“I CONTRATTI BANCARI”
PROF. RENATO SANTAGATA DE
CASTRO
Università Telematica Pegaso
I contratti bancari
Indice
1
IMPRESA BANCARIA ED OPERAZIONI BANCARIE. ------------------------------------------------------------- 3
2
LE OPERAZIONI BANCARIE NEL CODICE CIVILE. ------------------------------------------------------------- 5
3
LA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI BANCARI. ----------------------------------------------------- 7
4
I DEPOSITI BANCARI. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
5
L'APERTURA DI CREDITO. ---------------------------------------------------------------------------------------------- 13
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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I contratti bancari
1 Impresa bancaria ed operazioni bancarie.
Le imprese bancarie sono imprese commerciali la cui attività tipica, anche se non esclusiva,
consiste nella raccolta del risparmio fra il pubblico e nell'esercizio del credito.
Le operazioni di raccolta del risparmio si definiscono tradizionalmente operazioni passive in
quanto rendono la banca debitrice nei confronti dei propri clienti. Le operazioni di concessione di
credito da parte della banca si definiscono invece operazioni attive. Si definiscono infine operazioni
accessorie o servizi bancari le altre operazioni a carattere finanziario o strumentale (ad esempio:
servizi di pagamento; compravendita e custodia di titoli o valori) che le banche tradizionalmente
svolgono a favore della propria clientela.
Le banche svolgono oggi un ruolo centrale anche in nuovi settori dell'attività finanziaria
(leasing, factoring, carte di credito, credito al consumo, gestione dei fondi comuni di investimento,
ecc.), che non rientrano nella tipica funzione creditizia delle banche e che perciò possono essere
esercitati anche da imprese finanziarie non bancarie; da imprese cioè che non svolgono anche
attività di raccolta del risparmio fra il pubblico. Queste nuove attività finanziarie inoltre possono
essere svolte dalle banche indirettamente, attraverso la costituzione di autonome società dalle stesse
controllate, ciascuna delle quali opera in uno specifico settore. La banca moderna ha perciò assunto
la struttura del gruppo bancario pluri- funzionale.
Le nuove attività finanziarie, non tipiche né esclusive delle banche, saranno esaminate nel
capitolo successivo.
L'attività complessiva delle banche ed in particolare la raccolta del risparmio fra il pubblico
e l'erogazione del credito presentano un particolare rilievo economico e sociale (art. 47, 1° comma,
Cost.). E perciò da tempo sottoposta ad un'articolata e penetrante disciplina pubblicistica, il cui
nucleo originario, risalente al 1936, ha subito, a partire dalla metà degli anni ottanta, profonde
modifiche per effetto di una serie di provvedimenti legislativi emanati sia per dare attuazione alle
numerose direttive comunitarie di armonizzazione del settore, sia per realizzare una più efficiente
organizzazione del nostro sistema bancario. La relativa normativa è oggi racchiusa nel Testo unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia approvato con il d.lgs. 1-9-1993, n. 385 (Tub).
È questa una disciplina che incide profondamente:
1. sull'accesso all'attività bancaria, subordinato alla preventiva autorizzazione della
Banca d'Italia (art. 14 Tub);
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2. sulla struttura giuridica dell'impresa bancaria, che può assumere solo la forma di
società per azioni e di società cooperativa per azioni — banche popolari e banche di
credito cooperativo (già casse rurali ed artigiane) —, con capitale versato non
inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia con riferimento ai diversi tipi di
società bancarie;
3. sullo statuto delle società, delle imprese e del gruppo bancario, che presenta
accentuati profili di specialità rispetto a quello delle altre imprese commerciali;
4. sull'organizzazione e sull'esercizio dell'attività bancaria, sottoposte a penetrante
vigilanza da parte della Banca d'Italia, in conformità delle direttive emanate dal Cicr
(Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio), per assicurare la sana e
prudente gestione delle banche e la stabilità complessiva del sistema bancario.
