G. D’ANNUNZIO LA VITA • Nasce a Pescara nel 1863 da un’agiata famiglia borghese. Frequenta il ginnasio e poi il Liceo a Prato in uno dei collegi più prestigiosi dell’epoca. Si iscrive alla facoltà di lettere a Roma, ma non riuscirà mai a laurearsi . A Roma vive una vita da raffinato gaudente, frequentando i salotti più rinomati, i circoli letterari e collaborando con vari pseudonimi con giornali e riviste. VIVERE LA VITA COME UN’OPERA D’ARTE • D’Annunzio realizza in pieno “quel vivere inimitabile”, eccezionale che era nel gusto estetizzante del Decadentismo e si muove alla continua ricerca della bellezza e della grandezza, cercando di vivere la vita come un’opera d’arte. Anche alcuni atti dimostrativi compiuti in guerra testimoniano non tanto il suo amor di patria e la sua audacia, quanto il gusto dell’avventura, il compiacimento del bel gesto, la ricerca della bella morte come coronamento del “vivere inimitabile”. OCCUPAZIONE DI FIUME. BEFFA DI BUCCARI • Attacco condotto da tre torpediniere italiane contro la flotta austriaca nel 1918 che aveva fini dimostrativi: dopo aver silurato le navi, ci fu un lancio di tre bottiglie contenenti un suo messaggio. VOLO SU VIENNA • Nel 1918 sorvola la città lanciando manifestini di sfida inneggianti alla grandezza degli italiani, pieni di provocazione verso gli austriaci. ALTRE TAPPE DELLA VITA • Oltre ai momenti della formazione e della vita già ricordati e ai gesti pubblici più eclatanti, possiamo ricordare: • Il matrimonio con la duchessina Maria Harduin di Gallese, da cui avrà tre figli (altri ne nasceranno da altre relazioni), ma che tradirà continuamente vivendo molteplici altri amori, fino alla separazione: • Numerosissimi amori con altre donne, tra cui quello più famoso è quello con l’attrice Eleonora Duse; • Il viaggio in Grecia; • Il soggiorno in Toscana in una villa detta La Capponcina, perché nel ‘600 era appartenuta alla famiglia Capponi, dove vivrà, come un signore del Rinascimento, una vita sfarzosa da raffinato gaudente, circondato da belle donne, armi, cavalli e servi, tuttavia sommerso dai debiti; • Dopo l’impresa di Fiume vivrà fino alla morte (1938) in una villa da lui chiamata “Il Vittoriale degli Italiani”, che riempie di oggetti e cimeli della Grande guerra. CON ELEONORA DUSE D’Annunzio e il Fascismo • Nei confronti del Fascismo terrà un atteggiamento ambiguo, fatto ora di indipendenza sprezzante ora di benevolo appoggio. • Certamente l’impresa fiumana influenzerà moltissimo il Fascismo fornendogli soprattutto gli schemi delle celebrazioni esteriori: • Discorsi roboanti e vuoti; • Slogan; • L’uso del gagliardetto, il saluto, la camicia nera; • La teatralità dei gesti e le pose istrioniche; • Mancanza di senso storico; • Disprezzo per gli avversari. D’Annunzio e Mussolini visti da Montanelli • • Forse non si amarono mai , ma in alcuni momenti della nostra storia si trovarono sulle stesse posizioni, e forse proprio per queste ragioni non si amarono. La stessa retorica, lo stesso modo di presentarsi alle folle , gli stessi slogan per far presa sulle folle. «Nudi alla meta», aveva detto d’Annunzio in una delle sue innumerevoli arringhe, aggiungendo che «Chi s’arresta è perduto» e intimando di «Marciare non marcire»: slogan che ricompariranno presto sui muri delle case durante un ventennio del quale il poeta era stato un inconsapevole precursore, insegnando che era possibile ribellarsi allo Stato anche con le armi e a considerare il Capo un demiurgo capace di cambiate la vita di tutti, oltre che la patria. S'incontrarono nel '14 quando Mussolini si convertì all'interventismo, di cui D'Annunzio era il riconosciuto Vate e, come ebbe a dire Montanelli, finsero di essere completamente d'accordo nell'immediato dopoguerra, quando i reduci, fra i quali entrambi reclutavano i loro seguaci, furono accolti a sassate e sputacchi dalle folle rosse. Mussolini sostenne a spada tratta, sul "Popolo d'Italia", l'impresa di Fiume non perché ci credesse, ma perché indeboliva il governo in carica che non sapeva come affrontarla e risolverla. In realtà, nelle lettere che da Fiume gl'inviava, il Vate non faceva che lamentarsi dell'appoggio puramente verbale che Mussolini gli dava. Entrambi si erano resi conto del fatto che gli ex-combattenti della prima guerra, sarebbero stati una massa di manovra molto significativa ed utile dal punto di vista politico, e che quindi occorreva non perdere il contatto con essi. Entrambi avevano capito che la democrazia era in crisi , in difficoltà', per cui occorreva una soluzione alternativa, basata innanzitutto su una forte accentuazione del sentimento nazionale, sulla ricerca dell’attuazione di una forma di Stato sociale diverso da quello tradizionale. In effetti dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria: il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun vantaggio importante all'Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate. • Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate. Sul