Indice Prefazione di Arianna Censi Pluralismo normativo, libertà e politiche sociali, di Alessandra Facchi La presenza delle donne immigrate: alcune chiavi di lettura, a cura di Gender Appendice • • • • 2008. Anno Europeo del Dialogo Interculturale Normativa di riferimento Bibliografia Le Politiche di genere: progetti e servizi della Provincia di Milano Prefazione Arianna Censi1 Il 2008 è stato dichiarato dalla Commissione europea l’Anno del dialogo tra le culture, con l’obiettivo di attraversare politiche e saperi con una prospettiva aperta al contatto tra mondi e culture diverse, per favorire un dialogo costruttivo, fondato sulla forza delle idee. Nei prossimi mesi, alcuni dei temi che riguardano da vicino la vita delle cittadine e dei cittadini – con particolare riguardo per la cultura, l’istruzione, la formazione, lo sport, le politiche giovanili e il multilinguismo- verranno percorsi da progetti tesi a promuovere il dialogo tra le culture, per accorciare le distanze tra i popoli, per sviluppare una cittadinanza attiva e più accogliente, dove gli uomini e le donne possano, insieme, trovare un vero luogo di incontro. Una casa, come quella che abbiamo immaginato insieme, dove la ricchezza delle idee e le diversità culturali potranno essere valorizzate, per aprire una finestra su un mondo più equo, senza disequilibri e discriminazioni. Un luogo possibile, dove tutte le cittadine e i cittadini possano costruire insieme condizioni di vita migliori, aumentare la qualità e le opportunità di lavoro, favorire uno sviluppo più forte per tutto il Paese. Il tema che abbiamo scelto quest’anno per ricordare l’8 marzo è la Libertà delle donne nella società multiculturale, vista attraverso quella lente di ingrandimento che è il dialogo tra i popoli. E’ un tema, quello del multiculturalismo, all’interno del quale emergono con più forza le contraddizioni legate alla sovrapposizione di modelli culturali e valoriali differenti che, nel trovare un punto di incontro e di equilibrio, rischiano di scontrarsi con stereotipi difficili da superare. Sono soprattutto le donne a vivere le distanze e le barriere tra mondi e culture e diverse, che spesso ne limitano le libertà individuali e sociali. Eppure sono sempre le donne, con i loro talenti e le loro energie, a poter rimettere tutto in movimento, utilizzando le risorsa dell’accoglienza e del dialogo per aprire un confronto costruttivo tra popoli e cittadini di origine diversa. Parlare di libertà è sempre difficile. Esistono libertà individuali, che si compenetrano con la sfera personale delle donne, con la loro dimensione 1 Consigliera delegata alle Politiche di genere della Provincia di Milano Coordinatrice della Commissione Nazionale Pari Opportunità dell’Upi familiare, privata e sociale. Esistono poi le libertà collettive, legate al gruppo di appartenenza, alle diverse comunità. La politica non può invadere le sfere personali degli individui, ma deve tracciare percorsi che portino al riconoscimento dei diritti di tutte le cittadine e di tutti i cittadini che vivono nella società, alla rimozione degli ostacoli che impediscono alle donne di vivere liberamente, senza quelle barriere che limitano la loro realizzazione individuale. La politica e le istituzioni hanno il compito di favorire il dialogo, aprire terreni di incontro e dibattito per superare i fenomeni che limitano la libertà delle donne: dagli atteggiamenti culturali negativi che favoriscono stereotipi e violenze, alle pratiche sociali consolidate che minacciano la dignità e l’autodeterminazione delle donne. La politica, quindi, deve lavorare sui diritti sociali, per garantire la libertà individuale delle donne, leggendo le diversità culturali come una ricchezza, ma senza mai derogare all’autonomia delle persone. L’analisi dei numeri che compongono il quadro della presenza delle donne straniere che vivono e lavorano in Italia aprono riflessioni importanti. Sono il polso di una complessità che deve essere affrontata. Esistono le donne straniere arrivate in Italia per cercare una serenità economica e un futuro diverso, ma ci sono anche nuove generazioni di donne, nate in questo paese da genitori di origine straniera, che studiano, lavorano e progettano nuove famiglie. E’ una continuità generazionale preziosa, una risorsa per tutti noi. Tuttavia, sono proprio le giovani donne della cosiddetta “seconda generazione” a vivere con grande fatica le difficoltà di conciliare il proprio modello culturale di appartenenza con stili di vita differenti, con diritti acquisiti e consolidati nella società in cui sono nate, ma che spesso si pongono in contraddizione con le culture dei loro paesi di origine. Solo nell’area metropolitana, vivono quasi 166 mila le donne straniere, la maggior parte delle quali tra i 25 e i 44 anni. Sono donne giovani, con aspettative di vita e progetti importanti, ma che esprimono bisogni di integrazione, di libertà e di autonomia differenti. Sono donne istruite, che nella maggior parte dei casi hanno raggiunto diplomi e qualifiche professionali. La lettura di questi dati apre nuovi orizzonti, capovolgendo stereotipi ormai consolidati con interessanti riletture delle dinamiche sociali e offrendo a tutti noi nuovi punti di osservazione. Punti di vista da cui le istituzioni devono sapere ripartire per costruire politiche e servizi efficaci per tutte le donne, italiane e straniere. Dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi, ogni giorno rimbalzano notizie preoccupanti, che rendono difficile sognare. Ci riportano costantemente ad un mondo drammaticamente squilibrato, dove le ricchezze dei popoli non sono uguali per tutti, dove l’uguaglianza tra i generi è ancora lontana e dove il riconoscimento dei diritti delle donne è un elemento di forte complessità. In ogni angolo del pianeta ci sono donne che vivono in condizione di oppressione: incatenate dalle violenze e dai maltrattamenti, rese fragili dalla precarietà economica, indebolite dalle profonde ingiustizie. Donne capaci e in cerca di libertà, di spazi per esprimere a tutto tondo le loro innumerevoli capacità. Accade in ogni continente. Nei paesi in via di sviluppo, dove la povertà rende le disuguaglianze ancora più brutali, come in quelli più ricchi. Accade in Europa, come in Italia. Oggi l’Italia sconta ritardi e contraddizioni difficili da superare. La crescita economica è più lenta rispetto agli altri paesi europei, il tasso di occupazione è più basso sia per gli uomini che per le donne, gli indici di natalità sono fermi da tempo. Siamo meno produttivi di altre nazioni, siamo meno efficienti e stiamo vivendo con risorse energetiche divenute insufficienti per garantire a tutti i cittadini un futuro sereno. E’ un’immagine difficile da superare, ma tutto questo può e deve cambiare. Bisogna dare vita ad un nuovo corso della politica, con idee nuove che mettano in campo le risorse e i talenti delle donne per lanciare il Paese verso uno sviluppo più moderno. Gli studi più recenti hanno dimostrato che in quei paesi dove la rappresentanza paritaria è diventata realtà la ripresa economica è più veloce. Le ricerche economiche e sociologiche hanno confermato, con dati e statistiche alla mano, come lo sviluppo dei mercati sia legato con un doppio nodo al lavoro delle donne. Più cresce il tasso di occupazione femminile e più sale la qualità del lavoro, meglio si stabilizza l’economia. In quei paesi dove tutto questo è già realtà il rilancio avviene in modo più compiuto: riguarda lo sviluppo dell’economia, ma anche una qualità della vita più soddisfacente per tutti i cittadini e un tasso di natalità in rialzo. Far crescere l’economia e il mercato si può, a partire dalle donne. Lo dimostrano le esperienze statunitensi e dei paesi nordeuropei, ma anche in Italia abbiamo interessanti laboratori di sperimentazione sociali che anticipano le tendenze nazionali; città