È invece venuta meno la netta distinzione, su cui per esigenze di stabilità si fondava in
passato il nostro sistema bancario, fra enti che raccoglievano risparmio (anche) a breve termine
(aziende di credito) ed enti che raccoglievano esclusivamente risparmio a medio e lungo termine
(istituti di credito speciale e sezioni speciali di aziende di credito); distinzione cui corrispondeva
una tendenziale specializzazione anche per quanto riguarda la concessione del credito.
L'accoglimento nel nostro ordinamento del principio, di matrice comunitaria, della
despecializzazione temporale nell'esercizio del credito, consente oggi a tutte le banche di operare
congiuntamente nel breve e nel medio-lungo termine.
I profili pubblicistici dell'attività bancaria, benché non privi di significative ripercussioni
sulla disciplina di diritto privato delle operazioni bancarie, non possono essere approfonditi in
questa sede e si rinvia perciò alle trattazioni specialistiche in materia.
Prima di passare all'esposizione delle singole operazioni bancarie sono tuttavia necessarie
alcune avvertenze preliminari per la migliore comprensione della relativa disciplina.
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2 Le operazioni bancarie nel codice civile.
Le operazioni bancarie sono per la prima volta regolate dal codice civile del 1942 (artt.
1834-1860). Si tratta però di una disciplina per più versi parziale e lacunosa.
Il codice si limita infatti a regolare solo alcune delle tipiche operazioni (passive, attive ed
accessorie) poste in essere dalle banche operanti a breve termine (ex aziende di credito) all'epoca
della codificazione. Operazioni che vengono assoggettate ad una specifica disciplina, diversa da
quella di diritto comune, proprio in quanto concluse dalle banche nello svolgimento della loro tipica
attività soggetta a controlli pubblicistici.
Il codice invece si asteneva e si astiene ancor oggi dal dettare una particolare disciplina per
le operazioni di raccolta del risparmio e di erogazione del credito a medio e lungo termine in quanto
poste in essere dalle banche attraverso strumenti di diritto comune.
La raccolta a medio e lungo termine avviene infatti, di regola, attraverso l'emissione di
obbligazioni o di titoli similari, la cui disciplina, in passato dettata da leggi speciali, è ora delineata
dal testo unico (art. 12) e dalla normativa regolamentare della Banca d'Italia.
Attraverso strumenti di diritto comune — concessione di mutui — avviene anche
l'erogazione del credito a medio e lungo termine, che di regola assume la forma del credito speciale
agevolato (fondiario, agrario, peschereccio, alle opere pubbliche, ecc.) e può concretizzarsi in mutui
di scopo in quanto destinati alla realizzazione della specifica funzione economica e sociale fissata
dalle leggi speciali che ne regolano la concessione. Tali mutui sono poi di regola assistiti da
garanzia ipotecaria o pignoratizia, ovvero da privilegio speciale a favore della banca concedente;
garanzie la cui disciplina, in più punti derogatoria di quella di diritto comune, è oggi delineata
organicamente dal Tub (artt. 38-48).
La disciplina dei contratti bancari dettata dal codice presenta poi ulteriori e non meno
vistose lacune, che si sono accentuate col tempo. Infatti, la disciplina dei contratti regolati è
estremamente scarna ed in larga parte dispositiva. Inoltre, la tipologia delle operazioni posta in
essere dalle banche col tempo è diventata molto più ricca ed in parte diversa da quella codificata nel
1942. Basti pensare che il codice sembra ignorare quello che oggi è il più importante e diffuso
contratto bancario: il conto corrente bancario o di corrispondenza (13.8.).
La regolamentazione dei contratti bancari (nominati ed innominati) è restata perciò in larga
parte affidata alle cc.dd. norme bancarie uniformi. Sono queste, condizioni generali di contratto
predisposte non dalle singole banche, bensì dalla loro associazione di categoria, l'Abi (Associazione
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Bancaria Italiana). Tali condizioni generali sono poi applicate in modo tendenzialmente uniforme
dalle banche assicurando un'accentuata standardizzazione dei rapporti con la clientela.
