Atti del Convegno Nazionale per la Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2012 Madre Terra: Alimentazione, Agricoltura ed Ecosistema 21 novembre 2012, Facoltà di Ingegneria, Sapienza Università di Roma ____________________________________________________________________________ Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO
2 Nota: questo volume raccoglie le trascrizioni degli interventi dei relatori che hanno preso parte al Convengo Centrale per la Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2012. Si tratta di trascrizioni degli interventi rivolti al pubblico, quindi non nati in origine per essere in forma scritta. Eventuali refusi, errori e/o imprecisioni sono imputabili al lavoro di stesura, e non ai relatori. 3 INDICE DEGLI INTERVENTI PARTE PRIMA: PRESENTAZIONE DELLA SETTIMANA UNESCO DI EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE 2012 4 Prof. GIOVANNI PUGLISI 5 Prof. VINCENZO NASO 8 Prof. MARIO PIANESI 10 Prof. GIANNI MATTIOLI 11 PARTE SECONDA: ALIMENTAZIONE, AGRICOLTURA E SVILUPPO: STRATEGIE E POLITICHE INTERNAZIONALI Prof. MASSIMO SCALIA Prof. RICCARDO VALENTINI Dott. STEFANO LEONI Dott. CESARE RONCHI Dott. VITTORIO COGLIATI DEZZA Prof. GIOVANNI SCARANO Dott. MAURO GAMBONI 13 14 15 18 19 20 22 24 PARTE TERZA: AMBIENTE, AGRICOLTURA E SVILUPPO UMANO Prof. PAOLO OREFICE Prof. PASQUALE DE MURO Prof. CARLO FELICE CASULA Dott.ssa MARIA TORRESANI 26 27 29 31 33 PARTE QUARTA: ALIMENTAZIONE, EDUCAZIONE E SALUTE Dott.ssa ANTONELLA CASSISI Dott.ssa STEFANIA BORGO Dott.ssa VICHI DE MARCHI Dott.ssa LAVINIA GASPERINI Dott. ERNESTO MARZIANO Dott. MARIO VALLE 35 36 37 39 41 43 45 4 PARTE PRIMA: PRESENTAZIONE DELLA SETTIMANA UNESCO DI EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE 2012 5 Prof. GIOVANNI PUGLISI Presidente della Commissione Nazionale Italiana UNESCO Desidero dare il benvenuto a tutti Voi, in questa giornata che rappresenta il momento centrale della Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2012, che abbiamo voluto dedicare al tema “Madre Terra: Alimentazione, Agricoltura ed Ecosistema”, data l’importanza strategica di questi tre elementi nella promozione dello sviluppo sostenibile. Sono felice di poter dire che quest’anno abbiamo stabilito un “record” di partecipazione alla Settimana: più di 800 iniziative organizzate in tutta Italia. Oltre al dato quantitativo, sono contento di constatare che anche il livello qualitativo è molto cresciuto negli anni, dimostrando una grande maturità, consapevolezza e impegno dalla parte della società civile. Dalla recente conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Rio, “Rio+20”, dai recenti “Colloqui sull’Ambiente” di Dobbiaco, dal recente Congresso Mondiale di “Slowfood”, sono emersi dati preoccupanti sulle condizioni del suolo del nostro Pianeta. Ogni anno circa 20 milioni di ettari di territorio coltivabile, pari alla superficie della Spagna, diventano improduttivi. Un terzo di questi si trasforma irreversibilmente in deserto. Il suolo costituisce una risorsa naturale tra le più importanti dell’ecosistema cui offre servizi assolutamente insostituibili. Il nostro modello di sviluppo lo pone in condizioni di grave pericolo, a causa di un atteggiamento, di soggetti pubblici e privati, di sfruttamento intensivo. L’inquinamento, la cementificazione, l’ampliamento continuo delle reti di comunicazione a livello globale, il disboscamento, le problematiche legate alle risorse idriche stanno causando in tutto il Pianeta un’erosione preoccupante dei terreni. Una situazione che rischia di essere esplosiva anche per via della dinamica di aumento della curva demografica. La progressiva diminuzione di suolo e di terreno coltivabile fertile non risparmia nessuna area del Pianeta, con ovvie e drammatiche ripercussioni nei Paesi meno sviluppati del Sud o dei Sud del Mondo, dove all’emergenza ambientale si somma la più grande vergogna della nostra società: la fame. In una società opulenta come quella nella quale viviamo, non ci rendiamo assolutamente conto di quello che accade in alcune parti del Sud del Mondo. Ad esempio l’Africa: proprio dopodomani a Palermo parteciperò alla Quinta sessione del Forum sull’Africa, organizzato dalla Fondazione Sicilia e dallo Studio Ambrosetti di Milano. Una occasione in cui ricorderemo come l’Africa venga spesso “utilizzata” in termini culturali solo per quello che possiamo sfruttare, ma non per ciò che possiamo dare. E uno dei temi drammatici dell’Africa oggi è la fame, che deriva da due elementi: l’analfabetismo e l’incapacità di sviluppare politiche sostenibili di mantenimento e/o incremento delle risorse naturali. Alla fertilità dei territori e al suolo sono strettamente legati appunto il tema dell’alimentazione, la qualità e l’accesso al cibo, diritti primari dell’Umanità. Nella Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite tutti i Paesi Sviluppati presenti all’Assemblea hanno sottoscritto l’impegno di dimezzare la fame nel Mondo entro il 2015. In questi dieci anni, nonostante i progressi, si è riusciti ad affrontare il problema della denutrizione solo per il 15%. Arrivare al 50% in tre anni, a mio giudizio, è un’operazione abbastanza eroica, per non dire impossibile, ma deve divenire possibile, a patto che si investa con coraggio e concretamente in politiche adeguate. 6 A ciò si aggiunga che l’agricoltura a livello globale si trova in una situazione paradossale. Da un lato i Paesi Industrializzati coltivano e producono ben oltre la loro domanda reale, cercando di aumentare continuamente la produttività e, quindi, lo sfruttamento del suolo. Dall’altra i Paesi così detti “in via di sviluppo”, poveri di terreni coltivati, mezzi tecnici e capitali, e stretti dalla morsa della fame, cercano di aumentare le loro superfici coltivate, disboscano intere regioni, mettono a coltura terre marginali e sperano nei ritrovati delle nuove bio-­‐tecnologie, che vedono come un possibile rapido contributo alla soluzione dei loro problemi alimentari. Chiaramente tutto questo lascia molto spazio ad un’industria che è quella del prodotto alimentare di natura artificiale, che produce ricchezza per chi sta in questo mercato, in modo non sempre lecito, e spesso danni. Un’attenzione particolare merita il ruolo delle donne nell’agricoltura. Esse svolgono la maggior parte del lavoro agricolo nei Paesi in via di Sviluppo e spesso ne subiscono le condizioni di lavoro peggiori: salari bassi e scarsa protezione sociale. Le donne sono spesso escluse dalla proprietà dei terreni, dalla gestione delle attività, dall’accesso al credito, dalle decisioni delle proprie famiglie, così come dalla vita pubblica e dalla rappresentanza politica. La sfida dello Sviluppo Sostenibile richiede, quindi, un cambiamento radicale di tipo culturale. È indispensabile diffondere conoscenza, consapevolezza, informazione e promuovere capillarmente attraverso tutte le nostre istituzioni, soprattutto le scuole, le Università, le organizzazioni di cittadini, comportamenti e buone pratiche rivolte al rispetto e al ripristino dell’ambiente e delle risorse comuni; questo tipo di politica è in qualche modo prodromica ad una visione educativa sullo Sviluppo Sostenibile. Il decennio 2005/2014 è stato proclamato dall’UNESCO “Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile”. Io vorrei ricordare il precedente storico di questo Decennio, rappresentato dal decennio 1995/2004 dedicato all’”Educazione alla Cultura della Pace”. Voglio qui affermare che la pace si raggiunge solo con una vera politica di disarmo, che significa mettere “a silenziatore” le industrie che producono le armi, e attraverso una diversa distribuzione delle risorse nel Mondo. L’UNESCO sa che fin quando un terzo dell’umanità consumerà come i due terzi dell’umanità, fin quando i dati sulla fame del Mondo rimarranno quelli attuali, non potrà esserci Pace nel Mondo. Educare alla Pace vuol dire educare ad uno Sviluppo Sostenibile, cioè ad una distribuzione equa delle risorse che sia compatibile con la distribuzione demografica dell’umanità e con la valorizzazione paritaria delle culture. E questo significa per esempio cominciare a rispettare il diritto dei popoli all’autodeterminazione. È doveroso, quindi, denunciare che quando, pochi mesi orsono, l’UNESCO ha votato l’ammissione della Palestina, la reazione degli Stati Uniti è stata drammatica: il taglio lineare dei contributi seguito da comportamento analogo da parte di Israele e dell’Australia. Una vera e propria rappresaglia che dovrebbe indignare la comunità mondiale. Perché togliere le risorse a queste Agenzie significa, come ricaduta, danneggiare tutta l’Umanità. La campagna per l’attuazione del DESS in Italia è promossa da questa Commissione con iniziative come quelle che stiamo vivendo in questa giornata. Quest’anno le iniziative sono oltre 800, come ricordavo un numero cresciuto lungo i 7 anni del DESS. Si tratta di iniziative fatte con un grande spirito di buona volontà da parte della Commissione e con un grande impegno da parte di alcuni amici. Il tema che quest’anno è stato scelto è “Madre Terra: Alimentazione Agricoltura ed Ecosistema”. Un’iniziativa che l’Italia sta vivendo bene; ricordo che l’UNESCO ha riconosciuto come “sito immateriale” la Dieta Mediterranea che l’Italia condivide con altri Paesi che si affacciano sul “Mare nostrum”. 7 Il contributo del nostro Paese, quindi, può e deve essere importante ed ognuno di noi può offrire il suo personale; dovremo avere il coraggio di prendere con le mani questo Mondo, per quello che ciascuno di noi è capace di fare per costruire una umanità migliore. Chiudo con i doverosi e sentiti ringraziamenti: vorrei ringraziare in particolare Istituzioni, scuole, associazioni che hanno aderito a questa iniziativa e tutti i numerosi partner che hanno reso possibile tutto questo con poche risorse. Ringrazio il mio amico Professore Enzo Naso e il suo CIRPS sia per questa bellissima sala che per il contributo del suo Centro al DESS e, se mi permette, attraverso di lui vorrei ringraziare il Magnifico Rettore Professor Frati. Mi preme ringraziare il Segretario Generale della Commissione che presiedo, l’Ambasciatore Lucio Alberto Savoia e tutti i funzionari del Segretariato della Commissione UNESCO, in particolare la dott.ssa Maria Torresani del Settore Scienze. Voglio citare, in questo ringraziamento complessivo, le nostre stagiste Amalia Verzola, Liliana Mota, e Jessica Buttazzo. Consentitemi poi di ringraziare il dott. Filippo Delogu che assicura da anni la sua collaborazione al DESS. Un ringraziamento al Comitato Scientifico e un ringraziamento particolare a UPM -­‐ Un Punto Macrobiotico che, come sempre, e quest’anno più che in altri anni, è stato attento, pronto e disponibile per sostenerci incondizionatamente. Vorrei ringraziare anche Poste Italiane e LSWN Le Scienze Webnews con il suo direttore Enrico Damiano, per il loro contributo a questa iniziativa. Infine un sentito ringraziamento va all’Architetto e illustratore Carlo Stanga che con le sue opere ci dona, da qualche anno ormai, “illustrazioni simbolo” della nostra campagna che raccolgono insieme il senso del bello ed il senso della concretezza. Si dice che il bello salverà il Mondo, io credo che la bellezza potrà salvare il Mondo solo se questa sarà unita ad un’altra categoria: la Bontà. Gli antichi Greci avevano coniato una bellissima espressione, la “kalokagathia”, “bello e buono” insieme; ecco, questa illustrazione suscita in me l’idea di bellezza che evoca necessariamente anche la bontà. Grazie e buon lavoro. 8 Prof. VINCENZO NASO Direttore del CIRPS, Università La Sapienza di Roma Caro Presidente Puglisi, siamo noi che ti dobbiamo ringraziare per averci scelto per celebrare questa iniziativa. Tu mi consentirai di fare qualche piccola chiosa al tuo discorso perché la tua lucidità, il tuo realismo e anche una certa non ipocrisia stimola delle riflessioni. Comincio con una riflessione di carattere accademico, visto che siamo anche colleghi. Hai fatto bene a citare il disinteresse che deve alimentare chi fa ricerca, in particolare in questo campo, proprio perché questa sta diventando sempre più globale, sempre più trans-­‐disciplinare. Io pongo una questione accademica e parto dal constatare che i ricercatori migliori di queste aree nei prossimi decenni incontreranno difficoltà se le Università non si attrezzeranno a capire che non serve solo il grande specialista di una disciplina, se non la smetterà di ragionare in termini concorsuali pensando a raggruppamenti molto rigidi. Faccio l’esempio di una nostra collega del CIRPS, che si sta occupando proprio di Scienza della Sostenibilità che si deve porre il problema di come qualificarsi per diventare Professore, da ricercatrice, dato che si trova in un raggruppamento di Ingegneria per ragioni che potete immaginare, ma in realtà è un ricercatore di Agronomia e di Sostenibilità. La mia seconda riflessione è relativa alle armi. Le Università continuano a fare ricerca anche in questo settore usufruendo così di grandi finanziamenti con una ipocrita clausola: “lo facciamo purché la ricerca sia soltanto difensiva”. Si producono cannoni ma per usarli solamente per difendersi: una cosa che la dice lunga sul fatto che bisogna affrontare questi problemi con meno ipocrisia. Terza e ultima riflessione: a lezione quando parlo del problema energia-­‐ambiente e dei cambiamenti climatici, affermo che è estremamente grave, ma ineluttabile, che alcuni tipi di cambiamenti diventino realizzabili solamente solo quando ottengono il consenso dell’intera umanità. Come esempio porto il caso del rinnovo del Parco elettro-­‐
