Indice
Prefazione di Arianna Censi
Pluralismo normativo, libertà e politiche sociali, di Alessandra Facchi
La presenza delle donne immigrate: alcune chiavi di lettura, a cura di
Gender
Appendice
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2008. Anno Europeo del Dialogo Interculturale
Normativa di riferimento
Bibliografia
Le Politiche di genere: progetti e servizi della Provincia di Milano
Prefazione
Arianna Censi1
Il 2008 è stato dichiarato dalla Commissione europea l’Anno del dialogo
tra le culture, con l’obiettivo di attraversare politiche e saperi con una
prospettiva aperta al contatto tra mondi e culture diverse, per favorire un
dialogo costruttivo, fondato sulla forza delle idee.
Nei prossimi mesi, alcuni dei temi che riguardano da vicino la vita delle
cittadine e dei cittadini – con particolare riguardo per la cultura, l’istruzione,
la formazione, lo sport, le politiche giovanili e il multilinguismo- verranno
percorsi da progetti tesi a promuovere il dialogo tra le culture, per
accorciare le distanze tra i popoli, per sviluppare una cittadinanza attiva e
più accogliente, dove gli uomini e le donne possano, insieme, trovare un
vero luogo di incontro.
Una casa, come quella che abbiamo immaginato insieme, dove la ricchezza
delle idee e le diversità culturali potranno essere valorizzate, per aprire una
finestra su un mondo più equo, senza disequilibri e discriminazioni.
Un luogo possibile, dove tutte le cittadine e i cittadini possano costruire
insieme condizioni di vita migliori, aumentare la qualità e le opportunità di
lavoro, favorire uno sviluppo più forte per tutto il Paese.
Il tema che abbiamo scelto quest’anno per ricordare l’8 marzo è la Libertà
delle donne nella società multiculturale, vista attraverso quella lente di
ingrandimento che è il dialogo tra i popoli. E’ un tema, quello del
multiculturalismo, all’interno del quale emergono con più forza le
contraddizioni legate alla sovrapposizione di modelli culturali e valoriali
differenti che, nel trovare un punto di incontro e di equilibrio, rischiano di
scontrarsi con stereotipi difficili da superare.
Sono soprattutto le donne a vivere le distanze e le barriere tra mondi e
culture e diverse, che spesso ne limitano le libertà individuali e sociali.
Eppure sono sempre le donne, con i loro talenti e le loro energie, a poter
rimettere tutto in movimento, utilizzando le risorsa dell’accoglienza e del
dialogo per aprire un confronto costruttivo tra popoli e cittadini di origine
diversa.
Parlare di libertà è sempre difficile. Esistono libertà individuali, che si
compenetrano con la sfera personale delle donne, con la loro dimensione
1
Consigliera delegata alle Politiche di genere della Provincia di Milano
Coordinatrice della Commissione Nazionale Pari Opportunità dell’Upi
familiare, privata e sociale. Esistono poi le libertà collettive, legate al
gruppo di appartenenza, alle diverse comunità. La politica non può invadere
le sfere personali degli individui, ma deve tracciare percorsi che portino al
riconoscimento dei diritti di tutte le cittadine e di tutti i cittadini che vivono
nella società, alla rimozione degli ostacoli che impediscono alle donne di
vivere liberamente, senza quelle barriere che limitano la loro realizzazione
individuale. La politica e le istituzioni hanno il compito di favorire il
dialogo, aprire terreni di incontro e dibattito per superare i fenomeni che
limitano la libertà delle donne: dagli atteggiamenti culturali negativi che
favoriscono stereotipi e violenze, alle pratiche sociali consolidate che
minacciano la dignità e l’autodeterminazione delle donne. La politica,
quindi, deve lavorare sui diritti sociali, per garantire la libertà individuale
delle donne, leggendo le diversità culturali come una ricchezza, ma senza
mai derogare all’autonomia delle persone.
L’analisi dei numeri che compongono il quadro della presenza delle donne
straniere che vivono e lavorano in Italia aprono riflessioni importanti. Sono
il polso di una complessità che deve essere affrontata. Esistono le donne
straniere arrivate in Italia per cercare una serenità economica e un futuro
diverso, ma ci sono anche nuove generazioni di donne, nate in questo paese
da genitori di origine straniera, che studiano, lavorano e progettano nuove
famiglie.
E’ una continuità generazionale preziosa, una risorsa per tutti noi. Tuttavia,
sono proprio le giovani donne della cosiddetta “seconda generazione” a
vivere con grande fatica le difficoltà di conciliare il proprio modello
culturale di appartenenza con stili di vita differenti, con diritti acquisiti e
consolidati nella società in cui sono nate, ma che spesso si pongono in
contraddizione con le culture dei loro paesi di origine.
Solo nell’area metropolitana, vivono quasi 166 mila le donne straniere, la
maggior parte delle quali tra i 25 e i 44 anni. Sono donne giovani, con
aspettative di vita e progetti importanti, ma che esprimono bisogni di
integrazione, di libertà e di autonomia differenti. Sono donne istruite, che
nella maggior parte dei casi hanno raggiunto diplomi e qualifiche
professionali.
La lettura di questi dati apre nuovi orizzonti, capovolgendo stereotipi ormai
consolidati con interessanti riletture delle dinamiche sociali e offrendo a
tutti noi nuovi punti di osservazione. Punti di vista da cui le istituzioni
devono sapere ripartire per costruire politiche e servizi efficaci per tutte le
donne, italiane e straniere.
Dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi, ogni giorno rimbalzano
notizie preoccupanti, che rendono difficile sognare. Ci riportano
costantemente ad un mondo drammaticamente squilibrato, dove le ricchezze
dei popoli non sono uguali per tutti, dove l’uguaglianza tra i generi è ancora
lontana e dove il riconoscimento dei diritti delle donne è un elemento di
forte complessità. In ogni angolo del pianeta ci sono donne che vivono in
condizione di oppressione: incatenate dalle violenze e dai maltrattamenti,
rese fragili dalla precarietà economica, indebolite dalle profonde ingiustizie.
Donne capaci e in cerca di libertà, di spazi per esprimere a tutto tondo le
loro innumerevoli capacità.
Accade in ogni continente. Nei paesi in via di sviluppo, dove la povertà
rende le disuguaglianze ancora più brutali, come in quelli più ricchi. Accade
in Europa, come in Italia.
Oggi l’Italia sconta ritardi e contraddizioni difficili da superare.
La crescita economica è più lenta rispetto agli altri paesi europei, il tasso di
occupazione è più basso sia per gli uomini che per le donne, gli indici di
natalità sono fermi da tempo.
Siamo meno produttivi di altre nazioni, siamo meno efficienti e stiamo
vivendo con risorse energetiche divenute insufficienti per garantire a tutti i
cittadini un futuro sereno.
E’ un’immagine difficile da superare, ma tutto questo può e deve cambiare.
Bisogna dare vita ad un nuovo corso della politica, con idee nuove che
mettano in campo le risorse e i talenti delle donne per lanciare il Paese verso
uno sviluppo più moderno.
Gli studi più recenti hanno dimostrato che in quei paesi dove la
rappresentanza paritaria è diventata realtà la ripresa economica è più veloce.
Le ricerche economiche e sociologiche hanno confermato, con dati e
statistiche alla mano, come lo sviluppo dei mercati sia legato con un doppio
nodo al lavoro delle donne. Più cresce il tasso di occupazione femminile e
più sale la qualità del lavoro, meglio si stabilizza l’economia. In quei paesi
dove tutto questo è già realtà il rilancio avviene in modo più compiuto:
riguarda lo sviluppo dell’economia, ma anche una qualità della vita più
soddisfacente per tutti i cittadini e un tasso di natalità in rialzo.
Far crescere l’economia e il mercato si può, a partire dalle donne.
Lo dimostrano le esperienze statunitensi e dei paesi nordeuropei, ma anche
in Italia abbiamo interessanti laboratori di sperimentazione sociali che
anticipano le tendenze nazionali; città dove, non appena la presenza delle
donne nel mondo del lavoro ha raggiunto con percentuali interessanti gli
obiettivi di Lisbona, il numero delle nascite ha iniziato a crescere.