Le n.b.u. rappresentano perciò la principale fonte normativa dei contratti bancari e da esse
non si può prescindere nella conoscenza della loro disciplina effettiva. Anche perché spesso non si
limitano a colmare i vuoti della disciplina legislativa, ma la modificano o sostituiscono in più punti
con clausole spesso vistosamente vessatorie per i clienti e talvolta di dubbia validità.
Da tempo era perciò particolarmente avvertita nel settore dei contratti bancari la necessità di
una maggiore tutela (non solo formale) del contraente debole, quale tipicamente è il cliente della
banca costretto ad ade- rire, per mancanza di reali alternative, alle condizioni unilateralmente predisposte dalle banche. Nel contempo si sottolineava l'insufficienza al riguardo della disciplina
dettata dal codice civile in tema di condizioni generali di contratto (art. 1341).
Negli ultimi anni la situazione è tuttavia significativamente mutata per effetto di una serie di
interventi legislativi volti a ridimensionare il prepotere contrattuale delle banche e che hanno
determinato, di riflesso, la modifica di numerose clausole delle norme bancarie uniformi.
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La disciplina generale dei contratti bancari.
La legge 17-2-1992, n. 154, ha introdotto una disciplina generale dei contratti bancari e
finanziari che prevede una serie di obblighi di comportamento volti ad assicurare adeguata
trasparenza alle condizioni contrattuali praticate dalle banche e dagli altri intermediari finanziari. I
punti salienti di tale disciplina, oggi trasfusa con modifiche nel testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia (artt. 115-120), possono essere così fissati.
Per consentire ai terzi contraenti valutazioni e scelte consapevoli, le banche (e gli altri
intermediari finanziari) sono tenute a rendere note al pubblico le condizioni economiche (tassi di
interesse, prezzi, spese, valute applicate, ecc.) delle operazioni e dei servizi offerti. E per garantire
l'effettiva conoscenza delle condizioni praticate è fatto divieto di rinvio agli usi (art. 116). Per le
operazioni di finanziamento deve essere pubblicato il tasso effettivo globale medio (TEGM) che
comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito (art. 116, 1° comma).
Ampi poteri regolamentari in materia sono riconosciuti al Cicr (art. 116, 3° comma e del.
Cicr 4-3-2003) che ha disposto l'assolvimento di tale obbligo di pubblicità mediante l'esposizione di
un avviso nei locali aperti al pubblico che sintetizza le principali norme di trasparenza, e di fogli informativi tenuti a disposizione della clientela contenenti indicazioni sulle condizioni contrattuali
delle singole operazioni o servizi.
I contratti bancari devono essere redatti per iscritto (art. 117, 1° comma). Inoltre, un
esemplare del contratto (di solito predisposto e prestampato) deve essere consegnato al cliente in
modo da assicurargli la conoscenza e la prova delle condizioni che regolano il rapporto. Al contratto
è unito un documento di sintesi riepilogativo delle principali condizioni.
L'inosservanza della forma scritta comporta la nullità del contratto (art. 117, 3° comma), che
però può essere fatta valere solo dal cliente (art. 127).
È fissato per legge anche il contenuto minimo obbligatorio dei contratti in modo da offrire al
cliente un quadro chiaro delle condizioni economiche praticate dalla banca.
Al riguardo si prescrive che devono essere indicati «il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e
condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora»
e che nei contratti di durata deve essere specificamente approvata dal cliente la clausola che
consente alla banca di variare in senso sfavorevole al cliente le condizioni economiche durante lo
svolgimento del rapporto (art. 117, 5° comma).
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Inoltre è fatto divieto di rinvio agli usi «per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni
altro prezzo e condizione praticati». Le relative clausole contrattuali, in passato presenti nelle n.b.u.,
sono nulle e si considerano non apposte. E nulle sono anche le clausole che prevedono per i clienti
condizioni economiche più sfavorevoli di quelle pubblicizzate (art. 117, 6° comma).