generatore Italiano che è avvenuto tra il 2003 e il 2009. Siamo diventati un paese moderno dal punto di vista dei sistemi di produzione di energia elettrica, solo perché nel 2003 siamo stati per 2 volte senza energia elettrica per più di 24 ore. Possibile che si debba passare necessariamente attraverso dei disastri di questo genere? I numeri ci dicono che oggi consumiamo 14 miliardi di tonnellate di petrolio all’anno, producendo cambiamenti accelerati del clima e senza visione di futuro dato che si tratta di fonte esauribile. Lo sappiamo tutti. Perché non facciamo qualcosa per cambiare? Tornando ai discorsi relativi al tema della giornata vorrei parlare del nostro Centro inter-­‐
universitario che si occupa di sviluppo sostenibile in generale e, quindi, della sostenibilità anche dell’attività agricola; abbiamo 5 Facoltà di Agricoltura all’interno del CIRPS. Questo nostro Convegno è stato preceduto dalla costituzione di una Fondazione, che insieme alla FAO, ha come tema la Sostenibilità in Agricoltura attraverso un progetto particolare che la FAO ha varato qualche anno fa con l’acronimo GIAHS e cioè Globally Important Agricoltural Heritage Systems. Si parte dall’idea che l’agricoltura tradizionale ha funzionato per millenni, poi progressivamente, in poche decine di anni, è stata schiacciata o come dire assorbita, ma senza che ne venisse in realtà metabolizzata l’idea di sintesi. “L’agricoltura tradizionale”, leggo il manifesto di fondazione di questo progetto, “è una forma di agricoltura che si è sviluppata come risultato della co-­‐
9 evoluzione di sistemi sociali e ambientali. Questa agricoltura tradizionale mostra un elevato livello di razionalità ecologica, realizzato attraverso l’uso delle conoscenze locali e delle risorse naturali locali, includendo anche la co-­‐gestione dell’agro-­‐biodiversità dei sistemi colturali”. In un certo senso, per un gioco di parole qui ci sono sia l’agricoltura, nel senso di coltivare, che l’agricultura come insieme di sistemi anche tecnologici, poverissimi magari ma tecnologici, che consentono di andare in una direzione che prima era non solo sostenibile ma addirittura appagante. Abbiamo firmato un Memorandum of Understanding, con la nostra fondazione attiva da poco e con l’obiettivo non di fare guerra ad altre soluzioni, ma di affiancarle con qualche cosa di originale e soprattutto di sostenibile. Grazie 10 Prof. MARIO PIANESI Ideatore, Fondatore e Presidente Associazione Internazionale UPM Un Punto Macrobiotico Grazie al Presidente Prof. Giovanni Puglisi; mi sento onorato di essere qui con voi. L’aria, l’acqua, la terra, danno vita ai semi, di Vegetali prima, degli Animali poi… tutti possiamo vivere grazie ai semi. Grazie all’insegnamento di mio padre, che coltivava il suo orto lasciando sempre la pianta a seme… (non seguiva la moda di comprare i semi delle multinazionali) ho capito il significato dell’AUTONOMIA. Credo che dobbiamo ringraziare tutti coloro che, per millenni, ci hanno tramandato questa grande saggezza… Circa 40 anni fa, dopo aver fatto esperienze molto interessanti, ho deciso di seminare diversi cereali: Orzo, Miglio, Segale, Avena, Grano, etc., diversi ortaggi: Carota, Cipolla, Lattuga, etc. alcuni legumi: Borlotti, Ceci, Lenticchie, etc. Il tutto sparso con un rastrello, e lasciato in balia dei diversi agenti, opposti-­‐complementari, naturali… Dopo 3 anni si era realizzato un orto naturale, comprensivo sia delle piante spontanee, che di tutte quelle che avevo aggiunto io. Sono cresciute, maturate, cadute e… ricresciute, maturate, cadute, etc. Cereali, Verdure, Legumi si sono “ripuliti” rinforzati, inselvatichiti. Li ho successivamente distribuiti a diversi contadini locali, poi nazionali ed infine alle varie delegazioni che hanno accettato di fare parte del “Progetto Diabete”. Finalmente, grazie al Prof. Francesco Fallucca, abbiamo realizzato il “Progetto Diabete” in Italia. Vi invito a leggere le diverse pubblicazioni scientifiche, che dimostrano i risultati che sono stati ottenuti nell’ambito di questo progetto. Tutto questo grazie ai semi “INSELVATICHITI” che sono essenziali in tutte le mie diete MA-­‐PI. Dopo l’Aria, l’Acqua è il 2° cibo “ESSENZIALE” per la vita. Eppure ancora oggi, qui a Roma, trovo un’acqua che ha un rapporto Na-­‐K di 18 di Na e 2 di K… Sono passati circa 40 anni, da quando ho letto (tra gli altri) certi testi di medicina che al tempo dicevano che c’è, ad esempio nel cuore, un rapporto ottimale tra 1 di Na e 7 di K per un funzionamento reputato normale. E quindi c’è da chiedersi, cosa succede nel cuore, quando si beve, o si cucina con certi tipi di Acqua? Per chiudere, ricordo che oggi è disponibile qui il mio “Manuale di Alimentazione CI-­‐HA”, che ha tra l’altro ottenuto il “Riconoscimento DESS” per il suo significativo contributo al Decennio di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2005-­‐2014. Concludo ricordando che tutti noi siamo figli della MADRE TERRA, e solo rispettando, ammirando, ringraziando, comprendendo, valutando tutto ciò che essa ci offre spontaneamente, potremmo vivere finalmente da “UMANI”. Ringrazio tutti e ho il piacere di cedere la parola all’amico Prof. Gianni Mattioli. 11 Prof. GIANNI MATTIOLI Presidente del Comitato Scientifico per il Decennio UNESCO dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile Vorrei iniziare dalla mia più viva soddisfazione nel riscontrare in quest’appuntamento annuale del DESS una crescita continua di questa rete, che ormai si è infiltrata un po’ ovunque in Italia con le sue iniziative nelle scuole, ma anche nelle sedi delle amministrazioni locali, soprattutto con la passione di chi ci lavora in modo di arrivare poi ogni anno a Novembre a trattare i temi scelti in questi anni: dall’energia, ai cambiamenti climatici, all’acqua, ai rifiuti approdando oggi a “Madre Terra”. Voglio associarmi al Presidente Puglisi nel ringraziamento in particolare di Maria Torresani e di Filippo Delogu perché tutto quello che è stato messo in opera è anche e in grande misura il risultato del lavoro di questi amici. Questa giornata ci aiuta a capire sempre di più che, pur nella massima attenzione scientifica alla questione dei cambiamenti climatici e dell’energia, tutto quello che è necessario fare per risolvere i problemi si muove soltanto se c’è un profondo cambiamento di stili di vita, altrimenti di tutto restano solo bei progetti e buone intenzioni che insegniamo nelle università ma che non cambieranno la realtà dei fatti. Cambiamento di stili di vita, e questa è la ragione, la cultura di cui è portatrice l’UNESCO. La prima riflessione che vorrei proporre è legata all’urbanizzazione: certo non l’avremmo pensato quando un secolo fa anche in questo Paese c’era la fuga dalle campagne, ma oggi questa è una questione di grande spessore, misurata dal fatto che siamo costretti a ritornare alla terra. Il ritorno alla Madre Terra, non solo per tutto quello che è stato detto come tutela della salute, ma anche per la questione energetica; il nostro modello di sviluppo aggredisce tutte le risorse naturali a partire dal suolo e sottosuolo. In un Paese come il nostro, ma non solo, che sta franando da tutte le parti, riemerge il ruolo dell’agricoltura, delle colture appropriate nelle zone per battere da una parte l’erosione, dall’altra il dissesto idrogeologico. Tutte tematiche che fanno dell’agricoltore una figura centrale a cui tornare a dare la giusta importanza e anche remunerazione. Un’agricoltura che urge di ampie competenze e questa è la mia riflessione conclusiva. Si è pensato di tornare alla terra, per esempio, sul terreno delle colture a finalità energetica, ma la terra richiede rispetto delle sue regole complesse. Basta ricordare la produzione di biogas attraverso la digestione anaerobica degli “scarti” di campagna: dopo il grande entusiasmo iniziale ora scopriamo che quella fermentazione produce batteri patogeni per gli animali e per l’uomo. Allora questo è uno degli esempi che ci fanno capire che noi sì dobbiamo tornare alla terra ma tornarci con quella paziente, accurata osservazione della complessità. Lasciate qui allora che io termini con il mio entusiasmo perché Mario Pianesi ha saputo ideare questa teoria e pratica che si chiama la Policoltura Ma-­‐Pi, che rilancia un’Agricoltura che è attentissima alle regole della natura. Oggi si pensa, coltura di cereali e quindi ettari tutti coltivati a cereali; nella Policoltura invece c’è la consociazione, c’è il 12 cereale ma c’è l’albero da frutta, c’è la verdura, etc. Lì l’albero apporta quell’umidità che fa sì che non ci sia quell’enorme bisogno di andare in falda a prelevare l’acqua. Vi confesso che dopo decenni di ambientalismo, sono entusiasta nel vedere come in questi anni la Cultura di Un Punto Macrobiotico ha creato questa ricostruzione della diversità e della complessità. Vi confesso che i primi anni andavo ai Convegni di UPM non perché fossi convinto, ma solo come cortesia verso Mario Pianesi, fino a che non ho potuto toccare con mano i risultati concreti in termini di sostenibilità ambientale ed anche economica delle sue proposte. UPM è un grande esempio, ma ci sono oggi nella nostra società altri esempi di persone che interiorizzano, non semplificano, ma vivono il ruolo del sapere, dei saperi e molte di loro ne vedo in sala e credo che mi si possa concedere questo momento di entusiasmo, perché è vero che questo tempo è un tempo difficile, ma di formichine che lavorano e portano avanti il loro pezzetto di strada ce ne sono e noi le ringraziamo e ne siamo ben contenti. 13 PARTE SECONDA: ALIMENTAZIONE, AGRICOLTURA E SVILUPPO: STRATEGIE E POLITICHE INTERNAZIONALI 14 Prof. MASSIMO SCALIA Presidente del Comitato Scientifico per il Decennio UNESCO dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile Questa mattina hanno parlato in tanti, ma credo che la protagonista principale sia stata la Madre Terra, con la complessità dei suoi cicli, la complessità dell’interazione tra l’attività dell’uomo e natura. Si è parlato di semi e Mario Pianesi, con la sua esperienza, ci è stato d’insegnamento; mi ricorda gli eroi delle favole russe, dove l’eroe che sta sempre per soccombere tocca terra e la “Madre Terra” gli dà energia, lo rianima e lo fa vincere. Ora, invece, vorrei ricordare Rachel Carson e la sua “Primavera Silenziosa”, non soltanto perché ne ricorre il cinquantennale, ma perché la Carson si dimise dall’Istituto della Marina degli Stati Uniti, nel quale lavorava come Portavoce dell’Ufficio Stampa, proprio per potersi mettere a studiare. Dopo cinque anni, nel 1962 pubblicò un’opera, prima della “Primavera Silenziosa”, che ha moltissimo a che vedere con quello che diciamo oggi. I temi del suo libro sono presi come basi dell’Ambientalismo moderno, perché contengono tutte le caratteristiche di grande documentazione realizzata con serietà scientifica con capacità di impattare con i grandi interessi economici. Per chi ha parteggiato per l’Ambientalismo, per il “ritorno” dell’Arcadia, come il ritorno alla Natura in mezzo alle Ninfe che suonano, possiamo dire che questa può essere una visione che ha una qualche legittimità, ma non è la visione dell’Ambientalismo moderno che nasce appunto come grande battaglia. A proposito dei temi di oggi guardate chi si mosse con potenza contro il libro della Carson, che ovviamente venne accusata sul piano politico di essere “comunista”: chi smontò la sua campagna fu la Monsanto, neanche a farlo apposta.. Questo perché dava una proposta concreta contro i pesticidi, contro la cultura intensiva, che uccideva il famoso lago che dava origine al titolo del libro. Questo assetto è l’assetto di tutte le grandi battaglie ambientaliste degli ultimi 50 anni: competenza scientifica, capacità di leggere la realtà, scontro con i poteri costituiti che cercano di nascondere la realtà per quella che è. Mi fa piacere ricordare che a seguito di questo conflitto l’EPA, l’Agenzia della Protezione Ambientale degli Stati Uniti, venne sottratta dal Ministero dell’Agricoltura, dimostratosi molto pro-­‐Monsanto. Tutto questo a favore di una sua maggiore autonomia nel corso degli anni ’80 / ’90. Ciò detto, penso che possiamo passare a questa seconda sessione cominciando con il Professor Riccardo Valentini, che fa parte di un raggruppamento del IPCC a cui nel 2007 è stato assegnato il NOBEL proprio per l’azione svolta sul terreno dei cambiamenti climatici e la drammatica situazione associata a queste problematiche. 