Quattro giorni catechisti
“Mi indicherai il sentiero della vita”
Gli appunti sono stati presi durante gli incontri. La trascrizione non è stata rivista dai relatori. Per
chiarimenti e approfondimenti fare riferimento al libretto contenente gli interventi.
15 settembre 2009 – Riscoprire l’iniziazione cristiana
Don Paolo Sartor
Responsabile Ufficio Catechistico e dei percorsi di catecumenato – Diocesi di Milano
Don Angelo Brizzolari – Vicario Episcopale della zona IV di Rho
Scorcio interessante di “pietre vive”. Titolo richiama la necessità di sapere che il sentiero della vita lo indica
Gesù. A Dio viene chiesto di indicare il sentiero, per preservarci dalla supponenza di trovarlo da soli e dalla
necessità di relazione con lui e dal dono che viene direttamente da lui. Il sentiero della vita passa dalla
formazione, ma anche dalla normalità, dalla quotidianità. Il sentiero della vita si coglie e si indica anche alle
persone che abbiamo accanto, alla comunità, ai figli, ai coniugi … Il catechismo è sempre “per la vita
cristiana: a volte il rischio è quella di creare una riserva, dove il catechismo serve per “l’ora”. Il catechismo è
per la vita, perché su di esso si plasmi l’esistenza intera della persona; l’impegno di apostolato ci permetta
di diventare “pietre vive”.
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1. L’architettura del RICA: L’IC ha due poli, da un lato l’elemento della celebrazione (unitaria dei tre
sacramenti in genere) e l’elemento catechistico pedagogico esperienziale (catecumenato = far
risuonare dentro di sé una parola ascoltata, di Dio e della Chiesa). Lo scopo dell’IC possiamo
trovarlo nel Battesimo di un bambino: accoglienza, lettura della Parola, gesti sacramentali … Anche
chi non frequenta la chiesa si accorgerebbe dell’esistenza di una Casa più grande, che accoglie un
figlio che arriva dalla sua casa e che entra, che fa il suo ingresso. “Attraverso l’IC colui che ricerca la
Chiesa è accolto dalla Chiesa in maniera reale e definitiva”. La Chiesa non è un’associazione
semplicemente, questa descrizione risponde ad una descrizione meramente sociologica. La Chiesa
è si tangibile, ma non solo: è assemblea convocata, chiamata attorno al sacrificio di Cristo. Poiché la
Chiesa ha una dimensione verticale di Grazia, quando una persona è accolta nella Chiesa non solo
entra nella comunità visibile, entra anche in comunione con Cristo e con la Pasqua. Nei sacramenti i
ragazzi vivono segni della Pasqua che continuamente, in virtù della grazia, lì si rinnova. Tra questi
poli nell’IC si può dire che uno dei due sia normativo? Si, e certamente il polo centrale è l’intervento
sacramentale. Non viene salvato qualcuno dall’insegnamento: tutti vengono salvati dall’amore di
Dio che si esprime nel sacramento vissuto. Il nostro è un tentativo di crescere, di invocare, di
pregare, di soffrire e di crescere, ma il primato è di Dio. “Quando diciamo che anzitutto i sacramenti
realizzano l’IC, riconosciamo che è Cristo che introduce nella vita cristiana, è Lui che ci “fa cristiani”.
Noi “ci facciamo cristiani” rispondendo di sì ad un Dio che ogni giorno mi chiama. È necessario
quindi riconoscere il lato determinante dei sacramenti, facendoci comprendere per contro lo scopo
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Riscoprire il filo rosso dell’IC: Riferimento: il RICA (6 gennaio 72) preparato dopo circa sei anni di lavoro,
uno dei primi libri liturgici del Vaticano II, nato per rispondere alle esigenze delle terre di missione e di
quelle nazioni (come la Francia) dove la secolarizzazione era già in agguato. Una volta tradotto in italiano i
vescovi ne hanno scritto presentazione, che suona così: “l’itinerario presentato ha valore di forma tipica per
la formazione cristiana”. Non vale quindi solo per la formazione degli adulti non battezzati. Vale per
ripensare OGNI formazione cristiana, anche quindi quella dei bambini.