La nullità di tali clausole e l'inosservanza delle regole in tema di contenuto minimo del
contratto comporta l'applicazione del tasso di interesse e delle altre condizioni economiche fissate
per legge (art. 117, 7° comma).
Nei contratti di durata può essere pattuita la facoltà della banca di modificare
unilateralmente le condizioni contrattuali, oggi però solo a condizione che la modifica sia sorretta
da un giustificato motivo. Le variazioni devono essere comunicate al cliente con un preavviso di
trenta giorni e con le modalità fissate dalla legge; in caso contrario, le variazioni sfavorevoli ai
clienti sono inefficaci. Ed ai clienti si riconosce il diritto di recedere dal contratto senza spese entro
sessanta giorni dalla comunicazione e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto,
l'applicazione delle condizioni precedentemente praticate; altrimenti la modifica si intende
tacitamente approvata (art. 118, come modificato dal d.l. 4-7- 2006, n. 223, convertito in legge
248/2006)".
In ogni caso, poi, nei contratti di durata (come il conto corrente bancario), il cliente ha
sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura (art. 10, 2°
comma, d.l. 4-7-2006, n. 223).
Infine, nei contratti di durata è fatto obbligo alla banca di fornire per iscritto, almeno una
volta all'anno, una comunicazione completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto,
mediante la consegna del rendiconto e del documento di sintesi sulle principali condizioni. Il cliente
ha diritto di ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni
poste in essere negli ultimi dieci anni (art. 119).
La Banca d'Italia vigila sul rispetto della disciplina in tema di trasparenza e può anche
prescrivere, a pena di nullità, che determinati contratti o titoli abbiano un contenuto tipico
predeterminato (art. 117, 8° comma). Inoltre, in caso di ripetute violazioni degli obblighi di
pubblicità, il Ministro dell'economia e delle finanze può disporre la sospensione dell'attività anche
di singole sedi secondarie della banca inadempiente per un periodo non superiore a trenta giorni
(art. 128).
Un ulteriore contributo al miglioramento del grado di tutela dei clienti delle banche è stato
poi determinato dall'applicazione al settore bancario della disciplina antimonopolistica nazionale
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(legge 10-10-1990, n. 287); disciplina che in origine individuava nella Banca d'Italia l'autorità
preposta all'applicazione della relativa normativa nel settore bancario, mentre ora tali competenze
sono state trasferite all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (art. 19, 11° comma, legge
28-12-2005, n. 262).
Intervenendo nella veste di autorità garante della concorrenza nel settore bancario, nel 1994
la Banca d'Italia ha stabilito che le norme bancarie uniformi costituiscono «intese» restrittive della
concorrenza ed ha imposto all'Abi di specificare che le stesse non hanno carattere vincolante per le
banche associate, nonché la soppressione o la modifica di diverse clausole in quanto fissavano
condizioni economiche in contrasto con le regole di concorrenza. Anche a seguito di questo mutato
atteggiamento dell'autorità di vigilanza, l'Abi ha concordato con alcune associazioni di consumatori
la revisione delle n.b.u., temperandone in più punti l'unilateralità a favore delle banche.
Infine, la disciplina del credito al consumo introdotta nel 1992 (14.13.) e, su un piano più
generale, quella delle clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori (art. 1469-bis ss.
cod. civ., introdotti dalla legge 6-2-1996, n. 52, disciplina ora confluita negli artt. 33-38 cod. cons.)
hanno contribuito, imponendo ulteriori modifiche delle n.b.u., ad accentuare il grado di tutela dei
clienti delle banche quando questi siano persone fisiche che agiscono per scopi estranei alla loro
attività imprenditoriale o professionale.
Ciò fissato passiamo all'esame dei singoli contratti bancari.
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4 I depositi bancari.