15 Prof. RICCARDO VALENTINI Premio Nobel per la Pace , IPCC CMCC Centro Euro-­‐mediterraneo sui Cambiamenti Climatici Prima di tutto il riferimento a Rachel Carson mi è molto caro e vorrei aggiungere anche il riferimento al grande gruppo del “Club di Roma” che ha in qualche modo anticipato tutta una serie di problemi che noi oggi dobbiamo affrontare, cercando di capire qual’è il vero “limite della crescita”. A quei tempi mettere in discussione il “Boom economico” veniva considerato un’eresia, ma oggi è un po’ triste essere testimoni e in qualche modo misuratori dei cambiamenti che stanno avvenendo nel Pianeta. Il mio intervento è legato ai cambiamenti globali dell’Agricoltura e vorrei provare ad indicare quelli che sarà necessario attuare in futuro. Partiamo dal fatto che noi oggi siamo in una nuova era della vita del nostro Pianeta: la popolazione cresce in modo esponenziale, il consumo d’acqua altrettanto, la popolazione urbana cresce, l’uso dei fertilizzanti e l’anidride carbonica sono in crescita; è un mondo caratterizzato da crescita esponenziale dell’impatto antropico. Questo è il segno che l’uomo ha superato i confini di quello che era il suo impatto passato, più misurato nei confronti dell’ambiente; oggi invece l’uomo è predominante. Alcuni scienziati l’anno scorso hanno cercato di mettere insieme tutte queste informazioni e porsi il problema “siamo in uno spazio operativo ancora sicuro per l’Umanità oppure abbiamo superato alcune soglie?”. I fenomeni che ci interessano sono altamente non lineari; non è solo questione di progressivo degrado, ma del problema del raggiungimento delle soglie oltre le quali si rischia la catastrofe. Un articolo scientifico del 2011 ha posto alcune di queste domande e si è arrivati sostanzialmente ad un consenso nell’affermare che vi sono tre elementi che ormai considerati “condannati”, in cui abbiamo già superato la soglia dell’irreversibilità del danno: la biodiversità, i cambiamenti climatici e il ciclo dell’Azoto. Per gli altri fenomeni siamo ancora all’interno di uno spazio operativo possibile, per altri ancora non conosciamo ancora bene il limite stesso. Per esempio, l’inquinamento chimico non è stato ben affrontato, non avendo dati a sufficienza per poter dimostrare tesi ben precise. Se guardiamo quello che succede oggi, ci sono poche discussioni sul fatto che stiamo sovraccaricando l’atmosfera con lo sfruttamento di combustibili fossili. Dai dati satellitari si vedono molto bene i livelli di emissione di anidride carbonica, che seguono, appunto, un andamento stagionale; in inverno sono maggiori. Ci sono poi fenomeni di emissione di CO2 durante la stagione secca, ad esempio in Africa, con gli incendi delle savane e la deforestazione. L’uomo sta “impattando” in modo intenso e globalmente sull’atmosfera terreste. L’anidride carbonica è un gas a effetto serra che produce riscaldamento globale. È stata calcolata una probabilità: se continuiamo così avremo il 50% delle probabilità che nel 2030 la temperatura si innalzi di 2 gradi centigradi. Il riscaldamento è già in atto: la calotta artica dal ’79 al 2003 si è ridotta, nel 2009 ancora di più, tant’è vero che oggi abbiamo il famoso Passaggio a Nord-­‐Ovest, che è una nuova rotta commerciale che ci permette di collegare certe parti del Mondo e che darà pure un beneficio economico ma che comporta un danno ambientale enorme. 16 L’Agricoltura è centrale rispetto a questa questione: subisce impatti in termini di cambiamenti climatici, ne viene compromessa la capacità produttiva e allo stesso tempo è essa stessa responsabile, in parte, dell’emissione di gas serra. Ci sono dati, frutto di approfondite ricostruzioni storiche, che mostrano che con l’avanzare del processo tecnologico e la selezione di varie specie abbiamo raggiunto un limite in cui le rese agricole sono in stagnazione oggi e saranno in ulteriore diminuzione domani. Questo crea grande preoccupazione per la sicurezza alimentare dei Paesi, preoccupazione incrementata dal rischio dei fenomeni climatici estremi: stiamo registrando un trend lineare di aumento dei fenomeni estremi e per i coltivatori questo tipo di variabilità climatica può essere drammatica. Inoltre, nelle dinamiche odierne, la popolazione sta crescendo, ma c’è anche un aspetto qualitativo; nel 2010 si è superato il 50% di popolazione urbana. Cioè nel 2010 il 50% della popolazione era ancora rurale, da quell’anno in poi la popolazione mondiale sta diventa sempre più urbana e meno rurale. Allora ci poniamo un problema: chi coltiverà la terra in futuro? Come ci procureremo da mangiare? Non solo, il cittadino urbano non è un cittadino normale, è un uomo diverso, tant’è vero che ha delle esigenze diverse, mangia cose velocemente, mangia cibi in scatola. Il cibo deve arrivare dalla campagna alla città e sappiamo quanto la distanza possa creare problemi di deperibilità. Questo “uomo urbano”, che in questo momento si sviluppa soprattutto in Africa, nel Sud-­‐Est asiatico e in Sudamerica, porta con sè problematiche nuove. L’Agricoltura dovrà fare i conti con un cittadino nuovo Descrivo un problema, personalmente non vorrei avere una popolazione mondiale prevalentemente urbana, ma questa è la realtà dei fatti. C’è una domanda diversa, cambiamenti di stili di vita, cambiamenti culturali, un problema degli sprechi di cibo sempre più grande (per inciso, in città si spreca molto di più, in campagna non esiste lo spreco). E nello stesso tempo ci sarà molto più confezionamento, plastica, molta più energia impiegata. Un’altra riflessione riguarda l’emissione di anidride carbonica (0,9 miliardi di tonnellate ogni anno) causata dalla deforestazione tropicale; in parte viene riassorbita dalla vegetazione, ma in larga parte viene emessa e il bilancio è sempre e comunque negativo. E poi c’è il tema della crisi agroalimentare; c’è veramente una situazione di crisi? I problemi presentano due paradossi. Il primo paradosso è che abbiamo nelle società industriali un problema di obesità, di eccesso di cibo, anche nei bambini, che hanno delle aspettative di vita molto più ridotte, e poi dall’altro lato bambini che muoiono di fame: un paradosso veramente molto grave. Nello stesso tempo abbiamo un altro paradosso; lo spreco di cibo. Da una parte nei Paesi in via di Sviluppo l’accessibilità al cibo è un problema enorme, dall’altro il 30% delle produzioni mondiali di cibo si perdono. Pensate al cibo buttato perché è deteriorabile: mancano le capacità di trasportare il cibo dove può essere utilizzato. Anche noi abbiamo un 40% delle perdite di cibo perché lo buttiamo in casa, abbiamo più di quello che ci serve; 15/20 milioni di tonnellate di cibo che ogni anno in Italia vengono brutalmente buttate in discarica. Abbiamo speso energia e fertilizzanti e quant’altro per produrre quel cibo che poi non viene utilizzato, una follia! Un ulteriore problema riguarda gli stili di vita: in molti Paesi oggi si mangia molta carne. Più aumenta la ricchezza e più si mangia carne. In Cina, per esempio, negli anni ’40 si mangiavano 100 chili di riso all’anno pro-­‐capite, oggi se ne mangiano all’incirca 60 e la carne da 10 chili è diventata 60 chili. Un’inversione enorme delle abitudini alimentari 17 che ha comportato un esponenziale aumento delle importazioni di soja in Cina, usata per nutrire gli animali. Questo determina seri problemi di deforestazione. Inoltre, purtroppo, oggi il Mondo Agricolo è vittima di una grave situazione di speculazione. Le Azioni delle Imprese Agricole valgono molto dal punto di vista della possibilità di giocare in borsa e, quindi, i compratori muovono queste risorse comprando stocks agricoli. Questo crea un problema perché dietro a queste manovre ci sono delle persone; non stiamo parlando di cose astratte o di beni di lusso di cui si può fare a meno: parliamo di cibo e chi ne fa le spese sono i Paesi che ovviamente devono comprare e non hanno risorse per farlo. L’altro elemento è questa modalità di agricoltura, oggi molto intensiva: l’emissione di gas climalteranti imputabili all’agricoltura è pari al 15% del totale. Quindi l’agricoltura ha un ruolo in questo inquinamento atmosferico, agricoltura che sappiamo industriale; quindi, qual è la nostra via per uscirne? Oggi c’è un grande bisogno di nuove idee che possono riportarci verso una sostenibilità dell’uso del suolo. In questo il potere dei consumatori è un potere molto forte per esempio sull’agri-­‐industria, anche nel verificare se i prodotti sono più o meno inquinanti. Sappiamo che alcuni alimenti consumano enormi quantità di acqua. Questi sono tipi di indicatori che cominciano ad essere conosciuti e sono strumenti efficaci per i consumatori che possono influenzare i mercati. Concludendo, abbiamo gravi problemi sulla sostenibilità della nostra agricoltura che contribuisce al riscaldamento globale. Dobbiamo mettere insieme tutti i pezzi del mosaico per trovare delle strategie nuove che possono nascere da noi stessi, dal nostro modo di comprare, di acquistare, di vivere e, quindi, di influenzare le scelte dei vari governi. 18 Dott. STEFANO LEONI Presidente WWF Italia Come WWF oggi siamo principalmente tenuti a stimolare il cambiamento culturale sulla Sostenibilità e pertanto quello che noi facciamo è prendere i problemi e portarli alla conoscenza del grande pubblico. Il tema dell’Agricoltura rispetto alle tematiche ambientali è stato ed è un tema importante dato che l’agricoltura è un settore a cui vengono imputati danni ambientali. Perché c’è stato anche un cambiamento, ha detto bene poco fa Riccardo Valentini, basti pensare al consumo di prodotti animali con l’aumento dal 1961 ad oggi; aumento del 700% nel consumo di pollame, del 350% per quanto riguarda le uova, siamo intorno al 200% per quanto riguarda i bovini, oltre il 250% per quanto riguarda gli ovini. Confrontando gli impatti di diverse categorie produttive, l’agricoltura è una di quelle più “impattanti”, soprattutto per la perdita della biodiversità. Come WWF abbiamo, attraverso il nostro sito internet, fornito riferimenti per informarsi, ma indicazioni su azioni che concrete da intraprendere. Abbiamo cercato di rivolgerci anche alle imprese, cercando di conciliare nei territori rurali quelle che chiamiamo OASI; oggi queste corrispondono a qualcosa come 32.000 ettari complessivi. Alcune di queste aree hanno una evidente propensione agricola, e abbiamo quindi creato dei marchi utilizzabili dalle imprese che accettano certi criteri di sostenibilità. Secondo la Coldiretti, un pasto ci costa 2.000 km di trasporto: bisogna cominciare a lavorare sulla prossimità e far capire l’importanza della stagionalità dei prodotti. Un’altra iniziativa è la “Fattoria del Panda”, che cerca di portare chi fa attività agricola sul territorio a pensare una fattoria multifunzionale: l’agricoltore che può dare diverse prospettive di utilizzo. Il nostro sito inoltre promuove anche progettualità specifiche nel settore agroalimentare, come “Panda Club”, rivolto ai bambini. Forniamo poi suggerimenti, declinando priorità: iniziando da “dieci suggerimenti” per quanto riguarda il comportamento del buon consumatore. Calcoliamo poi l’impatto ambientale del proprio carrello della spesa: cioè mettiamo in condizioni il consumatore di comprendere quello che sta comprando, perché uno dei problemi è appunto capire qual è il costo ambientale della propria spesa. Quando si legge che all’inizio del ‘900 l’energia rappresentata dal prodotto agroalimentare era pari a quella consumata nel suo processo produttivo e che oggi il rapporto invece è di 1 unità di energia del prodotto alimentare e 100 consumate per produrlo, questo fa capire che c’è un disvalore incredibile. Quindi, cominciare ad informarsi, dare la possibilità d’informarsi al cittadino è fondamentale. Un'altra iniziativa è quella rivolta agli imprenditori agricoli, con la quale diciamo che è importante avere anche dei parametri di qualità come quello del rispetto della biodiversità”. Chi aderisce a questo progetto partecipa ad un censimento. Infine una ulteriore iniziativa è, su scala internazionale, quella di sfidare le imprese all’incremento quantitativo e qualitativo delle loro spese e investimenti ambientali. Sono tutti piccoli segni della nostra attività per la tutela dell’ambiente, che vuole favorire un cambiamento del modello di sviluppo, con particolare riferimento al mondo agroalimentare. 