Il testo, causa pochi utenti, è stato quasi dimenticato, fino a che non si è sentita anche da noi l’esigenza di
rispolverare questo modello, indicato come riferimento. Due saranno i desideri di questo intervento. 1. Si
cercherà di entrare nell’architettura del RICA per comprendere che cos’è IC? – 2. Come trasportare il
discorso globale nel nostro mondo, contestualizzato in ragazzi battezzati? Cosa fa in modo che essi possano
fare vera esperienza di vita cristiana.
del cammino che “facciamo noi con i ragazzi”. Queste esperienze servono a “aiutare a predisporre
un’accoglienza del dono di Cristo come dono”. Spesso si rischia che chi riceva il dono non se ne
renda conto. Noi siamo chiamati a suscitare e poi educare un desiderio: il desiderio di un bambino,
ragazzo, genitore ad appartenere al Signore. Il nostro compito è essere servitori della Grazia.
Questo ci rende piccoli, ci rende servitori del Regno, secondo la nostra forza e il nostro limite. Uno
realizza i sacramenti quando vive una relazione di vita con Cristo e i sacramenti. È per questo che il
RICA dice: “dopo i sacramenti non è finita, ma tutto inizia”, ecco allora la mistagogia, la necessità di
introdurre i nuovi cristiani nel mistero. Battesimo e Cresima diventano iniziazione allora per
l’eucarestia. Nella Sacramenum Caritatis Benedetto XVI sottolinea che il cammino dell’IC deve
condurre al Sacramento dell’Eucarestia, poiché è proprio l’Eucarestia a fare la Chiesa.
Nell’eucarestia viviamo pienamente la comunione, nell’eucarestia si vive pienamente lo scopo
dell’IC. “In questa luce veniamo battezzati e cresimati in ordine all’eucarestia” (SC, ibidem). Non si
può accedere all’eucarestia se non si è battezzati e per sé anche confermati nello Spirito.
2. Qualche ricaduta pratica di tutto questo: due in concreto. Fare attenzione al Battesimo degli adulti
aiuta anche a far crescere l’attenzione battesimale dell’intera comunità cristiane. Fare attenzione al
Battesimo significa partire da li però, perché la vera iniziazione cristiana parte, come già detto dopo
il Battesimo. Il tentativo è quindi quello di fare attenzione al bambino dal Battesimo fino alla
mistagogia, passando dai sacramenti. Questo ci fa vedere l’itinerario concreto che una famiglia
compie accompagnando un figlio nella crescita nella fede. Guardando nel complesso si riconoscono
priorità di azione e di attenzione che deve essere rivolta a tutti i bambini, a tutte le fasce di età. È
necessario quindi investire tutto non solo nel dopo, ma anche nei primi passi. Ed è bene che ci sia, a
livello di comunità, un confronto sui ragazzi che sono stati seguiti già da altri e che vengono poi
affidati ancora. Lo scopo della pastorale battesimale non è preparare immediatamente al
sacramento, è mostrare l’accoglienza che la comunità cristiana offre. Quando si osa, quando si
tenta di fare qualcosa anche di piccolo, “se butti la rete, qualche piccolo pesce si impiglia”. Lo scopo
è che la catechista di terza che inizia si accorga che oltre “ai soliti” qualcuno comincia ad aggregarsi,
qualcuno comincia ad essere già conosciuto. Lo scopo è che anche la relazione tra gli adulti della
comunità conduca e introduca al nuovo cammino. Nell’impianto della nuova Iniziazione è
necessario ispirare il catechismo al cammino di un adulto che non sa niente di fede e di Gesù,
attraverso il primo annuncio e l’evangelizzazione. È necessario anche comprendere come la
catechesi è inizio di vita insieme attraverso la celebrazione, l’esperienza di vita fraterna, lo stare
insieme … ci si rende conto che il momento dell’evangelizzazione si accompagni alla vita vera
vissuta e che questa vita sia sempre custodita e accompagnata. Le tappe di un cammino allora
passano da un primo annuncio, che approda ad un catecumenato, che passa dalla mistagogia
transitando da una celebrazione unitaria dei sacramenti.