Il deposito di danaro è la principale operazione passiva delle banche. Esso costituisce un
tipo particolare di deposito irregolare (art. 1782), che si caratterizza per il necessario intervento di
una banca in veste di depositario.
Con questo contratto la banca acquista infatti la proprietà della somma ricevuta in deposito e
si obbliga a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto (deposito
vincolato), ovvero a richiesta del depositante (deposito libero), con o senza preavviso (art. 1834, Io
comma).
Benché il codice nulla stabilisca al riguardo, è certo che la banca deve corrispondere gli
interessi sulle somme depositate. Tanto si desume dalla disciplina del mutuo (art. 1815), cui quella
del comune deposito irregolare fa rinvio (art. 1782).
In base alla disciplina generale dei contratti bancari (art. 117 Tub), il tasso di interesse, di
regola più elevato per i depositi vincolati, e le altre condizioni economiche devono risultare dal
contratto (predisposto sulla base delle relative n.b.u.) che attesta la costituzione del deposito o, in
caso di libretto al portatore, dal libretto stesso. Il tasso di interesse, inoltre, non può essere inferiore
a quello predeterminato in via generale dalla banca per quella determinata categoria di depositi e
portato a conoscenza del pubblico mediante avviso esposto nei propri locali.
Se non osserva tali prescrizioni, la banca dovrà corrispondere il tasso nominale massimo dei
buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti la costituzione del rapporto (art.
117, 7° comma, Tub).
Gli interessi sono capitalizzati con la periodicità pattuita ed indicata in contratto (di regola,
annualmente) e sono altresì liquidati in occasione dell'estinzione del deposito (art. 8 n.b.u., nel testo
modificato nel 1995).
Nei depositi liberi la banca si riserva la facoltà di modificare il tasso di interesse, dandone
comunicazione mediante lettera se si tratta di libretti nominativi (art. 11 n.b.u.). In caso di ribasso
del tasso di interesse, il cliente può recedere dal contratto, entro sessanta giorni dall'avviso o dal
ricevimento della comunicazione, ed ha diritto a che gli sia applicato in sede di liquidazione il tasso
precedente, a lui più favorevole (art. 118, 2° comma, Tub).
Oltre che in conto corrente, i depositi bancari possono essere semplici (o ordinari) e a
risparmio.
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I depositi semplici non possono essere alimentati da successivi versamenti e non prevedono
la possibilità di prelevamenti parziali prima della scadenza. Fra i depositi di questo tipo, a scadenza
fissa, rientrano quelli rappresentati da buoni fruttiferi e da certificati di deposito.
I depositi a risparmio danno invece al depositante la facoltà di effettuare successivi
versamenti e prelevamenti parziali. Versamenti e prelevamenti possono essere però effettuati solo in
contanti (art. 3 n.b.u.) e, salvo patto contrario, solo presso la sede della banca ove è stato costituito
il rapporto (art. 1834, 2° comma, cod. civ.).
I depositi a risparmio sono comprovati da un apposito documento: il libretto di deposito a
risparmio, nel quale devono essere annotate tutte le operazioni.
Il libretto di deposito ha per legge un particolare e penetrante valore probatorio. Infatti, le
annotazioni sul libretto, firmate dall'impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno
piena prova nei rapporti fra banca e depositante (art. 1835, 2° comma). La banca ed il depositante
non possono perciò avvalersi di altri mezzi di prova per contestare il contenuto delle annotazioni sul
libretto ed in particolare la banca non potrà eccepire la difformità delle stesse rispetto alle proprie
scritture contabili. È da escludersi inoltre, benché il punto sia controverso, che la banca o il cliente
possano provare liberamente che un versamento o un prelevamento non risultante dal libretto siano
stati effettivamente eseguiti. È nullo ogni patto contrario.
I libretti di deposito a risparmio possono essere nominativi, nominativi pagabili al portatore
e al portatore.
Nei libretti nominativi i prelevamenti possono essere effettuati solo dall'intestatario del
libretto o da un suo rappresentante debitamente legittimato (art. 5 n.b.u.).
