C4LE OPINIONI
IL CAFFÈ 4 dicembre 2011
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Quella lettera spedita da Zugo
arrivata a Brissago sei mesi dopo
L’EDIT
ORIALE
DEL
LETTO
RE
Irma Branca, pensionata, 77 anni, Brissago
H
Giornalisti, economisti,
politologi..., i giornali sono
pieni di commenti e analisi
di esperti e presunti esperti.
Il Caffè ha aperto una finestra
per ospitare ogni settimana,
nella pagina
delle opinioni, l’“editoriale
del lettore”;
l’attualità commentata
da persone comuni
o appena ricevuto una lettera da Zugo; mi è stata
spedita il 26 maggio e l'ho ricevuta l'otto novembre scorso. Sì, avete letto bene: 166 giorni per arrivare da Zugo a Brissago, quasi sei mesi per fare meno di
duecento chilometri. Ero così stupita nel riceverla e il
fatto mi è sembrato così eccezionale che ho chiesto al
postino, gentilissimo, di firmarmi la busta per controprova riproducendo a mano la data di consegna. Incredibile ma vero, e lo si può constatare guardando la busta
che in alto, dove c’è il bollo pagato, reca la stampigliatura
Die Post 26.05.11 e, per precisione, l’ora di spedizione da
Zugo: alle 9 e 28. È irrilevante, ma non parliamo nemmeno di un plico, una semplicissima busta bianca da
0,204 kg (è stampigliato pure il peso)
E pensare che già consideravo un disservizio il fatto che,
mediamente, la posta da Zugo la ricevevo dopo sei giorni
e con piacere avevo constatato che, ultimamente, servi-
COLPIDITESTA
VISTI
DA
LON
TANO
perché la busta conteneva dei documenti bancari e (anche se questo non era il caso) un ritardo così grave
avrebbe potuto provocare dei danni. Ho segnalato allora
alla direzione della Posta il disservizio. Pur non nascondendo il mio stupore ho pensato che la mia segnalazione
fosse comunque dovuta, e se non altro avrebbe permesso al servizio pubblico postale di individuare le origini, le cause del disservizio e intervenire per evitare altri
casi futuri che certo non fanno buona pubblicità alla Posta e alla tradizionale puntualità elvetica. La mia sorpresa, però, è aumentata quando il funzionario mi ha
detto che il codice a barre elettronico, che viene stampigliato sopra ogni lettera proprio per registrarne la tracciabilità, era troppo "vecchio" per essere letto…
vano meno giorni. Ho frugato nella memoria, ma non mi
era mai successa una cosa del genere nè a Zugo, dove ho
vissuto 42 anni, nè a New York dove ho lavorato in gioventù e quando era forse lecito prevedere qualche ritardo nella consegna delle lettere dalla Svizzera. Anzi,
dubito che persino nel 1666, ai tempi dei miei avi Crespi
di Brissago, sia stato necessario tanto tempo per percorrere in diligenza (ma forse anche a piedi) la stessa distanza.
Ho pensato che, forse, era uno di quei rari casi in cui la
lettera viene dimenticata nel fondo del sacco e ritrovata,
dopo infiniti pellegrinaggi da un ufficio postale all'altro,
casualmente in tutt'altro distretto. Ma non poteva essere
così; la lettera mi è stata recapitata perfettamente pulita,
intonsa, senza pieghe, stropicciamenti, timbrature sbagliate, correzioni… nulla.
No, non potevo accettare come nulla fosse la cosa; anche
P.s. Questa mia, a scanso d’equivoci e disservizi, ho deciso di consegnarla personalmente a mano al Caffè.
FUO
RI
DAL
CORO
Lido Contemori
Angelo Rossi
Giò Rezzonico
La guida turistica
di Francesco Chiesa
Comunità familiare
quarant’anni dopo
O
orrei parlarvi oggi di un episodio di storia personale,
cercando di non trasformare questa rubrica in un diario, come mia moglie mi rimprovera a volte di fare. Tornato in Ticino dopo gli studi universitari all’estero, conoscevo
poco il Paese e mi trovavo ad affrontare una grossa crisi personale e relazionale. In quei tempi lavoravo alla radio ticinese
ed un caro amico e mio superiore, Giampiero Pedrazzi, mi
consigliò di rivolgermi a padre Callisto, che aveva creato un
consultorio per coppie. È così che mi sono avvicinato a Comunità familiare, un’associazione nata negli anni Settanta per
affrontare in chiave moderna e laica le problematiche familiari, in una visione post sessantottina. Si trattava di un gruppo
di amici, provenienti da esperienze politiche ed ideologiche
diverse, che condividevano valori a cui ispirare un nuovo Ticino che in quegli anni si sperava potesse nascere. Un Ticino
trasversale, parola a quei tempi considerata quasi eversiva, a
cui andavano stretti gli steccati posti dai partiti per garantire la
loro sopravvivenza ed il loro potere. Leader del gruppo era un
brillante giovane frate, profondamente religioso, ma molto
laico, tornato nel Cantone dopo gli studi a Roma. Aveva ricevuto un’allettante proposta di diventare vescovo alle Seychelles, ma l’aveva declinata proprio per non abbandonare quel
gruppo di amici, assieme ai quali stava fondando Comunità
familiare. Erano giovani coppie che stavano per sposarsi e
creare una famiglia, altre appena unite in matrimonio. Si incontravano al convento del Bigorio per riflettere su quello che
dovrebbe essere l’humus di qualsiasi politica: i valori su cui
costruire una società ed evidentemente anche una famiglia.