I saperi delle donne, le loro competenze professionali e le capacità di
mettere in gioco risorse importanti, sono elementi preziosi per lo sviluppo
del paese. Sono il motore di una crescita che può rimettersi in movimento.
Serve un nuovo patto, più forte e più stabile, tra la politica, le istituzioni e il
mondo imprenditoriale, per superare quell’ingessatura che non permette al
nostro Paese di accelerare il passo attraverso le qualità dei talenti femminili.
La politica e le istituzioni devono tracciare una linea di avanzamento e
sperimentare, insieme alle imprese, delle buone pratiche di organizzazione
aziendale, per incentivare la presenza delle donne sul mercato del lavoro e
utilizzare al meglio le competenze femminili, aprendo le porte dei consigli
di amministrazione ad una presenza paritaria di uomini e di donne,
favorendo l’accesso delle donne in quei luoghi dove vengono assunte le
decisioni, sbloccando le progressioni professionali e aumentando le
posizioni manageriali femminili.
Solo così, si possono rimuovere gli ostacoli che affaticano il Paese e
allontanano politiche di sviluppo economiche e sociali davvero innovative.
Per rispondere alla sfida della globalizzazione, ma anche per migliorare
l’efficienza e i risultati delle aziende, il sistema delle imprese deve generare
innovazione nella gestione dei modelli organizzativi e produttivi. Per
innescare una crescita virtuosa dei mercati e dell’economia, è necessario
superare quelle politiche di flessibilizzazione esasperata del lavoro che in
questi ultimi anni hanno portato ad una precarizzazione spinta del lavoro,
che ha danneggiato soprattutto i giovani e le donne. Il 56% dei contratti
atipici, infatti, riguarda proprio le lavoratrici e il passaggio dal precariato ad
una condizione di stabilità risulta ancora notevolmente inferiore per le
donne rispetto agli uomini.
In confronto ai colleghi uomini, le lavoratrici impiegano il doppio del tempo
ad essere stabilizzate dai datori di lavoro. E ancora. Una donna su cinque fa
un lavoro che richiede una formazione inferiore a quella di cui è in possesso
e, se consideriamo che le retribuzioni delle lavoratrici sono mediamente più
basse del 23% (con un’oscillazione che va da un minino dl 15% ad oltre il
40% per le libere professioni e i ruoli di alta professionalità - percentuali
che, conti alla mano, si traducono in redditi annui più bassi fino a 10 mila
euro) e che la permanenza delle donne nel mercato è ancora fortemente
segnato da una visione negativa della maternità, la situazione appare ancor
più complicata.
Una donna su dieci abbandona il lavoro dopo la nascita di un figlio ed è
ancora in uso il ricorso illegale dei datori di lavoro alle dimissioni in bianco,
fatte firmare alle lavoratrici al momento dell’assunzione in previsione di
un’eventuale maternità. Una pratica che solo nel 2007 è stata sanzionata dal
Parlamento, su proposta delle parlamentari di maggioranza.
Il divario tra i livelli di scolarità è a vantaggio delle donne, eppure il
mercato del lavoro continua a opporre resistenza. Le donne laureate solo il
57%, a fronte del 43% degli uomini. Eppure, questa più alta formazione non
ha riscontri diretti sulle professioni: a tre anni dal conseguimento della
laurea, ad esempio, la differenza di trattamento lavorativo, quella che
tecnicamente viene definita “gap gender”, è del 4% e la disoccupazione
colpisce il 9,6% delle giovani donne, contro il 5,7% dei giovani uomini.
Per uscire da questa situazione di empasse, nei prossimi anni le aziende,
sostenute dalle istituzioni, dovranno favorire una qualità del lavoro più
equilibrata, senza discriminazioni di genere nelle retribuzioni,
nell’affidamento delle mansioni e negli avanzamenti di carriera.
Le imprese devono sapere puntare sulla conciliazione tra i tempi
professionali e gli impegni familiari delle donne, attraverso il ricorso al
part-time, ai rientri agevolati dalla maternità e sensibilizzando tutti i
lavoratori che diventano padri sull’opportunità, ancora troppo poco
utilizzata, di usufruire dei congedi parentali retribuiti, così da condividere
con le loro compagne responsabilità, carichi di lavoro e tutte le emozioni
che fanno della genitorialità un’esperienza eccezionale.
E’ questa la nuova frontiera delle politiche di genere, il traguardo da
raggiungere nei prossimi anni per mettere in moto lo sviluppo del nostro
Paese, aumentare il prodotto interno lordo e costruire una società
accogliente e più equa per tutti, uomini, donne e bambini.
Sarà una sfida per tutti. La politica e le istituzioni dovranno procedere a
passo spedito, senza mai abbassare lo sguardo sugli obiettivi futuri e
continuando a consolidare i risultati già ottenuti attraverso la verifica dei
dati, la continua ricerca di risposte e il controllo degli obiettivi.
E’ questo il punto di svolta per realizzare un futuro migliore, un avvenire
diverso e più aperto al cambiamento, per costruire una società che sappia
realmente coniugare lo sviluppo globale con il rispetto per le capacità e i
talenti delle donne e degli uomini che abitano il mondo.
Un mondo che sa utilizzare al meglio le capacità delle donne, guardando ai
talenti femminili come ad una risorsa in grado di mettere in moto lo
sviluppo, a vantaggio di tutti. Uomini e donne, popoli e paesi lontani.
Pluralismo normativo, libertà e politiche sociali
Alessandra Facchi2
Fondamentali sfide delle società multiculturali passano attraverso questioni
che riguardano le donne: quando emerge un caso che richiama l'attenzione
su norme religiose, consuetudini, usi comunitari quasi sempre c'è di mezzo
una donna. In nome dei diritti delle donne sono sempre più spesso
contestate politiche pubbliche di sostegno di minoranze culturali e religiose,
il progetto di un Islam europeo si gioca in gran parte nella definizione dello
status delle donne musulmane, alle donne è in gran parte affidata
l'educazione delle nuove generazioni di cittadini europei.
Studi, ricerche e teorie che si pongono in termini neutrali rispetto al genere
non affrontano in modo adeguato non soltanto questioni che riguardano le
donne, ma anche gran parte delle problematiche complessive poste dalle
attuali società multiculturali. Da tempo ormai è riconosciuta la necessità sia
di studi sull'immigrazione femminile nel suo complesso, sulle dinamiche
attraverso le quali si costituisce, sulle funzioni che assume nel mercato del
lavoro, sia di ricerche che assumano il punto di vista delle donne interessate
su questioni specifiche legate all'appartenenza di gruppo, alla religione, al
lavoro, all'attività giudiziaria, alla normativa che regola ingresso e
soggiorno, ecc.
Una prospettiva in cui la variabile di genere assume implicazioni
particolarmente significative è quella del pluralismo normativo, intesa come
una prospettiva che assume l’esistenza di una pluralità di norme che
orientano i comportamenti individuali: norme giuridiche, religiose,
consuetudinarie, corporative, sia della società o della tradizione di
provenienza, sia di quella di residenza. Norme che possono integrarsi,
sovrapporsi o entrare in conflitto tra loro. Le istituzioni pubbliche
quotidianamente si trovano di fronte alla necessità di tener conto del
pluralismo normativo in cui vivono migranti e loro discendenti, e alla
necessità di cercare soluzioni di compromesso tra pratiche e norme della
società o della tradizione di provenienza e quelle della cultura e della
società di residenza, di conciliare bisogni individuali con principi etici,
norme giuridiche e esigenze sociali.