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Nelle chiese orientali, legate con Roma, anche quando si ha a che fare con un bambino, i
sacramenti vengono dati insieme. Spesso, se è stato battezzato ha ricevuto anche gli altri
sacramenti, anche se è piccolo. Per la catechesi c’è sempre tempo … Ma poi si va al catechismo se
hanno subito i sacramenti? Qualcuno viene, se si lavora bene è anche più di qualcuno. Dal punto di
vista teologico dogmatico non c’è niente in contrario in questa prassi. È la tradizione, a partire dal
XIV secolo circa, che ci spinge a distinguere i sacramenti per creare uno spazio che venga
adeguatamente attrezzato per la preparazione. È chiaro allora che anche il problema dell’età si
risolve: non dovrebbe essere troppo in là. Nell’itinerario sperimentale concluso si situa quasi come
nel “vecchio ordinamento”. E di per sé non bisogna usare il sacramento “per tenere li”. Certamente
ha senso fare un cammino di fede a 18 anni, ma spostare i sacramenti fino a così “lontano” risulta
essere fuori luogo;
L’ordine prevede per ora prima comunione e qualche anno dopo, spesso due, la cresima, da una
prassi entrata in uso in diocesi negli anni settanta circa. La collocazione della cresima dove è ora
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La celebrazione sacramentale unitaria: (cfr pag 22 e 23) – Parliamo di celebrazione unitaria, perché li
diamo divisi? Quale ordine? A che età dare i sacramenti? (Pur non essendo un sacramento dell’IC quale
posto ha la riconciliazione che non è un sacramento dell’IC, ma che viene dato lì?)
rischia un pochino di ingenerare quasi la convinzione che “sono arrivato alla fine”. L’Arcivescovo,
nel 2003 dice: “Un’altra iniziativa è quella di riprendere e attuare la successione teologica dei
sacramenti … dove la Cresima conferma il battesimo e l’eucarestia è il vero compimento dell’IC …
nell’eucarestia, sacramento più reiterabile di tutti, pone in una logica di continuità”. La
commissione elabora una proposta per realizzare questo: in una stessa celebrazione si danno
entrambi i sacramenti. Una perplessità sensata davanti a questo: si ha come l’impressione che si
perda qualcosa celebrando insieme i due sacramenti, obbligando i ragazzi a comprendere troppe
cose. Ma è anche la soluzione che fa capire come “siamo cresimati” in funzione dell’eucarestia.
Cresimare qualcuno, ma negargli di accostarsi alla comunione avrebbe senso? A pagina 79 del
libretto si dice della possibilità di celebrare la cresima nella veglia di pentecoste per far poi vivere
l’eucarestia la domenica di pentecoste. O fare in modo che la celebrazione della cresima sia
celebrata prima, ma conduca velocemente all’eucarestia. In una fase di transizione questo è
possibile, ma apre chiaramente alla riflessione.
In certe città europee certe grandi vie erano state pensate come vie che conducevano a quella determinata
cosa; nella nostra esperienza diocesana sembra effettivamente che il riferimento catecumenale è diventato
come quel punto dove la strada conduce, quello era il punto di arrivo. Non vuol dire che fosse sbagliato.
Vuol dire che il punto di riferimento poteva essere un altro; può darsi che oggi che ne possa anche essere
un altro: sulle questioni pastorali si possono avere idee diverse. Io testimonio che questo è un punto di
riferimento importante, ma che ce ne possono essere anche altri, magari guardando in là, guardando a quel
Dio che indica il “sentiero della vita”.
Questioni poste …
Sull’aspettare, sul far scegliere al bambino quando e se accostarsi ai sacramenti
C’è una dimensione di dono che non toglie la libertà e che concretizza il sacramento, c’è una
dimensione del dono che deve essere accolta anche se non viene dalla mia volontà.
Si parla di Battesimo, Cresima e comunione. E la Riconciliazione?
Non è sacramento accessorio, ma esso non è sacramento della Iniziazione! Nei nuovi itinerari la
celebrazione della penitenza deve essere fatta prima dell’ammissione all’Eucarestia, in ogni caso. È
necessario maturare questa sensazione di affidamento al Padre che nella confessione si sperimenta
come valore cardine. La si mantiene nell’itinerario perché si crede fermamente che sia importante
sperimentare la premura e la cura del Padre, anche se il sacramento non è e non può essere l’unico
modo di sperimentare la misericordia del Padre. Esistono celebrazioni non sacramentali che sono
state pensate per chiedere perdono a Dio in forma celebrativa e non necessariamente legato al
sacramento.
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Confermazione conferma le promesse fatte da un altro al mio posto, nel Battesimo. Nella celebrazione
unitaria, da adulti, come si spiega la necessità di confermare qualcosa che ho appena fatto, già da adulto?
La confermazione è di più della semplice conferma NOSTRA. Non è nelle nostre mani, non è
espressione di impegno, non può essere solo questo il significato della Cresima. La Cresima è la
conferma del dono dello Spirito e abilita alla vita cristiana più vera, ma è un dono ricevuto da Dio,
non è solo una piccola e umana “professione di fede” o “presa di un impegno”. Si può dire anche in
maniera pastorale una cosa, ma almeno noi dobbiamo saperne la vera natura.
