ANCARANEIDE
Ricciardo e Franco Rampini
Il linguaggio, ovvero insieme di parole e di espressioni utilizzate e
comprese da una comunità di persone è componente essenziale delle
radici storiche della stessa. Grazie a questa combinazione la
comunicazione è facilitata ed ogni espressione di pensiero viene resa
viva e trasmessa.
Il libro “Ancaraneide” rappresenta un punto fondamentale storico del
nostro comunicare, dove si evince il rapporto tra la nostra lingua madre
italiana ed il dialetto che racconta il modo di essere “Ancaranesi”, la sua
essenza, la sua storia, come patrimonio che va protetto , perché perderlo
potrebbe far venir meno la nostra identità e la nostra cultura. A cornice
dell'opera si rilevano i detti popolari, le casate, i giochi, i canti e le
filastrocche che rendono vivace la lettura permettendo di riflettere e
capire i nostri costumi.
Il Consiglio e la Giunta Comunale di Ancarano, attraverso
l'Assessorato alla Cultura guidato dall'Assessore Cadia Viola e le
conoscenze informatiche del Consigliere Andrea Marotta, hanno voluto
supportare la stesura dell'opera proprio per far si che la nostra storia
venga valorizzata, diffusa e lasciata in eredità.
Ringrazio di cuore coloro che hanno collaborato, per aver donato a tutti
noi Ancaranesi questo tesoro da conservare nella nostra vita quotidiana,
gli autori Ricciardo Rampini, Franco Rampini, Francesco Rampini e
Simplicio Olivieri e la signora Maria Luisa Olivieri per aver portato alla
nostra attenzione l'idea che si stava concretizzando.
Pietrangelo Panichi
Sindaco di Ancarano
Ricciardo e Franco Rampini
ANCARANEIDE
A cura di Francesco Rampini
( opus apertum )
Lemmi aggiunti all‟opera originale ed altre integrazioni, di norma contrassegnati con un “ * “, sono stati raccolti ed inseriti da
Simplicio Olivieri, cugino degli Autori.
-2-
Sommario
Note biografiche essenziali
Ricciardo Rampini
Ancarano 1910 -
Ascoli P. 1981
Franco Rampini
Ancarano 1914 -
Ancarano 2007
Francesco Rampini
Ascoli Piceno 1938 - Ravenna 2011
Simplicio Olivieri
Ancarano 1940 *****
Risiede in Ancarano
Sommario
-3-
SOMMARIO
PARTE PRIMA ...................................................... - 9 A „N G A R Á ................................................... - 11 Alluóchë, scrià, novunque… ............................. - 13 P
REFAZIONE
............................................... - 17 -
G R A F I A F O N E T I C A .................................... - 21 G L O S S A R I O .................................................. - 23 D E T T I & M O T T I......................................... - 123 A P P E N D I C E ................................................ - 137 PARTE SECONDA ............................................. - 145 L U Z Z Ë R R I Ó .............................................. - 147 PARTE TERZA ................................................. - 193 CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI ............ - 195 PARTE QUARTA............................................... - 221 -
-4-
Sommario
C A N T I .......................................................... - 223 F I L A S T R O C C H E ........................................ - 232 NON
P R O P R I O..… B E N E A U G U R A N D O ... -
253 -
PARTE QUINTA................................................ - 256 E MO‟… TUTTI A TAVOLA !!..... ............................. - 258 BRODO DI PESCE ............................................ - 261 LI TAJLÌ DË LA MADONNA DË LA PACE ................... - 263 INTRODUZIONE............................................... - 263 PREPARAZIONE .............................................. - 266 P R I M I P I A T T I ............................................ - 269 SUGO
DI MAGRO ........................................... -
269 -
RAVIOLI DI RICOTTA ........................................ - 272 LI
PAPPARDELLE ............................................ -
272 -
LI FRASCARIELLË .......................................... - 274 LI TACCUNIELLË ........................................... - 275 -
Sommario
LU
-5-
PA‟ „NGALLUCCË ....................................... -
276 -
OVA A MËNESTRA ........................................... - 277 L‟UOVË „N PRËHATORIË ( l‟uovo in pugatorio) .... - 277 RISO
CON LA CICORIA.................................... -
RISO „N
CAGNÓ ............................................ -
MINESTRA
LI
DI FAVA
LI
279 -
...................................... - 281 -
MACCARÙ DË LU MACHËNÀ ..................... -
PAPPARDELLE
278 -
282 -
AL SUGO DI PAPERA ............... -
284 -
FRȄGNACCȄ .............................................. -
284 -
P I E T A N Z E ................................................... - 286 LI
LA
CHËPPIETTË .............................................. -
286 -
SARTANIA DË LU PUORCHË ...................... -
287 -
BACCALÀ
CON PATATE .................................. -
BACCALÀ
BOLLITO E SERVITO IN BIANCO
LU
PULLȄ
290 -
......... - 292 -
„NGIP „NGIAP .................................. - 294 -
-6-
Sommario
TRIPPA ALL‟ANCARANESE .................................. - 295 LA
TEGGIA ................................................... -
297 -
D O L C I .......................................................... - 299 CIAMBELLE
CON IL MOSTO ............................. -
299 -
LA NOCIATA ................................................. - 300 IL CROCCANTE .............................................. - 301 LU
FËZIJUÓLË ............................................... -
LA
PIZZA DOLCE DI
303 -
PASQUA ........................... - 306 -
CIAMBELLONE ALLE MANDORLE......................... - 308 V A R I E .......................................................... - 310 LU
LA
LÈVËTË
.................................................. - 310 -
PIZZA DË CASCË....................................... -
314 -
LI CAGGIÙ ................................................... - 316 OLIVE
IN SALAMOIA
( all‟antica ) .................... - 318 -
LA COTOGNATA ............................................ - 320 -
Sommario
VINI
-7-
E L I Q U O R I .......................................... -
IL VINO
LU
CONSERVATO ..................................... -
VI‟ COTTË
IL NOCINO
VINO
DI
322 322 -
( BAMBËNIELLË )........................ - 323 RICCIÀ..................................... - 324 -
ALLA GENZIANA ..................................... -
326 -
ARABASSEC 7 ............................................... - 327 -
-8-
Sommario
A „Ngarà – Vocabolario di Ancaranese
PARTE PRIMA
degli ancaranesi……
LESSICO PAESANO
-9-
- 10 -
Parte Prima - Lessico paesano
A „Ngarà – Vocabolario di Ancaranese
- 11 -
A „N G A R Á
Vocabolario di Ancaranese
Ricciardo e Franco Rampini
a cura di Francesco Rampini
- 12 -
Parte Prima - Lessico paesano
Alluóchë, scrià, novunque…
- 13 -
… riflessione del Prof. Elio Di Michele… Ancaranese di Roma.
Alluóchë, scrià, novunque…
Ogni dialetto, si sa, riproduce un mondo.
Il lessico, le cadenze, i fonosimbolismi ripercorrono la storia di una civiltà, la ricreano, la rendono viva.
Ogni dialetto possiede la capacità di contenere un periodo
lungo o lunghissimo, le sue etiche, le istituzioni, le metafisiche. E più un dialetto è innervato tra la sua gente, che non
(lo) abbandona, che non (lo) tradisce, più è capace di esprimere
le sue idee in pochi tratti, in sintesi estreme e fulminanti.
Fin
da
quando
ero
bambino
restavo
colpito
da
un‟imprecazione tremenda che soprattutto i nostri vecchi gettavano addosso ai loro figli: Chë të puòzza scrià!, dicevano con
rabbia, qualche volta scherzando macabramente, senza forse
rendersi conto - o essendone al contrario profondamente coscienti - non del valore, certo del significato di quello che esprimevano, la più terribile della imprecazioni che negava, addirittura, a differenza di tante altre (e ce ne erano - ce ne sono ancora - molte: Puozza èssë accisë!, Puozza avé nu tuocchë! [un
ictus!], Puozza mërì bbrëciatë! [a Ancarano, terra di Cecco
d‟Ascoli, abbrugiato vivo!...]) la possibilità stessa di essere puniti almeno nel corpo. Ti veniva addirittura negata l‟esistenza,
non solo quella reale o che avevi mantenuto nella memoria col-
- 14 -
Parte Prima - Lessico paesano
lettiva (come: Che tu possa essere dimenticato!), che non è poco, ma addirittura ti veniva augurata la scomparsa completa
dal creato. Cosa c‟è di peggio? Non esistere più già è molto,
non avere più neppure la possibilità di esser pensato come
“ente esistito” è troppo.
Poi, alle soglie della vecchiaia, leggendo il bel lavoro collettivo di Ricciardo e Franco Rampini, Ancaraneide (a c. di Francesco Rampini, Ancarano, Stampitalia, 2011), riproposto su
lodevole iniziativa di Simplicio Olivieri, ho scoperto un‟altra parola che non conoscevo: alluóchë, tradotto con un sintetico e
intensissimo “in nessun posto”.
E qui i corto circuiti mentali e linguistici hanno scatenato
molte vie di fuga.
Alluóchë forse da allos-locus, altro luogo, o da a-locus, con
l‟alfa privativo che indica il non-luogo, dunque l‟ou-topos, dunque…? Utopia però, in questa dizione, non è il mondo meraviglioso, l‟Eden perduto e da riconquistare, l’Isola che non c’è e
tutti gli altri luoghi felici desiderati dalla mente, ma l‟Erebo, il
non-posto dove le anime dei morti vagano, l’Isola che non c’è
più, e chissà se mai c‟è stata, la no-land, la terra di nessuno
dove quelle anime “se sò scriatë” e vanno raminghe alla ricerca
di un anfratto per trovare pace, finalmente.
È Utopia o è “novunque”, il non-paese della disperazione,
della non-esistenza, della screazione, dello “scrià”? È il Nissun
sito di Mauro Marè:
Alluóchë, scrià, novunque…
- 15 -
Palle parole colorate nummeri
versi sgranati in un parlottoliere
un rosario de glorie e dde misteri
fatto la sera in un labbroratorio
arzalegria la vela de la mente
uno ppiù una è tutto
un chiodo bbrutto tra la panza e ll‟anima
una nerbanza da fottese er celo
uno pe uno li bbuci de le stelle
e aricalanne d‟oro
in un insogno imbriaco
a ccercà un aco dentro a un ppajaro
er pelo nell‟ovo novo der novunque
sur grugno a l‟infinito
un piede qqua, un piede in nissun sito, 1
l‟“abisso orrido, immenso,/ ov‟ei [il «vecchierel bianco» leopardiano] precipitando, il tutto obblia”?2
E forse la stessa collocazione di Ancarano, sulla dorsale al confine tra
Marche, terra del Papa, e l‟Abruzzo, possedimento del Re delle Due Sicilie i cui abitanti sono ancora chiamati in modo dispregiativo rëgniculë -, dunque
un po‟ Marche, un po‟ Abruzzo, ma niente dei due, ha influito a rendere
1 M. MARÈ, Dentro a millanta Rome. Poesie 1974-1993, a cura di
M. Teodonio, Roma, Rendina Editore, 2003, p. 122.
2 «Vecchierel bianco, infermo,/ mezzo vestito e scalzo,/ con gravissimo fascio in su le spalle,/ per montagna e per valle,/ per sassi
acuti, ed alta rena, e fratte,/ al vento, alla tempesta, e quando avvampa/ l‟ora, e quando poi gela,/ corre via, corre, anela,/ varca torrenti e stagni,/ cade, risorge, e più e più s‟affretta,/ senza posa o ristoro,/ lacero, sanguinoso; infin ch‟arriva/ colà dove la via/ e dove il
tanto affaticar fu volto:/ abisso orrido, immenso,/ ov‟ei precipitando,
il tutto obblia», G. LEOPARDI, Canto notturno di un pastore errante
dell’Asia, vv. 35-36, in Canti, Milano, Mondadori, 1998.
- 16 -
Parte Prima - Lessico paesano
questa non-terra di confine un alluóchë dove non poter mai andare, da dove
non poter mai ritornare, non-luogo della mente impalpabile, inafferrabile,
insituabile?
__________________
Il Prof. Elio di Michele, “romano de Roma” per natali anagrafici, è ancaranese
per radici familiari. Legato, dunque alla Terra dei Suoi - trasferitisi a Roma negli
anni ‟40 - per motivi di affezione, ma anche appassionato della materia per formazione culturale e professionale ( è docente di lettere), a seguito di una recente sua
vista in Ancarano, ci ha inviato questo gradito ed interessante contributo.
Prefazione di Francesco Rampini
- 17 -
P REFAZIONE
di Francesco Rampini
Per quanto ne so questo è il primo e - per ora - l‟unico vocabolario del
nostro dialetto.
I miei zii paterni, Ricciardo e Franco, hanno incominciato a lavorarci
già dal lontano 1964, ma solo dopo il loro pensionamento, verso l‟inizio degli anni 70, lo hanno composto con sistematicità.
Ricciardo, chimico, era nato nel 1910 e Franco, musicista, nel 1914. In
paese erano vissuti fino al termine delle elementari: chi voleva – e poteva –
continuare gli studi doveva andare “fuori”. In Ascoli, la città più vicina e più
legata alla storia e al dialetto di Ancarano che era stata infatti feudo del suo
vescovo. I due dialetti sono molto simili, con differenze nella pronuncia e
nel lessico, da noi più legato alla vita contadina del borgo.
Gruppo dei dialetti marchigiani meridionali (piceni), con notevoli influenze dell‟abruzzese: era zona di confine fra il Regno di Napoli e lo Stato
della Chiesa.
Le competenze linguistiche degli autori constavano nel buon uso
dell‟italiano scritto e parlato, date le rispettive professioni, e nella profonda
conoscenza del dialetto, da loro assorbito col latte materno. Il dialetto di paese differiva da quello parlato in campagna, forse un po‟ meno “incivilito”,
ma si noterà come la natura delle parole sia sempre legata alla vita quotidiana, al lavoro dei campi, alle incombenze modeste di un piccolo centro.
- 18 -
Parte Prima - Lessico paesano
I miei zii probabilmente si rifecero, per la scelta dei termini italiani, ad
un vetusto “Nuovissimo Melzi” (edizione post 1914) presente da sempre nella casa dei miei nonni. Da ciò quindi il suono spesso arcaico e desueto dei
vocaboli.
Ho conservato questo aspetto del lavoro, aggiungendo in corsivo inserti
di spiegazione o di chiarimento. Debbo confessare che la mia conoscenza
del dialetto nel corso degli anni è di molto scemata, anche considerando che
le mie frequenze in paese sono sempre state sporadiche. Debbo quindi alla
pazienza di nostro cugino Simplicio “Bibi” Olivieri e della sua équipe ancaranese tutti i chiarimenti su significati a me ignoti o dimenticati.
Gli autori sono stati mossi dall‟attaccamento alla loro terra e dal desiderio di conservare un patrimonio che i tempi tendono a disperdere. Nella
loro scia mi sono immesso per ordinare le loro carte e dare leggibilità a
quanto hanno accumulato in tanti anni. Mi imbatto in parole da tempo note,
in termini desueti o in gradite riscoperte; adesso forse il dialetto non è più
quello di prima, forse si va disperdendo nella corrente omologazione.
Questo quindi potrebbe essere un piccolo tributo al passato e alla memoria del nostro paese.
SIMPLICIO OLIVIERI …. i n t e g r a:
Mi sono avvalso della collaborazione e della conocenza del dialetto di qualche parente ( fratello Claudio, sorella Marialuisa cognati Emilia
Ricci ed Emidio “Mimmo” Vecchietti) e di alcuni amici di frequentazione
pressoché quotidiana, spesso nell‟occasione del caffè di prima mattina. Per
Prefazione di Francesco Rampini
- 19 -
la frequenza e regolarità degli incontri e per la ricchezza dei rispettivi ricordi
mi piace ricordare, in particolare, - senza sbrodolarmi in ringraziamenti,
ché anzi ho avuto la sensazione di aver procurato loro qualche momento e
motivo di novità, interesse e divertimento - Ennio Camponi, Severino Barcaroli con la Mamma Nella, Aurelio Vittorii ( detto: Scëlló …. già che siamo
in argomento). Ci sono stati poi anche altri contatti ed apporti, ma più occasionali pur se, comunque, oltremodo utili.
E‟ praticamente questo il “gruppo”, sul quale penso di poter fare
affidamento anche per l‟avvenire nella prospettiva di eventuali probabili integrazioni di altri termini e modi di dire ancaranesi ( un ricordo tira l‟altro),
se e quando si riaffacceranno alla memoria. Dunque accolgo volentieri il
suggerimento e l‟invito di Francesco a lasciare “aperta” la porta di questo
lavoro che alla fine si è deciso di “battezzare” ANCARANEIDE come proposto da Mariano Rampini, il più giovane dei nipoti degli autori.
Abbiamo proceduto a qualche revisione didascalica quando il confronto,
anche con indigeni “esperti” a vario titolo, ci ha convinti di più corrette traduzioni in lingua. I lemmi aggiunti all‟edizione originaria del “vocabolario”
sono contrassegnati con un asterisco: “  “ . Integrazioni dell‟opera originaria di Ricciardo e Franco sono anche l‟intera Parte terza ( Casate, soprannomi e nomignoli); la raccolta di canti, purtroppo meno ricca di quanto mi
sarei augurato e priva, almeno per ora, delle indicazioni musicali; la collezione di anatemi con la quale il lavoro si chiude ….. sempre per ora.
Ancarano, fine settembre 2010
*****
- 20 -
Parte Prima - Lessico paesano
Grafia Fonetica
- 21 -
GRAFIA FONETICA
Per migliorare la grafia fonetica delle parole in dialetto ancaranese, ci
si è rifatti ad una pubblicazione attinente, cioè il DIZIONARIO DEL DIALETTO ASCOLANO di Alvaro Cocci, a cura di Serafino Castelli; Ascoli
Piceno, Arti Grafiche D'Auria, 1985.
Dato che l'ascolano è molto simile al nostro dialetto (che da esso discende), si pensa che la convenzione grafica adottata nel volume citato, possa essere utilmente applicata anche qui.
Pertanto la vocale atona indistinta o semimuta viene rappresentata dalla
“e” con il segno di dieresi: ë. La si incontra sia in fine che all‟interno delle
parole ed ha pronuncia attenuata e sorda.
Gli accenti – acuto, grave e circonflesso – indicano la vocale tonica e la
pronuncia aperta o chiusa.
L‟apostrofo all‟inizio di parola indica la caduta di un suono.
La lettera H indica un suono gutturale lieve, come di una G scivolata
(come nel caso di “allëhà”= attecchire o di “Holëpa” = Volpe).
Il gruppo “sc”, seguito da i – e, ha suono molto scivolato ( come nel caso di “Bbëscié” = bugia o di “Bbùscia” = buca).
La Z suona aspra o sorda (zigano – nazismo - zurla).
La Ž ha suono dolce o sonoro (zaino, zero, zufolo).
- 22 -
Parte Prima - Lessico paesano
Glossario
- 23 -
GLOSSARIO
A
Aah! *
Arri, arrilà
„Abbà – Arrëhabbà
Gabbare
Abbajà
Latrare, abbaiare
Abbëllì
Ornare
Abbéngë
Arrivare, farcela
Abbëtërà
Arrotolare, avvolgere
„Ábbia
Gabbia
Abbijà
Incominciare
Abboscà *
Nascondere
Accëmëndà
Molestare
Acchëfà
Soffocare
Acchëstà *
Avvicinare
Acciarì
Coppiglia
Acciarrà *
Scorciare
Accòrië
Accorgersi
Accùccë
Prono
Accuccià
Chinare
Accucciàtë
Prono
Accungià
Condire
- 24 -
Parte Prima - Lessico paesano
Accunzëndì
Consentire
Accuórtë
Accorto
Accurcià
Accorciare
Accuscì
Così
Áchë
Ago
Acquapréna * 3
Acqua ferma, limacciosa
Acquétta
Linfa, siero
Addacquà
Irrigare
Addapié
In fondo, in basso
Addavérë
Davvero
Addëbbà
Ornare
Addëcchià
Perquisire
Addëggì
Addolcire
Addënassë *
Accorgersi
Addërmì
Addormentare, informicolare
Addëvëngà(s‟-)
Flettere (che si flette)
Adduóssë
Addosso
Affànnë
Asma, affanno
Affatatë
Fatato
Affëlà
Affilare
Affënnà
Immergere
3
) A Lino Nepa che ne chiedeva la “ricetta”, manifestando, in uno dei suoi non
rari momenti di “furore”, propositi di “sperimentazioni atomiche” , un compaesano,interpellato in ragione di sue conoscenze in campo chimico, pare rispondesse,
verosimilmente burlando per tagliare corto, che l‟acqua pesante non fosse altro che
l‟acquaprena…. Si prese questa reazione: “ „N të dìchë stupëdë pëcché già c‟è pënzatë Cristë!”
Glossario
- 25 -
Affëssà
Affiggere
Afflìjë
Affliggere
Aggravà
Recrudescenza
Ahubbì
Ingobbire
Ajëttà *
Contagiare
Ájo
Ahi!
„Alandòmë
Galantuomo
„Aljuóttë
Galeotto
Allahà
Inondare
Allamà
Dilavare
Allamuó
In quel modo
„Állë
Gallo
Allëcà *
Sedere
Allëhà
Formarsi dei frutti
„Allënaccë
Gallinaccio
Allëngà
Allungare, diluire
Allëscià
Lisciare, piaggiare
Alléssë
Lesso
Allëvímë
Moltitudine
„Allína
Gallina
„Allíttë –„Allùccë
Galletto
Alluóchë
In nessun posto
Allùsca
Albeggia
Ammëllà
Rammollire
„Ámma
Gamba
Ammannàssë
Guastarsi anzitempo
- 26 -
Parte Prima - Lessico paesano
Ammarëllàtë
Impastato (cibo o altro)
Ammattì
Impazzire
Ammëccà
Imboccare; Rinvenire
Ammëschià
Immischiare
Annànzë
Avanti, davanti
Annëbbià
Offuscare
Aoh !
Ehi !
Appassì
Avvizzire, appassire
Appëccià
1) Accendere
2) Pocciare, poppare
Appëjàtë
Poggiato
Appënnëcà
Dormicchiare
Áppësë (anche Làppësë)
Lapis, matita
Appëttàta
Pettata (salita)
Appëzzì
Impuzzire
Appriéssë
Dopo
Ára
Aia
Árbë
Benché
„Arbí
Garbino 4
Ardímë
Sterpaglia
Arëaprì
Riaprire
Arëbbënëdì
Ribenedire
Arëbbëtërà
Riavvoltare
4
E‟ il Libeccio in Adriatico; da temere perché spinge a largo. A San Benedetto
del Tronto pare si usi dire: “ Së tira Arbì … da lu portë në rrëscì !! ( riferito da
Giacomino Rosati, Sambenedettese d.o.c.)
Glossario
- 27 -
Arëbbëvì
Risorgere, risuscitare
Arëcagnà
Ricambiare
Arëmané
Rimanere, restare
Arëmannà
Rinviare
Arëmbëmbà
Rimbombare
Arëcalà
Ricalare, riscendere
Arëcascà
Ricadere
Arëccamà
Ricamare
Arëccapà
Ricapare, scegliere
Arëccustà
Riaccostare
Arëcèdë
Ricedere
Arëchëmbónë
Ricomporre
Arëchiùdë
Richiudere
Arëcurdà
Rammentare, ricordare;
traslato: Vivere
Arëcurdatìvë
Ricordativo
Arëcuscì
Ricucire
Arëdà
Ridare
Arëddëmannà
Ridomandare, informarsi
Arëddërmì
Riaddormentare
Arëfà
Guarire
Arëfàttë
Guarito
Arëfëdà
Rifidare
Arëfëjà
Rifigliare
Arëfërì
Riferire
Arëfiatà
Rifiatare
- 28 -
Arëfiàta!
Parte Prima - Lessico paesano
Respira! (anche per invitare qualcuno a tacere)
Arëfiërì
Rifiorire
Arëfrìjë
Rifriggere
Arëgrëmà
Rugumare, ruminare
Arëhunfià
Rigonfiare
Arëhùnfië
Rigonfio
Arëjëcà
Rigiocare
Arrëmbì
Riempire
Arëmbónne
Ribagnare
Arëmbòstë *
Andato di traverso
Arëmëdià
Rimediare
Arëmmërà
Rimurare
Arëmmërbëdì
Rammorbidire
Arëmmëzzà
Riavvezzare
Arëmmuórtë
Spento
Arëndòna
Rintòna
Arëndrà
Rientrare, rincasare
Arënënzià
Rinunziare
Arëntiëpëdì
Rintiepidire
Arëpëpëlà
Ripopolare
Arëpërtà
Riportare
Arëpiòvë
Ripiovere
Arëppacià
Rimpaciare, rappacificare
Arëppëccëcà
Riappiccicare
Arëprëhà
Ripregare
Glossario
- 29 -
Arëróppë
Rirompere
Arësanà
Risanare
Arësapé
Risapere
Arëscì
Riuscire
Arësciacquà
Risciacquare
Arësciòjë
Risciogliere
Arëscìtë
Riuscito
Arëscòtë
Riscuotere
Arëssëttà
Riassettare
Arëstrégnë
Ristringere; raccogliere
Arëstréttë
Ristretto
Arësvëjà
Destare, svegliare
Arëtèssë
Ritessere
Arëttënnì
Ritondare
Arëttëzzà
Rattizzare
Arëuajà
Ragguagliare
Arëunì
Riunire
Arëvangà
Rivangare
Arëvëdé
Rivedere
Arëvëlà
Rivolare
Arëvëndà
Vomitare
Arrëvëndì
Roventare
Arëvénnë
Rivendere
Arëvëstì
Rivestire
Arëvëstìtë
Rivestito
Arëvvëcënà
Riavvicinare
- 30 -
Parte Prima - Lessico paesano
Arëzzëffià
Risoffiare
Arijógnë
Giuntare
Arijóntë – Arijùntë
Giuntato
„Aròfënë
Garofano; traslato: Appellativo maschile dispregiativo per soggetto di
sola apparenza esteriore.
Arracanìtë
Roco
Arraffà
Raffare
Arrambëcà
Rampicare
Arrëbbà
Rubare
Arrëbbàtë
Rubato
Arrëcchià
Origliare, orecchiare
Arrëfí
Drizzare il pelo
Arrëfìtë
Irto
Arrëfódda
Moltissimo
Arre-jò ! *
Incitamento a buoi e vacche da tiro
a restare nel solco…
Arrëschià
Rischiare
Arrë-sù ! *
Avanti! Incitamento a buoi/vacche
al tiro
Arrëtà
1) Affilare
2) Investire qualcuno con un mezzo
provvisto di ruote
Arrètë
Dietro, indietro
„Atta *
1) Gatta/o (unisex: es.: tenghë „na
( sinonimi: pëtóna, tërdàca, tropea)
atta maschië…= possiedo un gatto)
Glossario
- 31 -
2) Sbornia (si ignora l‟ etimologia)
„Attaròla *
Piccola apertura in un angolo basso
di una porta di ingresso, riservata agli andirivieni del gatto domestico.
„Attarró *
Grosso gatto
„Attëpùzzë *
Sornione
Attoppa *
Ottura, ingolfa
Attrassà *
Accumularsi
Auandà *
Prendere, afferrare, tenere
Aufa *
A vuoto; Per niente
Ažžë *
Legaccio di spighe (v. nota a “ cavalletta”)
B
Bbabbë, - ittë *
Nonno, -ino
Bbambèrë
Vampate di calore
Bbangàta
Impalcatura (edil.)
Bbangàrë 5
Tovaglia
5
Tovaglia, generalmente a quadri per il tavolo da cucina o per la madia
- 32 -
Parte Prima - Lessico paesano
Bbanghittë *
Sgabello
Bbaraccula 6 *
Razza (pesce da zuppa o brodetto)
Bbarzuóttë *
“ Indeciso “…
Bbarënittë *
Brocchetto
Bbëfógge *
Addetto a custodire gli animali da
lavoro
Bbërracció
Ciccione, goffo
Bbërrëccì
Baroccino, calesse
Bbëscié
Bugia, menzogna
Bbëscìttë
Forellino
Bbëssà
Picchiare, bussare
Bbëssì
Battente, picchiotto
„Bbëtërà
Arrotolare, avvolgere
„Bbëttà
Gonfiare
„Bbëttàtë
Gonfio
„Bbëttatùra
Gonfiore
Bbëttó
Bottone
Bbëžžòca
Beghina, bigotta
Bbëžžuóchë
id. al maschile
Bbiastéma
Bestemmia
Bbiastëmà
Bestemmiare
Bbìbbëra
Brivido
Bbiëdèndë
Sarchio, bidente
6
Ma anche - così chiamata forse per la forma piatta - tavoletta di legno con,
sulle due facce, maniglie metalliche battenti, usata, durante la settimana di Pasqua,
insieme con le “carrelle”, per annunciare le funzioni religiose
Glossario
- 33 -
Bbiéstia
Bestia
Bbòtta
Colpo
„Bbrëschià
Abbrustolire
„Bbrëscià
Abbruciare, incendiare
Bbrëscó
Monello
Bbuggiaró
Burlone, infido
Bbùscë
Foro, buco
Bbùscia
Buca
Bëdèndë
Sarchio
Bërbacció
Birbaccione, sbarazzino
Bërbó
Birba, birbone
Bëscëllàta
Pisellata
Bëscëllìttë
Piselletto- ino
Bësciéllë
Pisello - i
Bëscuóttë
Biscotto
Bëvëró
Beverone
Binda *
Martinetto a cremagliera
Bordàndë
Viaggiante
Brëandë
Brigante
Brëattiérë
Brigadiere
Bríja
Redine, briglia
Bròcca
Mesciacqua
Buggiarò, - ona*
Individuo poco serio, che prende in
giro
Bvambèrë
Vampe di calore
- 34 -
Parte Prima - Lessico paesano
C
Cà
Cane
Cacà
Evacuare
Cacalùsë
Caccoloso, cisposo
Cacarèlla
Diarrea, dissenteria con variante…
“a fëschittë ”
Cacarèlló *
Pavido; Pieno di paure
Caccënìttë
Cagnolino
Càchëla
Caccola, cispa
Caccià
Estrarre
Cacciamà *
Vestina per neonati senza bottoni
Cacciannànzë
Focaccia, offa
Cafónë
Contadino; traslato: Scostumato
Càggë (la)
Calce
Càggë (lu)
Calcio
Càggia *
Acacia
Caggià
Calciare, scalciare
Caggió-ù 7
Calzone-i
7
Li Caggiù : Leccornia della gastronomia locale di matrice umbro-ascolana.
(in Ascoli, chiamati “pëcù”): impasto di uova e formaggio pecorino grattugiato,
recchiuso in una sfoglia e confezionato in forma di ravioli, poi cotti al forno. Gustati con accompagnamento di fettine di salame o anche di lonza, risultano un vero
toccasana per la sete... a patto che il vino non manchi.
Glossario
- 35 -
Cajó
Gabbione
Cajòla
Gabbia; Trappola
Calàta
China, discesa
Callàra
Caldaia
Callaràlë
Calderaio
Callarétta
1) Secchio del muratore
2) Caldaietta
Callaró
Caldaione
Càllë-a
Caldo-a
Camélë *
Tonto
Cammì
Camino
Canapì (lu) *
Colui che pettina la canapa
Canciéllë
Cancello
Candó
Cantone, angolo
Canëstrèlla
Canestrina
Canëstrìllë
Canestrino
Canìa *
Buccia del chicco di frumento, orzo,
crusca
Cannaruózzë
Esofago
Cannëcciàtë
Canniccio, graticcio
Cannéla
Candela
Cannëliérë
Candeliere
Canniéllë
Diacciolo
Cannó-ù
Cannone-i
Cantënòla
Cantinuccia
- 36 -
Cantërà *
Parte Prima - Lessico paesano
Mobile d‟angolo (spesso indicato
come “ cantëranìttë”)
Canùllë ( femm.: canólla) *
Torbido ( anche in senso figurato
riferito a persona)
Capà
Scegliere
Capanna/e *
Alberi di medio fusto piantati lungo i
filari di vite a sostegno degli stessi.
Capaffòlla
Tuffo
Càpë
Magliolo (della vite)
Capëcëmmà *
Rivoltare
Capëcuóllë
Capocollo, lonza
Capëdapié *
Sottosopra
Capëfuóchë
Alare
Capëhàttë
Gattoni (parotite)
Capëmànna
Lana per materassi
Capëmìlla
Camomilla
Capënà *
Castrare polli
Capëvëddà
Capovolgere; Travolgere
Capëzzàlë
Involto, fagotto
Capó
Cappone
Càppjë
Laccio
Cappiéllë
Cappello
Capró
Capro, becco
Carcëràtë
Detenuto
Carëcìllë
Fico secco
Carësà
Rapare, tosare
Glossario
- 37 -
Carëstié
Carestia
Caròccia
Lattìme
Carósë *
Taglio capelli sfumato
Carpí
Strappare, sradicare
Carrandó
Scarabeo
Carratëllùccë
Caratelletto
Carratiéllë
Botticella, caratello
Carrëjà
Carreggiare
Carrèlla
Raganella di legno (anche ricavata
da una canna)
Carrëttùccë
Carrettino
Carriola *
Carretta
Carruhùla
Carrucola
Carrùmë *
Condimento residuo sul fondo della
casseruola o del piatto
Cascàta
Caduta
Carvó
Carbone
Cascà
Cadere
Cascëlà
Sbucciare (castagne)
Càscia
Cassa
Casciaruólë
Sbullettatura
Casció
Cassone
Casciòla *
Castagna sbucciata e lessa
Casí (lu-nu)
1) Villa
2) Bordello; traslato: Confusione
Castëllìttë
Castellina
- 38 -
Parte Prima - Lessico paesano
Cataliéttë
Bara
Cataràtta
Botola
Catarrùsë
Catarroso
Catënàccë
Catenaccio
Catënàrë
Fornello in muratura
Catiellë *
1) Frutti della pianta “bardana”
2) Sagoma ( v. Dëscèdra – tëra) per
realizzare “doghe” di tini o bótti.
Catommë
Nuvole, cumuli
Cavàccë
Gozzo
Cavallétta
1) Bica-Locusta
2) Covone di grano 8
Cavétta
Tiro di rinforzo 9
Cazzabborràja
Bordaglia, guazzabuglio
Càžžë (li)
Calzoni
Cazzëmbèrijë
Pinzimonio
Cazzià *
Redarguire
Cazziató *
Reprimenda
Cažžíttë
Calzini
Ccandënà*
Mettere a posto, riordinare
8
La “cavalletta” si compone in genere di 17 manocchi: 16 sistemati a croce ( 4
per ogni braccio), sormontati da “ lu cavallë”. Possono essere anche 18 se si mette
“lu sorgë”: manocchio centrale di base per staccare dal terreno. Lu “ manuocchië”
è fatto di due “ vrangate” legate con “lu ažžë”
9
Coppia di buoi di rinforzo ad altra coppia sotto tiro. Vale anche per gli uomini, ad es. per produrre un miglior tiro di una fune: “ cë mëttémë a cavétta.”
Glossario
- 39 -
„Ccàntë
Accanto
„Ccapëdapié *
Sottosopra
Ccasëmènda
Nel caso che...
„Ccënnà
1) Accennare
2) Sonata di campane
Ccëpëllitë *
Malmenato, ko
„Ccëppí
Azzoppire
Cazzijató
Rabbuffo, sgridata
„Ccëtí
Inacetire
„Cchëppìccë
Che va in coppia
„Cciaccà
Masticare; Schiacciare
„Cciaccanócë
Schiaccianoci
„Ccídë
Uccidere
„Ccìsë
Ucciso
„Ccurciatóra
Accorciatoia
„Ccuscí
Così
Ccustamuò *
In questo modo
Cëcaténa
Maggiolino10
Cëcà
Cecare, accecare
Cëcculà
Gramolare
Cëcculariéllë
Sonaglino
Cëchënèlla
Bambina
10
Cetonia dorata” coleottero con elitre verde irideo; si prendeva dalle rose e
lo si riponeva in scatolette di latta, già contenitori di lucido da scarpe, con fiori di
sambuco. Poi si “seviziava”legando un filo di cotone ad una zampetta e costringendolo ad un volo vincolato circolare. Il nome potrebbe essere – come quello della
cicala “cic-ada” – composto con αδεìν cantare.
- 40 -
Parte Prima - Lessico paesano
Cëchënénna
Bambina
Cëchënìllë
Bambino
Cëchënìnnë
Bambino
Cëcìllë
Ombellìco
Cëculíttë
Pustola, brufoletto
Cëfëlìttë
Zufoletto, fischietto
Cëlà
Infiochire, nascondere
Cëllà
Intonchiare; Guastarsi (dei legumi
infestati da insetti)
Cëllàtë
Mal riuscito (detto anche di persona)
Cellittë *
Uccellino
Cémbëra
Cembalo, tamburello
Cëmmëlà
Avvoltolare, rotolare
Cëmmëléja
Rotola, si ribalta
Cëndërì
Cinghia, cinturino
Cëngiàrë
Cenciaiolo
Cënìscia
Carbonella
Cënnëràta
Cenerata, ranno; vedi: Lëscié
Cëntóra *
Cinta di cuoio girata sulle corna dei
buoi, atta a ben sistemare il giogo
Cëpícchia
Sonnolenza
Céppa
Stecco
Ceppìja
Epizoozia, afta
Cëppíllë
Zipolo
Cëriéscë
Ciliegio
Cëriéscia
Ciliegia
Glossario
- 41 -
Cèrqua
Quercia
Cèssë
Cesso
Cëstó
Cesto, cestone
Cëtró
Cocomero
Cëtùsë *
Acido ( di carattere)
Chëchëvìzzë *
Grillo-talpa
Chëcchëmèlë
Lattìme
Chëcchëró
Bernoccolo
Chëcchëvàlla
Gallozzola, bacca della quercia
Chëcó
Boccata
Chélla
Quella
Chëmbagné
Compagnia
Chëmbàrë
Padrino
Chëmbarùccë
Figlioccio
Chëmbascjó
Compassione
Chëmbiàgnë
Compiangere
Chëmbiéttë
Confetto
Chëmmannà
Comandare
Chëmmàrë
Madrina
Chëmmarùccia
Figlioccia
Chëmmiéndë
Convento
Chëmpiénzë
Compenso
Chëmpratórë
Acquirente
Chënfónnë
Confondere
Chëppiétta
Polpetta
Chéssa
Costei
- 42 -
Parte Prima - Lessico paesano
Chésta
Questa
Chiacchiarà
Discorrere
Chiàcchjëra
Diceria
Chiàppa
Natica
Chiarë (d‟uóvë) *
Albume (d‟uovo)
Chíllë
Quelli
Chiòchërë *
Calzature rudimentali tipiche dei pastori
Chìssë
Costoro
Chiuólë
Occhiello
Chjëvatùra
Inchiodatura
Chjuóvë
1) Assiolo, chiù
2) Chiodo
Ciellë
1) Uccello
2) Membro
Ciafajà
Balbettare
Ciafajùsë
Tartaglione
Cialandra *
Macchinario per affilare lame
Ciamaràgnë
1) Ghirigoro
2) Rinaccio grossolano
Ciambàna
Zanzara
Ciambrèlla
Ciabatta
Ciambrëllàta
Ciabattata
Ciambrëllóna
Ciabattona
Ciammarëchèlla
Chiocciolina
Ciammaríca
Chiocciola
Glossario
- 43 -
Ciamùrrë
Cimurro
Ciangarjòttë
Ciarpame
Cianghétta
Gambetto, sgambetto
Ciangialùsë *
Sciatto, malmesso
Ciangòtta
Pianella (un po‟sdrucita)
Ciappétta
Ganghero, cardine, molletta
Ciarammèlla
Cennamella, zampogna
Ciardí
Giardino
Ciarfólla
Cerfoglio, collottola
Ciarmà
Ciurmare, abbindolare
Ciàrra
Misura rasa
Ciarrapìca *
Femmina petulante
Ciàrrë *
Pieno, colmo
Ciaschëdùna
Ciascuno, ognuno
Ciàula
Chiacchierona
Ciàulë
Chiacchiere
Ciaùlëchë
Brusio, chiacchierio
Ciaulijà
Chiacchierare
Ciaùsculë
Ciauscolo (insaccato)
Cìcë
Cece- i
Ciéchë
Cieco, orbo
Ciéculë
Foruncolo
Ciénzë
Affezione sub-cutanea
Ciérvë
Acerbo
Cìma
Cresta dei polli
Cincindèrra
Cingallegra
- 44 -
Parte Prima - Lessico paesano
Cíngë
Straccio, cencio
Cìnnë
Cenno
Ciòccula
Gramola (per canapa o lino)
Ciócculë
Zoccolo
Ciorva *
Sorba
Cìppë
Ceppo, mozzo
Ciuétta
1) Civetta
2) Vulva
Ciùfëlë
Fischietto, zufolo
Ciuóppë
Zoppo
Ciuóppë-„allë
Saltelloni su un solo piede
Ciuóttë
Ciottolo
Cluócchë
Cardine
Ciùrrë *
Ciocche di capelli di chiome lunghe
e folte
Còccë
Terraglia
Còcchia
Corteccia, guscio
Còccia
Capo, testa
Còccia-pëlata
Calvo
Codanžínžëra
Cutrettola
Còddë
1) Colpito
2) Còlto
Códdrë
Coltre
Còfëna
Una gran quantità
Còjë
1) Azzeccare, cogliere
2) Colpire, schiaffeggiare
Glossario
- 45 -
Còla
Gazza
Còmmëdë
Recipente
„Cóna
Icona
Cónga
Conca di rame
Contramënzió
Contravvenzione
Coppa *
Seme di carte da gioco
Córcia
Piega di stoffa, orlo
Còssa
Coscia
Còsta
Erta, salita
Cóta
Cote
Cótëca
Cotenna
Crastà
1) Castrare
2) Incidere le castagne
Crastàtë
Castrato
Crastó
Montone
Crëdënzó
Armadio
Crëllà
Scricchiolare
Crëpà
1) Incrinare
2) Soccombere
Crëpàccë
Crèpa
Crëpàtë
1) Incrinato, fésso
2) Morto
Créspa
Cespo
Créspë
Crespo, riccioluto
11
Per cuocerle come caldarroste,… altrimenti scoppiano!
11
- 46 -
Parte Prima - Lessico paesano
Crëspèlla
Frittella
Crëspëllìttë
Frittellina (dolce o salata)
Crëspìgnë
Grispignolo
Crëstijà
Cristiano; traslato: Persona
Crëtó
Argilla
Crëviéllë
Crivello
Criéllë
Scricchiolio
Cristë *
Caduta rovinosa
Cròcchia
Gruccia, stampella
Crucëramë *
Punto del tronco di un albero
da cui si dipartono i rami
Crucittë *
Lupinella
Cruócchë
Talpa grigia
Cùcchëmë
Cuccuma
Cucchiàra
Mestolo
Cucchiàrë
Cucchiaio
Cucchiarétta
Cucchiaio di legno
Cuccignë
Suono di rivestimento non
legato
Cucció
Capacciuto, testone
Cucciòla
1) Conchiglia
2) Salvadanaio
Cucciùtë
Caparbio
Cucùmmërë
Cocomero
Cuddërëcélla
Coltricella
Cuggìnëmë *
Mio cugino
Glossario
- 47 -
Cùgna
Bietta, scheggia lignea
Cugnàtëmë *
Mio cognato
Cùgnë
Cuneo, zeppa
Cujënà
Canzonare
Cujënarié
Balordaggine
Cujënatórë
Canzonatore
Cujënatùra
Beffa, canzonatura
Cujó
sostantivo: Testicolo
aggettivo: ( spregiativo) Fesso, coglione
Culàmë
Ceneraccio
Cùlë
Deretano, culo
Culóccia *
Tuorlo d‟uovo
Cundadì
Contadino
Cùndë
Conto
Cundiéndë
Contento
Cundràda
Contrada
Cundràrië
Opposto, ostile
Cunétta
Iconetta
Cungià
Crivellare
Cungrèha
Congrega
Cunìjë-a
Coniglio-a
Cunócchia
Conocchia, rocca
Cunsëprìnë
Consanguineo, cugino
Cuóddë
Còlto (p.p. di cògliere)
Cuóppë
Coppo: tipo di tegola
- 48 -
Parte Prima - Lessico paesano
Cuornëmutë *
Introverso
Cùpë
Fondo, profondo
Curàmë
Coiame
Curatë *
Parroco, curato
Curciàssë *
Rimboccarsi le maniche (anche fig.)