dove, non appena la presenza delle donne nel mondo del lavoro ha raggiunto con percentuali interessanti gli obiettivi di Lisbona, il numero delle nascite ha iniziato a crescere. I saperi delle donne, le loro competenze professionali e le capacità di mettere in gioco risorse importanti, sono elementi preziosi per lo sviluppo del paese. Sono il motore di una crescita che può rimettersi in movimento. Serve un nuovo patto, più forte e più stabile, tra la politica, le istituzioni e il mondo imprenditoriale, per superare quell’ingessatura che non permette al nostro Paese di accelerare il passo attraverso le qualità dei talenti femminili. La politica e le istituzioni devono tracciare una linea di avanzamento e sperimentare, insieme alle imprese, delle buone pratiche di organizzazione aziendale, per incentivare la presenza delle donne sul mercato del lavoro e utilizzare al meglio le competenze femminili, aprendo le porte dei consigli di amministrazione ad una presenza paritaria di uomini e di donne, favorendo l’accesso delle donne in quei luoghi dove vengono assunte le decisioni, sbloccando le progressioni professionali e aumentando le posizioni manageriali femminili. Solo così, si possono rimuovere gli ostacoli che affaticano il Paese e allontanano politiche di sviluppo economiche e sociali davvero innovative. Per rispondere alla sfida della globalizzazione, ma anche per migliorare l’efficienza e i risultati delle aziende, il sistema delle imprese deve generare innovazione nella gestione dei modelli organizzativi e produttivi. Per innescare una crescita virtuosa dei mercati e dell’economia, è necessario superare quelle politiche di flessibilizzazione esasperata del lavoro che in questi ultimi anni hanno portato ad una precarizzazione spinta del lavoro, che ha danneggiato soprattutto i giovani e le donne. Il 56% dei contratti atipici, infatti, riguarda proprio le lavoratrici e il passaggio dal precariato ad una condizione di stabilità risulta ancora notevolmente inferiore per le donne rispetto agli uomini. In confronto ai colleghi uomini, le lavoratrici impiegano il doppio del tempo ad essere stabilizzate dai datori di lavoro. E ancora. Una donna su cinque fa un lavoro che richiede una formazione inferiore a quella di cui è in possesso e, se consideriamo che le retribuzioni delle lavoratrici sono mediamente più basse del 23% (con un’oscillazione che va da un minino dl 15% ad oltre il 40% per le libere professioni e i ruoli di alta professionalità - percentuali che, conti alla mano, si traducono in redditi annui più bassi fino a 10 mila euro) e che la permanenza delle donne nel mercato è ancora fortemente segnato da una visione negativa della maternità, la situazione appare ancor più complicata. Una donna su dieci abbandona il lavoro dopo la nascita di un figlio ed è ancora in uso il ricorso illegale dei datori di lavoro alle dimissioni in bianco, fatte firmare alle lavoratrici al momento dell’assunzione in previsione di un’eventuale maternità. Una pratica che solo nel 2007 è stata sanzionata dal Parlamento, su proposta delle parlamentari di maggioranza. Il divario tra i livelli di scolarità è a vantaggio delle donne, eppure il mercato del lavoro continua a opporre resistenza. Le donne laureate solo il 57%, a fronte del 43% degli uomini. Eppure, questa più alta formazione non ha riscontri diretti sulle professioni: a tre anni dal conseguimento della laurea, ad esempio, la differenza di trattamento lavorativo, quella che tecnicamente viene definita “gap gender”, è del 4% e la disoccupazione colpisce il 9,6% delle giovani donne, contro il 5,7% dei giovani uomini. Per uscire da questa situazione di empasse, nei prossimi anni le aziende, sostenute dalle istituzioni, dovranno favorire una qualità del lavoro più equilibrata, senza discriminazioni di genere nelle retribuzioni, nell’affidamento delle mansioni e negli avanzamenti di carriera. Le imprese devono sapere puntare sulla conciliazione tra i tempi professionali e gli impegni familiari delle donne, attraverso il ricorso al part-time, ai rientri agevolati dalla maternità e sensibilizzando tutti i lavoratori che diventano padri sull’opportunità, ancora troppo poco utilizzata, di usufruire dei congedi parentali retribuiti, così da condividere con le loro compagne responsabilità, carichi di lavoro e tutte le emozioni che fanno della genitorialità un’esperienza eccezionale. E’ questa la nuova frontiera delle politiche di genere, il traguardo da raggiungere nei prossimi anni per mettere in moto lo sviluppo del nostro Paese, aumentare il prodotto interno lordo e costruire una società accogliente e più equa per tutti, uomini, donne e bambini. Sarà una sfida per tutti. La politica e le istituzioni dovranno procedere a passo spedito, senza mai abbassare lo sguardo sugli obiettivi futuri e continuando a consolidare i risultati già ottenuti attraverso la verifica dei dati, la continua ricerca di risposte e il controllo degli obiettivi. E’ questo il punto di svolta per realizzare un futuro migliore, un avvenire diverso e più aperto al cambiamento, per costruire una società che sappia realmente coniugare lo sviluppo globale con il rispetto per le capacità e i talenti delle donne e degli uomini che abitano il mondo. Un mondo che sa utilizzare al meglio le capacità delle donne, guardando ai talenti femminili come ad una risorsa in grado di mettere in moto lo sviluppo, a vantaggio di tutti. Uomini e donne, popoli e paesi lontani. Pluralismo normativo, libertà e politiche sociali Alessandra Facchi2 Fondamentali sfide delle società multiculturali passano attraverso questioni che riguardano le donne: quando emerge un caso che richiama l'attenzione su norme religiose, consuetudini, usi comunitari quasi sempre c'è di mezzo una donna. In nome dei diritti delle donne sono sempre più spesso contestate politiche pubbliche di sostegno di minoranze culturali e religiose, il progetto di un Islam europeo si gioca in gran parte nella definizione dello status delle donne musulmane, alle donne è in gran parte affidata l'educazione delle nuove generazioni di cittadini europei. Studi, ricerche e teorie che si pongono in termini neutrali rispetto al genere non affrontano in modo adeguato non soltanto questioni che riguardano le donne, ma anche gran parte delle problematiche complessive poste dalle attuali società multiculturali. Da tempo ormai è riconosciuta la necessità sia di studi sull'immigrazione femminile nel suo complesso, sulle dinamiche attraverso le quali si costituisce, sulle funzioni che assume nel mercato del lavoro, sia di ricerche che assumano il punto di vista delle donne interessate su questioni specifiche legate all'appartenenza di gruppo, alla religione, al lavoro, all'attività giudiziaria, alla normativa che regola ingresso e soggiorno, ecc. Una prospettiva in cui la variabile di genere assume implicazioni particolarmente significative è quella del pluralismo normativo, intesa come una prospettiva che assume l’esistenza di una pluralità di norme che orientano i comportamenti individuali: norme giuridiche, religiose, consuetudinarie, corporative, sia della società o della tradizione di provenienza, sia di quella di residenza. Norme che possono integrarsi, sovrapporsi o entrare in conflitto tra loro. Le istituzioni pubbliche quotidianamente si trovano di fronte alla necessità di tener conto del pluralismo normativo in cui vivono migranti e loro discendenti, e alla necessità di cercare soluzioni di compromesso tra pratiche e norme della società o della tradizione di provenienza e quelle della cultura e della società di residenza, di conciliare bisogni individuali con principi etici, norme giuridiche e esigenze sociali. 