioni di Milano sta indagando su una chat in cui i pedofili danno appuntamento ai bambini con il pretesto di scambiare le figurine dei Pokemon. “Bisognerebbe ricordare”, spiega Filippo Ninni, capo della Polizia delle Telecomunicazioni a Milano, “il vecchio insegnamento: mai accettare le caramelle da uno sconosciuto. E in Internet tutti sono sconosciuti”62. La difficoltà di controllare la diffusione di questi siti nasce anche da strani meccanismi per cui un determinato sito può nascere in un Paese, diffondersi in tutto il mondo e, con tutte queste ramificazioni, essere difficilmente riconducibile al punto d’origine. E’ il caso del sito www.geocities.com.memorville.ru, con sede a Mosca, che attraverso Geocities, un provider americano, vendeva foto e materiale vietato in Italia, in Germania e in Belgio. L’accesso al sito prevedeva un sistema di parole chiave ed era naturalmente a pagamento. Il gestore, Dimitri Victor Kutentofv, è libero perché in Russia i reati di cui è accusato sono coperti da amnistia. La beffa peggiore è che, pochi giorni dopo la liberazione, ha aperto un nuovo sito in cui distribuisce gratuitamente le immagini pornografiche sequestrate. Se individuare i siti non è difficile, il problema è arrivare alle organizzazioni che gestiscono questi traffici. La Rete si è infatti rivelata uno strumento che, facilitando gli scambi e la comunicazione fra pedofili, aumenta i guadagni e la produzione di materiale pornografico. 61 62 Telefono Arcobaleno, “Tutti i numeri della pedofilia”, www.telarcobaleno.com M. Lillo, “Bambina mia ti porto nella Rete”, L’Espresso, 9 maggio 2001, www.espressonline.it 76 Telefono Arcobaleno, nel maggio di quest’anno, ha denunciato un colossale traffico pedo-pornografico, denominato “Pedoworld”, coinvolgente oltre 10 mila bambini, con circa 2 milioni di immagini che comparivano in 78 siti Internet, tutti a pagamento e con un giro d’affari stimato in oltre un milione di Euro l’anno. I siti, alcuni dei quali raggiungevano i 5 mila iscritti, erano intestati ad italiani, ed alcune foto erano prodotte da fotografi del Piemonte e della Lombardia. I bambini avevano un’età compresa fra i 2 ed i 14 anni e venivano coinvolti in attività sessuali anche con animali. L’organizzazione criminale aveva prodotto una catalogazione suddivisa per genere: filone pedo-gay, sadico con torture, artistico con sole foto di nudo e racconti di esperienze pedofile63. La legge autorizza gli ufficiali di polizia delle strutture specializzate, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria e al solo fine di acquisire elementi di prova, a procedere nell’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonché a partecipare alle iniziative turistiche64. La Microsoft ha creato un vero e proprio filtro anti-pedofili che avvisa il visitatore quando sta entrando in un sito contenente materiale pornografico con minori, anche l’homepage di tutti i siti per adulti evidenzia messaggi antipedofilia. Il procuratore Alfredo Ormanni, spiega come questo filtro impedisca a chi scarica immagini pedo-pornografiche di affermare di averlo fatto per caso o per curiosità, ignorando che si trattasse di un reato, in questo modo si risolve il problema del dolo di chi naviga in Internet. Attraverso la Rete non passano soltanto le immagini, ma in molti casi anche guide specializzate e depliant, in cui si descrive la vita notturna di Bangkok e Manila, dove è facile vivere emozioni “forti”. Dennis Altman, docente di sociologia e antropologia presso l’Università di La Trobe e autore del libro-denuncia Global sex, ha studiato per due anni il rapporto esistente tra la globalizzazione dell’economia e l’impatto che ha sulle abitudini sessuali in giro per il mondo, e afferma: “A Bangkok, che è ora soprannominata “il bordello globale”, sono nati giornali in lingua inglese dove l’offerta di servizi sessuali comprende prostitute provenienti da decine di paesi differenti”65. I Paesi che vivono maggiormente il dramma della prostituzione infantile, sono la Thailandia, il Brasile, la Cambogia, il Pakistan, l’India a cui si aggiungono Russia, Romania e Polonia, luoghi in cui la povertà e la disparità sociale non lasciano molte possibilità di scelta. I responsabili, però, del turismo sessuale provengono dai cosiddetti paesi “ricchi”, soprattutto dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone, alla ricerca di emozioni nuove senza rischi di punibilità. Penso che il termine “turismo sessuale” sia troppo neutro per definire una realtà così terribile e violenta, in cui un bambino viene obbligato a vendere la propria serenità e il proprio diritto all’infanzia. Il nostro codice penale all’art.600 prevede la reclusione da 6 a 12 anni e il pagamento da 15 a 150 mila Euro per chi organizza e pubblicizza viaggi a danno di minori. Grazie alla già citata legge 269/98, gli stessi reati possono essere puniti anche se non avvenuti 63 “Pedofila on line, i settantotto siti dell’orrore”, notizia ANSA del 21 maggio 2001 A. Cilli, “Pedofilia, previsto il reato per via telematica”, Internet News, novembre 1998, www.internetnews.it 65 A.Visconti, “Eros senza frontiere”, L’Espresso, 9 agosto 2001, www.espressonline.it 64 77 in territorio italiano. In realtà però, anche se moltissimi italiani ogni anno partono alla ricerca di nuove emozioni, nessuno era stato arrestato o denunciato all’estero. Nel febbraio del 2002, per la prima volta dall’entrata in vigore della legge che punisce l’abuso sessuale di minori all’estero, un italiano è stato condannato. Roberto R., 49 anni, è stato condannato dal tribunale penale di Roma a 12 anni di reclusione per violenza sessuale, sfruttamento e produzione di materiale pornografico su bambini. La condanna è stata resa nota dall’Unicef-Italia e dall’Ecpat-Italia, organizzazioni impegnate contro il turismo sessuale ai danni di minori, che esprimono per questo “soddisfazione”. L’uomo condannato, residente a Torvaianica, ma originario della provincia di Varese, è contumace. Il condannato ha abusato di “diversi minori di 14 anni in Centro America e Thailandia, infierendo sui loro corpi con sevizie, filmando e fotografando le violenze perpetrate”, affermano Marco Scarpati di Ecpat e Roberto Salvan dell’Unicef: “Si tratta della prima vittoria contro il turpe fenomeno del turismo sessuale a danno di minori, la durezza della condanna deve servire da monito”66. Secondo Terres des Hommes, associazione che lavora per la tutela dei minori, sono cinquecentomila i pedofili alla ricerca di nuove avventure all’estero. Hanno 40-50 anni, sono professionisti, manager, di buon livello socio-economico, padri di famiglia. In molti casi i turisti sessuali non sono pedofili abituali, ma trovandosi di fronte all’offerta di baby-prostitute, cedono al desiderio di nuove sensazione, aumentando gli introiti di un mercato che ha un giro d’affari di oltre 5 milioni di Euro. Quello che non si farebbe a casa propria, viene cercato in luoghi dove i bambini sembrano non avere dignità di persone, bambini che vengono usati come giocattoli e sacrificati sull’altare del dio denaro. Molti governi locali chiudono gli occhi davanti a queste atrocità, utilizzando la prostituzione minorile come fonte di attrazione per i turisti “Per quanto poveri siano, i bambini possiedono una fonte di ricchezza per la quale la richiesta è sempre forte, i loro giovani corpi. Nel mondo consumistico in cui viviamo, i corpi freschi dei bambini sono una merce che si può comprare e vendere per grosse somme di denaro; grosse, ben inteso, per i trafficanti non certo per i bambini o i loro guadagni”67. L’Unicef dichiara che i bambini e le donne coinvolti nello sfruttamento sessuale sono 400.000 in India, 100.000 nelle Filippine, 100.000 a Taiwan e in Brasile, 35.000 nell’Africa occidentale, fra i 244 e i 325.000 negli Stati Uniti, 175.000 in Europa orientale. Negli Stati Uniti, si sta diffondendo il nuovo volto dello sfruttamento sessuale dei minori, quello telematico: un bambino americano su cinque che naviga in rete è, secondo uno studio, avvicinato da sconosciuti a scopo sessuale, e 104.000 minori sono ogni anno vittime di abusi68. Il fenomeno - è l’allarme di Terre des Hommes - coinvolge bambine sempre più piccole. Per paura dell’Aids, i clienti chiedono prostitute anche di 7-8 anni credendo che i rischi di contagio si abbassino con l’età. E’ uno dei tanti pregiudizi che accompagnano la prostituzione infantile. False convinzioni come anche “La loro cultura lo permette”, “Hanno una sessualità più precoce”, “E’ un modo di sostenere famiglie povere”69. 66 Katawebnews, “Turismo sessuali con minori, prima condanna”, febbraio 2002, Roma, www.kataweb.it R. O’Grady, Schiavi o bambini? Storie di prostituzione infantile e turismo sessuale in Asia, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, pag. 27. 68 F. Caferri, “Un milione di bambini l’anno entra nel mercato del sesso”, La Repubblica, 12 dicembre 2001, www.larepubblica.it 69 A. Ginori, “Le nuove rotte della pedofilia”, La Repubblica, 21 agosto 2001, www.larepubblica.it 67 78 Le agenzie di viaggio criticate per l’offerta di pacchetti “con minori”, in occasione dell’Organizzazione mondiale del turismo, tenutesi al Cairo nel 1995, hanno approvato una dichiarazione contro il turismo sessuale organizzato. Nel 1996 a Bruxelles si sono impegnate a non promuovere in nessun modo viaggi con fini pedofili. E’ orribile sapere che sono nate, anche in Italia, delle associazioni per la difesa del diritto del pedofilo, che propongono la cultura della pedofilia come amore. Il principio secondo il quale un bambino possa scegliere consapevolmente le attenzioni sessuali di un adulto è veramente aberrante. E’ terribile pensare che un biglietto aereo comprenda anche un bambino da restituire al mittente dopo tre giorni, e che esista anche un’assicurazione per la quale di quel bambino si possa fare quel che si desidera, in relazione al prezzo, fino ad arrivare anche al soffocamento. Si tratta spesso di bambini che non hanno una storia affettiva soddisfacente, che vivono in situazioni di povertà: “Un bambino può sentirsi, in un primo tempo, gratificato; forse è la prima volta che qualcuno gli pone attenzione, e tutto ciò viene interpretato come segno di una libera scelta. Non si tratta solo di persone che tengono un comportamento inaccettabile, ma che vogliono addirittura imporlo attraverso un’ideologia, attraverso chissà quali teorie psicologiche. E di questo, soprattutto, dobbiamo indignarci”70. Se quindi sono innegabili i vantaggi legati al progresso della tecnologia, è necessario definire delle leggi che colpiscano chi utilizza Internet per fini criminali, senza per questo limitare la libertà di utilizzo del web. Compito di una società civile è proteggere i soggetti più indifesi, primi fra tutti i bambini e la loro innocenza. Nello stesso tempo come evidenziato nel convegno “Pedofilia & Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate”, tenutosi a Roma nell’ottobre del 1998, in molti casi l’approccio dei media risulta superficiale ed allarmistico, non sempre viene finalizzato alla tutela del minore, spesso solo verso la spettacolarizzazione. L’argomento risulta essere veramente delicato, ed anche se lentamente sta emergendo questa realtà legata allo sviluppo della nuova tecnologia, nello stesso tempo diventa arduo controllare un mondo così mutevole e diversificato. Un’altra novità su Internet, non paragonabile per drammaticità, ma degna di nota per comprendere le sfaccettature della Rete, è il fenomeno delle “cam-girl”. Riguarda ragazze, tutte minorenni, che aprono dei siti personali dove chi lo desidera può concretamente soddisfare le loro fantasie attraverso una “wish list”, una sorta di lista dei desideri, in cui elencano i regali che vorrebbero ricevere da navigatori generosi. E’ difficile definire il fenomeno, potrebbe effettivamente trattarsi di prostituzione, anche se in seguito ad un’inchiesta giornalistica le “lolite” coinvolte sono insorte di fronte a questa definizione. Dice Bradi, una quindicenne tutta pepe, “Non posso davvero credere che ci sia qualcuno che possa pensare che sono una puttana solo per il titolo del mio sito. Non sono una web-prostituta!!! Ho cominciato però a ricevere un sacco di e-mail da gente che mi dice che è pronta a comprare tutto quello che ho messo sulla mia wish list se sono disposta a fare l’amore con loro. Se volete comprarmi della roba, benissimo, ma non aspettatevi favori sessuali per questo”71. 70 V. Andreoli, “La nuova prostituzione: il cliente”, da Relazione iniziale di Don Oreste, www.abele.it R. Stagliano, “La nuova leva delle cam-girl che chiedono regali on line”, La Repubblica, 16 agosto 2001, www.repubblica.it 71 79 I rischi sono praticamente nulli, anche perché l’indirizzo è solo quello dei negozi di riferimento, e per fortuna il massimo che si vede in questi siti, è un ombelico. Ma l’ingenuità non appartiene a queste lolite virtuali, che credono che avere voglia dire essere, e che giocando con maliziosi atteggiamenti, nel loro piccolo, si vendono per ottenere qualcosa in cambio. Da biasimare anche quelli che comprando ben più della caramella sperano di ottenere ben altri servigi. 3.3. Il prototipo del cyber-cliente Secondo un comunicato stampa dell’ANSA, “il cliente tipo del mercato della prostituzione in Italia è un giovane fra i 20 e i 30 anni, internet-dipendente, con pochi amici e nessun interesse che esuli dalla navigazione in Rete e dagli obblighi di studio e di lavoro”. Ed è così che vorremo immaginarcelo, una persona con del disagio relazionale, senza amicizie e carente nella sfera affettiva. Invece le ricerche e le persone che lavorano sul campo ci presentano un’altra realtà. I clienti sono circa 9 milioni, e la fascia d’età è davvero molto ampia, tra i 16 e gli 80 anni. L’aspetto rilevante è che si stanno ingrossando le fila dei più giovani, “Questi giovani vogliono tutto e subito senza neanche provare il piacere della conquista”72. Quest’aspetto fa riflettere su come sono cambiate le relazioni e la sessualità. Il cercare una prostituta non è solo soddisfare una necessità fisica, ma anche cercare la sottomissione, il dominio, la forza. E’ cercare quell’ideale di maschio che non esiste più, perché la donna ha acquisito tutti i diritti ed è diventata pian piano più forte ed indipendente. Una donna che oggi nemmeno per fare figli ha più bisogno dell’uomo. Purtroppo si è persa anche la capacità di comunicare e i rapporti si scoprono vuoti, segnati da profonde solitudini. Spesso le prostitute descrivono clienti desiderosi di parlare, di raccontarsi, di sentirsi ascoltati. Il 43% chiede un rapporto non protetto, pur essendo a conoscenza dei rischi dell’Aids e, come in una “roulette russa”, cerca il brivido della casualità. E ritorna il concetto di onnipotenza, la dimostrazione che il denaro esaudisce ogni desiderio. Un cliente assiduo di prostitute, che desidera mantenere l’anonimato, racconta: “Gli uomini che non sono mai andati a prostitute sono veramente pochi. Provate a fare questa domanda a un maschio normale: se tu avessi i soldi e vedessi per la strada una bellissima ed eccitante ragazza, cosa faresti? Su dieci colleghi a cui l’ho chiesto, otto mi hanno risposto: già fatto. E vi assicuro che i discorsi sulle frustrazioni, le mogli o le fidanzate che non ci stanno, la perversione, sono balle. Il punto è divertirsi di nascosto: siamo tutti predisposti alla doppia vita”73. Il cliente che utilizza la Rete, per la ricerca di un corpo in affitto, appartiene solitamente ad una classe socioeconomica piuttosto alta, manager, imprenditori anche calciatori professionisti. Sono esclusi i giovani, che non si possono permettere tariffe così alte. “Il potere dei soldi mi da la possibilità di scegliere una donna e di farci quello di cui ho bisogno”. Cene d’affari, viaggi, sesso. L’idea di pagare una donna, colma le frustrazioni e la subordinazione che vivono, incontrando donne di potere che occupano posizione di grande prestigio. In fondo a molti uomini rimane cara l’immagine della donna chiusa tra le pareti domestiche e totalmente succube prima del padre e poi del marito. E cosa c’è di 72 C. Corso, S. Landi, Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano, Giunti, Firenze, 1998. M. Gregoretti, “La doppia vita degli italiani e delle italiane”, Panorama, 20 febbraio 1998, www.panorama.it 73 80 meno compromettente che scegliere una ragazza via web, con le caratteristiche fisiche conformi ai propri gusti, pagarla mezzo milione solo per portarla a cena e molto di più se si desidera il dopo cena? Un fruitore, interrogato in Veneto dopo un’operazione di polizia per sgominare un’organizzazione di finte hostess, disse: “Sono stati i 5 milioni meglio spesi nella mia vita”74. Nei siti, si trovano i commenti lasciati dai vari clienti dopo l’incontro con una ragazza, una sorta di critica, quasi si trattasse dell’ultimo libro letto o dell’ultimo film. Nella maggior parte dei casi sono protetti da una password che permette l’accesso solo ai frequentatori abituali. “La ragazza è fredda, ma ha un fisico da modella, è la copia di Kim Basinger, con lei non cercate sesso selvaggio, è dolce e gentile”, oppure “Si è presentata con un vestito di classe. Fantastica tornerò da lei”75. L’agenzia Atlantic Platinum garantisce la massima riservatezza, mettendo a disposizione dei propri membri limousine e jet privati. Guardando dall’altro lato sono sempre i soldi che spingono non solo professioniste, ma anche studentesse e casalinghe a vendersi su Internet. La possibilità di guadagnare molto in poco tempo, senza i rischi della strada, e salvaguardando le apparenze, fa della Rete il mezzo migliore per la prostituzione. Normalmente le inserzioniste pagano ai gestori dei siti una quota mensile per l’annuncio (circa 1100 Euro all’anno) oppure una cifra prestabilita ogni volta che qualcuno clicca sulla loro fotografia. Ma qualunque sia la cifra richiesta non è nulla rispetto ai loro guadagni. Persino in Kataweb, uno tra i più conosciuti portali italiani di interesse generale, troviamo nella sezione Annunci chiare proposte, molte delle quali raccolte da giornali locali. Prima di finire questo saggio ho controllato: c’erano 1365 annunci, molti rimandavano a siti specializzati, altri presentavano solo la scheda con il numero di cellulare, “Dolce italiana disponibile 10-24, cellulare, città, Il Tirreno, Livorno”. 3.4. Annunci cartacei Molti annunci provengono da giornali locali e nazionali, a dimostrazione del fatto che il mezzo ancora più usato rimane la carta stampata. In qualsiasi giornale troviamo pagine di annunci del tipo, AAA accompagnatrici, bellissime fotomodelle, elegantissime studentesse, Top Class 335-8311… In molti casi troviamo anche il riferimento ai siti web. Accedi gratuitamente sito internet www.topclassescort.it, foto, annunci, bellissime accompagnatrici contattabili telefonicamente, e ancora, “Accompagnatrice mulatta, raffinata, giovanissima, riceve Milano, disponibile serate e viaggi, numero di cellulare e www.amandaescort.com” (dal Corriere della Sera, del 18 gennaio 2002, n. 15 ). Le parole sono poche, ma efficaci e mirate ad attirare il cliente, lo schema è standard. Nella descrizione della ragazza gli aggettivi sono sempre gli stessi, bellissima, disponibile, raffinata e riservata, in poche righe si cerca di attirare l’attenzione del possibile cliente. Molti gli annunci in cui si propongono semplici massaggi in centri specializzati. Il 19 ottobre 1999, a Milano, la polizia ha arrestato il titolare del centro estetico Orchidea di 74 Ivi, op.cit. D. Burchiellaro, E. Liuzzi, “Ora la prostituta si offre su Internet”, Panorama, 3 settembre 1999, www.panorama.it 75 81 via Mac Mahon. L’uomo, con inserzioni sui giornali, prometteva un lavoro da massaggiatrici a ragazze che poi cercava di far prostituire76. Racconta Alessio, massaggiatore 35enne, anche lui sui giornali: “Il livello socioeconomico di queste persone è medio-alto, io pratico una tariffa fissa anche perché la mia particolarità è fare massaggi. Se dopo il massaggio desiderano dell’altro, c’è un di più da pagare. Per le studentesse applico delle tariffe particolari per venire incontro alle loro esigenze economiche”. Anche Max, consulente aziendale 25enne, trova questo lavoro redditizio e divertente e racconta: “Metto i miei annunci su quotidiani, e trovo che i lettori de “Il Giornale” siano più facoltosi di quelli del “Corriere della Sera” e quindi più disponibili a spendere… Le donne che mi contattano hanno tra i 35 e i 50 anni e anche in questo caso ciò che vogliono è un compagno esperto per un’allegra serata o un passionale dopo cena”77. E’ significativo come in molti giornali, se l’argomento è considerato attuale, si parli magari per molte pagine dello sfruttamento della prostituzione, del cliente medio, della possibilità di riaprire le case chiuse, e poi poco più avanti si pubblichino, a pagamento, moltissimi annunci, che palesemente offrono “caldi incontri”. Il non esplicitare il prezzo di queste prestazioni è sufficiente per mantenerle nei termini di legge? Il pubblico ministero Lapadura si fece promotore, nel 1996, della proposta di accusare di “induzione alla prostituzione”, i direttori dei giornali colpevoli di pubblicare annunci sexy sulle loro testate. Ne fece le spese il direttore del Tempo, Giovanni Mottola, rinviato in giudizio. Il fine di Lapadura era di estendere l’inchiesta a tutti i quotidiani italiani. Per Carla Corso, era un’idea davvero assurda: “Negli anni Ottanta c’è stata una grossa pressione da parte della polizia perché lasciassimo la strada e ci prostituissimo in modo più discreto, cioè in casa. Ma se si eliminano gli annunci sul Corriere, la Gazzetta dello Sport (il giornale che garantisce il miglior rapporto tra investimenti e risposte), il Messaggero o il Tempo, si elimina l’unico strumento che abbiamo per far conoscere la nostra attività. Vogliono farci tornare sul marciapiede?”78. Degno di attenzione per le dimensioni che sta assumendo è il caso della prostituzione gestita dalle triadi cinesi. Questo tipo di mercato non viene esercitato in patria perché in Cina lo sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droga e il traffico di materiale pornografico, sono puniti con la pena di morte. La comunità cinese è una presenza forte nel nostro Paese: “In Italia risiedono 60.075 cittadini cinesi regolarmente immigrati. La Caritas stima che ci siano anche 15 mila clandestini. Nel 2000 si è registrato un incremento del 27,5 per cento degli arrivi di cinesi, che sono la quinta comunità straniera in Italia, dopo marocchini, albanesi, rumeni e filippini. In 4 anni gli arresti tra i cinesi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono passati da 6 a 108. Il viaggio illegale dall’Estremo Oriente all’Europa costa mediamente 13 mila Euro: il clandestino ripaga i trafficanti lavorando per loro una volta giunto a destinazione”79. Nel settembre 2000 gli uomini del commissariato milanese Garibaldi-Venezia, guidati da Vincenzo D’Agnano, arrestarono tre cittadini cinesi con l’accusa di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, nonché di traffico di clandestini. L’operazione portò alla chiusura di quattro case d’appuntamenti in cui lavoravano 12 ragazze cinesi. 76 P. Bianchi, “Viaggio nell’Italia (segreta) del sesso”, Panorama, 5 novembre 1999, www.panorama.it “Gli accompagnatori”, www.duepiunet.it 78 L. Maragnini, A. Piroso, “Case chiuse? Non scherziamo”, Panorama, 12 luglio 1996, www.panorama.it 79 F. Folda, “La mafia gialla arriva in business class”, Panorama, 14 dicembre 2001, www.panorama.it 77 82 La polizia, dopo quelle indagini, ebbe la conferma che dietro agli annunci di massaggi sui giornali si nascondeva un business illecito e lucroso. “Ma soprattutto abbiamo capito che a Milano i cinesi stanno prendendo in mano il controllo della prostituzione d’appartamento, lasciando quella di strada agli albanesi” spiega il commissario capo Manfredi Fava80. La particolarità di questa prostituzione è proprio quella di non aver conosciuto la strada, ma di essersi sviluppata negli appartamenti, nei finti centri estetici o nelle saune. Si fanno conoscere attraverso i giornali e Internet, proponendosi come esperte massaggiatrici. In Supereva c’erano 510 messaggi personali e moltissimi offrivano massaggiatrici cinesi, “A Massaggiatrice cinese 22 enne, brava, 25,82 euro, Viale Monza 82, Milano”, oppure “Vuoi un dolce massaggio orientale? Giovane cinese offre alta qualità, Legnano”. Questo tipo di prostituzione viene mascherata dall’offerta di massaggi, mestiere nel quale le cinesi sono per tradizione particolarmente abili. Il primo contatto avviene sempre tramite un cellulare, solitamente non della ragazza, ma di chi gestisce l’appartamento, su Superava ogni messaggio ha un codice e si passa attraverso una segreteria per avere il numero dell’inserzionista. Anche la cosiddetta maitresse, in realtà è sottomessa al protettore, che non è quasi mai presente in casa per non rischiare di essere catturato da incursioni della Polizia. Che quindi trova solo le ragazze senza documenti, impaurite e totalmente soggiogate. I cinesi stanno conquistando rapidamente il mercato per due motivi: tariffe basse (in alcuni casi 10 Euro a prestazione) e rapporti senza preservativo. Soprattutto quest’ultimo aspetto attira i clienti, che cercano il rapporto senza protezione, senza pensare al contagio dell’Aids. Le ragazze accettano la proposta del cliente, per poter guadagnare dei soldi non previsti e non doverli consegnare ai protettori. Anche a loro, come ad albanesi e nigeriane, vengono dati preservativi contati per poter controllare i guadagni. Quest’aspetto è molto grave sia per la trasmissione delle malattie sessuali sia per il numero di aborti, per la maggior parte effettuati clandestinamente. Da non sottovalutare anche il fascino delle donne cinesi, culturalmente così diverse dalle italiane. Donne sottomesse, fragili e silenziose, pronte a soddisfare ogni desiderio dell’uomo. 3.5. I siti Certo in Internet ci sono più possibilità di attirare il cliente rispetto alla carta stampata. Le prime esche per sedurre sono sicuramente le foto. La maggior parte in posizioni sexy, con il viso oscurato e il corpo ben in vista. Quasi tutte le ragazze hanno addirittura una galleria di foto, che rappresentano il catalogo per essere scelte. Il sito www.sessosul-web.com spedisce a chi lo desidera una foto gratis al giorno. Le immagini sono il punto di forza della prostituzione on line, lo dimostra il fatto che, nessun sito, nemmeno il più schematico, ne può fare a meno. Dalla foto inizia il viaggio dell’immaginazione del maschio, che può decidere età, altezza, peso, dando forma alla sua bambola virtuale. Cliccando sull’immagine della ragazza si entra nel suo spazio. La descrizione fisica è dettagliata: misure, altezza, peso. Chi ha un sito privato si descrive in prima persona, dialogando con il possibile cliente, “Deborah, 22anni, alta 1.80, mora, occhi castani, simpatica, affascinante, disponibi80 G. Amadori , “Dalla Cina con hard core”, Panorama, 14 dicembre 2001, www.panorama.it 83 le”. Al termine della scheda c’è un cellulare o un indirizzo e-mail, in www.escort2000.com, il riferimento telefonico è quello dell’agenzia, dove si possono fare le prenotazioni. Nei siti italiani le ragazze sono sempre le stesse, e attraverso i links (collegamenti) si viene sballottati da un sito all’altro. Si potrebbe quasi parlare di un unico grande business in cui l’importante è “accalappiare” i clienti. Per esempio “Ginevra, escort con sito personale, è presente in tutti i siti italiani, 30enne sofisticata, raffinata, passionale, colta anche bisex, per serate o cene all’insegna del massimo buon gusto, esclusivamente gentiluomini e coppie altissimo livello”81. By night 2000.com ha aperto il sito di Ginevra 5749 volte dal 8 agosto 2001. La presenza, contemporaneamente in diverse pagine web da una visibilità enorme e conviene sia alle ragazze che ai gestori. Al cliente viene chiesto di specificare il sito in cui ha “visto” la ragazza, in questo modo i curatori prendono la loro percentuale. Escort service chiede alle ragazze per 6 mesi una tariffa di 154,94 Euro e per 12 mesi 309,87 Euro. Le escort sono divise per regione, per aiutare nella scelta, e in molti casi i motori di ricerca come Virgilio (www.escortmania.com/01htm) offrono stradario, orari dei voli e dei treni. Se è necessario uno spostamento da parte della ragazza questo implica l’aumento della tariffa. Molte lavorano tra Londra e Roma-Milano, in www.london-rome-escortservice.com, rivolto all’elite society, una sorta di albergo a cinque stelle, si trovano ragazze bellissime, poliglotte e culturalmente elevate. Lo schema del sito è identico agli altri, foto e scheda personale, Francesca, 24 anni, origine italiana, peso 50 kg, altezza 5’7”, il riferimento telefonico è di una sedicente segretaria personale. Viene naturale chiedersi quale organizzazione si trovi dietro ad un sito che gestisce ragazze tra l’Inghilterra e l’ Italia, con tariffe da capogiro e un numero elevatissimo di contatti. Naturalmente la riservatezza è d’obbligo, tanto che non viene nemmeno dato il numero di telefono dell’agenzia. Lo stesso per www.ambassadore.com, che gestisce ragazze tra Londra, Parigi, Vienna, Zurigo, Roma e Milano. Bianca, italiana, 18-20 anni, capelli biondi, peso 57, il riferimento telefonico, in questo caso, è il numero dell’agenzia. Di seguito la scheda di una ragazza, dal sito www.come.to./captain69.com, dove si possono trovare escort di tutto il mondo sia indipendenti che legate ad agenzie. Questo può essere considerato uno tra i siti più completi per l’offerta di escort, la possibilità di scelta sembra davvero senza limiti. Nicole Location Milano Incall: Yes Travels Nationally and Internationally Ethnic Origin White Gender Female Email [email protected] Site: www.escortservice.it 81 www.ginevraescort.com 84 Agency: Country Outcall: Escorts Service Italy Yes Bust Size Orientation Phone Photos Don’t Know Heterosexual 0348-2449173 Yes Build: Hair Height: Age: Very Long, Black 5’7” to 5’9” Mid Twenties La scheda riportata dimostra come la lista sia abbastanza fredda, in questo caso se si desidera vedere foto e avere informazioni ulteriori bisogna collegarsi al sito privato. E’ interessante notare come tutti i siti esaminati, presentino un’organizzazione molto immediata, di facile comprensione e consultazione. Nel caso sia necessario scaricare il programma, tutti i passaggi vengono spiegati passo dopo passo, e il navigatore viene accompagnato nella sua ricerca. Pur essendo pieni di fotografie i siti si aprono ad una velocità notevole, per non scoraggiare il potenziale cliente con estenuanti attese. In molti casi, per entrare nell’area privata è necessario scaricare un programma di connessione remota, che permette in un secondo tempo di allacciarsi al web mediante un codice telefonico satellitare emsat. Quindi, anche se in apparenza tutti offrono materiale gratis, in realtà questi collegamenti hanno costi molti elevati, circa 1,60 Euro al minuto. La maggior parte dei siti a pagamento è a carattere pornografico, mentre l’offerta di escort risulta essere solo una delle tante proposte utilizzate per attirare il cliente. Per quanto riguarda i siti italiani si osserva che le ragazze sono le stesse, soprattutto per www.topclassescort.com, www.venusescort.com e www.relazionisociali.it. Il legame commerciale è chiaro, sono inseriti l’uno dentro l’altro, e l’impostazione dei siti da la sensazione di un’unica gestione. Ludovica, classe bellezza eleganza e sensualità. Esclusivamente serate con cena per high society e business men di altissimo livello. Ex ballerina televisiva 32enne italonordica, dolcissima. Le mie caratteristiche: Altezza 1.73. Occhi Blu. Bel Viso Fresco. Pelle di Seta Profumata. Spumeggiante, Colta, Gentile, Riservata, Tendente al Bisex. Sono molto Selettiva, Affidabile e Determinata a conoscere solo Persone Speciali che amano (come me) e possono permettersi Cose, Ambienti e Tenore di Vita Sofisticati. Se sei un Vero Gentleman, da me avrai tutto quello che desideri da una Donna Raffinata sempre Femminile e Sensibile. Chiamami solo se vuoi propormi un appuntamento preferibilmente con anticipo, dalle ore 14 alle 18. Anche in questo caso il numero di aggettivi è significativo e nella sovrabbondanza dei termini quasi ridicolo. L’intenzione, nell’uso di un linguaggio ricercato, è di dimostrare un livello superiore rispetto alla prostituzione di strada. Il lessico usato anche per identificare le ragazze, non è più prostitute, ma accompagnatrici, escort, hostess, addirittura model. Questo termine è in uso soprattutto nei siti americani, creando un’analogia con il mondo della moda, che fa sentire il cliente più a suo agio. Anche questo è un segnale di come la prostituzione stia cambiando. Il linguaggio, specchio delle trasformazioni della società, ha connotato chi lavorava sulla strada con termini dispregiativi. Puttane, sgualdrine, meretrici questi sono sempre stati i termini per definire la donna che si vende, sottolineando la diversità con le donne “per bene”, madri, mogli e figlie. “Il ruolo della prostituta è sempre stato ben codificato; 85 se non ci fossero le donne per male, come farebbero le donne perbene ad identificarsi nei loro tradizionali ruoli?”82. I diversi termini usati su Internet, sono atti a giustificare le tariffe così sproporzionatamente diverse rispetto alle lucciole di strada. Si cerca così di selezionare la clientela, offrendo un servizio ad alto livello. Questo tipo di prostituzione ricorda la figura delle prostitute di classe, le cosiddette cortigiane, frequentate dall’alta società “La cortigiana indicava la prostituta di livello superiore, si prostituiva in ambienti intellettuali dove, manifestando un comportamento fondamentalmente decente, era detta meretrice onesta”83. Ci sono anche siti, www.digilander.iol.it/models1, che alla ricerca di ragazze da “lanciare” sul web, offrono casting e promettono un mucchio di soldi e tanto divertimento. 3.6. Le tariffe I prezzi della prostituzione d’alto bordo sono davvero altissimi. Nei siti italiani, normalmente non si parla di tariffe, ma se le ragazze italiane si cercano nei siti esteri, possiamo scoprire quanto costa un’accompagnatrice. In www.accompagnatrici.com, ci sono escort di tutto il mondo, per l’Italia le “possibilità” sono trentanove, con prezzi “normali”, ma già molto diversi a quelli delle prostitute di strada. Martina, foto e telefono, lavora tra Milano-Como-Varese, solo motel in autostrada, 1 ora 150 Euro, tutta la notte 800 Euro. Laura, telefono ed e-mail, chiede 150 Euro rapporto classico-orale e penetrazione, 250 Euro rapporto completo di tutte le fantasie sessuali possibili. Chi non ha un sito indipendente e lavora tramite un’agenzia, chiede onorari prestabiliti dall’agenzia stessa. Con tariffario fisso, come nel caso di www.london-romeescortservice.com, 1 ora 350 pounds, 2 ore 550 pounds, 3 ore 700, 24 ore 2000 pounds. Viaggi in Europa, 2000 pounds più 1500 per ogni giorno successivo, biglietto in business class più il 30% di caparra. Voli intercontinentali 2,500 pounds più 2000 per ogni giorno ulteriore, idem per caparra e biglietto. Pagamenti anche con carte di credito Visa, Master Card e American Express. Basta questo per comprendere a che livello viene gestito questo business. Per un giorno intero chiedono 3000 Euro. Se confrontiamo queste cifre con le tariffe della strada, capiamo come questi due tipi di prostituzione non abbiano quasi nulla in comune. Le nigeriani praticano i prezzi più bassi: dai 15 Euro per un rapporto orale ai 50 per la penetrazione. Le albanesi differenziano il prezzo delle prestazioni in relazione al luogo (macchina, albergo, casa), le sudamericane vanno dai 20 Euro per un rapporto completo o orale. In media una prostituta guadagna da 250 a 500 Euro al giorno, normalmente gli sfruttatori si prendono tutto.84 Federica, che si offre attraverso il sito www.barbylinks.it, chiede per 1-2 ore 600 euro, cena e dopo cena 1100 euro, tutta la notte 1500 euro, 24 ore 2000 euro. Questo sito raccoglie tutti i links, offrendo escort di tutto il mondo con foto, descrizioni e cellulare di ogni singola ragazza. In alcuni casi vengono fatte “offerte” diverse a seconda delle ragazze proposte. Eliagency offre l’incontro con Vanessa e Veronica per 699 $, con Nicole e Evita per 990 $, 82 C. Corso, S. Landi, Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano, Giunti, Firenze, 1998. G. Di Prima, Case chiuse e dell’amore mercenario, Ettore Grillo Editore, Enna, 1995. 84 La lucciola nella Rete, www.vip.it 83 86 Laura per 1290 $, Yasmin per 1950 $. Non è stato possibile continuare la ricerca essendo necessaria una password, veniva infatti specificata solo la mailing list. In www.surpriseescort.com/job, sito in cui si cercano ragazze, viene sottolineato come sia previsto un supplemento se vengono richiesti “servizi” (questo è il termine usato) sessuali. I prezzi si concordano al momento, ma per i clienti fissi è prevista una riduzione del 50% dopo il decimo appuntamento. Questa pagina era stata visitata 71.958 volte! Particolare il caso di un sito con sede a Praga, www.escort.cz, in cui oltre ad un numero impressionante di ragazze, vi è la descrizione di vari tipi di locali, che si possono visitare on line, prendendo visione anche del listino prezzi delle bevande. Per quanto riguarda il servizio escort, Classic, Oral, Massage Autoerotics, 1 ora 55 Euro, tutta la notte 248 Euro. 3.7. Il caso Metropolitan Famoso, anche per il clamore suscitato dai giocatori dell’Inter colti in flagrante assieme ad “accompagnatrici”, è il caso del sito www.metropolitan.it, giornale di messaggi on-line con sede a Milano. Il sito è stato chiuso dalla Polizia Postale, coordinata dal sostituto procuratore Stefano Aprile. Fabio T.C., 46 anni, milanese, e Leopoldo G., 45 anni, di Cesena (Forlì), sono stati denunciati a piede libero per induzione e favoreggiamento della prostituzione. Il sito conteneva schede di ragazze e ragazzi (più di 50) da tutta Italia, complete di descrizione fisica, preferenze sessuali e relative tariffe. Prima di passare sotto la competenza della Polizia, questo sito, nato nel 1998, era stato oggetto di interesse di diversi periodici, primo fra tutti Panorama. Nel settembre del 1999, infatti, Davide Burchiellaro e Emiliano Liuzzi intervistarono per Panorama uno dei due soci, Leopoldo Giunchi: “Con un po’ di imbarazzo dobbiamo dire che quella delle escort è la sezione più frequentata del sito, contiamo una media di 15 mila contatti al giorno. Sono gli annunci più cari, costano 750 mila lire ogni trimestre…Qualche ragazza l’abbiamo contattata noi attraverso gli annunci letti sui quotidiani, ma poi fra loro è scattato il passaparola. E adesso ci chiedono pure di realizzare servizi fotografici, noi non possiamo farlo, ma indichiamo loro alcuni fotografi… Siamo editori e non facciamo nulla più di quello che fanno quasi tutti i quotidiani, cerchiamo solo di facilitare gli incontri. Facendo sempre firmare autorizzazioni scritte”85. Non la pensava allo stesso modo la Polizia, che ha accertato che i due soci selezionavano personalmente le ragazze e stabilivano addirittura le tariffe, un minimo di 100 Euro senza sesso, fino a un massimo di 1500 Euro per incontri piccanti. Anche la trasmissione di Italia Uno Le Iene aveva girato un servizio su Metropolitan, che è stato subito sequestrato come fonte di informazioni per le indagini. Adesso se si apre il sito www.metropolitan.it., non si trova più la sezione degli Annunci, e fino a poco tempo fa il browser faceva apparire il seguente messaggio “si è verificato un errore di connessione”. In realtà, come si è visto, il sito è stato chiuso d’autorità, colpevole di pubblicare annunci di prostitute. La Polizia Postale di Milano ha anche precisato che nel 2000 sono stati monitorati dagli agenti che seguono quotidianamente Internet, 3.000 siti pornografici, di cui 270 85 D. Burchiellaro, E. Liuzzi, “Ora la prostituta si offre su Internet”, Panorama, 3 settembre 1999, www.panorama.it 87 con contenuto pedopornografico. Solo due di questi avevano sede in Italia, e sono stati chiusi perseguendo penalmente i responsabili86. Effettivamente in tutti i siti da noi analizzati, non viene fatto un esplicito riferimento a tariffe, anche se il fine delle descrizioni è chiaro. Ci chiediamo: se non ci fosse stata la spettacolarizzazione legata ai giocatori di serie A, questo sito oggi continuerebbe la sua attività? Qual è la differenza tra questi annunci e quelli pubblicati sui quotidiani? Qual è la differenza con le oscenità che si vedono sulla strada e, perché no, anche alla televisione? Dalle notizie riportate sulla stampa si ricava l’impressione che dell’argomento prostituzione in alcuni momenti se ne parli tanto, ed anche a sproposito, poi improvvisamente l’interesse decade, senza alcuna apparente motivazione. Per ricominciare, un paio di mesi più tardi, con altrettanto clamore. E senza proporre alcuna soluzione reale. Metropolitan ha pagato la notorietà di clienti troppo famosi e di una notizia troppo “golosa” per non trovare spazio su tutti i quotidiani. Come mai non viene posto un blocco anche agli annunci su Kataweb? Forse perché quelli interessano solo il potenziale cliente? 3.8. Il volto oscuro della rete - La pornografia Le pagine pornografiche sono quelle più cliccate di tutta la Rete. La parola “sex” è sicuramente la più ricercata. Il navigatore medio, si siede davanti allo schermo, alla ricerca di immagini forti, e trovarle appare davvero semplice. La chiave di ricerca più usata però, risulta statisticamente essere il termine “tette”. Internet in poco tempo è riuscito a sbaragliare tutti i mezzi tradizionali nel mercato della pornografia. Se guardiamo per esempio i giornali, i dati ci dicono che negli ultimi anni il porno in edicola ha subito una rovinosa caduta: “Se all’inizio degli anni Novanta la tiratura delle maggiori riviste hard poteva arrivare attorno alle 10 mila copie, oggi non si supera quota duemila con una percentuale di copie invendute che si aggira tra il 70 e l’80 per cento. Non se la cavano nemmeno le riviste che per stuzzicare l’acquirente allegano una videocassetta, mentre va meglio per quelle che puntano sul cd-rom, come “Hot-pc” e “Italian hard”87. Internet garantisce quella riservatezza che la rivista non permette. Il giornale infatti bisogna andarlo a comprare all’edicola oppure farselo spedire a casa, rivelando a degli estranei le proprie abitudini, non sempre socialmente accettate. Racconta un edicolante: “Sono clienti di passaggio, nessuno che io conosca… l’età va dai diciotto ai settant’anni, con generica prevalenza dei giovani e delle persone fra i 55 e i 70, la stragrande maggioranza è fatta di maschi, in un anno sono venute solo due donne, erano sui 30-35 anni, forse slave, o polacche”88. L’ASPER, l’associazione per lo Studio dell’Analisi Psichica e la ricerca in sessuologia, ha condotto nel 1999, una ricerca denominata Pianeta giovani, prendendo in considerazione un campione 2268 giovani italiani compresi tra i 15 e i 25 anni per studiare il rapporto con la pornografia. Il primo dato fa emergere che il 64,6% dei maschi del cam86 O. Piscitelli, “Squillo on line per calciatori”, www.ilnuovo.it L. Fraioli, A. Leonardi, “Internet a luci rosse. Sesso rivoluzione sul web”, L’Espresso, n. 17, 17 febbraio 2000. 88 F. Giubilei, , “L’edicolante racconta…”, Stradanove, settimanale digitale, 4 novembre 1999. 87 88 pione fa uso di materiale pornografico scritto o visivo. Un po’ meno le ragazze che fanno uso di materiale porno nel 58,3% dei casi. In particolare, la ricerca denota che il 27,8% dei maschi usa spesso il materiale porno, contro il 20,4% delle femmine. L’uso è invece occasionale per il 72,2% dei maschi, contro il 79,6% delle femmine. Differenze più marcate infine, si notano sulle modalità di utilizzo del materiale porno. I maschi nel 56,3% dei casi sfogliano riviste o visionano video hard in coppia o in compagnia. Le femmine, invece, nel 66,2% preferiscono farlo da sole, evidenziando quindi un approccio più esclusivo rispetto ai maschi. Altrettanto interessante l’iniziativa del settimanale digitale Stradanove, che ha proposto questionari sulla pornografia da compilare on line ottenendo 1225 questionari compilati. Fra le risposte riportiamo “Cosa ne pensi della pornografia?” a cui hanno risposto: è immorale il 4%, è utile il 39%, è inevitabile il 57%; “A che età sei venuto a contatto con la pornografia?”, fra i 5-8 anni il 3%, fra i 9-12anni il 19%, fra i13-15 il 41%, fra i 1618 il 21%, fra i 19-23 il 10%, fra i 24-29 il 3%, oltre i 30 il 3%. A “Cos’hai provato?” risponde: piacere il 48%, imbarazzo il 13%, repulsione il 2%, stupore il 27%, altro il 10%. E infine a “Come sei venuto a contatto con la pornografia?” hanno risposto; attraverso video/rivista il 13%, attraverso video/rivista di amici il 59%, partner l’8%, attraverso Internet il 9%, altro l’11%. Questi dati ci permettono di comprendere l’atteggiamento generale nei confronti della pornografia, anche se, essendo un’indagine del 1999, non dimostra appieno le modifiche di comportamento sociale avvenute attraverso l’uso di Internet. Il web italiano ospita tra i 60-70 mila siti pornografici, in moltissimi casi trappole per estorcere denaro agli incauti navigatori. I gestori di siti hard si iscrivono molte volte in tutti i motori di ricerca, utilizzando le parole chiave più diversi, così da avere la sicurezza di apparire sulla videata dei risultati, anche quando la ricerca verte in tutt’altro campo. In questo circuito in cui girano tantissimi soldi, l’illegalità trova sempre nuovi spazi di espansione. Anche nei siti che sembrano offrire sesso amatoriale, ad esempio www.10milafotodisessoamatoriale.it, si nascondono in realtà servizi a pagamento. “Digitando la parola “sex amatoriale” sul motore di ricerca Google, si può accedere a 1.700 siti italiani. Un vero boom. Dietro queste pagine solitamente non vi è alcuna idea commerciale, ma solo un misto di esibizionismo e voyeurismo, la voglia di divertirsi con amici reali e virtuali. Ma è necessario fare molta attenzione. La Rete ospita parecchi indirizzi che dichiarano di pubblicare immagini amatoriali (amateur), in realtà sono falsi eclatanti, ovvero foto pornografiche messe on-line per catturare incauti navigatori e condurli verso le tradizionali pagine hard, che normalmente offrono servizi a pagamento”89. I siti sono totalmente costruiti attorno alle immagini ed a poche parole, a caratteri cubitali e colorate, per attirare l’attenzione verso le nuove proposte. In qualche caso fanno da supporto a fotografie, brevi filmati e immagini tipo Grande Fratello, con la web cam. In ogni sito sono presenti svariati links, oppure classifiche dei siti più apprezzati in base al traffico settimanale. In molti casi le pagine si aprono automaticamente e si viene sommersi da una quantità di proposte. E c’è davvero tanta immondizia, e un vero senso di squallore che non ha nulla a che vedere con il sesso. Lasciando involontariamente tracce del mio passaggio mi sono vista recapitare nella casella di posta elettronica fotografie inviatemi da un sito che non avevo mai aperto. 89 G. Ortolano, “La trasgressione è fatta in casa”, Panorama, 16 febbraio 2001, www.panorama.it 89 Questo dimostra sia i legami commerciali tra un sito e l’altro, sia il totale annullamento della privacy. 3.9. Il caso Yahoo! Yahoo!, uno dei portali più visitati al mondo, si è trovato costretto a mettere in discussione un fiorente commercio di articoli porno, messaggi pubblicitari relativi al medesimo argomento, innumerevoli chat, dopo la protesta dell’Associazione famiglie americane. La notizia dell’11 aprile 2001, pubblicata sul Los Angeles Times, che vedeva Yahoo! protagonista della vendita on-line di video cassette e dvd a contenuto hard-core, ha acceso infuocati dibattiti. I responsabili del portale si sono giustificati adducendo una profonda crisi finanziaria, che vedeva il taglio di tremila posti di lavoro. Inizialmente sembrava che la sezione hard del portale sarebbe stata immediatamente chiusa, ma con il passare dei giorni ci sono stati molti tentennamenti. La società sarebbe ancora indecisa se chiudere completamente le chat room e i club per soli adulti, ospitate nei suoi popolari forum on-line. Secondo Jackson Holtz, portavoce della società, quella di un mese fa era sì una promessa, ma senza scadenze ferree: non vi sarebbe insomma un termine ultimo per la decisione, e il portale valuterebbe il comportamento da tenere verso le chat room caso per caso. “E’ un processo in via di valutazione”, ha spiegato Holtz al New York Times, “e la compagnia non ha ancora preso decisioni, né in un senso né in un altro”90. Le motivazioni sono state varie, prima fra tutte il fatto che su Yahoo sono arrivate tantissime e-mail che chiedevano a gran voce la riapertura di quella particolare zona. La posizione della compagnia che gestisce il portale sottolinea come chi non desidera accedere alla zona a luci rosse non è costretto a farlo e i minori vengono tutelati esplicitando che si tratta di materiale vietato ai minori di diciotto anni. Un buon modo per suscitare in loro interesse. 3.10. Rete, pornografia minorile e legislazione Al secondo Congresso mondiale contro lo sfruttamento dei minori, tenutosi a Yokohama, in Giappone, in dicembre 2001, è emerso che la pornografia sulla Rete ha subito un’impennata rispetto ai dati emersi all’ultima conferenza sullo sfruttamento sessuale dei minori tenuta a Stoccolma nel 1996. Emblematico il caso del sito con sede a Mosca, individuato da Telefono Arcobaleno. Per rendersi conto della gravità di questo caso basta sapere che nel sito c’erano “2.100 foto di bambine tra i 4 e i 9 anni (di cui 300 incesti), 2.300 foto di bambine tra i 9 e i 15 anni (di cui 600 incesti), 2.700 foto di teenager tra i 16 e i 17 anni, 650 foto di ragazzini tra i 5 e i 14 anni in atti sessuali tra loro e con adulti, 370 foto di bambine in atti sessuali con animali, 11.000 immagini soft di bambine tra i 5 e i 17 anni, 1.400 foto soft di bambini tra i 5 e i 16 anni, 350 video di bambine tra i 5 e i 12 anni, 800 video di teenager, 2.000 racconti pedofili e incestuosi”91. L’aumento delle immagini di piccoli italiani in rete è dovuto ai meccanismi delle chat. Per poter entrare nei siti pedofili è necessario offrire in cambio foto nuove. Il barat90 91 “Valanga di lettere a Yahoo, Ridateci le vetrine porno”, 16 maggio 2001, www.repubblica.it A. Usai , “5 mila foto di pornografia pedofila”, La Repubblica, 11 gennaio 1999, www.repubblica.it 90 to si misura in kilobyte. Il mese scorso la polizia delle comunicazioni di Milano, guidata da Filippo Ninni, ha arrestato un infermiere che abusava del figlio di una collega. La madre lo lasciava all’amico quando doveva fare le notti e lui ne approfittava. Sette foto del bambino erano state già inviate a un server tedesco quando la polizia è intervenuta su segnalazione dei colleghi di Berlino92. Molto importante è la decisione del Consiglio d’Europa, datata 29 maggio 2000, che riguarda la lotta contro la pornografia minorile su Internet. L’obiettivo è di combattere la produzione e la diffusione di materiale pornografico con minori. Gli stati membri devono chiedere la collaborazione di chi utilizza Internet, affinché comunichino alle autorità l’individuazione di materiale sospetto. Gli Stati membri devono inoltre, impegnarsi ad assicurare la più rapida azione di eliminazione della circolazione del materiale pornografico infantile, e dei reati di pornografia infantile su internet, a tutela del minore. Prevista infine la possibilità per gli Stati membri di collaborare con l’Europol, esaminano la possibilità di organizzare riunioni periodiche tra le competenti autorità specializzate nella lotta contro la pornografia infantile su Internet, al fine di promuovere lo scambio di informazioni di carattere generale, l’analisi della situazione e il coordinamento. La legge 269/98, colpisce tre diversi tipi di reato: • lo sfruttamento di minori di età inferiore ai 18 anni al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico; • la commercializzazione del suddetto materiale pornografico; • la diffusione del materiale pornografico, in particolare chi distribuisce, divulga o pubblicizza con ogni mezzo, anche attraverso Internet, materiale pornografico realizzato con l’impiego di minori , chi distribuisce notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni 18. Nella fattispecie viene considerato il “reato telematico”. Commette tale reato anche chi cede, gratuitamente, materiale pornografico prodotto sfruttando sessualmente minori di 18 anni. Nel primo e nel secondo caso la pena prevede la reclusione da sei a dodici anni e una multa da 25.000 a 250.000 Euro. Punita con la reclusione da 1 a 5 anni e multa da 2.500 a 50.000 Euro la diffusione, infine pena più lieve da 15 giorni a tre anni e multa da 1.500 a 5.000 Euro per chi cede gratuitamente materiale pornografico con minori. Quest’ultimo aspetto della legge è stato utilizzato da Giambattista Gallus, avvocato difensore di A.F., un tecnico informatico accusato di divulgazione e pubblicazione di materiale pornografico, di modificare l’accusa. Clamorosamente l’avvocato ha sostenuto che, essendo avvenuto lo scambio di fotografie attraverso la chat e non tramite un sito pubblico, si poteva considerare uno scambio privato, e quindi punibile con pene molto più lievi rispetto alla divulgazione. Si era appena riusciti ad individuare una nuova specie di reato, commesso attraverso l’utilizzo di Internet e in un attimo ci si trova imbrigliati nei meccanismi della Rete. E’ necessario, comunque, muoversi con cautela, per non cadere in un atteggiamento pregiudizialmente negativo e persecutorio, che vede nella Rete un mostro divora bambini e in ogni persona, un potenziale pedofilo. E’ accaduto ad una giovane coppia inglese, colpevole di aver fotografato la propria figlia nuda, al mare, e accusata di sospetta pedo- 92 M. Lillo, “Bambina mia, ti porto nella Rete”, L’Espresso, 9 maggio 2001, www.espresso.it 91 filia. Solo dopo aver verificato che la bimba ripresa era effettivamente la loro figlia, sono stati rilasciati. La lotta contro la pedofila e la tutela dei minori è di fondamentale importanza, ma trattandosi di un problema così delicato, bisogna muoversi mantenendo lucidità. Internet, non è un mezzo di diffusione della pornografia (lo può “anche” essere), è un preziosissimo strumento sia per la Polizia per combattere la pedofilia, sia per i ragazzi che, con l’aiuto degli adulti, possono scoprire un mondo inesauribile di conoscenza, senza limiti spazio temporali. La realtà evidenziata dimostra come il prolificare di siti che offrono “escort”, di varia età, non può essere sottovalutata, sia per il numero di contatti sia per la quantità di denaro che ruota intorno a questo commercio. La legge 269 ha acceso un dibattito che, soprattutto attraverso i media, ha visto crescere l’allarme nei confronti di Internet. Molti periodici hanno utilizzato titoli allarmistici, come “Internet in manette”, aumentando il coro di proteste, soprattutto da parte delle famiglie, per maggiori controlli su quello che passa nella Rete. Questa protesta rimane però fine a se stessa se non supportata da una visione realistica della situazione. Purtroppo, come rivelano i dati del Censis, la maggior parte degli abusi verso i minori, avviene ancora all’interno della famiglia e in ambienti vicini (scuola, palestra, parrocchia). In secondo luogo sono proprio le famiglie a dover attuare un controllo, navigando con i propri figli e dotando il proprio computer di appositi filtri. Il minore va avvicinato alla nuova tecnologia, strumento meraviglioso e finestra aperta sul mondo, proteggendolo dalle insidie della Rete. La necessità di impedire lo sfruttamento della prostituzione, impone di alzare il velo sopra un mondo dai confini incerti, nel quale la possibilità di controllo è davvero difficile. Sia per il prolificare quasi giornaliero di siti che vanno ad ingrossare le fila del mercato del sesso sia per la non controllabilità di un mezzo in cui chiunque può, se lo desidera, aprire un proprio sito. Risulta, infatti, inattuabile pretendere, come previsto dalla 269, che i provider controllino tutto il materiale che passa attraverso i propri server, con una funzione di controllo e di censura dei contenuti. Convince molto di più la proposta fatta dagli stessi Internet provider di registrare i propri abbonati, per poter così risalire al chi compie azioni illegali. Internet necessità quindi di una regolamentazione, che non limiti la libertà di chi naviga ma che non lasci spazio all’anonimato, mezzo privilegiato di non punibilità, evidenziando la responsabilità individuale. Ognuno deve rendersi responsabile delle proprie azioni e delle parole che utilizza, anche quando chatta con un nome di fantasia. Un conto è giocare con un’altra identità, un altro è credere che viga la regola del tutto è permesso. Internet ha bisogno di un quadro normativo di riferimento. E’ importante rendere noto a chi naviga che esistono delle regole che vanno rispettate e che la Rete si impegna a non dare spazio a chi compie turpi delitti contro i suoi simili. Nello stesso tempo è importante tutelare la privacy, in modo che inconsapevoli navigatori non si trovino sommersi di materiale non richiesto e che le tracce lasciate nella navigazione non vengano utilizzate dagli interessi commerciali altrui. Come si vede il problema è complesso e necessita di una prospettiva che tenga conto di tutte le variabili in gioco, trovando una posizione di equilibrio. Sicuramente emerge la necessità di una legislazione a livello internazionale che regolamenti l’utilizzo della Rete, senza che questa implichi una censura per chi naviga. Chi va davvero tutelato è chi finisce tra le maglie della Rete forzatamente, chi viene obbligato a prostituirsi sulla strada o sul web, soprattutto se si tratta di un minore. 92 Capitolo quarto Prostituzione e violenza ai minori di Enzo Kermol e Alessia Vicariotto Abbiamo una consapevolezza. Quella che può essere chiamata “pedofilia” non è solo un fatto o un comportamento, ma piuttosto un complesso di eventi fra loro intrecciati, dalle molteplici radici e coinvolgente molti aspetti della società italiana e mondiale. Le domande che ci poniamo riguardavano le motivazioni del fenomeno: perché la pedofilia? Come mai non vi è solamente la perversione individuale che porta a compiere un abuso sessuale sui minori, ma vi è anche la pedofilia di “gruppo”, di massa, l’industria, il mercato della pornografia minorile e il turismo sessuale; cosa si sta facendo per risolvere il problema; basta agire sul singolo pedofilo o è necessario un impegno su vasti fronti; quando finisce la responsabilità del singolo pedofilo e inizia quella della società? “La storia dell’umanità è costellata da forme e da episodi di violenza e sopraffazione nei confronti dei bambini. Questi ultimi hanno, infatti, rappresentato, per lungo tempo una categoria non protetta dalle leggi e sono stati sottoposti ad abusi e violenze, attraverso la brutalità delle punizioni, la segregazione in istituzioni repressive, lo sfruttamento lavorativo”.93 Dunque più vasto risulta l’aspetto delle sopraffazioni che hanno per oggetto i minori. Lo sfruttamento sessuale ne rappresenta un quadro particolare. 4.1. L’entità del fenomeno pedofilia: fra statistica e mass-media Per descrivere il fenomeno della pedofilia negli aspetti qualitativi e quantitativi abbiamo raccolto informazioni dalle istituzioni che lavorano per combatterlo e dalla cronaca su carta stampata che ne riporta le vicende. L’Agenzia ANSA, il 12 maggio 1998, ha trasmesso in Internet la notizia che durante un congresso scientifico a Bruxelles Carine Hutsebaut94, indicava l’esistenza in Europa di 480.000 pedofili. In media, nel corso della loro vita compirebbero ciascuno un centinaio di atti di pedofilia e il 20% delle loro vittime sarebbero a rischio di diventare a loro volta pedofili95. I dati inerenti l’entità del fenomeno della pedofilia in Italia, la diffusione e le caratteristiche, sono stati forniti dalle istituzioni investite del compito di studiare e combattere il fenomeno. Il Ministero dell’Interno, in particolare la Direzione Centrale della Polizia Criminale, Servizio Anticrimine, per i dati inerenti le denunce di violenza carnale e sessuale a danno di minorenni e il Ministero di Grazia e Giustizia relativamente alle condanne per violenza carnale, incesto e violenza sessuale a danno di minorenni. Ulteriori elementi sono stati forniti dagli operatori dell’Ufficio Minori della Questura di Vicenza. 93 T. Bandini, B. Gualco, Infanzia e abuso sessuale, Giuffrè, Milano, 2000, pag. XI. Si segnala questo testo per la completezza nell’analisi del fenomeno. 94 C. Hutsebaut, Kinderen houden niet van krokodillen: pedoseksueel misbruik en kindermoord, Epo, Berchem,1997. 95 http://www.yahoo.it/notizie/980512/esteri/894979740-1477001231.html 93 Il Ministero di Grazia e Giustizia ha procurato un elaborato dell’Ufficio centrale per la Giustizia minorile sull’abuso e violenza ai danni di minori che descrive la situazione italiana del fenomeno e gli interventi esistenti a livello istituzionale. Il grafico che presentiamo è stato elaborato utilizzando i dati forniti dalla Direzione Centrale della polizia Criminale, Servizio Anticrimine, Prima Divisione, sulla base dei rilevamenti I.S.T.A.T. Va specificato che la legge 15 febbraio 1996, n.66 ha apportato modifiche alla fattispecie della “violenza carnale”. La previsione normativa attuale (art. 609 bis del c.p.: violenza sessuale) comprende anche condotte delittuose che precedentemente non erano oggetto della presente rilevazione statistica, da qui la parziale ragione dell’incremento numerico del fenomeno dal 1996 in poi. Il grafico che segue rappresenta l’andamento negli anni 1987/1999 dei delitti denunciati di violenza carnale/sessuale nei quali sono rimasti vittime minori di anni 14. Delitti denunciati di violenza carnale/violenza sessuale nei quali sono rimaste vittime minori di anni 14 - Anni 1987/1999 1000 500 235 232 173 132 135 197 186 156 205 305 470 586 511 delitti 0 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Negli ultimi quattro anni le denunce sono aumentate di oltre il 90%. Nel “Primo rapporto sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza in Italia” a cura dell’Eurispes emerge che 2 bambini al giorno sono oggetto di abuso sessuale. Altre stime ufficiali affermano che sono 1000 i processi svolti nel 1999 su casi di minori abusati e maltrattati (35% avevano meno di tre anni). Le stime parlano di circa 21.000 casi di pedofilia in un anno in Italia. Il 60/70% degli abusi sessuali avvengono entro le mura domestiche. Pare che l’Italia sia il primo tra i paesi europei per abusi all’infanzia e per scarsità di denunce rispetto ai crimini attuati. I numeri danno un quadro drammatico del fenomeno. Don Fortunato Di Noto, fondatore di “Telefono Arcobaleno”96, denuncia l’esistenza di oltre 20.000 pedofili che agiscono in Italia, un caso ogni 400 minori, ogni 4 scuole e ogni 500 famiglie. Secondo “Telefono Arcobaleno” vi sono circa 50.000 siti pedofili in tutto il mondo e ne nascono in media 3.000 ogni mese. L’epicentro della “pedofilia in rete” si trova negli Stati Uniti, che ospitano il 55% dei “server provider” con immagini pedofile. Seguono nell’ordine il Giappone (20%), i paesi dell’Est (13%) e quelli europei. Minore la presenza nei paesi mediorientali (5%). Sono 40.000 le chat-room per pedofili, le immagini che circolano in rete sono circa 12 milioni mentre le video-cassette e i cd-rom sono 25 milioni. Il prezzo delle fotografie in rete va dai 30 ai 100 dollari per quelle più rare (sadomaso, violenza, rapporto con animali). I bambini coinvolti sono circa 2 milioni e mezzo, con un età che va dai 10 giorni fino ai 12 anni. Esiste anche “Radio Pedophilia”, “un’università pedofila on-line”, come mezzo di scambio di ricerche e materiale fotografico sui bambini. 96 Sito del “Telefono Arcobaleno”: www.telarcobaleno.com 94 4.2. La cronaca italiana Nell’analisi dei quotidiani97 sono stati ricercati esclusivamente episodi di violenza sessuale, incesto, atti di libidine rivolti ai minori. Il Corriere della Sera98 funge da “termometro” della situazione. Il numero degli articoli di cronaca relativi alle violenze sessuali a danno di minori aumentavano di anno in anno e se nel 1988 il giornale riportava 32 articoli nel 1997 erano ben 208. Sono individuate, negli articoli esaminati, in base al soggetto che ha commesso il comportamento pedofilo, tre diverse categorie di violenza sessuale a danno di minori: intrafamiliare, extrafamiliare e il cosiddetto “mercato della pedofilia”. 4.2.1. Intrafamiliare Il comportamento pedofilo viene esercitato dai membri della famiglia nucleare, ossia padre, madre, conviventi, fratelli, patrigni o da membri della famiglia allargata come nonni, zii, cugini. Dalla lettura dei fatti di cronaca emerge che il fenomeno dell’abuso all’interno del nucleo familiare, sia che coinvolga i genitori che altri parenti prossimi, è il tipo di abuso più frequente e che rimane nascosto e che non viene denunciato per più tempo. Oltre ad episodi di incesto emerge la figura del padre-seduttivo, che quasi “ama” la figlia e “pretende di amarla anche sessualmente”99. La figlia si antepone alla madre e diventa oggetto dei desideri più intimi del padre. “L’ho fatto perché ero innamorato di lei”. V. D., un manovale quarantenne di Lissone, si è “giustificato” così quando ha ammesso davanti al giudice di aver violentato la figlia per più di dieci anni. “Il mio non era semplicemente desiderio di sesso” ha raccontato “Ho una moglie e più di un’amante, ma per mia figlia avevo perso la testa”. Passano dieci anni e poi, la confidenza fatta ad un’amica, il tema a scuola che lascia trasparire qualche sintomo di disagio, l’arrivo del fidanzato, nell’età adolescenziale, che magari pretende anche lui l’attenzione sessuale della ragazza fanno “scoppiare” la verità. “Scoppiare”, perché la denuncia solitamente provoca una situazione di crisi e di sconvolgimento nella famiglia che talvolta porta a compiere gli atti più estremi. Ne è un esempio il fatto successo a Teramo nel 1994. Il padre violenta per nove anni la figlia minorenne, la quale, un giorno, dopo un paio d’anni dall’inizio della violenza, si confida con la madre. Questa ne parla con il marito e viene accoltellata. Passano ancora degli anni di abusi per la figlia che, quando rimane incinta del padre, lo denuncia per tutto ciò che ha commesso. La madre nella relazione incestuosa, sia che avvenga tra il vero padre o tra il convivente e la figlia, può accadere che mantenga un atteggiamento di omertà. Da una parte si può pensare all’intenso legame che la lega al marito o al convivente, del quale non vorrebbe essere privata. Perciò, mantenendo il suo ruolo di moglie, rinuncia a qualsiasi denuncia verso il marito, svaluta le affermazioni della figlia e addirittura può fingere di 97 Abbiamo raccolto le notizie rappresentative del fenomeno della pedofilia in Italia, scelte tra gli articoli del Corriere della Sera dal 1988 al 2000, da settimanali, come Panorama, L’Espresso, ed altri quotidiani reperiti in Internet, su microfilm, CD-ROM e raccolte a stampa. 98 Ricordiamo che la banca dati on-line del Corriere della Sera è la più completa e offre l’interfaccia utente più ergonomica nel panorama della stampa italiana, www.corriere.com. 99 M. Fumagalli, “L’intimità proibita”, Corriere della Sera , 8 maggio 1992. 95 non vedere nulla. Spesso si instaura una sorta di complicità nell’abuso con il marito. La madre può concordare con il marito l’offerta dei figli ad amici, in cambio di denaro. Tale scambio è avvenuto a Rho, periferia di Milano, dove nel marzo del 1997, due genitori trentenni costringevano il figlio sedicenne a prostituirsi a casa di amici. I due genitori sono stati accusati di maltrattamento di minore e di sfruttamento della prostituzione100. La madre stessa può promuovere l’“offerta” dei propri figli, com’è accaduto a Milano, quando, durante lo stesso anno, una madre di 22 anni vendeva i suoi due figli di 4 e 7 anni a due amici, due amiche e a sei extra-comunitari. Può accadere inoltre, come riscontrato nella cronaca degli ultimi anni, che entrambi i genitori abusino dei figli. Così, solitamente nell’ambito di una situazione familiare già precaria, in cui povertà economica e abitativa e ristrettezza culturale sono aggravate dal maltrattamento dei figli, si insinua con facilità anche l’abuso sessuale. Fece scalpore l'omicidio di Cristina, bambina di sette anni di Balsorano (L'Aquila) il 24 agosto 1990. Dell’omicidio, conseguente ad un atto di libidine è stato accusato lo zio101. 4.2.2. Extrafamiliare Il comportamento pedofilo viene esercitato da persone conosciute dal minore (vicini di casa, coetanei, amici di famiglia) e alle volte da persone che esercitano incarichi istituzionali, come nel caso di insegnanti, allenatori, bidelli, medici, infermieri, cioè tutti coloro ai cui vengono affidati i minori durante il giorno per le attività inerenti l’istruzione, la cura, lo sport, il tempo libero all’interno delle diverse organizzazioni pubbliche e private. Fra le figure che appaiono citate negli articoli vi sono anche ruoli di recente introduzione nel panorama italiano, come i baby-sitter. Nel marzo del 1997, un baby-sitter milanese fu condannato a otto anni di reclusione per atti sessuali con tre minorenni, per “pedofilia”, come scrive il giornale. Il baby-sitter di 23 anni induceva i bambini a compiere o a subire atti sessuali nell’ambito di un gioco progressivo che dal livello “Spinto”, passando per “Cuore”, “Amore”, “Sesso” e “Diablo” arrivava fino a “Lucifero”102. 4.2.3. Lo “sfruttamento” della pedofilia Per quanto riguarda gli abusi commessi dalle persone sconosciute al minore, da sole o in gruppi, dalle persone appartenenti ad istituzioni vicine al minore ovvero a gruppi che si occupano di pornografia e prostituzione minorile, in Italia possiamo suddividere il fenomeno in quattro gruppi diversi: gli episodi isolati, il “mercato dei favori”, i club internazionali, il racket internazionale dedito al traffico. 4.2.3.1. Gli episodi isolati A Trieste, nel novembre del 1997 fu arrestato Sergio Cerkvenic, 33 anni, impiegato. L’uomo, nell’arco di dieci anni aveva commesso centinaia di abusi sessuali su centinaia 100 S. Santambrogio, “Costretto a festini erotici dai genitori”, il Corriere della Sera, 26 marzo 1997. “Balsorano: sarà processato lo zio di Cristina. Il giudice lo accusa di aver ucciso la bambina”, il Corriere della Sera, 22 novembre 1990, pag. 40. 102 R.C., “Condannato a 8 anni il babysitter pedofilo. Abusò di 3 bambini”, il Corriere della Sera, 26 marzo 1997. 101 96 di ragazzini di almeno dieci anni. Gli abusi erano stati registrati su cinque agende. Egli adescava i bambini nel suo rione residenziale, in località di vacanza o nelle sale giochi. Una volta portati nella propria abitazione li induceva a rapporti carnali, magari dopo la visione di film pornografici. Il pedofilo viveva in solitudine. Nell’adolescenza, alla stessa età delle sue vittime, era stato abusato dal padre. Con le donne aveva avuto solo qualche tentativo a vuoto. Quando fu arrestato dichiarò di non riuscire a trattenersi dal cercare bambini e ammise che l’avrebbe potuto fare ancora una volta lasciato libero103. 4.2.3.2. Il mercato dei favori Nel maggio del 1998 viene riportato sul quotidiano la scoperta dell’esistenza a Campobello di Mazzara, in provincia di Trapani, di un “mercato dei favori”, ossia di un “passa parola” fra 31 uomini tra i 15 e i 70 anni, tutti residenti nel paese o nelle vicinanze. Gli uomini negli ultimi anni avevano indetto una specie di “gara” all’abuso sessuale ai danni di dieci ragazzini fra gli 8 e i 12 anni, alcuni dei quali erano i nipoti. Gli uomini, avvicinati dal comune interesse verso i minori, si aiutavano nel trovare e nel mantenere la disponibilità delle vittime, nel trovare i luoghi riservati in cui procedere all’abuso e nel mantenere anche il “muro di omertà” che in paese si era costituito nei confronti di queste vicende. Il gruppo non aveva alcun interesse economico e aveva un raggio di azione locale104. Un’altra rete di pedofilia locale è quella individuata a Roma nel maggio del 2001 dai carabinieri nell’ambito “dell’operazione Gerione105”. Sono state arrestate sei persone accusate di aver violentato circa 91 ragazzi, tra bambini e adolescenti e di averne indotto altrettanti alla prostituzione. Tra gli arrestati la storia di Roberto Marino, 37 anni, dipendente del Provveditorato agli studi, viene raccontata da più parti sui quotidiani. Marino è stato chiamato “pedofilo modello”, “capo banda”, “mostro” e il “Lupo”, come lui si definiva. Nel suo computer i Carabinieri hanno trovato un “archivio storico di informazioni confidenziali su soggetti in fase di studio” con schede di minori dai 9 ai 17 anni che aveva conosciuto e con i quali aveva realizzato o tentava di realizzare l’incontro pedofilo. Oltre ai dati anagrafici Marino raccoglieva informazioni sui desideri e le paure dei minori, il tutto allo scopo di realizzare al meglio l’adescamento. Marino agiva per sé, ma era anche in parte ideologo del “Fronte Liberazione pedofilo”, poiché nel suo computer sono state trovate dissertazioni rispetto ai possibili attacchi dimostrativi contro le persone e le associazioni impegnate a combattere la Pedofilia. Quale il motivo di tutta l’innocenza violata? Marino restituisce nel suo racconto l’orrore della sua infanzia violata, dentro le mura di un collegio a cui era stato affidato. Da allora una vita sessuale da omossessuale, disturbata dai desideri e dai sensi di colpa, che mascherava col bere e con l’abuso di psicofarmaci. Nel lavoro in Polizia un fallimento: il Ministero dell’Interno nel 1997 lo depenna dal ruolo perché lo “stato ansioso depressivo” gli impediva di gestire qualsiasi attività nell’ambito della pubblica sicurezza, tanto meno la detenzione della pistola. Nella sua esistenza anche tanto desiderio verso i ragazzini dei quali scriveva: “cinesino” che “voglio far diventare talmente femmina per non farmelo portar via da una 103 R. Novelli, “Il pedofilo confessa: non posso smettere”, il Corriere della Sera, 23 novembre 1997, pag. 15. 104 L. Spanò, “Gara tra pedofili in paese”, La Repubblica, 6 maggio 1998, pag. 20. 105 Fra le tante citazioni indichiamo quella del Quotidiano del 22 maggio 2001, disponibile sul sito del giornale, www.quotidiano.net. 97 ragazzina”, oppure “L’amico di Carmelo, che ormai è diventato una bomba, troppo macho e troppo zoccola…”. 4.2.3.3. I club internazionali Nel secondo semestre del 1993 furono scoperti numerosi appartenenti ad un gruppo di pedofili, il “Gruppo P”, l’associazione di pedofili bloccata con l’arresto di 13 persone, il sequestro di centinaia di cassette pornografiche con protagonisti bambini dai 5 ai 14 anni e l’individuazione di altri 47 affiliati in Italia e 58 sparsi per il mondo106. L’associazione era nata a Milano nel 1989 e veniva definita dai fondatori come “associazione senza fini di lucro, per lo studio della relazione affettiva fra l’adulto e il bambino”. In realtà il “Gruppo P” era un’associazione a delinquere finalizzata all’abuso sessuale e al traffico di minori. Era una ragnatela formata da pedofili che condividevano un “interesse” verso il minore stringendo contatti internazionali, scambiandosi per lettera, per telefono o di persona, opinioni, esperienze e consigli circa i posti da frequentare per i migliori agganci, magari anche più economici. I pedofili agivano anche a livello locale avvicinando i bambini all’uscita di scuole, oratori e luna park, proponendo passeggiate, gite e, alla fine, l’incontro vero e proprio. “Gruppo P” aveva anche il suo periodico, il “Corriere dei pedofili”, a cui venivano allegate copie della rivista americana del “Nambla”, definita “l’associazione per l’amore tra uomini e ragazzi”. La cronaca più recente ha individuato il termine “club internazionali” per indicare l’associazionismo pedofilo descritto. Si considerarono appartenenti ad uno di questi club i tre pedofili italiani arrestati nel settembre 1998. Il coinvolgimento delle Forze dell’ordine di 21 paesi (13 di questi europei) in un’operazione antipedofili denominata “operazione Cattedrale”, ha portato al fermo di 180 persone in tutto il mondo, il sequestro di 100.000 foto, 30 computer, 8 hardisk, 2600 floppy disk, 440 videocassette. Il club chiamato “Wonderland”, che era nato ed esisteva in Internet, richiedeva particolari requisiti per farvi parte. Per prima cosa ci si doveva fare presentare da un altro socio, poiché era molto importante il rispetto delle gerarchie interne. In sostanza, il primo in un paese che era entrato a far parte di questo club, manteneva una posizione di leader, accompagnando eventuali altri soci. Chi appunto avesse voluto diventare socio, doveva necessariamente avere con sé un book di almeno 10.000 foto con bambini, non in pose snaf, quindi in pose sadomaso o seviziati. Fu a causa di questo requisito che i tre italiani arrestati avevano scattato foto di bambini in luoghi pubblici, alla loro insaputa. I pedofili entravano in Internet attraverso il programma I.R.C. (Internet Relay Chat). Per proseguire la navigazione il computer richiedeva una chiave di accesso a 4 canali: Pizza, Ourplace, Wonderland e Dungeon. Oltre alla chiave ogni socio possedeva un soprannome o nickname107. 106 P.M. Fasanotti, “Allarme bambini”, Panorama, 1 agosto 1993. C. Chianura, “Il paese delle meraviglie: lo sporco business miliardario” e A. Tarquini, “Bliz mondiale antipedofili”, La Repubblica, 3 settembre 1998; Bufi F. “Due italiani tra i pedofili via internet”, Corriere della Sera, 3 settembre 1998; E. Pedemonte, “Internet in manette!”, L’Espresso, 17 settembre 1998. 107 98 4.2.3.4. Il racket internazionale Oltre le manifestazioni pedofile a livello locale esiste un racket internazionale che alimenta il mercato della pedofilia, mercato caratterizzato da “offerta” e “domanda” di “prodotti” che soddisfano il desiderio pedofilo. La pornografia minorile, il turismo sessuale, la prostituzione minorile sono i prodotti del mercato, che con la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico, ha sempre più possibilità di ampliarsi. Secondo stime recenti ogni anno nel mondo circolano 280 milioni di video pornografici con minori, di cui 20 milioni solo negli Stati Uniti. Negli stessi USA, già alla fine degli anni ‘70 furono censite ben 260 riviste che si occupavano di pornografia infantile. De Martino108 riporta che era hardcore il 75% delle videocassette vendute nell’anno dell’introduzione dei videoregistratori Vhs. Nel 1996 il numero di video porno noleggiati negli USA ha raggiunto quota 666 milioni, mentre sono stati prodotti 8.000 nuovi titoli. Nello stesso anno circa 12.000 miliardi, molto più di quanto incassa Hollywood, sono finiti nelle tasche dei produttori di porno distribuito nelle case attraverso le nuove tecnologie. Nel 1998 si è previsto per i siti Internet porno un introito di 1.700 miliardi. Il 40% degli adulti collegati in Internet visita regolarmente i siti del sesso. Sempre secondo De Martino “La maggior parte del materiale di pornografia infantile che si trova oggi in circolazione viene prodotto in paesi del Terzo Mondo, dove i bambini per motivi sociali ed economici diventano facilmente oggetto di sfruttamento sessuale”. Il turismo sessuale infantile alimenta un business di 5.000 miliardi di dollari l’anno. “Questa forma di sistematico sfruttamento – sostiene la Karlén109 – risale ai tempi della guerra del Vietnam e ai cosiddetti viaggi di relax, spesso con destinazione Thailandia, concessi alle truppe americane. E’ a partire da allora che si è sviluppata l’industria sessuale infantile nel Sud Est Asiatico, in particolare in Thailandia, nelle Filippine, nello Sri Lanka e a Taiwan”. Stancanelli110 riporta che in paesi come l’Indonesia, la Malesia, le Filippine e la Thailandia, il mercato della prostituzione recluta dallo 0,25 all’1,5 % dell’intera popolazione femminile ed incide sul prodotto nazionale lordo in percentuali che vanno dal 2 al 14 %. La diffusione del sesso a pagamento, che in Indonesia per esempio, fattura dal miliardo di dollari ai tre miliardi e mezzo all’anno, è stata favorita dall’indulgenza nei confronti di questo “tipo di sesso” da parte dei governi locali che vedevano di buon occhio l’arrivo dei turisti attirati dall’idea di soggiornare in “paradisi erotici”. Usa, Germania, Giappone e Italia sono i paesi con il maggior numero di turisti. Anche culturalmente l’Italia ammette determinati “vizietti”. E’ del 15 ottobre 1997 la notizia del ritiro da parte dell’editore della Casa editrice De Agostini della guida sulla Thailandia che forniva alcune indicazioni per soddisfare vantaggiosamente, anche economicamente e, per più tempo possibile, il desiderio di incontrare ragazzine. L’editore comunque si scusava perché la guida era stata acquistata dall’editore inglese “Sun Tree Publishing”. L’Italia è coinvolta nel traffico internazionale di minori destinati al mercato della pedofilia. Nel novembre del 1997 fu arrestata all’aeroporto di Fiumicino una cambogiana con il passaporto olandese falso che tentava di entrare in Italia accompagnata da due bambine orientali minori di 10 anni. Un anno prima, al “Leonardo da Vinci”, fu blocca108 M. De Martino, “Porn in USA”, Panorama, 13 febbraio 1997, pag. 24-25. H. Karlén, “Il commercio sessuale dei bambini”, ASPE, 2 novembre 1995, pag. 4-5. 110 B. Stancanelli, “Quando l’economia va a p…”, Panorama, 10 settembre 1998, pag. 81-82. 