II L tapardl del «Federale»
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Primo Arcovazzi, fervente graduato della milizia
fascista, trasporta in sidecar dall'Abruzzo a Roma
unfilasofo antiregime, il professoróonafé. Ad
accompagnarli nell'odissea attraverso l' Italia dei
1944, un «libretto»di carta pregiata, «edizione di
lusso come non se ne fanno più» dei Conti di
Leopardi che, tra citazioni e pagine strappate per
esserfumateofar esplodere prigioni, permette,
nel Federale di Luciano Salce (1961), l'incontro
tra due uomini ancorati a ideologie opposte.
GI scienziati cllc= lascb:1oiz proprioPaese per affcz°niat si negli St8,tï Uniti sono una risorsa:
creano legami con gli atenei d9t igïlie, chiamano a sé i migliori glovaI i disseminano conoscenza
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che
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di GIUSEPPE RENIUZZI
rima del nazismo la Germania
era il Paese più forte del mondo
per la scienza, medica e non.
Hitler distrusse tutto. Il primato
passò agli Stati Uniti che lo conservano ancora, anche se India e Cina
stanno facendo passi da gigante (hanno
ventuno università nelle prime cento del
mondo). Ci sono voluti più di cinquant'anni perché i tedeschi potessero risalire
la china e non sarebbe mai successo senza l'aiuto di chi, dopo aver lasciato la Germania, in tutti questi anni ha continuato
ad aiutare il suo Paese da fuori. Ed è stato
così anche in America Latina; i dittatori
di Brasile, Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay hanno fatto scappare i migliori
scienziati che sono finiti negli Stati Uniti:
là hanno organizzato la loro vita e, passato il periodo delle dittature, non avevano
nessuna ragione per tornare in Sudamerica.
E non è che non ce ne fossero di
«grandissimi», in America Latina. Ricordate Bernardo Houssay, che dirigeva
l'Istituto di Fisiologia di Buenos Aires?
Ebbe ïl premio Nobel per la Medicina nel
1947, ma il governo lo costrinse a lasciare
la sua università: lui lo fece in nome della
democrazia. Poi c'è stato Luis Leloir, un
allievo di Houssay, che ha ricevuto il premio Nobel per la Chimica. Iloussay e Leloir non sono stati i soli, basta pensare all'immunologo venezuelano Baruj Benacerraf, a sua volta premio Nobel nel 198o,
o a Cesar Milstein, che lo ha avuto per la
Medicina nel 1984. Ma le cose stanno
cambiando, basta
pensare che il nu- Emilio García
mero della rivista (Barcellona,
«Nature» uscito il 12 1981),
giugno dedica 25 lumpings Brains
pagine agli «archi- (2009, vernice
tetti della scienza colorata e vinile)
sudamericana».
Quelli, insomma, che vorrebbero che
l'America Latina tornasse ai fasti del passato, almeno nella scienza.
Pew Charitable Trusts, per esempio, è
una fondazione privata che sta facendo
di tutto per aiutare gli scienziati dell'America Latina. Come? Favorendo quella che noi chiamiamo la fuga di cervelli e
lo fa con un programma - Pew Latin
American Fellows Program - che ogni
anno finanzia dieci fra i migliori studenti
sudamericani per un periodo di formazione di almeno due anni nei migliori laboratori di grandi tradizioni di ricerca
dell'America del Nord.
È scontato che qualcuno dopo qualche
anno passato a Washington o a San Francisco resti là; non importa. Quelli che
raggiungono posizioni apicali in università di prestigio degli Stati Uniti stabiliscono collaborazioni con le loro terre
d'origine (Brasile, Cile, Argentina, Perù),
ospitano a loro volta giovani studenti
quasi sempre sudamericani e compensano così le carenze delle loro università.
Tantissimi però di coloro che partono
per gli Stati Uniti - almeno ïl 70 per cento - tornano in America Latina nonostante le difficoltà a trovare le condizioni
giuste per mettere in pratica tutto quello
che hanno imparato. E fanno carriera;
ormai sono le «star» della scienza sudamericana, pubblicano sulle migliori riviste, dirigono gruppi all'avanguardia nel-
........................................
L ' esempio
medici e C_ ai ici
Grandi
lati noatineri cani r `r
negli Usa e da lì sostennero
l'evoluzione delle loro
discipline i
l'agricoltura, nella biologia molecolare,
nelle nanotecnologie. «Al contrario dei
soldi, che quando lasciano un Paese quasi mai tornano indietro, il capitale intellettuale prima o poi ritorna. Con gli interessi. Meglio uno che va via, insomma, di
uno che resta, persino per l'economia del
nostro Paese»: così ha dichiarato Lino
Barañao, ministro della Scienza e della
tecnologia in Argentina.
