ANCARANEIDE Ricciardo e Franco Rampini Il linguaggio, ovvero insieme di parole e di espressioni utilizzate e comprese da una comunità di persone è componente essenziale delle radici storiche della stessa. Grazie a questa combinazione la comunicazione è facilitata ed ogni espressione di pensiero viene resa viva e trasmessa. Il libro “Ancaraneide” rappresenta un punto fondamentale storico del nostro comunicare, dove si evince il rapporto tra la nostra lingua madre italiana ed il dialetto che racconta il modo di essere “Ancaranesi”, la sua essenza, la sua storia, come patrimonio che va protetto , perché perderlo potrebbe far venir meno la nostra identità e la nostra cultura. A cornice dell'opera si rilevano i detti popolari, le casate, i giochi, i canti e le filastrocche che rendono vivace la lettura permettendo di riflettere e capire i nostri costumi. Il Consiglio e la Giunta Comunale di Ancarano, attraverso l'Assessorato alla Cultura guidato dall'Assessore Cadia Viola e le conoscenze informatiche del Consigliere Andrea Marotta, hanno voluto supportare la stesura dell'opera proprio per far si che la nostra storia venga valorizzata, diffusa e lasciata in eredità. Ringrazio di cuore coloro che hanno collaborato, per aver donato a tutti noi Ancaranesi questo tesoro da conservare nella nostra vita quotidiana, gli autori Ricciardo Rampini, Franco Rampini, Francesco Rampini e Simplicio Olivieri e la signora Maria Luisa Olivieri per aver portato alla nostra attenzione l'idea che si stava concretizzando. Pietrangelo Panichi Sindaco di Ancarano Ricciardo e Franco Rampini ANCARANEIDE A cura di Francesco Rampini ( opus apertum ) Lemmi aggiunti all‟opera originale ed altre integrazioni, di norma contrassegnati con un “ * “, sono stati raccolti ed inseriti da Simplicio Olivieri, cugino degli Autori. -2- Sommario Note biografiche essenziali Ricciardo Rampini Ancarano 1910 - Ascoli P. 1981 Franco Rampini Ancarano 1914 - Ancarano 2007 Francesco Rampini Ascoli Piceno 1938 - Ravenna 2011 Simplicio Olivieri Ancarano 1940 ***** Risiede in Ancarano Sommario -3- SOMMARIO PARTE PRIMA ...................................................... - 9 A „N G A R Á ................................................... - 11 Alluóchë, scrià, novunque… ............................. - 13 P REFAZIONE ............................................... - 17 - G R A F I A F O N E T I C A .................................... - 21 G L O S S A R I O .................................................. - 23 D E T T I & M O T T I......................................... - 123 A P P E N D I C E ................................................ - 137 PARTE SECONDA ............................................. - 145 L U Z Z Ë R R I Ó .............................................. - 147 PARTE TERZA ................................................. - 193 CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI ............ - 195 PARTE QUARTA............................................... - 221 - -4- Sommario C A N T I .......................................................... - 223 F I L A S T R O C C H E ........................................ - 232 NON P R O P R I O..… B E N E A U G U R A N D O ... - 253 - PARTE QUINTA................................................ - 256 E MO‟… TUTTI A TAVOLA !!..... ............................. - 258 BRODO DI PESCE ............................................ - 261 LI TAJLÌ DË LA MADONNA DË LA PACE ................... - 263 INTRODUZIONE............................................... - 263 PREPARAZIONE .............................................. - 266 P R I M I P I A T T I ............................................ - 269 SUGO DI MAGRO ........................................... - 269 - RAVIOLI DI RICOTTA ........................................ - 272 LI PAPPARDELLE ............................................ - 272 - LI FRASCARIELLË .......................................... - 274 LI TACCUNIELLË ........................................... - 275 - Sommario LU -5- PA‟ „NGALLUCCË ....................................... - 276 - OVA A MËNESTRA ........................................... - 277 L‟UOVË „N PRËHATORIË ( l‟uovo in pugatorio) .... - 277 RISO CON LA CICORIA.................................... - RISO „N CAGNÓ ............................................ - MINESTRA LI DI FAVA LI 279 - ...................................... - 281 - MACCARÙ DË LU MACHËNÀ ..................... - PAPPARDELLE 278 - 282 - AL SUGO DI PAPERA ............... - 284 - FRȄGNACCȄ .............................................. - 284 - P I E T A N Z E ................................................... - 286 LI LA CHËPPIETTË .............................................. - 286 - SARTANIA DË LU PUORCHË ...................... - 287 - BACCALÀ CON PATATE .................................. - BACCALÀ BOLLITO E SERVITO IN BIANCO LU PULLȄ 290 - ......... - 292 - „NGIP „NGIAP .................................. - 294 - -6- Sommario TRIPPA ALL‟ANCARANESE .................................. - 295 LA TEGGIA ................................................... - 297 - D O L C I .......................................................... - 299 CIAMBELLE CON IL MOSTO ............................. - 299 - LA NOCIATA ................................................. - 300 IL CROCCANTE .............................................. - 301 LU FËZIJUÓLË ............................................... - LA PIZZA DOLCE DI 303 - PASQUA ........................... - 306 - CIAMBELLONE ALLE MANDORLE......................... - 308 V A R I E .......................................................... - 310 LU LA LÈVËTË .................................................. - 310 - PIZZA DË CASCË....................................... - 314 - LI CAGGIÙ ................................................... - 316 OLIVE IN SALAMOIA ( all‟antica ) .................... - 318 - LA COTOGNATA ............................................ - 320 - Sommario VINI -7- E L I Q U O R I .......................................... - IL VINO LU CONSERVATO ..................................... - VI‟ COTTË IL NOCINO VINO DI 322 322 - ( BAMBËNIELLË )........................ - 323 RICCIÀ..................................... - 324 - ALLA GENZIANA ..................................... - 326 - ARABASSEC 7 ............................................... - 327 - -8- Sommario A „Ngarà – Vocabolario di Ancaranese PARTE PRIMA degli ancaranesi…… LESSICO PAESANO -9- - 10 - Parte Prima - Lessico paesano A „Ngarà – Vocabolario di Ancaranese - 11 - A „N G A R Á Vocabolario di Ancaranese Ricciardo e Franco Rampini a cura di Francesco Rampini - 12 - Parte Prima - Lessico paesano Alluóchë, scrià, novunque… - 13 - … riflessione del Prof. Elio Di Michele… Ancaranese di Roma. Alluóchë, scrià, novunque… Ogni dialetto, si sa, riproduce un mondo. Il lessico, le cadenze, i fonosimbolismi ripercorrono la storia di una civiltà, la ricreano, la rendono viva. Ogni dialetto possiede la capacità di contenere un periodo lungo o lunghissimo, le sue etiche, le istituzioni, le metafisiche. E più un dialetto è innervato tra la sua gente, che non (lo) abbandona, che non (lo) tradisce, più è capace di esprimere le sue idee in pochi tratti, in sintesi estreme e fulminanti. Fin da quando ero bambino restavo colpito da un‟imprecazione tremenda che soprattutto i nostri vecchi gettavano addosso ai loro figli: Chë të puòzza scrià!, dicevano con rabbia, qualche volta scherzando macabramente, senza forse rendersi conto - o essendone al contrario profondamente coscienti - non del valore, certo del significato di quello che esprimevano, la più terribile della imprecazioni che negava, addirittura, a differenza di tante altre (e ce ne erano - ce ne sono ancora - molte: Puozza èssë accisë!, Puozza avé nu tuocchë! [un ictus!], Puozza mërì bbrëciatë! [a Ancarano, terra di Cecco d‟Ascoli, abbrugiato vivo!...]) la possibilità stessa di essere puniti almeno nel corpo. Ti veniva addirittura negata l‟esistenza, non solo quella reale o che avevi mantenuto nella memoria col- - 14 - Parte Prima - Lessico paesano lettiva (come: Che tu possa essere dimenticato!), che non è poco, ma addirittura ti veniva augurata la scomparsa completa dal creato. Cosa c‟è di peggio? Non esistere più già è molto, non avere più neppure la possibilità di esser pensato come “ente esistito” è troppo. Poi, alle soglie della vecchiaia, leggendo il bel lavoro collettivo di Ricciardo e Franco Rampini, Ancaraneide (a c. di Francesco Rampini, Ancarano, Stampitalia, 2011), riproposto su lodevole iniziativa di Simplicio Olivieri, ho scoperto un‟altra parola che non conoscevo: alluóchë, tradotto con un sintetico e intensissimo “in nessun posto”. E qui i corto circuiti mentali e linguistici hanno scatenato molte vie di fuga. Alluóchë forse da allos-locus, altro luogo, o da a-locus, con l‟alfa privativo che indica il non-luogo, dunque l‟ou-topos, dunque…? Utopia però, in questa dizione, non è il mondo meraviglioso, l‟Eden perduto e da riconquistare, l’Isola che non c’è e tutti gli altri luoghi felici desiderati dalla mente, ma l‟Erebo, il non-posto dove le anime dei morti vagano, l’Isola che non c’è più, e chissà se mai c‟è stata, la no-land, la terra di nessuno dove quelle anime “se sò scriatë” e vanno raminghe alla ricerca di un anfratto per trovare pace, finalmente. È Utopia o è “novunque”, il non-paese della disperazione, della non-esistenza, della screazione, dello “scrià”? È il Nissun sito di Mauro Marè: Alluóchë, scrià, novunque… - 15 - Palle parole colorate nummeri versi sgranati in un parlottoliere un rosario de glorie e dde misteri fatto la sera in un labbroratorio arzalegria la vela de la mente uno ppiù una è tutto un chiodo bbrutto tra la panza e ll‟anima una nerbanza da fottese er celo uno pe uno li bbuci de le stelle e aricalanne d‟oro in un insogno imbriaco a ccercà un aco dentro a un ppajaro er pelo nell‟ovo novo der novunque sur grugno a l‟infinito un piede qqua, un piede in nissun sito, 1 l‟“abisso orrido, immenso,/ ov‟ei [il «vecchierel bianco» leopardiano] precipitando, il tutto obblia”?2 E forse la stessa collocazione di Ancarano, sulla dorsale al confine tra Marche, terra del Papa, e l‟Abruzzo, possedimento del Re delle Due Sicilie i cui abitanti sono ancora chiamati in modo dispregiativo rëgniculë -, dunque un po‟ Marche, un po‟ Abruzzo, ma niente dei due, ha influito a rendere 1 M. MARÈ, Dentro a millanta Rome. Poesie 1974-1993, a cura di M. Teodonio, Roma, Rendina Editore, 2003, p. 122. 