patriottismo dei due nessun dubbio , come per l'odio per il bolscevismo e ambedue sostenuti dagli ex militari cui lo Stato non concedeva alcun riconoscimento per il ruolo ricoperto in guerra al momento del ritorno alla vita civile. Anche la borghesia atterrita da una probabile rivoluzione di ispirazione bolscevica , trovò in questi due capi naturali il riferimento ideale per incanalare la loro ansia in una direzione politica precisa e, per essa, appagante. Ma uno dei due era di troppo. Tra loro ci fu sempre una sorta di rivalità, e come dice ancora Montanelli, "il Vate non chiamava Mussolini "il Professore", ma "il maestrucolo" e Mussolini non chiamava lui il Vate" ma "l'istrione". Il malanimo tra i due rischiò di diventare rottura aperta quando, di fronte alle esitazioni di Mussolini alla presa del potere, i suoi più impazienti diadochi pensarono di sostituirlo col Vate alla guida del fascismo. E fu allora che Mussolini indisse la grande adunata di Napoli, preludio della Marcia. • Dopo i rapporti furono falsi e cordiali: troppe le differenze caratteriali, ideologiche e politiche . D'Annunzio, già dopo Fiume, era convinto che il fascismo avrebbe avuto un ruolo di scarsa rilevanza nella politica italiana e che, ben presto, egli si sarebbe sostituito a Mussolini nel ruolo di guida di un movimento rivoluzionario. La sua erronea valutazione tanto del fascismo quanto dell’abilità politica di Mussolini lo porterà , man mano ad essere messo da parte. Il poeta aderì al fascismo, anche per motivi di convenienza che concorsero alla sua fama. Il Duce, se da un lato stimava D’Annunzio per il suo stile di vita e le sue idee, dall’altro aveva il timore di averlo come avversario e che potesse infiammare le piazze, dato il suo carisma e la capacità di trascinare le masse. Qualcuno dice che il Duce comprò D'Annunzio elargendogli benefici e favorendo il dorato esilio di Gardone con le munifiche concessioni per il "Vittoriale", la pubblicazione dell'Opera Omnia, il titolo nobiliare ed anche con l'approvvigionamento di cocaina. I rapporti tra i due personaggi storici rimasero così fino alla fine, anzi si accentuarono le divergenze in occasione dell’alleanza con la Germania. Il “poeta vate” era conscio del fatto che il suo nome era sfruttato dal fascismo per fare propaganda, ma comunque lo accettò, anche perché era visto come una gloria della nazione italiana. Il pensiero • Anche lui, come Pascoli, avvertì la crisi del Naturalismo e del Positivismo e visse una profonda sfiducia nella ragione e nella scienza, considerate incapaci di dare una spiegazione sicura e definitiva della vita e del mondo. Arrivarono però a conclusioni molto diverse che possiamo considerare entrambe di reazione: Pascoli cerca il rifugio e l’unione tra gli uomini come difesa al dolore dell’esistenza; D’Annunzio, muovendosi nell’ambito dell’estetismo e superomismo di Nietzesche e partendo dal suo temperamento sensuale, ha della solitudine una percezione orgogliosa e arrogante, derivata dalla consapevolezza dell’eccezionalità della propria persona. Si sente perciò spinto ad affermare la propria supremazia sugli altri e a conquistare il dominio del mondo. D’Annunzio e il Decadentismo. • Aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono: l’estetismo artistico e pratico; la ricerca delle sensazioni ed esperienze più raffinate; il gusto della parola scelta più per il valore evocativo e musicale che per il suo significato; il panismo (abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto immedesimandosi con le forze e gli aspetti della natura, sentendosi parte del tutto nella circolarità della vita cosmica). Tuttavia il suo decadentismo è superficiale, sensuale e naturalistico, addirittura provinciale, se lo si confronta con i grandi autori europei. • D’Annunzio assimilò soltanto le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo: l’estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo, ignorandone tutto il filone esistenziale che parlava del dramma della solitudine, della ricerca del senso e dell’angoscia esistenziale. Tuttavia egli divenne molto famoso, a livello sia italiano che europeo, improntando di sé la cultura letteraria, tanto che si parlerà di dannunzianesimo. La poesia • La sua poesia rispecchia la sensualità del suo temperamento ed esprime un gioioso abbandono alla vita dei sensi e dell’istinto per scoprire l’essenza stessa della natura: è una sorta di estasi panica, un confondersi gioioso con la natura in cui ci si identifica. • La poesia più valida e genuina è proprio questa. Tutte le volte invece che egli forza la propria natura di poeta visivo e sensuale, rivestendola di elementi dottrinali e intellettualistici (superomismo, estetismo, poeta vate) scade nella retorica e nell’artificiosità. • Il D’Annunzio più grande è proprio quello della poesia naturalistica di Alcyone che è il Terzo libro delle Laudi (Pioggia nel pineto, Sera fiesolana).