Nei libretti nominativi pagabili al portatore, i prelevamenti possono essere effettuati anche
da soggetto diverso dall'intestatario, con effetto liberatorio per la banca che non versi in dolo o
colpa grave (art. 1836, 2° comma).
Nei libretti al portatore, il possesso del libretto abilita di per sé alla riscossione delle somme
depositate. La banca è infatti liberata se paga senza dolo o colpa grave all'esibitore, anche se questi
non è il depositante (art. 1836, 1° comma). Né, a rigore, è tenuta ad identificare il presentatore del
libretto.
Per tutti i tipi di libretto è prevista una particolare procedura di ammortamento, diretta a
farne dichiarare l'inefficacia in caso di smarrimento, distruzione o sottrazione (legge 30-7-1951, n.
948).
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È pacifico che i libretti nominativi e quelli nominativi pagabili al portatore non sono titoli di
credito. Essi non sono destinati alla circolazione e la loro funzione è solo quella di identificare
l'avente diritto alla prestazione.
È invece questione ancora aperta se siano titoli di credito i libretti al portatore e, quindi, se il
terzo possessore del libretto vanti un diritto letterale ed autonomo nei confronti della banca.
Certo è comunque che il libretto al portatore consente il trasferimento del credito verso la
banca senza l'osservanza (quanto meno) delle forme della cessione. Certo è inoltre che le n.b.u.
richiedono l'osservanza delle disposizioni proprie dei titoli di credito per l'efficacia dei vincoli sul
credito (art. 4, 2° comma). Pegno, sequestro e pignoramento sono perciò improduttivi di effetto se
non attuati con la consegna del libretto (art. 1997 cod. civ.).
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5 L'apertura di credito.
L'apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione
dell'altra parte una somma di danaro, per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art.
1842).
L'apertura di credito, tipica operazione bancaria attiva, non è un mutuo (contratto reale)
perché si perfeziona indipendentemente dalla consegna del danaro.
Non può essere inoltre identificata con la promessa di mutuo (art. 1822) o con il mutuo
consensuale. Non con la prima in quanto la banca è obbligata già con la stipula del contratto di
apertura di credito e non è necessaria un'ulteriore manifestazione di volontà della stessa. Non con il
secondo (ammesso che il mutuo consensuale sia diverso dalla promessa di mutuo), dato che
all'obbligo della banca di tenere a disposizione corrisponde un diritto potestativo del cliente. Questi
è infatti libero di utilizzare o meno, in tutto o in parte, il credito concessogli, se e quando lo riterrà
opportuno. Ed in ciò consiste il vantaggio pratico dell'apertura di credito rispetto al mutuo.
Infatti, gli interessi sono dovuti dal cliente non sul fido concessogli, ma sulle somme
effettivamente utilizzate. Oltre gli interessi, è dovuta alla banca una commissione di massimo
scoperto, in genere calcolata sull'importo massimo del credito utilizzato nel periodo, oppure dovuta
in misura fissa.
Il cliente può utilizzare la somma messagli a disposizione dalla banca in una o più volte; può
inoltre ripristinare la disponibilità con successivi versamenti. In altri termini, può alternare
versamenti e prelevamenti nei limiti della linea di credito concessagli.
Oltre che con prelevamenti in contanti, il cliente può utilizzare il credito concessogli anche
per emettere assegni bancari o per impartire alla banca ordini di pagamento a terzi, dato che in base
alle relative norme bancarie uniformi i modi di utilizzo dell'apertura di credito sono quelli propri
del conto corrente bancario. Anzi, nella pratica l'apertura di credito non è che uno dei modi per
creare una disponibilità nel conto corrente; una clausola del relativo contratto con cui la banca
autorizza il titolare del conto ad operare «allo scoperto» entro un limite determinato.
L'apertura di credito può essere allo scoperto o assistita da garanzie, reali o personali, a
favore della banca.