2 Docente di Teoria generale del diritto e Storia delle teorie sui diritti soggettivi per il corso di laurea in Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano Dal punto di vista delle persone questa situazione richiede un continuo processo di posizionamento, di scelta più o meno consapevole, di individuazione di percorsi di mediazione, ma anche di superamento e distacco. Spesso si tratta di scegliere tra vari ordinamenti, utilizzando anche il diritto positivo come risorsa tra le altre a cui rivolgersi a seconda della singola situazione, elaborando strategie per trattare i conflitti. E’ ormai una constatazione nota che l'individuo nella società contemporanea appartiene a più gruppi di riferimento, la sua identità è frammentata o comunque deriva da una sovrapposizione di varie componenti, è soggetto a modelli e norme di differente origine che si pongono tra loro in rapporti complessi. Ciò è particolarmente vero per le persone che passano attraverso le esperienze della migrazione o che crescono in società diverse da quelle dei loro genitori. Tra queste persone le donne sono i soggetti nei cui confronti più emergono la distanza tra le diverse concezioni dei rapporti tra i sessi, tra individuo e gruppo familiare, tra Stato e religione. Nei cui confronti le prescrizioni religiose e comunitarie si traducono più di frequente in forme di discriminazione e oppressione. I casi più noti concernono sia istituti giuridici, come nel diritto di famiglia islamico la poligamia, ripudio, il matrimonio attraverso il tutore, la differente quota ereditaria tra maschi e femmine, sia pratiche consuetudinarie radicate come i matrimoni combinati, le mutilazioni genitali, la segregazione domestica, fino ad arrivare agli omicidi d'onore o alle violenze fisiche come strumento di punizione. Ma questi sono solo casi emergenti al di sotto dei quali ci sono vite intere costruite sulla mediazione, a volte sofferta, a volte no, vite in cui la convivenza tra norme viene gestita senza crisi, e l'intervento pubblico neanche preso in considerazione. Sempre più di frequente però è dalle donne stesse provengono strategie di mediazione, di fusione tra istanze contrastanti, prese di posizione e richieste che coinvolgono letture dei diritti individuali diverse da quelle consolidate nella cultura istituzionale dei paesi europei. Questo contesto chiama in causa i problematici rapporti tra diritti individuali, collettivi, culturali, la nozione di cittadinanza multiculturale, l'opposizione tra diversi modelli "liberali" o "comunitari", tra diritti delle donne e diritti delle culture, tra femminismo e multiculturalismo ecc. Su questi temi è fiorito un vasto dibattito scientifico, politico e mediatico. In questo intervento mi limito ad alcune considerazioni su visioni di libertà che toccano direttamente le donne nelle società multiculturali e sul ruolo delle politiche sociali ad esse connesso. L'approccio del pluralismo normativo inteso dal punto di vista del soggetto si ricollega ad un’opzione di convivenza multiculturale incentrata sulla persona, sulla tutela della sua appartenenza in quanto scelta individuale, più che sulla tutela della comunità, delle collettività esistenti, in quanto valore autonomo. Mettere al centro la scelta individuale, con tutte le difficoltà teoriche e pratiche che ciò comporta, riporta ad una concezione di libertà come autodeterminazione. Un'idea di libertà che mostra, in particolare con riferimento alle vite femminili, una duplice valenza. La prima è quella della libertà individuale come una sfera di comportamenti autonomi nella quale lo Stato non può intervenire. Da questo punto di vista i poteri pubblici costituiscono la principale minaccia ai diritti individuali e non è giustificata l’imposizione di una visione del bene comune, anche se corrisponde ai valori della maggioranza e della tradizione dominante. Questa è la visione di libertà consolidatasi nel pensiero liberale ottocentesco e che ancora costituisce il nucleo di valore che ispira i diritti fondamentali, e le relative tutele, negli ordinamenti occidentali. Un principio fondamentale della tradizione politica liberale occidentale è quello enunciato da John Stuart Mill: "Il solo scopo per il quale si può legittimamente esercitare un potere su un qualunque membro di una comunità civilizzata contro la sua volontà è quello di impedirgli di nuocere ad altri…. Su se stesso, sul suo corpo, sulla sua mente l’individuo è sovrano”. 3 Qualora un comportamento non provochi un "danno ad altri" come si giustifica l'intervento coercitivo dello Stato contro la volontà di una persona adulta e capace? Si può fondare su di un diritto fondamentale, come la libertà individuale o su un principio come la parità tra i sessi o su quello ancor più decisamente estraneo alle culture d'origine come la laicità dello Stato? Nei conflitti multiculturali la situazione più difficile da affrontare dal punto di vista dei principi liberali si verifica quando sono le persone stesse a difendere e talvolta anche rivendicare pratiche e norme di cui sono considerate “vittime”. Sono numerosi i casi in cui non solo l'appartenenza culturale e religiosa è rivendicata come un diritto, ma in cui anche le istituzioni che appaiono discriminatorie e oppressive vengono difese dalle donne che vi sono coinvolte, assunte come elementi costitutivi della loro identità da contrapporre a ciò che viene vissuto come imperialismo culturale, e non solo, dell'Occidente. Sono noti i casi delle donne musulmane che considerano la poligamia come un loro diritto, fino ad arrivare a quelli in cui anche pratiche come le mutilazioni genitali sono vissute e pubblicamente difese come espressione di identità culturale. Guardando alla storia dei diritti delle donne un fondamentale traguardo è stata la loro costituzione come soggetti autonomi a piena capacità 3 J.S.Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano 1999, pp.12-13) decisionale sul proprio corpo, sulla propria vita, sui propri beni e la loro sottrazione a soggetti che volevano dire quale fosse il loro bene: padri, mariti, legislatori. Fa tuttavia parte del patrimonio femminista anche la consapevolezza che le scelte individuali, anche quando espresse senza apparente coercizione, ma maturate in condizioni radicate di oppressione non sono e non possono essere considerate scelte veramente libere. Si parla in questi casi di preferenze adattive, di situazioni cioè in cui la volontà individuale è espressione di una libertà solo apparente. In altri termini di scelte individuali che non esprimono il reale interesse dei soggetti e che non possono costituire un limite ( e una giustificazione) rispetto alla difesa pubblica dei loro diritti fondamentali. Un altro tema fondamentale della teoria politica femminista riguarda la consolidata distinzione tra sfera pubblica maschile e sfera privata femminile e l'identificazione di quest'ultima in prima istanza con la famiglia, con il lavoro domestico e di cura. Grazie a questa divisione dei campi la famiglia si è costituita come una giurisdizione autonoma, lasciata alle consuetudini, alla religione e agli equilibri interni di potere, equilibri che certamente non hanno favorito l'eguaglianza tra i coniugi e la libertà femminile. La famiglia pur costituendo il nucleo primario di aggregazione e di convivenza, di formulazione e imposizione di norme, di organizzazione del potere, di educazione morale e politica della persona sia stata generalmente esclusa dalla riflessione sulla giustizia e dall’intervento dello Stato, una zona di non ingerenza che si è tradotta e si traduce in assenza di tutela per le parti più deboli. Questi aspetti ancora importanti per le donne di culture secolarizzate, lo sono ancora di più per quelle donne nel mondo per le quali i rapporti familiari e comunitari sono direttamente vincolati a norme religiose e consuetudinarie, rispetto alle quali l'intervento dello Stato ha una scarsissima legittimazione. Per le donne appartenenti a comunità e culture per le quali rivolgersi alle istituzioni