INTRODUZIONE La storia ci insegna che nel corso dei secoli il Potere di un popolo era determinato dalla forza del suo esercito e dalla capacità organizzativa dei propri governanti in campo amministrativo, economico e legislativo. Ricordiamo, per esempio, la grandezza raggiunta dall’Impero Romano nella strategia bellica, nell’edilizia urbanistica, nell’arte e soprattutto nella realizzazione del “Codice di Diritto” tutt’ora utilizzato dalla giurisprudenza di molte nazioni moderne. A partire dalla rivoluzione industriale si è innescato un processo che ha spostato il potere nelle mani di coloro in grado di fornire l’energia necessaria al crescente progresso tecnologico, energia proveniente soprattutto da fonti non rinnovabili e inquinanti che producono immense ricchezze per pochi possessori. L’energia per l’uomo moderno è una necessità vitale. Nello novembre del 2006 sono bastate poche ore di Black-Out per bloccare mezza Europa: niente comunicazione, niente Internet, nulla poteva più funzionare senza energia. In un villaggio Tibetano la cosa sarebbe passata inosservata e senza traumi poiché l’energia, da quelle parti, è la stessa utilizzata dai nostri nonni: la forza degli animali, dell’acqua e del fuoco. Ma per l’uomo moderno è come l’aria che respira, non se ne può fare a meno, e questa dipendenza dà potere a chi possiede la fonte dell’energia. Energia che dovrebbe essere distribuita equamente secondo le necessità dei popoli, è utilizzata come strumento di potere e arricchimento. Come risolvere questo grave problema? La soluzione viene ormai suggerita da anni da numerosi scienziati che promuovono fonti rinnovabili, non inquinanti ed il cui utilizzo dovrebbe essere un diritto dell’uomo e non un bene da acquistare. Silvio Di Martino OSCAR WILDE Oscar Wilde was born in Dublin in 1854 into a family from the wealthy Protestant minority. He soon began to adopt extravagant poses: he dressed exotically, wore his hair long, decorated his rooms with sunflower, lilies, peacock’s feathers. Wilde became the leading personality of English decadentism. He led an intense social life; his wit and his brilliant conversation, his affected paradoxes, as well as his extravagant attitudes, made him the lion of London high society. The Aesthetic Movement. Oscar Wilde is closely associated with Aestheticism, the Movement of the last decades of the century, originating in France and introduced into England. Wilde was the embodiment of Aestheticism: he constantly challenged the conventions of his time and cultivated an extravagant style of living. The Aesthetes rejected the idea that art must be didactic to people, and advocate the principle of “ art for art’s sake”. They were fascinated by the contrast art-life, asserting the superiority of art, and their supreme aim was the cult of beauty. Oscar Wilde has the attribute of the typical Dandy, he is an aristocrat who wants to show the contemporaries with his intellectual superiority, but he remains an aristocrat for ever. Dandy is similar to the Bohemien, the only difference is that the Bohemien allies himself with the masses ( the proletariat). The Picture of Dorian Gray. The work which best expresses his aesthetic creed is The Picture of Dorian Gray. This strange novel was influenced by Huysmans’ A Rebours. Dorian Gray can also be read as a version of the myth of Faust, presenting a man who loses his soul in return for eternal youth and beauty. The final stabbing of the picture and subsequent inversion of the “roles” can be read in more than one way: the triumph of art over life, because in the end it is the picture that survives in the glory of its beauty, but it can also signify the impossibility of a life pursuing sensual and intellectual delight with no acceptance of moral responsibility . GABRIELE D’ANNUNZIO La vita Nato nel 1863 a Pescara, da agiata famiglia borghese, studiò in una delle scuole più aristocratiche del tempo. A soli 16 anni esordì con “Primo vere” un libretto in versi. A 18 anni si trasferì a Roma, dove abbandonò gli studi per la vita mondana; divenne famoso per la vita e le opere scandalose, creandosi la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore che rifugge dalla mediocrità, rifugiandosi in un mondo di pura arte che ha come regola di vita solo il bello. Nei primi anni del 90 però D. entrò in crisi e andò alla ricerca di nuove soluzioni, trovandole nel mito del superuomo (Nietzsche). Egli puntava al “ vivere inimitabile” Una vita da principe rinascimentale che conduceva nella villa di Fiesole, tra oggetti d’arte, amori lunghi e tormentati ( Eleonora Duse), con un dispendio di denaro che egli non riusciva a controllare: Proprio questa fu la contraddizione che non riuscì a superare: egli disprezzava il denaro borghese, ma non poteva farne a meno per la sua vita lussuosa. Proprio per l’immagine mitica che voleva dare di sé, tentò anche l’avventura politica, anche se in un modo ambiguo, schierandosi prima con la destra e poi con la sinistra. In seguito rivolse la sua attenzione anche al teatro, poiché poteva raggiungere un pubblico più vasto rispetto ai libri. Ma nonostante la sua fama fosse alle stelle ed il “ dannunzianesimo” stesse improntando tutto il costume dell’Italia borghese, D., a causa dei creditori, dovette fuggire dall’Italia rifugiandosi in Francia. L’occasione tanto attesa per l’azione eroica gli fu offerta dalla I guerra mondiale. Al cui scoppio D. tornò in Italia ed iniziò una campagna interventista. Arruolandosi volontario fece imprese clamorose e combattè una guerra eccezionale non in trincea, ma nei cieli con il nuovissimo mezzo: l’aereo. Con esso compì numerose azioni di valore, tra cui la “Beffa di Bùccari” e il volo dimostrativo su Vienna. “La Beffa di Bùccari” consistette in un attacco condotto da tre torpediniere italiane, al comando di Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, contro la flotta austriaca ancorata nella baia di Bùccari (Croazia). Il volo su Vienna fu compiuto il 9 agosto 1918 da una squadriglia di apparecchi, che lanciarono sulla città migliaia di manifestini, in cui si leggeva: <Viennesi! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà>. Nel dopoguerra capeggiò una marcia di volontari su Fiume dove instaurò un dominio personale. Cacciato via, sperò di riproporsi come “duce” di una rivoluzione reazionaria ma fu scalzato da Mussolini. Il Fascismo lo esaltò come padre della Patria ma lo guardò anche con sospetto confinandolo nel “Vittoriale degli Italiani”, una villa di Gardone, che egli trasformò in vero mausoleo. Qui trascorse gli ultimi anni fino alla morte nel 1938. L’influenza di D. sulle cultura e sulla società fu lunga ed importante, lasciando un’impronta sul costume degli italiani e sulle nascente cultura di massa. D’annunzio e il decadentismo D’Annunzio è, insieme con il Pascoli, il poeta più rappresentativo del Decadentismo italiano; ma essi, pure essendo quasi contemporanea,e pur muovendosi nell’ambito del Decadentismo sono, sotto molti aspetti, assai differenti. Anzitutto il Decadentismo del Pascoli fu più istintivo che consapevole; il Decadentismo del D’Annunzio fu invece frutto di scelte precise, operate nell’ambito delle più svariate tendenze del Decadentismo europeo, assimilate e padroneggiate per l’eccezionale disponibilità del suo spirito alla più varie e ardite esperienze di vita e di arte. E` vero che il D’Annunzio assimilò le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo, come l’estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo, l’ulissismo (inteso come ricerca di esperienze sempre nuove ed eccezionali), ma ne ignorò il misticismo gnoseologico ed il dramma della solitudine umana e dell’angoscia esistenziale. Tuttavia, nonostante questo limite vistoso, egli non solo divenne parte integrante del movimento decadente europeo, ma seppe creare un proprio stile di vita e di arte che va sotto il nome di « dannunzianesimo ». Gli aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono: 1) L’estetismo artistico - cioè a concezione della poesia e dell’arte come creazione di bellezza , in assoluta libertà di motivi e di forme - sorto come reazione alle miserie e alle "volgarità" del verismo; 2) l’estetismo pratico, che ha un rapporto di analogia con l’estetismo artistico: anche la vita pratica deve essere realizzata in assoluta libertà, al di fuori e al di sopra di ogni legge e di ogni freno morale; 3) l’analisi narcisisticamente compiaciuta delle proprie sensazione più rare, sofisticate raffinate; 4) il gusto della parola, scelta più per il suo valore evocativo e musicale che per il suo significato logico. Esso culmina nei capolavori dell’Alcyone; 5) il panismo, ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto, a dissolversi e ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura, astri, mare, fiumi, alberi; a sentirsi, cioè, parte del Tutto, nella circolarità della vita cosmica. Dannunzianesimo. Per dannunzianesimo s’intende il complesso degli atteggiamenti deteriori del D’Annunzio, che influenzarono la vita pratica, letteraria e politica degli italiani del suo tempo. Nella vita pratica il D’Annunzio suscitò interesse e curiosità in certa aristocrazia e borghesia parassitaria e sfaccendata, e ne influenzò il costume con i suoi atteggiamenti estetizzanti, narcisistici, edonistici, immorali e superomistici. Nella vita letteraria con i suoi virtuosismi lessicali e stilistici diventò il modello di tanti poeti del suo tempo. Nella vita politica dapprima con la sua eloquenza fastosa di interventista e con le imprese eroiche e leggendarie di combattente, galvanizzò, entro certi limiti l’Italia in guerra; poi con il gusto estetizzante dell’avventura e della ribellione all’autorità costituita ( al tempo dell’impresa fiumana ) influenzò il Fascismo, al quale il dannunzianesimo fornì gli schemi delle celebrazioni esteriori, dei discorsi reboanti e vuoti, dei