2 «Vecchierel bianco, infermo,/ mezzo vestito e scalzo,/ con gravissimo fascio in su le spalle,/ per montagna e per valle,/ per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,/ al vento, alla tempesta, e quando avvampa/ l‟ora, e quando poi gela,/ corre via, corre, anela,/ varca torrenti e stagni,/ cade, risorge, e più e più s‟affretta,/ senza posa o ristoro,/ lacero, sanguinoso; infin ch‟arriva/ colà dove la via/ e dove il tanto affaticar fu volto:/ abisso orrido, immenso,/ ov‟ei precipitando, il tutto obblia», G. LEOPARDI, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 35-36, in Canti, Milano, Mondadori, 1998. - 16 - Parte Prima - Lessico paesano questa non-terra di confine un alluóchë dove non poter mai andare, da dove non poter mai ritornare, non-luogo della mente impalpabile, inafferrabile, insituabile? __________________ Il Prof. Elio di Michele, “romano de Roma” per natali anagrafici, è ancaranese per radici familiari. Legato, dunque alla Terra dei Suoi - trasferitisi a Roma negli anni ‟40 - per motivi di affezione, ma anche appassionato della materia per formazione culturale e professionale ( è docente di lettere), a seguito di una recente sua vista in Ancarano, ci ha inviato questo gradito ed interessante contributo. Prefazione di Francesco Rampini - 17 - P REFAZIONE di Francesco Rampini Per quanto ne so questo è il primo e - per ora - l‟unico vocabolario del nostro dialetto. I miei zii paterni, Ricciardo e Franco, hanno incominciato a lavorarci già dal lontano 1964, ma solo dopo il loro pensionamento, verso l‟inizio degli anni 70, lo hanno composto con sistematicità. Ricciardo, chimico, era nato nel 1910 e Franco, musicista, nel 1914. In paese erano vissuti fino al termine delle elementari: chi voleva – e poteva – continuare gli studi doveva andare “fuori”. In Ascoli, la città più vicina e più legata alla storia e al dialetto di Ancarano che era stata infatti feudo del suo vescovo. I due dialetti sono molto simili, con differenze nella pronuncia e nel lessico, da noi più legato alla vita contadina del borgo. Gruppo dei dialetti marchigiani meridionali (piceni), con notevoli influenze dell‟abruzzese: era zona di confine fra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa. Le competenze linguistiche degli autori constavano nel buon uso dell‟italiano scritto e parlato, date le rispettive professioni, e nella profonda conoscenza del dialetto, da loro assorbito col latte materno. Il dialetto di paese differiva da quello parlato in campagna, forse un po‟ meno “incivilito”, ma si noterà come la natura delle parole sia sempre legata alla vita quotidiana, al lavoro dei campi, alle incombenze modeste di un piccolo centro. - 18 - Parte Prima - Lessico paesano I miei zii probabilmente si rifecero, per la scelta dei termini italiani, ad un vetusto “Nuovissimo Melzi” (edizione post 1914) presente da sempre nella casa dei miei nonni. Da ciò quindi il suono spesso arcaico e desueto dei vocaboli. Ho conservato questo aspetto del lavoro, aggiungendo in corsivo inserti di spiegazione o di chiarimento. Debbo confessare che la mia conoscenza del dialetto nel corso degli anni è di molto scemata, anche considerando che le mie frequenze in paese sono sempre state sporadiche. Debbo quindi alla pazienza di nostro cugino Simplicio “Bibi” Olivieri e della sua équipe ancaranese tutti i chiarimenti su significati a me ignoti o dimenticati. Gli autori sono stati mossi dall‟attaccamento alla loro terra e dal desiderio di conservare un patrimonio che i tempi tendono a disperdere. Nella loro scia mi sono immesso per ordinare le loro carte e dare leggibilità a quanto hanno accumulato in tanti anni. Mi imbatto in parole da tempo note, in termini desueti o in gradite riscoperte; adesso forse il dialetto non è più quello di prima, forse si va disperdendo nella corrente omologazione. Questo quindi potrebbe essere un piccolo tributo al passato e alla memoria del nostro paese. SIMPLICIO OLIVIERI …. i n t e g r a: Mi sono avvalso della collaborazione e della conocenza del dialetto di qualche parente ( fratello Claudio, sorella Marialuisa cognati Emilia Ricci ed Emidio “Mimmo” Vecchietti) e di alcuni amici di frequentazione pressoché quotidiana, spesso nell‟occasione del caffè di prima mattina. Per Prefazione di Francesco Rampini - 19 - la frequenza e regolarità degli incontri e per la ricchezza dei rispettivi ricordi mi piace ricordare, in particolare, - senza sbrodolarmi in ringraziamenti, ché anzi ho avuto la sensazione di aver procurato loro qualche momento e motivo di novità, interesse e divertimento - Ennio Camponi, Severino Barcaroli con la Mamma Nella, Aurelio Vittorii ( detto: Scëlló …. già che siamo in argomento). Ci sono stati poi anche altri contatti ed apporti, ma più occasionali pur se, comunque, oltremodo utili. E‟ praticamente questo il “gruppo”, sul quale penso di poter fare affidamento anche per l‟avvenire nella prospettiva di eventuali probabili integrazioni di altri termini e modi di dire ancaranesi ( un ricordo tira l‟altro), se e quando si riaffacceranno alla memoria. Dunque accolgo volentieri il suggerimento e l‟invito di Francesco a lasciare “aperta” la porta di questo lavoro che alla fine si è deciso di “battezzare” ANCARANEIDE come proposto da Mariano Rampini, il più giovane dei nipoti degli autori. Abbiamo proceduto a qualche revisione didascalica quando il confronto, anche con indigeni “esperti” a vario titolo, ci ha convinti di più corrette traduzioni in lingua. I lemmi aggiunti all‟edizione originaria del “vocabolario” sono contrassegnati con un asterisco: “ “ . Integrazioni dell‟opera originaria di Ricciardo e Franco sono anche l‟intera Parte terza ( Casate, soprannomi e nomignoli); la raccolta di canti, purtroppo meno ricca di quanto mi sarei augurato e priva, almeno per ora, delle indicazioni musicali; la collezione di anatemi con la quale il lavoro si chiude ….. sempre per ora. Ancarano, fine settembre 2010 ***** - 20 - Parte Prima - Lessico paesano Grafia Fonetica - 21 - GRAFIA FONETICA Per migliorare la grafia fonetica delle parole in dialetto ancaranese, ci si è rifatti ad una pubblicazione attinente, cioè il DIZIONARIO DEL DIALETTO ASCOLANO di Alvaro Cocci, a cura di Serafino Castelli; Ascoli Piceno, Arti Grafiche D'Auria, 1985. Dato che l'ascolano è molto simile al nostro dialetto (che da esso discende), si pensa che la convenzione grafica adottata nel volume citato, possa