109 99 to il cambogiano Cao Leng Huot con quattro bambini, non figli suoi, il cui nome falso era uguale a quello delle bambine successivamente fermate. Egli possedeva un campionario di foto di minorenni, un’agenda che ha portato alla cattura di cinque persone cinesi e cambogiane da parte della gendarmeria francese. La polizia italiana, da parte sua, ha individuato l’esponente della Triade di Singapore, la mafia cinese, e ha messo a fuoco i canali del mercato dei minori: vengono comprati per pochi soldi dagli stessi genitori nella Cina del sud e poi rivenduti in Francia, Germania, Stati Uniti e Italia111. Internet è diventato l’ambito di comunicazione e confronto fra pedofili e veicolo di traffico di materiale pedo-pornografico. Sono più le foto che i dialoghi. Alle foto vengono allegate delle didascalie: sotto l’immagine di Sabine mentre in lacrime riabbraccia i familiari dopo essere stata rinchiusa in casa di Marc Dutroux, c’era la didascalia “Ecco la giovane pornostar Sabine al termine del suo show”112. “Telefono Arcobaleno”, nel maggio del 2001, ha denunciato un colossale traffico pedo-pornografico, denominato “Pedoworld” che coinvolgeva 10.000 bambini, con circa 2 milioni di immagini, che comparivano in 78 siti Internet, tutti a pagamento, e con uno stimato giro di affari di oltre un miliardo di lire l’anno. Alcuni siti, che raggiungevano i 5.000 iscritti, erano intestati ad italiani, ed alcune immagini erano scattate da fotografi del Piemonte e della Lombardia. I bambini avevano un’età compresa fra i 2 ed i 14 anni e venivano coinvolti in attività sessuali anche con animali. L’organizzazione criminale aveva prodotto una catalogazione suddivisa per genere: filone pedo-gay, sadico con torture, artistico con sole foto di nudo e racconti di esperienze pedofile113. Prima di questo caso vi furono dei precedenti che coinvolsero l’Europa e gli Stati Uniti. A Roma, nel marzo 1998, furono arrestate 7 persone denunciate per associazione a delinquere e detenzione per la distribuzione e la trasmissione via Internet di immagini oscene. Gli altri indagati in Italia furono una decina e una quarantina quelli in Europa. Gli italiani arrestati aveva un’età compresa fra i 31 e i 62 anni. Furono trovate 20.000 immagini oscene, se non efferate, che viaggiavano in Internet. Le immagini riproducevano bambini, anche di due anni di età, soprattutto di razza bianca ma anche orientali, ripresi durante rapporti con altri minorenni, con maggiorenni, con più persone e anche con animali. I carabinieri del nucleo operativo di Roma intercettarono messaggi del tipo: “Grazie per le fotografie, sto cercando informazioni per congiungermi con bambini in Europa, non in Cambogia, grazie”; “Sto cercando bambini tra i 2 e gli 11 anni di età, se qualcuno ha indirizzi, per favore fatemelo sapere”; “Mandatemi foto di incontri perversi con neonati e giovani maschietti”114. Nell’ottobre del 1995, a Manchester (Gran Bretagna), fu scoperta un’organizzazione di pedofili che si scambiavano foto di bambini via Internet. Nel dicembre dello stesso anno la società statunitense “Compuserve” sospese 200 gruppi privati che, attraverso l’accesso, diffusero documenti e immagini per pedofili. Nel maggio del 1996 a Parigi, i titolari di WorldNet e FranceNet, due delle più grandi società francesi di accesso ad Internet, furono condannati e posti in libertà vigilata per diffusione di materiale pornografico per pedofili. Nel luglio dello stesso anno, in California l’F.B.I. arrestò 13 pedofili per molestie sessuali via Internet ad una bambina di 10 111 F. Haver, “A Fiumicino era già stato preso un altro ladro di bambini”, Corriere della Sera, 17 novembre 1997, pag. 15. 112 “Tam-tam al computer: i poliziotti ci spiano”, Corriere della Sera, 18 maggio 1997, pag.14. 113 Pedofilia on line, i settantotto siti dell’orrore, notizia ANSA del 21 maggio 2001. 114 “Pedofilia su Internet, sette arresti”, Corriere della Sera, 25 marzo 1998, pag. 14. 100 anni. In ottobre invece la polizia spagnola scoprì a Barcellona un giro di pedofili che utilizzava Internet per trovare clienti. Nel maggio del 1997 a Rosenbein (Germania), fu arrestato uno studente che si procurava pornografia infantile sulla rete telematica. Inoltre una coppia fu arrestata per aver offerto, tramite la rete, bambini a sado-pedofili. Nella loro casa fu trovata una sala attrezzata per le torture: il loro “campionario” prevedeva anche l’assassinio115. In Italia, nel giugno del 1997 a Roma, fu scovato un traffico di videocassette pornografiche con minori. Nove professionisti, protetti dall’uso di un linguaggio in codice che riguardava un fittizio commercio di vino, usato come copertura, offrivano alcuni trailers a 200.000 lire. Se erano piaciuti il cliente richiamava e affermava che il “rosso di sei anni” era stato buono e che ne voleva un litro e mezzo. Si fissava un appuntamento e in una valigetta veniva consegnata la merce: un film di 90 minuti hard, con un bambino di sei anni come protagonista. Costo dalle 500.000 lire al milione. Chi voleva un film più soft ordinava del “vino bianco”. Quando il cliente desiderava solo foto si ordinavano “etichette”, vendute a 100.000 lire. Era attenta anche l’individuazione dei codici per capirsi. Se l’adolescente aveva 17 anni era indicato con il termine “aceto”, ossia un soggetto poco appetibile. L’indagine portò all’arresto di nove persone fra i 35 e i 60 anni per associazione a delinquere finalizzata alla produzione, alla registrazione e alla vendita al mercato clandestino di videocassette e foto raffiguranti incontri sessuali con minori. Furono sequestrati 500 nastri, di cui 176 erano a luci rosse con bambini tra i 6 e i 12 anni, di razza bianca, a parte alcuni con tratti asiatici116. Questo non fu l’unico caso. Nel gennaio del 1998 a Trapani, fu arrestato un allenatore di squadre giovanili di calcio accusato di violenze su decine di ragazzini tra gli 8 e i 13 anni, commesse tra il 1988 e il 1993, e filmate su video cassette vendute in tutto il mondo, in particolare in America Latina, nei Paesi dell’Est e in Lussemburgo. Fu proprio qui che vennero trovati i primi video, elencati in un catalogo, dove vi erano specificati quelli destinati all’Italia, perché gli attori minorenni avevano un accento siciliano. La casa dell’allenatore fu uno dei “set” in cui si giravano i film. La banca dati dei filmati hard sarebbe stata gestita da un’organizzazione internazionale che operava tra il Brasile e la Svizzera gestendo perfino una tratta di bambini che venivano dati in “affitto”. Si sospettava che centinaia di ninos de rua sarebbero finiti nelle mani dei mercanti. L’allenatore si difese così: “Ci sono pedofili buoni e pedofili cattivi. Qualora io fossi un pedofilo, sarei uno di quelli buoni”. Avrebbe spiegato che sono buoni i pedofili che non usano violenza con minorenni. E avrebbe aggiunto: “Io ho contribuito a far maturare i ragazzi nella coscienza del loro corpo”117. Per quanto riguarda il consumo dei video di pornografia infantile riportiamo l’ordinazione di un pedofilo svedese ripresa da Karlén118: “Vorrei un altro video, ma questa volta voglio roba più forte. Ho voglia di guardare qualcosa di completo, sa cosa intendo dire; e se avete il seguito di quelle scene con aghi, per favore mandatemele”. Il pedofilo aveva visto un film su una bambina, i cui genitali, presi a frustrate e riempiti di paraffina bollente, vengono poi “ricuciti” con degli aghi. I suoni del film, peraltro, erano quelli originali della ripresa. 115 “Su Internet ho visto violentare bambini”, Corriere della Sera, 18 maggio 1997, pag. 14. “La banda dei video-pedofili”, Corriere della Sera, 6 giugno 1997, pag. 17. 117 F. Nuccio, “Giro di pedofili tra gli aspiranti calciatori”, Corriere della Sera, 1 febbraio 1998, pag. 15. 118 H. Karlén, “Il commercio sessuale dei bambini”, ASPE, 2 novembre 1995, pag. 4-5. 116 101 Le persone indagate nei traffici sopra esposti sono commercianti, consulenti informatici, pediatri, network manager. Il fenomeno della pedofilia si presenta trasversale nella società italiana e non coinvolge perciò solo le classi ritenute storicamente degradate, più povere. 4.2.3.5 Prostituzione e pedofilia Secondo De Cataldo Neuburger119 la pedofilia non è un fenomeno nuovo. La prima traccia di contratto sessuale tra un adulto e prepubere si ritrova nella cultura dell’antica Grecia, dove rientrava in un “rapporto educativo”. La pratica, quando si diffuse nell’antica Roma, rientrò nella sfera sessuale e di dominio tra adulti e schiavi. In genere, a partire dal 1300, i Paesi maggiormente evoluti hanno effettuato una scelta politica, dettata da motivi pratico-demografici ed etico-religiosi, vietando i rapporti sessuali che non miravano alla riproduzione, indicando come perversi e immorali le attività sessuali con soggetti prepuberi, non capaci di riprodursi. Da allora la pedofilia è sempre stata considerata un atto deviante, contrario alle norme sociali120. La pedofilia, oltre ad esprimersi nel singolo comportamento pedofilo, è un mercato che ha ramificazioni in tutto il mondo e che appartiene al grande mercato del sesso, il cui giro di affari è superato solo dal traffico delle armi e da quello della droga. Vi sono pertanto dei pedofili organizzati in club internazionali, che sono “clienti” e allo stesso tempo “produttori” e “commercianti” di vario materiale pedofilo. La diffusione clandestina del materiale pare sia motivata più dall’esigenza di condividere materiale da utilizzare nella propria perversione che dal guadagno. I pedofili si scambino foto, video ed informazioni sui luoghi in cui si può esercitare la pedofilia, materiali e indicazioni derivati dalla propria esperienza. La cronaca ha offerto vari esempi di funzionamento dei club internazionali. Parallelamente a questo mercato “artigianale” esistono organizzazioni criminali che hanno organizzato una vera e propria industria in cui si producono e vendono differenti tipi di materiale pedofilo, dalla pornografia alla prostituzione, ai pacchetti di viaggi del sesso. Uno dei primi autori ad affrontare il problema dello sviluppo dell’industria del sesso fu O’Grady121 nel suo studio sullo sviluppo della prostituzione infantile legata al turismo sessuale in Asia. O’Grady ritiene che, a partire dalla guerra in Vietnam, si sia sviluppato un commercio di prostituzione nei paesi limitrofi. Questo fenomeno ha coinvolto turisti stranieri, bambini e donne del luogo, governi locali e ovviamente coloro che negli anni hanno “fiutato” la possibilità di creare in questi paesi dei “servizi” atti a trasformarli in “paradisi erotici”. Effettivamente il processo di globalizzazione della società e dell’economia ha fatto si che la domanda di servizi sessuali si traducesse, in particolari situazioni di degrado sociale, in un’offerta atta a soddisfarla. In alcuni paesi la rivoluzione industriale ed economica ha provocato un progressivo abbandono delle campagne con un’immigrazione interna verso le città, assolutamente incapaci di sopportare un flusso di così ampie dimensioni. Questa migrazione ha creato enormi bacini suburbani 119 L. De Cataldo Neuburger, La pedofilia, CEDAM, Padova, 1999. Vedi anche G. Cifaldi e D. Bosco, “La pedofilia: un approccio psicologico, sociologico e giuridico”, in Telematic Journal of Clinical Criminology, nel sito www.criminologia.org 121 R. O’Grady, Schiavi o bambini? Storie di prostituzione e turismo sessuale in Asia, Gruppo Abele, Torino, 1995. 120 102 di povertà, dove i sistemi relazionali classici sono completamente alterati. Si è provocata un’enorme frattura anomica dove, vivendo in maniera disumana, si è pronti a tutto per raggiungere il “mito” occidentale in poco tempo. In questo schema si sono inserite varie organizzazioni criminali che hanno reclutato i bambini per sfruttarli nel rapporto con il turista o nella produzione di pornografia. Vi sono agenzie di viaggio, rintracciabili in Internet o mascherate sotto coperture legali, che organizzano “vacanze” in questi paesi, sottoponendo ai turisti cataloghi con le offerte sessuali. Questa forma di sfruttamento, tollerata dai governi locali, determina la decimazione di intere generazioni, distrutte dal turismo sessuale, con grossi problemi di tossicodipendenza (la droga permette di sopportare le violenze) e con la diffusione di malattie gravissime, come l’epatite e l’Aids. Anche in Italia si sta diffondendo questo traffico. In Zanfrini e Valtolina122, si segnala la crescita del numero di minorenni stranieri condotti in Italia e avviati alla prostituzione sotto il controllo delle organizzazioni criminali. Un controllo che si realizza attraverso il pagamento di tangenti a mafia, camorra, ‘ndrangheta, jukuza, triadi cinesi e mafia russa, cecena o albanese. Il giro d’affari della prostituzione, nel 1995 era stimato in 14.000 miliardi, quello relativo alla pornografia su videocassetta supera i 20.000 miliardi. La prostituzione minorile in un triennio è cresciuta del 72%, e il suo volume d’affari si aggira da solo sui 5.000 miliardi. Le innovazioni tecniche infatti hanno contribuito a rendere appetibili e realistici i suoi prodotti pornografici che, grazie all’utilizzo di nuove tecnologie, come Internet, risultano più economici e “sicuri” rispetto ad un tempo. Il mercato si è avvicinato all’utenza nella privacy, nell’anonimato sia durante lo sfruttamento sessuale nel “paradiso erotico”, dove esistono strutture apposite, sia durante l’uso del materiale pornografico, che in Internet è protetto in siti blindati e anonimi. L’offerta del materiale si espande negli anni. Il mercato è arrivato ad offrire video pornografici che si concludono con la morte reale dei protagonisti (snuff-film). Come accade in altri settori, ad esempio in quelli che inducono al consumo di tabacco, alcool, sostanze stupefacenti, si creano – probabilmente grazie a finanziamenti occulti della varie “multinazionali del crimine” – forme di pseudoconsenso sociale. Accuratamente, o meno, come in questo caso, gestito nel settore della comunicazione. In questo modo si cerca di “giustificare” il prodotto e ridurre l’avversione sociale. Il tentativo appare estremamente scoperto e “povero” rispetto a quelli attuati per altri “prodotti” tossici o comportamenti antisociali. A dimostrazione delle strategie poste in atto riportiamo alcune tipologie di “falso” discorso sociale. Le due forme di intervento presenti sono, l’una sotto forma di vera e propria “cultura di conferma pedofila” e l’altra di valutazione della pedofilia come espressione di neosessualità. Esiste una vera e propria “cultura pedofila” che ogni tanto emerge attraverso i mezzi di comunicazione che permettono l’anonimato. Pensiamo alla lettera contenente l’identikit del pedofilo pubblicata su “D” di Repubblica123, oppure la lettera trovata in Internet nel dicembre del 1997, indirizzata ai bambini, “Perché non dovresti raccontare nulla”, in inglese e in italiano, del Phedophile Liberation Front. La cultura pedofila esprime valori di positività rispetto alla pedofilia e rifiuto di un certo tipo di società. Nel Diario di un pedofilo di William Andraghetti124, pedofilo arre122 L. Zanfrini, G. Valtolina, L’infanzia negata, Caritas Ambrosiana, Milano, 1997. Identikit di un pedofilo, dalla lettera ad Umberto Galimberti, in “D”, di Repubblica, 4 agosto 1998. 124 W. Andraghetti, Diario di un pedofilo, Stampa alternativa, Roma, 1996. 123 103 stato alla fine del 1987 con l’accusa di violenza sessuale a danno di minori - per la quale è stato poi condannato a 9 anni e 6 mesi di reclusione - viene riportato il manifesto di un’associazione bolognese, il “Sexpol”, “nata per combattere i pregiudizi contro tutte le forme di sessualità disprezzate dalla gente comune della società”. In un volantino che ritraeva un adulto e un bambino incatenati e distanti fra di loro vi era scritto: “in un mondo che offende l’infanzia, fondato sull’egoismo, la concorrenza sleale, l’aggressività, l’ipocrisia, in un mondo che uccide per fame e guerra i bambini a milioni, che li turba profondamente facendo loro credere che il corpo è una cosa sporca e che il sesso è peccato, i pedofili, amandoli sinceramente, reclamano il diritto che ciascuno possa amare ed essere amato pienamente in armonia con le proprie aspirazioni, a qualsiasi età. Porgiamo una mano al cucciolo dell’uomo perché possa crescere più libero e più felice, nei pensieri e nei desideri, nei piaceri e nell’amore….!”125. Il fenomeno dell’associazionismo pedofilo è stato studiato forse per la prima volta da O’Grady126, secondo cui la rigida segretezza in cui vive il pedofilo nella società occidentale, lo induce a proteggere la sua identità trovandosi in organizzazioni esclusive in cui ci si riconosce reciprocamente mediante codici particolari. La più importante e famosa fu costituita nel 1978 negli Stati Uniti, sotto il nome di NAMBLA, ossia North American Man/Boy Association che promuoveva l’affermazione del diritto di adulti e ragazzi di avere relazioni sessuali e affettive inter-generazionali e sensibilizzava l’opinione pubblica sulla liceità di tali esperienze. Le funzioni svolte da queste associazioni, secondo O’Grady, sono: consentire i propri membri di praticare la pedofilia eludendo la legge; informarli delle iniziative e delle operazioni intraprese dalla polizia nei loro confronti; diffondere immagini e video a contenuto pornografico; supportare coloro che si trovano “in pericolo” perché individuati dalla polizia; organizzare il viaggio e l’alloggio nei paesi in cui è più diffusa la prostituzione infantile; fondare casa di accoglienza e orfanotrofi di copertura per le attività di sfruttamento dei minori. Taluni individui, ritengono che i comportamenti sessuali “creati”, proposti, sviluppati, pubblicizzati attraverso il “mercato del sesso”, siano ascrivibili a nuove forme di sessualità. Così, al pari dei consumatori del sesso virtuale, dell’extrastimolo, della trasgressione di coppia e del sesso estremo, questi pedofili che hanno una vita sessuale nella norma, con un partner dell’altro sesso; appena si verificano determinate condizioni, che possiamo definire di percezione abnorme della realtà, deviano e seducono un bambino e hanno con lui un’attività sessuale, oppure compiono un viaggio all’estero in 125 E così prosegue: Il Sexpol proclamava che “offendono la sessualità infantile quanti, genitori ed educatori, trasmettono una immagine negativa della sessualità, quanti impediscono ai bambini di vivere la loro dimensione erotica e sessuale”. “Sono proprio loro che turbano e scandalizzano l’infanzia, provocando traumi a volte irreversibili”. “Eppure non sono presi in considerazione allorché si tratta di violenza ai minori perché sono dalla parte della cultura dominante e sessuofobia”. “Il bambino in ogni rapporto che intrattiene con un adulto è sottomesso”. “E’ soggetto ai genitori, ai fratelli maggiori, agli educatori, ai preti”. “Perché fare questa obiezione solo quando si parla di rapporto col pedofilo?”. “Mentre gli adulti generalmente mal sopportano i bambini, i pedofili, viceversa, stanno molto bene con loro”. “Bisogna consentire che la pedofilia sia vissuta alla luce del sole”. Alla fine il volantino concludeva : “Aiutiamo tutti insieme i bambini a liberarsi dai condizionamenti e dalla repressione che da sempre li opprimono, perché è violenza sessuale ai bambini quando gli si reprime il desiderio, si proibisce il piacere…”. 126 R. O’Grady, Schiavi o bambini? Storie di prostituzione e turismo sessuale in Asia, Gruppo Abele, Torino, 1995, pag. 40. 104 uno dei “paradisi erotici”, o ancora guardano una videocassetta pornografica o delle foto, masturbandosi con la fantasia di avere lì presente il bambino ritratto. Per giustificare questo comportamento si considerano degli “sperimentatori di nuovi comportamenti sessuali” ossia una nuova modalità di vivere l’attività sessuale non più legata alla funzione riproduttiva, che può essere letta come una forma di “neosessualità”, come suggerisce, Gloria Persico127, psicologa e ricercatrice per l’A.R.S. (Associazione per la ricerca in Sessuologia). Appare chiaro come tali manifestazioni altro non siano che il “riciclaggio” di vecchi schemi già utilizzati in passato per avvalorare, ad esempio, la “cultura della droga”. Non a caso sono le stesse multinazionali del crimine che gestiscono il mercato della droga, della prostituzione e del contrabbando d’armi. Abbiamo dunque due fenomeni diversi. Quello della patologia individuale, definito e individuato da tempo entro i casi di una devianza comportamentale psichiatrica e il fattore derivante dalla “pedofilia indotta” dalla criminalità organizzata ed utilizzata per espandere il controllo sul mercato della sessualità. 4.2.3.5. Brevi considerazioni sul “mercato” Il fenomeno pedofilia, soprattutto nelle sue accezioni connesse con il mercato della prostituzione internazionale, risulta, nell’analisi compiuta sulla stampa, in crescita. I dati istituzionali e la crescente attenzione della cronaca, dimostrano che vi è una tendenza all’aumento degli episodi di violenza sessuale sui minori. Si sono moltiplicate le notizie riguardanti i comportamenti criminali ascrivibili, a vario titolo, alla pornografia minorile, alla prostituzione minorile e al turismo sessuale. Alcune delle caratteristiche riscontrate negli episodi resi pubblici del fenomeno indicano come gran parte del problema sia soprattutto sommerso. La relazione pedofila tra l’adulto e il bambino si protrae spesso per molti anni in quanto viene mantenuta segreta a chi potrebbe interromperla. Il racket internazionale della pedofilia si espande in modo criminale, e quindi in maniera clandestina, anche tramite le nuove tecnologie informatiche, che garantiscono la rapida soddisfazione della richiesta e la divulgazione di video, foto ed informazioni nel più stretto anonimato e con una diffusione capillare. I comportamenti ascrivibili alla pedofilia in generale hanno un carattere trasversale, ossia non sono realizzati e nemmeno colpiscono solo determinate fasce della società, ma coinvolgono tutte le classi sociali e i paesi del mondo. La pedofilia è un fenomeno complesso dove micro e macrouniversi si intrecciano. Il comportamento pedofilo può essere definito come un comportamento individuale che ha delle motivazioni patologiche. Ne è un esempio la storia di Roberto Marino. Ma la pedofilia è anche un’industria, che possiede un proprio mercato, che opera e cresce con i mezzi tecnologici oggi a disposizione e che è inserita all’interno del processo di globalizzazione della società attuale. Ne consegue che la pedofilia è anche un comportamento prodotto su scala industriale, che ha implicanze sociali e che è sorto da fattori sociali che non coinvolgono un unico paese, ma l’intero pianeta. La pedofilia sta diventando un fenomeno di massa, dimostrato dall’aumento di notizie che riguardano gli abusi sessuali 127 G. Persico, Perversioni del desiderio e mutazione antropologica, in Giommi R. e Perotta M. (a cura di), Pedofilia, Edizioni del Cerro, Firenze, 1998. 105 sui minori, la diffusione della prostituzione, della pornografia minorile e del turismo sessuale. Due sono le “categorie” alla pedofilia evidenziate. La prima riguarda gli aspetti della psicologia individuale. La seconda, considerato che la personalità del pedofilo si sviluppa all’interno della società, e da questa riceve determinati “impulsi”, riguarda gli aspetti sociologici che hanno favorito “l’industria della pedofilia” e quindi il comportamento che ne deriva. 4.3. La pedofila: una perversione sessuale La categoria del “pedofilo”, come è emerso dai resoconti di cronaca, è molto eterogenea. Alcuni studiosi128 hanno raccolto diversi contributi scientifici che tentano di dare una definizione al comportamento pedofilo e tracciarne un quadro attendibile. Abbiamo sintetizzato le ipotesi interpretative riconosciute e avallate dalle ricerche scientifiche in psicologia. La concezione psicoanalitica La concezione psicoanalitica classica sostiene che l’atto pedofilo è legato a fissazioni e regressioni verso forme di sessualità infantile. Le aberrazioni sessuali, secondo Freud, sono determinate dalla persistenza di elementi della sessualità infantile a spese della genitalità adulta. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale Freud129 definisce ciò che si può chiamare perversione: “Le perversioni sono: a) o prevaricazioni anatomiche delle regioni del corpo destinate all’unione sessuale, o b) indugi in relazioni intermedie con l’oggetto sessuale, che normalmente devono essere rapidamente sorpassate sulla via della meta sessuale finale”. Strano, Errico, Germani, Buzzi e Gotti130 definiscono la pedofilia come un meccanismo difensivo scelto dalla persona per far fronte all’ansia causata dalla minaccia di castrazione da parte del padre e di separazione dalla madre131 e quindi, dalla mancata risoluzione della crisi edipica tramite l’identificazione con il padre-aggressore (per i ragazzi) o la madre-aggressore (per le ragazze), la persona si trova a identificarsi impropriamente con il genitore di sesso opposto facendo una scelta impropria rispetto all’oggetto per la catarsi libidica132. Roccia e Foti133 e Dettore e Fuligni134 ritengono che l’approfondimento del lavoro psicoanalitico, che fa riferimento al modello pulsionale della mente di Kernberg135, “sot128 Ricordiamo il lavoro di M. Strano, G. Errico, P. Germani, R. Buzzi e V. Gotti, “Aspetti eziologici della pedofilia: una raccolta essenziale di contributi teorici”, Psycomedia, febbraio 2001. Nel corso di questa breve trattazione riporteremo i contributi più interessanti, di cui forniremo i dati utili al reperimento per un ulteriore approfondimento. Per evitare ripetizioni inutili non li riportiamo anche in questa nota introduttiva. 129 S. Freud (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale, in S. Freud, Opere, Volume 4, Boringhieri, Torino, 1973, pag. 464. 130 M. Strano, G. Errico, P. Germani, R. Buzzi e V. Gotti, “Aspetti eziologici della pedofilia: una raccolta essenziale di contributi teorici”, Psycomedia, febbraio 2001. M. Strano, E. Perotti, V. Gotti, P. Germani, M. Di Giannantonio, “L’analisi del comportamento dei pedofili: una griglia di analisi criminologia”, Psycomedia, marzo 2001. 131 Vedi anche Kaplan H.L., Manuale di psichiatria, Edises, Napoli, 1993. 132 G.O. Gabbard,, Psichiatria psicodinamica basata sul DSM-IV, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995. 133 C. Roccia, C. Foti, L’abuso sessuale sui minori, Unicopli, Torino 1994. 106 tolinea la centralità dell’angoscia di castrazione”. “In effetti la paura della castrazione può chiarire, almeno parzialmente, il comportamento pedofilo, il quale risulta spaventato dall’incontro con una donna appartenente alla propria generazione e preferisce dunque il rapporto con una bambina, all’interno del quale egli può raggiungere l’orgasmo senza confrontarsi con la penetrazione genitale o, se si confronta con essa, lo può fare da posizioni di superiorità e di competenza”. Leonetti e Papini136 neuropsichiatri infantili, ritengono, parafrasando Fenichel137 che “l’amore o l’interesse per i bambini si basa su una scelta narcisistica dell’oggetto; i bambini infatti, sono deboli ed è facile avvicinarli, mentre altri oggetti sono irraggiungibili per l’angoscia che creano”. Secondo Roccia e Foti l’ipotesi della psicologia del Sé, che fa rientrare la pedofilia nei disturbi narcisistici del comportamento, risulta più convincente: “Tali disturbi sono fatti risalire innanzitutto a gravi carenze di entrambi i genitori nella risposta a bisogni fondamentali del bambino di strutturazione del proprio Sé: bisogni di rispecchiamento, di valorizzazione e di compattamento del proprio Sé, bisogni di idealizzazione delle figure genitoriali in quanto figure positive e rassicuranti, bisogni di gemellarità, ovvero esigenze di sperimentare una vicinanza e una somiglianza essenziali con figure adulte. Evidentemente, affinché si determini una perversione, è necessario che i suddetti deficit abbiano una determinata intensità, si accompagnino a una determinata costellazione familiare e a particolari carenze nel ruolo paterno di stimolo alla strutturazione di ideali e, infine, producano nel bambino particolari difese. La risposta pedofilica rappresenta, come ogni risposta perversa, un tentativo difensivo, perennemente insoddisfacente e pertanto reiterabile all’infinito, di usare massicciamente la sessualità per tentare di contrastare la carente coesione del Sé”. “Nell’atto sessuale del pedofilo”, secondo Leonetti e Papini “avverrebbe la trasformazione del trauma dell’infanzia nel trionfo dell’adulto, attraverso l’arrecare danno all’altro e prendendo la rivincita per i traumi e le frustrazioni subiti in passato”. Quali sono dunque le cause di un odio che, attraverso il soddisfacimento di una fantasia, arreca grave danno al bambino. Il comportamento sessuale del perverso può “derivare” da una storia di perversione nella propria infanzia. Fu Ferenczi138ad affermare la storicità del trauma, teoria ripresa dagli studi di Groth, Hanson e Slater, Langevin, Dhawan e Marshall139, che hanno posto in risalto come fra gli abusatori vi sia un numero elevato di 134 D. Dettore, C. Fuligni, L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill, Milano, 1999. O. Kernberg (1992), Aggression in personality disorders and perversions. New Haven: The Yale University Press. Trad. it.: Aggressività, disturbi della personalità e perversioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993. 136 R. Legnetti, M. Papini, Come nasce il pedofilo. Aspetti culturali e relazionali, in R. Giommi, M. Perotta (a cura di), Pedofilia, Edizioni del cerro, Firenze, 1998, pag. 31-40. 137 O. Fenichel, Trattato di psicoanalisi delle nevrosi e delle psicosi, Astrolabio, Roma, 1951. 138 S. Ferenczi (1932), Confusione delle lingue fra adulti e bambini. In Masson J.M. (a cura di), Assalto alla verità, Milano, Mondadori, 1984. 139 A. N. Groth, Men who rape: The psychology of the offenders, Plenum Press, New York, 1979. R. L. Hanson, S. Slater, “Sexual victimization in the history of sexual abusers: A review”, Annals of Sex Research, 1, 1988. R. Langevin, P. Wright e L. Handy, “Characteristics of sex offenders who were sexually victimized as children”, Annals of Sex Research, 2, 1989. S. Dhawan, W.L. Marshall, “Sexual abuse histories of sexual offenders”, Sexual Abuse: A Journal of Research and Treatment, 8, 1996. 135 107 vittime di abuso sessuale infantile. La teoria “dell’abusatore abusato” di Stoller140 delineata in Dettore e Fuligni, si fondava originariamente su una duplice spiegazione teorica, di tipo psicodinamico: “il soggetto adulto replica la vittimizzazione subita da bambino (identificazione con l’aggressore), secondo le medesime modalità partite allora; una volta adulto ottiene il trionfo proprio in ciò in cui da bambino era stato vittima; l’atto perverso è odio erotizzato, un atto di vendetta mediante cui il passato viene cancellato e trasformato in piacere e vittoria”. Secondo Polenta141 “il perverso, sadico e non, non ha scelta: la perversione è l’unica strategia che gli permetta di relazionarsi in termini psico-affettivi, di partecipare, anche se con modalità deviata, alla vita di relazione; è in qualche modo un essere ancora nel mondo. Il senso di benessere o di scarica di oppressione che egli prova successivamente al fatto ‘consumato’, induce ad ipotizzare che solo proiettando e trovando all’esterno un ruolo internalizzato di per sé insostenibile (Io-vittima), egli recupera un nucleo arcaico che non è riuscito ad integrare nel suo percorso esistenziale”. In una situazione in cui non emerge la perversione nell’atto deviante, il Sé parziale è distante dall’oggetto d’amore. La perversione attuata da parte del pedofilo, secondo Polenta142 “diventa il gioco della ricomposizione attraverso una violenza che egli stesso ha subito, anche se non, necessariamente, di tipo sessuale. La perversione è la soluzione simbolica della dimostrazione di identità maschile non completamente realizzata, della funzione riparativa, (difesa da profondi sentimenti di odio e di rabbia nei confronti dell’oggetto d’amore), del bisogno di onnipotenza (affermazione del potere sulla vittima-oggetto svalutato), della fuga dalla genitalità (erotizzazione dell’oggetto d’amore parziale idealizzato), della funzione apotropaica (sfida nei confronti dell’oggetto d’amore orripilante). Il modello che evidenzia la successione che avviene nella vita del perverso prima di compiere l’atto, il gesto o il reato è il seguente: • stato di tensione improvviso quasi sempre attribuito ad esperienze esterne (stress che raggiunge l’intensità di soglia); • la mancanza dell’oggetto primario della pulsione (impossibilità di trovare un oggetto a valenza positiva che scarichi la tensione e ripristini l’equilibrio); • rappresentazione allucinatoria di un precedente sfogo con scarica immediata (scarica di tensione - senso di benessere)”. Legnetti, Papini, Roccia e Foti affermano però che, nonostante nell’adulto pedofilo si ritrovino elementi traumatici precoci risalenti alla prima infanzia, viceversa non tutti i bambini abusati diventano pedofili o perversi da adulti. Va tenuto infatti presente che nello sviluppo alcuni elementi subiscono una trasformazione in una combinazione individuale fra gli elementi traumatici; perciò le tracce che si ritrovano nell’adulto, dei traumi infantili, possono assumere una diversa costellazione. L’esponente di maggiore rilievo di questa impostazione psicodinamica, Groth143, afferma che la motivazione di base che spinge l’abusatore ad agire è di natura non sessua- 140 R.J. Stoller (1978), Perversion: the erotic form of hatred, Pantheon Book, New York. Trad. it.: Perversione, Feltrinelli, Milano,1978. 141 G. Polenta, Le perversioni sessuali: aspetti motivazionali, in R. Giommi, M. Perotta (a cura di), Pedofilia, Edizioni del cerro, Firenze, 1998, pag. 242-255. 142 G. Polenta, Le perversioni sessuali: aspetti motivazionali, in R. Giommi, M. Perotta (a cura di), Pedofilia, Edizioni del cerro, Firenze, 1998, pag. 249. 143 A.N. Groth, Men who rape: The psychology of the offenders, Plenum Press, New York, 1979. 108 le e quindi l’abuso sarebbe un atto pseudosessuale. Groth suddivide i molestatori in due categorie: “i regrediti, coloro che hanno sviluppato un orientamento sessuale ad interpersonale adeguato alla loro età, ma che, in talune circostanze, possono regredire ad un orientamento sessuale rivolto ai bambini; i fissati, in cui l’interesse primario non si è mai sviluppato oltre il livello di interesse verso i minori”. Il modello delle precondizioni Il modello antepone alla ristrettezza dell’interpretazione del comportamento pedofilo, come unicamente determinato dalle esperienze traumatiche precoci, la convinzione che alla base della pedofilia vi sia una molteplicità di cause. In Dettore e Fuligni144 si cita Finkelhor145 e il suo modello dei 4 fattori la cui compresenza permette di spiegare il comportamento abusante: 1. “i motivi per cui l’abusante ritiene i bambini sessualmente soddisfacenti” (per esigenze emozionali, per preferenza sessuale o in qualità di fonte alternativa di gratificazione sessuale quando altre sono compromesse). 2. I fattori in grado di superare le inibizioni interne contro l’abuso sessuale sui minori (disinibitori interni o relativi all’ambiente socio-culturale). 3. I fattori capaci di abbattere le inibizioni esterne contro l’abuso sessuale su minori. 4. I fattori che permettono all’abusatore di superare le resistenze e la riluttanza della vittima”. Il modello neuropsicologico e biologico Scott et al.146 hanno effettuato delle valutazioni neurologiche su gruppi di violentatori, secondo scelte di indagine non sempre complete e oggettive, e ha concluso che per una parte consistente di pedofili una disfunzione celebrale potrebbe essere il fattore scatenante. Flor-Henry et al.147 hanno confrontato con l’elettroencefalogramma (EEG) l’attività cerebrale di un gruppo di pedofili con quella di un gruppo di individui normali ed hanno rilevato una differenza nei pedofili per quanto riguarda la potenza e la coerenza del tracciato. La perversione sessuale risulterebbe quindi da idee devianti conseguenza dei cambiamenti nelle funzioni dell’emisfero cerebrale dominante. Wright et al.148 hanno esaminato forma e peso del cervello di una serie di criminali sessuali rilevando che l’emisfero sinistro dei criminali tende ad essere più piccolo di quello dei soggetti normali. Nessuna ricerca collega la pedofilia a disfunzioni ormonali dato che solitamente livelli ormonali alterati potrebbero essere dovuti anche agli eventi stressanti. Lang et A.N. Groth, A.W. Burgess e L.L. Holstrom, The child molesters: Clinical observations, in J.Conte e D.A. Shore (a cura di), Social work and child sexual abuse, Haworth, New York, 1982. 144 D. Dettore, C. Fuligni, L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill, Milano, 1999. 145 D. Finkelhor, Abusers: Special topics, in D. Finkelhor (a cura di), Sourcebook on child sexual abuse, Sage, Beverly Hill, CA, 1986. 146 M.L. Scott, J.K. Cole, S.E. McKay, C.J. Golden e K.R. Ligget (1984), “Neuropsychological performance of sexual assaulters and pedophilies”, Journal of Forensis Scieces, 29, 1984. 147 P. Flor-Henry, R.A. Lang, Z.J. Koles e R.R. Frenzel, “Quantitative EEG studies of pedophilia”, International Journal of psychophysiologi, 10 (3), 1991. 148 P. Wright, J. Nobrega, R. Langevin e G.B. Wortzman, “Brain sensity and symmetry in pedophilic and sexually aggressive offenders”, Annals of Sex Research, 3, 1990. 109 al.149, hanno fatto ricerche su soggetti pedofili e incestuosi e hanno individuato una minima percentuale di soggetti con anomalia ormonale. L’approccio cognitivista Il modello cognitivo sostiene che i pedofili siano soggetti a distorsioni cognitive (Pithers et al.150) che per alcuni autori riguardano la negazione e la minimizzazione degli effetti dell’abuso e per altri la percezione distorta degli atti del bambino. Ad esempio se il bambino non fa resistenze per il pedofilo ciò potrebbe indicare che sia disponibile a fare del sesso; oppure il fare sesso potrebbe essere considerato un modo buono per educarlo, per allontanarlo da eventuali rischi futuri di violenza. Si potrà inoltre pensare che il rapporto fra l’adulto e il bambino possa essere favorito dal fare sesso. Tale modello riporta alle strategie cognitive-sociali che De Leo151 individua come agite dal criminale per svincolarsi dalle norme e dalle responsabilità. Le “tecniche di neutralizzazione della norma”, individuate da Sykes e Matza, Taylor, Walton e Young152 e le modalità di “disimpegno morale” indicate da Bandura153 hanno orientato l’elaborazione della griglia di analisi criminale del comportamento dei pedofili da parte di Strano, Perotti, Gotti, Germani, Di Giannantonio154. Nella criminologia tali forme di razionalizzazione del comportamento deviante sono considerate tecniche per risolvere la distanza socialmente definita tra questo e i valori socialmente condivisi. La presenza di distorsioni cognitive non può essere considerata fattore eziologico specifico. Il modello del “sexual learning” I teorici del condizionamento (McGuire et al.; Quinn et al.; Abel e Blanchard155) sostengono che “un atto deviante diviene attraente per il causale accoppiamento originario di un dato stimolo con un eccitamento sessuale”. Dettore156 ritiene che è “sicuramente dimostrato che le misurazioni delle risposte di erezione del pene di fronte a stimoli erotici coinvolgenti soggetti in età evolutiva costituiscono un modo valido per discriminare fra molestatori sessuali di minori che sono fortemente attratti dal sesso con i bambini e 149 R.A. Lang, P. Flor-Henry e R.R. Frenzel, “Sex hormone profiles in pedophilic and incestuous men”, Annals of Sex Research, 3, 1990. 150 W.D. Pithers, L.S. Beal, J. Armstrong e J. Petty, Identification of risk factors through clinical interviews and analysis of records, in D.R. Laws (a cura di), Relapse prevention with sex offenders, The Guilford Press, New York, 1989. 151 G. De Leo, P. Patrizi, La spiegazione del crimine, Il Mulino, Bologna, 1992. 152 G. Sykes, D. Matza, “Techniques of neutralization: a theory of delinquency”, in American Sociological Review, 22, 1957. I. Taylor, O. Walton e J. Young, Critical Criminology: A Reader, Routledge and Kegan Paul, London, 1975. 153 A. Bandura, Social foundatios of thought and action: A social cognitive theory, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ, 1986. A. Bandura, Il senso di autoefficacia, Erickson, Trento, 1995. 154 M. Strano, E. Perotti, V. Gotti, P. Germani, M. Di Giannantonio, “L’analisi del comportamento dei pedofili: una griglia di analisi criminologia”, Psycomedia, marzo 2001. 155 R.J. McGuire, J.M. Carlisle e B.G. Young, “Sexual deviations as conditioned behavior: A hypothesis”, Behaviour Research and Therapy, 2, 1965. J.T. Quinn, J. Harbison e H. McAllister, “An attempt to shape human penile responses”, Behaviour Research and Therapy, 8, 1970. G.G. Abel, E.B. Blanchard, “The role of fantasy in the treatment of sexual deviation”, Archivies of General Psychiatry, 30, 1974. 156 D. Dettore, C. Fuligni, L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill, Milano, 1999, pag. 284. 110 quelli che lo sono di meno”. Tuttavia Dettore157 più avanti, avvalendosi del risultato delle ricerche di Barbaree e Marshall158 in cui non tutti gli abusatori coinvolti evidenziarono profili devianti rispetto alla preferenza sessuale, afferma che la preferenza sessuale per i bambini deve essere considerata un aspetto presente in alcuni abusatori e quindi non specifico e non generale. Secondo Howells159, nelle esperienze sessuali che i bambini hanno con i coetanei, l’associazione tra l’eccitamento sessuale e le caratteristiche corporee ancora immature degli altri, potrebbe condizionare una risposta sessuale a lungo termine nei confronti di corpi immaturi. Agirebbero come rinforzi negativi che favoriscono la repulsione verso la sessualità adulto-bambino la repulsione da parte dei coetanei e l’ostilità genitoriale. Il modello degli stili di attaccamento Strano, Errico, Germani, Buzzi e Gotti, nonché Dettore, concordano nel definire tali modelli interpretativi del comportamento pedofilo come la descrizione di particolari singole “classi di eventi”, o di specifici “fattori eziologici”, “fattori di rischio” che se presi singolarmente e, considerati interpretazioni esclusive, non permetteranno mai di inquadrare la complessità del fenomeno della pedofilia. Dettore, in particolare, talvolta mette in dubbio che alcune di queste ipotesi interpretative rappresenti la causa del fenomeno e non, in realtà, la conseguenza di un desiderio di abuso o di un’abitudine di abuso. Dettore aggiunge come fattori eziologici precoci, alcuni eventi precoci della vita di una persona, collegabili alla famiglia d’origine degli abusatori. Dagli studi quindi di Dhawan e Marshall e Marshall e Mazzucco160 si riscontra che i detenuti per reati sessuali anche su minori differiscono dagli altri detenuti per un basso sostegno familiare da bambini, peggiori rapporti intrafamiliari, più elevata probabilità di abuso fisico, minore presenza di sostegno al di fuori della famiglia, presenza di livelli di autostima inferiori. Dettore161 sostiene che l’eziopatogenesi della pedofilia non può essere attribuita ad un’unica classe di eventi, perché pare non esista un’unica tipologia di pedofili. Il ricercatore pertanto elabora la teoria di Ward et al.162, che utilizzano l’inquadramento teorico della Bartholomew163 sui tipi di attaccamento e di intimità negli adulti per evidenziare i problemi di intimità propri degli abusatori sessuali, e la interconnette con la teoria dell’orientamento sessuale dell’individuo, basata sull’elaborazione degli studi sull’identità sessuale psicoanalitici e cognitivisti. Dal lavoro di interconnessione Dettore crea una griglia in cui i diversi stili di attaccamento, con le corrispondenti posizioni ri157 D. Dettore, C. Fuligni, L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill, Milano, 1999, pag. 295. H.E. Barbaree, W.L. Marshall, “Erectile responses among heterosexual child molesters, fatherdaughter incest offenders and matched nonoffenders: Five distinct age preference profiles”, Canadian Journal of Behavioral Science, 21, 1989. 159 K. Howells, Adult sexual interest in children: consideration relevant to theories of aetiology, in M. Cook, K. Howells (a cura di), Adult sexual interest in children, Academic Press, London, 1981. 160 S. Dhawan S., W.L. Marshall, “Sexual abuse histories of sexual offenders”, Sexual Abuse: A Journal of Research and Treatment, 8, 1996. W.L. Marshall, A. Mazzucco, “Self-esteem and parental attachment in child molesters”, Sexual Abuse: A Journal of Research and Treatment, 7, 1995. 161 D. Dettore, C. Fuligni, L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill, Milano, 1999, pag. 303-315. 162 T. Ward, S.M. Hudson, W.L. Marshall e R. Siegert, “Attachment stylee and intimacy deficits in sexual offenders: A theoretical framework”, Sexual Abuse: A Journal of Research and Treatment, 7, 1995. 163 K. Bartholomew, “Avoidance of intimacy: An attachment perspective”, Journal of Social and Personal Relationships, 7, 1990. 158 111 spetto a sé e agli altri, scorrono lungo una dimensione loro ortogonale, costituita dall’orientamento sessuale verso gli adulti o i minori. All’estremo, il pedofilo che ha un orientamento sessuale esclusivamente verso i minori, se ha sviluppato una forma di attaccamento ansioso-resistente, sarà molto probabilmente un molestatore affettuoso e seduttivo, che abusa sessualmente solamente di bambini che gli sono noti, dopo un periodo di corteggiamento teso a stabilire una relazione d’amore, dove i mezzi coercitivi utilizzati sono rari e blandi. Il pedofilo, invece, che ha sviluppato una forma di attaccamento evitante di tipo I, timoroso del rifiuto, cerca contatti dal minimo coinvolgimento emotivo e spesso spia o si esibisce di nascosto e, se arriva all’abuso, lo fa con bambini che non gli sono noti e utilizzando mezzi coercitivi che gli sono strumentali a raggiungere lo scopo. Il pedofilo che ha sviluppato un attaccamento evitante di tipo II, desiderando l’autonomia e l’indipendenza e svalutando le relazioni intime, abusa in modo violento e aperto, con soddisfazione e sadismo. Il pedofilo con attaccamento sicuro, infine, potrebbe essere considerato un “parafilico puro”, con schemi di attivazione sessuale innescabili esclusivamente da individui in età infantile e il cui eventuale comportamento pedofilico non verrebbe ulteriormente facilitato dai problemi affettivi ed eventualmente dalle distorsioni cognitive presenti negli altri tre tipi di attaccamento”. Si deve aggiungere allo schema interpretativo e a quelli esposti in precedenza, fattori causali legati agli eventi di vita e psicosociali predisponenti, come i fattori situazionali disinibenti ai quali Dettore stesso, darà enorme importanza nell’elaborazione dell’ipotesi di terapia. L’approccio psichiatrico Oggi le deviazioni sessuali sono definite con il termine di parafilie, che sottolinea il fatto che la deviazione (para) dipende dall’oggetto da cui la persona è attratta (filia). Nel nostro caso, il termine pedofilia sta ad indicare l’attrazione dell’adulto verso il bambino. I criteri psichiatrici assunti per convenzione dall’American Psichiatry Association, utilizzati per la formulazione della diagnosi di pedofilia sono presenti nel DSM IV dove la pedofilia è inserita nei disturbi sessuali e dell’identità di genere nel capitolo delle parafilie164. Attualmente, questa è la definizione più accreditata di pedofilia, e tali sono i crite164 Vediamo la definizione del DSM-IV: F65.4 Pedofilia (302.2) La focalizzazione parafilica della Pedofilia comporta attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Il soggetto con Pedofilia deve avere almeno 16 o più anni, e deve essere almeno 5 anni maggiore del bambino….I soggetti con pedofilia di solito riferiscono attrazione per i bambini di una particolare fascia di età…Quelli attratti dalle femmine di solito preferiscono quelle tra 8 e 10 anni, mentre quelli attratti dai maschi di solito preferiscono bambini un po’ più grandi…Alcuni soggetti con Pedofilia sono attratti sessualmente solo da bambini (Tipo Esclusivo), mentre altri sono talvolta attratti da adulti (Tipo non Esclusivo). I soggetti con Pedofilia che sfogano i propri impulsi con bambini possono limitarsi a spogliare il babino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in presenza del bambino, a toccarlo con delicatezza e a carezzarlo. Altri, comunque, sottopongono il bambino a fellatio o cunnilingus, o penetrano la vagina, la bocca o l’ano del bambino con le dita, con corpi estranei, o col pene, e usano vari gradi di violenza per fare ciò. Queste attività sono di solito giustificate o razionalizzate sostenendo che esse hanno valore educativo per il bambino, che il bambino ne ricava piacere sessuale, o che il bambino era sessualmente provocante - argomenti comuni anche nella pornografia pedofilica. I soggetti possono limitare le loro attività ai propri figli, a figliastri, o a parenti oppure possono scegliere come vittime bambini al di fuori della propria famiglia. Alcuni soggetti con Pedofilia minacciano il bambino per evitare che parli. Altri, specie coloro che abusano spesso di bambini, sviluppano complicate tec- 112 ri diagnostici più utilizzati. Cifaldi e Bosco165 affermano però che non vi è un accordo definitivo sull’argomento, poiché per alcuni autori la pedofilia non è riconosciuta come un disturbo a se stante, rientrando nel novero generico di parafilia, che può definirsi una delle categorie maggiormente criticate perché più che ad un effettivo schema clinico psicopatologico, sembra rispondere ad una censura di tipo morale e sociale. Molti orientamenti socio-antropologici definiscono la pedofilia un pervertimento sociale che varia nel tempo e nelle culture mentre molti orientamenti clinici definiscono la pedofilia come una psicopatologia. Cesare Maffei166, del Servizio di Psicologia Medica e Psicoterapia dell’Istituto Scientifico H. S. Raffaele, sostiene che la definizione della pedofilia del DSM debba essere attribuita solamente ai pedofili che sono sessualmente attratti da bambini. Maffei fa riferimento al lavoro di Gillespie167, e ricorda come egli ritenesse che l’elemento fondamentale della perversione poteva essere identificato nella incapacità di instaurare una relazione amorosa soddisfacente con un oggetto sessuale. Studi successivi portarono ad affermare che “l’atto perverso per quanto mostruoso potesse essere, non era diagnosticamente dirimente: la differenza tra malattia, quindi perversione e vizio doveva essere ricercata nella personalità dell’individuo e nella conseguente motivazione dell’azione”. Maffei riporta una distinzione che Ardnt168 fece tra sessualità ideale e deviante. La distinzione fu fatta non tanto perché fosse realmente possibile distinguere in modo netto una sessualità ideale da quella deviante, bensì per creare un concetto limite, sulla base del quale poter poi studiare le varie forme di sessualità. All’interno di una sessualità ideale una persona sessualmente matura può desiderare e compiere delle azioni “perverse”, anche se confida nella propria identità sessuale, se vive l’impulso sessuale come accettabile e modulabile, se percepisce l’attività sessuale come giocosa, esplorativa e sperimentale e se prova rispetto e amore per il partner in quanto persona da prendere in niche per avere accesso ai bambini, che possono includere guadagnare la fiducia della madre del bambino, sposare una donna con un bambino attraente, scambiarsi bambini con altri soggetti con pedofilia, o, in casi rari, adottare bambini di paesi sottosviluppati o rapire bambini ad estranei. Tranne i casi in cui il disturbo è associato a Sadismo sessuale, il soggetto può essere attento ai bisogni del bambino per ottenere l’affetto, l’interesse, e la fedeltà del bambino stesso, e per evitare che questi riveli l’attività sessuale. Il disturbo di solito inizia nell’adolescenza, sebbene alcuni soggetti con pedofilia riferiscano di non essere stati eccitati da bambini fino alla mezza età. La frequenza del comportamento pedofiliaco varia spesso a seconda dello stress psicosociale. Il decorso è di solito cronico, specie in coloro che sono attratti dai maschi. Il tasso di recidive dei soggetti con pedofilia con preferenza per i maschi è all’incirca doppio rispetto a coloro che preferiscono le femmine. Criteri diagnostici per F65.4 Pedofilia (302.2) Durante un periodo di almeno 6 mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti, e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre importanti aree del funzionamento. Il soggetto ha almeno 16 anni ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini di cui al 1° criterio. 165 G. Cifaldi, D. Bosco, “La pedofilia: un approccio psicologico, sociologico e giuridico”, Telematic Journal of Clinical Criminology, nel sito www.criminologia.org 166 C. Maffei, Il problema clinico delle perversioni sessuali, in R. Giommi e M. Perotta (a cura di), Pedofilia, Edizioni del Cerro, Firenze, 1998, pag. 13-21. 167 W.H. Gillespie, The structure and aetiology of sexual pervensions, in S. Lorand (a cura di), Pervensions Psychodynamics and Therapy, Gramercy Books, New York, 1956. 168 W.B.Jr. Arndt, Gender Disorders and the Paraphilias, International University Press, Madison, 1991. 113 considerazione e da accettare in funzione della condivisione del piacere. Così all’interno di una relazione che ha implicazioni sessuali, uno dei due partner, o entrambi, possono desiderare di trasgredire per ritrovare un nuovo modo di vivere la propria sessualità. Qui non si parla di perversione come malattia, ma di azione perversa all’interno di una sessualità sana. Il turismo sessuale, quindi, sembra che possa ritenersi un’azione perversa che viene compiuta all’interno di una sessualità sana. Pensiamo infatti a chi periodicamente lascia partner e famiglia per soggiornare in una delle località denominate come “paradisi erotici”. 4.4. Proposte e provvedimenti Il percorso fin qui svolto ha portato a visualizzare l’entità e le caratteristiche del fenomeno che può essere ascritto nel termine “pedofilia”, distinguendo una pedofilia derivante dalla patologia individuale da una pedofilia espressione di violenza sessuale commessa sui minori all’interno del “mercato del sesso”. E’ necessaria una riflessione sul modo in cui si può intervenire per limitare un fenomeno le cui dimensioni stanno aumentando. Negli Stati Uniti, dove esiste un programma di prevenzione previsto dall’ordinamento giuridico, vi è una crescita esponenziale dei casi segnalati, che induce dubbi circa la riuscita della totale eliminazione della pedofilia e dei fatti ad essa connessi. In Italia si è arrivati a rispondere in maniera significativa ai problemi dell’abuso sessuale. Per quanto riguarda la vittima, nel caso in cui la violenza sia emersa, esistono strutture specialistiche. Nel saggio di Maria Rita Parsi169 sono indicati 46 Centri di consulenza per bambini maltrattati e che hanno subito molestie sessuali. Venti di questi sono situati al nord, undici hanno sedi sia al centro che al sud. Altri, come Telefono Rosa, Telefono Azzurro e Movimento Bambino - che dispone di 70 centri in tutta Italia - hanno una diffusione nazionale. Stanno aumentando anche le associazioni senza scopo di lucro impegnate nella ricerca e sensibilizzazione sull’abuso sessuale ai minori. Il 21 gennaio 2001 è nato a Bergamo il primo Coordinamento europeo delle Associazioni per la tutela dei minori, una rete nazionale ed europea che si propone di proteggere e promuovere l’infanzia, contro la cultura dell’adultocentrismo e della mercificazione dei minori170. A livello governativo sono state prese iniziative di interventi contro il fenomeno dell’abuso sessuale sui minori: • nel 1997, presso il Dipartimento per gli affari sociali è stata istituita una Commissione nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamento, abuso e sfruttamento sessuale di minori; • a partire dal 1996, sono stati istituiti presso le Questure, nell’ambito del Progetto Arcobaleno elaborato dal Ministero dell’interno, gli Uffici Minori, che monitorizzano le fenomenologie criminose di cui sono vittime i minori; 169 M. R. Parsi, Le mani sui bambini, Mondadori, Milano, 1998. Al Coordinamento aderiscono Telefono Arcobaleno - Onlus (Avola - Sr), Associazione Prometeo - Onlus (Bergamo), Movimento Bambino - Onlus (Roma), Children in crisis Italy - Onlus (Milano), Informazione Donna (Milano), Aquilone Blu - Onlus (Milano), La Caramella Buona - Onlus (Reggio Emilia), Osservatorio sui diritti dei minori (Milano), Orsetti Padani (Milano), Terra e Cielo (Imperia), Tagore - Onlus (Torino), Aiutiamo (Bari), Amici della Zizzi (Livorno) e Figli in famiglia (Napoli). 170 114 • • • a partire dal 1998 sono state istituite Sezioni specializzate, Nuclei di polizia giudiziaria, e il Nucleo Operativo di Polizia delle Telecomunicazioni, che, con particolari strumenti investigativi, operano per la prevenzione e la repressione dello sfruttamento sessuale dei minori; i predetti nucleo si coordinano con le strutture della cooperazione internazionale di polizia (Interpol, Europol e Sirene); il Dipartimento del turismo del Ministero dell’Industria ha sostenuto azioni di sensibilizzazione rispetto il turismo sessuale con l’Organizzazione Mondiale del Turismo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. 4.4.1. Il quadro legislativo in Italia Il concetto di pedofilia non rappresenta una figura giuridica autonoma all’interno della legislazione vigente. La legislazione utilizza altri termini per delineare la fattispecie del reato. Le leggi emanate per far fronte all’allarme sociale, creato dai sempre più numerosi fatti di cronaca che riguardavano comportamenti pedofili singoli o di mercato, sono la Legge n. 66/96 e la Legge 269/98, oltre alle norme presenti nel Codice penale. Legge 15 febbraio 1996, n.66. Norme contro la violenza sessuale Nel codice penale gli articoli che riguardavano la violenza sessuale a danno di minori erano inseriti nel Capo I del Titolo IX, Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume. Esso disciplinava la violenza carnale, gli atti di libidine violenta, il ratto a fine di matrimonio, il ratto a fine di libidine e il ratto di persona minore degli anni quattordici, con le circostanze attenuanti e aggravanti. La legge n. 66/96, abrogando il Capo I del Titolo IX e gli articoli 530, 539, 541, 542 e 543 del codice penale, ha introdotto altri articoli che disciplinano la fattispecie della violenza sessuale, degli atti sessuali con minorenni e della violenza sessuale di gruppo. La legge ha il merito di aver tracciato il passaggio dalla tutela della moralità pubblica e del buon costume ad una effettiva tutela della libertà sessuale, intesa come libertà del singolo di autodeterminarsi nell’ambito privato della libertà sessuale. L’art. 609-bis, al primo comma descrive il reato di violenza sessuale avvalendosi della generica espressione “atti sessuali”, riunendo in un’unica fattispecie penalmente rilevante i due precedenti delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti del Codice Rocco. Questa modifica nella terminologia del fatto illecito, era doverosa per superare l’onere di dover distinguere attraverso la pratica delle perizie medico-legali sulle vittime, fra violenza carnale e atti di libidine violenti. Tale pratica trasformava le vittime della violenza in persone da inquisire ed esposte anche alla curiosità e alle critiche spietate dell’opinione pubblica. Il termine generico di atti sessuali, comunque, comporta il fatto, secondo Ricci e Venditto171 che “casi di lievissima entità vengano equiparati, senza distinzioni di sorta, a casi gravissimi, e puniti allo stesso modo”. La legge annovera la minore età fra le aggravanti specifiche della fattispecie di violenza sessuale prevista dall’art. 609-bis. Perciò la pena minacciata per gli atti sessuali 171 P. Ricci e M.O. Venditto, “La regolamentazione degli atti sessuali alla luce della legge 15 febbraio 1996, n.66”, Rassegna Italiana di Criminologia, n.4, 1 aprile 1997, pag. 328. 115 compiuti, con le modalità tipiche della violenza, della minaccia e dell’abuso di autorità, su persona infraquattordicenne (art.609-ter, I comma, punto 1, c.p.) o nei confronti di minore di anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (art.609-ter, I comma, punto 5, c.p.) varia dai sei ai dodici anni di reclusione. Gli atti sessuali con minori degli anni dieci sono puniti, invece, con la sanzione della reclusione da sette a quattordici anni (art.609-quater, ultimo comma, c.p.). Gli atti sessuali che rientrano nella violenza presunta, ossia quegli atti sessuali commessi anche in assenza di violenza, minaccia e mediante abuso di autorità, ma su minore, comportano una pena da cinque a dieci anni e sono quelli compiuti: con minore di quattordici anni; con minore che non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza, di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (art.609-quater, I comma, c.p.); Gli atti sessuali commessi su minore di anni dieci prevedono una pena più grave, dai sette ai quattordici anni. Non è punibile il minorenne che realizza atti sessuali con un altro minorenne, ovviamente consenziente, che abbia compiuto almeno gli anni tredici, purché la differenza fra i due non superi i tre anni (art. 609-quater, II comma c.p.). Due diverse considerazioni possono discendere da tale articolo. E’ ovvio che può accadere che una ragazzina di 13 anni e un mese possa congiungersi con il suo ragazzo di 15 anni e 6 mesi senza rischiare la punizione. Passati 6 mesi però se i due ancora hanno rapporti sessuali il ragazzo rischia di essere denunciato perché ormai è divenuto ultrasedicenne. Inoltre a parere di Ricci e Venditto “la capacità di prestare il consenso, oltre ad essere rapportata all’età del partner, (…) è stata sganciata completamente dalla capacità di intendere e volere, convenzionalmente fissata a quattordici anni”. “Cosicché (…) la ragazzina di tredici anni e mezzo, alla quale l’ordinamento riconosce la piena capacità di compiere atti sessuali con il suo fidanzato di quindici anni, viene considerata poi, dallo stesso ordinamento e, in maniera del tutto incoerente, incapace di intendere e volere, e quindi, non punibile, se compie atti di violenza sessuale sul cuginetto di otto anni”. L’analisi dall’art. 564 del codice penale, che disciplina l’incesto, e dell’art. 609quater c.p., che disciplina gli atti sessuali con minorenne, evidenzia quanto vi sia confusione nei termini e nella disciplina dei reati sessuali. Infatti l’art. 546 del c.p. stabilisce che “chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commetta incesto con un ascendente o un discendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione…”. Viene introdotto il termine specifico di incesto e non viene specificato alcun limite di età. L’art. 609 - quater invece stabilisce che “soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis, chiunque compia atti sessuali con persona che al momento del fatto: non ha compiuto gli anni 14; non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo…”. Qui si usa il termine generico di “atti sessuali” e si pongono dei limiti di età. Legge 3 agosto 1998, n. 269. Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù 116 E’ la legge con cui l’Italia si è adeguata alle varie convenzioni internazionali ratificate durante gli anni ‘90. La legge mira a realizzare, secondo Izzo172 cinque finalità: rinforzare la repressione penale con l’introduzione di nuove fattispecie delittuose; fornire all’autorità giudiziaria più efficaci strumenti processuali; attribuzione alla polizia giudiziaria di nuovi mezzi di contrasto; creazione di norme di contorno a tutela dei minori; attribuzione al Ministro degli Interni e alla Presidenza del Consiglio di importanti compiti di coordinamento interno e internazionali per la repressione dello sfruttamento minorile. La legge introduce nella sezione I del capo III del titolo XII del libro secondo del codice penale, le seguenti nuove fattispecie delittuose: 1. induzione alla prostituzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di minore di anni 18; pena della reclusione da sei a dodici anni e con multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni (art.600-bis c.p.); 2. atti sessuali con minore di età compresa fra i 14 e i 16 anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica; pena della reclusione da sei mesi a tre anni o con multa inferiore ai dieci milioni (art.600-bis comma 2, c.p.); 3. sfruttamento di minori di anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico; pena della reclusione da sei a dodici anni e multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni (art.600-ter , comma 1, c.p.); 4. commercio del materiale pornografico di cui sopra; stessa pena (art.600-ter, comma 1, c.p.); 5. distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pornografico (art.600-ter, comma 2, c.p.); 6. distribuzione o divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, pena della reclusione da uno a cinque anni e con multa da lire cinque milioni a lire cento milioni (art.600-ter comma 3, c.p.); 7. cessione, anche a titolo gratuito, di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18; pena della reclusione fino a tre anni o con multa da lire tre milioni a lire dieci milioni (art. 600-ter, comma 4, c.p.); 8. detenzione di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18; pena della reclusione fino a tre anni o con multa non inferiore a lire tre milioni (art.600-quarter, c.p.); 9. organizzazione o propaganda di viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività; pena della reclusione da sei a dodici anni e con multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni (art. 600-quinquies c.p.). Nella disciplina contro il mercato del sesso minorile, la domanda e l’offerta sono trattate in modo diverso. La pena maggiore, infatti, spetta a chi induce, sfrutta e commercializza la prostituzione e la pornografia infantile. Chi invece domanda la prostituzione e la pornografia, quindi il “cliente” che vuole avere rapporti sessuali con il minore o che vuole fantasticare con prodotti pornografici, ha una pena minore. 172 F. Izzo, Norme contro la pedofilia, Simone, Napoli, 1998. 117 L’analisi degli articoli 609-ter e 600-bis del c.p. risulta un ulteriore esempio di sovrapposizione normativa non chiara e che evidenzia la mancanza di un quadro completo di comprensione del fenomeno della pedofilia. La pena per il singolo pedofilo che commette violenza sul minore di 14 anni è della reclusione dai 5 ai 10 anni mentre la pena per il pedofilo che la commette sul minore in età compresa fra i 14 e i 16 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica è della reclusione dai 6 mesi ai 3 anni. Le pene edittali previste per i delitti qui sopra determinano effetti processuali come l’obbligatorietà dell’arresto in fragranza e l’ammissibilità dell’applicazione della misura coercitiva della custodia in carcere e delle intercettazioni. La legge prevede, all’art. 14, che sia gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata, e sia la polizia delle telecomunicazioni, organo del Ministero dell’Interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione, possano mettere in atto attività di contrasto dei delitti sopra elencati. Gli ufficiali della polizia possono pertanto, su autorizzazione dell’autorità giudiziaria, tentare di acquisire elementi di prova anche attraverso l’acquisto simulato di materiale pornografico, l’attivazione di intermediazione, la partecipazione alle iniziative turistiche, l’attivazione di siti nelle reti e la realizzazione o gestione di aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici. Uno dei grandi pregi della legge è che punisce chiunque abbia commesso il reato all’estero, sancendo il principio della extraterritorialità. All’art. 10, infatti, si inserisce nel codice penale l’art. 604, che disciplina l’applicazione delle disposizioni della sezione e previste dagli artt. 609-bis, 609- ter, 609-quater e 609-quinquies quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano. La legge n.66 del 1996, assicura, all’art. 609-decies, l’assistenza ai minorenni che si prevede abbiano subito violenza sessuale, dei servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. Questo potrebbe considerarsi un intervento di prevenzione, soprattutto se consideriamo il modello interpretativo basato sulla storicità del trauma. Tale assistenza, però, si deve intendere dove esistano questi servizi, e dove vi siano organici completi e operatori preparati. L’elaborato di Viggiani e Colla173, dell’Ufficio centrale per la giustizia minorile, non evidenzia ottimismo circa le capacità dei servizi di rispondere a questa necessità di assistenza e protezione. Si ritiene infatti che la legge abbia investito i servizi della Giustizia di una forte responsabilità professionale e sociale, senza aver fornito una preparazione in tal senso, né tantomeno, aver previsto un incremento di personale. La più recente legge n.269 del 1998 presenta anche aspetti relativi alle previsioni di intervento nei confronti del pedofilo. Pur non specificando interventi e nemmeno servizi competenti sul pedofilo, prevede, all’art.17, l’assegnazione, nell’apposito fondo iscritto nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, delle multe irrogate, delle somme di denaro confiscate e quelle derivanti dalla vendita dei beni confiscati ai sensi della legge. Tale fondo sarà destinato, nella misura dei due terzi, a finanziare specifici programmi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico dei minori degli anni diciotto, vittime dei delitti di prostituzione, pornografia e turismo sessuale. La 173 L. Viggiani, E. Colla, Abuso e violenza ai danni di minori, elaborato del Ministero di Grazia e Giustizia, Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, Roma, 1999. 118 parte residua del fondo è destinata, nei limiti delle risorse effettivamente disponibili, al recupero di coloro che, riconosciuti responsabili dei delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, facciano apposita richiesta. La proposta dell’autopromozione non risulta sufficiente, poiché le conoscenze scientifiche fino ad oggi acquisite affermano che i pedofili presentano scarsissima motivazione alla terapia. La mancata richiesta di terapia da parte dei pedofili deriva, secondo Strano, Errico, Germani, Buzzi e Gotti,174 da ben precise cause: • molti pedofili reputano la loro attività come innocua; • tutte le attività perverse hanno la caratteristica di essere piacevoli e impulsive (soluzione erotica ai loro problemi); • generalmente le perversioni sono egosintoniche, per cui solo una minima parte dei soggetti richiedono spontaneamente il trattamento e se lo fanno sono accompagnati nella richiesta da ansia e depressione. Negli U.S.A., nei casi di pedofilia, la terapia viene prescritta in sede giudiziaria come indispensabile per ottenere la libertà condizionale. La motivazione imposta rende difficile il trattamento, ma comporta comunque dei risultati, come riportano Roccia e Foti e Dettore175. La parziale inefficacia della normativa potrebbe emergere in futuro quando, con l’aumento delle denunce e delle condanne per violenza sessuale sui minori, aumenteranno anche i casi di recidiva nel comportamento di soggetti pedofili che hanno già scontato una pena. La legge potrebbe facilitare un intervento “preventivo” imponendo, per chi ha attuato un comportamento pedofilo, l’obbligo della sottomissione alla terapia e a forme continue di controllo176. De Cataldo Neuburger e De Leo177 parlano di tossicodipendenza e della sua costruzione sociale: l’analogia con la pedofilia è forte. Anche la pedofilia è un sistema composto dai singoli consumatori (i pedofili), dalle vittime, dal mercato, dal controllo sociale/legale, dagli interventi preventivi e riparativi, dalla società civile, dagli organismi internazionali. Il trattamento del soggetto pedofilo presenta inoltre difficoltà legate al fatto che la pedofilia è egosintonica, per cui il soggetto, non considerando sé stesso come portatore di un disagio non chiede, spesso nega il reato stesso e non mostra motivazione al cambia174 M. Strano, G. Errico, P. Germani, R. Buzzi e V. Gotti, “Aspetti eziologici della pedofilia: una raccolta essenziale di contributi teorici”, Psycomedia, febbraio 2001. 175 C. Roccia, C. Foti, L’abuso sessuale sui minori, Edizioni Unicopli, Torino, 1994. D. Dettore, La prevenzione della ricaduta nei pedofili, in R. Giommi, M. Perotta (a cura di), Pedofilia, Edizioni del Cerro, Firenze, 1998, pag. 77-100. 176 Abbiamo notizia di un progetto sperimentale, il progetto WOLF, “Working on Lessening Fear”, attivato nel contesto dell’Amministrazione penitenziaria. Il progetto WOLF è un progetto di ricerca e scambio trasnazionale sul trattamento degli autori dei reati di sfruttamento sessuale di minori e sui bisogni di formazione degli operatori sociali addetti al loro trattamento. Il progetto è finanziato dal programma STOP, programma della Commissione Europea che promuove interventi di incentivazione e di scambi destinato alle persone responsabili della lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori. Il progetto nasce da un omonimo progetto pilota ideato dagli operatori della Casa di Reclusione di Spoleto, che è stato illustrato dalla psicologa e psicoterapeuta Paola Giannelli durante il convegno La problematica delle condotte pedofile, tenutosi a Roma il 16-17 ottobre 1998. 177 L. De Cataldo Neuburger, Il Sistema droga. La costruzione sociale della tossicodipendenza, Cedam, Padova, 1993. G. De Leo, Patrizi P., La spiegazione del crimine, Il Mulino, Bologna, 1992. G. De Leo, Psicologia della responsabilità, Laterza, Bari, 1995. 119 mento. Necessita un trattamento che possa proteggere il soggetto dai propri impulsi e nel contempo tutelare la collettività esterna, e che non abbia come obiettivo soltanto il “buon comportamento” e l’accettazione formale di regole: è necessario muoversi anche in direzione di un’attivazione di dinamiche e risorse interne ai fini di un cambiamento della personalità in senso evolutivo. 120 Capitolo quinto Clienti e sfruttatori di Enzo Kermol “Sembrava così sincera in quel momento, ma altre ne avevo conosciute che parevano l'immagine della sincerità e invece erano nere di perfidia” Humphrey Bogart in Dead Reckoning “Se fosse solo il caso a governare il mondo tante ingiustizie non accadrebbero certamente” Un articolo del Corriere della Sera, qualche tempo addietro, portava un titolo ad effetto “In 24 ore nascono anche 10 mila siti porno”178. Al suo interno l’autrice, Paola De Carolis, raccontava di come una società informatica di Glasgow, la Actis Technology, avesse realizzato la prima mappa sul “lato oscuro” del Web, dalla pedofilia al terrorismo commerciale. Devo dire che provando a cercare questo sito si scoprono “tracce” della sua esistenza in altri siti, ma quello “originale” non risulta agibile. Iperprotetto o di durata nel tempo inferiore all’argomento monitorato? Tuttavia il dato presentato quasi certamente corrisponde a verità179, ogni giorno migliaia di foto, video e offerte sessuali si propagano nella rete. E se chi ne è “produttore” lo fa per denaro, quindi rientra nel concetto di professionista del sesso, la domanda che sorge spontanea riguarda il fruitore. Chi è? Ovviamente l’utente telematico non è quello, o “solo” quello, che si avvale della prostituzione. Ma ci permette di introdurre l’argomento della discussione. Ossia la fascia meno analizzata, meno definita, meno presente nella letteratura sull’argomento. Non è infatti possibile comprendere pienamente il fenomeno della prostituzione se non lo si analizza nella sua interezza, quindi bisogna rivolgere lo studio anche all’altra parte coinvolta nel mercato, cioè i clienti. La prostituzione è formalmente uno scambio commerciale, si compone di un’offerta e di una domanda, da un lato vi è la prostituta, che offre il suo corpo, dall’altro vi è un “cliente” che vuole comprarlo. “Corpo” che può essere acquistato anche in effige, in foto o film. E’ chiaro che questo, come d’altra parte qualsiasi tipo di commercio, non esisterebbe se non ci fosse qualcuno disposto a pagare per ottenere una merce, in questo caso una prestazione, o uno stimolo sessuale. Ovviamente non sempre la merce risulta utile, ed anzi sempre più spesso assistiamo all’induzione, alla creazione di falsi bisogni, di mercati artificiali, che obbligano il cliente ad investire tempo e risorse economiche al solo vantaggio del produttore del bene in questione. E queste regole sono in vigore anche nel mercato del sesso. 178 P. De Carolis, “In 24 ore nascono anche 10 mila siti porno”, il Corriere della Sera, 8 novembre 2000, pag. 27. 179 Assieme alle collaboratrici abbiamo monitorato per oltre un anno la rete partendo da siti come www.worldsex.com, www.ampland.com, www.freeheaven.com, ecc., che rimandano a centinaia di altri, che a loro volta rimandano ad altri e così via. Indubbiamente si tratta di migliaia di offerte quotidiane presenti costantemente nella rete. 121 5.1. Sconosciuti a confronto Da queste brevi righe introduttive si deduce l’utilità di osservare il mondo della prostituzione attraverso l’analisi degli altri suoi protagonisti, cioè di chi organizza ed alimenta il mercato del sesso a pagamento. Questo da un lato, permetterà di cogliere nuove dimensioni e sfaccettature del fenomeno; e dall’altro servirà per capire le motivazioni di base del perpetuarsi di tale realtà. Non si deve dimenticare infatti che la prostituzione è diventata una costante della nostra esistenza, facendosi mercato allettante per molte organizzazioni criminali, proprio a seguito di una domanda tendenzialmente crescente. D’altra parte può la prostituzione crescere da sola, senza essere influenzata dalla domanda? Quali sono le ragioni che spingono i clienti a ricercare una prostituta? Quali le dinamiche causali propugnatrici della prostituzione? A queste ed a molte altre domande si tenterà di dare risposta, anche attraverso la rilettura del fenomeno guidata da particolari indirizzi di pensiero, alcuni più datati, altri più recenti. Da questa analisi si potrà notare come i diversi atteggiamenti ideologici, identificheranno le ragioni di un commercio per molti incompatibile con la civilizzazione nelle prostitute, nei clienti ed altri ancora in particolari dinamiche sociali. L’importanza di conoscere qual’è l’atteggiamento concettuale e dottrinale della comunità in cui prende vita la prostituzione, deriva dalla consapevolezza che la sua diffusione condizione non solo l’immagine delle prostitute in quella collettività, ma in particolare, determina tutti quegli interventi normativi ed assistenziali messi in atto dalla stessa. Questi spunti da un lato concludono (ma ovviamente non esauriscono) il percorso di osservazione sulle prostitute, dall’altro aprono alcune chiarificazioni in merito ai provvedimenti posti in essere dal corpo sociale. Per lungo tempo la prostituzione è stata considerata come un atteggiamento di “particolari” donne; un problema, una patologia e un disagio che colpisce il mondo femminile. La prostituzione rappresenta in tal senso, il paradigma della reificazione della donna, della riduzione ad oggetto del corpo e della sessualità femminile. Questo appare talmente ovvio che frequentemente il dibattito sull’argomento, si concentra sulle forme di “devianza” contigue a questo fenomeno sociale: sulla “donna” che è disponibile (per vocazione o perché costretta) a vendere il proprio corpo; sui “protettori” che non esitano a trarre vantaggio dallo sfruttamento delle persone più deboli; sul disagio e il degrado Tutto ciò risulta drammaticamente vero ma, una visione più completa e forse anche più corretta di tale realtà, prevede che ad essere chiamate in causa siano entrambi le parti coinvolte. La relazione di prostituzione è pur sempre una relazione tra donna/uomo che offre e uomo/donna che acquista. Negare la reciprocità che lega il cliente e la prostituta, significa negare la comune corresponsabilità: tutto grava pesantemente sul lato dell’offerta, mentre la domanda resta una sfuggevole presenza, raramente tematizzata ed argomentata. Attraverso questo occultamento, il tema prostituzione si perde e la sua valenza di significatività nei confronti del cliente viene ridotta a semplice analisi unidirezionale. Avvicinarsi alla realtà del cliente significa, a questo punto, cercare di capire chi siano queste persone e che cosa le spinga a decidere di recarsi in certi luoghi, incontrare delle persone e affittare, per qualche momento, un corpo Secondo un rapporto del Censis180, i clienti delle prostitute in Italia sono moltissimi: circa 9 milioni; il 99% di loro è maschio anche se stanno aumentando le donne, le quali 180 Fonte Censis, 1998. 122 si rivolgono soprattutto agli “gigolò”. I clienti appartengono a tutti gli strati sociali anche se si è riscontrata una prevalenza di impiegati, liberi professionisti e commercianti; il 70% di loro è coniugato. Sono in aumento i giovani, fra di loro il 4% ha meno di 18 anni. Il 43% dei clienti non usa il profilattico. La figura del cliente è profondamente cambiata con il passare del tempo; negli anni ‘70 e ‘80 prevaleva la figura del cliente di mezza età, coniugato, che frequentava la prostituta ogni tanto, quasi per concedersi una scappatella dalla moglie. Attualmente i frequentatori di prostitute sono di tutte le età “ma quel che colpisce è l’età sempre più bassa dei clienti. Si è verificato quasi un riflusso nei consumi dei giovani: prima andavano in discoteca alla ricerca della ragazza facile, adesso tutto deve diventare ancora più veloce. Questi giovani vogliono tutto e subito senza neanche provare il piacere della conquista”181. Al di là dei dati statistici comunque ogni cliente è diverso, portatore di un vissuto che lo differenzia dagli altri; ognuno di loro subisce una mancanza, un vuoto, che cerca di colmare comprando il corpo di un’altra persona. Per molti la prostituta è un modo di compensare le difficoltà quotidiane, la solitudine, i desideri e i bisogni frustrati; rappresenta, in sostanza, un punto di riferimento per molti uomini che devono confrontarsi con il disagio della vita. “Le fisionomie dei clienti, simili a tutti gli uomini che incontriamo tutti i giorni, rimandano con forza alla necessità di interrogarsi, tutti, uomini e donne, sui rapporti che ci sono tra le persone, tra uomini e donne, tra uomini e uomini, donne e donne. Quale comunicazione? Quale affettività? Quale sessualità?”182. Trasferendo le domande nel concreto ci potremmo chiedere: Che cosa spinge gli uomini a uscire di casa per cercare una prostituta? Che cosa li spinge a recarsi nei falsi istituti di bellezza, nei locali notturni, nelle strade per comprare il corpo di una donna che non conoscono? In generale il cliente trova, nel rapporto con la prostituta, ciò che non riesce a trovare altrove, chiede ciò che non chiederebbe a qualcun altro. Ma è davvero così? Abbiamo raccolto alcune testimonianze, quasi aneddottiche, sul comportamento maschile che delineano alcune motivazioni. Il cliente (un commercialista) si reca in una “casa legale” in un paese confinante con l’Italia. Paga 300 euro all’ingresso, riceve un accappatoio, una chiave e un medaglione da mettere al collo. Va in uno spogliatoio, sotto lo sguardo vigile di due buttafuori dall’aspetto poco raccomandabile, mette gli abiti in un armadietto (che chiude con la chiave che gli è stata consegnata) passa una porta e si trova in una specie di piscina. Vi sono altri “clienti” con l’accappatoio, un paio di ragazze che saltellano e gli onnipresenti buttafuori. Riesce ad attirare l’attenzione di alcune delle ragazze. Gli dicono qualcosa in una lingua sconosciuta, indicano il medaglione, sorridono un po’, non capisce bene, si sfila la catena e la mette al collo della ragazza più carina. La quale, incassato il “tagliando” della prestazione (su cui ha una percentuale fissa), se ne va verso un nuovo arrivato con vari medaglioni al collo. Al nostro “cliente”, che a questo punto ha compreso il meccanismo del locale, non rimane che pagare nuovamente o andarsene. Abbiamo anche il vero e proprio “acquisto”, svolto sui giornali dei paesi dell’est. Individuata la ragazza quattro amici commercialisti la invitano a recarsi in Italia. Le offrono la casa delle vacanze di uno di loro (la usa solo d’estate) e una piccola cifra mensile di sussistenza. A turno vanno a “trovarla”. Poi arriva l’estate. Il proprietario deve portarci la famiglia e allora caccia via la “ragazza” che implora di re181 182 C. Corso, S. Landi, Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano, Giunti, Firenze, 1998. M. Da Pra Pocchiesa, Ragazze di vita, Editori Riuniti, Roma, 1996. 