17 settembre 2009 – Un annuncio necessario
Don Ugo Lorenzi
Docente del Seminario Arcivescovile di Milano
1. Lo sguardo all’esperienza
Fare l’esperienza dei primi passi della fede è interessante non solo per noi, ma anche per i ragazzi, che
devono essere “alfabetizzati”. La cultura religiosa non è più condivisa e spesso anche le nostre
programmazioni contengono argomenti che spesso non si riesce ad affrontare, fermandoci semplicemente
a richiamare l’ordine pubblico. Mancano i presupposti per percepire luoghi e momenti di silenzio,
vorremmo camminare con Gesù e la sensazione spesso è di stare ancora “nell’anticamera”, in uno spazio
che sembra non finire mai il momento che attendiamo. In noi allora nasce un sentimento strano, quasi
sarcastico: “Non possiamo condurre più alla fede”, accompagnato dalla convinzione che la comunità non
sia più in grado di condurre a Cristo, dove silenzio, riflessione e meditazione siano solo espressioni
altisonanti, senza più contatto con la realtà.
Se si smette di annunciare il Vangelo, si smette di viverlo. Davanti al clima prima riportato, possono nascere
due critiche, nei genitori e nei ragazzi, ma anche in noi.
“La colpa è della catechesi: non siamo attrezzati, non abbiamo i mezzi” critica difficile da supportare,
facendo riferimento al campo della scuola, dove questo disagio è sperimentato in quasi tutte le altre
agenzie educative che vengono messe in crisi.
“Se è così, deve per forza essere colpa di qualcuno” con una specie di “scarica-barile”, che investe noi
stessi e gli altri. In una situazione complessa, con i difetti e i limiti che ho l’unica cosa che rimane è
dimettermi, andarmene. Prima che colpevoli, però sarebbe necessario considerare che la buona volontà
spesso non è l’unico criterio da considerare. Vedendo la cosa dal clima in cui tutti siamo inseriti,
bisognerebbe considerare lo stile di concorrenza abituale e l’equipaggiamento che deve essere data ad un
ragazzo per permettergli di essere all’altezza. Si riempie tutto, e vengono a mancare il gioco libero, la
capacità di organizzarsi da soli … Ci perdiamo tutti, perché viene meno la percezione della gratuità come
atteggiamento fondamentale nei confronti della vita. Davanti a questo, lontano dal rimprovero, si colloca il
mettersi accanto, l’ascolto e la disponibilità, per camminare insieme lontano da quel piano inclinato che ci
spinge a seguire la massa.
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La catechesi sfasata
La catechesi, a lungo, si è allontanata dal mondo, dalla cultura, dal modo di vivere delle famiglie e dei
ragazzi; per molti ragazzi la catechesi è un mondo strano, dove ci sono modi complicati per dire le cose,
rappresentazioni esotiche e lontane, storie che assomigliano a fiabe. Tra ciò che noi raccontiamo e quello
che loro vivono c’è una sfasatura. Se la catechesi tenta di far arrivare ad una adesione di fede, spesso ci
rivolgiamo a gente che non ha nemmeno idea di che cosa sia la fede. Quando c’è desiderio di scoprire le
cose è tutto bello. Quando manca la scintilla tutto si appesantisce e diventa monotono. Tutti noi facciamo
catechesi a chi ha necessità ancora di una prima evangelizzazione. Usiamo la Bibbia, celebriamo la Messa
per bambini che nemmeno sanno chi è Gesù. Parliamo di assunzione di impegni, di responsabilità a ragazzi
preadolescenti che non la capiscono. Quel Gesù sarà passato davanti a loro come qualcuno che ha
contestato, spronato, aiutato a crescere? Se la risposta fosse no non si abbandona nulla. Si ratifica ciò che
era già prima. E i ragazzi si allontanerebbero da noi senza aver sanato il desiderio di scoperta che
possiedono e che li trascina lontano da noi. Forse, per alcuni, sarebbe opportuno non fare Iniziazione
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La colpa non è di nessuno, la presa della volontà è parziale e tutto non dipende dalla nostra fede e dal
nostro impegno. Pensare diversamente ci prepara alla frustrazione; pensare così ci permette invece di
comprendere meglio, per cambiare qualcosa.