messaggi e dei motti ( ricordiamo il famoso Memento audere semper ) l’uso del gagliardetto, la teatralità dei gesti e le pose istrionesche del capo. Ma il dannunzianesimo non fornì al Fascismo soltanto gli schemi esteriori, che, tutto sommato, potevano anche rimanere innocui: gli lasciò anche eredità più nefaste e brucianti, che vennero a far parte dell’habitus mentale fascista, come la mancanza di senso storico il fastidio o il disprezzo per il lavoro umile, l’improvvisazione, la faciloneria, la sottovalutazione e il disprezzo degli avversari: tutti elementi che portarono l’Italia alla guerra e alla disfatta. Panismo Il termine 'Panismo' deriva dal Dio Pan che tornato sulla terra, invita gli uomini a immergersi nelle cose, a immedesimarsi in esse. L' autore cerca una fusione dei sensi e dell'animo con le forze della vita, accogliendo in sé e rivivendo l'esistenza molteplice della natura, con piena adesione fisica, prima ancora che spirituale. Il Panismo dannunziano è quindi quel sentimento di unione con il tutto, che ritroviamo in tutte le poesie più belle di D'Annunzio, in cui riesce ad aderire con tutti i sensi e con tutta la sua vitalità alla natura, s'immerge in essa e si confonde con questa stessa. Per esprimere questo atteggiamento raffinato e sensuale D' Annunzio si servì di un linguaggio insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci arcaiche e sull' invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare; creò così un “culto della parola” che diventa un' esperienza linguistica originale e contribuisce, anche se in misura minore di Pascoli, ad avviare il nuovo linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive. Superoismo. Il tema del superuomo attraversa la cultura europea della fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Nietzsche lancia la sua grande sfida all'Occidente e chiede la nascita di un uomo nuovo, creatore di valori che vanno al di là del bene e del male. Una grande impresa, quella della filosofia nietzschiana, che si pone il compito di distruggere i valori trascendenti su cui si è fondata la morale. Il filosofo tedesco infatti afferma che la realtà della vita è dominata dagli istinti e che la gran massa degli uomini è istintivamente orientata verso l' accettazione di un 'capo', di un 'padrone', perchè, essendo incapace di scelte autonome, si sente protetta nel seguire quelle impostatele dall' uomo forte. Pochi sono, invece, gli uomini dotati dell' istinto che il filosofo definisce 'la volontà di potenza”, e sono questi che hanno il diritto e il dovere di elevarsi sulla massa e di comandare ('superuomini'). Inoltre, se la vita è dominata dagli istinti, le varie 'morali' storiche (tra cui quella cristiana) non hanno alcuna ragione di essere in quanto fondate su principi astratti e su infondate conoscenze della realtà. Le uniche morali possibili sono quella dei padroni e quella dei servi. La prima è fondata sulla consapevolezza del superuomo che è compito suo determinare e affermare i 'valori' e che a nessun altro è dato di esprimere giudizi sul suo operato. D'Annunzio, in Italia, si fa interprete privilegiato di queste nuove atmosfere. Nei romanzi dannunziani il superuomo nietzschiano perde le sue caratteristiche prettamente filosofiche e si trasforma nell'artista che plasma la realtà con la parola, oppure nell'eroe che proviene da una illustre famiglia aristocratica. Appare evidente come la complessa analisi svolta da Nietzsche si immiserisca nella reinterpretazione che ne dà D'Annunzio e nell'uso improprio che ne fanno i sostenitori del nazionalismo. L'idea di superuomo, che faceva parte di un ambizioso progetto di critica della civiltà occidentale, ora diventa un semplice slogan per propagandare la guerra e l'impegno imperialista, per esaltare la potenza rigeneratrice della poesia e per legittimare le elite di governo. D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche banalizzandoli: il rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari che schiacciano la personalità, l’esaltazione di uno spirito dionisiaco, cioè di un vitalismo gioioso, libero dalla morale, il rifiuto della pietà dell’altruismo, il mito del superuomo, assumono una coloritura antiborghese, aristocratica e antidemocratica. Vagheggia l’affermazione di una nuova aristocrazia che sappia elevarsi a superiori forma di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita eroica. Il mito Nietzschiano del superuomo è interpretato da D’Annunzio come il diritto di pochi esseri eccezionali ad affermare il loro dominio sulla massa. Questo nuovo personaggio ingloba in sé l’esteta; l’artista-superuomo ha funzione di vate, ha una missione politica di guida, diversa da quella del vecchio esteta. D’Annunzio non accetta il declassamento dell’intellettuale e si attribuisce un ruolo di profeta di un ordine nuovo. Il superuomo di Nietzsche venne quindi mal interpretato e nel D’Annunzio si limitò a nuove avventure erotiche e alla esaltazione della propria personalità eccezionale proponendo così un dannunzianesimo basato sul costume e sulla moda esaltato da una borghesia ambiziosa e megalomane. Il Superomismo come accennato precedentemente rappresenta l’atteggiamento di superiorità dannunziano, al di sopra del bene e del male. A differenza di Nietzsche, D’Annunzio proclama la necessità di una vita in perpetua ascensione (Superuomo dannunziano) per un impulso costante di quegli elementi che D’Annunzio chiama “La Quadriga Imperiale” della sua anima, il cocchio dell’anima eroica. Il suo slancio superomistico lo porta ad una immediata comunione con la natura e con le sue forze elementari. In questo egli intravede una felicità che coincide con una vita avventurosa ed eroica; la fusione di Volontà e Voluttà (cioè il piacere) e di Orgoglio e Istinto (la quadriga imperiale appunto) permette di diventare tutt’uno con l’energia creatrice della natura, di continuarla, anzi, di emularla. Estetismo. La grande capacità del D'Annunzio è quella di sapersi reinventare: egli riesce più volte a rinnovare la propria figura presso l'opinione pubblica come anche a rigenerare la propria creatività in forme nuove. Una costante di tutta l'opera dannunziana è la sua obbedienza all'estetismo decadente, nei suoi due aspetti prevalenti. Per lui, l'estetismo è aspirazione ad un'esistenza di eccezione, al vivere inimitabile, a fare della propria vita un'opera d'arte, infatti, egli mirava ad una fusione tra vita e scrittura: la sua vita assume pose estetizzanti, l'arte ricalca di continuo esperienze esistenziali. Estetismo è anche culto delle sensazioni, culto del corporeo e dell'istintivo, in senso irrazionalistico e anticristiano. Il culto della sensazione tende a collocare la vita dell'uomo dentro la vita della natura assimilando l'una e l'alta in una visione metamorfica; inoltre porta a frantumare la realtà in una miriade di oggetti senza più ordine né gerarchia. Dall'estetismo dannunziano deriva il programma del poeta inteso come "supremo artefice" ovvero come colui che produce gli oggetti dell'arte sottoponendoli a una lunga elaborazione tecnica. L'arte è per D'Annunzio il prodotto di una mente superiore. Egli stesso si definiva l'"Imagnifico", creatore di immagini, attraverso suoni e parole ricercatissimi. Egli giunge ad un'idea eterna della poesia, come sottratta al tempo: per questo preferisce i termini arcaici e sottolinea i rapporti con le etimologie greche o latine delle parole che usa. Se l'idea del poeta-artefice sembra avvicinare D'Annunzio alla tradizione classica, egli però, se ne distacca per l'indifferenza che mostra rispetto ai messaggi e ai contenuti, cui la poesia classicistica mirava: l'unico messaggio, è proprio l'assenza di messaggi, in quanto il fine dell'opera d'arte è d'imporre la propria bellezza, suscitando inebrianti sensazioni nei lettori. La parola è tutto, sostituisce il mondo e sta per esso. D'Annunzio si propone quindi come intellettuale di tipo nuovo e ciò diventa un fenomeno di costume. L’Estetismo rappresenta il fulcro della poesia dannunziana, la fonte ispiratrice e “di vita” per lo stesso autore, tanto che, come già accennato, sulla base di esso fondò la sua intera esistenza. L’espressione “estetica” confluisce nell’opera “estetica” più rappresentativa di D’Annunzio:“Il Piacere” Il Piacere. Con il Piacere (1889), D’Annunzio passa dalla narrazione lunga del romanzo a quella breve della novella. Questo nuovo stile si può schematizzare in tre parti: - la creazione del personaggio come un alter ego dell’autore, di cui assume cultura e biografia. - La trama ridotta al minimo, e non più come un racconto di fatti ma bensì di brevi momenti di forte intensità e di forti emozioni. - La musicalizzazione della scrittura , dovuta alla strategia della ripetizione per rendere appunto più fluido e donare il senso di musicalità. In Andrea Sperelli, protagonista del Piacere, D’Annunzio sembra immedesimare la propria esperienza biografica, infatti Andrea è un dilettante, uomo raffinato, frequentatore di salotti e ritrovi eleganti. La crisi è molto evidente nel suo rapporto con le donne: è diviso fra due donne Elena, la donna fatale e Maria, quella pura. Ma l’esteta mente a sé stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico sottile e perverso, e funge da sostituto di Elena, che Andrea desidera ma lei essa rifiuta. Infine viene abbandonato da entrambe, in particolare da Maria quando dubbiosa riguardo la sincerità di Andrea e la veridicità dell'amore nei suoi confronti, ottiene la certezza di ciò quando, per sbaglio, Andrea la chiama “Elena”. Andrea preferisce il senso estetico a quello morale, puntando tutta la sua attenzione al culto della bellezza. Si nota l’eroticità perversa del personaggio che desidera di possedere Elena attraverso Maria facendo una fusione tra eros pagano e amore cristiano. Il romanzo pur essendo monotono e non rappresentando la massima espressione artistica