123 stare anche senza alcun pagamento, ma l’uomo è irremovibile, le vacanze innanzitutto. La ragazza finisce sulla strada. Vi è poi l’agente di cambio che frequenta locali notturni in patria e appena oltre confine. Lì per 500 euro trova in alcuni locali notturni compagnia per una sera. Finché facendo un po’ di conti si accorge che costa di meno mantenere due o tre ragazze in contemporanea al suo servizio. Stabilito uno stipendio annuale (comprensivo di viaggi all’estero e automobili regalate a fine anno), il nostro le posiziona in città diverse che settimanalmente visita. Un po’ diverso il giovane laureato in Economia e Commercio (si vede che la materia “ispira”) che, appena raggiunta una posizione professionale grazie al padre che gli acquista un’agenzia assicurativa, diviene un accanito frequentatore di privé dei locali “Mille lire”. Compresi i dopolavoro delle ballerine. Tanto affezionato da spenderci quanto guadagna sulle polizze dei “suoi” clienti. Infine il caso del professionista (stavolta non è un commercialista) che viene ritenuto dalle donne, probabilmente a ragione, molto bello. La lunga fila di ragazze disponibili (comprese alcune attrici nazionali) non lo appaga, anzi lo induce a diffidare delle donne. Arrivano, sono subito ben disposte verso di lui, se lo portano in giro a mo’ di trofeo, se lo portano a letto e poi spariscono. Così lentamente le rifiuta sostituendole con sporadiche visite a ragazze lungo le strade, dove ritiene di esercitare un minimo “controllo” sulla situazione. Esiste poi un’altra casistica dettata da crisi sentimentali, abbandoni delle partner, impossibilità di trovarne di nuove per motivi economici o sociali, senso di marginalità, distacco dalla vita comune. In questo serbatoio si collocano coloro che rientrano nel fenomeno dei cosiddetti “salvatori”. Come ci spiega Maragnani183 esistono in Italia ex clienti pentiti che hanno fondato un’associazione di autoaiuto. E non è il solo episodio. Tina Abbondanza, psichiatra che si occupa del reinserimento delle ex prostitute, calcola che almeno la metà delle chiamate al numero verde antitratta siano fatte da clienti. Dello stesso avviso è il sociologo Francesco Carchedi, del Parsec, “criminalizzare sempre il cliente è ingiusto e sbagliato, anzi si è visto che può diventare uno straordinario alleato dei servizi sociali. Una sorta di operatore di strada, un mediatore tra le ragazze e i servizi che combattono la schiavitù”. Quali sono i motivi che spingono il cliente in questa direzione? Gli stessi che lo hanno fatto divenire “cliente” le storie sentimentali disastrose, i sensi di colpa, con in aggiunta la volutà di espiazione. I matrimoni, quando accadono, sono molto difficili, durano qualche mese, portano a esiti infausti. Inoltre spesso la giovane “salvata” chiede sempre più denaro al salvatore perpetuando, seppure in maniera diversa, il commercio precedentemente attuato. Lo stesso meccanismo lo ritroviamo al femminile, a ruoli invertiti, nel caso delle tossicodipendenze gravi. Spesso il ruolo di “salvatrice” si adatta perfettamente a molte giovani donne, salvo poi concludere la vicenda con gli stessi risultati della controparte maschile. Il funzionamento di questo procedimento è ben evidenziato da Maragnani con il caso conclusivo, quello di Marco di Viareggio. L’innamoramento, in questo caso platonico, del diciannovenne per la “bella di notte” con il conseguente odio distruttore per i clienti della stessa. Qui si ricade nella dicotomia di percezione fra la donna positiva (madre, moglie, fidanzata, sorella) che viene “angelicata” e la donna negativa (in questo caso la prostituta) che viene “demonizzata”. Tranne poi effettuare uno spostamento (se questa incarna entrambi gli stereotipi) su un oggetto vicino (gli altri clienti) per “redimere” il soggetto individuato. Al femminile invece abbiamo la figura positiva (paterna, rassicu183 L. Maragnani, “Per amore di una lucciola”, Panorama, 13 agosto, 2002, pag. 67-70. 124 rante) e quella negativa del bruto (sessualmente attivo). Anche qui analogia di comportamento. Le clienti costituiscono invece solo una minima percentuale del totale che però sembra aumentare; si rivolgono principalmente alla prostituzione maschile anche se qualcuna fra di loro ricerca le donne. Per alcune frequentare i luoghi della prostituzione rappresenta un’ulteriore conferma della “parità” raggiunta con il sesso maschile; il fatto di “comprare” un uomo infatti conferisce loro un potere che un tempo era difficilmente immaginabile. In genere si tratta di donne di 40, 50 anni, con matrimoni falliti alle spalle, oppure single che cercano un po’ di compagnia per una sera. Molte di queste donne si trovano alle prese con un periodo della vita difficile da affrontare: quello della mezza età, durante il quale riesce difficoltoso accettare la propria immagine di donna non più giovane, specialmente nella nostra società, dove l’ esteriorità conta più di ogni altra cosa e dove le donne vengono considerate più per la loro bellezza che per la loro intelligenza. La scelta verte quasi sempre su uomini giovani, prestanti e gentili che offrano, oltre alla prestazione prettamente sessuale, una serata piacevole da passare al ristorante o in altri luoghi d’incontro come il teatro o i nigth club. Nel complesso l’atteggiamento sociale e istituzionale verso i clienti rimane ambiguo. Anche perché, se realmente superano i 9 milioni di abitanti rappresentano un sesto della popolazione. Periodicamente vengono presi provvedimenti d’immagine, “a Modena clienti denunciati per violenza carnale su una sedicenne, in Veneto e Umbria auto sequestrate e accuse di favoreggiamento. Forze dell’ordine disorientate fra inviti a usare il pugno di ferro e regole troppo imprecise”184. Con, a distanza di tempo, unica conseguenza immodificabile: il suicidio di un giovane che, sorpreso in atteggiamenti inequivocabili veniva fermato, gli veniva sequestrata l’automobile e invitato a tornare a casa. Lì giunto si impiccava ad un albero. Il che fa riflettere ulteriormente sulle reali cause che portano ad essere “cliente”. Perché, come disse Woody Allen in una battuta “il sesso non si fa con qualcosa che è in mezzo alle gambe, ma con qualcosa che è in mezzo alle orecchie”. Ciò che si può modificare, ed è l’unico approccio che possa portare ad un effettivo cambiamento, sono le misure da adottare per incidere sulle condizioni sociali in cui si verifica il fenomeno, cioè sull’educazione del comportamento individuale. 5.2. Come le prostitute vedono i clienti Landi185 afferma che prostitute e clienti sono una strana coppia di amici-nemici, a volte complici, ma anche sospettosi l’uno dell’altra. Le prostitute, per esempio, passano da atteggiamenti materni, molto protettivi, ad altri più apertamente aggressivi. Molte volte disprezzano il cliente come figura astratta, ma lo assolvono come fruitore del servizio che offrono. In genere quindi la prostituta ha un atteggiamento ambivalente nei confronti del cliente: prova astio nei suoi confronti ma d’altra parte, come sottolinea la Corso, è pronta a giustificare il suo comportamento, perché dettato da una sessualità forte e da pulsioni che non può controllare, come ci insegna la mentalità comune. Lo odia e lo denigra ma è consapevole di averne bisogno, come fonte di guadagno. Molte volte l’odio è dettato dal fatto che le prostitute sanno perfettamente che gli stessi clienti che di notte le cercano il giorno dopo si scagliano contro di loro nelle pe184 185 M. Andreoli, “Prostituzione: il braccio ambiguo della legge”, Panorama, 21 settembre 2000, pag. 88. C. Corso, S. Landi, Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano, Giunti, Firenze, 1998. 125 riodiche crociate anti-prostitute, auspicando la riapertura delle case chiuse. E’ l’ipocrisia di molti uomini che scatena questa avversione. La prostituta ama credere di avere un ruolo molto maggiore di quello che ha in realtà; è convinta di essere indispensabile per gli uomini, quasi una sorta di “crocerossina”. Questo atteggiamento è dettato anche dal desiderio di crearsi un ruolo “utile” all’interno della società, ma, come conclude la Corso, questo non è possibile perché le prostitute sono le prime a non accettarne le regole. Tutte le prostitute, indistintamente, temono il cliente soprattutto quando non lo conoscono; dietro ogni persona si può infatti nascondere il violento o addirittura l’assassino. Le donne che lavorano sulla strada sono indubbiamente le più esposte perché difficilmente possono, nei pochi attimi della contrattazione, capire veramente le intenzioni di una persona. Ma anche chi lavora da sola in appartamento ha paura perché qui è ancora più difficile potersi difendere o chiedere aiuto. Ogni prostituta sa che, per alcuni uomini, fare del male ad una donna di strada significa poco perché queste donne sono considerate socialmente inferiori alle altre persone; spesso succede che una lucciola, magari immigrata, viene trovata uccisa o picchiata, ma raramente qualcuno si preoccuperà dell’accaduto. Quello tra cliente e prostituta è quindi un rapporto ambivalente, connotato da mille sfumature; la prostituta sa perfettamente di avere bisogno del cliente per vivere, e questo vale sia per chi sceglie liberamente di fare la prostituta sia per chi vi è costretta. 5.3. La figura del protettore La figura del protettore attualmente è una realtà che ha subito profonde trasformazioni. In passato era costantemente presente sulle strade (magari nascosto a debita distanza) e viveva nello stesso complesso in cui si trovavano le sue protette. Controllava direttamente i suoi affari, lasciando però ampi spazi di autonomia nell’esercizio (tempi, modalità di lavoro). Anche se l’unica cosa che proteggevano erano i loro affari. Eventualmente si assicuravano che nessuno rovinasse la “merce”, tanto da renderla poi inutilizzabile. Anche se parliamo di “protettore” in realtà questa figura comprende sia uomini che donne. In talune organizzazioni criminali, ad esempio quella nigeriana, si tratta quasi esclusivamente di donne inoltre se consideriamo la prostituzione medio-alta (come il caso Viva Lain e gli altri citati) ritroviamo anche quì una prevalenza femminile nel ruolo di coloro che attuano lo sfruttamento. Oggi i protettori sono più correttamente definiti come trafficanti, sfruttatori, proprio perché vivono lontani dai luoghi della prostituzione e controllano le donne attraverso la sudditanza psicologica. Stipulano con le ragazze contratti ben precisi, e la paura delle conseguenze relative ad una infrazione tengono le donne strette in una morsa ancora più forte del controllo diretto. La cronaca riporta un numero crescente di casi: “a novembre è stata bloccata una banda di sette albanesi e dieci italiani accusati di riempire Ravenna e Rimini di schiave: 50 al mese, russe e ucraine acquistate per appena 150 dollari. Si potrebbe continuare. Per esempio con la storia della moldava di 17 anni venduta per cinque volte in un anno alle mafie montenegrina, rumena, albanese, jugoslava. O con quella dei 23 criminali albanesi che, assistiti da un avvocato di Modena, destinavano al mercato italiano 50 ragazze al giorno. O con i 15 omicidi di prostitute in quattro me- 126 si”186. Le diramazioni con l’est Europa si moltiplicano “nel novembre scorso a Rimini la mobile ha bloccato il colonnello dell’esercito ucraino Volodymyr Romanov e il capitano Volodymyr Semerdzhjan, che stavano scortando alcune ragazze per collocarle in leasing a organizzazioni della costa adriatica. Ma il livello più alto di efficienza l’aveva raggiunto la società Adriastar d’apparente import-export intestata a due russi che importavano soprattutto prostitute prelevate dai locali di San Pietroburgo”187. Ad ogni modo il comportamento nei confronti delle loro vittime è il medesimo: si occupano di reperire con l’inganno o con la forza la merce, si preoccupano della loro “istruzione” e del loro avviamento, risolvono con la violenza le ribellioni ed intascano più della metà del profitti. Il loro obbiettivo è quello di trarre il maggior profitto per poi investirlo in altri commerci illegali (droga ed armi). Sono spesso organizzati in gruppi con collegamenti internazionali, sono determinati e pronti ad uccidere chi ostacola la loro attività o non collabora. A confermare che lo sfruttamento sia internazionale bastano pochi dati: “l’Ecpat, l’associazione internazionale che combatte la prostituzione infantile nel mondo, ha tracciato una mappa del turismo sessuale. La Thailandia (dove pure si stimano oltre 250 mila bambini sfruttati) e lo Sri Lanka non sono più le destinazioni preferite, il traffico si è dirottato verso Cambogia, Laos e Vietnam. Anche per quanto riguarda l’America Latina Cuba sta cedendo il primato di paradiso sessuale. Una buona fetta del mercato della prostituzione sta passando per la Repubblica Dominicana (35 mila bambini sfruttati), al Perù (1 milione di prostitute) e soprattutto alla Colombia”188. Ma ovviamente troviamo un mercato in espansione anche in Europa, negli ex paesi dell’est, come nella repubblica Ceca dove il triangolo fra le cittadine di Dubi, Cheb e Plzen (a pochi chilometri da Dresda) si è trasformato in un immenso “eros center” con offerte di tutti i tipi189. Come appare dalle analoghe esperienze in altri paesi, europei e non solo, gli “eros center” (o qualsiasi nome gli sia dia) altro non sono che le vecchie “case chiuse” con l’aggravante che la gestione è prevalentemente effettuata da organizzazioni criminali internazionali. Da qui risulta più che legittimo il sospetto su strane proposte di legge avanzate in Italia190. Basta ricordare che il fatturato annuo del mercato del sesso in Italia si aggira attorno ai 7 miliardi di euro, mentre una singola prostituta fa guadagnare a chi la sfrutta fra i 130 e i 170 mila euro. Correttamente Bimbi191 si chiede “E possiamo, come fa il progetto Volonté, offrire sostegno solo alle prostitute coatte ed a quelle ridotte in schiavitù, ben sapendo che, quando è possibile, alle organizzazioni criminali è più utile una prostituta che liberamente sottostà al racket?”. 5.4. Divagazioni Ciò che sembra sfuggire all’attenzione è una semplice constatazione: siamo una specie di mammiferi, la “sessualità” serve solo a garantire la riproduzione della specie192. 186 B. Manfellotto, “Felice non abita più qui. Addio Maniero, adesso comandano le mafie straniere”, Panorama, 4 gennaio 2001, pag. 74. 187 R. Di Rienzo, “Meglio farlo in casa”, L’Espresso, 3 febbraio 2000, pag. 72. 188 G. Porzio, “Ma le denunce non sono servite”, Panorama, 3 agosto 2000, pag. 31. 189 Vedi G. Porzio, “C’è una Thailandia europea. Vicino a Praga”, Panorama, 3 agosto 2000, pag. 30-32. 190 A. Arachi, “Eros center, bocciato il progetto Bossi”, Corriere della Sera, 8 maggio 2002, pag. 15. 191 F. Bimbi, “L'esempio di Mestre. Non serve una legge sulla prostituzione”, Mattino, 18 gennaio 2002, pag. 1 e 7. 192 Seppure tale affermazione possa sembrare rigida ricordiamo la componente biologica del comportamento umano. Dal punto di vista dell’etologia invece, in molte specie le femmine rappresentano una risor- 127 Su questo semplice assunto si innestano le speculazioni di ogni tipo. Ovviamente il controllo della sessualità, diretto o indiretto, genera controllo sociale e individuale, meglio se talmente mediato da risultare inconscio. E così si crea una situazione di perenne conflittualità sociale. Ad ogni modo poiché le radici del problema esulano da questo contesto ci preme sottolineare la miopia di chi propone interventi “normalizzatori” che si collocano come nuovo substrato su precedenti interventi, più nascosti e indecifrabili nell’origine, che hanno creato il problema stesso. Basta scorrere la stampa degli ultimi trent’anni per notare come certe abitudini patologiche (come l’assunzione di stupefacenti) siano state create partendo da una domanda pressoché inesistente fino ad arrivare a livelli di multinazionale del crimine. E se osserviamo monitorando siti e attività connesse alla pornografia e alla prostituzione notiamo i mutamenti di “prodotto” offerto in base a precise esigenze del produttore: si privilegia una pratica o un oggetto del desiderio a seconda della disponibilità dello stesso nei “magazzini”. Si dimentica che la “fantasia” sessuale altro non è che una delocalizzazione percettiva (l’emotività si sposta in modo simile193) dell’oggetto da associare all’impulso sessuale. Come dire che possiamo presentare di volta in volta nuovi oggetti (praticamente infiniti) parcellizzando e astraendo continuamente le associazioni. Viste dall’interno possono sembrare viziose perversioni, dall’esterno regressioni e incapacità di selezionare la differenza tra stimolo reale e fattori sovradimensionati di copertura. Insomma un povero imbecille a cui si mostrano le caramelle. Che si tratti di “disinformazione” e di qualcos’altro sembra evidente. Pensate ad un altro settore dell’economia, quello energetico, del petrolio. La seconda guerra mondiale aveva come scopo l’acquisizione dei pozzi petroliferi di Ploieşti in Romania per la Germania, e i pozzi in Birmania per il Giappone. Qualcuno oggi si ricorda che tali paesi producono petrolio? “Solo” i paesi arabi lo producono. Perché ci chiediamo un divo come Hugh Grant si intrattiene con un prostituta nelle strade di Beverly Hills?, o perché un gruppo di attori come Sean Penn, Charlie Sheen, Michael Douglas, divengono i maggiori frequentatori di una casa d’appuntamenti Hollywoodiana? E se andiamo alle “case” scoperte ricordiamo quella diretta da Lara Souza De Morais nel 1999 a Milano con frequentatori fra calciatori e professionisti, o quella di Margaret McDonald con 452 callgirl in 21 paesi dei cui clienti non si è saputo nulla. E infine perché un gruppo di giovani e baldanzosi calciatori frequenta un salone di massaggi a Torino. Su quest’ultimo caso ritorneremo, ma in tutte queste situazioni abbiamo giovani maschi bianchi, ricchi, famosi e nel loro ambiente di lavoro dotati di un certo potere. Secondo il copione inscenato dai media, in una società sa piuttosto scarsa. E la specie umana non fa eccezione (basta confrontare l’indice di natalità - nascono più maschi - con l’indice di mortalità maschile - muoiono molto presto). La risposta più comune è rappresentata dai combattimenti fra maschi per potersi accoppiare con le femmine recettive. Nelle specie che sviluppano una forma di convivenza sociale tali combattimento risultano essere piuttosto ridotti in quanto ogni individuo conosce il proprio posto all’interno della gerarchia di dominazione che è formata da ranghi stabiliti precedentemente in base a scontri, combattimenti o altre cause. Coloro che appartengono ai ranghi più elevati si accoppiano più frequentemente. Inoltre osserviamo in molte specie un dimorfismo sessuale, per cui i maschi hanno maggiori dimensioni delle femmine. Nel caso delle scimmie antropomorfe le maggiori dimensioni servono ha stabilire posizioni all’interno della scala gerarchica. Questo è confermato per gli umani dalle ricerche di C.A. Gibb, Leadership, in G. Lindzey, E. Aronson (a cura di), The handbook of social psychology (vol. IV), Reading, Mass, Addison-Wesley, 1969. 193 Il numero delle ricerche che confermano lo spostamento emotivo è elevato, ne ricordiamo solo alcune: D. Dutton, A. Aron, “Some evidence for heightened sexual attraction under conditions of high anxiety”, Journal of Personality and Social Psychology, 30, 1974; H.B. Brehm, G. Gatz, G. Goethals, J. McCrommon, L. Ward, Psychological arousal and interpersonal attraction, New York, 1970. 128 “maschile” dove sembra che (basta guardare un qualsiasi programma televisivo) le ragazze cerchino le caratteristiche descritte, e sono disponibili in tal senso, questi attori e sportivi dovrebbero essere tra i più appetibili è ricercati. Ma evidentemente così non è. Altrimenti non si spiega il ricorso così frequente ad accompagnatrici a pagamento. Questo perché, fattore trascurato, ogni “classe sociale” (termine largamente improprio ma facilmente comprensibile) ha le sue dinamiche interne, i suoi protagonisti, ruoli e obblighi, non facilmente adempibili. Così la stagista194 coinvolta in un “affare compromettente” alla Casa Bianca è la figlia di “un medico celeberrimo e ricchissimo”, e il presidente è un amico di famiglia. Tenuto conto di ciò che si sviluppò in seguito, cioè il “sexgate”, risulta palese il motivo per cui il ricorso a prostitute di alto livello risulti più opportuno. Ma anche in questi casi gli sviluppi sono imprevedibili. Ritorniamo al “caso” di Torino e al centro massaggi Viva Lain195. La vicenda vede protagonista una delle ragazze che esercitavano all’interno della struttura, Lorena Berno in arte Sophie, e i calciatori, politici, professionisti clienti della casa. Ciò che interessa però è la vicenda riportata sulla stampa e i benefici ricavati. Nel primo articolo, anzi in copertina di Panorama, abbiamo nel titolo “Tutti nel letto di Sophie e delle sue amiche”. Nel numero successivo parla una delle “amiche”, Patrizia, ed ecco che lo spazio si riduce, per tornare con copertina e articolo firmato dalla protagonista nel successivo, con un servizio fotografico da diva dello spettacolo. E, guarda caso, nel numero di Panorama del 1 agosto 2002, l’articolo ci informa che “Gianni Ippoliti chiama in tv la massaggiatrice di Torino” dichiarando che “a differenza delle divette dei processi che più che mostrare gambe e scollatura non sanno fare, Sophie parla”. Il titolo della trasmissione “La scelta di Sophie” sul campionato di serie A. La domanda è spontanea: parla o tace? Infatti dichiara “non è mica un mestiere così brutto” e aggiunge “non volevo mica fare la fine di mia sorella, che guadagna un milione e mezzo al mese”. Contraddicendosi quando dichiara che chiedeva continuamente ai suoi clienti un’altra occupazione. D’altra parte Lorena Berno si allinea a quanto affermano le 42 milioni di donne single americane, secondo un’inchiesta svolta dal settimanale Time nel 2000: “autonome, vogliono un compagno ricco, come 194 Vedi F. Cordelli, “Monica Lewinski, un viso da bambina e il dissidio nascosto tra mente e corpo. Conobbe il presidente Bill Clinton a un party. Ebbero una relazione. Poi scoppiò il Sexgate”, Corriere della Sera, 8 agosto 2002, pag. 33. 195 Esaminiamo il settimanale Panorama che diede largo spazio alla vicenda. Il primo numero presenta in copertina il titolo “Spogliami campione. Calciatori famosi, manager, politici, giornalisti e avvocati di grido: tutti nel letto di Sophie e delle sue amiche”. All’interno P. Ciccioli, “Un’alcova di serie A. I segreti della casa squillo di Torino”, Panorama, 11 luglio 2002, pag. 36-42. Il successivo vede in copertina solo un occhiello, “Balletti rosa a Torino: confessioni di una massaggiatrice”. All’interno sempre P. Ciccioli, “Tutto il sesso minuto per minuto. Il diario segreto di una massaggiatrice del Viva Lain”, Panorama, 18 luglio 2002, pag. 66-68. Così racconta: “gli extra che completavano il massaggio, i clienti che chiedevano due ragazze alla volta, le serate nelle case private… raccontato da una delle protagoniste quello che succedeva nell’alcova a luci rosse di Torino. Frequentata, oltre che dai calciatori da un divo delle soap”. Il terzo fascicolo dedica l’intera copertina a Sophie (Lorena Berno) con una sua foto sexi seduta sul pallone e il titolo “Diario di Sophie. La donna dei campioni”. All’interno l’articolo è firmato proprio dalla protagonista, L. Berno, “Historie di Sophie. Diario della squillo amata dai campioni”, Panorama, 25 luglio 2002, pag. 50-54, contiene quindi un secondo articolo di Maragnani L., “Ragazze, qua succederà un vero casino”, Panorama, 25 luglio 2002, pag. 54-55, articolo di più vasto respiro che indica quanto sono “Disorientate, impaurite, ma anche arrabbiate. Le lucciole insorgono contro la proposta di riaprire i bordelli. Perché dicono, non toglieranno le schiave dalle strade delle città”. L’ultimo numero dedica solo un articoletto, ma estremamente significativo, “Sophie, il calcio e la Rai. Gianni Ippoliti chiama in tv la massaggiatrice di Torino”, Panorama, 1 agosto 2002, pag. 18-19. 129 quella ragazza di New York che ha lasciato il fidanzato perché non guadagnava almeno il 50% più di lei”196. E queste affermazioni ci conducono forse più vicini alle cause “reali” del fenomeno prostituzione, al suo ampliamento coincidente con l’assunzione da parte delle donne dei principi del capitalismo mascherati da una spruzzata di femminismo. I meccanismi psicologici che sottendono al rapporto cliente - prostituta sono piuttosto elementari e conosciuti. Da un lato il cliente compie una sostituzione, pone in luogo dell’oggetto verso cui convergono le pulsioni un sostituto, la prostituta, che nelle intenzioni, dia una risposta soddisfacente ad una richiesta negata dall’oggetto primario. L’altro elemento che si appoggia al precedente è rappresentato dallo spostamento delle emozioni che, se il soggetto possiede un’alta autostima si indirizzerà verso la prostituta come conferma del proprio io, se l’autostima è bassa, prevarrà la concezione del “salvatore” per innalzare il livello dell’autostima. In ogni caso la funzione è quella di oggetto sostitutivo. Dal punto di vista della prostituta vi è un’evidente ricerca di “rivalsa sociale” nel caso di richieste economicamente sempre più elevate. Anche qui abbiamo uno spostamento di oggetto della pulsione. In molti casi notiamo la scelta di un partner rozzo e violento, sostitutivo spesso di una figura paterna assente o marginale. Da qui il cliente diviene l’oggetto su cui ridirigere gli impulsi aggressivi non altrimenti eliminabili. In sostanza il rapporto cliente - prostituta ha una valenza negativa per entrambi i contraenti, luogo di scarico dell’aggressività e degli stati frustranti accumulati si risolve invece (stante la percezione dello spostamento d’oggetto) in un incremento d’aggressività verso la categoria rappresentata dall’”altro.” Ovviamente questi elementi si incrociano con quelli di natura prettamente economica e sociale. Nell’attuale logica di contrapposizione maschi - femmine (evidentemente dettata dalla sempre valida logica del “dividi e impera”) i ruoli sociali, le abitudini, i comportamenti femminili vengono amplificati in una miscelanea di desideri di supremazia, e consumismo esasperato197 la dove non vi è riconoscimento sociale. Come ci informa in un bell’articolo Di Caro198 in un’inchiesta sulle giovani prostitute “per gioco” di 16 anni, “camuffate da ventenni fatali grazie a microgonna e trucco pesante”. O la coetanea che dichiara “da grande farò la mantenuta”, mentre altre ritengono che “rimediare molti uomini che pagano è uno status symbol riconosciuto”, anche se poi si diagnosticano sempre più spesso” Aids e infezioni veneree a ragazzine di 15 anni use a girovagare la notte”. Le parole di commento più precise vengono da monsignor Pietro Nonis, vescovo di Vicenza: “Ciò che sorprende e addolora di più è però il rapporto tra sesso e denaro in un’età solitamente preservata da quel disgraziato abbinamento. La considerazione dei soldi come bene indispensabile, se non massimo, della vita, è passata dagli adulti ai ragazzi, i quali vedono attorno a sé uomini e donne dediti quasi esclusivamente a lavorare per far soldi, e a far soldi per spenderli alla maniera consumistica. La moda e i modelli esibiti dai media fanno il resto”199. 196 R. Romani, “Single il 40% delle donne americane: Cercano uomini all’altezza”, Corriere della Sera, 22 agosto 2000, pag. 17. 197 Una lettura salutare a questo proposito è di T. Veben, La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1949. 198 R. Di Caro, “Belline di giorno”, L’Espresso, 30 aprile 1997, pag. 76-77. 199 R. Di Caro, “Belline di giorno”, L’Espresso, 30 aprile 1997, pag. 77. 130 Parte seconda Gli interventi Capitolo sesto Il ruolo delle forze dell’ordine di Enzo Kermol, Barbara De Marchi Le forze di polizia sono impegnate a contrastare gli illeciti relativi al fenomeno della prostituzione. In Italia questa attività non costituisce reato, perciò l’obiettivo è rappresentato dalla lotta allo sfruttamento, all’immigrazione clandestina, all’affitto di appartamenti o locali utilizzati per la pratica dell’attività di meretricio, al traffico di armi connesso, alle organizzazioni criminali che lo gestiscono. Attraverso le interviste a un gruppo di agenti e funzionari di polizia abbiamo ricostruito il loro “modus operandi” per capire quali sono gli interventi, con quali tecniche vengono avvicinate le prostitute, quali controlli sono eseguiti e quali leggi applicate. Inoltre abbiamo tracciato un profilo degli agenti di polizia, delle loro caratteristiche, della loro struttura caratteriale, analogamente a quanto fatto con gli operatori dei servizi sociali. 6.1. Modello operativo relativo al fenomeno prostituzione I piani di intervento vengono determinati con cadenza quasi settimanale. Il primo e fondamentale momento riguarda lo studio territoriale: viene eseguito un minuzioso controllo delle vie cittadine e degli appartamenti dove si individua con maggior frequenza l’esercizio della prostituzione. Si procede all’individuazione delle persone sospettate di meretricio e degli eventuali sfruttatori. Ogni intervento viene pianificato all’inizio dell’orario di servizio e svolto prevalentemente nelle ore serali e/o notturne, con lo scopo di non creare allarme tra la popolazione. Le retate vengono effettuate, il più delle volte, in corrispondenza del volo o del traghetto per i paesi d’origine delle donne coinvolte nella prostituzione. Non esiste una procedura standard da seguire: ogni caso richiede un certo adattamento alla particolarità della situazione. È possibile stabilire delle differenze nel caso in cui si proceda all’intervento in strada o in luoghi chiusi (appartamenti e locali). Vengono istituite alcune pattuglie in borghese, mentre il personale dell’Ufficio Stranieri e della Polizia Scientifica rimane in Questura per le misure del caso. Le fasi decisionale e operativa vengono sempre concordate con questi Uffici, in quanto trattasi quasi sempre di persone immigrate per cui occorrono indagini specifiche. Il primo contatto con le prostitute avviene sempre nel rispetto delle norme e “valutando anche l’aspetto umano”. Viene utilizzata la dovuta sensibilità, spesso cercando di intraprendere un dialogo in modo piuttosto informale. Lo scopo del contatto con le prostitute di strada (gli interventi negli appartamenti avvengono in modo diverso) è quello di ottenere la loro fiducia al fine di aiutarle e di identificare i responsabili dello sfruttamento. L’importante è essere chiari e concreti, proponendo degli scambi (informazioni utili in cambio di un lavoro), promettendo cose possibili e realizzabili, senza creare particolari aspettative o illusioni. Si cerca così di ottenere dati e notizie che portino all’individuazione degli autori dei reati di sfruttamento. 131 Dopo l’affiancamento, la procedura comporta il controllo dei documenti: passaporto e permesso di soggiorno. Nel caso in cui siano presenti anche altre persone, ad esempio clienti, viene comunicata alla Sala Operativa la posizione in cui ci si trova, i nominativi dei presenti, eventuali numeri di targa di autovetture sul luogo, al fine di verificarne la posizione giuridica. Nel caso di documenti non regolari, le ragazze vengono accompagnate in Questura, per l’identificazione e la redazione degli atti della polizia Giudiziaria. Alla stazione operativa, possono essere trattenute, secondo legge, al massimo 24 ore. L’identificazione avviene sottoponendo le donne ai rilievi dattiloscopici (impronte digitali), al fotosegnalamento, controllando la Banca dati del Ministero, eseguendo controlli scientifici d’archivio per verificare la posizione amministrativa nel territorio dello Stato. Qualora risultino prive del permesso di soggiorno si procede alla compilazione degli atti relativi. L’espulsione consiste, in un primo momento, nel notificare il Decreto di Espulsione, con intimazione a lasciare lo Stato entro i successivi quindici giorni; se, trascorso tale periodo, la clandestina viene nuovamente rintracciata, si procede all’accompagnamento alla frontiera. Molte ragazze, ad ogni controllo, forniscono generalità diverse allo scopo di non farsi riconoscere come già espulse. Giunte alla frontiera, alle volte, tentano di autolesionarsi al fine di prolungare la permanenza nello stato italiano. Nel caso in cui la prostituta, nel corso di operazioni di polizia, dia il suo contributo o venga accertata una situazione di violenza subita, può essere posta sotto protezione venendo affidata ai Servizi Sociale, munita di permesso di soggiorno semestrale, rinnovabile, valido per lavoro (art.18 legge 286/98). Questa disposizione, che comporta degli oneri comportamentali per la prostituta, costituisce uno strumento fortissimo di lotta alle associazioni che sfruttano tale fenomeno. Per quanto riguarda gli sfruttatori difficilmente vengono fermati e avvicinati “sulla strada”, anche se spesso si trovano nei pressi delle prostitute per tenerle sotto controllo. Nella maggioranza dei casi vengono scoperti negli appartamenti. Qualora siano identificati, vengono arrestati (se colti in flagrante) oppure denunciati. Relativamente allo sfruttamento è necessario dimostrare lo stato di “schiavitù” in cui si trovano le ragazze. Molto spesso, per paura di ritorsioni e violenze, queste ultime preferiscono tacere e confermare che non hanno nessun “protettore”. Le forze di polizia cercano quindi di trovare degli strumenti alternativi per contrastare questo fenomeno, spesso legato al traffico di sostanze stupefacenti o di armi. 6.2. Descrizione della ricerca e analisi dei dati L’intento di questo lavoro è stato quello di ottenere informazioni sul modo in cui vengono svolti gli interventi riguardanti la prostituzione e racconti di esperienze personali riguardanti l’argomento. Attraverso l’intervista, si è cercato di raccogliere informazioni relative agli interessi, gli sport praticati, la famiglia, le amicizie, i rapporti personali degli interlocutori, per tracciare un profilo degli agenti che operano in quest’ambito. Il questionario è stato distribuito e raccolto in busta chiusa, in modo da risultare completamente anonimo. I questionari sono stati distribuiti ad un gruppo di Poliziotti e Carabinieri in servizio presso le sedi di Udine, Cividale e Latisana. Il campione è formato da venti persone. La Polizia di Stato ha posto una condizione: la parte relativa alle domande personali doveva essere facoltativa. Nelle parti di questionario riportate di seguito si può notare come alcuni poliziotti abbiano fornito informazioni molte dettagliate relativamente alla 132 loro professione, non rispondendo invece alla seconda parte del questionario. I soggetti a cui è stato somministrato il questionario appartengono principalmente alla Squadra Mobile, poiché sono coloro che hanno un contatto diretto con le prostitute e di conseguenza possono fornire informazioni relative al fenomeno studiato. Per quanto riguarda i Carabinieri, al contrario, hanno preferito rispondere alle domande di carattere personale, tralasciando invece la parte relativa alla professione; secondo il comandante dei Carabinieri non è possibile divulgare informazioni sull’operato, considerata la delicatezza dell’argomento. Vediamo di seguito i dati raccolti per argomenti proposti200: Fasce d’età, stato civile, composizione familiare Il personale delle forze di polizia intervistato è compreso tra i 24 e i 54 anni. In particolare si può notare che vi sono tre persone con età inferiore ai trent’anni, due sopra i quaranta e una sola sopra i cinquanta; il 75% degli intervistati ha quindi un’età compresa tra i trenta e i quarant’anni. Per quanto concerne i dati relativi alla composizione familiare emerge che diciassette persone sono sposate: di queste, tre hanno un figlio, quattro hanno due figli, una sola ha tre figli. Vi è poi una persona che vive con i genitori (è uno dei più giovani: 26 anni), una persona vive in caserma con altri colleghi (il più giovane: 24 anni), una persona è single. Questi dati indicano che l’85% del campione è sposato, il 15% dei celibi e il 45% dei coniugati non ha prole, il 15% ha un solo figlio, il 20% ha due figli, il 5% ne ha 3. Titolo di studio Tra le persone esaminate il 20% dichiara di possedere il diploma di scuola media inferiore, il 75% ha ottenuto il diploma di scuola media superiore e il 5% ha conseguito la laurea. Coloro che hanno il diploma di scuola media superiore hanno prevalentemente svolto gli studi presso gli Istituti tecnici commerciali o industriali con vari indirizzi; qualcuno ha la maturità magistrale e/o il diploma di Conservatorio. I laureati, tutti in Giurisprudenza, svolgono le funzioni di dirigenti. Scopo della vita (mete e fini) La domanda è importante: riassume i principi antro cui sarà orientata la propria esistenza. Vi è una buona suddivisione delle risposte. Abbiamo quelle concernenti la famiglia “avere una famiglia serena e riuscire a risolvere i problemi quotidiani con armonia”, “realizzare una famiglia serena; cercare di ampliare continuamente il proprio bagaglio culturale; sfruttare al meglio le proprie capacità”, “vivere serenamente e far crescere al meglio i figli”, “creare una buona famiglia”. Quelle rivolte al proprio miglioramento: “uno si pone dei traguardi che nella vita non sempre riesce a raggiungere. Certamente, chiunque si costruisce degli ideali nei quali crede e in relazione alle circostanze, può realizzare e modificare”, “scopo della vita è quello di vivere un percorso “terreno” con tutto quello che ci circonda nel positivo e nel negativo. Al di là di ogni ideologia e carattere religioso personale, che rispetto, penso che sia un sogno da vivere”, “realizzarsi e realizzare gli altri”, “accrescere le ambizioni, la cultura personale e le proprie esperienze. Stare in mezzo a molta gente”. E infine 200 Il numero dei questionari complessivi probabilmente non costituisce un campione statisticamente significativo, tuttavia le risposte hanno il valore di analisi qualitativa. 133 quelle, telegrafiche, ma quasi “filosofiche”: “vivere”, “essere”, “essere felice e soddisfatto”, “serenità”, e da ultima una che sintetizza con semplicità la domanda, “vivere bene”. Le tappe fondamentali della propria vita Vi è una marcata distinzione nel narrato del proprio vissuto determinata dalla diversa forza di polizia a cui la persona intervistata appartiene. Nei Carabinieri prevale un legame “forte” con l’istituzione, nella Polizia di Stato il legame risulta più sfumato o critico. Riportiamo alcune brevi descrizioni a titolo d’esempio: “Ho studiato fino al conseguimento del diploma prestando attività lavorative stagionali soprattutto nel periodo estivo; all’età di 20 anni mi sono arruolato quale ausiliario nell’Arma (servizio di leva); ora sono al servizio effettivo. Ho praticato a livello agonistico vari sport”, “dopo un iter scolastico non proprio brillante ho svolto servizio di leva nell’Arma dei Carabinieri, dove tuttora presto la mia attività. Ho avuto l’opportunità di vivere diverse esperienze interessanti e toccanti sotto il profilo umano che mi hanno arricchito e dato la possibilità di vedere il mondo da una angolazione diversa”, “inizio degli studi musicali, maturità magistrale, incontro con la mia futura moglie, diploma di conservatorio, arruolamento nell’Arma, inizio del servizio alla Stazione Carabinieri, matrimonio”. Mentre nel secondo gruppo abbiamo: “Frequentazione del Liceo e poi dell’Università, svolgimento di un corso professionale, inizio del lavoro e matrimonio con la nascita di due figli”, “infanzia e adolescenza serene ed edificanti; esperienze di lavoro; arruolamento a circa 19 anni con progressiva costruzione della carriera. Partecipazione in prima persona ai cosiddetti “anni di piombo” (1968) a Roma e Milano; direzione della squadra mobile per nove mesi con lustri di esperienza investigativa; responsabile della custodia della Coppa Rimet ai Mondiali del 1990; esperienza politica Comunale”, “le tappe fondamentali sono: la nascita, l’infanzia divertente, l’adolescenza serena, e la gioventù vissuta in modo sereno”, “coincidono con gli eventi fondamentali della famiglia”, “matrimonio, nascita dei figli, progressione di carriera”, “la morte di mia madre, il mancato superamento di un esame per l’avanzamento di carriera (ove non mi ero procurato la necessaria raccomandazione), la pensione tra vent’anni”. Come pensa gli altri la vedano? Quasi tutti ritengono di essere visti positivamente dagli altri, come simpatici, chi semplicemente come una persona tranquilla, posata e, al tempo stesso, molto decisa. qualcuno sostiene di venire giudicato come autoritario. In generale, comunque, si può sostenere che ritengono di essere visti bene dagli altri, avendo risposto in tal senso la quasi totalità del campione. Perciò le frasi sono “come una persona normale”, “dotato di sensibilità”, “penso bene, ho sempre cercato di essere corretto con tutti; può darsi che il mio operato abbia leso l’interesse di altre persone”, “come una persona socievole, equilibrata e spiritosa”, “spero come sono”, “come una persona tranquilla, decisa e posata”, “autorevole, a volte autoritario, informato, consapevole, attento ai bisogni altrui, un buon amico”. Abbiamo un “non mi pongo mai il problema” (correlato con le altre risposte dello stesso soggetto indica un’ottima integrazione tanto da…). Un unico soggetto dichiara “non rispondo”. 134 Descrizione di se stessi Il 90% si ritiene appagato, sia nella vita privata che in quella professionale, dichiarando “sono soddisfatto e compiaciuto sia nel lavoro di tutti i giorni che nella vita privata”, “sono soddisfatto della mia persona soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento con il mondo che mi circonda: ovvero, penso di essere positivo per tutto e questo mi risponde in molteplici maniere che mi arricchiscono continuamente”, “senza essere narcisista, sono pienamente soddisfatto”, o semplicemente, la maggior parte con un semplice “soddisfatto”. Altri senza usare l’aggettivo “soddisfatto” si descrivono come “persona calma”, “persona precisa” attribuendosi qualità positive. Solo due persone sono insoddisfatte, ma non ne specificano il motivo. Infine, un soggetto dichiara di essere “soddisfatto per molti tratti del carattere, insoddisfatto per quel che concerne la tendenza al gioco (borsa, casinò, ecc.)”. Rapporti personali e sociali La quasi totalità ha risposto di avere buoni rapporti con tutti, di non avere problemi ad andare d’accordo con chiunque; tre persone hanno definito i loro rapporti ottimi, ritenendo di riuscire a stabilire relazioni positive, sia in ambito lavorativo, sia in quello familiare che extra familiare. Una sola persona ha definito i suoi rapporti con l’aggettivo “scarsi”. Le frasi più significative: “Oserei definirli buoni: non ho mai avuto difficoltà nel dialogo con chicchessia”, “ho buoni rapporti nell’ambiente musicale, in quello che frequento nella vita di tutti i giorni e in quello professionale. Con mia moglie, la famiglia, gli amici di lunga data e persone la cui conoscenza è stata significativa, ho buoni rapporti personali”, “ho una fidanzata, coltivo molte amicizie, ho un ottimo rapporto con la mia famiglia e con i colleghi di lavoro”, “in generale buoni, soprattutto con chi se lo merita”, “vado d’accordo con tutti”. Amicizia Il 95% del campione è convinto che l’amicizia sia fondamentale nella vita di ognuno; c’è poi chi ha molte amicizie e chi, invece, rimane legato a poche persone con le quali stabilisce rapporti duraturi e profondi. Numerose sono state le risposte che fanno riferimento a delle amicizie “lontane”: il fatto di appartenere alle forze di polizia comporta molto spesso dei trasferimenti che, tuttavia, non impediscono di rimanere legati a persone care con le quali esistono legami di amicizia profonda. Ecco le più significative: “Posso affermare che negli anni sono cambiate in relazione al posto ove di volta in volta mi trovavo. Rimango tuttavia legato a vecchie amicizie più particolari”, “per quanto riguarda l’amicizia penso che sia uno dei valori più importanti della vita. Deve essere senza ombra di dubbio disinteressata: l’amicizia di convenienza è solamente denigrante”, “profonda e totale: considero un amico come un fratello; lo stesso vale per l’inimicizia: se una persona è perfida non conta nulla”, “cosa importantissima a livello umano”, “importantissima e fondamentale nella vita di ciascuno”. Una sola persona ritiene che l’amicizia non sia importante. Cosa pensa della sessualità Trattandosi di personale a contatto con reati relativi alla sfera sessuale risulta particolarmente interessante esaminare le posizioni emergenti. Le risposte sono ben strutturate “la sessualità è come tante altre una componente della persona. A mio parere deve esse- 135 re vista come un modo di comunicazione e non una forma di egoismo legato solo all’appagamento dei sensi”, “è uno dei momenti più intimi e di massima intesa con l’altra persona. E’ importante nella vita di coppia, quanto in quella individuale”, “una delle cose più belle della vita da affrontare con serenità e piacere”, “è il normale passaggio della vita con progressione rispetto all’età”, “è una cosa molto privata”, “importante al pari dell’amicizia e dell’amore”, “è importante ma non primaria”, “è una cosa molto privata”, “la vivo in maniera molto serena, senza alcun problema”, infine un tocco di ironia “da podio sicuramente, ma dopo l’amore…”. Ne emerge, ben più che nelle altre risposte un ritratto di persone attente a se e ai bisogni del gruppo sociale che li circonda. Donna ideale La donna viene vista principalmente come compagna, infatti le caratteristiche prevalenti sono “portata al dialogo, intelligente, non necessariamente bella”, “affettuosa, sincera e leale”, “sincera e cara”, con un pizzico di gusto estetico “bella, comprensiva, intelligente, simpatica e moderna”, Serena Dandini (intelligente e spiritosa)”, tutt’al più un paio richiedono il “tipo mediterraneo”. Mentre altri indicano “la mia ragazza”, “mia moglie”, o con un po’ d’ironia “quella che ho (anche se 10 anni fa era più attraente…). Infine un gruppo si abbandona a riflessioni più profonde: “le donne possono essere tutte ideali per un uomo, comunque la desidero molto sicura di sé e gentile d’animo”, “non coltivo un ideale di uomo o donna in particolare; partendo dal presupposto che siamo tutti diversi, perché emulare qualcuno che non fa parte di noi stessi?”. Desideri soddisfatti/insoddisfatti Oltre il 50% del campione, tra i desideri non ancora realizzati, nomina la famiglia e i figli, infatti spera in futuro nella nascita di altri figli, e esprime il desiderio di avere figli sani, ben educati ed istruiti. Tra le frasi più significative c’è chi auspica “di poter lasciare un segno positivo”, oppure “tra i desideri soddisfatti c’è il matrimonio, tra quelli da soddisfare al primo posto metterei la nascita di figli”, “vorrei ottenere degli incarichi superiori per quanto riguarda il lavoro; per quanto riguarda la famiglia desidero educare e dare una buona istruzione ai miei figli”. Il 30% sostiene di aver già realizzato i propri desideri e di porsi ora solo degli scopi facilmente raggiungibili, legati alla vita quotidiana. Una persona ritiene di avere ancora un sogno nel cassetto, ovvero “mi manca un viaggio alle Lofoten/Svaalbard”. Un’altra, tra i desideri insoddisfatti, esprime un rimpianto: “mi rimprovero di non aver avuto la volontà di continuare gli studi per giungere alla Laurea”. Infine “i desideri e i traguardi della vita sono tutti stati realizzati, certamente, al sorgere di difficoltà si cerca di risolverle per il meglio”. Sport e hobby La maggior parte, il 40%, gioca a calcio e calcetto a 5 (amatoriale), seguono il tennis e il fitness. Tra gli sport praticati emergono anche il parapendio, il pattinaggio in linea, il tennis da tavolo, il ciclismo, la palestra, il tiro a segno e la corsa. Qualcuno dichiara “non sono legato ad alcuno sport in maniera particolare” oppure “nessuno a livello agonistico. Un po’ bicicletta, tennis e basket”. Il 30% di dedica agli sport per mancanza di tempo pur avendoli praticati in passato. Per quanto riguarda gli hobby, emergono voci diverse; il quattro persone amano la pesca, “la pesca sportiva che coltivo sin da ragazzo”, tre sono appassionate di informatica, internet e tutto ciò che è affine al computer, due seguono con interesse la musica, due il motociclismo e l’automobilismo; una perso- 136 na dichiara che nel tempo libero si dedica allo studio della storia del popolo Celtico, sul folklore Bretone, specie irlandese e a viaggi negli stessi paesi, un’altra si occupa della coltura dei vigneti, un’altra ancora del fai date. Non mancano gli appassionati della lettura, dell’elettronica, nonché delle camminate in montagna e per sentieri. Tutti gli intervistati dimostrano di avere degli interessi e delle passioni a cui dedicano il tempo non impegnato nel lavoro. Auto Nella definizione dell’automobile desiderata le risposte sono piuttosto secche, con qualche eccezione. Un dato è chiaro: sono tutte di produzione estera con una netta predominanza di case tedesche. La preferita risulta la Mercedes “liscia” o dettagliata “Monovolume turbo diesel tipo Mercedes serie V”, segue Audi e Bmw, ma non mancano le Ford le Volkswagen, con una citazione a testa troviamo la Nissan Primiera e la Renault Megane. Qualcuno più genericamente dichiara di preferire “un fuoristrada, perché anche se non è molto veloce supera terreni accidentati e difficili”, o “preferisco un’auto comoda e spaziosa, che consumi poco”, o “è solo un mezzo di trasporto”, “è solamente un mezzo per raggiungere un luogo più velocemente che con altri mezzi. Non lo considero uno status symbol”. Abbigliamento Fra le domande poste quella che ha avuto le risposte più parche è sicuramente quella legata all’abbigliamento. Risulta equamente distribuita la preferenza di stile: un terzo “casual”, un terzo “classico” e il rimanente fra “sportivo” e qualche frase più generica come “curato e di buon gusto; seguo la moda senza esasperazione” o “Seguo la moda nel limite del possibile”. Infine una riflessione “non è una cosa essenziale. L’importanza è legata alla persona che indossa gli indumenti e non a questi ultimi. Per sintetizzare l’abito non fa il monaco”. Personaggio pubblico a cui vorrebbe assomigliare Quasi il 70% delle persone che hanno risposto al questionario dichiarano di non voler assomigliare a nessun personaggio pubblico con risposte di vario tono “nessuno, preferisco gli originali”, “sinceramente non vorrei assomigliare a nessun personaggio pubblico”, “Sembrerà strano ma non c’è nessuno”, “non vi è nessuno in particolare; avevo delle simpatie per Goria che attualmente è sparito dalla politica. Nutro delle simpatie per Montezemolo”. Del restante campione invece, due persone hanno dichiarato di voler assomigliare a Berlusconi, anche se una ironica “Silvio Berlusconi (sicuramente non per il potere economico…), due persone a Fini, una a Sgarbi, e una vorrebbe assomigliare a Roby Withall. 6.3. Conclusioni Si può constatare come per le forze di polizia sia difficile agire sul territorio. La prospettiva di un intervento integrato potrebbe migliorare la situazione e rendere più efficace la lotta allo sfruttamento. La collaborazione tra enti pubblici e privati, stato, comuni, associazioni e forze dell’ordine consentirebbe di agire in modo immediato e con soluzioni non solo temporanee. 137 Si è ritenuto importante approfondire lo studio della categoria composta da Polizia e Carabinieri, in quanto finora non era stata considerata in relazione al fenomeno della prostituzione. Nei testi relativi alla prostituzione, infatti, troviamo riportata la voce delle donne italiane e straniere che raccontano in prima persona le loro esperienze, la loro vita, le loro sofferenze e le speranze; spesso leggiamo le dichiarazioni degli operatori e degli assistenti sociali, ma non vi erano testimonianze delle forze di polizia che stabiliscono il primo contatto con la prostituzione. L’obiettivo della polizia non è solo quello di verificare la presenza di stranieri nel nostro paese, ma salvaguardare il cittadino e sconfiggere la criminalità organizzata che si nasconde dietro lo sfruttamento di giovani donne. Le testimonianze parlano infatti di trafficanti non solo di ragazze da destinare alla prostituzione, ma anche di sostanze stupefacenti e armi. Il lavoro svolto dalle forze di polizia risulta fondamentale. Ci siamo proposti di tracciare un profilo per capire quali sono i loro gusti, i desideri, gli interessi, i modi di rapportarsi con la società. E’ emerso il profilo di una persona di circa trentacinque anni d’età, che ha frequentato la scuola media superiore, allo stato civile risulta coniugato mentre la famiglia e composta da moglie e due figli, i rapporti sociali sono buoni, l’amicizia è considerata un valore fondamentale, desideri sono per la maggior parte realizzati; tra quelli non ancora soddisfatti “crescere al meglio i figli”, infine la maggioranza non vorrebbe assomigliare a nessun personaggio pubblico. Dai dati emersi risulta che la scelta di entrare nelle forze di polizia viene fatta da chi è animato da uno spirito altruista, dal desiderio di agire per migliorare e proteggere la società, ma molto spesso viene limitato da una fondamentale mancanza di mezzi da poter utilizzare. Decidere di dedicarsi a una carriera di questo tipo significa mettere in pericolo la propria vita per aiutare il prossimo201. Data la rilevanza del fenomeno prostituzione è auspicabile una soluzione a livello legislativo, in modo da poter contrastare il fenomeno in maniera più efficace. In questo modo non solo si potranno liberare molte giovani rese “schiave”, ma sarà più facile eliminare la criminalità organizzata che gestisce la prostituzione. 201 Il fatto di cronaca a cui si fa riferimento è la strage avvenuta in viale Ungheria, a Udine, il 23 dicembre 1998 quando una bomba esplose davanti a un negozio di telefonia uccidendo tre poliziotti in servizio. I responsabili individuati sono due italiani, due albanesi, una ragazza ucraina ed una prostituta albanese. Secondo la Procura, gli indagati organizzarono l’esplosione per colpire due poliziotti della Squadra Volante, in quanto veri e propri nemici degli spietati clan albanesi che gestivano la prostituzione in città. Sentendosi minacciati dalla presenza massiccia delle forze di polizia, dopo essersi lamentati dei troppi controlli che rendevano molto difficile lasciare lavorare le ragazze sulla strada, gli indagati si sarebbero espressi in questi termini: “Per adesso fanno quello che vogliono ma vedrai che tra dieci giorni, due settimane, i giornali scriveranno qualche cosa di importante”. Risulta così più chiaro perché sia difficile affrontare il fenomeno prostituzione: questo è generalmente legato a organizzazioni criminali molto potenti che, se incontrano ostacoli da parte delle Istituzioni, cercano di contrastarle con ogni mezzo. Già nel 1995, infatti, il vicequestore D’Antini, della Questura di Udine, rischiò la vita; un pentito raccontò che i clan albanesi, che imperversavano nel capoluogo friulano, gli avevano commissionato una bomba, da posizionare all’ingresso della sede, per uccidere quel dirigente che stava tentando di “ripulire” la città. 138 Capitolo settimo Le caratteristiche dell’azione sociale di Enzo Kermol, Laura Colussi, Marilena Contessi, Alessandra Francescutto 7.1. Ipotesi di intervento: i progetti nell’ambito della prostituzione Sono diverse le proposte progettuali avanzate da una molteplicità di attori sociali, spesso provenienti dal privato sociale e dal volontariato in collaborazione con le pubbliche amministrazioni, dirette sia all’intervento sul fenomeno, sia alla sua prevenzione. Si tratta di progetti che si propongono come ipotesi di provvedimento poiché, data l’attualità e la complessità del fenomeno, non esiste ancora una soluzione adattabile ad ogni contesto. Programmare nell’ambito della prostituzione non è un’azione semplice; si tratta di una realtà mutevole, multidimensionale, spesso invisibile (di essa percepiamo soltanto la parte più immediatamente evidente, quale ad esempio la prostituzione di strada che è però solo la punta dell’iceberg del problema), sostanzialmente sprovvista di studi e ricerche approfondite e consolidate negli anni ed ancora poco sostenuta a livello pubblico, fortemente in ritardo negli interventi spesso “delegati” ad associazioni private202. Secondo uno studio condotto dal Parsec, su indicazione del Dipartimento per le pari opportunità, i programmi di assistenza e integrazione sociale in merito alla prostituzione attivati in Italia, ammonterebbero nell’anno 2000 a 49203. In base ad una loro suddivisione per regione, emerge che 7 sono i progetti attivati in Lombardia, 5 nel Piemonte, 2 in Liguria, 6 nel Veneto, 1 nel Friuli Venezia Giulia, 5 nel Lazio, 2 nell’Emilia Romagna, 4 in Toscana, 2 nelle Marche, 1 in Abruzzo, 6 in Puglia, 3 in Campagna, 2 in Umbria, 1 in Molise, 2 in Sicilia, inoltre il Friuli, la Campagna e la Puglia hanno avviato una programma a livello multiregionale. Dallo studio emerge che mediamente in ciascun programma sono impegnati dai 10 ai 15 operatori; le associazioni maggiormente coinvolte sono le organizzazioni non-profit, coadiuvate dall’intervento degli Enti locali. Le azioni attivate riguardano interventi di informazione, mediazione interculturale intervento di strada, reintegrazione sociale, accoglienza protetta, percorsi di formazione, consulenza giuridica, inserimento lavorativo. I “progetti prostituzione” sono stati attivati sostanzialmente in quest’ultimo decennio, quando il fenomeno prostituzione è diventato quasi un’emergenza sociale, a seguito del proliferare di donne e minori nel settore, conseguentemente alle nuove ondate verificatesi sul finire degli anni Ottanta204. L’attenzione pubblica si è concentrata in particolar modo sul settore più visibile del mercato, ovvero la prostituzione di strada, che costituisce il problema sociale attorno a cui si sono sviluppati la maggior parte dei progetti di intervento. In particolare, in quasi 202 V. Castelli, Convegno Ricerca, progettazione, valutazione, Bologna, 18,19,20 Novembre 1997. Questi sono i progetti di “protezione sociale” che a livello nazionale sono stati finanziati dallo Stato, per un ammontare di 16 miliardi e mezzo. Tuttavia esistono una pluralità di progetti attivati da associazioni di volontariato e gruppi religiosi, che pur non avendo richiesto il finanziamento dello Stato, operano attivamente e a proprie spese, nel settore. 204 Vedi E. Kermol, A. Francescutto, Un’analisi del fenomeno prostituzione, Cleup, Padova, 2000, pag. 20 e sg. 203 139 tutte le principali città italiane sono stati attivati progetti che si distinguono tra loro per i diversi contesti sociali, organizzativi, e istituzionali in cui sono nati; tuttavia, è possibile rintracciare alcuni aspetti comuni. I progetti esistenti possono essere ricondotti sostanzialmente a due diverse prospettive di intervento: quelli che si rivolgono alle persone che si prostituiscono, orientando il loro intervento alla prevenzione sanitaria e alla facilitazione dell’accesso ai servizi territoriali, e quelli che si preoccupano di offrire un adeguato sostegno nel percorso di uscita dalla prostituzione. I primi si indirizzano secondo una strategia di “riduzione del danno”, ove il problema della prostituzione viene declinato principalmente sotto il profilo dell’igiene pubblica. L’informazione e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, rivolta alle persone che si prostituiscono in strada è, insieme alla facilitazione dell’accesso ai servizi sanitari, l’obiettivo operativo principale. I secondi sono diretti all’accoglienza e all’assistenza sociale e partono da una lettura del problema della prostituzione di strada come luogo di coazione e di traffico delle donne. In tal senso, gli obiettivi che i progetti di questo tipo si pongono, sono rivolti principalmente al sostegno e all’integrazione sociale delle “vittime” che ne vogliono uscire. Non è detto che i diversi programmi ricalchino pienamente e completamente le due prospettive; talvolta capita che, proprio in base ai diversi contesti della problematica locale, gli obiettivi prioritari e le scelte dei metodi di lavoro si differenzino o prevedano una integrazione delle due prospettive. Le prospettive d’intervento che verranno di seguito presentate raccolgono le diverse azioni attivate per affrontare il fenomeno della prostituzione. In particolare le tipologie presentate sono il frutto di un lavoro di confronto e sintesi tra i diversi progetti nazionali che vengono fatti rientrare in undici modelli di intervento. Pur con tutti i limiti rappresentati dal riunire in alcune categorie un’area ancora in evoluzione, possiamo ritenere questa suddivisione sostanzialmente esaustiva nella rappresentazione delle diverse pratiche sociali messe in atto in Italia205. Interventi di prevenzione sanitaria. Si rifà direttamente al lavoro già avviato in Europa, in particolare dalle reti EUROPAP e Tampep206. Ritiene significativo indirizzare l’intervento alla prostituzione di strada, centrato su azioni di prevenzione sanitaria, per garantire adeguate condizioni di esercizio della prostituzione. È un modello che, lungi dall’essere etichettato come univocamente “sanitario”, si ispira alla riduzione del danno non solo di tipo medico, ma anche in merito alla sicurezza delle donne che si prostituiscono Lavoro di strada e riduzione del danno. Tale modello, precedentemente avviato nei confronti di un target diverso, cioè soggetti tossicodipendenti, è stato successivamente applicato anche al mondo della prostituzione di strada. Tali interventi si muovono prevalentemente dall’urgenza di offrire azioni che riducono il rischio. Parola d’ordine di tale approccio risultano essere la limitazione o la riduzione del danno e il concetto di rischio. I gruppi di autoaiuto. I progetti che rientrano in questa tipologia, nascono dal filone di intervento sociale denominato “self-help”. Si tratta di dare una forte valorizzazione al ruolo che può avere un gruppo sociale che, a partire da alcuni problemi convissuti, può 205 Vedi V. Castelli, Convegno Ricerca, progettazione, valutazione, Bologna, 18,19,20 novembre 1997 e E. Kermol, A. Francescutto, Un’analisi del fenomeno prostituzione, Cleup, Padova, 2000, pag. 60-67. 206 Progetti avviati in Europa a partire dal 1993 per sviluppare un’efficace politica di tutela della salute e la lotta contro la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili e l’AIDS. 140 attivare un sistema di aiuto, di condivisione, di superamento dei problemi all’interno del gruppo stesso o attraverso alcuni membri del gruppo. Interventi di accoglienza e presa in carico. Questa categoria di progetti, nasce a partire dalla forte emersione del fenomeno della tratta, dello sfruttamento a fini sessuali. A fronte di questa situazione, gli interventi si propongono, come modello, quello della “presa in carico” e della “fuoriuscita” dal sistema. Propone pertanto l’accoglienza delle ragazze prostitute che chiedono un aiuto per sfuggire al racket ed agli sfruttatori. Tale modello è stato costruito e successivamente avviato all’interno del mondo cattolico (Caritas italiana, Comunità Papa Giovanni XXIII) Interventi di formazione professionale ed inserimento lavorativo. L’idea di fondo sottesa a tale tipologia di interventi, è la consapevolezza di dover attivare, per le ragazze prostitute percorsi di autonomia progressiva e di concreta alternativa al lavoro sulla strada. La formazione professionale, infatti, viene vista come un primo passo per acquisire capacità e competenze spendibili nel mercato del lavoro italiano. L’inserimento lavorativo, rappresenta dunque, il punto di arrivo di tale processo di autonomia. Interventi di zoning. Questi interventi partono dalla necessità (valutata tale per alcuni) di concentrare in una determinata e circoscritta “zona” del territorio della città, la presenza della prostituzione di strada. Questo modello è stato già sperimentato in particolar modo nella città e territori del Nord d’Europa (in Olanda, Belgio e Germania), con la creazione dei famosi “quartieri a luci rosse”. Oggi questo modello, battuto e controverso, è di fatto presente (anche creato dallo stesso target, che spesso si concentra in luoghi ben precisi), in alcuni territori e città italiane. Intervento di comunità. I progetti di questo tipo, sono legati alla tradizione e ai riferimenti della psicologia di comunità e vede l’azione nella strada come parte di un processo di sviluppo complessivo della comunità locale, volto all’assunzione (Comunity Care) da parte dei cittadini dei problemi e delle soluzioni legate alla sicurezza sociale, alla vivibilità delle aree urbane ed al senso di appartenenza, di partecipazione e di cambiamento in una comunità. Tale filone è molto critico rispetto ai modelli di tipo repressivo e riparatorio. Azione di network. I progetti raggruppabili sotto tale tipologia nascono all’interno della valorizzazione delle reti come processo di sviluppo del contesto sociale. In particolare, tale modello trae origine all’interno della Network Analsys, che vede nel modello delle reti una grande risorsa per avviare processi di cambiamento sociale. Azioni con i paesi d’origine. Tali programmi cercano di dare una lettura al fenomeno della prostituzione, non in maniera univocamente sintomatica, (ovvero la parte più visibile della prostituzione: quella di strada) bensì cerca di cogliere anche i nessi causali (il perché di questo lavoro, il retroterra personale e contestuale delle ragazze…). Per fare questo diventa fondamentale il rapporto diretto e costante coi i Paesi d’origine delle ragazze. Interventi di controllo sociale e di repressione. Gli interventi che rientrano in tale tipologia, fondano la loro concezione sulla necessità di garantire l’ordine pubblico, messo in crisi dal target, utilizzando pertanto, strumenti di controllo e di repressione Autarchia popolare. Tali interventi sono spinti dalle percezione del malcontento di molti cittadini, nel vedere vanificate tutte le possibili strategie (delle Forze dell’ordine, progetti delle città, interventi del privato sociale) di superamento del disagio provocato nel territorio dalla presenza di prostitute di strada, attiva, modifica, veicola o aggrega fenomeni di xenofobia, di autolegittimazione, di controllo popolare del territorio. 141 7.2. Le Unità di strada: aspetti descrittivi e organizzativi Le Unità di strada sono “strumenti di lavoro” utilizzati in alcuni Comuni italiani allo scopo di fornire un aiuto di tipo sanitario, psicologico e sociale alle prostitute, soprattutto immigrate, che lavorano nelle strade delle nostre città. Detti strumenti sono coordinati da movimenti di base quali: Europap, coordinato a livello italiano dalla L.I.L.A. (Lega italiana lotta all’AIDS), dal Comitato per i diritti civili delle prostitute e infine da Tampep, coordinato dal suddetto Comitato per i diritti civili delle prostitute. Questi movimenti elaborano precisi programmi in collaborazione con i Comuni e con i loro sindaci; ricordiamo ad esempio il progetto della Regione Emilia Romagna, il progetto Tampep-Torino e gli analoghi progetti attivati a Modena, Bologna e Venezia. Concretamente l’Unità di strada consiste in un camper, o più semplicemente una automobile, che percorre le strade delle città in cui si trovano le prostitute. All’interno del mezzo ci sono degli operatori (educatori, mediatrici culturali, operatrici pari) che contattano le ragazze e, se queste accettano, spiegano loro chi sono e cosa possono offrire. Gli operatori lavorano anche di giorno, in genere tutta la settimana, in un ufficio dove avvengono i colloqui e gli incontri con le ragazze che accettano il sostegno del gruppo di lavoro. Nel corso del primo contatto gli operatori forniscono alle ragazze l’indirizzo della sede operativa invitandole a frequentarla per esporre i loro problemi e trovare insieme agli operatori le giuste soluzioni. In genere si tratta di consulenze sui propri diritti, riguardo alla salute, il permesso di soggiorno e problemi abitativi. Vengono inoltre fornite informazioni sui servizi sanitari e socio-assistenziali della città e la possibilità di accedervi con gli operatori del Servizio. Si offre infine la possibilità di partecipare ad incontri di gruppo con altre ragazze che si trovano nelle stesse condizioni al fine di discutere, scambiarsi informazioni e idee sul proprio lavoro e sulla propria condizione. 7.2.1. La struttura dell’Unità di strada Il servizio Unità di strada svolge un lavoro di prevenzione sanitaria direttamente sulla strada, si occupa del contatto con ragazze che si prostituiscono e del loro accesso ai servizi pubblici. Vediamo la struttura del Servizio attraverso la seguente griglia207 che sintetizza i servizi che lo strumento offre e le figure professionali interessate: Servizi - contatto sulla strada, creazione di una relazione confidenziale; - prevenzione sanitaria sulla strada; - informazione; - monitoraggio e mappatura del fenomeno; - collegamento interfacciale con i “sensori” (Comuni, associazioni territoriali). Figure professionali - operatrici di strada; - mediatrici culturali (albanesi, russe, nigeriane); - educatrici pari; 207 La griglia qui riportata è tratta dal manuale dell’associazione “On the road” intitolato “Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada”, Comunità edizioni, 1998. 142 - supervisore/coordinatore. In genere l’Unità di strada si avvale anche di un ufficio permanente di cui viene dato l’indirizzo e il numero telefonico alle ragazze che vogliono avvalersi del sostegno del Servizio. Operare sulla strada deve essere una opzione netta preceduta e soprattutto sostenuta da una precisa scelta etico-politica; infatti a differenza degli altri luoghi dell’agire sociale è fondamentale stabilire un rapporto biunivoco con tale contesto, capace, cioè di modificare l’azione in base ai ritorni che si ricevono costantemente. Il lavoro sulla strada implica quattro assunti fondamentali208: 1) mettere al centro di tutto la persona e le sue relazioni significative; 2) proporre interventi non standardizzati; 3) non sottovalutare l’importanza di strumenti culturali, di informazione e formazione; 4) lavorare affinché il disagio da problema diventi anche risorsa, opportunità di trasformazione per ognuno. L’Unità di strada comprende e sfrutta la valenza educativa insita nella strada; si pone in una funzione d’ascolto per capire cosa emerge da questo difficile contesto. Questo è un punto molto importante poiché la strada è soggetta a continui cambiamenti che bisogna decodificare e comprendere: “Il lavoro di strada va vissuto come una storia di vita (e una storia di vita comprende ragione e follia, certezza e indeterminazione, sfida e sconfitta) e va studiato mentre si compie o va concludendosi come un’autobiografia che non risparmia nulla di quanto è accaduto”209. La strada è una finestra che si affaccia sulla nostra società e che può offrirci una visione del mondo meno parziale di quanto sembri, anche se opera solo con persone emarginate. 7.2.2. La riduzione del danno nel lavoro di strada “Il concetto di riduzione del danno è divenuto d’uso comune alla fine degli anni ‘80 in risposta a due particolari emergenze. La prime era la diffusione dell’infezione da HIV tra i consumatori di droghe per via iniettiva. La seconda, il sospetto che le strategie che avevamo adottato per far fronte al consumo di droghe avevano aggravato il problema invece che contenerlo”210. Il dibattito sulla riduzione del danno si è andato allargando dallo “specifico droga” interessando via via altri ambiti di disagio, ad esempio giovani “a rischio” e prostituzione (maschile e femminile). Per i progetti rivolti ai giovani a rischio di devianza, le modificazioni operate sulle attività già in corso sono state più limitate rispetto a quelle che sono state avviate dopo la Conferenza nazionale sulla droga tenutasi nel 1993 a Palermo; fu proprio in quell’occasione infatti che il dibattito sulla prevenzione dell’uso di droghe si allargò anche alla diffusione del virus HIV fra i giovani. Altro elemento che contribuì all’avvicinamento alla riduzione del danno fu la necessità di distribuire ai giovani strumenti concreti di prevenzione, quali ad esempio materiali informativi espliciti e profilattici. 208 Gli assunti sono tratti da “Strada facendo” edito dal Gruppo Abele, Torino, 1994, pag. 7. D. Demetrio, “Per una pedagogia del lavoro di strada”, in Animazione sociale n. 8/9, Agosto/Settembre 1995, pag. 60. 210 “La riduzione del danno”, Edizioni gruppo Abele, Torino, 1994. 209 143 Le iniziative che riguardano più direttamente le nuove emergenze sociali, come la prostituzione di strada, hanno avuto un forte impulso proprio dalla vicinanza con l’approccio della riduzione del danno e ovviamente all’esplosione del fenomeno AIDS. Infatti tuttora gli operatori delle unità di strada utilizzano la distribuzione di profilattici quale mezzo di “aggancio” della persona che si prostituisce allo stesso modo in cui chi opera con i tossicodipendenti usa distribuire siringhe pulite. In sostanza, è possibile affermare che è proprio grazie all’uso dell’approccio basato sulla riduzione del danno che oggi si assiste ad una rivalutazione del lavoro di strada; come afferma D’Alessandro211, attualmente non ha senso finanziare iniziative basate sulla lavoro di strada rivolte a strati di popolazione emarginata che presentano problematiche particolari ed emergenze di tipo sanitario, evitando di distribuire gli essenziali strumenti di prevenzione oppure non prevedendo una presa in carico della persona stessa. Gli interventi di questo tipo infatti sono di dubbia efficacia e costituiscono un danno per lo sviluppo del lavoro di strada nel nostro paese. 7.2.3. Il rapporto con gli utenti Le relazioni che si creano tra operatori ed utenti sono ovviamente la base degli interventi che si possono realizzare in strada e anche degli interventi che si attueranno “oltre la strada” e che investiranno la persona nel suo complesso. Come in ogni relazione interpersonale anche qui entrano in gioco delle componenti che possono influenzare il rapporto che si va creando: innanzitutto le caratteristiche individuali degli operatori e degli utenti e in secondo luogo anche i mezzi e gli strumenti utilizzati. Secondo D’Alessandro212 per quanto riguarda l’operatore entrano in gioco due elementi che incidono fortemente sulla qualità della relazione: si tratta della propensione al lavoro di strada e la professionalità posseduta. Per quanto concerne il primo aspetto, l’autore rimanda alla riflessione sulle reali motivazioni che spingono l’operatore verso il suo lavoro sulla strada ed inoltre ai suoi bisogni, aspettative ed obiettivi. Questa riflessione mi sembra importante soprattutto perché credo che ogni scelta di svolgere una professione d’aiuto dovrebbe essere preceduta da un’attenta riflessione sugli aspetti citati. La professionalità comprende invece altre cose quali i titoli di studio e l’esperienza maturata sul campo. Se un operatore possiede le caratteristiche esposte avrà sicuramente più facilità nell’agganciare gli utenti stabilendo fin da subito un rapporto significativo. D’Alessandro aggiunge però un ulteriore elemento che entra in gioco nel rapporto con l’utenza: l’obiettivo ultimo dell’azione che si sta realizzando. L’approccio sarà infatti notevolmente diverso a seconda del tipo di obiettivo che si vuole raggiungere e del tipo di azione che si mette in atto. Per tutti questi motivi l’autore sottolinea come sia insensato costruire un modello standard da utilizzare nel lavoro di strada; quando si tratta di costruire relazioni con le persone è infatti molto difficile attenersi ad uno schema rigido e immodificabile proprio perché ogni relazione sarà diversa a seconda della persona che si avrà di fronte. Tuttavia, coloro i quali operano in strada da molto tempo hanno elaborato una serie di punti fermi che devono essere presenti in linea di massima in tutte le rela211 A. D’Alessandro, “Il lavoro di strada” in “On the road”, Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Comunità edizioni, 1998. 212 A. D’Alessandro, op. cit., pag. 316. 144 zioni tra operatore di strada e utente; non si tratta di uno schema fisso ma solo di una serie di atteggiamenti che possono aiutare la relazione a diventare proficua e significativa. Ecco i punti da tener presente: - ascolto attivo; - osservazione; - presenza costante; - presenza non giudicante; - dialogo. Si tratta dei medesimi atteggiamenti usati nel servizio sociale; su tutti spicca la partecipazione dell’operatore che non deve assumere mai un ruolo passivo di fronte all’utente, ma al contrario deve essere parte attiva e dinamica della relazione al fine di stimolare l’iniziativa dell’utente stesso. Risulta rilevante sottolineare inoltre il quarto aspetto, quello della presenza non giudicante: punto fermo nel servizio sociale, sembra imprescindibile nel lavoro di strada con le prostitute. Si tratta di una “categoria” di utenti normalmente emarginata dalla nostra società; è quindi fondamentale lavorare tenendo conto di questo fattore, evitando ogni possibile forma di giudizio, il quale, se esplicitato, potrebbe impedire l’instaurarsi di una relazione significativa. In conclusione si può affermare che il rapporto operatore-utente è una delle parti più difficili del lavoro di strada e non solo di questo; in ogni professione d’aiuto è infatti uno degli aspetti più difficoltosi, a maggior ragione lo è sulla strada dove l’operatore non viene chiamato né richiesto da nessuno, ma deve al contrario proporsi e farsi accettare dall’utenza. L’operatore di strada dovrà imparare a cambiare continuamente modalità d’approccio, a destrutturarsi e ristrutturarsi molte volte in modo da adeguarsi realmente alle esigenze e alle mutazioni che avvengono di continuo nella strada e nelle persone che vi lavorano. 7.2.4. Organizzare il lavoro di strada Solo un’organizzazione chiara e precisa del lavoro potrà permettere di svolgerlo al meglio, raggiungendo nel contempo gli obiettivi decisi in precedenza. La programmazione e l’organizzazione del lavoro sono momenti importanti senza i quali l’efficacia stessa delle azioni che vengono intraprese sarebbe inficiata e compromessa; per queste ragioni è molto importante pianificare le azioni da svolgere e il lavoro futuro. D’Alessandro213 suddivide l’organizzazione in una serie di punti strettamente interconnessi, la cui piena attuazione incide in maniera decisiva sul buon andamento del lavoro di strada. 1) Gli operatori L’organizzazione comincia dalla pianificazione dell’équipe operativa; ogni singolo componente, per entrare a far parte del gruppo, deve possedere dei requisiti di base che l’autore elenca: - propensione a lavorare in strada; - disponibilità alla relazione con l’utenza; - esperienza maturata; - professionalità posseduta. 213 A. D’Alessandro, op. cit., pag. 319. 145 Altre caratteristiche possono subentrare a seconda della singola esperienza o dello specifico progetto; per esempio una determinata provenienza geografica può essere richiesta per affrontare un lavoro con un utenza specifica appartenente ad una particolare nazione. L’elemento più importante dell’équipe è il responsabile e non solo perché coordinerà il lavoro ma anche e soprattutto perché toccherà a lui gestire e risolvere i conflitti che nasceranno tra i componenti del gruppo. Il lavoro dell’unità di strada è infatti un lavoro del tutto destrutturato, in cui non esiste una rigida suddivisione di compiti e competenze; se da un lato questo è un elemento positivo, da un altro crea facilmente occasioni di conflitti e scontri tra i membri, soprattutto quando tra questi non esiste una buona comunicazione. 2) La formazione L’autore lo definisce come uno strumento di lavoro indispensabile per il fatto che il lavoro di strada non è ancora ben definito e stabilizzato. La metodologia formativa del lavoro di strada segue lo schema tipico usato da tutti gli altri interventi di questo tipo, articolandosi nelle quattro fasi classiche: analisi dei bisogni; progettazione; attuazione dell’intervento; valutazione. In sostanza, per quanto riguarda il primo punto, si cercherà di fare in modo che ogni operatore possa, avvalendosi di una scheda di rilevazione, evidenziare gli aspetti per lui meno chiari del lavoro di strada. Su questa base viene elaborato un programma dell’intervento formativo e lo si mette in atto, garantendo un costante tutoraggio al gruppo. Alla fine si preparerà una scheda con cui si cercherà di capire quali sono stati i concetti meglio compresi. 3) La supervisione Secondo D’Alessandro è indispensabile che il supervisore sia esterno al gruppo di operatori e alla struttura stessa che organizza il lavoro di strada; è inoltre utile ricordare che le riunioni di supervisione non corrispondono alle periodiche riunioni d’équipe, le quali hanno una valenza più operativa e funzionale al lavoro che il gruppo sta svolgendo in quel periodo. La supervisione va intesa come consulenza attiva e non come controllo da parte di un organo superiore; l’obiettivo della supervisione è quello di far fronte alle problematiche che l’operatore di strada inevitabilmente si trova di fronte. “Bisogna tener presente che il lavoro dell’educatore nel territorio lo pone in prima linea, lo espone ad un grande coinvolgimento emotivo in quanto lo mette a contatto con situazioni di grave sofferenza personale e familiare, in situazioni molto coinvolgenti e molto deteriorate, a volte anche con la morte. Tutto ciò genera angoscia, confusione, impotenza. L’educatore può anche subire un coinvolgimento personale tale da provocare danni alla propria capacità lavorativa e alla propria persona”214. La supervisione rappresenta un’utile strumento per evitare questo tipo di problemi che ogni operatore che lavora nel sociale conosce. Affinché questo strumento funzioni è necessario programmarlo e attuarlo fin dall’inizio, perché adottarlo solo quando la situazione si trova ormai in uno stadio avanzato è quasi inutile. La supervisione analizza generalmente le seguenti aree: 214 “La strada come rete di accoglienza e solidarietà”, Animazione sociale, n.4, Aprile 1994, pag.64-65. 