19 Dott. CESARE RONCHI BCFN -­‐ Barilla Center for Food & Nutrition Grazie per l’invito. Il BCFN, nato nel 2009, è un centro di analisi e di proposte dall’approccio multidisciplinare, di cui anche il Professor Valentini fa parte, e raccoglie esperienze e competenze qualificate a livello mondiale con l’obiettivo di approfondire temi legati all’alimentazione e alla nutrizione. Le aree di interesse sono legate all’ambiente, alla cultura e all’economia. Si è parlato di stili di vita, tra cui i tipi di dieta adottata, di alimentazione animale, della impiego dei prodotti agricoli per produzione di energia, in particolare in Nord America, e poi, da ultimo, degli sprechi lungo la filiera dalla produzione e consumo. L’indicazione fornita dal BCFN è quella di affiancare la classica piramide alimentare, che è alla base della Dieta Mediterranea, a quella ambientale. Il lavoro, che potete scaricare dal nostro sito, indica quali i cibi che sarebbe opportuno consumare con maggior frequenza e il loro impatto ambientale. Nello stesso lavoro si affronta il tema dell’importanza della nutrizione, non solo come forma di energia, ma per curare con la prevenzione persone di tutte le età. Vengono citati esempi di tipi di dieta che con un simile apporto di calorie, carboidrati e proteine, hanno diversi impatti ambientali in termini di emissione di CO₂, utilizzo dell’acqua, etc. A partire dalla doppia piramide, abbiamo effettuato l’analisi del ciclo di vita dei nostri prodotti (LCA), attraverso tre misuratori: CO₂, acqua e ambiente. In particolar modo oggi io vi parlo di quelli che sono stati i risultati ottenuti con LCA della pasta, uno dei nostri principali prodotti e quello maggiormente conosciuto a livello mondiale; l’analisi del ciclo di vita, è un viaggio che si fa dal campo fino al piatto di pasta. Il progetto che stiamo portando avanti da quattro anni, prima a livello teorico poi a livello pratico, è volto ad individuare quali sono i momenti critici durante la fase di produzione del grano duro per poi cercare di identificare possibili miglioramenti e sistemi per rendere più sostenibile la produzione. Abbiamo cercato di identificare i sistemi colturali più diffusi e quindi, attraverso una sperimentazione di campo, abbiamo identificato gli aspetti migliorabili. Barilla ha realizzato per questo il Decalogo per la Coltivazione Sostenibile del Grano Duro, e, in questa pubblicazione, si identificano i fattori più critici fornendo utili consigli. Nel corso delle attività di sperimentazione e divulgazione è stata evidenziata l’importanza di antiche tecniche associate alla moderna innovazione. Abbiamo evidenziato che l’utilizzo delle rotazioni è sicuramente è uno degli aspetti più importanti, sia per la difesa di Madre Terra, cioè dell’ambiente, sia per migliorare i risultati economici degli imprenditori agricoli. Abbiamo molte evidenze per cui utilizzare le conoscenze antiche, come appunto le rotazioni, insieme a moderni strumenti di assistenza tecnica agli agricoltori via web possa migliorare tutto il sistema. Stamattina si parlava di un agricoltore che deve avere una cultura ampia e diversificata: purtroppo questo non è sempre facile, ma si può cercare di dargli supporto e spiegare come può raggiungere certi obiettivi. I risultati ottenuti da questo studio mostrano che un’agricoltura basata sulla monocoltura, o comunque che utilizzi specie depauperanti, ha un maggiore impatto a livello ambientale ed è associabile direttamente a dei costi maggiori. Parliamo quindi di efficienza economica e non solo di difesa dell’ambiente. Concludo invitandovi a Grazie. 20 Dott. VITTORIO COGLIATI DEZZA Presidente di Legambiente Oltre a ringraziare dell’invito, considerato che siamo nell’iniziativa centrale della Settimana dell’Educazione per lo Sviluppo Sostenibile, vorrei fare qualche accenno a questioni educative, partendo da un aspetto: il nodo da affrontare è quello della sicurezza alimentare che ha due facce distinte ovvero la fame e la qualità degli alimenti. Partendo dalla sicurezza alimentare, un ideale campo cartesiano delle ascisse e delle ordinate viene disegnato da due elementi abbastanza semplici. Il primo credo che sia il paradigma che si ricava dalla famosa truffa del Metanolo nel Vino italiano. Molti probabilmente sono ancora troppo giovani e non sanno di cosa parliamo; della fine degli anni ’80, quando il modello di riferimento era quello di puntare tutto sulla grande quantità anche a costo di mettere a repentaglio la salute delle persone con queste sofisticazioni. L’altro asse che disegna il nostro campo è la crescita demografica. In troppi danno per scontato che nel 2050 l’aumento demografico sarà meccanicamente quello dei decenni trascorsi, ci sono demografi importanti, alcuni anche del Mondo dell’ambientalismo scientifico italiano, penso a Giuliano Cannata, che sostengono esattamente il contrario. Sostengono che siamo vicini all’inversione di tendenza e ormai già nel 2020 si presume che saremo sotto la fertilità per coppia di 2,2 bambini che è la soglia sostanzialmente dell’impossibilità dell’incremento demografico. Il che non vuol dire che diminuirà la popolazione ma che comincia a rallentarne l’aumento. Rallentando questo aumento verranno a cadere anche tutta una serie di speculazioni finanziarie, una serie di teorie economiche, una serie di guerre oggi in atto per “l’accaparramento” di terreni per l’agricoltura, e si definirà uno scenario totalmente nuovo. Ecco questi mi sembrano i due assi su cui ragionare in un Paese come il nostro. Nessuno di questi processi è automatico, né quello della qualità né quello della diminuzione demografica, tutti e due hanno effetti enormi sul piano antropologico, ma i cambiamenti antropologici vanno accompagnati. Da questo punto di vista sicuramente oggi il ruolo dell’agricoltura è un ruolo molto più significativo; è l’unico settore in cui si sta assistendo negli ultimi due anni ad un’inversione di tendenza in termini di occupazione giovanile tra l’altro nelle fasce medio alte della qualifica professionale, non nelle fasce basse. È una rivoluzione copernicana. Perché la scommessa vera oggi è l’azienda multi-­‐funzionale, è l’azienda che produce cibo, riduce le emissioni di CO₂, non solo perché l’agricoltura di per sè le cattura, ma soprattutto per lo sviluppo a misura d’azienda delle energie rinnovabili. Ecco questa è una nuova che fino a tre anni fa non era in campo. Significa che l’Agricoltura è oggi uno dei grandi assi della modernità, non è più un residuo del passato, è uno dei “pezzi” su cui si va a sviluppare una società diversa; per non parlare poi della cultura della “filiera corta” di cui bisogna dare atto alle organizzazioni agricole, in particolare alla Coldiretti che aveva aperto il fronte con il “Kilometro zero” su questa partita. E poi c’è anche il fatto dell’agricoltura biologica che peraltro presenta una contraddizione per l’Italia, perché noi siamo il Paese con la maggiore estensione agricola, della superficie coltivata con il Biologico, ma non siamo i primi consumatori del Biologico. Come ultimo elemento, si parla dell’agricoltura anche nella sua funzione di prevenzione del rischio idro-­‐geologico, perché tutti quanti sanno che soltanto la presenza fisica-­‐antropica dell’uomo nei terreni collinari riesce a tenere in piedi le opere infrastrutturali semplici (le canalizzazioni, i muretti a secco, la forestazione governata) che da sole riducono parte del danno. Il problema che noi abbiamo è quello degli stili di 21 vita; c’è un enorme sottovalutazione da parte della politica italiana della disponibilità degli italiani a cambiare gli stili di vita. La grande battaglia che bisogna fare in questa fase è di valutare il PIL con criterio economico sociale da sostituire al PIL attuale che, come sapete, misura solo un pezzetto della vita reale delle persone. Ecco, questo mi sembrerebbe diciamo il titolo che mi piacerebbe che avesse l’iniziativa UNESCO dell’anno prossimo, quindi, tra Alimentazione e Clima, produrre un PIL a misura d’uomo. 22 Prof. GIOVANNI SCARANO Cattedra di Economia dell’Ambiente, Università Roma Tre Per quanto la mia formazione sia avvenuta in una Facoltà di Agraria -­‐ avrei anche competenze per quanto riguarda l’alimentazione e la terra -­‐ di fatto sono un economista e questo mi rende forse un po’ una nota stonata in questo contesto e cercherò di spiegare perché. Innanzitutto perché gli economisti, è noto, sono portatori di una scienza triste. Ad esempio molte delle cose che sono state dette oggi sono, in onore di Malthus, approcci che vengono definiti neo-­‐maltusiani; che la popolazione cresca in modo esponenziale è un’idea maltusiana. Che siamo a un punto di svolta ormai è un dato empirico; la maggior parte dei demografi pensa che la popolazione si stabilizzerà sugli 11 miliardi entro il 2050. Ciò dimostra come molte proiezioni possono essere errate se fatte su lunghe distanze temporali. Ma vorrei spostare l’attenzione verso le relazioni sociali e soprattutto verso le relazioni internazionali, perché la giornata di oggi ha giustamente posto molto l’accento sull’iniziativa individuale, e sulle motivazioni individuali ma io, purtroppo, come economista, sono abituato a render conto del fatto che le volontà individuali devono fare i conti per lo meno con le strutture sociali, con le strutture istituzionali, con le strutture relazionali. La popolazione italiana è all’incirca lo 0,7% della popolazione mondiale. I consumatori consapevoli con orientamento biologico, ambientale, etc. sono una minoranza, definita soglia di fazione, cioè una tendenza. Tutti i fenomeni fortemente motivati culturalmente o potremmo dire anche ideologicamente, nel bene o nel male, tendono a creare i dubbi che crescono rapidamente ma tendono rapidamente ad assestarsi ad una soglia limite. Immaginate che i consumatori motivati siano il 10% della popolazione italiana, sarebbero lo 0,07% della popolazione mondiale. Quello che può fare l’Italia o i consumatori culturalmente motivati ha scarsa influenza a livello mondiale e, a fronte di questo, bisogna tener presente che a livello mondiale abbiamo 1,3 miliardi di Cinesi e 1 miliardo di Indiani a cui bisognerebbe dire che devono smetterla di ambire alla bistecca, dovendo continuare a mangiare la loro ciotola di riso come hanno fatto nelle ultime migliaia di anni. E su questo purtroppo c’è un problema, perché i Cinesi non sono tanto d’accordo. Forse dovremmo aspettare che 1,3 miliardi di persone abbiano raggiunto il nostro livello di opulenza perché passino a ridurre i consumi, ma in questo passaggio bisogna sperare che il Pianeta abbia una alta capacità portante. Questo significa che molti dei problemi di cui si sta discutendo sono in realtà problemi che si giocano nel bene o nel male a livello internazionale. I beni ambientali sono beni pubblici globali. Tra gli economisti è chiaro che un bene che abbia natura di bene pubblico presenta un problema fondamentale perché innesca, in qualunque meccanismo negoziale, il meccanismo del “free riding”: nessuno è disposto a cominciare, temendo che gli altri si avvalgano, senza contribuirvi, dei benefici generati dalla costruzione dei beni comuni. Questo è il problema sostanziale del gioco diplomatico rispetto ad un bene comune. Il raggiungimento di un obiettivo richiede dei costi e se il bene ha natura di bene pubblico, cioè non consente l’esclusione di chi non ha pagato il giusto costo per perseguire quell’obbiettivo, allora si innesca il meccanismo del “free riding”. E questo è uno dei motivi che spiega il fallimento strutturale e continuo dei grandi accordi globali. Siamo al 2012, l’ultimo anno degli obiettivi di Kyoto. Si sarebbero dovuti trovare da anni i nuovi obiettivi per il dopo Kyoto e di Kyoto neanche più si parla. Il 50% delle emissioni serra sono prodotti da Stati Uniti e Cina, gli Stati Uniti 23 sono sempre stati fuori dagli accordi di Kyoto, la Cina in quanto Paese in via di Sviluppo non vi è mai entrata. Quello che voglio dire è che ci troviamo a problemi fondamentalmente di “governance”, a livello mondiale, che crea un problemi di scelte collettive che possono essere risolti soltanto dalla presenza di motivi sovrani, che possono in qualche modo imporsi alle scelte individuali o singole. Il problema delle relazioni internazionali è che non esistono motivi sovrani, cioè non esiste un potere sovrano; l’ONU non è un potere sovrano capace in qualche modo di contemperare e di superare gli egoismi nazionali; quindi vige il rapporto di forza tra potenze e le potenze hanno interessi differenti e contrapposti ed è molto difficile che il “catastrofismo” possa convincere i governanti. Perché, tenete sempre presente, e voglio raggiungere qui una vetta di pessimismo maltusiano, che gli Stati Maggiori degli eserciti di mezzo mondo passano le loro giornate elaborando piani di guerra termonucleare controllata. Immaginate in questo tipo di contesto decisionale a livello internazionale quale sensibilità possa esserci per il riscaldamento globale di 2 gradi, 3 gradi, in più. Grazie. 