essere utilmente applicata anche qui. Pertanto la vocale atona indistinta o semimuta viene rappresentata dalla “e” con il segno di dieresi: ë. La si incontra sia in fine che all‟interno delle parole ed ha pronuncia attenuata e sorda. Gli accenti – acuto, grave e circonflesso – indicano la vocale tonica e la pronuncia aperta o chiusa. L‟apostrofo all‟inizio di parola indica la caduta di un suono. La lettera H indica un suono gutturale lieve, come di una G scivolata (come nel caso di “allëhà”= attecchire o di “Holëpa” = Volpe). Il gruppo “sc”, seguito da i – e, ha suono molto scivolato ( come nel caso di “Bbëscié” = bugia o di “Bbùscia” = buca). La Z suona aspra o sorda (zigano – nazismo - zurla). La Ž ha suono dolce o sonoro (zaino, zero, zufolo). - 22 - Parte Prima - Lessico paesano Glossario - 23 - GLOSSARIO A Aah! * Arri, arrilà „Abbà – Arrëhabbà Gabbare Abbajà Latrare, abbaiare Abbëllì Ornare Abbéngë Arrivare, farcela Abbëtërà Arrotolare, avvolgere „Ábbia Gabbia Abbijà Incominciare Abboscà * Nascondere Accëmëndà Molestare Acchëfà Soffocare Acchëstà * Avvicinare Acciarì Coppiglia Acciarrà * Scorciare Accòrië Accorgersi Accùccë Prono Accuccià Chinare Accucciàtë Prono Accungià Condire - 24 - Parte Prima - Lessico paesano Accunzëndì Consentire Accuórtë Accorto Accurcià Accorciare Accuscì Così Áchë Ago Acquapréna * 3 Acqua ferma, limacciosa Acquétta Linfa, siero Addacquà Irrigare Addapié In fondo, in basso Addavérë Davvero Addëbbà Ornare Addëcchià Perquisire Addëggì Addolcire Addënassë * Accorgersi Addërmì Addormentare, informicolare Addëvëngà(s‟-) Flettere (che si flette) Adduóssë Addosso Affànnë Asma, affanno Affatatë Fatato Affëlà Affilare Affënnà Immergere 3 ) A Lino Nepa che ne chiedeva la “ricetta”, manifestando, in uno dei suoi non rari momenti di “furore”, propositi di “sperimentazioni atomiche” , un compaesano,interpellato in ragione di sue conoscenze in campo chimico, pare rispondesse, verosimilmente burlando per tagliare corto, che l‟acqua pesante non fosse altro che l‟acquaprena…. Si prese questa reazione: “ „N të dìchë stupëdë pëcché già c‟è pënzatë Cristë!” Glossario - 25 - Affëssà Affiggere Afflìjë Affliggere Aggravà Recrudescenza Ahubbì Ingobbire Ajëttà * Contagiare Ájo Ahi! „Alandòmë Galantuomo „Aljuóttë Galeotto Allahà Inondare Allamà Dilavare Allamuó In quel modo „Állë Gallo Allëcà * Sedere Allëhà Formarsi dei frutti „Allënaccë Gallinaccio Allëngà Allungare, diluire Allëscià Lisciare, piaggiare Alléssë Lesso Allëvímë Moltitudine „Allína Gallina „Allíttë –„Allùccë Galletto Alluóchë In nessun posto Allùsca Albeggia Ammëllà Rammollire „Ámma Gamba Ammannàssë Guastarsi anzitempo - 26 - Parte Prima - Lessico paesano Ammarëllàtë Impastato (cibo o altro) Ammattì Impazzire Ammëccà Imboccare; Rinvenire Ammëschià Immischiare Annànzë Avanti, davanti Annëbbià Offuscare Aoh ! Ehi ! Appassì Avvizzire, appassire Appëccià 1) Accendere 2) Pocciare, poppare Appëjàtë Poggiato Appënnëcà Dormicchiare Áppësë (anche Làppësë) Lapis, matita Appëttàta Pettata (salita) Appëzzì Impuzzire Appriéssë Dopo Ára Aia Árbë Benché „Arbí Garbino 4 Ardímë Sterpaglia Arëaprì Riaprire Arëbbënëdì Ribenedire Arëbbëtërà Riavvoltare 4 E‟ il Libeccio in Adriatico; da temere perché spinge a largo. A San Benedetto del Tronto pare si usi dire: “ Së tira Arbì … da lu portë në rrëscì !! ( riferito da Giacomino Rosati, Sambenedettese d.o.c.) Glossario - 27 - Arëbbëvì Risorgere, risuscitare Arëcagnà Ricambiare Arëmané Rimanere, restare Arëmannà Rinviare Arëmbëmbà Rimbombare Arëcalà Ricalare, riscendere Arëcascà Ricadere Arëccamà Ricamare Arëccapà Ricapare, scegliere Arëccustà Riaccostare Arëcèdë Ricedere Arëchëmbónë Ricomporre Arëchiùdë Richiudere Arëcurdà Rammentare, ricordare; traslato: Vivere Arëcurdatìvë Ricordativo Arëcuscì Ricucire Arëdà Ridare Arëddëmannà Ridomandare, informarsi Arëddërmì Riaddormentare Arëfà Guarire Arëfàttë Guarito Arëfëdà Rifidare Arëfëjà Rifigliare Arëfërì Riferire Arëfiatà Rifiatare - 28 - Arëfiàta! Parte Prima - Lessico paesano Respira! (anche per invitare qualcuno a tacere) Arëfiërì Rifiorire Arëfrìjë Rifriggere Arëgrëmà Rugumare, ruminare Arëhunfià Rigonfiare Arëhùnfië Rigonfio Arëjëcà Rigiocare Arrëmbì Riempire Arëmbónne Ribagnare Arëmbòstë * Andato di traverso Arëmëdià Rimediare Arëmmërà Rimurare Arëmmërbëdì Rammorbidire Arëmmëzzà Riavvezzare Arëmmuórtë Spento Arëndòna Rintòna Arëndrà Rientrare, rincasare Arënënzià Rinunziare Arëntiëpëdì Rintiepidire Arëpëpëlà Ripopolare Arëpërtà Riportare Arëpiòvë Ripiovere Arëppacià Rimpaciare, rappacificare Arëppëccëcà Riappiccicare Arëprëhà Ripregare Glossario - 29 - Arëróppë Rirompere Arësanà Risanare Arësapé Risapere Arëscì Riuscire Arësciacquà Risciacquare Arësciòjë Risciogliere Arëscìtë Riuscito Arëscòtë Riscuotere Arëssëttà Riassettare Arëstrégnë Ristringere; raccogliere Arëstréttë Ristretto Arësvëjà Destare, svegliare Arëtèssë Ritessere Arëttënnì Ritondare Arëttëzzà Rattizzare Arëuajà Ragguagliare Arëunì Riunire Arëvangà Rivangare Arëvëdé Rivedere Arëvëlà Rivolare Arëvëndà Vomitare Arrëvëndì Roventare Arëvénnë Rivendere Arëvëstì Rivestire Arëvëstìtë Rivestito Arëvvëcënà Riavvicinare - 30 - Parte Prima - Lessico paesano Arëzzëffià Risoffiare Arijógnë Giuntare Arijóntë – Arijùntë Giuntato „Aròfënë Garofano; traslato: Appellativo maschile dispregiativo per soggetto di sola apparenza esteriore. Arracanìtë Roco Arraffà Raffare Arrambëcà Rampicare Arrëbbà Rubare Arrëbbàtë Rubato Arrëcchià Origliare, orecchiare Arrëfí Drizzare il pelo Arrëfìtë Irto Arrëfódda Moltissimo Arre-jò ! * Incitamento a buoi e vacche da tiro a restare nel solco… Arrëschià Rischiare Arrë-sù ! * Avanti! Incitamento a buoi/vacche