2
Docente di Teoria generale del diritto e Storia delle teorie sui diritti soggettivi per
il corso di laurea in Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano
Dal punto di vista delle persone questa situazione richiede un continuo
processo di posizionamento, di scelta più o meno consapevole, di
individuazione di percorsi di mediazione, ma anche di superamento e
distacco. Spesso si tratta di scegliere tra vari ordinamenti, utilizzando anche
il diritto positivo come risorsa tra le altre a cui rivolgersi a seconda della
singola situazione, elaborando strategie per trattare i conflitti. E’ ormai una
constatazione nota che l'individuo nella società contemporanea appartiene a
più gruppi di riferimento, la sua identità è frammentata o comunque deriva
da una sovrapposizione di varie componenti, è soggetto a modelli e norme
di differente origine che si pongono tra loro in rapporti complessi. Ciò è
particolarmente vero per le persone che passano attraverso le esperienze
della migrazione o che crescono in società diverse da quelle dei loro
genitori. Tra queste persone le donne sono i soggetti nei cui confronti più
emergono la distanza tra le diverse concezioni dei rapporti tra i sessi, tra
individuo e gruppo familiare, tra Stato e religione. Nei cui confronti le
prescrizioni religiose e comunitarie si traducono più di frequente in forme di
discriminazione e oppressione. I casi più noti concernono sia istituti
giuridici, come nel diritto di famiglia islamico la poligamia, ripudio, il
matrimonio attraverso il tutore, la differente quota ereditaria tra maschi e
femmine, sia pratiche consuetudinarie radicate come i matrimoni combinati,
le mutilazioni genitali, la segregazione domestica, fino ad arrivare agli
omicidi d'onore o alle violenze fisiche come strumento di punizione. Ma
questi sono solo casi emergenti al di sotto dei quali ci sono vite intere
costruite sulla mediazione, a volte sofferta, a volte no, vite in cui la
convivenza tra norme viene gestita senza crisi, e l'intervento pubblico
neanche preso in considerazione. Sempre più di frequente però è dalle
donne stesse provengono strategie di mediazione, di fusione tra istanze
contrastanti, prese di posizione e richieste che coinvolgono letture dei diritti
individuali diverse da quelle consolidate nella cultura istituzionale dei paesi
europei.
Questo contesto chiama in causa i problematici rapporti tra diritti
individuali, collettivi, culturali, la nozione di cittadinanza multiculturale,
l'opposizione tra diversi modelli "liberali" o "comunitari", tra diritti delle
donne e diritti delle culture, tra femminismo e multiculturalismo ecc. Su
questi temi è fiorito un vasto dibattito scientifico, politico e mediatico. In
questo intervento mi limito ad alcune considerazioni su visioni di libertà che
toccano direttamente le donne nelle società multiculturali e sul ruolo delle
politiche sociali ad esse connesso.
L'approccio del pluralismo normativo inteso dal punto di vista del soggetto
si ricollega ad un’opzione di convivenza multiculturale incentrata sulla
persona, sulla tutela della sua appartenenza in quanto scelta individuale, più
che sulla tutela della comunità, delle collettività esistenti, in quanto valore
autonomo. Mettere al centro la scelta individuale, con tutte le difficoltà
teoriche e pratiche che ciò comporta, riporta ad una concezione di libertà
come autodeterminazione. Un'idea di libertà che mostra, in particolare con
riferimento alle vite femminili, una duplice valenza.
La prima è quella della libertà individuale come una sfera di comportamenti
autonomi nella quale lo Stato non può intervenire. Da questo punto di vista i
poteri pubblici costituiscono la principale minaccia ai diritti individuali e
non è giustificata l’imposizione di una visione del bene comune, anche se
corrisponde ai valori della maggioranza e della tradizione dominante.
Questa è la visione di libertà consolidatasi nel pensiero liberale ottocentesco
e che ancora costituisce il nucleo di valore che ispira i diritti fondamentali, e
le relative tutele, negli ordinamenti occidentali.
Un principio fondamentale della tradizione politica liberale occidentale è
quello enunciato da John Stuart Mill: "Il solo scopo per il quale si può
legittimamente esercitare un potere su un qualunque membro di una
comunità civilizzata contro la sua volontà è quello di impedirgli di nuocere
ad altri…. Su se stesso, sul suo corpo, sulla sua mente l’individuo è
sovrano”. 3 Qualora un comportamento non provochi un "danno ad altri"
come si giustifica l'intervento coercitivo dello Stato contro la volontà di una
persona adulta e capace? Si può fondare su di un diritto fondamentale, come
la libertà individuale o su un principio come la parità tra i sessi o su quello
ancor più decisamente estraneo alle culture d'origine come la laicità dello
Stato?
Nei conflitti multiculturali la situazione più difficile da affrontare dal punto
di vista dei principi liberali si verifica quando sono le persone stesse a
difendere e talvolta anche rivendicare pratiche e norme di cui sono
considerate “vittime”. Sono numerosi i casi in cui non solo l'appartenenza
culturale e religiosa è rivendicata come un diritto, ma in cui anche le
istituzioni che appaiono discriminatorie e oppressive vengono difese dalle
donne che vi sono coinvolte, assunte come elementi costitutivi della loro
identità da contrapporre a ciò che viene vissuto come imperialismo
culturale, e non solo, dell'Occidente. Sono noti i casi delle donne
musulmane che considerano la poligamia come un loro diritto, fino ad
arrivare a quelli in cui anche pratiche come le mutilazioni genitali sono
vissute e pubblicamente difese come espressione di identità culturale.
Guardando alla storia dei diritti delle donne un fondamentale traguardo è
stata la loro costituzione come soggetti autonomi a piena capacità
3
J.S.Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano 1999, pp.12-13)
decisionale sul proprio corpo, sulla propria vita, sui propri beni e la loro
sottrazione a soggetti che volevano dire quale fosse il loro bene: padri,
mariti, legislatori. Fa tuttavia parte del patrimonio femminista anche la
consapevolezza che le scelte individuali, anche quando espresse senza
apparente coercizione, ma maturate in condizioni radicate di oppressione
non sono e non possono essere considerate scelte veramente libere. Si parla
in questi casi di preferenze adattive, di situazioni cioè in cui la volontà
individuale è espressione di una libertà solo apparente. In altri termini di
scelte individuali che non esprimono il reale interesse dei soggetti e che non
possono costituire un limite ( e una giustificazione) rispetto alla difesa
pubblica dei loro diritti fondamentali.
Un altro tema fondamentale della teoria politica femminista riguarda la
consolidata distinzione tra sfera pubblica maschile e sfera privata femminile
e l'identificazione di quest'ultima in prima istanza con la famiglia, con il
lavoro domestico e di cura. Grazie a questa divisione dei campi la famiglia
si è costituita come una giurisdizione autonoma, lasciata alle consuetudini,
alla religione e agli equilibri interni di potere, equilibri che certamente non
hanno favorito l'eguaglianza tra i coniugi e la libertà femminile. La famiglia
pur costituendo il nucleo primario di aggregazione e di convivenza, di
formulazione e imposizione di norme, di organizzazione del potere, di
educazione morale e politica della persona sia stata generalmente esclusa
dalla riflessione sulla giustizia e dall’intervento dello Stato, una zona di
non ingerenza che si è tradotta e si traduce in assenza di tutela per le parti
più deboli.
Questi aspetti ancora importanti per le donne di culture secolarizzate, lo
sono ancora di più per quelle donne nel mondo per le quali i rapporti
familiari e comunitari sono direttamente vincolati a norme religiose e
consuetudinarie, rispetto alle quali l'intervento dello Stato ha una
scarsissima legittimazione. Per le donne appartenenti a comunità e culture
per le quali rivolgersi alle istituzioni pubbliche, alla protezione del diritto
contro le norme tradizionali è considerata una forma di devianza, di rottura
con la famiglia, di autoesclusione dal gruppo.
La contrapposizione tra multiculturalismo e femminismo che è emersa sia
nel dibattito teorico, sia nell’attualità delle società multietniche, si fonda
sulla denuncia di quelle politiche pubbliche e teorie che in nome
dell'autonomia dei gruppi, di diritti collettivi e culturali, si traducono nel
sostegno di istituzioni, o anche soltanto nella non ingerenza in ambiti privati
retti da norme comunitarie, in cui si verificano forme di discriminazione,
oppressione, segregazione femminile.