pubbliche, alla protezione del diritto contro le norme tradizionali è considerata una forma di devianza, di rottura con la famiglia, di autoesclusione dal gruppo. La contrapposizione tra multiculturalismo e femminismo che è emersa sia nel dibattito teorico, sia nell’attualità delle società multietniche, si fonda sulla denuncia di quelle politiche pubbliche e teorie che in nome dell'autonomia dei gruppi, di diritti collettivi e culturali, si traducono nel sostegno di istituzioni, o anche soltanto nella non ingerenza in ambiti privati retti da norme comunitarie, in cui si verificano forme di discriminazione, oppressione, segregazione femminile. In questo quadro emerge con immediatezza una seconda valenza della libertà femminile che guarda alle minacce che provengono dalla famiglia, dalla comunità, dalla religione, dunque da quei poteri che più da vicino intervengono e determinano le vite di molte donne. Questo punto di vista vede l’intervento pubblico, anche nella forma di imposizione o di divieto coercitivo contro la loro volontà, giustificato dallo stesso interesse delle donne, come un aiuto esterno a sottrarsi a imposizioni familiari, comunitarie e religiose. All'interno della famiglia lo Stato il dovere di intervenire a tutela dei soggetti più deboli, cioè le donne e i minori. Nel contesto dell’immigrazione, i tradizionali diritti di libertà, intesi come spazi di autonomia e tutela nei confronti dei poteri pubblici, assumono rilievo soprattutto in condizioni di irregolarità, nel momento dell'ingresso, nell'ambito di politiche penali, o nella dimensione lavorativa, come libertà economiche. A ciò si aggiunge la libertà religiosa, che però riguarda più le componenti collettive e organizzate che non le persone e nel contesto sociale attuale mette in discussione l'intervento attivo dello Stato più che la mera astensione da interferenze. Ma se si pensa ai classici diritti di libertà come libertà di pensiero, di comunicazione, di circolazione, di proprietà, di scelta della propria occupazione, di associazione, più in generale di progettare la propria vita appare evidente che, almeno per le donne, sono i vincoli familiari e comunitari che determinano i limiti più immediati. La constatazione che la maggior parte delle violenze e discriminazioni femminili si verificano in ambito familiare e comunitario ha portato a sostenere la necessità di riformulare le categorie dei diritti fondamentali in modo da fornire strumenti di tutela delle donne anche nei confronti dei gruppi di appartenenza. Prendiamo ad esempio il noto caso dello chador. Il divieto di indossarlo a scuola o negli uffici pubblici dal punto di vista delle donne interessate può essere visto alternativamente come un aiuto esterno a sottrarsi alla pressione familiare o comunitaria e dunque come un sostegno alla propria libertà o invece come un'imposizione in contrasto con la propria religione e identità, e dunque come un limite ingiustificato alla propria libertà. Nel primo caso i diritti di libertà sono rivendicati nei confronti della comunità, della famiglia, nel secondo dello Stato. Questo duplice modo di considerare la libertà individuale porta in primo piano il caso singolo, suggerisce di guardare alle circostanze, di cercare dei percorsi che accertino volta per volta gli interessi e le volontà delle persone coinvolte, di evitare le contrapposizioni tra visioni del mondo o tra etiche religiose e l’applicazione dall’alto di principi e norme senza considerarne le conseguenze. Dal punto di vista del soggetto vi è un aspetto importante da prendere in considerazione: spesso una donna, anche una donna occidentale che abbia alternative concrete di vita, sa che la sua scelta è condizionata da situazioni di disparità con gli uomini, sa che deriva e forse perpetuerà forme di discriminazione, ma la adotta comunque perché nella situazione in cui è le appare la migliore. Si tratta di una scelta libera o no? Qual è la soglia di condizionamento sotto la quale la sua scelta può dirsi libera? Non si può trascurare che una scelta di allontanamento nei confronti della famiglia, della comunità ha sempre un costo, per sé o per altre persone a cui si è legati. Le preferenze adattive riflettono almeno in parte interessi reali, scelte razionali e negarlo può costituire un ulteriore danno per le persone. L’obiettivo è piuttosto quello di modificare il contesto di scelta, di garantire tutele e strumenti per l'esercizio di scelte il più possibile libere. Se il problema non è solo quello di dichiarare le libertà individuali, ma soprattutto quello di garantirle, e se esse impegnano alla protezione della persona non solo dai poteri pubblici, ma anche dai poteri privati, allora il ruolo delle politiche sociali appare immediatamente amplificato. L'accesso ai diritti sociali dei migranti e dei loro discendenti, la cui funzione è essenziale in termini di integrazione socio-economica di status di cittadinanza, anche semplicemente di equità distributiva, deve essere sottolineato anche in termini di promozione della libertà individuale. Attraverso l'istruzione, l'assistenza medica e sociale, la formazione professionale, l'accesso al lavoro, all'abitazione ecc., si fornisce un insostituibile sostegno all'autodeterminazione, alla possibilità della persona di fare scelte meno dipendenti rispetto alla famiglia e alla comunità di appartenenza. Per poter essere effettivi, oltre che giusti in termini di eguaglianza di trattamento, i diritti sociali non possono però più essere pensati e costruiti come neutrali, né dal punto di vista di genere, né dal punto di vista delle culture. Praticamente tutti gli ambiti delle politiche sociali sono più o meno toccati da queste due fondamentali variabili, che costituiscono criteri fondamentali nell'identificazione dei bisogni dei soggetti. Come emerge in varie ricerche, in tutto il mondo le donne sono ancora ampiamente discriminate sia nell'accesso ai diritti sociali, sia nelle modalità di esercizio. Mentre i bisogni e le forme di accesso ai servizi sono diversi tra uomini e donne, le politiche sono spesso indifferenziate e costruite a partire da bisogni e valori tipicamente maschili. Dal punto di vista dell’appartenenza culturale e religiosa le difficoltà di pensare diritti universali incidono fortemente nell'ambito dei diritti sociali non solo perché in essi si riflette una visione dei rapporti tra Stato e cittadini strettamente legata alla storia europea, ma soprattutto perché la loro definizione si confronta con differenti concezioni della famiglia, del lavoro, del ruolo della donna nella società, dei rapporti tra individuo e gruppo, tra Stato e religione, ecc. Le stesse nozioni di salute e integrità fisica – che costituiscono il fondamento di diritti umani considerati indisponibili- sono culturalmente variabili. Allo stesso diritto possono corrispondere visioni molto differenti del valore da tutelare e delle misure con cui farlo. Prendiamo come esempio il diritto all'unità familiare, su quale idea di famiglia si fonda? I problemi sorgono soprattutto in riferimento al matrimonio poligamico islamico, incompatibile con il principio d'eguaglianza tra coniugi e vietato da molte legislazioni nazionali. Ma se il ricongiungimento e i diritti sociali che ne derivano (assegni familiari, assistenza medica, alloggio ecc) sono riconosciuti solo alla prima moglie, da ciò deriva una discriminazione nei confronti delle altre mogli, anche solo per la ragione di non poter raggiungere e vivere con il proprio marito ( e magari con i propri figli), che aveva legittimamente sposato nel proprio paese. Vari ordinamenti europei prevedono forme di inclusione delle diverse mogli attraverso norme spesso ispirate al riconoscimento di effetti giuridici alla famiglia di fatto, ma si tratta comunque di soluzioni parziali e instabili. L'applicazione differenziata dei diritti sociali - che si deve