24 Dott. MAURO GAMBONI CNR -­‐ Dipartimento Scienze Bio-­‐agroalimentari Progetto Agricoltura Sostenibile Ringrazio dell’invito a questo Convegno in cui mi occuperò del ruolo della ricerca e dell’innovazione in questo contesto. Sono un ricercatore del CNR e molte delle cose di cui vi parlerò sono state già ampiamente accennate dai colleghi che mi hanno preceduto. Oggi il settore Agricolo, il sistema Agro-­‐Alimentare in generale, è sottoposto a pressioni ed è oltre che vittima delle problematiche ambientali anche causa. Io ricordo qui tre grandi sfide che sono peraltro già state segnalate. Il mutamento dei comportamenti ambientali, con appunto un incremento notevole del consumo di prodotti di origine animale, che quindi favorisce lo sfruttamento di risorse e superfici più ampie. Cambiamenti climatici che hanno effetti negativi sull’agricoltura ed è l’agricoltura stessa anche causa delle emissioni gas-­‐serra. La fluttuazione dei prezzi della materia prima agricola e l’incidenza sicuramente negativa sulla sicurezza alimentare, in un mercato globale, che come sapete, è in mano alla speculazione finanziaria. In questo contesto dobbiamo andare in una direzione di agricoltura sostenibile, ed è chiaro che sono problemi di carattere globale; la cornice politica, essendo cittadini europei, è la PAC, Politica Agricola Comune, che è un oggetto che va assolutamente rivisitato dando maggiore spazio alle problematiche ambientali che devono entrare a far parte della strategia politica in questo settore. Per perseguire l’obiettivo della sostenibilità bisogna sviluppare sistemi di produzione e consumo sostenibili. Il problema dell’obesità nel Mondo si sta ampliando e, a parte gli Stati Uniti con la più alta incidenza, alcuni Paesi del bacino Sud del Mediterraneo soffrono questo paradosso di avere nella stessa area territoriale problematiche legate alla malnutrizione e all’obesità. Un altro elemento è l’alternativa all’agricoltura chimica, quindi la riduzione dell’uso di pesticidi; esiste una direttiva che deve essere applicata e proprio in questi giorni sta circolando una consultazione, una prima bozza di piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. Assolutamente collegato a quanto vi ho detto è la difesa integrata che è una strategia che va nella direzione dell’agricoltura sostenibile. C’è un grande Progetto che vede coinvolti diversi Paesi europei che riguarda la fornitura di informazione, servizi di consulenze ai decisori politici per attuare le tecniche di difesa integrata delle colture. Un’altra tecnica a sostegno dell’Agricoltura Sostenibile è l’Agricoltura Biologica. Ci sono dati che indicano che nel 2015 potremmo arrivare, nonostante i problemi che investono il settore agroalimentare in questo settore, ad una crescita che potrebbe superare i 100 miliardi di dollari. Ovviamente il Biologico ha visto non soltanto questi dati positivi dal punto di vista della produzione, ma un alto valore dal punto di vista ecologico di questa tecnica. Qual è il ruolo della ricerca e dell’innovazione? Lavoriamo in un contesto in cui certamente le conoscenze diventano fattore determinante, quindi quali sono i pilastri su cui deve fondarsi il perseguimento dei nostri obiettivi? quale ricerca? Parlando dell’Agricoltura Sostenibile come di un oggetto di natura sistemica non possiamo concentrarci unicamente nello studio degli oggetti come la pianta, l’animale o di un organismo, ma dobbiamo estendere la ricerca 25 in termini di indagine sull’interazione tra oggetti. Quindi, si tratta di una ricerca fortemente multi-­‐interdisciplinare ed è necessario che per perseguire questi molteplici obbiettivi vi sia una condivisione delle parti e una consultazione diretta dei portatori di interesse e degli organi di decisione. La multifunzionalità dell’Agricoltura è un altro concetto che è stato considerato, il rapporto tra agricoltura e beni comuni. L’obiettivo del nostro lavoro, che appare come uno slogan, è appunto quello di perseguire una agricoltura che fornisca sviluppo, difesa dell’ambiente ed equità sociale che sono gli elementi poi fondanti della Sostenibilità. 26 PARTE TERZA: AMBIENTE, AGRICOLTURA E SVILUPPO UMANO 27 Prof. PAOLO OREFICE Cattedra UNESCO Sviluppo Umano e Cultura di Pace Ringrazio per l’invito e vorrei condividere con i presenti alcune riflessioni che scaturiscono dalla mia esperienza di ricerca ispirata allo studio del rapporto tra educazione e società, mediato dai sistemi e dai processi di costruzione dei saperi, materiali e immateriali, dei soggetti e dei gruppi umani. Qual’è la forma di conoscenza che si è sviluppata e si sviluppa tutt’ora nelle società che abbiamo studiato? Alcuni progetti di cooperazione internazionale ci hanno portato in America Latina, in comunità locali che ci hanno permesso un lavoro sulla valorizzazione dei saperi unici; in Guatemala e in Amazzonia dove alcune comunità conservano un forte legame con la Madre Terra. Queste sono culture che hanno una conoscenza “magica” e sono esempi vivi di alimentazione della conoscenza della intelligenza di Madre Natura. Quelle che noi abbiamo ritenuto culture inferiori, ci aiutano a capire di dover riprendere il rapporto tra le conoscenze umane e le conoscenze dell’intelligenza della Terra e della Natura. Perché se intendiamo per intelligenza la capacità di muoversi nella realtà, come ci insegnano i neuro-­‐biologi, parlando anche delle prime conoscenze degli esseri che sono nati milioni e milioni di anni fa su questa terra allora possiamo dire che anche la Terra ha una sua intelligenza. Queste società primarie, le società tradizionali, anche nel nostro Mondo hanno mantenuto diverse forme di conoscenza in relazione all’interpretazione dell’intelligenza di Madre Terra. Quindi, dall’intelligenza di Madre Terra sono nate le cosmologie di queste società che mantengono l’equazione sociale che determina forme di sviluppo economico sostenibile, forme di vita sostenibile. L’altra variabile di interesse è come viene gestito il potere in queste comunità, chiaramente non c’è un potere articolato ma un potere basato sulla vita della comunità locale. Poi c’è, e passo al terzo elemento della economia, lo sviluppo economico in cui i soggetti sono nello stesso tempo produttori/consumatori. Anzi, questo termine di consumatori che è nato dalla società industriale è un modello assolutamente negativo rispetto al rapporto Madre Natura. Poi v’è un altro tipo di società, industriale, che è quello di cui stiamo parlando quest’oggi, figlia di una separazione netta della conoscenza umana; la conoscenza scientifica e la conoscenza di fabbrica. Si è preso le distanze dalla Natura, oppure nella riscoperta del privato assoluto della ragione ci siamo esaltati sul raggiungimento di una conoscenza oggettiva separata di discipline distinte autonome, che hanno determinato i sistemi economici, i sistemi di produzione e di separazione tra i produttori ed i consumatori. Anche le forme di potere che sono avanzate chiaramente hanno escluso gli utilizzatori. Un modello basato su una concezione presuntuosa, ormai riconosciuta come assolutamente insufficiente, della conoscenza scientifica di discipline che sono tanto più specializzate nel settore e tanto più perdono la totalità del contesto. L’epistemologia scientifica tende a non considerare i saperi della Natura, tende a non considerare anzi a 28 voler escludere le collettività che sono ancora una memoria storica di una simbiosi forte tra conoscenza e sviluppo delle società tradizionali. Ma, come emerge da altri interventi che mi hanno preceduto, questo lungo cammino, che ogni giorno mi apre ulteriori sollecitanti percorsi, mi ha portato alle soglie di quella che si prospetta per la società ormai planetaria come la teoria di un umanesimo non più espressione di poche culture egemoni né più antropocentrico, ma necessariamente di tutti i popoli e della comune fonte di vita che li alimenta: nell’epistemologia contemporanea cominciamo a chiamarlo eco-­‐umanesimo terrestre. Tutto questo ci proietta in una dimensione dove la centralità non è l’uomo, non il sapere umano in quanto tale, ma è la ricostruzione della ricongiunzione dei saperi della Natura, questa nostra famosa Madre Terra e i saperi scientifici che ci trasmette. Dentro la logica dell’educazione della comunità locale e dell’educazione della società locale si dovrà considerare che oggi un cittadino che vuol essere espressione di una democrazia avanzata deve essere un cittadino che potrà conoscere e gestire conoscenze complesse, conoscenze che si collegano alla vita della Natura. 29 Prof. PASQUALE DE MURO Cattedra Economia dello Sviluppo Umano, Università Roma Tre Innanzitutto vorrei ringraziare la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO per avermi invitato, dandomi l’opportunità di rivedere alcune riflessioni su temi che sono poi al centro del dibattito di oggi. Come il Prof. Scarano che mi ha preceduto, sono un economista, ma sono un ottimista. E’ stato richiamato Malthus, che è ancora un fantasma che aleggia tra gli ambientalisti, che secondo me prima o poi dovrebbero emanciparsi da Malthus. Io fra Malthus e Condorcet, protagonisti del dibattito di fine ‘700, preferisco Condorcet, perché ci ha insegnato una cosa che poi si è verificata, mentre le previsioni di Malthus non si sono avverate. Noi sappiamo che oggi, al netto degli sprechi -­‐ perché avremmo molto di più se non sprecassimo tutto il cibo che sprechiamo -­‐ abbiamo 2.800 Calorie al giorno per ogni cittadino nel Mondo. Quindi pensare che il problema della fame sia un problema di quantità di cibo è sbagliato. Non c’è un problema di scarsità e le previsioni catastrofiche che sono state fatte anche negli anni ’50 ’60 erano assolutamente sbagliate. Non facciamo, quindi, previsioni allarmistiche basandoci sulle nostre paure, guardiamo i dati; per questo sono ottimista e sono d’accordo con Condorcet; che cosa è successo negli ultimi 50 anni? La popolazione mondiale degli ultimi 50 anni e cioè dal ’60 alla fine del decennio scorso è più che raddoppiata. Cosa è successo in termini di disponibilità di cibo? Ogni persona oggi ha il 30% in più cibo di quanto non ne avesse nel 1960. Quindi, ciò vuol dire, sostanzialmente, che produciamo molto più cibo di quello di cui abbiamo bisogno, e lo sprechiamo. Qual’è allora il problema della fame? È un problema di produzione? Di cibo? È un problema agricolo? Parliamo di Sviluppo Sostenibile in senso ampio, parliamo del fatto che ci sono 900 milioni di persone che vanno la sera a letto senza mangiare. Se parliamo di questo, la questione agricola non è più l’unica questione importante e non deve fare ombra all’altro grande problema che abbiamo oggi di cui non abbiamo ancora parlato. Ci sono 900 milioni di persone che soffrono la fame ed è un problema di Ingiustizia, è un problema socio-­‐economico, non un problema di tecniche agricole. Ci sono quasi 1 miliardo di persone che non riescono ad ottenere il cibo che sarebbe disponibile, un problema sostanzialmente socio-­‐economico. Poi c’è la questione di come produrre il cibo e la questione del cibo sostenibile, che sono questioni interdipendenti ma diverse. Se parliamo solo di elementi agricoli, di quante sementi utilizziamo, di quali strumenti utilizziamo, questo è giusto ed io sono uno che sta attento a quello che consuma, a quello che mangia e soprattutto che cerca di capire come rendere più sostenibile la produzione alimentare del Mondo; tuttavia, non confondo la questione della produzione di cibo e di come si produce il cibo con il fatto che 900 milioni di persone non abbiano accesso al cibo. Perché la metà degli affamati del Mondo non sono persone che producono cibo; c’è una popolazione urbana che deve comprare cibo, quindi è chiaro che queste persone, in qualsiasi modo noi produciamo il cibo, al cibo non potranno accedervi fin quando continueranno ad essere disoccupati, socialmente esclusi, poveri. Ci sono molte persone che non possono accedere alle infrastrutture o alle vie di comunicazione, al credito e 30 queste persone non possono avere un reddito o una produzione alimentare sufficiente per sfamarsi. Questo è il problema che noi dobbiamo affrontare e questo è il problema di cui vorrei discutere. Da questo punto di vista l’UNESCO ha molto da dire, perché se il problema non è soltanto un problema agricolo, non se ne deve occupare soltanto la FAO, o soltanto i biologi, o soltanto gli agronomi: abbiamo delle analisi socio-­‐economiche che ci aspettano. Vogliamo combattere la fame? Dobbiamo occuparci anche dell’istruzione formale ed informale. Io vorrei sottolineare come l’istruzione sia una delle armi più importanti per combattere la fame. Quindi, suggerisco di rivalutare la questione dell’istruzione, il ruolo dell’istruzione formale e informale nella lotta alla fame, in particolare per le donne e in particolare per le madri perché credo che sia un’arma fondamentale che noi stiamo trascurando. 