I n d i c e
7
9
Presentazione
La proposta del Villaggio: una buona prassi
(Andrea Canevaro)
Introduzione
13
Prima parte Le parole del Villaggio oggi
19
CAP. 1 Villaggio
29
CAP. 2 Gruppo
47
CAP. 3 Cerchio
61
CAP. 4 Adulti
79
CAP. 5 Baracca
89
CAP. 6 Servizio
95
CAP. 7 Ospiti
105
CAP. 8 Nascondersi
111
CAP. 9 Piazzetta
117
CAP. 10 Festa
seconda parte L
e parole di ieri in un tempo difficile:
i documenti di una crisi del Villaggio
125
CAP. 11 Il documento degli operatori del Ceis apparso su
«Scuola e Città» nell’ottobre 1973
131
CAP. 12 La risposta di Corrado Bertozzi, vice presidente del
Ceis, apparsa su «Scuola e Città» nel gennaio 1974
135
CAP. 13 L’intervento di Margherita Zoebeli all’Assemblea dei
soci nel giugno 1973
145
CAP. 14 Il Ceis agli inizi degli anni Ottanta: annotazioni su
una crisi e progetti per il futuro
terza parte Le parole di una «passione» e di vita
dedicata all’impegno educativo
nel Villaggio
161
CAP. 15 Margherita Zoebeli intervistata dagli alunni della
quinta classe nell’anno scolastico 1990-1991
175
CAP. 16 Margherita Zoebeli si racconta ai futuri educatori
quarta parte A
ppendice
187
Il Ceis oggi – Una breve scheda
195
Bibliografia
Introduzione
13
Introduzione
Questo libro propone materiali di diverse epoche storiche: nella prima
parte, con i contenuti più recenti e moderni, le dieci parole del Villaggio come
contenitori e metafore del pensiero pedagogico degli operatori attualmente
impegnati nel lavoro educativo e formativo; nella seconda parte i documenti
relativi agli anni Settanta, uno dei periodi più difficili del Villaggio, un periodo
di vera e propria crisi; nella terza parte le parole di Margherita Zoebeli, che
testimoniano la passione e l’identificazione che sorreggono, fin dalla sua nascita, il progetto educativo del Villaggio. Nella prima parte di questo libro le
dieci parole del Villaggio ne sono il cuore e, con una prosa molto amichevole,
testimoniano la complessità del pensiero pedagogico che oggi sostiene il lavoro educativo nella scuola e negli altri servizi socio-educativi del Villaggio.
In esse sono condensate le riflessioni e le elaborazioni sviluppate e aggiornate
nell’ultimo decennio, quello che va dal 50° al 60° compleanno del Ceis.
Per gli autori, e per tutti gli operatori del Ceis, il libro è uno strumento
che consente di fare una sorta di «punto nave» della loro opera educativa,
dopo un periodo di forte ricambio generazionale degli educatori e degli insegnanti. Un ricambio che ha richiesto un’intensa attività per aiutare i nuovi
arrivati a entrare in una storia, in un quadro teorico e operativo complesso e
caratterizzato da una forte identificazione personale di tutti coloro che vi sono
impegnati; intrecciato comunque con le diverse attività di supporto, il ricambio
è stato l’occasione per riflettere e aggiornare punti di riferimento, metodologie
e pratiche, ma soprattutto è stato l’occasione per sviluppare una riflessione
collettiva che ha coinvolto tutti, giovani e anziani.
14
A scuola nel Villaggio
Con questo lavoro abbiamo riflettuto sulla nostra storia, sul senso sociale
di un’esperienza educativa così particolare, sui bisogni dei bambini di oggi e
sui modi più efficaci per operare con loro nella prospettiva di una formazione
alla libertà, al pensiero critico autonomo, alla cooperazione e solidarietà sociale. Una riflessione che si è sviluppata, com’è sempre stato nelle esperienze
educative più alte, in modo strettamente intrecciato all’operatività sul campo.
Una riflessione che, proprio per questo, è stata utilizzata come strumento per
orientare criticamente e concretamente il lavoro quotidiano con i bambini,
per aiutarci a decifrare le direzioni da prendere, le metodologie da seguire e le
pratiche da utilizzare.
Chi, come noi, è impegnato nel lavoro educativo sul campo sa bene quanto
sia difficile trovare il tempo per scrivere e, ancora più difficile, farlo su ciò che
ci occupa concretamente ogni giorno. Si è trattato di uno sforzo che ha visto
tutti gli operatori coinvolti attivamente, dove tutti hanno affrontato la fatica con
grande sincerità e con la volontà di evitare qualunque scorciatoia, utilizzando
al massimo le proprie capacità di autocritica, anche a costo di essere impietosi,
e soprattutto evitando di nascondersi dietro a facili slogan, efficaci, secondo
qualcuno, sul piano comunicativo, ma poco utili, per non dire dannosi e poco
rispettosi, come strumenti di lavoro educativo.