146 1) problematiche relazionali di ciascun operatore; 2) dinamiche istituzionali che attraversano l’organizzazione. Ogni équipe di lavoro dovrebbe sapere e ricordare che una buona supervisione, oltre a migliorare la qualità del lavoro, è la base di partenza di qualsiasi possibilità di riflessione e di trasformazione del lavoro che si sta portando avanti. Si tratta di una possibilità in più per lavorare al meglio e per migliorare la qualità dei rapporti tra membri del gruppo, senza dimenticare che un tipo di lavoro come quello dell’operatore sociale abbisogna continuamente di un sostegno esterno per fronteggiare le moltissime problematiche lavorative, ma anche e soprattutto personali, che continuamente si presentano. D’Alessandro215 propone un’interessante schema riassuntivo delle varie fasi in cui il lavoro di strada deve essere articolato; la suddivisione è utile perché ci permette di comprendere come nasce e come procede l’azione dell’unità di strada che opera nell’ambito della prostituzione di strada. Ecco le diverse fasi: Fase 1: rilevazione del bisogno Gli indicatori che ci aiutano nella rilevazione del bisogno sono in genere due: l’allarme sociale, che in genere viene espresso dai cittadini e dai mass media, e le richieste d’aiuto presentate dalle persone coinvolte nel problema contro la loro volontà. Una volta accertata la presenza del problema è necessario quantificarlo e localizzarlo; in sostanza bisogna scoprire qual’è il numero delle persone coinvolte e dove queste ultime si prostituiscono. Altri dati utili saranno le nazionalità e l’età presuntiva delle ragazze coinvolte. Fase 2: progettazione A questo punto è necessario mettere a punto il tipo di intervento che si vuole realizzare, tenendo conto dei finanziamenti disponibili. In Italia, generalmente gli interventi sono misti, nel senso che investono diverse aree di intervento, a cominciare da quella sanitaria fino a quella legale, comprendendo quindi anche l’area sociale, abitativa, ecc. La prima azione da compiere dovrebbe essere quella di cercare di migliorare le condizioni di vita della ragazza che si prostituisce, allontanandola dal contesto dove vive per inserirla in uno nuovo, lontano dal mondo della prostituzione; per attuare questo primo progetto è necessario disporre di luoghi adeguati ove nascondere la ragazza e di idonei contatti sociali che possano facilitare un eventuale ritorno nel paese d’origine oppure favorire un suo inserimento nel territorio. Un altro polo d’azione riguarda la salute delle prostitute e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; in questo tipo di interventi, si usa distribuire strumenti di profilassi (condoms, disinfettanti ecc.) nel corso del primo contatto, procedendo eventualmente a visite mediche direttamente nel camper oppure accompagnando le ragazze in strutture adeguate. Se il secondo ambito di intervento è in genere ben visto dai “protettori”, per il primo non si può dire altrettanto per cui sarà consigliabile usarlo con discrezione. Fase 3: alleanze territoriali (la rete) Avere contatti e alleanze nel territorio è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi prefissi. 215 A. D’Alessandro, op. cit., pag. 330. 147 Le “agenzie” più importanti con le quali è quasi indispensabile avere dei contatti sono tre: la prima è rappresentata dalle Forze dell’Ordine, che hanno il compito di reprimere lo sfruttamento della prostituzione e in genere sono un punto di raccolta delle informazioni che riguardano questa problematica. La seconda agenzia è rappresentata dalla rete territoriale di accoglienza, costituita da varie organizzazioni, religiose o laiche, che si prefiggono di offrire un sostegno alle fasce di persone più deboli ed emarginate. Queste organizzazioni favoriscono la riuscita degli interventi in quanto in genere possono favorire la realizzazione del progetto offrendo luoghi dove ospitare le ragazze oppure raccogliendo contributi utili a portare avanti l’iniziativa. Infine, ecco l’agenzia più importante: quella dei servizi socio sanitari pubblici; è indispensabile costruire un buon rapporto con loro perché hanno una notevole importanza nel raggiungimento di obiettivi legati al mondo della prostituzione; si pensi ad esempio alla valenza che può avere il Consultorio Familiare con il suo insieme di professionalità sanitarie e sociali al servizio della donna. Fase 4: selezione dell’équipe La selezione dell’équipe dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere; a seconda degli obiettivi quindi, si sceglieranno persone con determinati requisiti adatti al raggiungimento dei fini prefissi. E’ indispensabile che gli obiettivi siano chiari fin dall’inizio e soprattutto che siano condivisi da tutti i componenti dell’équipe. Fase 5: attivazione dell’intervento I primi tempi saranno decisivi per verificare l’impatto del progetto nel mondo della prostituzione di strada; probabilmente nel corso del primo; periodo sarà necessario ridefinire gli obiettivi iniziali, degli strumenti e dell’équipe, qualora questi elementi si rivelino non funzionali. E’ necessario, come suggerisce D’Alessandro, essere disponibili a modificare il disegno iniziale, accettando gli errori che lo caratterizzano ma nel contempo bisogna cercare di non stravolgere il senso complessivo del progetto, reinventandone uno completamente diverso. Fase 6: Valutazione La valutazione è una fase molto importante che ci consente di constatare l’impatto del progetto nella realtà dei fatti; nello specifico degli interventi sociali, la valutazione è un momento utile ad adattare constantemente le azioni progettuali alla realtà sociale su cui si interviene. Riflettere sul proprio lavoro al fine di valutarlo è inoltre uno strumento per gli operatori; la riflessione e la rielaborazione del proprio lavoro effettuata ex post, permette infatti di prendere coscienza dei propri errori e dei problemi che inevitabilmente sorgono nello svolgimento del lavoro di strada. 7.2.5. Figure professionali nel lavoro di strada Secondo Pia Covre216, fondatrice con Carla Corso del Comitato per i diritti civili delle prostitute e coordinatrice dei Progetti europei Tampep ed Europap, gli operatori di 216 P. Covre, Figure professionali nel lavoro di strada, in “On the road”, Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Comunità edizioni, 1998. 148 strada devono essere selezionati tenendo conto di caratteristiche che riguardano le seguenti sfere: -Personalità -Attitudine -Genere -Capacità di comunicazione e linguaggio -Motivazioni personali e lavoro d’équipe La personalità è una delle caratteristiche più importanti che raggruppa diversi modi di essere importanti nel lavoro di strada; prima di tutto significa entrare subito in sintonia con le persone, vincendo la naturale resistenza che è presente all’inizio; significa inoltre capire e reagire di fronte alle situazioni di pericolo, mantenendo la calma necessaria per affrontare la situazione. Non tutte le persone hanno queste caratteristiche; spesso un operatore risulta abile nell’attività di counselling ma non è in grado di affrontare l’imprevisto del lavoro di strada. Per questi motivi è necessario vagliare molto bene all’inizio la presenza di queste caratteristiche perché altrimenti il lavoro di strada ne verrebbe irrimediabilmente compromesso. L’attitudine comprende diversi fattori, non ultimi sono le convinzioni religiose e l’ideologia politica di una persona che inevitabilmente emergono in questo tipo di lavoro così delicato. Secondo l’autrice infatti determinate idee, come ad esempio l’idea che il lavoro sessuale sia degradante e peccaminoso, emergeranno influenzando l’atteggiamento dell’operatore che, di conseguenza, trasmetterà il suo stato d’animo alla prostituta, intaccando l’armonia del rapporto. E’ indispensabile che l’operatore riesca ad accettare la vita della prostituta così com’è, senza cercare a tutti i costi di cambiarla; “accettazione e pazienza sono indispensabili per un operatore che lavora in strada con le prostitute”217. Un altro argomento piuttosto delicato è quello del genere; accade spesso che un operatore maschio abbia molte più difficoltà di una donna nel costruire un rapporto con la prostituta. Questo succede perché generalmente le prostitute non hanno un’immagine positiva degli uomini, soprattutto quando si tratta di una ragazza ingannata, picchiata e sfruttata dal suo “protettore”; in questi casi, per niente rari la costruzione di un rapporto con un operatore maschio richiederà molta pazienza e delicatezza; in altri si dovrà decisamente lasciar perdere e affidare il caso ad una donna. Una cosa che in assoluto non dovrà mancare sarà la capacità di comunicazione e di linguaggio importante perché il lavoro di strada comprende la necessità di spiegare questioni mediche e sociali a donne che spesso parlano poco o per niente l’italiano e che sono sempre diverse l’una dall’altra; è quindi indispensabile adattare il proprio modo di comunicare ad ognuna di loro. Credere nel proprio lavoro è importante. La motivazione aiuta a credere nel proprio lavoro e nella sua utilità, ci aiuta ad andare avanti anche quando è difficile farlo perché sorgono innumerevoli problemi. E’ inoltre importante saper collaborare nel lavoro d’équipe; nei gruppi deve esserci uno scambio continuo di informazioni, disponibilità ad accordarsi e rispetto per il lavoro e per i tempi degli altri membri. Un’équipe funzionerà solo se saranno presenti questi 217 P. Covre, op. cit., pag. 339. 149 elementi, altrimenti il rischio è quello di fossilizzarsi ognuno nel proprio lavoro, senza riguardo per quello degli altri operatori, in un clima caratterizzato dalla tensione. I membri dell’équipe devono trovare il tempo di riunirsi, e questo non solo al fine di discutere del lavoro ma anche e soprattutto per confrontarsi e migliorare le relazioni che intercorrono tra ogni operatore e gli altri. Il lavoro di strada è come è stato più volte detto, un lavoro destrutturato, imprevedibile che pone di fronte a situazioni di forte stress emotivo. Per questo motivo è necessario che ci sia buona intesa tra l’équipe, in modo che la tensione del lavoro possa essere positivamente scaricata e condivisa con gli altri membri. Mediatrici culturali La maggior parte delle prostitute che troviamo oggi nelle strade sono straniere; come si è visto nei capitoli precedenti si tratta per lo più di ragazze nigeriane o albanesi che spesso parlano poco o per niente l’italiano e che sono portatrici di codici culturali molto diversi dai nostri. Esiste in sostanza una grossa diversità di cultura e di mentalità che, a volte, può diventare un ostacolo per la comunicazione tra ragazza e operatore. Preso coscienza di tutti questi problemi, il programma TAMPEP218 ha adottato nel suo sistema di lavoro la presenza delle mediatrici culturali, le quali si sono in seguito rivelate importantissime per il lavoro dell’unità di strada. TAMPEP mette a disposizione corsi di formazione per questa nuova figura professionale e spesso ne prendono parte persone del tutto estranee al mondo della prostituzione. La mediatrice culturale è in genere una persona che vive in Italia da molto tempo ma che è nata e cresciuta in Paesi stranieri come l’Albania o la Nigeria e che quindi conosce la lingua e la cultura di questi Paesi. Grazie a questi requisiti la mediatrice è facilitata di molto nell’avvicinare per la prima volta le ragazze poiché queste ultime si sentono a loro agio con una persona che sentono vicina. Inoltre la mediatrice conosce le idee, i tabù che queste ragazze hanno, è in grado di capirle perché conosce la loro cultura di provenienza. Da questo punto di vista la mediatrice si è rivelata indispensabile, senza contare i casi in cui la sua funzione di interprete è stata fondamentale per avviare e continuare il rapporto con le ragazze che molto spesso non parlano l’italiano. Operatrici pari L’operatrice pari è una persona che lavora attualmente o che comunque ha lavorato in passato come prostituta e che mette la sua esperienza e la sua conoscenza della strada a servizio dell’Unità di strada, collaborando costantemente con questa. L’inclusione di operatrici pari nel gruppo di operatori deve essere una scelta attenta poiché alcuni aspetti potrebbero creare complicazioni; l’autrice afferma ad esempio che il lavoro dell’operatrice pari potrebbe suscitare invidia nelle “colleghe” con conseguenze negative per il lavoro del progetto e per la sua personale posizione in strada. Per questi motivi la scelta dell’operatrice pari dovrà essere ben ponderata per non incorrere in problemi futuri. Gli obiettivi e gli accordi devono essere chiari da subito e naturalmente la paga dell’operatrice pari sarà uguale a quella degli altri operatori; questi ultimi dovranno aiutare l’operatrice pari ad integrarsi e ad adeguarsi agli orari e ai tempi del lavoro. Molto 218 TAMPEP, “Trasnational AIDS/STD prevention among migrant prostitutes” in Europe project, progetto finanziato insieme a EUROPAP dalla Commissione Europea DG V, nel programma “Europa contro l’AIDS”. 150 spesso chi lavora nella strada come prostituta ha un modus vivendi non regolare, diverso da quello comune e quindi può avere delle difficoltà ad adattarsi. Inoltre alcune prostitute hanno qualifiche professionali precise, ma altre possono offrire solo la loro personale esperienza ed attitudine; spetterà agli altri operatori supportarle e integrarle negli ambiti che loro non possono conoscere. I colleghi dovranno essere inoltre chiari fin da subito su cosa vogliono dall’operatrice pari; sarà quindi fondamentale suddividersi i compiti e le competenze per non incorrere in conflitti professionali. La figura dell’operatrice pari è indubbiamente importante: la conoscenza che possiede del mondo della strada e delle sue dinamiche è impareggiabile e utilissima per lavorare in questo mondo. Per l’utenza trovarsi di fronte un operatore che in un certo senso è stato nella loro condizione risulta rassicurante; di solito queste ragazze si sentono molto insicure del loro ruolo perché sono a conoscenza del fatto che la società e le persone in genere disapprovano quello che fanno, le considerano persone inferiori, emarginate. Conoscere “una di loro” che lavora sulla strada come operatrice dà loro fiducia perché sanno che questa persona le può capire e inoltre perché vedono con i loro occhi che anche una prostituta può fare un lavoro gratificante e utile. La strada pone sempre degli imprevisti; lavorare di notte, su un camper o su una macchina, fermandosi nelle zone più pericolose della città, comporta sempre un certo grado di rischio che aumenta notevolmente quando una persona non è abituata alle dinamiche della strada. In questi casi avere a fianco una persona che conosce perfettamente il linguaggio e i fatti della strada è estremamente utile, poiché la sua esperienza guiderà la sua reazione nella direzione migliore. Solo un’ex prostituta può sapere realmente come ci si deve comportare ad esempio di fronte ad un cliente imbestialito che pretende soldi da una ragazza e che per questo motivo non la fa scendere dalla macchina oppure di fronte ad un protettore cui non va a genio l’intervento dell’unità di strada e che per questo si presenta dagli operatori durante un’uscita. Per tutte queste ragioni è necessario dare la giusta importanza al lavoro delle operatrici pari, riconoscendone i pregi e le possibilità e usufruendo nel miglior modo possibile della loro esperienza. Per lavorare con il mondo della prostituzione è necessario avere delle conoscenze precise che riguardano diverse aree tematiche. Innanzitutto bisogna conoscere la legislazione in materia di prostituzione e in relazione a questa, la legislazione in materia di immigrazione, visto e considerato che la maggior parte delle prostitute di strada sono immigrate in Italia da paesi extra-europei e in molti casi si tratta di immigrazioni clandestine. Sono necessarie inoltre minime conoscenze mediche, soprattutto ginecologiche e di profilassi perché generalmente si lavora su questi due piani; in primis bisogna conoscere le malattie sessualmente trasmissibili, in primo luogo l’AIDS, e i metodi per evitare il contagio, come ad esempio il corretto uso del preservativo. In secondo luogo è necessario conoscere le più rudimentali nozioni di igiene e di ginecologia da trasmettere alle ragazze; i vari tipi e i diversi utilizzi dei metodi anticoncezionali, l’igiene personale, cosa fare in caso di gravidanza e in questo delicato caso sarà utile conoscere le procedure dell’interruzione volontaria di gravidanza poiché molte delle ragazze che rimangono incinte richiedono questo tipo di intervento. 151 Altre nozioni utili riguardano le abitudini sessuali dei clienti, le loro richieste, in relazione al lavoro delle prostitute per ridurre i rischi nel campo della sicurezza fisica e della salute. Un operatore non interagisce solo con i suoi colleghi e con l’utenza; la tipologia del suo lavoro lo parta ad avere a che fare con soggetti diversi quali ad esempio la polizia o gli operatori dei Servizi socio-sanitari. Spesso le relazioni con questo tipo di organismi sono molto difficili poiché si tratta di istituzioni strutturate e poco inclini alla flessibilità, contrariamente a quanto avviene nel mondo della prostituzione. E’ importante non compromettere i rapporti con questi servizi perché sono molto utili nel lavoro dell’unità di strada; si pensi per esempio ai vantaggi di una collaborazione tra unità di strada e Consultorio familiare. Visto che si tratta di situazioni spesso delicate, forse sarebbe opportuno che fosse il responsabile del Servizio ad assumersi il carico delle trattative, almeno quelle iniziali, con le altre Istituzioni, questo per evitare errori di valutazione ed incomprensioni che minerebbero le future collaborazioni 7.2.6. Percorsi di uscita dal mondo della prostituzione Si tratta ovviamente di percorsi difficili e dolorosi che variano da persona a persona e che, attraverso varie forme di accoglienza e misure di accompagnamento, portano la ragazza all’autonomia. Il momento in cui il caso di una ragazza viene assunto come proprio si chiama presa in carico, esattamente come nel servizio sociale. Per Scodanibbio219 la presa in carico può riguardare sia la fase del primo incontro, dove si studia il problema, sia la fase operativa a medio e lungo periodo (consulenze sociali di secondo livello, inserimento in strutture lavorative). La presa in carico è in sostanza un continuum di diversi interventi, che non segue un modello prestabilito ma si struttura piuttosto in maniera flessibile, adattandosi ai vari momenti di lavoro sulla caso specifico. Parlare di accoglienza in un contesto emarginante come lo é quello della prostituzione è per le autrici forse troppo, e lo è ancora di più nell’ambito della prostituzione di strada. Questa è infatti una parte della prostituzione socialmente più debole, connotata da profili di marginalità che presenta problematiche ampie a più livelli. Per questo motivo la prostituzione di strada viene in genere connotata con attributi di marginalità e negatività e in questo tipo di ottica parlare di accoglienza diventa quasi una sfida. E’ una sfida non solo per gli operatori ma anche e soprattutto per la ragazza che decide di intraprendere questo lungo e difficile percorso che la porterà all’autonomia ed al pieno controllo di sé. L’accoglienza Passare dalla vita di strada alla fase dell’accoglienza è sicuramente un passaggio cruciale e delicato per la donna che decide di compierlo; da una situazione di marginalità e asocialità improvvisamente si passa ad una condizione in cui ogni scelta e passaggio della propria vita viene pensato e organizzato con l’aiuto di persone esperte. 219 S. Scodanibbio, M.R. Bolanos, Percorsi di uscita e accompagnamento verso l’autonomia, in “On the road”, Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada, Comunità edizioni, 1998. 152 Secondo le autrici220, l’accoglienza coincide con la presa in carico globale della persona e ha un significato preciso: accettare la sfida di produrre dall’impotenza, competenza emotiva, cognitiva, affettiva e sociale. Nella fase dell’accoglienza c’è un obiettivo primario: si tratta di garantire alla donna i bisogni vitali della sopravvivenza e della sicurezza, facilitando l’apprendimento di semplici regole essenziali per il vivere quotidiano (orari, pulizia dello spazio abitativo ecc.). All’inizio ci saranno sicuramente dei momenti duri e difficili per la donna, derivanti dal netto cambiamento di vita; gli operatori dovranno aiutare la ragazza in questi momenti di scoraggiamento, insegnandole il rispetto delle norme e l’impossibilità di ottenere tutto e subito. L’accoglienza è la fase in cui si strutturano le relazioni significative, si imbastiscono i codici significativi comuni e nella quale operatore e utente devono conoscere e farsi conoscere dall’altro. Nel corso di questa prima fase l’utente deciderà se fidarsi o meno dell’operatore e tenterà in ogni modo di costruire con lui un’alleanza privilegiata; dal canto suo, l’operatore dovrà essere in grado di individuare questi tentativi e neutralizzarli, al fine di costruire una relazione armoniosa. Secondo l’esperienza delle autrici, attualmente non è consigliabile inserire le ragazze in strutture create appositamente per una certa tipologia di utenti; anche se inizialmente è utile il confronto con altre ragazze portatrici delle stessa esperienza, mediante la convivenza con tre o quattro ragazze dello stesso ceppo culturale per un breve periodo. Si tratta in sostanza di evitare risposte istituzionalizzate per diversi motivi: difficoltà a lavorare individualmente con le persone, rischio per le ragazze di essere marginalizzate e ghettizzate, sicurezza ecc. Le strutture destinate all’accoglienza saranno diverse a seconda dei bisogni di cui ogni donna è portatrice; ad esempio le famiglie affidatarie saranno adeguate ad accogliere adolescenti, strutture di tipo sanitario andranno bene per donne in gravidanza. Qualora si presenti il caso di una ragazza che abbia denunciato qualche membro dell’organizzazione, sarà necessario nasconderla per un certo periodo e dovrà essere prevista un struttura adeguata. L’accoglienza è uno strumento temporaneo che ha come fine il pieno raggiungimento dell’autonomia; per raggiungere questo fine può utilmente avvalersi dell’aiuto delle strutture di accoglienza del territorio. Una volta giunta in una struttura di accoglienza la ragazza dovrà orientare il suo futuro verso una direzione precisa; gli operatori la aiuteranno in questa fase tenendo conto delle attitudini, delle abilità, dei bisogni della persona, del suo background culturale ed etnico. In questa fase, in cui la donna deve tirare le fila della propria vita e del proprio futuro, possono sorgere dei problemi; molto spesso infatti il passato di queste persone è stato caratterizzato dalla violenza, dalla sottomissione, dal disordine. Adesso, entrate in una nuova fase della loro vita, devono adattarsi ad un nuovo modus vivendi e inoltre devono decidere cosa fare nel loro prossimo futuro; è facile che accada che la ragazza si scoraggi quasi subito perché vorrebbe ottenere tutto in pochissimo tempo oppure che si senta incapace di portare avanti il progetto senza l’aiuto degli operatori. Si tratta di momenti difficili che devono essere individuati e risolti dagli operatori, i quali terranno conto delle diverse esigenze presentate da ogni persona. 220 S. Scodanibbio, M.R. Bolanos, op. cit., pag. 355. 153 L’inserimento lavorativo E’ forse il momento più delicato dell’intero processo perché la ragazza, da un lavoro sulla strada come prostituta, si accinge a cominciare un nuovo lavoro completamente diverso e accettato dalla società; è una fase di emancipazione e di radicale cambiamento del sé. Si aggiungono ulteriori problemi a quanto già detto; infatti le ragazze che verranno inserite sono per lo più albanesi e nigeriane, provengono cioè da quello che viene chiamato “terzo mondo” e questo significa in genere bassa scolarità ed esperienza lavorativa inesistente. Questo stato di cose si va ad innestare sulla difficile situazione occupazionale italiana, connotata da disoccupazione giovanile e femminile. All’inizio è utile usufruire di strumenti quali stage aziendali, borse lavoro, che permettono alla persona di inserirsi gradualmente nella nuova dimensione lavorativa, oppure corsi di formazione che favoriscano i primi contatti con il mondo del lavoro. Secondo le autrici221 comunque non possono esistere orientamenti definitivi e stabili e nemmeno una rigida metodologia da applicarsi in ogni caso; quello che dovrebbe essere sempre garantito è invece una situazione stabile, non precaria, al fine di non creare situazioni di assistenzialismo che minino il reale processo di emancipazione della persona. Il percorso di formazione deve essere impostato mentre la persona lavora, al fine di comprendere meglio quello che si sta facendo e quindi l’insieme del processo produttivo; la formazione deve fornire da un lato le conoscenze necessarie per lavorare, da un altro gli strumenti per affrontare i problemi che ogni lavoro prima o dopo presenta. I corsi mireranno quindi anche a rendere più salda la sicurezza delle persone, lavorando sulla loro psicologia al fine di renderle capaci di affrontare le inevitabili frustrazioni iniziali. Importante sarà pure la figura del tutor che supervisionerà l’attività formativa in ogni sua fase, fungendo anche da punto di riferimento e da aiuto concreto nella ricerca di un’occupazione. 7.2.7. Le interviste agli operatori Questo tipo di sintesi verrà fatta attraverso l’analisi delle interviste fatte agli operatori dell’Unità di strada del progetto “Città e prostituzione” di Mestre (Ve), visto e considerato che proprio dall’esperienza di questi operatori emergono i dati più significativi e veritieri di tutta la ricerca. Si prenderanno in considerazione le frasi più importanti e significative pronunciate in risposta alle domande del questionario da ogni singolo operatore e si formulerà per ogni gruppo di frasi un breve commento conclusivo. Compiti all’interno del Servizio “La fase del primo contatto è un momento molto delicato in cui bisogna agire con prudenza per evitare un rifiuto da parte delle ragazze”, “Faccio in modo che la ragazza si senta al sicuro e cerco di instaurare con lei una relazione amichevole di modo che accetti il nostro aiuto”, “... è chiaro infatti che loro si fidano molto di più di una persona che sanno essere loro conterranea”, “... spesso chi fa questo lavoro si sente emarginato ed inferiore rispetto agli altri; io cerco di fare in modo che queste donne si sentano prima persone e poi prostitute”, “Ho notato che le ragazze si fidano molto di più se ad avvicinarle è qualcuno che loro riconoscono come loro conterraneo”. 221 S. Scodanibbio, M.R. Bolanos, op. cit., pag. 363. 154 Da questo primo collage di frasi pronunciate dagli operatori di Venezia emerge sicuramente una cosa: una delle fasi più importanti dell’intero lavoro dell’unità di strada è quella del primo contatto. Si tratta infatti di una fase delicata che, se gestita male, inficerebbe tutto il lavoro futuro; per questo ogni operatore sottolinea l’importanza di sapersi porre in maniera positiva all’inizio, usando precisi strumenti di comunicazione, al fine di rassicurare l’utente. Uno degli strumenti che facilitano il lavoro degli operatori dell’unità di strada è l’utilizzo delle mediatrici culturali; come viene infatti più volte sottolineato, le ragazze si fidano molto di più se ad avvicinarle è una persona che parla la loro lingua e conosce i loro codici culturali. Bisogna infatti ricordare che molte di loro vivono in Italia clandestinamente e temono sempre l’arrivo delle forze dell’ordine, le quali potrebbero rimandarle a casa; la maggior parte di queste donne inoltre, viene costretta sulla strada da uomini, soprattutto connazionali, che le fanno vivere costantemente in un clima di terrore e angoscia dal quale deriva la loro reticenza a parlare con sconosciuti che non riconoscano come clienti. Come funziona il lavoro d’équipe “Forniamo alle ragazze informazioni di tipo sanitario, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili”, “...ogni uscita viene pensata e preparata precedentemente da tutta l’équipe, perché ogni intervento ha un obiettivo diverso”, “...non c’è una rigida separazione di ruoli e di compiti all’interno dell’équipe”, “...offriamo anche un sostegno psicologico e materiale, nel senso che diamo la nostra disponibilità per accompagnarle ai servizi pubblici”, “Abbiamo anche aiutato alcune ragazze ad uscire dalla prostituzione”. Le attività principali si sostanziano quindi in informazione di tipo sanitario e sociale, sostegno psicologico e accompagnamento ai servizi pubblici, principalmente al Consultorio Familiare. E’ chiaro che la massima importanza si da alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, per cui l’attività si traduce spesso in concreti insegnamenti su come utilizzare i condom e su come evitare il contagio da HIV. Come sottolineano gli operatori, è molto importante preparare in anticipo le uscite perché altrimenti il lavoro si perderebbe nella casualità di ogni notte, mentre invece ogni uscita deve avere un obiettivo preciso che deve essere perseguito con ordine e preparazione. Il lavoro si concretizza principalmente nelle attività sopra elencate; più rari sono gli interventi che mirano ad accompagnare la ragazza fuori dal marciapiede e comunque vengono svolti solo dietro precisa richiesta della donna e mai per libero arbitrio degli operatori. Si lavora, in sostanza, sui bisogni oggettivi di queste donne, senza obbligarle a niente, né ad uscire dal mondo della prostituzione né a denunciare sfruttatori. Quali sono i risultati ottenuti “...il risultato più significativo è forse quello di fornire un aiuto alle molte ragazze che sono sole e non hanno nessuno su cui contare”, “...abbiamo creato un posto sicuro dove esse si sentono a loro agio e dove possono ottenere ciò di cui hanno bisogno”, “Imparano delle cose fondamentali che prima ignoravano come i metodi contraccettivi, la prevenzione dell’AIDS, l’igiene e la cura del loro corpo”, “...le ragazze vengono da noi e ci danno fiducia”, “...offriamo alle ragazze una possibilità di accesso gratuita ed anonima ai servizi pubblici, cosa che altrimenti sarebbe impossibile per loro. 155 Per la maggior parte degli operatori il risultato più importante è quello di aver creato un luogo che le ragazze frequentano, utilizzandone proficuamente i servizi; non è solo un servizio che offre prestazioni ma soprattutto un punto d’appoggio per le molte donne che non hanno nessuno su cui contare. Un altro importante traguardo mi sembra il fatto che questo servizio riesca a creare un solido ponte tra le ragazze e i servizi sociosanitari, fornendo una via d’accesso a detti servizi in maniera anonima. Non dobbiamo infatti dimenticare che molte ragazze vivono in Italia clandestinamente, per cui non si arrischierebbero mai ad andare in un ente pubblico, preferendo affidarsi alle mani di ciarlatani che operano illegalmente e che spesso non hanno nemmeno la competenza per occuparsi di interventi di tipo sanitario. Bisogna però dire anche che il servizio “Città e prostituzione” di Mestre è forse quello che lavora meglio in tutta Italia, visto che gli altri servizi presenti sul territorio nazionale non hanno ottenuto la stessa affluenza di ragazze né gli stessi risultati, probabilmente a causa dei metodi non idonei utilizzati. Descrizione di modalità di intervento diverse a seconda del tipo di utente “Le utenti si diversificano per la loro provenienza geografica, quindi soprattutto per la lingua parlata e per la cultura alla quale appartengono”, “... l’intervento si diversifica a seconda della persona, poiché ogni persona è diversa dall’altra”, “...ogni contatto e ogni intervento sarà diverso da quello precedente”, “Le diversità ci sono sempre da persona a persona, perché ognuna ha un suo carattere e una sua personalità”. Da questo collage emerge chiaramente come gli operatori tendano a considerare ogni intervento diverso perché sarà sempre diversa la persona che ci troviamo di fronte. E’ questo uno degli assunti classici del servizio sociale che raccomanda di adottare strumenti e strategie diverse a seconda del tipo di utente che abbiamo di fronte; come si nota è ampiamente adottato anche dagli operatori di strada. Nel lavoro con la prostituzione di strada la diversità si gioca soprattutto sul fatto che le ragazze si dividono a seconda della loro nazionalità; per cui le albanesi saranno portatrici di particolari bisogni, diversi da quelli espressi dalle nigeriane. Mi sembra importante sottolineare come gli operatori di strada mettano in pratica questo assunto con molto impegno e perseveranza; l’intervento verrebbe infatti inficiato se si adottassero modalità standardizzate per ogni tipologia di utente. Questo è vero nel lavoro con la normale utenza dei servizi sociosanitari, ma diventa ancora più reale nel lavoro con le prostitute di strada, le quali provengono da culture spesso completamente diverse e quindi portatrici di codici culturali che è necessario conoscere per poterle comprendere e quindi aiutare. Tipo di utenza normalmente interessata “...prostitute di ogni nazionalità, ma soprattutto nigeriane e albanesi”, “La maggior parte delle ragazze sono africane”, “...ci sono anche ragazze albanesi, russe e rumene”, “...ci sono anche le rumene, che da Aprile 1998 sono in continuo aumento”, “...le ragazze straniere costituiscono il gruppo più numeroso presente sulla strada”. Come viene evidenziato dalle interviste agli operatori, le ragazze che provengono da paesi extra comunitari costituiscono il gruppo più numeroso di prostitute di strada. Questo è un dato preoccupante poiché evidenzia il fatto che la maggior parte di queste donne vengono condotte in Italia con la costrizione o con l’inganno da organizzazioni che 156 appartengono alla malavita organizzata, le quali lucrano sulla lavoro di queste donne al fine di riciclare il denaro in altre attività illecite. Tutte le ragazze arrivano da paesi molto poveri, abbagliate dalle promesse di facili lavori e lauti guadagni che gli sfruttatori promettono per convincerle a lasciare le nazioni d’origine. Quando arrivano in Italia vengono ripetutamente violentate, picchiate, in alcuni casi perfino torturate, e poi costrette a “battere” ogni notte, anche se malate o mestruate. Succede quasi sempre cosi alle ragazze albanesi e a quelle che provengono dai paesi Unione Sovietica; da qualche mese si assiste anche all’arrivo delle rumene e delle colombiane. Poche di loro sanno cosa dovranno fare per vivere; a quanto emerso, solo le nigeriane sono vagamente consapevoli che il “lavoro” che svolgeranno sarà vendere il proprio corpo. Questi dati dovrebbero farci riflettere e soprattutto farci astenere dai facili commenti e moralismi che spesso si fanno senza alcuna cognizione di causa. Racconto di un episodio significativo accaduto durante il lavoro “... quando mi disse il suo nome, capii che era stata una mia alunna molti anni prima, quando insegnavo russo in Albania”, “... quando la ragazza si avvicinò capimmo che era stata brutalmente accoltellata”, “Ogni caso è significativo”, “... l’uomo la bloccava per terra, lei si lamentava, gridava che non ce la faceva più, lui le rispondeva che le ridesse i suoi soldi”, “... ancora oggi penso moltissimo a quella donna perché oltre tutto lei è ancora sulla strada, totalmente incapace di gestirsi e di proteggersi”. Queste frasi a volte molto dure, ci fanno capire una cosa più di ogni altra: quanto sia difficile il lavoro degli operatori di strada, soprattutto quanto sia impossibile, per loro, distaccarsi dalle vite delle persone che incontrano. Per questo motivo sono importanti, anzi, fondamentali, la preparazione e la formazione degli operatori di strada; questi ultimi infatti devono confrontarsi con situazioni difficili dal punto di vista umano, ma spesso anche pericolose ed impreviste cui devono saper fare fronte. Le condizioni di lavoro di chi opera nelle unità di strada sono infatti quantomeno inusuali: non ci sono orari, si lavora in strada di notte, si incontrano persone pericolose e ambigue. E’ necessario saper gestire le situazioni più improvvise, prendere in pugno frangenti a volte anche pericolosi. Oltre a tutto questo le persone che si incontrano sono portatrici di storie penose, impensabili, che difficilmente non coinvolgono l’ascoltatore; tuttavia è necessario mantenere un minimo di distacco dall’utenza, altrimenti si rischia di non poter più gestire il lavoro come si dovrebbe e inoltre di sviluppare in chi ci sta di fronte aspettative che non possono essere soddisfatte. Tipo di esperienze di studio e lavoro precedenti “...frequentavo il liceo classico, ho dovuto interrompere quando sono venuta in Italia”, “... sono un’ex prostituta”, “... frequentavo l’università, poi ho dovuto interrompere e ho trovato lavoro come collaboratrice familiare”, “...dopo studi di medicina, ho lavorato in diverse comunità impegnate nel sociale”, “Dopo la maturità classica ho frequentato il corso regionale per educatori professionali”, “Ero insegnate di russo in una scuola albanese; ho studiato psicologia”. Gli operatori intervistati provengono da esperienze di studio e di lavoro molto diverse. In generale possiamo dire che solitamente le mediatrici culturali provengono da lavori molto diversi, quasi opposti, a quello dell’operatore di strada. Questo accade poiché 157 nelle unità di strada c’è bisogno di persone che conoscano la lingua e la cultura di paesi extra comunitari, quindi si cercano persone di madrelingua che abbiano vissuto in questi paesi. Si interpellano quindi anche persone che non hanno mai avuto esperienze nel sociale; se accettano seguiranno dei corsi di formazione appositi per lavorare nelle unità di strada. Gli educatori invece, hanno generalmente altre esperienze nel lavoro sociale e di comunità, per cui è un percorso naturale quello che li porta all’unità di strada, soprattutto se essi hanno coltivato un particolare interesse per il lavoro di strada e per l’approccio della riduzione del danno. Per quanto riguarda le operatrici pari, cioè prostitute o ex prostitute che decidono di lavorare con le unità di strada, non si può far altro che riconoscere la loro grandissima utilità, che emerge soprattutto nel approccio con le ragazze che gli operatori avvicinano. E’ infatti innegabile che la maggior parte di queste ragazze si senta emarginata, inferiore, e che quindi accetti ben volentieri l’aiuto di una persona che è stata come lei dall’altra parte della barricata. Inoltre le operatrici pari sono utilissime perché, avendo lavorato in strada, ne conoscono i meccanismi e le dinamiche, sanno decodificarne i codici, per cui costituiscono una chiave d’accesso a questo complesso mondo. Alcune di loro, avendo smesso di prostituirsi, accettano di fare l’operatrice pari soprattutto per aiutare ragazze meno fortunate di loro, ma anche perché possono ritrovare, nel corso delle uscite notturne, la stessa atmosfera eccitante e particolare che la strada è in grado di fornire quando scende la notte. Motivi che hanno determinato la scelta di questo lavoro “... il motivo principale è stata la voglia di aiutare persone che hanno bisogno di un sostegno e non lo trovano, perché emarginate dalla società; molte di loro inoltre, appartengono al mio popolo e io mi sento appagata se posso aiutarle”, “... la prostituzione mi ha sempre interessato e incuriosito”, “E’ stata una serie di fattori professionali che mi ha portato da occuparmi di questo fenomeno”, “... mi è subito piaciuta l’idea di fare qualcosa per chi ne ha più bisogno”, “Da sempre desidero fare un lavoro che mi permetta di aiutare gli altri”. Motivi diversi spingono una persona a lavorare per i bisogni degli altri; in primo luogo c’è sempre il desiderio di aiutare il prossimo a soffrire di meno, a cambiare la sua vita, a lenire le sue sofferenze. Questa scelta nasconde molto spesso anche il desiderio intimo di dimostrare la propria utilità, la propria “potenza”; corrisponde alla soddisfazione di un bisogno personale di affermazione e riconoscimento del sé. Per le mediatrici culturali, la scelta di divenire operatore di strada, dipende da un ulteriore elemento, messo in evidenza da quasi tutte le intervistate: c’è in ognuna di loro il desiderio fortissimo di fare qualcosa per i propri connazionali, i quali nella maggior parte dei casi hanno dovuto adattarsi a lavori umilianti o all’illegalità pur di sopravvivere in Italia. In ogni mediatrice culturale, sia essa nigeriana o albanese, si avverte questo desiderio, questa tristezza per la condizione del proprio popolo, che esse cercano di esorcizzare attraverso un lavoro attraverso il quale possano aiutare almeno qualcuna di queste ragazze, le quali potrebbero essere le loro figlie o le loro sorelle. Per gli educatori molto spesso si tratta, come è già stato detto, di un particolare interesse che già coltivavano, e che si è concretizzato grazie alla spinta di altri fattori di tipo professionale. In tutti c’è comunque il desiderio, la voglia di migliorare la situazione delle donne che incontrano; non le giudicano, non le classificano: le trattano con profonda umanità e rispetto, spesso riuscendo a rispondere ai molti dei fondamentali bisogni di cui esse sono portatrici. 158 Come il lavoro viene vissuto “Con serenità, anche se alcune situazioni mi coinvolgono emotivamente”, “... con molta gratificazione”, “In maniera serena e tranquilla”, “Cerco di viverlo in maniera professionale, perché altrimenti sarebbe difficile gestire le situazioni in cui lavoro”, “... ho un rapporto di amore/odio: amore perché è un lavoro che mi consente di non irrigidirmi sempre sugli stessi schemi, odio perché assorbe tutte le energie e l’emotività di una persona”, “...all’inizio ho avuto molte difficoltà, ma adesso mi piace mi soddisfa”. Ogni operatore, in misura diversa, vive il proprio lavoro con serenità, amandolo e svolgendolo con dedizione. Molti hanno avuto delle grosse difficoltà all’inizio perché non si sentivano in grado di gestire e sopportare il carico di emotività e tensione che il lavoro di strada comporta; nei primi tempi infatti, anche se si dispone della giusta preparazione e formazione, non è semplice capire come bisogna porsi con queste ragazze, né quale sia l’atteggiamento più consono ad un lavoro che si svolge prevalentemente in strada. Per tutti gli operatori sociali in generale, la cosa più difficile è staccarsi dalle situazioni su cui devono lavorare, non lasciarsi coinvolgere e riuscire a mantenere un atteggiamento professionale; la stessa difficoltà si avverte tra gli operatori di strada, soprattutto nelle mediatrici culturali, le quali spesso non hanno una lunga esperienza di questo tipo di lavoro. Proposte che attuerebbero all’interno del Servizio in cui lavora “Non modificherei niente, perché attualmente è una modalità di lavoro che funziona perfettamente e che riesce a raggiungere gli scopi che si prefigge”, “... inserirei più personale; inoltre strutturerei meglio alcuni strumenti quali la raccolta dati e l’elaborazione delle relazioni”, “Istituirei un’équipe di sole donne, perché gli uomini sono inadatti per questo tipo di lavoro. Sarebbe utile avere degli strumenti audiovisivi in varie lingue, visto che spesso le ragazze non leggono il materiale che noi forniamo”. In generale tutti gli operatori sono soddisfatti del funzionamento del servizio, anche perché nel giro di circa tre anni questa équipe di lavoro ha ottenuto risultati veramente interessanti e la prova ne è il numero quasi raddoppiato di interventi fatti dal 1996 ad oggi. Ovviamente qualcuno, avendo più esperienza nel campo, accetterebbe ben volentieri qualche modifica; una delle più interessanti mi sembra la proposta di escludere gli uomini dal lavoro con le prostitute di strada. E’ infatti innegabile che, dovendo trattare spesso argomenti molto delicati (infatti la maggior parte delle ragazze si rivolge al servizio per problemi di tipo ginecologico e medico) la presenza di una donna è per l’utente molto più rassicurante e molto meno imbarazzante che quella di un uomo. Molte ragazze non accetterebbero nemmeno di parlare con un uomo, soprattutto perché appartengono a culture molto più chiuse e puritane della nostra. Altrettanto interessante è la proposta di dedicare più tempo alla riflessione e alla pianificazione del lavoro; si tratta di un, desiderio comune a molti operatori sociali, soprattutto assistenti sociali, i quali lavorano spesso sull’emergenza e non hanno tempo sufficiente per elaborare precisi piani di lavoro. Alla lunga però il lavoro “non pensato” porta alla perdita dei propri obiettivi a lungo termine e alla confusione nel lavoro di tutti i giorni, elementi che non possono far altro che inficiare gli interventi presenti e futuri. 159 7.3. Il progetto Prima Accoglienza nella provincia di Bergamo Gli interventi relativi al progetto Prima Accoglienza sono stati coordinati dalla Caritas diocesana di Bergamo attraverso l’Associazione Diakonia Onlus e la Comunità Kairos in collaborazione con il Servizio Immigrazioni e Cooperazione Internazionale del Comune di Bergamo. La prima precisazione da fare si riferisce al fatto che i due enti coinvolti (Caritas e Comune) hanno deciso di focalizzare i loro interventi, nei confronti della prostituzione, alla lotta contro la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne. L’utenza di questi enti è costituita, dunque, da donne straniere ed immigrate, che decidono di fuggire alla condizione di schiavitù cui sono sottoposte e di abbandonare la prostituzione. Le radici di tale scelta sono rintracciabili, in primo luogo, dalla consapevolezza delle proporzioni e dei toni particolarmente allarmanti ormai assunte dal fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale e, in secondo luogo, dalla cognizione che, nella provincia, gli interventi di sostegno ed aiuto nei confronti di queste donne erano particolarmente frammentati e poco efficaci. Mentre, infatti, le donne italiane coinvolte nel mercato della prostituzione, potevano affidarsi e chiedere aiuto ai servizi sociali di base o specialistici del territorio perché residenti; le immigrate, prevalentemente clandestine, non disponendo di alcun certificato di residenza e spesso non possedendo alcun documento, non riuscivano ad inquadrare un servizio di riferimento, che le potesse supportare. In Lombardia non esiste alcuna legge regionale che affronti direttamente la questione l’unica leggi a cui si rifanno i servizi, altre chiaramente alla normativa nazionale, è la Legge regionale del 7 gennaio 1986, n.1 “Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia”. Qui, il fenomeno della prostituzione non viene nominate ma, i servizi sono chiamati a rispettare quello che è l’atteggiamento e la procedura prevista, per tutti coloro che manifestano un bisogno. L’art.9 dispone “fruiscono delle prestazioni del sistema socio-assistenziale, in condizioni di eguaglianza e senza distinzione di sesso, razza, lingua, convinzioni religiose ed opinioni politiche, nonché di condizioni personali o sociali: i cittadini residenti nei comuni della Lombardia; gli stranieri e gli apolidi aventi titolo all’assistenza secondo le Leggi dello stato, dimoranti nei comuni della Lombardia; i cittadini, gli stranieri, gli apolidi dimoranti temporaneamente nei comuni della Lombardia, allorché si trovino in situazioni di bisogno tali da esigere interventi non differibili e non sia possibile indirizzarli a corrispondenti servizi della regione o dello stato di appartenenza”. In tal senso, anche le donne in questione, potevano rivolgersi ai servizi e usufruire delle prestazioni socio assistenziali, nel caso in cui erano in grado di dimostrare una qualche documentazione circa la loro residenza in loco o eventualmente la loro dimora. In quest’ultimo caso avrebbero dovuto trovarsi in condizioni di bisogno tali da necessitare un immediato intervento che non poteva essere rimandato e rinviato al servizio di legittima competenza. In realtà, il loro frequente stato di clandestinità costituiva un primo fattore discriminante che, prima del Testo Unico sull’immigrazione, ostacolava fortemente ogni tipo di intervento. Infatti, la maggior parte delle prostitute non era in regola con il permesso di soggiorno e non disponeva di alcun documento perché spesso, una volta entrata in Italia, i pro- 160 tettori li requisivano come garanzia. In tal senso, i servizi non potevano intervenire; la procedura prevedeva l’espulsione immediata per clandestinità. A questo grosso limite, vi ha poi, come si è precedentemente spiegato, posto rimedio l’art. 18 del T.U. del 1998, facilitando il reperimento di speciali permessi di soggiorno, proprio grazie ai quali le prostitute possono usufruire di un programma di assistenza e “integrazione sociale”. Il problema però non si è risolto completamente poiché, la Legge regionale n.1 del 1986 nell’art.59 prevede al comma cinque che “Qualora sussistano motivi di urgenza indilazionabile, il comune in cui si manifesta lo stato di bisogno, anche su segnalazione di qualsiasi cittadino, ha l’obbligo di assicurare gli interventi di emergenza o di pronto intervento assistenziale, di norma mediante forme di ospitalità temporanea o erogazione di sussidi economici straordinari”. Il comma successivo prevede in particolare che “A tal fine il sindaco, assunte sommarie informazioni, decide con ordinanza motivata, designando, se del caso, la struttura e il servizio tenuti a provvedervi, anche al di fuori dell’ambito territoriale del Comune, riservando successivi accertamenti in ordine alla competenza per la spesa degli interventi urgenti”. La normativa prevede dunque che, una volta identificato il comune in cui sorge il bisogno, questo deve adoperarsi provvisoriamente ad accogliere ed assistere in prima persona o attraverso altri enti (a cui dovrà rimborsare le spese) l’utenza; impegnandosi poi a rintracciare il luogo esatto dove attualmente questa dimora, per affidare definitivamente il caso e soprattutto le spese relative. Di fronte a questa disposizione, le strutture assistenziali si sono trovate incapaci di rispondere concretamente ed efficacemente alla richiesta di aiuto avanzata dalle prostitute. Data la particolare mobilità del fenomeno222 e l’omertà che lo circonda, risulta infatti difficile ricostruire il percorso delle ragazze, per risalire alla loro attuale ubicazione o per capire ove il loro “stato di bisogno” si sia manifestato. La legge infatti, non spiegava completamente il concetto di “luogo su cui si manifesta lo stato di bisogno” e di conseguenza non era chiaro, se la competenza nell’aiuto spettasse al comune dove venivano fermate, a quello dove lavoravano oppure a quello dove vivevano. Frequenti poi, erano i casi di ragazze fermate dalla polizia sul treno o negli alberghi e dalle quali non si riusciva a risalire all’attuale dimora. Di fronte a ciò i servizi, soprattutto quelli dipendenti da comuni molto piccoli (ove la spesa del mantenimento e dell’assistenza di una ragazza in comunità pesava fortemente sul bilancio), giocavano su questa ambigua interpretazione della legge, delegandosi l’un l’altro la competenza. Inoltre, anche quando era chiaro l’iter delle giovani e la relativa competenza nell’assistenza, le prestazioni attivate si limitavano a semplici sussidi economici, colloqui psico-terapeutici o eventuali trasferimenti in comunità, talvolta inadatte e impreparate ad accogliere e affrontare il problema. In questo agitato contesto è nata, allora, la collaborazione tra la Caritas e il comune di Bergamo, al fine di fronteggiare una simile confusione e soprattutto, dare una risposta 222 I trafficanti non lasciano le donne per troppo tempo in posti fissi. La mobilità dipende sia dal flusso dei clienti, sia soprattutto dalla necessità di sfuggire alle retate della polizia. Inoltre, spesso dietro il mondo della prostituzione, specie in quella esercitata da stranieri, si muove il racket che specula sul mercato edilizio. Sfruttatori e protettori spostano decine di prostitute da una zona all’altra causando il deprezzamento degli immobili che si possono comprare a prezzi dimezzati, per poi rivenderli a prezzi di mercato spostando nuovamente le prostitute in altre zone. 161 concreta alle ragazze intenzionate ad abbandonare la prostituzione, evitando, che le prostitute straniere subissero una doppia penalizzazione. Un’ultima importante precisazione da fare riguarda il fatto che, nonostante il lavoro sia stato progettato congiuntamente, la maggior parte degli interventi relativi alla prostituzione, è gestita dalla Associazione Diakonia Onlus (dipendente direttamente dalla Caritas diocesana di Bergamo) e dalla Comunità Kairos, mentre il Servizio Immigrazioni e Cooperazione Internazionale del Comune di Bergamo, è chiamato a partecipare ad alcune fasi del percorso. La necessità di conglobare il lavoro di recupero e sostegno delle ragazze che vogliono abbandonare la prostituzione, in un unico servizio, ovvero la Comunità Kairos, deriva proprio dalla trasversalità del problema e dalla necessità di dar vita ad un Progetto globale e completo. L’Associazione Diakonia Onlus partecipa inoltre, a nome della Caritas Diocesana Bergamasca alla realizzazione di progetti di cooperazione internazionale per la lotta alla povertà migratorie e all’emarginazione grave. 7.3.1. Come nasce il “Progetto Prima Accoglienza” Il “Progetto Prima Accoglienza”, è il frutto di un lavoro di riflessione e di analisi del fenomeno prostituzione condotto inizialmente, dalla Caritas Diocesana di Bergamo. Il punto di partenza del progetto, infatti, si colloca sulle esperienze maturate, dagli operatori di tutti i “servizi segno”citati in precedenza. Dall’analisi sugli interventi condotti, fu infatti osservato che più volte, ciascun servizio veniva toccato più o meno direttamente dal fenomeno prostituzione, entrando frequentemente a contatto con ragazze straniere che desideravano abbandonare il mondo della strada. A volte le ragazze chiedevano alloggio alla “Casa Cima”, o al Centro pluriservizi “Zabulon”, più frequentemente invece, il Servizio mobile “Esodo” rivelava e segnalava drammatiche storie di violenza e brutalità subite dalle prostitute. Altre volte ancora, capitava, invece, che fossero i servizi pubblici (assistenti sociali del Servizo Migrazione e Cooperazione Internazionale, questura, polizia) a chiedere alla Caritas una collaborazione in merito a casi di prostituzione ( alloggio, consulenza…). Normalmente, come si è visto,gli interventi erano gestiti, in prima istanza, dal centro a cui le ragazze si erano rivolte oppure da quello ove giungeva la segnalazione ma successivamente, quasi tutte venivano indirizzate al Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento della Caritas. Qui almeno fino alla legge 6 marzo 1998, n.40 “disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e al famigerato art.18 del successivo Testo unico sull’immigrazione, si poteva intervenire in modo molto limitato. Le prestazioni erano soprattutto di natura assistenzialistica (vitto, alloggio, tutela dai protettori), integrate da azioni di supporto psicologico e ascolto; la condizione giuridica di irregolarità delle ragazze come si è detto, precludeva interventi di altro genere ( ricerca di un lavoro o di una abitazione indipendente). La cognizione però che il fenomeno stava assumendo proporzioni piuttosto allarmanti nella provincia, soprattutto dopo il nuovo flusso di prostitute albanesi, la necessità di trovare un accordo tra i diversi organismi coinvolti per il superamento delle difficoltà legate alla competenza (già precisate nella premessa di questo capitolo) e la consapevolezza che le sole azioni di “emergenza”, tra l’altro particolarmente frammentate, non e- 162 rano in grado di fronteggiare proficuamente la complessità del problema, spinsero la Caritas nel 1995 ad organizzare una tavola di confronto sulla vicenda. A questa iniziativa parteciparono oltre ai rappresentanti dei servizi segno il Comune di Bergamo, la Prefettura e le suore Adoratrici del SS.mo e della Carità che da tempo, in altri paesi, si stavano occupando del problema. Dal questo confronto emerse con forza la necessità di sollecitare e promuovere interventi operativi basati sul coordinamento e sulla sinergia tra gruppi, associazioni del privato sociale e istituzioni pubbliche. Vigeva infatti la consapevolezza che il fenomeno aveva assunto una rilevanza locale tale da necessitare una rete di lavoro e sostegno, capace di organizzare interventi rapidi e concreti sul territorio. Si sottolineava inoltre, la rilevanza del problema anche a livello nazionale ed internazionale che pertanto esigeva un dibattito politico vivace ed attento (dalla politica migratoria, alla legislazione in materia di prostituzione e alla lotta ai trafficanti) e un coordinamento tra i paesi membri dell’Unione Europea al fine di armonizzare le diverse legislazioni e le dinamiche preventive e repressive da attivare. A partire da questi presupposti la Caritas bergamasca e il Comune di Bergamo decisero di dare avvio ad un lavoro integrato per la lotta allo sfruttamento della prostituzione straniera e per il recupero delle ragazze avviate alla prostituzione. La Caritas affidò all’Associazione Diakonia Onlus, il compito di dare vita ad un progetto in tal senso, mentre il Comune di Bergamo mise a disposizione gli operatori, (nella figura degli assistenti sociali) del Servizio Migrazioni e Cooperazionie Internazionale, che già da tempo collaboravano relativamente al problema della prostituzione, con il Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento della Caritas. L’Associazione Diakonia Onlus, grazie soprattutto al contributo delle Suore Adoratrice Ancelle Del SS.mo e della Carità, diede vita al progetto “ Prima Accoglienza” nel 1995. Il progetto si concretizza nel percorso di recupero proposto alle ragazze attraverso la Comunità Kairòs e Kairos 2. All’interno di questo nuovo “servizio segno”, tutti i servizi coinvolti sono chiamati a collaborare per offrire alle ragazze che intendono abbandonare il mondo della prostituzione, un “luogo” di accoglienza, di ricostruzione del proprio vissuto e di costruzione di progetti di reinserimento nella società. Il progetto “Prima Accoglienza” vuole proporsi quale alternativa concreta di vita per le ragazze che desiderano e chiedono un appoggio per poter uscire dalla prostituzione. Consiste sostanzialmente in un percorso di progressivo allontanamento prima fisico e poi psicologico, dalla vita della strada, affiancato da un cammino di ristrutturazione personale e reintegrazione sociale. Tale percorso viene costruito all’interno di una apposita comunità, la “comunità Kairòs”, dove in un ambiente protetto si offre la possibilità alla donna, di ricostruire se stessa e la propria vita. Si parla di prima accoglienza proprio per indicare un “luogo” materiale e sociale, preposto per accogliere le ragazza, con una ospitalità che trascende il semplice alloggio, mettendo a disposizione oltre e significative relazioni umane, un sostegno, e un aiuto ragionato e progettato. Le ragazze giungono, infatti,alla comunità dopo un percorso ben pensato e strutturato basato sull’azione di filtro gestita sia dal Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento, sia, talvolta, dal servizio sociale del servizio migrazioni e Cooperazione Internazionale. In questi contesti, sono chiamati a lavorare assistenti sociali (presenti attualmente solo nel Servizio Migrazione e Cooperazione Internazionale), psicologi, educatori professio- 163 nali e mediatori colturali, nel tentativo di agganciare le ragazze che si presentano ai servizi e di intraprendere con loro un momento di prima conoscenza. Inizialmente, le donne venivano principalmente segnalate dagli operatori del lavoro di strada, condotto dal Servizio mobile di ascolto e di assistenza diurna e notturna “Esodo”. Attualmente le segnalazioni giungono dagli ospedali in cui eventualmente si trovano ricoverate (per le percosse subite o per lesioni varie), dalla Questura (per le donne che qui si rivolgono per chiedere aiuto o per denunciare i protettori o condotte dalla polizia dopo le famigerate “retate”), dagli stessi clienti (quelli più affezionati e più legati alle ragazze) che trasmettono le situazioni di grave disagio oppure conducono personalmente le giovani ai servizi; rari sono i casi di donne che si presentano spontaneamente. Una volta giunte, il Centro di Primo Ascolto e Coinvolgimento si occupa di organizzare una temporanea sistemazione della ragazza, di solito nei “servizi segno” preposti, proteggendola dalle eventuali ritorsioni dei protettori. Successivamente, si organizza tutto il lavoro relativo alla prima conoscenza, cercando di capire quali siano i bisogni e le volontà della donna i questione. Le viene presentata la possibilità di inserimento nella Comunità Kairòs, specificandone gli obiettivi e le attività. Se la donna accetta223, si predispone l’ingresso in Comunità, e si cominciano ad avviare le pratiche relative alla eventuale regolarizzazione giuridica del permesso di soggiorno e quella per il reperimento dei documenti personali. Grazie all’atr.18 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998, è oggi possibile richiedere la sospensione dell’espulsione per diritto di soggiorno, dal momento in cui la donna dimostra che sta collaborando con la giustizia, denunciando i suoi protettori, oppure nel momento in cui viene certificato che la stessa, sta partecipando ad un “programma di assistenza ed integrazione sociale”. In tal senso, viene convocata l’assistente sociale di competenza, ovvero quella del territorio ove si è manifestato il bisogno224, la quale certifica appunto la sussistenza di tali condizioni. Di solito l’espletamento di queste “funzioni burocratiche” spettano all’assistente sociale del Servizio Migrazioni e Cooperazione Internazionale in collaborazione con la Questura di Bergamo. Questi soggetti si impegnano anzitutto ad ottenere lo “speciale permesso di soggiorno” e contemporaneamente a richiedere gli eventuali documenti di cui la ragazza è sprovvista (documenti di identità, residenza, tessera sanitaria, iscrizione al collocamento…). La parte relativa al sostegno, supporto e recupero personale, viene interamente gestita dalle operatrici presenti nella Comunità Kairos, in collaborazione con l’Associazione Diakonia Onlus. In particolare, il momento di filtro e prima conoscenza è attribuito all’Associazione (che vaglia anche le ragazze che giungono da altri servizi sociali) mentre il lavoro di formulazione del progetto personalizzato di “recupero”, viene lentamente e progressivamente costruito all’interno della Comunità insieme alle ragazze225. 223 Spesso capita che le donne vogliano assolutamente lasciare l’Italia per ritornare nel loro paese di origine; a questo punto le si aiuta in questo senso (preparazione dei documenti, pagamento delle spese del viaggio…).Se invece decidono di rimanere in Italia, si predispone tutto il lavoro di integrazione personale e sociale attraverso la Comunità. 224 Vedi art.59 della Legge regionale del 7 gennaio 1986, n.1 “Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia” 225 Occorre tener presenti che il “momento burocratico”, il momento di conoscenza e il momento di progettazione, avvengono sostanzialmente in contemporanea. Per ragioni di chiarezza, sono qui presentati, separatamente ma, il reperimento dei documenti richiede spesso dei mesi, mesi in cui si muove la conoscenza e allo stesso tempo si tracciano le linee di un progetto. 164 7.3.2. “Dal marciapiede alla libertà” La comunità Kairos, concretizza con le sue attività, il progetto alternativo alla prostituzione, partendo da uno stile di vita e di relazioni basate sul mutuo rispetto e la discrezione, sull’accettazione incondizionata, sulla fiducia che ogni donna possa ricominciare e, infine sulla condivisione gioiosa di fatiche, speranze, lavoro, vitto e alloggio. La congregazione che si occupa della Comunità, è quella delle Suore Adoratrici del SS.mo e della Carità, fondata da Santa M. Michela nella prima metà dell’Ottocento in Spagna. Nata con l’obiettivo di liberare e promuovere la donna emarginata e sfruttata dalla prostituzione o vittima di altre situazioni di schiavitù, si è poi diffusa in tutta Europa, offrendo la sua esperienza e la sua disponiblià anche nel Progetto avviato dalla Caritas diocesana bergamasca. Giuridicamente, si configura come Ente morale riconosciuto dal Capo di Stato con Decreto del 22 ottobre del 1946, supportato nelle spese dello stabile dalla comunità religiosa (Patronato di S.Vincenzo), mentre le rette delle ragazze vengono rimborsate dalla Caritas e dal Comune di Bergamo. Filosofia del progetto: in alternativa alle diverse realtà che configurano questa problematica, la Comunità offre in modo continuativo e crescente: una porta aperta, una spazio umano; un gruppo di persone; una stile di condivisione; un cammino di crescita. Destinatari: donne e minori prostitute (soprattutto quelle coinvolte nel fenomeno migratorio) che desiderano e chiedono appoggio per poter uscire dalla prostituzione ed integrarsi nella società italiana Area geografica di intervento: il servizio si offre, prevalentemente, alle situazioni di bisogno rilevate nel territorio di Bergamo e dintorni. La Comunità rimane però disponibile per l’accoglienza di ragazze provenienti da altre zone, quando sussistono motivi particolari. Solitamente questi coincidono con la necessità di proteggere la donna dai suoi protettori, allontanandola da minacce e da pressioni che minano fortemente la sua incolumità e la stessa realizzazione di un percorso di aiuto. Obiettivi: offrire un luogo-tempo favorevole a ritrovarsi come persona, accettarsi, ristrutturare la personalità, riprogettare la propria vita e reinserirsi socialmente. Favorire la liberazione e integrazione della donna prostituta, in modo che riesca ad essere e sentirsi felice e valida per se e la società Contribuire alla creazione e funzionamento di una rete, che offra supporti concreti e relazioni di fiducia alle vittime, e combatta la criminalità e lo sfruttamento della tratta. Collaborare nell’impegno di sensibilizzazione sociale ed ecclesiale in modo da prevenire il problema e facilitare il reinserimento sociale. Correggere e sistematizzare l’esperienza di lavoro in questo campo, cercando di creare una nuova mentalità che parte dagli “ultimi” e che possa essere correttiva dell’attuale cultura. Risorse umane presenti nella comunità: una Comunità di 4 suore (una cuoca, una apostolante, una educatrice e la responsabile del centro), che vivono nella Comunità e se- 165 guono, nell’arco di tutta la giornata, la vita e il percorso delle ragazze. Una ragazza dell’Anno di Volontariato Sociale con circa sei ore di servizio giornaliero addetta a mansioni varie. Otto volontari che si alternano per l’espletamento delle attività settimanali previste nella comunità. Educatori professionali e mediatori culturali della Associazione Diakonia Onlus che collaborano a tempo pieno con la comunità, per il supporto all’aggancio e alla prima conoscenza dalla ragazza. Assistente sociale del Servizio Migrazione e Cooperazione Internazionele, che offre supporto burocratico e interviene nelle verifiche in itinere. Una psicologa del centro psicosociale dell’Associazione “Il Conventino” della Caritas, per un supporto psicologico nel lavoro rielaborazione, superamento dell’esperienza passata e accettazione, ricostruzione di sé. Medici ed infermieri volontari dell’Associazione “Oikos” della Caritas, per un supporto di tipo sanitario (gravidanze in corso, sieropositività…). Rapporto numerico operatori-utente: 1/1 e il personale deve aver avuto precedenti esperienze con utenti emarginati o comunque esperienze lavorative nel sociale. Sono comunque previsti per gli operatori: corsi di formazione e di aggiornamento sul tema della prostituzione (due volte alla settimana); momenti di incontro e di riflessione per evidenziare il vissuto dell’operatore nei confronti della realtà (una volta al mese); riunioni d’èquipe di tutte le figure operative presenti (volontari compresi) e di supervisione educativa per valutare l’andamento dei progetti (una volta al mese); Reti di collaborazione: Comune di provenienza della ragazza. Spetta all’assistente sociale del comune ove si è manifestato il bisogno, certificare che la ragazza sta collaborando con la giustizia o partecipando ad un “programma di assistenza ed integrazione sociale” (previsti dall’art.18 T.U. sull’immigrazione del 1998) 226. Solo con questa certificazione potranno essere avviate le pratiche per il reperimento dello “speciale permesso di soggiorno” e degli eventuali documenti. In mancanza di una collaborazione o identificazione del comune di provenienza si occupa delle pratiche l’assistente sociale del Servizio Migrazioni e Cooperazione Internazionale di Bergamo. Questura di Bergamo (ufficio stranieri). Si occupa di sbrigare le pratiche relative alla regolarizzazione giuridica delle ragazze; spesso funge anche da Servizio inviante. “Servizi segno” della Caritas bergamasca. Fungono da servizi invianti e di primissimo supporto (vitto e alloggio) delle ragazze in attesa che si cominci ad organizzare il Progetto. Servizio Immigrazione e di Cooperazione Internazionale. Funge da servizio Inviante, primissimo filtro dell’utenza (con azioni di segretariato sociale informa la donna dell’esistenza del “Progetto prima Accoglienza” e la sostiene fino all’inserimento nella comunità), supporto alla comunità Kairos per l’adempimento delle pratiche burocratiche ed eventualmente il reperimento di un lavoro nella fase Kairos 2. Alti servizi di “Prima Accoglienza” presenti sul territorio nazionale. La collaborazione prevede eventuali trasferimenti delle ragazze per motivi di sicurezza personale. Comunità locale. Chiamata a contribuire al reinserimento della ragazza nella società (ditte che offrono posti di lavoro, famiglie volontarie che si occupano di accogliere temporaneamente la giovane in attesa di una sistemazione nella Comunità Kairos, o pronte ad accoglierle nella fase della fuoriuscita…) 226 Vedi art.59 della Legge regionale del 7 gennaio 1986, n.1 “Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia”. 166 Risorse materiali: Appoggio finanziario della Caritas di Bergamo, del Patronato S.Vincenzo e del Comune di Bergamo. La casa destinata alla prima accoglienza, dotata di sette posti letto all’interno, cucina, salone per le attività di gruppo, laboratorio per le attività settimanali, spazi aperti intorno alla casa, orto e serra dove praticare giardinaggio. Attività previste: Le attività previste dalla Comunità possono essere conglobate in tre gruppi. Attività di laboratorio. Tali attività vengono distribuite nell’arco della giornata e sono organizzate dai volontari ed eventualmente dalle Suore del centro. Il loro scopo è quello di far acquisire alle ragazze abilità e mansioni utili sia per sviluppare attitudini personali, sia per concorrere al raggiungimento degli obiettivi di autonomia e autostima. In particolare di queste citiamo: laboratorio di cucina, laboratorio di taglio e cucito, laboratorio di pittura, laboratorio di giardinaggio, “laboratorio” di ginnastica e nuoto e laboratorio d’italiano. Attività di gruppo. Tali attività, vedono impegnate le ragazze in tutta una serie di momenti dedicati alla vita di comunità, con l’obiettivo di sviluppare capacità relazionali, l’integrazione, il rispetto e la condivisione delle norme di gruppo e l’occupazione costruttiva del tempo libero. In particolare, rientrano nelle attività di gruppo le pulizie della casa, le attività comunitarie serali, le gite domenicali e il momento di formazione umana e culturale. Attività di rielaborazione. Includono tutte quelle attività di confronto e di incontro tra la ragazze e gli operatori, tesi alla rielaborazione e alla riflessione circa il cammino attuato, i risultati raggiunti e i problemi da superare. Sono in tal senso compresi: il colloquio di verifica individuale tra le educatrici e le ragazze (eventualmente anche con la psicologa e l’assistente sociale) una volta alla settimana, l’incontro e il confronto settimanale tra le ragazze (in cui con la supervisione dell’educatrice discutono di eventuali problemi di rapporto e convivenza) e tutti gli incontri tra gli operatori dell’equipe, citati in precedenza. L’organizzazione della giornata tipo: lo stesso fatto di vivere quotidianamente nella comunità costituisce, di per sé, un’esperienza trasversale a tutti gli obiettivi e a tutte le attività previste. Pertanto è opportuno conoscere come mediamente, all’interno della giornata, le ragazze realizzano il loro Progetto di Prima Accoglienza. La giornata segue tappe sostanzialmente prefissate, al fine di abituare le donne ad un regime di organizzazione della vita “normale” e necessario per la convivenza. Le fasi e la strutturazione del progetto personalizzato: il progetto di “Prima Accoglienza”, è la risposta alla volontà di abbandonare la prostituzione e di integrarsi nella comunità sociale. Si è già avuto modo di riflettere su quelle che sono le “fasi” precedenti all’inserimento; in tale contesto è utile ribadire che, presupposto di ogni programma della Comunità è la condivisione della ragazza al lavoro che le verrà proposto. La giovane deve essere motivata a rimanere in Italia e qui deve voler ricominciare una nuova vita; in caso contrario, i servizi sociali del Comune o della Caritas si occuperanno di organizzare altre soluzioni (espatrio…). Una volta giunta in Comunità, si avviano come detto, tutte le pratiche per regolarizzare la condizione giuridica della ragazza e si comincia la prima “fase” del progetto, che dura normalmente tre mesi ma che è prolungabile a 167 seconda dei bisogni e delle circostanze. In questo “stadio”, gli operatori (la suora educatrice, la responsabile della Comunità e la psicologa) iniziano un lento lavoro di conoscenza reciproca e di ascolto, con lo scopo di capire quale indirizzo dare al progetto di recupero. Si tratta, chiaramente, di una fase molto delicata, spesso ostacolata da problemi di tipo linguistico e culturale, che vengono principalmente affrontati dalle suore, (le quali per formazione e per esperienza possiedono strumenti in tal senso) ed in caso di bisogno, viene coinvolto il mediatore culturale della Associazione Diakonia Onlus. Al termine di questa fase, la ragazza, dovrebbe progressivamente inserirsi nella vita di comunità, riconoscere la realtà in cui attualmente si trova, avendo una completa percezione sia del nuovo contesto di vita e di relazioni che ha difronte, sia delle regole e degli impegni che la vedono protagonista, sia degli operatori, del loro lavoro e delle loro funzioni, e sia della necessità di edificare, insieme, un nuovo progetto di vita. La seconda fase, procede per altri tre o quattro mesi e si concretizza con la progettazione propriamente detta. In primo luogo si continua e si intensifica il supporto psicologico e il sostegno per il superamento della disgregazione personale, prodotta dall’esperienza della prostituzione, basandosi soprattutto sulla maggiore “confidenza” e sulla rottura delle barriere difensive. Secondariamente si fissano obiettivi, le strategie, le attività e i momenti di verifica, propri del cammino che la giovane compirà all’interno della comunità. La programmazione parte, per tutte le ragazze, dalla valorizzazione e dalla ricostruzione di tutte le dimensioni della personalità, sia di quella psico-fisica, sia di quella sociale, sia di quella trascendente e valoriale (propria dell’impostazione dell’Ente morale). Per stimolare le dimensioni predette, ogni progetto prevede obiettivi ed attività di laboratorio comuni (che possono variare a seconda personali attitudini) e momenti di riflessione e di confronto su ciascuna area, altamente individualizzati e personalizzati. Per quanto concerne lo sviluppo e il rinnovamento della dimensioni psico-fisica, ogni progetto prevede: Obiettivi Normalizzazione dello stile di vita Percorso sanitario Attività Pasti sani e completi secondo orari prefissati Rispetto del riposo notturno Occupazione attiva del tempo Rispetto della giornata tipo Differenziato a seconda dei bisogni Percorso di autonomia e di progressiva Apprendimento della lingua con i laboratori responsabilizzazione di lingua italiana Gestione delle proprie faccende e di quella comunitarie Gestione del tempo libero Gestione dei propri sentimenti e decisioni Gestione del proprio corpo e della cura personale Gestione economica: guadagno, richiesta, uso, risparmio Individuazione e sviluppo delle proprie Apprendimento degli insegnamenti dei labocapacità ratori(cucina, taglio e cucito) 168 Gestione e potenziamento delle attitudini personali. Percorso psicologico di autostima, teso Le attività previste sono di natura prevalenalla accettazione della propria storia e temente psicologica, rinforzate dal successo della propria persona nelle altre attività previste. In ogni caso gli operatori si impegneranno attraverso il loro atteggiamento e il loro supporto ad abituare le ragazze ad un clima sereno di reciproca accoglienza e incondizionate accettazione. Liberazione dai traumi passati e da sen- Esercizi psicologici di “memoria” e rilettura timenti di colpa ed incapacità del passato in senso positivo Razionalizzazione dei sensi di colpa Ventilazione e condivisione del dolore Attività di rilassamento e yoga Per quanto concerne la dimensione sociale, il progetto prevede per ciascuna ragazza: Obiettivi Attività Presa di coscienza della propria e inelu- Incontri tesi a sottolineare all’importanza dibile dimensione sociale della dimensione sociale e delle sue conseguenza nella comunità Sviluppo del senso di appartenenza ad Affido di impegni e responsabilità nella couna famiglia, e ad un gruppo preciso munità a ciascuna ragazza Impegni concreti nell’accoglienza delle persone che arrivano nella Comunità Impegni concreti nell’accettazione e nell’aiuto reciproco Partecipazione attiva nei momenti comunitari: pranzi, relax, uscite di gruppo… Gestire la propria economia Partecipare all’organizzazione delle diverse attività Accettazione delle norme del gruppo Rispetto delle norme, degli orari e dei compiti affidati. Assistere e partecipare con impegno ad ogni attività e laboratorio. Effettuare con responsabilità le commissioni affidate. Rispetto L’ultima dimensione curata, strettamente legata alla natura religiosa della comunità, è quella relativa al trascendente, alla costruzione di una moralità guidata dai valori religiosi. Il cammino non prevede, come per le due aree precedenti, una specifica organizzazione, dato che tali conquiste possono essere guidate soltanto da una profonda riflessione interna. 169 Attraverso incontri settimanali, le Suore leggono la parola di Dio, stimolano alla preghiera, organizzano momenti di ritiro spirituale e spronano la partecipazione alla S. Messa. Questi interventi vengono curati per attivare nella ragazze una capacità di meditazione profonda, che le porti, attraverso la fede nel trascendente, a riscoprire il senso della vita e a comportarsi secondo i valori universali proposti dalla Religione Cattolica: rispetto, amore, perdono, fiducia, accettazione… Il progetto Kairòs 2: il completamento dell’integrazione sociale Kairos 2 si presenta come il momento conclusivo del “progetto di prima accoglienza” della Comunità Kairòs. Si tratta sostanzialmente di un appartamento sito al piano terra dello stabile della Comunità Kairòs, in cui alloggiano le ragazze che hanno superato le fasi descritte nel paragrafo precedente, e che si avviano a realizzare la terza ed ultima fase del Progetto stesso. L’ultimo gradino del percorso prevede infatti il supporto offerto alla ragazza, nella ricerca e nel mantenimento di un posto di lavoro. In particolare, gli operatori della Comunità (i medesimi di Kairos 1), attivano insieme alla giovane, le risorse della comunità locale, al fine di reperire un impiego, che permetta alla donna la completa indipendenza economica. Di solito vengono utilizzate le risorse dell’area educativa del servizio Migrazioni e Cooperazione Internazionale che dispone oltre, ad una lista aggiornata di richieste lavorative, di numerosi corsi di formazione. Inoltre in questo contesto, si organizza il distacco dalla Comunità e dagli ambienti protetti di Kairos 1, stimolando una piena autosufficienza anche a livello psicologico. Infatti, spetta alle ragazze dell’appartamento Kairos 2, gestire la loro giornata, il loro tempo libero, le faccende domestiche e le loro spese personali. Tuttavia sono previsti momenti di incontro con gli operatori, che supervisionano comunque la vita delle ragazze, al fine di evitare situazioni rischiose (eventuali nuove ricadute nello sfruttamento e nella prostituzione) e offrire una consulenza psicologica di accompagnamento del nuovo percorso. Normalmente, dopo qualche mese di soggiorno in Kairos 2, e il superamento anche di quest’ultima fase, le ragazze si allontanano dalla comunità per immergersi completamente nella realtà sociale. I contatti con gli operatori non vengono mai interrotti; il supporto viene comunque garantito in caso di ulteriori necessità. Finalità: prevenire ed evitare nuove situazioni di ricaduta nel mondo della prostituzione; favorire l’autonomia relativa o totale di queste ragazze, attraverso una integrazione sociale condotta con dignità e responsabilità. Obiettivi immediati: predisporre per le ragazze appena uscite dalla fase di recupero un tempo/spazio dove poter trascorrere le giornate e/o le ore libere settimanali; accoglienza in comunità di altre ragazze senza interrompere o invadere il normale andamento del gruppo che sta facendo il percorso di recupero; offrire la possibilità di una formazione n accordo con le capacità e le reali possibilità di ogni singola ragazza; trovare un lavoro concorde alla preparazione di queste ragazze; aiutare a sostenere le spese durante 170 il periodo in cui la ragazze è in cerca di un lavoro o nella fase di passaggio tra un precedente lavoro ed un nuovo; accompagnare in una esperienza concreta di vita organizzata, con abitudini e praticità nella gestione della casa, nell’economia e nell’impegno lavorativo; garantire l’accesso a centri pubblici di consulenza specifici: sanitari, psicologici, giudiziari; opportunità di ritrovare settimanalmente una possibilità di scambio e di confronto con le educatrici incontrate durante il periodo comunitario, ed anche con le compagne. Utenza: ragazze che hanno realizzato un percorso di recupero in forma protetta, anche se breve, e vogliono raggiungere una giusta autonomia e integrazione sociale, ma che non vi riescono da sole, dati i loro precedenti. Non ci sono limiti di età, nazionalità religione o livelli di scolarità; è richiesta invece: esplicita volontà di raggiungere gli obiettivi proposti; regolarità con il permesso di soggiorno; avere un impegno lavorativo o essere in cerca di una occupazione; impegnarsi a contribuire economicamente con una percentuale del proprio guadagno, alla realizzazione del progetto (spese si abitazione, alimentazione, tasse scolastiche, visite mediche, prestazioni sanitarie). Risorse materiali: Un centro-appartamento, situato al piano terra della comunità Kairos, per l’accoglienza delle ragazze che ormai lavorano, fornito di angolo cottura, sala da pranzo - soggiorno, camere da letto con 2/3 posti, bagno, laboratorio per gli incontri comuni. Risorse umane: la comunità delle suore adoratrici, un’educatrice part-time, volontari e amici delle ragazze. Servizi ed attività: momenti di ritrovo - relax e comunicazione, colloqui personale e consulenza psicologica, verifiche di gruppo per valutare l’andamento del percorso, accompagnamento all’ente pubblico o privato per la ricerca e l’attribuzione di una nuova casa, un lavoro e percorsi scolastici specifici, accompagnamento nell’espletamento di tutte le pratiche ancora sospese, relative al completamento della regolarizzazione giuridica a del reperimento di eventuali documenti mancanti, lezioni di italiano. 