R SPECIALE SPECIALE LA STAMPA GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 I Le vie del cibo 1. Un negozio alimentare di Caoulun, a Hong Kong. Il proprietario commercia in riso da 43 anni ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS A meno di due mesi dall’inaugurazione solo il 23% degli italiani conosce a fondo i temi che saranno al centro di Expo 2015. Con questo inserto cominciamo un viaggio insieme con i fotografi di Magnum per farvi scoprire il pianeta cibo R SPECIALE SPECIALELA STAMPA IL 896 9 IO LG 7.840 0 6.78 0 6. 21 16° F ILIPPINE LIA TRA A A US U SA 772 AD N CA ES IA E E GIT TO 1.450 0 N IGERIA O LA 725 N O D G 3.130 AIN A ER M AN IA 3.06 0 2.1 00 IS GA D A RGENTINA 0 1.29 IA B UL IA 60 1.6TA N RIA 1 NC AK 64 SU F RA U CR AZ BR EL I ND www.limpido.co @limpido_info I RAN 1.69 0 B RA C 1.6 O SIL R E E A 30 D 0 5.20 IA K AS IL E L 59 R OMANIA A ND CI 9 A IA N AN 1.1 1.710 IA 8° U IT 10 IO 14 ° G 1.25 15° B EL SS 7° 45 O LG EN La quasi totalità del grano consumato in Africa è prodotto in altri continenti TO U N I3 CC M A 1.090 ER RU 40 A 1.9 A 0 ALI 1.88 I T M 90 Y E 1.5 A 0 1 . 52 S P A G N R EG NO G RANO 1.030 RO 3° 6° 411 N 1.02I A 0 B IE R EP . C ECA MA 0 15 6. IN G ER 86 C O 5 5.520 R SI 1.1 40 HE 352 I A ES 2° 2 . 11 0 2.0 G 60 I A P P O N ° 18 U NG 17° 200 SIA US LOR 120 L ITUANIA 179 D ANIMARCA 119 A C IN O CEANIA I valori sono espressi in milioni di dollari 5° 168 BE IT O UN O GN 1.09 0 LO AL 93RT O G A MERICA 65 IA NC F RA NIA MA G ER 71 0 RE 1.280 18 ° 16° ° 14 PO 12° ° RIA 11° 13 HE 10° 15° A FRICA A SIA 4° M Q U NG ° 19 0 84 16L A N D 1 A TT 34O N I A 9 I R A 733 29 4 A A ZE IA N 1° 20° US AG LE 9 SP ON A Y UA VA P OL . CE C 317 311 33 A R EP LO O E UROPA 327 3 23N I A U G RAFICO A G N U SA TRI RA AG PO N IL R EGNO U NITO O LANDA 24 SP 6 GIO A US 8° 88 408 PA A 4 SIA 19 R U S 9 14 G I EC A A B EL 276 157 N DA O LL IA P ANNA L D 7° R E CI O AN 6° 7 F N RA 9 70 626 AT T E 502 I RLA A L 5 52 5° ON 3° 4° A 66 P O L7 I TALIA IA G 17° AN N R O PO RI 55Z I A G TO K S VE S INGAPORE IA 127 R OM G N T UA 22 N 44N G H E TRA 124 LI 33 U 118L I A S LOVENIA O IA H A US G ERMANIA IA IA 95 CH N 6 1 2° 12° 76 C VA 10 O 9° 11° ON O TT L EGGERE I MPORT E XPORT 10° E ST SL LE 1° 20° B AZAR DEL P IANETA ° L’Italia è il maggior importatore di latte al mondo 13 dell’import totale 9° 15% 1.430 GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 9° II Da Ovest verso Oriente, il Un’intricata rete di scambi, ma il flusso principale è dall’America verso FRANCESCO MANACORDA L 2 a lista della spesa dell’ultimo anno è imponente, anche se non eccezionale rispetto a quelle del recente passato: comprende tra l’altro 310 milioni di tonnellate di carne varia, che per dare un’idea potrebbero trasformarsi in 3100 miliardi di hamburger da 100 grammi l’uno; poco meno di 800 milioni di tonnellate di latte, ossia circa 800 miliardi di confezioni da un litro proprio come quella che abbiamo tirato fuori stamattina dal frigorifero; e poi 500 milioni di tonnellate di riso, poco meno di 500 milioni di tonnellate di grano, 165 milioni di tonnellate di pesce, quasi 300 milioni di tonnellate dell’esotica - almeno per noi - cassava... Se tutti gli abitanti del mondo andassero a rifornirsi di cibo una sola volta l’anno, o se proviamo a correre con l’immaginazione - Madre Terra entrasse in un assai ipotetico supermercato per mettere in dispensa quanto le serve per nutrire i suoi figli nei successivi dodici mesi, le quantità che avrebbe segnato sul foglietto attaccato a un immenso carrello sarebbero molto simili a quelle appena elencate. Quantità enormi, per l’appunto - le misura in dettaglio l’ultimo «Food Outlook» della Fao - che non significano evidentemente la garanzia di un’alimentazione sufficiente ed equilibrata per l’intera popolazione mondiale. I consumi nel mondo La media del pollo di Trilussa, quella tanto citata per la quale se tu hai mangiato un pollo e io nulla abbiamo mangiato mezzo pollo a testa, diventa ancora più realistica su scala globale. Se ad esempio nel mondo il consumo di carne varia è stato lo scorso anno di circa 43 chili a testa, basta dividere lo stesso mondo in due aree per avere risultati completamente diversi: 75,5 chili pro-capite consumati nei Paesi sviluppati, 33,8 chili in quelli in via di sviluppo. Al contrario, mentre il consumo procapite della cassava o manioca - il tubero che per molte popolazioni tropicali e subtropicali è 43 Kg di carne a testa è il consumo mondiale medio, ma nei Paesi sviluppati si sale a 75,5 chili, mentre in quelli in via di sviluppo mediamente se ne mangia no 33,8 chili pro capite la principale fonte di carboidrati - è di 21,6 chili l’anno, a livello mondiale, nella sola Africa subsahariana la media sfiora i 139 chili l’anno. Non a caso l’Expo 2015 parte anche dalla constatazione che nel biennio 2010-2012 sono circa 870 milioni le persone denutrite, mentre specie in Europa e in Nord America l’obesità sta diventando uno dei maggiori problemi di salute pubblica. Disegnare le vie del cibo che si intrecciano sul pianeta è un compito arduo. Più che ad autostrade intercontinentali, le rotte degli alimenti che approdano sulle tavole del mondo, somigliano a un fitto reticolo di vie e stradine: spesso a senso unico, ma talvolta anche con doppia direzione di marcia. La Germania, ad esempio, è il primo esportatore mondiale di latte e derivati, ma anche il secondo importatore nello stesso settore. In Asia, la Cina è un importatore netto di riso, ma i tre maggiori esportatori del mondo - India, Thailandia e Vietnam - stanno nelle vicinanze. 139 chili di manioca è il consumo medio nel l’Africa sub sahariana, dove questo tubero è la fonte princi pale di carbo idrati. La media mon diale è di 21,6 chilogrammi a testa l’anno Da Ovest verso Est Se una tendenza globale si può identificare, però, è quella che il vento delle esportazioni di alimenti nel mondo soffia prevalentemente da Ovest verso Est. Da una parte le immense praterie e le coltivazioni del Nord America e dell’America Latina, con una demografia abbastanza stabile e una crescita economica - quando si guarda a Sud del continente - debole o moderata, che non spinge quindi i consumi interni. Dall’altra parte dell’emisfero, pronta ad accogliere prelibatezze fino a ieri sconosciute o alimenti tradizionali che non si producono in quantità sufficiente per un continente che cresce impetuoso, ci sono l’Asia e il Medio Oriente. Solo dieci anni fa la Cina era un esportatore netto di cibo, adesso - con una classe media in rapidissima espansione e nonostante un rallentamento dell’economia - si è trasformata in importatore netto. Così Stati Uniti e Canada, ad esempio, sono rispettivamente il primo e il terzo esportatore di grano al mondo, mentre Egitto, Giappo- R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 I MPORT 3.1 ND AM T HA ILA I NDIA N ET VI IR AN C IN A 1.490 N IGERIA 1.19 0 1 98 568 280 R EG 278 S PAG A RGENTINA N BE U 49O4U N I T O N I 47N 0 ° 14 M ER G A CI 18 ° 17° 16° 15° 20YA N A 6 NA IA AN G M ALESIA 30 2.1 TN V IE AN FR 0 4.53 822 A LGERIA U SA Z IA 0 3.48 AM B RASILE U SA 2.1 G E R M AN 50 IA 0 872 783E R A S VIZ 4.54 0 50.552 31.380 30 6.150 6.320 ° 18 E 12° A 11° 13 ° 812 10° 59 Z I A 5 I TA L 603 IA CA U RU G 56 6 UA Y 1 OPI 9° SV U N. TR E TI 12° ° BI A 11° 14 654 B RASILE N B I RAQ AN 304 A L I A T 10 L A 1.1E M A UA A US G Ù 1.07 P ER 75 E L G 9 IO A IST 51 10° ° 13 17° ESI P AK 8° RI 0 1.94 7° S U 696 D AF SA 6° 71 U TA ON ARA2 CI 1.2 40 IA IA 4 61 I O AL SS R 171 U AL RAT 8 ORI 67 ’ A V IT N E MI 659 U S A A SE EG I 840 NE 20 2.0 5° C A M 152 4° PPO IA OG R ISO 443 D ESI F ILIPPINE D I ND A ON N 43C5I A G I A 451 3° 9 U 97I A S A AB 3 A R 88 ST A 1.31 0 37 C O 1 SI 2° CO N 137 NA B ELGIO G H3A37 AG I ND F RA ES LE 2 SP 0 A NM 130A R B AD M A 1.390 7° C AN ° 19 G SI ZER 72 S VIZ NIA M YA 6° 16° MA 5° 15° G ER A H ONDURAS 1.34 0 1.0 UN M 710 BI 8° O M 0 1.91 G IAPPONE 836 I T O IC C O LO IA 1.650 A 00A N D 1.0 O L 9 2. RA 11 UAY 7 B IA NO S ES L T O S TAT O R EG P O 55 3° 4° N RC A LO PA 0 09 A 40 I T 8 . 