Curciàtë
Rimboccato
Curdàrë
Funaio
Curdëcèlla
Funicella
Curdíllë
Grosso tendine
Curona ( la)*
La corona del Rosario
Curréja
Peto, scoreggia
Curriuólë
Laccio di cuoio
Cùrtë
Corto
Curtësciàna
Vassoio
Cuscëníttë
Portaspilli
Cuscënó
Piumone
Cuscì
verbo: Cucire
avverbio: Così
Cuscìnë
Guanciale
Custatèlla
Costola
Cutëchì
Cotechino
Cutërìzzë
Coderinzo (culo del pollo), codrione
Cutó
Foruncolo pizzicoso
Cuttónë
Cotone
Cutùgnë
Cotogno
Cùzzë-Cuzzéttë
Cranio semirapato
Glossario
- 49 -
D
Dà
Dare
Damësciàna
Damigiana
Dannùsë
Dannoso
Ddapié *
In fondo
Dapuó
Dopo
„Ddarétta
Altarino
„Ddëbbëlì
Fiaccare, indebolire
„Ddëbbëlíssë *
Svenire
„Ddëbbëlìtë
Indebolito; Svenuto
‟Ddëggí
Addolcire
„Ddëmannà
Interrogare
„Ddënàtë
Accorto
Ddóttë (anche: „Ddùttë)
Prostrato dal dolore
„Dduajàta
Riordinata alla meglio
Dëfiéttë
Difetto
Dëjënà
Digiunare
Dëjù
Digiuno
Dëlatànza
Latitanza
Dëmà
Domani
Dëmanasséra
Domanisera
Dëmatìna
Domattina
- 50 -
Parte Prima - Lessico paesano
Dënàra- Denari
Ori; Denari (seme carte)
Dëndàja
Dentatura
Dëpégnë
Dipingere
Dërètë *
Seguente, il secondo
Dëríttë
Ritto
Dërmì
Dormire
Dëscèdra-tra
Simulacro, campione
Dëscórrë
Discorrere
Dëscùrsë
Discorso
Dëspiéttë
Dispetto
Dëtó
Alluce 12
Diévëtë
Debito
Dìsculë
Discolo
Dó
Due
Dóggë
Dolce
Dovëlaqualë *
Cioè; vale a dire
Duàna
Dogana
Dùbba
Corredo, donora
Dùnca
Dunque
Dùrë
Solletico
12
Gabriele d‟Annunzio, nel 1913, sostenne una vivace polemica
sull‟inestetismo del termine “Alluce”, preferendo la locuzione “Pollice del piede”.
Se si fosse rifatto al dialetto... D‟altronde avrebbe potuto essere confortato dallo
spagnolo “dedo gordo”, dal francese “gros orteil”, dall‟inglese “ big” o “great
toe”.
Glossario
- 51 -
E
Eeeh ! *
Ordine di alt ai buoi al tiro
Énnëcë
Endice ; Indice (dito della mano)
Erbétta
Prezzemolo
Éssa
Lei
F
Fà
Fare
Facchì
Facchino
Fàggë
Falce
Faggetta *
1) Attrezzo da taglio del calzolaio
2) Anche falce col manico corto
Faggià
Falciare
Faggió
Falcione
Famìja
Famiglia
Famùsë
Famoso
Fandélla
Donzella, fanciulla
Faô
Falò
- 52 -
Parte Prima - Lessico paesano
Farëciéllë
Farro
Farfallétta
Tignola
Farfariéllë
Scioccherello
Fascënàrë (lu)
Fascinaia
Fasciatùrë
Fasciatoio
Fasciuólë
Fagiolo
Fastëdiùsë
Fastidioso
Fatié
Fatica
Fatijà
Faticare, lavorare
Fatijatórë
Faticatore, lavoratore
Fattariéllë
Fatterello
Fàttë
Maturo, maturato
Fattùra
Fattucchieria, malocchio
Fàula
Favola
Faulétta
Favoletta
Fauóttë
Fagotto
Faurì
Favorire
Fauttiéllë
Fardello
Fàžžë
Falso
Fàžžíttë *
Toppa per una suola sfondata
Fëbbràrë
Febbraio
Fëcàccia
Focaccia
Fëcàra *
“Orobanche ramosa”: fungo parassita delle piante di fava ed altre leguminose
Fëcó
Braciere
Glossario
- 53 -
Fëdërétta
Federa
Fëhùra
Figura
Fëjà
Figliare, Partorire
Fëjàstrë
Figliastro
Fëjìttë
Foglietto
Fëlà
Filare
Fëlàra
Fila (di persone)
Fëlariéllë
Arcolaio, filatoio
Fèlë
Fiele
Fèlla *
Taglio profondo
Fëllaccià *
Fico, fiorone
Fëllènia
Fuliggine
Fëló
Forma di pane
Fëmèra (li)
Fumi; Affumicamento
Fëmmëcùsë
Fumoso
Fémmëna
Donna
Fëmmënì
Femminiero; Versato per le donne
Fënduàrja
Tributo, tassa fondiaria
Fënëcchìttë
Finocchietto (selvatico)
Fënëcélla
Funicella
Fënëstréllë
Asole, occhielli
Fënícchië 13
Fune lunga e robusta
13
La fune veniva usata soprattutto per assicurare sui carri agricoli carichi di
paglia, fieno o covoni di grano. La corda a doppia mandata era tesa mediante un
“mulinello” posto sul retro del carro e imperniato fra le estremità dei lati del timone; era fornito di buchi in cui si infilava ” lu pìrë”, di ferro, per poterlo ruotare con
la forza necessaria.
- 54 -
Parte Prima - Lessico paesano
Fënnëchìttë
Fondachetto
Fënuócchië
Finocchio
Fëràstëchë (anche: Sfëràstëchë )
Forastico, scontroso
Fërbëcétta
1) Forfecchia
2) Forbicina
Fërcënàta
Inforcata, forchettata
Fërcënélla
Forcina
Fërcìna
Forca; Forcina
Fërmëchéja
verbo: Formicola
Fërmèllë (li)
Formicolio
Fërmënàndë
Fiammifero, fulminante
Fërnàrë
Fornaio
Fërniéllë
Fornello
Ferracavàllë
Maniscalco
Fërraiuólë
Ferraiolo (mantello)
Fërràrë
Fabbro
Fërràta
Inferriata
Fërùta
Piaga, ferita
Fëschìttë
Fischietto
Fëstëcó
Gambo, picciòlo
Fëtà
Fare l‟uovo
Fëtalína
Naftalina
Fëtaròla
Gallina da uova
Fëtëruózzë
Involto; Stronzo
Fëtuózzë
idem c.s.
Fëzijuólë
Salame di fichi secchi conditi
Glossario
- 55 -
Fézza
Matassa; traslato: Imbroglio
Fëzzuólë
Matassina
„Ffatàtë
Magico, fatato
„Ffënëcëllí
Assottigliare
„Ffënènda
Insino, fino a
„Ffënghì
Ammuffire
„Ffënghítë
Ammuffito
„Ffënnà
Affondare
„Ffiacchí
Affiaccare
„Ffiarà
Avvampare, bruciacchiare
Ffùffa
Vanvera, scazzata
Fiamminga *
Vassoio da portata
Fiatà *
Parlare, aprire bocca
Fiàtë *
1) Alito, respiro 2) Peto
Fíchë
Fico
Fìcura (li)
Fichi
Fié
Fieno
Fiéccia
Feccia
Fiëmmënà *
Fiammifero
Fîëttà
Affettare
Fìja
Figlia
Fijà
Figliare, partorire
Fijàta
aggettivo: Partorita
sostantivo: Cucciolata
Fìjë
Figlio
Fìjëmë
Figliuolmo, mio figlio
- 56 -
Parte Prima - Lessico paesano
Fìjëtë
Figliuolto, tuo figlio
Finëmùnnë
Finimondo
Fiuócchë
Fiocco
Fjécca
Coppiglia
Fjétta
Fetta
Flajéllë 14
Flagello
Fòchëra
Falò
Fòja (li)
Cavolo, verza
Fòja (la)
Foglia
Fòjë (lu)
Foglio
Fónghë (lu)
Muffa
Fòrë
Fuori
Forma
Gora
Fracchia *
Melma
Fracchiàta
Cosa schiacciata
Fracchió
Catenaccio, paletto
Fracëcà
Marcire
Fràcëchë
Fradicio, marcio
Fracëcùmë
Marciume
Fràgnë
Frangere, spremere
Frastiérë
Forastiero
Fratacchjuólë
Fraticello
Fràtë
Frate
14
Coppia di bastoni legati in serie con un corto pezzo di corda, usati per battere spighe essiccate di grano, orzo o baccelli (fagioli, favino ecc.).
Glossario
- 57 -
Fràtëmë
Fratelmo, mio fratello
Fràtëtë
Fratelto, tuo fratello
Fratiéllë
Fratello
Fràtta
Pruno, siepe
Fràula
Fragola
Frèbba
Febbre
Frëcà
Imbrogliare, rubare;
traslato: Copulare
Frëcàssënë
Infischiarsi – sene
Frechëmëdóggë 15
Subdolo
Frëchënìttë, - nétta
Bambinetto - netta
Frëchènnë
Pasticciando
Frëchënùccë , nùccia
Bambinetto - netta
Frëchì
Bambino
Frëchìna
Bambina
Frëddëlùsë
Freddoloso
Frégna
Vulva
Frëgnacce *
1) Stupidaggini
2) Pastasciutta di ritagli di sfoglia
Frëgnallè *
Soggetto insignificante
Frëgnittë *
Piccolo oggetto preval. meccanico
Frëscígnë
Monello, birichino
Frësciùtë
Scostumato
Frëssora *
Padella di ferro
15
Detto di chi, con apparente candore, rivela meno ingenue mire:
“ „nghess‟aria da frechëmëdóggë..”.
- 58 -
Parte Prima - Lessico paesano
Frìjë
Friggere
Frittë (lu) *
Coratella e interiora
Froscë *
Gay
Fròscia
Froge, narice
Frùttë (lu)
Rendita
Fù
Fune
Fùddë
Folto
Fùnnë
Fondo
Fùnnëchë
Fondaco
Fuóssë
Fosso
Fùrchë
Misura della distanza tra pollice ed
indice divaricati
Fùria
Fretta
Fùrnë
Forno
G
Gargaruózzë
Gorguzzule, gargarozzo
Gëbbétta
Blusa
Gëcarèllë
Giocattolo
Gëhàndë
Gigante
Gèlë
Gelo, ghiaccio
Gëló-ù
Gelone-i
Glossario
- 59 -
Gëlùsë
Geloso
Gënžëmí
Gelsomino
Gërannëló
Randagio, girandolone
Gërèlla
Girandola (detto anche di persona
facile a mutare pensiero o parte)
Ggërlànda
Ghirlanda
Gìjë
Giglio
Ggirabacchì *
Chiave a croce
Giradítë
Giradito, patereccio
Giuntùrë (li)
Nodello - Nocche
Gnacciàtë
Agghiacciato
Gnàgnëra
Capriccio
Gnaulà
Miagolare
Gnëlìtë
Freddo, gelato
Gniellë *
Agnello
Gnërà
Sgridare
Gnëssùsë
Serrato ( di un impasto alimentare)
Gnëttënì
Inghiottonire
Gnëttì
Inghiottire
„Gnëzzió
Iniezione
„Gnór-Gnóra...
Signor - a...
„Gnoràndë
Ignorante
„Gnornò
No, nossignore
Gnòstrë-a
Inchiostro
Gràssë-e-màgrë
Pancetta
Gràvëda
Gravida, incinta; sinonimo: Prena
- 60 -
Parte Prima - Lessico paesano
H
Hòbba – (Obba)
Gobba
Hòbbë
Gobbo
Hólëpa
Volpe
Hómma
Gomma
Hónna
Gonna
Hórëba
Volpe
Hòrgia *
Atteggiamento arrogante
Huarniéllë
Guarnello, grembiule
Hubbìttë
Gobbetto
Hùfë
Gufo
Humëtàta
Gomitata
Hunfià
Gonfiare
Hùnfië
Gonfio
Hunfiórë
Gonfiore
Hunnèlla
Gonnella
Hùstë
Gusto
Huvèrnë
Governo
Glossario
- 61 -
I
„I‟
Andare
Iaccë *
Lettiera di paglia per bovini ed altri
animali di stalla
„Idízië
Giudizio
Íjë
Io
„Imènda
Giumenta
Immèrnë *
Inverno
„Inëcchiòla
Misura del pollice piegato
„Inëcchiòlë
Ginocchiere
„Innàrë
Gennaio
Innera
Lèndine
„Inòcchia (li)
Ginocchia
„Inuócchië
Ginocchio
Ippetta *
Panciotto
Íssë
Esso, lui
Ìsculë
Lombrico
„Ítë-a
Andato-a
„Ittà
Gettare
„Iumèlla (anche: Jëmmèlla)
Giumella, coppa con le mani
- 62 -
Parte Prima - Lessico paesano
J
Jàccë
Gelo, ghiaccio
Jàcculë *
Cappio al collo; Guinzaglio
Jacé
Giacere
Jànna
Ghianda
Jëcà
Giocare
Jëcàta
Giocata
Jëcatèlla
Giocatina
Jëcatórë
Giocatore
Jeccadé
Quaddentro
Jècchë
Qui, qua
Jëchìttë
Giochetto
Jëdìzië
Giudizio
Jëmà
Aggomitolare
Jémëtë *
Scarpata
Jëmétta
Gomitolino
Jëmmèlla
vedi: Iumella
Jènërë
Genero
Jënèstra
Ginestra
Jénga
Giovenca
Jéra
Ieri
Jërnàta
Giornata
Glossario
- 63 -
Jèrva
Erba
Jéssa
Essa, lei
Jèssë
Costì, costà, lì
Jëttënarié
Ghiottoneria
Jëvà
Giovare
Jó
Giù, laggiù
Jógnë
Giungere, giuntare
Jóma
Gomitolo
Juóchë
Gioco
Juórnë
Giorno
Justë
Giusto
Jùttë
Ghiotto
Jùvë
Giogo
L
Làccë
Laccio
Lagnùsë
Lagnoso
Laló
Nonno
Làma
Pozza; Rivolo
Lamà
Allamare, dilavare
- 64 -
Parte Prima - Lessico paesano
Lambëccà
Lambiccamento 16
Lambëggià
Lampeggiare
Lambió
Lampione
Lamiéndë
Lamento - i
Làpëdë
Lapide
Lapì
Lapeggio, pentola di rame sospesa
sul focolare
Lapijuólë
Paiolo
Lappa *
Erba infestante con piccoli frutti attaccati
Làppësë
Lapis, matita; vedi: Áppësë
Làrdë
Lardo
Lardëzzìttë
Lardello
Làrëchë-Làrghë
Largo
Lascà
Lascare, allascare
Lascià
Lasciare
Làtra-ë
Ladra-o
Lattàra-ë
Lattaia-o
Lavamà
Lavamano
Lavannàra
Lavandaia
Lavatì
1) Lavativo
2) Clistere
Lavatùrë
16
Lavatoio
Lo zio Ricciardo, chimico, aveva aggiunto la spiegazione “del cervello”, distinguendo il termine riferito all‟uso a lui familiare dell‟alambicco.
Glossario
- 65 -
Lavërà
Lavorare
Lažžaró
Lazzarone
Lëbbërà
Liberare
Lèbbre
Lepre
Lëbbrìttë
Libretto
Lëbbruócchië
Leprotto
Lëccà
Leccare
Leccabbródë *
Scapaccione, sberla
Lëccàrda
Ghiotta (leccarda)
Lëccëcà
Brillare, luccicare
Lëcràtë
Logoro, liso
Lèggë
Leggere
Lëggërìttë
Leggeretto
Lëggiérë
Leggero
Lëggìttëmë
Legittimo
Lëgnàra
Legnaia
Lëhàccë
Legaccio
Lëhàmë
Legame
Lëhùmë
Legume
Lëmìna
Cappello tondo del prete
Lëmàna
Animale, bestia
Lëmmiéllë *
Lombetto (controfiletto)
Lëmónë-a
Limone
Lëmùnë (li)
Limoni
Lènda
Lenticchia
Lèndë (li)
Lenticchie
- 66 -
Parte Prima - Lessico paesano
Léngua
Lingua
Lënguétta
Linguetta
Lënijétta
Lineetta
Lënzuólë
Lenzuolo
Lëó
Leone
Lëpí
Lupino-i
Lesca *
Fetta ( ma anche estens.: ceffone, scapaccione.)
Lëscertëla *
Lucertola
Lëscié
Ranno, lisciva; vedi: Cënnëràta
Léssë
Lesso, bollito
Lèstë
Presto; Svelto
Lëtamàrë
Letamaio
Lëtëcà
Litigare
Lèttë
Lètto (p.p. di Leggere)
Lëunéssa
Leonessa
Lèvëtë
Lievito
Lëzzió
Lezione
Lí (lu)
Lino
Lì
I, gli, le
Lialó
Nonno
Lícchjë
Pallino, boccino
Liéttë
sostantivo: Letto
Lìnija
Linea
Líppë
Svogliato nel mangiare
Liscë-e-bussë *
Rimprovero
Glossario
- 67 -
„Lìva
Oliva
Llamuò *
In quel modo
„Llanguëdí
Illanguidire
„Llëggërí
Alleggerire
Llëggërì
Digerire
Llëscënà
Sdrucciolare
Llëscënèllë (li)
Sdrucciolate (le)
Llëscià *
1) Scivolare ( dei piedi)
2) Lisciare ( detto p. es. di un tessuto)
Lòchë
Lì
Loggia *
Terrazzo coperto
Lópa
1) Voragine
2) Gran fame
Lu
Il, lo
Luccëttèrra
Lucciola
Lùjë
Luglio
Lùmmë
Lombo
Luóchë
Posto, sito
Luóffë
Coccige
Lùpë
Lupo
- 68 -
Parte Prima - Lessico paesano
M
Mà
Mano
Maccarënarë *
Chitarra (per pasta)
Machënà
Trebbiare
Machënetta ( o Motorë) *
Il proprio cuore
Macìngula *
Gramola per canapa
Magnà (lu)
Cibo
Magnà
Mangiare, desinare
Magnacòzza
Lumaca
Magnapà
Blatta
Magn‟edòrmë
Indolente, inetto
Mahàrë
Fattucchiere
Majòla
Tenaglia (per focolare e attrezzo del
fabbro alla forgia)
Malàstëchë
Elastico
Mal‟eppèjë
Arnese con due tagli 17
Malló
Garzolo, canapa cardata
Mamangí
Mancina, sinistra
17
Del muratore: specie di martello a manico corto (40-50 cm.) con la parte metallica larga circa un palmo, a due tagli, uno verticale e uno orizzontale. In agricoltura: è un attrezzo simile al piccone, con un taglio a zappa ed uno ad accetta. “Da
una parte fa male e dall‟altra… peggio”.
Glossario
- 69 -
Mammìna
Levatrice, ostetrica
Mamó
Babau, orco
Mammuóccë
Bamboccio
Mànda
Federa, coperta
Mandèlla
Ferraiuolo
Mandëmà
Stamattina
Mandílë
Pannello, panno
Maniera *
Sgomarello della conca
Màngëlë
Docile (sp. per gatti)
Mannuócchië
Manocchio: fascio di spighe mietute
Marchésë
Mestruo
Marìtëmë *
Mio marito
Marítta
Man dritta, destra
Marruói
Emorroidi
Marùllë
Bolo di fango e paglia
Màssa
Impasto
Masséra
Stasera
Mastrëjà
Fare, affaccendarsi
Matèria
Pus
Mattariéllë
Pazzerello
Màttëra
Madia
Mattëtà
Buffonata
Mattùscë ( anche Mattìgnë)*
Pazzerello, lunatico
Maurízia
Liquerizia
Mazzafiónga
Fionda
Mazzëmaréllë
Spiritello, diavoletto
- 70 -
Parte Prima - Lessico paesano
Mazzuócchë
Batacchio
„Mbajà
Impagliare
Mbajatèllë
Tagliatelle
„Mbajatórë
Impagliatore
„Mbambëlàtë
Imbambolato
„Mbàmë (mbvàmë) *
Infame
„Mbàna
Bozzima, mangime per polli
„Mbanà
Impanare, filettare
„Mbanatùrë
Filettatura
„Mbannítë
Appannato
Mbapëcchià *
Abbindolare
„Mbarcà
Imbarcare
„Mbastà
Impastare, intridere
„Mbastardí
Imbastardire
„Mbastí
Imbastire
„Mbaurí
Impaurire, intimorire
„Mbè
Ebbene
„Mbëccià
Impicciare, ingombrare
„Mbëcciùsë
Impaccioso, impiccioso
„Mbëcíllë
Imbecille
„Mbëdìtë
Paralitico
„Mbëgnà
Impegnare
„Mbëllëccià
Impiallacciare
„Mbëllína
Ampollina, oliera
Mbërà
Assiderare, congelare
Glossario
„Mbërrà *
- 71 -
Affondare una lama o un attrezzo
(p. es.: il vomere o la vanga)
„Mbëttëjà
Imbottigliare
Mbëttëtùra
Imbottitura
„Mbì
Empiere, riempire
„Mbianà
Appianare
„Mbiàstrà *
Sporcare
„Mbiàstrë
Cataplasma, impiastro;
traslato: Dispregiativo per individuo
debole ed incapace
„Mbíccë (li)
Beghe, impicci
„Mbíccë (lu)
Impiccio, ingombro
„Mbiéta
Bietola
„Mbónnë
Bagnare
„Mbòsta *
Collo del piede
„Mbranàtë *
Impacciato, imbranato
„Mbrëccià
Inghiaiare
„Mbrëdènza
1) Imprudenza
2) Influenza
„Mbrëjà
Gabbare, imbrogliare
„Mbrënà
Fecondare, ingravidare
„Mbrëzzà
Conficcare , infilzare
„Mbriàchë *
Briaco
„Mbriacó
Beone, ubriacone
„Mbrijó
Imbroglione
„Mbrónda
Impronta
- 72 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Mbruójë
Imbroglio
„Mbùllë *
Oliatore
„Mbùssë
Bagnato; traslato: Ubriaco
Mëccangégnë
Arzigogolo, congegno
Mëccëcó
Boccone; Morso
Mëìca
Briciola
Melacachì *
Cachi
Mëlàngula
Cetriolo
Mëlarància
Arancia
Mèlëca
Saggina
Mëndó
Mucchio, cumulo
Mëndùra
Uniforme
Mënëscàrië
Veterinario
Mënëtùra
Cogno,olio per frantoio ,quota del
raccolto
Mënnàcchjë
Spazzaforno
Mënnëló
Lercio, Scovolo per forno
Mënnézza
Immondizia
„Mëntënà
Accumulare
Mëndëvà *
Rammentare
Mërcëlùsë *
Di solito riferito a bambini.. con i
moccoli dal naso
Mërëcata *
Macerata ( canapa)
Mërèlla
Grillo di terra
Mërrìcchië
Ripulitura delle olive
Mërícula
Mora di gelso o di rovo
Glossario
- 73 -
Mërrëcchió
Sempliciotto
Mëscëlínë
Mossette, coccole
Mëscíllë
Visciola
Mësció
Gattone
Mëscìttë
Gattino
Mësìttë
Grugnetto (del porco)
Mëstëcà
Mischiare
Mëttìllë *
Grosso imbuto utilizzato in cantina
Mézza
Appassita (frutta)
Mëžžìttë
Moggio,misura per granaglie
Mëzzó
Cicca, mozzicone
Mjé
Mio, Mia
Miédëch
Medico 18
Miércëla (li)
Moccolo (dal naso)
Mízzë
Ammaccato
Mmaffëttó *
Schiaffone
Mmammuóccë o Mmammòccë
Bamboccione
„Mmasciàta
Ambasciata, faccenda
„Mmassà
Fare la massa
Mmàstë
Basto
„Mmattí
Impazzire, ammattire
18
Mio nonno, di cui porto il nome, dopo essersi stabilito in paese come medico
condotto – siamo agli inzi del secolo XX – credo non si sia più sentito chiamare
per nome: per tutti fu e rimase lu Miédëchë, compresa sua moglie – mia nonna. Ancora oggi i nostri cugini si riferiscono a lui come a “zio Medico” . Almeno i figli –
mio padre e gli zii – però, risulta che lo chiamassero “papà”!
- 74 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Mmazzatòra *
Mattatoio
„Mmëccà
Inclinare
„Mmëcchià
Invecchiare
„Mmécë
Invece
Mmëdëcina *
Farmaco; anche ogni anticrittogamico o antiparassitario
„Mmëdjùsë
Invidioso
Mmëffëttó
Schiaffo, manrovescio
Mmëndà
Inventare
„Mmëndënà
Accatastare, accumulare
„Mmënzió
Invenzione
Mmèrda
Merda
„Mmërnàta
Invernata
„Mmèrnë
Inverno
Mmëstàrda
Marmellata d‟uva
Mmëstàtë *
Contuso,Illividito
„Mmëtà
Invitare
„Mmëttíllë
Imbuto
„Mmëzzà
Avvezzare
„Mmídja
Invidia
„Mmítë
Invito
Mmullë – Mmëllatë *
Di vino andato a male
Mmuóccë
Bernoccolo
Mó
Adesso
Moccëcabrodë *
Di chi, mangiando, mastica e rimastica oltre misura
Glossario
- 75 -
Mójma *
Mia moglie
Monëca *
1) Suora
2) Scaldaletto
Mòra
Ecchimosi – Livido
Móstra *
Elemento di paragone
Mózza
Vulva
„Mpapacchià
Scarabocchiare
Mpërtënèndë
Impertinente
Mùcchië
1) Cumulo
2) Pagliaio
1) Mulo
Mùlë
2) Trovatello, bastardo
Muórë
Gelso
Mùscë
Floscio, moscio
Mùsë
Faccia; Broncio
Mùttë
Cenno, motto
N
Nadaló
Scanzafatiche
Naddrattàndë
Altrettanto
„Nciénžë
Incenso
Ndà
Come
- 76 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Ndàcca
Intaccatura
„Ndàccà *
Intaccare
„Ndandaló
Altalena
„Ndégnë
Indegno
„Ndëmërì
Intimorire
„Ndëmmàtë
Contuso (anche per la frutta che ha
preso colpi) Intirizzito
„Ndënzió
Intenzione
„Ndëppàtë
Bloccato (più che altro, di intestino)
„Ndërëzzìtë
Intirizzito
„Ndërióra (li)
Interiora, frattaglie
„Ndesa *
Udito Indurire, intostire
„Ndëscëchì
Intisichire
„Ndëstà
Indurire. intostire
„Ndëvënà
Azzeccare, indovinare
„Ndëvënariéllë
Indovinello
„Ndëvëniellë
Idem
„Ndiepëdì
Intiepidire
„Ndiérë
Intero
„Ndòcca
Rintocca (di campane)
„Ndògnë *
Intingere, inzuppare
„Ndómmë-„Ndùmmë
Contuso, dolente
„Ndórnë
Intorno
„Ndóvë
Dove
„Ndrangulëjà
Dringolare, oscillare
„Ndrapèrtë
Socchiuso
Glossario
- 77 -
„Ndravëdé
Intravedere
„Ndravìstë
Intraveduto
„Ndrëccià
Intrecciare
„Ndrëgàndë
Intrigante
„Ndrëppëcà
Ciampicare, incespicare
„Ndrëppëcó
Ciampicone, inciampicone
„Ndrùjë
Intruglio
„Ndrùla (var. „Ndrùvëla)
Spola, navetta
„Ndruoppëchë *
Inciampo; traslato: Complicazione
„Nduócchë
Tocco ( di campana)
Ndussë *
Contuso
Nèfa
Difetto
Nëmëcàssë
Inimicarsi
Nënguènda
Bufera
Nëpótëmë *
Mio nipote
Nëviéra
Diacciaia, locale freddo
„Nfàmë
Infame
„Nfanatëchí
Infanatichire
„Nfangà
Infangare
„Nfarënàtë
Farinoso, infarinato
„Nfauttà
Affagottare, infagottare
„Nfëcà
Infocare
„Nfëlà
Infilare
„Nfëlàta
Gugliata
„Nfèrna
Inferno
„Nfërnà
Infornare
- 78 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Nfërnàta
Fornata, infornata
„Nfëttà
Infettare
„Nfëttí
Affittire
„Nfëžžà
Infilzare
„Nfëzzió
Infezione
„Nfiammazió
Infiammazione
„Nfiascà
Infiascare
„Nfiëccà
Infioccare
„Nfiéttë
Infetto
„Nfilauaínë
Infilaguaine, ago per nastri
„Nfiòcca
Fiocca
„Nfízza
Filza
„Nfrattàssë
Nascondersi per fratte
„Nfuà
1) Accelerare
2) Mettere in fuga
„Ngalëcà
Calcare, incalcare
„Ngappëttàssë
Incappottarsi
„Ngappià
Allacciare, incappiare
„Ngarbëjà
Ingarbugliare
„Ngardàzza
In caccia per accoppiarsi
„Ngarëcëllìtë
Raggrinzito
„Ngarrà *
Inserire a forza
„Ngascià
Incaciare
„Ngastrà
Incastrare
„Ngàstrë
Incastro
„Ngatënà
Incatenare
Glossario
- 79 -
„Ngazzàssë
Incollerirsi, adirarsi
„Ngazzùsë
Irascibile, incazzereccio
„Ngécca
Gazza
„Ngëfërrìtë *
Alterato, adirato
„Ngëgnàss
Ingegnarsi
„Ngëndëlítë
Ingentilito
„Ngënélla
Ganghero
„Ngëníllë
Gancetto
„Ngënittë *
Uncinetto
„Ngènnërë
Frizzare, bruciare (di ferita)
„Ngënnórë
Cociore, bruciatura
„Ngënžiérë
Turibolo
Ngëràta
Incerato/a
Nghë
Con
„Nghëppàtë
Concavo
„Nghjëvà
Inchiodare
„Ngí
Gancio, uncino
„Ngiambà
Aggrovigliare, arruffare
„Ngiambanèlla
Complicazione, imbroglio
„Ngiàmbë
Intoppo
„Ngiàmbëcà *
Inciampare
„Ngíma
Sopra, in sommità
„Ngìnda *
Incinta
„Ngiòccë *
Cavalcioni
„Ngnëttënì
Ingolosire
„Ngnëttí
Deglutire, inghiottire
- 80 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Ngòcë
Incuocere
„Ngòtta
1) Granturco arrostito
2) spregiativo per donna
insignificante
„Ngravëdà
Ingravidare
„Ngrëscàta
Cruscata
„Ngrìccë
Guascotto, né crudo né cotto
„Ngrussà
Ingrossare
„Nguartàtë
Inquartato, piazzato
„Nguatramà
Incatramare
„Nguattà
Acquattare
„Ngucciàssë
Ostinarsi
„Ngucuzzù
Accosciato
„Ngùdëna
Incudine
„Ngulëttà
Inghiottire, ingoiare
„Ngullà
Incollare
„Ngullàssë
Caricarsi in spalla
„Ngundrà
Incontrare
„Ngùrdë
Avido, ingordo
„Ngurnatùra
Fisionomia, incornatura
Nijùsë
Querulo, noioso
Nìngulë
Ghiandola
„Nnacëdí
Inacidire
Nnaffiatùrë
Annaffiatoio
„Nnammëdà
Inamidare
„Nnànžë
Davanti, avanti
Glossario
- 81 -
„Nnànzë-arrètë
Al contrario
„Nnanzëdí
Albore, innanzigiorno
„Nnanžëdëjérë
Avantieri
„Nnànžë-piéttë
Peso portato, poggiato sul torace
„Nnanžëtiémbë
Innanzitempo
„Nnascunniéllë
Rimpiattino
„Nnaspà
Ammatassare
„Nnàspë
Aspo, annaspo
„Nnattaròla
Culla
„Nnazzëcà
Cullare, ondeggiare
„Nnëccà
Colpire alla nuca 19
„Nnërítë
Abbronzato, annerito
„Nnësà
Fiutare, annusare
Nnëzzëlà *
Infilare, inserire
Nniértë *
Spesso (trasl.: forte)
„Nniéstë
Marza, innesto
„Nnívia
Indivia
Nocchia *
Sansa
„Ntësitë *
Irrigidito ( p. es. dal freddo)
Nù
Noi
„Nuccó
Pochino, un po‟
„Nvëjà
Invogliare
„Nžaccà
Conficcare, ficcare
19
Colpo di taglio alla nuca, per rompere la “noce del collo”. Tipico
nell‟uccisone dei conigli, prima di sgozzarli.
- 82 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Nžalàta
Insalata
„Nžalatiéra
Insalatiera
„Nžanguënà
Insanguinare
„Nžanguërënéja
Sanguina (egli, esso)
„Nžapënà
Insaponare
„Nžëgnà
Additare, insegnare
„Nžëgnërì
Insignorire
„Nžëlëcà
Assolcare
„Nžëlfënà
Insolfare
„Nžëlëfënitë *
Infuriato, assatanato
„Nžënnëlítë
Assonnato
„Nžèrta (la)
Innesto
„Nzërtà
Innestare
„Nžëspëttì
Insospettire
„Nžétëla
Setola; attrezzo del calzolaio per far
passare lo spago nei fori praticati alla
suola con la“subbia” (cfr. “spaccanzetëla)
„Nžëvì
Insivare
„Nžëvìtë
Insivato
„Nží
Grembo, in grembo
„Nžiémbra
Assieme, insieme
„Nžolèndë
Insolente
„Nžómma
Insomma
„Nsultë *
Ictus
Glossario
- 83 -
O
„Òbba
Gobba
„Òbbë
Gobbo
„Óccia
Goccia
Ógna
Unghia - e
Ógnë *
Ungere
Oj *
Olio
„Óla
Gola
„Ómma
Gomma
„Ónna
Gonna
Ondë *
Unto, condimento
Organéttë
Fisarmonica
Òpëra (l ‟)
Operai
P
Pà
Pane
Pacòttë
Pancotto
Paccùtë
Massiccio, spesso
- 84 -
Parte Prima - Lessico paesano
Paínë
Bellimbusto, damerino
Pajàrë
Rimessa sull‟aia
Pajarola *
Recipiente di paglia intrecciata
Pajósa
Pericolosa, critica
Palëpàccë
Sterpaglia
Palléttë (li) *
Farmaci in compresse, in confetti
Palló
Ernia, idrocele
Pancëtà
Sbadigliare
Pancëtéja
Sbadiglia
Pandà
Lama, pantano
Pandàfëca
Incubo
Pandanòcchia
Pozzanghera
Pandanùsë
Pantanoso, impantanato
Pannèlla
Sfoglia
Panníttë
20
Braca
Panzó *
Soggetto obeso, Pancione
Papàgnë
Ceffone
Paparèlla
Anatra
Paparó (lu)
Oca
Parà
Pascere
Paracènta *
Copertura del pagliaio
Parànža
Paralisi
Paratórë
Decoratore
Parnanžì
Grembiulino
20
Erano presenti in tutte le case dove fossero donne fertili, prima della diffusione degli assorbenti igienici
Glossario
- 85 -
Partërí
Figliare, Partorire
Pàrtëtë
Tuo padre
Pascíllë
Piantone
Pàsëma
Asma
Passà
Abburattare, setacciare
Patàna
Patata
Patrasuónnë
Dorminpiedi
Pàtrëmë
Mio padre
Patrëníttë
Padroncino
Patró
Padrone
Patróna
Padrona
Pattuèlla
Pattina
Pè
Piede
Pëccardiéllë
Beccatello, appendiabiti
Pëccéna
Mammella
Pëccënàra
Colombaia
Pëcchëriéllë
Punta del bavero
Pëcchí
Beccamorto, becchino
Pëcció
Colombo, piccione
Pëcciuólë
Gambo, picciòlo
Pëcuózzë
Cafone, rozzo
Pëdàcchië (li)
Pedali del telaio
Pèdëca
Pedata
Pëdëcaròla
Viottolo, sentiero
Pëdëcàta
Orma
Pëdëchënùtë *
Robusto, tozzo, ben piantato
- 86 -
Parte Prima - Lessico paesano
Base del tronco da cui si dipartono le
Pëdëcó *
radici
Pëgnàta, - tiellë
Pëluóttë
21
Pignata, pentolino
Lardo per arrosto
Pëndëcàna
Topo di fogna
Pëndëníllë
Cantuccino, angoletto
Pëndína
Frangia, merletto
Pëndó
Cantone, angolo
Pëndura *
Iniezione intramuscolo
Pëndùtë
22
Acuto, appuntito
Pënënžù
Allinsù
Pëngiàra
Casa costruita con argilla impastata
con paglia
Pënnëcà
Dormicchiare
Pënnëchétta (-ella)
Dormitina
Pëpétta
Bamboletta di pezza
Pëpígnë
Capezzolo
Pëppërélla
Bocciolo, cima
Përbëijùssë
Dado a trottola
Përcàcchjë
Pianta grassa commestibile
Përtëcàra
Aratro
Përtësinnëlë *
Prezzemolo
21
Pezzo di lardo avvolto con carta-paglia, infilato in cima ad uno spiedo e
quindi incendiato in modo che le gocce fiammanti cadessero sulle carni al girarrosto durante la cottura alla brace, per insaporirle e renderle croccanti in superficie.
22
L‟aggettivo veniva usato in paese per soprannome a tipi – per lo più donne
– di carattere spigoloso e aggressivo. .
Glossario
- 87 -
Përtósa
Finestrella
Pësàccia
Bisaccia
Pëscià
Orinare
Pëschjùsë
Di bambino sporchetto
Pësciariéllë
Polla, rigagnolo
Pëscùja-ója
Pozzanghera
Pëscoja *
Bascula
Pëscujà
Pastrocchiare
Pésëlë
23
*
Che sta sospeso, in superficie
Pëstaròla
Pigiatrice per l‟uva
Pëstrënàrë
Frantoiano
Pëstrí
Frantoio
Pëtëndína
Saputella, petulante
Pëtó
Gallinaccio, tacchino
Pëtóna *
Sbornia
Pëtuócchë
Crocchia
Pëvërammë
Meschino, tapino
Pëzzëcà
Beccare, pizzicare
Pëzzëcuóttë
Specie di “strozzapreti”
Pëžžì
Polsino - i
Piàgnë
Piangere
Piangítë
Pavimento
Pianuccia *
Pialletto
23
Si dice ad esempio per il filo d‟olio aggiunto come condimento a crudo su
una minestra. Il termine indica anche le fascine di legna che si usava sistemare
all‟incrocio dei rami delle piante lungo i filari di vite.
- 88 -
Parte Prima - Lessico paesano
Piàtëna
Catino
Píca
Ghiandaia
Piccamuortë *
Becchino
Pícchë
Becco
Pié (li)
Piedi
Pijëccà
Ripulire da erbacce
Piòtë
Tipo (troppo) calmo
Pirë *
Piolo
Pìttëma *
Persona assillante
Pizzëcaspí
Scricciolo
Póccia
Tetta
Póggë (lu)
Pulce
Poidëmà
Dopodomani
Porra *
Porro, verruca
Pòrta- àchë
Agoraio
Pòsta
Agguato
„Ppartarrètë
Dietro, didietro
„Ppassìtë
Appassito
„Ppëccëcà
Attaccare, appiccicare
„Ppëccëcùsë *
Appiccicoso, Soggetto assillante, invadente
„Ppëccià
Accendere
„Ppëndëzzì
Appuntare, appuntire
Ppërrënìtë *
Deperito, sciupato (di persona)
„Ppiccëcasàndë
Lappola
Prëcisë *
Di persona stimabile ed affidabile
Glossario
- 89 -
Prëcòca
Albicocca
Prëddacchiuólë
Pretonzolo
Prèddë
Prete
Prëíbbëtë
Tipo non raccomandabile; (in positivo:“tosto”)
Prèmë *
Covare
Préna
Pregna, incinta, gravida
Prëncípijë
Inizio
Prësëndí
Vanesio, invadente
Prèssëca
Pesca
Prèta
1)Pietra 2) Lapide
Prëvà
Assaggiare
Prëvìna
Rubinetto della botte
Priémëtë
Tenesmo, cistite
Prónga
Susina
Progne , prëgnuolë
Prugne
Prùha
Purga
Prùssia 24 *
Camisaccio di cotone/canapa
Puochëfà
Dianzi, poco fa
Puóstë
Luogo, posto
Pùpa
Bambola di pezza
Pùpë (lu)
Pannocchia
24
Indumento da lavoro del contadino d‟altri tempi, ma non solo. Se le nostre
zie, allo sfoggiare di noi ragazzi i primi jeans, ci accusavano di esserci messa “la
prussia”, la stoffa di quei camisacci doveva essere quella famosa dei camalli di Genova, da cui appunto i “geanes”
- 90 -
Parte Prima - Lessico paesano
Pùschja *
Schiuma agli angoli della bocca
Pùžžë
Polso
Pùzzë
Pozzo
Q
Qquajó
Quaggiù
Quacquósa *
Qualche cosa
Quajà
Cagliare
Quajàta
Giuncata
Quajàtë
Accagliato
Quàjë
Caglio
Quatràmë
Catrame
Quatrí
Denaro, quattrini
Quíllë
Quello, colui
Quíssë
Codesto, costui
Quístë
Questo
Quëndàlë
Quintale
Quôsa
1) Cosa
2) Affatto, niente
Glossario
- 91 -
R
Rà
Grano
Ràccëca
Faringite
Ràccëcà *
Grattare, raschiare
Racëmíttë
Grappoluccio
Racímë
Grappolo
Racùsë
Di voce roca
Ràdëca *
Radice
Radëcà *
Mettere radici
Raghëna *
Ramarro
Ràgnë
1)Ragno 2)Granchio
Ràja
Idrofobia, rabbia
Ralla *
Spatola metallica per togliere la terra
dagli attrezzi da lavoro
Ramàccia
Gramigna
Ramaruólë
Ramaiolo
Ramàta
Acquata, scroscio
Rambalëpí
Sulla (prato)
Rambazzíttë
Grappoletto
Rambëcà
Graffiare
Rambëcàta
Graffiatura
Rambëchí
Muraiolo,- picchio o lucertola
- 92 -
Parte Prima - Lessico paesano
Ràmpa
Granfia
Ràngëchë
Rancido
Rannëlà
Grandinare
Rànnëla
Grandine
Rannëlàta
Grandinata
„Rantùrchë
Granturco - Mais
„Rappèlla
Accessorio del giogo: bardatura ai
lati e alla testa dell‟animale
Ràscia
Incrostazione (tartaro)
Rascìna *
Oidio
Rassèlla
Raganella
Ratíccë
Graticcio
Ratícula
Gratella
„Rattà
Grattare
„Rattacàscë
Grattugia (per formaggio)
„Rattàta
Grattata
Rattattù
Bailamme, disordine
Rattëchèlla
Prurito
Rëbbàttë
Tornare (dei conti)
Rëbbèca
Ribeca
Rëbbëcó
Ribecone ( strumento da accompagnamento folk)
Rëbbëví
Risuscitare
Rëbbianghëggià
Imbiancare
Rëbbrëzzëní
Rabbrividire
Glossario
- 93 -
1) Disseppellire, esumare
Rëcaccià
2) Dare ad un neonato il nome di un
ascendente
Rëccapà *
25
Rëccèlla
Dividere, scegliere, ripulire
Arnia
Rëcchía *
Orecchio
Rëcchíttë
Culaccino
Rëccòjë
Raccogliere
Rëcèrtëla
Lucertola
Rëchëmbrà *
Acquisire benemerenza
Rëfà
Guarire
Rëfàttë
Guarito
Rëfrëcà
Berteggiare, canzonare
Rëfrëcatórë
Canzonatore
Rëggërà
Abbindolare
Rëggëratórë
Régnë *
26
Abbindolatore
Regno preunitario delle due Sicilie
„Rëgnì
Grugnire
Rëgnó
Rene, rognone
Rëgnù (li)
Reni
Rëgrëmà
Digrumare, ruminare
25
Il termine è probabilmente derivato da Giovanni Rucellai (Firenze 1475 –
Roma 1525) autore di un - al suo tempo famoso - poema didascalico “Le Api”
pubblicato postumo nel 1539.