Abbiamo voluto portare in questo libro tutto l’intenso lavorio che ha
caratterizzato questi ultimi dieci anni di vita nel Villaggio, proponendolo
come una vera e propria opera collettiva fin dalla scelta delle dieci parole del
vocabolario Ceis che esprimono i riferimenti teorici, metodologici e operativi
del suo progetto. Sono stati organizzati diversi incontri fra tutti gli insegnanti e
gli educatori del Ceis fin dalla primavera 2005, al termine dei quali sono state
individuate le dieci parole ritenute più caratteristiche della vita di questa comunità educativa e utilizzabili come strumenti e metafore per esporre i valori,
i riferimenti pedagogici, le metodologie e le pratiche capaci di rendere conto
di che cosa siano oggi il Ceis e il suo progetto socio-educativo. Una volta individuate le dieci parole su cui lavorare, si è avviato un percorso organizzato di
scrittura collettiva e creativa su ognuna di esse, affinché i contenuti esposti nel
libro fossero realmente quelli in cui si riconoscono gli operatori. Un lavoro che
ha visto l’impegno, il sabato mattina, di oltre 30 educatori e insegnanti per circa
tre mesi. Durante questo percorso operativo sono stati realizzati testi collettivi,
utilizzando gli strumenti già sperimentati molto tempo fa da Célestin Freinet e
da Lorenzo Milani. I testi scaturiti da questo lavoro sono proposti nei riquadri
all’inizio dell’esposizione di ciascuna parola. Gli autori del libro hanno ripreso
quei testi e li hanno ampliati affinché i loro significati fossero più facilmente
comprensibili anche da chi non conosce il Ceis di Rimini.
Introduzione
15
Attraverso la lettura dei testi che fanno riferimento alle dieci parole è
possibile cogliere gli aspetti più importanti del pensiero pedagogico che guida oggi il lavoro degli educatori e degli insegnanti del Ceis. Un pensiero che
affonda le radici nella storia di questa realtà impegnata da sessant’anni con i
bambini riminesi e nel contesto della realtà scolastica e educativa italiana, con
una straordinaria propensione alla sperimentazione e all’innovazione. Una
propensione che viene esplicitata in questo libro e che testimonia come una
giovane generazione di educatori abbia cercato di reinterpretare e di rilanciare,
raccogliendo una vera e propria sfida per il rinnovamento, un progetto di lavoro
fondato da una generazione straordinaria di innovatori guidati da una persona
eccezionale come Margherita Zoebeli.
Una sfida non facile e con esiti non scontati, se è vero ciò che ci dice un
carissimo amico del Villaggio, il giornalista e scrittore Giorgio Pecorini, attento
studioso delle esperienze innovative in campo socio-educativo e in particolare
della Scuola di Barbiana di Lorenzo Milani, in un articolo sulla rivista «Lo
straniero» (Pecorini, 1998-99): il Ceis di Rimini è l’unica esperienza, fra le
esperienze rivoluzionarie della scuola italiana sorte nel nostro Paese negli
anni Cinquanta e Sessanta a seguito di iniziative di singole persone, a essere
sopravvissuta al proprio fondatore.
Noi pensiamo che ciò sia stato possibile perché un gruppo di successori
di Margherita Zoebeli ha saputo prendere in mano un progetto così delicato
e complesso ed è riuscito a farlo, oltre che per la forza di volontà e una certa
dose d’incoscienza, in virtù del forte e profondo legame con la città di Rimini
e, sul piano più strettamente interno, in virtù dei passaggi critici che hanno
impegnato il Ceis dagli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta. Passaggi difficili
di vera e propria crisi che hanno costretto tutti a riflettere sul senso dell’esperienza educativa del Ceis e su come essa dovesse modificarsi per rispondere ai
mutati bisogni dei bambini riminesi. Una riflessione necessaria, anche se con
molte asprezze e manifestazioni eccessive e dolorose, che ha consentito a molti
giovani di trovare spazio e possibilità per contributi originali e, soprattutto,
di sperimentarsi nell’assumere personalmente responsabilità nel quadro del
complessivo progetto del Ceis.
Come si è già detto, uno dei periodi più difficili è stato quello della prima
metà degli anni Settanta, quello che Margherita Zoebeli nel 1990 definiva «un
periodo molto duro e doloroso della mia vita nel Ceis, per fortuna un periodo
di durata limitata, nei primi anni Settanta, ma le cicatrici di quelle ferite sono
ancora vive» (Castiglioni et al., 1991).
Si è trattato di una vera e propria crisi generazionale, che oggi, pur riconoscendone contraddizioni e asprezze fuori luogo, possiamo definire come una
16
A scuola nel Villaggio
crisi utile, e probabilmente necessaria, per ridefinire il ruolo sociale e culturale
del Ceis e per far emergere una nuova generazione di educatori e insegnanti
capaci di sviluppare il progetto del Ceis oltre la sua stessa fondatrice, realizzando
così le condizioni per raggiungere, nel modo più pieno, l’obiettivo di continuità
e di sviluppo per i quali Margherita si è battuta fino al termine della sua vita.
Per tutte queste ragioni abbiamo pensato che le dieci parole del Villaggio dovessero essere accompagnate, nella seconda parte di questo libro, dai
documenti che possono aiutarci a comprendere più efficacemente quegli
anni difficili del Villaggio. In particolare ci pare di grande rilievo l’intervista a
Gianfranco Iacobucci, il quale, per primo nel 1982, ha dato una lettura della
crisi svincolata dai risentimenti e da letture tutte interne.
Infine nella terza parte vengono proposti due materiali, un’intervista e un
intervento pubblico di Margherita Zoebeli, da cui si traggono le strette relazioni
fra la dimensione personale e quella professionale della sua vita. Una testimonianza di una «passione civile» vissuta in prima persona, come condizione per
agire sulla realtà nella prospettiva di una crescita generale, per il bene comune
e per la promozione di una visione laica delle relazioni umane.