Cristiana: da grandi, se dovesse capitare di fare l’incontro con Gesù, non dovrebbero anche lottare con ciò
che di sbagliato gli abbiamo insegnato noi con noia e pesantezza. La nostra catechesi nasce dall’idea del
Concilio Tridentino che faceva in modo che la cultura ecclesiale e di fede si installasse su una cultura
cristiana che si trasmetteva per osmosi (processioni, rosari, culto … ) Il catechismo diveniva così qualcosa di
vissuto, di vero, con un mondo di riferimenti che permetteva di dire: “l’ho vissuta, me lo ha detto la mia
mamma, ho visto!” Oggi è tutto molto più astratto: le formule indicano qualcosa di indefinito e si
allontanano da qualcosa di familiare. Sale la nebbia e si erode sempre di più la cultura: abbiamo un
apparato catechistico buono e con una prima evangelizzazione scadente. Finché i vissuti erano parte di una
educazione familiare potevamo pensare alla catechesi. Oggi dobbiamo recuperare il terreno, dobbiamo
concentrarci sul costruire i presupposti. Bisogna tornare a rendere esplicito ciò che per molto tempo è
rimasto implicito e a far cadere ciò che prima era un muro che escludeva e rinchiudeva la famiglia, lontana
dalla comunità. È necessario comprendere che è necessario favorire altre dinamiche che partano dallo zero,
dal non sapere nemmeno “chi è Gesù”
Colpiti dalla vita: Perché a quella persona interesso? Quale tipo di mondo ci può essere dove quella cosa lì
ha un senso? È il sentimento di sorpresa, di meraviglia, senza il quale la scintilla non si accende. A volte la
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2. Accogliere il Vangelo
Primi passi: Si fa riferimento al brano degli Atti dove Paolo e Sila possono scappare dalla prigione, ma non
scappano e restano, producendo lo stupore del guardiano e aprendolo alla fede.
In dieci righe Luca racconta cos’è il catecumenato.
Tutto prende il via dalla prigione. Spesso il primo innesco succede in un luogo di tutti (una piazza, lungo il
fiume, …) e anche nel luogo di un altro (un’abitazione, un carretto che ci da un passaggio …) Abbiamo dei
luoghi più strutturati (come la sinagoga ebraica) e dei luoghi che invece sono aperti, dove le persone vivono
e maturano convinzioni anche non religiose. Accettare questo si accoglie l’idea di far parte di comunicazioni
dove noi non deteniamo la regia. Nei nostro oratori e nelle nostre parrocchie “facciamo noi”. In altri
contesti si deve semplicemente stare, raccontare alla gente ciò che per me è importante. La scelta è quella
di non rivendicare alcuna condizione previa: accetto ciò che siete e all’interno di questa prospettiva ho
qualcosa da dirvi. Primo annuncio significa voler incontrare e, nell’incontro, manifestare l’interesse per
l’altro. Prima che sui contenuti allora ci viene chiesto di lavorare sui contesti. Nel vissuto familiare dai tre ai
sei anni, dove i bambini sono affamati di storie, di segni e di simboli si trova uno spazio di serenità che si
può giocare sui fattori a noi più conosciuti. Anche la pastorale dell’infanzia è importante, dove fare un gioco
è bello anche se ci sono delle regole, dove stare a sentire l’altro è bello. In un’ora non si riesce a fare niente.
Occorre uscire dall’idea che il catechista è qualcuno che presta un servizio e il genitore è ricevente. Non
esistono NOI e VOI. Ma esiste solo un noi: tutti fanno parte della comunità cristiana, a tutti è chiesto di
essere testimoni.
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L’esperienza del catecumenato e l’uso della parola
Il catecumenato è “quel modo di fare tipico di epoche dove piano culturale e spirituale si differenziano e i
punti di contatto sono flebili e fragili”. Inoltre “esso è interessato a tutte quelle tappe del cammino di fede
che partano dal tangibile”. Catecumenato non è una parola magica però e non si può trasporre lo schema
che abbiano l’alone del nuovo e del promettente. Catecumenato oggi deve tener conto che, se un tempo
non si sapeva molto, oggi sul cristianesimo si sa tutto: è coercitivo e paternalistico e carico di un valore
affettivo; pur ricordandomi cose preziose, ci sono altre priorità. La fede viene procrastinata e il pensiero alla
propria esperienza di fede si situa sempre in un dopo che, come dice il proverbio, “è amico del mai”. Noi
sembriamo aver perso il fattore sorpresa e in questi senso non c’è da illudersi che il primo annuncio
interviene su un contenitore vuoto; esso invece intreccia “qualcosa di già sentito” che pone in svantaggio il
Vangelo, che lo fa arrivare oggi privato della sua novità e della sua bellezza. Il primo annuncio si gioca in
luoghi informali, in incontri non previsti e in percorsi non scanditi. Non si può delegare ad un insieme di
strategie il momento delicato del primo avvicinamento alla fede. Dobbiamo allenarci a disimparare alcuni
modi di fare e di pensare: non sono bambini aperti alla scoperta. Prima di formarci dobbiamo smetterla di
pensare come “abbiamo sempre pensato”. E dobbiamo ricacciare indietro le rappresentazioni che
bloccherebbero la nostra freschezza.