26
Termine ancora in uso fino a non molti anni fa per indicare i territori abruzzesi al confine con le Marche, come pure le locuzioni:” dë qua” o “dë llà da Trundë”
- 94 -
Parte Prima - Lessico paesano
Rëgrùma
Rimugina
Rèhula
Mestruazione
Rëí
Riandare
Rëjëstà
Aggiustare
Rëmbëzzà
Imbronciarsi
Rëmbëzzùsë
Che fa il muso
Immusonito
Rëmbízza
Rëmbrësatùra
27
Costipazione, raffreddore
Rëmbrëscëttí
Improsciuttire
Rëmítë
1) Eremita
2) Ronzone (insetto)
Rëmmëcchí
Spuntino
Rena *
Sabbia
Rënàlë
Pitale, orinale
Rëncappëttàssë
Incappottarsi
Rëndrëssëcà *
Andare di traverso
Rënfascià
Fasciare
Renga *
Aringa
Rëngujëní - itë
Rimminchionire, rincoglionito
Rëngurcëníssë
Rincurvarsi
27
Mi raccontava questa cosa il cugino Franco : Don Gennarì ( il nostro
dottore, succeduto a zio Medico) usciva dall‟aver visitato zio Ciro a letto con uno
dei suoi memorabili raffreddori. “Jétë… jétë a trëvà Ciro… tè‟ una febbre… porta
un cazzo di delirio…!!” E trovarono difatti zio Ciro, con una febbre da cavallo, che
straparlava, ed a quanti, per conforto di compagnia, erano al suo capezzale, spiegava, natura, sintomi e terapia di ciò che aveva: “ Chesta è „na rëmbrësatura……….. La ri - mbresatura: è la pelle che si è intesita, ma col massaggio ridiventa fluida.” (Bibi)
Glossario
- 95 -
Rëngurcënítë
Rincurvato, rinsecchito
Rënnaccià *
Rammendare
Rënnaccë *
Rinaccio, rammendo
Rënvèrsa
Piega del lenzuolo
Rënžàcchë
Stambugio, nicchia
Rëpó
Calanco
Rëppëllà
Ridiscutere
Rëppèlla *
Accessorio del giogo
„Réppia
Greppia
Rëscíbbia
Erisipela
Rësciuólë
Triglia
Rësëcà
Rodere, sgranocchiare
Rësèca
Tacca, fessura
Rësëcó
Gretto
Rësësvéldë
Mentuccia
Rësístë
Desistere
Rëspízzëca
Spigolatura
Rëssëccà
Asciugare
Rëssëttà
Aggiustare, rassettare
Rèsta
Gracimolo, treccia d‟agli o cipolle
Rëstìvë *
Sforzato
Rëtràbbië *
Rudimentale attrezzo multiuso per
la lavorazione di mosto e vino: affondare vinacce, sfecciare, ecc.
traslato: appellativo dispregiativo
per individuo fisicamente malmesso
- 96 -
Parte Prima - Lessico paesano
Rëtrajà
Inaiare
Rëtréscëna
Gorgo, mulinello
Rëulétta
Rucola
Rëulízia
Liquerizia
Rëžžéchëra
Zecca (insetto)
Rífëna
Duna di sabbia o neve
Rijógnë
Aggiungere, giuntare
Rijùndë
Aggiuntato
Rijuólë
Orzaiolo
„Rìllë
Grillo
Rína (li)
Dorso, reni
Rióndë
Giunto, giuntato
Rípa
Dirupo; Calanco
Rìzza
Recinto di canne, paretaio
Ròcculë
Rete per uccelli
Ròla
Semenzaio
„Ròtta
Grotta
„Rracà
Essere piccante o aspro
„Rracanì
Arrochire
„Rrachìtë
Afono , arrochito
„Rrajà
Arrabbiare
„Rrajàtë
Idrofobo, rabbioso
„Rrëcëló
Capriola
„Rrëfìtë
Irto
Rrëfódda
Abbondante
„Rrégna
Baruffa, rissa
Glossario
- 97 -
„Rrëgnàssë
Azzuffarsi
Rrëscënítë
Rinsecchito , malmesso
„Rrëstëtóra
Griglia per arrosti
„Rrëvëntì
Arroventare
„Rrëžžëchì
Arrugginire
Rùa
Chiassolo, stradina
Rùndë
Sarcocele, ernia scrotale
Ruocchië *
Spezzone
Ruótëla
Girella (di legno o cacio)
Rùtte
sostantivo : Rutto
aggettivo : Rotto
Ruggine
Rùžža
S
Saggíccia
Salsiccia
Sainaccia *
Erba con spighette attaccaticce
Saittí
Peperoncino
Salta-pëdína
Cavallina (gioco)
Salvaví
Imbuto
Sanàcia
Cicatrice
Sanëtà
Ansare
- 98 -
Parte Prima - Lessico paesano
Sanëtéia
Ansima (egli)
Sapëtiéllë
Saputello
Sappó
Bollero, zappa pesante
Sapùtë
Saccente, vanitoso
Saràca
Salacca, aringa
Satùllë , -ólla *
Sazio/a, soddisfatto/a
Sažžiérë
Mortaio
Sbajà
Errare, sbagliare
Sbàttë
Frullare
Sbëllùnghë
Bislungo
Sbënnònna
Bisnonna
Sbëscià
Bucare
Sbësciacchià
Forare, sforacchiare
Sbësùndë
Bisunto
Sbírrë
Birro
Sbrëccëcùsë *
Ruvido
Sbrëdà
Imbrodolare
Sbruóccëchë
Protuberanza dura
Sbusciafrattë
Scricciolo
Scacà
Incacare, impaurire
Scaccëtà (inf.)
Fare coccodè
Scallaliéttë
Scaldaletto
Scamëciàssë *
Mettersi in maniche di camicia
Scanajà
Stimare alla grossa
Scancëllà
Cancellare
Scandapézza
Traballone, sbandata
Glossario
- 99 -
Scanžia *
Credenza
Scapëcuóllë
Caduta a rompicollo
Scapëstà
Calpestare
Scapìzzë
Avanzo, rimasuglio
Scappà
Fuggire
Scapparìccë *
Chea va di fretta
Scapùllë
Bamboccio
Scarciòfëna
Carciofo
Scardëzzà
Spannocchiare
Scarduózzë
1) Pannocchia
2) Involto
Scarëcarèlla
Vedi: Carrèlla; Ma anche:
1) Piccola trappola2) Domino con mattoni
Scarëcatuóppë
Fuciletto (gioco: Vedi descrizione
sub “Lu Zzërrió”)
Scarpàrë
Calzolaio
Scàrsë
Insufficiente
Scartuózzë
Cartoccio
Scassà
1) Cassare 2) Dissodare
Scatafuoscë *
Buca stradale, irregolarità del terreno
Scatarrà
Espettorare
Scažžë
Scalzo
Scélla
Ala
- 100 -
Scëllò *
Parte Prima - Lessico paesano
Accessorio dell‟aratro atto a
creare solchi per sementi tipo
mais, patate, legumi…
Scëngià
Scapigliare
Scëngiàtë
Spettinato
Scèrnë
Discernere
Scèrpa
Biscia , serpe
Scërriàtë *
Spettinato, disordinato
Schëmmàttë
Avere a che fare
Schëmmiérsë
Maleducato
Schëppià
Esplodere, scoppiare
Schëppícchië
Chicchi d‟uva svuotati della polpa
(secondo alcuni: Semi legnosi
dell‟uva)
Schëppógna 28
Pèsca spaccherella
Schiàfëna
Chiazza , screpolatura
Schiàntë *
Parte di un grappolo d‟uva
Schiëppà
Sbattere, urtare
Schiëppétta
Battimuro
Schìfë- Schjëfó-Schjëfìna
Vassoi in legno di varie dimensioni
e per vari usi
Schiovacristë *
28
Persona perfida all‟ennesima potenza
Erano, e da molti anni non le ho più trovate, buonissime pesche di pasta
gialla, compatta, che si dividevano in due semplicemente girandole tra le mani in
senso contrario
Glossario
- 101 -
Apertura sulla doga mediana del
Schijuólë
fondo della botte, utilizzata per la
pulizia dell‟interno.
Schjënàlë
Groppone
Schjërëcàtë
Chiericuto, pelato
Scì
Sì (affermazione)
Sciambagnó
Sciupone, spendaccione
Sciàpë
Insipido
Sciapítë
Sciapo, scemito
Sciauiértë
Sciattone
Carruba
Sciaunèlla
Sciaurdié *
29
Sballottamento…, da bordo a bordo
Sciérrë *
Ufficiale giudiziario
Scijó
Scroscio, acquazzone
Sciòdda
Diarrea
Scióma
Cialtrona
Sciuccamà (anche Sciuttamà )
Asciugamani
Sciùrnë (femm: sciórna)
Persona stramba, pazzerella
Scòccia
Scoccino : sfida con uova sode
(usanza in occasione della Pasqua)
Scocciapëgnàta
Giunchiglia
Scòfëcë
Malcontento, di gusti difficili
Scóta 30
Manico (di zappa, vanga, ecc.)
29
Derivato forse da “sciabordìo… per indicare un‟azione di rimescolamento?
- 102 -
Parte Prima - Lessico paesano
Scrastà
Rompere con le mani
Scrëtëriàtë
Insensato
Scrèlla
Scheggia (di legno)
Scrià
Cacciare, allontanare
Scriàtë
Allontanato; traslato : malmesso
fisicamente
Scrùcchia
Mento
Scuccígnë
Rumor di cocci rotti
Scudàlë
Imbraca (finimento)
Scudëlliérë
Scolapiatti
Scùffia
Cuffia
Scungià
Arruffare i capelli
Scurdariéllë
Immemore
Scùrë
Buio, scuro
Scurréja
Scorreggia, peto
Scurtà
Finire
Scurtëchì *
Operaio del mattatoio, scuoiatore
Scuscënëjàtë
Disarticolato ( di persone e cose)
Scussàtë
Lussato nelle anche
Scustëmàtë
Incivile
Scutëlà
Scuotere, sgrullare
Scutërëzzà
Scodinzolare
30
In questo senso l‟ho sentito usare poco; molto più comune ne era - ed è, credo,l‟uso nel significato di soddisfacente atto di autoerotismo.
Glossario
- 103 -
Sdëvà *
Stancare fino a “rompere le ossa” ( le
doghe)
Sdiù *
Colazione di mezza mattina
Sëcà
Assorbire; Succhiare
Sëccà
Essiccare
Sëccasëmèndë
Se per caso...
Sdëgnà
Lussare, slogare
Sdëlëffàtë
Sfiancato, sfinito
Sdërënàtë
Idem come sopra., ma con dolenzia
di schiena
Sëgnërì ( a )
Appellativo di deferenza del tipo:
“vostro onore”, ma meno pomposo
Sëllécchia
Baccello, siliqua
Sëllùzzëchë
Singhiozzo
Sënditë *
Assennato
Sènnëra ( o Sellëra)
Sedano
Sënzìttë *
Leggero sapore
Sërgèndë *
Morsetto per assemblaggi in legno
Sërgíttë
1) Topino 2) Gnocco di patate
Sèrra
Bica, larca
Sëtàccë
Crivello
Sétta
Saliscendi
Sëttërrà
Interrare, sotterrare
Sfacciàtë
Insolente
Sfarënùsë
Farinoso
Sfascià
Disfare , demolire
- 104 -
Parte Prima - Lessico paesano
Sfëmmëcà
Affumicare
Sfënnàtë
Insaziabile
Sfëràstëchë *
Scostante, ombroso
Sfërmàtë
1) Informe, deforme
2) Alterato, fuori di sé
Sfëtatùra
L‟ultimo uovo di una gallina
Sfràgnë
Frangere, schiacciare
Sframëcà
Sbriciolare
Sfrignë *
Buffo
Sfiàrë
Olezzo (d‟ogni tipo)
Sfrëculià
Stuzzicare
Sfrëschià *
Schizzare acqua con un tubo rigido o
di gomma
Sfrëschiù ( a) *
Movimento dello sfrëschià
Sfrischië *
Schizzo
Sfùmmëchë *
Suffumigi
Sganassó
Pugno in faccia
Sgattó
Leprotto
Sghëmmarèllë
Cucchiaione , mestolo
Sgrascià *
Cogliere un‟opportunità
Sgrassà
Digrassare
Sgrassatórë
Grassatore
Sgravà
Figliare
Sgrëdà
Rimproverare
Sgrëmó
Cresta del terreno
Sgríllë
Gioco della lippa
Glossario
- 105 -
Sgrízzë
Schizzo
Sgrugnàtë
Sbreccato
Sgrugnatùra
Sbreccatura
Sguazzà
Diguazzare
Sguazzónë
Discolo
Sgurzëllù
Tiro a manrovescio
Sgurzó
Sbieco, di traverso
Sítë
Cesso, luogo
Sivë *
Sebo
Slattà
Divezzare
Smatrëcàtë
Prolassato
Smërcià
Spegnere
Sòda
Infeconda
Sonaorghënë *
Bellimbusto
Soprammà
Ribattitura
Sopruóssë
Esostosi, soprosso
Sór...-Sóra...
Signor - a
Sòrëma *
Mia sorella
Sórgë *
Topo
Sórrëca
Ratto (di fogna)
Sórrëca
Macchia d‟unto
Sosòra
Tata
Spaccanzétëla *31
Immaginario attrezzo del calzolaio
31
Lo “spaccanzetëla” non esiste: un artigiano burlone se ne servì per un simpatico scherzo…. Chiedere a Giuseppe Di Basilio per i particolari…
- 106 -
Parte Prima - Lessico paesano
Spalviérë *
Tavolozza per muratore
Spambalàtë 32
Spampanato
Spangiàtë
Slabbrato, smagliato
Spannaruólë-Sparnaruólë
Cesto del seminatore
Sparacëndàtë
Allentato - Allascato
Spàrra
Cercine (per la conca)
Sparró
Strofinaccio
Spartì
Dividere, distribuire
Spasërìtë
Timoroso, impaurito
Spasetta *
Piatto da portata
Spatracullàtë
Rovinato (di animali)
Spatracuóllë
Danno, rovina
Spëculjà
Indagare
Spëdëcënítë
Male in arnese
Spëjà
Denudare, spogliare
Spëppí
Sbocciare
Spërélla
Solicello invernale
Spërtëlló
Imposta (infisso)
Spërtiéllë
Anta
Spëttërëjàtë
A petto nudo
Spëziàlë
Farmacista
Spëzzërëllàtë
A bordi dentellati
32
Si dice di fiore coi petali allargati e in procinto di cadere (rosa spambalàta).
E‟ legato all‟usanza di togliere le foglie della vite, “pambëla”vicine ai grappoli per
far prendere il sole e favorire la maturazione dell‟uva
Glossario
Spianàta
- 107 -
Focaccia; Pizza pasquale al
formaggio
Spítë
Schidione , spiedo
Spòtëchë
Libero, senza vincoli
Sprëfùnnë
Abisso
Spësciàssë
Scompisciarsi, pisciarsi addosso
Sprëmiéndë
Esperimento
Sprënà
Sgravarsi
Sprëngëpiàtë *
Messo male ( di persona)
Sprëscià
Spremere
Sprësciuócchë 33
Latticino spremuto a mano
Sprëtà
Impaurire
Sprëtàtë
1) Indemoniato, spiritato
2) ex prete
Squajàtë
Disciolto
Squaquaracchiàtë
Schiacciato, squagliato
Squarquajó
Nottola, pipistrello
Ssajó
Costaggiù , laggiù
Ssàmmëra 34
Pianta maschio della canapa;
traslato.: Buono a niente
Ssamuò *
In codesto modo
33
Parte della cagliata stretta a mano. La massaia che confezionava la forma di
caci poteva promettere al bambino: së fà lu bbuónë të fàccë lu sprësciuócchë !
34
E‟la pianta maschio della canapa, più alta delle altre, ma che serve solo ad
impollinare, senza dare apprezabile prodotto. Perciò è usato come dispregiativo,
rivolto ad individuo poco valido: gruóssë e cazzaccë, „nu ssàmmëra.
- 108 -
Parte Prima - Lessico paesano
Ssassù
Lassù
Ssëgnërí
Signoria vostra
Ssëgrà *
Strofinare
Ssëpërazió
Suppurazione
Ssèqujë
Esequie
Ssogna *
Sugna; grasso del maiale dal quale si
fa lo strutto
Stabbiàrë
Concimaia, letamaia
Stàbbië
Letame
Stajë *
Stalla
Stamuò
In questo modo
Statëró *
Bilancia
Stazzë
Addiaccio (delle pecore)
Stazzella *
Tavoletta di legno
Stëccarola *
Spatola da stucco
Stëllërí
Mingherlino
Stènnë
Distendere
Stënnëtùrë ( o Stërnëtùrë)
Matterello
Stëppí
Lucignolo, stoppino
Stërdí
Assordare, stordire
Stërdítë *
Non più lucido di testa
Stèrza *
1) Timone del carro
2) Carro a due assi di cui l‟anteriore
sterzante
Stíra
Arnese, attrezzo
Straccalë o Straccàrë
Bretelle, dande
Glossario
Straccë (passà lu -) *
- 109 -
Strofinaccio per pavimenti ( Lavare
pavimenti)
Strascënatë *
Brasato (di verdure; p. es : Fojë
strascënate.)
Stràttë
Conserva di pomodoro
Stravalëcà
Dementare, dare di matto
Stravalëchéja
Dà di matto
Stréccë
Pettine (a denti larghi)
Strëfënà
Fregare , strofinare
Strëibbì
Eliminare, distruggere
Strëlëngó
Spilungone
Strëngëcó
Ramo, tronco, stoppia
Strëppatóra
Estirpatore
Strèusë
Lunatico , strambo
Struítë
Istruito
Strùjë
Fondere , liquefare
Struólë
Porcile
Strùttë
Sostantivo: Grasso di maiale fuso e
per essere poi conservato nella
vescica ( sempre del maiale)
Voce verbale: Fuso, fonduto
Stù
Questo
Sùbbia
Lesina
Sùlëchë
Solco - i
Suó
Suo
Sùvë
Salire
- 110 -
Parte Prima - Lessico paesano
Sùvëtë
Salito
Svejammammòccë *
Inattesa… esperienza istruttiva
Svënà
Dissanguare
Svíjë
Desto, sveglio
T
Tàcchë-màttë
Cerotto antidolorifico
Tàcchjë
Talea - Getto
Taccuniéllë
“Maltagliati” ( impasto di farina di
grano e mais)
Tajafié
Fienaia
Talëfí
Delfino
Tallí
Germinare
Tallítë
Germinato
Tamarícë
Mirica , tamericio
Tamòck
Uno che non conta niente
Tànfë
Lezzo
Tarìna
Scodella da portata
Tastà *
Toccare, palpeggiare
Tastutë *
Di spessore
Tàvëla
Asse
Glossario
- 111 -
Tavëlétta
Assicella
Tëmbèra
Pioggia abbondante
Tënërùmë
Cartilagine
Tëpó
Piolo, piantatoio
Tëratùrë
Cassetto ( di tavolo o madia)
Tërdaca *
Sbornia
Tërtëràta
Legnata
Tërtùrë
Clava - Tortore
Tërzaló
Rozzone - Grossolano
Tëstariéllë
Duretto
Tëstatùrë *35
Fune di canapa
Tétèllë
Tato, fratellino
Tëtëllùccë
Fratelluccio
Tëzzó
Tizzone
Tirannànzë
Lascia perdere
Tízzë
Fumacchio - Tizzo
Tòrcë *
Incordare – Strizzare
Tòrcëcuóllë
Torcicollo
Tòtëra (li)
Pannocchie sgranate
Tràja
36
Trappìtë *
Traino
Frantoio
35
La fune lega i buoi, per le corna, alla punta del timone del carro; in un percorso in discesa la valutazione della sua tensione induce a controllare opportunamente la frenata del mezzo
36
La tràja tirata da buoi; era un carro-slitta senza ruote, con lunghi pattini
(realizzati con legno di fico), basso sul terreno. V. in Appendice sub: “Lu rëtrajà”
- 112 -
Parte Prima - Lessico paesano
Trasàna
Gronda
Tre - Quattrë - Cinquë 37
Teorema di Pitagora
Trëcà
Durare
Trëcculàta
Piantonaia,vivaio per piante
Trëmórë
Fremito
Trësëmarié
Rosmarino
Trëtiéllë
Cruschello
Trëttëcà
Sballottare, scuotere
Trëvëtà
Intorbidare
Trìppa
Pancia , epa
Trístë
Cattivo
Trocca *
Trogolo
Tròcchjë-Tòrchjë
Torchio per spremere le vinacce
Tropea *
Sbornia
Trufa *
Schiuma ( p. es. del vino)
Trùfë
Orcio
„Ttaccà
Attaccare, legare
„Ttaccatùra
1)Legamento, legatura
2) Sulla fronte, inizio della chioma
„Ttëndà
Tastare, palpare
„Ttërà
1)Attrarre; 2) Atturare
„Ttërcënà
Attorcinare
„Ttrëmì
Attramirsi
37
Il più noto dei teoremi geometrici in enunciazione ipersintetica e di immediata sperimentazione concreta, per es. per la perfetta squadratura di un‟area:Tre e
Quattro i cateti; Cinque l‟ipotenusa, e poi per multipli
Glossario
- 113 -
Tùndë
Gnorri, tonto
Tuó
Tuo
Tuócchë
Sincope, colpo apoplettico
Tuóstë
Duro ; Detto di persona per indicare
un soggetto resistente alla fatica, o
più genericamente :”in gamba”.
U
Uàccë
Comando per “a cuccia”!
„Uadàgnë
Guadagno
„Uàjë
Guaio
„Uàlë
Pari, uguale
„Uàndë
Guanto
„Uandiéra
Guantiera
Uànnë
Quest‟anno
„Uarnëzió
Guarnizione
„Uarnì
Guarnire
„Uarniéllë
Guarnello , veste da casa
„Uarzó
Garzone
„Uastà
Deteriorare, guastare
„Uàstë
Guasto
Uastënà
Bastonare
Uastënàta
Bastonata
- 114 -
Parte Prima - Lessico paesano
Uastó
Bastone
Uattùllë
Stia,pollaio
„Uàzza
Brina, guazza
„Uazzaró
Gabbanella, grembiule
„Ubbìtë
Aggobbito
Ubblëgà
Obbligare
„Uccétta
38
Goccetta, Bicchierotto di vino
Ucchiara *
Cazzuola
Ucchjëró
Occhione, pagello
„Uccià
Gocciare
Úcëna
Fusello (per tombolo)
„Udé
Godere
Udórë
Profumo , odore
Udùtë
Goduto
„Uëdà
Guidare
„Uëdatórë
Guidatore
Uéh
Olà
„Úfë
Gufo
Ugnùnë
Ciascuno, ognuno
Uìccia *
Residuo acquoso della molitura delle olive
Uletta *
Sottogola: accessorio del giogo
Ulía
Voglia, uzzolo
38
Termine usato per offrire una bevutina di cortesia, in modo analogo a come
in Veneto si propone un‟ “ombretta”
Glossario
Úlmë
39
- 115 -
1) Olmo
2) A secco nella“passatella”
„Ulùttë
Ghiotto
„Uluttënìzia
Ghiottoneria, leccornia
Úmëra
Vomere
„Umëtàta
Gomitata
„Unfià
Gonfiare
„Únfië
Gonfio
„Unfiórë
Gonfiore
„Unnèlla
Gonnella
Uócchjë
1) Occhio 2) Gemma di una pianta
Uója
Oggi
Uojëcëllí
Lucilina - Mosca carnaria
Urdégnë
Ordigno
Úrlë
1) Grido,urlo 2) Orlo
Urnalë *
Tegole (coppi) dei bordi del tetto
Úrsë
Orso
Uórbë
Orbo
Uóssë
Osso
Uóssë-passíllë
Malleolo
Uóvë (l‟)
Uovo
Uóvë (li)
Buoi
39
Da ragazzini assistevamo alle partite di carte dei giovanotti grandi”, che si
giocavano nu quàrtë e „na gazzósa e c‟era chi facendo parte del gioco, alla fine per non so quale regolamento ( la passatella) -veniva mannàtë a ùlmë il che significava che, mentre gli altri bevevano, lui restava a guardare a becco asciutto
- 116 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Urtëllàta
Coltellata
Urtësciàna *
Recipiente, generalmente. di terracotta, usato per condire maccheroni,
insalata o altro
„Urtiéllë
Coltello
Usëmà
Annusare … cercando
Usëméja
(Lui) annusa
„Ústë
Gusto
Utàndë (Utantë)
Abbastanza, assai
Uttànë
Dottato, fico dolce
Uttó
Ottone
Úua
Uva
„Uvèrnë
Governo
Uvíttë
Ovetto
Uzijà
Oziare
Uzijùsë
Ozioso
Uzzà
Aizzare
V
Vaccílë
Catinella, bacile
Valcà
Gualcare, infeltrire
Vandiéra
Guantiera
Glossario
- 117 -
Vandiòlë *
Crisi epilettiche; Convulsioni
Varílë
Barile
Varvàja
Goletta, guanciale (del maiale)
Varvajòzza
Pappagorgia
Vascià
Baciare
Vattùllë
Stia
Vàva
Bava
Važžē *
Legaccio di spighe tagliate, per tenere insieme la“vrangata” mietuta
Vècchia (La)
Befana
Vëcchiacó
Longevo, vecchione
Vëcciandó
Calabrone
Vëcënìttë
Rocchetto per la „Ndrùla (v.)
Vëcínë
Vicino, presso
Vëddà
Voltare, svoltare
Vëddëcà-të
Rovesciare-ato
Vëddécchia
Svolta rapida in corsa
Vëdèlla (li)
Budella
Vëdiéllë
Budello
Vëlandrèlla
Farfallina; traslato: Persona magrolina
Vëlèscia *
Tassuto molto sottile ( così ridotto
anche per consunzione)…, un velo
Vëllégna
Vendemmia
Vëllëgnà *
Vendemmiare
Vëllìtë *
Bollito; bollente
- 118 -
Parte Prima - Lessico paesano
Véna
Avena
Vëndà
Buttare, gettare
Vèndapaia *
Macchina di corredo alla trebbiatrice
Vëndràmë *
Interiora
Vëndrëcína
Ventricina (insaccato)
Verdamóscia
Terra bagnata non lavorabile
Vërdënélla
Succhiello
Vërgàra
Massaia
Vèrmënë
Bruco, lombrico
Vërnëcchià
Bisbigliare, cornacchiare
Vërzícula
Verzicola (gruppo di 3 carte)
Vëscënìttë *
Canaletto, tubetto, vaso (anche anatomico)
Vëschëdùrnë
Uragano, turbine
Vëschëvíttë
Spuntino, mangiatina
Vësciàccula
Bolla, vescichetta
Vëtriùsë *
Intrattabile , iperreattivo
Vëttëcèlla
Botticella
Vëvëró *
Intruglio di ingredienti vari, vitto
del maiale
Viàtta
Ramo lungo e sottile
Vínghë
Vimine
Viòcca
Biocca, chioccia
Víschjë
Pania, vischio
Vócca (dë la vóttë)
Cocchiume
Vócca
Bocca
Glossario
- 119 -
Voddarecchie *
Tipo di aratro: reversibile
Vòja
Desiderio
Vóscë
Canale
Vótëra (li)
Maledizioni
Vòtta
Dà di matto (anche per animali)
Vóttë
Bótte
Vòvë (lu)
Bove, bue
Vracciuólë
Ramoscello
Vrangata *
Abbrancata, imbracciata
Vrànghë
Branco
Vràscia
Brace
Vréccia
Ghiaia, breccia
Vrëcculósa
Etisia
Vrëillàta *
Variegata; lo è p. es. la lomza di capocollo: mista: grassa e magra
Vrëscënà *
Rimestare braci o cenere
Vrësció
Acque luride
Vrëugnùsë
Pusillanime, timido
Vríscia
Bacchetta lunga, sottile ed elastica
Vròcca
Brocca
Vròcculë
Cavolfiore
Vruócculë
Cavolfiori, broccoli
Vròda
Broda
Vrùscëla
Morbillo; Varicella
Vù
Voi
- 120 -
Parte Prima - Lessico paesano
Cavità nella navetta per il passaggio
Vùscënë *
del filo
Vùtë
Gomito
Vùžžë
Bolso
„Vvërmënì
Bacare
„Vvëzzàtë
Abituato
„Vvëžžìtë
Imbolsito
Z
Zalluócchë
Grumo
Zambàta
Pedata
Zambógna
Zampogna
Zarambógna
Cornamusa
Zëffrículë
Cicciolo
Zëlëfíttë
Canapulo : Stelo di canapa e zolfo
per fare fuoco
Zélla
Ciocca scomposta
Zëllùsë
Spettinato, disordinato
Glossario
Zëmbà
40
- 121 -
Saltare
Zëmbíttë
Saltello
Zënnàlë
Grembiule
Zënnaló
Gabbanella , grembiulone
Zépëta
Dispari
Zërlà
Ruzzare, giocare
Zëzzó *
Sporcaccione
Zi‟ – Zëzì – Zëzó *
Zio
Zí‟ – Zëzina *
Zia, Zietta
Zìëmë *
Mio zio
Zipèppë
Pitale
Zólla
Ciocca
Zùmbë
Salto
Zuócchë ( plurale: Zòcca)
Acino, chicco
Zùrla
Ruzzo, gioco
Zùzzë
Sporco, sozzo
Žžauóttë
1) Ragazzo
2) Briccone
„Žžëccà
Azzeccare
Žžëcchià
Sobbalzare
„Zzëffiatùrë
Soffiatore (per camino)
Žžërrià
Ronzare
Žžërrió
Bottone e spago (gioco)
40
Sghignazzando, lo si usa anche nel significato di “copulare”.
- 122 -
Parte Prima - Lessico paesano
Žžëutrìnë
Veterinario
Žžìcchië
Sobbalzo
Žžërëpëpì
Palèo, piccola trottola
*****
Detti e motti
- 123 -
DETT I & MOTTI
A „Ngarà së dicë „ccuscí
Arrëfódda
Abbondantemente
A lu ménë
Almeno
A ùffa
A ufo, a sbafo
A la „mbrëvìsa
D‟improvviso
Allëhà li diéndë
La sensazione che si avverte ai
denti p. es. col succo di limone
A lu pè‟ a lu pè‟ *
D‟appresso
Annànzë dë rètë
All‟incontrario
Arëcàlëtënë Pié‟ *
Ricomincia daccapo….
A rëcchië rittë ! *
Atternzione!... anche come monito.
Arësseccà li pànnë
Asciugare il bucato
Arëvè „n ganna *
Dà rigurgito, come accade ai più
dopo una mangiata di peperoni…
A tiembë dë fëllaccià, unë
…….…
„mmocca e unë a „mmà; quandë
……….
jemë su lu padrò,… “cce frëcatë lu
la colpa è del calabrone…
vëcciandò! “ *
A tiembë dë fascëlittë, cë li ma-
……….
gnemë frischë frischë; quandë je-
……….
më su lu padrò,….“cce frëcatë la
la colpa è della siccità: il raccolto
staggiò!” *
è stato misero per il padrone !
- 124 -
Auah chë mm‟ é „ppisë mamma ! *
Parte Prima - Lessico paesano
Reazione negatoria ad una richiesta o proposta ritenuta assurda,
accompagnata da un gesto di inequivoco rinvio ai propri
“attributi”. Di uso analogo al
romanesco: “ ‟n par de palle!”
Bbëscó-bbëscó
Si dice facendo indovinare il
contenuto delle mani a coppa.
Ca dapuó ….
Sarà mio pensiero…..( promessa
di sdebitarsi …. un dì….)
Casa a pëscióna
In affitto
Cciacchëtë l‟ogne *
Schiacciati le unghie (detto solitamente a bambini quando asillano lamentando di annoiarsi o non
sapere come passare il tempo)
Ccíca-ccíca
Gradatamente
Cë‟aùsa
E‟ abitudine
Detti e motti
C‟è pësciàtë la luna
- 125 -
*
Si dice di certe mele…..41
Cavallétta dë la „bbàda
Salincervio: gioco infantile
Ccùncë-ccùncë
Piano piano
Cëvëtëllesë (lu) *
Vento locale più o meno da
occidente, da Civitella
Chë të piagnë li frëchì? *
Ad uno che mostra di andar di
fretta
Chi ha fumë ha càllë
Dove c‟è fumo c‟è fuoco, quindi
calore
Chi më battezza m‟è chëmbarë *
Leteralmente: Chi mi tiene a battesimo mi è compare( ma è detto
figurato ed allusivo)
Chi vò Dië chë së lu prega *
Datti da fare! Non aspettare la
Manna dal cielo
Cielë chë luce, neve conduce*
In inverno quando, a cielo chiuso, sembra che le nuvole tendano
a riaprirsi
41
Credo si chiamino mela Zitella o Cerina o anche Gelata.Sono non molto
grandi ed hanno buccia fine e colore che va dal verde chiaro fino al giallo rosato.
Sono molto buone e profumate. Il detto dialettale “C‟é pësciatë la luna” si riferisce
al fatto che hanno la caratteristica di macchiarsi quando c'è la luna piena.La polpa
delle mele, nella parte che “vede” la luna, diventa quasi trasparente; in controluce
sembra vetro e prende anche un sapore più dolce e particolare.
- 126 -
Parte Prima - Lessico paesano
Comë së sòna s‟abbàlla
Il prossimo si comporta a seconda del tuo comportamento
Córrë arrètë
Inseguire
Costa pë në „gnó
China (discesa)
Crëllà li lùmmë
Dilombarsi; colpo della strega
Crick, crock e.. mànëchë dë „ngí *
Crick, crock e manico di uncino:
per indicare ironicamente persone solite ad essere viste insieme
Curà li pànnë
Fare bucato
Dà la „mbàna
Imbozzimare, nutrire i polli
Da sólë ( a la sëlagna) *
Verso Sud
Da vora
Verso Nord ( da borea, a setten-
( a la uòra) *
trione)
Da monte *
idem
Da mare *
Verso Est
Ddië prëvveda !*
Come Dio vorrà
Dó femmënë, nu mërcatë; do
Due donne fanno un mercato,
femmënë e „na pica, „na fiera
due donne ed una gazza, una
chëmbìta.*
fiera perfetta.
Dorme sapëritë
Dorme placidamente. Detto in
genre dei bambini in culla.
Detti e motti
- 127 -
Essë të pènnë la coccia! *
E‟ proprio un tuo pensiero fisso!
Fà corrë lu càpë
A chi smatassa del filo, affinché
trovi il capo e non lo faccia ingarbugliare
Fà dùrë
Fare il solletico
Fà li cënnërèllë
Starnazzare
Fà lu cappiéllë a lu ví
Aggiungere al mosto uva in chicchi per dare sapore, profumo e
per rendere il vino alquanto frizzante
Fà lu tùndë
Fare il nesci
Fà „nu cìnnë
Accennare
Fà mùttë
Accennare a parlare
Fà vëní ulía
Ingolosire
Fà lu puórchë (fa‟ li mmasciatë dë
Lavorare il maiale , insaccare
lu puorchë)
Fà li mmasciàtë
Accudire (alla casa)
Fà la rótta
Scavare il passaggio nella neve
Fa nu callë chë spacca lu culë a li
Dilatazione eccessiva da calore??
passëra *
Fa rëtërnà la prëcëssió…
Fa tornare indietro la processione!…: Riferito ad una persona,
( in particolare di sesso femmi-
- 128 -
Parte Prima - Lessico paesano
nile) proprio di brutto aspetto.
Gnëlítë nda nu ranzuólë
Gelido come granuli di neve
ghiacciati
Gnë nòccia *
Espressione augurale, di solito
all‟indirizzo di un neonato osservato in qualche manifestazione
propria dell‟età.
Jé scortë lu fiatë…. *
Ei fu……..
Jècch‟a „nžì – Loch‟a „nžì
Qui da me (nel mio – suo grembo)
Jó „bbàllë / Sù „mmóndë
Giù in basso( a valle) / Su in alto
Jòppëca-Jòppëca
Lemme, lemme
La cera së chënzuma e la prëcëssió
Ci si perde in chiacchiere senza
nën cammina *
concludere
Lambéggia( o “ allamba”) a Ttëscí
Cambia il tempo: lampi verso la
valle del Tesino, a nord- nord est;
in direzione di Offida.
Detti e motti
La sanda raggiò ! *
- 129 -
Giustizia divina! Espressione usata per enfatizzare il raggiungimento di un risultato contro ogni
avversità
Légnë dë Noè
Lignite
Li fusa ch‟è li fusa, è l‟artë dë chi
Ad ognuno il suo mestiere. Un
l‟aùsa
vecchio contadino… di casa ( Jacindë) soleva dire: Chi è dë la
pénna è dë la pénna, chi è dë
la sàppa è dë la sàppa”
Li pàrtë gëndílë
Le parti delicate. Riferito di
norma ai genitali, ambosessi.
L‟opëra a piagnë *
Le prefiche. Ma anche in senso
figurato per dire che occorre una
cosa organizzata, con dei costi…
Lu dërètë
Deretano,….. ma anche, fra due
figli, il più giovane
Fa nu fréddë chë stùcca li chiuóvë
Fa così tanto freddo da schiantare
i chiodi
Lu riéstë lu cànta l‟òrghënë *
Fatto quel che si doveva, il resto
è benvenuto!
Lu scëròcchë uója tira e dëmà
Oggi scirocco? Domani piove!
scròcca
Lu tiémbë (la mëntgna)
Cambia il tempo, si formano cu-
s‟arëncappèlla
muli
- 130 -
Lu tiémbë s‟arëcagna *
Parte Prima - Lessico paesano
Cambia il tempo ( però si dice
solo quando peggiora)
Màra ggèndë
Calca, folla; un mare di gente
( ora è di moda dire, chissà perché, “una marea” , non si sa se
alta o bassa...)
Matta fenëca
Matta che più matta non si può
Mbizzë mbizzë *
Sul limitare
Mëscié dë Ddié
Misericordia, Deo juvante
Mó-mó
Proprio adesso
Méttë fùria
Affrettare
Méttë a bbévë
Mescere
Méttë li pèzzë
Rattoppare, rimediare
„Na vòdda
Un tempo
N‟ giarësmuórcë *
Non smetti di rinfacciare( o anche: la lingua batte….) !
Nda „na chiavë d‟uórtë
Di cosa che si adatta bene.
Nën fiatà! *
Taci !
Detti e motti
„Nn‟è „uazza chë mena fuossë *
- 131 -
Detto di pioggia di scarsa consistenza: non sufficiente ad alimentare i fossi.
„Nu ccó
Alquanto , un po‟
„Nnànžë de jéra
L‟altroieri
„Na mùcchia
Assai
Nën më sendë tandë pë la qualë *
Non sto troppo bene…
Nën pò rëméttë lu pè a la strada
Non riesce a guarire, ad uscire da
una malattia
Nën ž‟arëbbattë nu chiuovë *
Non si fanno affari…
„Óccia li urnàlë *
I coppi terminali dei tetti gocciolano:è appena spiovuto o è piovuto poco.
Ogna e sbórgna
Sì è mangiato e bevuto ogni cosa
(Dal latino: “omnia” e “ebrionia”).
Ora sorda (nën pozz‟èssë mai)
Un brutto momento tragico. Simile, nella “Marca” oltre Tronto
“Parola sorda, „nzia mai”, detto a
mo‟ di scongiuro.
- 132 -
Pà e spùtë *
Parte Prima - Lessico paesano
Per chi ha da mangiare solo pane
e… la propria saliva
Passà lu sfriscë *
Esagerare, passare il segno
Pë dappò-Pë dappòsta
Apposta, con intenzione
Përchìttë dë Sand‟Andònië
Porcellino terrestre (insetto)
Pianë, pianë
Furtivamente, con delicatezza,
con cautela
Pianë, pianë …. „sciò préna
Con cautela… ( ma) restò incinta
Prëcisë…è muortë „n croce *
In risposta ad una pretesa di perfezione assoluta
Prieddë, cavallë e pullë „nzë trova
Preti, cavalli e polli…. mai sazi
mai satull *
Prieddë, cavallë e ca‟, nghë „na
Preti, cavalli e cani, con un buon
magnata arëfà *
pasto guariscono
Pùrë li pùggë tè la tóscë
Riferito a chi ha parlato mentre
avrebbe fatto meglio a tacere
Rëccapà li nocë da li carëcìllë *
Dividere le noci dai fichi secchi
(fig.: per intendere di rimettere le
cose al posto giusto)
Rëméttë l‟òjë lòchë a lu lùmë
Rianimarsi, riprendere forza
Rëvëní „n ganna *
Avere un rigurgito ( da difficile
digestione )
Detti e motti
Ridë „nfaccia a sta fila dë bbëttù!*
- 133 -
Reazione a chi ridacchiasse sfottendo. Non più attuale, a rigore,
dopo che per la patta dei pantaloni si usano quasi sempre le
“zip,…. a parte i fedelissimi ai
Levi‟s……
Rùscia-rùscia
Raso al muro (comë „na pëntëcàna)
S‟arrégna
Egli litiga; Essi s‟azzuffano
Së ažža lu stommëchë *
Viene da vomitare
S‟è méssë „n žùrla
E‟ d‟umore giocoso
Së n‟ addrë no ……
Se non altro……
Së nën po‟ mêtë, carpë *
Si dice di chi comunque vuol
“mettere becco” o aver ragione
S‟è vënutë menë *
E‟ svenuto
Së rëfà lu tiémbë
Rasserena
Së rënfaccia *
Di cibo che si rifiuta per disgusto
o nausea
Së vò mërì…..(Tizio)*
Dicesi di moribondo … senza
indagare sui suoi effettivi desideri
Së žžécca siéndë „na pùzza *
Qualora avessi sentore....
Stà dë casa
Abitare
Stà „n cërviéllë – Stà „n zìstë
Ci sta con la testa, è ben lucido.
- 134 -
Parte Prima - Lessico paesano
„Scì dë ràzza
Dirazzare
Sbócchë dë sànguë
Emottisi
Stà „nda „nu Cèsëra
Dicesi di individuo prospero e
nel pieno delle forze
Stà sërgígnë – sërgégna
Stare ben svegli e pronti. Si dice
anche “a rrécchië ríttë”
T‟è fàttë babbù(babbajù) l‟uócchjë
Hai le traveggole, sia in senso
proprio che figurato.
Tè lu mùsë
E‟ imbronciato
Tenga callë e faccia ride
Purché protegga dal freddo…
non importa l‟apparenza!
Të pijéssë „nu tuócchë
Della serie degli auguri poco
amichevoli
Të pijéssë „nu bbè da Ddié
Questo è sicuramente più benevolo
Tira „nu strìzzë
Tira vento freddo
Tuttë li cà porta la ggiùbba
Detto di chi si atteggia a sapiente
Tu va‟ annanzë chë i‟ të vènghë
Portami pure in tribunale,
arrètë *
che lì ti risponderò.
Detti e motti
- 135 -
Uója d‟òttë
Otto giorni da oggi, oggi a otto
Và „ccùccë
Egli va aggobbito
Và „n garròzza nònnë
Si dice per indicare il rumore del
tuono
Vattë a fa frëcà *
Va‟ a farti fottere
Vùscëna, vùscëna…. *
Gira e gira….