Una passione e delle motivazioni svincolate da interessi personali, ancora oggi indispensabili perché una qualunque opera sociale e educativa possa
realmente proporsi come strumento di crescita e miglioramento della vita di
tutti.
Gli operatori attualmente impegnati nel progetto sociale, educativo e
formativo del Ceis sono convinti che la qualità attuale del loro progetto di
lavoro e del loro impegno sia proprio in questa «passione», il patrimonio e
la lezione più preziosi che hanno ricevuto dalla straordinaria testimonianza
di Margherita.
47
Cerchio
3
Cerchio
Infiniti punti equidistanti da un punto detto centro.
È stare insieme in un confronto paritario nel quale tutti si guardano negli
occhi. Non si sa dove inizia né dove finisce, non c’è primo e non c’è ultimo.
Nel cerchio ci si ascolta, ci si confronta, si collabora, ci si aiuta, si discute,
si scopre, si gioca, si fa festa, si cresce, nel rispetto collettivo e individuale. È
ritrovarsi ogni volta per condividere esperienze, emozioni, sentimenti. È un
gioco fatto di silenzi, di suoni e di colori.
Nel cerchio il problema di uno è il problema di tutti, la scoperta di uno è
la scoperta di tutti.
Ma il cerchio è anche chi dondola, chi si scaccola, chi arriva in ritardo, chi
deve andare in bagno, chi non riesce a stare zitto, chi ride, chi sta appiccicato
all’amico del cuore o gioca con i capelli dell’amica a fianco.
Il cerchio è cercare di far tornare i conti: quadratura del cerchio.
Il testo collettivo elaborato dagli operatori del Ceis propone affermazioni
sulle quali abbiamo lungamente discusso, definizioni e metafore non immediatamente intelligibili.
Infiniti punti
Tante teste, una vicina all’altra con tutta la loro fisicità, che possono formare una linea immaginaria in grado di interrompersi, aprirsi a chi vuole farne
48
A scuola nel Villaggio
parte. Un posto comodo, un sistema di comunicazione, una pratica quotidiana,
dove ognuno può sentirsi sicuro, vicino all’amica o all’amico, dove partecipare
non vuol dire conformarsi o essere d’accordo ma piuttosto ascoltare, pensare,
capire e scegliere. Il cerchio è occasione per imparare dalle esperienze degli
altri, perché in esso le opinioni personali, anche quelle dell’ultimo arrivato,
contano e sono importanti, e le idee finali sono a volte inaspettate o diverse
dal previsto.
Un punto detto centro
C’è un unico centro nel nostro cerchio di classe o di Villaggio? Si può
individuare un punto attorno al quale tutto quanto ruota?
Nel 1946 il cerchio era una delle disposizioni possibili pensata per le baracche del Villaggio: una baracca centrale, quasi torre di guardia e sorvegliante, le
altre tutt’intorno, ben visibili, equidistanti. Eppure, al pari della disposizione in
fila, concentrazionaria-militare, quella «a cerchio con un centro» venne subito
scartata: non era che un altro modo per controllare, negare autodeterminazione
e libertà, concentrare il potere.
Allora cosa chiamiamo «punto e centro» del nostro cerchio? Si tratta
della dignità nell’essere nel nostro cerchio, accordata a tutti indistintamente.
Chi c’è, a qualunque titolo vi sia (insegnante o volontario, ospite, studente
collaborante, entusiasta, partecipe o infastidito, stanco, provocatore, perfino
oppositore), ha diritto e dignità a esserci e in questo è esattamente come tutti
gli altri. È un punto di partenza irrinunciabile, per questo sta al «centro» del
nostro fare cerchio: ribadisce che se non c’è questa dignità nessuno può trovare
il suo posto in mezzo agli altri per quello che è, senza dover uniformarsi per
costrizione esterna.
Dignità, per noi educatori del Ceis, significa che ognuno vale di per sé e
misura il proprio cambiamento e le proprie conquiste con se stesso e non in
competizione con gli altri. Dignità significa anche vedere la realtà e trovare in
essa infiniti spunti di sviluppo e impegno.
Nel cerchio ci si ascolta, ci si confronta
«Nello stare in cerchio», ricordava Margherita Zoebeli, «è racchiusa
un’idea pedagogica di grandissima importanza […] costruire un contesto rassicurante, capace di contenere l’aggressività di alcuni e liberare la timidezza di
Cerchio
49
altri, per indirizzare le diverse energie verso uno scopo comune» (Castiglioni,
Montanari e Zoebeli, 1993).
Ogni bambino si esprime e si sente libero se c’è uno spazio di comunicazione piacevole e sereno, se sente di stare in una relazione comunicativa efficace.
Si sente libero perché esiste uno spazio-tempo istituito, possibile, durante il
quale tutti sono disposti ad ascoltarsi reciprocamente. Sono un tempo e un
luogo precisabili oltre che precisati, dove le regole sono chiare, conosciute,
dove tutti sono in grado di attuarle perché sono state concordate e comunicate
sin dai primi giorni di scuola in cui si sperimenta il cerchio e dove possono
confluire problemi, interessi e necessità.