al tiro Arrëtà 1) Affilare 2) Investire qualcuno con un mezzo provvisto di ruote Arrètë Dietro, indietro „Atta * 1) Gatta/o (unisex: es.: tenghë „na ( sinonimi: pëtóna, tërdàca, tropea) atta maschië…= possiedo un gatto) Glossario - 31 - 2) Sbornia (si ignora l‟ etimologia) „Attaròla * Piccola apertura in un angolo basso di una porta di ingresso, riservata agli andirivieni del gatto domestico. „Attarró * Grosso gatto „Attëpùzzë * Sornione Attoppa * Ottura, ingolfa Attrassà * Accumularsi Auandà * Prendere, afferrare, tenere Aufa * A vuoto; Per niente Ažžë * Legaccio di spighe (v. nota a “ cavalletta”) B Bbabbë, - ittë * Nonno, -ino Bbambèrë Vampate di calore Bbangàta Impalcatura (edil.) Bbangàrë 5 Tovaglia 5 Tovaglia, generalmente a quadri per il tavolo da cucina o per la madia - 32 - Parte Prima - Lessico paesano Bbanghittë * Sgabello Bbaraccula 6 * Razza (pesce da zuppa o brodetto) Bbarzuóttë * “ Indeciso “… Bbarënittë * Brocchetto Bbëfógge * Addetto a custodire gli animali da lavoro Bbërracció Ciccione, goffo Bbërrëccì Baroccino, calesse Bbëscié Bugia, menzogna Bbëscìttë Forellino Bbëssà Picchiare, bussare Bbëssì Battente, picchiotto „Bbëtërà Arrotolare, avvolgere „Bbëttà Gonfiare „Bbëttàtë Gonfio „Bbëttatùra Gonfiore Bbëttó Bottone Bbëžžòca Beghina, bigotta Bbëžžuóchë id. al maschile Bbiastéma Bestemmia Bbiastëmà Bestemmiare Bbìbbëra Brivido Bbiëdèndë Sarchio, bidente 6 Ma anche - così chiamata forse per la forma piatta - tavoletta di legno con, sulle due facce, maniglie metalliche battenti, usata, durante la settimana di Pasqua, insieme con le “carrelle”, per annunciare le funzioni religiose Glossario - 33 - Bbiéstia Bestia Bbòtta Colpo „Bbrëschià Abbrustolire „Bbrëscià Abbruciare, incendiare Bbrëscó Monello Bbuggiaró Burlone, infido Bbùscë Foro, buco Bbùscia Buca Bëdèndë Sarchio Bërbacció Birbaccione, sbarazzino Bërbó Birba, birbone Bëscëllàta Pisellata Bëscëllìttë Piselletto- ino Bësciéllë Pisello - i Bëscuóttë Biscotto Bëvëró Beverone Binda * Martinetto a cremagliera Bordàndë Viaggiante Brëandë Brigante Brëattiérë Brigadiere Bríja Redine, briglia Bròcca Mesciacqua Buggiarò, - ona* Individuo poco serio, che prende in giro Bvambèrë Vampe di calore - 34 - Parte Prima - Lessico paesano C Cà Cane Cacà Evacuare Cacalùsë Caccoloso, cisposo Cacarèlla Diarrea, dissenteria con variante… “a fëschittë ” Cacarèlló * Pavido; Pieno di paure Caccënìttë Cagnolino Càchëla Caccola, cispa Caccià Estrarre Cacciamà * Vestina per neonati senza bottoni Cacciannànzë Focaccia, offa Cafónë Contadino; traslato: Scostumato Càggë (la) Calce Càggë (lu) Calcio Càggia * Acacia Caggià Calciare, scalciare Caggió-ù 7 Calzone-i 7 Li Caggiù : Leccornia della gastronomia locale di matrice umbro-ascolana. (in Ascoli, chiamati “pëcù”): impasto di uova e formaggio pecorino grattugiato, recchiuso in una sfoglia e confezionato in forma di ravioli, poi cotti al forno. Gustati con accompagnamento di fettine di salame o anche di lonza, risultano un vero toccasana per la sete... a patto che il vino non manchi. Glossario - 35 - Cajó Gabbione Cajòla Gabbia; Trappola Calàta China, discesa Callàra Caldaia Callaràlë Calderaio Callarétta 1) Secchio del muratore 2) Caldaietta Callaró Caldaione Càllë-a Caldo-a Camélë * Tonto Cammì Camino Canapì (lu) * Colui che pettina la canapa Canciéllë Cancello Candó Cantone, angolo Canëstrèlla Canestrina Canëstrìllë Canestrino Canìa * Buccia del chicco di frumento, orzo, crusca Cannaruózzë Esofago Cannëcciàtë Canniccio, graticcio Cannéla Candela Cannëliérë Candeliere Canniéllë Diacciolo Cannó-ù Cannone-i Cantënòla Cantinuccia - 36 - Cantërà * Parte Prima - Lessico paesano Mobile d‟angolo (spesso indicato come “ cantëranìttë”) Canùllë ( femm.: canólla) * Torbido ( anche in senso figurato riferito a persona) Capà Scegliere Capanna/e * Alberi di medio fusto piantati lungo i filari di vite a sostegno degli stessi. Capaffòlla Tuffo Càpë Magliolo (della vite) Capëcëmmà * Rivoltare Capëcuóllë Capocollo, lonza Capëdapié * Sottosopra Capëfuóchë Alare Capëhàttë Gattoni (parotite) Capëmànna Lana per materassi Capëmìlla Camomilla Capënà * Castrare polli Capëvëddà Capovolgere; Travolgere Capëzzàlë Involto, fagotto Capó Cappone Càppjë Laccio Cappiéllë Cappello Capró Capro, becco Carcëràtë Detenuto Carëcìllë Fico secco Carësà Rapare, tosare Glossario - 37 - Carëstié Carestia Caròccia Lattìme Carósë * Taglio capelli sfumato Carpí Strappare, sradicare Carrandó Scarabeo Carratëllùccë Caratelletto Carratiéllë Botticella, caratello Carrëjà Carreggiare Carrèlla Raganella di legno (anche ricavata da una canna) Carrëttùccë Carrettino Carriola * Carretta Carruhùla Carrucola Carrùmë * Condimento residuo sul fondo della casseruola o del piatto Cascàta Caduta Carvó Carbone Cascà Cadere Cascëlà Sbucciare (castagne) Càscia Cassa Casciaruólë Sbullettatura Casció Cassone Casciòla * Castagna sbucciata e lessa Casí (lu-nu) 1) Villa 2) Bordello; traslato: Confusione Castëllìttë Castellina - 38 - Parte Prima - Lessico paesano Cataliéttë Bara Cataràtta Botola Catarrùsë Catarroso Catënàccë Catenaccio Catënàrë Fornello in muratura Catiellë * 1) Frutti della pianta “bardana” 2) Sagoma ( v. Dëscèdra – tëra) per realizzare “doghe” di tini o bótti. Catommë Nuvole, cumuli Cavàccë Gozzo Cavallétta 1) Bica-Locusta 2) Covone di grano 8 Cavétta Tiro di rinforzo 9 Cazzabborràja Bordaglia, guazzabuglio Càžžë (li) Calzoni Cazzëmbèrijë Pinzimonio Cazzià * Redarguire Cazziató * Reprimenda Cažžíttë Calzini Ccandënà* Mettere a posto, riordinare 8 La “cavalletta” si compone in genere di 17 manocchi: 16 sistemati a croce ( 4 per ogni braccio), sormontati da “ lu cavallë”. Possono essere anche 18 se