Zitta, zitta….. * (è al maschile)
Simile al romanesco:“ Tomo tomo ,
cacchio cacchio “ ; sornione
*****
- 136 -
Parte Prima - Lessico paesano
Appendice
- 137 -
APPENDICE
Una serie di appunti lasciati senza spiegazioni dagli autori, è stata così
completata da Simplicio “Bibi” Olivieri e dalla sua équipe di ricerca in Ancarano. Gli appunti originali sono in disordine, con tratti sottolineati, soprattutto delle cose da mangiare; la grafia è quella di zio Ricciardo e magari a
Roma soffriva di nostalgia gastro-culinaria:
Quando ti sposi ti sparo
: per festeggiarti, spariamo le bombe
(fuochid‟artificio).
Buoi infiocchettati
: antica usanza – in segno di ringraziamento
si infiocchettavano gli animali e si adornavano i carri in occasione di festività (es. patronali). Su usa ancora a Colonnella e a Corropoli.
Letto sul carro : In senso stretto si diceva del mezzadro che, o perché non particolarmente capace, o perché “strano” di carattere, cambiava
spesso terreno e padrone. Estensivo, è riferito a persona poco solida e stabile.
La collana
: preliminare del matrimonio: una settimana prima delle
nozze la futura suocera si recava dalla futura nuora per “appendere l‟oro” e/o
- 138 -
Parte Prima - Lessico paesano
la collana di corallo, solitamente di grossi grani tondi e di misura degradante.
La fratta = la siepe :
mettere la fratta: interporre un impedimento al
libero passaggio.
Confetti e soldoni :
oggetto di lancio propiziatorio – da parte di chi
ne aveva – in occasione di nozze.
Arrèscë „n sànta :
la prima volta che la donna tornava alla messa,
dopo aver partorito.
Arrèscë la spuósa : la sposa va alla messa la domenica dopo le nozze che si celebravano solitamente il giovedì.
Arrèscë lu muórtë :
La scampanata
la messa di suffragio il giorno dopo il funerale.
: frastuono procurato con barattoli anche legati in-
sieme, in segno di derisione variamente motivata (anche per fatti personali,
come disavventure sentimentali).
Mortaretti di Biancó
– S. Simplicio: Biancó sarà stato senz‟altro
l‟artificiere. Più di recente ne ricordo un altro che si chiamava „Nzëpó e mi
pare fosse di Spinetoli.
Appendice
- 139 -
Raggi in corda
: particolare fuoco d‟artificio. Il mortaretto esplo-
deva a distanza dopo aver percorso un certo tratto, con apposita puleggia, su
un filo teso.
Infiorate
: composizioni decorative con petali di fiori, in occasione di
particolari ricorrenze festive-religiose (es. Corpus Domini)
Li strascënarèllë
: (dette anche “ li lëscënelle) si scivolava
sull‟erba, meglio se un po‟ bagnata, delle scarpate. Poi, per come si riducevano i calzoni, tornati a casa ... cë së pijàva!
Lu rëtrajà
: inaiare, cioè trasportare i covoni di grano dal campo
all‟aia. All‟uopo si usava la tràja tirata da buoi; era un carro-slitta con lunghi pattini (realizzati con legno di fico), basso sul terreno e perciò comodo
nelle operazioni di carico/scarico di cose pesanti ed ingombranti.
Con la meccanizzazione la traja è praticamente scomparsa, ma il termine
è tutt‟ora in uso per indicare un‟autovettura in pessimo stato, che “ si trascina” definibile, in lingua, un catorcio, „na tràja in dialetto.
Lu scardëzzà
: operazione compresa nella raccolta del mais; sull‟aia
si liberano le pannocchie dalle foglie che le racchiudono. Segue “Lu sgranà”, operazione del separare i chicchi di granone (cariossidi) da lu tòtëra (
il tutolo).
- 140 -
Parte Prima - Lessico paesano
Rame pulito per Pasqua :
le “pulizie di Pasqua” prevedevano, fra
l‟altro, pulitura e lucidatura del pentolame di rame; si usava come abrasivo
farina di mais o crusca imbevuta di aceto e sale.
Organetto, a ddó bòttë, due bassi: ricordiamo la tastiera di
bottoni
di madreperla dell‟organetto di zio Franco. Con esso si accompagnava lu
saldariéllë, il diffusissimo saltarello.
Li caggiù: leccornia locale di matrice umbro-ascolana. Impasto di uova e formaggio pecorino grattugiato, confezionato in forma di ravioli, poi
cotti al forno. Gustati con accompagnamento di fettine di salame o anche di
lonza, risultano un toccasana per la sete... Vino abbondante, sennò
“s‟attoppa”.
Li caggëníttë :
ravioli fritti (natalizi) ripieni di pasta di castagne o di
ceci lessati, addolcita e condita con cioccolata ed aromatizzata con rum.
Le pizze pasquali di cacio e anche dolci. Quelle di cacio dette più
comunemente “spianate”.
Li tajlì:
i tagliolini. Esclusiva ancaranese legata ad una leggenda sul-
la statua lignea della Madonna della Pace (festeggiata nella domenica più
prossima al 22 ottobre). Sfoglia di pasta all‟uovo sottilissima, quasi trasparente; taglio altrettanto. Vanno consumati cotti in brodo di gallina o di carni
miste (meglio), ed è opportuno mangiarli in paese perché, se spediti per po-
Appendice
- 141 -
sta, arrivano triturati... ( giusto,Francesco?)! Sono anche chiamati “tajlì ùntë”
o “tajlinìttë”, per distinguerli da altra pasta meno pregiata, pure fatta in casa,
anche senza uova e da consumare anche asciutta.
Li ciammèlle „ngh lu mmóstë
: ciambelle, col buco, fatte in
tempo di vendemmia, impastate con mosto ed aromatizzate con semi di anice.
Li pappardèllë :
pappardelle (rinomate quelle di zia Marietta), una
specie di corte tagliatelle fatte impastando farina, acqua e un pizzico di sale,
poi cotte in un brodo preparato con un soffritto di lardo battuto ed un po‟ di
pomodoro spezzato grossolanamente; raccomandate per le puerpere perché
favorirebbero la produzione di latte.
Con la stessa finalità e per ritenuta analoga virtù, si facevano
Li Frascariéllë
: una specie di polentina di farina di grano, cotta
senza sciogliere o schiacciare i grumi, condita come le pappardelle.
Li Maccarù :
pastasciutta lunga ( “avvolgibile”), preferibilmente fat-
ta in casa, condita in genere con sughi di carne. La pasta poteva essere
all‟uovo e in questo caso li maccarù si facevano a sezione quadrata utilizzando lu maccarënàrë (la chitarra), oppure anche di sola farina di grano e
acqua (o con poco uovo, giusto perché la massa legasse meglio), e per fare i
maccheroni si usava una trafila montata su una macchinetta del tipo di quella
utilizzata per confezionare gli insaccati di maiale.
- 142 -
Parte Prima - Lessico paesano
La quajàta:
la cagliata, parte del procedimento di confezione del ca-
cio, in cui il latte si “restringe”. Così in senso figurato si dice che una cosa
s‟è quajata quando si è ottenuto il risultato che ci si era prefisso.
Fà lu stràttë
: fare il concentrato (estratto) di pomodoro, facendo
asciugare al sole, negli “schifi” la polpa passata di pomodori maturi.
La Pasquèlla –
lu Sand‟Andònië : era tradizione che si passasse per
le case- soprattutto in campagna dove era più facile trovare ghiottonerie - a
raccogliere
offere
ed
ospitalità
enogastronomica
nella
ricorrenza
dell‟Epifania e di Sant‟Antonio abate (quello col maialino).
L‟allegra compagnia provava a suggerire e propiziare la generosità dele
famiglie visitate intonando, con accompagnamento di mandolino e strumenti tipo “ lu Rëbbëcó”, una filastrocca di cui purtroppo non ricordo abbastanza
bene le parole, ma che più o meno, suonava così:
…Se ci date un bel cappone
Ci faremo li maccheroni
Se ci date una pollastrella
La faremo sulla padella!
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
Appendice
- 143 -
Accadeva, naturalmente che l‟invito non fosse sempre raccolto nel senso sperato ed allora, pronto, scattava l „anatema … sempre canoro, che
credo di ricordare meglio:
Tantë chiuovë „nghessa porta
Tantë dijàvëlë chë të së porta,
Tantë buscë „nguissë murë
Tantë ciéculë llà lu culë !!!
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
e la Compagnia riprendeva il “giro” ……..
*****
- 144 -
Parte Prima - Lessico paesano
Come ci si divertiva... a tutte le età
PARTE SECONDA
degli ancaranesi……
COME CI SI DIVERTIVA
………A TUTTE LE ETA‟
- 145 -
- 146 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
Lu zzërrió
- 147 -
Ricciardo e Franco Rampini
LU ZZËRRIÓ
vecchi giochi in Ancarano
a cura di Francesco Rampini
Ancarano e Ravenna 1985 – 2009
- 148 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
PRESENTAZIONE
Sono il primo nipote degli autori. Non molto tempo fa mi trovavo
a casa di amici, una coppia di giovani, che da poco tempo hanno finito
di arredare la loro casa. Moderna, luminosa, con bei mobili e accessori
simpatici. Quella sera, dopo una buona cenetta, mi mostravano con
orgoglio il loro ultimo acquisto, un computer, elemento – pare – ormai
indispensabile in una casa normale.
I primi programmi per farlo funzionare erano “giochi”, i videogames, con i quali ci siamo anche divertiti per un po'.Avevo già iniziato da qualche giorno a lavorare su queste note dei miei zii che, pure
senza essere antropologi, avevano completato una ricerca antropologica vera e propria, a partire dal 1979 fino a quando uno di loro due ci
ha lasciato a “giocare” quaggiù, per riunirsi alle memorie e allo spirito
di quanti hanno giocato prima di noi sulla terra.Il contrasto fra queste
descrizioni e il futuro, che è oggi, mi ha procurato un brivido: tutta
questa tecnica a volte raggela; d'altronde è ovvio,indispensabile, inevitabile , che si vada avanti, sempre più avanti.
Ma se è vero che i “tecnicissimi” giapponesi in casa spesso indossano ancora il kimono e qualcuno insegna ancora la“cerimonia del tè”,
è giusto che non si perda la memoria di quanto c'è dietro e prima del
nostro modo di essere oggi; e mi sono sentito dentro un buon calore
quando, lasciati i video-games, ho ripreso il manoscritto sui giochi che
Lu zzërrió
- 149 -
facevano i miei“vecchi”, molti, moltissimi dei quali ho giocato anch'io
da bambino.
Ancarano d'Abruzzo, in provincia di Teramo ma vicino (è ex
feudo del vescovo) ad Ascoli, il nostro paese, ancora oggi minuscolo,
a me, che nel periodo della guerra (la seconda mondiale) avevo quattro-cinque anni, non offriva certo di più di quanto potesse proporre
una generazione prima. In tempo di guerra poi le condizioni generali
erano sufficientemente difficili perché distanze di tempo e di progresso si annullassero. C'era forse maggiore possibilità di fare i“botti” perché il carburo occorrente lo si usava per le lampade di emergenza in
casa, quando mancava la corrente; e poi i “botti” li facevano, e ben più
forti, anche gli adulti! Per il resto, la stessa necessità di inventare ogni
proprio gioco, supportati dalla tradizione e dai pazientissimi falegnami
e dall'unico fabbro che anche noi affliggevamo, chiedendo “pezzi”
speciali per i nostri divertimenti. Non ringrazio quindi i miei zii Ricciardo e Franco solo per aver conservato una piccola parte della memoria collettiva della nostra terra, ma per avermi riportato ogni giorno, per il tempo in cui ho curato queste note, indietro di una buona
quarantina d'anni ... il che non fa affatto male.
Ravenna, fine febbraio 1985
- 150 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
Scrivevo questa pagina più di vent'anni fa e a rileggerla mi sono
venuti i lucciconi, anche al pensiero che l'altro mio zio, Franco, è andato a raggiungere suo fratello, forse per continuare a giocare e a ricordare.
Mi accingo quindi a distanza di tanti anni a rimettere le mani in
quel lavoro che agli zii prese tanto tempo e passione; spero di essere
all'altezza.
Ravenna, 7 marzo 2009
Francesco
*****
Lu zzërrió
- 151 -
C‟ERA UNA VOLTA…………
Quando dai tetti delle case uscivano ancora i comignoli neri ( li
cammì ) che, specialmente la sera, spandevano nell'aria un buon odore
di fumo di legna; quando non si aveva la minima idea della radio e ancor meno della televisione, un modo diffuso di passare le serate era
quello di riunirsi in casa di parenti o di amici e stare a chiacchierare.
Gli uomini - sigaro o pipa in bocca e un bicchiere di vino“conservato” - le donne coi ferri da calza in mano, tutti intorno al
focolare, si commentavano i fatti del giorno.
Bastava il tenue chiarore sparso dalla fiammella di un lumino a olio (ben pochi avevano in casa la luce elettrica) o, a volte, era soltanto
la luce della fiamma nel camino o il riflesso della brace a rischiarare
l'ambiente.
Pretese non ce n'erano: il paese era povero, eminentemente agricolo e non offriva che qualche osteria per una partita a carte o la passeggiatina che tutti, specie gli artigiani, facevano immancabilmente per il
corso, la sera, a chiusura della giornata di lavoro, dopo aver “messo la
firma”, cioè preso un bicchierino – per lo più di mistrà – in una delle
osterie. Si passeggiava anche se pioveva un po', con l'ombrello naturalmente, ed era possibile farlo perché il centro abitato era chiuso da
ogni parte; le case esterne, strette l'una all'altra come una cortina a difesa dalle incursioni, difendevano anche dal vento. Una leggera brezza
- 152 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
quasi costante non faceva paura (in dialetto “tira l'aria”): anzi faceva
cantare in uno stornello:
Uarda 'Ngarà ddovë sta piantatëë ...
'ngima a nù collë tantë arïusëë ....
Così gli adulti passavano le ore libere; i giovani si riunivano
anch'essi per andare ad amoreggiare, ma i piccoli, che pure di tempo
libero non mancavano?
Giocattoli? Non se ne aveva l'idea: chi possedeva una palla di
gomma – regalatagli in qualche rara occasione – la mostrava con un
certo orgoglio: “E' Pirelli!”. Le bambine: una bambola di celluloide o
fatta di cenci. Era tutto. Eppure non ci si sgomentava; con l'ingegno e
la fantasia ognuno inventava il proprio passatempo. Ed era necessario
farlo perché, se un bambino annoiato si rivolgeva ai grandi per chiedere lamentosamente “che faccio?”, si sentiva immancabilmente rispondere: “cciàcchëtë l'ógna”(péstati le unghie)! E allora bisognava arrangiarsi e crearsi un divertimento qualsiasi che facesse passare il tempo.
Lu zzërrió
- 153 -
LU ZZËRRIÓ
Tra i tanti bottoni che normalmente portavano nelle tasche i ragazzi (per giocare a schiëppétta) ce n'era di certo uno speciale – da
giacca o,meglio perché più grosso, da cappotto – nel quale, attraverso
due fori opposti,passava un filo robusto, lungo 70-80 centimetri, chiuso ad anello. Era lu zzërrió.
Si infilava un dito di ciascuna mano nell'anello e lo si teneva non
molto teso, in modo da consentire un moto rotatorio del bottone che
avvolgesse tra loro i due opposti segmenti del filo; poi con leggeri
movimenti di “tira-e-molla” si costringeva lo spago a svolgersi e ad
avvolgersi, sì che il bottone ruotasse alternativamente attorno a se
stesso. Se il moto era abbastanza veloce si udiva un ronzìo a causa
dell'aria che passava tra i fori: da ciò il nome.
Questo appena descritto era il più semplice o, se volete, il meno
complicato dei semplici giochi che anche chi scrive ha “inventato” per
sé e per i compagni, come è successo per moltissime generazioni, almeno fino all'avvento dell'era televisiva. Per questo abbiamo voluto
che desse il titolo a questa piccola raccolta di “note tecniche” sui giochi di un tempo in un piccolo paese, che è anche raccolta di ricordi di
tanto tempo fa.
- 154 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
SCÁRËCA TUÓPPË
Un pezzo di ramo di sambuco lungo 10-12 centimetri 42 al quale
veniva tolto il midollo (il ramo doveva avere un diametro di 3-5 centimetri); per il foro che ne risultava si faceva passare una bacchetta di
legno(olmo, o pero, o giunco) sagomata a tenuta, leggermente più corta della “canna” per non espellere il tappo e con il manico più grosso
che non passasse per il foro. Con della stoppa ( in dialetto tuóppë )
aggrovigliata si facevano dei tappi che si inserissero a pressione nel
foro del sambuco; per avere una migliore tenuta i tappi venivano masticati e così imbevuti di saliva! Se ne introduceva uno nel foro e lo si
spingeva fino alla sommità con la bacchetta, poi si introduceva il secondo e si premeva, sempre con la bacchetta: l'aria compressa rimasta
tra i due tappi espelleva violentemente il primo. Se la tenuta era buona
– il che si otteneva dopo un certo numero di passaggi e relative masticature! - il primo tappo veniva lanciato a considerevole distanza e l'aria, espandendosi, produceva un rumore come di un colpo di pistola.
42
( nota di Bibi) Nei miei personali ricordi il pezzo di ramo di sambuco è un
po‟ più lungo: 20 – 25 cm., per avere più aria da comprimere fra i due “tuoppe”; la
bacchetta di legno doveva essere ben pulita e levigata nella parte posteriore perché
destinata ad essere appoggiata sugli addominali e quindi su di essi premuta con
movimento rapido e violento per un‟efficace espulsione del tappo di stoppa preventivamente ben “biascicato”…. Che bontà!!!
Lu zzërrió
- 155 -
LU SCHIËPPÍTTË
Un pezzo di canna gentile (arundo donax) lungo circa 40 centimetri, che avesse un nodo a circa 5 centimetri da una delle estremità. Un
giunco lungo circa 60 centimetri, abbastanza resistente ma non troppo
sottile. In prossimità del nodo verso l'estremità aperta della canna si
facevano due fori opposti, uno dei quali a fessura, lunga circa 2 cm.,
tali che vi passasse il giunco. Un altro foro veniva praticato all'altra
estremità della canna: qui si introduceva e si fissava un capo del
giunco, mentre l'altro capo si faceva passare per i fori suddetti, in modo da farne uscire da un lato un pezzetto di circa 2 centimetri. Il giunco risultava così piegato ad arco e costituiva la molla. Spingendo con
un dito sulla parte del giunco che usciva dalla canna, a mo' di grilletto,
lo si spingeva verso l'interno della canna fino a liberarlo dal foro; allora esso scattava nella fessura e lanciava fuori il proiettile, che poteva
essere un sassolino o altro (bacche, ecc.), introdotto nella canna ad avancarica. Questo giocattolo e il precedente erano ovviamente usati
dai maschi per battaglie incruente ma impegnatissime, o per tirare addosso alle “femmine” che, in qualche piazzetta, giocavano tra di loro
con le bambole o a “campana”.
- 156 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
LU CAVÁLLË
Un bastone, un ramo ripulito dalle foglie o una canna. Si correva
per focose galoppate standoci a cavalcioni. A volte veniva munito di
una traversa a croce per impugnarlo più facilmente. Quando si usava
la canna, le si lasciavano alcune foglie in fondo, così che nel correre
facessero rumore o alzassero polvere (le strade non erano ancora asfaltate). Se la canna era abbastanza lunga il movimento della corsa la faceva sollevare da terra ritmicamente e produceva un suono che, con
molta fantasia, poteva richiamare il trotto del cavallo.
LA CARRÈLLA
La si adoperava durante la settimana santa; adesso è di moda negli
stadi e nei campi sportivi,ma è di plastica e in genere colorata con i
simboli delle squadre del cuore. Quelle nostre erano fatte con la solita
canna gentile: un pezzo lungo 20-25 centimetri e di 3 o 4 centimetri di
diametro, con una estremità chiusa dal nodo. All'altra estremità veniva
praticato un incastro femmina e, partendo da esso, da un lato, si facevano due tagli paralleli, abbastanza lunghi, per ricavare una lingua vibrante. Sulle due alette dell'incastro veniva praticato un foro passante.
Da un dischetto di legno si ricavava una specie di ruota dentata (bastava a volte la testa di un rocchetto di legno, di quelli dei cucirini); la
Lu zzërrió
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rotella andava sistemata nel taglio dell'incastro. Un bastoncino di legno sufficientemente lungo da servire anche da manico teneva tutto
unito insieme e funzionava anche da perno. È ovvio che, sistemata la
ruota dentata, la lamina vibrante doveva poggiare sui denti, ma consentire la rotazione. Facendo girare la canna intorno al perno, rimanendo ferma la ruota dentata, gli scatti della lamina, amplificati dalla
cassa di risonanza cava della canna, producevano il rumore che è onomatopeicamente nel nome dell'attrezzo. I ragazzi lo usavano per accompagnare i segnali sonori delle varie funzioni religiose della settimana santa, a campane “legate”, che venivano dati per le strade del
paese da tavelle di legno su
cui battevano maniglie metalli-
che,“suonate” dal sacrestano e dai chierichetti, che si disputavano accanitamente l'onore di portare queste bbaràcculë.
ZZIRËPËPÍ
Le rotelline più grandi delle sveglie rotte servivano egregiamente,
se no la testa di uno dei soliti rocchetti di legno dei cucirini con un
pernetto passante per il foro e, ad un'estremità, più o meno a punta.
Prendendo con due dita l'altra estremità del perno, gli si imprimeva un
movimento rotatorio e lo si lasciava girare su superfici piane o sul
palmo della mano.
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
PËRBËJÚSSË
E‟ una variante del precedente: la testa del rocchetto veniva squadrata, oppure ci si procurava un dado di legno con un foro passante nel
quale si infilava il perno; sulle facce esterne del dado si segnavano
(con la matita copiativa, o facendole incidere con un ferretto arroventato) quattro lettere: P = pìja (cioè prendi), M = mìttë (metti),T = tùttë
(tutto), N = gnèndë (niente). Gli adulti lo usavano per giocare con denari ma per i ragazzi, soprattutto con bottoni, che erano moneta corrente assieme ai pennini. I giocatori versavano una posta poi, a turno,
facevano girare lu përbëjùssë. Quando si fermava, cadendo, la lettera
superiore dava il verdetto: con la P chi aveva giocato prendeva una unità di posta, con la M doveva aggiungerne una al piatto,con la T tutto
il piatto era suo, la N lo lasciava a bocca asciutta (e con la voglia di
riprovare).
BBRÉCCA
Cinque sassolini rotondeggianti, grandi quanto un'oliva o una nocciola. Ogni bambina (il gioco infatti era per lo più praticato dalle
femmine), dai cinque anni agli undici-dodici, aveva i suoi in una tasca
del grembiule ( lu zënnàlë) o, se non li aveva, faceva presto a sceglierli accuratamente fra la breccia che a quei tempi ricopriva le strade. Si
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giocava stando seduti in terra, in due, tre o più, intorno ad uno spazio
non grande e pianeggiante. A turno si tiravano in aria a circa mezzo
metro di altezza tutti e cinque i sassolini, con una mano, in modo da
farli spargere sul terreno di gioco; c'era chi usava mettere un dito nella
traiettoria di caduta per farli disperdere maggiormente. Poi se ne sceglieva uno (o lo indicava l'avversaria) lo si tirava di nuovo in aria e,
lestamente, mentre quello volava, si doveva prendere con la stessa
mano che giocava uno dei quattro sassolini lasciati in terra, raccogliendo anche quello lanciato senza farlo arrivare al suolo. Così per gli
altri tre. Chi sbagliava, non raccogliendo uno dei sassetti a terrao
mancando quello in aria, passava la mano. Una volta raccolti i sassolini uno ad uno, il gioco continuava complicandosi: da terra se ne raccoglievano due per volta, poi tre, poi tutt'e quattro in un colpo. Superata questa prova, si passava ad un'altra fase: sparsi i sassolini, sene
prendeva uno, si poneva la mano libera in terra, a palmo in giù con le
dita divaricate al massimo (il ponte); mentre si lanciava in aria il sassolino prescelto, si dovevano far passare gli altri ad uno ad uno fra le
dita, in modo da riunirli sotto il palmo, sempre senza far cadere in terra quello lanciato. Riuniti i quattro sassolini, si lanciava ancora una
volta quello “in gioco”, si passavano i quattro nella mano che lanciava
- di solito la destra – e si dovevaraccogliere quello lanciato senza farlo
cadere in terra; il tutto con una solamano.Questo gioco, abbastanza
complesso e che richiedeva grande abilità perchédoveva essere svolto
il più velocemente e disinvoltamente possibile, è molto antico: negli
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
scavi di Ercolano si è rinvenuto un bassorilievo in marmo che raffigura le figlie di Niobe intente a questo passatempo, per il quale usano
degli astragali.
CAMPANA
Anche questo riservato, in genere, alle bambine; è gioco molto
comune e diffuso e non presenta in Ancarano varianti degne di nota.
A CORDA
Anche il salto della corda, singolo o di gruppo, è gioco molto diffuso tra le bambine di ogni paese e non solo tra loro, se è vero che lo
praticano regolarmente i pugili per “fare il fiato” e per “il gioco di
gambe”.
'NDANDALÓ
Nel vecchio dialetto romanesco è detto “la canoffiena”, in lingua
“altalena”. Non è il caso di descriverlo minuziosamente. Forse è bene
specificare che per noi il termine indicava specificamente un'asse di
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legno o un trave appoggiato, alla metà, ad un rialzo di terra, o a un
muretto o ad altro, e alle estremità del quale ci si metteva a cavalcioni,
sollevandosi alternativamente (sempre che i pesi non fossero troppo
diversi).
CUCUZZÁRË
Anche questo gioco si pratica, forse ancora oggi, in molti luoghi,
per cui non viene descritto. Una caratteristica era il modo di punire chi
commetteva errori: il direttore del gioco (detto lu cucuzzárë )era munito della mazzòcca, cioè un fazzoletto – più o meno pulito – che veniva
piegato in quattro, poi tre lembi, presi per l'angolo, venivano arrotolati
il più stretto possibile verso il centro a mo' di cordone; il tutto si rovesciava ed in tal modo restava fermato. Preso per la coda (il quarto
lembo), questo arnese veniva battuto sul palmo della mano di chi aveva sbagliato: un colpo, due o più, secondo la sentenza. I colpi potevano essere “caldi” se dati con la parte dura, “freddi” se dati con la coda,
molle. Qualcuno nascondeva nella parte dura un sassolino, e allora ...
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
SËRGÈNDË E MËSCHËTTIÉRË
Come lu cucuzzàrë, si giocava in parecchi e c'era un capo munito
di mazzòcca, ma questo era un gioco che richiedeva una particolare
capacità mimica. Ogni partecipante sceglieva il mestiere di un artigiano e ne faceva una mossa caratteristica; ad esempio, il falegname che
pialla o che sega, il calzolaio che tira lo spago, il sarto che cuce con
l'ago, eccetera. Il capo dava il via con la frase: Sërgèndë e möschëttiérë tutt'all'artë e suo mëstierë, al che ognuno eseguiva i gesti caratteristici del mestiere scelto. Ad un certo punto il capo: Smettë tuttë dë lavörà, trannë lu ... per esempio: scarpàrë (calzolaio). Tutti dovevano
fermarsi e il calzolaio continuava finché, quando decideva lui, accennava il gesto di uno degli altri mestieri e si fermava. Il “titolare” del
mestiere chiamato in causa doveva subito attaccare a fare il suo gioco,
fino ad accennare a quello di un altro, e così di seguito. Ecco quindi la
necessità di seguire il gioco con attenzione e silenzio perché se non si
era pronti a mimare immediatamente, erano colpi “caldi” o “freddi”sulle mani.
ÈSCË GËRÒLËMË
Gioco di squadra questo: i partecipanti si dividevano in due gruppi, uno più numeroso che si disperdeva ed era inseguito dall'altro
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gruppo, di meno ragazzi sì, ma armati della mazzòcca. Questo secondo gruppo partiva al grido di: Èscë Gëròlëmë 'nghë tutta la famìjia e,
saltando su un piede solo ( a cciuóppë 'allë) rincorreva l'uno o l'altro
componente del primo gruppo. Generalmente si prendevano accordi
per isolare il meno furbo e, raggiuntolo, giù botte di mazzòcca. Abbastanza spesso finiva ... male!
CIUÓPPË 'ÁLLË
Letteralmente “gallo zoppo”. Consiste nello spostarsi saltellando
su un piede solo, tenendo l'altra gamba piegata indietro, al ginocchio,
come si fa per giocare a “campana”. Era uno dei modi per riscattare un
pegno nei giochi con penitenza: fare un dato percorso – più o meno
lungo – a cciuóppë 'állë.
'RRËTÍ E PËZZÉTTA
Una buchetta di 8 – 10 centimetri di diametro, profonda 4 o 5, e
delle biglie di terracotta o di vetro (quante bottiglie di acqua gassosa –
quelle di allora – sono state rotte o manomesse, per avere la pallina
che le chiudeva) o, inmancanza di queste, servivano bene i bottoni
delle giacche, meglio quelli più piccoli delle maniche. Ci si metteva
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
ad una distanza prestabilita dalla buca (4-5 metri) ed ognuno tirava la
propria biglia o il proprio bottone verso di essa; chi vi entrava o chi si
avvicinava di più giocava per primo e, dando una serie di tre colpetti
con un dito al bottone o alla pallina, cercava di mandarlo nella buca.
Se vi riusciva vinceva la posta (in genere i soliti bottoni), altrimenti il
turno passava al secondo giocatore più vicino alla buca dopo il tiro
d'inizio. Dando il primo colpetto si diceva ciofrì; al secondo ciofrò, e
al terzo cë 'ndrò, anche se non si entrava nella “pozzetta”.
SCHIËPPÉTTA
Anche qui i bottoni. I più grandi usavano “i soldi” - 5 oppure 10
centesimi (di lira) – anche i giovinotti, specialmente a Pasqua, alla
Madonna della Carità e il lunedì della festa alla Madonna Tonna
(tonda). Il gioco consisteva nel battere il bottone o la moneta contro
un muro non troppo scabroso e mandarlo di rimbalzo ad una certa distanza. Se però il bottone cadeva a meno di 'nu fùrchë (distanza tra
pollice e indice divaricati) dal muro, il tiro si ripeteva. Il secondo giocatore, poi gli altri a turno, battendo sul muro il proprio bottone, dovevano farlo avvicinare al primo o a uno degli altri già giocati, facendolo andare – qui stava l'abilità – a meno di una distanza stabilita:
generalmente 'nu palmë (una spanna) che ognuno misurava con la
propria mano. Se c'era la distanza, il bottone o la moneta passava nella
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tasca del vincitore, se non c'era si continuava a giocare secondo i turni
stabiliti precedentemente facendo la conta (si diceva démë lu cuntë
cioè “diamo il conto”), oppure con un tiro a:
'CCÒSTA A MÚRË
I giocatori, allineati ad una certa distanza dal muro, tiravano contemporaneamente il proprio bottone verso il muro stesso, quasi rasoterra, cercando di avvicinarsi il più possibile: colui che restava più distante giocava per primo a schiëppétta, gli altri lo seguivano nell'ordine. Se invece si giocava solo a ccòsta a mùrë, colui che più si avvicinava vinceva tutto e intascava. In tempi più recenti si usavano per
questi giochi i tappi a corona o le figurine (dei calciatori, dei ciclisti,
anche degli attori e attrici). Oggi si vedono usare monete da 100 o 200
lire!
STÁZZA
E‟ gioco che si usa anche oggi: “a piastrelle” e vi si impiegano discoidi di gomma o di plastica. Noi di queste non avevamo idea, avevamo minori pretese e ci accontentavamo di pietre più o meno leviga-
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
te, quando non erano addirittura pezzi di mattoni o di mattonelle da
pavimenti.
CASTËLLÍTTË
Noci o castagne, ad averle avute, ma si ripiegava sui nocciòli delle
pesche o, meglio, quelli delle albicocche, che allora erano dolci; adesso neanche quelli si trovano più. Quattro di questi semi bastavano per
un “castelletto”: tre a terra, avvicinati per le punte, a formare una stella, e uno sopra di essi. Ognuno costruiva il proprio o i propri, se decideva di giocarne più d'uno, allineandoli lungo un fronte; poi da una linea di tiro posta a distanza convenuta si giocava, cercando di demolire
il castello dell'avversario mediante una stàzza. Un po' come ai birilli.
Qui, come nei giochi che seguono, si stabiliva il turno a piacere: uno
gridava prìmë, un altro sëcùnnë, poi di seguito, fino a quello che, dopo l'ultimo, gridava lùddëmë dë tuttë ... e non si discuteva!
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SALÁMË 43
Anche qui siamo in tema di piastrelle ( li stàzzë); in più c'era un
mattone piuttosto lungo, quasi intero, che veniva posto ritto e sul quale si metteva la posta (in genere i soliti bottoni, li bbëttù): quello era il
“salame”. Sistemato il quale, i giocatori a turno tiravano con la propria stàzza, cercando di far cadere il salame che così spargeva intorno
la posta. I bottoni che finivano a meno di una distanza stabilita da una
stazza erano vinti dal proprietario di questa, perciò chi giocava la lasciava sul terreno. I tiri continuavano, sempre secondo i turni, fino a
che tutta la posta messa sul “salame” era raccolta.
SALÁMË MUÓRTË E VÍVË
Ogni giocatore sceglieva un pezzo di mattone che stesse ritto, e
una stazza; ci si divideva in due squadre di pari numero e ciascuna
squadra allineava su due linee opposte i “salami” dei singoli giocatori,
ognuna nel proprio campo; ogni giocatore specificava quale fosse il
suo. Stabiliti i turni, si iniziavano i tiri, alternativamente un giocatore
dell'una e dell'altra squadra. Scopo del gioco: abbattere i “salami” av-
43
Ricordo anche una variante detta: “Salame a portà „nghollë” modalità e regole erano, più o meno, le stesse, ma sul padrone del salame abbattuto gravava
l‟obbligo del trasporto “a cavacecio” dell‟abbattitore. (Bibi)
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
versari. Quando uno di questi veniva abbattuto, il giocatore corrispondente era dichiarato muórtë e quindi non poteva più tirare (si cercava
perciò di eliminare quelli che notoriamente avevano buon tiro); il suo
“salame” veniva rimesso in piedi su una linea arretrata di circa un metro perché i compagni di squadra, volendo, e su preghiere insistenti del
“morto”, potessero tirare su di esso invece che su quelli avversari e,
abbattendolo di nuovo, “resuscitarlo”; allora il redivivo rientrava immedia-tamente in gioco facendo il suo tiro che generalmente era diretto sull'avversario che lo aveva abbattuto. Vinceva la squadra che riusciva a trasferire sulla seconda linea tutti i “salami” avversari.
SÁLTA PËDÍNA
E‟ il gioco che in lingua è detto “cavallina”. I partecipanti, in numero vario, si mettevano d'accordo sul turno da seguire, poi uno - il
più volenteroso, in genere – prendeva la posizione della pëdína (cavallina): gambe tese e divaricate, flesso sulle anche, braccia tese, mani
appoggiate alle ginocchia e testa il più possibile bassa tra le spalle; e si
metteva di traverso al senso della corsa degli altri. Questi, uno alla
volta, presa la rincorsa e arrivati in prossimità della pëdína, spiccavano un salto poggiando le mani sulla schiena del compagno e, divaricando le gambe, lo scavalcavano. Fatti alcuni passi in avanti, ognuno
prendeva la posizione del primo. Quindi il secondo saltatore doveva
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scavalcarne due, il terzo tre e via di seguito. Quando tutti erano passati, il primo si alzava e faceva la sua serie di salti. Si percorrevano in tal
modo lunghi tratti di strada. Chi non riusciva a saltare si appartava
oppure pagava un pegno che poi doveva riscattare con penitenze varie.
SÁLTA (a) CAVÁLLË E MÓNDA
Gioco a squadre di due, tre, massimo quattro ragazzi ciascuna.
Stabilito quale squadra doveva “mettersi sotto”, uno dei suoi componenti si poneva in piedi con le spalle contro un muro; un secondo
componente chinandosi gli poggiava una spalla o la testa sulla pancia
e puntellava le mani contro il muro stesso; il terzo, se c'era, si chinava
anche lui dietro al secondo e, nel modo migliore, si appoggiava a lui,
così anche l'eventuale quarto; il tutto in maniera da costituire una specie di groppa di cavallo che resistesse al peso dell'altra squadra. Questa, un componente per volta, presa una sufficiente rincorsa, con abili
salti “montava a cavallo” dalla parte della coda! Quindi il primo cavaliere cercava di portarsi il più avanti possibile verso il muro (testa del
cavallo), per lasciare spazio agli altri suoi compagni. Intanto, e questo
era compito del giocatore della prima squadra che stava ritto, bisognava osservare che coloro che erano “montati” non toccassero terra in
alcun modo, neanche a sfiorarla con i piedi, perché in quel caso dovevano smontare tutti e si invertivano le posizioni. Quando tutti erano
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
“in groppa”, se il cavallo resisteva, si contava fino a tre e si dava il
cambio. Erano dolori invece se il cavallo non resisteva: crollavano tutti, un cumulo di gambe e di teste per terra, poi la stessa squadra doveva fare di nuovo il cavallo. Spesso si dava la colpa a chi per primo aveva ceduto; lo si scherniva a lungo, quando non finiva peggio.
CRÍSCË MËNDÓ
Gioco per il quale non occorreva certo abilità ma solo furberia:
consisteva nel far cadere alla meno peggio uno dei partecipanti a terra
e gli altri gli si buttavano sopra, cercando di non fargli e non farsi
troppo male. La furberia consisteva nel cercare di sgusciare da sotto il
mucchio (mëndó) e rientrare nel gioco buttandosi sopra gli altri.
PÓGGË
(letteralmente “pulce” = scarica barile): due giocatori con la schiena contrapposta incrociavano le braccia l'uno con l'altro, poi uno si
chinava in avanti sollevando l'altro da terra; e viceversa. A volte si diceva:
primo giocatore: Póggë
secondo giocatore: Ooh –
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1°: Chi cë stà sopr' a mmé? –
2°: Cë stènghë ìjë
Lèvëtë tu, cà më cë vòijë méttë ìjë
e si invertivano le posizioni, cioè il primo si drizzava, facendo
poggiare i piedi in terra all'altro, che a sua volta si chinava, sollevando
il primo da terra, e così finché ci si annoiava.
A PPËNDÓ
(i quattro cantoni) Chiamato così perché generalmente si giocava
in luoghi dove fossero dei cantoni, in dialetto, appunto, pëndó.
TÒCCA FÈRRË
E‟ analogo al precedente: dei partecipanti, uno era libero e doveva
intercettare gli altri nei loro spostamenti, rincorrendoli e impedendo
che potessero raggiungere un oggetto di ferro (o il cantone, nel gioco
precedente) al quale essi erano diretti. Mentre il “libero” ne inseguiva
uno, gli altri dovevano toccare qualcosa di metallico (tubi di scarico
delle grondaie, cancelli di ferro, cardini di porte, chiodi infissi nei muri, eccetera); facendo finta di spostarsi verso un altro oggetto di sicurezza, attiravano l'attenzione del “libero”, consentendo a qualcun altro
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
di spostarsi. Se invece il “libero” riusciva ad intercettarne uno in movimento, senza cioè che “toccasse ferro”, ne prendeva il posto e l'altro
doveva intercettare a sua volta. Più facile diventava il gioco se al ferro si sostituiva il legno.
SBARRIÉRA
Gioco di squadra che si faceva schierandosi generalmente su due
fronti, di traverso d'una strada. Il traffico allora si limitava a qualche
calesse tirato da un cavallo più o meno efficiente, o a carri tirati da
buoi, magari carichi di tini pieni d'uva, che venivano regolarmente assaltati per prenderne qualche grappolo; poi, allontanatosi il contadino
con le sue imprecazioni bonarie, si ritornava al gioco.
Dunque, le due squadre schierate di fronte: da una si staccava un
giocatore che andava a provocare quelli dell'altra squadra; da questa
allora ne partiva un altro che tentava di prenderlo e farlo prigioniero
toccandolo su una spalla, però dalla prima squadra ne partiva un secondo, o anche un terzo, che tentavano di passare di corsa tra i primi
due, al che l'inseguitore doveva cambiare rotta e inseguire quello che
gli aveva tagliato la strada. Partivano poi altri ad inseguire l'inseguitore e le cose si complicavano fino a non capirsi più chi inseguiva e chi
era inseguito. Se veniva fatto un prigioniero, lo si poneva in un punto
a pochi metri davanti alla linea della squadra che lo deteneva, a lato
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della strada. I suoi compagni dovevano tentare di liberarlo, raggiungendolo senza farsi prendere, e toccandolo sulla spalla o su un braccio; il prigioniero allora riprendeva il suo posto in squadra. Naturalmente i detentori cercavano di impedirlo, facendo magari altri prigionieri. Erano corse a non finire e si arrivava al punto che uno cascava
fiaccato da una parte, uno da un'altra... Non vi erano vincitori né vinti.
Come in ogni guerra!
A 'CCHIAPPÁ
Gioco simile al precedente, ma senza schieramenti prestabiliti; un
gruppo veniva inseguito da un altro fino a che tutti venivano fatti prigionieri. Spesso non si ricordava quali fossero gli inseguitori e allora
erano discussioni che, a volte, degeneravano.
'NNASCUNNIÉLLË, TÁNA, TÍNGOLO
Erano nomi e forme diversi del “rimpiattino”. Nel primo erano
quelli che si nascondevano a dare il via, dicendo viéttënë, una volta
celatisi; nella seconda versione lo stesso, ma se uno dei celati riusciva,
non visto, a tornare alla “tana”, liberava tutti quelli che erano già stati
scoperti. Analogamente succedeva nel “tìngolo”, ma qui a dare il via
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
era colui che si “cecava”, il quale, contando di cinque in cinque fino a
cento, dava agli altri tempo sufficiente per nascondersi, poi partiva alla ricerca. In tutte e tre le versioni, il primo che veniva scoperto si “cecava” a sua volta, però bisognava sempre scovarli tutti.
CAVALLÉTTA DË LA 'BBÁDA (l'abbátë)
Chissà perché questo nome a questo gioco fatto quasi per i più
piccoli, che sapessero appena contare fino a cinque. In due: uno si sedeva su un gradino o qualcos'altro, mentre l'altro, stando ritto, si chinava sulle cosce del primo che gli poneva una mano sulla spalla, quasi
per tenerlo fermo, mentre con l'altra esponeva un certo numero di dita,
supponiamo tre, e diceva: “Cavallétta dë la bbàda, quandë còrna porta la capra?”. L'altro rispondeva dicendo un numero che, se era quello
delle dita alzate, consentiva di scambiare le posizioni, ma se non coincideva obbligava a sottostare ancora. Naturalmente occorreva fiducia!
In altri paesi si usa dire: “Mazzabbubbù, quante corna stanno quassù?”.
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SËDÏÒLA
Erano più le bambine a praticarlo: in due, ognuna afferrava un
proprio polso ed uno dell'altra partecipante, costituendo una specie di
seggiolino sul quale si sedeva una terza, generalmente più piccina, che
veniva portata in giro. I maschietti invece portavano
'NGÒLLË
Cioè uno si caricava sulle spalle e portava in giro l'altro, che si sosteneva incrociando le braccia intorno alle spalle del primo.