di D’Annunzio ebbe grande successo più che per ragioni artistiche, appunto, per ragioni sociologiche, poiché interpretava le esigenze di certo gusto contemporaneo. Qui si rivela l’io del poeta, narcisista inaffidabile e multiplo, che rende la trama fluida e discontinua. Il paesaggio ha una duplice funzione: non più visto come uno scenario ma assume un valore simbolico, come uno spazio fantastico dell’interiorità del poeta. Approfondendo l’analisi del romanzo, è interessante analizzare e cercare di capire il rapporto tra l’autore e il protagonista del suo primo romanzo, Andrea Sperelli: il suo atteggiamento è, come ha notato la critica, doppiamente definibile. Se da un lato Sperelli incarna la figura pubblica di D’Annunzio, un letterato sempre alla ricerca del bello e del Piacere, dall’altra esso è sottoposto ad una feroce critica da parte dell’autore, che mette in luce la fragilità e la debolezza di Sperelli. Alcune interpretazioni critiche affermano quindi che Il Piacere è caratterizzato da una armonia tra ciò che D’Annunzio è e ciò che vorrebbe essere: tale osservazione scaturisce da un raffronto tra il giovane abruzzese che frequenta i salotti ma non nel modo in cui vorrebbe (egli è solo un semplice osservatore a differenza di Sperelli, vorrebbe dedicarsi all’amore con più donne ma non può perché a differenza del conte degli Ugenti lo vincolano gli obblighi matrimoniali, vorrebbe essere ricco ma non vi riesce ed infatti è costretto a fuggire in Francia per eludere i creditori)…ed il nobile protagonista del romanzo. Si delinea infine un nuovo ruolo sociale per l’artista: il letterato italiano soltanto apparentemente si distacca dalla società (a differenza dei poeti decadenti che ricercavano un ruolo margine nella società dell’utile e del progresso),ma in realtà il suo compito è quello di definire per la cultura una sfera di appartenenza indipendente dai valori tradizionali della borghesia: l’utile e il guadagno. Essa deve ricercare il bello e rifuggire il gretto, deve “illuminare” le menti del nuovo pubblico nascente e deve infondere il loro il Piacere per la Bellezza: è in questo modo che D’Annunzio si fa portavoce dell’estetismo. Altre opere estetiste. La Sera Fiesolana Alla fine di una una giornata di giugno, il poeta si rivolge alla compagna e la invita a contemplare insieme a lui il tramonto, ovvero il sopraggiungere della notte. La sera qui non è più il momento del riposo, dove ci tornano in mente tutti i pensieri, ma bensì il mutare del paesaggio il tutto davanti agli occhi del poeta che lo contempla. La lirica consiste in tre strofe, ogni strofa è costituita da un unico periodo di quattordici versi, reso più fluido dagli enjambement . Ogni strofa è seguita da un’antifona che funge da intervallo tra una strofa e l’altra. Vi è una predilezione alla poesia delle origini, dovuto alla frequentazione degli artisti prerafaeliti che D’Annunzio conosce e frequenta e anche dalla sua passione per lo stile dantesco e petrarchesco. La Pioggia Nel Pineto. Tre motivi si intrecciano nella poesia: il più palese è quello mimetico dove appunto sembra che la poesia sia la riproduzione fonosimbolica dei suoni generati dalla pioggia accompagnati da suoni corali, come il canto delle cicali e da suoni solitari come in gracchiare di una rana. Il secondo tema è quello della metamorfosi sempre presente in alcyone. Infine il terzo motivo è quello di creare musica con la poesia riproducendo i suoni della natura. Nella poesia dominano le ripetizioni di versi e parole, infatti assonanze allitterazione, consonanze rime interne, sinestesie creano una musicalità verbale che nasconde tutti i suoni segreti della natura. Proprio qui, molta importanza assumono i verbi taci, odi, ascolta, perchè il poeta con l’imperativo invita il lettore a fare attenzione a questi particolari della natura. Quindi si può parlare ancora di una meta poesia , ovvero di una poesia della poesia, una poesia che canta amore, che canta della metamorfosi che ammalia il poeta stesso in un gioco di illusioni. Estetismo - Superomismo Il suo Estetismo, in seguito, si unirà con l’altro elemento costituente di gran lunga la letteratura dannunziana: il superomismo. Da questa unione feconda D’Annunzio si operò a fornire un nuovo tipo di estetismo che non fosse solo professione mondana, ma gesto, impresa, avventura. Ed è proprio l'unione di questi due aspetti fondamentali che contribuisce all'esaltazione del proprio io dannunziano. Comune ad ambedue è l'esaltazione di quella che il poeta chiamò, come detto poc'anzi, la "quadriga imperiale" della sua anima, cioè l'unione di voluttà e istinto, orgoglio e volontà, anche se i due ultimi termini sono propri, soprattutto dell'esperienza "superumana". D’Annunzio e Nietzsche. Nietzsche è forse il miglior interprete della fine di un mondo e del bisogno di rinnovamento di tutta un'epoca: profeta insieme della decadenza e della rinascita, dà origine alle interpretazioni più discordi, che si tradurranno nelle influenze più diverse. Volta a volta materialista o antipositivista, esistenzialista o profeta del nazismo, il filosofo condivide tutte le ambiguità delle avanguardie intellettuali e artistiche borghesi del primo novecento e non a caso diverrà oggetto, in Italia, dell'interpretazione estetizzante di Gabriele D'Annunzio. Egli infatti, nella sua fase superomistica, è profondamente influenzato dal pensiero di Nietzsche, tuttavia, molto spesso, banalizza e forza entro un proprio sistema di concezioni le idee del filosofo. Dà molto rilievo al rifiuto del conformismo borghese e dei principi egualitari, all’esaltazione dello spirito "dionisiaco", al vitalismo pieno e libero dai limiti imposti dalla morale tradizionale, al rifiuto dell’etica della pietà, dell’altruismo, all’esaltazione dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé. Rispetto al pensiero originale di Nietzsche queste idee assumono una più accentuata coloritura aristocratica, reazionaria e persino imperialistica. Le opere superomistiche di D’Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese del nuovo stato unitario, del trionfo dei princìpi democratici ed egualitari, del parlamentarismo e dello spirito affaristico e speculativo che contamina il senso della bellezza e il gusto dell’azione eroica. D’Annunzio arriva quindi a vagheggiare l’affermazione di una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra della massa comune attraverso il culto del bello e la vita attiva ed eroica. Per D’Annunzio devono esister alcune élite che hanno il diritto di affermare se stesse, in sprezzo delle comuni leggi del bene e del male. Queste élite al di sopra della massa devono spingere per una nuova politica dello Stato italiano, una politica di dominio sul mondo, verso nuovi destini imperiali, come quelli dell’antica Roma. La figura dannunziana del superuomo è, comunque, uno sviluppo di quella precedente dell’esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della bellezza è essenziale per l’elevazione della stirpe, ma l’estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà. D’Annunzio non si limita più a vagheggiare la bellezza in una dimensione ideale, ma si impegna per imporre, attraverso il culto della bellezza, il dominio di un’élite violenta e raffinata sulla realtà borghese meschina e vile. D’Annunzio applica, in un modo tutto personale, le idee di Nietzsche alla situazione politica italiana. Ne parla per la prima volta in un articolo, La bestia elettiva, del ’92, e presenta il filosofo di Zarathustra come il modello del "rivoluzionario aristocratico"; il suo è un fraintendimento, una volgarizzazione fastosa ma povera di vigore speculativo. Ciò che il D’Annunzio scopre in Nietzsche è una mitologia dell’istinto, un repertorio di gesti e di convinzioni che permettono al dandy di trasformarsi in superuomo e fanno presa immediatamente in un mondo di democrazia fragile e contrastata, soprattutto quando al cronista del "Mattino" e della "Tribuna" si sostituisce lo scrittore insidioso del ”Trionfo della Morte” dove non viene ancora proposta compiutamente la nuova figura mitica, ma c’è la ricerca ansiosa e frustrata di nuove soluzioni. D’annunzio e Wilde: il Dandy. D'annunzio aderisce alle correnti dell'estetismo e del decadentismo, le stesse in cui matura l'opera di Oscar Wilde. Paragonando i due personaggi dei loro principali romanzi, dorian gray (“il ritratto di dorian gray”) e andrea sperelli (“il piacere”),si riscontrano facilmente le similitudine: rappresentano la cultura dell'omaggio alla bellezza, l’esteta ideale, un personaggio attento al suo apparire e ai suoi comportamenti esteriori: il Dandy. Il Dandy incarna la figura di un giovane ricco pronto a sacrificare per la bellezza tutti gli altri valori, anche la morale. È una corrente che si manifesta nel passaggio tra i due secoli ed è sottile e venata di malinconia; inseguire l'ideale della bellezza sembra quasi un ultimo tentativo di inseguire dei valori astratti nelle realtà, ideale che verrà spazzato via dal neorealismo e dal verismo di verga, con la devozione alla vita quotidiana in tutto e per tutto. D'annunzio è appunto uno degli ultimi dandy, che vuole dare all'arte il valore supremo nella vita, che vuole riconoscere il poeta come massima autorità, che vuole riconoscere alla letteratura e al culto della bellezza il primato di attività più nobilizzanti. L’impresa di Fiume ”Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.” Gabriele D'Annunzio 11 settembre 1919 Così Gabriele D'Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l'impresa di Fiume. D'Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell'Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione. A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto "O Fiume o morte!". Questi ufficiali assicurano a D'Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta. Gabriele D'Annunzio si autonomina capo del corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1919 entra in Fiume alla testa delle truppe. La popolazione acclama i granatieri italiani ed il "poeta soldato". L'impresa di D'Annunzio riesce anche grazie alla compiacente collaborazione del generale Pittaluga, comandante delle truppe italiane schierate davanti a Fiume, il quale concede via libera al piccolo esercito. Le truppe alleate di stanza nella città non oppongono resistenza e sgomberano il territorio chiedendo l'onore delle armi. Di fronte al colpo di mano il presidente Nitti, nel duplice intento di salvare la nazione da un pronunciamento militare e di non provocare incidenti internazionali, pronuncia un violento discorso: “L'Italia del mezzo milione di morti non deve perdersi per follie o per sport romantici e letterari dei vanesii”. Mussolini, fronteggiando l'attacco contro il suo amico D'Annunzio, scrive sulle colonne del Popolo d'Italia: ”Il suo discorso è spaventosamente vile. La collera acre e bestiale di Nitti è provocata dalla paura che egli ha degli alleati. Quest'uomo presenta continuamente una Italia vile e tremebonda dinanzi al sinedrio dei lupi, delle volpi, degli sciacalli di Parigi. E crede con questo di ottenere pieta'. E crede che facendosi piccini, che diminuendosi, prosternandosi, si ottenga qualche cosa. E' piu' facile il contrario” Gabriele D'Annunzio ottiene così piena autonomia qualificandosi come Comandante della città di Fiume e dichiarando Fiume "Piazzaforte in tempo di guerra". Sull'onda del successo, D'Annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto: marciare su roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi del potere. Mussolini lo dissuade e lo convince che la cosa finirebbe in un fallimento. In realtà la marcia su Roma è il suo grande sogno ma egli vuole ancora aspettare perchè intende essere il solo condottiero di quella marcia, e non certo l'articolista di D'Annunzio, in questo momento più popolare di lui. Nel frattempo le potenze alleate ammoniscono il governo italiano sulle complicazioni che l'impresa fiumana può portare nelle trattative ma la loro presa di posizione è abbastanza moderata, tale da indurre Nitti a non intervenire con la forza contro D'Annunzio ma a intavolare con lui pacifici negoziati. Arriviamo così alla vigilia delle elezioni. D'Annunzio riprende la sua attività espansionistica ed il 14 novembre sbarca a Zara, debolmente contrastato dal governatore militare. Occupata Zara, D'Annunzio riparte pochi giorni dopo lasciando una guarnigione a presidiare la città, mentre corre voce che egli stia per tentare altre imprese del genere a Sebenico ad a Spalato. Gli italiani vanno alle urne ignorando le ultime imprese di D'Annunzio, perchè il governo blocca la notizia attraverso la censura, Nuovo Parlamento di Fiume. Al centro temendo che il nuovo fatto d'armi possa mutare il corso della consultazione. Le elezioni del 1919 vedono la sconfitta dei fascisti e nel giugno del 1920 Giolitti subentra come Presidente del Consiglio a Nitti. Il 1920 vede la conclusione definitiva dell'avventura fiumana di Gabriele D'Annunzio. I rappresentanti delle potenze alleate si riuniscono a Rapallo. Il 12 novembre viene firmato un trattato che dichiara Fiume stato indipendente e assegna la Dalmazia alla Jugoslavia tranne la città di Zara che passa all'Italia. Il "poeta soldato" viene invitato ad andarsene da Fiume. Questa volta l'esercito e la marina italiana non potranno più mostrarsi compiacenti con D'Annunzio. Il generale Enrico Caviglia viene inviato a Fiume per far sgomberare la città dagli occupanti. E' Natale. D'Annunzio dichiara che quello sarà un Natale di sangue e promette che verserà anche il suo, ma il generale Caviglia ordina ad una nave da guerra di aprire il fuoco contro il palazzo del governo. Le prime bordate segnarono la fine dell'avventura di D'Annunzio che se ne va. I suoi legionari lo seguono. Portano una divisa che diverrà famosa: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero. Non resta che concludere ricordando il motto latino che D'Annunzio coniò durante la guerra: "Memento audere semper" (Ricordati di osare sempre) L’ITALIA FASCISTA Totalitarismo imperfetto Organizzazione statale e partitica: nel regime fascista l’organizzazione dello Stato e quella del partito venivano sovrapposti. Il punto di congiunzione era rappresentato dal Gran consiglio del fascismo. Mussolini riuniva in sé il capo del governo e quello del partito ma non dello Stato. PNF: privato di ogni autonomia politica, la sua funzione fu sempre più quella di occupare la società civile, soprattutto attraverso le sue organizzazioni collaterali, ovvero: • Opera nazionale dopolavoro (si occupava del tempo libero dei lavoratori, organizzando gite, gare sportive e altre attività creative). • Comitato olimpico nazionale (Coni) • Organizzazioni giovanili del partito: - Fasci giovanili - Gruppi universitari fascisti (Guf) - Opera nazionale Balilla (Onb) inquadrava i giovani fra 1218 anni. - Figli della lupa (per i bambini sotto i 12 anni). Chiesa: un primo ostacolo ai propositi totalitari era rappresentato dalla Chiesa. Consapevole di ciò, Mussolini cercò un’intesa politica con il Vaticano, che si conclusero l’11 febbraio 1929 con la stipulazione dei Patti Lateranensi. Questi si articolavano in 3 parti: 1. trattato internazionale: con cui la Santa Sede poneva ufficialmente fine alla questione romana, riconoscendo lo Stato italiano e la sua capitale. 2. convenzione finanziaria: con cui l’Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio. 3. concordato: regolava i rapporti interni fra la Chiesa e il Regno d’Italia. Questo stabiliva che: • sacerdoti vennero esonerati dal servizio militare, • il matrimonio religioso avesse effetti civili, • l’insegnamento della dottrina cattolica fosse alla base dell’istruzione pubblica, • l’Azione cattolica potesse continuare a svolgere la propria attività, purché fuori da ogni partito politico. Se il fascismo tratte dai Patti immediati vantaggi politici, fu però il Vaticano a tratte i successi più significativi. La Chiesa acquistò una posizione di privilegio dei rapporti con lo Stato e rafforzò la sua presenza nella società, soprattutto con l’Azione cattolica nel settore delle organizzazioni giovanili. Plebiscito del ’29: presentandosi come l’artefice della conciliazione, Mussolini consolidò il suo consenso, sancito dal primo plebiscito, con un afflusso quasi del 90% e 98% voti favorevoli. Monarchia: un altro limite ai propositi totalitari era costituito dalla presenza del re quale massima autorità dello Stato. A lui spettavano poteri molto importanti come: • il comando supremo delle forze armate. • La scelta dei senatori. • Il diritto di nomina e revoca del capo dello governo. Il regime e il paese Negli anni del fascismo, nonostante l’aumento della popolazione, dell’urbanizzazione e degli addetti nell’industria, nel commercio, nei servizi e nella pubblica amministrazione, la società italiana restava notevolmente arretrata. Programma fascista: a. Fascismo tradizionale: come il nazismo, predicò il ritorno alla campagna e lanciò la parola d’ordine della ruralizzazione. b. Politica demografica: il regime difese ed esaltò la funzione del matrimonio e della famiglia, come garanzia di stabilità e come base per lo sviluppo demografico. Il regime cercò di incoraggiare l’incremento della popolazione: furono aumentati gli assegni famigliari, favorite le assunzioni dei padri di famiglia, istituiti premi per le famiglie numerose, fu imposta una tassa sui celibi. c. Organizzazioni femminili: ostacolò il lavoro delle donne e si oppose al processo di emancipazione femminile. Anche le donne ebbero le loro proprie strutture organizzative: - Fasci femminili, - Piccole italiane, - Giovani italiane, - Massaie rurali. Si trattava di organismi, la cui funzione principale stava nel valorizzare le virtù domestiche della donna. d. Utopia dell’”uomo nuovo”: il fascismo era non solo un regime conservatore, ma anche proiettato verso un sistema totalitario moderno, in cui l’intera popolazione fosse inquadrata nelle strutture del regime, sensibile agli appelli del capo e pronta a combattere per la grandezza nazionale. Consenso dei ceti medi: i maggiori successi, il regime li ottenne presso la media piccola borghesia. Non solo perché si videro aprire nuovi canali di ascesa sociale, ma anche perché erano i più sensibili ai valori esaltati dal fascismo(la nazione, la gerarchia, l’ordine sociale). Il consenso dell’alta borghesia e delle classi popolari fu invece limitato e superficiale. Cultura, scuola, comunicazione di massa. Scuola: la scuola italiana era stata profondamente ristrutturata, già nel 1923, con la riforma Gentile, la quale cercava di accentuare la severità degli studi e sanciva il primato delle discipline umanistiche su quelle tecniche. Il regime si preoccupò di fascistizzare l’istruzione sia attraverso una più stretta sorveglianza sugli insegnati, sia attraverso il controllo dei libri. Rispetto alla scuola elementare e media, l’università godette di un’autonomia maggiore. Nel 1931 fu imposto a tutti i docenti il giuramento di fedeltà al regime. Cultura: in generale gli ambienti dell’alta cultura, si allinearono su una posizione di sostanziale adesione al regime. Pirandello, Marconi, Ma scagni, Piacentini e Volpe fecero esplicita professione di fede fascista. Stampa: tutto il settore della stampa politica, fu sottoposto la controllo del potere, che non si limitava alla semplice censura, ma interveniva anche direttamente sugli articoli. Affidata istituzionalmente al Minculpop (ministero per la Cultura popolare), la sorveglianza sulla stampa era in realtà esercitata personalmente da Mussolini. Radio: il regime controllava anche le trasmissioni radiofoniche, affidate a un ente di Stato denominato Eiar (progenitore della Rai). La radio si affermò come mezzo di propaganda, e solo negli ultimi anni ’30 entrò nelle case della classe media. attraverso la radio giungevano alle famiglie non solo messaggi politici, ma anche canzonette, servizi sportivi, trasmissioni di varietà: tutti ingredienti essenziali per la nuova cultura di massa. Cinema: anche il cinema fu oggetto di attenzioni del regime. I cinegiornali d’attualità, prodotti dall’Istituto Luce, e proiettati obbligatoriamente nelle sale cinematografiche all’inizio di ogni spettacolo, costituirono uno dei più importanti mezzi di propaganda del fascismo. Il fascismo e l’economia. La “battaglia del grano” e “quota 90”. Corporativismo: Il fascismo italiano credette di individuare la sua “terza via” nella formula del corporativismo. In sostanza il corporativismo avrebbe dovuto significare gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività e comprendenti sia gli imprenditori sia i lavoratori dipendenti. Questo sistema non trovò mai vera attuazione. Fase liberista (1922-25): il fascismo adottò, una linea liberista e produttivista, volta cioè a rilanciare la produzione incoraggiando l’iniziativa privata e allentando i controlli statali. Questa linea provocò però, assieme a un consistente incremento produttivo, un riaccendersi dell’inflazione, un crescente deficit e una forte svalutazione della lira. Protezionismo di Volpi: Il ministro delle Finanze De Stefani fu sostituito da Giuseppe Volpi, che inaugurò una politica fondata sul protezionismo, sulla deflazione, sulla stabilizzazione monetaria e su un più accentuato intervento statale nell’economia. Battaglia del Grano: primo importante provvedimento fu l’inasprimento del dazio sui cereali, volta a favorire il settore cerealicolo. Questa fu accompagnata da una campagna detta “battaglia del grano”. Lo scopo della battaglia era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei cerali. Quota 90: la seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira. Il duce fissò l’obiettivo di quota novanta (90 lire per 1 sterlina). I prezzi interni diminuirono e la lira recuperò il potere d’acquisto perduto. Ma a goderne non furono i lavoratori dipendenti (che si videro tagliare stipendi e salari), o le industrie che lavoravano per l’esportazione, bensì quelle che operavano per il mercato interno (che si videro diminuire il costo del lavoro e poterono giovarsi degli sgravi fiscali concessi dal governo). Tutto questo avvantaggiò soprattutto le grandi imprese e favorì i processi di concentrazione aziendale. Il fascismo e la grande crisi: “lo Stato-imprenditore”. Grande crisi: l’economia italiana non si era ancora ripresa quando cominciarono a farsi sentire le conseguenze della grandi crisi mondiale. Il commercio con l’estero si ridusse drasticamente. L’agricoltura subì un nuovo duro colpo in tutti i suoi settori a causa del calo delle esportazioni. La disoccupazione nell’industria e nel commercio aumentò bruscamente. La risposta del regime alla crisi si attuò su due direttrici fondamentali: - lo sviluppo dei lavori pubblici come strumento per rilanciare la produzione - l’intervento, diretto o indiretto, dello Stato a sostegno dei settori in crisi. Lavori pubblici: furono realizzate nuove strade e nuove ferrovie. Fu avviato un programma di bonifica integrale che avrebbe dovuto portare al recupero a alla valorizzazione delle terre incolte (come la bonifica dell’Agro Pontino). Furono costruiti villaggi rurali e nuove città (come Sabaudia e Littoria). Tutto rappresentò per il fascismo un successo propagandistico. Intervento dello Stato: fu nel settore dell’industria e del credito che l’intervento dello Stato assunse le forme più incisive. Colpite dalla crisi erano in particolare le grandi “banche miste” create allo scopo di sostenere gli investimenti nell’industria. Per far fronte alla crisi e salvare le banche dal fallimento, il governo intervenne creando: - un istituto di credito pubblico IMI (Istituto Mobiliare Italiano) con il compito di sostituire le banche nel sostegno alle industrie in crisi - IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) dotato di ampie competenze. L’IRI divenne azionista di maggioranza delle banche in crisi e ne rilevò le partecipazioni industriali. In questo modo lo Stato italiano controllò una quota dell’apparato industriale e bancario superiore a quella di qualsiasi altro Stato (salvo l’Urss): diventò cioè Stato-imprenditore. L’intervento statale finiva con il distribuire alla collettività i costi della crisi industriale e bancaria. È sbagliato parlare di fascistizzazione dell’economia visto che Mussolini non si servì di personale proveniente dal partito ma di tecnici puri. Economia di guerra: Intorno alla metà degli anni ’30, l’Italia era uscita dalla fase più acuta della crisi, però mancò al regime la capacità di approfittare della ripresa per metter in moto un processo di sviluppo. A partire dal ’35 Mussolini si lanciò in una politica di dispendiose imprese militari. Cominciava per l’Italia una lunga stagione di economia di guerra. L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica. Nel movimento fascista fu sempre presente, una forte componente nazionalista. Contestazioni trattati di Versailles: fino ai primi anni ’30 le aspirazioni imperiali del fascismo si tradussero, più che in una corrente direttiva di politica estera, in una generica contestazione dell’assetto uscito dei trattati di Versailles, dunque: - polemica contro le democrazie plutocratiche contrapposte all’Italia proletaria - richiesta di un nuovo equilibrio mediterraneo più favorevole all’Italia. Guerra d’Etiopia: l’accordo di Stresa fu la manifestazione più significativa della politica estera fascista. Ma fu anche l’ultima quando Mussolini aggredì l’impero etiopico. Egli intendeva dare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo, ma anche creare una nuova occasione di mobilitazione popolare che facesse passare in secondo piano i problemi economico-sociali del paese. I governi francese e inglese erano disposti ad assecondare, almeno in parte, le mire italiane. Ma non potevano accettare che uno Stato indipendente, fosse cancellato dalla carta geografica da un atto di aggressione. Né potevano ignorare la forte corrente di opinione pubblica in difesa dell’indipendenza etiopica. Sanzioni: quando dal 1935 l’Italia diede inizio all’invasione dell’Etiopia, i governi francese e inglese non poterono fare a meno di proporre l’adozione di sanzioni consistenti nel divieto di esportare in Italia merci necessarie all’industria di guerra. Le sanzioni ebbero un’efficacia molto limitata: • sia perché il blocco non era esteso alle materie prime • sia perché non impegnava gli Stati che non facevano parte della Società delle Nazioni, come gli Stati Uniti e la Germania. Queste decisioni ebbero però l’effetto di approfondire il contrasto fra il regime fascista e le democrazie europee e consentirono a Mussolini di montare un’imponente campagna propagandistica tesa a presentare l’Italia come vittima di una congiura internazionale. Mobilitazione popolare: Le piazze si riempirono di folle inneggianti a Mussolini e alla guerra. Studenti e attivisti di partito diedero vita a rumorose manifestazioni antiinglesi. Il paese fu percorso da un’andata di imperialismo popolaresco. Ma non mancò neppure il tentativo di assegnare alla guerra scopi umanitari presentandola come una crociata per liberare la popolazione etiopica. Conclusione della guerra: in realtà gli etiopici si batterono con accanimento per più di 7 mesi, sotto la guida del negus Hailè Selassiè. Il 5 Maggio 1936, le truppe italiane, comandate dal maresciallo Badoglio, entrarono in Addis Abeba. Da un punto di vista economico, la conquista dell’Etiopia, paese povero di risorse rappresentò per l’Italia un peso non indifferente. Ma sul piano politico il successo fu indiscutibile. Portando a termine una campagna coloniale vittoriosa, imponendo la propria volontà alle democrazie occidentali. Mussolini diede a molti la sensazione di aver conquistato per l’Italia uno status di grande potenza, in realtà era solo un’illusione. Subordinazione alla Germania: Mussolini era consapevole di tutto questo, ma credette di allargare l’area di influenza italiana giocando sulla rivalità fra tedeschi e franco-inglesi. In questo gioco doveva rientrare, anche il riavvicinamento dell’Italia alla Germania, sancito dalla firma di un patto l’”Asse Roma-Berlino”. Mussolini considerava l’avvicinamento alla Germania come un mezzo di pressione sulle potenze occidentali, come uno strumento che, le consentisse di lucrare qualche ulteriore vantaggio in campo coloniale. Credendo di potersi servire dell’amicizia tedesca. Il duce ne fu in realtà sempre più condizionato, al punto da dover accettare passivamente tutte le iniziative di Hitler. Finché, nel maggio 1939, si decise la firma di un formale patto di alleanza con la Germania, il Patto d’acciaio, che legava definitivamente le sorti dell’Italia alla Germania. L’Italia antifascista. Quando il dissesto politico fu proibito anche a termini di legge, un numero crescente di italiani dovette affrontare il carcere, l’esilio o la clandestinità. 1. Liberali: trovarono un punto di riferimento con Benedetto Croce. Grazie ai suoi giornali e alla sua rivista “La Critica”, molti intellettuali ebbero la possibilità di conoscere e mantenere in vita la tradizione dell’idealismo liberale. Attuarono un’opposizione silenziosa. 2. Cattolici: poterono contare su un tacito appoggio della Chiesa. 3. Comunisti: praticarono l’agitazione clandestina in patria ma anche all’estero, erano gli unici preparati all’attività cospiratoria. Avevano anche loro un centro estero con sede a Parigi, ma esso dipendeva dai dirigenti di Mosca. Palmiro Togliatti, il leader che aveva preso il posto di Gramsci, era anche un dirigente di primo piano del Comintern. Le critiche alla linea ufficiale formulate in carcere da leader come Terracini e Gramsci (i quaderni del carcere) rimasero sconosciute. 