Poco dopo il gruppo si trasformò in associazione e creò strutture di supporto alla famiglia: consultori psicologici, colonie,
ludoteche e molte altre iniziative promosse da gruppi regionali costituitisi nel Sopra e Sottoceneri. L’impegno politico
rappresentava un punto di forza, soprattutto nella socialità e
nelle tematiche legate alla famiglia. Non fu facile far passare il
discorso che i servizi sociali garantiti dallo Stato potessero essere affiancati anche da associazioni basate sul volontariato.
Un volontariato diretto da professionisti seri, convinti di garantire i valori laici su cui si fonda il nostro Stato e in formazione continua grazie al collegamento con un istituto specializzato di Milano.
Il ruolo politico di Comunità familiare negli anni Settanta e
l’inizio anni Ottanta faceva discutere per la sua trasversalità.
Con il passare del tempo diversi soci fondatori hanno diminuito il loro impegno all’interno dell’associazione a causa di
importanti oneri professionali. Così, gradualmente, la Comunità ha abbandonato l’azione politica per concentrarsi con
sempre maggior responsabilità sui servizi sociali. Una scelta
mai condivisa da padre Callisto, che faceva però parte di quei
soci fondatori ormai impegnati in altre attività. La perdita del
ruolo politico dell’associazione ha sempre provocato molte
discussioni al suo interno. Nel corso degli ultimi anni, in seno
a Comunità familiare, si è creato un nuovo gruppo dirigente
molto sensibile alla dimensione politica. Naturalmente il Ticino di oggi non è quello degli anni Settanta, ma a causa dell’attuale svolta a destra offre importanti spazi alla riflessione
sociale, e un’associazione come Comunità familiare può tornare ad avere un suo ruolo politico. Naturalmente non partitico, ma trasversale e fondato sull’azione concreta in una società in cui i giovani sembrano allontanarsi sempre più dall’impegno politico. In un Ticino dove si parla molto e si trovano facili soluzioni a tutti i problemi soprattutto a parole, il
nuovo gruppo dirigente vorrebbe contrapporre la politica
delle realizzazioni concrete e della riflessione seria.
gni tanto, la passione di frugare tra i libri delle bancarelle degli antiquari viene premiata dalla scoperta
di qualche perla. È quel che mi è capitato, sotto i
portici della Gerechtigkeitsstrasse di Berna, qualche settimana fa. Rovistando tra i libri, esposti da una libreria di antiquariato, ho trovato una guida turistica di Lugano e del
Sottoceneri del 1948. Si tratta più di un opuscolo che di un
libro. Ma lo stesso mi ha subito attratto per due ragioni.
Dapprima perché il frontespizio riproduceva un bell’acquarello di Rosetta Leins. In primo piano un filare di vigna,
ancora spoglio, e dietro degli alberi in fiore (peschi, mandorli?). Più lontano, e al centro del disegno, la chiesa e un
gruppo di case di Agnuzzo che tagliano il lago in due. In
fondo, a chiudere la composizione, le montagne del Malcantone. Un Ticino agreste dei tempi in cui la guida venne
pubblicata. L’altra ragione di interesse era rappresentata
dall’editore: le Poste Alpine Svizzere. Non sapevo che, nel
periodo precedente l’espansione della motorizzazione privata, le Ptt si erano fatte promotrici dell’escursionismo con
l’ autopostale anche nel Canton Ticino.
A questo scopo , il testo della guida è diviso in una prima
parte, che contiene un mucchio di interessanti informazioni generali, e in una seconda parte nella quale vengono
descritti gli itinerari delle autopostali in partenza da Lugano. Sono proposte di gite a Morcote, a Carona, nel Malcantone, ad Agra, al Serpiano, a Tesserete, in Valcolla e così
via dicendo. Le descrizioni degli itinerari si soffermano sui
paesaggi che i viaggiatori possono ammmirare dall’autopostale.