SCHIAFFÍTTË (schiaffo del soldato)
Bisognava essere almeno sei o sette; stabilito chi andava sotto, gli
si faceva prendere la posizione dovuta cioè la mano sinistra sotto l'ascella destra col palmo aperto e rivolto all'indietro, il braccio destro
piegato al gomito, con la mano a fianco dell'occhio destro a costituire
uno schermo che impedisse di vedere ciò che avveniva di fianco. Gli
altri giocatori, tutti raggruppati alle spalle del primo, cercavano di
confonderlo, mentre uno dava un colpetto (spesso un sonoro schiaffone) sul palmo della mano in posa. Mentre il primo si girava il più ra-
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
pidamente possibile per poter individuare chi lo aveva colpito, gli altri
si facevano trovare con un indice ritto, magari sotto il suo naso, sempre per confonderlo; e queste dita si muovevano, giravano, si accavallavano, finché il primo ne indicava uno come responsabile dello
schiaffo. Se indovinava, si scambiavano i posti, se no ... altri schiaffi.
È MUÓRTË SANZÓ
Gioco tranquillo che consisteva nel prendere uno dei partecipanti
per le braccia e per le gambe e portarlo in giro penzoloni, con il fondo
della schiena più o meno strofinante sul terreno, mentre si cantava:
È muórtë Sanzó (Sansone)
e cchì lu va ' ppijà...
la cömpagia dë Roma
jë fa la carëtà.
(E' morto Sansone
e chi lo va a prendere (trasportare)
la compagnia di Roma
gli fa la carità).
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Quindi gioco dei maschietti... Le femminucce invece cantilenavano in altro modo in un gioco di cui non è noto il nome: affiancandosi a
due a due, ognuna prendeva con la propria mano destra la destra
dell'altra e lo stesso con la sinistra, in modo che le quattro braccia risultavano incrociate sul davanti e, camminando, canticchiavano:
Andiamo alla guerra
spariamo sotto terra...
Zucchero e cannella...
qui un rapido dietro-front, senza lasciarsi le mani, e ricominciavano. Strano, le donne che andavano alla guerra! Ausiliarie avanti lettera??!!
'ARËBBÁLDË CIUÓPPË
Non tutti erano disposti a partecipare a questo gioco, dato che esso
era assai poco olente e serviva a fare un tiro birbone al più semplice
della comitiva: combattimento sull'Aspromonte, colpi di fucili (con la
bocca), poi gli urli di un ferito: 'Arëbbàldë (Garibaldi) che due portavano verso il cavallo sostenendolo sotto le ascelle, poiché il ferito ha
una gamba piegata e posa in terra un solo piede. Uno dei partecipanti è
il cavallo, pronto, in piedi e con le mani poggiate a terra. Arriva Gari-
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Parte Seconda – Come ci si divertiva…
baldi che non riesce a montare a cavallo e bisogna reggergli la staffa.
Di questo deve incaricarsi quello che è preso a bersaglio del gioco: accoppia le mani con le dita incrociate e offre l'appoggio su cui Garibaldi posa il piede “ferito” ... ma prima aveva procurato di sporcarsi ben
bene la suola della scarpa con qualche “deposito” di animali quadrupedi ... o bipedi... Urli!
PÁPA
Simile al precedente per lo scopo, ma più pulito, perché il predestinato veniva costretto a terra, immobilizzato dagli altri che gli si distendevano a sopra, di traverso, o lo tenevano fermo a forza; poi gli si
aprivano i pantaloni e gli si riempivano di erba, terra, brecciolino e
quante cose del genere capitavano sottomano. Quello era il Papa!
LU CIÉRCËNË
Il cerchio! Per quante generazioni i bambini si sono divertiti con il
cerchio, e quante sudate, e quante cadute! Ma quelli che si trovavano
in commercio, di legno, con tanto di bacchette per farli rotolare, chi
poteva permetterseli?! Supplivano allora quelli delle vecchie ruote di
bicicletta, senza i raggi; per spingerli si faceva una speciale forcella
Lu zzërrió
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col filo di ferro, oppure bastava una semplice bacchetta di legno che si
infilava nel solco in cui un tempo era stata alloggiata la camera d'aria,
e poi via di corsa. Faceva al caso anche un cerchio di botte che, benché tronco-conico, si faceva andare dritto a colpi di bacchetta o con la
solita forcella. Una delle aspirazioni maggiori era quella di potersi fare
nu‟…..
CARRÍTTË A QUÁTTRË RÓTË...
Oggi in alcuni luoghi se ne vedono ancora, con l'assale anteriore
sterzabile e, per ruote, i cuscinetti a sfere. Ma allora ... le sfere non si
pensavano neanche! Un tronchetto di diametro sufficiente veniva affettato, a gran fatica, per ricavarne quattro dischi di spessore opportuno; al centro un foro e, nei casi raffinati, otto piastrine di lamiera di
ferro forate, fissate sulla faccia di ogni disco, fungevano da boccole:
ecco fatte le ruote. Poi un telaio alla bene e meglio, a volte un semplice longherone, sul quale si fissavano assicelle di legno come piano
portante. Il longherone, in prossimità della estremità anteriore, aveva
un foro attraverso cui passava un bullone con dado che lo collegava
all'assale e permetteva a questo di sterzare. Se c'era la disponibilità di
un fabbro amico, si ricorreva a lui per farsi fare le sàlë o saléttë, cioè
piastre di ferro con un'estremità rifilata che servissero da perno alle
ruote, con tanto di acciarì, generalmente un chiodo piegato a U che
- 180 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
impedisse alle ruote di uscirsene dalla sede. Se non era disponibile il
fabbro, il tutto si faceva di legno. Montato lu carrìttë, due spaghi bastavano per la guida: e poi, via, corse a più non posso per le strade in
discesa ... che poi si dovevano risalire faticosamente. Ma chi ci badava!
'UÈRRA
E‟ gioco questo che purtroppo piace agli uomini anche quando non
sono più ragazzi da molto tempo e, per quanto si faccia, finché esisteranno individui della razza umana, ve ne saranno sempre almeno due
che si combatteranno, magari senz'armi, ma l'uno dovrà prevalere
sull'altro. Il nostro gioco era incruento pur se vi erano morti e feriti;
sangue non ne scorreva, a meno che, nella foga del combattimento o
... nel fuggire, non si cadesse e qualche gomito o ginocchio non ci andasse di mezzo. I partecipanti si dividevano in due gruppi avversari,
distinti da un contrassegno (un fazzoletto legato a un braccio o intorno
alla testa) e si disperdevano per le vie del paese. All'inizio delle ostilità, o poco dopo, si incominciava a sentire colpi di fucile: pum! pim!
pam! Era qualcuno che aveva scoperto un avversario e cercava di farlo
fuori. Erano immancabili le discussioni: Të sò ccìsë ! (ti ho ucciso).
“No, ho sparato prima io”. “Non è vero, io ti ho visto prima”... e si
correva per strade e ruette, appiattandosi contro i muri, cercando di
Lu zzërrió
- 181 -
non farsi scoprire. A volte si apriva qualche finestra ed una mamma si
affacciava commentando: Auà, 'stì màttë! (guarda un po', questi matti...).
SCÒCCIA e SCUCCÉTTA
Si giocava solo a Pasqua, intorno alla chiesa della Madonna della
Carità, e il giorno dopo, intorno a quella della Madonna della Misericordia. C'era l'usanza delle uova sode, colorate nel modo più vario, da
mangiare quel giorno alla colazione del mattino, e da regalare agli amici e ai notabili del paese. Queste uova servivano anche per giocarle,
battendo le due estremità corrispondenti una contro l'altra. Chi restava
con l'uovo sano vinceva e intascava quello dell'avversario. Qualcuno
si forniva di uova di 'allënèlla (gallinella = faraona) perché, si diceva,
erano più dure. Ma allora era difficile trovare avversari perché queste
uova erano visibilmente più piccole e affusolate rispetto a quelle di
gallina. Capitava spesso che le due uova si rompessero insieme: la
partita allora era pari. Di norma questa incominciava con una velata
sfida lanciata intorno da qualcuno: Tènghë 'na cìma (la cima è, nel
dialetto, la parte più acuminata dell'uovo), oppure: Tènghë 'nu cùlë (il
c ... è la parte opposta, più rotondeggiante), e se si trovavano parti corrispondenti di uova sane, si faceva la conta a chi batteva per primo e si
giocava. A volte, se non quasi sempre, la partita era preceduta da lun-
- 182 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
ghi preliminari: ogni giocatore saggiava la durezza dell'uovo avversario battendolo a piccoli colpettini, quasi vibrandolo, contro i propri
denti incisivi superiori, tenendo la bocca chiusa e sollevando il labbro;
faceva altrettanto col proprio uovo, per poter fare un paragone, restava
indeciso, ripeteva le prove, poi accettava o rifiutava la sfida. Qui sorgevano spesso discussioni e proteste del proprietario dell'uovo il quale
lamentava che in tal modo il suo uovo si “stonava” e diventava meno
resistente. In realtà spesso la prova serviva per cercare nell'uovo una
qualche crepa, una frattura che poi, nel giocare, all'urto del colpo cedeva. Questo gioco era più spesso praticato dai grandi e dagli anziani;
i giovani e i ragazzi, sempre e solo in quei due giorni, giocavano a:
'RRËCËLÓ o CIMECCÚLË
(in un vecchio documento si trova “a rotoloni”)
Consisteva nel far rotolare l'uovo lesso lungo un pendio, una scarpata o una strada in discesa, in modo che andasse il più lontano possibile dal luogo di partenza. Qui generalmente si metteva un mattone inclinato per il lungo, in modo che all'inizio l'uovo, posto in alto e lasciato senza spinta, non trovando asperità, acquistasse un buon impulso e continuasse a rotolare sul terreno, mentre il proprietario lo affiancava e, chino su di esso, gli suggeriva di rotolare intorno all'asse più
corto, cioè a ruzzolare per il lungo, dicendogli: cimeccúlë, cimeccúlë,
Lu zzërrió
- 183 -
cimeccúlë ... in modo che per ogni giro percorresse più distanza. Che
l'uovo sentisse o no, ruzzolava anche per lunghi tratti e quello che andava più lontano vinceva, permettendo al proprietario di intascare le
uova di tutti gli altri. Come già accennato, anche questo gioco si giocava solo nei due giorni delle feste pasquali.
CÁ(S)CË (cacio)
Anche questo era gioco di un periodo limitato dell'anno, la quaresima. Forse perché in quel tempo si rivede il primo sole e la campagna
invitava (ora molto meno) ai primi contatti. Due squadre di tre o quattro giocatori, ciascuna fornita di una “forma” di pecorino, secca al
punto giusto e di peso circa pari. Ogni giocatore aveva un pezzo di
spago di canapa, anche quello di studiata lunghezza e grossezza, che
avvolgeva accuratamente intorno alla forma, tenendone un capo legato
a un dito o al polso della mano con cui “tirava”. Si giocava lungo le
strade, a quell'epoca quasi deserte: qualche carro agricolo o più rari
calessi. Presa una breve rincorsa, il primo giocatore di una squadra faceva il suo tiro: chi aveva pratica e un po' di intelligenza riusciva a far
sì che la forma seguisse anche le curve della strada; bastava a volte
prendere bene il solco lasciato dalle ruote dei carri e regolarsi con la
forza. Tirava poi il primo giocatore dell'altra squadra, dopo di che si
camminava per raggiungere le “forme”; dal punto dove si erano fer-
- 184 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
mate eseguiva il tiro il secondo giocatore, anche se la forma di cacio
era andata fuori strada; in questo caso, se bisognava risalire una scarpatella,cominciavano le difficoltà. Si stabiliva all'inizio il numero di
tiri da fare e chi percorreva più strada vinceva: la posta spesso, o quasi
sempre, era la stessa “forma” con cui si giocava. È chiaro a questo
punto che si trattava di un gioco “da grandi”; difficilmente un ragazzino avrebbe potuto disporre in proprietà di un'intera forma di cacio, col
rischio anche di perderla. Succedeva talvolta che la forma, per un urto
contro un sasso o al momento di toccare terra all'atto del lancio, andasse in pezzi. Qui entravano in scena i ragazzi, sempre numerosi al
seguito dei giocatori: raccoglievano i vari pezzi sparsi intorno ... e se li
mangiavano! Arrivavano però i più lesti dei giocatori e, anche a scapaccioni, allontanavano i ragazzi, perché era regola che anche solo
con un pezzo di forma si potesse continuare a giocare, purché fosse
possibile avvolgervi lo spago e farla ruzzolare. Le “forme” sono sempre, anche ora, leggermente tronco-coniche, quindi da un lato sono più
strette di diametro, più basse. Da questa considerazione derivava il
consiglio degli esperti, ripetuto molto sovente al tiratore di turno della
propria squadra: Mìttë lu vàssë a Rrégnë (gira la parte bassa verso
l'Abruzzo – il Regno era ancora quello di Napoli) oppure a Tróntë
(verso il Tronto, Ascoli, Stato della Chiesa), e tìra pianë. Se gli adulti
usavano il pecorino, i giovani non erano da meno: c'era sempre qualcuno che disponeva di una ruzzola (rùzzëca) di legno e si giocava con
queste, mimando gli atteggiamenti dei grandi; per posta qualche soldo
Lu zzërrió
- 185 -
o i soliti bottoni. Così, con la primavera già nell'aria, si camminava, a
volte anche per lunghi tratti, fuori dal paese, in campagna, e si stava
insieme, commentando il gioco e altro, facendo buon esercizio fisico:
a nessuno viene in mente il raffinatissimo “golf ”??!
CRUSCHÉTTA
Gioco passato di moda da molto tempo; noi personalmente non lo
abbiamo mai fatto né lo ricordiamo ... Lo abbiamo visto giocare in un
atto de “Il campiello” di Wolf Ferrari, ma qui da noi lo ricordava
qualcuno di altre e più antiche generazioni. Consiste nel cercare alcuni
minuscoli oggetti nascosti dentro un mucchio di crusca (da cui il nome) o di segatura. Ogni partecipante ficca una mano nel mucchio:
l'oggetto che trova è suo. Bisognerebbe parlare dei vari “giro tondo”,
“mosca cieca” ( cèca mósca) e simili, d'altronde troppo comuni per
doverli descrivere. Meriterebbero invece di essere riportate le varie filastrocche che accompagnavano questi ed altrigiochi, come quella in
lingua:
Pisà, pisì,pisello
colore così bello
colore così fino
il santo Martino
la bella mulinara
- 186 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
che sale sullascala ...
oppure l'altra, più adatta per le bambine:
La bella lavanderina
che lava i fazzoletti ...
e continua ancora a lavarli.
Ma di più vogliamo ricordarne una in dialetto:
Pìzzëca
pëzzàngula
méla mëlàngula
féta lu còcchë
la 'allìna ciòppa
féta dë qquà
féta dë llà
jéscë fòrë da 'sta città.
Come si vede serviva per fare delle eliminazioni o a stabilire i turni. Allo stesso scopo se ne usava un'altra le cui parole sono di significato alquanto oscuro:
Ahibbà lu
Lu zzërrió
- 187 -
mëscà
trìcch trìcch
famërà
ahi, bbài, bbuff !
Altri giochi, anche se confusi nelle memorie di generazioni passate, sono, ad esempio:
SPËZZËCHÍ ed un altro del quale non si ritrova il nome (forse Palétta), abbastanza simile allo “Shangài” ritornato in voga alcuni anni
orsono. Per il primo, che spesso si giocava sui banchi di scuola, si impiegavano i pennini, quegli oggetti cioè che avevano sostituito la penna d'oca nel tramandare ai posteri le memorie e il sapere del passato e
che sono pressoché spariti con l'avvento della penna a sfera. Forse non
tutti li conoscono e descriverli non è facile: un lamierino d'acciaio
lungo 4 o 5 centimetri e largo poco più di uno, con la coda sagomata a
tegola, per infilarla nell'asticciola, e la punta spaccata per lungo, in
modo da fare “filetti” e “pieni” calligrafici dopo averla intinta nell'inchiostro, contenuto nel calamaio. Ebbene questi pennini (ma potevano
essere usati anche gli immancabili bottoni) si mettevano su un piano,
poi si premeva su di essi il polpastrello del pollice per farveli aderire,
si sollevava la mano, si lasciava ricadere il pennino e, se si rovesciava,
era guadagnato. L'altro gioco era fatto di calma e pazienza; impiegava
- 188 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
i “denti” dei pettini per telai da tessere. Allora in alcune case esistevano di questi telai e diverse donne, buone Berte, dopo aver filato la lana, la canapa o il lino, sapevano anche tesserne le fibre e confezionare
semplici tele o elaborati tessuti a magnifici disegni, sicché di giorno ,
qua e là, si sentiva per il paese il ritmico doppio colpo della “cassa”
alternato allo scorrere della 'ndrùla (la navetta). Appunto nella cassa
era contenuto il “pettine” attraverso i cui denti passavano i fili dell'
“ordito”; esso serviva ad avvicinare intimamente i fili di “trama” lasciati dalla “spola” ( ùcëna) contenuta nella navetta. Quando un pettine, per una ragione qualsiasi, andava fuori uso, i denti (sottili striscioline di canna d'India lunghe 10-12 centimetri) passavano nelle tasche
dei ragazzi che li usavano per questo gioco. Un mazzetto di 30, 40 o
più stecchetti tenuto stretto in pugno, si lasciava cadere da poca altezza su un piano, in modo che restassero più o meno accumulati. Ogni
giocatore conservava uno dei bastoncini col quale, a turno doveva
sollevare ed estrarre dal mucchio uno di quelli caduti, senza però far
muover gli altri. Se ci riusciva se li intascava, altrimenti passava il
turno. Van Loon, nel suo “Le Arti”, dice che l'uomo è nato pittore perché da bambino gli basta un pezzo di gesso o di carbone per ... disegnare sui muri; secondo noi nasce anche scultore! Infatti a chi non è
capitato da bambino di imbrattarsi le mani con argilla o terra bagnata
o sabbia? Oggi esiste la plastilina, ma è lo stesso. Così noi facevamo
animali o pupazzetti di terra, ma facevamo anche i “botti”:
Lu zzërrió
- 189 -
LE BOMBE ( di creta)
Una certa quantità di creta, più o meno plastica, veniva foggiata a
forma quasi cilindrica, bassa, incavata nel mezzo, coi bordi sottili e il
fondo ancora di più; questo cilindro veniva gettato a bocca in giù, con
forza, su una superficie piana; l'aria compressa al suo interno sfondava
violentemente la sottile membrana del fondo, con un'esplosione abbastanza forte. Si facevano anche gare: chi produceva il buco più piccolo
sul fondo doveva, con la propria terra, chiudere quello degli altri. Ma
c'era anche un altro modo per fare botti:
BARATTOLI AL CARBURO
Gioco alquanto pericoloso, e Santa Pupa aveva un gran da fare
perché non capitassero guai seri. Bastava entrare in possesso di un po'
di carburo di calcio e a fornirlo era quasi sempre lo scarico del gasogeno col quale funzionavano i fari di un autobus che collegava Ancarano con la stazione ferroviaria di Alba Adriatica, allora Tortoreto;
l'autista rinnovava il carburo e scaricava i residui, pressoché esauriti,
a breve distanza dalla rimessa. Rovistandovi, si trovava sempre il desiato pezzettino di carburo; allora si cercava affannosamente un barattolo di latta al quale si praticava un forellino sul fondo. Poi una buchetta per terra, dove si versava un po' d'acqua; se questa mancava lì
- 190 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
vicino, suppliva molto bene... l'acqua fisiologica! Si mettevadentro il
pezzettino di carburo e sveltamente uno copriva col barattolo, tenendo
chiuso col dito il forellino sul fondo, mentre un altro accendeva e avvicinava un fiammifero: via il dito, la miscela gassosa usciva, si incendiava: botto e barattolo che volava in aria.
APPËCCIÁ LI CANALÚ
Questo era per i più grandi che, per lo più d'estate, la sera “facevano tardi” (le undici, mezzanotte ...) Un vecchio giornale, un manifesto
strappato, altra carta, il tutto introdotto in uno scarico di grondaia e
acceso. Il tubo faceva da camino e tirava, la fiamma si alimentava e la
colonna d'aria calda ascendente nel tubo tirava su il tutto, producendo
un ululato come di una sirena, con grande “diletto” di quelli che già
dormivano, mentre gli “autori” se la gustavano, rintanati in qualche
vano o nelle vie laterali; finché il “malloppo” usciva dall'alto sul tetto
e lì si spegneva. I tubi spesso erano di latta, saldati, e le saldature col
calore dopo un po' si aprivano e alla prima buona pioggia perdevano
acqua da ogni parte ... fuorché dal fondo. I tubi più efficienti erano
quelli di don Frangì, la casa al n. 2 di via Biancone, con la bella facciatina sulla “Piazzetta”, ora deturpata da un balcone e da una serranda
metallica. Ecco, e se la memoria nostra e degli anziani del paese, con
cui abbiamo rievocato i “nostri” e i “loro” giochi, fosse più sciolta l'e-
Lu zzërrió
- 191 -
lenco sarebbe molto più lungo. Ecco come si passava il tempo libero
dalla scuola, dai compiti a casa e dalle piccole faccende domestiche
cui pure i bambini e le bambine dovevano accudire. Poi c'erano le feste, l'estate, e si arrivava a volte la sera stanchi da cadere dal sonno,
ma soddisfatti di esserci divertiti, perché oltretutto, il gioco, il divertimento, ce lo eravamo “fatto” noi, da soli, al massimo riferendoci
all'uso locale e alla tradizione. I ragazzi e i giovani, oggi, a raccontare
loro queste cose, spalancano gli occhi e rimangono a bocca aperta; il
pallone e, sopra ogni cosa, la televisione che li assorbe per gran parte
del tempo libero, fanno pensare molto poco e lasciano poco spazio
all'inventiva e alla fantasia.
LU RÈGBI 44
Arrivò tanto tempo dopo e fu qualcosa di più che solo un gioco………. ma c‟è un antefatto che con i giochi da ragazzi ha a che fare e che, ho ragione di credere, conosciamo in pochissimi … .
Si era negli anni dell‟immediato dopoguerra, grosso modo fra il
‟48 ed il ‟50. Giocavamo al pallone - con mezzi di fortuna, in primis
la palla, anch‟essa a volte arrangiata - sulla piazzetta antistante la
chiesa parrocchiale, fra l‟altro su piano inclinato, ma ci accontentava-
44
“m‟arëcord” di Bibi
- 192 -
Parte Seconda – Come ci si divertiva…
mo. Certo, fra i principali sogni, allora quasi irrealizzabili, c‟era un
pallone di cuoio, insomma “vero”. E c‟era Peppino, soprannominato
in famiglia Lu Bardàsch‟ - figlio del fabbro „Dëvìchë - che aveva
zii in America (USA) dai quali era consuetudine che arrivassero pacchi con generi vari, di conforto, un paio di volte l‟anno. Peppino ci
provò: “ Mi piacerebbe un pallone per Pasqua… nel pacco”. Ed il
pacco arrivò, puntuale. Dentro, fra altre cose utili per la famiglia,
sgonfio naturalmente e tutto acciaccato, si trovò anche il pallone di
cuoio con relativa camera d‟aria, come allora si usava: il sogno s‟era
dunque realizzato!: subito una pompa, qualche mandata…. e si formò, con grande sconcerto di tutti, una strana cosa ovale che, ovviamente, rimbalzava in maniera incontrollabile, e , in ogni caso, pareva
del tutto inutile per noi di allora. Che delusione !!, ma di sicuro tutto
potevamo immaginare, meno quel che in Ancarano sarebbe accaduto
una trentina di anni dopo.
*****
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 193 -
PARTE TERZA
degli ancaranesi ..…
CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI
E , QUA E LÀ, ….. QUALCHE CURIOSITÀ
- 194 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
LEGENDA
- nella prima colonna
“©” sta per “Casata”, nei casi in cui la corri-
spondenza è stata credibilmente accertata. Il segno “
riguarda le persone
comunemente chiamate, anche nell‟ambito familiare, con un nome diverso
da quello ufficiale.
- nella seconda colonna sono riportati i cognomi anagrafici oppure, allorché è stato possibile risalirvi, il nome e cognome di chi può aver dato origine al soprannome di casata
- nella terza colonna la collocazione topografica, anche approssimativa,
della
famiglia nel territorio di Ancarano, dove C.u. sta per “centro urba-
no”.- la ž indica pronuncia dolce, come per “zingaro” l‟asterisco * è per
i casi di persone chiamate e conosciute con nome diverso da quello ufficiale anagrafico
*****
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 195 -
CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI
A
Alló ©
Mestichelli Luigi
Casette
Attë ©
Coccia Sabatino
Tronto
Bbaffó
Capoferri Franco
C.u.
Bballó ©
Camaioni (Dadduccë)
Carità
Bandëlëffó ©
Camaioni
C.u.
Bbažžaló ©
Marinucci Simplicio
Casette
Babbèa ©
Alesi
Casette
Bbëcó ©
Del Moro Simplicio
C.u.
Diversi a nome Simplicio
C.u.
Bix
Passavanti Giacomo
C.u.
Bomba ©
Di Emidio Palmarino
C.u.
Bombardone
Cialani Domenico
Carità
Brannë (lu) ©
Cappellacci
Carità
Bbreschë ©
(Camillë dë…)
Carità
B
Bbì
45
*
38
Vi si arriva per vari passaggi muovendo da Simplicio : dialettizzato Sëbbizië; per apocope: Sëbbì; per aferesi: Bbì.
- 196 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Boris
Pompei Vito
C.u.
Brill
Di Giuseppe Guido ( Trippa)
C.u.
Cajó ©
Muscella
Carità
Cambacasa
Tamburrini Italo
C.u.
Cambaniéllë ©
Di Basilio Pierino (Uggenië)
C.u.
Camblesë
Bozzi Giuseppe (Senior)
C.u.
Cambualana (la) ©
……………….
……
Cannó
Febi Domenico
C.u.
Canutë ©
D‟Ascenzio
Carità
Capó ©
Daziani (Bbì)
Carità
Cappella(de)©
Panichi Cesare
C.u.
Catënà ©
Marconi
Casette
Carrajatë ©
Macci Donato
C.u.
Casció ©
De Ascanis
Casette
Casciola
Meco Callisto
C.u.
Cazzëdorë ©
Viola
Carità
Cažžó
Calcagnoli Giuseppe
C.u.
Cchiù ©
Felicioni
Tronto
Cció
Nardi Ezechiele ( Bbërtëccittë)
C.u.
Cëccariéllë ©
Capoferri
C.u.
Cëppariéllë
Panichi Valeriano
C.u.
Cëció
Pulcini Luigino
C.u.
C
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 197 -
Cëlëstrì
Fioravanti Primo ( Celestino)
C.u.
Cëmëcè ©
Pompili Benito
Carità
Cëngiarë (lu)
Alesiani
Carità
Cënnëró
De Angelis Umberto
C.u.
Chëlluccë
Ricci Achille ( lu Mëlënarë)
C.u.
Ciafardó ©
Di Giuseppe
Vibrata
Ciaccë (lu)
Fazzini Nicola
C.u.
Ciancëfariéllë ©
Cicconi
Carità
Ciànë
Curzi Curzio
C.u.
Ciaràffa ©
Galli
Tronto
Ciaciaió ©
Costantini
Casette
Ciuckciù
Romagni Giuseppe ( di Ludovico)
C.u.
Coccialonga ©
Vanni
Tronto
Crëspì ©
Di Giambattista Mario (Senior)
C.u.
Crëstò ©
Anastasi Cristanziano
Tronto
Crisantë ©
(Middië)
Vibrata
Cuccìttë ©
Viola
Tronto
Cuciuffo
Muscelli G.Maria
C.u.
Culèra 46(lu)
Romagni Giuseppe (Pino )
C.u.
Currëppëlesa (la)
Di Marco Maria ( m. dë Lu Morë)
C.u.
Curtì ©
Romandini
C.u
Cutella ©
Sorci Luigi
C.u
Cutugnë ©
Del Moro
C.u. e T.nto
46
Soprannome assegnato affettuosamente (pare) da sua madre „Gnesìna.
- 198 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
D
Dëddì
Lucidi Amadio
Collina
Dëlaida
Fanini Adelaide
C.u.
Demonio
De Carolis Ezio
C.u.
Diadorë ©
Cardola
C.u.
Diomè
Diomedi ( Osvaldo, Pietro)
C.u.
Duardë ©
Di Salvatore ( Bënëdettë)
….
Fefè
Anastasi Raffaele
C.u.
Fefèna
Ciavatta Eufemia
C.u.
Ffè
Fioravanti Giosaffatte
C.u.
Ffënùccë ©
Amatucci
….
Fëmìttë
Nepa Fulvio
C.u.
Fèra (la) ©
Feriozzi
Tronto
Fiërí ©
Galanti Guido
C.u.
Frësciuocchë ©
Di Felice
Carità
Consorti Giuseppe
C.u.
Diversi di nome Francesco
----
F
Fflò
47
Frangì
47
Ebbe una disavventura: rompendo a colpi di mazza, un barile di soda caustica per la bottega di Tavaniellë, a piedi scalzi…, mancò poco che li perdesse. Gli
amici, generosamente, si affrettarono ad aggiungere al suo soprannome la qualifica
di “re della soda”.
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 199 -
Friz
Serafini
Tronto
Giorgë
Cicconi Luigi
C.u.
Giuannuccë
Calcagnoli Gino
C.u.
Giuggiùna ©
Rosini Maria (sposata Pompei )
C.u.
Geggè
Massimi Ageo
C.u.
Ggëttó ©
Pierannunzi
Tronto
Gnuocchë ©
Di Francesco Donato
Carità
Ggià( lu)
Esposito Giacomo
C.u.
Gittë 48
Tucci Luigi
C.u.
Gino
Muscelli Ruggero
Tronto
Gnëcchittë ©
Esposito ( Peppe la guardia, Lu
C.u
Fùttëra ©
G
Ggià)
48
Zio Massimino Olivieri, seduto a passare qualche mezz‟ora davanti al bar “
de lu Morë”, al termine della sua quotidiana passeggiata, osservava Gittë che con
andatura alquanto incerta scendeva le scalette della Porta Nova… e se ne uscì con
questa sorta di ossimoro :“ Vidë Gittë? .. La dolcezza dei piedi … gli amareggia la
vita!”
- 200 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
I
Ricci
Carità
Jak
De Antoniis Sergio
C.u.
Jamì
Panichi Beniamino
C.u..
Lalla (femm.)
De Vecchis Adelaide
C.u.
Lalla (masch.)
Laurenzi Dario
C.u.
Lamancina ©
……………
Casette
Largià
Pompei Peppe ( fabbro)
C.u.
Laurittë ©
Capoferri
Carità
Lauterië ©
Presciutti („Ngëlina de Lauterië)
C.u.
Lëcció ©
Giovannini
Carità
Lëcció
Monsignore
Carità
Lëngó ©
Coccia (Biascië)
……
Lëpënìttë ©
Nardi
C.u.
L‟Ëvarë ©
Di Giacinto
Casette
Lërè
Fioravanti Luigi
C.u.
Llè
Fioravanti Ettore
C.u.
Izzuóttë
J
L
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 201 -
Lu Ciuoppë
Romagni Luigi
C.u.
Lupë (lu) ©
Del Toro Pietro (senior)
Tronto, poi
C.u.
M
Macaletti ©49
Aleandri
C.u.
Magnalardë ©
Monsignore
C.u.
Magnittë ©
Capriotti Emidio
Carità
Mamó ©
Di Girolamo Adriano
Casette
Mandëcó ©
Rossetti
C.u.
Mapittë ©
Antonini
Carità
Maranesë ©
Marinucci
……..
Marcandò ©
Valeri
C.u.
Marchëscià ©
Corvaro
Collina
Marchëscianiellë©
De Angelis
C.u.
Marëniellë
Michetti Vincenzo
C.u.
Marënozzë ©
Marinucci
Collina
Màrzië ©
Di Simplicio
Casette
Mattè ©
Polidori
C.u.
Mazzarella ©
Luzi
C.u.
Mbrizzafoja
Nepi Giuseppe
C.u.
Mbu mbu ©
Felicioni Egidio
C.u.
49
Una giovinetta Aleandri andò sposa a tale Macaletti di famiglia particolarmente agiata e di ciò pare si ricordasse sovente , così che quel cognome, spesso citato, fu praticamente acquisito.
- 202 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Mbùtë
Nardi Alfredo
C.u.
Mëddiòla
Fioravanti Emidia ( dë Spiazzì)
C.u.
Mëlarè ©
Pulcini
C.u.
Mëlocchë ©
……..
Carità
Memena
Filomena mar. Febi; M. Patana,
C.u.
Mëmì
Diversi con varie corrispondenze
fra cui: Massimiliano, Ermenegildo, ecc
Mëndagnuolë ©
Marziale
Carità
Mënëstenghë ©
Acciaroli
Carità
Menga ©
Branella
Collina
Mëngió ©
Cruciani
C.u.
Mëngittë ©
Brandimarte (Francì)
Carità
Mënistrë (lu)
Sacchini Damino
C.u
Mëriellë
Alessandrini Giuseppe
C.u.
Mërló ©
Di Carlo
Carità
Mëró ©
Cinciripini
C.u.
Mëró ©
Valeri
C.u.
Mësè ©
(Bëluccë dë)
………
Mësittë ©
Romagni ( Verina)
C.u.
Mèsser
Marini Tito
C.u.
Mezzanotte ©
Candelori
Collina
Mëzzèra ©
Romandini
Carità
Mëzzuolë ©
Cosenza ( Lësandrë)
Casette
Mianó ©
Camponi Damiano
Carità
Mimmo
Diversi di nome Emilio o Emidio
…..
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
Mmazzatëdeschë
50
- 203 -
Di Salvatore Giovanni
Carità
Mmicchë (lu) ©
Costantini Domenico
Casette
Mmò ( lu) ©
Quaglia Domenico
Carità
Mondëcià ©
Barcaroli Annibale
C.u.
Mongana
Colò Antonio
Carità
Mòra (la) ©
Romandini
Tromto
Mòra
Ciavatta Numidia
C.u.
Cicconi Eugenio
C.u.
Lignini Pierluigi
C.u.
Nanà
Romagni Arnaldo
C.u.
Nanuccë
Ciavatta
C.u.
Natuccë
……..
……
Ndré ©
Panichi
Carità
Nësció ©
Pompei
Vibrata
„Ngecca
Diverse a nome Francesca
Morë
Mou *
51
N
50
Soprannome legato ad un tragico fatto, accaduto dopo l‟8 settembre 1943, di
cui fu vittima un ufficiale medico della Wermacht in ritirata.
51
Dal nome della nota caramella al latte di cui pare facesse generoso uso, da
ragazzo, agevolato anche dall‟averne comoda dsponibilità nella bottega di generi
alimentari gestita da suo padre
- 204 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
„Ngëlì ©
Illuminati ( Natuccë)
Carità
„Nží
Ciavatta Vincenzo
C.u.
Corradetti
C.ù.
Ricci Vittorio
Casette
Colò Angelo
Carità
Pacchëfò
Febi Orteo
C.u.
Pa‟ chë l‟oj
De Dominicis Giuseppe jr
C.u.
Pallì
Marziale Guido
C.u.
Papariéllë
Di Leonardo Dario
C.u.
Paparó ©
Muscella
Carità
Papó ©
Virgulti Rosa
C.u.
Pappalecca
Di Giambattista Emilia
C.u.
Parìssë ©
Scarpantoni
C.u.
Partenza ©
Cosenza (Bëluccë)
Carità
Passolungo 53
Quaglia Gabriele
Collina
O
Obba (la) ©
Olba (la)
Ottë dë coppa
52
P
52
Derivato dall‟abitudine ad assumere una particolare postura tale da richiamare la figura del fante delle carte Napoletane.
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 205 -
Patana ©
Di Vitantonio
C.u.
Paulë
Monardi
Collina
Pëccèrtë ©
Antonini
C.u.
Pëcciuottë©
Biancucci (Isèppë, Bëluccë,Fëlì
C.u.
Pëcurà ©
Pasquale
Pëló
….
Carità
Pënduta
Pontuti Maria
C.u.
Pënittë
…..
Collina
Pënžiérë ©
Di Giambattista
C.u.
Peppe la luna
Di Carlo Giuseppe
Casette
Pëstó ©
Marinucci
Casette
Pëtrillë ©
Amatucci
C.u.
Pëtró ©
Corradetti
C.u.
Pezza (la) ©
Fanesi
Tronto
Picchiëpà
Balestra Angelo
C.u.
Piëchèra ©
Bizzarri Carlo
Casette
Piëmëndesa (la) ©
Pompei Luigi
C.u.
Pipino
Di Giacinto Livio
Casette
Pirelli
Curzi Lanfranco
C.u.
Pluto
Antonini Guido
C.u.
Ppìttë
Panichi Giuseppe
C.u.
Ppittë lu soldatë
Maurizi
Carità
Prëfèttë
Sorci Eugenio
C.u.
Prëfëžia ©
Meco
Casette-
53
Legato al modo di camminare; figlio di Domenico detto “lu maggiore” e nipote di “lu tenente” entrambi per ricordi del servizio militare di leva .
- 206 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Vittorii
Carità
Radëcó ©
Ianni ( Mariannì)
C.u.
Ramirez
Muscelli Lorenzo
C.u.
Rapetta ©
Anastasi
C.u.
Rasëmuccë
…….
Vibrata
Rëccàngëlë ©
Di Basilio
Casette
Rëccuccë ©
Cicconi
Carità
Rëmaniellë ©
Riccetti ( Peppe)
Carità
Rëró
Massimi Enrico
C.u.
Rësció ©
Bizzarri
Carità
Rospë (lu)54
Di Basilio Giuseppe
C.u.
Rré (lu)©
Pantoni (Fra‟ Salvatore…
Casette
Rrëscënìtë ©
Fazzini
Collina
Ruscë (Lu)
Antonini Aldo
C.u.
Prëziusë ©
R
54
Da bambino si fratturò una gamba e gli fu ingessata. Impossibilitato così a
correre appresso alle sorelle che gli facevano dispetti provava a raggiungerle sputando…. E gli restò il soprannome ad imperitura memoria
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 207 -
S
Sandola©
Piscina
Casette
Santariellë ©
Di Michele Giovanni
C.u.
Santë Spëditë
Meco Attilio
C.u
Sapaòna 55
Giardino Amelia
C.u.
Sbiannóra
Di Basilio Furia
Carità
Sbrëcciusë ©
Bizzarri Luigi
Casette
Scëdòrë ©
(Carluccë)
……
Scëlló
Vittorii Aurelio
Carità
Scënìa ©
Cialani Domenico
C.u.
Scëscià ©
Ricci ( Maddië)
Casette
Sciuolë
Sfratato Francesco
C.u.
Scorza (lu) 56
Romagni Giuseppe (di Ludovico)
C.u.
Sëbbì
Meco Simplicio
C.u.
Sëppetta
Virgulti Giuseppina
C.u.
Sesè ©
Paoloni …
Carità
Smaèllë ©
Di Giambattista
C.u.
Spallatë ©
Feriozzi
C.u.
Spellò
Pulcini Valentino
C.u.
Spiazzì ©
Fioravanti ( lu Negus)
C.u.
Spicoski
Silvestri Gabriele
C.u.
55
Derivato dal caricare la pronuncia della parola “sapone” data la provenienza familiare da San Sevéro di Fóggia della Sig. ra Giardino Amelia, insegnante delle scuole elementari negli anni „40 – ‟60.
56
Vedi anche : “Ciuckciù”- è sempre lui , aveva più di un soprannome…
- 208 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Sprecapà ©
Fioretti Maria
Carità
Squajatufë
Paoloni Vincenzo ( Mëngè)
C.u.
Ssè
Panichi Giuseppe
Carità
Stracciabëttù
Dëcëmuccë
C.u.
Surdë (Lu) ©
De Antoniis
C.u.
Tabarruolë ©
Luciani
Collina
Tabbacchì ©
Ciavatta
C.u.
Taffó ©
Reginelli
C.u.
Tapa
Nardi Raffaele
C.u.
Tappó ©
Fanini
Casette
Tassë (lu)
Amatucci Francesco
Collina
Tavaniellë ©
Ianni
C.u.
Tempesta ©
Camaioni
Carità
Tënendë ©
Di Leonardo
Collina
Tëpittë ©
Capoferri
Carità
Tërà
Lignini Emidio
C.u.
Tërró ©
Reginelli
C.u.
Tiraccambà ©
Fioretti
Tronto
Trëbbëlió ©
D‟Eusebio („Ndò)
Carità
Trëfittë ©
Di Girolamo
Casette
T
Casate… Soprannomi… Nomignoli…
- 209 -
Tripolina (la)57
Di Mauro Antonina
C.u.
Trippa ©
Di Giuseppe
C.u.
Uadagnuolë ©
Silvestri
Collina
Uggió
Casmirri Luigi
Carità
Urció ©
…..
…..
Urinë
Diversi a nome Guerino
…..
Uggè
Diversi a nome Eugenio
…..
Uggènië
Di Basilio Pierino
C.u.
Vacchì ©
Pieranunzi
C.u.
Vardó
Talvacchia Giustino
C.u.
Bruni Piermichele
C.u.
Di Saverio
C.u.
U
V
Vëlandrella
Vëllandesë (lu)
58
57
Dalle Colonie…
58
Originari di Bellante
- 210 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Z
Žacché ©
Corradetti
Carità
Žacchiellë
Bruni
Casette
Zampì ©
Marinucci
C.u.
Zëccarì ©
Cicconi
Casette
Žžëchè ©
Antonini
Casette
Žžëchittë
Di Eugenio Marino
C.u.
Žžëcó
Barcaroli Tito
C.u.
Žžè dë Nanà
……..
Tronto
Žžërvó ©
Cicconi
Tronto
Zzó
Aleandri Francesco
C.u.
Zzuffa Zzuffa 59
Di Giuseppe Adriano
C.u
*****
59
Bambino, ammise di aver provato ad accendere la paglia del mucchio…: soffia, soffia.. alla fine arse … e, ricordo, arrivarono i pompieri.