In questo quadro emerge con immediatezza una seconda valenza della
libertà femminile che guarda alle minacce che provengono dalla famiglia,
dalla comunità, dalla religione, dunque da quei poteri che più da vicino
intervengono e determinano le vite di molte donne. Questo punto di vista
vede l’intervento pubblico, anche nella forma di imposizione o di divieto
coercitivo contro la loro volontà, giustificato dallo stesso interesse delle
donne, come un aiuto esterno a sottrarsi a imposizioni familiari, comunitarie
e religiose. All'interno della famiglia lo Stato il dovere di intervenire a tutela
dei soggetti più deboli, cioè le donne e i minori.
Nel contesto dell’immigrazione, i tradizionali diritti di libertà, intesi come
spazi di autonomia e tutela nei confronti dei poteri pubblici, assumono
rilievo soprattutto in condizioni di irregolarità, nel momento dell'ingresso,
nell'ambito di politiche penali, o nella dimensione lavorativa, come libertà
economiche. A ciò si aggiunge la libertà religiosa, che però riguarda più le
componenti collettive e organizzate che non le persone e nel contesto
sociale attuale mette in discussione l'intervento attivo dello Stato più che la
mera astensione da interferenze. Ma se si pensa ai classici diritti di libertà
come libertà di pensiero, di comunicazione, di circolazione, di proprietà, di
scelta della propria occupazione, di associazione, più in generale di
progettare la propria vita appare evidente che, almeno per le donne, sono i
vincoli familiari e comunitari che determinano i limiti più immediati. La
constatazione che la maggior parte delle violenze e discriminazioni
femminili si verificano in ambito familiare e comunitario ha portato a
sostenere la necessità di riformulare le categorie dei diritti fondamentali in
modo da fornire strumenti di tutela delle donne anche nei confronti dei
gruppi di appartenenza.
Prendiamo ad esempio il noto caso dello chador. Il divieto di indossarlo a
scuola o negli uffici pubblici dal punto di vista delle donne interessate può
essere visto alternativamente come un aiuto esterno a sottrarsi alla pressione
familiare o comunitaria e dunque come un sostegno alla propria libertà o
invece come un'imposizione in contrasto con la propria religione e identità,
e dunque come un limite ingiustificato alla propria libertà. Nel primo caso i
diritti di libertà sono rivendicati nei confronti della comunità, della famiglia,
nel secondo dello Stato.
Questo duplice modo di considerare la libertà individuale porta in primo
piano il caso singolo, suggerisce di guardare alle circostanze, di cercare dei
percorsi che accertino volta per volta gli interessi e le volontà delle persone
coinvolte, di evitare le contrapposizioni tra visioni del mondo o tra etiche
religiose e l’applicazione dall’alto di principi e norme senza considerarne le
conseguenze.
Dal punto di vista del soggetto vi è un aspetto importante da prendere in
considerazione: spesso una donna, anche una donna occidentale che abbia
alternative concrete di vita, sa che la sua scelta è condizionata da situazioni
di disparità con gli uomini, sa che deriva e forse perpetuerà forme di
discriminazione, ma la adotta comunque perché nella situazione in cui è le
appare la migliore. Si tratta di una scelta libera o no? Qual è la soglia di
condizionamento sotto la quale la sua scelta può dirsi libera? Non si può
trascurare che una scelta di allontanamento nei confronti della famiglia,
della comunità ha sempre un costo, per sé o per altre persone a cui si è
legati. Le preferenze adattive riflettono almeno in parte interessi reali, scelte
razionali e negarlo può costituire un ulteriore danno per le persone.
L’obiettivo è piuttosto quello di modificare il contesto di scelta, di garantire
tutele e strumenti per l'esercizio di scelte il più possibile libere.
Se il problema non è solo quello di dichiarare le libertà individuali, ma
soprattutto quello di garantirle, e se esse impegnano alla protezione della
persona non solo dai poteri pubblici, ma anche dai poteri privati, allora il
ruolo delle politiche sociali appare immediatamente amplificato. L'accesso
ai diritti sociali dei migranti e dei loro discendenti, la cui funzione è
essenziale in termini di integrazione socio-economica di status di
cittadinanza, anche semplicemente di equità distributiva, deve essere
sottolineato anche in termini di promozione della libertà individuale.
Attraverso l'istruzione, l'assistenza medica e sociale, la formazione
professionale, l'accesso al lavoro, all'abitazione ecc., si fornisce un
insostituibile sostegno all'autodeterminazione, alla possibilità della persona
di fare scelte meno dipendenti rispetto alla famiglia e alla comunità di
appartenenza.
Per poter essere effettivi, oltre che giusti in termini di eguaglianza di
trattamento, i diritti sociali non possono però più essere pensati e costruiti
come neutrali, né dal punto di vista di genere, né dal punto di vista delle
culture. Praticamente tutti gli ambiti delle politiche sociali sono più o meno
toccati da queste due fondamentali variabili, che costituiscono criteri
fondamentali nell'identificazione dei bisogni dei soggetti. Come emerge in
varie ricerche, in tutto il mondo le donne sono ancora ampiamente
discriminate sia nell'accesso ai diritti sociali, sia nelle modalità di esercizio.
Mentre i bisogni e le forme di accesso ai servizi sono diversi tra uomini e
donne, le politiche sono spesso indifferenziate e costruite a partire da
bisogni e valori tipicamente maschili.
Dal punto di vista dell’appartenenza culturale e religiosa le difficoltà di
pensare diritti universali incidono fortemente nell'ambito dei diritti sociali
non solo perché in essi si riflette una visione dei rapporti tra Stato e cittadini
strettamente legata alla storia europea, ma soprattutto perché la loro
definizione si confronta con differenti concezioni della famiglia, del lavoro,
del ruolo della donna nella società, dei rapporti tra individuo e gruppo, tra
Stato e religione, ecc. Le stesse nozioni di salute e integrità fisica – che
costituiscono il fondamento di diritti umani considerati indisponibili- sono
culturalmente variabili. Allo stesso diritto possono corrispondere visioni
molto differenti del valore da tutelare e delle misure con cui farlo.
Prendiamo come esempio il diritto all'unità familiare, su quale idea di
famiglia si fonda? I problemi sorgono soprattutto in riferimento al
matrimonio poligamico islamico, incompatibile con il principio
d'eguaglianza tra coniugi e vietato da molte legislazioni nazionali. Ma se il
ricongiungimento e i diritti sociali che ne derivano (assegni familiari,
assistenza medica, alloggio ecc) sono riconosciuti solo alla prima moglie, da
ciò deriva una discriminazione nei confronti delle altre mogli, anche solo
per la ragione di non poter raggiungere e vivere con il proprio marito ( e
magari con i propri figli), che aveva legittimamente sposato nel proprio
paese. Vari ordinamenti europei prevedono forme di inclusione delle
diverse mogli attraverso norme spesso ispirate al riconoscimento di effetti
giuridici alla famiglia di fatto, ma si tratta comunque di soluzioni parziali e
instabili.
L'applicazione differenziata dei diritti sociali - che si deve comunque
muovere all'interno dei principi e delle norme di ordine pubblico degli
ordinamenti nazionali - si fonda sul principio d'eguaglianza giuridica inteso
in senso aperto alle differenze, per il quale situazioni diverse non devono
essere trattate nello stesso modo. L'eguaglianza si pone in questa prospettiva
come un obiettivo che si realizza tenendo conto delle differenze di gruppo
assunte come rilevanti (naturalmente formulando dei criteri per definire
quelle che vanno considerate rilevanti). Non si tratta dunque di porre in
essere trattamenti di favore, che andrebbero sotto l'etichetta della azioni
positive, o speciali diritti culturali, ma interventi che si fondano su una
visione pluralista della società dove non esiste un modello di valori e
pratiche privilegiato e considerato come “normale” in riferimento al quale
gli altri sono considerati eccezionali o speciali.
