leopinioni IL CAFFÈ 23 marzo 2014 È una brutta storia che può accadere a tutti i proprietari di una villetta in cui abitano con la propria famiglia. “Mi sembra un dovere civico raccontare quanto mi è successo. È un incubo che non auguro a nessuno”! Protagonista di questa storia è Andrea Ferrari, responsabile per la regione di Lugano di BancaStato, assieme ai suoi due vicini di casa. “Abbiamo deciso di andare fino in fondo a questa vicenda: costi quel che costi”. Le controparti contavano forse sul loro abbandono per sfinimento, ma se così fosse hanno fatto male i loro calcoli. Ferrari e i suoi vicini sono decisi a far valere le proprie ragioni, anche se dovranno sostenere ancora molte spese per i legali e per le consulenze tecniche. Ma vediamo di che cosa si tratta. Le persone in questione vivono con le loro famiglie a Pregassona, in tre tranquille villette, situate al di sopra della strada che dalla cantonale porta a Cureggia. A separare gli edifici dalla strada è un muro alto FUORI DAL CORO GIÒ REZZONICO alcuni metri. Sotto la strada sono state progettate quattro villette. Il proprietario del terreno, prima di iniziare a costruire effettua dei lavori di ancoraggio del terreno impiantando degli elementi in ferro sotto la strada e sotto le fondamenta delle case di Andrea Ferrari e dei suoi vicini. Mentre vengono eseguiti questi lavori di preparazione del terreno si verificano profonde crepe sia nei muri delle tre villette sia sull’asfalto della strada. Il cantiere viene così immediatamente sospeso e per alcune notti si chiede ai proprietari delle tre abitazioni di lasciare le loro residenze per ragioni di sicurezza. Le case vengono di nuovo considerate abitabili dopo aver riportato sul cantiere la terra precedentemente tolta e posati enormi massi per sostenere, provvisoriamente, il muro. Ma per i proprietari dei tre edifici, che nel frattempo si erano rivolti a un avvocato e avevano chiesto perizie tecniche, inizia un calvario che dura da due anni. L’entità dei danni, secondo una prima stima, viene valutata oltre 1,5 milioni di franchi. “Intanto le assicurazioni del proprietario del terreno sottostante (LaMobiliare), dell’impresa e dei consulenti responsabili dei danni – spiega Andrea Ferrari – senza mai nemmeno confermare formalmente la copertura del caso, incaricano la Zurigo assicurazioni, che è la compagnia di alcuni dei corresponsabili, di trattare il caso per tutti”. Ma c’è un inghippo: chi ha subito il danno non può chiamare in causa direttamente le assicurazioni, deve rivolgersi alle persone fisiche responsabili dell’accaduto, “che tirano la questione per le lunghe, mentre l’assicurazione, dopo un’attesa estenuante durata un anno e mezzo e senza averci rimborsato nemmeno un centesimo, si limita a proporre il risanamento del muro e del pendio sottostante: una proposta indecente!”. I proprietari chiedono però con insistenza anche un risanamento strutturale degli edifici danneggiati e le riparazioni interne ed esterne. Per far valere i propri diritti in futuro dovranno sostenere altre spese. A questo punto sembra lecito il sospetto che chi deve risarcire i danni cerchi di esasperare il cittadino fino a quando non abbandona la causa per sfinimento. “Ma in questo caso non avverrà” assicura con fermezza Andrea Ferrari. FOGLI IN LIBERTÀ COLPI DI TESTA GIUSEPPE ZOIS LIDO CONTEMORI Non siamo capaci di colpire il bullismo RENATO MARTINONI Le poesie del cuore scritte con la lupara Caro Diario, mi piacerebbe domandare a molti adolescenti quali sono i loro desideri, che idea hanno dei giorni che vivono. Vorrei chiederlo, per esempio, a quei molti ragazzi che si riversano in massa negli shopping center e simili. Forse a qualche adulto sarà capitato di imbattersi in uno dei gruppi che vi dominano la scena, di vederli stravaccati ai tavolini dei bar. Gli atteggiamenti sono di evidente bullismo. Lì, in quei luoghi, alla luce del sole, succede ciò che si ripete nel chiuso delle carrozze sui treni o dentro molte aule scolastiche Su un “Tilo” ho assistito alla scena di un adolescente che “minacciava” il bigliettaio: come minorenne si sentiva legittimato a molte “licenze”, nell’impunità. EFFETTIVAMENTE siamo in una società dove non riusciamo a punire, quando è il caso. Parola d’ordine è il rozzo e ossessivo “vaffa”. Le mode del peggio fanno proselitismo a presa rapida. Correggere l’errore è un dovere, perché prima o poi la vita presenta il conto. Criticare l’indifferenza educativa è morale più che moralistico. IN PICCOLE o più robuste bande, bulli&pupe