Nomi propri in dialetto
- 211 -
NOMI PROPRI IN DIALETTO
Abramo:
Bbramùccë
Achille:
Chëllí
Sandrì
Chëllúccë
„Ndì
Adalgisa:
Dalgisa
Adamo :
Damùccë
Daminë
Alessandro
Alferina :
Lësàndrë
Farina
Fërina
Alfonso :
Dëmó
Ffó
Ffënzùccë
Addolorata
Ddëlëràta
Alfredo :
Ffrédë
Adelaide :
Làlla
Amalia :
„Màlia
Lallà
Amadio :
Maddìjë
Dëlàita
„Ddëddó
Adele :
Dèla
Amedeo :
Madè
Adelina :
Dëlìna
Amelia :
Mèlia
Adriano :
Drijà
Andrea :
„Ndré
Aggeo :
Ggéggé
Angela :
„Ngëlìna
Agnese :
Gnésa
Angelo :
„Ngëlì
Gnësìna
„Ngëlùccë
Agostino :
„Ustì
Lilì
Alage :
Ggiàggia
Anita :
„Nnìta
Alberto :
Lëbbèrtë
Anna :
„Nnétta
Albina :
Bbërtùccë
Nina
Bbìna
Nënétta
„Nnarèlla
- 212 -
Annibale :
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
„Nnìbbëlë
Augusto :
Bbëlùccë
Annunziata :
„Ustë
„Ustì
„Nnënziàta
Aurelia :
Urèra
„Nnënziató
Bartolomeo :
Bbartëlëmmè
„Nnënziatina
Battista :
Bbattì
Nzàna
Beatrice :
Bbëatrìcia
Nzanétta
Beniamino :
Bboniamì
Anselmo :
„Nzèlmë
Bbomì
Antonia :
„Ndònia
Jamì
Antonio :
„Ndënétta
Bernardino :
Vëlardì
„Ndonìna
Bernardo :
Bëlàrdë
„Ndò
Bënàrdë
„Ndondò
Biagio :
Bbiàscë
„Ndëniùccë
Bianca :
Bbianghìna
Tonì
Bice :
Bbìcia
Apollonia :
Ppëllònia
Bonizia :
Bbënìzia
Arcangelo :
„Rëccàngëlë
Camillo :
Cammìllë
Armeno :
Armènë
Armè
Cammëllùccë
Candelora :
Parmènë
Cannëllòra
Cannèlla
Parmè
Carlo :
Carlùccë
Arnaldo
Nanà
Carmine :
Carmënuccë
Assunta :
„Ssùnda
Carolina :
Carëlìna
Attilio :
„Ttìlijë
Casimiro :
Casëmìrrë
Augusta :
Usta
Nomi propri in dialetto
Caterina :
Catarina
- 213 -
Costanza :
Rina
Custanza
Ustanza
Catocchia
Crispino :
Crëspì
Celeste :
Cëlèsta
Cristanziano
Crëstò
Celestino :
Cëlëstì
Cristina :
Crëstìna
Cëlëstrì
Stìna
Centiola :
Jola
Cristoforo :
Crëstò
Cesare :
Cèsëra
Croce :
Crucétta
Cesira :
Cësìrra
Damiano :
Damià
Chiara :
Chiarina
Danilo :
Danìlë
Chiaruccia
Davide :
Davìddë
Cipriano :
Cëprijà
Delfino :
Delfì
Cirillo :
Cërìllë
Domenica :
Ménëca
Claudina :
Clautìna
Mënëchétta
Claudio :
Clàudië
„Mmemmétta
Clotilde :
Clutilda
Domenico :
Domé
Tìldë
Domì
Colomba :
Culomba
Dëmì
Concetta :
Cungètta
Mëchìttë
Corrado :
Curràrë
Mënëcùccë
Costantino :
Custandì
Mëmì
Ustandì
Ccùccë
Standì
Donato :
Dënàtë
Stanghetta
Edoardo :
Nardùccë
Tëtì
Egidio :
Ggìdijë
- 214 -
Elena :
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Lelè
Ercole :
Lèna
Èrculë
Erculì
Nënùccia
Erio :
Rìjë
Eleonora :
Lëunòra
Ermanno :
Ermànnë
Eleuterio :
Lautèrijë
Erminio :
Ermìnijë
Elisa :
Lìsa
Esterina :
Stërìna
Lësétta
Espedito :
Spëdìtë
Sabbétta
Ettore :
Èttërë
Elisabetta
Bbétta
„Ttërùccë
Bbëttìna
Lèttërë
Sabbìna
Llè
Emidia :
„Mëddiòla
Emidio :
„Middijë
Emilia :
Eufemia :
Ufèmia
Fefèna
Mëddiùccë
Eufrasia :
Ufràsia
„Milia
Eugenio :
Uggènië
Mëmìna
Eulalia :
Ulàlia
Mijó
Ulàuta
Emiliana :
„Mëlijàna
Evelina :
„Vëlìna
Emilio :
„Milijë
Ezio :
Èzijë
Ennio :
Ènië
Fannì :
Fannìna
Enrico :
Rìchë
Faustino :
Faustì
Rëchìttë
Fedele :
Fëdèlë
Rëccùccë
Federico :
Fëdërìchë
Rëró
Rìchë
Epifanio :
Bëffó
Rëchìttë
Erasmo :
Rasëmùccë
Rërì
Nomi propri in dialetto
Felice :
Felicia :
Ferdinanda :
Fëlìcë
- 215 -
Francesco :
Frangì
Fëlëcìttë
Chëcchì
Fëlìcia
Cëccùccë
Fëlëcétta
„Ngìcchë
Ciòcca
Cecchìnë
Nanda
Fulvio :
Nandina
Fufù
Fëmìttë
Ferdinando :
Fërdënàndë
Gabriele :
Caprièllë
Fileno :
Fëlè
Gaetana :
Tanèlla
Filippo :
Fëlìppë
Fëlì
Nella
Gaetano :
Caità
Pìppë
Caitó
Pëppùccë
Tanì
Ppùccë
Gaspare :
Spërùccë
Fëlëmèna
Gaudenzio :
Caudènzijë
Memèna
Gennaro :
Gënnarì
Flavia :
Flaviùccia
Genoveffa :
Ggënuèffa
Flaviano :
Flavijà
Genziana :
Cënziàna
Janùccë
Germano :
Ggermà
Nanùccë
Giacinto :
Jacìntë
Fortunato :
Fërtënàtë
Giacomina :
Mëmìna
Francesca :
Chëcchìna
Giacomo :
Ggiàchëmë
Filomena :
Frangëschina
Ggiachëmùccë
„Ngécca
Chëmùccë
Ngëcchétta
Jacó
Lu Ggià
- 216 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Giambattista
Bbattì
Ppìttë
Giannino :
Giannì
„Isëppìttë
Gilberto:
Gëlbèrtë
Giuseppina :
Pëppìna
Gësbèrt
Pëppënèlla
Ginesia :
Cënèsa
Pëppënétta
Gino :
Ggìnë
Ggësèppa
Gioacchino :
Vacchì
Sëppétta
Giorgio :
Ggiòrgë
Giustina :
„Stìna
Giosaffatte :
Iëssaffàttë
Giustino :
Jëstìnë
Feffè
Grazia :
Graziétta
Ffè
Razijétta
Giosia :
Ggësija
Gregorio :
Grëhòrijë
Giovanna :
Ggëvannìna
Guerrino :
Urìnë
Nnìna
Giovanni :
Urì
Giuànnë
Guglielmo :
„Ujèrmë
Ggiuannùccë
Guido :
„Uìdë
Giannì
„Udùccë
Ggió
Igina :
Gënétta
Giovina :
Ggëvìna
Igino :
Ggìnë
Girolamo :
Ggëròlëmë
Ignazio :
Gnàzië
Ggëlòrmë
Ilario :
Ilàrjë
Giuditta :
Ggëdìtta
Immacolata :
Mmaculàta
Giuseppe :
„Isèppë
Ines :
Inéssa
„Isëppó
Isidora :
Scëdòra
Pèppë
Ismaele :
Smaèllë
Pëppì
Ismelia :
Smèlia
Nomi propri in dialetto
- 217 -
Isolina :
Sëlìna
Isolino :
Sëlìnë
Ggëggìna
Iva :
Ivétta
Gëggétta
Ivo :
Ivùccë
Ggétta
Lamberto :
„Mbèrtë
Leandro :
Landrì
Luisétta
„Ndrì
Lësétta
Luigina :
Luisa :
Gìggia
Lëvìsa
Leonardo :
Lëunàrdë
Letizia :
Lëtizzijë
Lèna
Lëtìzia
Nèna
Maddalena :
Matalèna
Lërè
Manlio :
Malijùccë
Rènzë
Mansueto :
Manzuètë
Lëréta
Marcello :
Marcèglë
Tëtìna
Marco :
Marcùccë
Loreto :
Rétë
Margherita :
Margarìta
Lucia :
Lëcijé
Maria :
Mariétta
Lorenzo :
Loreta :
Cijòla
Mariùccia
Jòla
Jùccia
Luciano :
Cijà
Iccétta
Ludovico :
Dëvìchë
Luigi :
Luìggë
Marëniéllë
Luiggió
Marënìttë
Ggëggì
Marënùccë
Marino :
Marìnë
Ggëggìttë
Mario :
Màrijë
Ggió
Martino :
Martì
Ggittë
Massëmì
- 218 -
Massimiliano :
Massimino :
Matilde :
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Mëmì
Orteo :
Ortè
Massëmì
Osvaldo :
Svàldë
Massì
Ottavio :
Taviùccë
Mëmì
Ottorino :
Ttërì
Matìlda
Tìldë
Matteo :
Mattè
Melania :
Mëlània
Michele :
Mëcchèlë
Ttorì
Pace :
Pacétta
Pacìna
Pacifico :
Pacì
Pacënìttë
Mëcchëlì
Palma :
Palmùccia
Cchëllì
Palmarino :
Palmarì
Mëcchëlùccë
Pancrazio :
Bbongràzijë
Mintina :
Mëntìna
Paolina :
Paulìna
Narciso :
Narcìsë
Paolo :
Pàulë
Nazzareno :
Nazzarè
Zzarè
Paulùccë
Pasqua :
Zzè
Pascùccia
Pasquina
Nemesio :
Mèzijë
Nicodemo :
Nëcudèmë
Nicola :
Nëcòla
Pia :
Pijétta
Nëculì
Piera :
Pierìna
Pasquale :
Pasqualùccë
Palùccë
Norberto :
Bbërtùccë
Pieròtta
Odilla :
Udìlla
Odoardo :
Nardùccë
Pierì
Olimpia :
Ulìmpija
Pëtrìllë
Oliva :
Ulìva
Pëtró
Pietro :
Piétrë
Nomi propri in dialetto
- 219 -
Pio :
Pijùccë
Pompeo :
Pëmbijùccë
Rësétta
Pulcheria :
Pëlëchèria
Rësìna
Quintino:
Cundì
Quinto :
Quìndë
Quirino :
Curì
Salvatore :
Tatórë
Urìnë
Sante :
Sandì
Féfè
Saverio :
Savè
Ffeffè
Savino :
Savì
Ffè
Saturnino :
Satërnì
Raffó
Scolastica :
Sculàstëca
Raffaele :
Rosina :
Sabatino :
Rësënèlla
Sabbatì
Bbattì
Raniero :
Raniérë
Renato :
Rënàtë
Sebastiano
Bbastià
Reparata :
Rëparàta
Serafina :
Ffìna
Rëparàzia
Serafino :
Sëraffì
Rocco :
Rodolfo
Sculastra
Rëccùccë
Ffì
Ròcchë
Ffó
Dolfë
Ffënùccë
Rorò
Severino :
Sëvërì
Romeo :
Romè
Silvio :
Sëlviùccë
Rosa :
Rësétta
Sëlvìnë
Rësìna
Sësì
Rosalina :
Rosaria :
Rësalìna
Simplicio :
Bbì
Salìna
Bbëbbì
Rësària
Bbìbbi
Sëbbì
- 220 -
Parte Terza – Casate… Soprannomi…
Bbëcó
Sofia :
Zëfìja
Bbërtì
Valentino :
Sëfijé
Valëndì
Vëndì
Solinda :
Sëlìna
Valerio :
Valèrijë
Speranza :
Spërandìna
Verdiana :
Vërdijàna
Splendora :
Nnóra
Veronica :
Vërònëca
Stanislao :
Llallà
Vespasiano :
Spasijà
Stefano :
Stèfëna
Vincenza :
Mëngènza
Teodolfo :
Stëfanì
Mëngënzétta
Dòlfë
„Ngétta
Dodò
Cènza
Teodora :
Tëudòra
Teodoro :
Lollò
„Ngè
Teresa :
Trësìna
Cënzì
Sìna
„Nzì
Tìttë
Mëngiariéllë
Tito :
Vincenzo :
Mëngè
Tìtë
Virginia :
Vërgìnija
Tëttì
Vito :
Vìtë
Tobia :
Tëbbia
Vëtùccë
Tommaso :
Tëmàssë
Vittorio :
Vëttòrijë
Massì
Zaccheo :
Zacchè
Torello :
Tërèllë
Zenobio:
Zënòbbijë
Ubaldo :
Bbaldùccë
Ugo :
Úchë
Umberto :
Bbërtùccë
Zënòbbëlë
*****
Canti, filastrocche…
- 221 -
PARTE QUARTA
degli ancaranesi……
CANTI , FILASTROCCHE …ED ANATEMI
- 222 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Canti
- 223 -
CANTI
E ragnë…. e mosca
Escë lu Ragnë dë tinta ragnera
Së magna la Mosca dë tinta mëschèra….
E Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca..
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Sorgë dë tinta sërgèra
Së magna lu Ragnë dë tinta ragnera….
E Sorgë, e Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Hattë dë tinta hattèra
Se magna lu Sorgë dë tinta sërgèra….
E Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Ca‟ dë tinta canera
Së magna lu Hattë de tinta hattèra….
E Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca,
- 224 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Lupë dë tinta lëpèra
Së magna lu Ca‟ dë tinta canera….
E Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Lió dë tinta liunèra
Së magna lu Lupë dë tinta lëpèra….
E Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë lu Dijavëlë dë tinta dijavëlèra
Së magna lu Lió dë tinta liunèra…..
E Dijavëlë, e Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Escë la Femmëna dë tinta fëmmënèra
Së magna lu Dijavëlë dë tinta dijavëlèra….
E Femmëna, e Dijavëlë, e Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e
Mosca,
E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca…
E scì lu Ragnë së magnò la Mosca!
Canti
- 225 -
Ancarano…. quant‟è bello
Vedete Ancarano quant‟è bello
Soltanto le ragazze che ci stanno…
Soltanto le ragazze che ci stanno
I giovanotti son fatti a pennello
Cogli la rosa e lascia star la foglia
Io non ho voglia di far con te l‟amore
Cogli la foglia e lascia star quel fiore
Io non ho voglia di far l‟amor con te.
Ancarano bel paese…
Ancarano bel paese
Gente semplice e cortese
Vu rëdétë e sapetë pëcché
Tutë sorta dë bëllezzë c‟è.
Se t‟affaccë a la Porta da mare
Vidë lu mare ualë ualë
Purë li barchë së vedë a pëscà
Tuttë së vedë dë qua a „Ngarà
- 226 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Se t‟affaccë a la Porta da monde
Vidë li paiscë dë llà da Trondë
Purë li lucë së vedë appëccià
Tuttë së vedë dë qua a „Ngarà
Së t‟affaccë a la Porta nova
Vidë li frëchì chë va a la scòla
Chi pë në „nguà, chi pë në llà
Nzë rëcunoscë più „Ngarà
E së po‟ vënì l‟istatë
Li fërastierë da ugnë latë
Chi pë në „nguà, chi pë në llà
Nzë rëcunoscë più „Ngarà
( e qualche bozzetto del passato…)
E „Ngarà è tunnë tunnë
Cë sta Bëttina60 chë tè lu furnë
Sopra la rua së mettë a grëdà
Tutta la gende fa rësvëjà
( Mmassa, … Spiana….Porta a lu furnë!!!!
60
Scartozzi Elisabetta. Il forno passò poi alla figlia Clarice che con suo marito
Celestino Fioravanti lo gesti fino a quando, nel dopoguerra, anni ‟50, prese piede
l‟uso di acquistare il pane “commerciale” nelle botteghe alimentari
Canti
E cë sta lu Podestà
- 227 -
61
Chë pë la Chiesa sa tantë fa
Li Precessió sa „cchëmmëdà
Quant‟è bravë stu Podestà
E cë sta lu Sorë Uduccë
62
Ora va drittë, ora va „ccuccë
Sorë Uduccë dë qua, Sorë Uduccë dë llà
Sorë Uduccë nën po‟ „rrëvà
61
Ennio Massimi: ricoprì la carica di Podetstà di Ancarano durante il ventennio fascista.
62
Guido Pieranunzi ( Zi‟ Uduccë): aveva una sua caratteristica andatura “ondeggiante”…. ricordata nella strofetta.
- 228 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Inaudite fantasie
63
L‟altra notte, l‟altra notte mi sognai
Inaudite inaudite fantasie
Ora udite Signori miei
che vi vengo che vi vengo a raccontar.
Mi sognai, mi sognai sul far del giorno
D‟esser dentro, d‟esser dentro in un pollaio:
Un magnifico somaro….
L‟uovo fresco, l‟uovo fresco stava a far.
Un‟aringa, un‟aringa giubba lunga
Gironzava, gironzava pel paese
A cantare la Marsigliese
In onore, in onore di Belzebù.
L‟elefante, l‟elefante con le ghette
A braccetto, a braccetto a una zanzara
Passeggiava in su per l‟aja
A smaltire, a smaltire l‟indigestion.
63
Questa, evidentemente, non è in dialetto, ma fa parte dei miei ricordi di
quando ero bambino: me la cantava a volte mio padre, ma era conosciuta anche fra
i compagni di giochi di allora. Qualche giorno fa curiosando in rete ho scoperto
che ne esistono versioni più o meno diversificate in altre zone d‟Italia [Bibi]
Canti
- 229 -
Là nel mare, là nel mar dei Dardanelli
Si fa pesca, si fa pesca degli uccelli
E sui monti degli Appennini
Si sementa, si sementa il baccalà.
Senza titolo
-Bëlletta pë lu cantë më piìstë
E mo‟ së vuó magnà…. màgnëtë quistë
Affaccëtë a la fënestra tutta quanta
Fija dë callararë tutta tinta….
Lu dì chë babbë e mamma lëtëchettë
Misë lu tavolò miezzë a lu liettë
Bella së të rëcuordë jó la stalla,
Pë tëstëmonië c‟era la vëtèlla,
Chë tu „uardivë „n cielë
E jë për terra.
- 230 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Fino alla “tompa”
Di lassù vedrai passare
Una lunga e mesta croce
Ed un prete a bassa voce
Miserere a recitar.
T‟amerò, sì t‟amerò
Fino alla tompa…
Ed anche morta, ed anche morta
Pur t‟amerò.
La pasquella
(sacro e profano)
Il Presepio è ancora aperto
Quando noi l‟abbiamo visto
Dove è nato Gesù Cristo
Fra lu bove e l‟asinello
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
Daccë cuosa la zia miéé
Chë sënnó cë në jemë viéè
Cë në jemë chë la bon‟ora
Viva a Pasqua e Salvatorë
Canti
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
Se ci date un bel cappone
Lo faremo sopra al carbone
Se ci date una gallinella
La faremo sulla padella!
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
( ed infine, …. per l‟eventualità di un più o meno cortese rifiuto)
Tantë chiuovë „nghessa porta
Tantë dijàvëlë chë të së porta,
Tantë buscë „nguissë murë
Tantë ciéculë llà lu culë !!!
Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella!
- 231 -
- 232 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
FILASTROCCHE
1
Musë dë 'àtta
Màmmëta è matta
Magna la pappa
Bbevë lu vì
Dìcë ch‟è l‟acqua
Frusta, frusta Martì.
2
Miscia mëcétta
arëdàmmë la mia bbërrétta.
„Në dë la pòzzë arëdà!
Pëcché nën më la puó rëdà?
Pë lu pà chë nën më dà.
„Ndóvë vàchë pë lu pà?
Llà a lu fërnàrë
Fërnàrë, dàmmë lu pà.
Nën të lu pòzzë dà!
Pëcché nën më lu puó dà?
Pë lu fiórë chë nën më dà!
Ndóvë vàchë pë lu fiórë?
Vànnë a mëlì.
Mëlì, dàmmë lu fiórë!
Filastrocche
Nën dë lu pòzzë dà.
Pëcché nën më lu puó dà?
Pë lu rà chë nën më dà.
Ndóvë vàchë pë lu rà?
Vànnë a càmbë.
Càmbë, dàmmë lu rà!
Nën dë lu pòzzë dà.
Pëcché nën më lu puó dà?
Pë lu stàbbië chë nën më dà!
Ndóvë vàchë pë lu stàbbië?
Vànnë a bbòvë.
Bbòvë, dàmmë lu stàbbië.
Nën dë lu pòzzë dà.
Pëcché nën më lu puó dà?
Pë la jèrva chë nën më dà!
Ndóvë vàchë pë la jèrva?
Vànnë a pràtë!
Pràtë më déttë la jèrva;
La jèrva la diéttë a lu bbòvë;
Lu bbòvë më déttë lu stàbbië;
Lu stàbbië lu diéttë a lu cambë;
Lu càmbë më déttë lu rà;
Lu rà lu diéttë a lu mëlì;
Lu mëlì më déttë lu fiórë;
- 233 -
- 234 -
Lu fiórë lu diéttë a lu fërnàrë;
Lu fërnàrë më déttë lu pà;
Lu pà lu diéttë a la mëscétta;
E la mëscétta më rëdèttë la mia bbërrétta.
3
Jó ll‟uórtë de zi‟ prèddë
Ce stà nu cardellì
Tutta la nottë cànda
E zi‟ prèddë nën pò dërmì.
Sò itë a Napëlë appòsta
A chëmbrà nu schiëppëttì:
Lu vòjë dà a zi‟ prèddë
P‟ammazzà lu cardëllì!
4
Chi màgna la pëlènda e bbévë l‟acqua
Azza la cossa e la pëlènda scappa.
5
Oh che pùzza dë Crëstià:
O cë stà o n‟gë stà.
Je më l‟ài da magnà.
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
- 235 -
6
Chëmmà!
Ohh...
Jé ìta a la fóndë?
Sciii!
Jé vistë lu lùpë?
Sciii!
T‟è fàttë paùra?
Noo!
„Uó fa‟ a chi fa‟ più durë?
7
Càzzë calàtë,
Cappiéllë pëntùtë,
Chi të „ngóndra
Të dìcë curnùtë!
8
Pà, vì, uójë, bbënnànzia e carëstié
9
Nëculò, Nëculò
Fra li càžžë së cacò
E la mamma lu pëlò:
Quàndë pùzza Nëculò!
- 236 -
10
„Ndré „Ndré „Ndré
Chi t‟è fattë li càzzë a tte?
Ttë l‟è fattë Maria Giuànna,
Una stretta e una rànna;
Ttë l‟è fattë „nghë „nu palmë dë réfë,
Povërë „Ndré „nghë li càzzë appesë;
Ttë l‟è fattë senza bëttù:
Pòvërë „Ndré senza cujù!
11
Mariùccia dë li casë nòvë,
Remìttë li pëcciù ca vè lu piòvë!
12
Dunguë sopraddùnguë
Sopra Ásculë cë stà Trësùnghë.
13
Sërgèndë e mëschëttiérë,
Tutt‟all‟artë e suo mëstiérë.
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
14
Tìttë Tìttë,
Ècchëtëlu stuórtë
Arëdàmmëlu drìttë.
15
Tiéssë chëmmàrë,
Facemë „nu ccó dë pà:
Lu pà e lu panéttë
Tiéssë chëmmà, chë scì bbënëdétta!
16
A, e bbì, e bbà,
La ... (iil.) më li dà;
Më li dà „nghë la bachétta,
Sanda Crocë bënëdétta.
17
Cavalletta dë l‟abbatë
Quandë còrna porta la capra?
- 237 -
- 238 -
18
Sàlda cavallë e bbù,
Quandë déta sta quassù?
Së dëcìvë ... „ndë trëvìvë „nghìssë pénë!
19
Sottë a lu póndë
Cë stà tre cónghë;
Passa lu lùpë e nnë li róppë.
Passa lu fijë dë lu Rré
E li róppë tutt‟a tré.
20
Póggë! Ooh...
Chi cë sta sopr‟a mmé?
Cë stènghë ìjë.
Lèvëtë tu ca mmë cë mécchë ij
21
Tiéssë chëmmàrë:
La chëmmàrë è ita fòrë,
E‟ ita a ccòjë li viòlë;
Li viòlë è tandë bbèllë,
Cc‟è cacàtë la përcèlla,
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
La përcèlla è përcëllùta
E ...(nome)... jó lu cavùtë.
22
Seca seca la mojë dë Lùca
Ss‟è përdùtë li quatrì,
L‟è trëvàtë Bulgënèlla,
Sòna sòna la cambanèlla.
23
Mbì, mbò, mbà
Li cambànë dë Mondërà,
Mondërà scòccia l‟ova
Ha paura dë Giulianòva;
Giulianòva fa li bëcchiérë
Ha paura dë Sandëmiérë;
Sandëmiérë fa li còccë
Ha paura dë Currùppëlë;
Currùppëlë è pëdëcëllùsë
E „Ngarà è tabbaccùsë.
- 239 -
- 240 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
24
La fàula tattamàula
Chë sta „ncërquìta,
E‟ tanta bbèlla,
Ócchë të la rëdìca?
25
Dëmà è festa,
La pupa a la fënèstra,
Lu sórgë a bballà,
La „atta a cucënà.
26
Piëvìccëca, lu culë të s‟appìccëca.
Piòvë, lu culë të së „nchiòva.
Piòvë e dà lu sólë,
Së marìta li cucciòlë.
27
Cala Pié, sùva Catarì,
Prëpàra caccuósa bbòna pë lu pòvarë Piétrë tuó.
Filastrocche
28
Nën pòzzë più candà, më sò rrachìtë,
sò magnatë „na cëpolla raca.
29
C‟era „na vòdda „Ngicchë Rëvòdda,
Së cascò pë li scàlë e nën së fécë màlë:
Ócchë të la rëdìchë „n‟addra vòdda?
30
Tatta, vóllë la callàra,
Tatta pìja la cucchiara.
Chë ttè dittë mamma
Che nën fùscë attattafëllatë
E tu jé vëlùtë attattafëllà.
31
Dëmà è dëménëca,
Tajémë „na récchia a Menëca,
Së Menëca „n zë në cùra
Jë tajémë chell‟addra purë;
Së Menëca s‟arëvòdda
Jë la tajémë n‟addra vòdda.
- 241 -
- 242 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
32
Tre fratiéllë a la vigna stié
Unë sappié, unë vanghié, e unë la „mmìdia sembrë facié;
San Pietrë dë Roma, Sand „Ggìdië dë la Spagna
Liévijë la scìcca, la „mmìdia e la lagna.
33
Li saggìccë chë pènnë dë àddë,
Lu mié còrë nën pènza àddrë;
Quandë mamma va a la méssa
Cë facémë lu spëtìllë:
Lu mié còrë fa rìllë rìllë.
34
Tre soldatë dë lu Papa
Nën pëtié carpì „na rapa;
Cë në va unë dë lu Rré,
„Nghë „na bòtta në càrpë tre.
35
Ijë la véchë, ijë la sèndë,
L‟uócchië mié j‟è parèndë.
Filastrocche
36
Li cëllìttë chë sta su „n piazza
Unë fila, unë annàspa,
Unë cóscë li bbëttù,
Unë fa li maccarù,
Unë fa li cappiéllë dë pàja,
E‟ fënìta la battaja,
La battaja dë lu Rré,
Unë, ddó e tré.
37
Sémë „ccìsë lu puórchë,
Sémë fattë lu pa‟,
Fiocca fiocca, së vuó fiëccà.
38
Sand‟Andònië mié bënégnë,
Li prësciùttë è fattë li regnë,
Li saggìccë s‟è fracëcàtë,
Via a Sand‟Andònië abbàtë.
39
Tre travë „ntravàtë tìrëli su,
Tre culë d‟àsënë vàscëli tu.
- 243 -
- 244 -
40
Pumella, pumella, pumella ...
- Chë è chésta?
- La torrë dë li fràtë.
- Chë ccë stà?
- Lu pa‟ e lu càscë.
- Mbè! Chi prima parla e prima ridë
Nu schiàffë e „na sardella.
41
Dìtë, dëtìllë,
Fiorë d‟aniéllë.
Maggiorë dë tuttë,
Lécca callàra,
„Ccìdë pëdùcchië.
42
Arrètë a San Crëstòfërë
Cë sta „na fëndanèlla;
Jersèra jéttë a bbévë,
Më së cascò la fedë;
Pëscujài pëscujài,
Mai più la rëtrëvài.
Cë stava ddó zëtèllë
Chë facié li crëspèllë;
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
Më në déttë nu vëccó,
Më parèttë tàndë bbònë,
Më në déttë n‟addrëttàndë,
Lu prësùttë sopra la bbanga.
La bbanga era rotta.
Jó sotta cë stié lu pùzzë,
Lu pùzzë era cupë,
Sotta cë stié lu lupë,
Lu lupë era viécchië,
Acciaccava li chëmbiéttë;
Li sùrgë su li tìttë
Ciëfëlàva li ciëfëlìttë;
La hàtta „n gamìscia
Schiattò pë li risa
Li pecura jó ll‟uórtë
Se magnò „nu pè dë fënuócchië,
Jë pëngëcò lu spì jó lu pè,
Zëprëmè, zëprëmè.
43
Lu pëcuràlë piagnë quandë nenguë,
Nën piagne quannë porta lu cascë a vénnë;
Lu pëcuràlë piagnë quandë fiòcca,
Nën piagnë quannë magna la rëcòtta;
Fischia a li pècurë e fischia a li caprë,
Fischia all‟anëma dë chi t‟è cacàtë.
- 245 -
- 246 -
44
Quandë la mëndàgna s‟ accappèlla
Vìnnëtë la capra e cumbra la mandèlla;
Quandë la mëndàgna sbraca,
Vìnnëtë la mandèlla e cumbrëtë la capra.
45
Rré, rré, rré
Settë rëggìnë è natë pë tté.
46
Viéttëne Ciangarèlla
Mo‟ të tìrë „na ciambrèlla.
47
„Ndrì „ndrò „n Drùndë,
Arëscèttë tuttë „mbùssë,
Cëmmëlàtë jó pë ttèrrë,
Uàrda com‟è sfrìgnë,
Tìrëjë „na vrécca.
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
48
Mamma e bbabbë è itë a Lëréta,
Mmè rëpertàtë „nu cëfëlìttë:
Tuttë lu juórnë stènghë a sënà
Brù bruèllë, brù bruèllë.
49
La mojë dë lu „mërëcànë
Va a la messa „nghë sèttë sëttànë,
Së „ngënòcchia e prèha Ddijé
“Manna quatrì, marìtë mijé”.
Li quatrì chë më jé mannàtë
Li sò scëpàtë chë lu „nnammëràtë;
Më li sò scëpàtë chë la bbòna salutë,
Mànnënë angóra, marìtë curnutë!
50
Quìstë dicë ch‟ha famë,
Quìstë dicë ch‟ha sétë,
Quìstë dicë: Comë facémë?
Arrëbbémë!
Nick, nick, chi rrùbba së „npìcca.
- 247 -
- 248 -
51
Sarròcchë Sarròcchë,
Dà lu pundë a chi attòcca.
52
Jèscë solë sàndë,
Rëscàlla tuttë quandë,
Rëscàlla la povëra vecchia
Chë stà „n gima la cèrqua:
Chélla nën fìla,
Chélla nën tèssë,
Chélla nën dicë „nu zuocchë dë curona,
E‟ „na vecchia buggiarona!
53
Bbëscó, bbëscó,
Trendaddó
Trendasié,
Quandë cë në sta jècchë a dé?
54
Pìzzëca pëzzàngula,
Mela mëlàngula,
Féta lu còcchë
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
La „allina ciòppa;
Féta dë quà
Féta dë llà,
Jéscia fòra dë sta cëttà.
55
Jémë spàssë spàssë,
„Ngundrémë sandë Tëmàssë,
Cë dà la bënëdëzzió
Cë mëttémë „n gënëcchiù.
56
Ai bbà, lu mëscà,
Trik trik fa mërà
Ai, bbài, bbuff.
57
Lòffa catòffa
Chi è fàttë la lòffa,
Lu marë, lu vèndë
Lu più pëzzëlèndë
E‟ stata la ggèndë.
- 249 -
- 250 -
58
Crocë dë vacca
Lu diàvëlë nën g‟attacca.
59
Piazza piazzétta
C‟è passata la pëcurétta
Jë s‟è „ntrëppëcàtë lu pè
E‟ fattë bbèèè...
60
Ciofrì, ciofrò e cë „ntrò.
61
Zùrr, zùrr, zùrr,
Chë më dà, cà t‟abbëtùrë.
62
Còccia pëlata de trenda capìllë,
Tutta la nottë cë canta li rìllë;
E li rìllë c‟è candàtë
Bbòna nottë a còccia pëlata.
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
Filastrocche
63
Ciammarìca ciammarìca
Caccia li corna, ccìca a ccìca.
64
Së vuó chë la ròbba dura
Fin‟ all‟acqua tiè la mësùra.
65
Sèttë, quattòrdëcë, vintùna, vëntottë
Së t‟acchiàppë të ccìdë dë bòttë,
Së të tròvë rrètë lu përtó
Të në dènghë quandë në vuó.
66
Tira lu viéndë, abbaia lu ca‟,
So‟ ccìsë lu puórchë, so‟ fattë lu pa‟,
Fiocca fiocca, së vuó fiëccà.
67
Cannëlòra, Cannëlòra, da l‟immèrnë sémë forë
Ma së piovë o tira viéndë
në l‟immèrnë sémë dendrë.
- 251 -
- 252 -
Parte Quarta – Canti, filastrocche…
68
Tandë lëndanë së vedë stu fuochë
Tandë lëndanë li cruocchë e li tuopë
Jescia fëbbrarë ca marzë vo‟ „ndrà
Tutte li cruocchë sogna scaccià
Li scaccemë nghë lu fërcó
Tuttë li cruocchë jó a Mëró
Cruocchë dë qua, cruocchë dë llà
Tuttë li cruocchë su Caità
( si cantava il 28 di febbraio…)
69
Iescë sole santë, rëscalla tuttë quantë !
Rëscalla pure „lla vecchia chë sta „ncima a la cerqua !
Chella nën fila, chella nën tèssë,
Chella nën dice „nu zuocchë dë curona…
E‟ „na vecchia buggiarona.
*****
Non proprio bene augurando
- 253 -
Ed infine una raccolta di “anatemi” a piacere … a seconda dei soggetti
o delle circostanze:
NON
P R O P R I O..… B E N E A U G U R A N D O
Cadute di salute…. a scelta:
Puozza avé…
Che tu possa avere…( a fantasia)
Puózza avé „nu „nžultë
Che tu possa avere un ictus
Puózza avé „nu tuocchë
idem
Puózza avé „nu cànghëra
Che ti venga un cancro
Puozza fa‟ nu sbocchë dë sanguë
Che ti venga un‟emottisi
Puozzët‟ arraià
Possa prenderti la rabbia
Nën puózza rëpësà
Che tu non possa trovare riposo
Possibili infortuni…:
Puozzt‟ appëccià
Che tu possa prendere fuoco
Të puozza roppë „na amma - nu pè
Che possa romperti una gamba –
un piede
Chë te puozza scrucià
Che ti si rompano le articolazioni
Puozza cascà da li scale „ngh li ma‟
…con le mani in tasca: caduta rovi-
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Parte Quarta – Canti, filastrocche…
„nzaccoccia
nosa,senza possibilita di ripararsi
Puozza fa‟ „na bòtta
Che tu possa avere un incidente….
Chë të puózza rëntrëssëcà
Che ti vada di traverso ( p. es. ad
un ingordo)
Ammènnë!
Ad uno che ha nominato qualcosa
di spiacevole o una disgrazia
Senza mezzi termini:
Puózza cascà sicchë
Una sincope e…. addio
Puózza cascà sicchë e panzutë
idem … e con il ventre gonfio
Puózza schiattà
Che tu possa schiattare
Puózza mërí mo‟ subbëtë
Possa morire adesso subito
Puozza fa parë….li pié
Che tu possa mettere i piedi pari…
Nën puózza rëcurdà dëmà
Che tu non possa arrivare a domani
Chë të puozza appëccià
Che tu possa prendere fuoco
Puózza mërì bbrëciatë
Che tu possa morire bruciato
Puózza mërì dë famë
Che tu possa morire di fame
Chë të puózza sfiatà
Che tu possa soffocare
Chë të puózza scrià
Che tu possa uscire dal creato
L‟uddëmë!
Ad uno che ha starnutito o dato un
colpo di tosse….
Puozza èssë accisë :
Sci „ccisë:
Che tu possa essere ucciso
Idem
Non proprio bene augurando
- 255 -
Puozza mërí nch „na rambëcata dë
Micidiale zampata di tacchino ( di-
pëtó
retto ad uno che commerciava in
pollame).
*****
- 256 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
PARTE QUINTA
degli ancaranesi……
ITINERARIO GASTRONOMICO
tra i fornelli e sulle tavole imbandite degli Ancaranesi
a cura di
Simplicio Olivieri
Itinerario gastronomico
- 257 -
- 258 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
E MO‟… TUTTI A TAVOLA !!.....
Questa vuole essere una raccolta, più che di ricette in senso tecnico, di
piatti ( e bicchieri…) da portare in tavola, ricordati o riscoperti frugando tra le usanze ancaranesi del passato e del presente.
Alcune di esse sono, o erano legate a particolari ricorrenze stagionali o
a festività importanti in occasione delle quali anche la tavola imbandita ha il compito di offrire al palato sapori diversi da quelli della consuetudine giornaliera.
In ogni caso non ho l‟intenzione di presentare una pretenziosa e professionale guida culinaria; sicuramente non ne sarei neppure
all‟altezza, ma anche perché, quanto a cucina, sebbene mi diletti, di
tanto in tanto, di mettermi ai fornelli, debbo ammettere una certa riottosità all‟ortodossia e la tendenza a personalizzare dando così retta più
ai consigli di naso e palato, che alle indicazioni dei …”sacri testi”
Le ricette che seguono vengono proposte per lo più come parte di
sprazzi di vita quotidiana o di memoria nei quali mi pare di riconoscere un “valore ancaranese” e dunque - me ne sono presa la libertà con licenza sia di eventuali imprecisioni di ricordi, spesso lontani nel
tempo, sia di notazioni di carattere autobiografico e storico, nelle quali
i piatti si inseriscono anche come occasionali note di colore.
Ho cercato, interpellando a volte parenti, amici e conoscenti, di includere in questa sorta di ricettario sui generis piatti che effettivamente
fossero, per lo meno, abbastanza ricorrenti nella tradizione ancaranese, e la cui osservanza da parte delle famiglie del paese avesse ca-
E mo‟… Tutti a tavola!! …..
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rattere, se non di assoluta generalità, almeno di significativa diffusione. Non in tutti i casi ho trovato risposta certa in questo senso ed
allora mi sono rimesso, come dicevo, soprattutto ai miei personalissimi ricordi. Non escludo affatto perciò, e lo accetterò di buon grado,
di poter essere corretto da chi abbia fonti diverse di informazioni e di
memoria. Le mie si rifanno quasi sempre, specialmente per le usanze
che risalgono ad almeno mezzo secolo fa, al gruppo familiare Olivieri,
di cui evidentemente sono parte, ed a quello Rampini, al quale mi lega
una stretta parentela.
Mi rendo conto che dall‟essere questi i miei principali riferimenti, deriva la prevalenza di molti elementi di “ ascolanità ” nelle abitudini
gastronomiche citate: gli Olivieri sono “ imparentati “ ad Ascoli, ripetutamente, per più generazioni; io stesso lo sono in particolare, essendo mia Madre una Merli, antica famiglia ben nota ad Ascoli, anzi, “in
Ascoli”, come conviene che si dica. Quanto ai Rampini, il Dott. Francesco, medico condotto in Ancarano dal 1894 per ben 41 anni e nel
nostro paese profondamente integrato, era ascolano di nascita con radici familiari addirittura umbre. Del tutto naturale dunque che tali circostanze facessero sentire tutto il loro peso anche nel modo di gestire
la cucina ed i menù osservati sia nella routine quotidiana che nella ricorrenze più importanti. Tuttavia, così come ho già fatto più volte,
quando mi è stato possibile attingere ad informazioni diverse da quelle
provenienti dai miei ambiti familiari, non mancherò, se ve ne sarà
l‟opportunità, di dar retta ad altri contributi di conoscenze affinché
- 260 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
questa panoramica sulla nostra gastronomia, riesca a proporsi come la
più fedele ed esauriente possibile.
La maggior parte delle ricette che seguono non rivendica una sua esclusività ancaranese.
Si tratta per lo più di piatti conosciuti, cucinati e serviti anche fuori
dai confini di Ancarano, quanto meno in ambito abruzzese – marchigiano, con la consueta particolarità del collegamento preferenziale alla
gastronomia ascolana per i legami di ordine storico e socio-culturale
già ricordati in altra parte di questo “lavoro”, là dove, attendendo ad
“Ancaraneide”, ci siamo soffermati sul linguaggio, su termini e sui
modi di dire del dialetto locale nonché su altre consuetudini paesane.
I piatti visitati prevedono quasi sempre la cucina della carne; praticamente mai il pesce, ( a dispetto dell‟àncora presente sullo stemma
del Comune e tutt‟oggi priva di credibile spiegazione ), fatta eccezione per il baccalà e per il tonno, ingrediente essenziale quest‟ultimo,
ad esempio, per il sugo “di magro”, componente fissa, presso moltissime famiglie, del menù per la cena della Vigilia di Natale .
Quanto al pesce mi concedo tuttavia un brevissimo “ fuori pista” preliminare, riservato ad un piatto che ho davvero detestato, da che mi ricordo, fin da ragazzo, per anni ed anni, e che invece improvvisamente
dovetti apprezzare il giorno che me lo trovai in tavola, preparato da
mia moglie, su di una ricetta di sua madre, entrambe di terra marinara,
in quanto di Grottammare.
E mo‟… Tutti a tavola!! …..
- 261 -
Penso di non aver fatto grande e festosa accoglienza all‟iniziativa,
quella volta, quando, tornando a casa dal lavoro, vidi, scodellato nel
piatto, il riso col brodo di pesce, ma … per amor di pace, feci buon viso …. ed iniziai a mangiare. Un cucchiaio dopo l‟altro, dovetti convincermi della sua squisitezza e, dunque non potei far altro che “farci
pace” in un primo tempo, per poi - onore al merito - chiedere notizie
sulla ricetta che, in fin dei conti, è molto semplice e riporto qui, come
mi è stata data:
BRODO DI PESCE
Occorrono intanto dei “suri”, pesce azzurro umile e di non grande
reputazione ( Trachurus trachurus, della famiglia dei Carangidi alla
quale appartengono anche le Ricciòle). Due o quattro o più suri a seconda del numero dei commensali e della grandezza dei pesci. Diciamo all‟incirca tra otto etti ed un chilo per 4 persone. In acqua salata
ed in abbondanza, si mettono a bollire: cipolla, sedano, carota ed un
bel ciuffo di prezzemolo. Anche un paio di foglie di alloro se piace il
profumo. Dopo un dieci minuti di bollitura si tolgono le verdure e si
aggiunge il pesce del quale si sarà avuto cura di esaminare attentamente le interiora e, se del caso, eliminare presenze sospette. Si fa
bollire per circa una buona mezzora e si toglie dal fuoco. Frattanto,
in altra casseruola, si sarà preparato un leggero soffritto di olio e ci-
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
polla, con aggiunta di pezzetti di pomodoro fresco. A cipolla appassita si verserà sul soffritto il brodo ricavato dalla bollitura del pesce, si
attenderà il bollore e si verserà il riso per attenderne la cottura.
Che dire? Molto gustoso, ma provare per credere.
Per la verità non so se e quanto sia diffusa in Ancarano l‟abitudine di
cucinare il brodo di pesce, ma, volendo fare ammenda di un ingiusto e
prolungato preconcetto, penso che la maniera più idonea fosse di
“promuoverne” la ricetta … a prescindere.
Chiusa la divagazione “pesciaiola”, torno alla cucina paesana tradizionale.
Li tajilì della Madonna della Pace
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LI TAJLÌ DË LA MADONNA DË LA PACE
Introduzione
Sicuramente tipico ed esclusivo di Ancarano è il piatto “principe”
della gastronomia locale, indiscutibile e meritato vanto delle non moltissime massaie ancora oggi capaci di realizzarlo. Oltre alla riconosciuta gradevolezza per il palato, sua caratteristica curiosa e ad un tempo
interessante, come a volte mi piace sottolineare - ma pare sia stata
immediatamente colta anche da qualche occasionale visitatore esterno
- è la peculiarità di essere, fra le minestre in brodo, la sola che preveda
l‟uso della forchetta !!!
Molto probabilmente questa cosa non è di facile comprensione per chi
non si è mai trovato di fronte ad un piatto di “tagliolini”, ma poiché mi
pare che sia una caratteristica davvero singolare, spero di riuscire prima o poi - probabilmente quando completeremo la versione elettronica di “Ancaraneide” - a realizzare un breve ed esplicativo filmato così
da sfruttare a pieno le potenzialità della, come si sul dire, “tecnologia
moderna”.
Altra particolarità, sia pure di più prosaico profilo, è che i tagliolini
non possono essere oggetto di spedizione, per esempio a parenti ed
amici lontani.