Per realizzare l'eguaglianza nei diritti, come ha ampiamente mostrato la
storia dei diritti delle donne, non è affatto sufficiente riconoscerne a tutti la
titolarità. Diritti che si traducono nelle stesse misure per tutti producono
facilmente effetti di discriminazione e assimilazione. In concreto si tratta di
pensare le politiche sociali attraverso misure differenziate in relazione a
caratteristiche dei destinatari. L'applicazione dei diritti sociali comprende
questioni all'ordine del giorno in tutte società multiculturali europei le più
comuni sono le richieste nell'ambito delle istituzioni pubbliche e private e
dei luoghi di lavoro di seguire le norme rituali (orari, alimentazione,
festività) della propria religione, altre sono più complesse e vanno, a titolo
d'esempio, dal ripensamento della medicina in chiave transculturale e alla
formazione specifica di operatori in campo medico e sociale, alla scelta di
programmi scolastici, di educazione religiosa, alla predisposizione di aree
urbane e alloggi compatibili con stili di vita dei loro abitanti. Notoriamente
esistono vari interventi finalizzati a rispondere a queste nuove esigenze del
pluralismo culturale, ma raramente il legame tra diritti sociali e diversità
culturale è dichiarato e adottato sul piano legislativo e programmatico.
Il presupposto di una rivisitazione dei diritti di libertà e dei diritti sociali è
una ridiscussione pubblica dei loro contenuti attraverso il confronto tra
differenti valori, bisogni, culture. All’interno delle società nazionali ciò
porta l’accento sulle forme di partecipazione politica. La partecipazione dei
destinatari nella elaborazione delle norme che li riguardano è in primo
luogo un principio fondamentale della tradizione democratica, ma si traduce
anche in una condizione di efficienza, essenziale per garantire
un'applicazione dei diritti compatibile sia con le appartenenze culturali e
religiose, sia con le specifiche condizioni lavorative, economiche, familiari,
dunque per la corrispondenza tra bisogni e servizi. Nel caso delle donne poi
la predisposizione di forme di coinvolgimento pubblico e di consultazione è
particolarmente significativa come strumento di tutela della loro autonomia
e dei loro interessi nei confronti delle comunità di appartenenza, di
frequente dominate e rappresentate pubblicamente dalla componente
maschile. Al di là della partecipazione al voto amministrativo degli stranieri
residenti, questione con complesse valenze politiche, sono possibili e
auspicabili altre forme di consultazione meno formalizzate e più dirette.
Diritti di libertà, diritti sociali e diritti politici, intesi in senso ampio, si
presentano come strettamente connessi. Un approccio fondato
sull'integrazione tra vari diritti conduce a fare attenzione ad evitare che la
repressione di pratiche comunitarie, conduca direttamente o indirettamente,
ad un’esclusione di fatto da diritti sociali fondamentali come il diritto
all’istruzione o quello alle cure sanitarie; a prestare attenzione affinché
nell’ambito di servizi o istituzioni, pubblici o privati, come le scuole o gli
ospedali, non si verifichino violazioni delle libertà individuali. Più in
generale può aiutare a visualizzare le influenze negative o positive di ogni
misura nella ricerca di una massimizzazione complessiva dell'accesso ai
diritti dalla parte di persone sulle quali si sommano le conseguenze negative
di differenze e disuguaglianze, come capita spesso alle donne.
La presenza delle donne immigrate: alcune chiavi di lettura
A cura di Gender4
Per meglio definire alcune caratteristiche della popolazione femminile
straniera in Lombardia5, viene qui di seguito presentata una serie di
indicatori che aiutano a comprendere la dimensione del fenomeno e a
delinearne alcune delle principali caratteristiche: chi sono queste donne,
quali le loro origini, quale ruolo giocano nel mercato del lavoro locale.
Inevitabilmente il dato quantitativo risulta inefficace e asettico quando si
vuole capire come sia la vita di questa fetta ormai consistente della
popolazione, quali i vissuti, le problematiche e le potenzialità.
Tuttavia “uno sguardo ai numeri” serve sicuramente a rafforzare la
convinzione che sia necessario ormai utilizzare una lente differente e nuovi
strumenti nel momento in cui si voglia trattare in modo serio ed efficace il
fenomeno migratorio.
Perché l’immigrazione femminile si rivela essere caratterizzata da una
complessità, versatilità e molteplicità di situazioni e strategie di inserimento
che richiedono una maggiore sensibilizzazione e sostegno nei confronti
delle sue protagoniste, nonchè analisi e riflessioni mirate anche agli effetti
sull’intera società di accoglienza e sulle seconde generazioni.
4
Gender s.c.r.l., di consulenza, formazione e ricerca
I dati disaggregati per genere sono disponibili perlopiù a livello regionale, e dunque si è scelto
di utilizzare la Lombardia come ambito territoriale di riferimento per una lettura più omogenea
dei dati che verranno qui illustrati, fatta eccezione per quelli demografici.
5
Quante sono
Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2007 per anno d'ingresso –
Lombardia – quote % per genere
70
60
50
40
30
20
10
donne
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
Fino al 1996
0
uomini
Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell'Interno
Osservando la dinamica dell’ immigrazione regolare dagli anni precedenti
al 1996 al 2006 - attraverso i dati del Ministero dell’Interno - si rileva che si
è passati dal 38% al 59,2% della presenza femminile sul totale degli
immigrati. La forbice tra i generi si presenta ora completamente ribaltata
rispetto agli anni che precedono il 1997, evidenziando il fenomeno della
decisa “femminilizzazione” dei flussi migratori.
In valori assoluti si parla di 155.808 donne straniere residenti nella sola
provincia di Milano alla data del 1 gennaio 20076, ovvero quasi l’8% del
6
Fonte: Istat
totale provinciale femminile, (rappresentavano il 4,4% nel 2003) e di
346.133 nell’intero territorio regionale.
Dunque si deve parlare non solo di una netta “femminilizzazione dei flussi
migratori ma anche di un loro esponenziale incremento.
Che età hanno
Donne straniere residenti in provincia di Milano per classe di età –
1/1/2007
6
ov er 55
12,5
45-54
35-44
24,9
27,4
25-34
10,4
15-24
0-14
18,8
0
5
10
15
20
25
30
Fonte: Ns. elaborazione su dati Istat - Ministero dell'Interno
Oltre la metà delle donne stranieri residenti in provincia di Milano ha un’età
compresa tra i 25 e i 44 anni. Questo indicatore non è da sottovalutare per le
implicazioni che, rispetto all’atteggiamento, alle aspettative, al progetto di
vita, questa ampia fetta della componente femminile porta con sé. E’ infatti
plausibile immaginare che per la gran parte di esse si tratti di una scelta che
va oltre il puro utilitarismo economico, una scelta più radicale di
insediamento a lungo termine. Sono donne che esprimono bisogni concreti
di integrazione, di creare/ricreare qui un ambiente e un nucleo familiare, di
avere un’autonomia abitativa che permetta loro di ricongiungere la famiglia
o di costituirne una.
Da dove vengono
Per quanto riguarda gli anni più recenti, la presenza regolare di donne
immigrate non solo ha mantenuto la prevalenza rispetto alla corrispondente
quota maschile, ma ha registrato, un aumento progressivo delle
provenienze dai Paesi dell’Europa dell’Est.
Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2007 per grandi aree di provenienza
– Lombardia –
12
10
8
6
4
2
0
2005
2006 (primo
semestre)
Est Europa
Asia
Altri Africa
Am. Latina
Nord Africa
Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell'Interno
Di che religione sono
La tabella seguente evidenzia come, rispetto all’appartenenza religiosa,
sebbene prevalga quella cattolica, le quote di donne musulmane o afferenti
ad altre confessioni non sia affatto trascurabile e porti con sé una serie di
implicazioni rispetto al grado di integrazione/interazione con i costumi e le
usanze nazionali.