Nel cerchio l’educatore può osservare i bambini e ha l’occasione di conoscerli, oltre che permettere loro di conoscersi reciprocamente. Conversando
in cerchio viene alla luce una grande ricchezza di fatti e situazioni emozionali: è la ricchezza della vita che i bambini colgono dalla loro angolazione. Gli
sguardi dei presenti nel cerchio attribuiscono senso, restituiscono l’interesse e
il valore individuale e stanno a significare «ci importa di te, ci interessa quello
che hai da dire». Dalle situazioni più distese, come le feste di compleanno, a
quelle di progettazione o di ideazione in cui le richieste hanno una portata
diversa, il cerchio rappresenta il luogo che circoscrive un mondo condiviso
da tutti in un contesto sereno. All’interno di una scuola che cerca di creare
tutte le condizioni per cui il bambino sia protagonista della propria crescita,
riteniamo che questa soluzione si presenti coerente e stimolante perché aiuta a
superare l’individualismo al servizio degli interessi della classe, promuovendo
contemporaneamente lo sviluppo di ciascuno.
Le conoscenze vengono condivise, esposte e verificate in cerchio attraverso
il metodo scientifico che Dewey indicava come strumento educativo essenziale,
base di un nuovo ordine sociale, perché fondato sulla ricerca collaborativa. In una
società democratica è corretto pensare all’azione educativa come a un insieme
di interventi volti alla maturazione più complessa ed evoluta degli individui,
ma democraticità vuol dire anche partecipazione consapevole dei membri
della società come attori di un processo costruttivo. Riteniamo importante che
ogni bambino trovi nel suo gruppo-classe il riflesso del mondo e della società
con cui ogni giorno viene a contatto: una società fatta di persone diverse che
insieme si pongono delle regole per realizzare una convivenza democratica.
È importante che i bambini prendano atto di tutto questo e capiscano quanto
la partecipazione a una comunità dipenda dal rispetto di regole e valori che
il gruppo ha scelto. Forma a un senso di responsabilità e lealtà reciproca ed è
uno strumento educativo per il gruppo solo se permette di costruire e rafforzare la fiducia negli altri che ascoltano, una fiducia delicata, con un equilibrio
50
A scuola nel Villaggio
stabile solo se confermata nel tempo. È uno strumento che aiuta una disciplina
del gruppo e che permette a ciascuno di viverci. È certamente un’esperienza
educativa per ciascuno dei partecipanti, per conoscersi meglio e sapere come
collaborare con gli altri e permette di imparare ad assumersi responsabilità, ad
affrontare difficoltà, a cercare soluzioni.
Attesa, ascolto, rispetto sono elementi che contribuiscono al vivere sociale:
pensiamo al cerchio come occasione in cui la propria libera iniziativa e l’individualità sono strettamente interconnesse alla responsabilità reciproca di non
inficiarne il funzionamento con atteggiamenti di disturbo o rifiuto. Anche questa
è un’occasione per ciascuno di essere al centro del proprio processo formativo.
Il problema di uno è il problema di tutti, la scoperta di uno è la scoperta
di tutti
Stare in cerchio per lavorare in un gruppo costituisce un’esperienza in
cui sono compresenti molteplici dimensioni relazionali: con se stessi, con gli
altri, con l’ambiente, ecc. L’insieme delle dimensioni coinvolte, con le loro
rispettive interazioni, influenza significativamente e in modo complesso la
qualità dell’esperienza scolastica concreta. In questa sede, tuttavia, ci sembra
utile concentrare la nostra attenzione sulla specifica valenza formativa, nel
contesto scolastico primario, di questo modo di organizzare il lavoro con gli
alunni. Ci si chiede cioè se lavorare a scuola attivando situazioni in cui gli
alunni e gli insegnanti si sistemano in cerchio contribuisca alla qualità degli
apprendimenti rispetto a organizzazioni del lavoro didattico che non prevedono
tale modalità operativa.
Per noi insegnanti e educatori del Ceis mettersi in cerchio per affrontare
problemi e fare scoperte significa, innanzitutto, fare la scelta metodologicodidattica di utilizzare la discussione e il confronto fra gli alunni come strumenti
essenziali per l’apprendimento. Il cerchio è uno dei modi di operare in un
contesto scolastico in cui le attività didattiche sono ordinariamente realizzate
attraverso il lavoro di gruppo e dove si esclude l’utilizzo delle lezioni frontali.
In un contesto scolastico in cui prevale la lezione frontale, il cerchio
perderebbe gran parte delle sue potenzialità formative: laddove l’apprendimento si sviluppa in un rapporto di dipendenza dall’insegnante, agli alunni è
attribuita una posizione individualistica e competitiva e il loro ruolo rimane
pressoché passivo, qualunque sia la disposizione scelta. Al contrario le situazioni di cerchio e di lavoro in gruppo richiedono che tutti assumano un ruolo
attivo e partecipe.
Cerchio
51
Disporsi in cerchio per discutere significa dichiarare implicitamente
che si desidera creare un clima di discussione e confronto di tipo paritario,
pur nel rispetto dei diversi ruoli (insegnanti e alunni), delle diverse modalità
di proporsi e dei diversi punti di partenza. Le diversità di ciascuno devono
potere emergere ed esprimersi pienamente senza che si costituiscano come
limitazioni alla partecipazione e devono essere percepite come elementi di
ricchezza dato che, in un contesto di apprendimento efficace, costituiscono
una condizione necessaria per offrire maggiori possibilità di approfondimento
delle conoscenze.