7.3.3. I risultati Attualmente la Comunità Kairos 1 è composta da sette ragazze: due rumene, quattro moldave, una nigeriana, di età compresa tra 16 e 22 anni. Dal 9 ottobre 1995 ad oggi sono state accolte in Comunità 78 ragazze, di cui 36 albanesi, 12 nigeriane, 1 serba, 3 italiane, 2 russe, 3 bulgare, 6 rumene, 3 ucraine, 2 macedoni, 2 slovacche, 1 ceca, 6 moldave e 1 proveniente dal Togo. L’età media delle ospiti è compresa tra i 18 e i 26 anni, ma non sono rari i casi di minorenni che si rivolgono alla comunità. Kairos 2 ha, invece, ospitato 15 ragazze. Il tempo medio di permanenza varia tra un minimo di un mese ad un massimo di undici. Il 90% delle ragazze si presenta sprovvista di documenti. Dall’esperienza maturata in quasi sei anni di attività gli operatori sono riusciti a rilevare alcuni caratteri comuni che si presentano nei comportamenti delle giovani. Anzitutto, alcuni tratti definiti come positivi delineano nelle donne una grande capacità di superare le sofferenze e di solidarizzare con coloro che soffrono, un realismo e una concretezza nella lettura della realtà, un’enorme suscettibilità e sensibilità a qualsia- 171 si fatto, gesto o parola di amore e accettazione e una straordinaria apertura alla dimensione trascendente. D’altro canto mostrano una grande instabilità caratteriale, una tendenza a soddisfare senza dilazione necessità e capricci, un costante bisogno di rimandi positivi e la tendenza ad attribuire agli altri responsabilità e decisioni. Inoltre è stato rilevato che il contesto familiare da cui provengono risulta fortemente disgregato con problematiche varie al suo interno (separazione, alcolismo, disoccupazione, povertà), pertanto spesso la famiglia non può essere considerata come risorsa e sostegno nel cammino della giovane. Le conseguenza di questa carenza si evidenziano con una incapacità ad accettare: la propria femminilità (dovuta forse, anche dall’assenza della madre), le norme di gruppo e l’esistenza delle esigenze e dei diritti dell’alto (dovuta prevalentemente all’assenza della figura paterna). La scolarità delle ospiti è sostanzialmente bassa (elementari o medie al massimo), ma attualmente l’arrivo di ragazze dall’Est europeo ha portato una forte inversione di tendenza. Molte di queste, infatti, sono laureate e conoscono a sufficienza la lingua italiana. Per quanto riguarda l’esito del percorso, il progetto di “Prima Accoglienza” viene considerato da tutti gli operatori come sostanzialmente “vincente”, perché dai risultati raccolti, emerge un largo margine di giovani quasi del tutto inserite nella vita sociale. Infatti, solo 6 ragazze sono tornate sulla strada, sette sono rientrate nella famiglia di origine e 5 si sono trasferite in altre comunità. Tutte le altre sono riuscite ad inserirsi pienamente nel mondo lavorativo, a costruirsi una famiglia e delle relazioni stabili. Gli ostacoli maggiormente incontrate nel corso della realizzazione dei progetti, si riferiscono in particolare alla problematicità di garantire una pacifica convivenza tra culture spesso completamente diverse (ad esempio la cultura africana e quella albanese) e alla difficoltà di realizzare un pieno inserimento sociale delle ragazze. Talvolta queste, dopo il distacco dalla Comunità, vivono in una condizione di pesante isolamento e le uniche relazioni significative sono quelle che mantengono con alcune compagne e con gli operatori che le hanno seguite. 7.3.4. Le interviste agli operatori sociali del progetto Prima Accoglienza La ricerca è stata realizzate tra gli operatori che lavorano nel settore della prostituzione nella città di Bergamo coinvolti nel progetto “Prima Accoglienza”. L’intento di questo lavoro è quello di rilevare informazioni qualitative che possano toccare trasversalmente ambiti soggettivi, valutativi e professionali degli operatori per approfondire le corrispettive specificità e le reciproche influenze. Il lavoro di reperimento delle informazioni è stato realizzato attraverso interviste semistrutturate, rivolte agli operatori dei servizi coinvolti direttamente nel progetto di “Prima Accoglienza”. In particolare, le interviste sono state organizzate e strutturate in due parti, riferite alle due dimensioni su cui si andava ad indagare. La prima area, l’area personale, era composta da 27 domande227 tese alla rilevazione di informazioni anagrafiche, (domande da 1 a 6) extra-lavorative (hobby e tempo libero, domande da 7 a 11), introspettive e caratteriali (visione di se, rimandi sociali, criteri di abbigliamento, oggetti di particolare interesse, modelli di vita; domande da 12 a 19), “evolutive” (tappe di vita, desideri soddisfatti/insoddisfatti, scopi e mete di vita; domande 227 Nel raccogliere tali informazioni è stato applicato un modello di intervista già proposta a diverse categorie di donne vedi: E. Kermol, A. Francescutto, op. cit. 172 da 20 a 23) e socio-relazionali (rapporti interpersonali, amicizie, sessualità e rapporti prematrimoniali, domande da 24 a 27). La seconda parte si indirizzava sull’area relativa alla professione al fine di raccogliere informazioni circa: la professione, motivazioni, esperienze lavorative precedenti, funzioni e ruolo, considerazioni sul proprio lavoro, principi e metodologie guida; il rapporto con gli altri operatori, tipologia e significatività del rapporto, collocazione gerarchica, autonomia professionale; l’utenza, tipologia, significatività del rapporto, grado di collaborazione prestazioni maggiormente richieste, bisogni rilevati, interventi attuati; rilettura critica dell’attuale sistema normativo e dei servizi; considerazioni professionali sulla prostituzione. Sono state intervistate quattro operatrici che attualmente collaborano nel “Progetto Prima Accoglienza”, due assistenti sociali del Servizio Migrazione e Cooperazione Internazionale, una educatrice della Comunità Kairos e una educatrice dell’Associazione Diakonia Onlus. Gli operatori che si sono lasciati intervistare hanno voluto rispondere completamente alle domande, mentre altri hanno preferito rispondere solo parzialmente al questionario, privilegiando la seconda parte relativa all’area professionale. Le suore della comunità Kairos hanno preferito rispondere solo verbalmente. Area personale Informazioni anagrafiche Le operatrici intervistate hanno un’età compresa tra i 22 e i 40 anni, sono tutte di nazionalità italiana. Sono nubili, un’educatrice vive con i genitori, una delle assistenti sociali convive e ha figli. Titolo di studio Le assistenti sociali sono in possesso di uno specifico titolo abilitante alla professione, poiché entrambe provengono dalla scuola diretta a fini speciali per assistenti sociali. Le educatrici lavorano con la qualifica di operatrici Caritas, svolgendo tuttavia la professione di educatrice. Un’educatrice è laureata in teologia, un’altra ha conseguito la maturità scientifica, svolgono interventi propri dell’educatore professionale in quanto all’interno delle strutture private del sociale vi sono criteri di assegnazione di ruolo flessibili. Le attività extra-lavorative: hobby, sport e tempo libero A livello extralavorativo tutte hanno attività ed hobby specifici, (ciclismo, nuoto, lettura, ascolto della musica, riposo, escursioni in montagna, tay-chi, sci e danza), tuttavia le assistenti sociali sembrano impegnare parte del loro tempo libero in attività, quali corsi di formazione, ritenuti utili anche per la loro professione. Questo sottolinea come le educatrici tendano a separare nettamente le attività di lavoro da quelle di svago, mentre le assistenti sociali prevedono anche momenti di conciliazione tra le stesse. A tutte piace il cinema, preferendolo alla televisione: “quando voglio vedere un film vado al cinema”, afferma con decisione un’educatrice. Tutte comunque seguono spettacoli impegnati, di carattere storico, informativo (ad esempio i documentari di vario genere), socio-culturale e realistico, dimostrando in tal caso, un interesse generalizzato nei confronti di temi comunque attinenti alla sfera del sociale. A tutte piace ascoltare la mu- 173 sica di ogni genere, classica, contemporanea ed etnica, vissuta come fonte di svago e rilassamento. Descrizione di sé, rimando sociale, modelli sociali e gusti specifici Tutte le operatrici hanno una visione realistica si sé, basata sulla percezione di pregi e difetti ben precisi, un’assistente sociale afferma: “Sono una persona tendenzialmente lenta, e riflessiva. Queste mie caratteristiche spesso si scontrano con la frenesia della realtà sociale e lavorativa. Spesso, infatti, ho grosse difficoltà a tenere insieme i miei tempi, con i tempi del lavoro e della vita”; ed una educatrice sostiene: “sono soddisfatta di me stessa, anche se so che devo crescere molto”. Emerge la consapevolezza della complessità e della difficoltà della realtà socio-lavorativa in cui sono inserite che spesso richiede specifiche competenze. Tale cognizione, emergerà con forza, come si avrà modo di vedere, successivamente, quando, alla domanda relativa alle modalità con cui tentano di risolvere le difficoltà lavorative, tutte dichiarano di rivolgersi a persone con un grado di esperienza elevato in questo settore. Tutte le operatrici si ritengono estroverse, disponibili, socievoli e pienamente soddisfatte di se stesse. Possiamo affermare che le operatrici hanno una chiara e sicura immagine si sé. Vi è una sostanziale consapevolezza delle richieste sociali nei loro confronti, tuttavia sembrano interessate solo a quelle delle persone loro vicine, e in particolar modo degli amici, sottolineando il fatto che questi coincidono sostanzialmente con il modo in cui loro si vedono: “credo che gli altri mi vedano per quella che sono”, “nonostante la gente sia abituata a giudizi spesso affrettati, sono convinta che chi mi conosce bene sa perfettamente come sono fatta”. Per quanto riguarda le domande relative all’uomo e alla donna ideali solo una persona fa riferimento a nomi precisi, “Berta Manciù, il Vescovo Romero, che con la loro vita hanno dato prova di coraggio e coerenza”, altre propongono persone loro vicine, “Non c’è nessuna donna ideale, però ammiro molto mia madre”, "è una categoria inesistente. Al momento per me esiste solo il mio compagno: la persona che mi sta rendendo felice”; o caratteristiche generiche che una persona dovrebbe avere per definirsi modello ideale “Non c’e un nome preciso, però la donna (e l’uomo) ideale per me deve essere simpatica, intelligente e affettuosa”. Nessuna accenna a voler assomigliare a qualche personaggio pubblico o dello spettacolo, tutte premiano l’originalità e l’unicità di ciascuna persona, che deve mirare ad essere solo se stessa: “Non esiste nessun personaggio pubblico a cui vorrei assomigliare. L’originalità e l’unicità delle persone prima di tutto!”, “non vorrei assomigliare assolutamente a nessuno, io sono quella che sono”. Per quanto riguarda i gusti, sono state rilevate informazioni relative all’abbigliamento e a particolari oggetti di interesse. Nessuna delle persone intervistate pone particolare attenzione alla moda e alle grandi firme. Tutte pongono come criteri di scelta la comodità, la praticità e la semplicità, oltre ovviamente alla compatibilità dell’indumento con il gusto personale. Emerge con forza il concetto di convenienza del capo, adducendo ragioni economiche, (un’assistente sociale afferma: “Se avessi più soldi credo che mi comprerei tanti bei vestiti”, e un’educatrice dichiara “non porto cose firmate anche perché costano un’esagerazione” e motivazioni legate a principi di fondo, "sono convinta che spendere soldi per comprare abiti griffati sia sostanzialmente una spreco. Ci sono così tanti bei tipi di vestiti senza andare a cercare le grandi marche”(educatrice Kairos); anche di carattere solidalistico “Frequento i negozi del commercio equo e solidale, lì acquisto la maggior parte dei miei vestiti, e non solo! È così che preferisco spendere i miei soldi, almeno so che è una spesa onesta e corretta”, è quello che sostiene l’educatrice 174 Caritas. Mentre le due educatrici sfuggono ai criteri della moda principalmente per ragioni solidaristiche, le assistenti sociali manifestano un interesse per la moda, tuttavia evitano eccessi ritenuti “azzardati” rispetto al contesto in cui sono inserite. Un’assistente sociale afferma:“Cerco di vestirmi in modo contestualizzato. Ogni occasione per me richiede un certo abito. A Bergamo ho scoperto una cosa molto importante, l’immagine conta più di quanto sei veramente, perciò è importante saper scegliere”, e l’altra sostiene: “Quando acquisto abiti, solitamente non seguo la moda, generalmente valuto che abbiano un modico prezzo e che non comunichino un eccessivo sfarzo”. Rimanendo in tema di gusti, alla domanda relativa a quali oggetti sono maggiormente interessate c’è chi dichiara, coerentemente con il proprio hobby, di adorare i libri e tutto ciò che fa parte del mondo della musica, chi invece è attratta dagli oggetti antichi, soprattutto per il significato che portano con se: “Mi piacciono moltissimo i mobili antichi e tutti gli oggetti provenienti da altri paesi. Li adoro perché mi fanno subito pensare alla storia di coloro che li hanno usati o costruiti”. La semplicità e l’economicità si riscontrano anche nelle auto possedute, le assistenti sociali possiedono delle “Fiat Uno”, mentre le educatrici una “Seat Ibiza” e una “Operl Corsa” (che dichiara di usare poco perché di solito preferisce spostarsi in bicicletta). Tappe fondamentali della vita, desideri, mete e scopi di vita Nel rileggere le diversissime tappe fondamentali della vita di ciascuna operatrice, emerge un dato molto significativo, tutte ritengono che la scelta della scuola di assistente sociale o comunque dell’attuale lavoro, sia il frutto di una profonda riflessione, che talvolta ha rivoluzionato la vita stessa della persona. Un’educatrice dichiara: “dopo aver finito il diploma di ragioniera, ho deciso di dare una svolta radicale alla mia vita e alla mia professione”, e una assistente sociale dice: “Ho lasciato la Toscana, anch’io sono una immigrata, e sono venuta a Bergamo, dove ho deciso di diventare assistente sociale”, “Dovevo cambiare prospettiva di vita, dovevo cominciare a fare qualcosa di più utile anche per gli altri”. Tutte infatti prima dell’attuale lavoro, erano impiegate in contesti lavorativi diversissimi da questo. Le precedenti esperienze lavorative, come si vedrà, ne sono una prova: “prima di venire qui lavoravo in una azienda della provincia ed ero responsabile dell’ufficio import ed export”, “ho fatto la baby-sitter e ho insegnato in una scuola elementare”, “Ho lavorato come impiegata in un comune all’ufficio anagrafe e per un anno sono stata una segretaria della direzione didattica di una scuola”. Questo fa riflettere su quanto intensamente venga considerata e vissuta l’attuale esperienza, considerata come capace di rivoluzionare la vita di una persona. A tale proposito basti pensare che sebbene nessuna di loro abbia avuto problemi psicologici, il cambiamento nello stile di vita e nella professione per un’educatrice è stato fonte di crisi personale: “Non ho sofferto di nessun disturbo psicologico, però, la scelta di lasciare tutto e di cambiare vita è stata critica. E stata una sorta di crisi esistenziale, mi sono fermata, ho riflettuto su quello che stavo facendo e mi sono accorta che forse quella non era la strada giusta per me”. Tutte si ritengono sostanzialmente soddisfatte della loro attuale condizione personale e lavorativa, considerando quest’ultima fonte di soddisfazione e realizzazione personale. Dichiarano: “La professione ogni giorno mi procura immense soddisfazioni, di ogni tipo”. Alla domanda relativa a gli scopi e alle mete che si intendono raggiungere, tutte mirano alla soddisfazione e realizzazione personale, stabilità e sicurezza di vita e in generale alla felicità: “il fine migliore e più grande che possa propormi di raggiungere, e che 175 forse in parte ho già raggiunto, è poter essere felice, essere parte della felicità di alcune persone”. Tuttavia, coerentemente con quanto risposto alla domanda relativa alla soddisfazione personale, al momento nessuna prevede cambiamenti di vita, soprattutto a livello professionale dichiarandosi appagate da quello che hanno già ottenuto “Mi sta benissimo continuare a fare quello che sto facendo ora, in futuro si vedrà”. Informazioni socio-relazionali: comportamento nei rapporti sociali, amicizia Nei rapporti interpersonali, trionfa la sincerità, e la spontaneità, per tutte è fondamentale essere se stesse in ogni rapporto sociale anche se talvolta, soprattutto nel contesto lavorativo questo risulta difficile. Infatti, se da un lato emerge che “Una cosa che però caratterizza i miei rapporti sociali è il fatto che cerco di essere la più chiara e sincera possibile. Credo infatti che queste qualità siano fondamentali, perché è importante avere dei rapporti basati sul rispetto e la fiducia”, “Innanzitutto mi comporto sempre in modo spontaneo, cerco di essere me stessa in ogni circostanza”; dall’altro, alla domanda successiva riguardo all’amicizia una assistente sociale sostiene: “L’amicizia è per me una fondamentale risorsa, una specie di nicchia in cui posso essere spontanea. Solo qui riesco ad essere pienamente me stessa, e solo qui mi sento accolta e capita. Nei rapporti sociali devi spesso essere più controllata, con gli amici no, con loro ti puoi lasciare andare”. Per quanto riguarda l’amicizia, tutte vi credono profondamente, ma mentre alcune hanno amici solo al di fuori del contesto lavorativo, altre stringono rapporti anche al suo interno, con operatori ed utenti. Alla domanda circa i rapporti con l’utenza un’educatrice afferma “Con le ragazze ho stretto moltissimi rapporti anche personali, con alcune esco la sera per andare al cinema o per mangiare la pizza”. Alla domanda relativa alla sessualità e ai rapporti prematrimoniali tutte si dichiarano favorevoli a questo genere di rapporti, quali momenti di crescita e sviluppo di ogni persona, a patto che venga mantenuto il rispetto per l’altro: “Credo che la sessualità sia un’impostante momento di crescita e maturazione delle persone, che dovrebbe essere vissuta in modo pieno e soprattutto rispettoso dell’altro, delle sue esigenze, dei suoi tempi e dei suoi timori”, e a patto che per vi siano alcune condizioni “sono d’accordo con i rapporti prematrimoniali… se ci si vuole bene”, “in certe circostanze sono l’unica soluzione”. Area della professione Informazioni relative alla professione: motivazioni, precedenti esperienze, compiti attuali, valutazioni sul lavoro, principi e metodologie di lavoro Le motivazioni che hanno spinto le operatrici ad intraprendere il loro attuale lavoro, si riferiscono tutte alla volontà di sentirsi realmente utili per gli altri, di poter concretamente aiutare chi si trova in difficoltà. Sono ricorrenti le frasi “volevo a tutti i costi potermi sentire realmente e concretamente d’aiuto agli altri” (educatrice della Caritas) e “mi sento una persona che con immensa umiltà vuole sostenere ed accompagnare gli altri in un percorso di miglioramento delle proprie condizioni di vita” (assistente sociale). Tutte in precedenza hanno avuto esperienze lavorative diverse da quella attuale: una educatrice lavorava in una azienda della provincia, come responsabile dell’ufficio import ed export, l’altra ha avuto saltuarie esperienze come promoter in un supermercato, commessa in un negozio di abbigliamento e baby-sitter, e solo dopo il liceo scientifico ha deciso di intraprendere la strada di educatrice; un’assistente sociale ha lavorato come 176 educatrice in un C.A.G., ed ha insegnato in una scuola elementare, con bambini portatori di handicap, l’altra è stata impiegata in un comune all’ufficio anagrafe e, per un anno, segretaria della direzione didattica di una scuola. I motivi del cambiamento sono tutti legati al desiderio di dare una svolta decisiva alla propria vita e provare nuove esperienze. Per quanto riguarda i compiti delle professioniste considerate, le due educatrici lavorano per la Caritas, come operatrici; una è impegnata completamente nel progetto “Prima Accoglienza”e l’altra espleta anche altre funzioni. In particolare, la prima lavora a stretto contatto con le ragazze svolgendo come essa stessa afferma “funzioni educative, riabilitative ed in parte assistenziali”, previste dal progetto della Comunità. Si occupa, insieme alle altre educatrici presenti di conoscere le ragazze, creare con esse momenti di comunicazione e confronto, dar vita al progetto personalizzato, attraverso la predisposizione e la realizzazione delle fasi e dei momenti previsti, ed accompagnare le ragazze al raggiungimento dei fini preposti. L’altra educatrice svolge un’azione di filtro e di primissima conoscenza delle ragazze che desiderano lasciare il mondo della prostituzione. In particolare accoglie le ragazze che le vengono mandate dai diversi servizi. Cerca di capire quali siano le intenzioni della ragazza e trova risposta ai suoi immediati bisogni (protezione, vitto e alloggio). Inoltre, propone il progetto “Kairos”e se riscontra interesse, invia o accompagna la giovane alla Comunità. Se invece la ragazza vuole tornare nel suo paese d’origine la accompagna in questo percorso, predisponendone il viaggio. Per quanto riguarda le assistenti sociali, entrambe lavorano per il Servizio Migrazioni e Cooperazione Internazionale del Comune di Bergamo, una delle quali è coordinatrice degli operatori del servizio. I compiti e le funzioni che svolgono nel servizio sono di “accoglienza di famiglie multiproblematiche straniere non residenti o con residenze fittizie a Bergamo e di attivare interventi di sostegno e di prevenzione per l’utenza che giunge al servizio, in particolare minori stranieri in stato di abbandono e famiglie multiproblematiche”. Relativamente alle ragazze straniere che si presentano, e chiedono di uscire dal mondo della prostituzione, gli interventi sono legati in particolare alla prima conoscenza, ad azioni di filtro e adempimento di pratiche burocratiche. Un’assistente sociale si occupa del primo contatto con le ragazze straniere che si rivolgono al servizio con la speranza di abbandonare il mondo della prostituzione. L’assistente sociale si occupa di rassicurare la ragazza, proponendole poi il progetto d’intervento, inoltre si occupa di reperire un lavoro ed eventualmente una sistemazione abitativa alle ragazze. L’assistente sociale coordinatrice mantiene i contatti con la Questura e certifica che la ragazza in questione abbia chiesto e iniziato un programma di assistenza ed integrazione sociale, quindi chiede lo speciale permesso di soggiorno previsto dalla legge. Inoltre svolge incontri periodici con le ragazze della comunità al fine di verificare l’andamento del progetto. Tutte si dicono soddisfatte del proprio lavoro, le operatrici Caritas lo sono pienamente, mentre le assistenti sociali, lamentano alcuni problemi interni all’organizzazione del servizio che vanno ad ostacolare l’efficacia degli interventi. Infatti, alla domanda: “Quali proposte farebbe per migliorare il suo lavoro?” le assistenti sociali modificherebbero l’atteggiamento dell’apparato politico-amministrativo del servizio, accusato di mancare di chiarezza, trasparenza, fluidità ed efficacia nell’intervento; auspicandosi un organo direttivo più attento ai bisogni del servizio, più presente e fiducioso nei confronti dei suoi operatori, capace inoltre di mantenere contatti attivi con la comunità. Nonostante queste problematiche, il giudizio dato al lavoro nel suo complesso è positivo, tutte lo vedono da un lato come un’attività stimolante, creativa e interes- 177 sante; e dall’altro come fortemente impegnativa e densa di responsabilità. Anche i principi a cui le operatrici si ispirano per lavorare sono simili: il rispetto, la valorizzazione della persona considerata come un’importante risorsa, l’ascolto, l’attenzione, l’impegno e la serietà nel lavoro. Nella realizzazione del lavoro, tutte la operatrici sembrano avere di base un progetto giuda, talvolta costruito in equipe, come nel caso dell’educatrice della Associazione Diakonia Onlus. Tuttavia, nessun progetto segue fasi e tempi rigidamente fissati e pensati a tavolino, tutte prediligono l’importanza di progetti originali, creativi e diversi a seconda delle circostanze; echeggiano, infatti, frasi simili a quella detta dall’assistente sociale coordinatrice:“Credo che sia più utile e proficua una progettazione basata su una profonda riflessione e sospensione dell’azione. Inoltre una progettazione per essere efficace deve essere sempre creativa. Proprio la riflessione e la sospensione dell’azione caratterizzano la metodologia usata nell’intervento,di tutte le operatrici, soprattutto di fronte a situazioni difficili. Inoltre, ogni intervento prevede azioni co-costruite con l’utenza, frutto di ascolto, osservazione, dialogo e condivisione dei problemi con la stessa:“L’operatore osserva, raccoglie le informazioni e le rimanda alla persona con la quale costruisce poi un percorso personalizzato”afferma una assistente sociale, “Uso alcuni accorgimenti metodologici semplici ma che secondo me sono sempre efficaci: ascoltare, osservare, dialogare e condividere”, è quello che similmente sostiene l’educatrice della Kairos. Tutte le operatrici hanno inoltre ritenuto utili, per il loro lavoro, i corsi di aggiornamento effettuati presso i Servizi e, nel caso specifico delle assistenti sociali, anche personalmente. Si tratta principalmente di corsi di lingua straniera (inglese soprattutto) e relativi alle varie problematiche sociali, prima fra tutte, nel caso dell’educatrice Kairos, quella della prostituzione. La loro utilità risiede nel fatto che entrambi consentono di comunicare maggiormente con l’utenza, quello relativo alla lingua consente una maggiore la comprensione, quello relativo al fenomeno prostituzione, consente invece una condivisione profonda del problema dell’altro. Informazioni relative al rapporto con gli altri operatori Il rapporto stretto con gli altri operatori consente a tutte le operatrici considerate di mantenere un forte grado di autonomia, il lavoro di equipe prevede momenti di confronti e di scambio, ed è alla base dell’adempimento di ogni forma di progettazione. Tuttavia, nella realizzazione dei progetti si avvertono alcune pressioni e tensioni negative, solo nel caso delle due operatrici del Servizio Migrazione e Cooperazione Internazionale, coerentemente con quanto dichiarato in merito alle difficoltà di lavoro con le amministrazioni, che riflettono negativamente anche sull’equipe dei singoli operatori, creando forti tensioni tra gli stessi. Una assistente sociale dichiara infatti in merito: “Rispetto alla gestione dei casi ho una piena e totale autonomia rispetto alla progettazione più generale, l’autonomia è minima. Sono, come tutte del resto, fortemente condizionata dall’organizzazione, con la quale ho spesso un rapporto conflittuale. In diversi anni che lavoro qui, sono riuscita a far passare ben poche mie proposte”. I rapporti con i colleghi vengono pertanto valutati negativamente dalle due assistenti sociali, poiché basati solo da contatti di natura professionale, per lo più conflittuale; mentre gli stessi, vengono ritenuti dalle due educatrici come importante e positiva risorsa nel lavoro e nella crescita personale e professionale: “Con alcune persone si è creato un buonissimo rapporto personale e professionale, ci capiamo al volo con degli sguardi 178 e ci intendiamo perfettamente”, “Spessissimo collaboriamo, mi aiutano a capire dove sbaglio e con loro condivido tutte le mie difficoltà e le mie incertezze”. Informazioni relative all’utenza: tipologia, modalità di rapporto, bisogni e prestazioni offerte La tipologia dell’utenza comune a tutte le operatrici è quella delle ragazze che vogliono uscire dal mondo della prostituzione. Merita di essere evidenziato che nessun operatore considerato ha mai chiamato queste persone con la parola prostitute, bensì si è sempre riferita a loro con i termini di ragazze e talvolta donne. Questo risulta particolarmente significativo, perché testimonia il rispetto e la valorizzazione della persona innanzitutto, coerentemente con i principi ispiratori dell’intervento di ciascun operatore. Inoltre, tutti gli operatori hanno a che fare con un’utenza prevalentemente straniera, con diverse problematiche: tossicodipendenza, alcolismo, famiglie multiproblematiche, minori in stato di abbandono. L’educatrice dell’Associazione Diakonia Onlus, si occupa inoltre dei senza tetto. Le operatrici considerano gli utenti da un lato come portatori di risorse “sono un potenziale umano straordinario”, dall’altro sottolineano talvolta la presenza di un atteggiamento negativo, talvolta pretenzioso ed errato nei confronti del servizio: “Ritengo che siano persone confuse e spesso intimorite dalla realtà dei servizi. Hanno di noi un’idea piuttosto negativa e ricorrono ai servizi, soprattutto le ragazze, solo in casi estremi.Talvolta invece si presentano con sicurezza e si aspettano che sia il servizio a procurare loro tutto quello di cui henna bisogno, senza porre alcuna condizione”, “ha volte vengono solo per spillare soldi al servizio”. Tuttavia, il rapporto che viene mantenuto con l’utenza è valutato positivamente e considerato fonte di soddisfazione. Tutte, cercano di basare tale relazione sulla fiducia e la reciproca accettazione; tuttavia alcune operatrici si accusano di non essere sempre capaci di rispettare i tempi dell’altro: “mi accuso di essere stata un po’ troppo esigente e pretenziosa, non è facile per uno straniero capire le regole che governano la nostra società e tanto meno far sì che la nostra società si adatti a loro. Io questo talvolta non lo tengo presente dichiarando così di non rispettare i tempi dell’una e dell’altra parte”, “forse con qualcuno dovrei essere più paziente e meno rigida”. Inoltre le due educatrici dichiarano di non riuscire a mantenere rapporti puramente professionali con le ragazze della Comunità: “Con le ragazze proprio non riesco a mantenere un rapporto professionale, con loro ho stretto moltissimi rapporti anche personali, con alcune esco anche la sera per andare al cinema o per mangiare la pizza”, “ (il rapporto) È confidenziale, e talvolta amichevole ma soprattutto è un rapporto di sostegno e completamente basato sulla fiducia reciproca”. Le prestazioni maggiormente richieste da parte delle ragazze, riguardano: la protezione dai loro padroni, assistenza, cure mediche, soddisfazione dei bisogni primari e l’accoglienza. Tuttavia tutte le operatrici, riscontrano bisogni di fondo talvolta nascosti e velatamente presentati. Infatti, tutte sono convinte che, oltre alle richieste specificatamente avanzate, vi sia un bisogno diffuso di essere ascoltate, capite, rassicurate, sostenute ed aiutate a rielaborare la loro pesante esperienza “Le ragazze invece manifestato con forza la volontà di trovare un posto in cui riflettere sulla loro devastante esperienza per capire poi che cosa farsene. Vogliono ricominciare una vita normale e vogliono essere considerate persone normali”; “per le ragazze c’è un bisogno di continui rimandi e di fiducia”; “le ragazze hanno bisogno di avere un po’ di sicurezza in se stesse, rapporti 179 sociali normali e soprattutto, hanno bisogno di sentire che qualcuno le rispetta e le stima, che è attento ai suoi bisogni. Hanno inoltre bisogno di sentire che quello che stanno facendo è utile per il loro futuro e che le porterà alla costruzione di una vita normale”; “emerge con forza il bisogno di essere ascoltate, rispettate, comprese, talvolta assecondate e rinforzate sulla possibilità di avere ancora vie d’uscita e possibilità di cambiamento”. Gli interventi attuati con le ragazze sono tesi a mediare le prestazioni richieste e i bisogni sottostanti, in quanto, tutte le operatrici propongono l’ambiente Kairos, quale luogo protetto di accoglienza, assistenza, e soprattutto di comprensione e superamento dell’esperienza della strada, per una piena reintegrazione nella comunità sociale.Sono inoltre considerati importanti, tutti gli interventi di sensibilizzazione sociale tesi a stimolare risorse ed opportunità per le ragazze: “mi preoccupo di attivare le risorse del territorio per favorire il progetto Kairos”. Tutte inoltre privilegiano come strumenti principali per aiutare l’utenza la disponibilità, il calore umano, l’ascolto e il supporto. Il rinforzo positivo è lo strumento privilegiato, adottato da tutte le operatrici, teso a favorire l’accettazione si sé, l’autonomia e la stimolazione delle risorse personali spesso represse: “funziona molto, nei momenti di sconforto, riflettere alle ragazze l’enorme processo evolutivo che ogni giorno fanno all’interno della comunità”; “con semplicità credo di poter aiutare le ragazze ad affrontare una ricostruzione del progetto di vita sostenendo, rinforzando le competenze personali e incoraggiandole continuamente”. Coerentemente con quanto emerge da tale considerazione, tutte le operatrici evidenziano la necessità di attivare l’utenza e riconoscono il suo riolo come quello principale nel processo di aiuto. Gli operatori si vedono appunto nel ruolo di stimolatori di risorse, tuttavia il lavoro principale deve essere fatto dall’utenza: “L’utenza è la protagonista principale di tutto il lavoro. Deve essere assolutamente convinta di quello che sta facendo, deve essere motivata e deve credere con forza nel suo progetto”, “A mio avviso è importante stimolare un ruolo attivo dell’utenza nel corso di tutta le fasi del processo, spesso tendono ad adagiarsi ed accontentarsi di quello che fa il servizio per loro e soprattutto nel caso delle ragazze, si scoraggiano facilmente e vedono poche prospettive per il futuro. Perciò è utile spronarle sempre e dar loro dei rimandi prevalentemente positivi, almeno all’inizio, per rinforzare un’immagine sempre positiva di quello che sta accadendo”. Tutte ammettono di aver incontrato grosse difficoltà nell’operare, soprattutto nel convincere le ragazze delle potenzialità del progetto Kairos, tuttavia il luogo privilegiato in cui hanno ricercato una soluzione a ciò è stato il confronto con gli altri operatori, la sospensione dell’azione e l’esplicitazione della difficoltà all’utente, che deve essere sempre reso partecipe delle vicissitudini del suo percorso: “alle volte mi sono trovata in pesanti situazioni. In primo luogo mi prendo del tempo e di solito attivo azioni di collaborazione con servizi più competenti”; “Si molte volte mi è capitato di non essere capace di aiutare le persone. Di solito affronto la situazione prendendomi più tempo per rifletter ed esplicitando sempre e comunque alla persona le mie difficoltà”; “il lavoro d’equipe resta costantemente un fondamentale supporto”; D’abitudine, di fronte alle difficoltà, mi confronto con i colleghi più esperti di me o nell’equipe”. Considerazioni relative all’attuale assetto normativo e dei servizi attivati nei confronti del fenomeno prostituzione L’attuale assetto normativo viene considerato da tutte le operatrici relativamente in grado di supportare l’utenza. Le accuse più pesanti vengono comunque avanzate dalle 180 assistenti sociali, forse perché, lavorando per un servizio pubblico henna spesso a che fare con la normativa in merito, conosciuta superficialmente dalle operatrici Caritas. Le critiche avanzate in tal senso riguardano in particolare la complessità, rigidità, ambiguità, inefficacia, e difficoltà nell’operativizzazione delle norme all’interno dei servizi. Il medesimo giudizio non risparmia nemmeno l’assetto dei servizi, mentre tutte riconoscono l’efficacia del progetto della comunità Kairos, ammettono che non vi siano poi sul territorio ulteriori risorse proponibili: “i servizi non sono molto in grado di aiutare le persone, anche perché per esempio la comunità Kairos è una buona soluzione ma è l’unica che viene presentata alle ragazze,. L’utenza ha poca libertà di scelta”, “forse sarebbe opportuno attivare maggiori risorse, soprattutto pubbliche in tal senso”. Conseguentemente a ciò, le operatrici auspicherebbero leggi più attente ai bisogni delle persone, più flessibili, semplici, snelle, attuali e ,in particolare per le assistenti sociali, la normativa dovrebbe essere in grado di potenziare le autonomie locali: “il sistema normativo dovrebbe essere integrato da maggiori leggi regionali e locali capaci di organizzare l’operato in modo differenziato a seconda della specifiche realtà territoriali”ed incentivare maggiori risorse territoriali : “Dovrebbe prevedere interventi più concreti ed incentivare maggiormente una mobilitazione delle risorse territoriali e locali”. Anche nel caso dei Servizi, le operatrici, confidano in una loro maggiore flessibilità e corrispondenza rispetto ai bisogni dell’utenza; e, in particolare le assistenti sociali sottolineano la necessità di evitare risposte standardizzate, offrendo invece nuove opportunità di intervento. Tutte inoltre confidano in un miglioramento nel lavoro di rete e d’equipe. Considerazioni riguardo al fenomeno prostituzione Riguardo al fenomeno prostituzione, le considerazioni emergenti vedono tutte le operatrici consapevoli che il reale problema di questa realtà si identifichi da un lato con una disfunzione all’interno del sistema sociale che perpetua la prostituzione “la prostituzione è una chiara espressione di forti contraddizioni sociali, economiche e politiche a livello nazionale ed internazionale”, “È disgustoso pensare che degli uomini debbano ricorrere a queste ragazze per soddisfare i loro sporchi bisogni. È disgustosi pensare che in questa società tutto si possa acquistare”, “Purtroppo mi pare che il mondo della prostituzione sia organizzato quasi meglio dei servizi che gli fanno fronte”; e dall’altro, la sua gravità è data dal grave fenomeno della schiavitù e dello sfruttamento che ad esso si accompagna: “Al termine prostituzione mi viene di associare automaticamente le parole: schiavitù, riduzione dell’essere umano ad una cosa, un oggetto, criminalità”, “la prostituzione, c’è sempre stata e ci sarà sempre, quello che deve essere abolito e il mondo oscuro e violento che ci sta dietro”. Proprio in merito a queste considerazioni, le operatrici ritengono che il modo migliore per affrontare il fenomeno sia quello di concentrarsi nella lotta contro la criminalità sia attraverso interventi legislativi e repressivi più forti, “Servirebbe organizzare una lotta spietata ai trafficanti con leggi più dure e interventi più massicci delle forze dell’ordine”, “Dovrebbero essere organizzate maggiori lotte contro lo schiavismo e lo sfruttamento, accanirsi sui clienti non serve, perché per assurdo tra il cliente e una prostituta c’è un rapporto di completa parità, sono i rapporti impari tra prostituta e protettori ad essere pericolosi”, “repressione delle organizzazioni criminali locali che si occupano della gestione territoriale del fenomeno”; sia attraverso la collaborazione dalla comunità locale: “Innanzitutto risvegliare le coscienze tranquille. C’è un’offerta perché c’è una domanda, molto più vicina a noi e alle nostre famiglie, di quanto si è disposti ad accetta- 181 re. Non si tratta di puntare il dito, ma di riconoscere questo malessere e da lì cominciare al intervenire”. Viene inoltre, auspicata anche la necessità di un lavoro maggiore con le prostitute, favorendo il superamento e la rielaborazione della loro esperienza “credo che per aiutare le prostitute si dovrebbe offrire loro un percorso psico-sessuale. La sessualità è una sfera importante nella vita di tutti, se non le si aiuta a rielaborare la loro esperienza si rischia di lasciare dentro di loro un peso che tenderà a diventare sempre più opprimente”; per garantire una piena integrazione “un’efficace intervento dovrebbe essere strutturato a livello micro-sociale attraverso un lavoro di reinserimento sociale delle ragazze”. Infine grande rilevanza viene data anche alla prevenzione del fenomeno: “servirebbe un lavoro di educazione e promozione dello sviluppo etico dei singoli all’interno di alcuni contesti privilegiati… e a livello macro-sociale un lavoro congiunto di ridistribuzione del benessere tra i vari paesi d’origine”; “servirebbe sicuramente una maggiore educazione sessuale, al rispetto e anche cristiana”, “Bisogna poi cercare di aiutare le ragazze il più possibile, e far circolare l’informazione in merito alle vie d’uscita e alle risorse offerte dal territorio”. 7.3.5. La figura dell’operatore emergente Dai risultati dalla ricerca qualitativa è stato possibile trarre alcune considerazioni che, seppur limitatamente al contesto considerato, offrono interessanti spunti nella comprensione dell’operatore, e del suo lavoro nell’ambito della prostituzione. In particolare, si sono riscontrati tratti e caratteristiche personali e professionali comuni in tutte le operatrici che permettono di tracciare le linee generali di un ipotetico operatore impegnato nel settore. L’operatore che emerge dal contesto considerato appare come una persona caratterialmente estroversa, disponibile, socievole e fondamentalmente soddisfatto di sé. Non ha persone specifiche o “ideali” a cui ispirarsi nel comportamento e, pur ammirando i soggetti a cui è intimamente legato, premia e predilige nelle persone l’originalità, l’unicità e la coerenza della condotta. Crede fortemente nell’amicizia, vissuta come luogo privilegiato di rinforzo positivo personale, nonché di svago. Predilige i rapporti basati sulla fiducia, il rispetto reciproco, e l’autenticità; si manifesta agli altri in modo semplice, discreto con un abbigliamento contestualizzato, per dare un’immagine di sé reale ma attenta alle diverse circostanze sociali. Nella vita vede come scopo principale il raggiungimento e il mantenimento della propria felicità, e la realizzazione di alcune esperienze ritenute particolarmente significative per una migliore maturazione personale. Si presenta come pienamente e responsabilmente impegnato nel proprio lavoro, per il quale spesso frequenta molteplici corsi di formazione, anche spontaneamente, dedicandovi parte del proprio tempo libero. Sceglie hobby ed attività rilassanti, svolge attività sportiva non agonistica. Per quanto riguarda l’aspetto professionale si nota che l’esperienza lavorativa nel settore sociale, che solitamente non è l’unico impiego sperimentato, è il frutto di una riflessione profonda, mossa dal desiderio di sentirsi utili per gli altri e di poter concretamente aiutare chi si trova in difficoltà. Questa riflessione è considerata punto di partenza del lavoro e quindi base per ogni intervento sociale. E’ soddisfatto del proprio lavoro, vissuto come fonte continuo di appagamento, ma talvolta anche di pesanti responsabilità. Per lavorare nel settore della prostituzione emerge la necessità di preparazione e competenza, che deriva principalmente dall’esperienza maturata nel tempo. Ne è la prova il fatto che l’operatore considera il confronto con persone più e- 182 sperte e che da tempo lavorano nel settore la risorsa privilegiata per affrontare le difficoltà incontrate. In tal senso un’altra importante risorsa, non solo per la risoluzione dei problemi ma anche per la programmazione dell’intervento, è il lavoro d’equipe, descritto sia come momento di incontro - e talvolta di scontro necessario per definire obiettivi di intervento congiunti, metodologie comuni, verifica dei risultati conseguiti - sia come luogo di apprendimento costante. Il lavoro dell’operatore sembra essere concentrato nelle prime fasi del processo di aiuto, ovvero primissima conoscenza delle ragazze (per reperire informazioni anagrafiche, familiari, accenni sulle vicissitudini personali), rassicurazione, ascolto e ventilazione, filtro e accompagnamento ai servizi di primissima accoglienza (adibiti al vitto e alloggio temporaneo in attesa di una sistemazione in Kairos), ed eventualmente ai servizi medici e proposta del progetto Kairos con accompagnamento in Comunità. Spetterebbe inoltre all’assistente sociale seguire tutte le pratiche burocratiche e giuridiche della ragazza, tese all’accertamento dei dati personali, per le ragazze sprovviste di documenti di identificazione, e alla regolarizzazione della condizione giuridica della stessa (permesso di soggiorno, eventuali procedimenti giudiziari in corso). La formulazione e la realizzazione del progetto sono di competenza degli altri operatori, quali appunto gli educatori della comunità. L’assistente sociale, dal canto suo, viene informata sul progetto e sul percorso previsto e partecipa saltuariamente a verifiche, con finalità di controllo (ad esempio si accerta che la ragazza segua effettivamente il programma e collabori attivamente nella comunità), eventuali interruzioni e problemi similari le devono essere tempestivamente comunicati dalle stesse operatrici Kairos. Inoltre, l’assistente sociale si attiva con le ragazze che hanno terminato il proprio percorso progettuale, per aiutarle nel reperimento e mantenimento di una collocazione abitativa e lavorativa. Tuttavia per eventuali problemi o difficoltà, la ragazza si rivolge direttamente alla Comunità. L’atteggiamento che l’operatore mantiene con le ragazze è basato sull’estrema disponibilità, l’ascolto, la comprensione incondizionata, l’apertura al confronto e al dialogo, la sincerità e la fiducia. Nonostante le ragazze tendano ad avanzare richieste prevalentemente materiali, quali la protezione dai loro padroni, assistenza, cure mediche, soddisfazione dei bisogni primari e l’accoglienza, secondo l’operatore, celano tuttavia bisogni più profondi che talvolta vengono velatamente avanzati. In particolare le ragazze necessitano di essere ascoltate, capite, rassicurate, sostenute ed aiutate a rielaborare la loro pesante esperienza. Hanno bisogno di sentirsi rispettate, vogliono ricominciare una vita normale e vogliono essere considerate persone normali. L’abilità dell’intervento risiederebbe nella capacità di rispondere alle richieste eclissate, passando attraverso le richieste manifeste. Così, in ogni colloquio o in ogni contatto con le ragazze, devono essere garantiti continui rimandi positivi, messaggi di accettazione e rispetto. Di fondamentale importanza è il lavoro di stimolo delle risorse personali di ciascuna delle ragazze, questo da un lato è necessario per la realizzazione di ogni percorso, e dall’altro consente di rafforzare l’immagine che l’utenza a di sé, nel momento in cui scopre potenzialità che precedentemente non conosceva. Assumono, in tal senso, un grande rilievo le risorse sociali ed ambientali, utili soprattutto per garantire la piena integrazione dell’utenza; l’operatore che intende lavorare in questo settore, deve essere in grado di incoraggiare e ampliare questo genere di risorsa. Relativamente a ciò, l’operatore vede l’apparato istituzionale in cui è inserito, il contesto normativo e dell’assetto dei servizi in merito alla prostituzione, come importanti risorse istituzionali, 183 che tuttavia devono essere stimolate, accresciute, riadattate in continuo, e completamente centrate sulla persona. L’azione dell’operatore, inoltre, si basa su principi guida precisi, quali il rispetto, la valorizzazione della persona considerata come un’importante risorsa, l’ascolto, l’attenzione, l’impegno e la serietà nel lavoro. Progettare nell’ambito della prostituzione risulta importante, purché non si seguano percorsi standardizzati; bensì creativi, diversi a seconda della specificità dell’intervento e sempre realizzati in collaborazione con la persona interessata. Il dialogo e la condivisione, fondano la metodologia dell’intervento dell’operatore che prevede inoltre momenti di sospensione dell’azione, al fine di valutare attentamente le circostanze, soprattutto quelle che paiono con maggiore complessità. Infine, l’operatore legge la prostituzione come chiara manifestazione di una disfunzione sociale; l’intervento auspicato in tal senso prevede, da un lato l’eliminazione delle forme di sfruttamento e di violenza connesse a tale realtà, con azioni decise e leggi repressive; e dall’altro il supporto delle ragazze che decidono di abbandonare l’attività con interventi personalizzati, senza colpevolizzare o criminalizzare la scelta delle donne che decidono liberamente di proseguire in questa attività. 184 Capitolo ottavo La normativa italiana in materia di prostituzione di Katia Feruglio Parte prima - La legge 20 febbraio 1958, n.75 8.1. Nozione di prostituzione Il termine prostituzione deriva dal latino prostituere, pro e statuere, mettere in vendita, far mercato, e, quindi, già etimologicamente, ha il significato di commercio sessuale indiscriminato a fine di lucro. Per citare una definizione di un importante giurista romano, Ulpiano, la donna che si prostituisce è colei che si concede “palem, sine delectu, pecunia accepta”26, pubblicamente, senza piacere e per guadagno. Né il codice penale attuale né la legge Merlin danno una definizione di prostituzione ma la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria definiscono la prostituzione come “l’offerta indiscriminata ed abituale di prestazioni sessuali per fini di lucro.27” La dazione “indiscriminata” presuppone la mancanza di scelta del partner, quindi, la tendenziale disponibilità verso chiunque. Con il termine abitualità s’intende la professionalità del comportamento, poiché il fine del legislatore, che prescinde da ogni riferimento al vizio e alla corruzione morale, è quello di limitare la prostituzione in senso tecnico, quale attività professionale e, quindi, continua28. Lo scopo di lucro è considerato un elemento essenziale dalla giurispruden26 Citato da I.Mereu, Prostituzione (storia), Enciclopedia del diritto, XXXVII, Giuffrè, Milano, 1988, p.450, al cui testo si rinvia per un’analisi dogmatica della prostituzione. 27 In dottrina vedi: M.Bertolino, Sub art.3, comma 1, L.20 febbraio 1958, n.75, in Commentario breve al codice penale, a cura di A.Crespi, F.Stella e G.Zuccalà, Cedam, Padova, 1992, p.95 ss.; G. Caldora, Relazione sugli art.3 e 4 della legge Merlin, Quartana, Torino, 1960, p.22; A.A.Calvi, Sfruttamento della prostituzione, Cedam, Padova, 1970, p.19; E.Cepaldo,”Nozione di prostituzione”, in Rivista penale, 1961, II, 580; L.Bontempi, Commento alla legge 20 febbraio 1958, n.75, in Codice penale commentato, parte speciale, a cura di B.Dolcini e G.Marinucci, Assago Ipsoa, Milanofiori, 1999, p. 3942; F.Leone, Delitti di prossenetismo e adescamento, Giuffrè, Milano, 1964, p.34; F.Mantovani, “La nuovissima disciplina penale della lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1959, I, 483 ss.; V.Manzini, Trattato di diritto penale italiano, aggiornato da P.Nuvolone e G.D.Pisapia, VII, Utet, Torino,1985, p.589; P.Nuvolone, “Sul concetto di prostituzione”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1960, I, 246; L.Pavoncello Sabatini, voce “prostituzione”, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXV, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1991, p.2 ss.; G.Pioletti, voce “prostituzione”, in Digesto delle Discipline Penalistiche, X, Utet, Torino, 1995, p.276 ss.; G.Rosso, I delitti di lenocinio e sfruttamento della prostituzione, Stamperia Nazionale, Roma, 1960, p.30; A.Santoro, voce “prostituzione (diritto vigente)”, in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Utet, Torino, 1967, p.233. Per un’analisi della giurisprudenza si rivia a F.Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1996, p.471. 28 Per tutti si veda A.A.Calvi, op. cit., p.28 ss. In dottrina,però, alcuni autori non ritengono essenziale il requisito della professionalità considerando atto di prostituzione anche una sola prestazione sessuale per la quale il compenso sia elemento determinante: si pensi alla persona che si prostituisce per la prima volta o inframezza all’attività disonesta priodi di vita regolare. In tal senso, G.Pioletti, op. cit, p.277; G.Rosso, op. cit., p.32; A.Santoro, op. cit., p.233. Anche in giurisprudenza vi è un simile, seppur sporadico, orientamento: Cass.pen. , 27-11-1987 in Rivista pena- 185 za29; una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito che “un atto sessuale diventa atto di prostituzione solo in presenza dell’elemento retributivo”, ha inoltre stabilito che qualora l’utilità economica sia “corrisposta dall’utente anche direttamente ad un terzo, ma sempre con l’accordo o almeno la consapevolezza dell’erogatore della prestazione”30 la prestazione sessuale non perde il carattere di atto di prostituzione. Anche per la dottrina prevalente la finalità economica è indispensabile31. Peraltro, lo stesso oggetto tutelato dalla legge Merlin, e cioè la moralità pubblica e il buon costume, esige una prostituzione che costituisca un effettivo pericolo per l’ordine sociale32. Tale è certamente la prostituzione mercenaria che costituisce una deviazione dell’attività sessuale dalle leggi naturali e sociali, un sistema di vita parassitaria. Invece, la prostituzione per vizio, fenomeno indubbiamente avvilente della personalità umana su un piano morale, non costituisce una grave minaccia per la società; essa “vive e si confonde”33 con la società umana. Del resto, l’art. 3 della legge del 1958, che sostituisce la previdente disciplina codicistica della prostituzione, non può non essere posto in relazione col precedente art. 2 che, nel disporre la chiusura delle case connette il concetto di prostituzione a quello di meretricio, regolamentato dall’art. 190 t.u.p.s., che non v’è dubbio fosse esercitato a fine di lucro. Inoltre, suscettibile di essere sfruttata è la sola pratica sessuale retribuita. Di fronte al dilemma se sia indispensabile la congiunzione carnale oppure se la figura possa essere integrata anche da altri comportamenti, in dottrina si ritiene che vadano intese come episodio di prostituzione, anche quelle situazioni che differiscono o prescindono dal normale svolgersi dell’atto sessuale. Le prestazioni possono anche prescindere da un tangibile contatto fisico e comprendere una molteplicità di condotte, consistenti comunque in atteggiamenti lascivi34. In giurisprudenza35 è stato, addirittura, ritenuto comportamento prostituivo i denudarsi a fine di lucro in presenza di più persone, consentendo contatti tattili baci; risponde, pertanto, di favoreggiamento chi organizzi uno spettacolo del genere. le, 1988, 560; id., 13-3-1986, in Cassazione Penale, 1987, 1645; id., 4-5-1984, in Giustizia Penale, 1985, II, 347. 29 Tra le altre, vedi Cass. Pen., 19-10-1982, in Rivista Penale, 1984, 689; Cass. Pen., 23-11-1972, in Giurisprudenza Italiana, 1974, II, 191; Cass. Pen., 12-02-1970, in Giustizia Penale, 1971, II, 468; Cass. Pen., 25-1-1962. in Cassazione Penale Massime Annotate, 1962, 591; Cass. Pen., 31101958, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1959, I, 1241. 30 Si veda, Cass. pen., 01-07-1998, in Cassazione Penale, 1999, 5, 1606 ss. e S. Corbetta, “La finalità lucrativa nello sfruttamento della prostituzione” in Diritto Penale e Processo, 1998, 9, 1083. 31 Per tutti, v. P. Nuvolone, op. cit., p. 247 ss.; F. Mantovani, op. cit., p. 480 ss. 32 La stessa relazione Tozzi Condivi alla Camera afferma che “la ratio legis” non è di eliminare il fenomeno della prostituzione ma di abolire un mercato nel quale la donna viene considerata come una merce da usare ad un prezzo prestabilito”. Di diverso avviso, nel senso che l’attività di prostituzione può derivare anche da mero vizio, appare F. Antolisei, op. cit., p. 471; R. Pannain, Manuale di diritto penale, parte speciale, II, Utet, Torino, 1957, p. 476; G. Vassalli, “I delitti previsti dalla legge 20 febbraio 1958 n. 75”, relazione alla Sezione romana dell’Associazione internazionale di diritto penale, in Argomenti di medicina sociale, Roma, 1963, p. 8 ss.; e, seppure in rapporto al reato di sfruttamento, G. Gustapane, Casa di prostituzione e lenocinio (disposizioni penali della legge Merlin), Ed. Salentina di Paiano e C., Lecce, 1959, p. 144. In giurisprudenza, Cass. pen., 7-7-1958, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1959, I, 602 ss. 33 F. Mantovani, op. cit., p. 490. 34 A.A. Calvi, op. cit., p. 25. In giurisprudenza: Cass. pen., 15-4-1966, in Cassazione penale Massime Annotate, 1966, 2193, 1406. 35 Cass. pen., 3-11-1965, in Massimario Penale, 1966, 799, 506; id., 6-6-1975, ivi, 131299. 186 In realtà un’interpretazione così lata del concetto di prostituzione rischia di colpire comportamenti sessuali dal dubbio disvalore penale e rende, inoltre, più difficile delimitare e distinguere il comportamento prostituivo da ogni altra forma di degenerazione ed immoralità sessuale36; si pensi al fenomeno dei così detti telefoni hard e alla relativa pubblicità. Non è forse vero che normalmente l’esercizio della prostituzione si basa sul compimento di veri e propri atti sessuali? E allora, perché non ritenere che solo tali atti esauriscono la tipicità del concetto di prostituzione? 8.2. Cenni sulla situazione normativa precedente Le disposizioni penali sulla prostituzione, contenute negli art. 531-536 del codice penale, sono state abrogate dalla legge Merlin, approvata il 20 febbraio 1958. Tali norme erano coordinate con il sistema della regolamentazione statale del meretricio, previsto dagli art. 190-208 del Testo Unico 18 giugno 1931, n. 77337 e dagli art. 345-360 del relativo regolamento (r.d. 6 maggio 1940, n. 635)38. Con tale disciplina normativa si mirava a tutelare il buon costume, l’ordine e la salute pubblica. Quest’insieme di disposizioni permetteva l’esercizio di meretricio in locali chiusi, riconosciuti dall’autorità di pubblica sicurezza dopo che ne fosse stata accertata la non pericolosità per il buon costume e per l’ordine pubblico39. I locali di meretricio non potevano essere ubicati nelle adiacenze di edifici scolastici o religiosi. Le case di tolleranza dovevano attenersi ad alcune norme: non vi era ammesso chi non aveva compiuto la maggiore età (18 anni), né potevano esservi accolte minorenni, né trattenute persone contro la propria volontà. Per salvaguardare l’ordine pubblico vi era il divieto d’accesso agli ubriachi, alle persone armate e a chi faceva uso di sostanze stupefacenti, non vi si potevano organizzare giuochi e feste, tenere riunioni troppo numerose o pericolose, spacciare cibi o bevande. Per ragioni di salute pubblica, le prostitute, munite di libretto sanitario, dovevano essere riconosciute esenti da malattie veneree per entrare in una casa di tolleranza, sottoponendosi altresì a visite periodiche; se poi erano ammalate venivano inviate in speciali locali di cura40 e non potevano essere riammesse senza attestazione di completa guarigione. Era garantita anche la libertà della meretrice di allontanarsi in qualsiasi momento dalla casa di tolleranza, ed erano previsti speciali istituti per chi intendesse abbandonare l’attività. Gli organi di polizia dovevano tenere appositi registri segreti per espletare i servizi inerenti al meretricio e avevano la facoltà di procedere, in qualunque momento, a perquisizioni nei locali e sulle persone che li frequentavano. 36 L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 2, ritiene che nella cinematografia pornografica sussistono tutti gli elementi della prostituzione anche se “a stretto rigore, non rinveniamo una prostituta ed un cliente, bensì due persone che si prostituiscono reciprocamente (gli attori), e vedono realizzate le proprie aspettative economiche… da parte di chi in seguito sfrutterà … la loro prostituzione, e cioè il produttore dello spettacolo osceno.” Il cliente è, invece, da individuarsi nello spettatore che paga il biglietto. Contra G. Pioletti, op. cit., p. 277. 37 In Supplemento alla Gazzetta Ufficiale, 26 giugno 1931, n. 149. 38 In Supplemento alla Gazzetta Ufficiale, 26 giugno 1940, n. 149. 39 F. Leone, op. cit., p. 11 ss. 40 F. Bucalo, op. cit., p. 129 ss. Per la profilassi della sifilide e delle malattie veneree provvide il r.d. 25 marzo 1923, n. 846 e il Testo Unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265. 187 Al di fuori delle case di tolleranza, l’attività di prostituzione era lecita purché esercitata in sede non fissa, costituendo reato il prostituirsi in luogo chiuso non denunciato ai sensi dell’art. 190 t.u.l.p.s.; quando venivano scoperte, si procedeva alla loro schedatura nei registri ed erano sottoposte a visita medica, a meno che non fossero munite di libretto sanitario41. La violazione delle norme relative alla prostituzione era punita con sanzioni amministrative (chiusura del locale) e penali (pecuniarie e personali)42. Come si evince dalla disciplina appena esaminata, il nostro legislatore preferì adottare, tra le antitetiche tesi del proibizionismo e dell’abolizione di ogni forma di controllo, una via intermedia e cioè il regime della regolamentazione. Il meretricio non era né vietato né esercitabile liberamente, bensì tollerato e regolato43. La tutela penale era volta, oltre a reprimere l’esercizio abusivo di locali di meretricio44, anche a punire l’adescamento e l’invito al libertinaggio mentre il codice penale prevedeva altri reati: il lenocinio, lo sfruttamento della prostituzione e la tratta di donne e minori45. 8.3. Il progetto Merlin e la sua approvazione La legge del 20 febbraio 1958, n. 75, Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, è nota, più comunemente come legge Merlin dal nome della proponente, la senatrice socialista Lina Merlin. E’ la legge che, dopo quarant’anni dalla sua approvazione, vige ancora oggi in materia di prostituzione, un fenomeno che, nel corso degli anni, ha subito notevoli cambiamenti e pone nuove problematiche di ordine morale, sociale ed igienico sanitario. L’iter legislativo, che portò alla sua approvazione, durò dieci anni; furono anni di acceso dibattito sia in Parlamento sia nel Paese. Il progetto di legge, intitolato “Abolizione della regolamentazione della prostituzione, e per la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui e protezione della salute pubblica”46 fu presentato il 6 agosto 1948 alla Presidenza del Senato, all’inizio della prima legislatura. Approvato dalla Iª Commissione Permanente del Senato e dal Senato stesso il 7 ottobre 1950, il disegno di legge cadde allo spirare della prima legislatura47. Fu ripresentato, dalla senatrice, allo stesso ramo del Parlamento il 22 agosto 1953, all’inizio della seconda legislatura, dove venne nuovamente appro41 L. Bontempi, Commento alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, cit., p. 3940. Per un’analisi delle sanzioni con relativa menzione degli articoli di legge, cfr. F. Leone, op. cit., p. 12 ss. 43 Il regime in questione era favorevole sia ai tenutari delle case sia allo Stato: i tenutari incassavano una parte dei proventi del lavoro delle donne e una somma per l’alloggio che fornivano alle prostitute mentre lo Stato riscuoteva regolari imposte. Cfr. L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 1. 44 Costituiva reato non solo l’apertura di locali di meretricio non autorizzati ma anche il meretricio esercitato abitualmente in casa propria da una singola persona: cfr. F. Leone, op. cit., p. 12. 45 Si avverte che tali reati saranno esaminati in comparazione con le ipotesi delittuose introdotte dalla legge Merlin. 46 Per il testo integrale del progetto e della relazione parlamentare, cfr. Senato della Repubblica, Iª legislatura, Documentazione-Disegni di legge e relazioni, Tipografia dello Stato, Roma, 1948, n. 63 e 63-A. La relazione del progetto si trova commentata nella sua redazione integrale dalla stessa Lina Merlin, in E. Marinucci, La mia vita. Biografia di Lina Merlin, Giunti, Firenze, 1990. 47 La Camera dei deputati non riuscì ad approvarlo poiché fu sciolta per fine legislatura e lo stesso avvenne per il Senato, essendo stato anticipato il suo termine di scioglimento; di qui il venir meno del progetto che necessitava dell’approvazione di entrambe le Camere. 42 188 vato dalla Iª Commissione Permanente, in sede deliberante, nel gennaio del 195548 e trasmesso alla Camera il 3 febbraio 1955. Affidato alla Iª Commissione della Camera49, il progetto fu rinviato il 6 aprile 1956 alla discussione in aula per iniziativa dei deputati regolamentisti50. E’ da evidenziare come il suddetto progetto venne discusso in due sole sedute, del 24 e 28 gennaio 1958, ed approvato finalmente il 20 febbraio 195851, alla vigilia dello scioglimento dell’organo legislativo. I lavori parlamentari furono contrassegnati da uno scontro etico-politico che oppose regolamentazionisti ad abolizionisti. I primi, dello schieramento di destra, erano contrari all’abolizione della prostituzione legalizzata, perché sostenevano che solo lo Stato avrebbe potuto difendere la società dal meretricio. In primo luogo, “lo spettacolo certamente poco edificante”52 dell’adescamento in strada era ridotto al minimo perché le prostitute erano segregate nelle case di tolleranza; in secondo luogo vi era un’esigenza sanitaria da soddisfare: quella di evitare il contagio delle malattie a trasmissione sessuale, attraverso i periodici controlli sanitari delle prostitute. Gli abolizionisti, dello schieramento di sinistra, volevano abolire la regolamentazione in nome della liberazione delle donne dalla schiavitù legalizzata in cui erano costrette a vivere, assicurando loro dignità e parità di diritti con gli uomini. Essi sostenevano, inoltre, che per tutelare la salute pubblica, fosse sufficiente un programma di educazione sessuale e di assistenza medica gratuita53. Nel Parlamento, comunque, si affermò da subito la logica degli abolizionisti, in linea, del resto, con gli orientamenti legislativi della maggior parte delle nazioni, che avevano chiuso le case di tolleranza54, in conformità alle risoluzioni internazionali. Furono necessari dieci anni, come già evidenziato, per approvare la legge Merlin: un tempo molto lungo se si considera che la legge alla fine votata non differisce da quella che la Iª Commissione del Senato presentò nel luglio del 194955 e che, nonostante gli 48 Dopo lo stralcio nel 1953 delle disposizioni in materia sanitaria, il titolo originario della proposta avanzata dalla senatrice fu modificato nel 1955 dalla Commissione Interni del Senato: l’inciso “per la” fu soppresso per far emergere più chiaramente che i due scopi, di abolire la prostituzione e combattere lo sfruttamento, sono coordinati, ma non sono l’uno finalizzato all’altro: cfr. L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 2. 49 Mentre il progetto Merlin fu rinviato, la legge sulla profilassi delle malattie veneree fu approvata dalla Camera: legge 25 luglio 1956, n. 837, in Gazzetta Ufficiale, 8 agosto 1956, n. 19. 50 La discussione iniziò con la relazione del democristiano Tozzi Condivi per il cui testo integrale si rinvia ad Atti Parlamentari, IIª legislatura, Documenti-disegni di legge-relazioni, 1956, n. 1439-A. 51 Per i testi integrali delle relazioni parlamentari, cfr. anche Discussioni, 29-09-1949, p. 10379 ss.; 24-031950, p. 14813 ss.; 05-03-1952, p. 31375 ss.; Senato, IIª legislatura, Documentazioni- disegni di leggerelazioni, 1953, n. 28. Discussioni, 21-01-1955, n. 2602-A, p. 305 ss. Discussioni, 28-01-1958, p. 39345 ss. 52 M. Gibson, Stato e prostituzione in Italia, Il Saggiatore, Milano, 1995, p. 258 ss. 53 I casi di infezione da malattie a trasmissione sessuale erano in netta diminuzione rispetto al periodo prebellico: ciò contribuì ad affievolire l’allarme lanciato dai regolamentazionisti sullo stato della salute pubblica, a tutto vantaggio della tesi abolizionista: cfr. M. Gibson, op. cit., p. 259 ss. 54 A titolo esemplificativo, si ricordi la Gran Bretagna nel 1884, Gli Stati Uniti verso il 1910 e la Francia nel 1946. 55 Il progetto della Merlin era teso ad abolire la regolamentazione in quanto sistema discriminatorio, poliziesco e vessatorio, sistema che violava i diritti civili delle donne. In realtà, la passione civile che pervadeva tale progetto, si andrà a stemperare e diluire nei successivi lavori parlamentari: infatti, la proposta del 1949 della Commissione del Senato, che diventerà legge nel 1958, era diretta sì all’abolizione della regolamentazione ma in realtà avrebbe voluto abolire la stessa prostituzione. Dal confronto della relazione del democristiano Boggiano Pico in Senato della Repubblica, IIª legislatura, Atti Parlamentari, seduta del 21 gennaio 1955, n. 2602-A, p. 305-333 e della relazione della socialista Lina Merlin. 189 opposti schieramenti politici, godeva, già sulla carta, di una larga maggioranza a favore in Parlamento56. L’obiettivo di Lina Merlin non era di abolire la prostituzione, il “mercato dell’amore”57, che era comunque un male insopprimibile. Il suo primo scopo era, innanzi tutto, l’abolizione della prostituzione di Stato, considerata una forma di schiavitù della donna, in netto contrasto con l’art. 3 della Costituzione italiana, che sancisce il principio di eguaglianza tra i sessi58 e la pari dignità sociale. Le prostitute nelle case subivano vessazioni di ogni genere, la registrazione negli elenchi della polizia costituiva una degradazione della dignità femminile, inoltre incontravano grosse difficoltà nel tentativo di farsi cancellare dalle liste ed era impossibile trovare un altro tipo di impiego a causa dell’iscrizione nei registri59. Il secondo obiettivo era l’abolizione dell’ingiusto sistema della schedatura e del controllo sanitario, perché contrastante con l’art. 32 della Costituzione, il quale fa divieto alle leggi che tutelano la salute di violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Ultimo obiettivo era l’abolizione della tolleranza del lenocinio, che non si conciliava con l’art. 41, il quale stabilisce che l’iniziativa economica non può svolgersi(...) in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana60. Secondo la senatrice Lina Merlin era, quindi, la stessa Costituzione, che confermava i principi ai quali doveva ispirarsi la riforma della legislazione allora vigente in materia di prostituzione. La stessa prostituzione non poteva essere considerata reato e lo Stato non poteva intervenire nella sfera privata e personale dell’individuo, anche perché avrebbe violato il principio dell’eguaglianza dei sessi. La prostituzione era da considerare come un qualsiasi altro lavoro, dunque era necessario soltanto favorire il reinserimento sociale delle ex prostitute: nel progetto, infatti, era prevista la creazione di appositi istituti con il compito di provvedere all’istruzione di dette donne al fine di dar loro una qualificazione professionale. In secondo luogo, prevedeva la creazione di un corpo di polizia femminile addetto alla prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione: si voleva, così, mettere fine alle molestie sessuali e alle intimidazioni cui andavano incontro le prostitute quando venivano sorprese ad adescare i clienti. Dello spirito fortemente emancipato del progetto originario è rimasto sicuramente ben poco. In data 20 febbraio 1958 si è46 provveduto ad abolire la prostituzione di Stato, a vietare ogni forma di schedatura per chi si prostituisce e a sancire il divieto della visita sanitaria obbligatoria. Tuttavia, la legge, come vedremo in sede di analisi delle singole fattispecie criminose, non è espressione di una normativa liberale che vada a garantire l’esercizio della prostituzione, libero da ogni controllo e restrizione. La legge Merlin non sancisce che è vietato prostituirsi ma non afferma nemmeno che è un diritto e, quindi, non lo tutela. Prende atto che esiste nel momento in cui stabilisce i 56 Grazie all’appoggio del partito della Democrazia cristiana, partito di maggioranza, la riforma voluta dai partiti comunista e socialista passò. I democristiani, del resto, in quanto cattolici, non potevano difendere questa forma legalizzata di peccato, soprattutto in seguito alla manifesta opposizione dei pontefici nei confronti della regolamentazione e in seguito all’affermarsi di importanti principi di libertà nella legge fondamentale del nostro Stato, la Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Si rinvia a M. Gibson, op. cit., p. 262 ss. 57 Lettere dalle case chiuse a cura di L. Merlin e C. Barberis, Edizioni Avanti, Roma, 1955, p. 5. 58 Rammentiamo che fu proprio la Merlin a volere nell’art. 3 della Costituzione la locuzione “senza distinzione di sesso”, da altri, ritenuta superflua. 59 Lettere dalle case chiuse, cit., p. 14 ss. 60 G. Pioletti, op. cit., p. 275 ss 190 limiti entro cui può essere esercitata: non nelle case di tolleranza, nei luoghi pubblici e neanche nelle dimore private dove più donne vivono insieme61; è vietato l’adescamento dei clienti ed è previsto nel codice penale il reato di atti osceni in luogo pubblico. Emerge chiaramente come, in tale ottica legislativa, la prostituzione sia contemporaneamente permessa e vietata e la prostituta non affatto tutelata nei diritti inviolabili, riconosciuti e garantiti all’individuo dall’art. 2 della Costituzione. 8.4. Contenuto della legge Il testo della legge Merlin62 è costituito da quindici articoli. Nei primi due articoli si vieta, rispettivamente, l’esercizio delle case di prostituzione e si dispone la chiusura dei locali di meretricio di cui all’art. 190 t.u. delle leggi di P.S., entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge63. Sono, quindi, abrogate tacitamente per incompatibilità le disposizioni sul meretricio del t.u.p.s. e relativo regolamento64. Con l’art. 3, s’introduce una nuova disciplina dei reati in materia, modificando gli art. 531 a 536 del codice penale, relativi ai delitti di lenocinio, di sfruttamento di prostitute e di tratta. In tale norma, sono compresi ben otto numeri che descrivono condotte connesse alla riviviscenza delle case di meretricio (i primi tre numeri) e condotte connesse all’attività di lenocinio (nei restanti numeri). Nell’art. 4 le pene sono raddoppiate in presenza di specifiche circostanze ed è prevista l’interdizione dai pubblici uffici per i responsabili dei delitti di prossenetismo (art. 6). Per la persona che si prostituisce era prevista, nell’art. 5, la sola contravvenzione dell’adescamento (già disciplinata nell’art. 198 t.u. delle leggi di p.s.), depenalizzata ad illecito amministrativo nel 199965. E’ vietata qualsiasi forma diretta od indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, ed è vietato di obbligarle a presentarsi periodicamente agli uffici di polizia (art. 7). I rimanenti articoli contengono di- 61 La Cute, riprendendo le considerazioni di parte della dottrina ed alcune sentenze della Cassazione, commenta che “lo spirito dell’intera normativa è quello di considerare come offesa al minimo etico non la prostituzione come tale ma quella determinata organizzazione dell’esercizio della prostituzione secondo la quale le prestazioni sessuali sono costantemente poste a disposizione di chiunque voglia accedere al locale a ciò destinato con una struttura, anche se rudimentale, purché idonea allo scopo (...); non si è voluto quindi impedire la prostituzione ma solo la sua forma organizzata che rappresenta un esempio di obiettiva, profonda e degradante immoralità.” Cfr. G. La Cute, op. cit., p. 457. 62 E’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 1958, n. 55. 63 Art. 1: “E’ vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato.” Art. 2: “Le case, i quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercita la prostituzione, dichiarati locali di meretricio ai sensi dell’articolo 190 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e delle successive modificazioni, dovranno essere chiusi entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge. Si ricordi che, la legge Merlin è entrata in vigore il 19 marzo 1958 e la data del 20 settembre 1958 ha segnato la fine dei locali di prostituzione. 64 “Tra la legge n. 75 del 1958 e la legislazione precedente (contenuta nel t.u. e nel regolamento di p.s.) non si tratta di semplice incompatibilità di norme, ma di assoluta e generale incompatibilità di sistema”, del resto lo stesso art. 15 della legge Merlin dispone l’abrogazione di tutte quelle disposizioni contrarie o comunque incompatibili con essa: cfr. F. Leone, op. cit., p. 28. 65 Si veda il D.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, in Gazzetta Ufficiale, 31-12-1999, n. 306. Per l’adescamento è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da lire trentamila a lire centoottantamila. 191 sposizioni di carattere strettamente amministrativo, riguardanti l’istituzione di patronati ed istituti di rieducazione e disposizioni finali e transitorie66. In relazione agli artt. 1 e 2 della legge, è emersa la questione del rapporto tra le “case di prostituzione” ed i “locali di meretricio”, di cui agli artt. 190 e 191 della L.P.S. Nella dottrina maggioritaria67, si sostiene che non c’è equiparazione perché il termine “prostituzione”, che sostituisce quello di “meretricio”, indica non solo la prostituzione femminile ma anche quella maschile. Si prescinde dal sesso e dalla natura dei rapporti sessuali, è un termine più ampio. Il termine “casa”, usato in contrapposizione a quello di “locale”, designa un complesso di persone e beni organizzati per il commercio della prostituzione: “una specie di impresa commerciale”68. La disputa è, in realtà, irrilevante perché se sussiste l’obbligo di chiudere i locali di meretricio già aperti e tollerati, è ugualmente colpita da sanzioni penali l’apertura di nuovi locali di prostituzione, effettuata nonostante il divieto di cui all’art. 1. 8.5. Le singole figure criminose 8.5.1. Proprietà ed esercizio di casa di prostituzione (art. 3, n. 1) L’art. 3, n. 1 della legge 20 febbraio 1958, n.75, stabilisce che è punito: “Chiunque, trascorso il termine indicato nell’art. 2, abbia la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa”. Detta norma va posta in relazione con quelle di cui agli art. 1 e 2 della stessa legge69. La casa di prostituzione viene definita come “il luogo in cui chiunque può accedere per ottenere i servizi delle prostitute70 o meglio, come “il complesso degli elementi personali e reali organizzati al fine del commercio della prostituzione altrui”71, una sorta di “azienda o impresa commerciale”72. E’ necessario che vi sia un locale, anche se di limitate dimensioni, come una roulotte, un’imbarcazione73, ove il pubblico vi possa accedere. Occorre una struttura organizzativa, sia pure semplice e rudimentale, alla quale deve presiedere persona diversa da quella che fa mercato del proprio corpo74. Non è, quindi, 66 L’art. 12 della legge è da ritenersi abrogato per effetto dello scioglimento del Corpo di polizia femminile: v. art. 23 l. 1° aprile 1981, n. 121. Esso prevedeva la costituzione di un Corpo speciale femminile con funzioni di prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione. 117 G. Rosso, voce “Prostituzione”, in Enciclopedia Forense, V, Vallardi, Milano, 1960, p. 1059. 67 F. Mantovani, op. cit., p. 475 ss.; G. Pioletti, op. cit., p. 279; G. Rosso, I delitti di lenocinio e sfruttamento della prostituzione, cit., p. 29; A. Cammarota, “Osservazioni sulle nuove norme in materia di meretricio”, in Rivista penale, 1959, II, 359; G. Lotorto, “La prostituzione nella propria abitazione”, in Rivista penale, 1959, II, 737; in senso contrario, A. Blandaleone, “La casa di prostituzione secondo la legge Merlin”, in Rivista penale, 1959, II, 734; G. Gustapane, op. cit., p. 35. 68 F. Mantovani, op. cit., p. 476. 69 Per il cui testo si rinvia alla nota 63. 70 G. Pioletti, op. cit., p. 279. 71 Mantovani, op. cit., p. 476. 72 F. Leone, op. cit., p. 45. 73 F.Antolisei, po.cit.,p.484. Da notare che la parola casa non è adottata nel senso esclusivo di edificio o di appartamento ma può trattarsi anche di una costruzione né fissa né stabile. 74 Cass. pen., 20-11-1964, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1965, 895; Cass. pen., 9-3- 1965, ivi, 1966, 314; Cass. pen., 8-11-1966, ivi, 1967, 907. Cfr. Ambrosini, “La casa di prostituzione nel concetto della legge Merlin”, in Giustizia penale, 1960, II, 446. Contra, nel senso che non è necessario che colui che dirige sia persona diversa dalla prostituta: G. Pioletti, op. cit., p 280. 192 indispensabile un’organizzazione ed un apprestamento di mezzi richiesti da postriboli tollerati sotto il vigore della normativa precedente. Il locale deve essere permanentemente75 e non solo, sporadicamente od occasionalmente, destinato all’esercizio della prostituzione perché, come ha ripetutamente precisato la stessa Corte di Cassazione, la norma persegue il fine di impedire la creazione e l’organizzazione di una casa di tolleranza76. Non si vuole impedire la prostituzione, in sé lecita, ma solo la sua forma organizzata. Nel testo originario della proposta Merlin, si definiva la casa di prostituzione come uno “stabile appartamento o altro luogo chiuso in cui due o più donne esercitano la prostituzione”. La soppressione di tale definizione permette, quindi, di stabilire che il reato in commento sussiste anche se l’attività di prostituzione è svolta da una sola persona77, purché sotto il controllo, la direzione o l’organizzazione di altri. Di conseguenza, la donna che si prostituisce nella propria abitazione non va incontro a nessuna responsabilità penale78, com’è ormai unanimemente riconosciuto sia in dottrina sia in giurisprudenza. Il comportamento di chi si conceda per lucro in casa propria, pur se formalmente può dare la sensazione di corrispondere alla previsione incriminatrice, in realtà, non consuma alcun’offesa penalmente rilevante. Ciò che il legislatore ha inteso perseguire è lo sfruttamento della prostituzione altrui, com’è espresso nello stesso titolo della legge. La soluzione contraria comporterebbe l’impossibilità di conciliare nella stessa persona la qualità di soggetto attivo e di oggetto materiale del reato, ed inoltre, creerebbe un’illogica disparità di trattamento tra chi si prostituisce in una casa e chi esercita la prostituzione “in proprio”79. Si tratta di un mutamento di regime rispetto al periodo della regolamentazione, quando a norma dell’art. 191 t.u.l.p.s. poteva essere dichiarato locale di meretricio anche la casa di abitazione, ove la prostituta svolgeva i suoi traffici. Analogamente, Leone, non ravvisa il reato in questione nel caso di due persone che esercitino, ognuna per proprio conto, la prostituzione in un medesimo locale80. 75 Cass. pen., 16-12-1981, in Cassazione Penale, 1983, II, 1214; Cass. pen., 26-1-1983, in Rivista Penale, 1984, 263; Cass. pen., 9-7-1985, in Giustizia Penale, 1986, II, 223; Cass. pen., 24-5-1988, in Rivista Penale, 1990, 298. 76 Cass. pen., 23-1-1970, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1971, p. 235. 77 In tal senso, Cass. pen., 24-5-1988, in Rivista Penale, 1990, 1143. Da rilevare nel progetto originario l’uso del termine “donne”, che avrebbe, ingiustificatamente, limitato il fenomeno alla sola prostituzione femminile. Nel caso di due o più prostitute trova applicazione l’aggravante di cui all’art. 4, n. 7 della legge Merlin: Cass. pen., 6-8-1960, in Giustizia Penale, 1961, II, 353. In dottrina si veda, G. Rosso, op. cit., p. 46. 