Appartenenza religiosa – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006
Nessuna
5,3
Altro
1,9
Sikh
1,3
Induista
1,7
Buddista
2,9
Altra Cristiana
5
Ortodossa
17,6
37,2
Cattolica
Musulmana
27
0
10
20
30
40
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità
Perché vengono in Italia
Permessi di soggiorno per motivo della presenza – Lombardia - 1/1/2007
Altro
Umanitari
Richiesta asilo
Asilo
Studio
Residenza
Religione
Famiglia
Lavoro
0
10
20
30
40
50
60
Fonte: elaborazione Istat su dati - Ministero dell'Interno
Analizzando le motivazioni desunte dai permessi di soggiorno rilasciati in
Lombardia, le due principali motivazioni sono, da un lato, nell’ordine, il
ricongiungimento con il marito o in generale con altri componenti del
nucleo familiare, dall’altro, la volontà di esercitare un’attività lavorativa. In
questo caso si tratta frequentemente di donne che per prime, all’interno
della loro famiglia, lasciano il loro paese di origine per cercare lavoro.
Qual è il loro stato civile?
Stato civile – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006
Divorziata
/Separata
9,1%
Vedova
3,0%
Nubile
30,0%
Coniugat
a
57,9%
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
I figli
Numero di figli totale – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006
40
35
30
25
20
15
10
5
0
0
1
2
3
4+
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
Numero di figli in Italia – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006
70
60
50
40
30
20
10
0
0
1
2
3
4+
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
L’elemento più rilevante nelle due tavole precedenti emerge dal loro
confronto, ovvero dalla differenza tra il numero dei figli che le donne
immigrate hanno e quello dei figli che queste stesse hanno con sé in Italia.
Molto elevata appare la quota di quante lasciano i propri figli nel paese di
origine, forse con l’idea di tornare presto, sicuramente con quella di mandar
loro i soldi per farli studiare, spesso con quella di poterli “far arrivare” qui.
Nel frattempo continuano a occuparsi di bambini, le cui madri, in questo
modo, riescono a lavorare, innescando un circolo virtuoso/vizioso senza
precedenti.
Dove vivono
Tipo di alloggio – Donne immigrate in Lombardia –
anno 2006
Casa di proprietà (solo o con parenti)
20,9
Casa in affitto (solo o con parenti) CON CONTRATTO
48,4
Casa in affitto (solo o con parenti) SENZA CONTRATTO
3,4
Sul luogo di lavoro
10,6
Casa in affitto (solo o con parenti) NON SA
1,5
Da parenti, amici, conoscenti (ospite non pagante)
4,7
Casa in affitto con altri immigrati CON CONTRATTO
4,9
Casa in affitto con altri immigrati SENZA CONTRATTO
1,7
Casa in affitto con altri immigrati NON SA
0,6
Albergo o pensione a pagamento
0,2
Struttura d'accoglienza
0,7
Occupazione abusiva
0,1
Concessione gratuita
1,5
Baracche o luoghi di fortuna
0,2
Sistemazione precaria (Senza fissa dimora/dove capita)
0,2
Altro
0,4
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
Che titolo di studio hanno
Titolo di studio raggiunto – Donne immigrate in Lombardia –
anno 2006
Laurea/diploma
universitario
Scuola
secondaria
superiore
Scuola
dell'obbligo
17,8
44,7
28,8
Nessun titolo
formale
8,7
0
10
20
30
40
50
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
Titolo di studio raggiunto per grandi aree di provenienza –
Donne immigrate in Lombardia –
anno 2006
Est
Nord
Altri
Am.
Europa
Africa
Africa
Latina
Asia
Nessun titolo
5,3
9,0
14,9
14,3
6,7
formale
Scuola dell'obbligo
25,4
31,6
30,3
42,3
23,8
Scuola secondaria
39,2
41,0
35,0
48,0
52,6
superiore
Laurea/ diploma
13,7
8,4
16,9
21,3
20,2
universitario
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità
Le donne immigrate sono donne istruite: oltre la metà di quelle residenti in
Lombardia ha un titolo di scuola superiore, spesso proviene da professioni
qualificate e si è trovata a svolgere un lavoro assai inferiore alle proprie
capacità come porta d’ingresso al soggiorno in Italia, per rispondere a
pressanti esigenze di mantenimento, proprio e dei familiari, per problemi di
lingua.
E’ un circuito dal quale possono uscire ma nel quale rischiano anche di
rimanere intrappolate: spesso il lavoro di assistenza non permette la
formazione, manca il riconoscimento delle credenziali educative, gli
stereotipi che penalizzano la donna nel mercato del lavoro colpiscono anche
loro.
Che lavoro fanno
Tra il 2006 e il 2007, in provincia di Milano, sono state avviate al lavoro
63.675 donne straniere (25.558 nel 2006 e 38.117 nel 2007).
Risulta assai evidente, da una lettura delle tabelle che seguono, come
l’inserimento lavorativo delle donne immigrate resti ancora in buona parte
legato fondamentalmente alla richiesta del mercato del lavoro italiano di
servizi domestici e di servizi alle persone. Tuttavia si evidenzia anche una
quota di “professioniste intellettuali” che, insieme a quella delle
imprenditrici, appare come un segnale della presenza di una mobilità di
quante hanno potuto gradualmente lasciare i lavori di assistenza per
dedicarsi all’esercizio di professioni che valorizzassero le loro qualifiche.
Lavoratrici avviate al lavoro per cittadinanza7 Provincia di Milano –
anno 2006/2007
2307
1819
Ucraina
Romania
7657
2505
2679
Perù
3410
1105
1275
Marocco
2166
Filippine
Equador
1177
1694
1264
1655
Rep.Pop.Cinese
Albania
0
5
2699
2829
3530
10
2006
15
20
25
2007
Fonte: Provincia di Milano – Osservatorio Mercato del lavoro
7
Sono state riportate solo le prime otto etnie
Tipo di lavoro svolto – Donne immigrate in Lombardia –
anno 2006
Operai generici nell'industria
5,7
Operai generici nel terziario
2,6
Operai specializzati
0,7
Operai edili
0,1
Operai agricoli e assimilati
0,7
Addetti alle pulizie
7,1
Impiegati esecutivi e di concetto
3,8
Addetti alle vendite e servizi
4,3
Addetti alle attività commerciali
1,0
Addetti alla ristorazione/alberghi
13,7
Mestieri artigianali
2,7
Addetti ai trasporti
0,4
Domestici fissi
7,6
Domestici ad ore
18,9
Assistenti domiciliari
13,6
Baby sitter
4,7
Assistenti in campo sociale
3,0
Medici e paramedici
1,9
Intellettuali
6,0
Prostituzione
0,3
Altro
1,0
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità
Tipo di lavoro svolto per grandi aree di provenienza Donne immigrate in
Lombardia – anno 2006
Est
Europa
Asia
Nord
Africa
Altri
Africa
Operai generici
nell'industria
6,0
5,4
8,0
13,6
Operai generici nel
terziario
2,0
1,4
6,5
6,2
Operai specializzati
0,8
0,0
0,0
2,5
Operai edili
0,1
0,0
0,4
0,0
Operai agricoli e assimilati
0,3
2,0
0,0
1,7
Addetti alle pulizie
5,7
3,4
8,7
10,7
Impiegati esecutivi e di
concetto
3,6
4,4
1,5
3,7
Addetti alle vendite e
servizi
4,6
2,8
5,3
3,7
Addetti alle attività
commerciali
0,6
1,8
1,5
1,2
Addetti alla
ristorazione/alberghi
13,7
14,9
15,3
17,9
Mestieri artigianali
0,6
1,1
2,1
8,2
Addetti ai trasporti
0,2
0,8
0,0
1,2
Domestici fissi
8,5
2,7
7,4
9,1
Domestici ad ore
20,9
15,3
14,4
21,5
Assistenti domiciliari
7,6
4,2
3,3
22,7
Baby sitter
3,7
6,2
4,9
2,9
Assistenti in campo
sociale
2,0
1,6
2,7
2,5
Medici e paramedici
2,5
1,0
1,9
0,8
Intellettuali
6,3
7,0
3,3
10,3
Prostituzione
0,2
0,0
0,8
2,1
Altro
1,5
1,2
0,8
0,4
Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità
Am.