4. Socialisti, Repubblicani e Liberal-democratici: cercarono di tener in vita la loro attività all’estero, soprattutto in Francia. Nel 1927 questi gruppi si federarono in un’organizzazione unitaria, la Concentrazione antifascista. Essi svolsero un’importante attività propagandistica e fecero sentire la voce dell’Italia antifascista. 5. movimento di “Giustizia e Libertà”: fondato dai fratelli Lussu e Carlo Rosselli. Il GL voleva essere un organismo di lotta sul tipo del Partito d’azione mazziniano, capace di far concorrenza ai comunisti, ma si poneva anche come punto di raccordo fra socialisti, repubblicani e liberali. Il fallimento del Fronte popolare in Francia, la guerra civile in Spagna, le grandi purghe staliniane, la rottura fra l’Urss e le democrazie occidentali: tutti questi fatti si ripercossero negativamente sull’unità del movimento antifascista italiano. Per molto tempo gli antifascisti attesero invano un grande sommovimento popolare che abbattesse il regime. Quando infine scoppiò la guerra, si trovarono nella difficile posizione di chi è costretto ad augurarsi la sconfitta del proprio paese. Eppure il movimento antifascista svolse un ruolo di grande importanza politica oltre che morale. Testimoniò l’esistenza di un’Italia che non si piegava al fascismo; rese possibile il sorgere, dopo il ’43, di un movimento di resistenza armata al nazifascismo e anticipò molti tratti della futura Italia democratica. Apogeo e declino del regime fascista. La vittoriosa campagna contro l’Etiopia segnò, il culmine del successo e della popolarità. Ma, svaniti gli entusiasmi, il distacco fra regime e paese si andò allargando. A suscitare disagio fu: Politica economica: fu sempre più ispirata a motivi di prestigio nazionale e condizionata dal peso delle spese militari. Mussolini decise di intensificare e di rilanciare la politica dell’autarchia, consistente nella ricerca di una sempre maggiore autosufficienza economica. L’autarchia si tradusse in un’ulteriore stretta protezionistica. I risultati finali non furono brillanti. L’autosufficienza rimase un traguardo irraggiungibile. Politica estera: attuata da Mussolini e il suo genero Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri. L’aspetto che più inquietava era l’amicizia con la Germania. La nuova politica mussoliniana si mostrava priva di risultati immediati e faceva sembrare più vicina l’eventualità di una nuova guerra europea. Non fu un caso che le uniche manifestazioni di vero entusiasmo si ebbero in coincidenza del ritorno di Mussolini dalla conferenza di Monaco. Ma le aspirazioni alla pace contrastavano con i programmi di Mussolini. Il duce auspicava per l’Italia un avvenire di conquiste e di confronti militari. Egli pensava che gli italiani avrebbero dovuto non solo armarsi ma anche trasformarsi in un popolo di tradizioni guerriere. Per far ciò il regime sarebbe dovuto diventare più totalitario. Di qui scaturirono una serie di modifiche istituzionali come: - creazione del ministero per la Cultura popolare - accorpamento delle organizzazioni giovanili nella Gioventù italiana del littorio - nuova Camera dei fasci e delle corporazioni - campagna contro l’uso del “lei” considerato servile - campagna contro l’uso dei termini stranieri - imposizione della divisa ai funzionari pubblici. Leggi razziali: la manifestazione più seria fu l’introduzione di una serie di leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, che ricalcavano le leggi naziste. Anziché suscitare consenso e mobilitazione, le leggi razziali, suscitarono sconcerto e perplessità nell’opinione pubblica e aprirono anche un serio contrasto con la Chiesa, contraria non tanto alla discriminazione in sé quanto alle sue motivazione biologico-razziali. Giovani del fascismo: lo sforzo compiuto da Mussolini per fare del regime fascista un totalitarismo perfetto, ottenne risultati mediocri. L’unico settore in cui le aspirazioni ottennero qualche successo di rilievo fu quello giovanile. I ragazzi cresciuti nelle organizzazioni di regime, si abituarono a pensare fascista. Fallimento del regime: fu solo con lo scoppio della guerra che il fascismo cominciò a perdere il sostegno dei giovani. I quali vissero il drammatico fallimento del regime che, avendo puntato tutto sulla politica di potenza, si dimostrò poi incapace di preparare sul serio la guerra. ENERGIA NON RINNOVABILE: IL PETROLIO PETROLIO La principale fonte d’energia di cui l’uomo moderno dispone è il petrolio (letteralmente significa “olio di pietra”). Esso trova applicazioni in ogni campo: da quello farmaceutico e quello edilizio, da quello aeronautico a quello tessile, da quello agricolo a quello dei trasporti. Composizione. Il petrolio è il principale combustibile fossile liquido. Esso deriva da depositi naturali sotterranei di carbonio ed idrogeno, sottoposti ad elevate pressioni e ad elevata temperatura. Sia la fase liquida oleosa (petrolio) che la fase gassosa (gas naturale) tendono a spostarsi, migrando verso l'alto, attraverso le rocce porose finché incontrano strati impermeabili del sottosuolo, dove vengono intrappolati e si raccolgono. Il petrolio è costituito da una miscela d’idrocarburi in prevalenza alcani, sia lineari che ramificati, e aromatici. Poiché i tempi naturali di formazione del petrolio sono di decine di milioni d’anni, e lo sfruttamento è invece rapidissimo, questa fonte è da considerarsi praticamente non rinnovabile. Idrocarburi. Gli idrocarburi sono composti chimici formati esclusivamente da carbonio e idrogeno e, in base alle proporzioni tra questi due elementi e alla struttura molecolare che formano, gli idrocarburi si dividono in alcani, alcheni e idrocarburi aromatici. Alcani. Gli idrocarburi che contengono solo legami semplici sono denominati idrocarburi saturi o alcani. Ad essi è possibile attribuire la formula generale: C n H 2 n+ 2 Gli atomi di carbonio degli alcani hanno struttura tetraedrica, essi dunque sono ibridati sp3. Il primo tra tutti gli idrocarburi saturi è il metano: Il carbonio ibridato sp3 del metano è circondato da quattro atomi d’idrogeno legati ad esso tramite quattro legami sigma. La struttura perfettamente tetraedrica presenta angoli di legame di 109.5°. Il metano (CH4) che è il principale gas naturale, ma vi è anche l'etano (C2H6), il propano (C3H8) e il butano (C4H10). Il propano e il butano possono essere liquefatti a basse pressioni e vanno a formare quello che è chiamato GPL (Gas Pressure Low). Le paraffine con molecole contenenti da 5 a 15 atomi di C sono liquide a pressioni e temperature ambiente. Al di sopra di 15 atomi sono estremamente viscose se non addirittura solide. Gli idrocarburi saturi possono presentarsi anche in forma ciclica e prendere il nome di cicloalcani. La formula generale, con soli legai sigma, è: Cn H 2 n La formazione del ciclo fa diminuire di due il numero di atomi di H rispetto agli alcani. I principale cicloalcani: Importante ,per i processi di raffinazione del petrolio, è il punto di ebollizione di alcani e cicloalcani, che cresce con regolarità all’aumentare del peso molecolare. I primi quattro alcani sono gas a temperatura ambiente, poi liquidi e dopo il C12 H 34 solidi. Per gli alcani che presentano isomeri, i punti di fusione ed ebollizione dipendono dalla compattezza delle molecole. Gli isomeri lineari hanno punti di ebollizione maggiori rispetto ai ramificati, mentre i ramificati fondono a temperature più elevate dei lineari. Alcheni. Non tutti gli idrocarburi contengono atomi di carbonio tetraedrici. Gli alcheni sono una classe di idrocarburi caratterizzati dal seguente gruppo funzionale, il doppio legame carbonio-carbonio: Nell’etene, primo della serie degli alcheni, gli atomi di carbonio sono ibridati sp2 e formano angoli di legame che possiamo approssimare a 120°. La formula generale degli alcheni con un solo doppio legame Cn H 2 n I due atomi dell’etene costituenti il doppio legame, essendo ibridati sp2, formano tre legami sigma e uno pigreco; quest’ultimo fa parte del doppio legame: I primi alcheni della serie sono etene, propene e butene: Etene Propene Butene I punti di ebollizione degli acheni si distaccano poco da quelli dei corrispondenti alcani. Idrocarburi Aromatici. Gli idrocarburi aromatici ( areni ) sono caratterizzati dall'anello esagonale del Benzene. Questo ha formula bruta C6H6 ; gli atomi di carbonio che lo compongono sono ibridati sp2 e si trovano ai vertici di un esagono regolare. La molecola è planare, ha angoli di legame di 120° e possiede 3 doppi legami ( legami p ) dovuti alla sovrapposizione degli orbitali p non ibridati. L'aromaticità appartiene solo a quei cicli planari in possesso di un numero di elettroni п pari a (4n+2). Il Benzene e i suoi derivati sono i composti aromatici ideali. Essi sono saturi e per questo danno origine a reazioni di sostituzione. Caratteristiche: tutti i legami hanno la stessa lunghezza(compresa fra quella del legame singolo e quella del doppio) tutti carboni ibridati sp2 stesso angolo 120° Il Benzene presenta forme di Risonanza, che determinano una maggiore stabilità grazie alla delocalizzazione dell'elettrone. Ogni carbonio, come detto prima, ha ibridazione sp2 e i rimanenti orbitali p non ibridati, uno per atomo, sono disposti perpendicolarmente al piano e parallelamente fra loro. In questo modo, i sei elettroni rimanenti possono delocalizzarsi in un unico orbitale p esteso a tutto l'anello. Questo particolare assetto elettronico, a “doppia ciambella”, giustifica la reattività anomala di un sistema immaginato come insaturo, ma che in realtà non può considerarsi tale. In questa osservazione è implicito che la molecola del benzene è molto più stabile di quello che ci si aspetterebbe. Gli idrocarburi aromatici sono ottimi solventi ed hanno basse temperature di fusione, eccezion fatta per il benzene (e anche il para-xilene) che invece presenta una temperatura di fusione