Lavorare in cerchio è utile quando si percepisce una sorta di libertà potenziale di pensiero, nel senso che ognuno sente di poter esplicitare il proprio
punto di vista sul tema oggetto dell’incontro, senza essere preoccupato di dire
cose fuori luogo. Non è sempre facile creare un tale clima di libertà: esso costituisce, più che un punto di partenza, un punto d’arrivo che passa attraverso
molteplici esperienze e aggiustamenti operativi ed è il risultato di una regolare
e abituale esperienza a vivere il cerchio nella quotidianità.
Gli studi di Clotilde Pontecorvo e colleghe evidenziano come il lavorare
in cerchio permetta di raggiungere due obiettivi essenziali per una migliore
educazione cognitiva:
• permettere la comunicazione, il confronto, la messa in comune di problemi, modelli, conoscenze, informazioni, metodi di lettura, soluzioni;
• permettere lo svolgimento di un ragionamento collettivo durante il
quale i bambini hanno avuto la possibilità di lavorare nella loro area di
sviluppo potenziale, di verificare e controllare la validità dei loro modelli
e di costruirne, con il contributo degli altri, di più soddisfacenti.
[…] le discussioni sono uno degli strumenti di indagine e sollecitazione
più adeguati per comprendere i processi di costruzione delle conoscenze
messi in atto dai bambini in relazione alle stimolazioni culturali offerte dagli
specifici contenuti disciplinari proposti a scuola. Le caratteristiche «dinamiche» e «sociali» delle discussioni permettono infatti di superare i limiti
delle tradizionali metodologie di indagine: queste ultime, che utilizzano
per lo più compiti «statici» di definizione, raggruppamento, di richieste
di informazione su singoli elementi o campi concettuali, restano per lo
più insoddisfacenti proprio per il poco contributo che riescono a dare alla
conoscenza «dinamica» dei processi sociali di costruzione concettuale.
(Pontecorvo, Ajello e Zucchermaglio, 1991)
L’esperienza di sessant’anni nella scuola del Ceis conferma che gli
apprendimenti acquisiti in cerchio attraverso intense, continue e significative
relazioni sociali, con il loro complesso intreccio fra dimensioni individuali e di
52
A scuola nel Villaggio
gruppo, hanno una qualità fondamentale: sono profondamente interiorizzati,
meglio integrati con la personalità di ciascuno e con le competenze di cui è
già in possesso e meglio utilizzabili per le future acquisizioni. Quanto viene
appreso in un contesto di libera espressione del proprio pensiero e di continuo
confronto diventa un solido patrimonio su cui costruire la propria crescita e le
proprie conoscenze che, con una dose sufficiente di realismo e ottimismo, si
ritiene possano manifestarsi concretamente come contributo al miglioramento
della vita comune di una società.
Quadratura del cerchio
La quadratura del cerchio è il più famoso problema della storia della
matematica, nato nella valle del Nilo, dove ogni anno le inondazioni cancellavano ogni demarcazione fatta dagli agricoltori per indicare la proprietà
dei campi. Le aree delimitate da linee curve presentavano difficoltà per
essere calcolate e si cercava di ridurre il problema limitando le aree con linee
rette. Se si potesse costruire un quadrato che avesse la stessa superficie di
un circolo, misurando l’area del quadrato si potrebbe avere anche quella
del circolo. Da questo fatto nasce l’espressione quadratura del cerchio. Ma
la difficoltà di quadrare il cerchio sta nella natura del numero π. (Munari,
2005)
Una possibilità impossibile, quindi, uno sforzo che trova la sua realizzazione solo nell’immaginazione. Un ossimoro che ci ricorda comunque
l’intenzionalità educativa, la voglia di immaginare, nonostante le difficoltà di
realizzazione, possibilità che ancora non si sono date e che, a detta dei più,
non si possono dare.
Non è impensabile la realizzazione di tutti, ma proprio tutti, i bambini?1
Senza lasciarne indietro nessuno, scommettere sulle loro abilità individuali,
decisi a scovarle se non si vedono a prima vista. Senza cercare comode scorciatoie, come la competizione che misura tutti con un’unica scala, il pregiudizio
«Ho sentito scienziati di importanti politecnici e professori di primarie università sostenere che
sarebbe assurdo incoraggiare tutti gli studenti alla creatività — c’è bisogno di schiere di modesti
tecnici e operatori, e se alla fine emergono creativamente pochi scienziati, artisti e capi, ciò è più che
sufficiente. Sarà sufficiente per loro. Io, quando mi rendo conto dell’incredibile potenzialità di ogni
studente, cerco sempre di liberarla. Lavoriamo assiduamente per liberare l’enorme energia dell’atomo
e il nucleo dell’atomo. Se non dedichiamo altrettanta passione — e anche altrettanto denaro — alla
liberazione delle potenziali capacità individuali, la grande discrepanza fra il livello delle nostre risorse
fisiche e quello delle nostre risorse umane ci destinerà a una distruzione meritata e universale» (Rogers,
1973).
1
Cerchio
53
dell’etichettatura e delle classificazioni, l’alibi del «si è sempre fatto così», e
disposti invece a farsi sorprendere.