nostra esperienza ci fa sentire: “ti pagano?”, domanda che nasconde spesso: “ma perché tu rimani anche
quando faccio il contrario di ciò che dici? Mi vuoi bene per me, solo perché sono io?”
Se si innesca tutto questo si apre la scoperta e il cammino. Se non si innesca questo, tutto cade. Le persone
hanno bisogno di vedere se siamo capaci di vivere il vangelo davvero. Non sappiamo quando: noi dobbiamo
solo agire secondo quella Verità che noi annunciamo e ad un certo punto, avviene l’Incontro.
Mossi dalle Parole: la presenza dei cristiani è discreta, ma non muta. Il cristiano su mandato di Cristo è
capace di comunicare la Pasqua, il Volto di Cristo, la sua storia … è importante non assemblare l’annuncio
con il kerigma, come qualcosa che procede da chi sa a chi non sa. Il kerigma entra in un mondo popolato; è
necessario fare attenzione all’aspetto antropologico, dove spesso si nominano con altri nomi cose che noi
vorremmo dire, ma con le nostre parole. Si ascoltano i desideri, dando voce a quei desideri facendo
ascoltare ciò che magari si dice con parole diverse. Si tratta di non imporre impennate irrealistiche a chi non
sa nemmeno andare in bicicletta. È tramontata l’idea dell’approccio unico. Bisogna ascoltare le persone. La
gradualità non deve assomigliare ad un percorso premeditato. Oltretutto le persone hanno anche poco
tempo e spesso le persone apprezzano anche la parola schietta. A volte l’annuncio andrà male, spesso è
solo un momento di semina. Spesso ci viene da stare solo nei luoghi formali e disertare quelli informali, ma
forse siamo chiamati anche in una “onesta sfrontatezza” che ci porti ad incontrare davvero, a sorprendere,
sapendo che ci sono state persone che hanno donato la loro vita in circostanze dove spesso a noi viene
chiesto di perderci, magari, solo la faccia.
Il nostro servizio non è un favore che facciamo alle altre famiglie: “se siamo stanchi di ripetere banalità
adatte solo ai bambini, adattiamoci a loro e quando saremo pronti, questo sarà valido anche per noi.
Questo lo viviamo quando mostriamo luoghi nuovi per loro, luoghi che magari noi vediamo tutti i giorni. E
ancora di più quando quelli a cui noi mostriamo le cose sono nostri amici, perché in questa novità anche il
legame tra noi e gli altri cresce e si fortifica.
Questioni poste …
Catechisti ed età: come si concilia l’attenzione ad un vissuto laddove il vissuto è immaturo o non c’è?
Non si dovrebbe ripetere l’errore di reclutare dei baby catechisti dove lo scarto di età è magari
ridotto. Anche lo schema degli aiuto catechisti risulta perdente. Oggi è giusto e naturale che i
ragazzi giochino il ruolo di animatori della catechesi. Un’età si presta a creare il raccordo tra la
catechesi e la domenica, tra ciò che si ascolta e ciò che viene vissuto, avendo cura di farli
affezionare. È necessario che i bambini sentano parlare di Gesù in ogni ambito della vita e non solo
in quell’ora lì e basta. È necessario moltiplicare le parole e non tutte sono accumulabili in una
persona sola … non solo le catechiste, i preti e i chierichetti possono parlare di Dio. Fortunata quella
realtà dove tutto parla di Dio. L’adulto è garanzia di affetto; l’adolescente colpisce “perché si
interessa a me”.