I cervelli, poi, non fuggono: vanno e
vengono. Certo, si dovrebbe fare in modo
che alla fine il bilancio sia positivo, come
sta succedendo almeno un po' in Sudamerica. Dario Zamboni è uno dei miglio-
ri scienziati al mondo sotto i quarant'anni, secondo la rivista «Cell». Ha avuto
una borsa di studio del programma Pew,
è stato per tre anni nel laboratorio di
Craig Roy a Yale negli Stati Uniti dove ha
studiato le proprietà funzionali di certi
batteri incluso il Coxiella burnetii che è
trasmesso dalle zecche ed è responsabile
della febbre Q, un problema per molte
popolazioni del mondo. Adesso Zamboni dirige il laboratorio di Immunologia e
microbiologia di San Paolo in Brasile. Si
occupa del morbo di Chagas, una terribile malattia dovuta a un parassita diffuso
nelle aree rurali e più povere del Sudamerica. Darlo poteva benissimo restare
negli Stati Uniti, avrebbe avuto una vita
più facile. Invece ha preferito tornare per
aiutare altri giovani ad essere scienziati.
Sono persone come Dario Zamboni
che in Brasile - ma anche in Argentina,
Messico e Cile - poi selezionano i migliori studenti perché possano accedere
al programma Pew Charitable Trusts.
Quelli che passano le selezioni locali poi
vanno negli Stati Uniti per un esame, di
fatto un'ulteriore selezione per trovare i
ragazzi più colti e più motivati da propor-
re a grandi laboratori del Nord America.
Molti di questi giovani, per quanto bravissimi, nei loro Paesi non avrebbero alcuna possibilità di emergere.
E cosa dire dei nostri che vanno via e
che sono almeno 30 mila ogni anno? Che
la scienza non ha confini e che la fuga di
cervelli va incoraggiata. t un bene che i
nostri ragazzi frequentino le grandi
scuole di medicina dell'Europa e degli
Stati Uniti ed è anche l'unico modo per
entrare nel giro dei più bravi scienziati e
dei più bravi medici del mondo. Meglio
allora parlare di mobilità, come fa «Nature» con un articolo (Turning brain
drain into brain circulation , cioè «Trasformare la fuga di cervelli in circolazione di cervelli»), senza la connotazione
negativa che si attribuisce, appunto, alla
fuga di cervelli. Che invece serve, come
documenta Tito Boeri in un bellissimo libro pubblicato due anni fa da Oxford
University Press.
Quello che nel frattempo noi dovremmo
fare perché il bilancio alla fine non sia
negativo è potenziare i nostri migliori
centri di ricerca, quelli che già sanno
competere con i migliori del mondo. In
questo modo attireremo in Italia ricercatori dagli altri Paesi d'Europa, ma anche
dagli Stati Uniti, Giappone, Australia.
Qualche anno fa il «Lancet» ha tracciato un profilo della medicina in Italia: non
cè nessun campo in cui l'Italia non abbia
competenze pari alle migliori del mondo
e i nostri ricercatori pubblicano comunque di più e meglio degli altri. «Lancet»
proponeva di fare un inventarlo di questi
gruppi, organizzarli a lavorare insieme e
dar loro la possibilità e le risorse per formare le nuove generazioni di ricercatori.
E quelli che hanno lasciato l'Italia?
Torneranno?
Dipende da che cosa potremo offrire
loro. Bisogna che il governo abbia un
piano per la ricerca e l'innovazione (l'innovazione , inclusa Silicon Valley, si è
sempre fatta con i soldi pubblici: Il mercato non basta . Senza Stato non c'è innovazione, come spiegava Maria Antonietta Calabrò su «la Lettura» del 22 giugno,
intervistando l'economista Mariana Mazzucato). Insomma, bisogna dar loro abbastanza soldi per poter lavorare, devono
essere lasciati liberi di impiegarli come
vogliono, senza la burocrazia estenuante
dei rapporti e rendiconti: il tempo dei ri........................................ cercatori è prezioso . Certo, ci si deve assicurare che li spendano bene. Ma per queTendenza sto basta vedere che cosa pubblicano.
Se si facesse così, forse un giorno il bii se ne vanno in 30
lancio tra chi va via dall'Italia e chi viene
i all' anno . E ' t i , pur da noi da altre parti del mondo sarà in
senza scuole al livelli delle pari: Turning brain drain into brain cirpì U' titolate del mondo, ha culation, appunto.
L'Italia, con pochi ricercatori, con pochissimi fondi per la ricerca e senza
scuole di biologia e medicina all'altezza
delle prime del mondo, ha comunque
gruppi di ricerca che competono a tutti i
livelli con i migliori al mondo. Il segreto?
La fuga di cervelli. Si, perché scienziati
italiani in posizioni di prestigio negli
istituti americani sono una grande risorsa per la nostra ricerca . Chiedere loro di
tornare quasi certamente è sbagliato.
l I al a
persone nei t
ibliogra. i
Science Stars of South
America. As investment
increases, researchers are
raising their game (« Nature»
2014; 510: June 14);
G. Cometto, K. Tulenko,
A. S. Muula , R. Krech, Health
Workforce Brain Drain:
from Denouncing
the Challenge
to Solving the Problem
(«PLoS Med .» 2013;
10:e1001514); Tito Boeri,
Herbert Brücker, Frédéric
Docquier, Hillel Rapoport,
Brain Drain and Brain Gain:
The Global Competition
to Attract High - Skilled
Migrants ( Oxford University
Press, 2012)
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latinoatinericani r l`evoluzione delle loro discipline i