1 0 1.73 E L G I O C AFFÈ NON A ALI 5 2° 1° 20° 2 A B R 36 IMA LO S UD 478 A U 02 IA ND 684 L IA R USSIA STR I DE AL 535 450E A G NICARAGUA 33N L A 1 ND C OR AN O N 522DA D 3 23 RT P O 62 2 O LA 3.262 A SIA 127 A FRICA 6.780 O CEANIA 7.835 E UROPA 14.874 A MERICA 5.929 A SIA 2.431 A FRICA 312 O CEANIA 1.475 E UROPA 3.916 A MERICA 16.796 A SIA 638 A FRICA 304 O CEANIA O A 3 AD FI 1° 20° ° 19 R ISO 21.775 E UROPA 18.608 A MERICA TT OR N A 45R I C A 9 C AFFÉ India, Thailandia e Vietnam esportano da soli il 60% del riso a livello globale I 7 EG 7 AD C A 45 ST N O N T O S TAT O 21.564 A L V 14 3 EL S Oltre la metà del caffè prodotto al mondo è destinato al mercato europeo CO 29.689 E UROPA 16.130 A MERICA 8.487 A SIA 3.748 A FRICA 822 O CEANIA 502 E UROPA 2.312 A MERICA 2.936 A SIA 9.066 A FRICA 6.779 O CEANIA 471 G RANO 23.129 O CEANIA 264 P ANNA 218 A MERICA 271 A SIA 61 A FRICA 279 O CEANIA 9° A FRICA 13.945 E 39.947 E UROPA 9.833 A MERICA 8.262 A SIA 7.643 L AT T E 60% dell’export totale 5.904 E UROPA 6.100 8.044 E UROPA 6.623 A MERICA 487 A SIA 652 A FRICA 241 O CEANIA 40 7.814 E XPORT III FONTE:THE ATLAS OF ECONOMIC COMPLEXITY – HARVARD UNIVERSITY HTTP://ATLAS.CID.HARVARD.EDU/ grande viaggio dei cibi nel mondo l’Asia. Con prezzi in calo ormai da quattro anni e l’Africa che resta in grande difficoltà ne e Indonesia rappresentano i tre maggiori importatori. È una tendenza, quella del viaggio del cibo da Ovest verso Est, che vede le sue eccezioni. Il primo esportatore di carne bovina al mondo è per l’appunto il Brasile, ma subito dopo ci sono l’India - con il suo bufalo - e l’Australia. Fuori dal radar, in molti sensi l’Africa, che oggi importa quasi il 90% del cibo che consuma e dove si concentrano i casi di denutrizione o malnutrizione. Dei 55 Paesi che la Fao inserisce nella categoria «Lifdc», ossia quelli a basso reddito e con un deficit alimentare, ben 37 - dal Benin allo Zimbabwe sono in Africa. In Europa non ce n’è nessuno, nel continente americano solo tre. Prezzi in discesa L’altra grande tendenza che si può identificare nei flussi commerciali del cibo è quella di un ribasso dei prezzi che dura da quattro anni dopo una fase di forti rialzi. Nel 20072008, infatti si registrò una grande cavalcata dei prezzi alimentari, che si intrecciò con i primi effetti della crisi finanziaria. A essere colpiti dai rialzi di grano, farina, riso e semi di soia, all’epoca, non furono però le capitali della Borsa, ma i Paesi più poveri del globo, da Haiti al Senegal, dove scoppiarono le prime rivolte per il cibo. Poi un’altra ondata di rialzi nel 2010-2011, dovuta principalmente al raccolto di grano andato male tra Russia, Ucraina e Kazakistan. La decisione della Russia di chiudere le esportazioni di grano scatenò il panico sui mercati, mandò alle stelle le quotazioni e contribuì all’esplosione delle Primavere arabe con le proteste per il pane. Quei rialzi di prezzi hanno anche cambiato la geografia della produzione: Paesi forti economicamente, ma deficitari come produzione di cibo - in primo luogo gli Emirati del Golfo - scottati dall’esperienza, hanno avviato grandi acquisti di terre da coltivare in Africa. Evidenti i problemi sia per i contadini locali, sia per lo sfruttamento delle risorse. Nel 90% di cibo importato in Africa si produce solo il dieci per cento del cibo che viene consumato nel continen te, dove da molti anni si concentrano i casi di denu trizione e malnutrizione 2014 invece, ha segnalato la Fao, il suo indice dei prezzi alimentari globali, è sceso per il quarto anno di fila, con un calo del 3,7% rispetto al 2013. Colpa, o merito - dipende se lo si guarda con gli occhi del produttore o con quelli del consumatore di una serie di fattori: c’è lo sviluppo tecnologico, certamente, ma nell’ultimo anno l’influsso forte è venuto anche da condizioni climatiche che hanno consentito raccolti record. Nei silos degli Stati Uniti, dopo il maggior raccolto nella storia dell’onnipresente mais - viene usato per l’alimentazione umana ed animale, ma anche per produrre l’etanolo - ci sono adesso 258 milioni di tonnellate di riserve, il 7% in più di un anno prima; difficile che a breve il prezzo possa salire più di tanto. E poi, ovviamente, pesa anche il ciclo economico generale: se la Cina rallenta la sua crescita questo finisce immediatamente per ripercuotersi sui prezzi agricoli. Tra offerta sovrabbondante e domanda un po’ più debole del previsto nell’ultimo anno il prezzo del caf- 3,7% calo dei prezzi Per il quarto anno conse cutivo, anche nel 2014 l’indice dei prezzi alimen tari è stato in calo rispetto all’anno precedente e aumentano le riserve ferme nei silos fè, qualità Arabica, è sceso di oltre il 30%, quello del mais di più del 20%, così come quello del grano. Anche lo zucchero raffinato ha perso il 22% del suo prezzo mentre tra i pochi generi alimentari i cui prezzi salgono c’è la carne bovina, che costa circa il 7% in più di un anno fa: le nuove classi medie globalizzate di tutto il mondo affermano il loro status appena conquistato anche mettendo nel piatto una bistecca. Il futuro del cibo Basterà il sistema mondiale di produzione del cibo a sfamare il Pianeta quando tra pochi decenni - addirittura già a metà secolo - si prevede che la popolazione mondiale possa arrivare dai 7 miliardi attuali fino a 10 miliardi? I numeri e le proiezioni degli esperti dicono di sì. Ma sono solo numeri, per l’appunto. La tendenza del mercato è a una concentrazione delle esportazioni nelle mani di quelli che sono già i principali esportatori. Il riscaldamento globale impedirà alcune coltivazioni in zone che di- venteranno troppo aride, ma potrebbe renderle possibili in zone che prima erano troppo fredde. Molto dipenderà anche da comportamenti difficilmente prevedibili: come si svilupperanno i movimenti verso le aree urbane e che effetti avranno sulle campagne? Quanto correrà la globalizzazione economica che si porta sempre dietro quella alimentare? Certo è che mentre i flussi commerciali si intensificano i problemi di distribuzione si moltiplicano. Distribuzione del cibo, prima di tutto, per tirare fuori larghe parti del mondo dalla sottoalimentazione; ma anche distribuzione del reddito, con la necessità che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti senza essere schiacciati dalle multinazionali. E distribuzione anche dell’offerta e della domanda: in quell’Africa che soffre la fame per moltissimi piccoli agricoltori l’accesso a un mercato più ampio di quello strettamente locale - se e quando avviene - è solo un caso. R IV SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 THAIBONNET BALDO INTEGRALE VIALONE NANO Le vie del cibo/ Storia di un alimentoicona Il riso, la pianta che sfama metà del mondo E mette a rischio la foresta La Fao: nel 2015 il consumo supererà la produzione ARTEMIDE GIANLUCA PAOLUCCI U RIBE PARBOILED ORIGINARIO na distesa di risaie allagate dove c’era la foresta primaria. Volare sopra al Madagascar, l’Isola verde diventata in qualche lustro da sogno a incubo dei naturalisti del pianeta, fa sorgere nel viaggiatore tutta una serie di quesiti. Il primo: perché uno dei Paesi più poveri e affamati del mondo è anche uno dei principali produttori di riso? Il riso tra le commodities alimentari è un po’ particolare. È l’alimento principale per circa la metà della popolazione mondiale, perlopiù in Paesi poveri o in via di sviluppo. Ma i principali produttori - Cina e India in testa, che valgono insieme più del 50% della produzione mondiale - sono anche i principali consumatori. Nel 2014 ne sono state prodotte 744,7 milioni di tonnellate (dati Fao), che danno poco meno di 500 milioni di tonnellate di prodotto raffinato. Ma di queste solo una piccola parte - nel 2014 poco più di 40 milioni di tonnellate - entra nel commercio globale. Meno del 10% contro il 20% circa del grano. Il prezzo internazionale viene fissato alla Borsa di Chicago gli Usa sono un modesto consumatore ma il terzo esportatore globale, con una quota del 12% del volume scambiato -. Ma in molti Paesi il commercio di riso è sotto il controllo più o meno stretto dello Stato, col risultato di falsare il prezzo. L’India, ad esempio, durante la corsa dei prezzi del 2008 chiuse le frontiere bloccando l’export del proprio riso, per riaprirle solo nel 2011. Ciclicamente torna l’idea di una «Opec del riso», un cartello dei Paesi produttori per stabilizzare i prezzi. Ma «questi schemi hanno generato finora più che altro corruzione e scorte in eccesso», dice Carlo Filippini, direttore dell’Istituto di studi economico-sociali per l’Asia Orientale dell’Università Bocconi. Che cita il caso della Thailandia, dove l’ex premier Thaksin, destituito nel 2006 da un golpe militare, cercò di realizzare un programma di sostegno dei prezzi del riso. «Purtroppo l’idea era buona ma la realizzazione aveva molti difetti», ricorda Filippini. Con il risultato di favorire i grandi commercianti, che compravano dai piccoli produttori a prezzi irrisori e rivendevano al prezzo fissato dal governo, molto superiore a quello di mercato. Proprio la Thailandia, tra l’altro, è uno dei principali esportatori mondiali. Intanto, segnala ancora la Fao, nel 2014/2015 per la prima volta in un decennio il consumo è destinato a superare la produzione. Nessun allarme, spiega l’agenzia delle Nazioni Unite nel suo «Rice market monitor»: le scorte mondiali sono sufficienti per garantire il fabbisogno dei ROSEMATTA prossimi quattro mesi, un tempo che mette al riparo da eventuali shock della domanda. Ma a questo punto possiamo tornare alle risaie del Madagascar che hanno preso il posto delle foreste. Il consumo mondiale di riso è aumentato del 40% negli ultimi 30 anni. La popolazione del Madagascar cresce al ritmo del 3% all’anno, uno dei maggiori tassi di crescita del continente africano. La