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Annunciare Dio attraverso lo sport nei nostri oratori
Il gioco e lo sport sono risorse preziose che aiutano i ragazzi a stare insieme, ad integrare le regole
con lo stare insieme. Il gioco è un luogo dove ci si diverte e ci si da delle regole per stare insieme,
dove le regole tutelano lo stare insieme. Il gioco, nella fisicità come il racconto nel linguaggio, sono
buoni mediatori di un messaggio che deve passare anche in un cerchio più largo, anche non
formalmente catechistico. È importante favorire e dare occasione di un dialogo franco e disponibile
sui ragazzi con tutti coloro che si occupano dei ragazzi, per raccontarsi e raccontare. Non bisogna
dimenticare come lo sport sia una metafora della vita e su come esso contenga i vissuti
fondamentali dell’essere umano: la gloria e l’umiltà, il rapporto con la fatica e la voglia di lasciar
perdere …
22 settembre 2009 – Il cammino rinnovato
Maria Grazia Rasia
Ausiliaria Diocesana – Commissione Arcivescovile catechesi
Volontà di spiegare quello che è il cammino del percorso 7-11 anni presentato nel capitolo III del sussidio.
Quali i temi fondamentali dell’itinerario? Temi fondamentali diversi: prospettiva catecumenale con un
cammino integrato composto da più aspetti. Nel documento “Orientamenti per l’iniziazione cristiana dei
ragazzi 7-11” della CEI troviamo alcune indicazioni che richiamano la necessità di un cammino composto,
integrato. In particolare al numero 30 si dice che “il cammino di iniziazione cristiana è un tirocinio per la vita
cristiana”. Non è solo un’adesione, è un “fare pratica”. I vescovi continuano dicendo che “esso deve portare
tutti questi ambiti: ascolto della parola, vita comunitaria, partecipazione alla Messa, esperienze ed
occasione di servizio”. Sicuramente Gesù è il centro vivo della fede: da lui impariamo ad ascoltare la Parola
di Dio, ci alleniamo alla vita dei Figli, impariamo come vivere la Chiesa e fortifichiamo l’impegno quotidiano
a vivere da cristiani. Già sant’Agostino, in confessioni dice “il cristiano non è tale per la conoscenza di una
dottrina o la dedizione ad una causa, ma per l’affezione ad una Persona”. È un cammino di cuore, solo così,
imparando a voler bene a Gesù e come Gesù possiamo evitare i rischi di una educazione troppo moralista o
spiritualista. Il tirocinio va secondo la tripartizione redditio – receptio – traditio.
Altro aspetto dell’itinerario è rappresentato da una certa gradualità che si traduce come “non tutto
subito”. Spesso nell’itinerario classico si chiede la partecipazione alla catechesi, la messa e la vita
dell’oratorio. Nel nuovo itinerario si parte da una situazione dove spesso si gioca al ribasso: occorre, prima
di intervenire sugli altri è necessario seguire la Nota dei Vescovi, che, nella nota 21, si chiede “non
sorprendetevi, o lamentatevi, della situazione in cui arrivano i ragazzi”. Bisogna accoglierli così come sono,
senza dare nulla per scontato. È importante dedicare tempo alla fase dell’accoglienza e dell’ascolto,
comprendendo a che punto sono anche nel rapporto con la preghiera, individuando anche percorsi
adeguati per inserirli nella celebrazione eucaristica. È necessario scegliere anche momenti della vita
oratoriana adatti e praticabili per chi si avvicina. È importante introdurli a quello che significa il celebrare
cristiano. Lo spostamento dei sacramenti in fondo non toglie l’aspetto celebrativo; il cammino di catechesi
IC è opera di Dio che vuole suscitare in noi la capacità di collaborare con Lui, attraverso celebrazioni minori
(sacramentali) che hanno la forza di suscitare la conversione del candidato, suscitando la purificazione e
sostenendo il cammino, interiorizzando così i valori proposti.
Il passaggio da una fase all’altra non avviene per anni, ma per fasi, laddove l’attenzione è al singolo con
gruppi umani e ridotti e non alla “classe”. Il singolo attira l’attenzione solo se è un ragazzo difficile.
L’attenzione al singolo deve essere il punto qualificante, dove il dialogo, il confronto e la conoscenza
diventano prerequisiti necessari. Se l’organo dell’affezione è il cuore, è necessario che esso funzioni
secondo le indicazioni della Sacra Scrittura, cioè deve diventare luogo dove maturano le scelte. Il
discernimento servirà non solo per verificare il cammino fatto; sarà necessario verificare se cresce, durante
il cammino, l’amore per gli altri e per il Signore.
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La necessità di pensare un itinerario integrato ha richiesto di attivare le diverse realtà parrocchiali
nell’organizzare l’itinerario dei ragazzi e delle famiglie, spesso coinvolte in via principale e il luogo dove
vivere la sintesi dei cammini di fede è l’oratorio. È necessario ricordare ai genitori la loro primaria
responsabilità educativa. (LG 11,41), senza scadere nell’errore della rivendicazione, laddove questo
richiamo non basta però a fare in modo che i genitori siano pienamente consapevoli della loro vocazione.