Tre o quattro anni fa, nella ricorrenza della festa della Madonna della
Pace mi venne in mente di mandarne qualche “pagnottella” a mio cugino Francesco - che viveva a Ravenna e da parecchi anni mancava da
- 264 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Ancarano - ed a sua moglie, ravennate, che di sicuro non aveva idea di
cosa fossero i tagliolini. Giuro che confezionai il pacco con estrema
cura, una scatola entro un‟altra imbottendo l‟intercapedine con fogli di
carta stropicciati nel tentativo di ridurre al minimo il prevedibile stress
del viaggio. Acclusi anche, a buon bisogno, indicazioni per la preparazione del brodo e per la cottura …...
Dopo qualche giorno Francesco mi chiamò al telefono per dirmi quanto avessero gradito, lui e sua moglie….., ma il problema della forchetta non si era proprio posto: era stato più che sufficiente il cucchiaio
per il “tritume” contenuto nel pacchetto. Da quella volta, naturalmente, ho rinunciato alle spedizioni …….
Sto parlando, come è ovvio per i lettori compaesani, dei Tagliolini
della Madonna della Pace (“ Li tajlì dë la Madonna dë la Pace”; secondo alcuni: secondo alcuni: “Li tajlì ùntë”, ma credo facciano
qualche confusione con tutt‟altro piatto !) che provo ora a descrivere,
non senza citare prima la leggenda, affettuosamente ingenua, dalla
quale si vuole che essi traggano origine.
Leggenda che si lega alla venerazione della Madonna della Pace, protettrice del Paese, ed alla pregevole statua lignea della Vergine, a
grandezza naturale, fondatamente attribuita allo scultore sulmonese
Li tajilì della Madonna della Pace
- 265 -
Silvestro dell‟Aquila (1450? – 1504), che si può ammirare, conservata
ed esposta nella chiesa parrocchiale. 64
Si narra….
Avvenne che alcuni malfattori, introdottisi nottetempo all‟interno della chiesa, ne trafugarono la statua col proposito, verosimilmente, di
portarla in luogo sicuro, lontano dal paese, per trarne profitto vendendola a qualche buon estimatore. Senonché, dopo breve tragitto, il peso
della statua si fece man mano troppo gravoso per le forze dei ladri, e
divenne così insostenibile da indurli a rinunciare al loro progetto e ad
abbandonarla in un fossato. Di lì a poco, una vecchietta che percorreva la medesima strada, ma in direzione di Ancarano, notò la statua
dove era stata abbandonata, la riconobbe e, dopo aver rivolto una devota preghiera alla Madonna perché si rendesse abbastanza leggera
per le poche energie di cui la poverina disponeva, riuscì, per sorte si-
55
Dagli “Annali della Terra di Ancarano” del Dott. Francesco Rampini [
Ed. a stampa in 300 esemplari del Gennaio 2001 per i tipi della Linea Grafica di
Centobuchi (AP)], a pag.32, trascrivo:
“ E‟ di quest‟epoca ( seconda metà del „400) la statua della Madonna della
Pace che si venera in Ancarano come principale protettrice. Fu opera di Silvestro
dell‟Aquila, o Silvestro di Giacomo di Sulmona, detto “L‟Ariscola”, seguace di
Antonio Rosellino.[Nel libretto di D. Francesco Marinucci….è segnata a pag.34 la
data,1490, di acquisto di quella statua, ma non so da cosa gli sia risultato] Ha
somiglianza con altre statue dello stesso Autore, conservate nella Chiesa di S. Berardino ( ove vi sono altri lavori dello stesso Autore) e Collemaggio di l‟Aquila, e
specialmente con quella della Chiesa “Mater Domini”di Chieti. Ve ne è pure una
nelle Sale al primo piano del Palazzo Comunale di Ascoli. Dicesi per tradizione
che fosse stata fatta in memoria della riconciliazione fra Ancarano e Torano.”
- 266 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
curamente miracolosa, a caricarsela sulla testa come è d‟uso fare per
un cesto o per una “conca”, ed a riportarla in paese, dove fu accolta
dai cittadini con grande festa e riconoscenza.
In segno di gratitudine gli ancaranesi si preoccuparono di rifocillare
la vecchietta dalla fatica sostenuta. Tuttavia la donna era piuttosto in
là con gli anni e probabilmente anche abbastanza malmessa quanto a
denti; le massaie di Ancarano inventarono allora, per l‟occasione, un
piatto che fosse ad un tempo sostanzioso e facile da consumare. Prepararono dunque un saporito e sostanzioso brodo di carne nel quale misero a cuocere della pasta all‟uovo tagliata in tagliolini sottili come
capelli, così sottili da poterli mangiare senza quasi bisogno di masticarli. Da allora ( ma non si hanno notizie per datare storicamente
l‟avvenimento ) è tradizione che per la ricorrenza della festa della
Madonna della Pace ( per consolidata tradizione cade nella domenica
più prossima al 22 ottobre ! ) sui tavolini delle famiglie ancaranesi sia
di rigore, come primo piatto, il brodo - secondo alcuni di gallina, secondo altri di carni miste - con i tagliolini.
Queste le modalità della
Preparazione:
Per la quantità, il riferimento è il numero di uova impiegate per
l‟impasto: si preparano cioè, per esempio, quattro o sei o più uova di
impasto; ogni uovo dovrebbe dare una resa di quattro pagnottelle di
Li tajilì della Madonna della Pace
- 267 -
tagliolini. Si lavora a lungo l‟impasto di uova e farina, si osservano
dei tempi di riposo prima di stendere la sfoglia e poi si procede a formare una pannella sottilissima, al limite della trasparenza, frapponendo secondo alcuni, tra impasto e spianatoia, un telo di cotone di
trama molto sottile. Una volta che la sfoglia si sia asciugata al punto
giusto ( fase questa molto delicata nella preparazione) si arrotola su
sé stessa come si fa per le tagliatelle e si provvede quindi al taglio. Il
coltello deve essere affilatissimo. Nelle case in cui ci sono donne capaci di preparare i tagliolini, spesso esiste, gelosamente custodito, un
coltello “dedicato”. La mano che guida il taglio, con le dita piegate
“a martelletto”, propone la sfoglia arrotolata alla lama; la mano che
regge il coltello, lo batte di piatto sulle unghie delle dita che fanno da
guida e con movimento appena basculante, esegue decisamente il taglio. Mi è capitato di osservare qualche massaia esperta ed ogni volta
sono rimasto davvero ammirato e quasi incredulo di fronte alla velocità, alla precisione ed alla naturalezza con le quali l‟operazione veniva svolta. Infine i tagliolini così preparati vengono sbrogliati con le
dita e se ne confezionano delle ariose pagnottelle ognuna delle quali
corrisponde all‟incirca ad una porzione individuale.
- 268 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
I buongustai e gli appassionati ai quali il brodo di carne “non rimane
pesante” ne mangiano però anche due, senza sforzo e con devozione.65
Per il brodo, va detto che dev‟essere un saporito e ristretto brodo di
carne per la cui preparazione valgono le comuni regole note a chiunque si occupi di cucina con sufficiente perizia. E tuttavia il caso di
precisare che esistono in paese almeno due correnti di pensiero: secondo alcuni dovrebbe essere utilizzata solo carne di gallina; altri
preferiscono impiegare, oltre alla gallina, carne di manzo per una
migliore sapidità ed attenuazione di quel “lezzo pollino” non sempre
e non a tutti gradito.
65
Recentemente, per interessante e meritoria iniziativa della Pro-loco di Ancarano, in un edificio del centro storico messo a disposizione
dall‟Amministrazione comunale, si è tenuto un corso che ha avuto larga partecipazione di Ancaranesi e non, donne e uomini, per l‟insegnamento dell‟arte del
confezionamento dei tagliolini…..Pare che l‟iniziativa sia andata a buon fine,
pur se con qualche immancabile polemica. E‟ da augurarsi che si sia ottenuto il
risultato auspicato di tener viva una tradizione altrimenti a rischio di sopravvivenza. Forse sarebbe bene anche ripetere….
Primi piatti
- 269 -
PRIMI PIATTI
Avendo iniziato con i tagliolini, continuo con i primi piatti, così che
questa scorribanda sugli usi gastronomici e sulle tavole apparecchiate
delle famiglie ancaranesi segua un certo ordine logico temporale.
Per i tagliolini il mese “dedicato” è ottobre, per la ricorrenza festiva
che ho già menzionato. E‟ vero però che si possono consumare, a
patto di saperli fare o di commissionarli, per tutto l‟autunno, l‟inverno
e la primavera ( in estate è meno consigliabile: con il caldo forte, la
sfoglia sottilissima rischia di asciugare troppo e troppo velocemente,
con qualche pregiudizio per il confezionamento e per il risultato finale).
Dunque prendo le mosse dalla fine del mese di ottobre e, andando
avanti con i giorni e le settimane, trovo come occasione importante,
per tradizioni consolidate e molto comuni, il periodo natalizio.
Per la Vigilia di Natale è usanza diffusa che a cena si mangino spaghetti conditi con il
SUGO
DI MAGRO
Preparazione:
Questi gli ingredienti dosati per circa quattro persone: un decilitro di
olio; 200 grammi di tonno sott‟olio di qualità ben scolato; quattro o
cinque alici diliscate e dissalate; 30 grammi di capperi essiccati o
- 270 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
anche sotto sale, ( ma, in tal caso, messi per tempo a dissalare); due o
tre spicchi di aglio rosso di Sulmona; una quindicina di olive verdi
denocciolate e fatte a pezzetti non troppo piccoli; un ciuffo di prezzemolo; un pezzetto di peperoncino; una bottiglia di passata di pomodoro.
Si mette a scaldare l‟olio e si mettono a soffriggere gli spicchi d‟aglio
spogliati e schiacciati, con appena un po‟ di peperoncino, per poi toglierli non appena imbionditi. Si aggiunge il tonno sminuzzato e, dopo
qualche minuto, le acciughe fatte a pezzetti. Si lascia insaporire per
due o tre minuti o anche un poco di più, in tal caso aggiungendo un
dito di bicchiere di acqua calda ad evitare che tonno ed alici rosolino,
infortendo di sapore. Si aggiunge quindi la passata di pomodoro, i
capperi e le olive in successione, si aggiusta di sale e si fa cuocere per
circa quindici minuti. Si aggiunge infine il prezzemolo e si fa sobollire
ancora un po‟. Il sugo è pronto per gli spaghetti o i vermicelli, a preferenza personale.
Per il giorno successivo, al pranzo di Natale, per lo più si mangiano
cappelletti in brodo ( se siano a rigore cappelletti o tortellini … non
approfondirei, anche se, assente la mortadella nel ripieno …. sarei più
per i cappelletti …; comunque, qui da noi si chiamano: “li
cappëllìttë”).
Primi piatti
- 271 -
Per il brodo vale quanto detto per i tagliolini, ma c‟è anche chi usa il
cappone, all‟emiliana. La ricetta è internazionale e dunque penso non
sia il caso di soffermarvisi.
Si arriva poi al Capodanno preceduto dal cenone del 31 dicembre. In
regime consumistico si prevede oggi il cenone presso qualcuno dei
circa quindici ristoranti di Ancarano, o anche altrove. Può darsi debba
considerarsi una sopravvenuta usanza …. Personalmente non condivido, ma, de gustibus… Nel nostro ambito familiare la consuetudine era
un piatto di lenticchie con tozzetti di pane fritti e, a crudo, un filo di
olio “pésëlë” 66 ; a volte anche col cotechino o con lo zampone. Poi si
aspettava la mezzanotte per un brindisi a spumante, con qualche dolce,
per poi andare a nanna.
Con il pranzo di Capodanno viene il momento del timballo e qui il
paese credo si possa considerare diviso in due correnti di pensiero e di
gusto: quella che il timballo lo vuole di sfoglia e quella che lo prevede
di frittatine. Ascoli vs Teramo, Guelfi vs Ghibellini. Comunque, ricette entrambe notissime ed entrambe ottime. La differenza naturalmente è data dall‟abilità delle cuoche e poi … dal peso delle abitudini
e dei gusti personali.
66
Il filo d‟olio, a crudo, versato sulla minestra brodosa, resta naturalmente
a galla, in superficie: è questo il concetto che esprime il termine “pesëlë”.
- 272 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Proseguendo arriviamo al Carnevale, per lo più nel mese di febbraio.
Se un primo piatto c‟è da ricordare per questa ricorrenza credo che sia
quello dei
RAVIOLI DI RICOTTA
Pur nell‟identicità della base: sfoglia di uova e farina e ripieno di ricotta condita con uova e maggiorana, due mi risultano essere le ricette fondamentali. Una, decisamente salata, prevede i ravioli lessati
e serviti con sugo di pomodoro. L‟altra è invece salata ed insieme
dolcetta: i ravioli lessati e scolati vengono serviti in bianco, spolverati di cannella ed abbondante parmigiano.
Il periodo di Quaresima, passa senza quasi nulla di particolare da segnalare, sotto il profilo gastronomico. Tuttavia considerando che le
temperature invernali spesso inducono a desiderare il calore di un
buon saporito piatto di minestra, non si possono dimenticare le pappardelle, i “taccuniellë” e il riso con la cicoria o con l‟indivia.
LI
PAPPARDELLE
Credo sia uno dei piatti più semplici ed umili del menù tradizionale e
popolare. Farina, acqua ed appena un pizzico di sale per stendere una
Primi piatti
- 273 -
pannella appena più spessa di quella per le tagliatelle all‟uovo, come
appena più larghe delle tagliatelle si tagliano le pappardelle, ma piuttosto corte, per poter essere mangiate con il cucchiaio. Il brodo si dovrebbe fare come tanto tempo fa, quando non erano in commercio i
“dadi”: un soffritto di lardo o di guanciale (“varvaia”) con poca cipolla. L‟aggiunta di pezzetti di pomodoro fresco o conservato in bottiglia
per un po‟ di sapore in più, ed acqua in quantità proporzionata alle
pappardelle da cuocere.
Comunque questa è la ricetta avuta da mia sorella Marialuisa :
Ingredienti: farina tipo “0”, acqua (anche qualche albume se si ha
inutilizzato)
Preparazione:
Impastare gli ingredienti fino a che l‟impasto risulta omogeneo, liscio, di media consistenza(come per le tagliatelle) e far riposare coperto per circa un‟oretta; stendere la sfoglia, un paio di millimetri di
spessore, con il matterello o anche con la macchina per la pasta e far
asciugare. Procedere al taglio come accennato sopra.
Si utilizzano per minestre di legumi o minestra con base di battuto di
lardo o “grasse magro”, cipolla tagliata sottile, pomodoro maturo
fresco a pezzetti e basilico.
Zia Marietta (Maria Olivieri), aveva, in merito, reputazione di specialista e ricordo che quando le cucinava non mancava di riservarne un
- 274 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
pentolino per mio padre (suo fratello) che ne era grande e ghiotto estimatore.
Ancora una notazione: le pappardelle pare siano raccomandate per le
puerpere, perché favorirebbero la produzione di latte: ovviamente non
ne ho personale esperienza…, ma conosco signore che ricordano di
averne, per materno scrupolo, ingurgitati piatti su piatti.
Analoghe proprietà galattogene venivano attribuite a
LI FRASCARIELLË
Preparazione:
In un brodo, preparato più o meno alla stesso modo che per le pappardelle veniva messa a cuocere della farina versandola come se si fa
quando si prepara della polenta di granoturco, favorendo però, al
contrario di questa, la formazione di piccoli grumi. Secondo un‟altra
tecnica, la farina veniva lavorata su di un piano, con poca acqua in
modo da creare piccoli granuli ( simili a quelli del cuscùs ) che venivano quindi versati nel brodo bollente perché cuocessero.
Primi piatti
- 275 -
LI TACCUNIELLË
Zia Marietta - sempre lei - faceva ogni tanto anche “li taccuniellë”.
L‟assimilazione ai “maltagliati”, da alcuni voluta, può risultare fuorviante. Questi vengono di solito descritti di forma irregolarmente
romboidale e credo siano piuttosto, nella tradizione della cucina romagnola, una specie di sottoprodotto delle tagliatelle, per l‟utilizzo
anche dei piccoli ritagli della sfoglia per esse preparata. Per quel che
mi risulta, li taccuniellë hanno invece forma assimilabile, se proprio si
vuol cercare qualcosa di analogo reperibile in commercio, ai pizzoccheri valtellinesi, con i quali però non hanno null‟altro in comune per
quanto riguarda gli ingredienti usati ed il modo di cucinarli.
Preparazione :
Caratteristica di “li taccuniellë” è che l‟impasto dal quale vengono
tagliati prevede l‟impiego di farina di grano tenero e farina di granturco in proporzioni variabili da 2:1 fino a 1:1. E consigliabile
l‟impiego di un uovo per 3 etti di farina circa, perché l‟impasto leghi
meglio e renda più facile stendere la pannella. Questa deve essere abbastanza spessa: un paio di millimetri o anche di più. Una volta che si
sia asciugata a sufficienza, viene tagliata a strisce della larghezza di
circa cinque centimetri e da esse si tagliano i “taccuniellë” larghi dai
cinque ai dieci millimetri. Non mi risulta ci siano regole precise per
questa misura, né che debbano essere tra loro regolarissimi.
- 276 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
La “morte loro” è mangiarli in brodo - non troppo acquoso - con i
ceci, o con i fagioli, ma anche senza. Per il brodo era consuetudine
preparare un soffritto di lardo o di guanciale, aggiungere acqua,
aromatizzare con del rosmarino ed un po‟ di peperoncino a piacere.
Facoltativa l‟aggiunta di un po‟ di pomodoro fresco a pezzetti. Subito
prima di mangiarli, un filo di olio “pesëlë”, a crudo è di prammatica.
LU
PA‟ „NGALLUCCË
Quando i costumi erano improntati a sobrietà e nulla, possibilmente,
doveva andare sprecato, anche al pane raffermo veniva dedicata
qualche ricetta che consentisse di consumarlo e, perché no?, anche
con gusto.
Preparazione:
E‟ il caso di questo piatto di minestra la cui base liquida era il consueto soffritto di lardo o grasso e magro e cipolla cui si aggiunge, in estate, del pomodoro fresco a pezzetti (sostituto nelle altre stagioni presumibilmente da pomodoro conservato in bottiglia) ed odori secondo
gradimento. Si versa quindi l‟acqua nella quantità necessaria ed il
pane raffermo tagliato a tozzetti. Un filo d‟olio a crudo nel piatto porzionato può essere un gradevole completamento.
Primi piatti
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OVA A MËNESTRA
Preparazione
Protagonista, come nel caso precedente, è il pane raffermo, stavolta
tagliato a fettine sottili. Il piatto però è decisamente più sostanzioso
per la presenza dell‟uovo ( almeno uno a testa) che, intanto che il solito brodo bolle in pentola, viene sbattuto in una scodella, come se si
dovesse fare una frittata, ed eventualmente condito ed aromatizzato a
piacere ( un po‟ di formaggio grattugiato, forse prezzemolo o maggiorana, un odore di pepe…).
Nei piatti fondi le fettine di pane sono in attesa. Le uova sbattute si
versano nel brodo bollente e si attende un attimo che cuocciano, senza
mescolare. Si toglie quindi la pentola dal fuoco e si versano mestoli
del brodo con le uova nei piatti, sul pane.
L‟UOVË „N PRËHATORIË ( l‟uovo in pugatorio)
Non so veramente se questa sia una minestra, una pietanza o … un
ibrido piatto unico, magari per una cena abbastanza leggera ancorché
nutriente. Neppure trovo una soddisfacente spiegazione del perché
l‟uovo così cucinato sia collocato in purgatorio…..Una ragione ci sarà
pure!! La realizzazione è delle più semplici, da come mi è stato riferito.
- 278 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Preparazione:
Si prepara uno dei soliti soffritti e poi pomodoro abbondante con gli
odori che ciascuno più gradisce. In questo sugo bollente, ancora sul
fuoco, si versa un uovo sgusciato ma senza spappolarlo e si aspetta
che arrivi a cottura.
Non l‟ho mai assaggiato, ma sembra promettere e ci farò un pensiero.
Essenziale direi la qualità della materia prima….
RISO
CON LA CICORIA
Minestra davvero squisita, salutare e per ogni stagione: basta trovare
la cicoria, molto meglio se “campagnola”, ma ora si può usare benissimo anche quella congelata a cubetti, in vendita nei reparti di alimentari.
Preparazione:
La verdura va lessata e poi ridotta praticamente in poltiglia con un
coltello sul tagliere, o, per gli esperti e raffinati, con la mezzaluna. Si
triturano finemente anche cipolla e carota, regolandosi per le quantità e le proporzioni. Si batte sul tagliere della pancetta o del lardo e
si mette il tutto a soffriggere, regolando di sale e pepe, eventualmente
con aggiunta di olio se la pancetta e molto magra. Terminata la bra-
Primi piatti
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satura si aggiunge acqua nella quantità necessaria e, ottenuto il bollore, si aggiunge riso in ragione di circa 80 grammi a persona,… o a
misura dell‟appetito. Il piatto, a cottura avvenuta, non deve risultare
né liquido ne risotto. Si serve caldo con una bella spolverata di parmigiano.
Piatto praticamente gemello si usa cucinare utilizzando, al posto della
cicoria, l‟indivia. Buono anch‟esso, risulta, al palato, meno amaro ed
un po‟ più “liscio” .
Altro modo di cucinare il riso per farne un saporito risotto e quello
detto del
RISO „N
CAGNÓ
Questa preparazione prende spunto dal “Sartù” napoletano, molto
semplificato.
Preparazione:
Si cuoce il riso come d‟uso per il risotto aggiungendo un po‟ alla volta acqua calda salata con parsimonia, oppure un leggero brodo vegetale. A metà cottura si aggiunge del buon sugo di carne preparato appositamente o di recupero da precedente preparazione, in quantità
tale da insaporire il riso, mantenendo la consistenza di un risotto (per
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
400 grammi di riso, due mestoli di sugo). A cottura ultimata si completa con una generosa spolverata di formaggio pecorino grattugiato.
Siamo in primavera!
Con il pranzo di Pasqua tornano per lo più i cappelletti in brodo, ma
non manca chi opta per un primo asciutto ( di solito timballo, o maccheroni alla chitarra).
Per la verità, nei miei ricordi di ragazzo ritrovo, per il giorno di Pasqua, un primo molto parco e semplice, per quanto squisito ( lo dico
oggi però; allora, potendo, avrei certamente votato per un primo asciutto). Zia Marietta Olivieri preparava, per primo, una minestra di riso con l‟indivia. A forza di ripetute proteste dei commensali si passò
ai cappelletti …. ma l‟indivia brasata e piccante di peperoncino mi
pare di ricordare che rimase, comunque, per contorno.
Una trentina di giorni o poco più e, con maggio, matura la fava. Legume prelibato, per appassionati, si mangia prevalentemente verde,
con accompagnamenti vari: dal pane e olio, al pane con spalmata la
“ventricina”, al pane e formaggio. Ma squisita è anche la
Primi piatti
MINESTRA
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DI FAVA
Preparazione:
Detta anche “favetta”. Si aprono i baccelli ( la fava deve essere ben
“granita” senza però aver fatto “lu capë nirë”) e le fave lavate vengono messe in padella a brasare ed insaporire con abbondante cipolla, qualche fetta di pancetta arrotolata, un po‟ di vino bianco, aggiustando sale e pepe. Arrivata a cottura, se l‟ingordo resiste alla voglia
di mangiarla così com‟è, si trasferisce in una casseruola aggiungendo acqua bollente nella quantità necessaria .Si aggiunge quindi la
pasta: indicati sono i ditali. Un filo d‟olio nel piatto e peperoncino secondo il gusto individuale.
C‟è chi ne mangia un paio di scodelle, ma anche chi va oltre ( personalmente… non me ne faccio scrupolo, anche perché il mese di maggio passa velocemente e cucinare la favetta con i congelati… è
tutt‟altra e meno apprezzabile cosa).
Passa qualche settimana e si arriva, con l‟estate, alla raccolta del grano
e, un tempo, alla trebbiatura. Un classico della tavola, per questa occasione da tempo ormai superata col progredire della meccanizzazione,
erano sicuramente
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LI
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
MACCARÙ DË LU MACHËNÀ
Siamo, come dicevo, nel periodo in cui si trebbiava il grano, solitamente agli inizi del mese di luglio. L‟epoca alla quale mi riconduce il
ricordo è quella di una cinquantina di anni fa, quando le moderne e rapide “mietitrebbia” erano di là da venire e la trebbiatura era un insieme di “riti” e di protocolli consolidati che andavano, ad esempio,
dal posizionamento sull‟aia della macchina trebbiatrice, al riempimento dei sacchi di frumento, alla formazione dei mucchi: quello principale della paglia e la serra minore della “cama”.
Non ricordo con precisione il perché, ma, quali che fossero le ragioni,
la trebbiatura presso il terreno di famiglia iniziava sempre nelle primissime ore del mattino, quando era ancora notte fonda. Alle prime
luci del giorno i lavori avevano una breve interruzione per una veloce
quanto gustosa colazione a base di pane casareccio – cotto nel forno a
legna dalla “vërgara” – e fette di lonza di capocollo… Che bontà!! Più
tardi ci fu una variante “dolce” di questa colazione, con introduzione
di certi “biscotti”, molto buoni anch‟essi, ma che, secondo me, non
reggevano il confronto con la lonza di un tempo.
Poi il lavoro riprendeva con i suoi ritmi: i sacchi di frumento si accumulavano nel granaio ed il mucchio della paglia prendeva man mano
la sua classica forma sotto l‟attenta, severa e non di rado blasfema (
quannë cë vo‟, cë vo‟) vigilanza del capo di casa; e guai a chi sgarrava, o si distraeva o non si atteneva alle direttive impartite.
Primi piatti
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Poco dopo il mezzogiorno, a quel che ricordo, la trebbiatura era completata e veniva il momento per tutta la squadra di sedersi a pranzo:
qualche volta la tavolata era all‟aperto, ma ricordo anche di aver pranzato in casa. Il menù completo non lo rammento, ma il “piatto forte”
erano “li maccarù dë lu machënà”. Spero di riferire la ricetta con
sufficiente esattezza:
Preparazione
Pasta asciutta dunque, anzi, per la precisione, spaghetti e, nei casi più
fortunati, maccheroni alla chitarra, ma la particolarità era sicuramente il sugo di condimento, fatto con la carne di “paparó”..
L„oca, tagliata a pezzi, veniva messa a rosolare in una capace casseruola nella quale si era frattanto approntato, in olio di oliva, ovvero
lardo di maiale - a seconda dei gusti -un soffritto di cipolla, sedano e
carota. Una volta rosolata ed insaporita la carne, si aggiungeva la
passata di pomodoro e del concentrato dello stesso, se necessario. Il
tutto veniva quindi lasciato sul fuoco a sobollire per il tempo occorrente a che la carne dell‟oca cedesse sapore e sostanza ed il pomodoro si restringesse a sufficienza per condire adeguatamente la pastasciutta.
Piatto, si sarà notato, non proprio leggerissimo sotto il profilo squisitamente dietetico, ma per chi aveva passato ore a lavorare alla trebbia non credo proprio che si ponessero problemi di digestione. In ogni
caso rammento bene che più d‟uno dei commensali esibiva, infilato
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
nel taschino della camicia, il proprio peperoncino intero al quale, a
piacere, attingeva, di tanto in tanto, durante il pasto, a morsi, senza
risparmio.
PAPPARDELLE
AL SUGO DI PAPERA
Un piatto questo molto simile a quello appena sopra descritto per
quanto riguarda il sapore e la preparazione del sugo di condimento.
Queste “pappardelle” sono di pasta all‟uovo tagliate da una sfoglia
simile a quella dalla quale si fanno le tagliatelle. Rispetto alle tagliatelle le pappardelle sono larghe circa il doppio, più corte ed un po‟
più spesse. Inoltre sono a volte ricavate dalla sfoglia, invece che con
il taglio dritto e netto del coltello, con taglio eseguito con la rotella
che si usa per i ravioli, cosicché i bordi delle pappardelle risultano
ondulati.
LI
FRȄGNACCȄ
Quando si prepara la pasta all‟uovo, per farne delle tagliatelle o maccheroni alla chitarra, o della sfoglia per confezionarne dei ravioli, capita che dalle operazioni di taglio della sfoglia risultino degli avanzi di
pasta rispetto a quella utilizzata per lo scopo iniziale o che proprio ci
si trovi ad averne preparata in quantità maggiore di quella necessaria.
Primi piatti
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In questo caso le “fregnacce” sono una soluzione di ripiego, ma non è
escluso che un po‟ di pasta si prepari appositamente per il desiderio di
mangiare questo piatto dal condimento semplice ed appetitoso.
Ingredienti per 4-6 porzioni:
500g di farina; 5 uova; salsa di pomodoro; 1 cipolla; basilico fresco;
peperoncino; parmigiano grattugiato; olio; sale.
Preparazione:
Si prepara la pasta e la si lavora come se dovessero farsi tagliatelle o
lasagne. Si stende la sfoglia con il matterello o con la macchinetta per
la pasta e si ritagliano dei quadrati di circa 15 cm. di lato. Si soffrigge in una casseruola la cipolla tritata, con olio in quantità adeguata e si aggiunge il pomodoro ( fresco passato o la salsa preparata).
Si aromatizza con abbondante basilico e si aggiunge peperoncino a
seconda dei gusti. Si regola di sale e si lascia sobollire per una ventina di minuti. Il sugo deve addensarsi abbastanza, ma il pomodoro non
deve cuocere troppo. A questo punto si lessano i quadrati di pasta in
abbondante acqua bollente salata. Una volta a cottura questi vengono
scolati e disposti su un vassoio e su ogni quadrato si versano alcune
cucchiaiate del sugo, spolverando con del parmigiano. Si arrotolano
senza stringere troppo e si condiscono nuovamente con un po‟ di sugo. C‟è chi le fregnacce le consuma così, ma anche chi, avendole sistemate in un recipiente da forno, ve le passa per qualche minuto, dopo un‟ulteriore spolverata di parmigiano, per gustarle più asciutte..
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
PIETANZE
Visto che trattando dei primi piatti sono partito dai tagliolini in brodo,
inizio la visita alle pietanze da una che del brodo è una specie di conseguenza naturale anche se non necessaria. Penso di seguire anche in
questa parte un ordine più o meno stagionale, dall‟autunno in avanti,
ma senza vincoli esagerati …
LI
CHËPPIETTË
Quando si fa il brodo di carne, ovviamente residua il lesso o, come si
dice in Ancarano,: “l‟allessë”, che, giova ricordarlo, è cosa diversa dal
“bollito”, sia per l‟assortimento delle carni utilizzate, sia per la fondamentale differenza che sta nel fatto, nel primo caso, di mettere a cuocere la carne nell‟acqua “a freddo”; nel secondo, quando l‟acqua di
cottura è già in ebollizione.
A volte mi è capitato anche di sentir dire che il lesso, in quanto “sfruttato”, si può anche buttare ….. Non vorrei… ma in questi casi mi “girano”, e vorticosamente; di solito tuttavia riesco a contenermi e non
replico, anche se ne avrei……
Infatti la carne del lesso, anche se “sfruttata” , può essere molto gradevole da consumare, purché bollente. Riscaldato, invece, il lesso è in
effetti molto meno buono, persino spregevole, ma si può renderlo di
Pietanze
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nuovo gradevole ed appetitoso sottoponendolo a qualche oculato trattamento.
Uno è quello di “rifarlo” insaporendolo con olio, abbondante cipolla,
pomodoro e peperoni; c‟è chi aggiunge anche un paio di foglie di alloro, come da consuetudine toscana, ma vi sono anche altre varianti a
piacere.
L‟altro che conosco, consiste nel farci, per l‟appunto, “li chëppiettë”
Preparazione
Il lesso avanzato viene macinato finemente e se ne fa un impasto al
quale si aggiungono patate lesse, un odore di aglio, prezzemolo e
parmigiano grattugiato. Per le dosi …. ci si regola. Con l‟impasto ben
amalgamato si fanno delle polpettine, rotonde o bislunghe, non troppo
grandi. Si infarinano leggermente e si friggono per stabilizzarle. Si
mettono infine ad insaporire in un sughetto di pomodoro e cipolla,
anche aromatizzato a piacere, per esempio, con del basilico, se è stagione. Prelibate erano quelle di zia Marietta Olivieri, classe 1884 !!
LA
SARTANIA DË LU PUORCHË
Siamo, in questo caso, all‟incirca nel mese di dicembre, nel tempo
giusto per “ammazzare il maiale”.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Il piatto di cui si parla è un arrosto in padella, rigorosamente di ferro,
di rifilature di carne del maiale appena macellato, residuali
nell‟operazione di divisione dell‟animale in mezzene ( le “pacche”),
propedeutica alla “spezzatura”, alla salatura e, in tempi diversi, alla
preparazione di insaccati, prosciutti, “pacche” di lardo ecc.Allorché il suino macellato veniva appeso per le zampe posteriori e
diviso nelle due classiche mezzene, da alcune parti dell‟animale ( es.
fra i prosciutti, dallo sterno, dalla goletta, ecc.) si recuperavano, di risulta, delle rifilature di carne magra, o mista a grasso, adatte per essere
immediatamente cucinate e consumate a conclusione delle operazioni
di macellazione.
Per come mi torna alla mente – per essere stato presente qualche volta
tanti anni fa – nella cucina della casa colonica, al calore del fuoco del
camino sul quale era posta una grande “sartania” di ferro, si cuoceva
questa specie di spezzatino grasso - magro e, di seguito, il sangue raccolto durante la macellazione e lessato.
Ingredienti : temperatura esterna vicina a 0°; un camino attivo, non
ornamentale, con relativa dotazione di legna (meglio se fa un po‟
fumo); una grossa padella di ferro; rifilature di carne di una maiale
appena macellato; sangue dello stesso, lessato e tagliato a fettine sottili; aglio, cipolla, la scorza di un‟ arancia, peperoncino piccante, rosmarino, vino bianco o conservato.
Preparazione :
La sequenza delle operazioni di cottura era la seguente:
Pietanze
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I pezzetti di carne ( nell‟ordine di 3,4 chili per un suino di stazza ordinaria), ripuliti del grasso in eccesso, venivano messi a cuocere in
un‟ampia padella di ferro ( la “sartania” per l‟appunto), posta sulla
brace del camino. Si aggiungeva dell‟acqua per evitare una rosolatura troppo secca e violenta e per favorire lo scioglimento della parte
grassa. Per aromatizzare si aggiungevano alcuni spicchi di aglio “vestiti”, qualche rametto di rosmarino, peperoncino a piacere e qualche
dito di vino bianco o “conservato”. Evaporata l‟acqua aggiunta, si
prelevava parte del grasso liquefatto che si era prodotto e la si teneva
da parte per successivo utilizzi. Si terminava quindi la rosolatura della carne, salando e pepando opportunamente.
Tolta la carne dal fuoco, nella stessa padella si versava un po‟ del
grasso liquefatto tenuto da parte e vi si metteva a cuocere abbondante
cipolla tagliata a fette sottili. Appassita la cipolla si aggiungeva il
sangue precedentemente lessato e fatto a fettine, unendo pezzetti di
scorza di arancio e peperoncino in misura … a seconda dei commensali. Si lasciava a soffriggere per alcuni minuti affinché si completasse la cottura e si amalgamassero i sapori.
L‟accompagnamento di qualche buon bicchiere di vino rosso generoso, era di prammatica. Certe scorpacciate!!!
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BACCALÀ
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
CON PATATE
E‟ un classico per la cena della vigilia di Natale anche in Ancarano o
almeno lo era. Può darsi che io non sia aggiornatissimo e che sulle tavole degli ancaranesi sia stato ora sostituito da pietanze diverse. Ma
facciamo conto che sia ancora come una volta. Mi risulta che si cucinasse prevalentemente il “baccalà” ancorché seguendo un ricettario
non proprio univoco. Lo stoccafisso invece, benché “spinga” dalla
confinante Marca, credo sia rimasto opzione di una minoranza di famiglie. Nel nostro gruppo Olivieri-Rampini riuniti, ai quali ex nuptiis
si aggiunsero, benaccolti, da Ascoli, i Clementi, alla preparazione del
baccalà era addetta, al solito, zia Marietta. Lo cucinava in casseruola,
secondo una semplice ricetta per la quale i vari ingredienti venivano
messi tutti a crudo, incluso il baccalà che non veniva precedentemente
infarinato e fritto come invece si usa in molte zone teramane, inclusa
la Val Vibrata, in primis nella vicina S.Omero, dove il baccalà è poco
meno che una religione.
Non ricordo nei minimi particolari la ricetta di zia Marietta, ma poiché, per ormai annosa consuetudine,nella ricorrenza natalizia provvedo personalmente a questa cucina, credo di ripeterla abbastanza fedelmente.
Preparazione
Come diceva, e con tono favolosamente ispirato, l‟amico e compaesano Primo Febi, purtroppo scomparso recentemente - che nel cucinare
Pietanze
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il baccalà si considerava a buon diritto particolarmente versato -, si
comincia disponendo sul fondo del tegame un “letto di cipolle” sul
quale si adagiano i pezzi di baccalà dissalato, spellato e diliscato. Fra
i “tocchi” del pesce si inseriscono in abbondanza pezzi di gambo di
sedano (possibilmente quello dei nostri orti, molto più ricco di profumo e sapore, pur se meno appariscente di quello che si trova dal fruttivendolo), patate tagliate a fette abbastanza spesse, qualche listello
di carota gialla, e pomodoro a pezzi a piacere, ma con misura, perché
piace che il tegame, alla fine, mostri un colore appena rosato. Si distribuiscono sui pezzi un pugno di pinoli, un po‟ di uva passa precedentemente fatta rinvenire in acqua calda, e capperi dissalati. Si irrora il tutto di olio di oliva ed appena un poco di acqua.
Ancora una “spolverata” in superficie di cipolla finemente tritata e
quindi si passa il tegame in forno preriscaldato a 150° - 180° tenendo
coperto ( anche con carta stagnola se non si dispone di un coperchio
della forma del tegame), per una ventina di minuti. Si toglie un attimo
dal forno per eliminare il coperchio e per aggiungere un po‟ di olive
verdi denocciolate,pezzetti di acciughe, anch‟esse dissalate e diliscate, aggiustando infine di sale e pepe. Ancora una mezzoretta di forno
ed il baccalà parrebbe pronto. Ed invece no ! Occorre che si raffreddi e che riposi, quanto più possibile, ancora meglio se la mattina per
la sera, perché, come ammoniva zia Marietta, il baccalà, al pari di altri piatti, è più buono “stato”. Naturalmente prima di consumarlo, va
riscaldato.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
In alternativa, o in aggiunta a quella appena illustrata, la cucina del
baccalà può offrire una proposta di più semplice esecuzione e più
“leggera”, ma non meno buona ed appetitosa: quella del
BACCALÀ
BOLLITO E SERVITO IN BIANCO
con accompagnamento di olio, patate lesse, aglio e prezzemolo, e con
possibilità di attingere ad una salsa verde alquanto aspra e leggermente piccante. Per la salsa, fatta secondo la seguente indicazione di un
amico buongustaio che “ci teneva”, occorrono soltanto poco più di un
quarto d‟ora di tempo ed i seguenti ingredienti :
Per una tazza di salsa verde:
sette acciughe dissalate e diliscate; capperi essiccati o dissalati gr.
50; peperoni sottaceto gr. 50; aglio uno spicchio; prezzemolo un bel
ciuffo; un po‟ di peperoncino; il succo di un limone; un tuorlo d‟uovo
lesso. In una casseruola si fanno scaldare circa 120 cc di olio di oliva. Alle prime bollicine si uniscono gli ingredienti precedentemente
frullati e si va avanti mescolando, contando mentalmente fino a cinquanta: non deve soffriggere. Via dal fuoco, è pronta!67
67
La ricetta mi fu data, anni fa, da Giacomino Rosati (già citato), di San Benedetto del Tronto, al termine di una cena di pesce cucinato da lui in casa sua.
Pietanze
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Per il baccala:
In una pentola capace a sufficienza mettere, a freddo, nell‟acqua, una
bella cipolla; una carota tagliata a pezzi; un gambo di sedano; la
buccia di un limone; un bel ciuffo di prezzemolo. Far bollire per non
meno di una decina di minuti e il “court-bouillon” che deve essere
decisamente saporito, sarà pronto ad accogliere il pesce. Si butteranno via le verdure/odori, si attenderà che riprenda a bollire e si
aggiungerà il baccalà, già spellato e diliscato, lasciandolo a cuocere
per circa un quarto d‟ora o venti minuti. Tolto dal fuoco dovrà essere
tenuto un po‟ umido, sminuzzato un po‟, condito con un filo d‟olio,
con prezzemolo fresco tritato al momento, uno spicchio d‟aglio tagliato a sottili fettine ed olive verdi denocciolate. Nell‟acqua di cottura
del baccalà si lesseranno intanto le patate e, se piacciono, anche un
paio di carote gialle, in proporzione alla quantità del pesce e, una
volta cotte e spellate, si taglieranno a fette a guarnire il vassoio sul
quale sarà stato sistemato il pesce. All‟atto della consumazione si potrà usare, a piacere, la salsa verde, oppure, se più gradita, della salsa maionese eventualmente “corretta” per palati esigenti.
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LU
PULLȄ
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
„NGIP „NGIAP
Anche questo è un piatto di provenienza della Marca ascolana, ed in
famiglia si faceva spesso quando c‟era da cucinare un pollo. Però
credo di aver sentito parlare del pollo “„ngip „ngiap” anche al di fuori
del ristretto ambito familiare. Non ho mai saputo l‟origine del nome,
benché la curiosità mi abbia spinto a chiedere, ma già a pronunciarlo
pare accattivante. In realtà è solo uno spezzatino, però innegabili mi
sembrano i vantaggi almeno per quel che riguarda la garanzia di insaporimento della carne - anche le parti solitamente meno gustose, come
il petto - l‟omogeneità della cottura ed i tempi non troppo lunghi di
preparazione.
Ingredienti:
Un pollo; un bicchiere di vino bianco;lardo e olio d‟oliva; rosmarino,
salvia, aglio; peperoncino; 15/20 olive verdi
Preparazione:
Il pollo va tagliato a pezzi abbastanza piccoli e messo a cuocere in
una casseruola con un battuto di lardo e un po‟ di olio d‟oliva. Si aspetta che sia un po‟ rosolato e, una volta che abbia preso colore, si
irrora ( sfuma) con un bicchiere di vino bianco. Si aggiungono odori:
un rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia, cinque o sei spicchi
d‟aglio vestiti e peperoncino a piacere. Si regola di sale e pepe. Alcuni aggiungono del pomodoro fresco a pezzetti per conservare la carne
più morbida e le olive verdi denocciolate, se piacciono.
Pietanze
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TRIPPA ALL‟ANCARANESE
Trovo la ricetta così “battezzata” in una antica agenda della casa farmaceutica Wassermann dell‟anno 1950 utilizzata dal cugino Ricciardo, come era sua abitudine, per la raccolta di ricette le più svariate,
non solo di carattere strettamente culinario.
Nelle pagine della rubrica telefonica, in fondo all‟agenda Ricciardo
annotava, ovviamente in ordine alfabetico, il nome o il titolo della ricetta, indicando a fianco, col numero del giorno e del mese, la pagina
dell‟agenda stessa nella quale la ricetta veniva descritta. Perché sia
abbia un‟idea della dimensione della raccolta preciso che le pagine
dell‟agenda Wassermann in questione ( regalo dell‟amica e medico
curante Dott.ssa Anna Resnicova, con tanto di dedica datata 11 febbraio 1950), ingiallite dal tempo, sono interamente coperte da annotazioni scritte di pugno dal 1° gennaio al 19 agosto !!
Dal 20 agosto in poi, molto più sporadicamente, proseguo io…
La Trippa all‟ancaranese è alla pagina dell‟8 maggio e, a lato del titolo
si può leggere, fra parentesi: Peppë dë Tabbacchì ( Giuseppe Ciavatta,
macellaio in Ancarano) e nella riga seguente, al centro, sempre fra parentesi : zi‟ Marietta (Olivieri) dalla quale evidentemente Ricciardo
l‟aveva appresa. La trascrivo, anche perché, ho provato a cucinare
quel piatto rispettando fedelmente le istruzioni e l‟ho gradito un bel
po‟.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Preparazione
Trippa di manzo o, meglio, di vitellone, ovviamente ben lavata, lessata
e fatta a pezzi, né grandi né piccoli.