Latina
1,5
1,3
0,7
0,0
0,2
9,8
4,6
4,8
0,7
10,1
2,2
0,2
7,1
24,0
13,7
5,8
6,1
2,5
4,1
0,0
0,7
L’imprenditoria
….Secondo un'indagine della Camera di Commercio, nel capoluogo
lombardo ci sono 3.625 donne imprenditrici provenienti da tutto il mondo: il
26,3% è cinese
….Dietro le iperattive esponenti della comunità cinese, nel tessuto
economico milanese si distinguono le capitane d'azienda provenienti da
Perù (221 imprenditrici su 5.824 residenti, il 3,8% del totale), Egitto (121 su
4.084 residenti, 3%) e Romania (118 su 1.198, il 9,8% del totale).
Commercio e affini –
Il settore più gettonato è il commercio (1219 imprenditrici, 37,3% del totale
presente a Milano) seguito da attività manifatturiere (597 imprenditrici,
18,3%); attività di servizio nei settori immobiliari, noleggio, informatica e
ricerca (571 imprenditrici, 17,5%); trasporti, magazzinaggio e e
comunicazioni (275 imprenditrici, 8,4%); altri servizi pubblici, sociali e
personali
(268
imprenditrici,
8,2%).
…La Camera di commercio ha sottolineato che le 3.265 straniere di Milano
rilevate dalla ricerca rappresentano il 10,4% di tutte le donne- imprenditrici
della città (31.524 tra italiane e straniere) e il 7% delle colleghe straniere
attive sul territorio nazionale.
…. E’ interessante evidenziare i dati Istat riferiti ai permessi di soggiorno
per turismo: al 1° gennaio 2004, a fronte di 2.610 immigrati maschi, vi
erano 7.130 immigrate.
Proprio recentemente, infatti, si sta registrando un nuovo tipo di migrazione
femminile, che vede alcune donne lasciare il proprio paese ed arrivare in
Italia con un visto turistico, lavorare per tre mesi e poi rientrare…
Le seconde generazioni
Alunni con cittadinanza non italiana in Lombardia per Stato di
cittadinanza.
Anno scolastico 2006/07
Valori assoluti
Maschi
Femmine
Totale
MAROCCO
8.983
7.444
16.427
ALBANIA
8.301
7.427
15.728
ROMANIA
5.427
5.310
10.737
ECUADOR
3.458
3.334
6.792
PERU'
2.967
2.663
5.630
FILIPPINE
2.836
2.656
5.492
CINA
2.842
2.490
5.332
INDIA
3.099
2.140
5.239
EGITTO
2.590
1.943
4.533
PAKISTAN
1.864
1.137
3.001
TUNISIA
1.604
1.278
2.882
JUGOSLAVIA
1.410
1.269
2.679
BRASILE
1.127
1.063
2.190
UCRAINA
1.039
1.107
2.146
GHANA
1.028
1.041
2.069
SENEGAL
986
806
1.792
SRI LANKA
849
775
1.624
BOLIVIA
736
719
1.455
BANGLADESH
830
597
1.427
MOLDAVIA
609
697
1.306
Altre
52.585
45.896
98.481
TOTALE
64.638
56.882
121.520
Fonte: Elaborazioni ISMU su dati MIUR e USRL
Stato di cittadinanza
Gravidanza, parto e aborto
Gravidanza, parto e aborto
Anno 2004
n°
gravidanze
Europa Est
Africa Nord
Africa Occid.
Corno Africa
Altro Africa
Am Latina
Medio Oriente
Sud Est Asiatico
Estremo Oriente
Asia Altro
Europa Ovest (Italia)
Am Nord
Oceania
Ex URSS
Apolidi
ND
parto
con TC
parto
vaginale
gravidanza
ectopica
minaccia
aborto
Aborto
6864
758
2982
62
278
3062
4756
840
2626
29
234
1261
2304
381
740
37
115
1146
235
39
52
3
6
141
308
53
89
5
17
161
6050
726
1651
74
149
3599
304
39
182
1
13
82
1631
297
672
10
31
652
97
14
56
1
2
26
3182
449
1644
29
83
1060
106522
21399
55652
1071
4087
28400
80
21
40
1
1
18
28
2
17
0
0
9
1713
88
457
49
40
1119
5
0
2
0
1
3
615
60
169
4
9
382
Fonte: Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità
Appendice
2008. Anno Europeo del Dialogo Interculturale
L’anno europeo del dialogo interculturale è stato ufficialmente inaugurato
l'8 gennaio scorso a Lubiana dal presidente della Commissione europea,
José Manuel Barroso, dal primo ministro sloveno (Presidente di turno),
Janez Janša, e dal presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Pöttering.
La data segna l’inizio di una vasta gamma di iniziative e manifestazioni,
organizzate in tutti i 27 Stati nel corso dell'anno, nonché campagne
d'informazione e di sensibilizzazione, per valorizzare l’interazione
interculturale “con specifico riferimento ad azioni relative all'educazione
civica ed alla percezione dell'altro nella sua differenza”.
Alla vigilia del varo della campagna, Ján Figel’- commissario europeo
responsabile dell'istruzione, della formazione, della cultura e della gioventù
- ha dichiarato che: “È evidente che l'Europa si trova ad affrontare sfide
notevoli che hanno origine nelle relazioni interculturali. L'Anno europeo
2008 ci offre una preziosa opportunità di individuare le modalità per
migliorare il dialogo e le relazioni interculturali. A prima vista il compito
può sembrare estremamente difficile, ma 50 anni fa l'idea di riunire sotto
l'egida dell'Unione europea tutte le varie popolazioni del nostro continente
sembrava anch'essa impossibile da realizzare. Oggi possiamo vedere i
risultati ottenuti dall'Unione europea e il suo notevole successo nell'unire
vari paesi europei. Possiamo e dobbiamo, pertanto, affrontare le sfide della
diversità culturale e religiosa del nostro continente. Per questo motivo
abbiamo scelto lo slogan "Insieme nella diversità" per l'Anno europeo”.
Gli obiettivi dell'Anno europeo del Dialogo interculturale indicati
nell’articolo 2 della decisione n. 1983/2006/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio emanata il 18 dicembre 2006 si propongono di:
•
promuovere il dialogo interculturale come processo in cui quanti
vivono nell'UE possono migliorare la loro capacità di adattarsi ad
un ambiente culturale più aperto ma anche più complesso in cui,
nei diversi Stati membri e anche all'interno di ciascuno di essi,
coesistono identità culturali e credenze diverse;
•
mettere in evidenza il dialogo interculturale come opportunità di
contribuire a una società pluralistica e dinamica, in Europa e nel
mondo intero, e da essa trarre profitto;
•
sensibilizzare quanti vivono nell'UE, in particolare i giovani,
all'importanza di sviluppare una cittadinanza europea attiva e
aperta sul mondo, rispettosa della diversità culturale e fondata sui
valori comuni dell'UE definiti nell'articolo 6 del trattato UE e nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
•
porre in risalto il contributo delle varie culture ed espressioni della
diversità culturale al patrimonio e ai modi di vita degli Stati
membri.
Per la realizzazione di questi obiettivi le azioni che il Parlamento Europeo,
in collaborazione con gli Stati membri e i relativi organismi nazionali di
coordinamento che intervengo a livello regionale e locale, intende
promuovere sono:
•
manifestazioni e iniziative di portata europea che mirano a
promuovere il dialogo interculturale, coinvolgendo direttamente o
raggiungendo in altro modo il maggior numero possibile di
persone, e mettono in rilievo le realizzazioni e le esperienze sul
tema dell'anno europeo del dialogo interculturale;
•
manifestazioni ed iniziative a livello nazionale e regionale con
una forte dimensione europea dirette a promuovere gli obiettivi
dell'anno europeo del dialogo interculturale, coinvolgendo
direttamente o raggiungendo in altro modo il maggior numero
possibile di persone con specifico riferimento ad azioni relative
all'educazione civica e alla percezione dell'altro nella sua
differenza;
•
campagne d'informazione e di promozione, in particolare in
cooperazione con organi d'informazione e organizzazioni della
società civile a livello comunitario e nazionale per diffondere i
messaggi chiave relativi agli obiettivi dell'anno europeo del
dialogo interculturale e al riconoscimento delle migliori prassi,
soprattutto tra i giovani e i bambini;
•
indagini e studi su scala comunitaria o nazionale e consultazioni
con reti transnazionali e con le parti interessate della società civile
al fine di valutare e documentare la preparazione, l'efficacia e
l'impatto dell'anno europeo del dialogo interculturale per gettare le
basi dei suoi sviluppi a lungo
Queste attività beneficiano di un finanziamento di 10 milioni di euro a
sostegno anche di sette progetti europei di eccellenza e di 27 progetti
nazionali, uno per ciascuno Stato membro.