risposta alla domanda iniziale è allora il «taglia e brucia»: taglia la foresta e metti una risaia. Piccolo inciso per parlare di quel fenomeno che va sotto il nome di «land grabbing», sul quale ci soffermeremo diffusamente nelle pagine successive. I suoi effetti applicati alle materie prime alimentari come il riso li spiega Giovanni Ferri, docente di emerging markets Luiss-Lumsa: per il Paese che investe, significa garantire la propria sicurezza alimentare. Per il Madagascar però il land grabbing significa che l’8% della superficie del Paese è in mano ad investitori stranieri. Tra questi, la Cina è in prima fila e parte degli investimenti di Pechino sono destinati proprio alla coltura di riso. «Taglia e brucia» la foresta, metti la risaia. Poi magari, se dovesse servire, il riso prenderà altre vie e garantirà la «sicurezza alimentare» altrove. Ma come recita un detto malgascio, «meglio morire domani che morire oggi». L’ETERNA FATICA CONTADINA Il racconto del cibosimbolo nelle foto di Alex Majoli 4 Alex Majoli, 43 anni, è un fotografo pluripremiato a livello internazionale. Membro effettivo dell’agenzia Magnum dal 2001, nelle immagini che pubblichiamo nelle pagine di questo inserto racconta la produzione del riso (e i suoi attori) in India del Sud e Cina: il lavoro nelle risaie, il raccolto, l’essicatura, la pilatura, la produzione industriale, la distribuzione, il commercio, il consumo, il simbolismo. Majoli, noto per i suoi lavori in aree di guerra, ha realizzato reportage per Newsweek, New York Time Magazine, Granta e National Geographic, oltre a seguire una serie di progetti, l’ultimo dei quali, completato di recente, “Libera me”, è una riflessione sulla ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS condizione umana. Agricoltori indiani tornano al lavoro nei campi per il raccolto del riso dopo aver consumato un pasto frugale al bordo di una risaia R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 dello Iied (International Institute for Environment and Development). «Non solo: anche se l’accordo non viene chiuso e il terreno non è sfruttato, l’accesso continua ad essere negato a lungo alle genti locali». Infatti: a fianco dei numeri ci sono le storie. Che parlano di esodi forzati di popolazioni intere dalle loro terre ancestrali. Come nella valle dell’Omo, in Etiopia, dove le tribù che restano vivono in un clima di intimidazione continua da parte dell’esercito. Come in Laos e in Cambogia, dove le compagnie vietnamite della gomma continuano ad espandere le loro piantagioni. In Kenya, i diritti sui terreni sono tanto confusi che villaggi, scuole, intere comunità si sono ritrovate all’interno di recinti alzati di sorpresa, in poche ore. Sono le “anime morte” della corsa alla terra. In molti paesi dell’Africa e dell’Asia non compaiono neppure nei registri civili. «Il land grabbing rischia di avere un impatto maggiore del cambiamento climatico sull’ambiente e sulla vita dei più poveri» denuncia Pearce. In che modo? «E’ semplice. Essere privati della terra è un danno immediato. Poi ci sono quelli a medio e lungo termine. Lo sfruttamento intensivo di grandi aree agricole porta a un impoverimento delle risorse idriche. Il paesaggio viene cancellato. E la deforestazione accompagna il land grabbing». Secondo un rapporto di Land Coalition, le aree coperte da foresta (e progressivamente deforestate) costituiscono un terzo delle cessioni di terreni. Lo stesso rapporto mostra che la corsa all’accaparramento continua anche se ha subito un rallentamento apparente dopo il picco del 2009. «La caduta dei prezzi nel settore alimentare ha allontanato gli speculatori. Ma sono rimaste le multinazionali e gli stati, che continuano a comprare per costituire riserve alimentari nel lungo termine» ribadisce Pearce. In Cina, la Xinjang è un’agenzia semimilitare, con gerarchie di comando, corpi di ingegneri e agronomi. In Asia centrale, i terreni acquistati dalla Xpcc sono stati sottoposti alla coltivazione intensiva di soia transgenica che li ha impoveriti. Tra i grandi buyers ci sono anche gli Usa, i paesi arabi del Golfo, l’Europa; e il Brasile e l’Egitto che acquistano larghe porzioni di terreno negli stati confinanti. C’è chi ha parlato di neo-colonialismo. «Assomiglia al primo colonialismo mercantile, quello delle Compagnie delle Indie inglesi e olandesi - sostiene Peirce. - Il primo passo è rendere trasparenti le transazioni e mobilitare l’opinione pubblica dei paesi ricchi su questo nuovo modello di sfruttamento. Oggi perfino la Cina ha un movimento ambientalista molto attivo». IX Africa nel mirino Èilcontinente piùcolpito n Secondo gli ultimi dati ufficiali pubblicati da International Land Coalition, l’Africa è il continente più colpito dal land grabbing: ben 754 contratti di cessio ne di terreni per un to tale di 56,2 milioni di ettari riguardano l’Africa, a fronte di 17,7 milioni di ettari in Asia e 7 milioni di ettari in America Latina. Le ces sioni di terreni segnala te in Africa riguardano una superficie equiva lente al 4,8 per cento del totale della superfi cie agricola del conti nente. A livello globale. 84 sono interessati dal fenomeno, ma in undi ci di essi è concentrato il 70% della superficie soggetta al land grab bing: sette sono africa ni (Sudan, Etiopia, Mo zambico, Tanzania, Madagascar, Zambia e Congo). Nel Sudest asiatico particolar mente colpiti Filippine, Indonesia e Laos. REUTERS Il land grabbing lascia ai contadini delle zone più povere soltanto aree marginali per la coltivazione ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Produttori di riso alla riseria di Tula, nel Sud dell’India: portano qui il loro raccolto di riso grezzo per farlo lavorare prima della vendita: dev’essere privato della crusca e sottoposto a brillatura R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 Mao Tse Tung viene spesso raffigurato attorniato da contadini: figlio di un mercante che si oppose a una rivolta dei poveri per il cibo si ribellò al genitore BASMATI Le miserie millenarie delle risaie cinesi che accesero in Mao la scintilla della rivoluzione SELVAGGIO DOMENICO QUIRICO P GELSOMINO CARGO V er amare il riso bisogna attraversare i luoghi in cui è nato, antico di diecimila anni, lungo il fiume Yangtze, interminabile nastro di seta che divide la Cina in due metà: in quella superiore il cuore, l’anima e il cervello, il paese degli alti e pallidi mangiatori di grano, gente discreta e conservatrice, erede di cinquemila anni della storia senza interruzioni del Paese di Mezzo. E nell’altra metà i muscoli della Cina, genti forti, dagli abiti sgargianti che mangiano riso e parlano complicati dialetti costieri. Ho amato il paesaggio del riso, una splendida campagna verde di tanti verdi diversi, a riquadri, e in mezzo campetti di patate dolci, giardini, cavolaie; un tappeto e un mosaico di giade variamente pallide. Qua e là contadine vestite di nero, panta- loni e camicia lunga e il grande cappello di paglia ornato come il cappello di un vescovo di una grande frangia di tessuto nero, il “mo-hu’’. Non levano il capo al passaggio del treno, continuano, chine, a piantare i germogli del riso. Era la Cina da poco orfana del Grande Timoniere, “i piccoli generali venuti da Pechino’’ con un libretto rosso per dare la caccia agli “elementi neri’’ non sapevano che li attendeva, imprevedibile e paziente, il capitalismo confuciano. Il lavoro non sembrava in quelle risaie una schiavitù. Sembrava che per il cinese il lavoro fosse una occupazione naturale, lavorava come respira. Faceva sempre qualcosa. Ricordavo che il giovane Mao era diventato rivoluzionario a causa del riso. Un anno, il riso non era stato ancora raccolto e la provvista di quello dell’inverno già finita, nel distretto scoppiò una carestia. I poveri chiedevano aiuto ai contadini ricchi e iniziarono una protesta denominata “vogliamo mangiare il riso senza dazio’’. Il padre di Mao era un mercante e lo esportava, insensibile alla fame dei poveri, in città dalla provincia. Uno dei carichi fu assalito e distribuito alla gente e l’ira del mercante fu sconfinata. «Io non simpatizzai con lui» scrisse Mao, domesticamente ribelle. Per millenni il contadino cinese ha detto, guardando i campi allagati dove spuntavano i germogli, lavorando chino nell’acqua: «Io mangio la mia miseria». Attaccato per la vita a quelle pianticelle, ma sempiterno debitore dell’usuraio, del ‘’tzi tzu’’ come si dice in cinese. Per festeggiare una nascita, una morte, un matrimonio dava in garanzia la sua piccola risaia o vendeva le sue braccia a tempo indeterminato. Dopo sei me- si il proprietario gli chiedeva la restituzione con gli interessi del trecento per cento e alla fine il contadino diventava servo della sua gleba. Continuava a lavorare, a pagare interessi, continuava a fornire centinaia di “ketti’’ di riso: una vita immobile, una interminabile usura. Il paesaggio modellato dalle risaie: una geometria paziente specchiata nei riflessi dell’acqua, l’unico che si possa veramente amare, perché è la natura in cui l’uomo ha inciso il suo segno. Mezza umanità si sfama col riso e lo incontri ovunque, in Indocina, in India, sugli altipiani dell’Africa. Colmo di riso fu il mio primo e unico ricco piatto da prigioniero nella Siria tra deserto e montagna, riso cotto nel grasso in un grande calderone da sabba dai guerrieri del jihad, riuniti attorno al fuoco nel silenzio sospeso della sera, dopo la pre- ghiera e la battaglia. E parve, a me che lo amavo, un buon segno di liberazione. Ma dove la sua apparizione più ti sconcerta è in Egitto, dove fu introdotto dagli arabi: perché in nessun luogo il mistero della vita e della fecondazione è stato più assiduamente vivo con quello straordinario spettacolo della terra ricoperta dall’immenso liquido fecondatore, oggi come tremila anni fa. Così tra due deserti di roccia e di sabbia il Nilo stende le sue riviere verdissime, le geometriche risaie che, come le acque, lambiscono e si arrestano di colpo ai piedi della sabbia. Il verde e l’acqua finiscono con un taglio secco, come nella ammezzatura di uno stemma. Il riso dove il ciclo della fecondazione e della nascita vive senza le ierogamie del cielo e della terra, laddove la pioggia è quasi sconosciuta. ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Una contadina impegnata nelle operazioni di mietitura in una risaia a Tula, un piccolo villaggio nell’India meridionale: il raccolto in queste zone viene fatto ancora manualmente R VI SPECIALE SPECIALELA STAMPA GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 Le vie del cibo/ Dalla risaia al piatto GIORGIO CALABRESE P MARATELLI VENERE erché noi medici diciamo sempre che il riso fa bene? Perché contiene un amido facilmente digeribile e assimilabile, ed è povero di cellulosa; infatti dietologi e pediatri consigliano alle mamme di diluire il latte, già nel primo trimestre di vita, anziché con l’acqua, con la mucillagine di riso, cioè con l’acqua utilizzata per bollire il riso. Al Nord, fino a qualche decina d’anni fa, il riso era ritenuto il vero primo piatto, mentre al Sud era considerato quasi alla stregua di un farmaco e veniva utilizzato soprattutto in coincidenza di fatti diarroici, vista la sua capacità di bloccare questo tipo di disturbi e di ricostituire la flora batterica intestinale. Oggi il riso è tornato ad essere un grande primo piatto per la minore grandezza del contenuto d’amido le cui dimensioni variano fra 2 e 10 micron, mentre gli amidi di tutti gli altri cereali sono più grandi: 15-22 micron per il mais e 20-40 micron per il grano, fino ai 50-170 micron dell’amido di patata. Ma perché l’amido del riso (ma anche degli altri cereali) è digeribile? Grazie al rapporto amilosio-amilopectina. Gli amidi che sono più ricchi di amilo- L’amido “magico” lo trasforma in alimento ideale per tutte le diete Digeribile e nutriente, è consigliato a celiaci e bambini, ma anche agli atleti sio, come avviene appunto nel riso, sono facilmente digeribili. Ecco anche perché, ad esempio, l’amido di mais, che ne è povero, risulta invece difficile da digerire. Le proteine del riso (7%) sono meno di quelle della pasta (10%), sebbene si tratti di proteine più complete da un punto di vista biologico. Per contro, uno dei grandi limiti del riso è che non può essere utilizzato per la panificazione, al pari della farina di grano, nonostante sia un cereale, perché gli mancano le prolamine, quelle proteine che consentono la formazione di glutine. Proprio per questo però il riso è uno dei pochi cereali che può essere usato dai celiaci, ma anche da coloro che soffrono di sensibilità al glutine, un numero spaventosamente crescente. Il basso contenuto di sodio e l’alto contenuto di potassio sono una caratteristica positiva e 7% le proteine Nel chicco di riso sono in percentuale inferiore rispetto a quelle presen ti nella pasta, ma sono più complete dal punto di vista biologico tipica del riso, specie oggi, che nella nostra società, si abusa di sodio, sotto forma di sale da cucina. Un etto di riso fornisce 360 calorie e se mangiato in giusta quantità, ogni giorno, può essere una manna soprattutto per gli obesi. Perché il riso quando viene cotto, triplica il proprio peso (50 grammi da crudo arrivano a 150 grammi da cotto) inducendo un maggior senso di sazietà. In altre parole, la capacità del riso di assorbire liquidi si manifesta sia in cottura che nell’intestino. Il chicco di riso è una cariosside vestita, costituita per il 79% da amido e per il 7% da proteine. L’esterno è rivestito da glumette che vengono poi eliminate. Dopo la sbramatura si ha il riso integrale, un po’ più scuro ma che conserva integra la parte nutritiva, cioè le vitamine AD-E e gli oligominerali più importanti. Lo strato argenteo è 79% amido È il compo nente princi pale, percen tualmente, del chicco di riso: è molto ricco di amilo sio e facil mente digeri bile anche per i più piccoli ricco di proteine, di grassi, di minerali (calcio, fosforo e ferro), di vitamine B1 e B2 e di fibra alimentare. A livello intestinale i nutrienti contenuti nel riso sono facilmente assorbiti ed è per questo che viene considerato un alimento energizzante, utilizzato anche dagli sportivi per fare il pieno di energia. Il riso apporta una buona percentuale di calorie (350 ogni 100 grammi), superiore a quella del pane e paragonabile a quella della pasta. Inoltre, sebbene possegga una frazione proteica ridotta (7-9%), vanta una composizione di amminoacidi più completa rispetto agli altri cereali, grazie alla lisina, un aminoacido essenziale che l’organismo non è in grado di sintetizzare da solo e che deve essere introdotto con gli alimenti. Un piatto di riso e legumi compensa gli aminoacidi limitanti facendone un piatto unico completo. DOPO IL RACCOLTO 6 ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Tula, villaggio indiano a 500 chilometri da Bombay, nel distretto di Sindhudurgh: una donna mette ad asciugare al sole la paglia di riso R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 VII Italia, dove il chicco ha mille facce dopo Arborio e Carnaroli ecco l’Artiglio Custodite in un caveau le oltre mille varietà storiche, a partire dal Lencino GIANFRANCO QUAGLIA ARTIGLIO CARNAROLI ERMES «C ameriere, vada per un piatto di Carnaroli, ma se c’è un Vialone Nano o un Baldo va bene ugualmente». Ordinazione improbabile e surreale. Al massimo al ristorante ci si può spingere sino a un «al dente mi raccomando», non oltre. Nessuno chiede una varietà o un’etichetta, al contrario di quanto avviene per i vini, di cui ormai esiste la lista anche in pizzeria. Eppure l’Italia è leader europeo di «Sua Maestà il riso», con produttori anche coraggiosi come Piero Rondolino di Livorno Ferraris (Vercelli) che produce il riso invecchiato sino a sette anni e lo custodisce in lattina con il marchio «Acquerello». Da qualche anno, con la cultura televisiva della gastronomia, si è fatta strada una conoscenza più diretta del riso che mangiamo: le scelte sono mirate, anche i neofiti sanno che per ottenere un bel risotto mantecato, ma non colloso, occorre puntare almeno sulle varietà appartenen- ti alla griglia dei fini o superfini. Il riso italiano rappresenta solo lo 0,25 per cento dell’intera produzione mondiale, i suoi 14 milioni di quintali sono quasi una manciata di chicchi. Ma tutti di eccellenza, risultato di intuizioni, ricerca, ibridazioni in campo, che nell’arco di quasi due secoli hanno consegnato al mondo valori indiscussi, senza mai ricorrere a manipolazioni genetiche. Nel mondo si coltivano circa 140 mila varietà di riso. Una gamma destinata a crescere, perché gli studiosi stanno cercando il riso del futuro, resistente e più produttivo, in grado di garantire la sicurezza alimentare. Ci lavorano nel più grande centro di ricerca sul riso, l’Istituto di Los Banos, nelle Filippine. E in Italia? Sono esattamente 209 le varietà iscritte nel registro. E 1273 quelle in purezza custodite al Centro Ricerche dell’Ente nazionale risi di Castello d’Agogna (Pavia), la banca dei semi ibernati, ogni tanto risvegliati dal letargo perché la scienza attinge al loro dna per realizzare esemplari più resistenti. Romano Gironi, responsabile della ricerca, sa che le sfide globali impongono cambiamenti senza sosta. In questi caveau trascorre il lungo sonno il Lencino, nato prima dell’Unità d’Italia, nel 1857, quando la risaia italiana era seminata a Nostrale. Insieme con il Vialone, il Lencino fu progenitore di quel Carnaroli (dal nome del suo “inventore”) che nel 1945 vide la luce dopo un attento incrocio, diventando il principe della risicoltura made in Italy, perché il chicco ha una forte resistenza alla cottura, è ricco di amilosio e cede poco amido. Prima che a lui, i palati fini ricorrevano al mitico Arborio (selezionato da Domenico Marchetti, padre anche del Rosa Marchetti). Nomi gloriosi, che hanno determinato la fortuna dei nostri risotti, come il Vialone Nano, l’Igp veronese coltivato in Veneto e nel Mantovano o l’altro Igp Delta del Po. E fra i più recenti il Riso di Baraggia vercellese e biellese, l’unico ad aver ottenuto la Dop in Europa. La terra di «Riso amaro» si conferma humus fertile di inventori. Accanto alle varietà più conosciute (Roma, Razza 77, Ringo, Baldo, Ribe, Loto, Originario, Balilla) tradizione e ricerca esplorano nuove frontiere, con i risi colorati che fanno tendenza: il Venere, o riso dell’Imperatore (nato in Cina ma rigenerato in Italia), dal chicco nero, o l’Ermes (rosso). Rinascono pure i centenari dormienti: il Maratelli, un «giurassico» abbandonato dai coltivatori, è stato rilanciato dalla famiglia del suo costitutore (Mario Maratelli) che lo scoprì nel 1914. Al Cra (Consiglio ricerche agricoltura) di Vercelli, riecco il Gigante, altro “grande vecchio”. Forza di una natura che non s’arrende. Come i risicoltori, attenti a risaia e mercato. Se l’export impone di diversificare, ecco l’alternativa: dai risi «japonica» coltivati per i risotti a quelli «indica», per contorni e insalate. Già inventato anche quello made in Italy: è l’Artiglio, nome che evoca determinazione e aggressività sul mercato. ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Il museo del cibo di Hong Kong ha spazi espositivi dedicati alla storia e alla cultura del cibo e della cucina: ovviamente il riso è uno dei protagonisti del singolare percorso di visita R VIII SPECIALE SPECIALELA STAMPA GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 Le vie del cibo/ Il nuovo colonialismo Land grabbing, così emiri e cinesi si comprano il futuro della Terra La speculazione cambia radicalmente gli equilibri ambientali e alimentari del pianeta FABIO SINDICI L’ ultima cosa che ci si potrebbe aspettare, mentre si è alla guida di un fuoristrada su una pista nella savana dell’Africa occidentale, è un messaggio sul cellulare che dia il benvenuto nel territorio degli Emirati Arabi Uniti. Accade in Tanzania, dove un generale degli Emirati ha acquistato diritti di caccia esclusivi su un parco di 400 mila ettari. E lo ha trasformato in una sorta di enclave territoriale. Strettamente sorvegliata. «Non filtrano molte notizie, ma ho sentito di unità paramilitari spedite dal governo di Dodoma per impedire che i Masai in cerca di pascoli si avvicinino alla riserva privata» racconta Fred Pearce, scrittore e giornalista britannico, pluripremiato per le sue inchieste sull’ambiente. Pearce è l’autore di “The Land Grabbers” (Beacon Press), libro in cui documenta l’estensivo accaparramento di terre coltivabili ai quattro angoli del globo da parte di fondi sovrani, multinazionali del cibo, agenzie governative e speculatori rapaci. Un fenomeno imponente ed elusivo, difficile da tracciare. Che sta cambiando gli equilibri - alimentari e ambientali - del pianeta. E che non riguarda solo i paesi più poveri. Di recente, un gruppo di deputati tedeschi ha denunciato le trattative per la cessione di vaste aree del territorio ucraino, condotte all’ombra della guerra. Che coinvolgono multinazionali del cibo transgenico, come la Monsanto. Investimenti a rischio, certo, ma a prezzi ribassati. Secondo Farmlandgrab, un osservatorio web sulla corsa ai terreni agricoli, 17 milioni di ettari in Ucraina sono già controllati da imprese stra- 17 milioni di ettari È la superficie dei terreni passati sotto il controllo di imprese straniere in Ucraina: più della metà della superfi cie coltivabile del paese niere, più della metà del territorio coltivabile. Proprio in Ucraina, nel 2013, l’agenzia governativa cinese Xpcc (Xinjiang Production and Construction Corp nell’acronimo inglese) ha ottenuto un leasing di 50 anni su tre milioni di ettari. Probabilmente il più grande caso di “land grab” registrato. Perché la maggior parte delle grandi transazioni sono opache. Soprattutto nei contratti tra le agenzie dei governi, che decidono sul destino di regioni grandi come stati e di intere popolazioni, a loro insaputa. E i conflitti spesso accompagnano le vendite. Come è successo in Liberia, il primo stato libero dell’Africa - e uno dei più tormentati, nella storia recente. Le cessioni di terreni cominciano sul finire della guerra civile. «All’inizio, c’è stata una discreta cooperazione tra le società che gestiscono le piantagioni e 2 milioni di km quadrati Secondo le stime diffuse da Oxfam è questo il totale delle terre sottrat te, la maggior parte delle quali si trova nel continen te africano gli impianti per la produzione di olio di palma e le comunità locali. Ma i rapporti ora si sono deteriorati» spiega Pearce. Avere le cifre esatte del “land grabbing” è impossibile. I contratti trasparenti sono solo la parte emersa dell’iceberg. L’Oxfam, che ha denunciato il fenomeno in diverse campagne di sensibilizzazione, ha stimato in più di due milioni di chilometri quadrati le terre sottratte, di cui i due terzi in Africa. Land Matrix, piattaforma indipendente nata per monitorare questi immensi passaggi di proprietà, ha contato 1037 contratti conclusi per oltre 38 milioni di ettari. Ma sono elencate solo le trattative “in chiaro”. «I contratti vengono stipulati, cancellati, ristrutturati, trasferiti. A volte, la quantità di terra è di gran lunga maggiore di quella descritta nei contratti» ragiona Lorenzo Cotula, ricercatore I CHICCHI DIETRO LE QUINTE ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Il proprietario della riseria di Tula, in India, in piedi su un mucchio di risone in attesa di essere lavorato: il suo è l’unico impianto del villaggio 8 ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Tula, India del Sud. Nel tempio di Laxmi si preparano le offerte da presentare agli dei: il riso ha un ruolo di rilievo anche in questo caso 1037 contratti «in chiaro» Sono le cessioni monitorate da Land Matrix, una piattafor ma indipenden te. Ma molte cessioni avven gono in modali tà «opache» R X SPECIALE SPECIALELA STAMPA GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 São Tomé La filiera del cioccolato piccolo grande tesoro di un arcipelago africano LORENZO SIMONCELLI SÃO TOMÉ A 64 anni, Claudio Corallo risponde ancora trafelato al telefono perché, di corsa, sta andando nelle sue piantagioni dove coltiva e produce cacao, caffè e pepe. Da 25 anni vive e lavora a São Tomé e Príncipe, il secondo più piccolo Stato africano, situato nel Golfo di Guinea a circa 200 km dalle coste del Gabon. Nell’arcipelago, agli inizi del ’900, si produceva la maggior quantità di cacao al mondo. Un primato perso negli anni a favore della Costa d’Avorio. Ma grazie all’esperienza maturata con le coltivazioni del caffè nell’ex Zaire negli Anni 80 e alle scimmie del posto, che sputando a terra i semi delle migliori fave di cacao hanno garantito la riproduzione delle piante, Corallo ha trasformato l’arcipelago africano in un laboratorio per la lavorazione del cacao. «Quando ho iniziato ad assaggiare le fave, le trovavo amare - racconta - ed ho iniziato a pensare che fosse un difetto, così ho iniziato a correggerlo direttamente nelle piantagioni». Un esperimento che lo ha portato a creare una realtà a filiera completa, «un unicum nel settore» ci tiene a sottolineare, che dà lavoro a circa 300 persone, producendo 1-2 tonnellate di cioccolato al mese. Una realtà artigianale che gli ha permesso di arrivare nelle principali fiere dolciarie mondiali e sugli scaffali dei ristoranti stellati di città come Tokyo, Parigi e New York. Non poteva mancare ad Expo 2015, dove Corallo si cimenterà in una serie di conferenze tecniche sulla produzione e lavorazione del cioccolato. Anche São Tomé e Príncipe sarà presente, modello del Paese che ha mirato a conciliare biodiversità e sfruttamento delle materie prime. Un mix di innovazio laricettapernutrire Dalla coltivazione alla raccolta, dalla lavorazio N utrono il pianeta, con la loro fatica ma anche con la loro inventiva. Produttori grandi e piccoli inseguono l’innovazione sia nelle modalità di coltivazione sia in quelle di raccolta e di lavorazione del prodotto. E - perchè no - anche in campo commerciale, per farlo arrivare al consumatore finale nel modo secondo loro più corretto. La Stampa ha raccolto alcune storie significative di produttori in giro per il mondo, raccontando la loro esperienza: esempi di persone che han- Colombia Un caffè d’altura strappato alla guerra e ai narcotrafficanti FILIPPO FIORINI BOGOTÀ U na volta maggiorenne, Ivan Pareja ebbe un’opportunità unica: lasciare il villaggio colombiano di Alban, in cui era nato, e andare all’estero a studiare. Una volta laureato, però, decise di tornare a casa. I suoi genitori avevano bisogno di una mano: stavano invecchiando in quella valle delle Ande, contesa tra narcotrafficanti e soldati per le sue coltivazioni di coca e papaveri da oppio. «Quelli sono stati tempi duri - dice dell’epoca precedente al programma statale che ha spinto la gente a sostituire le piantagioni illegali con quelle di caffè -. Il paese è stato occupato