Soffritto con olio, lardo, molta cipolla e, se piace, poco aglio. Quando
è al punto si aggiunge la trippa, il sale necessario, un po‟ di pepe, peperoncino, sedano e maggiorana. Si tira a cottura aggiungendo di
tanto in tanto un bicchiere di vino bianco. Meglio però il nostro “conservato”. Memoria di Peppe: uno nella pentola, uno nello stomaco;…ne consumava un fiasco!! Arrivati a cottura si aggiungono patate fatte a tocchetti e, se piacciono, ma ci dicono, capperi seccati
all‟ombra, senza sale e rinvenuti.
Quando anche le patate son cotte si aggiungono pomodori o anche
conserva di pomodoro stemperata in acqua. Degli uni o dell‟altra
però non troppo: si deve ottenere un colore “rosatello”.
Si completa la cottura per amalgamare i sapori e, prima di togliere
dal fuoco, una buona dose di parmigiano o, meglio, pecorino.
NB: L‟aggiunta del pomodoro o della conserva va fatta quando le patate sono già cotte, altrimenti, diceva Peppe, “lìtëca” e le patate restano incrudite.
Durante la stagione estiva, quando, per fatto naturale, le verdure abbondano per quantità e tipi, è frequente trovare in tavola, a pranzo
come a cena, una pietanza di semplice realizzazione, ma molto gustosa e ricca di profumi. Nei ricettari della cucina teramana è denominata
Pietanze
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“la tièlla”. Credo di averla sentita chiamare così anche in Ancarano,
pure se in casa nostra è sempre stata citata come “la téggia”. La sostanza è fondamentalmente la stessa: un ricco insieme di verdure tagliate a pezzi, diversamente dosate, ma con criterio, perché occorre evitare che qualche profumo o sapore, particolarmente deciso, prevalga
troppo mascherandone altri .
LA
TEGGIA
Questi gli ingredienti ( con l‟avvertenza che le quantità sono solo
un‟indicazione di massima per orientarsi nelle proporzioni ) :
2 o 3 patate; 2 o 3 cipolle ( personalmente trovo indicate le rosse di
Tropea); 4 peperoni “cornetti”; un paio di zucchine; aglio, basilico,
sale, pepe, olio.
Preparazione: Le verdure tagliate a pezzi; le cipolle fatte a fette trasversali, come pure i pomodori, vengono disposte a strati in una teglia
( la “téggia” appunto) rotonda o rettangolare con qua e là qualche
foglia di basilico. Sale e pepe per quanto occorre, ed olio in buona
misura, ma senza esagerare. Può risultare opportuno aggiungere appena un poco di acqua qualora i pomodori apparissero poco acquosi.
Si passa la teglia in forno medio per circa un‟ora e mezza, ma è bene
restare vigili durante la cottura.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Nelle ricette del teramano mi risulta anche l‟impiego della melanzana
e dell‟aglio, ma, come ho detto, è una questione di gusti e di sensibilità a ben bilanciare i sapori.
Dolci
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DOLCI
CIAMBELLE
CON IL MOSTO
Una volta erano un dolce d‟autunno perché legate al periodo della raccolta dell‟uva ed alla disponibilità di mosto fresco. Oggi, volendo, sia
perché si può trovare sempre l‟uva fresca, sia perché penso si possa
conservare il mosto in congelatore, queste ciambelle si possono fare
lungo l‟intero arco dell‟anno. Personalmente tuttavia, poiché non ho
troppa simpatia per le forzature fuori stagione, preferisco pensare che
vadano fatte e consumate nel loro naturale e abbastanza breve arco di
tempo. Così fra l‟altro si evita che finiscano per “stufare”.
Leggo da qualche parte che sarebbero una tradizione tipicamente romana e più precisamente della zona dei Castelli: la cosa è credibile
pensando al vino di quei luoghi, ma non penso di sbagliare se dico che
ad Ancarano si sono sempre fatte, sia in campagna che in paese, e rivedo ancora i testi di ferro con le ciambelle lievitate, portati ai forni
per la cottura, e mi pare di sentire ancora il profumo di quando venivano poco dopo ritirati e rientravano nelle case.
La ricetta, per le dosi e l‟esecuzione, dovrebbe essere la seguente.
Preparazione:
- 300 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Per 3 kg di farina, 3 uova, 600 grammi di olio di oliva, un litro di
mosto, 600 grammi di zucchero, lievito di birra fresco 5/6 panetti,(
oppure lievito naturale, se se ne dispone, in quantità congrua; occorre solo un tempo di lievitatura alquanto più lungo) un pugno di
semi di anice.
Si impastano tutti gli ingredienti insieme, sciogliendo il lievito in un
po‟ di mosto. Si mette a lievitare aspettando circa due o tre ore perché
il volume del‟impasto raddoppi. Si lavora ancora l‟impasto per aggiungere i semi di anice e si formano le ciambelle. Si fanno lievitare
ancora fino a che raddoppiano di nuovo e si mettono al forno a
180/200 gradi per circa mezz‟ora o comunque finché non prendono
colore al punto giusto. La foto che ho recuperato mi sembra renda
bene l‟idea di come dovrebbe apparire il risultato finale.
LA NOCIATA
Dolce della tradizione umbra, lo preparava zia Emma (Olivieri ved.
Rampini) per la Vigilia di Natale, forse perché aveva a disposizione le
noci che aveva raccolto dalle due piante della “Casetta”: era un piccolo giardino/orto, all‟inizio di Via Pastine, dietro la chiesa della Madonna della Misericordia, che Nonno Simplicio Olivieri aveva donato
ai suoi primi nipoti e dove ogni tanto, nella buona stagione, si andava
Dolci
- 301 -
a passare qualche pomeriggio. La tradizione, ora, è stata raccolta da
mia sorella Marialuisa.
Questa, per grandi linee, la
Preparazione:
Si rompono grossolanamente i gherigli delle noci. Si raccoglie, lava
ed asciuga un certo quantitativo di foglie di alloro. Si mette a cuocere
del miele ( le proporzioni: circa 300 grammi di miele per 500 grammi
di gherigli ). Si continua la cottura del miele a fuoco lento, girandolo
con un mestolo, fino a quando brunisce un po‟ (color rame). Si uniscono quindi i gherigli sempre mescolando e quindi si toglie la pentola
dal fuoco. Con un cucchiaio si versa il composto sulle foglie di alloro
e si lascia raffreddare. Ho letto da qualche parte che si spruzza sopra
del limone, ma forse è una variante soggettiva, come sovente capita in
questi tipi di ricette.
Insieme con la nociata era previsto anche
IL CROCCANTE
e, nel nostro gruppo familiare lo preparava Giannino Rampini, fratello
maggiore di Ricciardo e Franco.
Il procedimento è molto noto ed anche piuttosto semplice.
Preparazione :
- 302 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Preliminarmente vanno preparate le mandorle che vanno “spellate”
dopo averle “scottate” in acqua bollente. Vanno quindi ben asciugate
e passate in forno leggero per breve tempo per una opportuna disidratazione e pre-tostatura. Si procede quindi a sciogliere lo zucchero
a caldo ( la proporzione rispetto alle mandorle di 1 : 1) aggiungendo
nella casseruola - preferibilmente di ferro - appena un po‟ d‟acqua.
Un amico, che si diletta personalmente dell‟operazione, riferisce che
allo zucchero aggiunge un po‟ di fruttosio perché questo facilita la fusione, e quindi la lavorabilità, della massa zuccherina (c‟è anche chi
aggiunge il succo di un mezzo limone). Questa deve diventare bionda,
non caramellata, e vi si versano le mandorle tritate grossolanamente,
lasciandole cuocere per pochi minuti. A cottura ultimata l‟insieme
viene versato su di un piano protetto da carta-forno e viene spianato
in strato sottile, circa mezzo centimetro. Prima che raffreddi troppo si
taglia con un coltello in pezzi della forma preferita, a losanghe o rettangoli.
LE
CROSTATE
Sono probabilmente, dalle nostre parti, il dolce più classico per il Natale, fra quelli tradizionalmente fatti in casa. La preparazione base è
quella che prevede l‟uso della marmellata e soprattutto della marmellata d‟uva, variamente condita con aggiunta di cioccolato fondente,di
mandorle tostate e tritate, limone, e persino liquore ( un odore di
Dolci
- 303 -
rhum). Altra preparazione pure molto buona ed apprezzata è quella
della crostata con un ripieno di ricotta, condita con scorza di arancio e
limone, cannella in polvere, uova, zucchero ed anche uvetta.
Ma il dibattito verte sulla pasta frolla: con o senza lievito. La “querelle” è infinita, ma, alle corte, se si preferisce restare legati alla cucina canonica, non c‟è spazio per il lievito e la pasta frolla va fatta senza, pur con qualche margine di scelta fra le diverse ricette che i testi
della cucina d‟autore mettono a disposizione. Uniche regole sulle quali mi dicono che non sia possibile transigere: lavorare la pasta il meno
possibile e darle lunghi tempi di riposo.
LU
FËZIJUÓLË
E mo‟ si complica ….. ma solo perché mi è proprio ignota
l‟etimologia del nome di questo dolce e non sono neppure sicuro che
sia proprio così che vada scritto. Neppure so se la tradizione di questo
dolce sia autoctona o di importazione. So tuttavia l‟essenziale: che è
una vera leccornia. Si potrebbe pensare che il mio sia un giudizio viziato da sentimentale campanilismo. Possibile; però mi torna in mente
quest‟episodio: anno di grazia 1967, festività natalizie. Ero in famiglia, benché militare, ma per Natale in licenza. Un collega, in quei
giorni Tenente, col quale avevo molto legato, Pietro Toniarini D‟Orazi
da Terni, mi prospettò l‟idea di venire ad Ancarano per una “gita fuori
- 304 -
Parte Quinta – Itinerario gastronomico
porta” con sua moglie, tempo permettendo. Pareva una battuta ed invece, con sorpresa, me li vidi arrivare e li presentai a tutto il parentado, riunito, come di consueto, in “casa Olivieri”, nella “ cameretta”
sopra la Porta Nova. Avevamo pranzato da non molto. Esaurite presentazioni e formalità, fu proposto loro di accettare qualche dolcetto
ed arrivò il vassoio con “lu fëzijuolë” già tagliato a fette sottili e del
vino “bambëniéllë” di chissà quanti anni. La conversazione andò
avanti,: …. come era andato il viaggio ( ricordo che nevicava)….. Era
il caso che si trattenessero ….. ed altri convenevoli del caso. Dopo
qualche tempo, fece la sua comparsa a tavola una bottiglia di cognac;
qualcuno chiese a Pietro se ne avesse gradito un bicchierino ….. Ricordo che cortesemente rifiutando, tuttavia, inaspettatamente, se ne
uscì: “ Magari un‟altra fettina di quel dolce di fichi e un po‟ di quel
vino cotto!!” Sono passati quasi cinquanta anni, Pietro è oggi Generale in pensione; io, congedato e … congelato al grado di Tenente,
rammento ancora l‟episodio, ma anche lui!!! Ed ancora oggi, rivangando comuni ricordi, ci facciamo una cordiale risata.
Lu fëzijuolë aveva colpito e lu bambëniéllë pure.
Nel teramano c‟è un “quasi uguale”: si chiamano “libretti”, per la loro
forma sicuramente. Sono infatti a pianta rettangolare e la forma la
prendono da quella del torchio nel quale vengono pressati. Ma andiamo alla ricetta, avuta insieme con altre da mia sorella Marialuisa che
si è anche cimentata personalmente nella confezione di questo “dolcetto”.
Dolci
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Ingredienti per un Fezijuóle:
Fichi bianchi della varietà “Dottato”: almeno un paio di chili; mandorle pelate (un pugno); cioccolato fondente; odore di cannella;
odore di limone;
Preparazione:
Pelare i fichi e metterli al sole coperti da un tulle per farli asciugare
bene (5/6 giorni se il tempo è buono, altrimenti anche una settimana,
facendo attenzione che non prendano pioggia e umidità. Se le notti
dovessero essere fredde è bene rientrare tutto).
Una volta asciutti i fichi, si aprono e si allargano a metà mettendoli
su una spianatoia uno affianco all‟altro, leggermente sovrapposti, fino a realizzare un rettangolo.
Si schiaccia bene tutto per far aderire i fichi e si distribuiscono le
mandorle ( private della buccia e tagliate possibilmente a metà), il
cioccolato a scaglie, la cannella in polvere, la buccia del limone tagliata a striscioline sottili .
Quando è tutto condito, si prende il lato più stretto del rettangolo e si
inizia ad avvolgere su se stesso, comprimendo e stringendo per serrare il rotolo. Dovrà risultare ben compatto ed è quindi necessario
stringere molto bene e chiudere le estremità.
A questo punto si raccolgono foglie di pianta di fico, si puliscono bene
e con queste si avvolge il rotolo ottenuto, legandolo leggermente con
uno spago sottile.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Conservare in luogo fresco o in frigorifero avvolto da un panno per
evitare che asciughi troppo.
Si consuma preferibilmente nel periodo natalizio.
LA
PIZZA DOLCE DI
PASQUA
Mi risulta che come consuetudine sia meno diffusa rispetto alla Pizza
di formaggio, ma presso alcune famiglie si conserva anche questa tradizione. Ho letto da qualche parte che sia una ricetta tipica del ternano e dunque di importazione, ma nei miei ricordi più lontani, quando i
dolci commerciali, specie in paese, erano meno diffusi e reperibili di
quanto non sia oggi, la ritrovo fra le cose che si preparavano ogni tanto anche in casa nostra. Che la ricetta fosse precisamente quella che
riporto di seguito, non potrei giurarlo, però ho provato personalmente
a realizzarla qualche anno fa (2009) e direi che, se non identica, fosse
molto simile a quella che rammentavo.
Questi gli ingredienti, le dosi ed il procedimento:
Si prepara con un giorno di anticipo la pasta madre impastando circa
100 grammi di lievito naturale con 100 – 150 grammi di farina, procedendo circa così:
Si versa la farina in una terrina e si unisce il lievito sciolto in poca
acqua. Si mescola il tutto aggiungendo acqua tiepida quanta ne oc-
Dolci
- 307 -
corre per ottenere un impasto morbido e consistente che potrà essere
raccolto a forma di palla. Si incide la palla con due tagli a croce, si
copre con un panno e si ripone in un luogo tiepido fino al giorno dopo.
Il giorno successivo si prepara l‟impasto con :
- la pasta madre lievitata;
- 650 grammi di farina tipo 0
- 5 uova
- 150 cc di latte
- 80 grammi di olio
- 80 grammi di burro
- 250 grammi di zucchero vainigliato (o con l‟aggiunta di
una bustina di vainillina)
- 50 grammi di lievito di birra sciolti in poco latte tiepido
Si incorpora nell‟impasto un bicchierino di liquore per pizze dolci, o
altro liquore di cui si gradisca il profumo, ed una bustina di vanillina. Si incorpora anche un pugno abbondante di uvetta fatta rinvenire,
un pugno di canditi e la buccia grattugiata di un limone ( c‟è chi utilizza anche la buccia di arancio)
Si lavora fino ad avere un impasto liscio ed elastico, lo si depone entro una casseruola capiente a sufficienza ( ho usato la stessa della
pizza di cacio) imburrata sul fondo e sulle pareti.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Si attende che lieviti ( dovrebbe diventare circa il triplo) e si inforna a
180 gradi per un‟ora e un quarto.
Un altro dolce che ricordo come presenza fissa nel menù del pranzo
di Pasqua era il
CIAMBELLONE ALLE MANDORLE
Chiudeva il pranzo, a volte insieme con la”Pizza dolce”, quando non
erano ancora venute di moda le “colombe” commerciali, e, per non
dover “murare a secco”, si accompagnava con un bicchiere di
“bambëniellë”. Mia sorella Marialuisa, che lo prepara anche adesso e
che mi ha anche fornito la ricetta, mi precisa che in casa Olivieri era
tradizione che questo dolce si facesse, oltre che a Pasqua, anche per il
giorno di San Giuseppe (19 marzo).
Ingredienti:
farina 00 kg 1, uova 8 intere, latte meno di un quarto di litro, zucchero gr 450, burro gr 200, mandorle gr 200 pelate e finemente tritate,
lievito Angeli per un kg, scorza di limone.
Preparazione:
Montare le uova con lo zucchero a lungo, fino a che il composto risulti chiaro, incorporarlo al burro, precedentemente ammorbidito e la-
Dolci
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vorato. Proseguire con l‟aggiunta della farina, il latte, il lievito e la
scorza di limone grattugiata. L‟impasto deve risultare molto morbido.
Aggiungere la metà delle mandorle triturate, versare il tutto in un tegame di circa 40 cm di diametro già imburrato. Distribuire sulla superficie dell‟impasto il resto delle mandorle mescolate ad un cucchiaio abbondante di zucchero. Mettere in forno caldo a 170° per circa 45/60 minuti.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
VARIE
LU
LÈVËTË
Quando ero bambino ed abitavo in corso Spalazzi, nel centro storico
del paese, nell‟immediato dopoguerra, il pane non si vendeva nelle
botteghe di generi alimentari del paese, né da Ianni, né da Ggittë, né
da Lu Ciuoppë né da Loreto ( le botteghe di generi alimentari erano
tutte in Corso Spalazzi) il pane veniva fatto presso ogni famiglia, cliente “abbonata”, per così dire, di uno dei due forni attivi in paese:
quello di Celestrì Fioravanti ( o di Clarìce: sua moglie), vicino alla
Porta Nova, oppure quello di Gnësina Romagni, vicino alla Porta da
mare. E il pane si faceva, come d‟uso, con il lievito naturale che ogni
famiglia conservava pronto per la bisogna. Oggi se si vuole il lievito
naturale bisogna andare su internet e confrontarsi con una miriade di
ricette, a volte apparentemente complicatissime.
Il pane fatto in casa è sempre stato, da che mi ricordo, una mia passione, per una merenda con qualche fetta di lonza o con spalmato del
lardo macinato condito con un po‟ d‟aglio e del prezzemolo sminuzzato. Per merende più ghiotte e raffinate il lardo macinato veniva sostituito dal lardo, raschiato con la lama di un coltello, dal prosciutto che
pendeva nella dispensa ed era allora una più saporita e profumata leccornia. Poi arrivarono il progresso e la modernità e con essi pure il pa-
Varie
- 311 -
ne bianco nelle botteghe alimentari. I forni di Clarice e di Gnësina
chiusero i battenti, sostituiti da un forno più moderno e commerciale
tutt‟ora esistente ed in piena e florida attività ( oggi Ditta Florindo Valeri ).
Da adulto, specialmente dopo aver recuperato la quasi piena disponibilità del mio tempo, di tanto in tanto mi si risvegliava la fantasia di
assaggiare ancora il sapore del pane fatto in casa e cercavo di “sgamare” la tecnica di come farlo da qualche buona amica vicina di casa,
abbastanza matura ed esperta perché potessi fare sicuro affidamento
sulle necessarie conoscenze in materia. Ogni volta tuttavia, parlandone, finivo per scontrarmi con il mistero del lievito ….”Ma come si fa
questo lievito?”, chiedevo, e mi sentivo rispondere che si andava in
prestito dalla ” chëmmare” e poi si conservava su di un piatto… e poi
si faceva rinvenire …… Mai nessuno che mi spiegasse la procedura
con partenza da zero! Alla fine, come sempre ormai, ultima preziosa
risorsa: la rete.
Le radici della scoperta del lievito pare risalgano all‟Egitto dei Faraoni, quando un‟ancella addetta alla preparazione del pane, forse perché
presa da più urgenti impegni o da altre più “private” incombenze, dimenticò di aver ammassato il pane da mettere al forno e, quando se ne
rammentò, non azzardandosi a buttar via le pagnotte già preparate,
nonostante fosse trascorso più tempo di quello dovuto, le passò ugualmente nel forno affidandosi alla buona sorte. Ne risultò sorprendentemente, dopo la cottura, un pane più soffice e più saporito del so-
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
lito e dunque più gradevole da mangiare: si era così scoperta, per puro
caso, la lievitatura.
Dopo i cenni storici, veri o frutto di fantasia, seguono di solito istruzioni dettagliatissime, spesso complicate ed a volte scoraggianti, per
la produzione del lievito naturale, con dotte enunciazioni dei meccanismi fisici e chimici che hanno come risultato la formazione di un panetto di lievito.
Dopo un‟ormai pluriennale esperienza ( da sette, otto anni in casa nostra si consuma quotidianamente pane prodotto da me) sono in grado
di descrivere il procedimento seguito per fare lievito naturale e posso
assicurare che è cosa molto meno complessa di quanto da alcuni si
voglia far credere.
Preparazione:
Si inizia procurandosi una pera ben matura ( vanno bene anche altri
frutti, ma riferisco, passo-passo, il procedimento seguito da me). Si
tolgono buccia e semi e si frullano gli spicchi o si passano con uno
schiacciapatate. Si mette la poltiglia che ne risulta in un bicchiere capace e si aggiunge un po‟ d‟acqua per avere un insieme un po‟ più liquido. Si copre il bicchiere con un tovagliolo o con dello scottex, (importante è che il contenuto respiri) e si aspetta che l‟intruglio inacidisca. Ci si accorge dell‟inacidimento dall‟odore, o perché si formano
delle bollicine in superficie, altrimenti, nel dubbio, si assaggia: deve
sapere di acido. Si filtra l‟intruglio con il tovagliolo ( è importante
Varie
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che sia assolutamente pulito) si raccoglie il liquido e con esso si ammassa un poco di farina, quella che il liquido “si tira”, fino ad ottenere una palla di impasto morbida, della consistenza, al tatto, di un lobo
di orecchio,… più o meno.
Se tutto è andato per filo, il più è fatto. Volendone la prova provata, si
riempie d‟acqua un vaso di vetro alto circa un palmo e vi si immerge
la palla di impasto appena formata. Essa andrà a fondo, ma se i lieviti
si stanno moltiplicando, nel giro di 24-36 ore, o anche prima, la palla
verrà a galla perché i lieviti l‟hanno riempita di anidride carbonica
rendendola più leggera. Così i giochi sono compiuti. Resta ora da
provvedere al cosiddetto “rinforzo” o “rinfresco” per far diventare il
lievito più potente. Si riprende la palla di impasto e con una metà di
essa ( l‟altra metà si può anche gettarla nella pattumiera) si fa una
nuova palla aggiungendo acqua e farina fino a raddoppiarla. La si
mette quindi in una ciotola di ceramica o anche di plastica per alimenti e si aspetta: nel giro di 6-8 ore ( dipende anche dalla temperatura) l‟impasto si gonfia fino a quasi raddoppiare il suo volume. Il
lievito è pronto e ci si può fare il pane. Per la conservazione nel tempo è bene che non venga a contatto con il sale e può invece essere opportuno, di tanto in tanto, aggiungere al lievito messo a conservare
nella ciotola, in occasione di nuovi “rinfreschi”, un cucchiaino di
miele o di zucchero per dare nutrimento ed energia alle “bestiole”.
Può capitare che, se inutilizzato per troppo tempo, vada a male. Ci se
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
ne accorge perché cambia odore ed anche colore. Si butta tutto e si
ricomincia da capo, ma niente paura: ogni volta è più semplice.
Per la panificazione uso, di norma, farina 0 o 1, con aggiunta di farina
di grano duro e di farina integrale. La cottura di una o due pagnotte richiede circa un‟ora in forno a circa 200 gradi.
LA
PIZZA DË CASCË
Il lievito naturale non serve solo per il pane …. Nel periodo pasquale è
d‟uso fare le “pizze dë cascë”, dette anche, in Ancarano, “spianate”,
ancorché non mi sia chiara la ragione di questa denominazione, perché
tutto sono meno che spianate …., ma tant‟è, ciò che conta è che vengano buone!
Non è una preparazione difficile, anzi. E‟ molto importante però, si
capisce, che siano di qualità gli ingredienti base, in primis il formaggio che deve essere pecorino, stagionato al punto giusto e saporito,
senza indulgenze parmigia- nesche,.
Ne riporto le dosi, sperimentate per fare una pizza formata e cotta entro una casseruola di alluminio a pianta circolare, del diametro di
cm.24, alta cm. 13. Le ricavai da una antica ricetta di famiglia, dettata
però dal Sig. Ennio Massimi, benemerito cittadino ancaranese al quale
si attribuivano molte virtù, fra le quali anche di essere un appassionato
e raffinato cuoco ( famose le sue tagliatelle e le olive ripiene
Varie
- 315 -
all‟ascolana che con abbondanza era solito offrire agli amici in una
ricorrente riunione conviviale, nel periodo delle feste natalizie. Mi
sembra di ricordare che ci fosse una specie di tacita gara a chi di olive
ne mangiava di più….Io, all‟epoca, ero ancora ragazzo e per partecipare direttamente …. ahimè, non avevo l‟età…).
Preparazione:
Per sette uova, procurarsi o preparare gr.600 di massa lievitata del
pane; cr.180/200 di pecorino stagionato grattugiato; gr. 50 di lievito
di birra fresco; gr. 80 di olio o strutto; circa un kg di farina di grano
tenero, tipo 0.
Va sciolto il lievito di birra in una tazza da tè di latte tiepido. Si dispone poco più della metà della farina sulla spianatoia e si includono
le uova, il lievito di birra sciolto come detto, l‟olio o lo strutto, il pecorino grattugiato, la massa del pane, un pizzico di sale. Si impasta e
si aggiunge tutta la farina residua che l‟impast0 “si tira” e si lavora
fino a che l‟insieme non risulta ben amalgamato, abbastanza morbido, ma non appiccicoso . Si unge con burro o margarina l‟interno della casseruola e vi si adagia l‟impasto lavorato. Si copre e si mette a
lievitare al caldo, ma non troppo, evitando l‟esposizione a correnti
d‟aria. Si attende che la lievitazione si compia ( nella sperimentazione
fatta la casseruola si è quasi interamente riempita); se piace si indora
con un uovo sbattuto la superficie superiore della pizza e si mette al
forno a 180 gradi. Cuocerà in meno di un‟ora.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
In Ancarano credo che la pizza di formaggio si faccia più o meno così
presso tutte le famiglie. Così pure in Ascoli, ma ho letto che l‟origine
della ricetta è umbra e da quelle parti pare che qualche marginale diversità ci sia. Per esempio aromatizzano, mettendo nell‟impasto del
pepe nero macinato.
Con gli stessi tipi di ingredienti con i quali si fa la pizza di formaggio - ma diversi, come subito si potrà vedere, sono i dosaggi, il tipo di
lavorazione e l‟assenza di lievito – si prepara un‟altra vera prelibatezza tipicamente pasquale proveniente anch‟essa dall‟ascolano:
LI CAGGIÙ
In Ascoli si chiamano “pëcù”, italianizzando: “piconi”, altrove, ma
sempre nel sud delle Marche, “cacioni”; in Ancarano, “li caggiù” e
quella che segue è la ricetta:
Ingredienti
Per l‟impasto: 50 gr di pecorino di media stagionatura, grattugiabile,
per ogni uovo;
Per la sfoglia: per 20 uova di impasto occorrono 6 uova circa, 500 gr
di farina 00, acqua nella quantità di due gusci d‟uovo, una noce di
burro o strutto.
Varie
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Preparazione:
L‟impasto si prepara la sera prima sbattendo le uova come per una
frittata, facendo attenzione che albume e tuorlo siano bene amalgamati, senza però montarli. Aggiungere il formaggio grattugiato un po‟
alla volta fino ad ottenere un impasto abbastanza sodo tale da mantenere eretta la “cucchiaietta” utilizzata per la lavorazione; è tradizione tracciare una croce greca sull‟impasto e coprire con un telo
bianco.
Volendo anticipare il lavoro per il giorno successivo si può preparare
anche l‟impasto per la sfoglia, si avvolge nella pellicola e si conserva
in frigo.
La mattina seguente si preparano sfoglie sottili, come per i ravioli in
genere. Si pone una cucchiaiata di impasto sulla sfoglia, si copre con
la parte restante, si pigia per chiudere il tutto e si tagliano in forma di
“mezzaluna”con la rotella dentellata: Si posizionano sul testo precedentemente unto, distanziati di circa 2 cm., si indorano e successivamente si pizzicano con una forbice sulla parte convessa del raviolo
creando un‟incisione sempre a forma di piccola croce; completato il
primo testo si provvede subito ad infornare in forno normale elettrico
a circa 170 gradi per circa 25/30 minuti.
Sono un appetitoso antipasto da accompagnare con salame nostrano,
per il giorno di Pasqua insieme alla pizza di formaggio, o per le merende del giorno di”Pasquetta”, lunedì dell‟Angelo.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
In paese era d‟uso, quando la benedizione delle abitazione veniva
portata dal Parroco il sabato santo, porre queste preparazioni sul tavolo perche venissero benedette e nessun componente famiglia assaggiava alcunché,prima di tale devota consuetudine.
OLIVE
IN SALAMOIA
( all‟antica )
L‟oliva verde, possibilmente la tenera ascolana, si “cura” praticamente
ovunque, anche in Ancarano, lasciandola immersa in una soluzione di
acqua e soda caustica in proporzione di 21 grammi di soda per litro di
acqua. Dopo alcune ore si verifica dove è arrivata l‟azione “curante”
della soda all‟interno dei chicchi di oliva ( la polpa prende un aspetto
“bagnato”) e quindi, oltrepassata di poco la metà dello spessore della
polpa, si tolgono le olive dal bagno nella soluzione, si sciacquano e si
mettono di nuovo a bagno, ma in acqua, cambiandola ripetutamente
per qualche giorno fino a quando non rimane limpida ed incolore. Poi
si fa la salamoia e si stiva l‟oliva “curata” in vasi di vetro per la conservazione e l‟ulteriore addolcimento, aggiungendo in abbondanza
pezzi di gambo di finocchio selvatico.
Sapevo tuttavia che un tempo l‟oliva veniva “curata” con procedimento ed ingredienti un po‟ diversi ed alla fine riuscii ad avere le istruzioni del caso. A fornirmele fu la Dott.ssa Giovanna De Amicis, della
Varie
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vicina Torano Nuovo, che ripescò la ricetta fra le carte di famiglia,
trascritta da lei il 3 ottobre 1979 alle ore 17,32 ! ! Quando si dice la
precisione!!! La copio ora a mia volta, e la ripropongo così come mi è
stata data, precisando di averla provata in prima persona:
Preparazione:
Per kg. 4 di olive verdi:
3 piatti piani di cenere ed 1 di calce. Aggiungere un po‟ di acqua e
fare un impasto abbastanza denso. Girare spesso. Dopo circa 3 ore
controllare fino a dove l‟impasto è penetrato. Si può far arrivare fino
al nocciolo se si consuma subito, altrimenti a metà. Dopo aver sciacquato le olive si lasciano stare tre giorni cambiando l‟acqua mattina
e sera. Dopo tre giorni si fa la salata che consiste di: finocchi bastardi ( n.d.r.: non è un dispregiativo sessuofobo; sta per selvatici) gr. 70
di sale per chilo, acqua da regolarsi. Dopo 10 giorni si rifà la salata,
però con gr. 50 al chilo di sale.
Il risultato è ottimo: la “cura” più lenta, con l‟oliva che, alla fine, risulta più dolce e col nocciolo che non “pizzica” sulla punta della lingua.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
LA COTOGNATA
Non saprei dire quanto sia diffusa in paese l‟abitudine di utilizzare le
mele cotogne per questa preparazione: nella nostra famiglia è tradizione abbastanza datata, ma conosco anche altre persone che si tolgono lo “sfizio” ogni tanto di preparare questi gustosi “fruttini”, molto
adatti ad essere conservati anche a lungo, per essere poi consumati o
ad uso di bimbi, magari per una distrazione da qualche occasionale
capriccio, ma anche di adulti in caso di tossi alte e “stizzose” da calmare con qualcosa di emolliente che non sia per forza un farmaco.
Ingredienti: mele cotogne, zucchero.
Preparazione:
Lavare bene le mele cotogne e pulirle bene all‟interno soprattutto nella parte del torsolo, che è molto duro. Immergere subito i pezzi in acqua, leggermente acidulata da un po‟ di succo di limone, perché altrimenti tendono a scurirsi. Si mettono a cuocere in un tegame con
acqua fino all‟orlo delle mele. Far cuocere bene fino a che le mele
possano sfaldarsi.
Si scolano e il liquido ottenuto può essere utilizzato per fare della gelatina. Le mele, ben scolate, vengono passate con il passatutto (a mano) e la polpa che se ne ricava viene pesata e poi messa sul fuoco a
bagnomaria per farla asciugare. A parte, si prepara un tegame con lo
zucchero (nella quantità della metà abbondante del peso della polpa:
per 1 kg di polpa, 600 gr circa di zucchero) e acqua, che deve bagnarlo interamente. Si mette sul fuoco e si fa bollire fino al grado di cara-
Varie
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mello..A questo punto viene versato nella polpa ed amalgamato. Si
aggiunge una spolverata di cannella e si cuoce, sempre a bagnomaria, per almeno 1 ora girando di tanto in tanto.
Quando è pronto, si versa su una superficie liscia su carta da forno, si
livella fino ad avere uno spessore di 2 cm circa e si fa asciugare. Ogni
giorno, questa “lastra” verrà girata dall‟altro lato. Ci si può aiutare
mettendo la cotognata nel forno riscaldato a 50° e spento, in modo
che il calore acceleri l‟asciugatura. Questo procedimento dura fino a
che la cotognata risulta dura e compatta, dopo di che si taglia a piccoli quadratini o si possono creare delle formine a piacere.
Il liquido di cottura delle mele cotogne può‟ essere utilizzato per farne
una gradevole gelatina da utilizzare per colazione. Si pone sul fuoco
dopo averlo pesato con l‟aggiunta di zucchero pari alla metà abbondante del peso, si aromatizza con un pezzetto di cannella e di vainiglia avvolti in una garzina legata alle estremità come una caramella e
si fa bollire fino a che prenda densità, quindi si versa nei vasetti di
vetro come se si trattasse di una marmellata.
La densità può essere controllata versando una piccola porzione del
composto su un piattino attendendo che raffreddi: se si addensa la gelatina è pronta.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
VINI
IL VINO
E LIQUORI
CONSERVATO
E‟ probabile che le origini di questo “trattamento” del mosto siano legate ad esigenze di aver qualche garanzia in più di buona conservazione del vino anche in annate in cui la gradazione zuccherina
dell‟uva raccolta era piuttosto scarsa.
Si sostiene anche che le ragioni di fare il “conservato” risiedessero
nella non disponibilità di un raccolto di uva selezionata, ma spesso di
uve miste, bianche o nere, vitigni diversi. Quali che siano comunque i
motivi, sta di fatto che quella di fare il “conservato” era abitudine
molto diffusa. Per quel che ricordo anche in casa paterna Olivieri, a
tavola, si beveva praticamente solo conservato, e un poco di rosso si
faceva ad uso praticamente esclusivo di mio padre - che mi diceva di
un‟antica piccola vigna di Bordeaux da lui impiantata….- e poi, più
tardi, Montepulciano d‟Abruzzo.
Ad ogni modo così si faceva il “conservato.
Preparazione :
Stabilita la quantità di vino da ottenere, si prendeva circa il 20% del
mosto “destinato” e lo si faceva bollire nell‟apposito caldaio su “lu
catënàrë” per lunghe ore, fino ad ottenere una riduzione a circa un
Vini e liquori
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quarto del volume iniziale (per ingannare l‟attesa ricordo che, fra
l‟altro, si metteva sotto la la cenere rovente che si formava sotto il
caldaio, qualche patata che aveva così tempo e modo di arrostire per
un gustoso spuntino, di tanto in tanto).
Il concentrato, che frattanto durante la bollitura aveva spesso preso
un certo sentore di caramello, veniva quindi messo a raffreddare in
tini di legno duro e, una volta freddo veniva aggiunto al mosto dal
quale era stato prelevato, versato nella botte ed ancora in attesa di
iniziare la fermentazione. Si lasciava quindi che la natura facesse il
suo corso e si attendeva, con pazienza, fino, grosso modo, alla primavera, per assaggiare il risultato.
Tutto questo qui da noi, di qua da Tronto, cioè “ a Regnë ”.
Di là a Tronto la pratica è un po‟ diversa, ancorché finalizzata al medesimo scopo. L‟intero quantitativo di mosto da rendere “conservato”
si fa bollire, fino a ridurne la quantità originaria pari a quella ottenuta
col metodo precedentemente descritto. La differenza, apprezzabile al
gusto, sta proprio nella mancanza del sentore di caramello ….
LU
VI‟ COTTË
( BAMBËNIELLË )
Destinato ad essere bevuto come accompagnamento a dolci come la
crostata, o biscotti tagliati, o con “lu fëzijuolë”. Usato anche come
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
“parafarmaco”, ad azione ricostituente, con contestuale ingestione di
un uovo fresco, per un numero di giorni congruo rispetto al grado di
debilitazione da combattere.
Preparazione:
Per fare il vino cotto si preleva dalla spremitura dell‟uva il quantitativo di mosto che si è stabilito di lavorare per il cotto e lo si mette a
bollire nel solito caldaio fino a che non si ritira fino al 25% circa del
volume iniziale. A questo concentrato, una volta raffreddato, si aggiunge mosto fresco nella quantità necessaria a ripristinare il volume
originario. Si versa in botte di legno di qualità ed ivi si lascia a fermentare e quindi ad invecchiare per anni. Dopo qualche anno di invecchiamento matura i caratteri per aver diritto ad essere denominato
“LU BAMBËNIELLË”. Nel contempo, per quel che “beve” la botte e per
eventuali piccoli consumi, anche di prova, si provvede annualmente ai
necessari rabbocchi.
IL NOCINO
DI
RICCIÀ
Riporto questa ricetta, tratta dalla famosa “agenda” di mio cugino
Ricciardo che ho già avuto modo di menzionare, in segno di meritato
riconoscimento al valore delle svariate preparazioni liquorose di cui
mio cugino si dilettava ed anche perché, fra le diverse “versioni” di
Vini e liquori
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nocino che mi è capitato di assaggiare, sia di provenienza commerciale, sia di produzione “casereccia”, è quella che mi è parsa di gusto
più gradevole.
Preparazione:
Le noci vanno raccolte nella seconda metà del mese di giugno ( il
giorno di San Giovanni: 24/6 ) e tagliate in quattro pezzi, o anche di
più.
Per gr. 500 di noci:
gr. 10 di cannella in stecche
gr. 10 di noce moscata ( una di media grandezza)
n. 15 chiodi di garofano
n. 2 o 3 semi di cardamomo
la buccia di un limone
Si mette il tutto in infusione in cc. 500 di alcool “buongusto” diluito
con cc. 250 di acqua in modo da avere una gradazione di circa 60°.
Si lascia in infusione per 70 giorni agitando di tanto in tanto, quindi
si filtra.
Alla TINTURA così ottenuta va aggiunto lo SCIROPPO (acqua – zucchero) preparato con gr. 500 di zucchero e cc. 500 di acqua ed infine ALCOOL buongusto, nelle seguenti proporzioni:
cc. 100 di tintura; cc 100 di sciroppo; cc. 50 di alcool 95 °.
E‟ consigliabile lasciar stagionare il liquore per almeno qualche mese
prima di consumarlo.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Ottima cosa se si riesce a costituire una scorta, rinviando il consumo
all‟anno successivo rispetto a quello di produzione.
VINO
ALLA GENZIANA
Di questa preparazione si occupa abitualmente l‟amico Ennio Camponi, che non ha avuto problemi a rilasciarmene la ricetta, oltre che a
darmi un probante assaggio del prodotto.
Del vino bianco che occorre, genuino e di qualità, egli dispone personalmente poiché ha di che farne raccolto. Ignoro da quale fonte gli
venga la genziana, ma so comunque che non viene acquistata in erboristeria. Per le altre droghe, sono facilmente reperibili sul mercato alimentare.
Gli ingredienti, le dosi ed il procedimento:
in un litro di vino bianco si mettono in infusione 40 gr. di radice di
genziana; 5 o 6 semi di centaurea , 10 o 12 semi di coriandolo; 2 chiodi di garofano, una mezza stecca di cannella. Si lascia macerare per
25/30 giorni. Si filtra e si aggiungono 50 grammi di zucchero e 50 cc
di alcool 95°.
La bevanda è assolutamente gradevole al palato e, considerati gli ingredienti, dovrebbe avere proprietà stomachiche e quindi essere adatta
come aperitivo, come digestivo, o … ad libitum.
Vini e liquori
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Per chi desiderasse un “amaro” di maggior contenuto alcoolico, aromatico e straordinariamente ben “bilanciato” nell‟assemblaggio dei
tipi e delle quantità degli ingredienti, soccorre la solita agenda di Ricciardo Rampini, che alla pagina del 24/1 propone questo “liquore
amaro” denominato, per acronimo, “Arabassec 7” dove il 7 è riferito
al numero delle erbe che vanno messe in infusione.
ARABASSEC 7
Ingredienti e Preparazione:
Assenzio gr. 30; Arancio amaro gr. 20; Cascarilla gr. 2; Centaurea
gr. 10; China gr. 40; Genziana gr. 25; Rabarbaro gr. 20.
Alcool 85° lt. 1
Lasciare in infusione per 15 giorni agitando frequentemente. Indi filtrare per ottenere la tintura.
A cc.25 di tintura aggiungere cc. 300 di alcool 95°; gr. 300 di zucchero sciolti in cc. 500 di acqua.
Se in luogo dello zucchero semolato si volesse usare del fruttosio la
quantità va ridotta del 30%, dato il maggior potere dolcificante.
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Parte Quinta – Itinerario gastronomico
Penso, a questo punto, di aver percorso
interamente, o quasi,
l‟itinerario che mi ero prefisso. Qualcosa ho lasciato per strada sicuramente: poiché l‟appetito è stato solleticato alquanto, mi viene in
mente, ad esempio, la cucina del coniglio ( occorre ricordare che in
Ancarano da molti anni, nel mese di agosto si organizza una sagra che
dura circa una settimana, denominata proprio “Sagra del coniglio italiano”, molto frequentata ed evidentemente apprezzata), o dei fagioli
con le cotiche e l‟osso del prosciutto, o delle lumache ed altre ancora,
come pure avrei qualcosa da dire sui bucatini all‟amatriciana, sugli
spaghetti alla carbonara, per i quali conservo un formidabile ricordo
di un cuoco trasteverino dal quale ebbi la ricetta, ma credo che un ulteriore e più impegnativo “fuori pista” si allontanerebbe troppo e senza giustificabile motivo dall‟ambientazione ancaranese di questa appassionante e divertente, almeno per me, passeggiata.
Ancarano, gennaio 2012
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Alla realizzazione di “Ancaraneide” hanno collaborato tanti compaesani - quando coinvolti od interpellatii, ma anche di propria spontanea iniziativa animati da genuino e caloroso interesse a contribuire a che della tradizione del nostro paese possa
restare un piccolo segno in più. Fare l‟elenco delle
persone esporrebbe al rischio di involontarie dimenticanze, dunque il ringraziamento va a tutti gli ancaranesi, a quelli che hanno già fornito il loro apporto
ed a quelli che vorranno farlo per l‟avvenire, visto
che, giova ricordarlo, Ancaraneide, come è
nell‟intenzione degli autori, vuole essere “opus
apertum” .
°0°
Ancaraneide, nella versione originaria, articolata sulle prime quattro parti risultanti
dall‟indice generale, è stata edita a stampa nel dicembre 2011, in Ancarano, negli
stabilimenti di Stampitalia S.r.l, alla quale vanno sentiti ringraziamenti per
l‟apprezzata collaborazione.
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Seconda edizione - Comune di Ancarano