78 Cfr. F. Donato Di Migliardo, “Il prostituirsi nella propria abitazione non costituisce reato”, in Giustizia penale, 1959, II, 212; F. Gianniti, “L’esercizio della prostituzione abituale nella propria abitazione privata”, in Scuola positiva, 1960, 43; F. Leone, “La prostituzione in casa propria nella legislazione vigente”, in Giurisprudenza italiana, 1961, II, 57; F. Mantovani, “L’esercizio del meretricio in casa propria”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1959, 1242; Cass. pen., 26-11-1960, in Giustizia Penale, 1961, II, 850; Cass. pen., 24-11-1959, ivi, 1960, II, 456, 529. Contra vedi, A. Costanzo, “L’esercizio della prostituzione in proprio”, in Archivio penale, 1959, II, 503; Id., “La prostituzione nella propria abitazione”, in Rivista penale, 1952, II, 742; G. Gustapane, op. cit., p. 21 e la giurisprudenza meno recente, di cui si veda: Cass. pen., 3-2-1972, in Giustizia penale, 1973, II, 117. 79 G. La Cute, op. cit., p. 457 ss. Oggetto materiale del reato è la casa di prostituzione, della quale la persona che si prostituisce costituisce l’elemento personale necessario. 80 F. Leone, op. cit. p. 61. 193 Autorevole dottrina81 ha sostenuto che l’ipotesi di invio delle prostitute presso i clienti, che richiedono le prestazioni a mezzo del telefono o simili, ricada nel rigore della norma. Tale interpretazione non è, a mio avviso, esatta perché, per configurare il reato del n. 1 dell’art. 3, non si può in alcun modo prescindere dal rapporto con un locale. Nella fattispecie in esame, dunque, non vi rientra “l’organizzazione del commercio ambulante della prostituzione altrui.”82 Soggetto attivo del reato è chiunque abbia la proprietà o la titolarità dell’esercizio della casa o la controlli, la diriga, l’amministri o partecipi ad essa. I clienti sono esenti da responsabilità in quanto non partecipano all’andamento funzionale dei locali, limitandosi solo ad usufruire dell’attività sessuale che ivi è svolta. Inoltre il prezzo pagato come corrispettivo della prestazione non può essere considerato come un apporto finanziario all’esercizio della casa di prostituzione. La stessa persona che si prostituisce è esclusa dal novero dei soggetti attivi del reato, se non partecipa alla gestione83. Si tratta di un reato proprio in quanto il soggetto attivo deve avere una particolare posizione giuridica o di fatto rispetto alla casa di prostituzione. I concetti di proprietà ed esercizio sono quelli propri del diritto civile e commerciale, tenendo però presente che proprietario della casa di prostituzione non è il proprietario delle mura, ma il proprietario dell’azienda84. Chi ne ha l’esercizio è colui che la gestisce, sotto qualsiasi denominazione: trattandosi di attività illecita, essa sarà sempre dissimulata. Nessuna difficoltà presentano nemmeno i concetti di controllore, direttore ed amministratore85, a differenza del termine “partecipare”. La condotta che consiste “nel partecipare” a tutte le attività (escluso il controllo) sinora enumerate è quella più problematica, soprattutto la partecipazione all’esercizio della prostituzione. Tale partecipazione può essere posta in essere attraverso attività, principali od accessorie, che permettono il funzionamento del locale: vi rientrano, quindi, il finanziatore, il cointeressato, l’usufruttuario, l’usuario, il detentore, il conduttore, il comodatario, colui che dirige o gestisce con poteri di fatto, colui che procura i clienti, il personale di servizio86 ed infine anche il medico che, per patto espresso, vi si rechi periodicamente87 per visitare le prostitute. 81 F. Mantovani, “Sull’esercizio del meretricio in casa propria”, cit., p. 1242. G. La Cute, op. cit., p. 458. Osserva in proposito F. Leone, op. cit., p. 61, alla nota 88, in critica a F. Mantovani, op. cit., p. 1242, “che il n. 2 dello stesso art. 3, prevedendo il delitto di locazione di immobile a fine d’esercizio di casa di prostituzione, àncora la “casa” ai locali in cui essa deve esercitarsi”. 83 Le ragioni sono le stesse addotte a sostegno della non configurabilità del reato nel caso della donna che si prostituisce nella propria abitazione. In dottrina, comunque, per la punibilità della prostituta si veda A. Casalinuovo, “Un nuovo capitolo nella storia del diritto italiano: le norme penali della legge Merlin”, in Rivista penale, 1958, I, 553; F. Mantovani, “La nuova disciplina penale”, cit., p. 476; G. Rosso, op. cit., p. 1068. 84 La casa di prostituzione è un’azienda sui generis, a causa del particolare commercio illecito che vi si attua. Si fa, invece, riferimento alla proprietà intesa come proprietà dei locali, al n. 2 dell’art. 3: D. De Gennaro, op. cit., p. 219. 85 “Controllore di una casa di prostituzione è tanto colui che… controlla nella casa l’andamento degli affari; quanto colui che… controlla la casa per riscuotere -ad esempio- una tangente protezionistica. Direttore è colui che… è preposto a dirigere il commercio carnale ed il personale della casa. 86 F. Leone, op. cit., p. 64. In senso dubitativo circa l’eventuale responsabilità del personale v. A. Santoro, op. cit., p. 234. 87 E’ esente da ogni responsabilità penale il medico che si reca in una casa di meretricio per visitare una prostituta ammalata: cfr. G. Gustapane, op. cit., p. 55. 82 194 E’, comunque, da sottolineare l’estrema latitudine che il concetto di partecipazione può rivestire, tant’è vero che secondo Leone, vi rientra anche l’attività della domestica che rassetta la stanza dopo i convegni. In realtà, appare iniquo parificare agli effetti della punizione il tenutario di una casa e la cameriera che ivi svolge il suo lavoro. “Anche la locataria o sublocataria è compartecipe all’esercizio di una casa di prostituzione quando eserciti essa stessa la prostituzione e corrisponda al titolare dei locali, parte dei suoi proventi e di quelli delle altre persone che ivi esercitino tale mestiere”88. Le condotte vietate dall’art. 3, n. 1 sono previste alternativamente, quindi si avrà unicità di reato se il colpevole è proprietario e amministratore della casa di meretricio. E’ da evidenziare che la legge ha espressamente elencato atti di partecipazione al reato che sarebbero ricaduti nell’ambito del concorso di persone, regolato dagli art. 110 segg. del codice penale. Ciò importa che altre forme di concorso di persone nel reato non sono ammissibili89, da qui l’ingiustificata deroga al sistema degli articoli suddetti. Il delitto di cui all’art. 3 n. 1 ha natura permanente; si consuma quando nella casa è effettivamente iniziata la prostituzione ed è configurabile il tentativo nell’ipotesi di apprestamento della casa senza che l’esercizio della prostituzione sia iniziato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente90. Il dolo è generico poiché basta la volontà di possedere, gestire, controllare, ecc., prescindendo da ogni fine di lucro o da quello di servire l’altrui libidine. Non c’è un soggetto passivo in danno del quale il fatto deve essere commesso poiché il reato è caratterizzato non da una relazione dell’agente con un’altra persona, ma dalla relazione dell’agente con la casa di meretricio. Quindi, soggetto passivo è soltanto lo Stato: l’offesa è al pudore di tutti. 8.5.2. Locazione di immobile per l’esercizio di casa di prostituzione Dispone l’art. 3, n. 2 che è punito: “Chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione”. La norma descrive un’attività che, a prima vista, sembrerebbe compresa nell’ampio concetto di partecipazione all’esercizio di una casa di prostituzione91 ma diverso è il momento consumativo. Si tratta di un’attività preparatoria punibile per se stessa, prima ancora dell’inizio dell’esercizio della prostituzione e ancorché il locatario vi rinunci. Il reato pertanto si consuma nel momento della conclusione del contratto di locazione92 dell’immobile ed è, quindi, istantaneo. Soggetto attivo è colui che, avendo la proprietà o l’amministrazione di un immobile, lo concede in locazione93 ; chi concede il locale a titolo diverso dalla locazione non può essere chiamato a 88 Cass. pen., 18-10-1978, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1980, 559. L’indicazione degli atti di partecipazione è da considerarsi tassativa: cfr. F. Leone, “L’elemento obbiettivo del delitto di proprietà ed esercizio di casa di prostituzione”, in Giustizia Penale, 1963, I, 745 ss. 90 La configurabilità del tentativo è possibile, nei reati permanenti, a condizione che la condotta positiva sia frazionabile: G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, parte generale, IIIª edizione, Zanichelli, Bologna, 1995, p. 423. 91 Reato previsto all’atr.3,n.1 della legge Merlin ed analizzato nel paragrafo precedente. 92 Anche se il suddetto contratto è invalido per il codice civile: cfr. S.Ranieri, Manuale di diritto penale, parte speciale, III, Cedam, Padova, 1967, p.117. 93 Nella proposta originaria si parlava di “affitto”, la modifica “concedere in locazione” ha lasciato inalterato il concetto con una maggiore proprietà di linguaggio giuridico: G. La Cute, op. cit., p. 458. 89 195 rispondere del reato in questione. Non si richiede che l’immobile locato abbia una particolare struttura, né la predisposizione di servizi funzionali a convegni sessuali. Il dolo è specifico perché occorre la consapevolezza della destinazione dell’immobile all’esercizio della prostituzione94 e la conoscenza di tale finalità sarà accertata sulla base di elementi probatori univoci e logicamente concludenti95. Soggetto passivo è lo Stato, colpito nel suo interesse alla tutela della pubblica moralità e del pubblico pudore. La disposizione in esame, integrando la tutela penale prevista nel precedente n. 1, è emblematica dell’intendimento di perseguire qualsiasi comportamento che possa dar origine ad una casa di prostituzione. 8.5.3. Tolleranza abituale dell’esercizio della prostituzione L’art. 3, n. 3, stabilisce che è punito “chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto ad un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione”. Con l’incriminazione sub n. 3, il legislatore manifesta di voler colpire le case di prostituzione dissimulate ed il fatto di coloro che, pur non organizzandole o prendendovi parte diretta, vi prestano una colpevole acquiescenza96. Si pensi ai locali, come istituti per massaggi o cure fisiche, che facilmente scivolano verso la figura della casa di piacere. In dottrina, La Cute, la definisce come “una forma collaterale e non organizzata della prostituzione.” Soggetto attivo del reato è colui che riveste la qualità di proprietario, gerente o preposto ad un locale; è, quindi, un reato proprio97. Il termine “preposto” va inteso più nel campo letterale che giuridico, con riguardo alle mansioni di fatto svolte dal soggetto. Pertanto, “preposto” è colui che in assenza del proprietario o gerente sovrintende alla gestione del locale, occupandosi della clientela: come il portiere d’albergo addetto alla registrazione dei clienti, in assenza del direttore. Chi esplica mansioni subordinate ed accessorie, come il cameriere, non può considerarsi preposto, salvo il concorso con il gerente o l’applicazione dell’ipotesi di favoreggiamento98, ove ne ricorrano gli estremi. Non sono incriminabili le persone che, nel locale, si danno al meretricio e nemmeno i clienti con i quali esse s’intrattengono. Quanto alla natura del locale, deve trattarsi di un pubblico esercizio99, in cui il pubblico può accedervi indiscriminatamente o a particolari condizioni e soggetto in genere ad autorizzazione dell’autorità100. L’elencazione dei locali, contenuta nella norma, non è tassativa, ma indicativa, come si evince dalla formula di chiusura “qualunque locale a- 94 Cass. pen., 26-1-1968, in Giustizia Penale, 1968, II, 982; Cass. pen., 26-1-1983, in Rivista Penale,1984, I, 263. 95 Cass. pen., 4-11-1987, in Rivista Penale, 1988, 1115. 96 A. Santoro, op. cit., p. 235; G. La Cute, op. cit., p. 459. 97 Cass. pen., 20-4-1970, in Giustizia Penale, 1971, II, 346; Cass. pen., 20-11-1972, ivi, 1973, II, 349. 98 F. Leone, op. cit., p. 84 ss. 99 Esulano dalla disciplina dell’art. 3, n. 3, le case private. 100 Cass. pen., 2-3-1964, in Cassazione penale Massime Annotate, 1964, 1186, per la quale è indifferente che sia stata concessa o meno la licenza d’esercizio, così anche, Cass. pen., 6-3-1961, in Rivista Penale, 1962, II, 513. 196 perto al pubblico od utilizzato dal pubblico”. Per “casa mobiliata”101 deve intendersi una casa od un appartamento composto di camere mobiliate e separatamente locate, altrimenti non avrebbe senso l’accostamento con gli altri locali indicati. Deve trattarsi di esercizio reale e non simulato. Qualora si tratti di casa, con attività lecita quale scopo primario, ma che tolleri come accessoria la prostituzione, purché non si tratti di tolleranza sporadica ed occasionale, si potrà applicare l’art. 3, n. 1. La condotta tipica consiste nella tolleranza abituale dell’altrui prostituzione nel proprio locale; è un reato omissivo. Tolleranza non significa partecipazione attiva102, suppone una semplice sopportazione, un lasciar fare consapevole. E’ un reato abituale: si richiede il protrarsi nel tempo dell’esercizio della prostituzione nel locale e l’inerzia davanti ad esso103. L’abitualità rappresenta una particolare modalità della condotta che integra uno degli elementi costitutivi del reato e non un presupposto del fatto; l’orientamento più recente e prevalente la riferisce alla tolleranza del titolare dell’esercizio104 e non alla presenza nel locale delle persone che si prostituiscono. Il reato sussiste indipendentemente dal numero delle persone dedite al meretricio e non è nemmeno necessario che risiedano o frequentino stabilmente il locale, potendo anche cambiare di volta in volta. Vi è un’assunzione in senso obiettivo del concetto di “presenza” di persone che si danno alla prostituzione, senza alcuna adesione a soggetti determinati. E’ richiesto, invece, “il darsi alla prostituzione” nel locale; su tale locuzione non vi è concordia in dottrina, poiché per alcuni significa “offrirsi al pubblico”, oltre che esercitare materialmente la prostituzione. Vi rientra, quindi, anche l’attesa e l’adescamento dei clienti105, sempre ovviamente all’interno dei locali. Secondo altri autori106, invece, la locuzione va intesa come effettivo esercizio della prostituzione. In realtà, non è penalmente rilevante, a mio avviso, il fatto di permettere che prostitute si rifocillino o trattengano nel locale ed ivi preparino incontri amorosi od invitino al libertinaggio. Come osserva Leone, un albergatore, nel fornire alloggio, non può fare indagini sulla moralità del cliente, solo od in compagnia che sia. Solo il verificarsi abituale del fatto “prostituzio- 101 F. Leone, op. cit., p. 87 ss. Considera non giuridicamente precisa tale espressione anche G. Rosso, I delitti di lenocinio, cit., p. 79. 102 Non si richiede che il soggetto attivo presenzi all’adescamento o alla pubblica offerta di meretricio, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di tollerare quest’ultimo nel proprio locale: Cass. pen., 22-21988, in Rivista penale, 1988, II, 941. 103 Cass. pen., 29-3-1962, in Giustizia Penale, 1963, II, 323; Cass. pen., 9-6-1982, in Rivista Penale, 1983, 628; F. Leone, “Tolleranza abituale o tolleranza di un fatto abituale?”, in Archivio penale, 1964, II, 42, afferma che la tolleranza deve assurgere a sistema e consuetudine. 104 Cass. pen., 21-3-1960, in Giustizia Penale, 1961, II, 161; id., 9-10-1961, ivi, 1962, II, 737; id., 24-101978, ivi, 1979, II, 470; id., 20-10-1982, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1984, I, 413; in dottrina, per tutti: G. Pioletti, op. cit., p. 282. In senso difforme dal testo: C. Guzzon, “Concetto e limiti di tolleranza abituale di meretricio in alberghi ed altri luoghi di cui all’art. 3 n. 3 della legge Merlin”, in Archivio penale, 1961, I, 354; F. Leone, op. cit., p. 91; Tribunale di Sanremo, 24-10- 1970, in Rivista penale, 1972, II, 79. 105 G. La Cute, op. cit., p. 460; G. Pistorio, “L’attuazione della legge Merlin”, in Rivista penale, 1958, I, 530; Testi, “La casa di prostituzione nella legge 20 febbraio 1958, n. 75”, in Rivista penale, 1958, II, 348; G. Vassalli, “I delitti”, cit., p. 24. 106 F. Leone, op. cit., p. 92 ss.; Protettì-Sodano, op. cit., p. 220; G. Rosso, op. cit., p. 1060; A. Santoro, op. cit., p. 235. 197 ne” nell’albergo107, gli dà diritto di comportarsi diversamente. L’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, dalla consapevole volontà che nel locale ci si offra alla prostituzione. Il reato si consuma nel momento in cui si manifesta il requisito dell’abitualità e non è, ovviamente, configurabile il tentativo. In tema di concorso di persone, risponde del reato in esame anche chi, d’accordo con il titolare del locale, svolge compiti di cogestione, partecipando agli utili e contribuendo all’accettazione dei clienti, in base ad un rapporto associativo col gestore, di fatto o di diritto108. Con sentenza n. 108 del 1964, la Corte costituzionale ha escluso la fondatezza della questione di legittimità dell’art. 3, n. 3 con riferimento all’art. 3 della Costituzione109. La questione era stata prospettata sotto il profilo della discriminazione in danno della categoria delle prostitute, derivante dall’esser assoggettate all’obbligatoria inquisizione dei gestori di alberghi. Secondo la giurisprudenza110, l’elemento intenzionale di mera tolleranza distingue questo reato da quello di favoreggiamento di cui al n.8, che richiede, invece, una volontaria partecipazione ausiliatrice. Il favoreggiamento, inoltre, si configura come un’attività positiva, in un aiuto, in un incentivo, mentre il tollerare, anche se di fatto si risolve in un’agevolazione, è una condotta omissiva, un semplice permettere. Non vi è dubbio che l’ipotesi contenuta nell’art. 3 n. 3 potesse essere perseguita come favoreggiamento111 poiché la tolleranza è in rapporto di specialità rispetto alla generica ipotesi di cui all’art. 3, n. 8. Ma di fronte alla strada scelta dal legislatore, quella della minuziosa casistica, si discute se è possibile il concorso di tale reato con il favoreggiamento, questione su cui si tornerà più avanti. 8.5.4. Reclutamento e agevolazione della prostituzione a fine di reclutamento (art. 3, n. 4) E’ punito: “Chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione o ne agevoli a tal fine la prostituzione”. Il n. 4 dell’art. 3 contempla due figure delittuose: il reclutamento di persona al fine di farle esercitare la prostituzione e l’agevolazione della prostituzione a fine di reclutamento112. Si tratta di figure diverse in quanto il reclutamento è un atto preparatorio, mentre l’agevolazione è un fatto di concreto ed effettivo lenocinio113. 107 G. Pioletti, op. cit., p. 281 evidenzia che l’albergatore che tollera abitualmente l’esercizio della prostituzione può avere un proprio interesse a che una certa clientela, se lo ritiene, abbia la discreta offerta di prestazioni sessuali. 108 Cass. pen., 13-3-1979, in Rivista penale, 1979, 1067. 109 Corte Costituzionale, 4-12-1964, in Giurisprudenza Italiana, 1965, I, 1, 356. 110 Cass. pen., 22-2-1988, in Rivista penale, 1988, 941; id. 24-4-1975, in Cassazione penale Massime Annotate, 1976, 626; id., 30-6-1961, ivi, 1961, 885; id., 9-10-1961, in Rivista penale, 1962, II, 1060. 111 Cass. pen., 29-10-1973, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1974, 410. Per tutti, G. La Cute, op. cit., p. 459. 112 Sulla difficoltà di intendere la norma, Cass. pen., 1-4-1963, in Giustizia penale, 1963, II, 552. Sembra questa la migliore interpretazione, perché se la seconda ipotesi fosse considerata semplice agevolazione della prostituzione, coinciderebbe con il favoreggiamento di cui al n. 8: G. La Cute, op. cit., p. 461. Per un ulteriore approfondimento si rinvia in sede di analisi dell’agevolazione. 113 Per la differenziazione del reclutamento dall’agevolazione, escludendosi che l’agevolazione sia in funzione del reclutamento, Cass. pen., 16-4-1963, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1963, 848. 198 a) Il reclutamento è la prima delle due previsioni contenute in questo numero, della quale preme circoscrivere il significato, perché nel codice penale non esiste altro esempio di questo reato114. Il termine, usato impropriamente115, significa assumere, ingaggiare, subordinazione nei confronti del reclutante o di terza persona committente. Il concetto postula quello di contratto: la persona reclutata cioè si obbliga a prostituirsi, secondo termini ed accordi ben precisi116, per un tempo determinato o meno, sotto le direttive altrui. E’ controverso se nel reclutamento rientri anche l’attività positiva di ricerca di persone che si prostituiscono e l’attività di convincimento delle stesse117. Secondo Leone118, l’ingaggio dovrebbe avvenire a favore di un’organizzazione, “giro”, nel cui ingranaggio viene immessa la persona reclutata. Tale organizzazione può essere costituita anche da una sola persona e basata su precisi patti e condizioni. Questa affermazione non è condivisibile119, perché l’ipotesi di attività di reclutamento svolta in forma associativa od organizzazioni è prevista al n. 7 dell’art. 3, che completa la previsione contenuta nel n. 4120. Riguardo all’oggetto materiale di questo reato, si tratta di stabilire se la moralità del soggetto da assoldare sia indifferente per la realizzazione dell’illecito, oppure se, al contrario, la fattispecie possa configurarsi solo nei confronti di chi non è ancora dedito alla prostituzione. In realtà non sussiste motivo per circoscrivere la portata della previsione. Una condotta di reclutamento può efficacemente svolgersi sia verso persone già dedite alla prostituzione sia verso persone che ancora non lo siano121,al fine di far sorgere un “rapporto di lavoro subordinato”. Mentre è irrilevante che dall’attività di reclutamento derivi una concreta attività di meretricio122,opinioni divergenti emergono, invece, con riferimento alla questione se l’iniziativa e l’offerta da parte della stessa persona che poi verrà ingaggiata, escluda il reato. Chi ritiene essenziale per la configurabilità della fattispecie in esame, la ricerca e lo svolgimento di un’opera di persuasione nei confronti del114 L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 4. Nella legislazione italiana precedente l’opera del reclutatore poteva lecitamente svolgersi in pro delle case di meretricio: F. Leone, op. cit., p. 103. 115 F. Leone, op. cit., p. 104, evidenzia come la parola sia di origine squisitamente militare ed in senso proprio vuol dire ingaggiare soldati. 116 Di “ingaggio”, “assunzione” parlano in proposito F. Donato Di Migliardo, “Appunti sul delitto di lenocinio accessorio”, in Archivio penale, 1960, I, 239 ss. e G. Rosso, I delitti di lenocinio, cit., p. 82. G. Gustapane, op. cit., p. 154, qualifica reclutante e reclutato come “parti contraenti” e parla di pactum sceleris intervenuto tra loro. In giurisprudenza, Cass. pen., 22-4-1968, in Giustizia penale, 1969, II, 87, secondo cui occorre un “vincolo” per il quale la persona reclutata rimanga nella disponibilità del reclutante, per un tempo non brevissimo, e, se pure non alloggiata dal primo sia sempre disponibile ad ogni chiamata e disposta a prestazioni sessuali. 117 In senso positivo, G. La Cute, op. cit., p. 460; F. Mantovani, La nuova disciplina penale, cit., p. 471; Cass. pen., 9-11-1992, in Cassazione penale, 1992, 755; id., 9-11-1990, in Rivis ta penale, 1991, 374; id., 8-2-1968, in Giustizia penale, 1968, II, 983. Contra F. Antolisei, op. cit., p. 485; F. Leone, op. cit., p. 110 ss. che nota che non recluta meno chi sta in ufficio e riceve le domande di arruolamento e stipula i relativi contratti di chi invece cerca il personale da arruolare e lo induce ad arruolarsi; G. Pioletti, op. cit., p. 282; Cass. pen., 3-11-1964, in Cassazione Penale Massime Annotate, 1965, 439; id., 3-5-1961, in Giustizia penale, 1961, II, 702. 118 F. Leone, “Del concetto di reclutamento nella legge 20 febbraio 1958, n. 75”, in Archivio penale, 1963, II, 395. 119 F.Antolisei, op.cit., 485 ss.; G.La Cute, op.cit., p.461; G.Violetti. op.cit.,p.282. 120 Per il cui esame si rinvia ai paragrafi successivi. 121 cfr. Cass.pen., 1-2-1965, in Giustizia penale, 1965, II, 434; id., 16-4-1963, ivi, 1964, II, 83. In dottrina per tutti, D.De Gennaro, op.cit., p. 212. 122 Cass.pen., 1-4-1963, cit.; id., 3-5-1961, cit. 199 la persona da prostituire, è dell’avviso che il reato non sussiste nel caso della persona che si offre volontariamente123. In realtà, ciò che è penalmente punibile è l’attività di reclutamento, a prescindere da una precedente opera di persuasione o dalla spontaneità del soggetto a prostituirsi. Soggetto attivo può essere chiunque e soggetto passivo è lo Stato; la persona reclutata, invece, non è punibile. Il reato è consumato quando il contratto d’ingaggio si è perfezionato; inoltre, come già rilevato, non è importante che dal reclutamento derivi una concreta attività di meretricio124. E’ necessario il dolo specifico perché il reclutamento deve avvenire al fine di esercizio della prostituzione. Il reato ha carattere istantaneo e non è configurabile il tentativo: trattandosi di un reato d’accordo, ciò che lo precede non può che assumere la forma dell’istigazione non accolta125, prevista nell’art. 115 c. p. e non punibile. b) L’altra ipotesi disciplinata nel n. 4 è quella dell’agevolazione. Si tratta di una norma che ha posto problemi interpretativi sia in ordine al fine dell’agevolazione, sia in merito al suo contenuto. La figura in esame , sotto il profilo della dizione, è infatti sostanzialmente identica alla fattispecie contenuta nell’abrogato art. 531 c. p., ma è completamente divergente per quanto attiene al significato. L’art. 531126 c. p. distingueva l’istigazione dal favoreggiamento in senso lato, che designava con il termine “agevolazione”. Con la riforma della legge Merlin, l’agevolazione è, invece, distinta dal favoreggiamento, previsto al n. 8. La condotta di agevolazione è un’attività ausiliaria più lieve del reclutamento, si tratta di una forma minima d’aiuto, consistendo nell’assecondare l’inclinazione della donna, indipendentemente da qualsiasi vincolo di soggezione della stessa al soggetto attivo, in modo da renderle più agevole e facile l’esercizio della prostituzione127. Essa consiste nel procurare, con azioni od omissioni, condizioni favorevoli, oppure appianare difficol- 123 G.La Cute, op.cit.,p.461; Tribunale di Trani, 16-6-1958, in Foro penale, 1958, 292; Cas.pen., 25-101961, in Rivista penale, 1962, II, 1059:” se le donne si offrono volontariamente a una persona incaricandole di chiamarle per eventuali clienti, non si ha il delitto di reclutamento”. Contro, Cass.pen., 3-11-1964, in Cassazione penale Massime Annotate, 1965, 440; id.. 6-3-1961, in Giustizia penale, 1961, II, 884; id., 3-5-1961, ivi, 702; F.Leone, Delitti di prossenetismo, cit., p.110; V.Mancini, op.cit., p.592; G.Pioletti, op.cit., p.283; A.Santoro, op.cit. p.235. 124 In proposito la Cassazione (3-5-1961, cit. sub nota precedente) ha ritenuto che “il reato si consuma nel momento stesso in cui il soggetto passivo accetta di mettersi a disposizione dell’organizzatore; il fatto che per ragioni contingenti l’effettivo esercizio della prostituzione da parte della persona reclutata venga differita dall’organizzatore ad altro momento, non incide, pertanto, sulla perfezione del delitto”. In dottrina, per tutti, si veda F.Leone, op.ult.cit., p. 115. 125 F. Leone, op. cit., p. 115; in una posizione possibilista, G. Rosso, op. cit., p. 86. Ricordiamo che l’art. 115 c. p. afferma che non è punibile chi istiga a commettere un reato (tanto nel caso che l’istigazione sia accolta, quanto in quello che non lo sia), qualora il reato non è stato commesso. L’istigatore può solo essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata. 126 Art. 531. Istigazione alla prostituzione e favoreggiamento.- Chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione… ovvero ne eccita la corruzione, è punito… Se soltanto ne agevola la prostituzione o la corruzione, la pena è… 127 V. Manzini, op. cit., p. 592; Cass. pen., 3-4-1967, in Cassazione penale Massime Annotate, 1968, 233; id., 1-4-1963, ivi, 1963, 849. La Cass. pen., 3-2-1973, in Rivista penale, 1973, II, 503, ha ritenuto che costituisse agevolazione reciproca della prostituzione il fatto di più meretrici che, convivendo in un comune alloggio e associandosi per sostenere le spese, forniscono in tal modo migliori prestazioni sessuali ai clienti. 200 tà e togliere ostacoli, dunque comprende sia comportamenti positivi sia atteggiamenti omissivi o tolleranti. Soggetto attivo può essere chiunque e l’attività di agevolazione può essere indirizzata ad una persona dell’uno o dell’altro sesso. Poiché si richiede il consenso della persona che s’intende agevolare, il reato è plurisoggettivo128. E’, però, punibile solo il soggetto attivo. Il reato s’intende consumato allorché si realizza l’agevolazione stessa indipendentemente dal fatto che segua reclutamento o che si realizzi la prostituzione agevolata129. Il dolo è specifico perché l’agevolazione è compiuta al fine di reclutare una persona. La norma ha avuto, comunque, scarse applicazioni in giurisprudenza, forse proprio per l’ambigua formulazione della norma. 8.5.5. Induzione alla prostituzione e lenocinio L’art. 3, n. 5, stabilisce che è punito: “Chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”. La disposizione prevede due distinte fattispecie: l’induzione alla prostituzione ed il compimento di atti di lenocinio. a) Il reato di istigazione alla prostituzione non è nuovo nella legislazione italiana, perché già presente sia nell’art. 345 del codice Zanardelli130 del 1889, sia nella prima parte dell’art. 531 e nell’art. 532 del codice Rocco131 del 1930. Secondo il sistema del codice, era punibile l’istigazione alla prostituzione solo se indirizzata verso persona minore od altrimenti incapace (art. 531 c. p.), e solo eccezionalmente se indirizzata verso la vittima che fosse legata da parentela col reo (art. 532 c. p.)132. Il testo introdotto dal n. 5 dell’art. 3 della legge, ha eliminato l’inciso “per servir all’altrui libidine”133e ha escluso che soggetto passivo possa essere un uomo, prevedendo la sola induzione alla prostituzione della donna maggiore di età134. Non è, in realtà, ben chiara la ragione della limitazione della fattispecie135. La minore età del soggetto 128 Anche il reato di reclutamento è plurisoggettivo, occorrendo l’accordo con la persona reclutata: A. Santoro, Manuale di diritto penale, parte speciale, III, Utet, Torino, 1968, p. 525. 129 Cass. pen., 27-6-1961, in Cassazione penale Massime Annotate, 1961, 969. 130 Art. 345 c. p.: “Chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione una persona di età minore… è punito con la reclusione da tre a trenta mesi e con la multa da lire cento a lire tremila”. 131 Art. 531 c. p.: “Chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione una persona di età minore o in stato di infermità o deficienza psichica, ovvero ne eccita la corruzione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire tremila a lire diecimila”. Art. 532 c. p.: “Chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione la discendente, la moglie, la sorella ovvero l’affine in linea retta discendente, le quali siano maggiori di età, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire tremila a lire diecimila”. 132 A. Santoro, op. cit., p. 525. 133 “Onde è ipotizzabile il delitto in esame quando il reo intenda profittare personalmente dell’effetto psicologico della propria condotta”: A. Santoro, voce “Prostituzione (diritto vigente)”, cit., p. 236. 134 L’originario progetto Merlin prevedeva l’induzione di una persona, senza specificare il sesso. Le relazioni tacciono sul mutamento della formula. 135 Poiché la legge Merlin reprime ogni forma di prossenetismo, svolto sia nei confronti di donne che di uomini, tale limitazione è comprensibile ritenendo che la donna abbia meno difese di fronte a comportamenti induttivi: G. Gustapane, op. cit., p. 112 ss. Tale lacuna dovrebbe essere considerata e colmata de iure condendo, anche in relazione all’aumento dei casi di prostituzione maschile e transessuale. 201 passivo, uomo o donna che fosse, dava, invece, luogo all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 4, n. 2 della legge Merlin ed ora, a seguito dell’approvazione della legge 3 agosto 1998, n. 269, alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 600 bis, primo comma, del c. p. Non è stato, inoltre, riprodotto il caso di eccitamento alla corruzione; è stato, tuttavia, osservato che tale ipotesi era intesa come “viatico per la prostituzione”, di conseguenza nel momento in cui la legge Merlin persegue qualsiasi forma di prossenetismo, compresa quella secondaria ed accessoria del favoreggiamento, è apparso superfluo riproporre anche l’eccitamento alla corruzione136. Il delitto di induzione alla prostituzione “consiste nell’attività diretta a vincere le resistenze di ordine morale che trattengono il soggetto passivo dal prostituirsi (ovvero a rafforzare la risoluzione di prostituirsi non ancora consolidata, o a far continuare detta attività a chi avrebbe voluto cessarla), e cioè dal vendere il proprio corpo, ma non dall’avere rapporti sessuali, seppure indiscriminati e con un numero indeterminato di persone”137. L’opera di induzione deve avvenire senza violenza, minacce od inganno, altrimenti, ricorre l’ipotesi aggravata di cui al n. 1 dell’art. 4, e pertanto mediante l’uso di ogni mezzo possibile, come doni, lusinghe, promesse, denaro allettamenti. Deve trattarsi di attività positiva che abbia efficacia causale e rafforzativa138, così che senza l’opera di induzione la donna non si sarebbe prostituita. La semplice tolleranza od inerzia e la mera proposta non sarebbero, perciò, sufficienti ad integrare gli estremi della condotta in esame. E’ indifferente che la donna sia o meno già dedita alla prostituzione, mentre è necessario che non pratichi la prostituzione quando viene posta in essere l’attività colpevole o, se la pratica, che si sia determinata ad abbandonarla139. Poiché la disposizione prevede l’induzione “alla prostituzione”, e non “a prostituirsi”, si ritiene, in dottrina, che l’induzione debba avere ad oggetto l’attività di prostituzione, intesa quale sistema di vita e non un singolo rapporto. Il reato, quindi, non sussiste quando si tratta di singoli episodi di prostituzione con una o più persone determinate140, perché l’atto di prostituzione è tale quando il destinatario è indifferenziato. In giurisprudenza, al riguardo, invece, vi sono pronunce ambigue. Da un lato, si stabilisce che il reato in esame non postula la presenza della persona fisica con la quale il soggetto passivo deve prostituirsi, poiché l’induzione non è finalizzata né ad un determinato rapporto né ad un singolo rapporto, ma allo spiegamento di un’attività da svolgersi con quel minimo di continuità che ne consenta l’apprezzamento sul piano giuridico141. Dall’altro, 136 G. Gustapane, op. cit., p. 117 ss.; per una diversa impostazione, v. F. Leone, op. cit., p. 124 ss., secondo l’incriminazione della corruzione “aveva esplicito riferimento alla struttura della norma dell’art. 531, intesa a tutelare i minori dall’opera corruttrice dei prosseneti.” 137 Tra le più recenti, Cass. pen., 20-5-1998, in Cassazione penale, 1999, 5, p. 1607. 138 F. Leone, op. cit., p. 126; Cass. pen., 15-2-1985, in Giustizia penale, 1986, II, 163; id., 27-1-1984, ivi, 1985, II, 99; id., 20-4-1983, in Rivista penale, 1984, 36. 139 Cass. pen., 21-11-1989, in Rivista penale, 1990, 889; id., 27-11-1987, ivi, 1988, 610; id., 21-2-1984, in Giustizia penale, 1985, II, 34; F. Leone, op. cit., p. 126. 140 F. Antolisei, op. cit., p. 487; V. Manzini, op. cit., p. 594; F. Leone, op. cit., p. 123, esclude dalla condotta criminosa anche l’induzione a pratiche sessuali indiscriminate ma senza fine di lucro; V. Manzini, op. cit., p. 594; L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 7, osserva che i singoli episodi di prostituzione potranno assumere, se del caso, la figura del favoreggiamento, dell’agevolazione, del lenocinio. 141 Cass. pen., 27-11-1987, cit. sub nota 223: nella specie, relativa a ritenuta sussistenza del reato nella forma del tentativo, il ricorrente aveva sostenuto che l’induzione non era configurabile, perché non era 202 si ritiene che il delitto di induzione si realizzi quando sia stata posta in essere un’attività diretta a superare le resistenze di ordine morale che trattengono la donna dal prostituirsi, anche se l’attività, concreta ed idonea, sia stata svolta per il rapporto con una sola persona142. Quest’ultima interpretazione giurisprudenziale è da preferire data la configurabilità dell’induzione come di un’opera di persuasione, a prescindere, quindi, dall’effettivo esercizio della prostituzione. L’induzione si distingue dall’agevolazione (n. 4) e dal favoreggiamento (n. 8), in quanto la prima consiste in un’attività diretta alla psiche della vittima, mentre gli altri due reati consistono in un’opera di materiale ausilio al fatto della prostituzione. Soggetto attivo può essere chiunque mentre l’oggetto materiale del reato deve essere una donna maggiorenne. Per quanto attiene al momento consumativo, la dottrina prevalente ritiene che il reato si consuma soltanto quando si abbia un effettivo esercizio della prostituzione143, non essendo sufficiente la semplice convinzione della donna a iniziare tale attività in seguito all’opera di induzione del soggetto attivo. Di diverso avviso è la giurisprudenza144, che afferma che il reato si realizza quando sia stata posta in essere un’attività diretta a far cessare le resistenze di ordine morale che trattengono la donna dal prostituirsi. Il tentativo è configurabile145, secondo l’orientamento prevalente in dottrina, potendo l’induzione consistere in molteplici comportamenti, qualora il reato si consuma quando inizia l’attività di prostituzione. Anche se l’opposta opinione della giurisprudenza, a mio parere corretta, non sembri lasciare spazio ad un’attività antecedente a quella punibile, la Cassazione ha stabilito, di recente, che il tentativo è configurabile perché l’iter criminoso è frazionabile e, nella complessiva opera di persuasione rivolta ad influire sulla psiche della donna, ben può ravvisarsi il compimento di atti idonei ed univocamente diretti a ledere il bene protetto, in una concreta prospettiva di pericolo attuale di realizzazione del delitto146. Il dolo è generico, non essendo più previsto il fine di servire all’altrui libidine, e consiste nella coscienza e volontà di indurre una donna alla prostituzione. Come è stato affermato, è irrilevante l’eventuale scopo della realizzazione di un servizio giornalistico147 essendo lo scopo un quid che si pone al di fuori del dolo generico del reato di induzione. mai stato presentato alla moglie alcun uomo, e quindi mancava uno degli estremi richiesti dalla legge per la punizione a tale titolo. 142 Cass. pen., 13-3-1986, in Rivista penale, 1987, 504; id., 20-4-1983, ivi, 1984, 36, secondo la quale l’azione concreta di persuasione e di determinazione alla prostituzione può consistere nell’invito, rivolto ad una donna, di incontrarsi con un uomo, nella minaccia di rivolgersi ad altra donna e nell’accompagnamento sul posto. 143 F. Antolisei, op. cit., p. 487; G. La Cute, op. cit., p. 462; F. Leone, op. cit., p. 126. Contra V. Manzini, op. cit., p. 594; A. Santoro, op. cit., p. 236, secondo il quale non sarebbe nemmeno necessario che la donna abbia psicologicamente accolto l’istigazione. 144 Cass. pen., 5-12-1972, in Giustizia penale, 1973, II, 609; id., 9-3-1965, in Cassazione penale Massime Annotate, 1965, 989; id., 1-4-1963, ivi, 1963, 849. 145 F. Leone, “Il problema del tentativo in ordine ai delitti di induzione alla prostituzione e di sfruttamento di essa”, in Archivio penale, 1961, II, 127 ss. 146 Cass. pen., 11-2-1998, in Cassazione penale, 1998, n. 12, p. 3411; id., 27-11-1987, cit. nota 213; id., 12-3-1984, in Rivista penale, 1985, 607, secondo cui il tentativo è configurabile anche in occasione di un solo incontro con il soggetto passivo se siano posti in essere atti diretti in modo non equivoco e sicuramente idonei ad indurre alla prostituzione, in quanto l’azione di convincimento non deve necessariamente attuarsi attraverso reiterati interventi. 147 Giudice istruttore di Roma, 13-12-1984, in Difesa penale, 1985, 108, con nota di G. Boscetto, “Veronique A.A.A.… offresi sanzione sproporzionata all’accaduto”, che ha ritenuto sussistente il reato di indu- 203 b) La seconda parte dell’articolo prevede il delitto di “pubblico lenocinio”. Si tratta di una figura criminosa nuova, che trova il suo precedente nella contravvenzione di cui all’art. 208, lett. c., del t. u. p. s., che148 prevedeva, tra le forme di adescamento, il divieto di “fare pubblica indicazione di locali di meretricio o fare, in qualsiasi modo, offerta di lenocinio”149. La regolamentazione, per il suo sistema fondato sulle case di tolleranza, incrementava il lenocinio e quest’ultimo alimentava le case di tolleranza. Abolita la regolamentazione, il legislatore ha voluto colpire il lenocinio, sotto qualsiasi forma, ritenendolo una delle cause maggiori del propagarsi della prostituzione150. Il concetto di lenocinio deve essere inteso in termini più ristretti e precisi, rispetto ad un concetto generale ed ampio151. Il lenocinio di cui al n. 5, va inteso come adescamento, “invito al libertinaggio”, compiuto da chi non si prostituisce152, quindi, da una persona che agisce come intermediaria153 tra i possibili clienti e chi svolge attività di prostituzione; “è un modo di servire all’altrui libidine”154. Tale attività di intermediazione è penalmente rilevante quando è svolta personalmente, cioè direttamente, a mezzo di comunicazione diretta, in luogo pubblico od aperto al pubblico155, oppure avvalendosi della stampa o di qualsiasi altro mezzo di pubblicità, che permette di raggiungere un’ampia massa di destinatari. Non rientra in questa fattispecie legale, l’attività di colui che fissa gli appuntamenti per la prostituta col mezzo del zione pur caratterizzato da tale scopo. Si tratta dello scandalo del film-documentario sugli incontri tra la prostituta parigina Veronique e i suoi clienti, non più andato in onda in tv perché censurato dalla Rai. Una vicenda che tanto eco ha suscitato nella stampa e in genere nella pubblica opinione (si vedano i commenti apparsi ad es. su La Repubblica del 13, 18 e 21 marzo del 1981). Contro G. La Cute, op. cit., p. 462 e Tribunale di Roma, 13-11-1985, cit., che ha negato la sussistenza del reato di induzione alla prostituzione nella proposta di prostituirsi rivolta, da parte delle autrici e dei collaboratori del programma televisivo “A.A.A. offresi”, ad una prostituta parigina già di per se determinata a farlo per i suoi fini e per giunta disposta a condividere l’impresa culturale prospettatale. 148 Modificato dall’art. 2 del d.lg.lt. 12-10-1944, n. 323 nel prevedere il fatto di chi “indipendentemente dall’esercizio abusivo di un locale di meretricio facesse opera di adescamento per agevolare la prostituzione”: G. La Cute, op. cit., p. 463. Vedi in merito, G. Vassalli, voce “Adescamento”, in Enciclopedia del diritto, I, Giuffrè, Milano, 1958, p. 575-579. 149 Interessa ricordare che nel primo progetto dell’attuale legge, tale reato era trattato in un comma separato dell’articolo riguardante le contravvenzioni per invito al libertinaggio e prevedeva l’ipotesi di chi fa pubblica offerta di lenocinio, anche a mezzo di avvisi pubblicitari o della stampa. Nel successivo disegno di legge si ritenne non solo di inasprire la sanzione ma di considerarlo delitto, inserendolo quindi nell’art. 3 al n. 5. Vedi su tale aspetto, F. Mantovani, op. cit., p. 488 ss. 150 V. Manzini, op. cit., p. 594. 151 Nel senso comune, lenocinio indica il comportamento di chi si adopera per favorire la prostituzione, di qui la figura del lenone, volgarmente detto anche mezzano, ruffiano, che fa da tramite, organizzando gli incontri e permettendo la conoscenza tra prostituta e clienti. Nella norma in esame ha, invece, un suo ben definito significato “non tanto perché nello stesso art. 3 della legge vi sono altri reati di prossenetismo, quanto perché è la stessa disposizione precettiva a porre le modalità della condotta che sono alternative”: G. Pioletti, op. cit., p. 284. 152 Se chi invita al libertinaggio è la persona che si prostituisce, allora, si applica l’ipotesi contravvenzionale prevista all’art. 5 della legge Merlin: F. Antolisei, op. cit., p. 487. 153 In giurisprudenza, Cass. pen., 1-4-1963, in Giustizia penale, 1963, II, 552. A. Casalinuovo, op. cit., p. 562 ss.; F. Mantovani, op. cit., p. 488 ss. 154 A. Santoro, Manuale, cit., p. 529. 155 “Luogo pubblico” è quello nel quale può accedere chiunque, senza limitazioni o condizioni, a differenza del “luogo aperto al pubblico”, al quale si può accedere in determinati momenti o a certe condizioni. Il fatto deve essere compiuto quando il luogo si trova effettivamente aperto al pubblico, altrimenti non è punibile; mentre non importa che avvenga in presenza di più persone. V. F. Leone, op. cit., p. 142 e l’art. 266, comma 4, c.p. 204 telefono, oppure le procuri nuovi clienti, scegliendoli nella sua cerchia di conoscenze156, ipotesi rientranti, invece, nel favoreggiamento. Il requisito della pubblicità del mezzo o del luogo, oltre a permettere di distinguere tale condotta di lenocinio dalla figura dell’induzione (nello stesso numero), dell’agevolazione (n. 4), del favoreggiamento (n. 8) e dell’invito al libertinaggio (art. 5), costituisce una modalità di estrinsecazione della condotta; non è, quindi, una condizione obiettiva di punibilità157.La pubblicità è un elemento costitutivo del reato e di conseguenza, sotto il profilo soggettivo, è necessaria la consapevolezza di agire in presenza di quelle condizioni e modalità che rendono pubblico il comportamento. Nel concetto di stampa158 deve ritenersi compreso ogni mezzo meccanico di riproduzione di segni figurativi, mentre, i mezzi di pubblicità possono consistere in ogni mezzo con cui si possa portare una manifestazione di pensiero a conoscenza di un numero indeterminato di persone159, come le conferenze, le rappresentazioni teatrali, le proiezioni cinematografiche, i dischi, la propaganda con altoparlanti. La condotta di intermediazione deve essere collegabile a persone individuate o individuabili dai clienti perché il legislatore non vuole punire una generica attività di propaganda od apologia della prostituzione160. Non è, comunque, necessario che la proposta di prostituzione sia accolta, né è necessario un precedente accordo con la persona o le persone che si prostituiscono e neppure la conoscenza di quest’ultime da parte del lenone161. Il termine “atti” di lenocinio comprende i comportamenti più vari e, nonostante l’uso del plurale, ad integrare la condotta punibile basta anche un solo concreto episodio162; in tal modo, il reato è istantaneo. Soggetto attivo può essere chiunque, tranne la persona che si prostituisce, essendo punito l’adescamento diretto nell’art. 5 della legge163. Il momento consumativo del reato è quello in cui l’opera di mediazione si conclude, indipendentemente dall’esito; nel caso di lenocinio compiuto a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, esso coincide con l’inizio della diffusione o con la presa di cognizione anche da parte di un solo destinatario. Il dolo è generico e consiste nella consapevolezza di agire in presenza di condizioni e con modalità che rendono il comportamento pubblico; è irrilevante il fine di lucro o quello di servire all’altrui libidine164. Il tentativo è ammissibile nel caso di lenocinio in 156 L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 6. F. Antolisei, op. cit., p. 487; G. La Cute, op. cit., p. 463; G. Rosso, voce “Prostituzione”, cit, p. 1060; contra, F. Donato Di Migliardo, “Appunti sul delitto di lenocinio accessorio”, cit., p. 244. 158 Per un approfondimento del lenocinio commesso con la stampa, v. C. Palazzo, “Considerazioni sul delitto di lenocinio a mezzo stampa”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1975, II, p. 688 ss. 159 F. Leone, op. cit., p. 143 ss. 160 G. La Cute, op. cit., p. 463, evidenzia, a tal proposito, come una trasmissione radiofonica o televisiva che documenti un modo particolare di esercizio della prostituzione o approfondisca i motivi per i quali si ricorre alla prostituta, non configura il lenocinio di cui all’art. 3, n. 5. 161 F. Antolisei, op. cit., p. 488. 162 In tal senso, F. Antolisei, op. cit., p. 458; F. Leone, op. cit., p. 145; L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 6, osserva come il reato assume le caratteristiche di un reato eventualmente permanente, in cui la prima azione realizza e consuma il delitto, che però rimane unico in caso di reiterazione degli episodi; A. Santoro, op. cit., p. 529. Contro, F. Donato Di Migliardo, op. ult. cit., p. 249, il quale, affermando che “non pare possa prescindersi dal requisito della ripetizione degli atti”, configura il reato abituale. 163 V. nota 152. 164 Il fatto che siffatta condotta di intermediazione serva (oltre a chi si prostituisce) anche all’altrui libidine è implicito nel concetto di lenocinio: cfr. F. Leone, op. cit., p. 147 ss. Nel senso che non è richiesto il fine 157 205 luogo pubblico o aperto al pubblico, qualora sia stata iniziata l’opera di offerta di lenocinio ma non portata a termine per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente165. Nel caso di lenocinio a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, il tentativo è configurabile quando, malgrado l’opera svolta dall’agente, la notizia o l’offerta non sia giunta a conoscenza di terzi166. Con riferimento al concorso di persone, è stata sostenuta la responsabilità autonoma e non concorrente con l’inserzionista, del direttore di stampa periodica che pubblichi sul proprio giornale inserzioni di offerte sessuali mercenarie, consapevole del loro contenuto e compiendo così opera di intermediazione167. 8.5.6. Induzione a recarsi altrove per esercitare la prostituzione Nell’art. 3, n. 6, è punito: “Chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza”. Questa disposizione riguarda il delitto di tratta, già disciplinato dagli art. 535 e 536 del codice penale168, ora abrogati. A differenza della disciplina codicistica, la nuova norma ha una portata più ampia e completa e la sua formulazione trae origine anche dalle disposizioni di legge seguite alle Convenzioni internazionali sulla repressione della tratta di donne e bambini169. Ha una portata più ampia perché non fa più distinzione di età o di sesso per quanto riguarda la persona sulla quale si esercita l’induzione; come si è osservato170, l’ampliamento era del resto necessario dopo la soppressione, in Italia, delle case di tolleranza, onde evitare un incremento delle condotte di induzione ed agevolazione al trasferimento in un altro Stato, dove la prostituzione regolamentata è ancora lecita. Inoltre, la di lucro, si veda, in giurisprudenza, Cass. pen., 16-10-1979, in Cassazione penale Massime Annotate, 1981, 895; id., 6-5-1964, in Giustizia penale, 1965, II, 138. 165 Si pensi al caso in cui il lenone avvicini un uomo dicendogli che potrebbe procurargli una ragazza e l’altro si rifiuti di ascoltarlo: F. Leone, op. cit., p. 147. 166 F. Leone, op. cit., p. 147, fa l’esempio del sequestro della stampa effettuato prima che alcuno abbia preso cognizione dell’annuncio. 167 Tribunale di Firenze, 26-1-1974, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1975, 688, con nota di Santacroce, “Osservazioni sul delitto di lenocinio a mezzo stampa”; Tribunale di Roma, 13- 11-1985, in Giurisprudenza di merito, 1987, II, 164. Contra, G. La Cute, op. cit., p. 463, che richiede la dimostrazione della consapevolezza dell’offensività della condotta; C. Palazzo, op. cit., p. 688. 168 Art. 535. Tratta di donne e di minori. Chiunque, sapendo che una persona di età minore, o una donna maggiorenne in stato di infermità o deficienza psichica, sarà, nel territorio di un altro Stato, tratta alla prostituzione, la induce a recarvisi, ovvero s’intromette per agevolarne la partenza, è punito… Art. 536. Tratta di donne e di minori, mediante violenza, minaccia o inganno. Chiunque, sapendo che una persona di età minore, o una donna maggiorenne, sarà, nel territorio di un altro Stato, tratta alla prostituzione, la costringe, con violenza o minaccia, a recarvisi è punito… Alla stessa pena soggiace chi, con inganno, determina una donna maggiorenne a recarsi nel territorio di un altro Stato, ovvero si intromette per agevolarne la partenza, sapendo che all’estero sarà tratta alla prostituzione. 169 Si ricordi la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione adottata a New York il 21 marzo 1950, ratificata il 18-1-1960 e resa esecutiva con legge 2311-1966, n. 1173, che riporta il testo in lingua francese ed è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 5 del 71-1967. Sulle precedenti Convenzioni M. Pettoello, La tratta delle bianche, Udine, 1926, p. 66 ss. 170 V. Manzini, op. cit., p. 596. 206 norma persegue, oltre alla tratta esterna, quella interna, nell’ambito del territorio nazionale, conseguenza naturale dell’abolizione delle case di prostituzione171. Sono previste due ipotesi equivalenti: l’induzione a recarsi altrove per esercitare la prostituzione o l’agevolazione della partenza; si tratta di condotte alternative il cui plurimo verificarsi non muta l’unicità del reato. Nella prima ipotesi, il comportamento induttivo è lo stesso di quello previsto al n. 5, soltanto che in questo caso il convincimento e la persuasione sono diretti non alla prostituzione ma al trasferimento172 in un luogo dove poi la persona indotta eserciterà la prostituzione, senza necessariamente indurre o trarre la persona alla prostituzione. Non è sufficiente un semplice invito verbale o per missiva, ma è necessario che l’invito stesso sia tale da persuadere sulla convenienza del trasferimento. Si ritiene, inoltre, che il mezzo della violenza o minaccia sia incompatibile con la fattispecie in esame, la cui condotta è persuasiva e aliena da forme di costrizione173. Nell’altra ipotesi si ha un’attività di intromissione diretta ad agevolare la partenza: occorrono atti di rilievo diretti a facilitare il viaggio come il procurare il passaporto o pagare il biglietto. In entrambi i casi, la condotta del colpevole deve essere diretta a far sì che la persona indotta od agevolata si trasferisca in un altro Stato (tratta esterna), o in un luogo diverso da quello della sua abituale “residenza” (tratta interna). Il termine residenza è da intendersi come luogo di dimora e non rileva le iscrizioni nei registri anagrafici del comune. Il dolo è generico, configurabile nella volontà di indurre una persona a recarsi altrove o nella volontà di agevolarne la partenza, con la consapevolezza che il luogo dove si trasferirà il soggetto passivo non è la residenza abituale e che ivi eserciterà la prostituzione174. Il reato si consuma nell’ipotesi di induzione con la risoluzione della persona indotta alla partenza e non è necessario che la partenza avvenga, essendo sufficiente che vi sia una ferma decisione da parte della persona al trasferimento secondo le modalità e le condizioni stabilite175. Nel caso dell’intromissione il reato si consuma non appena è posta in essere la condotta di agevolazione finalizzata alla partenza, non essendo necessario poi che la partenza si realizzi. Il tentativo è configurabile in entrambe le ipotesi176. Soggetto attivo può essere chiunque ed, ai sensi dell’art. 537 c. p., il delitto di tratta è punibile anche se commesso da un cittadino italiano in territorio estero; è, però, da evi171 F. Mantovani, op. cit., p. 470. 258 Cass. pen., 19-5-1967, in Giustizia penale, 1967, II, 1313; G. La Cute, op. cit., p. 464; F. Leone, op. cit., p. 159, precisa che qualora ricorra sia l’induzione alla prostituzione che quella al trasferimento si potrà avere il concorso di reati. 173 Protettì-Sodano, op. cit., p. 255; A. Santoro, op. cit., p. 531; contra, G. Rosso, op. cit., p. 143. 174 G. La Cute, op. cit., p. 464; F. Leone, op. cit., p. 161; F. Mantovani, op. cit., p. 470. Nel senso, invece, che il fine della prostituzione è proprio dell’agente (dolo specifico) e non della persona indotta od agevolata, v. G. Rosso, op. cit., p. 106. 175 Cass. pen., 1-12-1967, in Cassazione penale Massime Annotate, 1968, 1337; id., 7-11-1966, ivi, 1967, 103. V. Manzini, op. cit., p. 595, lo ritiene un reato di pericolo; L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 7; G. Pioletti, op. cit., p. 286. Contro, Cass. pen., 26-6-1967, in Cassazione penale Massime Annotate, 1968, 105, secondo cui il reato si consuma con l’arrivo della persona indotta nel luogo designato, non con la partenza o la risoluzione alla partenza; nello stesso senso, F. Leone, op. cit., p. 160, che richiede per la consumazione il verificarsi dell’evento del reato, inteso come allontanamento dal luogo di abituale residenza. 176 F. Leone, op. cit., p. 160 ss., rileva come nell’ipotesi dell’intromissione il tentativo è configurabile solo quando l’agevolazione consista in più comportamenti. 172 207 denziare che si discute se la norma sia ancora applicabile177. E’ sufficiente che la vittima sia una sola persona, né sembra richiedersi il verificarsi all’estero dell’opera di un’altra persona intesa ad iniziare, sistemare, agevolare la vittima, come, al contrario, lasciava intendere la locuzione “sarà tratta alla prostituzione” degli art. 535 e 536 c. p178. Con questa disposizione, il legislatore incrimina un’attività preordinata alla prostituzione e vuole impedire i movimenti di mercato delle persone dedite alla prostituzione e i movimenti che incrementano e alimentano la prostituzione stessa; nello stesso tempo si vuole tutelare la dignità della persona179 impedendone l’allontanamento dal proprio ambiente, che può essere di remora ad un definitivo degrado. 8.5.7. Attività in associazioni e organizzazioni per il reclutamento e sfruttamento della prostituzione e di agevolazione o favoreggiamento delle stesse (art. 3, n. 7) L’art. 3, n. 7, stabilisce che è punito: “Chiunque esplichi un’attività in associazioni e organizzazioni nazionali od estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l’azione o gli scopi delle predette associazioni”. Si tratta di una figura criminosa di nuova previsione legislativa che conferma l’atteggiamento imitativo del nostro legislatore nei confronti della legge francese del 1946, n. 685180. La norma mira a reprimere ogni forma di prossenetismo organizzato, al di là della tutela realizzata con l’incriminazione delle singole condotte, come quella del reclutamento181 e dello sfruttamento, rispettivamente disciplinati ai n. 4 e 8. La condotta punibile consiste nell’attività esplicata in associazioni od organizzazioni, nazionali od estere, dedite al reclutamento di persona da destinare alla prostituzione o al suo sfruttamento. E’ quindi, perseguibile non il fatto di appartenere182 alle suddette associazioni, ma l’attività svolta nelle stesse, sia ai fini di un’estensione dell’organizzazione stessa sia allo scopo di agevolare o favorire con qualunque mezzo ed in qualsiasi forma l’attività e gli scopi. 177 In dottrina la suddetta questione è controversa. V. Manzini, op. cit., p. 596, ritiene che sia applicabile l’art. 537 c.p., desumendolo anche dall’ultimo comma dell’art. 3, che prevede altre ipotesi di reati commessi all’estero (reclutamento e induzione alla prostituzione). Di diverso avviso, è F. Leone, op. cit., p. 164 ss., che si basa sul fatto che l’art. 3, n. 6 prevede un fatto di tratta diverso da quello previgente; a tal proposito, G. Pioletti, op. cit., p. 286, rileva che la disciplina riguarda pur sempre la tratta mentre l’art. 537 è disposizione di natura meramente processuale che, peraltro, ben si coordina con l’ultimo comma dell’art. 3. 178 F. Mantovani, op. cit., p. 470. 179 G. Pioletti, op. cit., p. 285. 180 Si ricordi che la legge Merlin deriva dalla legge 13 aprile 1946, n. 685 che in Francia sostituendo le norme del codice penale aveva provveduto alla chiusura delle case di tolleranza e alla più severa repressione del lenocinio. Cfr. G. La Cute, op. cit., p. 464. 181 F. Mantovani, op. cit., p. 471, valuta, almeno nella sua prima parte, pleonastica la disposizione in esame, in quanto rientrante nell’ipotesi di cui al n. 4 dello stesso articolo e a maggior ragione se si considera che le pene sono identiche. Invece, F. Antolisei, op. cit., p. 487 ss., afferma che la prolissità della formula evidenzia la preoccupazione dei compilatori di prevedere anche situazioni che, al di fuori del reclutamento o del concorso nel medesimo, vengano comunque ad incidere, agevolandola, sulla condotta incriminata. La tutela del reclutamento trova completamento nel n. 7. 182 L’appartenenza a tali associazioni od organizzazioni rappresenta il presupposto del reato, punibile a norma dell’art. 416 c.p. ove vi siano gli estremi. Cfr. G. La Cute, op. cit., p. 464; F. Leone, op. cit., p. 173. 208 Inoltre, come già detto, è richiesta l’esplicazione di un’attività e non una mera organizzazione. Per associazione od organizzazione183 è da intendere qualunque gruppo stabilmente regolato, non necessariamente caratterizzato da vincoli di gerarchia o dipendenza; basta un minimo di organizzazione, purché non precaria, e una pluralità di persone. Esplicare un’attività in associazioni ed organizzazioni significa svolgere dei compiti in esse, non in forma episodica, ma con carattere di abitualità ed assiduità184. Le condotte di agevolazione e favoreggiamento, invece, possono essere compiute in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo e devono facilitare l’attività delle associazioni o il reclutamento e lo sfruttamento della prostituzione che esse perseguono. Si ritiene che il termine agevolazione indichi ogni attività antecedente o coeva al sorgere dell’associazione od organizzazione, mentre il favoreggiamento comprende le condotte successive alla costituzione del sodalizio185. Per quanto riguarda il soggetto attivo, le condotte di agevolazione e favoreggiamento devono essere svolte dall’estraneo all’associazione o all’organizzazione186 mentre l’altra condotta necessita di un soggetto qualificato, cioè chi è inserito nell’associazione. Soggetto passivo del reato è esclusivamente la società. Il delitto si consuma con lo svolgimento delle condotte tipiche richieste, non essendo necessario che si verifichi un evento dannoso o pericoloso quale il raggiungimento dei fini perseguiti. E’, quindi, sufficiente che siano realizzate le condotte descritte e cioè che l’attività di colui che fa parte dell’organizzazione sia esplicata con comportamenti molteplici e continui, mentre per l’estraneo ad essa il reato si consuma con l’avvenuta agevolazione o favoreggiamento. Ne consegue che il tentativo è inammissibile nel primo caso, non nel secondo187. Il dolo è generico188 e consiste nella volontà e nella coscienza di esplicare l’attività o di porre in essere le condotte di agevolazione e favoreggiamento, con la consapevolezza delle reali finalità dell’organizzazione. 8.5.8. Favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (art. 3, n. 8) L’ultimo numero dell’art. 3 recita che è punito: “Chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”. Abbandonata la casistica dei numeri precedenti, la norma contenuta nel n. 8 disciplina, con una formulazione sommaria, concisa ed al tempo stesso generica189, le ultime due fattispecie criminose inerenti all’esercizio della prostituzione. La maggior parte della dottrina, confermata la duplicità delle ipotesi criminose contenute nell’art. 3190, ritiene che si tratti di una norma di chiusura191, che compren183 “Associazione” è un insieme di persone legate da un vincolo duraturo, per il raggiungimento di uno scopo e “organizzazione” è l’associazione a carattere gerarchico e con vincolo di subordinazione tra gli associati: S. Ranieri, op. cit., p. 127. 184 G. Pioletti, op. cit., p. 286. 185 F. Leone, op. cit., p. 174. Sulla sostanziale identità delle due condotte come attività diretta a rendere più facile la prostituzione, D. De Gennaro, op. cit., p. 222. 186 Altrimenti ricorrerebbe l’ipotesi di cui alla prima parte della norma, v. F. Leone, op. cit., p. 175; L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 7. 187 G. Pioletti, op. cit., p. 287. Contra, F. Leone, op. cit., p. 175; S. Ranieri, op. cit., p.127. 188 G. La Cute, op. cit., p. 465. 189 Protettì-Sodano, op. cit., p. 280. 190 La prima ipotesi criminosa è quella relativa alle case di tolleranza (n. 1, 2, 3) e la seconda riguarda il lenocinio (n. 4, 5, 6, 7, 8). 209 de e punisce i due aspetti estremi del lenocinio: quello più accessorio e marginale, il favoreggiamento, e quello che suscita maggiore riprovazione, lo sfruttamento. In altre parole, il legislatore ha voluto comprendere tutti quei fatti che “in qualsiasi modo”, oltre quelli disciplinati nei quattro numeri che precedono, siano obiettivamente volti a favorire o sfruttare la prostituzione, al fine di impedire che alcune situazioni particolari potessero sfuggire alla repressione penale a causa della tecnica legislativa eccessivamente casistica e specifica utilizzata nei numeri precedenti192. Secondo la Cassazione193 con l’ipotesi residuale di cui all’art. 3, n. 8, si è voluto lottare contro ogni fenomeno di interposizione personale, lucrativo od agevolativo, che in qualsiasi modo si colleghi alla erogazione retribuita di prestazioni sessuali compiuta anche non abitualmente ed, al limite, per una sola volta da altra persona. Per la sua estrema genericità, la norma è stata oggetto di eccezioni di legittimità costituzionale, dichiarate, però, infondate dalla Corte costituzionale194. E’ da tener presente, inoltre, che con l’approvazione della legge 3 agosto 1998, n. 269 è stata introdotta una nuova fattispecie delittuosa, di cui all’art. 600 bis, primo comma del c. p., riguardante il delitto di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione minorile. a) La prima fattispecie delittuosa è quella del favoreggiamento della prostituzione altrui, già disciplinata nel codice penale del 1930 (art. 531 e 532)195, che comprendeva nel favoreggiamento anche la fattispecie dell’agevolazione poiché prevedeva e puniva “l’agevolazione” nel testo mentre nel titolo usava il termine “favoreggiamento”, ponendo così fine alla distinzione tra i due termini suscitata dalla terminologia giuridica precedente. La condotta di favoreggiamento può concretarsi nei comportamenti più diversi, diretti ad agevolare, facilitare o rendere più semplice l’esercizio della prostituzione, sia essa maschile o femminile196. L’azione deve essere diretta a favorire non tanto la persona, quanto la prostituzione della persona e deve avere un’efficienza causale rispetto all’esercizio della prostituzione197. Si tratta di comportamenti non necessariamente svolti per fine di lucro o per servire all’altrui libidine198, capaci di rendere più facile o co- 191 Per tutti, G. La Cute, op. cit., p. 465. F. Antolisei, op. cit., p. 489, rileva come, accettando quest’interpretazione, le previsioni contenute nella norma finiscono per entrare nella specifica previsione di altri numeri, facendone derivare non pochi problemi di concorso tra norme. 193 Cass. pen., 19-1-1982, in Rivista penale, 1983, II, 117. 194 Con sentenza 16-6-1964, n. 44, in Giurisprudenza italiana, 1964, I, 949, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 3 n. 8 in riferimento agli artt. 13, 25 e 27 della Costituzione, argomentando che i concetti di agevolazione e sfruttamento della prostituzione altrui presentano, in realtà, un’obiettività ben definita, anche perché acquisiti da tempo al codice e sottoposti ad una lunga elaborazione dottrinale. Analoga decisione di infondatezza, in riferimento all’art. 3 della Costituzione e avuto riguardo alla comminatoria di uguale pena edittale nell’ipotesi di favoreggiamento e nelle altre più gravi ipotesi previste dalla legge, si è avuta con la sentenza 10-7-1973, n. 119, in Giustizia penale, 1973, I, 368. 195 V. nota 126. 196 Cass. pen., 20-5-1983, in Rivista penale, 1984, 388; id., 29-3-1982, ivi, 1982, 871; per il favoreggiamento di prostituzione omosessuale, v. Cass. pen., 13-6-1977, in Cassazione penale Massime Annotate, 1979, 1341. Cfr., anche, S. Ramajoli, “Postilla in tema di favoreggiamento della prostituzione”, in Archivio penale, 1961, II, 433. 197 Cass. pen., 22-3-1973, in Giustizia penale, 1974, II, 164; id., 9-10-1970, ivi, 1971, II, 621. 198 Cass. pen., 16-10-1987, in Rivista penale, 1988, II, 1019; id., 25-3-1985, ivi, 1986, II, 340. 192 210 moda la prostituzione altrui199. Generalmente la giurisprudenza definisce il favoreggiamento in modo negativo, riconducendovi qualunque comportamento facilitante la prostituzione, diverso dall’induzione, dallo sfruttamento e dal lenocinio200. La giurisprudenza, come accennato, ritiene che per aversi favoreggiamento è sufficiente qualsiasi attività accessoria, avvinta da un nesso di causalità all’esercizio del meretricio o che comunque lo faciliti, accordando alla prostituta mezzi, occasioni, ospitalità e assistenza che le permettano di superare tutte le difficoltà inerenti al commercio carnale201. Si riscontra, in materia, un’ampia casistica giurisprudenziale: ad esempio, è stato ravvisato il reato di favoreggiamento nel ricondurre la donna a casa202; nel consentirle di cambiarsi gli abiti nella propria autovettura203; nel mettere in contatto la prostituta con chi è disposto a farla prostituire in un ambiente di cui abbia la disponibilità204; nella presentazione dei clienti205; nel solo prelevamento dal luogo dove la prostituta ha svolto la propria attività206; nello svolgimento di opera di sorveglianza o di intervento in aiuto della donna207; nel pagamento delle inserzioni sul giornale208. Quanto all’albergatore, egli è responsabile di favoreggiamento e non di tolleranza ex art. 3, n. 3, quando concede ad una donna la stanza per esercitare l’attività di meretricio209; risponde del delitto il portiere d’albergo o pensione che in qualsiasi modo agevola l’incontro di persone che si prostituiscono con occasionali clienti210. Integra la condotta criminosa chiunque fornisca i locali, come il datore di lavoro che permette o tollera che la propria domestica utilizzi la stanza assegnatale per esercitare la prostituzione, sia pure nelle ore libere211, ovvero ponga a disposizione di due omosessuali, di cui uno si concede per denaro, la propria abitazione, a nulla rilevando che al convegno partecipi lo stesso padrone di casa212. Sono, invece, riscontrabili sentenze discordanti in relazione alla concessione in locazione di un immobile a prostituta. Da un lato, si sostiene che il reato sussiste quando il locatore è consapevole che la prostituta vi eserciti il suo mestiere ed il canone sia di normale mercato, altrimenti ricorrerebbe anche lo sfruttamento213; dall’altro, invece, è richiesto che il locatore, al corrente dell’immorale attività svolta dall’inquilina, si inserisca in tale attività, e aggiunga al canone d’affitto una somma proporzionata alle presta199 F. Antolisei, op. cit., p. 489. Risponde di tale reato la prostituta che ne chiami altra per realizzare, a richiesta del cliente, un rapporto a tre: Cass. pen., 8-11-1986, in Cassazione penale, 1988, 1107. 200 Cfr. Cass. pen., 1-2-1965, in Giustizia penale, 1965, II, 467. 201 Cass. pen., 13-3-1996, in Cassazione penale, 1997, II, 1496; id., 27-2-1981, in Giustizia penale, 1982, II, 97; id., 10-2-1978, in Cassazione penale Massime Annotate, 1980, 915. 202 Cass. pen., 6-12-1983, in Rivista penale, 1984, II, 804. 203 Cass. pen., 19-1-1982, in Rivista penale, 1983, II, 732. 204 Cass. pen., 12-4-1978, in Rivista penale, 1980, II, 916. 205 Cass. pen., 8-2-1983, in Rivista penale, 1983, II; 1019. 206 Cass. pen., 19-2-1982, in Cassazione penale, 1983, II, 1215. 207 Cass. pen., 28-1-1983, in Rivista penale, 1983, II, 763; id., 4-6-1986, ivi, 1987, II, 374, relativa all’ipotesi di invito pressante rivolto ad altre prostitute per farle allontanare dalla zona per eliminare la concorrenza alla meretrice favorita. 208 Cass. pen., 11-4-1983, in Rivista penale, 1984, II, 87. 209 Cass. pen., 11-7-1985, in Cassazione penale, 1986, II, 1362. 210 Cass. pen., 21-3-1974, in Giustizia penale, 1975, II, 232. 211 Cass. pen., 26-5-1967, in Cassazione penale Massime Annotate, 1967, 105. 212 Cass. pen., 20-5-1983, in Rivista penale, 1984, II, 1211. 213 Cass. pen., 5-10-1994, in Cassazione penale, 1996, 3119, in relazione ad un immobile sito in via ove notoriamente vi erano case per la prostituzione. 211 zioni accessorie che egli si è obbligato a fare, come ad esempio la fornitura della biancheria214. E’ favoreggiamento anche il comportamento del gestore che deteneva e vendeva profilattici nel suo albergo, ove vi era un notevole via vai di prostitute215. Il fatto di gran lunga più ricorrente nella giurisprudenza, e punito come favoreggiamento, è quello, invece, dell’accompagnamento, non occasionale216, di chi si prostituisce, nei luoghi di prostituzione. E’ indifferente che l’accompagnamento avvenga con mezzo di trasporto o a piedi perché si realizza, comunque, il fine di incoraggiamento e protezione che il legislatore ha inteso reprimere217. A conferma della particolare severità della giurisprudenza, ricordiamo il caso dell’agevolazione reciproca, ritenuta in grado di realizzare gli estremi del reato, qualora due prostitute convivano in un alloggio comune e si associno nelle spese, realizzando così migliori e più raffinate prestazioni218. E’ recente, inoltre, il clamoroso provvedimento sottoscritto dalla magistratura perugina, che ha avallato il sequestro delle auto dei clienti contestando, appunto, il reato di favoreggiamento219. Il magistrato ha osservato come siano le stesse indicazioni fornite dalla giurisprudenza che portano a ravvisare il favoreggiamento nel fatto di riaccompagnare in macchina la prostituta nel luogo dove era stata prelevata e dove può continuare con maggiore facilità ad adescare i clienti. Il Tribunale del riesame di Perugia, investito della questione, ha, invece, giustamente definito paradossale contestare il reato di favoreggiamento al cliente220 ed ha accolto il ricorso presentato contro tale provvedimento. “Deve prendersi atto” – affermano i giudici del riesame – “che la condotta agevolatrice assume un significato preciso e pregnante, solo all’interno del rapporto di mediazione”221. In altre parole, fra la prostituta e il suo cliente esiste una contrattazione diretta, non c’è alcun intermediatore che possa essere accusato di aver facilitato la trattativa. E questo concetto non è certo smentito dalla presenza di un’auto: se per il gip della procura perugina poteva essere considerata lo strumento con il quale si sarebbe consumato il reato di favoreggiamento alla prostituzione, secondo i giudici del riesame, invece, la vettura è “solo” il luogo dove viene dato corso allo scambio pattuito. Il suo uso, quindi, non è “idoneo a far assumere all’attività del cliente i caratteri dell’illecita intermediazione”. Inoltre, l’estensione al cliente delle sanzioni previste per il favoreggiatore finirebbe per criminalizzare l’accordo come tale e l’atto sessuale che ne deriva, facendo venire meno la ragione dell’esclusione della prostituta dal novero dei destinatari dei precetti penali e dunque rendendo configurabile un profilo di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 della Costituzione. 214 Cass. pen., 10-6-1991, in Cassazione penale, 1993, 436; id., 5-3-1984, in Rivista penale, 1985, II, 96. Cass. pen., 13-3-1996, in Cassazione penale, 1997, 1496. 216 Fra le altre, Cass. pen., 1-3-1982, in Rivista penale, 1983, II, 176; id., 15-6-1981, ivi, 1982, II, 493. 217 Cass. pen., 15-4-1983, in Rivista penale, 1984, II, 304; id., 12-11-1982, in Cassazione penale, 1984, 688; id., 26-1-1982, in Giustizia penale, 1983, II, 717. 218 Cass. pen., 3-2-1973, in Giustizia penale, 1973, II, 735. 219 Decreto del Giudice per le Indagini Preliminari di Perugia, 12 agosto 2000 al sito internet: www.penale.it/giuris/meri_064.htm 220 E’ paradossale ravvisare il favoreggiamento anche nel caso in cui il cliente, nell’uscire dall’appartamento in cui ha consumato il rapporto sessuale, apre la porta al cliente successivo. 221 Tribunale per il Riesame di Perugia, ordinanza 20-21 settembre 2000, in Rivista penale, 2000, 11, 1042 e al sito internet: www.penale.it/giuris/mer_065.htm 215 212 La necessità di conferire al precetto un contenuto specifico, in linea con l’esigenza costituzionale di tipicità e tassatività della norma penale222, deve indurre a ritenere corretta l’interpretazione data dal Collegio: è punibile, quindi, non ogni specifica forma di collaborazione o agevolazione ma soltanto quella che postula l’intermediazione nell’altrui mercimonio. Inoltre, l’esigenza, di cui sopra, è maggiormente avvertita a fronte di norme formulate in termini generici, come la norma in esame, già sospetta di illegittimità costituzionale. Il principio di determinatezza, di cui all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, obbliga il legislatore penale a “formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intelligibilità dei termini impiegati”223. Solo a questa condizione, il giudizio di conformità del caso concreto alla previsione astratta non sarà abbandonato all’arbitrio del giudice ed i beni fondamentali del cittadino, a cominciare dalla libertà personale, saranno maggiormente tutelati224. Di fronte alla norma in esame è evidente l’estrema genericità ed elasticità del termine favoreggiamento. Al di là, quindi, dell’apprezzabile interpretazione fornita dai giudici di Perugia, è opportuno che il legislatore penale intervenga eliminando una fattispecie penale costituzionalmente illegittima. D’altronde, tale delitto, oggi, non ha più nessun senso: perché perseguire una condotta di favoreggiamento di un’attività non considerata penalmente illecita? Si deve, infine, osservare che l’affermazione del Collegio è in armonia con l’orientamento espresso nel tempo dalla Corte di Cassazione. A ben vedere, ritornando alla casistica giurisprudenziale esposta nelle pagine precedenti, il requisito dell’intermediazione si riscontra in quasi tutti gli interventi della Suprema Corte che, di recente, non ha ritenuto qualificabile come favoreggiamento della prostituzione, l’attività del domestico della prostituta che si limiti ad aprire la porta ai clienti e ad intrattenerli225. Controversa, in dottrina, è la questione se si tratti di un reato abituale o istantaneo. Coloro che propendono per la prima interpretazione226, danno rilevanza a quell’agevolazione della prostituzione come fatto abituale, come modus vivendi che presuppone una reiterazione di episodi; deve trattarsi di un’attività che assurge a sistema di 222 Sull’origine storica di tale principio e sul suo carattere funzionale ad una determinata forma di governo, cfr., D’Amico, “Il principio di determinatezza in materia penale fra teoria e giurisprudenza costituzionale”, in Giurisprudenza costituzionale, 1998, 315 ss. 223 Corte costituzionale, 8-6-1981, n. 96, in Giurisprudenza costituzionale, 1981, I, 806 ss. La Corte Costituzionale per molto tempo si è attestata su una linea di indiscriminata conservazione e salvataggio dell’esistente; solo a partire dagli anni ottanta, con la storica sentenza, qui citata, del 1981, si è manifestata un’inversione di sentenza che ha portato, in alcuni casi, all’accoglimento delle eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici ordinari. Per una critica del precedente orientamento giurisprudenziale, cfr. C. Palazzo, “Orientamenti dottrinali ed effettività giurisprudenziale del principio di determinatezzatassatività in materia penale”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1991, 333. V. anche, A.M. Maugeri, “I reati di sospetto dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 370 del 1996: alcuni spunti di riflessione sul principio di ragionevolezza, di proporzione e di tassatività”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, II, 946 ss. 224 Cfr. E. Dolcini, G. Marinucci, Corso di diritto penale, IIª ed., Giuffrè, Milano, 1999, p. 95. 225 Cass. pen., 13-01-1999, in Rivista penale, 1999, 247 e in Giustizia penale, 1999, II, 706. 226 I sostenitori dell’abitualità della condotta affermano che ad orientare in tal senso sarebbe l’espresso riferimento normativo alla prostituzione e non ai singoli congressi carnali: cfr., F.Antolisei, op. cit., p. 489; G. La Cute, op. cit., p. 466. F. Mantovani, op. cit., p. 465, ritiene giustificata la severità della sanzione solo se il comportamento incriminato sia quello tipico del lenone, caratterizzato dall’abitualità e dal fine di lucro. Vedi, anche, G. Fiandaca, “L’affaire Véronique: indiscrezione punibile o indiscrezione censoria?”, nota a Tribunale di Roma, 13-11-1985, in Foro Italiano, 1986, II, 498. 213 vita. La tesi, invece, del reato istantaneo è quella che trova maggiori consensi in dottrina ed unanimità in giurisprudenza. Tale orientamento è certamente quello più corretto perché il legislatore ha voluto punire il favoreggiamento in qualsiasi modo attuato. Non è, quindi, richiesta una pluralità di fatti delittuosi227, basta anche un solo atto di agevolazione. Nell’ambito del favoreggiamento è compresa ogni forma d’interposizione, anche casualmente non determinante, purché di natura agevolativa, che s’inserisca tra la volontà di prostituirsi e la scelta della modalità per la più opportuna realizzazione228. Soggetto attivo può essere chiunque e il dolo è generico, è sufficiente la consapevolezza di agevolare la prostituzione altrui229. Il delitto si consuma nel momento in cui sono poste in essere le condizioni favorevoli per l’esercizio della prostituzione, mentre è irrilevante l’effettivo compimento di atti di prostituzione230. Il tentativo è ammissibile tutte le volte in cui la condotta favoreggiatrice non sia portata a termine per cause estranee alla volontà del colpevole231. b) Il delitto di sfruttamento, ignorato dal codice Zanardelli, fu introdotto nella legislazione penale italiana solo nel 1930, con la norma dell’art. 534 del c. p.232 mentre negli altri paesi europei era già previsto e disciplinato233. Il n. 8 dell’art. 3, sostituendo il previgente art. 534 c. p., offre una descrizione normativa più lata234. Il precedente testo limitava il delitto al farsi “mantenere, anche in parte, da una donna, sfruttando i guadagni che essa ricava dalla sua prostituzione”235, mentre adesso vi è la generica espressione “chiunque, in qualsiasi modo… sfrutti la prostituzione altrui”. Innanzi tutto, un’innovazione apprezzabile è l’aver esteso la punibilità allo sfruttamento della prostituzione in genere: soggetto passivo può essere una persona dell’uno o dell’altro sesso236. Invece, in seguito alla soppressione della locuzione “farsi mantene227 Cfr. R.C. Calderone, “Favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione: reati eventualmente abituali e possibilità di continuazione”, nota a Tribunale di Torino, 24-3-1969, in Giurisprudenza di merito, 1970, I, 25 ss.; F. Leone, op. cit., p. 187 ss.; V. Manzini, op. cit., p. 597; G. Pioletti, op. cit., p. 288; A. Santoro, Manuale, cit., p. 535. In tal senso, la giurisprudenza è costante: cfr., da ultimo, Cass. pen., 9-11-1983, in Rivista penale, 1984, II, 571. 