C4LE OPINIONI
IL CAFFÈ 12 agosto 2012
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Ci sono giovani seri e impegnati
e bisogna dare loro spazi e voce
L’EDIT
ORIALE
DEL
LETTO
RE
Marco Barzaghini, 27 anni, operatore sociosanitaro, Rancate
C
Giornalisti, economisti,
politologi..., i giornali sono
pieni di commenti e analisi
di esperti e presunti esperti.
Il Caffè ha aperto una finestra
per ospitare ogni settimana,
nella pagina
delle opinioni, l’“editoriale
del lettore”;
l’attualità commentata
da persone comuni
ome responsabile del Progetto
„What’s Up“ che ha lo scopo di
dare la possibilità ai giovani
musicisti e a gruppi musicali giovanili
di lanciare un messaggio in musica
per far riflettere, penso sia doveroso
spendere due parole sulla situazione
che si è registrata qualche mese fa davanti alle scuole medie di Mendrisio.
di fronte a dei giovani che vogliono
tutto e subito, perché non sono stati
abituati alle regole, ad aspettare
prima di ricevere, giovani che sono
stati lasciati un po’ a se stessi nella
crescita…chi più chi meno… La
colpa? Di chi non ha saputo trasmettere le basi educative.
Siamo in una società dove sempre di
più ai giovani manca qualcosa,
manca il lato affettivo, nessuno li ha
ascoltati veramente, ma sono stati
solo riempiti di beni materiali. Siamo
Però dobbiamo stare molto attenti…
la responsabilità è anche di chi ci propina ogni giorno notizie negative e
atti di vandalismo commessi dai giovani…non si può cambiare e
cercare,invece, di parlare dei giovani
SOCI
ETA’
& CIVI
LTA’
che fanno?
In Ticino ci sono associazioni di scout
con molti ragazzi che organizzano varie attività che permettono di crescere
bene, ci sono giovani che si impegnano nelle colonie con i disabili, giovani che aiutano in case per anziani…
Ci sono ancora giovani che hanno e
che possono dare. Creiamo lo spazio
e diamogli questa opportunità!
“What’s Up” vuole fare questo, sette i
giovani alla guida di questo progetto
(Organizzato lo scorso anno da Amici
Ticino per il Burundi e Fondazione
RIPRESIIERIEOGGI
Elaborazione grafica di Adamo Citraro
Tamagni”). Il progetto ha lo scopo di
dare ai giovani lo spazio di creare una
canzone sul tema dell’integrazione.
Lo scorso anno per il tema della pace
e non violenza ci sono stati ben 53
gruppi che hanno creato un testo profondo con un messaggio forte!
Dobbiamo solo cercare di sostenere
questi spazi… e cercare di farli esprimere!
E a tutti i giovani che fanno cose positive, un invito: coinvolgete coetanei e
amici in questo impegno al fine di...
aumentare il bene che fate!
APP
UNTI
DI
VIAG
GIO
Franco Zambelloni
Giò Rezzonico
Se lo sport scarica
la nostra aggressività
Aix, la città “ingrata”
di Paul Cézanne
N
“P
on ho la competenza per commentare le Olimpiadi
che si stanno concludendo. Il mio interesse e la mia
curiosità sono invece attratti dalle differenze – profonde e spesso sottaciute – tra le Olimpiadi originarie, quelle
che ebbero inizio ad Olimpia nel 776 a. C., e quelle d’oggi
che dicono d’ispirarsi alla tradizione antica e ne sono invece
sempre più lontane.
Quando de Coubertin, sul finire dell’Ottocento, si fece venire l’idea di far risorgere i giochi d’Olimpia operò in buona
parte un autentico falso storico. È pur vero che avrebbe voluto escludere dai Giochi le donne, che nel mondo antico
non solo non potevano gareggiare, ma neppure potevano
presenziare come spettatrici; ma il Comitato Olimpico appositamente costituito non gli diede retta. Peraltro, ebbe
successo la sua idea di riprendere il “puro spirito d’Olimpia”
– che De Coubertin concepiva come un confronto leale tra
atleti dilettanti, senza intenti di lucro.