inusuale rispetto alle altre, addebitabile all'alta simmetria della molecola che rende più efficace le attrazioni intermolecolari. Processi di Raffineria. Essendo una miscela di vari idrocarburi con caratteristiche diverse, il petrolio non può essere subito utilizzato. Grazie ad operazioni di separazione, si ottiene una quantità enorme di prodotti. La prima distillazione del petrolio grezzo (distillazione primaria o topping) permette di separare le sei frazioni principali: eteri, benzina, cherosene, gasolio, olio combustibili e residuo. Distillazione frazionata del petrolio. La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del greggio. Il petrolio inizia a vaporizzare ad una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C: prima si separano gli idrocarburi a più basso peso molecolare, mentre per distillare quelli a molecole più grandi sono necessarie temperature sempre più crescenti. Il primo materiale che si estrae dal processo di topping è la frazione destinata a diventare benzina, seguita dal gasolio e dal cherosene. Durante il processo di distillazione sottovuoto (vacuum) che si attua sul residuo pesante, si ha il kerosene, il gasolio, gli olii lubrificanti ed un residuo. Nelle vecchie raffinerie, il rimanente era trattato con soda o potassa caustica e con acido solforico quindi distillato in corrente di vapore, ottenendo olii combustibili e olii lubrificanti dalla parte superiore della colonna di distillazione, e paraffina solida e asfalto da quella inferiore. Cracking Per far fronte al crescente fabbisogno di carburante si ottiene benzina dalle frazioni più pesanti, come il gasolio pesante e i residui di distillazione, sottoponendole a un trattamento di cracking: gli idrocarburi di maggior peso molecolare vengono frammentati, in presenza di un catalizzatore, in molecole più piccole adatte all'impiego nelle benzine. In generale, un procedimento di eccezionale importanza nella lavorazione del petrolio è il cracking, con cui è possibile ottenere prodotti leggeri (benzine nella quasi totalità) dalle frazioni pesanti e dai residui. L'importanza del cracking consiste nel fatto che le benzine ottenute sono a elevato numero di ottano. Dal processo, inoltre, formandosi notevoli residui carboniosi, si ottiene coke di petrolio. Reforming catalitico. Il reforming catalitico permette di convertire gli idrocarburi con 6-9 atomi di carbonio in miscele a numero di ottano superiore a 100. Il procedimento comporta la trasformazione di alcani lineari in composti aromatici e cicloalcani: L'operazione avviene in atmosfera di idrogeno e per mezzo di catalizzatori metallici a circa 500°C e 2 0 atmosfere. Da tale processo nascono benzine ad alto numero di ottano. Cos’è il Numero di Ottano? Per ottenere la massima energia possibile nel motore è necessario che la benzina effettui una combustione regolare e completa, cioè che motore e carburante, interagendo tra di loro, evitino l'insorgere della detonazione che costituisce il fenomeno di combustione anomala. La capacità di una benzina di resistere alla detonazione,viene espressa in numero di ottano,che praticamente misura il grado di comprimibilità di una miscela aria-benzina.Il numero di ottano deve essere molto alto per evitare che la benzina esploda per una semplice compressione ma che la detonazione avvenga solamente per scintilla. Il valore 100 è assegnato all’isottano mentre il valore 0 è per il n-eptano. Di fatti per stabilire la qualità di una benzina si confronta con miscele di questi due idrocarburi: Ad esempio una benzina con numero di ottano = 80 è come se fosse costituita dall’80% di isottano e 20% di n-eptano. Per migliorare la benzina e abbassare il potere detonante viene aggiunto un antidetonante come il piombo tetraetile. I crescenti problemi ambientali hanno portato a sostituire il piombo con sostanze più sicure. NIKOLA TESLA: DALL'ALTERNATA ALLA FREE ENERGY. "Negli anni 90 del XIX secolo un grande personaggio rivoluzionò il mondo con le sue invenzioni per sfruttare l'elettricità, dandoci il motore elettrico a induzione, la corrente alternata, la radiografia, il radiocomando a distanza, le lampade a fluorescenza e altre meraviglie scentifiche: Nikola Tesla, il Genio dell'elettricità dimenticato. La moderna epoca tecnologica non fu inagurata dalla corrente continua di Thomas Edison, scienziato più noto tutt'oggi rispetto a Tesla, ma dalla corrente alternata di quest'ultimo. Tutti i suoi trionfi scientifici sono legati alla fiducia nella superiorità della corrente alternata che avrebbe permesso, e che tutt'ota permette, una migliore trasmissione dell'energia." Corrente alternata: Generazione e Trasmissione. Nelle case, uffici, fabbriche tutti gli strumenti che funzionano con energia elettrica non sono altro che serie di circuiti RLC le cui oscillazioni tenderebbero a smorzarsi, se non fossero continuamente riforniti di energia elettrica proveniente dai vari enti di produzione. Essi forniscono tensione e corrente oscillanti.La corrente appunto "alternata" possiede dunque valori variabili sinusoidalmente nel tempo e cambia di verso con una frequenza ( per l'europa) di 50hz ovvero 100 volte al secondo. La corrente alternata viene prodotta attraverso appareccchi detti "Alternatori", che sfruttano il fenomeno dell'induzione elettromagnetica.Semplificando il funzionamento di un alternatore possiamo descriverslo come una spira ruotante immersa in un campo magnetico uniforme.Con la rotazione della spira varia il flusso del campo magnetico attraverso di essa. L'area è data dalla proiezione dell'area massima della spira sul piano perpendicolare al campo B. L'angolo θ può essere espresso in funzione della velocità angolare che possiede la spira. θ = ω ⋅t quindi il flusso varia sinusoidalmente con la funzione Coseno e sarà: Φ B = B ⋅ A ⋅ cos (ωt ) Essendo in rotazione vi sara dunque una continua variazione di flusso che investe la spira e, per la legge di Faraday, verrà indota all'interno di essa una f.e.m. ε =− dΦ B dt sostituendo il flusso sopra trovato e derivando otteniamo: ε = ω ⋅ B ⋅ A ⋅ sen (ωt ) ε = ε m sen (ωt ) ωBA = ε max Come si può notare la fem, essendo la derivata del flusso di B, varierà sempre sinusoidalmente, ma seguendo la funzione seno,e per questo si troverà sfasata di 90° rispetto al flusso. E' facile capire dal grafico come la fem indotta ha il suo valore massimo nelle zone in cui il flusso varia più velocemente, ovvero in cui è massima la pendenza della tangente alla curva, che indica la variazione del flusso.La fem si avvicina a zero quando la variazione del flusso avviene lentamente, quindi tangente della curva parallela all'asse delle ascisse. Collegando la nostra spira a un circuito resistivo chiuso la corrente che attraversa la spira può essere espressa come: i = Isen (ωt − φ ) ove I è l'ampiezza, valore massimo, e O è la costante di fase perchè la corrente rispetto alla fem potrebbe trovarsi in anticipo o ritardo in base al circuito a cui è collegata. Per quanto riguarda la trasmissione di corrente elettrica le linee di trasmissione sono lunghi cavi cosituiti da buoni conduttori, quindi il "circuito" su cui viaggia la corrente alternata è puramente resistivo.Nei circuiti puramenti resistivi corrente e tensione alternata sono in fase tra loro, ovvero l'angolo di fase è zero. La potenza con cui l'energia viene trasferita alla resistenza della linea sarà: P = R ⋅ i 2 = R ⋅ I 2 sen 2 (ωt − φ ) ma ci interessa considerare la potenza media, e considerando il termine seno al quadrato il suo valore medio sarà 1/2; tale valore medio si evince facilmente dal grafico del seno al quadrato.La potenza media diviene: ove il termine I sta ad indicare la corrente quadratica media, per cui possiamo scrivere: 2 2 P = R ⋅ I qm e continuando possiamo applicare tale concetto di corrente quadratica media a tutti i circuiti RLC, I qm = ε qm Z ed inserirlo nella definizione di potenza media: P = I qm ⋅ ε qm ⋅ il termine R/Z rappresenta il fattore potenza e corrisponde: R = cos φ Z R Z se il circuito è puramente resistivo l'impedenza Z diviene uguale ad R e il fattore potenza diviene 1.Questo a conferma del fatto che l'angolo di fase sia zero, e la potenza media per le linee di trasmissione dell'energia elettrica sarà: P = ε qm ⋅ I qm Nei sistemi di distribuzione dell'energia elettrica da un lato è preferibile, per ragioni di sicurezza ed efficienza, lavorare con tensioni basse, dall'altro avere una corrente più bassa possibile per ridurre la perdita di potenza per effetto Joule: P = R⋅I2 Si dovrebbe quindi trasportare alla massima differenza di potenziale e con la corrente più bassa possibile; ma a livello delle abitazioni è necessaria una tensione bassa. Per far fronte a tale problema si utilizza il Trasformatore che è in grado di aumentare o diminuire la tensione mantenendo invariata la potenza. Un trasformatore ideale è costituito da due bobine, con differente numero di spire,avvolte attorno a un nucleo di ferro.Il primario è connesso a un generatore di corrente continua la cui fem: ε = ε m sen (ωt ) il secondario è invece collegato ad una resistenza per mezzo di un interruttore.Andiamo ad analizzare i due casi: circuito aperto e circuito chiuso. -Circuito Aperto. In questo trasformatore ideale le resistenze degli avvolgimenti sono trascurabili, tanto che in un trasformatore reale le perdite di energia non superano l'1%. Di conseguenza il circuito primario è del tutto induttivo e la piccola corrente alternata che si va a generare, chiamata corrente di magnetizzazione Imag, è sfalsata in ritardo di 90° rispetto alla fe m. P = I qm ⋅ ε qm ⋅ cos 90 = 0 quindi non vi è trasferimento di energia al trasformatore. La piccola corrente induce un flusso magnetico alternato che coinvolge l'avvolgimento secondario (con dispersioni contenute grazie al nucleo di ferro) e , per la legge di Faraday, in ogni spira si induce una fem uguale a quella delle spire del