si mette “lu sorgë”: manocchio centrale di base per staccare dal terreno. Lu “ manuocchië” è fatto di due “ vrangate” legate con “lu ažžë” 9 Coppia di buoi di rinforzo ad altra coppia sotto tiro. Vale anche per gli uomini, ad es. per produrre un miglior tiro di una fune: “ cë mëttémë a cavétta.” Glossario - 39 - „Ccàntë Accanto „Ccapëdapié * Sottosopra Ccasëmènda Nel caso che... „Ccënnà 1) Accennare 2) Sonata di campane Ccëpëllitë * Malmenato, ko „Ccëppí Azzoppire Cazzijató Rabbuffo, sgridata „Ccëtí Inacetire „Cchëppìccë Che va in coppia „Cciaccà Masticare; Schiacciare „Cciaccanócë Schiaccianoci „Ccídë Uccidere „Ccìsë Ucciso „Ccurciatóra Accorciatoia „Ccuscí Così Ccustamuò * In questo modo Cëcaténa Maggiolino10 Cëcà Cecare, accecare Cëcculà Gramolare Cëcculariéllë Sonaglino Cëchënèlla Bambina 10 Cetonia dorata” coleottero con elitre verde irideo; si prendeva dalle rose e lo si riponeva in scatolette di latta, già contenitori di lucido da scarpe, con fiori di sambuco. Poi si “seviziava”legando un filo di cotone ad una zampetta e costringendolo ad un volo vincolato circolare. Il nome potrebbe essere – come quello della cicala “cic-ada” – composto con αδεìν cantare. - 40 - Parte Prima - Lessico paesano Cëchënénna Bambina Cëchënìllë Bambino Cëchënìnnë Bambino Cëcìllë Ombellìco Cëculíttë Pustola, brufoletto Cëfëlìttë Zufoletto, fischietto Cëlà Infiochire, nascondere Cëllà Intonchiare; Guastarsi (dei legumi infestati da insetti) Cëllàtë Mal riuscito (detto anche di persona) Cellittë * Uccellino Cémbëra Cembalo, tamburello Cëmmëlà Avvoltolare, rotolare Cëmmëléja Rotola, si ribalta Cëndërì Cinghia, cinturino Cëngiàrë Cenciaiolo Cënìscia Carbonella Cënnëràta Cenerata, ranno; vedi: Lëscié Cëntóra * Cinta di cuoio girata sulle corna dei buoi, atta a ben sistemare il giogo Cëpícchia Sonnolenza Céppa Stecco Ceppìja Epizoozia, afta Cëppíllë Zipolo Cëriéscë Ciliegio Cëriéscia Ciliegia Glossario - 41 - Cèrqua Quercia Cèssë Cesso Cëstó Cesto, cestone Cëtró Cocomero Cëtùsë * Acido ( di carattere) Chëchëvìzzë * Grillo-talpa Chëcchëmèlë Lattìme Chëcchëró Bernoccolo Chëcchëvàlla Gallozzola, bacca della quercia Chëcó Boccata Chélla Quella Chëmbagné Compagnia Chëmbàrë Padrino Chëmbarùccë Figlioccio Chëmbascjó Compassione Chëmbiàgnë Compiangere Chëmbiéttë Confetto Chëmmannà Comandare Chëmmàrë Madrina Chëmmarùccia Figlioccia Chëmmiéndë Convento Chëmpiénzë Compenso Chëmpratórë Acquirente Chënfónnë Confondere Chëppiétta Polpetta Chéssa Costei - 42 - Parte Prima - Lessico paesano Chésta Questa Chiacchiarà Discorrere Chiàcchjëra Diceria Chiàppa Natica Chiarë (d‟uóvë) * Albume (d‟uovo) Chíllë Quelli Chiòchërë * Calzature rudimentali tipiche dei pastori Chìssë Costoro Chiuólë Occhiello Chjëvatùra Inchiodatura Chjuóvë 1) Assiolo, chiù 2) Chiodo Ciellë 1) Uccello 2) Membro Ciafajà Balbettare Ciafajùsë Tartaglione Cialandra * Macchinario per affilare lame Ciamaràgnë 1) Ghirigoro 2) Rinaccio grossolano Ciambàna Zanzara Ciambrèlla Ciabatta Ciambrëllàta Ciabattata Ciambrëllóna Ciabattona Ciammarëchèlla Chiocciolina Ciammaríca Chiocciola Glossario - 43 - Ciamùrrë Cimurro Ciangarjòttë Ciarpame Cianghétta Gambetto, sgambetto Ciangialùsë * Sciatto, malmesso Ciangòtta Pianella (un po‟sdrucita) Ciappétta Ganghero, cardine, molletta Ciarammèlla Cennamella, zampogna Ciardí Giardino Ciarfólla Cerfoglio, collottola Ciarmà Ciurmare, abbindolare Ciàrra Misura rasa Ciarrapìca * Femmina petulante Ciàrrë * Pieno, colmo Ciaschëdùna Ciascuno, ognuno Ciàula Chiacchierona Ciàulë Chiacchiere Ciaùlëchë Brusio, chiacchierio Ciaulijà Chiacchierare Ciaùsculë Ciauscolo (insaccato) Cìcë Cece- i Ciéchë Cieco, orbo Ciéculë Foruncolo Ciénzë Affezione sub-cutanea Ciérvë Acerbo Cìma Cresta dei polli Cincindèrra Cingallegra - 44 - Parte Prima - Lessico paesano Cíngë Straccio, cencio Cìnnë Cenno Ciòccula Gramola (per canapa o lino) Ciócculë Zoccolo Ciorva * Sorba Cìppë Ceppo, mozzo Ciuétta 1) Civetta 2) Vulva Ciùfëlë Fischietto, zufolo Ciuóppë Zoppo Ciuóppë-„allë Saltelloni su un solo piede Ciuóttë Ciottolo Cluócchë Cardine Ciùrrë * Ciocche di capelli di chiome lunghe e folte Còccë Terraglia Còcchia Corteccia, guscio Còccia Capo, testa Còccia-pëlata Calvo Codanžínžëra Cutrettola Còddë 1) Colpito 2) Còlto Códdrë Coltre Còfëna Una gran quantità Còjë 1) Azzeccare, cogliere 2) Colpire, schiaffeggiare Glossario - 45 - Còla Gazza Còmmëdë Recipente „Cóna Icona Cónga Conca di rame Contramënzió Contravvenzione Coppa * Seme di carte da gioco Córcia Piega di stoffa, orlo Còssa Coscia Còsta Erta, salita Cóta Cote Cótëca Cotenna Crastà 1) Castrare 2) Incidere le castagne Crastàtë Castrato Crastó Montone Crëdënzó Armadio Crëllà Scricchiolare Crëpà 1) Incrinare 2) Soccombere Crëpàccë Crèpa Crëpàtë 1) Incrinato, fésso 2) Morto Créspa Cespo Créspë Crespo, riccioluto 11 Per cuocerle come caldarroste,… altrimenti scoppiano! 