31 Prof. CARLO FELICE CASULA Cattedra Storia Contemporanea, Università Roma Tre Ringrazio dell’invito e vorrei ricordare che insegno, oltre che Storia Contemporanea, anche Storia della Pace che è una disciplina che comincia ad avere cittadinanza anche nelle nostre università. Mi ero proposto di fare una relazione molto ampia e strutturata, che poi consegnerò sperando che possa essere diffusa in rete, in cui prendevo in esame, segnatamente anche con ampie citazioni, due documenti: il famoso e famigerato rapporto del Club di Roma del 1972, “i limiti dello sviluppo” (in inglese il titolo è addirittura più pregnante “i limiti a crescere”), e un altro documento, a mio parere molto importante, del 1967, l’enciclica sul progresso di Paolo VI, non più sullo Sviluppo Sostenibile ma sullo Sviluppo Umano. Vorrei ricordare ancora che il tema dello sviluppo è per così dire un tema centrale nel ‘900 in diversi ambiti, in quello teorico filosofico e persino teologico. Va detto poi, perché spesso ce lo dimentichiamo, che il ‘900 si è aperto con una visione del Mondo di cui il positivismo era la filosofia portante, che in un qualche modo dava una sorta di visione oggettiva della Storia; si postulava che la crescita fosse oggettiva e ininterrotta. Poi il progresso, l’idea del progresso, qualcuno come Benedetto Croce si spingeva anche ad affermare che l’idea di libertà era una crescita ininterrotta. Ma la tragedia della Prima Guerra Mondiale dimostrò in maniera inoppugnabile che la storia si poteva anche avvitare su se stessa e precipitare in un disastro senza fine e vorrei aggiungere ancora che la caduta della Borsa di New York del 1929 aveva fatto crollare miseramente e drammaticamente il mito del mercato autoregolato. A partire dall’economia neo-­‐classica, l’idea che la domanda e l’offerta riescono a trovare sempre più univoci ed avanzati equilibri, veniva smentita. Il fallimento non avveniva per equilibri interni allo sviluppo, ma per contraddizioni interne che fanno fermare l’economia che, paradossalmente, si ferma a partire dai Paesi più avanzati e più ricchi. Tutto parte così, da questa constatazione. A partire dagli anni ’70, e non a caso negli anni ’70 perché finiscono quei tre decenni che sono stati chiamati “tempi gloriosi”, quel periodo post-­‐bellico in cui lo sviluppo e la crescita sembrava coinvolgere tutto e tutti. Di questo famoso e famigerato rapporto del 1972 io direi che vedo certe previsioni nei 5 settori della linea di sviluppo collettiva, per cui l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. È vero che in alcuni di questi settori le previsioni sono per così dire radicalmente sbagliate e da letterato mi permetto di dire che Malthus era già stato messo in croce da Jonathan Swift che aveva scritto uno stupendo libretto “Modesta Proposta” in cui diceva, rivolto soprattutto alle massaie irlandesi oltre che inglesi, “che problema c’è, i bambini sono certo bocche da sfamare ma possono essere risorsa alimentare anch’essi basta cucinarli a dovere”. E, infatti, a dire il vero la prima industria tessile inglese questi bambini li cucinava a dovere giornalmente, i bambini erano sì una risorsa alimentare delle famiglie di appartenenza. Ma per quello che riguarda l’inquinamento e il consumo delle risorse, oserei dire che in questo caso le previsioni non erano così tanto sballate. Oggi il problema drammatico non è tanto quello delle risorse ma lo scenario geo-­‐
politico; si ragiona oggi molto frequentemente sul fatto che le vere possibili guerre, ad 32 esempio nel Medio Oriente, riguarderanno non la produzione, la distribuzione del petrolio, ma dell’acqua potabile e dell’acqua per uso alimentare. Sull’enciclica sul progresso di Paolo VI, vi sono tre punti che ne certificano la modernità ma anche la stretta attinenza con i ragionamenti complessivi che noi oggi stiamo facendo. Il primo punto: lo sviluppo come sviluppo dei popoli è non solo per un’equità distributiva a livello internazionale. In secondo luogo vi è un capitolo in questa enciclica di straordinaria attualità e viene intitolato: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” un’intuizione per così dire straordinaria. Il terzo punto è il problema dello sviluppo strettamente connesso con il problema dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione. Oggi sappiamo che il tutto è molto più complesso e drammaticamente difficile e, giustamente credo, che l’UNESCO stia ragionando intorno alla questione che non è solo del processo di alfabetizzazione, ma di rendere disponibile per tutti, se mi si permettete l’espressione, un sapere minimo garantito come condizione di sviluppo e anche come condizione di pace a livello internazionale. 33 Dott.ssa MARIA TORRESANI Settore Scienze, CNI UNESCO Buona sera e grazie per essere presenti. Alla fine di questa sessione vorrei tracciare brevemente quelle che sono le tradizioni storiche dell’agricoltura dei popoli del Mediterraneo. Una pratica antichissima che ha origini millenarie e che già 2000 anni fa, in piena egemonia dell’Impero Romano, era molto sviluppata e si fondava su sistemi consolidati e molto efficaci. Questa agricoltura nel 200 a.C. fu sconvolta da una rivoluzione, in senso positivo, che ha permesso un’evoluzione improvvisa, data da una scoperta sensazionale per l’epoca. Questa scoperta la dobbiamo ad un grande scienziato, filosofo e inventore, Archimede di Siracusa, che progettò la pompa per estrarre l’acqua dal sottosuolo. Questo marchingegno era a forma di vite e per questo prese il nome di “Vite d’Archimede”; la prima venne usata dagli Egiziani e consentì l’ubicazione di coltivazioni nei territori che non subivano le esondazioni del Nilo e poi venne adottata da tutti i popoli che risiedevano nel bacino del Mediterraneo e anche dagli altri Paesi che erano sotto la dominazione dell’Impero Romano. Grazie a questa scoperta è stato possibile nel Mondo Antico coltivare una quantità di prodotti su larga scala che sono ancora presenti sulla nostra tavola e questa scoperta la possiamo anche ricollegare alla Dieta Mediterranea che è un modello nutrizionale e parte integrante della vita culturale dei Paesi del Mediterraneo ed in particolare del nostro Paese. Questo sistema nutrizionale è nato proprio grazie a una serie di sinergie che hanno permesso gli scambi culturali di saperi, di competenze, di tradizioni e di valori tra i vari popoli e per questo motivo e anche per i benefici che ha sulla salute, è stata nominata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Ci sembra importante ricordare qui, parlando di dieta, a proposito della relazione dei saperi, la lettera che scrisse ad un suo contemporaneo il filosofo Aristotele e disse che l’educazione oltre che sul sapere scientifico si doveva fondare anche sulla filosofia, nel senso che i saperi non potevano essere disgiunti e, quindi, era molto importante considerare l’apporto della filosofia perché se è vero che la conoscenza scientifica ci dà la conoscenza dei problemi, la riflessione filosofica ci porta ad agire sui nostri comportamenti. Quindi è importante l’apporto per una migliore efficacia dell’educazione allo sviluppo sostenibile anche del supporto della riflessione filosofica. Una filosofia ambientale, diciamo eco-­‐sofia, termine coniato negli anni ’70 da un filosofo norvegese ambientalista Arne Naess, il quale si fece portavoce di questa corrente filosofica che considerava l’Uomo strettamente legato all’eco-­‐sistema di cui faceva parte; lo considerava proprio l’anello portante a cui erano strettamente connesse anche le altre forme di vita. Secondo l’analisi di questo filosofo la società contemporanea aveva perso questo concetto, perché ha sempre maggiormente sfruttato l’ambiente e le risorse che abbiamo in comune, in modo irresponsabile, sottostando a leggi di profitto e di mercato. Gli ultimi dati sulla salute del Pianeta ci debbono mettere in allarme perché è importante che venga ripreso questo concetto di visione di vita che tuteli la nostra Umanità. Questo è uno dei maggiori compiti a cui è chiamata la Educazione allo Sviluppo Sostenibile, il progetto educativo di formare nei Paesi una profonda e radicata coscienza ambientalista; è qualche cosa che va rivolto non solo e soprattutto alle giovani generazioni, ma soprattutto a tutti quanti noi perché la società post-­‐moderna della globalizzazione sta consumando in un modo poco responsabile e non più sostenibile. Per concludere vorrei ricordare, trattando questi temi di alimentazione e di agricoltura che sono al centro di questa giornata attraverso il 34 pensiero di questi due filosofi, uno contemporaneo e l’altro appartenente al mondo dell’Antichità, che nel mese di novembre ogni anno in tutto il Mondo viene celebrata una Giornata Mondiale della Filosofia dell’Unesco. E vorrei ricordare infine che nel 2012 cade l’anniversario della morte di Archimede che è morto nel 212 a.C. a seguito dell’attacco dei Romani durante la Seconda Guerra Punica. 35 PARTE QUARTA: ALIMENTAZIONE, EDUCAZIONE E SALUTE 36 Dott.ssa ANTONELLA CASSISI Settore Scuole Associate, Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO Vorrei associarmi assolutamente al discorso che ha fatto il Professor De Muro, richiamando l’importanza del fattore educazione anche nel campo dell’agricoltura e soprattutto nel settore della problematica della fame nel Mondo. Noi come Commissione UNESCO abbiamo partecipato e continuiamo a partecipare ogni anno alla Giornata Mondiale dell’Alimentazione che la FAO celebra in occasione dell’anniversario della propria fondazione avvenuta nel 1945. Facciamo parte di un comitato che è coordinato da un ufficio degli Affari Esteri, coordinamento ONU al quale fanno riferimento una serie di Enti sia pubblici che privati, quindi Ministeri, ONG, etc. che ogni anno organizzano un evento per aiutare la FAO a sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi della fame nel Mondo. L’UNESCO contribuisce alla realizzazione degli obiettivi dell’ONU e con il perseguimento della pace attraverso lo strumento dell’Educazione l’UNESCO intende non solo il saper leggere e scrivere ma ha un’accezione molto ampia di educazione che significa acquisire e confrontarsi. Tutto questo realizzando quelle che sono le finalità fin dalla sua fondazione, quando per evitare che scoppiassero ulteriori conflitti e che si verificassero altre catastrofi sociali, umanitarie, si sottolineò l’importanza di attuare una politica di prevenzione, quindi, di dialogo tra i popoli attraverso la conoscenza e, quindi, la cultura. Cercando quanto più possibile di evidenziare cosa ci fosse di positivo e di buono nelle culture altre, che nella Seconda Guerra Mondiale erano state totalmente annientate in virtù di un’ipotetica folle convinzione di una prevalenza, di un maggior valore di una cultura su tutte. L’acronimo UNESCO ci dà l’idea della mission: United Nation Educational Cultural Organisation, quindi Organizzazione per la Cultura e l’Educazione. Per realizzare gli obiettivi dell’educazione l’UNESCO opera su due fronti. Da un lato l’attuazione delle politiche dell’EPA, del movimento globale lanciato nel 1990 in Tailandia quando i rappresentanti di molti Paesi del Mondo e di ONG lanciarono una sfida globale sottolineando l’importanza dell’educazione nella sua accezione di Diritto umano. È infatti elencato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nei Patti Economici Sociali. Nelle nostre attività soprattutto dirette alle scuole sottolineiamo l’importanza dell’educazione proprio come strumento per vincere la povertà e l’emarginazione. L’EPA lanciò una sfida al Mondo intero con l’obbiettivo di voler attuare una serie di obiettivi entro il 2000 che erano appunto di assicurare l’educazione di base ai bambini, di migliorare la qualità dell’educazione e di consentire a tutti un processo educativo di buona qualità, di abbattere gli ostacoli che impediscono alle donne di accedere all’istruzione; nonostante la sfida, gli obiettivi non sono stati raggiunti. Per cui il movimento si è di nuovo riproposto, in occasione del Forum di Dakar 2000, di raggiungere gli obbiettivi entro il 2015. Probabilmente non ci riusciremo, però i Rapporti dell’ONU del 2012 ci incoraggiano. Ci dicono che ci sono stati dei miglioramenti sia nel campo educativo sia nella fame nel Mondo. Noi attraverso la rete delle nostre scuole cerchiamo di raggiungere i ragazzi, con sforzo e sacrificio e alimentati da tanto entusiasmo. 