Per occupare il tempo delle pause, tra la corsa di andata e
quella di ritorno, la guida suggerisce poi visite ai monumenti o agli esercizi pubblici del luogo dove si effettua la
sosta. Fin qui - a parte il fatto che le Ptt facessero pubblicità
per il turismo del Luganese, l’autopostale essendo ancora,
in quei tempi, un mezzo di locomozione molto usato dai
turisti - niente di eccezionale. La sorpresa viene però
quando si consulta la lista degli autori dei testi della guida.
Se si eccettuano i testi dedicati alla geologia, alla flora e alla
fauna, la guida delle Ptt per Lugano e il Sottoceneri è stata
scritta da un solo autore: Francesco Chiesa, il poeta e scrittore che ha dominato il dibattito culturale ticinese nella
prima metà del secolo scorso.
Chiesa ha scritto non soltanto i testi degli itinerari, ma anche quelli riguardanti la situazione, la storia e la popolazione. Finora neanche gli specialisti sapevano che Francesco Chiesa avesse scritto una guida turistica. Viene voglia di indagare per quali ragioni lo abbia fatto. E quali intenzioni perseguisse nello scrivere testi nei quali la
finalità informativa prevaleva su quella letteraria. Probabilmente la curiosità più che la dimensione dell’emolumento. Gli editori, quanto a loro, devono aver pensato
che la qualità letteraria non guastava mai. I testi di
Chiesa non mancano infatti di ricordarci la sua vena
poetica. Non solo nella descrizione dell’attrattiva dei paesaggi, ma anche con certe frasi che lasciano sospeso il
giudizio, invitando il lettore a verificare di persona. Come
quando afferma: “Il Luganese è il regno della varietà, tutti
i suoi sentieri conducono all’imprevisto”. La varietà e
l’imprevisto come elementi fondamentali dell’avventura
turistica, dunque. Si spera con esiti diversi da quelli incontrati da Mark Twain quella volta che decise di accompagnare, in veste di guida improvvisata, un gruppo di turisti da Ginevra a Bayreuth.
Direttore responsabile Lillo Alaimo
Vicedirettore
Libero D’Agostino
Caposervizio grafico Ricky Petrozzi
V
ETIC
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A
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2R Media
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Giò Rezzonico
DIREZIONE, REDAZIONE E IMPAGINAZIONE
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H
o letto, domenica scorsa su questo settimanale, della facilità e frequenza con cui le adolescenti, in età sempre più
precoce, ricorrano all’aborto. La cosa non mi ha stupito
perché, vivendo in mezzo ai giovani e ricevendo spesso - sia
come consulente familiare, sia come parroco - le loro confidenze,
da anni assisto all’abbassarsi dell’età del primo rapporto completo e, all’alzarsi della possibilità della frequenza di gravidanze
non desiderate. Quello che avrei desiderato trovare in quella pagina è un più forte richiamo al senso di responsabilità etica, perché di fronte a problemi come quelli che si pongono ai giovani
d’ambo i sessi, ma specialmente alle ragazze - quando vengono a
sapere che una vita non desiderata sta iniziando in loro - non
sono né pochi, né semplici. L’esperienza mi dice che la maggior
parte di loro vivono le proprie esperienze sessuali con una
grande superficialità: tutto è lecito, perché - dicono - tutti lo
fanno. E se non lo fai – dice il ragazzo spesso più grande di lei - lo
fai sei retrograda, bigotta, fuori dal mondo, oppure ricorrono al
ricatto: “Fallo o ti lascio”, e quando scoprono che la ragazza è incinta, spesse volte, la lasciano apostrofandola pesantemente: “Se
l’hai fatto con me tanto facilmente, chissà con quanti l’hai fatto.
Sei una puttana”. I genitori spesso sono latenti e, proprio per una
mancanza di educazione affettiva e di autorità, spingono indirettamente i figli ad esperienze sessuali più impegnative della loro
età. La scuola si ferma a dare delle nozioni fisiologiche e a consigliare gli anticoncezionali, pur sapendo che la maggior parte degli adolescenti non li prendono o li usano male. Un discorso di
reponsabilità, di attesa per un gesto che dovrebbe esigere una
maturità affettiva, non lo fa nessuno. Anche la Chiesa troppo
spesso fa “predicozzi” solo moralistici e proibizionistici. Quando
si scopre la gravidanza, unica soluzione: l’aborto, anche contro la
volontà degli interessati. So benissimo che ogni caso è a se
stante, ma ricordare degli impegni etici in una società permissivistica come la nostra, mi sembra un dovere di chi scrive settimanalmente una Etic(hett)a e lavora coi giovani e per i giovani.
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La guida turistica di Francesco Chiesa Comunità familiare