comunque muovere all'interno dei principi e delle norme di ordine pubblico degli ordinamenti nazionali - si fonda sul principio d'eguaglianza giuridica inteso in senso aperto alle differenze, per il quale situazioni diverse non devono essere trattate nello stesso modo. L'eguaglianza si pone in questa prospettiva come un obiettivo che si realizza tenendo conto delle differenze di gruppo assunte come rilevanti (naturalmente formulando dei criteri per definire quelle che vanno considerate rilevanti). Non si tratta dunque di porre in essere trattamenti di favore, che andrebbero sotto l'etichetta della azioni positive, o speciali diritti culturali, ma interventi che si fondano su una visione pluralista della società dove non esiste un modello di valori e pratiche privilegiato e considerato come “normale” in riferimento al quale gli altri sono considerati eccezionali o speciali. Per realizzare l'eguaglianza nei diritti, come ha ampiamente mostrato la storia dei diritti delle donne, non è affatto sufficiente riconoscerne a tutti la titolarità. Diritti che si traducono nelle stesse misure per tutti producono facilmente effetti di discriminazione e assimilazione. In concreto si tratta di pensare le politiche sociali attraverso misure differenziate in relazione a caratteristiche dei destinatari. L'applicazione dei diritti sociali comprende questioni all'ordine del giorno in tutte società multiculturali europei le più comuni sono le richieste nell'ambito delle istituzioni pubbliche e private e dei luoghi di lavoro di seguire le norme rituali (orari, alimentazione, festività) della propria religione, altre sono più complesse e vanno, a titolo d'esempio, dal ripensamento della medicina in chiave transculturale e alla formazione specifica di operatori in campo medico e sociale, alla scelta di programmi scolastici, di educazione religiosa, alla predisposizione di aree urbane e alloggi compatibili con stili di vita dei loro abitanti. Notoriamente esistono vari interventi finalizzati a rispondere a queste nuove esigenze del pluralismo culturale, ma raramente il legame tra diritti sociali e diversità culturale è dichiarato e adottato sul piano legislativo e programmatico. Il presupposto di una rivisitazione dei diritti di libertà e dei diritti sociali è una ridiscussione pubblica dei loro contenuti attraverso il confronto tra differenti valori, bisogni, culture. All’interno delle società nazionali ciò porta l’accento sulle forme di partecipazione politica. La partecipazione dei destinatari nella elaborazione delle norme che li riguardano è in primo luogo un principio fondamentale della tradizione democratica, ma si traduce anche in una condizione di efficienza, essenziale per garantire un'applicazione dei diritti compatibile sia con le appartenenze culturali e religiose, sia con le specifiche condizioni lavorative, economiche, familiari, dunque per la corrispondenza tra bisogni e servizi. Nel caso delle donne poi la predisposizione di forme di coinvolgimento pubblico e di consultazione è particolarmente significativa come strumento di tutela della loro autonomia e dei loro interessi nei confronti delle comunità di appartenenza, di frequente dominate e rappresentate pubblicamente dalla componente maschile. Al di là della partecipazione al voto amministrativo degli stranieri residenti, questione con complesse valenze politiche, sono possibili e auspicabili altre forme di consultazione meno formalizzate e più dirette. Diritti di libertà, diritti sociali e diritti politici, intesi in senso ampio, si presentano come strettamente connessi. Un approccio fondato sull'integrazione tra vari diritti conduce a fare attenzione ad evitare che la repressione di pratiche comunitarie, conduca direttamente o indirettamente, ad un’esclusione di fatto da diritti sociali fondamentali come il diritto all’istruzione o quello alle cure sanitarie; a prestare attenzione affinché nell’ambito di servizi o istituzioni, pubblici o privati, come le scuole o gli ospedali, non si verifichino violazioni delle libertà individuali. Più in generale può aiutare a visualizzare le influenze negative o positive di ogni misura nella ricerca di una massimizzazione complessiva dell'accesso ai diritti dalla parte di persone sulle quali si sommano le conseguenze negative di differenze e disuguaglianze, come capita spesso alle donne. La presenza delle donne immigrate: alcune chiavi di lettura A cura di Gender4 Per meglio definire alcune caratteristiche della popolazione femminile straniera in Lombardia5, viene qui di seguito presentata una serie di indicatori che aiutano a comprendere la dimensione del fenomeno e a delinearne alcune delle principali caratteristiche: chi sono queste donne, quali le loro origini, quale ruolo giocano nel mercato del lavoro locale. Inevitabilmente il dato quantitativo risulta inefficace e asettico quando si vuole capire come sia la vita di questa fetta ormai consistente della popolazione, quali i vissuti, le problematiche e le potenzialità. Tuttavia “uno sguardo ai numeri” serve sicuramente a rafforzare la convinzione che sia necessario ormai utilizzare una lente differente e nuovi strumenti nel momento in cui si voglia trattare in modo serio ed efficace il fenomeno migratorio. Perché l’immigrazione femminile si rivela essere caratterizzata da una complessità, versatilità e molteplicità di situazioni e strategie di inserimento che richiedono una maggiore sensibilizzazione e sostegno nei confronti delle sue protagoniste, nonchè analisi e riflessioni mirate anche agli effetti sull’intera società di accoglienza e sulle seconde generazioni. 4 Gender s.c.r.l., di consulenza, formazione e ricerca I dati disaggregati per genere sono disponibili perlopiù a livello regionale, e dunque si è scelto di utilizzare la Lombardia come ambito territoriale di riferimento per una lettura più omogenea dei dati che verranno qui illustrati, fatta eccezione per quelli demografici. 5 Quante sono Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2007 per anno d'ingresso – Lombardia – quote % per genere 70 60 50 40 30 20 10 donne 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 Fino al 1996 0 uomini Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell'Interno Osservando la dinamica dell’ immigrazione regolare dagli anni precedenti al 1996 al 2006 - attraverso i dati del Ministero dell’Interno - si rileva che si è passati dal 38% al 59,2% della presenza femminile sul totale degli immigrati. La forbice tra i generi si presenta ora completamente ribaltata rispetto agli anni che precedono il 1997, evidenziando il fenomeno della decisa “femminilizzazione” dei flussi migratori. In valori assoluti si parla di 155.808 donne straniere residenti nella sola provincia di Milano alla data del 1 gennaio 20076, ovvero quasi l’8% del 6 Fonte: Istat totale provinciale femminile, (rappresentavano il 4,4% nel 2003) e di 346.133 nell’intero territorio regionale. Dunque si deve parlare non solo di una netta “femminilizzazione dei flussi migratori ma anche di un loro esponenziale incremento. Che età hanno Donne straniere residenti in provincia di Milano per classe di età – 1/1/2007 6 ov er 55 12,5 45-54 35-44 24,9 27,4 25-34 10,4 15-24 0-14 18,8 0 5 10 15 20 25 30 Fonte: Ns. elaborazione su dati Istat - Ministero dell'Interno Oltre la metà delle donne stranieri residenti in provincia di Milano ha un’età compresa tra i 25 e i 44 anni. Questo indicatore non è da sottovalutare per le implicazioni che, rispetto all’atteggiamento, alle aspettative, al progetto di vita, questa ampia fetta della componente femminile porta con sé. E’ infatti plausibile immaginare che per la gran parte di esse si tratti di una scelta che va oltre il puro utilitarismo economico, una scelta più radicale di insediamento a lungo termine. Sono donne che esprimono bisogni concreti di integrazione, di creare/ricreare qui un ambiente e un nucleo familiare, di avere un’autonomia abitativa che permetta loro di ricongiungere la famiglia o di costituirne una. Da dove vengono Per quanto riguarda gli anni più recenti, la presenza regolare di donne immigrate non solo ha mantenuto la prevalenza rispetto alla corrispondente quota maschile, ma ha registrato, un aumento progressivo delle provenienze dai Paesi dell’Europa dell’Est. Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2007 per grandi aree di provenienza – Lombardia – 12 10 8 6 4 2 0 2005 2006 (primo semestre) Est Europa Asia Altri Africa Am. Latina Nord Africa Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell'Interno Di che religione sono La tabella seguente evidenzia come, rispetto all’appartenenza religiosa, sebbene prevalga quella cattolica, le quote di donne musulmane o afferenti ad altre confessioni non sia affatto trascurabile e porti con sé una serie di implicazioni rispetto al grado di integrazione/interazione con i costumi e le usanze nazionali. Appartenenza religiosa – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Nessuna 5,3 Altro 1,9 Sikh 1,3 Induista 1,7 Buddista 2,9 Altra Cristiana 5 Ortodossa 17,6 37,2 Cattolica Musulmana 27 0 10 20 30 40 Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità Perché vengono in Italia Permessi di soggiorno per motivo della presenza – Lombardia - 1/1/2007 Altro Umanitari Richiesta asilo Asilo Studio Residenza Religione Famiglia Lavoro 0 10 20 30 40 50 60 Fonte: elaborazione Istat su dati - Ministero dell'Interno Analizzando le motivazioni desunte dai permessi di soggiorno rilasciati in Lombardia, le due principali motivazioni sono, da un lato, nell’ordine, il ricongiungimento con il marito o in generale con altri componenti del nucleo familiare, dall’altro, la volontà di esercitare un’attività lavorativa. In questo caso si tratta frequentemente di donne che per prime, all’interno della loro famiglia, lasciano il loro paese di origine per cercare lavoro. Qual è il loro stato civile? Stato civile – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Divorziata /Separata 9,1% Vedova 3,0% Nubile 30,0% Coniugat a 57,9% Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità I figli Numero di figli totale – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 40 35 30 25 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4+ Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità Numero di figli in Italia – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 70 60 50 40 30 20 10 0 0 1 2 3 4+ Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità L’elemento più rilevante nelle due tavole precedenti emerge dal loro confronto, ovvero dalla differenza tra il numero dei figli che le donne immigrate hanno e quello dei figli che queste stesse hanno con sé in Italia. Molto elevata appare la quota di quante lasciano i propri figli nel paese di origine, forse con l’idea di tornare presto, sicuramente con quella di mandar loro i soldi per farli studiare, spesso con quella di poterli “far arrivare” qui. Nel frattempo continuano a occuparsi di bambini, le cui madri, in questo modo, riescono a lavorare, innescando un circolo virtuoso/vizioso senza precedenti. Dove vivono Tipo di alloggio – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Casa di proprietà (solo o con parenti) 20,9 Casa in affitto (solo o con parenti) CON CONTRATTO 48,4 Casa in affitto (solo o con parenti) SENZA CONTRATTO 3,4 Sul luogo di lavoro 10,6 Casa in affitto (solo o con parenti) NON SA 1,5 Da parenti, amici, conoscenti (ospite non pagante) 4,7 Casa in affitto con altri immigrati CON CONTRATTO 4,9 Casa in affitto con altri immigrati SENZA CONTRATTO 1,7 Casa in affitto con altri immigrati NON SA 0,6 Albergo o pensione a pagamento 0,2 Struttura d'accoglienza 0,7 Occupazione abusiva 0,1 Concessione gratuita 1,5 Baracche o luoghi di fortuna 0,2 Sistemazione precaria (Senza fissa dimora/dove capita) 0,2 Altro 0,4 Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità Che titolo di studio hanno Titolo di studio raggiunto – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Laurea/diploma universitario Scuola secondaria superiore Scuola dell'obbligo 17,8 44,7 28,8 Nessun titolo formale 8,7 0 10 20 30 40 50 Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità Titolo di studio raggiunto per grandi aree di provenienza – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Est Nord Altri Am. Europa Africa Africa Latina Asia Nessun titolo 5,3 9,0 14,9 14,3 6,7 formale Scuola dell'obbligo 25,4 31,6 30,3 42,3 23,8 Scuola secondaria 39,2 41,0 35,0 48,0 52,6 superiore Laurea/ diploma 13,7 8,4 16,9 21,3 20,2 universitario Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietincità Le donne immigrate sono donne istruite: oltre la metà di quelle residenti in Lombardia ha un titolo di scuola superiore, spesso proviene da professioni qualificate e si è trovata a svolgere un lavoro assai inferiore alle proprie capacità come porta d’ingresso al soggiorno in Italia, per rispondere a pressanti esigenze di mantenimento, proprio e dei familiari, per problemi di lingua. E’ un circuito dal quale possono uscire ma nel quale rischiano anche di rimanere intrappolate: spesso il lavoro di assistenza non permette la formazione, manca il riconoscimento delle credenziali educative, gli stereotipi che penalizzano la donna nel mercato del lavoro colpiscono anche loro. Che lavoro fanno Tra il 2006 e il 2007, in provincia di Milano, sono state avviate al lavoro 63.675 donne straniere (25.558 nel 2006 e 38.117 nel 2007). Risulta assai evidente, da una lettura delle tabelle che seguono, come l’inserimento lavorativo delle donne immigrate resti ancora in buona parte legato fondamentalmente alla richiesta del mercato del lavoro italiano di servizi domestici e di servizi alle persone. Tuttavia si evidenzia anche una quota di “professioniste intellettuali” che, insieme a quella delle imprenditrici, appare come un segnale della presenza di una mobilità di quante hanno potuto gradualmente lasciare i lavori di assistenza per dedicarsi all’esercizio di professioni che valorizzassero le loro qualifiche. Lavoratrici avviate al lavoro per cittadinanza7 Provincia di Milano – anno 2006/2007 2307 1819 Ucraina Romania 7657 2505 2679 Perù 3410 1105 1275 Marocco 2166 Filippine Equador 1177 1694 1264 1655 Rep.Pop.Cinese Albania 0 5 2699 2829 3530 10 2006 15 20 25 2007 Fonte: Provincia di Milano – Osservatorio Mercato del lavoro 7 Sono state riportate solo le prime otto etnie Tipo di lavoro svolto – Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Operai generici nell'industria 5,7 Operai generici nel terziario 2,6 Operai specializzati 0,7 Operai edili 0,1 Operai agricoli e assimilati 0,7 Addetti alle pulizie 7,1 Impiegati esecutivi e di concetto 3,8 Addetti alle vendite e servizi 4,3 Addetti alle attività commerciali 1,0 Addetti alla ristorazione/alberghi 13,7 Mestieri artigianali 2,7 Addetti ai trasporti 0,4 Domestici fissi 7,6 Domestici ad ore 18,9 Assistenti domiciliari 13,6 Baby sitter 4,7 Assistenti in campo sociale 3,0 Medici e paramedici 1,9 Intellettuali 6,0 Prostituzione 0,3 Altro 1,0 Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità Tipo di lavoro svolto per grandi aree di provenienza Donne immigrate in Lombardia – anno 2006 Est Europa Asia Nord Africa Altri Africa Operai generici nell'industria 6,0 5,4 8,0 13,6 Operai generici nel terziario 2,0 1,4 6,5 6,2 Operai specializzati 0,8 0,0 0,0 2,5 Operai edili 0,1 0,0 0,4 0,0 Operai agricoli e assimilati 0,3 2,0 0,0 1,7 Addetti alle pulizie 5,7 3,4 8,7 10,7 Impiegati esecutivi e di concetto 3,6 4,4 1,5 3,7 Addetti alle vendite e servizi 4,6 2,8 5,3 3,7 Addetti alle attività commerciali 0,6 1,8 1,5 1,2 Addetti alla ristorazione/alberghi 13,7 14,9 15,3 17,9 Mestieri artigianali 0,6 1,1 2,1 8,2 Addetti ai trasporti 0,2 0,8 0,0 1,2 Domestici fissi 