37 Dott.ssa STEFANIA BORGO (ISDE -­‐ Medici per l’Ambiente) Buonasera a tutti e grazie per l’invito. Se l’evoluzione avesse imboccato un’altra strada, cioè se invece dei mitocondri, che sono la centralina energetica della nostra cellula, gli organismi animali avessero assunto i cloroplasti, cioè quegli organuli che producono energia nelle piante, probabilmente noi non saremo qui a parlare di cibo, perché basterebbe esporsi al sole come fanno le piante per fare il pieno energetico. Quindi il cibo costituisce l’evidenza della non-­‐autonomia energetica umana, solo le piante sono in grado di organicare la materia. Siamo l’ultimo anello della catena alimentare nel senso che le piante prendono l’energia dal sole, fanno materia organica, gli animali erbivori mangiano le piante e gli animali carnivori mangiano quello che sono i precedenti e cioè i vegetali e gli erbivori. Nella catena alimentare non solo si concentrano i nutrienti, ma anche elementi tossici. L’uomo che è all’apice della catena alimentare è destinatario di tutti i “tossici” che la catena alimentare ha accumulato. Non solo, ma l’uomo è presente sulla Terra in una quantità notevole, 7 miliardi di individui ed è un organismo che ha bisogno continuamente di cibo e questo significa che continuamente c’è un passaggio dall’ambiente all’uomo. Il cibo fornisce materia di energia all’organismo, ma costruisce anche quelli che sono i batteri intestinali ed è anche in grado di agire sul genoma nel senso che la genetica ha evidenziato che gli stili alimentari possono condizionare alcune espressioni genetiche. In molti modi l’organismo umano è lo specchio dell’Ambiente e, quindi, non sorprende che il cibo sia principio di salute ma possa divenire veicolo di malattie. Nei Paesi industrializzati queste sono legate al tipo di produzione, ai pesticidi, diserbanti, coloranti, etc., ma anche alla quantità. È stato messo in evidenza, per esempio, che attualmente gli obesi e sovrappeso sono già tra i bambini e questo non si traduce soltanto in una sperequazione sociale ma anche in malattia; perché quest’epidemia di obesità è legata alle principali malattie croniche non trasmissibili. L’obesità è legata ai tumori, alle malattie cardio-­‐vascolari, alle malattie osteo-­‐articolari. Milioni di anni d’evoluzione non hanno mai visto una situazione di disponibilità alimentare come la nostra, cioè il genoma umano è fatto per resistere alla carestia ma non per resistere a un eccesso di cibi; quando dico questo vorrei ricordare che certi cibi praticamente funzionano come delle droghe. Tra questi l’alcool, ma anche gli zuccheri semplici che stimolano la produzione di dopamina esattamente come la cocaina e i grassi inducono il rilascio di endocannabinoidi che sono lo stesso principio che noi troviamo nell’Hashish. Quindi, da questo punto di vista c’è un evidente tendenza ad andare verso i cibi ipernutrienti e dall’altra parte abbiamo un apparato pubblicitario che ne spinge i consumi. Queste due cose insieme portano all’epidemia di obesità e a tutta una serie di problemi che la società industrializzata in questo momento si trova ad affrontare. L’epidemia di obesità è la più grossa emergenza sanitaria che noi conosciamo. Cosa fa l’ISDE in tutto questo? È un associazione allo stesso tempo di tipo scientifico e di tipo ambientalista e, quindi, promuove tutta una serie di iniziative a vari livelli. Per esempio c’è il ruolo dell’educatore all’interno dello studio medico dove si educano le persone ad avere una alimentazione più sana. Gli stili di vita sono importanti ma attribuire tutta la responsabilità a quelli che sono poi i fruitori ultimi non basta, perché in molti casi le persone non sono in grado di scegliere l’aria che respirano, l’acqua che bevono e il cibo che mangiano. Quindi, l’ISDE fa una serie di campagne che denunciano la presenza 38 dell’Arsenico nell’acqua dell’alto Lazio, della diossina nelle carni e nel latte, soprattutto nel latte materno, oppure del mercurio nel pesce. Una proposta che l’ISDE ha fatto in questo senso, ma a livello ancora superiore, è quella di immaginare una forma di social-­‐
marketing, cioè una pressione sociale per fare in modo che le persone vengano incentivate verso i consumi salutari. Facendo un’analisi di molte sostanze e di molti prodotti emerge che molti di questi che vengono ben pubblicizzati hanno un effetto che ricade sulla salute, quindi, noi abbiamo fatto una proposta di “social-­‐market” o di tassazione dei prodotti nocivi. Certi alimenti dannosi costano poco perché noi non teniamo conto dei costi sociali di questi cibi che sono altissimi. Quindi da questo punto di vista io penso che l’educazione non è completa se da un punto di vista sociale, da un punto di vista ambientale non vengono messi altri elementi che rendono l’educazione attiva. Per fare questo, ovviamente, è necessario un cambiamento che va al di là dello stile di vita. Grazie”. 39 Dott.ssa VICHI DE MARCHI Portavoce WFP, World Food Programme Buonasera. Mi chiamo Vichi De Marchi e lavoro con il Programma Alimentare Mondiale che è un’agenzia del polo agro-­‐alimentare ONU. Noi ci occupiamo di assistenza alimentare dal punto di vista della fornitura di cibo e nel 2011 abbiamo assistito quasi 100 milioni di persone in oltre 70 Paesi. Innanzitutto volevo vedere un aspetto che è stato toccato e che riguarda l’elemento climatico. Dal nostro punto di vista sempre più i nostri interventi di emergenza sono dovuti a fenomeni climatici, se pensiamo solo a quest’ultimo mese, l’uragano Sandy, la siccità del Sahel, l’anno scorso quella del Corno d’Africa, nel 2010 il terremoto ad Haiti; sono sicuramente grandi emergenze perché i fenomeni che un tempo erano naturali nel loro susseguirsi nelle stagioni sono diventati imprevedibili perché oggi diventano fenomeni estremi. S’è parlato oggi del tema dell’ingiustizia sociale. A tal proposito ricordiamo il fatto che nei paesi del Sud del Mondo non esistono forme di protezione sociale, quelle che noi chiamiamo le “Safe Net”. L’altro elemento è il fenomeno dei prezzi alimentari; con la siccità o la crisi dei prezzi alimentari del 2001 e 2009, avvenute sia a Nord sia a Sud del Pianeta; ma il problema è che mentre noi dedichiamo il 20/30% del nostro reddito per la spesa alimentare, nei Paesi poveri o del Sud del Mondo la spesa è del 60 anche dell’80%, quindi un minimo aumento dei prezzi alimentari diventa catastrofico per la gestione familiare. Tutto questo per dire che la lotta alla fame e alla malnutrizione richiede un approccio multisettoriale. 10 anni fa parlavamo molto di “aiuti alimentari”, da qualche anno noi non usiamo più questa terminologia, parliamo di Assistenza alimentare e siccome le parole hanno un senso evidentemente è cambiato anche il nostro approccio e non basta portare del cibo ma il problema è quale cibo; c’è uno slogan che è “Cibo giusto al momento giusto”. Una delle cose che sempre più facciamo è parlare non solo di assistenza alimentare ma anche nutrizionale, perché il problema fondamentale che abbiamo individuato è un ritardo nutrizionale dei primi anni di vita, è un ritardo non più colmabile, c’è stata questa campagna lanciata due anni fa “I primi mille giorni” e dice che un bambino che è malnutrito durante la gravidanza, durante la gestazione, i primi anni di vita rischia di non recuperarne più le conseguenze. Questo significa che la lotta alla malnutrizione è una battaglia che non si può vincere dopo, ma si deve prevenire. E significa anche affrontare il tema delle madri e cioè il rapporto diretto tra la denutrizione, malnutrizione della mamma e figlio denutrito. Ci sono studi che dimostrano come il costo non solo sociale, ma il costo economico della malnutrizione è molto maggiore di quello che sarebbe la spesa per evitarla. Esempio positivo di questa battaglia è il Brasile che in pochi anni è riuscito a ridurre la malnutrizione infantile del 70% e oggi è un Paese guida nella lotta alla denutrizione. Ma l’altra cosa che è cambiata molto nel nostro lavoro è che noi abbiamo sempre portato un paniere alimentare equilibrato, nel senso che aveva tutte le caratteristiche però abbastanza semplificate; c’era il grano, il riso, i carboidrati, olio, sale iodato, etc. e quando la gente era in cura davamo dei biscotti ad alto contenuto energetico. Ora invece sempre più ci stiamo specializzando a dare altri tipi di cibo sotto i due anni che sono anche cibi molto semplici come paste di datteri, sono prodotti fortificati con minerali, vitamine, oppure una specie di polvere che si mette nella minestra. Questo è 40 stato un grande cambiamento, un grande miglioramento, per portare il cibo giusto e nel momento giusto ma anche alle persone giuste; infatti nel giro di quattro anni siamo passati da poco più di 50.000 bambini a 3 milioni assistiti fino al 2015. Risultato fondamentale proprio perché questa lotta alla malnutrizione infantile non può essere che multifunzionale ed avere più soggetti a fianco. Questo progetto è nato nel 2010 ed è guidato dall’ONU, ma in realtà ci siamo noi, c’è l’UNICEF, però ci sono moltissimi soggetti, i cosiddetti soggetti privati, imprese, governi, libere associazioni, che si sono impegnate per trovare le forme migliori di lotta alla malnutrizione. Assistiamo 25 milioni di bambini in tantissimi Paesi, questo è un grande incentivo per le famiglie a mandare i bambini a scuola e sicuramente c’è poi anche un elemento più importante per rompere il ciclo della malnutrizione e della povertà ed è che ci sono giovani, più grandi e più piccoli, che mangiano e si istruiscono ed hanno una probabilità maggiore di sposarsi più tardi e quindi, di crescere i figli meglio e anche di mettere al mondo dei figli in salute. 41 Dott.ssa LAVINIA GASPERINI FAO, Agricultural Education, Education for Rural People Partnership OEKD Buonasera. Grazie per questa possibilità di incontrarci. Sono Lavinia Gasperini, Agricultural Education Officer, della FAO e vorrei parlare in particolare del ruolo che ha l’educazione. Vorrei collegare i temi che sono stati abbondantemente affrontati fin qui e l’Educazione, tema che in teoria è prettamente dell’UNESCO, ma con il Millennium Boards e gli obiettivi del millennio, è oggi un tema generale. Anche nella FAO ci poniamo il tema di come l’educazione riguardi lo sviluppo rurale e la sicurezza alimentare, attraverso la riduzione della povertà e malnutrizione. Abbiamo pubblicato recentemente un libro proprio su questo tema: “Educazione per le Popolazioni rurali. Il ruolo dell’educazione, lo sviluppo di capacità per la riduzione della povertà e la sicurezza alimentare”. Venendo alla sostanza della nostra visione, sappiamo che esiste una tendenza a privilegiare nella politica, nei servizi, nell’educazione, la società urbana. Benché le statistiche mostrino un notevole incremento dell’urbanizzazione, questa si verifica in modo significativo, per poco più del 50%, ma abbiamo ancora l’altro 50% della popolazione che è rurale; l’urbanizzazione non è un motivo sufficiente per staccarsi dall’impegno per lo Sviluppo Rurale e per di più nelle zone dei Paesi più poveri la percentuale di popolazione rurale è molto più alta del 50% (sale all’80%, nei Paesi come il Mozambico) e la povertà nel Mondo è essenzialmente povertà rurale, parliamo del 70% del Mondo. E questi scenari non cambieranno nei prossimi decenni. A maggior ragione l’impegno di chi voglia combattere realmente la povertà nel Mondo e affermare la sicurezza alimentare. Le popolazioni rurali vengono spesso dimenticate quando si parla di agricoltura, pur essendo quelle che ci forniscono i mezzi per far vivere le popolazioni urbane, ma hanno priorità nazionali molto basse. L’agricoltura è il datore di lavoro più importante del Mondo e nei Paesi in via di Sviluppo è decisamente il più grande. La gioventù è soprattutto rurale, non solo nei PVS ma globalmente. Le donne e i bambini sono quelli che lavorano in prevalenza nell’agricoltura. Tutti questi temi mostrano la centralità del discorso sociale e poi dello sviluppo e la centralità delle popolazioni rurali. Esiste una coincidenza non affatto naturale: la maggior parte dei poveri del Mondo sono denutriti e analfabeti e si sovrappone il dato del 70% del lavoro infantile nell’agricoltura. Questo ha molto a che vedere con la denutrizione e con l’analfabetismo che nello sviluppo è ormai un tema cruciale. La grande urbanizzazione è spesso un migrare verso condizioni di vita peggiori, più disumane di quelle rurali e deriva anche da una povertà rurale e, quindi, non basta prendere atto dell’urbanizzazione, è necessario contemporaneamente, per avere un Mondo sostenibile, agire in modo che la povertà rurale sia sconfitta. Uno degli aspetti che contribuisce alla povertà rurale è il divario della conoscenza tra le zone urbane e le zone rurali, che ha il suo pilastro nel sistema educativo, principale trasmettitore delle conoscenze. I principali aspetti problematici dell’educazione per le popolazioni rurali sono l’accesso, perché sappiamo che gli 800 milioni di analfabeti nel Mondo adulti prima sono stati bambini e che sono 70 milioni i bambini analfabeti e che 4 su 5 sono rurali, quindi non possiamo parlare di Sviluppo sostenibile se non mettiamo priorità a questo tema. Occorre cercare di raggiungere i poveri con i sistemi educativi, rompendo le barriere dei finanziamenti all’UNESCO, finanziamenti alla FAO, 42 finanziamenti al Ministero dell’Agricoltura, al Ministero dell’Educazione, presentando “progetti ponte” e facendo sì che si tenga conto delle necessità delle popolazioni rurali. In conclusione ci sono tre elementi che vorrei sottolineare come linee guida per il futuro: -­‐ promuovere delle politiche macro-­‐economiche a sostegno dello sviluppo rurale, politiche settoriali che implicano educazione, alimentazione, salute, agricoltura; -­‐ promuovere una discriminazione positiva per affrontare le iniquità non solo di genere urbano ma anche rurali che sono particolarmente accentuate; -­‐ infine, includere conoscenze, valori e capacità relativi alla vita nell’ambiente rurale in ogni livello dell’educazione, dalle primarie all’università in modo da formare all’educazione. 