dai paramilitari otto volte. Il centro storico è stato distrutto dai combattimenti. Morivano i poliziotti, ma anche le donne al mercato. I giovani, poi, finivano tutti a lavorare come braccianti dei narcos». I primi soldi del sussidio inviato da Bogotà, dall’Onu e dagli Stati Uniti, Ivan, che oggi ha 57 anni, li ha usati per fondare un consorzio di «cafetaleros» insieme ai suoi compaesani dal cappello Panama, il poncho sgargiante e i chicchi di caffè sempre tra le dita. Con 512 iscritti, un decennio d’attività, una macina nuova e un appuntamento per il mese prossimo con un gruppo di ingegneri giapponesi, incuriosito dall’esperimento, l’associazione AAA è oggi il fiero produttore del Caffè Albanita, un infuso «premium» che viene anche esportato. «Il suo sapore cambia a seconda dell’altitudine a cui lo raccogliamo racconta Ivan - ma in genere ha un aroma pronunciato, un’acidità media e un gusto gradevole. Eppure il suo più grande merito non è questo, ma quello di averci dato un lavoro dignitoso e aver riportato la pace ad Alban». Israele I profumi della natura per difendere dagli insetti le riserve di grano MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME I sraele vanta la percentuale più bassa di grano perduto a causa degli insetti ed il merito è di un agronomo ucraino di 62 anni con la passione per le spezie. Moshe Kostyukovsky viene da Kiev, si è formato come ingegnere alimentare nell’ex Urss e nel 1991 immigrò in Israele, trovando nel “Volcani Center” di Beit Dagan un laboratorio dove «era possibile esplorare ogni opzione, uscendo dagli schemi». Quanto avvenuto da allora lo ha trasformato nell’artefice della protezione del grano nazionale: Israele ogni anno ne produce solo 250 mila tonnellate, ovvero il 10 per cento del fabbisogno, e dunque deve importarne 4,5 milioni di tonnellate. Ciò significa un’imponente opera di conservazione e protezione che si accompagna ad un tasso di “perdita da insetti” di appena lo 0,5 per cento rispetto al 5 per cento degli Stati 10 Uniti ed ad oltre il 40 per cento della Russia. Kostyukovsky descrive così la strada che ha portato a scoprire la propria ricetta: «Siamo partiti dalla constatazione che le sostanze chimiche facevano più danni che altro, poi abbiamo studiato il comportamento degli insetti individuando la sensibilità ad alcuni odori particolari e dal quel momento abbiamo iniziato a fare ricerca su ogni tipo di spezie». Passando dalle vesti di ricercatore a ispettore del “Volcani Center”, Kostyukovsky è così arrivato ad identificare alcune “sostanze naturali molto efficaci” per limitare al massimo i danni «a cominciare dall’olio di menta». I risultati sono notevoli ma l’agronomo punta a «migliorarli ancora, perché in Israele siamo abituati a non accontentarci mai quando si tratta di sicurezza alimentare». «E’ questo il messaggio che il nostro padiglione all’Expo di Milano porta al mondo» conclude. ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 Sei storie simboliche di produttori ne e coraggio il pianeta Stati Uniti ne ai sistemi di vendita: la ricerca di nuove strade no voluto e saputo cambiare qualcosa, inseguendo un sogno o cercando (riuscendovi) a superare situazioni locali o ambientali difficili. La popolazione del pianeta aumenta, la produzione alimentare deve tenere il passo di questa crescita, ma non è soltanto un problema di quantità. La fantasia, l’impegno, la ricerca, l’intelligenza applicata al lavoro di tutti i giorni possono far vincere questa difficile sfida, che è il tema centrale di Expo Milano 2015. La venditrice di angurie è diventata la regina delle zucche di Halloween FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK «H o iniziato a 16 anni, vendendo angurie con un vecchio furgoncino». Ci tiene Sarah Frey-Talley a raccontare la sua storia di «self-made woman», di imprenditrice agricola che si è fatta da sola. Sarah è la titolare di Frey Farms, principale produttore di zucche degli Stati Uniti, decine di migliaia ogni anno provenienti da moderne fattorie in sette Stati americani. Anche se il tipo di terreno e la topografia rendono il Sud dell’Illinois luogo privilegiato per la cultura del simbolo di Halloween. Il quartier generale di FreyFarms è infatti a Keenes, Wayne County, nei pressi del Mount Vernon, da qui Sarah dirige gran parte delle sue attività. Una vita legata alla terra la sua, e un’esperienza assai lunga, nonostante gli appena 36 anni di età. «A sedici anni, mentre i miei quat- tro fratelli maggiori andavano al college, io ho comprato un furgoncino - racconta e ho iniziato a fare quello che faceva mia madre, raccogliere angurie dal piccolo terreno di famiglia per venderle ad alcuni negozi della contea». Le sue angurie vanno a ruba, i clienti crescono velocemente, e la giovanissima Sarah, che oltre ad amare la terra ha l’impresa nel Dna, gioca d’astuzia: «Man mano che i vecchi agricoltori si ritiravano io acquistavo i loro terreni». E’ l’inizio della svolta, la sua è una crescita a ciclo continuo, venti anni senza sosta, man mano che i fratelli finiscono il college tornano ad aiutare Sarah. Oggi Frey Farms rifornisce i 25 migliori rivenditori degli Usa, le zucche vengono sempre raccolte a mano, lavate e spedite. Il momento più intenso è quello a ridosso di Halloween, che coincide con il momento della raccolta delle zucche. Taiwan Riso, bibite e zuppe e il miliardario conquista i cinesi delle due sponde ILARIA MARIA SALA HONG KONG W ant Want, in cinese, suona come “diecimila diecimila” - numero portafortuna – e i caratteri significano “roboante”. Fondata da Jonathan Shuai Qiang Ng nel 1962 nelle terre incontaminate di Ilan, Taiwan dell’Est, è una delle aziende alimentari di maggior successo dell’Asia, dopo aver scalfito il monopolio delle aziende di Stato cinesi. Oggi è gestita dal figlio di Shuai, Tsai Eng Meng, 59 anni, l’uomo più ricco di Taiwan, con una fortuna di 10 miliardi di dollari, e l’azienda è fra le “Favolose 50 dell’Asia” secondo Forbes. All’inizio, Want Want produceva riso e gallette di riso. Poi, sotto Tsai, l’espansione: bibite, latte e yogurt, e quell’alimento immancabile per chi ha davvero fretta: zuppe di spaghettini istantanee, a cui aggiungere solo acqua bollente. La conquista del mercato cinese deve tutto alla personalità di Tsai: esuberante, aggressivo (lo chiamano “il Toro Combattente”), creativo nella strategia pubblicitaria e con un dichiarato sostegno per l’operato del Partito Comunista. «Prima o poi, Taiwan si riunirà alla Cina», ha dichiarato varie volte, attirandosi critiche feroci a casa. Per contribuire a migliorare le relazioni nello stretto Tsai dal 2008 acquisisce vasti interessi nei media taiwanesi (quattro quotidiani, un canale tv, riviste e siti web), dando loro un tono decisamente più “pro-Pechino”. «Want Want ha bisogno di bocche! - scherza - E Taiwan ne ha solo 23 milioni. La Cina, 1.3 miliardi!». I consumatori cinesi apprezzano il patriottismo e il timbro di garanzia dato dall’essere un’azienda semi-straniera, ovvero taiwanese, anche se ora produce per lo più in Cina, dove ha 50 mila dipendenti. Belgio Una birra gratis al mese per tutta la vita ai “soci” dei giovani mastri birrai MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES I ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS Consegna del riso ad un ristorante tradizionale di Hong Kong, il Wing Hop Sing, attivo da oltre vent’anni nel quartiere di Sheung Wan Cucina di strada a Bombay in Mohammed Ali road : il riso è alla base di numerose ricette tradizionali indiane trappisti del Terzo Millennio sono tre, Sebastian, Olivier e un collaboratore, ma presto «faremo una quarta assunzione». Hanno cominciato investendo i risparmi nel giugno di due anni fa, poi hanno deciso di dare un colpo di acceleratore con un operazione di crowdfunding da 50 mila euro. Et voilà, ecco il Beer Project, l’iniziativa che - a sentire Sebastian - vuole rompere la barriera fra il pubblico e la birra, proponendo un interessante matrimonio fra tradizione e modernità. Ragazzi animati da idee, i due belgi. Tanto che la prima birra è stata scelta dalla «nostra comunità» fra tre prototipi, Alpha, Beta, Gamma e Delta. Ha vinto l’ultimo, una Ipa organica, leggermente amara, 100 per cento malto d’orzo, «croccante e secca», con una «fruttata nota d’esotico». Le etichette sono nel frattempo aumentate, è arriva la Black Sister (una Ipa nera che rivela un tocco di cioccolata e caffè) insieme con la Grosse Bertha, una blanche studiata con gli esperti di Monaco. Racconta Sebastien che il Beer Project vive di co-creazione, elaborare i prodotti facendo corto circuito con altri birrai. «Magari anche in Italia - sospira -, so che da voi ci sono molte microbreweries di qualità». Delta e le sue sorelle sono attualmente in vendita in 120 fra ristoranti, bar e negozi della capitale belga, ma la distribuzione ha già varcato i confini del paese. Il 14 febbraio si è chiusa la seconda sottoscrizione, intitolata Beer for