228 Cass. pen., 4-5-1984, in Rivista penale, 1985, II, 607; id., 12-4-1978, in Cassazione penale Massime Annotate, 1980, 916. 229 In tale prospettiva, la Cassazione ha ritenuto sussistente il delitto in questione nell’accompagnamento della prostituta sul luogo di prostituzione, anche se interessato ad altro fine, quando l’agente ha la consapevolezza dello scopo di prostituzione del viaggio (nella specie, la prostituta era stata accompagnata dall’ex convivente che aveva addotto di averlo fatto per discutere dalla malattia cronica del loro bambino): sent. 10-11-1982, in Cassazione penale Massime Annotate, 1983, 61. Isolatamente, A. Santoro, op. cit., p. 535, che richiede il dolo specifico del fine di servire all’altrui libidine e F. Mantovani, op. cit., p. 465, che richiede il fine di lucro. 230 Cass. pen., 22-3-1973, in Giustizia penale, 1974, II, 166. 231 Per tutti, G. Pioletti, op. cit., p. 288. 232 Art. 534. Sfruttamento di prostitute. Chiunque si fa mantenere, anche in parte, da una donna, sfruttando i guadagni che essa ricava dalla sua prostituzione, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione… 233 Lo sfruttamento era stato già previsto dalla legge francese (1885), belga (1891), tedesca (1900), norvegese (1902), russa (1923). 234 G. La Cute, op. cit., p. 467. 235 Nella vigenza di tale formula normativa, era pacifico che la norma mirasse a colpire il sistema di vita parassitario di quel soggetto che si faceva mantenere in tutto od in parte dalla donna, sfruttando o guadagni di lei. Sia in dottrina sia in giurisprudenza, il delitto era considerato permanente: L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 8. 236 F. Mantovani, op. cit., p. 467. 214 re”, è sorta la questione se sia indispensabile per la configurabilità del delitto, il requisito dell’abitualità. La prevalente dottrina237 ritiene il delitto necessariamente abituale, o a condotta plurima. Si è sostenuto che nel termine “sfruttamento” sono implicite la continuità e la persistenza dell’azione; esso, in senso tecnico-giuridico, rivestirebbe il significato di “valersi abitualmente e parassitariamente del prodotto dell’altrui attività”238, o come lo ha definito Antolisei, “realizzazione di un apprezzabile vantaggio tratto con sistematicità dai guadagni di chi si prostituisce”239. Lo sfruttamento diviene un fenomeno sociale allarmante quando è contrassegnato dalla reiterazione della condotta, ed è meritevole di un severo intervento legislativo proprio perché determina un incremento del meretricio240. La norma ha, quindi, voluto reprimere un costume di vita che in modo parassitario si accompagna all’altro costume di vita che è la prostituzione241. La sanzione per un singolo episodio isolato che si sia risolto in un indebito profitto economico sarebbe superflua in presenza di altre norme del codice che puniscono la violenza privata, la minaccia, il furto, l’estorsione, la truffa o l’appropriazione indebita. In realtà, è necessario guardare al mutamento normativo accennato e configurare il reato come istantaneo, ed eventualmente abituale, realizzabile, quindi, anche con un unico od occasionale atto di sfruttamento, così come ritiene la stessa giurisprudenza. E’ chiaro che la molteplicità dei fatti criminosi non muta l’unicità del reato242. Non è necessario che da parte dello sfruttatore venga realizzata una condizione di vita parassitaria243, nel senso che egli tragga i mezzi necessari di sussistenza unicamente e totalmente dalla sua attività sfruttatrice. Ad integrare il reato può essere sufficiente anche un solo episodio di percezione di denaro o altra utilità, con la consapevolezza che proviene da guadagni ottenuti con l’esercizio della prostituzione244. A sostegno di tale opinione, si noti il mutamento del dato normativo anche rispetto al testo originario della legge Merlin, poi modificato nel corso dei lavori parlamentari, che configurava la fattispecie “nel trarre in misura prevalente” propri mezzi di sussistenza dai guadagni ricavati dalla prostituzione altrui245. La stessa locuzione “in qualsiasi mo237 A. Calvi, op. cit., p. 95; F. Leone, op. cit., p. 207, sottolinea come la norma parli di sfruttare “la prostituzione” altrui, e non la prostituta, da ciò si deduce che la norma si riferisce alla prostituzione quale costume di vita, attività necessariamente abituale che si riverbera su quella dell’agente; F. Mantovani, op. cit., p. 468; S. Ranieri, op. cit., p. 129; A. Santoro, op. cit., p. 538. Contra, nel senso di reato eventualmente abituale, cfr. G. Rosso, op. cit., p. 1061; G. Vassalli, op. cit., p. 34. 238 F. Donato di Migliardo, “Il delitto di sfruttamento della prostituzione nell’art. 534 c. p. e negli artt. 3 n. 8 e 4 della legge 20 febbraio 1958 n. 75”, in Archivio penale, 1959, I, p. 80. 239 F. Antolisei, op. cit., p. 490 ss. 240 A.A. Calvi, op. cit., p. 97. 241 G. Franchina, “Il chiaro spirito della legge Merlin sicura guida all’interprete”, in Giurisprudenza siciliana, 1961, 124; in giurisprudenza, Cass. pen., 29-3-1982, in Rivista penale, 1989, 871. 242 La giurisprudenza è costante. Cfr. Cass. pen., 19-11-1990, in Rivista penale, 1991, II, 374; id., 4-52984, ivi, 1985, II, 607; id., 11-4-1984, in Giustizia penale, 1985, II, 223; id., 15-11-1983, in Rivista penale, 1984, II, 571; id., 14-5-1979, ivi, 1980, II, 34; id., 22-2-1974, in Giustizia penale, 1975, II, 155; id., 5-10-1972, ivi, 1973, II, 609. Contra, la giurisprudenza meno recente, v. Cass. pen., 16-1-1960, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1960, II, 978. 243 Cass. pen., 22-10-1984, in Rivista penale, 1986, II, 114, secondo cui è sufficiente che l’autore del delitto riceva denaro od altra utilità con la consapevolezza della provenienza dall’attività di prostituzione, non richiedendosi l’estremo di una vita del tutto parassitaria; conseguentemente commette il delitto in questione anche chi utilizzi in parte i mezzi provenienti dalla prostituzione. 244 Cass. pen., 26-6-1981, in Cassazione penale Massime Annotate, 1983, 423. 245 G. Pioletti, op. cit., p. 288. 215 do”, descrivendo in modo generico la condotta senza aggiungere requisiti particolari246, è indice della volontà di punire tutte le attività che ruotano attorno alla prostituzione. Per aversi il delitto di sfruttamento della prostituzione è indispensabile che lo sfruttatore tragga qualche utilità, anche se non necessariamente economica, dall’attività sessuale della prostituta247. E’ tale, ad esempio, l’accettazione di ospitalità, abiti, doni, mezzi finanziari248 per soddisfare le esigenze più varie, così da risparmiare quanto il percipiente avrebbe dovuto spendere del suo249, mentre sono da escludere quelle piccole spese di cortesia che non hanno un rilievo economicamente apprezzabile per il ricevente250. Lo sfruttatore deve trarre profitto senza giusta causa, senza un titolo che legittimi l’erogazione patrimoniale. Conseguentemente il delitto è escluso se chi riceve proventi dalla prostituzione altrui, fornisce, a sua volta, controprestazioni di pari valore, purché si tratti prestazioni che nella loro originaria natura non siano vietate251. Sussiste dunque il reato qualora vi sia un’apprezzabile sproporzione tra il lucro corrisposto e i servizi effettivamente prestati252; si pensi al caso dell’albergatore o gestore di una pensione che, oltre al prezzo della camera, percepisca un compenso per ogni congresso carnale253, oppure pattuisca con la prostituta un compenso pari ad una quota della sua retribuzione (in tal modo infatti realizza un profitto superiore al normale254). La sussistenza degli estremi del delitto (concretizzatesi nella ricezione di somme od altre utilità provenienti dalla prostituta da parte dello sfruttatore) ben può desumersi da un complesso di indizi quali il tenore di vita, la mancanza di un’autonoma attività di lavoro, l’utilizzazione dell’auto 246 F. Leone, op. cit., p. 206, perviene, però, a conclusione diversa. In una recente sentenza della Corte di Cassazione è stato ritenuto insussistente il reato nel caso di frequenti rapporti sessuali, avuti da una ragazza dietro pressioni o minacce del fidanzato, in assenza di prova di un vantaggio ricavato dal predetto: cfr. 20-5-1998, in Cassazione penale, 1999, 1606. Si veda, anche, S. Corbetta, “La finalità lucrativa nello sfruttamento della prostituzione”, in Diritto penale e processo, 1998, n. 9, p. 1083. 248 Cass. pen., 19-11-1990, in Rivista penale, 1992, II, 1605; id., 19-10-1990, ivi, 1991, II, 870, secondo cui non è necessario che l’agente tragga i mezzi di sussistenza in modo esclusivo o prevalente dalla prostituzione, ma è sufficiente che egli, anche se svolga un lavoro e ne spenda i guadagni, profitti del meretricio in qualsiasi modo, anche solo per risparmiare quanto avrebbe dovuto altrimenti spendere; id., 12-4-1983, ivi, 1984, II, 451. 249 Cass. pen., 27-2-1981, in Giustizia penale, 1982, II, 97; id., 15-11-1983, ivi, 1985, II, 483. 250 L’intento economico dello sfruttatore non trasforma lo sfruttamento in reato contro il patrimonio, essendo esso contrassegnato dall’immoralità. La Cassazione ha, pertanto, ritenuto non applicabile la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno di cui all’art. 62, n. 4, c.p.: v. sentenza del 21-11-1961, in Cassazione penale, 1962, 208. 251 Nel senso, invece, che i servizi resi possono essere anche immorali od illeciti, cfr. Cass. pen., 20-101982, in Cassazione penale, 1984, 413, secondo cui la corrispettività può anche concretarsi in un servizio avente ad oggetto l’esercizio di attività non autorizzata; nella specie, però, è stata esclusa la corrispettività nel fatto di chi durante l’arco della giornata concedeva ripetutamente l’uso, protratto ogni volta solo per una decina di minuti, d’una camera della propria abitazione percependo il compenso in ragione di ogni congresso carnale. 252 V. Manzini, op. cit., p. 599. Per una rassegna dell’orientamento giurisprudenziale, v. F. Antolisei, op. cit., p. 491. 253 Cass. pen., 25-3-1985, in Rivista penale, 1986, II, 340; id., 8-11-1983, ivi, 1984, II, 1054, secondo cui integra il reato, il comportamento di portieri e facchini di vari alberghi che introducevano clandestinamente delle prostitute nelle camere e ricevevano, a rapporto carnale consumato, delle somme di denaro dalle prostitute medesime. 254 Cass. pen., 11-12-1975, in Cassazione penale, 1977, II, 1037; id., 11-7-1996, in Giustizia penale, 1997, II, 526. 247 216 della prostituta, la ricezione di regali, i quali pongano in rilievo il carattere parassitario della vita dello sfruttatore e la violazione dell’interesse statale al rispetto dei valori della moralità pubblica e del buon costume255. Non è necessario il pregiudizio patrimoniale della persona256 che si prostituisce, pertanto il compenso può essere pagato indifferentemente dalla prostituta o da un intermediario. Non è necessario, inoltre, che lo sfruttamento sia circondato da modalità vessatorie, in quanto il reato sussiste anche nel caso in cui il soggetto attivo approfitti della spontaneità dell’offerta da parte della prostituta257. In giurisprudenza, si riporta, a riguardo, l’ipotesi del coniuge o convivente more uxorio con la prostituta, che sia a conoscenza della provenienza delle somme dalla prostituzione della propria donna e non dimostri di avere personali introiti che giustifichino il tenore di vita che conduce258. Inoltre, si ritiene che il reato sussiste anche nel caso di marito inabile, che accetta gli alimenti forniti dalla moglie prostituta259, perché le stesse ragioni morali e sociali su cui è fondato il dovere di reciproca assistenza dei coniugi, vietano di collegare ad un rapporto penalmente illecito l’obbligo delle correlative prestazioni, e perché, in virtù del principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, non può ammettersi che un marito sfrutti impunemente la prostituzione della moglie260. Si deve, tuttavia, dissentire da tali pronunzie: ricondurre tali ipotesi al reato di sfruttamento della prostituzione significa ricorrere ad un’interpretazione che va oltre lo stesso dettato legislativo ed, in secondo luogo, equivale a penalizzare la stessa attività di meretricio, che è invece lecita per il nostro ordinamento261. Addirittura, oggi è sempre più diffusa l’idea che la prostituzione nelle sue forme libere e coscienti, deve essere vista come una legittima attività commerciale o lavoro, da normalizzare all’interno appunto di un quadro di diritti paragonabili ad altre forme di lavoro indipendente. Nel caso del marito inabile, inoltre, basta richiamarsi allo stato di necessità, previsto nell’art. 54 c. p., che rappresenta una causa di giustificazione applicabile ad ogni reato262. Il profitto dello sfruttatore deve essere posto in correlazione all’attività di persona che si sta prostituendo. Lo sfruttamento del peculio acquisito in precedenza da una prostituta che abbia smesso il mestiere non dà luogo al reato in esame263. 255 Cass. pen., 5-12-1983, in Rivista penale, 1984, II, 855; id., 26-11-1982, in Cassazione penale, 1984, 412. 256 Cass. pen., 10-11-1987, in Rivista penale, 1988, II, 906; id., 24-3-1986, ivi, 1987, II, 375; id., 31-31980, ivi, 1980, II, 888, che ha ritenuto sussistere il reato anche quando il prezzo pagato per le prestazioni alberghiere fornito per l’esercizio della prostituzione altrui sia pagato non dalla persona che si prostituisce ma da quella con la quale tale persona si prostituisce. 257 Cass. pen., 17-5-1987, in Rivista penale, 1988, II, 233; id., 11-5-1964, in Giustizia penale, 1965, II, 139. 258 Cfr., fra le altre, Cass. pen., 26-11-1982, in Cassazione penale, 1984, 412; id., 4-2-1977, in Giustizia penale, 1977, II, 703; id., 5-11-1969, ivi, 1971, 960. L’ipotesi è espressamente prevista dalla citata legge francese n. 685/1946; la mancata esplicita ripetizione, tenuto conto delle non poche imitazioni, potrebbe anche costituire un argomento per affermare che non era nelle intenzioni del legislatore dare una rilevanza penale alla situazione. 259 Cass. pen., 15-12-1969, in Cassazione penale Massime Annotate, 1971, 135. 260 Cass. pen., 21-5-1985, in Rivista penale, 1986, II, 741; id., 21-4-1980, ivi, 1980, II, 986. 261 In alcuni Paesi europei, come il Belgio e la Francia, è espressamente ammesso che il convivente non è uno sfruttatore. Per un esame delle varie legislazioni sulla prostituzione in Europa, v. sito Internet: www.emiliaromagna.it/oltrelastrada/materiali_lavoro/legislazione/legislazioneeuropea.htm 262 A.A. Calvi, op. cit., p. 111; G. La Cute, op. cit., p. 469. 263 F. Antolisei, op. cit., p. 491. 217 Soggettivo attivo può essere chiunque e il delitto si consuma quando lo sfruttatore percepisce i proventi derivanti dalla prostituzione altrui264. Il tentativo è ammissibile: si pensi ad un accordo tra l’agente e la prostituta circa la percentuale da corrispondere265. Il reato è commesso nel luogo in cui si percepiscono i guadagni della prostituzione altrui, e non quello in cui essa avviene266. Il dolo è generico e consiste nella volontà di sfruttare l’altrui prostituzione, traendo indebito vantaggio da tale attività, con la consapevolezza della provenienza del denaro267. Il motivo di lucro è inerente al fatto268. Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che commette il reato di sfruttamento ed esercizio della prostituzione, aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale, e non il reato di omessa denuncia ex art. 361, l’agente della polizia di stato che eserciti il meretricio in una casa di prostituzione, poiché la qualifica di agente di polizia giudiziaria la gravava di una particolare posizione di garanzia avente come contenuto l’obbligo giuridico di evitare l’agire illecito di terzi. L’aver concorso mediante omissione nel reato materialmente commesso da altri (i gestori dell’abitazione nella quale la stessa esercitava la prostituzione) comporta responsabilità ai sensi dell’art. 40, secondo comma, c. p. nel reato da questi commesso269. E’ da tenere presente che l’interesse tutelato nella norma, non è l’interesse privato della persona che si prostituisce, che anzi si presume consenziente al comportamento del soggetto attivo, ma l’interesse della collettività al mantenimento del buon costume e della pubblica moralità, che vengono lesi dal vantaggio ingiustificato tratto dai proventi dell’altrui prostituzione per il disvalore sociale e morale che presenta tale forma di parassitismo270. In tale ottica, la persona che si prostituisce, non potendosi considerare persona offesa dal reato271, è definita “oggetto materiale” del reato o “soggetto passivo”272. Non può quindi costituirsi parte civile273 e chiedere il risarcimento dei danni patrimo264 Per tutti, si veda, G. Gustapane, op. cit., p. 149. Contra, F. Leone, “Il problema del tentativo”, cit., p. 129, il quale afferma che il reato si consuma non appena si manifesta il requisito dell’abitualità. 265 Cass. pen., 27-6-1984, in Rivista penale, 1985, II, 608; è necessario, quindi, almeno un approccio diretto al conseguimento del profitto. In tale ottica, si è sostenuto che il fatto che non fosse stato presentato alcun cliente alla donna, se di per sé, non esclude il reato di induzione, non concreta gli estremi del delitto di sfruttamento neanche nella forma tentata: Cass. pen., 27-11-1987, in Rivista penale, 1988, II, 610. 266 Cass. pen., 23-2-1982, in Rivista penale, 1983, II, 345. 267 Cass. pen., 26-1-1976, in Giustizia penale, 1977, II, 59. In dottrina, v. G. La Cute, op. cit., p. 468; A. Santoro, op. cit., p. 237. Contra, Cass. pen., 11-7-1996, in Giustizia penale, cit., secondo la quale sarebbe necessario il dolo specifico, concretatesi nella volontà del colpevole di trarre vantaggio economico dalla prostituzione, mediante la partecipazione totale o parziale ai guadagni che la donna ritrae dall’illecito mestiere. 268 F. Leone, Delitti di prossenetismo, cit., p. 227. 269 Cass. pen., 30-1-1996, in Giustizia penale, 1997, II, 170. 270 F. Leone, op. cit., p. 194; G. Pioletti, op. cit., p. 289. 271 V. De Franco, “Questioni concernenti la persona offesa dal reato, la struttura del reato ed il concorso materiale di reati nel delitto di favoreggiamento e sfruttamento della altrui prostituzione”, in Rivista penale, 1959, II, 988. Contra D. De Gennaro, op. cit., p. 226; F. Donato Di Migliardo, “Il delitto di sfruttamento”, cit., p. 79; M. Mazzanti, “La prostituta come soggetto passivo nel quadro dei reati previsti dalla legge Merlin”, in Giustizia penale, 1961, II, 884 ss. 272 A.A. Calvi, op. cit., p. 73, pur riconoscendo che la norma protegge indirettamente anche ogni interesse particolare che fa capo alla prostituta, precisa che in quegli interessi non è dato ravvisare, sul piano interpretativo, una rilevanza autonoma. Definisce, quindi, la prostituta come soggetto passivo del reato. F. Leone, op. cit., p. 198, considera la persona che si prostituisce oggetto materiale del reato mentre soggetto passivo è unicamente lo Stato. 273 In dottrina, contra, F. Donato Di Migliardo, op. ult. cit., p. 78, che si rifà alla locuzione “salvo in ogni caso l’applicazione dell’articolo 240 del codice penale”, presente nell’art. 3 della legge Merlin. Il sum- 218 niali274. E’, invece, pacifica la costituzione di parte civile della persona che si prostituisce nel caso aggravato ai sensi dell’art. 4, n. 1: il reato di sfruttamento, aggravato dall’uso della violenza, è un reato pluri offensivo in quanto incide negativamente anche sul patrimonio della prostituta sottoposto a falcidia dovuta non alla sua libera volontà bensì alla costrizione giuridica su di lei esercitata275. Nonostante l’identità della pena, non vi sono dubbi della maggiore gravità dello sfruttamento nei confronti del favoreggiamento, non solo sul piano etico, ma anche su quello giuridico tant’è che è prevista l’applicazione obbligatoria di una misura di sicurezza detentiva per lo sfruttamento e non certamente per il favoreggiamento276. La Cassazione ha, anche di recente, rimarcato la differenza tra i due delitti, correlandola all’elemento materiale e psicologico277. Il favoreggiamento si esplica mediante la creazione di più facili condizioni dirette ad agevolare in concreto l’altrui prostituzione, indipendentemente dall’intento speculativo, con la coscienza e volontà di favorire la prostituzione. Lo sfruttamento, invece, si realizza con una partecipazione ai guadagni o alle altre utilità ricavate dall’esercizio della prostituzione altrui e il dolo consiste nella coscienza e volontà di trarre vantaggio economico dalla prostituzione. Va infine rilevato che lo sfruttamento ha perso il carattere di delitto sussidiario278 che, nella precedente normativa, gli derivava dalla locuzione “salvo che il fatto costituisca un più grave delitto”. Di qui è sorta la problematica del concorso formale dello sfruttamento, commesso con violenza, minaccia od inganno, con alcuni delitti previsti nel codice penale. E’ escluso il concorso formale tra l’estorsione e lo sfruttamento,mentre vi è concorso con il reato di violenza carnale279 perché si sostiene che le minacce e le violenze esercitate nei confronti di una donna per indurla a congiungersi con occasionali clienti, sono elementi costitutivi sia del reato di violenza carnale che del reato di sfruttamento della prostituzione280. Con riferimento al reato di truffa (art. 640 c.p.), si è affermato, invece, che esso deve ritenersi assorbito in quello di sfruttamento aggravato per l’uso dell’inganno281, configurandosi un reato complesso, ex art. 84 c. p. Si è riconosciuto il concorso con il reato di concussione nel caso dell’agente di polizia che, abusando della sua qualità e delle sue funzioni, aveva costretto più volte una prostituta a consegnarli il denaro in cambio della sua protezione282. menzionato articolo stabilisce che la confisca non può disporsi se la cosa che costituisce il profitto del reato appartiene a persona estranea al reato stesso e tale è la persona sfruttata. Ma, per ottenerne la restituzione, allorché un procedimento penale a carico dello sfruttatore venga instaurato, il soggetto passivo non ha altra via che quella di costituirsi parte civile ai sensi degli artt. 22 e 23 c.p.p. 274 Cass. pen., 12-1-1976, in Giustizia penale, 1977, I, 59. 275 Cass. pen., 12-5-1972, in Cassazione penale Massime Annotate, 1973, 1575. 276 Cass. pen., 16-6-1980, in Cassazione penale Massime Annotate, 1981, 2115. 277 Cass. pen., 11-12-1998, in Rivista penale, 1999, II, 603. 278 D. De Gennaro, op. cit., p. 223. 279 Il delitto di violenza carnale previsto nell’art. 519 c. p., nel capo intitolato “dei delitti contro la libertà sessuale”, è stato abrogato dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66 e sostituito dal delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c. p., inserito nella sezione intitolata “delitti contro la libertà personale”. Si noti la notevole importanza di questa diversa impostazione. 280 Cfr., anche per una rassegna giurisprudenziale, L. Bontempi, Commento alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, in Codice penale commentato, a cura di E. Dolcini e G. Marinucci, parte speciale, Assago Ipsoa, Milanofiori, 1999, p. 109. 281 M. Bertolino, op. cit., p. 113. 282 Cass. pen., 12-1-1993, in Rivista penale, 1994, II, 102 ss. 219 Una recente sentenza della Cassazione ha deciso che la confisca del denaro sequestrato alla prostituta sia illegittima, in quanto solo il denaro consegnato allo sfruttatore rientra nella nozione di prezzo o provento del reato283. In tema di confisca di immobili, serviti a commettere il reato di sfruttamento della prostituzione, occorre che la cosa non appartenga a persona estranea al reato, da intendersi in senso ampio, cioè comprensivo dei diritti reali di garanzia e non solo della proprietà, con riferimento al momento in cui viene esercitato il potere di confisca da parte del giudice e non a quello della commissione del reato284. 8.6. L’oggetto della tutela penale Il bene giuridico tutelato dalle norme contenute nella legge Merlin, è identificato nella pubblica moralità e nel buon costume. L’espressione “moralità pubblica” si riferisce alle manifestazioni dell’istinto sessuale in contrasto coi precetti dell’etica e, perciò, equivale a moralità sessuale. La locuzione “buon costume” comprende quelle abitudini che hanno attinenza con le predette estrinsecazioni della sessualità285. La prostituzione è considerata come un fenomeno socialmente dannoso286 e si vuole arginare il fenomeno del parassitismo in quanto lesivo della dignità e libertà personale di chi si prostituisce e fonte di pericolo per l’ordine pubblico, non solo per quanto riguarda il costume e la morale sessuale, ma anche per i collegamenti con il mondo della malavita organizzata287. Con tale legge, e soprattutto con la chiusura delle case, si è voluto moralizzare la società, purgandola di una piaga sociale ritenuta insopportabile e disgustosa, nonché contraria ai principi della religione cattolica. Il legislatore si è, quindi, schierato contro tutto ciò che ruota attorno al fenomeno della prostituzione, salvo l’atto di prostituzione stesso che è lecito. La legge, inoltre, intende offrire una tutela anche all’interesse della persona dedita alla prostituzione a non essere strumentalizzata, sfruttata, per la sua debolezza psichica, per le difficoltà dell’esercizio della sua attività, derivanti dalle inevitabili connessioni con le organizzazioni criminali. Ciò è particolarmente evidente per alcune ipotesi di lenocinio di cui all’art. 3, dove si vuole proteggere la personalità di chi risulti succube, vittima inerme nel mondo della prostituzione288. Nell’ottica legislativa, però, la prostitu283 380 Cass. pen., 31-3-1995, in Cassazione penale, 1996, 3120. Cfr. anche Cass. pen., 10-1-1992, ivi, 1994, 54, che ha disposto la restituzione di profilattici, fruste, vibratori, cassette video porno confiscate all’imputato dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, ritenendo che tali oggetti non costituiscono il prezzo del reato; id., 10-5-1997, ivi, 1998, 1187, secondo cui il soggetto nei cui confronti sia stata disposta l’applicazione di pena concordata per il reato di sfruttamento della prostituzione non ha titolo ad ottenere la restituzione delle somme sequestrate ed acquisite in virtù di tale attività criminosa. 284 Cass.pen., 12-5-1998, in Cassazione penale, 2000, 371.. Sulla motivazione che giustifica la confisca di tali immobili, Cfr. Cass.pen., 13-6-1997, in Giustizia penale, 1998, II, 518. 285 Cfr. F.Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1996, p.494. L’espressione “delitti contron la moralità e il buon costume” è, d’altronde, pleonastica. 286 F.Mantovani, op.cit., p.483. 287 L. Pavoncello Sabatini, op. cit., p. 9. 288 La novità legislativa consiste nel riconoscere un ruolo diverso alla prostituta, la legge Merlin le ha voluto attribuire nuova dignità e status sociale: cfr. G. La Cute, op. cit., p. 474 ss. Di contro, si osserva che la persona che si prostituisce è tutelata dalle norme del codice penale relative ai reati contro la persona e contro il patrimonio: A.A. Calvi, op. cit., p. 69. 220 ta è tutelata come una persona incapace di autodeterminarsi o alla quale non è permesso di farlo e viene protetta paternalisticamente dallo Stato. Tuttavia, mentre, quest’incapacità sussiste nei casi di sfruttamento, la presunta incapacità di scelta non è invece, riscontrabile nelle altre ipotesi previste dal legislatore del 1958. In uno stato liberale democratico, dove sono riconosciuti dei diritti di libertà all’individuo, tra cui quello di rilevanza costituzionale289 della libertà sessuale290, è legittimo riconoscere tale diritto anche alla prostituta291. Le pratiche sessuali degli individui sono le più varie, senza che queste possano essere compresse da esigenze morali. Il legislatore deve astenersi dalla repressione penale delle devianze sessuali, come tali, nella misura in cui non ledano diritti altrui. Ciascuno può, in materia sessuale fare ciò che vuole, finché non lede beni giuridici diversi dalla mera moralità pubblica292. In conclusione, se alla prostituta – adulta e non inferma – si riconosce, com’è giusto che sia, un pieno diritto di autonomia personale, non solo potrebbe, ma avrebbe, il diritto di esercitare il suo mestiere e nessuno potrebbe proibire chicchessia di agevolarla o di favorirla nell’esercizio di tale diritto. Anzi, chi la agevola o favorisce, attuerebbe nei suoi confronti un’attività di aiuto, e quindi, non avrebbe nessun senso punire chi dà una mano ad una persona nell’esercitare un proprio diritto293. In tale prospettiva, l’intervento del diritto penale è fuori luogo e a rischio di incostituzionalità. Quanto alla moralità pubblica e buon costume, è un bene giuridico oggi non più degno di tutela come tale294, senza che altri beni giuridici sorreggano in qualche modo l’incriminazione. E, dunque, la repressione penale di alcune condotte, di cui alla legge Merlin, non è affatto giustificata295. In realtà, il legislatore penale deve intervenire solo nei confronti dello sfruttamento vero e proprio, dove è giusto punire chi deriva dalla propria attività di collaboratore della prostituta un guadagno eccessivo rispetto al giusto o forzando in qualsiasi modo la libertà della stessa296. Mentre, chi guadagna semplicemente ciò che gli spetta e non coarta la volontà della prostituta, non deve rispondere di sfruttamento della prostituzione altrui: si pensi al coniuge o convivente della meretrice297. Ovviamente, non vanno trascurate né sminuite si289 Cfr. Corte Cost., sent. n. 561/1987, in Foro italiano, 1989, I, 2113 ss., con nota di L. Mannelli, “Della libertà sessuale e del suo fondamento costituzionale”. 290 Tale diritto rientra nel più generale diritto all’autonomia personale o, all’inglese, privacy. 291 D’altronde, la stessa senatrice Lina Merlin aveva espressamente ammesso la necessità di riconoscere dei diritti alla prostituta. Ma dello spirito fortemente emancipato del progetto originario, è rimasto quasi nulla. 292 V. A. Cadoppi, Sub art. 1 legge 3 agosto 1998, n.269, in Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, a cura di A. Cadoppi, IIª ed., Cedam, Padova, 1999, p. 441. 293 Le Sezioni Unite della Cassazione hanno addirittura sentenziato che costituisce agevolazione reciproca della prostituzione il fatto di più prostitute che, convivendo in comune alloggio e associandosi nelle spese, realizzino migliori prestazioni ai clienti: Cass. pen., 03-02-1973, cit. 294 Sul punto, per tutti, nella nostra dottrina, G. Fiandaca, Problematica dell’osceno e tutela del buon costume, Cedam, Padova, 1984. 295 Sull’esigenza di una decisa rivisitazione in chiave restrittiva della legge Merlin, v., per tutti, T. Padovani, in T. Padovani, L. Stortoni, Diritto penale e fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Zanichelli, Bologna, 1992, p. 61 ss. 296 Cfr. A. Cadoppi, P. Veneziani, Sub art. 2, comma 1, legge 3 agosto 1998, n. 269, in Commentari delle norme contro la violenza sessuale e delle legge contro la pedofilia, cit., p. 460. 297 Cass. pen., 15-12-1969, cit. 221 tuazioni frequenti, in cui la donna è costretta a prostituirsi, magari “importata” come una schiava da paesi lontani con promesse mai mantenute, dietro minacce, violenze, ricatti, e quant’altro. E’ qui è opportuno un intervento ad hoc del legislatore. Infine, il soggetto titolare dei beni del buon costume e della moralità pubblica, è lo Stato che rappresenta la “persona offesa del reato”298. Il soggetto che si prostituisce è, invece, considerato “soggetto passivo del reato”299, od “oggetto materiale del reato”300. Soltanto nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 4, n. 1 viene definito “danneggiato dal reato”, con la possibilità, quindi, di costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento dei danni301. Se, invece, si riconoscerà che l’oggetto giuridico da tutelare è la libertà sessuale, che non è certo un attributo della società, ma dei soggetti che subiscono l’offesa, ciò determinerà, finalmente, un trasferimento dei delitti in materia di prostituzione, nella categoria dei reati contro la persona302. Parte Seconda - Le disposizioni contro le immigrazioni clandestine 8.7. Quadro generale del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286303, 77 T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero Si tratta di un intervento normativo organico che affronta il problema dell’immigrazione di cittadini extracomunitari, sotto molteplici aspetti. Tale esigenza normativa, in realtà, non era più procrastinabile, essendo ormai più che evidenti i limiti della cosiddetta “legge Martelli” (legge 28 febbraio 1990, n. 39)304. Il fenomeno dell’immigrazione ha assunto, negli ultimi anni, notevoli dimensioni (si pensi gli esodi 298 L. Bontempi, op. cit., p. 3941. Contra, nel senso che persona offesa è anche la prostituta, e, quindi, è ammissibile la sua costituzione di parte civile, cfr. G. La Cute, op. cit., p. 475. 299 Cass. pen., 14-12-1966, in Cassazione penale Massime Annotate, 1967, 1084. 300 F. Leone, op. cit., p. 198. 301 Cass. pen., 10-5-1963, in Giustizia penale, 1963, II, 716; id., 7-3-1962, in Archivio penale, 1964, II, 114. 302 Ricordiamo l’importante legge del 15 febbraio 1996, n. 66, che ha riconosciuto i delitti di violenza sessuale come reati contro la persona, con tutte le importanti conseguenze che ne derivano, come la perseguibilità degli stessi a querela di parte. Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1996, p. 497. 303 In Gazzetta Ufficiale del 18 agosto 1998, n. 191. La delega al Governo per la redazione del suddetto testo unico era prevista negli articoli 46 e 47 della legge 6 marzo 1998, n. 40: cfr. O. Forlenza, Un debutto immediato per il provvedimento: dal 27 marzo regole sul banco di prova, in Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 1998, 12, 92 ss.; L. Pepino, “Immigrazione, politica, diritto (note a margine della legge n. 40/1998)”, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1999, 1, p. 11 ss. 304 Pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 1990, n. 49. La disciplina precedente era data, inoltre, da sei decreti legge, che si sono susseguiti dal 1995 al 1996 e dalla legge 9 dicembre 1996, n. 617, di “salvaguardia degli effetti prodotti” a seguito di decadenza dei decreti di cui sopra, per mancata conversione. Per una ricostruzione delle norme ricordate, cfr. M. Menichelli, “Nell’attesa di una nuova disciplina per l’immigrazione e la condizione dello straniero”, in Diritto penale e processo, 1997, 3, 358 ss.; M. Saraz e F.M. Cestelli, voce “Immigrazione”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, XV, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1989, p. 1 ss. 222 di massa verificatosi dai territori della Somalia, dell’ex Iugoslavia e dell’Albania) e posto nuove problematiche305 non prevedibili, ovviamente, dal legislatore del 1990. La nuova legge ha posto le basi per una consapevole ed attenta gestione del problema dell’immigrazione, sia valutando la sostenibilità degli arrivi e delle permanenze di cittadini extracomunitari nel nostro paese, sia provvedendo ad attuare una disciplina delle espulsioni per le situazioni contra legem, garantendo, tuttavia, il rispetto dei diritti fondamentali306, sia, infine, disciplinando il rapporto di lavoro e le condizioni stesse di vita (sotto i profili dell’assistenza sanitaria, dell’integrazione sociale e dell’istruzione) dei cittadini extracomunitari in Italia307. Per quanto concerne i problemi relativi all’immigrazione clandestina, è importante, sottolineare il fatto che ciò che è penalmente rilevante non è l’immigrazione clandestina, quanto piuttosto l’agevolazione o lo sfruttamento di tale fenomeno. 8.8. Immigrazione clandestina aggravata dalla finalità di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della stessa (art. 12, comma 3) L’articolo 12, comma 1, del d.lgs. 286/1998 punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a trenta milioni, chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione di disposizioni di legge308. Si tratta della stessa fattispecie criminosa, di cui all’art. 3, comma 8, della legge Martelli309, ripresa dal legislatore del 1998 e ampliata attraverso la previsione di ulteriori circostanze aggravanti ad effetto speciale310. Di particolare interesse, ai nostri fini, è proprio una di queste nuove circostanze e cioè la disposizione del terzo comma che punisce il fatto commesso “al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della stessa, ovvero riguarda l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamen- 305 Per un esame sui reati commessi dagli immigrati, tra cui quello di sfruttamento della prostituzione, si rinvia ad E.U. Savona, A. Di Nicola, “Migrazioni e criminalità. Trent’anni dopo”, in Rassegna di criminologia, 1998, 169 ss.; M. Barbagli, Immigrazione e criminalità, Il Mulino, Bologna, 1998. 306 Cfr. A. Giasanti, “Prospettive minime di tutela dell’immigrato clandestino”, in Diritto penale e processo, 1998, 2, 245. 307 V. in tema di espulsioni, O. Forlenza, Le norme sull’espulsione trovano efficacia ma il legislatore si perde sulla giurisdizione, in Guida al diritto Il Sole 24 Ore, 1998, 12, 109 ss.; R. Finocchi Ghersi, Quarantanove articoli per uscire dall’emergenza: magistrati e avvocati pronti all’applicazione, ivi, 102 ss. 308 Il legislatore ha adempiuto all’impegno di sanzionare le condotte di favoreggiamento ed organizzazione dell’immigrazione clandestina assunto in sede internazionale. Difatti, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, impegnava tutti gli Stati contraenti a stabilire appropriate sanzioni “nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero ad entrare o a soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione… relativa all’ingresso ed al soggiorno degli stranieri”. L’Accordo e la relativa Convenzione sono entrati in vigore nell’ordinamento italiano in forza della l. 30 settembre 1993, n. 388. 309 La legge Martelli, nell’art. 3, comma 8, già prevedeva come reato il compimento di attività dirette a favorire l’ingresso illecito di stranieri nel territorio dello Stato, sia pure con la più lieve pena della reclusione fino a due anni o della multa fino a due milioni. Per un commento della disciplina previgente, cfr. M. Meneghello, S. Riondato, “Commento agli artt. 2, 3 e 4, profili penalistici”, in La condizione giuridica dello straniero, a cura di G. Nascimbene, Cedam, Padova, 1997, 227 ss. 310 Sulla natura circostanziale delle previsioni cfr. Cass. pen., 27-11-1996, in Giustizia penale, 1997, II, 530; id., 9-11-1995, in Cassazione penale, 1997, 863; id., 15-1-1996, ivi, 1997, 864. 223 to”311. In tale ipotesi, il regime sanzionatorio è decisamente severo poiché è prevista la pena della reclusione da cinque a quindici anni312 e la multa di cinquanta milioni per ogni straniero di cui si è favorito l’ingresso. Con tale disposizione313 il legislatore ha voluto affrontare il fenomeno sempre più massiccio del traffico di immigrati clandestini a fini di prostituzione. Tale norma, tuttavia, s’inserisce nel già complesso e poco coordinato panorama normativo di disposizioni-confine rispetto alla tratta: si pensi all’art. 601 c.p. e alla fattispecie prevista dall’art. 3, n. 6 e 7 della legge Merlin. Passando all’analisi del nuovo reato così circostanziato, soggetto attivo del delitto in esame può essere, indifferentemente, sia lo straniero extracomunitario (regolare o meno) che il comunitario o il cittadino italiano314 mentre il delitto non riguarda lo straniero illecitamente entrato nel territorio, il quale è soggetto all’espulsione amministrativa315. A tale ultimo proposito, data la misura della pena (cinquanta milioni per ogni straniero), è da ritenere che la fattispecie penale sussiste anche nel caso in cui l’attività venga posta in essere nei confronti di una sola persona316. La condotta penalmente punibile consiste nel compiere attività dirette a favorire nel territorio nazionale l’ingresso di stranieri, in violazione delle disposizioni di legge. Si tratta di una fattispecie dolosa a consumazione anticipata317 poiché il reato è perfetto già in presenza del fatto diretto a realizzare l’obiettivo preso di mira, senza che ne sia necessario l’effettivo conseguimento, e cioè l’ingresso clandestino. La condotta comprende, quindi, qualsiasi attività di istigazione, di cooperazione ed, in genere, di aiuto318 prestato ai cittadini stranieri i quali, grazie a tale attività, entrino in Italia violando gli obblighi319. Vi rientra anche l’attività di trasporto alla frontiera320: si pensi agli scafisti che fanno continuamente sbarcare clandestini sulle nostre coste. E’ necessario, tuttavia, fare una precisazione. Non c’è dubbio che il concetto di attività di311 Cfr. C.M. Pricolo, Sub art. 9 l. 3 agosto 1998, n. 269, cit., p. 666, che parla di una ipotesi di reato autonoma e speciale rispetto a quella del comma 1. 312 Tale pena della reclusione è equivalente a quella del delitto di riduzione in schiavitù, di cui all’art. 600 c.p. 313 E’ da rilevare che non si tratta, tuttavia, di una novità assoluta perché la norma in esame era stata introdotta dal d.l. n. 489 del 1995, successivamente non convertito. 314 Cfr. A. Callaioli, M. Cerase, “Il testo unico delle disposizioni sull’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero: una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione”, in La Legislazione penale, 1999, 1/2, 284. 315 M. Musso, voce “Immigrazione”, in Digesto delle discipline penalistiche, VI, Utet, Torino, 1992, p. 169. 316 In tal senso, anche, C.M. Pricolo, op. cit., p. 666. Del resto, il legis latore ha previsto la responsabilità penale (con la reclusione fino a quattro anni) di chi agevola la permanenza dello straniero nel territorio e tra, le circostanze aggravanti, è compresa quella riguardante l’ingresso di cinque o più persone (art. 12, comma 3). 317 In tal senso, A. Callaioli, M. Cerase, op. cit., p. 284. 318 Si pensi a colui che presti il denaro necessario per il viaggio allo straniero che ne è privo per raggiungere l’Italia: v. Corte d’Appello di Torino, 3-2-1999, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1999, 1, 213 ss. 319 M. Musso, voce “Immigrazione”, cit., p. 564. 320 Cfr. Tribunale di Siracusa, 7-1-1999, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1999, 1, 209 ss., che ha condannato per favoreggiamento dell’ingresso clandestino, cinque cittadini del Libano i quali dopo aver prelevato settanta cittadini curdi in territorio extracomunitario, li hanno trasportati a bordo di una motonave e sbarcati in Sicilia; Cass. pen., 8-2-2000, in Cassazione penale, 2000, 11, 3131. 224 rette a favorire non sia sufficientemente determinato, prestandosi così a qualche dubbio di legittimità costituzionale. D’altronde, per mitigare la genericità della norma, è da ritenersi, anche alla luce delle pur scarse pronunce della Suprema Corte in materia, che il reato non riguarda le attività successive a tale ingresso illecito, quali ad esempio il trasporto degli immigrati clandestini verso altri Stati321. Tale conclusione è condivisibile posto che un’attività favoreggiatrice susseguente a quella che ha agevolato l’illecito ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato è, oggi, punita per effetto dell’art. 12, comma 5, del d.lgs322. In conclusione, le condotte successive all’entrata del clandestino nello Stato, non sono comprese nell’ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso clandestino323. Nonostante ciò, non è da escludersi un concorso nel reato tra soggetti che operano da una parte del confine, segnatamente nello Stato di partenza, ed altri operanti, invece, nello Stato ove gli stranieri sono diretti, purché vi “siano elementi da cui si possa ragionevolmente affermare la cointeressenza di taluno all’attività degli altri, anche se non conosciuti direttamente”234. Diversamente opinando, se si pensasse che la normativa in esame intende colpire tutte le umane condotte che, soggettivamente od oggettivamente, rafforzano il proposito di entrare illegalmente in Italia, si potrebbe sostenere che per un congiunto di un potenziale clandestino, il mero fatto di essersi stabilito in Italia, è già in qualche modo un’attività favoreggiatrice. E’ chiaro che una simile ricostruzione del reato è del tutto aberrante. A dimostrazione della genericità della fattispecie, ricordiamo, in giurisprudenza, il caso di un gestore di appartamenti accusato del reato di cui all’art. 12, comma 1, perché locava gli immobili a donne straniere senza permesso di soggiorno e sostituiva sistematicamente le inquiline espulse con nuove conduttrici, sempre immigrate clandestine, offrendo così uno stabile punto di riferimento per l’organizzazione che si occupava dell’ingresso clandestino325. Un’altra particolarità di quest’intervento dei magistrati è data dal fatto che è stato disposto il sequestro dell’immobile, non per la sua destinazione all’esercizio 321 Cfr. Cass. pen., 16-11-1995; id., 2-2-1996. Tale norma stabilisce che “Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme della presente legge, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni”. Tale disposizione si espone a dei rilievi critici: si pensi alla locuzione “nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo”, che descrive in modo alquanto ambiguo uno degli elementi della condotta. 323 Ad esempio, il Tribunale di Gorizia, 19-6-1999, in Diritto Immigrazione e cittadinanza, 1999, 3, 179 ss., ha ritenuto che l’ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso clandestino non sussiste nei confronti di un marito recatosi al confine, per accogliere la moglie ed il figlio, entrati clandestinamente. 234 In tale senso, Cass. pen., 26-1-1993, in Cassazione penale Massime annotate, 1993, 4, 119, la quale ha stabilito che “la partecipazione alla raccolta di stranieri, che abbiano attraversato clandestinamente il confine di Stato, in coordinazione con altri operanti a tal fine nel territorio dello Stato confinante… costituisce attività diretta a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato”. 325 Cfr. Tribunale di Bologna, 10-4-2000, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 2000, 2, p. 167. 322 225 della prostituzione, – nel qual caso sarebbe pacifico326 – ma perché agevolava la permanenza in Italia dello straniero irregolare o clandestino327. Ai fini dell’applicabilità del comma 3, è necessario, comunque, che la suddetta condotta sia sorretta dalla finalità di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento, oppure deve riguardare l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento. Non è, quindi, necessario che poi segua concretamente il reclutamento o lo sfruttamento della prostituzione dei clandestini perché, in tal caso, se si tratta di adulti, vi è un concorso di norme, tra l’art. 12, comma 3, e le ipotesi previste dalla legge Merlin; se, invece, si tratta di minori, si è responsabili anche ai sensi dell’art. 600 bis c.p., riguardante l’autonomo delitto di prostituzione minorile. Un altro aspetto della norma che solleva dubbi sulla sua corretta redazione, riguarda la clausola di rinvio; mentre in passato il rinvio era, con tutta evidenza, rivolto al reato di intermediazione nei movimenti illeciti di lavoratori extracomunitari, abrogato dalla legge in esame, tale rinvio, oggi, appare maggiormente indeterminato. Comunque, al di là dell’opportunità di tale intervento legislativo per far fronte al traffico dei migranti clandestini, è importante sottolineare che, prima di introdurre delle nuove norme, era forse necessario, per non creare ulteriori incertezze interpretative, partire dalle norme penali già esistenti in materia, al fine di garantire un quadro normativo organico e coerente e, quindi, più efficace nella lotta contro il traffico degli esseri umani. Per concludere, un’importante innovazione che merita un accenno è la disposizione (unica in Europa) dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione, che prevede la misura del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, a favore dello straniero nei cui confronti siano accertate situazioni di violenza o grave sfruttamento ed emergano gravi pericoli per la sua incolumità connessi al tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di associazioni finalizzate al compimento dei delitti in materia di prostituzione328. In sostanza, si tratta di un sostegno alle prostitute che vogliono uscire dal giro. La realtà dei procedimenti in corso dimostra che solo se le vittime rendono dichiarazioni è possibile arrivare all’individuazione e alla condanna dei trafficanti. D’altra parte, a causa delle intimidazioni cui sono sottoposte, le persone trafficate sono spesso restie alla denuncia. Per ottenere la loro fiducia occorre prima di tutto considerarle titolari di diritti che l’ordinamento giuridico del nostro paese è disposto a tutelare329. Nell’art. 18 del T.U. 326 Giurisprudenza pressoché pacifica consente, infatti, il sequestro degli immobili serviti a commettere il reato di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione ex art. 3 l. n. 75/1958. Si vedano, da ultime, Cass. pen., 13-6-1997, in Giustizia penale, 1998, II, 518; id., 12-5-1998, in Cassazione penale, 2000, 2, 371. 327 Sull’iter logico seguito dal Gip nel convalidare il sequestro e sugli interrogativi che ha sollevato, v. V. Ferraris, “Sequestro preventivo penale di immobile destinato alla permanenza di prostitute senza titolo di soggiorno”, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 2000, 2, p. 63 ss. 328 “Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75… ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti… il questore rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza sociale”: art. 18 del T.U. sull’immmigrazione. 329 Cfr. M.G. Giammarinaro, “Prime valutazioni sull’attuazione delle norme sul traffico di persone”, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 2000, 3, 53. 226 sull’immigrazione si è, invero, compiuto il primo passo verso una tutela giuridica dei diritti delle prostitute straniere. Tale istituto330 si muove, d’altronde, non solo in una logica di efficienza giudiziaria, ma anche in una diversa ottica umanitaria (non assistenzialistica), esterna e complementare agli strumenti di diritto penale, che incrocia correttamente il tema dello sfruttamento (anche sessuale) con quello dell’immigrazione clandestina. Parte terza - Il reato di sfruttamento della prostituzione nella giurisprudenza ordinaria 8.9. Lo sfruttamento della prostituzione: una nuova forma di riduzione in schiavitù Gli eventi politici ed etico sociali di questi ultimi anni, come gli sbarchi clandestini, l’immigrazione di massa incontrollata ed incontrollabile, nonché le nuove forme di turismo “sessuale”, hanno dato origine ed incrementato un vero e proprio mercato di vite umane, dove è prevalente la presenza di soggetti deboli, come le donne ed i bambini331. Si pensi alle storie, che si leggono nelle cronache di un qualunque giornale, di ragazze rapite, prezzate e vendute per essere destinate alla prostituzione332. Il mondo della prostituzione è notevolmente cambiato dall’approvazione della legge Merlin. Oggi, giovani albanesi, nigeriane, ragazze dell’est Europeo333 ed, immigrate in genere, sono costrette da organizzazioni sempre più spietate a battere i marciapiedi delle nostre città. Si tratta di un vera forma di schiavitù che richiede interventi urgenti, sia sul piano sociale e politico, sia sul piano legislativo. Lo stato di schiavitù si concreta nella negazione totale dello stato di libertà dell’individuo334. E’ un istituto antico che ebbe la sua massima espansione nei secoli XVII e XVIII, con la deportazione sistematica di persone dall’Africa alle Americhe335. Oggi si assiste all’affermarsi di nuovi stati di soggezione, dove si riscontra ancora l’assoggettamento di un uomo al dominio dell’altro; la persona si trasforma in una res, di cui si può disporre a piacimento. Sul piano legislativo, si è giunti all’approvazione della legge del 3 agosto 1998, n. 269336, concernente norme contro lo sfruttamento della 330 M.G. Giammarinaro, “Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 del T.U. sull’immigrazione”, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 1999, 4, p. 34; V. Castelli, “Commento all’art. 16: prime riflessioni… ad alta voce” al sito internet: www.regione.emiliaromagna.it/oltrelastrada/materiali_lavoro/legislazione.html 331 G. Porco, “Schiavitù un fenomeno in trasformazione”, in Giustizia penale, 1998, II, 730. Per un’analisi sul nuovo commercio di vite umane, v. M.P. Colombo Svevo, “Il ritorno della tratta di esseri umani”, in Aggiornamenti sociali, 1996, n. 7-8; S. Barlay, Schiavitù sessuale, Feltrinelli, Milano, 1968. 332 L. Bu, “Preso l’orco delle romene, Stephan Baltog, con la moglie e il nipote rendeva schiave le sue connazionali e le costingeva a vendersi”, in Il Messaggero del 15 agosto 1998, p. 28; Anonimo, “Nude all’asta come schiave liberate due ragazze rumene”, in La Repubblica, del 5 aprile 2000, p. 29. 333 Per un approfondimento, si rinvia ad E. Moroli, “Storie di schiave venute dall’Est”, in Noi Donne, novembre 1992, p. 44 ss. 334 T. Brasiello, voce “Personalità individuale (delitti contro la)”, in Novissimo Digesto Italiano, XII, Utet, Torino, 1965, p. 1092. 335 Per dei cenni storici sulla schiavitù si veda, F. Lemme, voce “Schiavitù”, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXVIII, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1991, p. 1 ss. 336 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 10 agosto 1998, n. 185. 227 prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù. Il legislatore ha, così, chiaramente riconosciuto lo sfruttamento dei minori a fini sessuali come una nuova forma di riduzione in schiavitù, prestando un’adeguata e precisa tutela ad un fenomeno sempre più in espansione. Al di là di questo intervento legislativo, è la giurisprudenza che, grazie ad un importante cambiamento di rotta337, segnala e colma le lacune legislative del nostro ordinamento. La repressione penale della schiavitù è attuata nell’ordinamento giuridico italiano nella sezione I (Dei delitti contro la personalità individuale) del capo III (Dei delitti contro la libertà individuale) del libro II del codice penale. I delitti previsti sono tre: la riduzione in schiavitù, all’art. 600; la tratta ed il commercio di schiavi, all’art. 601; alienazione, acquisto o detenzione di schiavi, all’art. 602. L’art. 600 c.p. stabilisce che: “Chiunque riduce una persona in schiavitù, o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. Il codice penale non definisce la schiavitù che è, invece, delineata in campo internazionale338, in particolare nell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926339 sull’abolizione della schiavitù, che recita: “La schiavitù è lo stato o la condizione d’un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi”. Quindi, la schiavitù è l’assoggettamento permanente di un uomo al dominio altrui, cui corrisponde il potere giuridico di usare e di disporre della persona assoggettata, analogo al diritto di proprietà. Per quanto riguarda la nozione di “condizione analoga alla schiavitù”, le ipotesi che vi rientrano sono espressamente previste nell’art. 1340 della Convenzione supplementare per l’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù, firmata a Ginevra il 7 settembre 1956341. Tale Convenzione, che ha modificato parzialmente quella del 1926, ha, invece, riportato nell’art. 7 la stessa definizione di schiavitù. La fattispecie disciplinata nell’art. 600 c.p., è stata subito oggetto di critiche sull’esatta portata giuridico-penale, con particolare riferimento all’interpretazione delle “condizioni analoghe”, e non poteva essere altrimenti considerato l’uso di una formula legislativa, dai contorni non ben precisati342. Ci si è chiesto se la norma si riferisse e337 G. Porco, “Schiavitù un fenomeno in trasformazione”, cit., p. 730. Per un’analisi approfondita della disciplina internazionale sul fenomeno della schiavitù, cfr, M.R. Saulle, voce “ Schiavitù (diritto internazionale)”, in Enciclopedia del diritto, XLI, Giuffrè, Milano, 1989, p. 641 ss.; A. Santoro, voce “Tratta di donne e di minori”, in Novissimo Digesto Italiano, XIX, Utet, Torino, 1973, p. 617. 339 La suddetta Convenzione è stata resa esecutiva in Italia con R.D. 26 aprile 1928, n. 1723, in Trattati e convenzioni tra l’Italia e gli altri Stati (Ministero degli affari esteri), Roma, 1928, 544 ss. 340 L’art. 1 di detta Convenzione elenca le seguenti “istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù”: a) la servitù per debiti, con durata e carattere indeterminati; b) la servitù per lavorazione della terra…; c) ogni istituzione o pratica in virtù della quale 1) una donna è promessa o data in matrimonio… senza che abbia la facoltà di rifiutare; 2) il marito, la famiglia o il clan hanno diritto di cedere la donna…; 3) la donna può, alla morte del marito, essere trasferita per successione; d) ogni istituzione o pratica in virtù della quale un fanciullo o un … minore di diciotto anni può essere ceduto, da un genitore o da entrambi, o dal tutore a un terzo, contro pagamento o non, in vista dello sfruttamento della sua persona o del suo lavoro. 341 Resa esecutiva con legge 20 dicembre 1957, n. 1304, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 14 gennaio 1958, n. 14, p. 235 ss. In generale, sull’argomento, cfr. A. Giannini, “L’O.N.U. e la lotta contro la schiavitù”, in Rivista del diritto della navigazione, 1960, I, 367. 342 Ricordiamo che in materia penale vige il principio costituzionale della tassatività della norma penale ed in questo caso ci troviamo di fronte ad una di quelle norme che sembrano non rispettare il suddetto principio. 338 228 sclusivamente a situazioni di diritto, espressamente previste dall’ordinamento, o se, invece, comprendesse anche situazioni che, di fatto, realizzino l’assoggettamento servile di un individuo ad un altro. Per molto tempo, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che, sia la schiavitù, sia le condizioni analoghe, siano puniti in quanto situazioni di diritto, cioè istituti di un ordinamento giuridico che li preveda o li tolleri343. Con quest’interpretazione restrittiva, l’art. 600 c.p. subiva una sostanziale abrogazione, data l’irrealizzabilità nel territorio italiano della fattispecie dal momento che lo status servitutis non è giuridicamente riconosciuto nello Stato italiano344. I rapporti di schiavitù di fatto venivano, invece, fatte rientrare nell’art. 603 c.p., riguardante il delitto di plagio345: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. In giurisprudenza, nell’ultimo decennio, si sta affermando un nuovo orientamento che si deve far risalire alla storica sentenza della Corte costituzionale del 8 giugno 1981, n. 96346, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il delitto di plagio per difetto di tassatività347. Questa sentenza rappresenta il primo intervento della suddetta Corte348 sul rispetto del principio costituzionale 343 E. Florian, Delitti contro la libertà individuale, in Trattato di diritto penale, III, Giuffrè, Milano, 1936, p. 288; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, aggiornato da P. Nuvolone e G.D. Pisapia, VIII, Utet, Torino, 1986, p. 666; G. Milano, “Riduzione in Schiavitù”, in Enciclopedia Forense, VI, Vallardi, Milano, 1961, p. 497; A. Santoro, Manuale di diritto penale, parte speciale, V, Utet, Torino, 1968, p. 274. Per la giurisprudenza, si ricordi la sentenza che ha chiuso il noto “caso Braibanti”: Cass. pen., 30-91971, in Foro Italiano, 1972, II, 1 e in L. Alibrandi, Il codice penale, Ed. La Tribuna, Piacenza, 1997, p. 1605; id., 26-5-1961, in Giustizia penale, 1962, II, 151. Nella stessa Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, cit., p. 410 ss., si rileva che: “E’ certamente esatto che il delitto di riduzione in schiavitù, inteso come condizione di diritto, non può commettersi in Italia e in tutti quei paesi dove la schiavitù non è ammessa come istituto giuridico: ma ciò non toglie ch’esso possa essere perpetrato là dove tale istituto o altro analogo, come la servitù della gleba, ecc., sia riconosciuto”. 344 F. Lemme, voce “Schiavitù”, cit., p. 3. 345 Si veda, L. Alibrandi, “Osservazioni sul delitto di plagio”, in Rivista penale, 1974, 701; G.M. Flick, “Attualità del delitto di plagio”, in Rivista penale, 1974, 701; id., La tutela della personalità nel delitto di plagio, VIII, Giuffrè, Milano, 1972, p. 181; P. Nuvolone, Considerazioni sul delitto di plagio, in Studi in onore di Biagio Petrocelli, Giuffrè, Milano, 1972, III, 1269; id., “Plagio”, in Indice penale, 1968, 81. Cfr. anche, Cass. pen., 21-10-1971, in Giustizia civile, 1972, III, 27 ss. 346 In Foro Italiano, 1981, I, 1815 e in Giurisprudenza costituzionale, 1981, I, 806 ss., con nota di G. Grasso, “Controlli sulla rispondenza alla realtà empirica delle previsioni legali di reato”. Ma v., contra, ancora Cass. pen., 22-12-1983, in Foro Italiano, Repertorio 1985, voce schiavitù e tratta di schiavi, nn. 1-4, secondo cui la condizione di schiavitù è un vero e proprio status di diritto e la “condizione analoga” è una posizione di sottoposizione permanente al lavoro forzato e obbligatorio. 347 Cfr., in dottrina, V. Boscarelli, “Osservazioni a proposito del principio di tassatività”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1981, 1147; F. Dall’Ongaro, “L’illegittimità costituzionale del reato di plagio”, in Diritto di famiglia, 1982, 311; G. La Cute, “Plagio. Imprecisione e indeterminatezza della norma. Contrasto col principio di tassatività. Illegittimità costituzionale”, in Massimario penale, 1981, 335. 348 Prima di questa sentenza l’atteggiamento della Corte costituzionale era di totale chiusura, condizionato dalla duplice preoccupazione di creare vuoti di tutela, come nel caso in esame, e di entrare in conflitto con il legislatore. A prescindere da ciò, è, comunque, da evidenziare l’obiettiva difficoltà di stabilire con precisione quando una fattispecie legale sia sufficientemente determinata o non lo sia, violando il principio di tassatività. Sulle ragioni di tale atteggiamento della Corte, v., G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 1995, p. 67 ss.; P. Nuvolone, “La problematica penale della Costituzione”, in Scritti in onore di Mortati, IV, Milano, 1977, 494 ss. 229 della tassatività della norma penale, di cui all’art. 25, II comma, della Costituzione349. Il principio di determinatezza richiede che sia soddisfatto dal legislatore, “l’onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà” tramite “il riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato attuale delle conoscenze appaiano verificabili”. Condizione, questa, che non mi pare, nel caso di specie, pienamente soddisfatta. In tale sentenza, inoltre, la Corte ha precisato che le condizioni, anche di fatto, analoghe alla schiavitù rientrano nella previsione dell’art. 600 c.p. e non nell’art. 603 c.p. Nel motivare la sentenza è stato osservato che il plagio implica un effetto sulla psiche del soggetto, l’annientamento interno della libertà della vittima nel suo contenuto integrale, che non è affatto necessario che si verifichi in una situazione di schiavitù o ad essa analoga, nella quale lo stato di soggezione sorge e si manifesta in modo più oggettivo350. In secondo luogo è stato evidenziato come le disposizioni della Convenzione supplementare, nel definire le situazioni analoghe alla schiavitù, si riferiscono, con estrema chiarezza, non soltanto a situazioni di diritto, ma anche a situazioni di fatto. All’inevitabile vuoto di tutela che seguì all’abrogazione del plagio, ha posto rimedio, dapprima, la giurisprudenza di merito, con la sentenza della Corte d’assise di Milano del 18 maggio 1988351. Tale Corte ha osservato che, se la norma dell’art. 600 c.p. è riferita solo a situazioni di diritto, non potrebbe mai avere applicazione nell’ordinamento, e questo non avrebbe senso; è poiché, invece, nell’interpretare le norme si deve ad esse attribuire significato ed efficacia, non resta che riconoscere che il reato di riduzione in schiavitù si riferisce alle situazioni di fatto di schiavitù o analoghe alla schiavitù. L’espressione “condizioni analoghe alla schiavitù” deve essere interpretata come “condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizione e circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio”352. Quest’interpretazione è da ritenere quantomeno opportuna, da un punto di vista di politica criminale, considerato il vuoto di tutela legislativa che riguarda le odierne forme di schiavitù. Ma considerazioni strettamente giuridiche, che saranno esposte nel prossimo sottoparagrafo, ci portano ad auspicare che sia il legislatore a definire, in modo puntuale, le condotte penalmente sanzionate e questo per il rispetto del principio di tassatività, che è un importante principio penalistico di uno Stato democratico. Tale orientamento è stato, comunque, successivamente accolto anche dalla giurisprudenza di legittimità, con un primo intervento della 349 Art. 25, II comma, Cost. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Il principio di tassatività esige che la norma penale, elevando a reato un comportamento, lo configuri con sufficiente precisione, anche perché il cittadino deve essere posto nella condizione di discernere, senza ambiguità, tra ciò che è lecito ed illecito. Ricordiamo, inoltre, che sul piano processuale, il principio si collega a quello dell’obbligatorietà dell’azione penale e al diritto della difesa, pregiudicato da un’imputazione non precisa, in assenza di una puntuale descrizione legale del fatto contestato. 350 Sull’elemento materiale di plagio, v. Cass. pen, 26-5-1961, in Temi napoletani, 1962, II, 23; sull’elemento soggettivo del plagio, v. Cass. pen., 3-11-1949, in Giustizia penale, 1950, II, 210. 351 In Foro Italiano, 1989, II, 121 ss., con nota di L. Sola. Nella specie, è stato considerato riduzione in schiavitù ex art. 600 c.p. l’uso sistematico di soggetti minori nella perpetrazione continuativa di furti in appartamenti e di borseggi. Si tratta della pratica dei bambini argati, configurata come la condizione analoga alla schiavitù di cui all’art. 1, lett. d, della Convenzione supplementare del 1956. 352 L. Sola, “Il delitto di riduzione in schiavitù: un caso di applicazione”, cit., p. 125; id., “La tratta di schiavi”, in Critica penale, 1990, I, 31. 230 Cassazione, nel 1989353, relativo ad un’altra fattispecie analoga: la schiavitù e la condizione analoga alla schiavitù, previste dagli art. 600 e 602 c.p., non sono necessariamente solo condizioni di diritto e possono essere costituite anche da situazioni di fatto. Ha, altresì, dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 600 c.p., in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, per presunta violazione del principio di tassatività della norma penale, circa la previsione di condizione analoga alla schiavitù. La corte ha rilevato che la reale portata dell’art. 600 c.p. viene definita attraverso l’opera di integrazione attuata con gli strumenti internazionali cui ha aderito l’Italia354. La condizione analoga è da individuarsi tramite l’elenco tassativo delle varie situazioni che la convenzione di Ginevra del 1956 considera “istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù”355. Recentemente, tuttavia, le sezioni unite hanno ribadito la manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità, pur negando al contempo il carattere tassativo delle ipotesi individuate nella suddetta Convenzione. E’ chiaro che quest’ultima soluzione attribuisce un’amplissima discrezionalità al giudice nell’individuare le condotte riconducibili alle norme in esame e rende più che mai fondato il dubbio di incostituzionalità. A tale intervento della Suprema Corte, ne sono seguiti altri, tra cui la sentenza del 16 gennaio 1997, che analizzeremo successivamente, perché si tratta dell’applicazione dell’art. 600 c.p. alla fattispecie dello sfruttamento della prostituzione. Con sentenza dell’11 febbraio 1998, n. 1615356, la corte di Cassazione ha, ancora, stabilito che “gli elementi costitutivi o di tipicizzazione dei reati di schiavitù non si desumono solo da specifiche previsioni delle Convenzioni di Ginevra, bensì proprio dalle condizioni che le stesse nozioni propongono, sia di schiavitù come “istituzione”, quando in un ordinamento una persona può essere oggetto di proprietà, che di condizione analoga alla schiavitù quale “pratica” sociale, per via della replica di fatto della schiavitù in una qualsiasi comunità. Pertanto, con la locuzione “condizione analoga alla schiavitù”, gli art. 600 ss. c.p. identificano un elemento costitutivo della fattispecie, riferendosi non solo alle pratiche elencate nella Convenzione supplementare del 1956, ma alla condizione della persona quale oggetto di possesso altrui e cioè del potere di disporne e di 353 Cass. pen., 7-12-1989, in Foro Italiano, 1990, II, 369, con nota di R. Pezzano. Sempre a commento della citata sentenza, v. M. Dogliotti, “La schiavitù è ancora tra noi!”, in Rivista della famiglia, 1991, 62 ss. Nella specie, è stata considerata condizione analoga alla schiavitù, riconducibile all’’art. 600 c.p., lo sfruttamento di minori slavi obbligati dai loro padroni alla sistematica perpetrazione di furti. Si veda, anche, Cass. pen., 9-2-1990, in Giustizia penale, 1991, II, 34; id., 24-10-1995, in Cassazione penale, 1996, 2585. 354 R. Pezzano, “Bambini argati e riduzione in schiavitù”, in Foro Italiano, 1990, II, 369 ss. 355 E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 600 e 602 c.p., in riferimento all’art. 3 della Costituzione, per presunta disparità di trattamento tra nomadi che sfruttavano per la consumazione sistematica di furti i propri figli e nomadi che analogamente sfruttavano minori da essi acquistati direttamente dai loro genitori o tramite intermediari, rispondendo i primi di concorso in furto e i secondi di riduzione in schiavitù o di acquisto di persona che si trova in stato di schiavitù o in una condizione analoga. Sul punto, la Cassazione ha rilevato che la diversità di trattamento è correlata alla diversa posizione giuridica del minore: mentre in relazione allo sfruttamento dei propri figli può profilarsi semplicemente un semplice abuso nell’esercizio di una potestà in sé legittima, nei confronti dei minori estranei vi è l’esercizio di un potere che è di per sé illecito. Cass. pen., 7-12-1989, cit. 356 In Cassazione penale, 1999, 1137. 231 trarne qualsiasi utilità, in quanto le è disconosciuta soggettività e conseguente capacità di libera determinazione nella comunità in cui il fatto si verifica”357. L’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 600 c.p. richiede la coscienza e volontà di ridurre la vittima ad una res, oggetto di diritti patrimoniali, la consapevole volontà di trarre profitto dalla sua persona, considerata come cosa atta a rendere utilità e servigi, ad essere prestata, ceduta ed alienata358. Oltre agli interventi della Suprema Corte, in giurisprudenza di merito359, è da segnalare la sentenza della Corte d’Assise di Firenze che riconduce lo stesso concetto di schiavitù ad una situazione di fatto. Esso si differenzierebbe da quello di condizione analoga solo da un punto di vista quantitativo, consistendo quest’ultimo “nella limitazione di aspetti specifici, ma particolarmente significativi della libertà individuale, tali da comportare una complessiva menomazione dello status libertatis del soggetto equiparabile, sul piano normativo, alla schiavitù in senso stretto360. In realtà, il criterio quantitativo è quantomeno fuorviante e, ancora una volta, emerge l’estrema elasticità di una norma formulata in termini generici. Tutte le decisioni citate aprono la strada ad una diversa interpretazione di grande originalità, attribuendo una virtualità espansiva della nozione di “condizione analoga”361. E’ un’interpretazione certamente innovatrice e, secondo alcuni studiosi, coerente ad alcuni principi costituzionali, come quello di cui all’art. 2 della Costituzione362, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, e all’art. 3, comma 2 della Costituzione, che stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana”363. Tale soluzione, come già rilevato in precedenza, si espone all’ovvia obiezione di incompatibilità col principio costituzionale di tassatività della norma penale. Nel momento in cui si attribuisce al giudice il potere di individuare in concreto le situazioni in cui un uomo sia ridotto nell’esclusiva signoria di un altro soggetto “similmente al modo in cui il padrone, un tempo, esercitava la propria signoria sullo schiavo”364, si autorizza il 357 Nello stesso senso, circa la nozione di “condizione analoga alla schiavitù”, v. Cass. pen., 16-1-1997, in Cassazione penale, 1998, 36, con nota di richiamo di precedenti di giurisprudenza e di citazioni di dottrina, anche contrari all’orientamento di cui alla massima annotata, cui si rinvia. 358 Cass. pen., 19-5-1998, in Giustizia penale, 1999, II, 400 e in Diritto penale e processo, 1998, n. 9, 1085; id., 24-10-1995, in Giustizia penale, 1996, II, 622. 359 Si veda, anche, Tribunale di Cassino, 27-9-1996, in Cassazione penale, 1997, 579; Tribunale di Nuoro, 6-11-1992, in Rivista giuridica sarda, 1994, 176; id., 20-1-1994, ivi, 1995, 178. 360 Corte d’Assise di Firenze, 23-3-1993, in Foro Italiano, 1994, II, 298, con nota di A. Di Martino, “Servi sunt, immo homines. Schiavitù e condizione analoga nell’interpretazione di una corte di merito”. I giudici della sentenza hanno, inoltre, ribadito che sia la schiavitù sia le condizioni analoghe ad essa vanno considerate elementi normativi della fattispecie la cui integrazione contenutistica può essere compiuta o alla stregua di una norma, che qualifichi una specifica situazione di fatto come schiavitù o condizione analoga, ovvero in applicazione di parametri storico-sociali, che consentano la repressione di fenomeni caratterizzanti le figure di schiavitù storicamente note. 361 G. Porco, op. cit., p. 735. 362 Art. 2 della Costituzione. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 363 Cfr. L. Sola, “La tratta”, cit., p. 43. 364 Cass. pen., 16-1-1997, cit.; id., 17-09-1998, in Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 1998, 10, 83. 232 giudice di merito a far uso del procedimento analogico, ossia un procedimento vietato in materia penale365. Quindi, la soluzione a mio avviso preferibile è quella di ritenere che l’art. 600 c.p. sia integrato dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956, che esaurisce, quindi, le ipotesi di condizioni analoghe alla schiavitù, e sia il legislatore, con una disciplina ad hoc, a punire le nuove forme di schiavitù, non rientranti nella suddetta Convenzione. 8.9.1. Sentenza della Cassazione n. 261 del 16 gennaio 1997 La sentenza n. 261 del 16 gennaio 1997 rappresenta il secondo intervento della corte di Cassazione366 ed il primo intervento a Sezioni unite367, per definire il significato e la portata delle espressioni “schiavitù” e “condizione analoga alla schiavitù” di cui all’art. 600 c.p. Oggetto della sentenza è il dramma di una giovane ragazza cecoslovacca, Eva Kindlova, di anni 15 che, rapita nel suo paese e portata in Italia clandestinamente, veniva venduta per la somma di denaro di tre milioni e costretta a prostituirsi a Roma dall’ottobre 1992 al gennaio 1993. Tale sentenza ha confermato quella di condanna emessa in sede d’appello368, per i delitti di riduzione in schiavitù, di cui all’art. 600 c.p. e alienazione e acquisto di schiavi, di cui all’art. 602 c.p. In particolare, il ricorso in Cassazione è stato proposto presentando due mezzi di annullamento, afferenti al vizio di motivazione ed all’erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente, affermando “che non sarebbe giuridicamente corretta l’interpretazione, data dall’impugnata sentenza, della fattispecie legale della c.d. riduzione in schiavitù con particolare riferimento alla interpretazione delle condizioni analoghe, nelle quali sono stati ricompresi i fatti ascritti”, ha riprodotto la nota querela sull’esatta portata giuridico penale della fattispecie criminosa di cui all’art. 600 c.p.369 All’origine di tale contrasto sull’interpretazione del suddetto articolo, vi è l’impostazione data dai redattori del codice penale vigente370. Con l’art. 600 c.p. si volevano perseguire quelle condotte che avessero minacciato la libertà individuale, mentre, con l’art. 603 c.p. quelle situazioni di fatto per cui si ponesse un individuo in stato di 365 Per un approfondimento su tale divieto si veda, G. Fiandaca, E. Musco, op. cit., p. 92 ss. In Rivista penale, 1997, 171 e in Rivista politica, 1997, 549, con nota di G. Pioletti, “Le Sezioni Unite confermano; in Italia c’è la schiavitù”. Per il primo intervento ex professo della Cassazione, nel 1989, si rinvia alle pagine precedenti. 367 La Sezione V della Corte, riscontrando, in ordine alle tematiche introdotte col secondo motivo d’impugnazione, contrasto giurisprudenziale, ha disposto ai sensi dell’art. 618 c.p.p., la rimessione del procedimento alle Sezioni unite. 368 La sentenza della Corte d’Assise d’appello aveva, a sua volta, confermato, quella emessa in primo grado, dalla Corte d’Assise di Roma il 23 novembre 1994, osservando che aveva correttamente individuato il problema giuridico della causa nella verifica di una situazione di fatto analoga alla schiavitù. 369 A sostegno della sua tesi, il ricorrente sosteneva che i termini “schiavitù” e “condizione analoga alla schiavitù” derivavano da strumenti internazionali, quindi, le condizioni analoghe erano solo quelle rientranti nell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956: cfr. M. Solaroli, “Il commento”, in Diritto penale e processo, 1997, 6, 719. 370 Il legislatore del 1930 scelse di prevedere due distinte figure delittuose per mettere fine alle incertezze interpretative, sorte a proposito dell’art. 145 del Codice penale del 1889, denominato, peraltro, come “plagio”. Tale norma disponeva: “Chiunque riduce una persona in schiavitù o in altra condizione analoga, è punito con la reclusione da 12 a 20 anni”. Cfr. T. Brasiello, op. cit., p. 1093. 366 233 “completa padronanza e dominio, annientandone la libertà del suo contenuto integrale, e impadronendosi completamente della sua personalità”371. In seguito alla dichiarazione d’incostituzionalità per difetto di tassatività del delitto di plagio, con sentenza n. 96 del 6 agosto 1981, si creò un vuoto di tutela penale, colmato, come già visto nel paragrafo precedente, da un nuovo orientamento della giurisprudenza. La sentenza in esame rientra pienamente in questo nuovo filone giurisprudenziale. Le Sezioni Unite hanno confermato la sentenza impugnata, considerando giusta la sussunzione dei fatti ascritti per opera dei giudici di merito, nelle ipotesi delittuose di cui agli art. 600 e 602 c.p. I fatti verificatosi non costituiscono solamente semplici episodi di costringimento e di sfruttamento della prostituzione, ma costituiscono una situazione di totale asservimento della giovane, visto che veniva costretta a prostituirsi, privata della sua libertà individuale, ridotta a res, e come tale sottomessa al potere e alla disponibilità dei suoi padroni. La Cassazione ha, infatti, ribadito che “la condizione analoga alla schiavitù, di cui agli art. 600 e 602 c.p., non si identifica necessariamente con una situazione di diritto, e cioè normativamente prevista, bensì anche con qualunque situazione di fatto in cui la condotta dell’agente abbia per effetto la riduzione della persona offesa nella condizione materiale dello schiavo, e cioè nella sua soggezione esclusiva ad un altrui potere di disposizione, analogo a quello che viene riconosciuto al padrone sullo schiavo negli ordinamenti in cui la schiavitù sia ammessa”372. I giudici di legittimità giungono a tale conclusione, attraverso un’analisi esegetica delle norme internazionali, vigenti in materia. Anzitutto, approfondiscono il significato dell’art. 1 della Convenzione del 1926, ove si afferma che “la schiavitù è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi”. Secondo le Sezioni unite, l’alternativa data dai due termini “stato” e “condizione” consente alla norma internazionale di ricomprendere situazioni di diritto (“stato”) e situazioni di fatto (“condizione”), accomunate entrambe dall’esercizio sulla vittima degli attributi del diritto di proprietà373. Peraltro, nel caso di situazioni di fatto, sono evocate le nozioni civilistiche del possesso, definito come la signoria di fatto esercitata da taluno 371 “Relazione del guardasigilli”, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, II, Roma, 1928-30, p. 410. Tuttavia, in sede di lavori preparatori si osservò come, accogliendo il concetto di schiavitù quale stato giuridico di una persona, si venisse a recepire un concetto del tutto estraneo al nostro ordinamento giuridico, configurando, pertanto, un reato di impossibile attuazione nel nostro Paese. Tale obiezione non fu accolta in base alla considerazione che altrimenti sarebbe rimasto impunito il fatto del cittadino che riducesse altri in schiavitù in Paesi ove questa fosse riconosciuta. Inoltre, molti giuristi, giudicavano pleonastico l’art. 603 c.p. poiché l’art. 600 c.p. già contemplava accanto all’ipotesi della “schiavitù” quelle delle “condizioni analoghe ad essa”. Cfr. A. Grieco, “Riduzione in schiavitù, plagio e sequestro di persona”, in Giustizia penale, 1950, II, 210; “Osservazioni e proposte”, in Lavori, cit., IV, p. 245-247; R. Pannain, voce “Persona (delitti contro la)”, in Novissimo Digesto Italiano, XII, 1965, 1009. 372 In dottrina, accolgono l’orientamento della sentenza che si annota, F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1977, p. 141; F. Mantovani, Delitti contro la persona, Cedam, Padova, 1995, p. 335 ss., cui peraltro si rinvia anche per un’ampia rassegna criminologica sul tema; G. Marini, Delitti contro la persona, Giappichelli, Torino, 1996, p. 252. Contra, F. Lemme, voce “Schiavitù”, cit., p. 3, secondo il quale anche le “condizioni analoghe alla schiavitù” fanno riferimento a situazioni giuridicamente significative in quanto contemplate da un ordinamento positivo; G. Spagnolo, op. cit., p. 636. 373 Identifica la schiavitù in una “condizione generale di assoggettamento fisico che può essere rappresentato sia dal potere di disporre della persona sia dall’esercizio del potere di godimento generale ed assoluto delle varie possibilità di uso di una persona” il Tribunale di Nuoro, 20-1-1994, in Foro Italiano, Repertorio del 1995, voce “Schiavitù”, 2. 