Senonché questi puri ideali sono un’invenzione moderna. È
vero che da Olimpia il vincitore tornava solo con l’alloro, ma
la sua patria lo compensava poi copiosamente con denaro,
muli, cavalli, donne, onori e cariche politiche; e i casi di corruzione erano frequenti. Filostrato racconta di allenatori che
prestavano denaro agli atleti e poi suggerivano loro di vendere la vittoria (non c’è nulla di nuovo sotto il sole…). De Coubertin intendeva poi riprendere le competizioni tradizionali di Olimpia: ma certe gare ripugnano al gusto moderno, come nel caso del pancrazio - una lotta corpo a corpo
senza esclusione di colpi - in cui era lecito cavare un occhio
all’avversario o spezzargli le membra. Resuscitando le Olimpiadi, si fece finta che quella gara non ci fosse mai stata; in
compenso, nel corso degli anni se ne aggiunsero tantissime
altre che a Olimpia non c’erano proprio. Insomma, la nostra
ripresa della tradizione è propriamente una reinvenzione
secondo i nostri gusti.
E c’è poi un’altra idea di de Coubertin che sembrava rifarsi
alla tradizione greca e invece ancora una volta se ne allontanava: la convinzione che i Giochi servissero a portare la
pace e la fratellanza fra i popoli. Quanto alla fratellanza, non
ci siamo: come ha scritto lo studioso della classicità greca
Maurizio Bettini, “le Olimpiadi servivano a rinforzare il sentimento dell’appartenenza etnica, non certo a celebrare
l’eguaglianza fra gli uomini di ogni paese”. Quanto poi alla
pace, per i Greci non si trattava di pace, ma di tregua: nei tre
giorni di svolgimento delle gare le operazioni belliche delle
litigiose città greche venivano sospese. Oggi queste Olimpiadi durano 17 giorni, e quindi un progresso nella tregua
dovremmo averlo fatto; senonché la tregua greca era dovuta
al carattere sacro dei giochi, che erano una festa religiosa,
ma noi abbiamo perso questa dimensione del sacro, perché
Sant’Ambrogio pretese l’abolizione delle Olimpiadi proprio
in quanto rituale pagano.
iù che un pittore Cézanne era la pittura stessa divenuta
vita. Non c’era un istante in cui egli vivesse al di fuori di
essa: era come se, tra le dita, egli tenesse sempre il suo pennello. A tavola, si fermava ogni momento per studiare le nostre figure in rapporto agli effetti di luce e ombra; ogni piatto, ogni frutto,
ogni bicchiere, qualsiasi oggetto eccitavano i suoi commenti, la sua
riflessione. L’indice puntato tra gli occhi, mormorava: Ecco così ho
una netta visione dei piani”.
Questa istantanea è contenuta nell’affettuoso libretto “Mi ricordo
Cézanne” (Skira 2011) scritto dal suo allievo Emile Bernard, dopo
aver trascorso alcuni mesi assieme a lui a Aix-en-Provence.
“Ho giurato di morire dipingendo – scriveva Cézanne all’amico
Bernard il 21 settembre 1906 – piuttosto d’abbandonarmi all’impotenza avvilente che minaccia i vecchi. Vittime delle passioni umilianti dei sensi”. Meno di un mese più tardi, sorpreso da un temporale mentre dipingeva all’aperto veniva colto da una congestione.
La sua salute già malferma non resistette. Il 20 ottobre, in una lettera al figlio del maestro, la sorella di Cézanne riassumeva drammaticamente la situazione: “Tuo padre si è ammalato lunedì… È rimasto fuori sotto la pioggia per parecchie ore; l’hanno condotto a
casa sul carro di un lavandaio e due uomini hanno dovuto metterlo
a letto. L’indomani mattina prestissimo è andato in giardino a lavorare a un ritratto di Vallier, sotto un tiglio: ne è venuto via moribondo”. Il giorno seguente moriva.
ETIC
(HETT)
A
Padre Callisto
È però vero che ogni competizione sportiva in qualche
modo giova alla pace in quanto permette di scaricare simbolicamente l’aggressività: anche chi non gareggia sul
campo sfoga in modo simbolico la sua rabbia tifando per la
squadra del cuore e pigliandosela con l’avversario o con l’arbitro. Questa appunto - secondo Freud ed Elias - è la funzione degli sport competitivi. Considerando dunque che
questa estate si sono svolti il campionato europeo di calcio e
poi le Olimpiadi, oltre a varie altre gare importanti, abbiamo
goduto di numerose occasioni di sfogo: ne vedremo gli effetti?