occupano spazi pubblici a loro piacimento, si acquartierano, blindano un territorio e molti desistono d’istinto dall’accedervi. Men che meno si azzardano a valicare questi perimetri i genitori con bambini al seguito: per evitare overdosi di parolacce e scongiurare risse. So di padri e madri che si sono lamentati con i gerenti di questi ritrovi, esattamente come hanno fatto e fanno i docenti con le direzioni, i controllori dei biglietti sui treni con i loro superiori, ottenendo in risposta sconsolati gesti di braccia che si allargano in segno di resa. PSICHIATRI e psicologi, se interpellati in materia, rispondono che i giovani vanno educati a costruirsi un progetto da realizzare nel tempo, a coltivare un desiderio che non sia figlio di uno spot o fotocopia di un comportamento visto in tv o da youtube. È vero che questa società tende all’individualismo e che dobbiamo incoraggiare il “noi”: da non intendere però nella declinazione di “banda”. Di fronte a una generazione spesso provocatoriamente trasgressiva, che irride a tutto autorità, esperienza, rispetto - dobbiamo avere la franchezza e il coraggio di domandarci che cosa fare. La civiltà dei modi, da trasmettere ai ragazzi, è un compito collettivo che si fonda sulla capacità di valorizzare le caratteristiche individuali, facendole maturare. Punto di partenza è il delicato ma irrinunciabile recupero dell’autorevolezza perduta. Le poesie non danno il pane, dicevano i latini. E avevano ragione. Chi giunge alla fine del mese vendendo al mercato terzine dantesche? Sono peraltro in molti a pensare bellamente che quello riservato alla cultura sia solo tempo rubato a cose di ben altro spessore nella vita. L’ingegnere costruisce i ponti, il macchinista guida il treno, il finanziere gestisce i capitali, il sarto cuce i vestiti, senza i quali gireremmo nudi e svergognati come i vermi. E la cultura? Roba, non per i carrettieri, come diceva Alberto Sordi dei “maccaroni”, ma per i perditempo e gli sfigati. Viene però da chiedersi perché mai, allora, molti si fanno intervistare seduti davanti a una libreria stracolma di volumi e non con la schiena rivolta a una banca o a un cantiere in costruzione. E che dire dei mammasantissima della Mafia che, una volta finiti dietro le sbarre, con le mani che ancora grondano sangue, scrivono racconti d’amore che poi mandano ai concorsi letterari? O dei feroci camorristi che, nel tempo libero, tra una partita di cocaina e una di kalashnikov, dipingono assolati paesaggi mediterranei? E dei politici che, dopo una vita di colpi bassi, dati e ricevuti, arrivano finalmente a pubblicare il loro libretto in cui fioriscono come gigli versi del tipo: “La vita è un mare azzurro e infinito | ove il mio cuore naviga sereno”? Oppure: “Quando scende la sera | e la luce s’infioca | mi illumino di immensità”? Si fatica un poco a credere che chi ha usato la lupara, possa comporre poesie che invitano alla contemplazione o debba dipingere tramonti ammantati di rosa. Dev’essere che in ogni uomo, anche nel più feroce e ribaldo, si annida una colomba immacolata di marzapane. E che da questo nido circondato da veleni parta il bisogno incontenibile di urlare al mondo parole di amore e di bontà. Com’è possibile altrimenti che chi, per tutta la vita, è stato violento e criminale, o anche soltanto un mascalzone, finisca poi per darsi, non alla pesca o alla caccia, ma all’arte? E che le stesse persone che hanno tagliato gli ammenniccoli ai “cornuti”, o hanno dato in pasto ai loro mastini gli “ominicchi”, o hanno sciolto nell’acido i corpi dei “quaquaraquà”, scrivano versi che dicono che la vita è un soffio malinconico e che le gocce di rugiada sono le lacrime di un mondo che anela al bene supremo? Perché costoro, invece di scrivere o di dipingere, non scelgono di costruire le case come gli architetti o di preparare il cappuccino come i baristi? Forse, ma non è vero, l’arte è pace dei sensi, è riscatto dalle proprie malefatte, è voglia di essere ascoltati, è quello che non siamo e che vorremmo essere. E forse, se non dà il pane, offre almeno la speranza di essere diversi da quello che si è. Ma è solo un’illusione. Per questo è bene non giocare con la cultura: che è una cosa seria e molto faticosa. Non una via tardiva di fuga o un improbabile strumento di riscatto. Contingentare i giovani immigrati fa perdere competitività al Ticino I CONTI DELLA DOMENICA ANGELO ROSSI I giornali e i media elettronici ci incalzano con i dati sulla poca competitività del Ticino. Il nostro cantone è in fondo alla classifica