234 sopra una cosa, indipendentemente dall’essere o no conforme al diritto, ovvero come il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente al diritto di proprietà o di altro diritto reale. Di conseguenza, la Corte ha riportato la suddetta alternativa, descritta dalla citata Convenzione, alle ipotesi della riduzione in schiavitù in senso stretto e della riduzione in condizioni analoghe374. Circa il ruolo dell’art. 1 della Convenzione del 1956, ed è questo il punto più opinabile, esso è descrittivo di situazioni meramente esemplificative375 e non tassative. La “condizione analoga alla schiavitù” può riferirsi, oltre che alle ipotesi normativamente previste nell’articolo citato, anche ad ogni situazione che, in applicazione di parametri storico-sociali, comporti un totale asservimento di una persona umana ad un altro soggetto. La Corte, fra le varie interpretazioni, ha, in realtà, scelto quella più discutibile. Il rinvio a norme di tipo storico-culturale, per individuare le fattispecie rientranti nelle condizioni analoghe alla schiavitù, pone la questione del rispetto del principio di determinatezza e tassatività della norma penale376. La Corte, a tal proposito, ha dichiarato manifestamente infondata, in relazione all’art. 25, II comma della Costituzione377, la questione di legittimità costituzionale degli art. 600 e 602 c.p., nella parte in cui essi si riferiscono alle “condizioni analoghe alla schiavitù”, in quanto è compatibile con quel principio qualsiasi norma che descriva il fatto punibile avvalendosi di indicazioni estensive. E’ pacifico che l’art. 600 c.p. richiama il procedimento della analogia interna, e cioè, è la stessa fattispecie legale che fa diretto riferimento, al suo interno, al procedimento analogico; ma, secondo alcuni studiosi e secondo il mio parere, esso non conterrebbe un parametro valutativo univoco di riferimento378, di qui i dubbi sul rispetto dei principi costituzionali in materia penale. Proponendo la nozione civilistica del possesso e l’attuale concetto storico-culturale di schiavitù379, come parametri che permettono di selezionare le situazioni suscettibili di rientrare nelle “condizioni analoghe alla schiavitù”, le Sezioni Unite non offrono all’interprete un criterio 374 Di diverso avviso, F. Mantovani, op. cit., p. 340, il quale aggiunge la considerazione secondo cui “solo intendendosi per schiavitù anche la schiavitù di fatto, è possibile ricondurre sotto l’art. 600 i casi rientranti nel tassativo elenco delle condizioni analoghe di cui all’art. 1, lett. d), della convenzione del 1956, soddisfacendosi così l’esigenza egualitaria di un identico trattamento penale”. 375 Ricordiamo che la stessa Cassazione ha, invece, in precedenza, dichiarato che l’elenco delle condizioni analoghe di cui all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1956, ha carattere tassativo: cfr. Cass. pen., 712-1989, cit. 376 I termini “determinatezza” e “tassatività” sono usati spesso come sinonimi. Un diverso orientamento sostiene, invece, che il primo termine si proietta all’interno della fattispecie, vincolandone il modo di formulazione legislativa; mentre il secondo costituisce lo sbarramento “esterno” alla fattispecie stessa, impedendo che ad essa siano riconducibili fatti storici non ricompresi nell’enunciato normativo. Cfr. T. Padovani, Diritto penale, Giuffrè, Milano, 1995, p. 31. 377 In argomento, F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1965, p. 293; C. Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Cedam, Padova, 1979, p. 436; sulla recente riscoperta del principio di determinatezza della norma penale, cfr. E. Dolcini, G. Marinucci, Corso di diritto penale, IIª ed., Giuffrè, Milano, 1999, p. 90 ss. 378 E. Amati, “Sul concetto di condizione analoga alla schiavitù”, in Cassazione penale, 1998, 38. 379 Ricordiamo, inoltre, che storicamente la schiavitù risulta priva di tratti distintivi univoci, essendo disciplinata in maniera differente a seconda della regolamentazione giuridica data dai singoli Stati che l’hanno riconosciuta. Al di fuori di un suo riconoscimento giuridico, il concetto di schiavitù non individua nessun referente valutativo sufficientemente certo da poter essere utilizzato come termine di paragone per individuare situazioni ad esso analoghe. Cfr. F. Lemme, op. cit., p. 4. 235 univoco380. E’ evidente come ciò comporti un alto grado di incertezza, dipendendo tale ricognizione anche dal “punto di vista” del giudice. La decisione in esame si inserisce in quel filone giurisprudenziale che preferisce ad un procedimento analogico-circolare381, il solo scopo della norma come criterio risolutivo del caso concreto. Si giunge ad una sorte di “scivolamento” dall’oggetto al fine382. Tale interpretazione configura il delitto di riduzione in schiavitù come fattispecie a forma libera, descritta in termini puramente causali con l’indicazione del risultato lesivo383. L’interpretazione, fornita dalla giurisprudenza recente, è dovuta ad una preoccupazione di natura essenzialmente politico-criminale384. Grazie a tale interpretazione troveranno una maggiore tutela, tutte quelle realtà complesse e degradate, in parte ancora sommerse, che negli ultimi anni hanno ridotto e stanno riducendo centinaia di esseri umani a res, infliggendo indicibili sofferenze fisiche e morali. Ricordiamo che la giurisprudenza ha dapprima applicato la fattispecie di riduzione in schiavitù al fine di reprimere il fenomeno dei bambini “argati”, e, successivamente, al fine di tutelare le persone coinvolte nel fenomeno della tratta delle straniere, attirate dal miraggio di un posto di lavoro e poi costrette a prostituirsi sui marciapiedi. Lo stesso Comitato per i diritti umani, nell’esaminare, in data 27 luglio 1998, il rapporto italiano, ha giudicato apprezzabile che il sistema giudiziario abbia cominciato a qualificare le infrazioni relative al traffico di donne e di altre persone per attività di prostituzione, come atti assimilabili alla traduzione in schiavitù385. Dalla sentenza in esame, emerge infine anche un nuovo ed ultimo elemento. La Suprema Corte evidenzia come, sotto il profilo sostanziale del patimento della soggezione di un uomo ad un altro, lo stato di schiavitù e la condizione analoga ad essa, sono del tutto somiglianti; quindi, è erroneo considerare di natura quantitativa la differenza tra le due ipotesi, come ha, invece, stabilito la corte d’Assise di Firenze nel 1993. L’unica particolarità, sempre secondo i giudici di legittimità, sta semplicemente nel fatto che, nella seconda ipotesi, la vittima non può perdere lo stato giuridico di uomo libero386. 8.10. I delitti contro la personalità individuale Il concetto di “persona” intesa come valore, come autoaffermazione nella libertà, è una grande conquista del pensiero moderno387. 380 Cfr. C. Visconti, “Riduzione in schiavitù: un passo avanti o due indietro della Sezioni unite?”, in Foro Italiano, 1997, II, 319, secondo il quale è auspicabile un ritorno della giurisprudenza alla casistica descritta nell’art. 1 della convenzione del 1956. Il reato di riduzione in schiavitù non si trasforma da fattispecie a forma libera in fattispecie a forma vincolata, perché il richiamo all’art. 1, su citato, si limita a fornire dei parametri, in sede applicativa non è, quindi, necessario riscontrare tutti gli elementi descrittivi, ivi contenuti. 381 V. C. Palazzo, op. ult. cit., p. 333. 382 E. Amati, op. cit., p. 8. 383 G. Spagnolo, op. cit., p. 634. 384 V. F. Bricola, op. cit., p. 187, secondo il quale “il prevalere delle istanze della difesa sociale avrebbe come correlato necessario un carattere sempre più elastico della norma penale”. 385 “Le osservazioni conclusive del Comitato per i diritti umani sul quarto rapporto italiano”, traduzione a cura di S. Zappalà, in Diritto penale e processo, 1998, n. 11, p. 1446. 386 M. Solaroli, op. cit., p. 722. 387 Per la tutela dei delitti contro la persona, v. G. Fiandaca, E. Musco, voce “Persona (delitti contro la)”, in Digesto delle discipline penalistiche, IX, Utet, Torino, 1995, p. 515 ss.; F.C. Palazzo, voce “Persona 236 Al vertice, per gravità, dei delitti contro la libertà della persona, stanno i delitti che si riassumono nello schiavismo, disciplinati nella sezione I, intitolata Dei delitti contro la personalità individuale, del capo III (Dei delitti contro la libertà individuale) del libro II del codice penale. Alla luce della collocazione sistematica, oggetto della tutela penale è la personalità individuale, tutelata come una sorta di specificazione ed aspetto della libertà individuale388, in posizione di sostanziale parità con le manifestazioni di libertà previste dalle sezioni seguenti389. In realtà, la personalità non può considerarsi alla stregua di un aspetto o di un’espressione determinata della libertà individuale, o alla stregua di una delle singole manifestazioni protette in cui quest’ultima può esplicarsi. Essa rappresenta, invece, la fonte delle singole forme di libertà, specificatamente previste390. La personalità individuale è il complesso di tali manifestazioni che si riassumono nello status libertatis, inteso come stato di diritto o di fatto. “Il soggetto passivo del reato cessa, pertanto di avere una propria personalità, ovvero, pur conservandola come condizione di diritto, è, di fatto, completamente assoggettato al potere del colpevole”391. Lo stato di libertà è un requisito essenziale ed ineliminabile dell’uomo ed è il presupposto fondamentale di ogni libertà392. Antolisei considera la personalità come un “punto di riferimento” della libertà individuale, come di tutti i diritti dell’uomo393. Da ciò discende che l’aggressione alla personalità implica non solo una restrizione (che può spingersi fino alla privazione) della libertà “personale”, ma altresì un completo assoggettamento a servizio (gratuito o retribuito)394, in assenza del quale potrà aversi sequestro di persona395 o altra simile condizione, ma non schiavitù di diritto o di fatto o altra condizione analoga. (Delitti contro)”, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1983, p. 294 ss.; M. Ronco, voce “Persona”, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIII, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1990, 1. 388 Su tale tema, cfr., per tutti, C. Fiore, voce “Libertà individuale (delitti contro)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, XIX, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1990; F. Mantovani, Diritto penale, parte speciale, I, Delitti contro la persona, Cedam, Padova, 1995, p. 333 ss.; P. Pisa, Giurisprudenza commentata di diritto penale. Delitti contro la persona, contro il patrimonio e in materia di stupefacenti, IIª ed., Cedam, Padova, 1995, 161 ss. 389 Ricordiamo che la libertà individuale è tutelata, inoltre, in termini di libertà personale, libertà morale, di inviolabilità del domicilio e dei segreti. Cfr. G.M. Flick, voce “Libertà individuale (delitti contro)”, in Enciclopedia del diritto, XXIV, Giuffrè, Milano, 1974, p. 539. 390 La suddetta incoerenza del legislatore è avvertita da F. Antolisei, che ricomprende anche i delitti contro la personalità nell’ambito di quelli contro la libertà personale, considerando quest’ultima non solo in senso restrittivo come libertà fisica ed esterna, bensì come libertà individuale in senso ampio. Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 1966, p. 35. 391 Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, cit., p. 410. 392 Lo status libertatis è assolutamente indisponibile, cosicché l’eventuale consenso del soggetto passivo non esclude l’antigiuridicità del fatto: Corte d’Assise di Roma, 14-7-1968, in Giustizia penale, 1969, II, 865. V. anche, M. Garavelli, “Dei delitti contro la libertà individuale”, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, 1984, II, 1089. 393 F. Antolisei, op. cit., p. 35. 394 V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, aggiornato da P. Nuvolone e G.D. Pisapia, VIII, Utet, Torino, 1986, p. 660. 395 Per approfondire la differenza tra l’ipotesi di riduzione in schiavitù ed il sequestro di persona di cui all’art. 605 c.p. si rinvia a F. Viganò, Sub art. 600 c.p., in Codice penale commentato, a cura di E. Dolcini e G. Marinucci, parte speciale, Milanofiori, Assago Ipsoa, 1999, p. 3115. 237 I delitti, di cui si tratta, si risolvono in un sostanziale annientamento totale della personalità ed in una “reificazione” della persona396. Ci si può domandare se l’autonoma previsione nella sezione I (sotto l’etichetta della personalità individuale) di taluni delitti non rappresenti il sintomo di un disagio, più o meno avvertito dal legislatore, conseguente ad un intento giustificato solo in termini politici-ideologici: il voler tutelare penalmente non la libertà come valore in sé, ma soltanto alcune manifestazioni prevalentemente individuali di libertà della persona397. In altre parole, l’escorporazione dall’ambito della libertà di quegli interessi (ritenuti d’ordine preminentemente pubblico) connessi alle esigenze di libertà specificatamente politica, religiosa e di lavoro, consente di precludere la ricostruzione penalistica di un concetto di libertà in senso globale, nonché di circoscrivere la tutela della libertà in una prospettiva ben più limitata e indiretta di salvaguardia della persona398. Tuttavia, proprio per supplire alla ristrettezza e insufficienza di siffatta prospettiva, il legislatore ha ritenuto di dover premettere, all’enunciazione delle singoli manifestazioni di libertà tutelate, una sorta di concetto sostitutivo della libertà medesima, quasi una valvola di sicurezza: la personalità, non meglio specificata ed individuabile alla stregua delle fattispecie contenute nella relativa sezione, né logicamente correlata con l’iter logico di sviluppo delle sezioni successive del capo III399. Infine, occorre sottolineare che il riferimento alla personalità, soprattutto alla luce del sistema costituzionale e dei noti indirizzi vincolanti da esso proposti per il legislatore ordinario e per l’interprete, implica un immediato ed accentuato rinvio alla componente sociale della persona. Talché si può cogliere una certa dissonanza tra questa prospettiva di fondo e la considerazione, invece, da parte del legislatore penale, della personalità in chiave esplicitamente e soltanto individuale, ponendola a premessa di una serie di manifestazioni della persona disciplinate, nelle altre sezioni del capo III, in termini altrettanto individuali. I delitti che contraddicono allo stato di libertà, e che analizzeremo in questo capitolo, sono: a) la riduzione in schiavitù o in altra condizione analoga (art. 600 c.p.); b) la tratta ed il commercio di schiavi (art. 601 c.p.); c) l’alienazione e l’acquisto di schiavi (art. 602 c.p.). E’ inoltre da tener presente che la legislazione italiana antischiavista costituisce non solamente repressione di uno stato altamente incivile, ma altresì un impegno di natura internazionale. L’Italia ha, infatti, aderito alla citata convenzione internazionale di Ginevra del 1926, alla quale è da aggiungere la convenzione supplementare del 1956, relativa all’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù. In coerenza a tale impegno, l’art. 604 c.p. rappresenta una deroga alla disciplina di cui agli art. 9-10 c.p., di recente notevolmente ampliata ad opera del legislatore del 1998400. I delitti della sezione in esame (quindi anche quelli introdotti dalla legge con396 T. Brasiello, voce “Personalità individuale (Delitti contro la)”, in Novissimo Digesto Italiano, XII, Utet, Torino, 1965, p. 1092; G.M. Flick, voce “Libertà individuale (delitti contro)”, cit., p. 540; E. Florian, “Delitti contro la libertà individuale”, cit., p. 284. 397 G.M. Flick, La tutela della personalità nel delitto di plagio, Giuffrè, Milano, 1972, p. 31. 398 G. Zuccalà, “Il plagio nel sistema italiano della libertà”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1972, 357. 399 G.M. Flick, “Libertà individuale (delitti contro)”, cit., p. 541. 400 L’articolo in commento è stato sostituito dall’art. 10 della legge 3 agosto 1998, n. 269, citata. 238 tro la pedofilia)401 sono incondizionatamente punibili in Italia se commessi all’estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano. Nel caso di delitto commesso all’estero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano (a danno di straniero o soggetto non identificato), è previsto che il cittadino straniero sia punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando sia richiesta del Ministro di grazia e giustizia402. Con questa disposizione il legislatore ha superato i limiti previsti tradizionalmente dal nostro ordinamento per una più completa efficacia della tutela penale. Tuttavia, si dubita sulla reale possibilità della norma di essere osservata alla luce del fatto che non sarà di certo facile andare a perseguire, da parte delle forze dell’ordine, i suddetti reati ovunque siano commessi403. 8.10.1. Il delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) Dopo aver analizzato i concetti di schiavitù e di condizione analoga alla schiavitù, è opportuno accennare brevemente agli altri elementi dell’art. 600 del codice penale. Si tratta di un reato commissivo con condotta non definita e con evento dannoso. L’interessante è che dalla condotta dell’agente sorga uno status negatore della libertà dell’individuo e derivi lo stato servile della persona404. Secondo la dottrina maggioritaria si tratta di reato necessariamente permanente, quantunque la durata della permanenza sia indifferente. Il fatto di ridurre una persona in schiavitù od in condizione analoga inizia lo stato di consumazione del reato, il quale permane per tutto il tempo in cui dura la detta schiavitù o condizione analoga405. Come, invece, giustamente fa notare una parte della dottrina, la condotta criminosa consiste propriamente nel “ridurre” taluno in schiavitù, e non nel “mantenere”406 un soggetto in tale stato per un periodo di tempo, più o meno lungo407. Ciò non toglie che normalmente alla riduzione in schiavitù, segua il mantenimento dello schiavo in tale stato da parte dell’agente. Si tratta di “reato comune” e nel suo autore sono esclusivamente richiesti i 401 Oltre ai suddetti delitti, per completezza di esposizione è da ricordare che la portata dell’art. 604 è stata ulteriormente estesa ad alcuni delitti contro la libertà personale, quali la violenza sessuale (artt. 609-bis e 609-ter), gli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater) e la corruzione di minorenne (art. 609quinquies). 402 Il testo previgente disponeva: Fatto commesso all’estero in danno di cittadino italiano. Le disposizioni di questa sezione si applicano altresì, quando il fatto è commesso all’estero in danno di cittadino italiano. In Codice penale e norme complementari, a cura di G. Conso e G. Barbalinardo, Giuffrè, Milano, 1996, p. 242. 403 Si veda, A. Manna, “Profili problematici della nuova legge in tema di pedofilia”, in L’Indice penale, 1, 1999, p. 53. 404 A. Santoro, op. cit., p. 274. Chi ritiene che la riduzione in schiavitù sia una condizione giuridica, afferma che l’evento non è fenomenicamente percepibile ma è giuridico in senso stretto: F. Lemme, op. cit., p. 4. 405 “Alla espressione riduzione non si deve dare il significato di semplice trasporto, abduzione e consegna; essa implica durata”: T. Brasiello, op. cit., p. 1094; F. Lemme, op. cit., p. 4; V. Manzini, op. cit., p. 669; G. Spagnolo, op. cit., p. 634. 406 G. Marini, Delitti contro la persona, Giappichelli, Torino, 1996, p. 253. 407 Risponderebbe del delitto anche chi, avendo concluso una vendita anticipata del futuro schiavo, veda questi trasferito all’acquirente nel medesimo istante in cui realizza la riduzione in schiavitù, sì che, l’eventuale successivo protrarsi dello stato di soggezione, non potrebbe imputarsi alla sua volontà: G. Milano, voce “Riduzione in schiavitù”, in Enciclopedia Forense, VI, Vallardi, Milano, 1961, p. 497. Di tale opinione anche A. Santoro, op. cit., p. 274. 239 normali requisiti fondanti la capacità di diritto penale. Soggetto attivo del delitto può essere, quindi, chiunque408. Soggetto passivo può essere ogni essere umano, qualunque ne sia l’età, il sesso, la razza, ecc. Inoltre, il consenso del soggetto passivo o di chi esercita su di lui la patria potestà o la tutela, non ha efficacia scriminante, perché non rientra nella sfera di disponibilità del soggetto la rinuncia alla propria libertà in misura così consistente409. Naturalmente se la persona è già schiava, è configurabile il delitto di cui all’art. 601 ovvero quello di cui all’art. 602 c.p., e non il delitto in esame, perché non si può ridurre in schiavitù chi si trova già in tale condizione. Il reato si consuma nel momento in cui la vittima acquista lo status di schiavo o altra condizione analoga. Il tentativo è configurabile perché ben possono commettersi atti diretti intenzionalmente, in modo non equivoco, a far acquistare ad un soggetto lo stato servile ed idonei in astratto a conseguire tale scopo, non realizzato in concreto per fatto indipendente dalla volontà dell’agente410. Si pensi all’ipotesi di chi s’impadronisca di una persona per tradurla in un paese ove può effettivamente sottoporla a condizione servile, e non riesca nell’intento per l’intervento diplomatico presso le autorità locali. Il dolo è generico e risiede nella coscienza e volontà di assoggettare l’uomo al dominio altrui, né va confuso col fine ultimo di lucro o di vendetta411. La legittimità del fatto stesso secondo la legge dello Stato del luogo in cui il fatto stesso viene commesso non ha valore scriminante per nessuno e quindi neppure per il cittadino dello Stato schiavista. L’ignoranza della legge italiana non può giovare al reo, perché la nostra legge obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, nei casi stabiliti dalla legge medesima e dal diritto internazionale412. D’altra parte, non è ravvisabile un errore inevitabile di diritto, ex art. 5 c.p., nell’eventuale ignoranza del carattere illecito della condotta da parte dell’agente perché si versa in materia di diritti c.d. naturali e si tratta di norme penali conformi al principio di “riconoscibilità”, ossia tali da esser percepite anche in funzione di norme “extra penali” di civiltà413. Per quanto concerne il concorso di tale delitto con le altre figure di reato, la riduzione in schiavitù, essendo un eventuale elemento costitutivo del più grave delitto di tratta414, ne resta assorbita, quando avvenga al fine di fare commercio della vittima. I delitti ex art. 600 e 602 c.p. sono invece in rapporto di alternatività, presupponendo il primo che il soggetto passivo (originariamente libero) sia stato dall’agente ridotto in schiavitù o in condizione analoga, e il secondo che il soggetto passivo sia stato ceduto od acquistato dall’agente quando già si trovava in schiavitù o in condizione analoga415. 408 409 G. Marini, op. cit., p. 251. V. Manzini, op. cit., p. 665. Corte d’assise di Roma, 1968, in Giustizia penale, 1969, II, 865. 410 Di tale opinione T. Brasiello, op. cit., p. 1094; F. Lemme, op. cit., p. 4; A. Santoro, op. cit., p. 274. Se il delitto è determinato da motivi di lucro, il giudice ha facoltà di aggiungere la multa da lire diecimila a quattro milioni: art. 24 capoverso c.p. modificato dall’art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 412 Art. 3 capoverso in Codice penale, cit., p. 34. Si veda, inoltre, l’art. 604 del codice penale. 413 Cass. pen., 7-12-1989, cit. 414 Il concetto di tratta comprende anche le ipotesi della “cattura, acquisto o cessione di un individuo per ridurlo in schiavitù”. Cfr. V. Manzini, op. cit., p. 670. 415 Cass. pen., 9-2-1990, in Cassazione penale, 1992, 1203; id., 7-12-1989, in Foro Italiano, 1990, II, 369. 411 240 Quanto alla violenza privata416, resteranno assorbite quelle coercizioni (per es. alle prestazioni di servizi nelle ipotesi di cui all’art. 1 lett. a) e b) della Convenzione del 1956) che sono coessenziali alla definizione delle varie situazioni qualificate come “condizioni analoghe alla schiavitù”; non, invece, le coercizioni diverse ed ulteriori. In particolare, si è ritenuto che, ove la coercizione concerna il compimento di furti, nell’interesse dei “padroni”, da parte dei minori ridotti in condizioni analoghe alla schiavitù, i delitti ex art. 600 e 602 concorrano con quello previsto dall’art. 611 (violenza o minaccia per costringere a commettere un reato)417. Non è concepibile un concorso tra il delitto in esame ed il sequestro di persona di cui all’art. 605 c.p. perché il fatto di riduzione in schiavitù si sostanzia in una limitazione più o meno intensa della libertà personale (intesa nel senso restrittivo di libertà di movimento) della vittima e quindi esso si presenta come ipotesi speciale di sequestro di persona418. 8.10.2. La tratta di schiavi e di minori (art. 601 c.p.) La lotta alla schiavitù sarebbe vana ove non si reprimessero quelle forme di condotta le quali aderiscono ad uno stato di schiavitù già sorto, facendo sì ch’esso duri e si perpetui. Con gli art. 601 e 602 del codice penale, il legislatore si limita ad imporre che la schiavitù non venga ulteriormente mandata ad effetto, mediante negozi od atti concernenti soggetti tenuti come schiavi. Il nostro legislatore intende così colpire tutti quei comportamenti che in qualunque modo agevolano il triste fenomeno della schiavitù419. E’ necessario, tuttavia, premettere che tali fattispecie sono esaminate in tale contesto per dimostrare come non siano affatto applicabili al nuovo traffico di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale, nonostante il tentativo della giurisprudenza di riattualizzare il concetto di schiavitù e di condizioni analoghe alla schiavitù. Basti pensare che le stesse Procure della Repubblica, nei confronti del traffico di persone (e comunque dello sfruttamento della prostituzione), preferiscono usare nelle loro indagini altri strumenti: l’associazione a delinquere, il sequestro di persona, la violenza sessuale, i delitti della legge Merlin. Innanzi tutto è da osservare che il delitto di tratta è più grave e più severamente punito (pena da cinque a vent’anni di reclusione), rispetto alle fattispecie di cui agli art. 600 e 602 c.p., per la facilità maggiore con la quale può commettersi e per il fine lucrativo dell’agente420. L’art. 601, comma 1, c.p. stabilisce che: “Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.” Si richiama, quale precedente cui si deve l’art. 601 c.p., la Convenzione di Ginevra del 1926 che, appunto nel generale bando della schiavitù e delle sue pratiche, vieta anche il commercio degli schiavi421. Il codice non definisce la tratta (come d’altronde non 416 Art. 610 c.p. Violenza privata. Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altro a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. 417 Cass. pen., 7-12-1989, cit. 418 Per un esauriente approfondimento sulla differenza tra tali delitti si rinvia a F. Viganò, op. cit., p. 3119. 419 Tali delitti si pongono tra loro in rapporto di sussidiarietà espressa: cfr. A.C. Moro, Unità e pluralità di reati, Cedam, Padova, 1954, p. 70 ss. 420 T. Brasiello, op. cit., p. 1095. 421 La Convenzione di Ginevra del 1926 obbliga gli Stati contraenti “a prevenire e a reprimere la tratta degli schiavi” (art. 2 a), e a prendere tutte le misure utili per prevenire e reprimere l’imbarco, lo sbarco e il 241 definisce la schiavitù). La definizione di tratta si ricava, invece, dal n. 2 dell’art. 1 della citata Convenzione di Ginevra, resa esecutiva con r.d. 26 aprile 1928, n. 1723: “La tratta di schiavi comprende ogni atto di cattura, acquisto o cessione di un individuo per ridurlo in schiavitù; ogni atto di acquisto di uno schiavo per venderlo o scambiarlo; ogni atto di vendita o di permuta di uno schiavo acquistato per essere venduto o scambiato così come, in generale, ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi”422. Tale definizione deve, comunque, intendersi come integrativa della norma penale italiana: perciò, nel concetto di tratta deve intendersi ricompreso non solo il commercio di schiavi in senso proprio, ma anche attività ad esso prodromiche (come la cattura e comunque la riduzione in schiavitù di persona originariamente libera) o collaterali (come il trasporto degli schiavi stessi)423. Deriva da tale nozione la non necessità che il soggetto passivo si trovi, al momento della condotta, in condizione di libertà. La tratta riguarda anche persone che il reo riduce in schiavitù attraverso la cattura e la deportazione, per cui il delitto in esame assorbe quello meno grave previsto dall’art. 600 c.p.424 Per quanto riguarda le nozioni di schiavitù e di condizione analoga alla schiavitù è sufficiente rinviare ai rilievi svolti in precedenza. L’utilizzazione della formula “tratta o commercio” per indicare la condotta costitutiva, rende la disposizione ampiamente comprensiva ed idonea a recepire qualsiasi atto oneroso avente ad oggetto l’acquisto, lo scambio, la cessione di schiavi o anche solo l’intermediazione nella realizzazione delle condotte accennate425. La finalità lucrativa, inoltre, permette di distinguere tale delitto dalla fattispecie meno grave di cui all’art. 602 c.p.426 Nel concetto tratta, come già detto, rientra anche il “far commercio di schiavi”, pertanto l’espressione contenuta nell’art. 601 c.p. “o comunque fa commercio”, è decisamente pleonastica427. Tra i requisiti impliciti della tratta è necessario inserire l’esistenza di un minimo di organizzazione imprenditoriale e la necessità che l’attività dell’agente sia diretta a danno di una pluralità di persone, come si desume dall’uso del plurale (“commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone…”) a differenza degli art. 600 e 602 che usano il singolare (“riduce una persona in schiavitù; aliena o cede una persona…”)428. Del resto espressioni come “commettere tratta” e “far commertrasporto degli schiavi nelle loro acque territoriali, come pure, in genere, su tutte le navi portanti la loro rispettiva bandiera (art. 3, prima parte). 422 Cfr. F. Viganò, Sub artt. 601-602 c.p., in Codice penale commentato, a cura di E. Dolcini e G. Marinucci, cit., p. 3142. Cfr. anche, G. Mazzi, “Commento all’art. 601 c.p.”, in Codice penale, a cura di T. Padovani, Giuffrè, Milano, 1997, p. 2176. 423 F. Viganò, op. cit., p. 3142. 424 Cfr. F. Mantovani, Diritto penale, I, Cedam, Padova, 1995, p. 342, a cui giudizio “la riduzione in schiavitù… non concorre col più grave delitto di tratta di schiavi (art. 601), poiché trattasi rispetto a questo di un post factum non punibile”. 425 G. Marini, op. cit., p. 255. 426 Altrimenti l’impossessamento, l’acquisto, il mantenimento nello stato di schiavitù, ecc., l’alienazione o la cessione, sono punibili a norma dell’art. 602 c.p.: V. Manzini, op. cit., p. 674 ss. Su questo punto vi è unanimità di vedute: v. anche, A. Santoro, op. cit., p. 277. 427 Secondo G. Spagnolo, op. cit., p. 638, si spiega forse con la preoccupazione del legislatore di non lasciar fuori dall’incriminazione la piccola attività commerciale che avrebbe potuto ritenersi non compresa nel concetto di tratta. 428 V. Manzini, op. cit., p. 675, secondo il quale l’attività concerne più persone, quantunque il delitto può essere constatato anche mediante l’accertamento di un fatto commesso contro un solo soggetto passivo, 242 cio” mal si adattano, per la verità, ad essere riferite a chi compie un singolo atto, riferibile ad uno schiavo429. Si tratta, quindi, di una figura criminosa riconducibile nell’ambito dei reati abituali 430 poiché è necessario che l’attività di tratta sia compiuta professionalmente, con una data sistematicità, e non occasionalmente. Questa soluzione, d’altronde, giustifica, anche il più severo trattamento sanzionatorio previsto per tale fattispecie, mentre nell’ipotesi in cui non sussistano i suddetti requisiti, si applica, in forza della clausola di sussidiarietà, la disposizione residuale di cui all’art. 602 c.p. Soggetto passivo del reato è, quindi, una pluralità di persone431 (almeno due) che si trovino o meno in stato di schiavitù od in condizione analoga ed il consenso del soggetto passivo, anche qui, non ha efficacia scriminante. Soggetto attivo può essere chiunque432. Se il fatto è commesso, come autore principale o concorrente, dal comandante o da un ufficiale di una nave schiavista,nazionale o straniera, si applica la circostanza aggravante stabilita dall’art. 1152 del codice della navigazione, la quale importa l’aumento fino ad un terzo della pena inflitta a norma dell’art. 601 c.p. Il delitto si consuma nel momento in cui l’agente ha compiuto un fatto di tratta o di commercio di schiavi o di persone, in condizione analoga alla schiavitù. Poiché la tratta presuppone il trasporto, in esso talora si concreta il momento consumativo del delitto. Il dolo è generico, perché le finalità lucrative ineriscono alla condotta e non costituiscono il perseguimento di uno scopo ulteriore rispetto all’evento. L’evento, materializzandosi in un fatto oggettivamente riconoscibile, è fenomenicamente percepibile: in esso il danno, come situazione offensiva oggettivamente contraria al diritto, sussiste come inscindibile conseguenza della condotta punibile433. In relazione alla configurabilità del tentativo, è da evidenziare un’interpretazione alquanto contraddittoria, riscontrabile in quella parte della dottrina che configura il delitto in esame come reato abituale e allo stesso tempo ammette il tentativo434. In realtà, non si vede come sia possibile configurare il tentativo in un delitto caratterizzato dalla reiterazione della condotta, a maggior ragione quando poi la singola condotta rilevi come delitto consumato ai sensi dell’art. 602 c.p. Un semplice atto preparatorio della tratta è previsto e punito, d’altronde, come reato a consumazione anticipata, dall’art. 1153 del codice della navigazione: “Il componente dell’equipaggio435 di nave nazionale o straniera destinata, prima della partenza o in corquando serve ad indiziare l’agente come dedito al traffico di schiavi; A. Santoro, op. cit., p. 277; G. Spagnolo, op. cit., p. 639. 429 V. Manzini, op. cit., p. 675. 430 Ibid. Contra, G. Marini, op. cit., p. 255. Parla, invece, di “quasi abitualità”, richiedendo “compravendite ripetute”, E. Florian, Delitti contro la libertà individuale, p. 290. 431 V. Manzini, op. cit., p. 673, parla di un numero indeterminato di persone. 432 Commette tratta il venditore, il compratore, che può essere persona con la quale si sia già contrattato, il capitano della cosiddetta nave negriera, l’armatore, il fornitore dei fondi per il trasporto, sempre che ricorrano gli estremi del concorso: T. Brasiello, op. cit., p 1095. 433 L’evento, a differenza dell’art. 600 c.p., non è lo stato servile che qui si pone come presupposto del fatto: F. Lemme, op. cit., p. 5. 434 T. Brasiello, op. cit., p. 1095; V. Manzini, op. cit., p. 675, secondo il quale un singolo atto relativo ad uno schiavo costituisce tentativo di tratta o di commercio di schiavi. Contra, isolatamente, F. Lemme, op. cit., p. 5. Sull’inammissibilità del tentativo nei reati abituali, v. G. Fiandaca e E. Musco, op. cit., p. 423. 435 Per componente dell’equipaggio deve ritenersi qualsiasi soggetto, diverso dal comandante o dagli ufficiali (per i quali opera la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 601 c.p. e 1152 codice della navigazione), quale che sia la mansione, di coperta, di macchina o di camera, concretamente affidatagli sulla nave. Cfr. G. Marini, op. cit., p. 257. 243 so di navigazione, alla tratta è punito, ancorché non sia stato compiuto alcun fatto di tratta o di commercio di schiavi, con la reclusione da tre a dieci anni”436. Il reato di cui sopra si realizza con la semplice accettazione dell’arruolamento nell’equipaggio o con la permanenza in servizio quale componente di questo, una volta verificatasi la destinazione della nave alla tratta o commercio di schiavi, indipendentemente dal verificarsi di fatti a questi inerenti437. Sul piano oggettivo è necessario accertare che la nave per la presenza di mezzi e strumenti tipici, per l’allestimento o per altri adattamenti dell’imbarcazione risulti organizzata per il trasporto di schiavi. Sul piano soggettivo è necessario provare che la partecipazione all’equipaggio di una nave destinata alla tratta sia prevista e voluta dall’agente438. Ritornando all’art. 601 c.p., la legittimità del fatto, per l’ordinamento giuridico del luogo in cui il fatto è commesso, non può scriminarlo, perché la disposizione dell’art. 601, e le norme della citata Convenzione di Ginevra (divenuta diritto interno), sono appunto dirette a prevenire e a reprimere quel fatto, dovunque esso venga perpetrato439. Abusi di diversa specie (violenze, lesioni personali, ecc.) che si accompagnano alla tratta ed al commercio costituiscono, indubbiamente, distinti e concorrenti reati. Quanto alla tratta a scopo di prostituzione (art. 3, n. 6 della legge n. 75 del 1958) può aversi concorso tra le due fattispecie penali quando la tratta violi non soltanto l’art. 601, ma sia compiuta per destinare alla prostituzione le persone in stato di schiavitù o in altra condizione analoga440. Una condotta di mera induzione al trasferimento in altro luogo, come prevista nella legge Merlin, non rientra in un concetto senz’altro pregnante e reificante come quello di trasporto. 436 La ragione di punire è determinata dall’impossibilità o dall’enorme difficoltà di cogliere le navi negriere nell’effettivo esercizio del loro triste e incivile traffico, che viene accuratamente celato, nella conseguente necessità di cogliere simile attività criminale all’inizio, nel momento in cui l’allestimento della nave non lasci scorgere alcun dubbio sulla sua destinazione al barbaro mercato. E’ evidente che occorre una diligente indagine sull’effettiva destinazione della nave alla tratta e, sulla correlativa conoscenza di tale destinazione da parte dell’imputato. Cfr. V. Manzini, op. cit., p. 676. 437 Per un’esauriente analisi dell’art. 1153 cod. della navigazione, si rinvia a M. Rosella, voce “Persona (delitti contro la) (Dir. Nav.)”, in Digesto delle discipline penalistiche, IX, Utet, Torino, 1995, p. 522523. 438 Non è pertanto punibile il componente dell’equipaggio che venga a conoscenza nel corso della navigazione della destinazione illecita, purché manifesti al comandante la volontà di non fare più parte dell’equipaggio o almeno di essere sbarcato dalla nave appena possibile: C. De Vincentiis, voce “Persona (Delitti contro la) (Diritto penale della navigazione)”, in Novissimo Digesto Italiano, XII, Utet, Torino, 1965, p. 1012. 439 V. Manzini, op. cit., p. 676 ss. 440 Il concorso è ammissibile considerato anche il diverso bene giuridico tutelato dalle due norme, e cioè la pubblica moralità ed il buon costume, da un lato, e la personalità individuale, dall’altra. In tal senso, anche, T. Brasiello, op. cit., p. 1096; V. Manzini, op. cit., p. 676. 244 Conclusioni di Enzo Kermol Giunti al termine di questo lavoro può sembrare un’affermazione scontata sostenere che la conduzione di uno studio sul fenomeno della prostituzione non è impresa di facile esecuzione. Il terreno d’indagine è infatti risultato, come ci si attendeva, intricato, pluridimensionale ed estremamente sfaccettato. La realtà della prostituzione appare complessa e problematica in quanto, soprattutto negli ultimi decenni, il fenomeno è emerso in tutta la sua drammaticità, aprendo importanti riflessioni a livello culturale, politico, educativo e sociale. Nel mercato del sesso sono coinvolti indistintamente adulti e minori, uomini e donne che rivestono un ruolo attivo, sia sul versante dell’offerta, sia su quello della domanda. A livello “culturale” una corretta analisi della situazione ha ridimensionato alcuni “luoghi comuni” che accompagnano il fenomeno della prostituzione, constatando come l’offerta nel commercio sessuale non è più, e probabilmente non lo è mai stata, una prerogativa femminile, e che la domanda non è più peculiarità comportamentale maschile. La prostituzione è una realtà che riguarda ogni ordine di soggetti, indipendentemente dal sesso e dall’età. Oltre a ciò si evince che l’approccio al fenomeno tenuto da paesi non molto lontani in termini geografici, ma di qualche centinaio d’anni dal punto di vista dei rapporti sociali interni, assieme a un rigurgito d’intolleranza accompagnato da pericolosi segni di volontà di espropriazione di larghi settori della società dei diritti umani più elementari, portano a temere sul futuro stesso del concetto di “democrazia”, così com’è stato interpretato finora in Occidente. Fanno riflettere i metodi proposti dalla teocrazia mussulmana iraniana per affrontare il fenomeno prostituzione: lapidazione o strangolamento. Una serie di omicidi228 (diciotto al tempo dell’articolo) indica, come confermato dalle testimonianze raccolte dall’autore, Guido Olimpio, le modalità delle esecuzioni, “come le altre è stata strangolata con il foulard che ogni donna iraniana deve indossare… il killer ha avvolto il cadavere in un ampio chador nero, simbolo di rispetto religioso”. Le indagini della polizia locale portano tutte in una direzione: quella di chi vuole rendere esecutivo quanto proposto dalle associazioni mussulmane radicali per risolvere il “problema prostituzione”, lapidazione o foulard stretto al collo. Ma se in Iran i metodi sembrano riportare a una barbarie medioevale, il corpo di spedizione di un esercito dell’est, presente in Bosnia, ha offerto un rinfresco ai comandi delle truppe occidentali, uno degli invitati ha notato un’alta presenza femminile, tutte uguali nelle divise ma alcune con il tacco delle scarpe di diversa altezza, fuori ordinanza. Si trattava di un “corpo speciale” destinato ad intrattenere le truppe, reclutato nelle carceri e nelle strade delle città di quel paese. Così come “l’invasione” negli ultimi dieci anni delle prostitute immigrate in Europa si accompagna all’identico flusso di maschi (probabilmente di 100 volte superiore) provenienti dagli stessi paesi. Un po’ come ai tempi delle guerre napoleoniche, ogni esercito in marcia era accompagnato da un proprio “servizio” di prostitute per arrecare il minor danno possibile ai territori “alleati” occupati dalle truppe durante le campagne. Se guardiamo a qualcosa di maggiormente “contemporaneo” l’innovazione tecnologica ci informa di qualche cambiamento, ormai i siti pornografici sono prossimi ai due 228 G. Olimpio, “Iran, un’altra prostituta uccisa e «rivestita» con un chador nero. Dietro i 18 delitti, l’ombra del complotto religioso”, Corriere della Sera, 18 luglio 2001, pag. 15. 245 milioni e le chat erotiche alle duecentomila. Non sono state catalogate le offerte di prostituzione on-line, ma anch’esse sono in costante aumento con cifre paragonabili agli altri settori. Questo panorama “globalizzante” si discosta ampiamente da quello auspicato nelle convenzioni internazionali, ma soprattutto da quei principi, lontani nel tempo, di contrasto alla pratica della schiavitù. Sembra quasi si voglia far ripiombare il pianeta intero in situazioni collocabili in epoche di cui si parla solo sui libri di storia antica. A governare il mercato è la pura legge della domanda e dell’offerta, tuttavia nell’interpretazione del fenomeno non vi è concordanza su quale sia il fronte propugnatore di tale commercio. Alcune posizioni sostengono che a muovere il sistema sarebbe la domanda (dal momento in cui vi sono soggetti che richiedono prestazioni sessuali, l’offerta si mobiliterebbe in tal senso) per altri, è il lato della stessa offerta ad incentivare e stimolare la richiesta di sesso a pagamento. Su queste posizioni si è spesso scontrata la rilettura del fenomeno, cioè l’individuazione degli attori che lo compongono e in particolare di coloro che lo sostengono, clienti, prostitute ed organizzazioni criminali. L’atteggiamento tenuto nel secolo appena concluso dalle istituzioni pubbliche, e talvolta private, si è concentrato principalmente sul lato terminale dell’offerta, prevedendo specifiche sanzioni per le prostitute che non si adattavano al regime comportamentale e legislativo previsto, indirizzando in tal senso anche gli interventi sociali in merito. Tali azioni si proponevano come finalità principali la rieducazione delle ragazze coinvolte, al fine di garantire una normalizzazione dello stile di vita e del modello comportamentale, ritenuto fortemente deviante e causa di disordine pubblico. Anche dopo la fine delle politiche regolamentariste, che può essere simbolicamente segnata dall’entrata in vigore della “legge Merlin”, a livello politico ed istituzionale non vi furono importanti cambiamenti in Italia. Le prime modifiche interpretative sono state provocate dagli ampi interrogativi apertisi in merito ai ritorni sostanzialmente negativi che le politiche attuate nel settore hanno ricevuto, preludio del forte dibattito politico-sociale tuttora aperto. L’interesse delle istituzioni pubbliche nei confronti del tema è ampliamente dimostrato dalle numerose proposte e disegni di legge che, seppure non hanno apportato sostanziali modifiche nel sistema normativo - e neppure possono essere considerate “innovative” rispetto alla situazione presente - hanno dimostrato la consapevolezza a livello politico della necessità di un’adeguata analisi e intervento nel settore. Riteniamo utile sottolineare come il merito del nuovo atteggiamento manifestato nei confronti del fenomeno si debba attribuire al settore del privato sociale, da tempo impegnato con una pluralità di interventi su questo fronte. Organismi quali la Caritas, le Unità di Strada, e tutta una serie di organizzazioni non lucrative attive nel settore, proprio per le loro peculiarità (maggiore flessibilità e capacità di adattamento alle dinamiche sociali) e la loro vicinanza al problema hanno permesso la maturazione e la diffusione a livello nazionale ed internazionale di una nuova prospettiva di intervento tesa a superare il concetto di rieducazione, inteso come adeguamento della prostituzione alla realtà sociale, puntando ad obiettivi quali la prevenzione, l’integrazione e la lotta allo sfruttamento. Fra gli innumerevoli autori di proposte integrate ne ricordiamo una sintesi in Guiducci229 che ipotizza le linee per una progettazione d’intervento congiunto delle istituzioni 229 P.L. Guiducci, “Prostituzione e servizi sociali”, Rassegna di Servizio Sociale, 1986, pag. 37. 246 pubbliche e private, prevedendo tre aree di riferimento attorno a cui strutturare l’intera azione quali la prevenzione, l’accoglienza e socializzazione, il contributo dei servizi specialistici. La prima area di riferimento, quella della prevenzione, dovrebbe proporre azioni contro ogni forma di violenza e di emarginazione (sottraendo, ad esempio, la persona, soprattutto minorenne, da contesti socio-relazionali in cui emergono chiare pressioni psico-fisiche verso forme di prostituzione); azioni integrate dei servizi sociali e sanitari di base (ad esempio: attraverso la previsione di criteri di lettura del fenomeno, diffondendo e distribuendo al personale socio-sanitario ed educativo materiale informativo indicante organismi pubblici e privati che svolgono attività di sostegno e tutela alle persone avviate al mondo della prostituzione; favorendo le segnalazioni da parte del personale medico alle autorità competenti di soggetti portatori di lesioni particolari e non accidentali); attività di promozione umana attraverso un’educazione mirata alla diffusione dei valori di base, e di una corretta cultura sessuale e relazionale, promovendo e costruendo un progetto per la persona in grado di valorizzare capacità individuali e significatività dei rapporti sociali. La seconda area di riferimento comprende congiuntamente due aspetti, quello dell’accoglienza e della socializzazione, prevedendo l’attivazione di interventi per fronteggiare situazioni di urgenza (ad esempio la formazione un’equipe di pronto intervento socio sanitario funzionante 24 ore su 24); la predisposizione di servizi residenziali di tipo familiare, con personale educativo qualificato, collegati ai servizi socio sanitari di base; la ricerca di aree di partecipazione sociale per le persone accolte nei centri residenziali (ad esempio il lavorativo, il tempo libero, attività di formazione), al fine di favorire momenti di socializzazione e di comunicazione sociale. La terza area presa in considerazione da Guiducci si riferisce all’incentivazione di servizi specialistici, per attuare idonee terapie mediche (ad esempio contro particolari infezioni) e interventi psicoterapici (per favorire il superamento dell’esperienza vissuta, soprattutto degli episodi di violenza). Se questa può essere una rapida sintesi del percorso ottimale per affrontare il fenomeno prostituzione nello specifico del già esistente, relativamente alle persone coinvolte nel traffico e nello sfruttamento, vi sono altri parametri che bisogna evidenziare per poter affrontare il fenomeno nella sua completezza. La specificità del mondo della prostituzione richiede infatti continue attività di ricerca sociale in merito, e assidui confronti internazionali, tesi a stimolare ed incentivare momenti di riflessione congiunti, potenziando i provvedimenti di contrasto ed opposizione alle dinamiche internazionali del fenomeno, quali la tratta di esseri umani ed in particolare la mercificazione sessuale dei minori. La prostituzione non è una mera teoria filosofica e comportamentale, è una situazione sociale che vede coinvolti milioni di esseri umani. Ed è proprio questo tipo di coinvolgimento che pone le basi di una riflessione metodologica più vasta. Non è possibile affrontare il fenomeno solo con l’intervento legislativo, e in ogni caso le leggi devono essere applicate. Se la legge Merlin non è stata totalmente attuata, così come le convenzioni internazionali, così come le successive leggi integrative, e se tali norme risultano sconosciute ai più - parimenti con le cause della prostituzione stessa - l’intervento deve indirizzarsi dapprima, o parallelamente, in tal senso. Il problema da affrontare non è tanto la legislazione da “riformare”, ma i principi della convivenza civile che devono ritrovare quei fondamenti etici che permettono il vero progresso dell’uomo. L’educazione 247 permanente dell’adulto non trova seguito se non vi sono le basi nel bimbo e nell’adolescente, e se i media si muovono nell’ottica di creare un mercato e non una coscienza. L’azione sociale deve indirizzarsi verso una molteplicità di obiettivi, integrando i provvedimenti in un’ottica di operatività coordinata in tutti i suoi aspetti, non trascurandone alcuno. E’ nostro intendimento sottolineare come accanto all’inflessibilità del magistrato incaricato di reprimere la tratta internazionale gestita dalle organizzazioni criminali - punto di partenza dell’intero fenomeno - occorre un’altrettanto ferma volontà di modificare la percezione collettiva del comportamento interpersonale, improntandola sulla solidarietà e non sullo sfruttamento, logica da cui deriva il concetto stesso di prostituzione. Si deve prestare particolare attenzione al miglioramento delle dinamiche comunicative e relazionali presenti nella società non al perpetuamente di proposte di isolazionismo individuale o conflittualità inter/intra gruppi. Per incidere realmente sul fenomeno prostituzione bisogna incidere sulla società nel suo complesso, riportare il centro d’interesse sull’uomo in quanto essere, non sulla mercificazione, sui falsi miti, sull’uso strumentale del suo comportamento. 248 Postfazione Comunicazione e prostituzione di Francesco Pira230 Quando Enzo Kermol mi ha chiesto di intervenire in questo suo nuovo saggio, la mia mente ha vorticosamente ripercorso un cammino a ritroso, lungo gli eventi e i ricordi personali, soffermandosi dapprima al giorno dell’esame di giornalismo in cui affrontai lo spinoso problema del rapporto tra comunicazione mass-mediatica e prostituzione, e poi, come in un volo pindarico, sulle immagini parietali dei lupanari pompeiani, che all’occhio della memoria appaiono ancora vivide e ardite. Quelle immagini di un amore idillico e romantico ma anche bestiale e irriverente che ricoprono le pareti interne ed esterne delle case equivoche dei quartieri malfamati di Pompei, enfatizzate da parole salaci, frasi oscene, espressioni grossolane di ammirazione per prodezze amorose, sollecitazioni di ragazze che conoscono il loro mestiere, epigrammi di Catullo riveduti in chiave erotica. Questi graffiti disseminati sulle facciate delle case, arricchiti di decorazioni manieriste e preziosità alessandrine, ci fanno ascoltare in qualche modo la voce dei mezzi di comunicazione dell’epoca. Il salto epocale non sembra aver provocato modifiche strutturali al tipo di linguaggio visivo e testuale utilizzato per pubblicizzare le prestazioni sessuali di giovani procaci fanciulle. Oltre alla più tradizionale pubblicistica su carta stampata, le nuove tecnologie ci offrono spazi sconfinati di compravendita del sesso, più o meno reale, più o meno virtuale, più o meno cibernetica. Ciò che è sensibilmente cambiato è l’atteggiamento ricettivo di tale pubblicistica. Ci raccapricciamo alla vista delle prostitute lungo le strade perché le consideriamo socialmente disturbanti e, al tempo stesso, tolleriamo altre forme di prostituzione più occulta e la relativa pubblicità: dai night-club dove si fa la lap dance e i clienti pagano per atti da considerare sessuali, ai locali di scambio simulato di coppie, fino ai centri estetici e le palestre dove i massaggi nascondono ben altre prestazioni. Il nostro è l’atteggiamento tipico di un paese che ha norme morali e giuridiche severe ma, nella pratica quotidiana, non si astiene dall’alimentare il business del sesso. Un atteggiamento che fonda le sue radici negli austeri principi della teologia di San Paolo: “Camminate secondo lo spirito e non adempiete affatto ai desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro” (Lettera ai Galati, 5.16-17). Questa dicotomia tra moralità e carnalità e la conseguente concezione negativa della sessualità permea profondamente la nostra cultura mentre sono proprio i nostri vicini di oltre mare ad offrirci il setting per peccaminosi crimini morali che avvengono periodicamente con la connivenza di questo o quello sceicco miliardario e rimbalzano subito sulle prime pagine dei giornali o tra i titoli di testa dei telegiornali, suscitando sistematicamente una querelle tra i maggiori opinionisti: chi addita la giovane compiacente di prostituzione, chi la difende rivendicato il suo diritto di vendere quanto di meglio ha, chi si indigna per la perdita di valori nella società moderna. Pare proprio che il sesso, anche quello a pagamento, susciti gli interessi e le curiosità più smaniose del pubblico, altrimenti non si spiegherebbe la gran risonanza con cui vengono accolte quelle trasmissioni o quelle notizie che presentano scene di vita raccapric230 Giornalista professionista è vicedirettore del quotidiano Ultime Notizie Reggio. 249 cianti, situazioni estreme di violenza e depravazione, immagini pornografiche di sesso innaturale e stereotipato. Non parlo solo dei reportage sulla vita delle prostitute da strada, ma di una serie illimitata di trasmissioni radiotelevisive e articoli, che si moltiplicano, sulle più disparate attitudini sessuali, a volte reali a volte inventate, ma pur sempre veicolate come vere. E se per la giurisprudenza è prostituzione qualsiasi attività che trae vantaggio economico o patrimoniale da atti sessuali ed è reato se il danaro o i regali del cliente finiscono ad altri, si potrebbe sillogisticamente intravedere una forma di indiretta complicità da parte di chi organizza questi happenings culturali e li vende come spaccati di vita quotidiana. 250 ALLEGATO N. 1 Legge 20 febbraio 1958 n. 75 Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui (Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958) CAPO I CHIUSURA DELLE CASE DI PROSTITUZIONE 1. È vietato l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sotto posti all’amministrazione di autorità italiane. 2. Le case, i quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercita la prostituzione, dichiarati locali di meretricio a sensi dell’articolo 190 del testo unico della legge di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n° 773, e delle successive modificazioni, dovranno essere chiusi entro sei mesi dell’entrata in vigore della presente legge. 3. Le disposizioni contenute negli articoli 531 e 536 del codice penale sono sostituite dalle seguenti: “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire cinquecentomila a lire venti milioni, salvo in ogni caso l’applicazione dell’articolo 240 del codice penale: a) chiunque, trascorso il termine indicato nell’articolo 2, abbia la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa; b) chiunque, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione; c) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto ad un albergo, casa mobilitata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione; d) chiunque recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevola a tal fine la prostituzione; e) chiunque induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità; f) chiunque induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o, comunque, in luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza; g) chiunque esplichi un’attività in associazioni ed organizzazioni nazionali od estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l’azione o gli scopi delle predette associazioni od organizzazioni; 251 h) chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui. i) In tutti i casi previsti nel numero 3 del presente articolo, alle pene in essi comminate sarà aggiunta la perdita della licenza d’esercizio e potrà anche essere ordinata la chiusura definitiva dell’esercizio. I delitti previsti dai numeri 4 e 5, se commessi da un cittadino in territorio estero, sono punibili in quanto le convenzioni internazionali lo prevedano. 4. La pena è raddoppiata: a) se il fatto è commesso con violenza, minaccia, inganno; b) se il fatto è commesso ai danni di persona minore degli anni 21 o di persona in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata; c) se il colpevole è un ascendente, un affine in linea retta ascendente, il marito, il fratello, o la sorella, il padre o la madre adottivi, il tutore; d) se il colpevole la persona è stata affidata per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza, di custodia; e) se il fatto è commesso da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni; f) se il fatto è commesso ai danni di più persone; g) se il fatto è commesso ai danni di una persona tossicodipendente. 5. Sono punite con l’arresto fino a giorni otto e con l’ammenda da lire diecimila a lire venticinque mila le persone dell’uno e dell’altro sesso: a) che in luogo pubblico od aperto al pubblico, invitano al libertinaggio in modo scandaloso o modesto; b) b) che seguono per via le persone, invitandole con atti o parole al libertinaggio. Le persone colte in contravvenzione alle disposizioni di cui ai numeri 1 e 2, qualora siano in possesso di regolari documenti di identificazione, non possono essere accompagnate all’ufficio di pubblica sicurezza. Le persone accompagnate all’ufficio di pubblica sicurezza per infrazione alle disposizioni della presente legge non possono essere sottoposte a visita sanitaria. I verbali di contravvenzione saranno rimessi alla competente autorità giudiziaria. 6. I colpevoli di uno dei delitti previsti dagli articoli precedenti, siano essi consumati o soltanto tentati, per un periodo variante da un minimo di due anni ad un massimo di venti, a partire dal giorno in cui avranno espiato la pena, subiranno altresì l’interdizione dai pubblici uffici, previsti dall’art. 28 del codice penale e dall’esercizio della tutela e della curatela. 7. Le autorità di pubblica sicurezza, le autorità sanitarie, e qualsiasi altra autorità amministrativa, non possono procedere ad alcuna forma diretta od indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente ai loro uffici. È del pari vietato di munire dette donne di documenti speciali. 7. Le autorità di pubblica sicurezza, le autorità sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrativa non possono procedere ad alcuna forma diretta od indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente ai loro uffici. È del pari vietato di munire dette donne di documenti speciali. 252 CAPO II DEI PATRONATI ED ISTITUTI DI RIEDUCAZIONE 8. Il ministero per l’interno provvederà, promuovendo la fondazione di speciali istituti di patronato, nonché assistendo e sussistendo e sussidiando quelli esistenti, che efficacemente corrispondono ai fini della presente legge, alla tutela, all’assistenza ed alla rieducazione delle donne uscenti, per effetto della presente legge, dalle case di prostituzione. Negli istituti di patronato trovare ricovero ed assistenza, oltre alle donne uscite dalle case di prostituzione abolite dalla legge, anche quelle altre che, pure avviate già alla prostituzione, intendono di ritornare ad onestà di vita. 9. Con determinazione del Ministero per l’interno sarà provveduto all’assegnazione dei mezzi necessari per l’esercizio dell’attività degli istituti di cui all’articolo precedente, da prelevarsi dal fondo stanziato nel bilancio dello Stato a norma della presente legge. Alla fine di ogni anno e non oltre il 15 gennaio successivo gli istituti di patronato fondati a norma della presente legge, come gli altri istituti previsti dal precedente articolo e che godano della sovvenzione dello Stato, dovranno trasmettere un rendimento esatto della loro attività omettendo il nome delle persone da essi accolte. Tali istituti sono sottoposti a vigilanza e a controllo dello Stato. 10. Le persone minori di anni 21 che abitualmente e totalmente traggono i loro mezzi di sussistenza dalla prostituzione saranno rimpatriate e riconsegnate alle loro famiglie, previo accertamento che queste siano disposte ad accoglierle. Se però esse non hanno congiunti disposti ad accoglierle e che offrano sicura garanzia di moralità, saranno per ordine del presidente del tribunale affidate agli istituti di patronato di cui nel precedente articolo. A questo potrà addivenirsi anche per loro libera elezione. 11. All’onere derivante al bilancio dello Stato verrà fatto fronte, per un importo di cento milioni di lire, con le maggiori entrate previste dalla legge 9 aprile 1953, n° 248. CAPO III DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE 12. È costituito un Corpo speciale femminile che, gradualmente ed entro i limiti consentiti, sostituirà la polizia nelle funzioni internati ai servizi del buon costume e della prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione. Con decreto Presidenziale, su proposta del ministro per l’interno, ne saranno determinati l’organizzazione e il funzionamento. 13. Per effetto della chiusura delle case di prostituzione presentemente autorizzate entro il termine previsto dall’articolo 2, si intendono risolti di pieno diritto, senza indennità e con decorrenza immediata, i contratti di locazione relativi alle case medesime. È vietato ai proprietari d’immobili di concludere un nuovo contratto di locazione colle persone sopra indicate. 14. Tutte le obbligazioni pecuniarie contratte verso i tenuti dalle donne delle case di prostituzione si presumono determinate da cause illecite. È ammessa la prova contraria. 15. Tutte le disposizioni contrarie alla presente legge, o comunque con essa incompatibili, sono abrogate. 253 ALLEGATO N. 2 Legge 3 agosto 1998, n. 269 “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.” (Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998) Art. 1. (Modifiche al codice penale) 1. In adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996, la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall’Italia. A tal fine nella sezione I del capo III del titolo XII del libro secondo del codice penale, dopo l’articolo 600 sono inseriti gli articoli da 600-bis a 600-septies, introdotti dagli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della presente legge. Art. 2. (Prostituzione minorile) 1. Dopo l’articolo 600 del codice penale è inserito il seguente: “Art. 600-bis. - (Prostituzione minorile). - Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni. La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto”. 2. Dopo l’articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, è inserito il seguente: “Art. 25-bis. - (Minori che esercitano la prostituzione o vittime di reati a carattere sessuale). - 1. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni diciotto esercita la prostituzione, ne da’ immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che promuove i procedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per i minorenni la nomina di un curatore. Il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti utili all’assistenza, anche 254 di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore. Nei casi di urgenza il tribunale per i minorenni procede d’ufficio. 2. Qualora un minore degli anni diciotto straniero, privo di assistenza in Italia, sia vittima di uno dei delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter e 601, secondo comma, del codice penale, il tribunale per i minorenni adotta in via di urgenza le misure di cui al comma 1 e, prima di confermare i provvedimenti adottati nell’interesse del minore, avvalendosi degli strumenti previsti dalle convenzioni internazionali, prende gli opportuni accordi, tramite il Ministero degli affari esteri, con le autorità dello Stato di origine o di appartenenza”. Art. 3. (Pornografia minorile) 1. Dopo l’articolo 600-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 2, comma 1, della presente legge, è inserito il seguente: “Art. 600-ter. - (Pornografia minorile). - Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni”. Art. 4. (Detenzione di materiale pornografico) 1. Dopo l’articolo 600-ter del codice penale, introdotto dall’articolo 3 della presente legge, è inserito il seguente: “Art. 600-quater - (Detenzione di materiale pornografico). Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a lire tre milioni”. 255 Art. 5. (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) 1. Dopo l’articolo 600-quater del codice penale, introdotto dall’articolo 4 della presente legge, è inserito il seguente: “Art. 600-quinquies. - (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile). - Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni”. Art. 6. (Circostanze aggravanti ed attenuanti) 1. Dopo l’articolo 600-quinquies del codice penale, introdotto dall’articolo 5 della presente legge, è inserito il seguente: “Art. 600-sexies. - (Circostanze aggravanti ed attenuanti). - Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo comma, e 600-quinquies la pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni ovvero se è commesso in danno di minore in stato di infermità o minorazione psichica, naturale o provocata. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter la pena è aumentata se il fatto è commesso con violenza o minaccia. Nei casi previsti dagli articoli 600-bis e 600-ter la pena è ridotta da un terzo alla metà per chi si adopera concretamente in modo che il minore degli anni diciotto riacquisti la propria autonomia e libertà“. Art. 7. (Pene accessorie) 1.Dopo l’articolo 600-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge, è inserito il seguente: “Art. 600-septies. - (Pene accessorie). - Nel caso di condanna per i delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater e 600- quinquies è sempre ordinata la confisca di cui all’articolo 240 ed è disposta la chiusura degli esercizi la cui attività risulti finalizzata ai delitti previsti dai predetti articoli, nonché la revoca della licenza d’esercizio o della concessione o dell’autorizzazione per le emittenti radio- televisive”. Art. 8. (Tutela delle generalità e dell’immagine del minore) 1. All’articolo 734-bis del codice penale, prima delle parole: “609-bis” sono inserite le seguenti: “600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies,”. 256 Art. 9. (Tratta di minori) 1. All’articolo 601 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente comma: “Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da sei a venti anni”. Art. 10. (Fatto commesso all’estero) 1. L’articolo 604 del codice penale è sostituito dal seguente: “Art. 604. - (Fatto commesso all’estero) - Le disposizioni di questa sezione, nonché quelle previste dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-quinquies, si applicano altresì quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano, ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano. In quest’ultima ipotesi il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando vi è stata richiesta del Ministro di grazia e giustizia “. Art. 11. (Arresto obbligatorio in flagranza) 1. All’articolo 380, comma 2, lettera d), del codice di procedura penale, dopo le parole: “articolo 600” sono inserite le seguenti: “, delitto di prostituzione minorile previsto dall’articolo 600-bis, primo comma, delitto di pornografia minorile previsto dall’articolo 600-ter, commi primo e secondo, e delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile previsto dall’articolo 600-quinquies”. Art. 12. (Intercettazioni) 1. All’articolo 266 del codice di procedura penale, al comma 1, dopo la lettera f), è aggiunta la seguente: “f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale”. Art. 13. (Disposizioni processuali) 1. Nell’articolo 33-bis del codice di procedura penale, introdotto dall’articolo 169 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, al comma 1, lettera c), dopo le parole: “578, comma 1,” sono inserite le seguenti: “da 600-bis a 600-sexies puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni,”. 2. All’articolo 190-bis del codice di procedura penale, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: “1-bis. La stessa disposizione si applica quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies, 609-bis, 257 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, se l’esame richiesto riguarda un testimone minore degli anni sedici”. 3. All’articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: “Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli” sono inserite le seguenti: “600-bis, 600-ter, 600-quinquies,”. 4. All’articolo 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: “ipotesi di reato previste dagli articoli” sono inserite le seguenti: “600-bis, 600-ter, 600quinquies,”. 5. All’articolo 472, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: “delitti previsti dagli articoli” sono inserite le seguenti: “600-bis, 600-ter, 600-quinquies,”. 6. All’articolo 498 del codice di procedura penale, dopo il comma 4, sono aggiunti i seguenti: “4-bis. Si applicano, se una parte lo richiede ovvero se il presidente lo ritiene necessario, le modalità di cui all’articolo 398, comma 5-bis. 4-ter. Quando si procede per i reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale, l’esame del minore vittima del reato viene effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico”. 7. All’articolo 609-decies, primo comma, del codice penale, dopo le parole: “delitti previsti dagli articoli” sono inserite le seguenti: “600-bis, 600-ter, 600-quinquies,”. Art. 14. (Attività di contrasto) 1. Nell’ambito delle operazioni disposte dal questore o dal responsabile di livello almeno provinciale dell’organismo di appartenenza, gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata, possono, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale, introdotti dalla presente legge, procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonché partecipare alle iniziative turistiche di cui all’articolo 5 della presente legge. Dell’acquisto è data immediata comunicazione all’autorità giudiziaria che può, con decreto motivato, differire il sequestro sino alla conclusione delle indagini. 2. Nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, definiti con il decreto di cui all’articolo 1, comma 15, della legge 31 luglio 1997, n. 249, l’organo del Ministero dell’interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione svolge, su richiesta dell’autorità’ giudiziaria, motivata a pena di nullità, le attività occorrenti per il 258 contrasto dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale commessi mediante l’impiego di sistemi informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico. A tal fine, il personale addetto può utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse. Il predetto personale specializzato effettua con le medesime finalità le attività di cui al comma 1 anche per via telematica. 3. L’autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l’emissione o disporre che sia ritardata l’esecuzione dei provvedimenti di cattura, arresto o sequestro, quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, commi primo, secondo e terzo, e 600-quinquies del codice penale. Quando è identificata o identificabile la persona offesa dal reato, il provvedimento è adottato sentito il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni nella cui circoscrizione il minorenne abitualmente dimora. 4. L’autorità giudiziaria può affidare il materiale o i beni sequestrati in applicazione della presente legge, in custodia giudiziale con facoltà d’uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l’impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo. Art. 15. (Accertamenti sanitari) 1. All’articolo 16, comma 1, della legge 15 febbraio 1996, n. 66, dopo le parole: “per i delitti di cui agli articoli” sono inserite le seguenti: “600-bis, secondo comma,”. Art. 16. (Comunicazioni agli utenti) 1. Gli operatori turistici che organizzano viaggi collettivi o individuali in Paesi esteri hanno obbligo, per un periodo non inferiore a tre anni decorrenti dalla data di cui al comma 2, di inserire in maniera evidente nei materiali propagandistici, nei programmi o, in mancanza dei primi, nei documenti di viaggio consegnati agli utenti, nocche nei propri cataloghi generali o relativi a singole destinazioni, la seguente avvertenza: “Comunicazione obbligatoria ai sensi dell’articolo ... della legge ... n. ... - La legge italiana punisce con la pena della reclusione i reati inerenti alla prostituzione e alla pornografia minorile, anche se gli stessi sono commessi all’estero”. 2. Quanto prescritto nel comma 1 si applica con riferimento ai materiali illustrativi o pubblicitari o ai documenti utilizzati successivamente al centottantesimo giorno dopo la data di entrata in vigore della presente legge. 259 3. Gli operatori turistici che violano l’obbligo di cui al comma 1 sono assoggettati alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire due milioni a lire dieci milioni. Art. 17. (Attività di coordinamento) 1. Sono attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri, fatte salve le disposizioni della legge 28 agosto 1997, n. 285, le funzioni di coordinamento delle attività svolte da tutte le pubbliche amministrazioni, relative alla prevenzione, assistenza, anche in sede legale, e tutela dei minori dallo sfruttamento sessuale e dall’abuso sessuale. Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta ogni anno al Parlamento una relazione sull’attività svolta ai sensi del comma 3. 2. Le multe irrogate, le somme di denaro confiscate e quelle derivanti dalla vendita dei beni confiscati ai sensi della presente legge sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate su un apposito fondo da iscrivere nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri e destinate, nella misura di due terzi, a finanziare specifici programmi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico dei minori degli anni diciotto vittime dei delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater e 600-quinquies del codice penale, introdotti dagli articoli 2, comma 1, 3, 4 e 5 della presente legge. La parte residua del fondo è destinata, nei limiti delle risorse effettivamente disponibili, al recupero di coloro che, riconosciuti responsabili dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo comma, e 600-quater del codice penale, facciano apposita richiesta. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 3. Nello svolgimento delle funzioni di cui al comma 1, la Presidenza del Consiglio dei ministri: a) acquisisce dati e informazioni, a livello nazionale ed internazionale, sull’attività svolta per la prevenzione e la repressione e sulle strategie di contrasto programmate o realizzate da altri Stati; b) promuove, in collaborazione con i Ministeri della pubblica istruzione, della sanità, dell’università’ e della ricerca scientifica e tecnologica, di grazia e giustizia e degli affari esteri, studi e ricerche relativi agli aspetti sociali, sanitari e giudiziari dei fenomeni di sfruttamento sessuale dei minori; c) partecipa, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, agli organismi comunitari e internazionali aventi compiti di tutela dei minori dallo sfruttamento sessuale. 4. Per lo svolgimento delle attività di cui ai commi 1 e 3 è autorizzata la spesa di lire cento milioni annue. Al relativo onere si fa fronte mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l’anno 260 1998, allo scopo utilizzando l’accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 5. Il Ministro dell’interno, in virtù dell’accordo adottato dai Ministri di giustizia europei in data 27 settembre 1996, volto ad estendere la competenza di EUROPOL anche ai reati di sfruttamento sessuale di minori, istituisce, presso la squadra mobile di ogni questura, una unità specializzata di polizia giudiziaria, avente il compito di condurre le indagini sul territorio nella materia regolata dalla presente legge. 6. Il Ministero dell’interno istituisce altresì presso la sede centrale della questura un nucleo di polizia giudiziaria avente il compito di raccogliere tutte le informazioni relative alle indagini nella materia regolata dalla presente legge e di coordinarle con le sezioni analoghe esistenti negli altri Paesi europei. 7. L’unita’ specializzata ed il nucleo di polizia giudiziaria sono istituiti nei limiti delle strutture, dei mezzi e delle vigenti dotazioni organiche, nonché degli stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’interno. Art. 18. (Abrogazione di norme) 1. All’articolo 4, numero 2), della legge 20 febbraio 1958, n. 75, e successive modificazioni, le parole: “ di persona minore degli anni 21 o “ sono soppresse. Art. 19. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. 261 ALLEGATO 3 Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (Articolo 18) (Gazzetta Ufficiale n. 191 del 18 agosto 1998 Supplemento Ordinario n. 139) CAPO III DISPOSIZIONI DI CARATTERE UMANITARIO Art. 18 (Soggiorno per motivi di protezione sociale) (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 16) 1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. 2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo ed alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale, ovvero per la individuazione o cattura dei responsabili dei delitti indicati nello stesso comma. Le modalità di partecipazione al programma di assistenza ed integrazione sociale sono comunicate al Sindaco. 3. Con il regolamento di attuazione sono stabilite le disposizioni occorrenti per l’affidamento della realizzazione del programma a soggetti diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali dell’ente locale, e per l’espletamento dei relativi controlli. Con lo stesso regolamento sono individuati i requisiti idonei a garantire la compe- 262 tenza e la capacità di favorire l’assistenza e l’integrazione sociale, nonché la disponibilità di adeguate strutture organizzative dei soggetti predetti. 4. Il permesso di soggiorno rilasciato a norma del presente articolo ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia. Esso è revocato in caso di interruzione del programma o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal servizio sociale dell’ente locale, o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio. 5. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. Qualora, alla scadenza del permesso di soggiorno, l’interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di soggiorno. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi. 6. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì rilasciato, all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena, anche su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni, allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva, inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale. 7. L’onere derivante dal presente articolo è valutato in lire 5 miliardi per l’anno 1997 e in lire 10 miliardi annui a decorrere dall’anno 1998. Art. 19 (Divieti di espulsione e di respingimento) (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 17) 1. In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. 2. Non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti: a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9; 263 c) degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. Art. 20 (Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali) (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 18) 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato d’intesa con i Ministri degli affari esteri, dell’interno, per la solidarietà sociale e con gli altri Ministri eventualmente interessati, sono stabilite, nei limiti delle risorse preordinate allo scopo nell’ambito del Fondo di cui all’articolo 45, le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. 2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferiscono annualmente al Parlamento sull’attuazione delle misure adottate. 264 Bibliografia ABBATE C., “Se la squillo risponde al clic”, «Panorama», 3 agosto 2000. 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Al termine del lavoro vorrei rivolgere un pensiero all’ex Ministro per la Solidarietà Sociale, On. Livia Turco, ed alla Responsabile del Suo Staff, dott. Marisa Infantone che fin dal precedente volume scritto con Alessandra Francescutto, Un’analisi del fenomeno prostituzione, ci hanno sostenuto nel lavoro di ricerca e documentazione. Parimenti ringrazio il prof. Ambrogio Fassina e la prof. Franca Bimbi dell’Università degli Studi di Padova per lo stimolo e l’interesse con cui hanno seguito queste e le precedenti ricerche. Ringrazio per il sostegno e l’incoraggiamento nelle attività il prof. Lucio Delcaro, Rettore dell’Università degli Studi di Trieste e il prof. Luciano Lago, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione, tutti i colleghi che sono vicini, e per l’aiuto costante Cynthia Nonis, Antonio Calligaris e le bibliotecarie Alessandra Carlin e Monica Bonotto. Ricordo con gratitudine gli studenti che collaborano ai progetti, un particolare ringraziamento a Noemi Bet, che svolge il compito di ufficio stampa delle mie attività. Ringrazio Luciano Comida un amico che mi ha sempre puntualmente consigliato (ha cominciato a scrivere prima…) e Paolo Rumiz per la precisione dell’intervento. Infine un ringraziamento ad Andreina Bardus della Cleup e Fiorenza Valentini della Cemyk che hanno lavorato alacremente per assicurare un prodotto di qualità e senza il cui preciso impegno questo libro non sarebbe stato realizzato. Altri, a cui va un nuovo ringraziamento, sono citati in varia forma all’interno del volume. Elencarli tutti comporterebbe una lettura introduttiva di lunghezza tale da far temere la lunghezza del testo. Chi lo leggerà nella sua completezza troverà via via i nomi di quanti hanno ulteriormente dato il loro contributo durante la stesura. (e.k.) 283