primario; per questo possiamo scrivere: ε spira = Vp Np = Vs Ns Vs = V p Da tale relazione di evince facilmente: Ns > N p Elevatore Ns < N p Riduttore Ns Np -Circuito Chiuso. Quando l'interruttore S viene chiuso: -il circuito secondario diviene prevalentemente resistivo e in esso l'angolo di fase è 0 poichè la corrente non è sfalsata, quindi il fattore di potenza cos 0=1 e vi è trasferimento di energia. -Nel secondario si instaura una corrente alternata Is alla quale corrisponde una potenza dissipata: P = I s2 ⋅ R -Tale corrente induce un flusso magnetico alternato che avvolge il primario e vi induce una fem. -La tensione Vp del primario deve rimanere costante e per questo il generatore produce una corrente alternata Ip che sommata alla Imag va a compensare la fem indotta opposta.La Ip non è sfasata e quindi può trasferire energia dal generatore al primario. Ipotizziamo che non vi siano perdite di energia, ma solo trasferimenti.La potenza con cui l'energia viene trasferita dal generatore al primario IpVp è uguale a quella con cui tale energia viene passata dal primario al secondario IsVs. I pV p = I sVs Is = I p Np Ns La corrente Ip compare come "risposta" al carico resistivo del secondario, e può essere calcolata: I p = Is Ns Np sapendo che, Is = Vs R Vs = V p otteniamo: N I p = Vp s N p Ns Np 2 1 R ricavandoci il rapporto Vp/Ip giungiamo al valore di resistenza Req "rilevato" dal generatore: Np Req = R Ns 2 il generatore produce la corrente Ip alla tensione Vp come se la resistenza collegata fosse Req. La Free Energy di Nikola Tesla. Tesla non si limitò allo studio della corrente alternata, ma continuò a fare scoperte fondamentali nei campi dell'energia e della materia. La scoperta potenzialmente più significativa di Nikola Tesla fu che l'energia elettrica può essere propagata attraverso la terra ed anche nella zona di atmosfera chiamata cavità di Shumann(che si estende dalla superficie fino alla ionosfera).In essa le onde elettromagnetiche di bassissima frequenza, circa 8 hertz, viaggiano senza perdite verso ogni punto del pianeta. il sistema di distribuzione dell'energia di Tesla e la sua dedizione alla Free Energy significavano che con l'apposito dispositivo elettrico sintonizzato sulla trasmissione dell'energia si sarebbe potuto attingerne da ogni parte del mondo. Le interviste a Petar Savo, parente dello scienziato in questione, ci raccontano che Nikola tesla, con l'appoggio della Westinghuose eletric e la Pierce-Arrow, costrui un auto al quanto particolare. Essa presentava un'antenna di circa 1.83m sul retro e un motore elettrico a corrente alternata. Al motore,al posto della batteria, era collegato un dispositivo, non più grande di un ricevitore radio a onde corte, composto da una serie di valvole termoioniche. Savo afferma di aver provato l'auto camminando per circa 80 km intorno a Buffalo con picchi di 150Km/h, e sempre con lo stesso livello di silenziosità del motore.Tesla rivelò a Savo che quel dispositivo poteva alimentare a vita l'auto, e non solo, persino un'intera abitazione con energia in avanzo.Il suo dispositivo era un semplice ricevitore per una "misteriosa radiazione che proveniva dall'etere" la quale "era disponibile in quantità illimitata" e il genere umano dovrebbe essere molto grato per la sua presenza". Quando l'auto stava per essere rivelata la Westinghouse pagò per sistemare tesla in un lussuoso e nuovo hotel a new york: forze la Westinghouse comprò il silenzio di tesla sulle sue scoperte sulla free energy? oppure venne finanziato per continuare i suoi studi in segreto? Tutto ciò rimane un mistero, certo lo sviluppo di una simile tecnologia rappresenta una minaccia troppo grande per gli enormi interessi di chi produce, distribuisce e vende energia elettrica.Ma ciò non riguarda solamente il passato, le idee che seppe portare a termine ancora oggi lasciano sbalorditi. Dopo la sua morte tutto il suo lavoro fu dichiarato "top secret" dalla FBI, dalla Marina Militare americana e dal Vicepresidente Wallance.Per queste sue scoperte sulla Free Energy Tesla fu esiliato dalla scienza ufficiale e il suo nome gradualmente dimenticato. Cosa rappresenta la sua tanto ricercata Free Energy? La Free Energy è energia libera e gratuita per tutti.E' una fonte illimitata e non inquinante,l'unica speranza per un futuro sostenibile e un vero progresso dell'umanità. Molti scienziati sono d'accordo che la Free Energy esista ed aspetta solo di essere utilizzata, perchè allora la ricerca non avanza in questa direzione? La scoperta di una fonte d'energia gratuita, libera e illimitata provocherebbe una rivoluzione a dir poco epocale, la nostra mente non è in grado di immaginare come sarebbe il mondo con la Free Energy.Provate ad immaginare se da un giorno all'altro petrolio, nucleare e ogni forma di energia inquinante diventassero obsolete,immaginate ora quali enormi interessi economici ci sono dietro l'energia inquinante; traendone le conclusione resta facile comprendere perchè la ricerca a favore delle Free Energy non trova finanziatori. Quello che succede nel Mondo non è un caso, il mondo va nella direzione scelta da pochi uomini di potere, stessa cosa per la ricerca scientifica,solo la scienza servile al potere e all'armamento bellico viene finanziata. Tesla fu senza ombra di dubbio il pioniere della Free Energy; a distanza di un secolo la sua storia ci insegna che esistono uomini senza scrupoli che vogliono costringerci in un mondo dove tutto è scarso. La scarsità rende potente chi possiede quel poco e schiavo chi ne necessita, questo rende possibile dare un prezzo ad una cosa che non ha valore, trasformando un diritto naturale in un bene da acquistare. VOLTOMETRO DIGITALE : CONVERTITORE A/D Voltometro Digitale. Il voltmetro è uno strumento per la misura della differenza di potenziale elettrico tra due punti di un circuito, la cui unità di misura è il volt con simbolo V. L'unità di misura possiede questo nome in onore del fisico italiano Alessandro Volta. I voltmetri digitali solitamente impiegano un circuito convertitore analogicodigitale. Vediamo in dettaglio il funzionamento di un convertitore A/D. Convertitore A/D. L’ADC trasforma un segnale analogico in un codice binario. Il passaggio da un segnale, che assume con continuità tutti i valori all’interno di un intervallo, ad una successione discreta di codici binari avviene tramite un’operazione denominata quantizzazione. La quantizzazione. Ad ogni parola binaria formata da n bit bn-1 + bn-2 + …+b0 corrisponde un valore di tensione pari a: V = K (bn-12n-1 + bn-22n-2 + …+b0 20) Dove i termini b rappresentano appunto i coefficienti del codice binario e K viene definito passo di quantizzazione, ovvero l’ampiezza dell’intervallo, lo scarto minimo fra due indicazioni digitali successive. K è dato da: K = VF.S./2n VF.S è l’ampiezza massima del segnale d’ingresso che può essere convertito dall’ADC e 2n rappresenta il “Modulo” M, ovvero in quanti intervalli andiamo a dividere il VF.S, ad ognuno del quale corrisponde un codice binario. Sostituendo K all’equazione iniziale ottengo: V = VF.S./2n (bn-12n-1 + bn-22n-2 + …+b0 20) O anche: V = VF.S.(bn-12n-1/2n + bn-22n-2 /2n+ …+b0 20/2n) E infine: V = VF.S.(bn-1/2 + bn-2 /22+ …+b0/2n). Riportiamo un esempio per comprendere meglio l’operazione di quantizzazione. Supponiamo di avere un fondo scala di 8 V; con 3 bit sarà K = 8/23 = 1V. Di conseguenza la tensione analogica d’ingresso è stata divisa in 8 parti uguali, ad ognuna delle quali è stato associato uno degli 8 codici binari possibili. A tutti i valori di tensione appartenenti ad un singolo intervallo degli otto possibili viene associato lo stesso codice. Ad esempio con una tensione di ingresso di 5,6 V ottengo la configurazione “101” ed in base alla (5) si ha: V = VF.S.(bn-1/2 + bn-2 /22+ …+b0/2n) = 8(1/2 + 0/22 + 1/23) = 8(1/2+1/8) = 8(5/8) = 5V. Con un errore di 0,6 V. L‘errore massimo che si può avere è di K , come si vede dal grafico: eM = K 2 Per ridurre l’errore facciamo in modo che l’uscita scatti in anticipo di K/2. Essendo K/2 = VF.S./2n*2 si ha: V = VF.S.(bn-1/2 + bn-2 /22+ …+b0/2n-1/2n+1). Riprendiamo l’esempio di prima con la Vi pari a 5,6 V; adesso con questa tensione in ingresso si ha in uscita la configurazione 110 ed in base alla (6) si ha: V = VF.S.(bn-1/2 + bn-2 /22+ …+b0/2n-1/2n+1) = 8(1/2 + 1/22 + 0/23 -1/24) = 8(1/2+1/4-1/16) = 8((8+4-1)/16) = 5,5V. Come si vede l‘errore si è ridotto a 0,1V. In effetti se si sceglie il passo di quantizzazione in modo che la parola “110” rappresenti l’intervallo di valori 5.5 V÷ 6.5 V, simmetrico intorno al valore 6V, l’errore massimo vale 0.5 V eM = K 2 Il tempo di conversione Il tempo di conversione è il tempo necessario all’ADC per trasformare il valore della tensione d’ingresso in un codice binario. Il segnale analogico da convertire deve essere campionato per prelevare i valori della Vi da trasformare in codice binario. Con il campionamento il segnale analogico viene trasformato in una successione discreta di valori di Vi. Il segnale S(t) può essere rappresentato dalla successione dei suoi campioni S1, S2, S3, S4, S5 … prelevati ad intervalli regolari Tc. Il valore di Tc non può essere qualsiasi. Per poter ricostruire il segnale dai suoi campioni occorre che la frequenza di campionamento: soddisfi la condizione di Shannon-Nyquist: dove fM è la frequenza massima (o banda) del segnale. Di conseguenza il periodo di campionamento di Tc deve essere: La conversione deve terminare prima che arrivi il nuovo campione da convertire in codice binario. Indicando con Ts il tempo di conversione occorre avere com’è mostrato in figura: Il valore del campione è quello assunto da Vi all’inizio della conversione anche se durante il tempo Ts il segnale subisce delle variazioni. Per non introdurre un ulteriore errore, il codice binario associato al campione deve rimanere valido per tutto il tempo di conversione.