11 - 46 - Parte Prima - Lessico paesano Crëspèlla Frittella Crëspëllìttë Frittellina (dolce o salata) Crëspìgnë Grispignolo Crëstijà Cristiano; traslato: Persona Crëtó Argilla Crëviéllë Crivello Criéllë Scricchiolio Cristë * Caduta rovinosa Cròcchia Gruccia, stampella Crucëramë * Punto del tronco di un albero da cui si dipartono i rami Crucittë * Lupinella Cruócchë Talpa grigia Cùcchëmë Cuccuma Cucchiàra Mestolo Cucchiàrë Cucchiaio Cucchiarétta Cucchiaio di legno Cuccignë Suono di rivestimento non legato Cucció Capacciuto, testone Cucciòla 1) Conchiglia 2) Salvadanaio Cucciùtë Caparbio Cucùmmërë Cocomero Cuddërëcélla Coltricella Cuggìnëmë * Mio cugino Glossario - 47 - Cùgna Bietta, scheggia lignea Cugnàtëmë * Mio cognato Cùgnë Cuneo, zeppa Cujënà Canzonare Cujënarié Balordaggine Cujënatórë Canzonatore Cujënatùra Beffa, canzonatura Cujó sostantivo: Testicolo aggettivo: ( spregiativo) Fesso, coglione Culàmë Ceneraccio Cùlë Deretano, culo Culóccia * Tuorlo d‟uovo Cundadì Contadino Cùndë Conto Cundiéndë Contento Cundràda Contrada Cundràrië Opposto, ostile Cunétta Iconetta Cungià Crivellare Cungrèha Congrega Cunìjë-a Coniglio-a Cunócchia Conocchia, rocca Cunsëprìnë Consanguineo, cugino Cuóddë Còlto (p.p. di cògliere) Cuóppë Coppo: tipo di tegola - 48 - Parte Prima - Lessico paesano Cuornëmutë * Introverso Cùpë Fondo, profondo Curàmë Coiame Curatë * Parroco, curato Curciàssë * Rimboccarsi le maniche (anche fig.) Curciàtë Rimboccato Curdàrë Funaio Curdëcèlla Funicella Curdíllë Grosso tendine Curona ( la)* La corona del Rosario Curréja Peto, scoreggia Curriuólë Laccio di cuoio Cùrtë Corto Curtësciàna Vassoio Cuscëníttë Portaspilli Cuscënó Piumone Cuscì verbo: Cucire avverbio: Così Cuscìnë Guanciale Custatèlla Costola Cutëchì Cotechino Cutërìzzë Coderinzo (culo del pollo), codrione Cutó Foruncolo pizzicoso Cuttónë Cotone Cutùgnë Cotogno Cùzzë-Cuzzéttë Cranio semirapato Glossario - 49 - D Dà Dare Damësciàna Damigiana Dannùsë Dannoso Ddapié * In fondo Dapuó Dopo „Ddarétta Altarino „Ddëbbëlì Fiaccare, indebolire „Ddëbbëlíssë * Svenire „Ddëbbëlìtë Indebolito; Svenuto ‟Ddëggí Addolcire „Ddëmannà Interrogare „Ddënàtë Accorto Ddóttë (anche: „Ddùttë) Prostrato dal dolore „Dduajàta Riordinata alla meglio Dëfiéttë Difetto Dëjënà Digiunare Dëjù Digiuno Dëlatànza Latitanza Dëmà Domani Dëmanasséra Domanisera Dëmatìna Domattina - 50 - Parte Prima - Lessico paesano Dënàra- Denari Ori; Denari (seme carte) Dëndàja Dentatura Dëpégnë Dipingere Dërètë * Seguente, il secondo Dëríttë Ritto Dërmì Dormire Dëscèdra-tra Simulacro, campione Dëscórrë Discorrere Dëscùrsë Discorso Dëspiéttë Dispetto Dëtó Alluce 12 Diévëtë Debito Dìsculë Discolo Dó Due Dóggë Dolce Dovëlaqualë * Cioè; vale a dire Duàna Dogana Dùbba Corredo, donora Dùnca Dunque Dùrë Solletico 12 Gabriele d‟Annunzio, nel 1913, sostenne una vivace polemica sull‟inestetismo del termine “Alluce”, preferendo la locuzione “Pollice del piede”. Se si fosse rifatto al dialetto... D‟altronde avrebbe potuto essere confortato dallo spagnolo “dedo gordo”, dal francese “gros orteil”, dall‟inglese “ big” o “great toe”. Glossario - 51 - E Eeeh ! * Ordine di alt ai buoi al tiro Énnëcë Endice ; Indice (dito della mano) Erbétta Prezzemolo Éssa Lei F Fà Fare Facchì Facchino Fàggë Falce Faggetta * 1) Attrezzo da taglio del calzolaio 2) Anche falce col manico corto Faggià Falciare Faggió Falcione Famìja Famiglia Famùsë Famoso Fandélla Donzella, fanciulla Faô Falò - 52 - Parte Prima - Lessico paesano Farëciéllë Farro Farfallétta Tignola Farfariéllë Scioccherello Fascënàrë (lu) Fascinaia Fasciatùrë Fasciatoio Fasciuólë Fagiolo Fastëdiùsë Fastidioso Fatié Fatica Fatijà Faticare, lavorare Fatijatórë Faticatore, lavoratore Fattariéllë Fatterello Fàttë Maturo, maturato Fattùra Fattucchieria, malocchio Fàula Favola Faulétta Favoletta Fauóttë Fagotto Faurì Favorire Fauttiéllë Fardello Fàžžë Falso Fàžžíttë * Toppa per una suola sfondata Fëbbràrë Febbraio Fëcàccia Focaccia Fëcàra * “Orobanche ramosa”: fungo parassita delle piante di fava ed altre leguminose Fëcó Braciere Glossario - 53 - Fëdërétta Federa Fëhùra Figura Fëjà Figliare, Partorire Fëjàstrë Figliastro Fëjìttë Foglietto Fëlà Filare Fëlàra Fila (di persone) Fëlariéllë Arcolaio, filatoio Fèlë Fiele Fèlla * Taglio profondo Fëllaccià * Fico, fiorone Fëllènia Fuliggine Fëló Forma di pane Fëmèra (li) Fumi; Affumicamento Fëmmëcùsë Fumoso Fémmëna Donna Fëmmënì Femminiero; Versato per le donne Fënduàrja Tributo, tassa fondiaria Fënëcchìttë Finocchietto (selvatico) Fënëcélla Funicella Fënëstréllë Asole, occhielli Fënícchië 13 Fune lunga e robusta 13 La fune veniva usata soprattutto per assicurare sui carri agricoli carichi di paglia, fieno o covoni di grano. La corda a doppia mandata era tesa mediante un “mulinello” posto sul retro del carro e imperniato fra le estremità dei lati del timone; era fornito di buchi in cui si infilava ” lu pìrë”, di ferro, per poterlo ruotare con la forza necessaria. - 54 - Parte Prima - Lessico paesano Fënnëchìttë Fondachetto Fënuócchië Finocchio Fëràstëchë (anche: Sfëràstëchë ) Forastico, scontroso Fërbëcétta 1) Forfecchia 2) Forbicina Fërcënàta Inforcata, forchettata Fërcënélla Forcina Fërcìna Forca; Forcina Fërmëchéja verbo: Formicola Fërmèllë (li) Formicolio Fërmënàndë Fiammifero, fulminante Fërnàrë Fornaio Fërniéllë Fornello Ferracavàllë Maniscalco Fërraiuólë Ferraiolo (mantello) Fërràrë Fabbro Fërràta Inferriata Fërùta Piaga, ferita Fëschìttë Fischietto Fëstëcó Gambo, picciòlo Fëtà Fare l‟uovo Fëtalína Naftalina Fëtaròla Gallina da uova Fëtëruózzë Involto; Stronzo Fëtuózzë idem c.s. Fëzijuólë Salame di fichi secchi conditi Glossario - 55 - Fézza Matassa; traslato: Imbroglio Fëzzuólë Matassina „Ffatàtë Magico, fatato „Ffënëcëllí Assottigliare „Ffënènda Insino, fino a „Ffënghì Ammuffire „Ffënghítë Ammuffito „Ffënnà Affondare „Ffiacchí Affiaccare „Ffiarà Avvampare, bruciacchiare Ffùffa Vanvera, scazzata Fiamminga * Vassoio da portata Fiatà * Parlare, aprire bocca Fiàtë * 1) Alito, respiro 2) Peto Fíchë Fico Fìcura (li) Fichi Fié Fieno Fiéccia Feccia Fiëmmënà * Fiammifero Fîëttà Affettare Fìja Figlia Fijà Figliare, partorire Fijàta aggettivo: Partorita sostantivo: Cucciolata Fìjë Figlio Fìjëmë Figliuolmo, mio figlio - 56 - Parte Prima - Lessico paesano Fìjëtë Figliuolto, tuo figlio Finëmùnnë Finimondo Fiuócchë Fiocco Fjécca Coppiglia Fjétta Fetta Flajéllë 14 Flagello Fòchëra Falò Fòja (li) Cavolo, verza Fòja (la) Foglia Fòjë (lu) Foglio Fónghë (lu) Muffa