Anche Giovanni Paolo II chiedeva espressamente che i genitori siano aiutati a passare da una fede per
tradizione ad una fede convinta. È necessario richiamare il significato vero di libertà, scelta, responsabilità.
“Tu sei venuto liberamente a chiedere alla comunità questo sacramento. Io voglio parlare con te in un
dialogo maturo e vero”. Chi rappresenta la comunità quindi non può dimenticare di sottolineare
l’importanza di una educazione alla fede che deriva direttamente dal mandato di Cristo.
L’itinerario: La prima fase è denominata TEMPO DELL’ACCOGLIENZA. Questo tempo è rivolto ai genitori che
non hanno fatto il percorso battesimale e chiedono di far fare catechismo ai figli, intorno ai 7 anni dei
bambini e che spesso è legata alla celebrazione dei sacramenti. È necessario in questi casi curare un
aggancio alla comunità cristiana, perché questi doni sono richiesti da loro alla chiesa, alla comunità. È
necessario ascoltare un punto di partenza, aiutandoli a fare il passaggio dalla semplice domanda dei
sacramenti alla domanda per un cammino di fede per loro e per i ragazzi, chiedendo un accordo educativo
minimo. Questo accordo educativo tra parrocchia e famiglia è di importanza assoluta, dove i momenti sono
vissuti per il bene dei ragazzi e delle famiglie. Questo cammino, proprio in virtù di questo impegno, diventa
un momento sincero di confronto e di dialogo. Il concetto della delega alla catechista non è più valido. Per i
fanciulli è necessario che in un primo momento conoscano l’ambiente e le persone. È necessario
recuperare l’esperienza di preghiera che hanno, facendo maturare la capacità di ascolto. Chi invece sta già
camminando con la comunità dal Battesimo è già inserito in comunità, per cui questo primo momento lo
salterà. Il primo momento dura circa tre mesi e si conclude con la consegna della Scrittura (o almeno del
Vangelo di Marco), all’intera famiglia. Il passaggio da fase a fase non è automatico, ma viene vagliato
attentamente attraverso i passi del discernimento.
Il TEMPO DEL DISCEPOLATO segue il primo momento e mira alla conoscenza di Gesù, dove la conoscenza di
Gesù spinge a incontrare Gesù e a voler condividere con Lui la vita, dove si fa attenzione al kerigma.
Questa prima fase non può durare meno di sei mesi;
Chiaro è che con una impostazione di questo tipo è più facile vivere cammini con ragazzi battezzati e non.
La volontà è quella di riprendere la figura di Gesù basandosi sull’anno liturgico, da dove nasce la
celebrazione della traditio del padre nostro. Secondo grosso tema è ragionare su come vivono i figli di Dio
(cfr Romani 8, Beatitudini, testimonianze cristiane “vive” che i ragazzi possono vedere fuori dai momenti
ufficiali …) con consegna celebrativa della Legge dell’Amore che apre all’Esame di Coscienza con, per i
battezzati, la celebrazione della prima riconciliazione.
È inoltre basilare l’esperienza della Chiesa considerando la vita della prima comunità cristiana (cfr. Atti 2)
fino ad introdurre progressivamente alla celebrazione della Messa domenicale, memoria pasquale
domenicale. A questo punto dovrebbe essere assodata anche la presenza alla Messa.
IL TEMPO DELLA PREPARAZIONE PROSSIMA AI SACRAMENTI, che deriva dal discernimento personale, che
parte dall’ascolto del gruppo, del singolo e dei genitori. È il momento ultimo di verifica. Un ragazzo a questo
punto dovrebbe frequentare la Messa e vivere con regolarità la riconciliazione. Avviene il rito dell’elezione,
offrendo un itinerario spirituale che avviene attraverso la forma rituale con cui la comunità celebra; il fine
di questo cammino è accendere i desiderio di accedere alla vita cristiana celebrativa per entrare in
comunione con la chiesa e per riuscire nell’immersione totale nella Grazia di Dio
LA CELEBRAZIONE UNITARIA DEI SACRAMENTI nella Veglia o nel tempo Pasquale
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LA MISTAGOGIA un ultimo anno di cammino che apre alla vita cristiana nei cammini di Pastorale Giovanile,
attraverso la cura dell’aspetto vocazionale, la cura per la celebrazione dell’eucarestia e i passi di
discernimento.
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Quattro giorni catechisti “Mi indicherai il sentiero della vita”