Chi avrebbe mai pensato che F., con diagnosi di autismo ad alto funzionamento, avrebbe imparato a leggere perché lo interessava il menu del giorno
e nessuno a scuola lo avrebbe letto per lui? Chi può assicurare in anticipo che
il contributo di ognuno sarà appropriato per il cartellone? Eppure i contributi
di tutti vengono appesi e riguardano il tema comune, anche se in modo diverso.
Quadratura del cerchio…
O è un quadrato o è un cerchio: entrambi contemporaneamente è impossibile. Eppure ci chiediamo se a volte noi insegnanti non abbiamo proprio questa
passione per gli obiettivi irraggiungibili, per le scommesse che sembrano basate
su premesse non giustificate o sull’idea che tutti abbiano diritto di farcela. Per
questo ci sediamo in cerchio: non ha un prima e non ha un dopo. Nel gioco
in cui stiamo seduti sulle gambe di chi ci precede riusciamo a non cadere solo
se ci sediamo insieme e ognuno fa la sua parte, ma mentre giochiamo non ci
rendiamo conto di fare alcuno sforzo eccessivo: così è la collegialità, e funziona
perché ognuno di noi dà il suo contributo.
È proprio come cercare di misurare l’immisurabile, l’identità di ciascuno
in rapporto a quella di tutti gli altri, la quadratura del cerchio appunto. Come
attribuire una stima credibile e generale a questo lavoro che si dedica a ogni
punto (bambino) particolare? Anche noi ci poniamo il problema di misurare
i risultati, solo lo facciamo con in mente il bambino intero, la sua storia, le
sue conquiste, le difficoltà che permangono; con la sua, misuriamo anche la
nostra capacità di rielaborare le sollecitazioni che il mondo ci propone. Cosa
servirà a questi bambini tra vent’anni? Nessuno lo sa. Certamente servirà loro
una mentalità aperta, un’elasticità, una flessibilità che non si costruiscono sui
libri, o almeno non solo.
Il problema di far tornare i conti è anche il nostro: vogliamo fare scuola,
misurarci sull’efficacia del nostro insegnamento delle abilità di base e «misurare
l’area del nostro campo», sapendo che è una valutazione che non può essere
fatta una volta sola e per sempre. Se pensiamo a qualcosa di diverso rispetto alla
lezione tradizionale frontale ci viene subito in mente il cerchio, forma alternativa
anche da un punto di vista simbolico, nella quale noi insegnanti accettiamo che
torni indietro, come un boomerang, quello che diciamo e facciamo. La stessa
cosa succede agli interventi degli altri. È una forma che non sembra aperta alle
«magnifiche sorti progressive», come Leopardi chiamava ironicamente ogni
sogno di continua ascesa senza limiti, ma che consente la concentrazione e
l’approfondimento in loco. Utilizziamo il cerchio per fermarci a osservare un
riccio che il nostro compagno di scuola ha portato dal suo giardino, per parlare
54
A scuola nel Villaggio
di cosa ci è capitato in gita, per fare le scoperte relative alle intersezioni con
i blocchi logici. È quasi un accettare di considerare più importante il tragitto
della mèta da raggiungere. Il cerchio è la forma della stanzialità, dell’esserci,
dello starci.
Lavorare in cerchio a scuola
Nella scuola del Ceis il lavoro in cerchio, pur non essendo calendarizzato
in modo rigido, costituisce una ritualità che consente di ritrovarsi:
• il lunedì o dopo una vacanza
• per ascoltare una lettura
• per fare una scoperta
• per risolvere conflitti
• per festeggiare un compleanno
• per accogliere un ospite.
Durante l’attività in cerchio sono rispettate alcune semplici regole:
• c’è qualcuno che conduce
• si parla uno per volta
• si attende il proprio turno
• si lascia a tutti il tempo e la possibilità di esprimersi, in particolare a coloro
che hanno difficoltà a farlo
• si rispetta il pensiero di tutti
• si dà a tutti la possibilità di essere fisicamente in cerchio.
Il cerchio del lunedì
Ogni lunedì, appena entrati in aula, i bambini sanno che la mattinata inizierà
con il cerchio. L’insegnante posiziona una sedia, generalmente sotto la lavagna,
ognuno prende la propria e, mettendola accanto a quella dell’amico, forma il
cerchio. Ci si ritrova così dopo due giorni di pausa e, chi lo desidera, racconta
un episodio, un’esperienza, un fatto piacevole o triste per rendere partecipi i
compagni. Naturalmente questi possono intervenire per avere chiarimenti,
per dare suggerimenti o per raccontare esperienze simili. Il cerchio del lunedì
serve anche per organizzare la settimana con i vari incarichi e servizi.
Il ruolo dell’adulto in questa situazione è determinante per la buona riuscita del cerchio: una regia attenta a ogni sfumatura fa sì che tutti i bambini si
Cerchio
55
sentano accolti e partecipi, ognuno con le proprie modalità. Stare in cerchio a
volte può essere faticoso e difficile e quindi l’adulto accetta atteggiamenti diversi:
ci può essere chi sta seduto tenendo per mano l’amico, chi rimane sul bordo
della sedia, chi gira in parte le spalle agli altri, chi comunica con lo sguardo.
L’adulto deve interpretare questa gestualità ed essere un attento osservatore
se vuole che tutti i bambini arrivino a stare bene in cerchio e che quest’ultimo
sia un valido strumento di lavoro.