Alla presentazione dell’Anno europeo del Dialogo interculturale 2008 è
stato inaugurato il sito www.dialogue2008.eu che intende offrire uno spazio
comune per il dialogo interculturale. Comprende una sezione partner
destinata a stimolare la creazione di reti e lo scambio di buone prassi a
livello Unione Europea.
Normativa
Normativa Italiana
Costituzione della Repubblica Italiana 1 gennaio 1948
Articolo 3 “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti
alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di opinione politiche, di
condizioni personali o sociali”
Legge 19 febbraio 2007, n. 19
Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione
delle diversità delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005.
Legge 24 febbraio 2006 n. 85
“Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003
Costituzione e organizzazione interna dell'Ufficio per la promozione della
parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all'art. 29
della legge comunitaria 1° marzo 2002, n. 39
Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia
di occupazione e di condizioni di lavoro
Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215
Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le
persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica
Legge 6 marzo 1998, n. 40
Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero
Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n. 286 (artt. 42-46)
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero
Legge 25 giugno 1993, n. 205
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 1993,
n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica
e religiosa.
Normativa Comunitaria
Decisione 2000/750/CE
Decisione del Consiglio del 27 novembre 2000, che istituisce un
programma d'azione comunitario per combattere le discriminazioni (20012006)
Direttiva 2000/78/CE
Direttiva del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la
parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro
Direttiva 2000/43/CE
Direttiva del 29 giugno 2000 per la parità di trattamento tra le persone
indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica
Bibliografia
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Tursi A., Lavoro e immigrazione, Giappichelli, Torino, 2005.
Zincone G. (a cura di), Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in
Italia, Il Mulino, Bologna 2000.
Le Politiche di genere: progetti e servizi della Provincia di
Milano
La Provincia di Milano, con la delega alle Politiche di genere, promuove e
sviluppa “reti”, progetti, iniziative e servizi per garantire l’effettiva pari
opportunità tra donna e uomo in tutti gli ambiti della vita.
Progetti
Donne e territorio
Promozione, sviluppo e coordinamento della Rete delle amministratrici e
delle elette dei comuni provinciali, finalizzata alla promozione di una nuova
cultura di genere, allo scambio di esperienze, alla definizione di strumenti e
all'elaborazione di un piano comune di azioni.
L'obiettivo è rafforzare le competenze delle donne attivamente impegnate in
politica, definire proposte concrete da veicolare all'interno dei consigli
comunali e delle organizzazioni competenti, promuovere iniziative di
sensibilizzazione nei confronti dei cittadini.
Gender budgeting
Diffusione dello strumento decisionale che permette una lettura del proprio
territorio in termini di genere e di valutare le conseguenze delle scelte
operate rispetto a donne e uomini. Il gender budgeting è stato sperimentato
in 6 Comuni della provincia di Milano, in collaborazione con la Consigliera
provinciale di Parità, attraverso attività di formazione per il trasferimento
delle competenze tecniche necessarie e la realizzazione di un Manuale disponibile su web - contenente le linee guida per la riclassificazione del
bilancio in chiave di genere.
Contro la violenza alle donne
Lotta al maltrattamento intrafamiliare, la violenza sessuale e la prostituzione
attraverso il sostegno e la partecipazione attiva alle reti territoriali dei centri
antiviolenza, la raccolta e il monitoraggio dei dati sul fenomeno, la
sensibilizzazione e la diffusione di materiale divulgativo per la cittadinanza,
l’organizzazione di seminari e convegni per la formazione di insegnanti,
operatori professionali e non, la produzione di materiale didattico per la
prevenzione nelle scuole e nei centri di aggregazione giovanile.
Comuni in rete
Condivisione delle buone prassi con i Comuni del territorio provinciale per
avviare politiche di genere trasversali e ottimizzare le risorse a disposizione.
L'obiettivo è quello di diffondere la cultura di genere, sostenendo l'apertura
e il consolidamento di servizi rivolti alle donne e promuovendo iniziative
rivolte alla cittadinanza, agli operatori e operatrici, agli amministratori e alle
donne impegnate in politica.
Banche del tempo
Promozione e sostegno del Coordinamento delle Banche del Tempo di
Milano e provincia che, con le loro iniziative di scambio, di solidarietà e di
reciprocità, rappresentano un importante momento di sviluppo e coesione
sociale, un’ampia rete di servizi gratuiti e accessibili a tutti.
Progetti europei
Equal “AGENDA dei territori per la conciliazione”
Ridurre la difficoltà di donne e uomini nel conciliare impegni lavorativi e
impegni famigliari, attraverso: animazione del territorio per la creazione del
Forum della conciliazione; sperimentazione di pacchetti di rientro
lavorativo per donne e uomini dopo il congedo (bilanci di competenze,
workshop, seminari di sensibilizzazione per responsabili del personale);
campagna di sensibilizzazione sul tema della condivisione dei ruoli di cura
all’interno della famiglia (spot a firma di Cavandoli); pieghevoli informativi
sui congedi parentali.
LEAD - Local Equality Agencies Development
Promuovere e consolidare nei diversi contesti locali una rete - tra istituti e
centri specializzati nelle pari opportunità, istituzioni locali pubbliche,
organismi dedicati alle politiche del lavoro - che favorisca la partecipazione
femminile ai processi decisionali. Studio ed elaborazione di Linee Guida
Europee per una comunicazione orientata al genere, disponibili on-line.
Servizi
Osservatorio Donna
Una Linea Verde 800-097.999 a disposizione di tutte le donne residenti in
Milano e provincia per ricevere informazioni e orientamento ai servizi
territoriali e consulenze dirette con esperti in diverse materie specialistiche.
Una ricca banca dati di 5000 servizi pubblici e privati, e una sezione on-line
denominata “I numeri delle donne” dove trovare statistiche e ricerche sulle
tematiche di genere. Seminari di approfondimento su tematiche di interesse
e attualità.
Spazio Rosa
Corsi formativi specialistici per le donne per promuovere il proprio progetto
personale e professionale; colloqui individuali e di gruppo per orientarsi
nella ricerca del lavoro; incontri a tema sull’imprenditorialità e sui diritti nel
mondo del lavoro; informazioni e orientamento ai servizi presenti sul
territorio per conciliare lavoro e famiglia.
Pink Card
Carta gratuita per usufruire di agevolazioni per salute, benessere, casafamiglia, formazione, cultura e tempo libero.
Donne In Politica
Percorso formativo per avvicinare le donne alla vita politica, per favorirne
l'accesso e l'affermazione nelle assemblee politiche e nelle cariche elettive.
Sito Donne
Strumento di informazione per conoscere le iniziative organizzate sul
territorio per le donne, le ultime news per le imprenditrici, le pubblicazioni
e i dati statistici di genere più attuali.
Il gruppo di lavoro
Nicoletta Vigorelli
Responsabile Servizio Politiche di Genere e progetti speciali
Barbara Tommasi
Responsabile Osservatorio Donna
Rosangela Zucchetti
Antonia Francavilla
Marina Locatelli
Donatella Gazzoni
Patrizia Tossi, addetta stampa
Cinzia Maddaloni e Giovanni Insigne, collaboratori per i progetti europei
marzo 2008
Servizio Politiche di genere e progetti speciali
Direzione Generale
[email protected]
www.provincia.milano.it/donne
A cura di
Nicoletta Vigorelli
Redazione
Antonia Francavilla, Cinzia Maddaloni,
Patrizia Tossi, Barbara Tommasi
Copertina
Luca Romano
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Opuscolo: la libertà delle donne