Direttore responsabile Lillo Alaimo
Vicedirettore
Libero D’Agostino
Caposervizio grafico Ricky Petrozzi
I
eri, 11 agosto, ricorreva la festa liturgica di Santa Chiara
d’Assisi. E’ forse meno nota di San Francesco, ma è una figura altrettanto centrale nel movimento francescano e
non solo: fu la prima donna nella storia della Chiesa a scrivere una regola monastica. Chiara viene chiamata la “prima
pianticella dell’orto francescano”: è una metafora fuorviante
perché ci fa pensare a una donna di piccolo formato.
Invece le fonti storiche ci hanno trasmesso la sua personalità, una vera “Domina”, donna grandiosa nella santità fin
dalla prima infanzia. La storica e studiosa Chiara Frugoni
scrive che “quella di Chiara e Francesco è la storia di due giovani che, volgendo lo sguardo al mondo che li circondava,
decisero di cambiarlo. Lo fecero dedicandosi agli ultimi: perché nel volto degli ultimi videro il volto di Dio.
La vicenda di Chiara e Francesco, con il passare dei secoli,
nulla ha perso della sua novità. Anzi, il tempo trascorso ne
sottolinea la radicale modernità: il rapporto con i poveri e
quindi con il denaro e il potere; il ruolo non subalterno della
donna; l’importanza del lavoro manuale in servizio del prossimo e come garanzia di libertà”. Chiara e Francesco perseguono una missione che ne fa due figure della storia umana
capaci di offrirci un modello che è contemporaneamente di
forza e di mitezza.
La mia Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona ha iniziato
alcuni anni orsono con un lavoro sulla vita di San Francesco
e uno sul “Cantico delle Creature”. Quest’anno siamo stati stimolati a dedicare a Santa Chiara questo lavoro anche perché
nel 2012 ricorre l’ottavo centenario della sua consacrazione a
Dio per mezzo di Francesco. Alla fine di questo mese porteremo questo lavoro a Roma al capitolo generale dei Cappuccini.
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Giò Rezzonico
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La figura e l’arte di Cézanne erano state proposte in modo stimolante in una recente mostra, di cui avevo riferito in questa rubrica,
realizzata a Palazzo Reale a Milano e curata dal ticinese Rudy
Chiappini. Nell’esposizione il visitatore era accompagnato da
un’audioguida multimediale che presentava i luoghi dipinti dall’artista. Un’iniziativa che invitava a visitare quei siti della Provenza.
Quell’invito mia moglie ed io lo abbiamo raccolto (cfr. pagina 44).
Approfondendo la figura di questo grande precursore dell’arte
moderna, fa riflettere e amareggia l’incomprensione della cultura
dell’Ottocento nei confronti della sua opera: le sue tele furono infatti sempre rifiutate ai concorsi ufficiali. Atteggiamento che andava a rafforzare un già esagerato spirito autocritico del maestro.
Un mese prima di morire scriveva, sempre a Bernard: “Vivo in
uno stato di malessere diffuso. Tale stato durerà fino a quando le
mie ricerche non saranno arrivate in porto… La mia costante preoccupazione è per la meta da raggiungere. Lavoro sempre davanti
alla natura e mi sembra di fare lenti progressi”. Un anno prima al
critico d’arte Roger Marx aveva scritto: “La mia età e le mie condizioni non mi permetteranno di realizzare il sogno d’arte che ho inseguito per tutta la vita. Ma sarò eternamente riconoscente al pubblico d’intelligenti amatori che ha avuto – al di là delle mie esitazioni – l’intuizione di ciò che ho voluto tentare per rinnovare la mia
arte”.
Paul Cézanne è oggi universalmente considerato il padre della pittura moderna, colui che ha saputo sintetizzare la tradizione in
forme geometriche e allusive, aprendo la strada al cubismo e alle
altre avanguardie. Nonostante le frequentazioni con gli intellettuali
e gli artisti parigini, ha condotto una ricerca personale e in qualche
modo isolata approdando tuttavia a soluzioni che saranno imprescindibili per l’intero Novecento pittorico. Come scrive Ernst H.
Gombrich nella sua “Storia dell’arte” (Milano 1998) “non stupisce
che Cézanne giungesse spesso sull’orlo della disperazione e che lavorasse incessantemente senza mai interrompere gli esperimenti. Il
vero miracolo è che abbia potuto ottenere nei suoi quadri un risultato apparentemente impossibile”. Nell’arte è così, osserva ancora
Gombrich, “a un tratto l’equilibrio si produce e nessuno sa come e
perché”. E conclude: “Cézanne aveva deciso di non accettare per
dato nessun metodo pittorico tradizionale, ha voluto ricominciare
daccapo, come se non fosse esistita pittura prima di lui”.
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