43 Dott. ERNESTO MARZIANO Chirurgo, Smile Train Onlus Voglio innanzitutto ringraziare per l’invito. Sono molto contento di essere qui e di poter portare, in questa cornice “unescana”, la testimonianza delle nostre attività per la prevenzione e la cura di patologie legate all’alimentazione, portate avanti come volontari in paesi difficili, in contesti di sottosviluppo e di guerra. Non sarò tecnico, ma rappresenterò l’oggetto delle attività di un buon numero di missioni che abbiamo svolto nella Libia del post-­‐Gheddafi, proprio nei giorni di caduta del regime, nell’Iraq ancora non stabilizzato, in Bangladesh, India, Benin, etc. Come specialista mi occupo, tra l’altro, di malformazioni cranio-­‐facciali. Uno dei miei problemi è quello di pensare a come prevenire alcune malformazioni diffuse in molti paesi in via di sviluppo, facendo i conti con la scarsità di risorse che la povertà comporta. Quando la prevenzione non è più possibile, cerco di trovare le strade per curare in contesti molto delicati. Le nostre missioni iniziano sempre da una valutazione molto attenta dei problemi e dei luoghi in cui decidiamo di intervenire. Studiamo attentamente il contesto economico, sociale e culturale e valutiamo le criticità logistiche che ci si presentano, individuando le soluzioni più pratiche da attuare. Prima di intraprendere una missione organizziamo un viaggio esplorativo, visitando il luogo, rendendoci conto in prima persona della realtà locale, delle condizioni sanitarie, delle strutture ospedaliere (quando sono presenti..), delle infrastrutture, delle persone da poter coinvolgere, delle usanze e delle tradizioni. Nulla può essere lasciato al caso, e l’errore non è ammesso. Ogni missione ha un obiettivo chirurgico ben preciso, una rosa chiara di interventi che è possibile svolgere e garantire in sicurezza: è quindi necessaria un’organizzazione meticolosa. Dobbiamo sapere esattamente di cosa avremo bisogno sul luogo specifico, e assicurarci che le condizioni individuate ci siano. Se non ci sono bisogna crearle, trovando il modo di stabilire contatti, “ponti”, persino di portare l’attrezzatura. Nulla deve essere lasciato all’improvvisazione o al caso. È fondamentale il contatto con i medici locali e le strutture locali, perché queste devono servire di supporto alla missione in un clima di collaborazione che tende anche alla formazione del personale locale. L’obiettivo, oltre a curare, è quello di lasciare una traccia concreta e costruttiva del nostro passaggio. Ci occupiamo principalmente di malformazioni cranio-­‐facciali venute a presentarsi per lo più a causa di carenze in gravidanza, ma anche di ustioni e traumi soprattutto, nei Paesi coinvolti in conflitti. Sono patologie largamente diffuse nei Paesi poveri, che producono una deformità importante del volto dei bambini e che comporta una lunga serie di problemi a cascata. Alcune malformazioni aprono la comunicazione della cavità orale con la cavità nasale, il che fa sì che l’assunzione del bambino renda impossibile o molto difficoltoso l’allattamento al seno materno. Si produce quindi immancabilmente una malnutrizione nell’arco della crescita. In più, questo tipo di malformazioni facilita le infezioni organiche che si propagano al canale uditivo dove si verificano diverse patologie, tra cui otiti che conducono rapidamente i bambini alla sordità. Quest’ultima, insieme alla difficoltà della fonazione che deriva da una malformazione della volta palatina, comporta molto spesso problemi di emarginazione sociale dei bambini che, in alcune regioni, vengono considerati come portatori di sciagure e, quindi, ulteriormente emarginati, derisi, quando non addirittura sottoposti a violenze vere e proprie. Dalle testimonianze di diversi colleghi recentemente abbiamo sentito e abbiamo potuto 44 verificare un’incidenza notevolissima di malformazioni, non solo cranio-­‐facciali, in Paesi in conflitto dove, presumibilmente, sono state usate armi non convenzionali e molto probabilmente “uranio impoverito”, “smaltito” nei proiettili e nelle armi. In questa cornice, dal punto di vista medico, esistono alcune cose semplici che si possono fare con poco impegno, poca spesa, eppure ottenendo ottimi risultati. In particolare l’utilizzo dell’acido folico nella cura delle malformazioni cranio-­‐facciali è cruciale e molto spesso di semplice attuazione. L’acido folico è una vitamina del gruppo B e viene prodotta dall’organismo, introdotta attraverso l’alimentazione, attraverso i cibi freschi e non cotti (si tratta di una vitamina molto labile che tende a deteriorarsi anche con la semplice cottura). Nel tempo, dopo diversi tentativi di “fortificazione” dei cibi, si è arrivati alla pratica di integrare la dieta, soprattutto delle donne in gravidanza, con un acido folico di sintesi. Questa è una profilassi oramai consolidata in Occidente, ma in altri paesi è invece di difficile applicazione per vari motivi tra cui, anche, una preclusione di alcune culture e/o religioni che ne considerano pericolosa l’ingestione, o vietano l’utilizzo di farmaci, motivo per cui viene sconsigliato alle donne in gravidanza. Quando queste motivazioni rendono difficile la prevenzione, dobbiamo cercare di restituire il sorriso ai bambini in altri modi, con l’intervento chirurgico sul campo, cercando di fare quello che è possibile. In questo senso il volontariato ha un ruolo molto importante, esistono numerose organizzazioni umanitarie che si occupano di questo e operano in tanti settori. Personalmente faccio parte di un’associazione che si chiama Smile Train, che è il ramo italiano di una associazione americana non governativa composta da medici volontari che realizzano missioni chirurgiche in Paesi problematici. Molte delle nostre missioni si svolgono in zone di guerra, in Paesi che l’UNESCO conosce benissimo, in cui come operatori siamo anche esposti a forti rischi, e in cui lavorare è difficile, richiede capacità di resistenza allo stress e che toccano da vicino il senso di giustizia di ognuno di noi per quella parte del mondo che – maggioritaria, ricordiamocelo – vive in condizioni di fame, povertà e violenza. La soddisfazione dei nostri pazienti, spesso bambini, a cui restituiamo la speranza e delle possibilità concrete di ridurre mortalità e patologie, ci ripaga e ci motiva. Grazie. 45 Dott. MARIO VALLE Chirurgo Oncologo, Lazio Chirurgia Progetto Solidale Onlus Ringrazio il Presidente della Commissione Nazionale Italiana UNESCO e il comitato organizzatore. La nostra storia di Associazione nasce dalla stretta collaborazione di due organizzazioni, l’Hewo e la Lazio Chirurgia Progetto Solidale. L’Hewo nasce addirittura nel ’69, con i fondatori, i coniugi Carlo e Franca Travaglino,che iniziano ad assistere un gruppo di malati di lebbra in Eritrea. A partire dal 2000, inizia l’idea della costruzione di un nuovo ospedale. La sua costruzione finirà nel 2003. Nel frattempo a Roma, nel Lazio nasce l’associazione l’iniziale Lazio Chirurgia per un’esigenza dei chirurghi del Lazio di avere un confronto in costante collegamento diretto dal punto di vista scientifico ed umano, quindi per uno scambio di esperienze. Il nostro Presidente Prof. Pasquini, essendo venuto a contatto con esponenti dell’Hewo, propose una collaborazione tra Lazio Chirurgia e il nuovo Ospedale dell’HEWO. Lo scopo della collaborazione era quello di ampliare i servizi dell’ospedale, specializzato appunto per malattie infettive, AIDS e lebbra, con un reparto chirurgico. Organizzammo uno spettacolo che ci portò dei fondi per poter iniziare la costruzione della sala operatoria e del reparto di Chirurgia nel 2004. Nel dicembre 2005 la sala operatoria era pronta per il primo intervento. Abbiamo incrementato la diagnostica, con l’Ecografo che in questi Paesi è l’elemento fondamentale della diagnostica giornaliera, al di là delle TAC, delle risonanze difficilmente gestibili in questi paesi per carenza di assistenza tecnica e pezzi di ricambio. Vennero così istituite missioni regolari medico-­‐chirurgiche creando un vero e proprio reparto di chirurgia. L’associazione cambia a questo punto nel nome e nei fatti diventando Lazio Chirurgia progetto solidale ONLUS e focalizzando la sua attenzione verso la cooperazione, modificando il suo logo che se in precedenza vedeva come simbolo principale il bisturi oggi vede la persona. Le maggiori problematiche del Paese rimangono l’acqua, il numero bassissimo di medici e infermieri, si contano 0,2 medici e 0,024 infermieri ogni 1000 abitanti. Solo lo 0,7% delle donne riceve assistenza sanitaria professionale durante la gravidanza, una media di 19.000 donne l’anno muoiono per complicanze dovute al parto e ben il 75% subiscono l’infibulazione. Le malattie parassitarie ed endemiche sono le problematiche più gravi. La mortalità infantile è di 111 su 1000, mortalità materna 10 su 1000, speranza di vita media di 42 anni. Accesso all’acqua potabile soltanto per il 25% della popolazione. La patologia che osserviamo più spesso è il Gozzo, dato dalla carenza di Iodio. L’OMS riporta come le malattie per carenza di iodio siano causa di patologie cerebrali del feto e dello sviluppo psicomotorio dei bambini. In Europa e nel Mondo Occidentale la prevenzione del gozzo avviene in fase iniziale, mediante la iodizzazione del sale, e il trattamento farmacologico. In Etiopia tutto questo non accade poiché la carenza di iodio dovuta all’uso di salgemma proveniente dalla Dankalia, non iodato, fa si che questa malattia sia endemica. La chirurgia in questi casi aiuta rimuovendo il gozzo ma di certo non risolve la problematica. La nostra associazione ha però intrapreso un programma completo di trattamento che prevede la distribuzione gratuita di sale iodato e del supporto farmacologico post chirurgico anch’esso gratuito. Laziochirurgia progetto solidale Onlus è completamente autofinanziata, chirurghi, medici ed anestesisti coprono personalmente le spese relative alla loro missione. I trattamenti chirurgici e medici, la diagnostica, i farmaci utilizzati sono per i pazienti 46 completamente gratuiti, cosa rara in Africa, dove in tutti gli ospedali pubblici, privati e religiosi si paga un tiket. Mi è piaciuta moltissimo la relazione del collega che mi ha preceduto perché ci ricorda di non dimenticare i bambini. Lazio chirurgia progetto solidale onlus effettua anche missioni di chirurgia pediatrica con un progetto che prevede almeno 4 missioni all’anno per il trattamento dei piccoli pazienti. Abbiamo anche un impegno oltre la chirurgia: sempre affiancati dall’Hewo abbiamo co-­‐finanziato il programma per l’HIV dei bambini dell’asilo dell’ospedale che provengono da tutto il territorio circostante che è stato esteso anche alla popolazione locale. Abbiamo donato all’ospedale 8 mucche che forniscono il latte per i pazienti e per l’asilo. Abbiamo donato gli arredi dell’asilo per 160 bambini villaggio. Come diceva nel 1995 il Vice Presidente della Banca Mondiale “se le guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio quelle del prossimo secolo avranno come oggetto del contendere l’acqua”; per questo abbiamo donato all’ospedale un nuovo pozzo. 47 48 
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Atti Convegno 2012