8,5 2,7 7,4 9,1 Domestici ad ore 20,9 15,3 14,4 21,5 Assistenti domiciliari 7,6 4,2 3,3 22,7 Baby sitter 3,7 6,2 4,9 2,9 Assistenti in campo sociale 2,0 1,6 2,7 2,5 Medici e paramedici 2,5 1,0 1,9 0,8 Intellettuali 6,3 7,0 3,3 10,3 Prostituzione 0,2 0,0 0,8 2,1 Altro 1,5 1,2 0,8 0,4 Fonte: Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità Am. Latina 1,5 1,3 0,7 0,0 0,2 9,8 4,6 4,8 0,7 10,1 2,2 0,2 7,1 24,0 13,7 5,8 6,1 2,5 4,1 0,0 0,7 L’imprenditoria ….Secondo un'indagine della Camera di Commercio, nel capoluogo lombardo ci sono 3.625 donne imprenditrici provenienti da tutto il mondo: il 26,3% è cinese ….Dietro le iperattive esponenti della comunità cinese, nel tessuto economico milanese si distinguono le capitane d'azienda provenienti da Perù (221 imprenditrici su 5.824 residenti, il 3,8% del totale), Egitto (121 su 4.084 residenti, 3%) e Romania (118 su 1.198, il 9,8% del totale). Commercio e affini – Il settore più gettonato è il commercio (1219 imprenditrici, 37,3% del totale presente a Milano) seguito da attività manifatturiere (597 imprenditrici, 18,3%); attività di servizio nei settori immobiliari, noleggio, informatica e ricerca (571 imprenditrici, 17,5%); trasporti, magazzinaggio e e comunicazioni (275 imprenditrici, 8,4%); altri servizi pubblici, sociali e personali (268 imprenditrici, 8,2%). …La Camera di commercio ha sottolineato che le 3.265 straniere di Milano rilevate dalla ricerca rappresentano il 10,4% di tutte le donne- imprenditrici della città (31.524 tra italiane e straniere) e il 7% delle colleghe straniere attive sul territorio nazionale. …. E’ interessante evidenziare i dati Istat riferiti ai permessi di soggiorno per turismo: al 1° gennaio 2004, a fronte di 2.610 immigrati maschi, vi erano 7.130 immigrate. Proprio recentemente, infatti, si sta registrando un nuovo tipo di migrazione femminile, che vede alcune donne lasciare il proprio paese ed arrivare in Italia con un visto turistico, lavorare per tre mesi e poi rientrare… Le seconde generazioni Alunni con cittadinanza non italiana in Lombardia per Stato di cittadinanza. Anno scolastico 2006/07 Valori assoluti Maschi Femmine Totale MAROCCO 8.983 7.444 16.427 ALBANIA 8.301 7.427 15.728 ROMANIA 5.427 5.310 10.737 ECUADOR 3.458 3.334 6.792 PERU' 2.967 2.663 5.630 FILIPPINE 2.836 2.656 5.492 CINA 2.842 2.490 5.332 INDIA 3.099 2.140 5.239 EGITTO 2.590 1.943 4.533 PAKISTAN 1.864 1.137 3.001 TUNISIA 1.604 1.278 2.882 JUGOSLAVIA 1.410 1.269 2.679 BRASILE 1.127 1.063 2.190 UCRAINA 1.039 1.107 2.146 GHANA 1.028 1.041 2.069 SENEGAL 986 806 1.792 SRI LANKA 849 775 1.624 BOLIVIA 736 719 1.455 BANGLADESH 830 597 1.427 MOLDAVIA 609 697 1.306 Altre 52.585 45.896 98.481 TOTALE 64.638 56.882 121.520 Fonte: Elaborazioni ISMU su dati MIUR e USRL Stato di cittadinanza Gravidanza, parto e aborto Gravidanza, parto e aborto Anno 2004 n° gravidanze Europa Est Africa Nord Africa Occid. Corno Africa Altro Africa Am Latina Medio Oriente Sud Est Asiatico Estremo Oriente Asia Altro Europa Ovest (Italia) Am Nord Oceania Ex URSS Apolidi ND parto con TC parto vaginale gravidanza ectopica minaccia aborto Aborto 6864 758 2982 62 278 3062 4756 840 2626 29 234 1261 2304 381 740 37 115 1146 235 39 52 3 6 141 308 53 89 5 17 161 6050 726 1651 74 149 3599 304 39 182 1 13 82 1631 297 672 10 31 652 97 14 56 1 2 26 3182 449 1644 29 83 1060 106522 21399 55652 1071 4087 28400 80 21 40 1 1 18 28 2 17 0 0 9 1713 88 457 49 40 1119 5 0 2 0 1 3 615 60 169 4 9 382 Fonte: Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità Appendice 2008. Anno Europeo del Dialogo Interculturale L’anno europeo del dialogo interculturale è stato ufficialmente inaugurato l'8 gennaio scorso a Lubiana dal presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, dal primo ministro sloveno (Presidente di turno), Janez Janša, e dal presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Pöttering. La data segna l’inizio di una vasta gamma di iniziative e manifestazioni, organizzate in tutti i 27 Stati nel corso dell'anno, nonché campagne d'informazione e di sensibilizzazione, per valorizzare l’interazione interculturale “con specifico riferimento ad azioni relative all'educazione civica ed alla percezione dell'altro nella sua differenza”. Alla vigilia del varo della campagna, Ján Figel’- commissario europeo responsabile dell'istruzione, della formazione, della cultura e della gioventù - ha dichiarato che: “È evidente che l'Europa si trova ad affrontare sfide notevoli che hanno origine nelle relazioni interculturali. L'Anno europeo 2008 ci offre una preziosa opportunità di individuare le modalità per migliorare il dialogo e le relazioni interculturali. A prima vista il compito può sembrare estremamente difficile, ma 50 anni fa l'idea di riunire sotto l'egida dell'Unione europea tutte le varie popolazioni del nostro continente sembrava anch'essa impossibile da realizzare. Oggi possiamo vedere i risultati ottenuti dall'Unione europea e il suo notevole successo nell'unire vari paesi europei. Possiamo e dobbiamo, pertanto, affrontare le sfide della diversità culturale e religiosa del nostro continente. Per questo motivo abbiamo scelto lo slogan "Insieme nella diversità" per l'Anno europeo”. Gli obiettivi dell'Anno europeo del Dialogo interculturale indicati nell’articolo 2 della decisione n. 1983/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio emanata il 18 dicembre 2006 si propongono di: • promuovere il dialogo interculturale come processo in cui quanti vivono nell'UE possono migliorare la loro capacità di adattarsi ad un ambiente culturale più aperto ma anche più complesso in cui, nei diversi Stati membri e anche all'interno di ciascuno di essi, coesistono identità culturali e credenze diverse; • mettere in evidenza il dialogo interculturale come opportunità di contribuire a una società pluralistica e dinamica, in Europa e nel mondo intero, e da essa trarre profitto; • sensibilizzare quanti vivono nell'UE, in particolare i giovani, all'importanza di sviluppare una cittadinanza europea attiva e aperta sul mondo, rispettosa della diversità culturale e fondata sui valori comuni dell'UE definiti nell'articolo 6 del trattato UE e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; • porre in risalto il contributo delle varie culture ed espressioni della diversità culturale al patrimonio e ai modi di vita degli Stati membri. Per la realizzazione di questi obiettivi le azioni che il Parlamento Europeo, in collaborazione con gli Stati membri e i relativi organismi nazionali di coordinamento che intervengo a livello regionale e locale, intende promuovere sono: • manifestazioni e iniziative di portata europea che mirano a promuovere il dialogo interculturale, coinvolgendo direttamente o raggiungendo in altro modo il maggior numero possibile di persone, e mettono in rilievo le realizzazioni e le esperienze sul tema dell'anno europeo del dialogo interculturale; • manifestazioni ed iniziative a livello nazionale e regionale con una forte dimensione europea dirette a promuovere gli obiettivi dell'anno europeo del dialogo interculturale, coinvolgendo direttamente o raggiungendo in altro modo il maggior numero possibile di persone con specifico riferimento ad azioni relative all'educazione civica e alla percezione dell'altro nella sua differenza; • campagne d'informazione e di promozione, in particolare in cooperazione con organi d'informazione e organizzazioni della società civile a livello comunitario e nazionale per diffondere i messaggi chiave relativi agli obiettivi dell'anno europeo del dialogo interculturale e al riconoscimento delle migliori prassi, soprattutto tra i giovani e i bambini; • indagini e studi su scala comunitaria o nazionale e consultazioni con reti transnazionali e con le parti interessate della società civile al fine di valutare e documentare la preparazione, l'efficacia e l'impatto