Life: ai «soci» è stato chiesto di investire 160 euro in cambio di un contratto che assicura di poter avere una birra gratis al mese per tutta la vita. Vi hanno aderito in 1100. L’obiettivo è mettere insieme una birreria da 600 mila bottiglie entro luglio. «Senza chiedere nulla alle banche», sottolinea Sebastien, il cui sogno - «creare birre atipiche» - ora assomiglia parecchio alla realtà. XI R XII SPECIALE SPECIALELA STAMPA GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 Il Mercantile Exchange di Chicago I computer spengono le grida nella più grande Borsa del cibo Niente più segni e urla per i broker che trattano miliardi di dollari in alimenti ASSOCIATED PRESS La caratteristica calca di operatori alla Borsa merci di Chicago sarà sostituita dai computer: è la fine delle grida e dei gesti dell’«Arb», il linguaggio simbolico per gli scambi commerciali PAOLO MASTROLILLI INVIATO A CHICAGO C’ 12 era una volta una stanza ottagonale chiamata “pit”, dove si riunivano parecchi adulti molto chiassosi, che urlando e facendo strani segni con le mani si scambiavano tonnellate di merci varie. Questa storia lunga quasi due secoli è finita all’inizio di febbraio, quando il CME Group di Chicago ha annunciato che chiuderà i suoi “open outcry”, cioé i mercati dove dalla metà dell’Ottcento si facevano i prezzi di tutti i beni prodotti dall’agricoltura e dall’allevamento. Li sostituirà la precisione silenziosa dei computer, che però sempre là, nella borsa della “città ventosa”, continuerà a far girare cotolette di maiale, burro o mais in tutto il mondo. Chicago è al centro del Midwest, praticamente il granaio degli Stati Uniti. Era stato naturale, quindi, creare là i mercati dove si scambiavano questi prodotti. Così nel 1848, mentre in Italia stavamo ancora combattendo la Prima guerra d’indipendenza, nella città dell’Illinois aprì le porte il Chicago Board of Trade, il più antico scambio di future del mon- do. Pochi anni dopo, nel 1898, era stato creato il Chicago Butter and Egg Board, per fare esattamente ciò che indicava il suo nome: scambiare burro e uova, su scala nazionale. In breve le attività si erano allargate, e quindi il nome era stato aggiornato in Chicago Mercantile Exchange. Per oltre un secolo queste due istituzioni hanno continuato a funzionare come si vedeva nei film, contendendosi senza esclusione di colpi gli affari più convenienti, anche quando la città era assediata dalle attività criminali di boss mafiosi come Al Capone. Ogni mattina gli operatori indossavano le casacche colorate che distinguevano le loro mansioni, e scendevano dentro agli “open outcry”, ossia quella specie di anfiteratri in miniatura dove avvenivano gli scambi. Cominciavano a urlare e gesticolare, secondo un preciso linguaggio di segnali chiamato “arb”, tanto incomprensibile per i profani, quanto dettagliato e chiaro per gli addetti ai lavori. Se un broker teneva le palme aperte e le spingeva lontano dal suo corpo, voleva vendere; se invece le rivolgeva verso il suo corpo, segnalava l’intenzione di acqui- 1848 l’anno di nascita Il Chicago Board of Trade inizia l’attività con il più antico scambio di future del mondo. Seguirà il mercato per burro e uova stare. E poi c’erano i gesti che indicavano i numeri, le quantità, e le urla che accompagnavano gli ordini. Sembrava il caos assoluto, e invece era un meccanismo infallibile con cui venivano mosse enorme quantità di merci agricole e prodotti di allevamento, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Era praticamente impossibile, almeno in America, mangiare un pop corn che non fosse passato almeno per un secondo in questi “pit”. Globalizzazione e tecnologia, però, hanno finito per conquistare anche la tradizione secolare. Nel luglio del 2007 il Chicago Mercantile Exchange si è fuso con il Chicago Board of Trade, creando il CME Group, un colosso da 3 miliardi di ricavi all’anno, che in sostanza muove tutto il cibo consumato negli Stati Uniti, e oltre. Era solo questione di tempo, quindi, prima che la rivoluzione digitale completasse la trasformazione, per raggiungere più facilmente i mercati globali emergenti come quello cinese. All’inizio di febbraio, infatti, i direttori del CME hanno annunciato la chiusura di tutti gli “open outcry” della compa- 3 miliardi di dollari È il ricavo annuo del CME Group, un colosso commerciale dal quale transita tutto il cibo consu mato negli Stati Uniti e oltre gnia, a Chicago e anche a New York. Niente più casacche, urla e segnali: solo clic di computer, efficienti e silenziosi, per 24 ore al giorno. Nella vecchia guardia degli operatori è scoppiata quasi la rivolta, al punto che fuori dalla stanza dove si prendevano le decisioni è stata chiamata la polizia, per riportare la calma. Non era solo nostalgia per il passato glorioso, ma puro interesse personale. Le licenze che autorizzano a commerciare nella borsa di Chicago, cioé i “seat”, erano arrivate a costare 775 mila dollari l’una nel 1997. Un prezzo record, su cui tuttavia valeva la pena di investire, perché significava mettersi a posto per il resto della vita. Diciotto anni dopo, però, il valore delle licenze è crollato: l’ultima è stata venduta all’inizio di febbraio per 290 mila dollari, e dopo l’annuncio della chiusura dei “pit” varrà ancora meno. Come era già capitato alle carrozze tirate dai cavalli, non resta altro da fare che abituarsi. Chicago rimarrà la borsa mondiale dei prodotti agricoli, muovendo il cibo in tutto il mondo, ma lo farà col soffio dei computer invece delle urla dei broker. R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE I NUMERI NEL PIATTO A cura di Gianluca Reggiani GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 26 milioni di ettari è la superficie totale di terreno coltivata a canna da zucchero nel 2013: è il primo prodotto agricolo del mondo, con un raccolto di 1877 milioni di tonnellate 40mila 310 le varietà di fagioli, che sono il legume più coltivato: oltre 23 milioni di tonnellate milioni di tonnellate: è la produzione mondiale di carne nel 2014, al primo posto quella di maiale 368 745 45 76 5800 milioni di tonnellate: è la produzione di patate, il consumo medio pro capite annuale è di 33 chili milioni di tonnellate: è stato il raccolto di riso nel 2013, uno dei cibi più consumati al mondo milioni di vacche da latte sono allevate solo in India, che detiene il primato mondiale: secondo la Fao il totale assoluto è di 270 milioni di animali 3 milioni di tonnellate è la produzione mondiale di olio d’oliva: la Spagna ne milioni di tonnellate produce il 42% il raccolto mondiale di mele: 50% in Cina milioni di dollari: è il valore della produzione di pomodori: ne esistono 7500 tipi 1172 XIII 165 milioni di tonnellate: produzione ittica mondiale milioni: è la quantità di pecore allevate sulla Terra, le capre sono invece un miliardo e 5 milioni ALEX MAJOLI / MAGNUM PHOTOS A Hong Kong il villaggio di palafitte interconnesse di Tai O è la patria dei Tanka, una comunità di pescatori. Qui una famiglia pranza nel proprio negozio: vendono soprattutto riso R XIV SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 I Cluster di Expo, padiglioni per Una delle novità all’Esposizione universale 2015: le filiere che accomunano TESTI A CURA DI FABIO POLETTI D Riso Terre d’acqua senza frontiere raccontano un cereale simbolo di abbondanza e sicurezza I l colore bianco e le trasparenze ad evocare le piante e l’acqua dove vengono coltivate sono le caratteristiche del cluster «Riso - Abbondanza e sicurezza». L’intero padiglione è rappresentato da una serie di risaie in miniatura dove i singoli Paesi partecipanti - Bangladesh, Cambogia, Sierra Leone, Myanmar e Laos - espongono le diverse varietà di questo cibo conosciuto da oltre diecimila anni e che rappresenta il nutrimento principale per una fetta importante della po- polazione mondiale: almeno tre miliardi di persone. I chioschi per la distribuzione del riso sono integrati negli spazi comuni dove, oltre alla visione delle coltivazioni in acqua in diverse vasche comunicanti tra loro con l’acqua mantenuta costantemente limpida, viene raccontato questo alimento che per la sua adattabilità è prodotto senza problemi in molte parti del mondo e che per la sua tipologia è stato nei secoli merce di scambio e sinonimo di ricchezza tra Paesi e culture differenti. Cacao e cioccolato Dalla fatica del contadino all’arte del maître chocolatier la lunga strada del cibo degli dei A ll’origine del cibo degli dei c’è un contadino. Venga dal Camerun, dalla Costa d’Avorio, da Cuba e dal Ghana o da São Tomé e Príncipe sarà l’immagine di uno di loro ad arricchire i padiglioni del cluster del Cacao. Perchè il cioccolato e tutte le sue derivazioni prima che un piacere è fatica per chi lo coltiva e riempie i sacchi di fave che hanno creato la fortuna di civiltà antiche come quella Maya e degli Atzechi. E di sacchi ce ne saranno a migliaia in questo padiglione dove si potrà conoscere e ovviamente