Con le stesse modalità ci si mette in cerchio ogni qualvolta ci sia un fatto,
una ricorrenza importante sulla quale riflettere. A questo proposito è interessante leggere ciò che dice un articolo apparso su «Il Nostro Villaggio – Il
giornale dei bambini del Ceis» (aprile 2005, n. 2):
Il 27 gennaio ci siamo riuniti per parlare della tragedia dei campi di
concentramento, perché è il giorno in cui si ricorda la liberazione degli
ebrei.
Molti di noi non erano informati di questo fatto storico e ascoltando
le maestre abbiamo cercato di immaginare come erano costrette a vivere
queste persone. Ci sembra impossibile che degli uomini possano aver
sofferto così tanto ed è ancora più inimmaginabile che degli esseri umani
possano aver fatto così tanto male.
Abbiamo letto un’intervista sul giornale di un ebreo sopravvissuto ad
Auschwitz e ci ha colpito il fatto che non sia riuscito per tanti anni a raccontare la sua terribile esperienza. Questa giornata viene ricordata da tutti
con la speranza che non si ripeta più un fatto così orribile: ricordare non
serve certo a cancellare ciò che è accaduto, ma a noi questa conversazione
è servita per capire che ciò che è successo non è un film dell’orrore, ma un
fatto realmente accaduto.
Il cerchio delle scoperte
Il bambino impara attraverso l’esperienza e il cerchio offre un valido
aiuto nella didattica che parte dalla scoperta. In cerchio, davanti a un quesito
di lingua, matematica, storia o scienze, ognuno può esprimere le proprie
considerazioni e le proprie intuizioni per cercare una soluzione possibile. Il
pensiero di uno stimola la riflessione di un altro finché, insieme, si raggiunge
lo scopo. L’insegnante guida il gruppo, valorizza il contributo di ognuno e lo
porta alla conquista autonoma della meta.
È illuminante al proposito un testo collettivo in seconda classe:
Ieri, in cerchio, le maestre ci hanno fatto vedere le loro carte d’identità.
Abbiamo notato che, oltre alla fotografia, ci sono scritte alcune carat-
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A scuola nel Villaggio
teristiche della persona come nome, cognome, luogo e data di nascita,
altezza, colore degli occhi e dei capelli. Le maestre ci hanno detto che la
carta d’identità va rifatta ogni cinque anni perché la persona invecchia e
alcune caratteristiche fisiche cambiano, come può cambiare l’indirizzo. La
carta d’identità è un documento e serve per farsi riconoscere soprattutto
quando si va in viaggio. Dopo tutta questa discussione abbiamo deciso di
costruirci la nostra carta d’identità. Le maestre ci hanno dato un cartoncino
colorato su cui da una parte ci sono scritti nome, cognome, indirizzo e
luogo di nascita, colore degli occhi e dei capelli, dall’altra c’è lo spazio per
la nostra canzone, il nostro libro preferito e il nostro hobby, oltre che per la
nostra foto. Oggi, sempre in cerchio, ci siamo trasformati in investigatori,
perché le nostre maestre ci hanno fatto vedere delle foto di bambini. Noi
non abbiamo indovinato subito, allora le maestre ci hanno dato degli indizi
per aiutarci a capire chi c’era nelle foto. Nella prima c’erano tanti bambini
visti da dietro; abbiamo riconosciuto qualcuno perché si vedeva il viso,
con altri abbiamo fatto delle ipotesi. Abbiamo capito dove eravamo perché
si riconosceva la Casina.2 Dalla foto si capiva anche che non era freddo:
c’era il sole, le foglie erano tutte verdi e nessun bambino indossava la giacca.
Osservando poi delle foto scattate durante una gita, abbiamo capito che
era autunno perché le foglie erano gialle, eravamo in un bosco e facevamo
la prima elementare. Questo è certo perché in una foto si vede M. con i
capelli corti corti, mentre adesso li ha lunghi lunghi.
Il cerchio dei compleanni
Il giorno del compleanno è un’occasione per valorizzare ciascuno così
com’è, quindi cerchiamo di fare in modo che sia un giorno veramente speciale, durante il quale il festeggiato è al centro dell’attenzione di tutti, gode di
privilegi particolari e riceve un dono non commerciale, pensato e realizzato
appositamente per lui. Se il compleanno cade in estate o durante le vacanze,
noi insegnanti concordiamo con il bambino e i suoi genitori un altro momento
per festeggiarlo. L’importante è che tutti si sentano speciali in un giorno tutto
per loro.
Anche in questa occasione il cerchio è lo strumento principale che
utilizziamo per cantare, per fare gli auguri ognuno in modo diverso (con un
movimento, una filastrocca, una frase), per consegnare il dono realizzato dai
compagni (un libretto con gli autoritratti, la pergamena delle qualità, gli acro La Casina è l’unica struttura in muratura fra le baracche del Villaggio. I bambini frequentano lì vari
laboratori e qualche volta si recano in ufficio al piano superiore.
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Cerchio
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stici per il festeggiato, una lettera con i ricordi comuni) e quello creato dagli
insegnanti (la foto del primo giorno di scuola, un segnalibro ricamato, la spilla
con il nome, giocattoli semplici della tradizione popolare), per far esprimere
un desiderio al festeggiato (un gioco da organizzare, una canzone da ascoltare,
un compagno da invitare al tavolo d’onore).