dell'anno europeo del dialogo interculturale per gettare le basi dei suoi sviluppi a lungo Queste attività beneficiano di un finanziamento di 10 milioni di euro a sostegno anche di sette progetti europei di eccellenza e di 27 progetti nazionali, uno per ciascuno Stato membro. Alla presentazione dell’Anno europeo del Dialogo interculturale 2008 è stato inaugurato il sito www.dialogue2008.eu che intende offrire uno spazio comune per il dialogo interculturale. Comprende una sezione partner destinata a stimolare la creazione di reti e lo scambio di buone prassi a livello Unione Europea. Normativa Normativa Italiana Costituzione della Repubblica Italiana 1 gennaio 1948 Articolo 3 “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di opinione politiche, di condizioni personali o sociali” Legge 19 febbraio 2007, n. 19 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, fatta a Parigi il 20 ottobre 2005. Legge 24 febbraio 2006 n. 85 “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003 Costituzione e organizzazione interna dell'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all'art. 29 della legge comunitaria 1° marzo 2002, n. 39 Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215 Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica Legge 6 marzo 1998, n. 40 Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n. 286 (artt. 42-46) Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero Legge 25 giugno 1993, n. 205 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa. Normativa Comunitaria Decisione 2000/750/CE Decisione del Consiglio del 27 novembre 2000, che istituisce un programma d'azione comunitario per combattere le discriminazioni (20012006) Direttiva 2000/78/CE Direttiva del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro Direttiva 2000/43/CE Direttiva del 29 giugno 2000 per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica Bibliografia Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto antiscriminatorio, Giuffrè, 2007 Baumann G., L’enigma multiculturale. Stati, etnie, religioni, Bologna, Il Mulino, 2003 Benhabib S., La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversità nell’era globale, Bologna, Il Mulino, 2005. Belvisi F., Società multiculturale, diritti, costituzione. Una prospettiva realista, Clueb, Bologna 2000. Caritas/Migrantes, Immigrazione. Dossier Statistico 2007. Colombo E. 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Progetti Donne e territorio Promozione, sviluppo e coordinamento della Rete delle amministratrici e delle elette dei comuni provinciali, finalizzata alla promozione di una nuova cultura di genere, allo scambio di esperienze, alla definizione di strumenti e all'elaborazione di un piano comune di azioni. L'obiettivo è rafforzare le competenze delle donne attivamente impegnate in politica, definire proposte concrete da veicolare all'interno dei consigli comunali e delle organizzazioni competenti, promuovere iniziative di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini. Gender budgeting Diffusione dello strumento decisionale che permette una lettura del proprio territorio in termini di genere e di valutare le conseguenze delle scelte operate rispetto a donne e uomini. Il gender budgeting è stato sperimentato in 6 Comuni della provincia di Milano, in collaborazione con la Consigliera provinciale di Parità, attraverso attività di formazione per il trasferimento delle competenze tecniche necessarie e la realizzazione di un Manuale disponibile su web - contenente le linee guida per la riclassificazione del bilancio in chiave di genere. Contro la violenza alle donne Lotta al maltrattamento intrafamiliare, la violenza sessuale e la prostituzione attraverso il sostegno e la partecipazione attiva alle reti territoriali dei centri antiviolenza, la raccolta e il monitoraggio dei dati sul fenomeno, la sensibilizzazione e la diffusione di materiale divulgativo per la cittadinanza, l’organizzazione di seminari e convegni per la formazione di insegnanti, operatori professionali e non, la produzione di materiale didattico per la prevenzione nelle scuole e nei centri di aggregazione giovanile. Comuni in rete Condivisione delle buone prassi con i Comuni del territorio provinciale per avviare politiche di genere trasversali e ottimizzare le risorse a disposizione. L'obiettivo è quello di diffondere la cultura di genere, sostenendo l'apertura e il consolidamento di servizi rivolti alle donne e promuovendo iniziative rivolte alla cittadinanza, agli operatori e operatrici, agli amministratori e alle donne impegnate in politica. Banche del tempo Promozione e sostegno del Coordinamento delle Banche del Tempo di Milano e provincia che, con le loro iniziative di scambio, di solidarietà e di reciprocità, rappresentano un importante momento di sviluppo e coesione sociale, un’ampia rete di servizi gratuiti e accessibili a tutti. Progetti europei Equal “AGENDA dei territori per la conciliazione” Ridurre la difficoltà di donne e uomini nel conciliare impegni lavorativi e impegni famigliari, attraverso: animazione del territorio per la creazione del Forum della conciliazione; sperimentazione di pacchetti di rientro lavorativo per donne e uomini dopo il congedo (bilanci di competenze, workshop, seminari di sensibilizzazione per responsabili del personale); campagna di sensibilizzazione sul tema della condivisione dei ruoli di cura all’interno della famiglia (spot a firma di Cavandoli); pieghevoli informativi sui congedi parentali. LEAD - Local Equality Agencies Development Promuovere e consolidare nei diversi contesti locali una rete - tra istituti e centri specializzati nelle pari opportunità, istituzioni locali pubbliche, organismi dedicati alle politiche del lavoro - che favorisca la partecipazione femminile ai processi decisionali. Studio ed elaborazione di Linee Guida Europee per una comunicazione orientata al genere, disponibili on-line. Servizi Osservatorio Donna Una Linea Verde 800-097.999 a disposizione di tutte le donne residenti in Milano e provincia per ricevere informazioni e orientamento ai servizi territoriali e consulenze dirette con esperti in diverse materie specialistiche. Una ricca banca dati di 5000 servizi pubblici e privati, e una sezione on-line denominata “I numeri delle donne” dove trovare statistiche e ricerche sulle tematiche di genere. Seminari di approfondimento su tematiche di interesse e attualità. Spazio Rosa Corsi formativi specialistici per le donne per promuovere il proprio progetto personale e professionale; colloqui individuali e di gruppo per orientarsi nella ricerca del lavoro; incontri a tema sull’imprenditorialità e sui diritti nel mondo del lavoro; informazioni e orientamento ai servizi presenti sul territorio per conciliare lavoro e famiglia. Pink Card Carta gratuita per usufruire di agevolazioni per salute, benessere, casafamiglia, formazione, cultura e tempo libero. Donne In Politica Percorso formativo per avvicinare le donne alla vita politica, per favorirne l'accesso e l'affermazione nelle assemblee politiche e nelle cariche elettive. Sito Donne Strumento di informazione per conoscere le iniziative organizzate sul territorio per le donne, le ultime news per le imprenditrici, le pubblicazioni e i dati statistici di genere più attuali. Il gruppo di lavoro Nicoletta Vigorelli Responsabile Servizio Politiche di Genere e progetti speciali Barbara Tommasi Responsabile Osservatorio Donna Rosangela Zucchetti Antonia Francavilla Marina Locatelli Donatella Gazzoni Patrizia Tossi, addetta stampa Cinzia Maddaloni e Giovanni Insigne, collaboratori per i progetti europei marzo 2008 Servizio Politiche di genere e progetti speciali Direzione Generale [email protected] www.provincia.milano.it/donne A cura di Nicoletta Vigorelli Redazione Antonia Francavilla, Cinzia Maddaloni, Patrizia Tossi, Barbara Tommasi Copertina Luca Romano