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Le garanzie che assistono l'apertura di credito si intendono date per tutta la durata della
stessa e quindi non si estinguono fino alla fine del rapporto per il solo fatto che l'accreditato cessa di
essere debitore della banca (art. 1844).
Inoltre, se le garanzie diventano insufficienti rispetto al credito concesso (non a quello
utilizzato), la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. In
mancanza, la banca può, a sua scelta, ridurre proporzionalmente il credito concesso o recedere dal
contratto.
Il recesso della banca dall'apertura di credito è certamente l'aspetto più delicato della relativa
disciplina per il grave pregiudizio che può arrecare all'accreditato. Costituisce perciò il punto più
analiticamente disciplinato dal codice (art. 1845), che al riguardo distingue fra apertura di credito a
tempo determinato ed a tempo indeterminato.
Nell'apertura di credito a tempo determinato, salvo patto contrario, la banca può recedere
anticipatamente dal contratto solo se sussiste una giusta causa. Il recesso sospende immediatamente
l'ulteriore utilizzo del credito, ma la banca deve concedere un termine di almeno quindici giorni per
la restituzione delle somme utilizzate.
Nell'apertura di credito a tempo indeterminato, la banca (ed anche il cliente) può invece
recedere liberamente dal contratto. Deve però dare un preavviso, fissato per legge in quindici
giorni, ove non risulti diversamente dal contratto o dagli usi. Durante questo periodo il cliente può
continuare ad utilizzare il credito concessogli ed alla scadenza dovrà immediatamente restituire le
somme utilizzate.
Questo è il diritto scritto nelle pagine del codice. Altro è il diritto vivente fissato dalle norme
bancarie uniformi (sez. II, art. 3), solo in minima parte modificato dai recenti interventi legislativi.
Nelle n.b.u. scompare ogni distinzione fra apertura di credito a tempo indeterminato e a
tempo determinato. In entrambi i casi la banca può recedere liberamente, anche con comunicazione
verbale. In entrambi i casi il recesso sospende immediatamente l'utilizzo del credito. In entrambi i
casi il termine per restituire le somme utilizzate è drasticamente ridotto. Ridotto ad un giorno (sì, un
giorno!) secondo il testo originario delle n.b.u.; mentre a partire dal 1995 la clausola, ritenuta in
contrasto con la normativa antimonopolistica dalla Banca d'Italia, è stata modificata nel senso che il
termine di preavviso deve essere concordato fra banca e cliente. Il risultato? A quanto mi risulta,
bene che vada per il cliente il termine è di regola allungato a due giorni.
Né la situazione è granché migliorata anche quando il cliente è un consumatore e gode
perciò della tutela introdotta nel 1996 dalla disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti con i
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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I contratti bancari
consumatori. Nulla è infatti cambiato per l'apertura di credito a tempo indeterminato, salvo che il
preavviso deve essere dato per lettera raccomandata. E solo se l'apertura di credito è a tempo
determinato le n.b.u. prevedono, con un parziale ritorno alla disciplina del codice, che la banca può
recedere solo se sussiste una giusta causa.
Certo le banche devono tutelarsi contro clienti non più affidabili (soprattutto se questi sono
imprenditori) e si tutelano bene. Parte significativa della dottrina non manca tuttavia di sottolineare
come tale disciplina convenzionale sia parzialmente invalida per violazione di norme di legge
inderogabili. Non la pensa invece così la giurisprudenza, benché le pre- occupazioni di
salvaguardare la stabilità delle banche siano in parte ingiustificate. Infatti, in caso di insolvenza del
cliente la banca può certamente invocare la decadenza dal beneficio del termine per ottenere
l'immediata restituzione (art. 1186).
Restia è anche la giurisprudenza, ma non la dottrina, a riconoscere al cliente il diritto al
risarcimento dei danni qualora la banca, violando il principio di correttezza e buona fede, receda
improvvisamente e senza giustificato motivo dall'apertura di credito, chiedendo per di più
l'immediato rientro.
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