assaggiare ogni declinazione dolce ma pure salata del cacao qui lavorato in cucine a vista da maître chocolatier che offriranno le loro creazioni. Ogni padiglione sarà del tutto simile all’altro, distinto solamente dalla bandiera della nazione impegnata perchè il cacao non ha più confini. Studiata apposta e particolarmente ampia è l’area dedicata agli eventi e ovviamente alla degustazione di questo popolarissimo prodotto simbolo di energia, fertilità e vita. Caffè Con le immagini di Salgado un grande affresco per il chicco più ricco di aromi e profumi S e non bastasse il profumo per capire in quale cluster ci troviamo, le grandi immagini di Sebastião Salgado che lo contornano sono più di un valido aiuto. Il grande fotografo ha girato mezzo mondo - Burundi, Costa Rica, Salvador, Etiopia, Guatemala, Kenya, Ruanda, Yemen e Uganda - per raccontare la ricchezza del cluster dedicato al caffè. I punti di degustazione si trovano nel cuore del padiglione. Ma è l’insieme architettonico complessivo che vuole raccontare la ricchezza di questa bevanda aromatica conosciuta in tutto il mondo e declinata in mille offerte e prodotti differenti. La copertura del cluster ricorda le grandi foreste dove si coltiva il caffè. I padiglioni dei singoli Paesi membri richiamano i tronchi degli alberi e sono ugualmente accessibili. La biodiversità delle varie tipologie di caffè è rappresentata dalle piante visibili nel percorso. Piante così diverse ma ugualmente ricche per raccontare il viaggio di u n chicco dalla terra alla tazzina attraverso la fatica il lavoro dell’uomo. 14 ividere i Paesi per aree geo grafiche era stata la costante di ogni esposizione. Expo 2015 ha risolto il problema di raccontare che Palestina e Laos non sono lo stesso Oriente, dividendo i Paesi che non hanno un padiglione proprio in nove aree tematiche. I cluster, dall’inglese «grappolo», R SPECIALE LA STAMPA SPECIALE GIOVEDÌ 5 MARZO 2015 XV Paesi con gli stessi sapori continenti diversi riunite in spazi espositivi condivisi raccolgono affinità culturali lega te al cibo e al nutrimento al di là della collocazione geografica. La Palestina può così esprimere la sua peculiarità nazionale nel clu ster dedicato ai deserti e alle zo ne aride perché meno ricche di acqua e il Laos al cluster del riso, dove l’acqua è uno degli elementi principali. Frutta e legumi Colori, miti e leggende nelle grandi cassette di legno colme di biodiversità P adiglioni come grandi cassette di legno, disposte in modo perfettamente simmetrico a circondare due frutteti. Il cluster dedicato alla frutta e ai legumi è forse il più ampio e variegato proprio perchè deve raccontare le molte biodiversità del pianeta. Ad ogni singolo Paese partecipante a questo padiglione collettivo - Benin, Congo, Gambia, Guinea, Kirghizistan, Uzbekistan e Zambia - è stato lasciato un proprio appezzamento di terreno come una lunga striscia, coltivato con i pro- dotti tipici di quella terra. Anche la piazza centrale, che rappresenta l’agorà del cluster, respira di legno che contorna le vasche degli orti geometrici dove crescono gli ortaggi. Questa, che è pure l’area del mercato di frutta e legumi, coltivati soprattutto tra il Mediterraneo e la Mesopotamia, è sovrastata da cinque grandi cilindri di metallo che raccontano su pannelli multimediali la modalità di produzione ma pure i miti e le leggende dedicate in ogni angolo del pianeta a questi beni della Terra. Spezie Nel paradiso dei cinque sensi dove ciò che si mangia è anche medicamento e cosmesi I cinque padiglioni squadrati come scatole sono solamente uno degli elementi costitutivi del cluster dedicato alle Spezie. Altri elementi immateriali odori, colori, sapori, gusti, esperienze tattili e visive, luce e buio, caldo e freddo vengono miscelati per raccontare un’esperienza delicatamente multisensoriale. Afghanistan, Brunei, Tanzania e Vanuatu sono i Paesi presenti in questo cluster. Espongono quanto di meglio dei loro prodotti che non sono solo cibo e nutrimento ma pure medicamento e cosmesi. Il viaggio tra i singoli padiglioni - non c’è cosa come le spezie capace di evocare viaggi avventurosi dai luoghi più esotici - stimolerà come ovvio tutti e cinque i sensi. Ad ogni singolo Paese è stato lasciato il compito di raccontare la coltivazione e il trasporto di un prodotto che non conosce crisi e che nell’ultimo decennio è cresciuto come produzione di oltre il quattro per cento nel mondo e di quasi il sei per cento nei consumi globali, evocando una forza economica trainante con pochi precedenti. Cereali e tuberi Un gusto antico e pieno che da millenni sfama e nutre le aree più povere del mondo U n grande campo di grano e altri cereali. Perchè il cibo è coltura ma pure cultura che rimanda ad antiche tradizioni contadine. Siano esse della Bolivia, del Congo, di Haiti, del Mozambico, del Togo oppure dello Zimbawbe trovano cittadinanza nel cluster «Cereali e Tuberi - Vecchie e nuove colture». Sotto il padiglione, che rappresenta un grande camino, nelle cucine a vista, i visitatori di Expo 2015 potranno fare conoscenza con buona parte delle diecimila varietà di cereali note da millenni. La storia della civiltà è fatta di viaggi e di mescolanze di colture e di culture. La collina della biodiversità vuole essere l’istantanea caotica di cereali e tuberi che lottano fianco a fianco per la sopravvivenza e per sfamare e nutrire milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo che conoscono solamente questo cibo, in una dieta di sopravvivenza. Un giardino rotante permetterà di toccare con mano le biodiversità dei tuberi spesso il piatto principale di realtà che si sforzano di emergere. BioMediterraneo Tre continenti, infinite culture e una cucina con le stesse radici sinonimo di salute e armonia I l Mare nostrum lo si vede qui. E fa niente se ad evocarlo sarà una colata di calcestruzzo in quattro gradazioni di colore dall’azzurro più limpido al blu più intenso. Il cluster Bio-Mediterraneo raggruppa tre continenti: Europa, Asia e Africa e infinite culture. Ci sarà uno spazio dedicato alla Regione Sicilia, che rappresenta l’ombelico di questo mondo. Ma a farla da padrone saranno le quattro cucine, dove il cibo in svariati workcooking sarà declinato nelle mille sfumature delle gastronomie tipi- che di Albania, Algeria, Croazia, Egitto, Grecia, Libano, Libia, Malta, Montenegro, San Marino, Serbia e Tunisia, che tutte insieme rappresentano un mondo intero. Se la cucina mediterranea è conosciuta in tutto il mondo ed è considerata per i suoi ingredienti tra le più salutari, ogni Paese che si affaccia nell’area la interpreta a modo suo, tra odori e sapori, in una dimensione assai domestica dove la luce naturale entra da anfratti nel soffitto a pannelli studiati appositamente. Isole e mare Vivere in mezzo al grande blu nei piccoli mondi legati all’eterna magia della pesca I l cluster «Isole, mare e cibo» è tra i meno estesi ma più ricchi tanto sono varie le biodiversità da raccontare. L’impatto visivo è fortemente evocativo: una struttura di dodicimila canne di bambù piove dal soffitto a raccontare la terra, attorno a specchi d’acqua e fontane per acquacultura. La lontananza geografica dei numerosi Paesi che partecipano a questo cluster - Barbados, Belize, Capo Verde, Comore, Caraibi, Repubblica Dominicana, Grenada, Guinea Bissau, Guaiana, Madaga- scar, Maldive, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname trova un minimo comun denominatore nelle tecniche utilizzate per la pesca o per la produzione, che vengono raccontate nel percorso multimediale del padiglione collettivo. La varietà dei prodotti ittici e agricoli è presente fisicamente, rappresentata dalle diverse tipologie di raccolta ma pure con un mosaico di suoni e di luci che vogliono evocare e far rivivere agli occhi dei visitatori gli animali del mare e il suono delle maree. Zone aride Dove l’acqua è come oro liquido tra deserti e venti bollenti il miracolo dei frutti della terra I l venti per cento della popolazione mondiale vive dove più scarseggia l’acqua. A loro è dedicato il cluster «Zone aride» dove gli stand sembrano rocce nel deserto, la sabbia è evocata ovunque e l’aria bollente viene resa da strutture cilindriche semitrasparenti di Pmma (polimetilmetacrilato) satinato che pendono ovunque dal soffitto a immaginare una tempesta nel deserto. Ma i paesi del cluster, Eritrea, Gibuti, Mauritania, Mali, Palestina, Senegal e Somalia, non sono solo i luoghi dell’aridità ma pure della ricchezza di cibo e di cultura. Il mercato dei datteri e del cibo locale chiude il confine dell’area totale che tra dentro e fuori si estende per quattromila metri quadrati. Dalla parte opposta il «water bar» fatto di vetro e di acqua, il bene più prezioso che verrà messo a disposizione di tutti come se fosse oro liquido. Dominano i colori tenui della sabbia in uno dei padiglioni di più grande effetto dove si potranno conoscere i metodi per sopravvivere là dove più batte il sole.