Il cerchio per ascoltare le storie
Leggere in cerchio aiuta a creare un’atmosfera magica e dà la percezione
di un momento condiviso. Stare seduto o sdraiato, magari su un tappeto, aiuta
a rilassarsi e al tempo stesso a concentrarsi per immaginare la storia. È bello
per il bambino stare a contatto fisico con l’amico, toccarlo; è un momento in
cui anche chi ha difficoltà trova più facilmente un suo spazio.
In questo testo collettivo, i bambini di una classe seconda raccontano
un’esperienza di animazione alla lettura:
Tutti i pomeriggi, la maestra ci racconta una storia. Quando siamo
molto stanchi ci fa fare una cosa che si chiama «rianimazione» (o forse
animazione) alla lettura. L’animazione alla lettura funziona così: si fanno
dei giochi molto divertenti sul libro che si è letto, come per esempio «Vero
o falso», «C’entra o non c’entra?», «Chi l’ha detto», «Prima e dopo»
e «Drammatizzazione».
Dopo aver letto, le maestre G. o F. ci fanno delle domande che riguardano il racconto e noi, più spesso urlando e a volte alzando la mano,
rispondiamo se è vero o falso.
Quando invece giochiamo a «C’entra o non c’entra?» funziona così:
la maestra ci fa una domanda di questo tipo: «C’entra o non c’entra questo personaggio con la storia che vi ho letto?». Noi rispondiamo sì o no.
Qualche volta qualcuno sbaglia e qualcun altro lo corregge.
Drammatizzazione è il gioco che ci piace di più perché interpretiamo
le parti dei personaggi che sono quasi sempre dei burloni. Ci piacerebbe
anche travestirci come il personaggio che dobbiamo interpretare, ma non
sempre possiamo perché manca il tempo.
Il cerchio per risolvere i conflitti
I conflitti tra i bambini fanno parte del processo di crescita ed è naturale
trovarsi a dover affrontare queste situazioni. Secondo noi, il cerchio aiuta i
bambini e gli adulti a riflettere in modo critico sull’accaduto, mettendo tutti
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A scuola nel Villaggio
nella condizione di poter esprimere le proprie opinioni. In questo contesto i
bambini stessi possono assumere il ruolo di mediatori e diventare propositivi
per arrivare a una possibile soluzione. L’adulto ha ancora una volta una funzione
di regia e non di colui che giudica e decide.
Da un articolo del giornalino dell’aula di una classe seconda si legge:
Eravamo in cerchio che discutevamo delle regole da rispettare. Alcuni
bambini si lamentavano di altri e lo dicevano alle maestre che, stanche delle
solite storie, ci hanno detto di risolvere la cosa tra di noi. È nata così l’idea
di creare l’ufficio lamentele gestito da due bambini e che funziona così:
i bambini vanno a lamentarsi dai due compagni responsabili dell’ufficio
lamentele, i quali daranno loro dei suggerimenti; se questi non funzionano,
allora si dovrà discutere.3
Il cerchio per accogliere gli ospiti
Anche se è abbastanza consueto nella nostra scuola ricevere ospiti, quando questi arrivano l’attività si ferma e si va in cerchio per accoglierli secondo
una ritualità: si fa un canto di benvenuto, ci si presenta e si racconta un po’ la
nostra storia. L’arrivo di un ospite è un arricchimento sia sul piano culturale
che umano.
Così è successo che il padre giapponese di un bambino di quinta classe
sia venuto in aula per fare una lezione sulla sua lingua. L’esperienza è riportata
in un articolo del giornalino «Il Nostro Villaggio – Il giornale dei bambini del
Ceis» (aprile 2005, n. 2):
All’inizio mi vergognavo un po’ e pensavo che tutti i bambini si sarebbero
vergognati, poi invece mi sono vantato. Mi è piaciuto quando è venuto e lo
inviterei di nuovo perché, dalle facce entusiaste dei miei amici, mi sembra
di avere capito che è stato interessante anche per loro. Mio papà ha detto
che i miei amici sembravano molto simpatici, educati, curiosi di scoprire
una lingua totalmente diversa. Gli è piaciuto molto farci da insegnante di
giapponese e molto volentieri tornerebbe a insegnarci magari i numeri, e
altre cose sulla lingua giapponese, e penso che anche a noi bambini farebbe
senz’altro piacere arricchire le nostre conoscenze su un’altra lingua.
Tra le persone che accogliamo nelle classi ci sono quelle che rimangono per
un solo giorno, quelle che rimangono per brevi periodi e quelle che rimangono
per l’intero anno scolastico. Tra queste ultime ci sono gli insegnanti tirocinanti
«Notizie dalla seconda», novembre 2002.
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Cerchio
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e una di loro, Letizia Soriano, ha descritto il cerchio nella sua relazione di fine
anno come luogo e momento di espressione di sé.
Il mio primo giorno di lavoro come volontaria civile è iniziato così, in
cerchio. Io non conoscevo questa scuola, così mi sono ritrovata in questa
classe fatta tutta di legno, davanti a dei bambini che mi guardavano con
occhi curiosi, ansiosi di conoscermi e per nulla indifferenti. Ci siamo
seduti in cerchio, appunto, i bambini hanno incominciato a raccontare
la loro vita nel Villaggio spiegandomi le varie attività; parlavano sempre
uno per volta perché tutti sanno aspettare il proprio turno e tutti sanno
che potranno parlare.
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A scuola nel villaggio - Edizioni Centro Studi Erickson