della competitività. Migliora magari, da un anno all’altro, di uno o due posti, ma resta sempre troppo vicino al fanalino di coda. In prospettiva la situazione dovrebbe addirittura peggiorare. Lo dice l’Ire, lo dice il Cs, lo dicono altri. In queste analisi, per competitività di una regione si intende il tasso di crescita del suo prodotto interno lordo nel periodo lungo, ossia nei prossimi otto-dieci anni. Il risultato su cui tutti i ricercatori concordano è che, per il Ticino, saranno anni di vacche magre. Quando poi i ricercatori nostrani, o che vengono da fuori, si pronunciano sulle cause di que- Settimanale di attualità, politica, sport e cultura virgolette tra Questa è proprio una brutta storia, ma può capitare a ognuno di noi IL DIARIO ilcaffè 43 sto ritardo un fattore appare sempre in prima linea: l’invecchiamento della popolazione. La popolazione ticinese è quella che conosce il tasso di invecchiamento (proporzione di persone con più di 65 anni) più alto della Svizzera. L’invecchiamento di una popolazione, purtroppo, è una malattia cronica contro la quale, di fatto, non c’è che un rimedio: l’immigrazione di popolazione giovane. Non è infatti pensabile che in una popolazione invecchiata sia possibile far aumentare il tasso di natalità. Se poi si limita l’immigrazione di giovani, l’invecchiamento demografico si accelererà. In una popolazione che invecchia il tasso di attività (ossia il rapporto tra chi è in età lavorativa e il totale della popolazione) sa- Direttore responsabile Lillo Alaimo Vicedirettore Libero D’Agostino Caposervizio grafico Ricky Petrozzi rà inferiore alla media. Sul mercato del lavoro, quindi, si registrerà un’insufficienza relativa dell’offerta. I salari tenderanno ad aumentare, facendo aumentare i costi di produzione e riducendo infine il grado di competitività delle aziende. Una popolazione che invecchia ha poi bisogno, in proporzione, di maggiore assistenza sanitaria e sociale. E questo fa aumentare la domanda di lavoratori nei settori pubblico e parapubblico. Non solo, ma fa anche aumentare la spesa dello Stato e dei Comuni. La popolazione che invecchia è quella nella quale la quota dei pensionati è superiore alla media. Ora il reddito della pensione è sempre inferiore al reddito che una persona può conseguire svolgendo la sua attività lavo- Società editrice 2R Media Presidente consiglio d’amministrazione Marco Blaser Direttore editoriale Giò Rezzonico DIREZIONE, REDAZIONE E IMPAGINAZIONE Centro Editoriale Rezzonico Editore Via B. Luini 19 - 6600 Locarno Tel. 091 756 24 40 - Fax 091 756 24 39 [email protected] - [email protected] PUBBLICITÀ Via Luini 19 - 6600 Locarno Tel. 091 756 24 12 Fax 091 756 24 19 [email protected] rativa. Se gli va bene, quando è in pensione, uno arriva a conseguire un 6070% del reddito che raggiungeva quando lavorava. Se non gli va bene, il suo reddito potrebbe anche scendere al di sotto del 50% di quanto guadagnava prima. Se la quota dei pensionati aumenta, diminuisce quindi il gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche. La situazione finanziaria degli enti pubblici peggiora perché, con una popolazione che invecchia, essi sono confrontati, da un lato, con bisogni crescenti nei settori sanitario e sociale e, dall’altro, con risorse fiscali in diminuzione. C’è poco da dire: il problema economico e finanziario del Ticino sono i vecchi, anzi la popolazione residente di nazionalità svizzera, RESPONSABILE MARKETING Maurizio Jolli Tel. 091 756 24 00 – Fax 091 756 24 97 DISTRIBUZIONE Maribel Arranz [email protected] Tel. 091 756 24 08 Fax 091 756 24 97 perché è questa che conosce il tasso di invecchiamento più alto. Nel 2011, ultimo anno per il quale si dispone di dati, in Ticino la quota di popolazione con più di 65 anni era, per gli svizzeri, 22.5%. Per gli stranieri, invece, la stessa era pari al 15.9%. A voler essere maliziosi potremmo suggerire che un metodo per ringiovanire la popolazione ticinese, senza far ricorso all’immigrazione, ci sarebbe: contingentare gli svizzeri. Ma chi si azzarda a proporlo? Probabilmente bisognerà rassegnarsi ad accettare che come sosteneva Appio Claudio - ognuno è artefice del proprio destino. Chi ha votato per contingentare i giovani immigranti deve sapere che ha votato anche per un cantone meno competitivo. STAMPA Ringier Print - Adligenswil AG - Druckzentrum Adligenswil 6043 Adligenswil - Tel. 041 375 11 11 - Fax 041 375 16 55 Tiratura (dati Remp ‘12) 56’545 Lettori (dati Mach ‘12-’13) 106’000 Abbonamento annuo Fr. 59.– (prezzo promozionale)