Fòrë Fuori Forma Gora Fracchia * Melma Fracchiàta Cosa schiacciata Fracchió Catenaccio, paletto Fracëcà Marcire Fràcëchë Fradicio, marcio Fracëcùmë Marciume Fràgnë Frangere, spremere Frastiérë Forastiero Fratacchjuólë Fraticello Fràtë Frate 14 Coppia di bastoni legati in serie con un corto pezzo di corda, usati per battere spighe essiccate di grano, orzo o baccelli (fagioli, favino ecc.). Glossario - 57 - Fràtëmë Fratelmo, mio fratello Fràtëtë Fratelto, tuo fratello Fratiéllë Fratello Fràtta Pruno, siepe Fràula Fragola Frèbba Febbre Frëcà Imbrogliare, rubare; traslato: Copulare Frëcàssënë Infischiarsi – sene Frechëmëdóggë 15 Subdolo Frëchënìttë, - nétta Bambinetto - netta Frëchènnë Pasticciando Frëchënùccë , nùccia Bambinetto - netta Frëchì Bambino Frëchìna Bambina Frëddëlùsë Freddoloso Frégna Vulva Frëgnacce * 1) Stupidaggini 2) Pastasciutta di ritagli di sfoglia Frëgnallè * Soggetto insignificante Frëgnittë * Piccolo oggetto preval. meccanico Frëscígnë Monello, birichino Frësciùtë Scostumato Frëssora * Padella di ferro 15 Detto di chi, con apparente candore, rivela meno ingenue mire: “ „nghess‟aria da frechëmëdóggë..”. - 58 - Parte Prima - Lessico paesano Frìjë Friggere Frittë (lu) * Coratella e interiora Froscë * Gay Fròscia Froge, narice Frùttë (lu) Rendita Fù Fune Fùddë Folto Fùnnë Fondo Fùnnëchë Fondaco Fuóssë Fosso Fùrchë Misura della distanza tra pollice ed indice divaricati Fùria Fretta Fùrnë Forno G Gargaruózzë Gorguzzule, gargarozzo Gëbbétta Blusa Gëcarèllë Giocattolo Gëhàndë Gigante Gèlë Gelo, ghiaccio Gëló-ù Gelone-i Glossario - 59 - Gëlùsë Geloso Gënžëmí Gelsomino Gërannëló Randagio, girandolone Gërèlla Girandola (detto anche di persona facile a mutare pensiero o parte) Ggërlànda Ghirlanda Gìjë Giglio Ggirabacchì * Chiave a croce Giradítë Giradito, patereccio Giuntùrë (li) Nodello - Nocche Gnacciàtë Agghiacciato Gnàgnëra Capriccio Gnaulà Miagolare Gnëlìtë Freddo, gelato Gniellë * Agnello Gnërà Sgridare Gnëssùsë Serrato ( di un impasto alimentare) Gnëttënì Inghiottonire Gnëttì Inghiottire „Gnëzzió Iniezione „Gnór-Gnóra... Signor - a... „Gnoràndë Ignorante „Gnornò No, nossignore Gnòstrë-a Inchiostro Gràssë-e-màgrë Pancetta Gràvëda Gravida, incinta; sinonimo: Prena - 60 - Parte Prima - Lessico paesano H Hòbba – (Obba) Gobba Hòbbë Gobbo Hólëpa Volpe Hómma Gomma Hónna Gonna Hórëba Volpe Hòrgia * Atteggiamento arrogante Huarniéllë Guarnello, grembiule Hubbìttë Gobbetto Hùfë Gufo Humëtàta Gomitata Hunfià Gonfiare Hùnfië Gonfio Hunfiórë Gonfiore Hunnèlla Gonnella Hùstë Gusto Huvèrnë Governo Glossario - 61 - I „I‟ Andare Iaccë * Lettiera di paglia per bovini ed altri animali di stalla „Idízië Giudizio Íjë Io „Imènda Giumenta Immèrnë * Inverno „Inëcchiòla Misura del pollice piegato „Inëcchiòlë Ginocchiere „Innàrë Gennaio Innera Lèndine „Inòcchia (li) Ginocchia „Inuócchië Ginocchio Ippetta * Panciotto Íssë Esso, lui Ìsculë Lombrico „Ítë-a Andato-a „Ittà Gettare „Iumèlla (anche: Jëmmèlla) Giumella, coppa con le mani - 62 - Parte Prima - Lessico paesano J Jàccë Gelo, ghiaccio Jàcculë * Cappio al collo; Guinzaglio Jacé Giacere Jànna Ghianda Jëcà Giocare Jëcàta Giocata Jëcatèlla Giocatina Jëcatórë Giocatore Jeccadé Quaddentro Jècchë Qui, qua Jëchìttë Giochetto Jëdìzië Giudizio Jëmà Aggomitolare Jémëtë * Scarpata Jëmétta Gomitolino Jëmmèlla vedi: Iumella Jènërë Genero Jënèstra Ginestra Jénga Giovenca Jéra Ieri Jërnàta Giornata Glossario - 63 - Jèrva Erba Jéssa Essa, lei Jèssë Costì, costà, lì Jëttënarié Ghiottoneria Jëvà Giovare Jó Giù, laggiù Jógnë Giungere, giuntare Jóma Gomitolo Juóchë Gioco Juórnë Giorno Justë Giusto Jùttë Ghiotto Jùvë Giogo L Làccë Laccio Lagnùsë Lagnoso Laló Nonno Làma Pozza; Rivolo Lamà Allamare, dilavare - 64 - Parte Prima - Lessico paesano Lambëccà Lambiccamento 16 Lambëggià Lampeggiare Lambió Lampione Lamiéndë Lamento - i Làpëdë Lapide Lapì Lapeggio, pentola di rame sospesa sul focolare Lapijuólë Paiolo Lappa * Erba infestante con piccoli frutti attaccati Làppësë Lapis, matita; vedi: Áppësë Làrdë Lardo Lardëzzìttë Lardello Làrëchë-Làrghë Largo Lascà Lascare, allascare Lascià Lasciare Làtra-ë Ladra-o Lattàra-ë Lattaia-o Lavamà Lavamano Lavannàra Lavandaia Lavatì 1) Lavativo 2) Clistere Lavatùrë 16 Lavatoio Lo zio Ricciardo, chimico, aveva aggiunto la spiegazione “del cervello”, distinguendo il termine riferito all‟uso a lui familiare dell‟alambicco. Glossario - 65 - Lavërà Lavorare Lažžaró Lazzarone Lëbbërà Liberare Lèbbre Lepre Lëbbrìttë Libretto Lëbbruócchië Leprotto Lëccà Leccare Leccabbródë * Scapaccione, sberla Lëccàrda Ghiotta (leccarda) Lëccëcà Brillare, luccicare Lëcràtë Logoro, liso Lèggë Leggere Lëggërìttë Leggeretto Lëggiérë Leggero Lëggìttëmë Legittimo Lëgnàra Legnaia Lëhàccë Legaccio Lëhàmë Legame Lëhùmë Legume Lëmìna Cappello tondo del prete Lëmàna Animale, bestia Lëmmiéllë * Lombetto (controfiletto) Lëmónë-a Limone Lëmùnë (li) Limoni Lènda Lenticchia Lèndë (li) Lenticchie - 66 - Parte Prima - Lessico paesano Léngua Lingua Lënguétta Linguetta Lënijétta Lineetta Lënzuólë Lenzuolo Lëó Leone Lëpí Lupino-i Lesca * Fetta ( ma anche estens.: ceffone, scapaccione.) Lëscertëla * Lucertola Lëscié Ranno, lisciva; vedi: Cënnëràta Léssë Lesso, bollito Lèstë Presto; Svelto Lëtamàrë Letamaio Lëtëcà Litigare Lèttë Lètto (p.p. di Leggere) Lëunéssa Leonessa Lèvëtë Lievito Lëzzió Lezione Lí (lu) Lino Lì I, gli, le Lialó Nonno Lícchjë Pallino, boccino Liéttë sostantivo: Letto Lìnija Linea Líppë Svogliato nel mangiare Liscë-e-bussë * Rimprovero Glossario - 67 - „Lìva Oliva Llamuò * In quel modo „Llanguëdí Illanguidire „Llëggërí Alleggerire Llëggërì Digerire Llëscënà Sdrucciolare Llëscënèllë (li) Sdrucciolate (le) Llëscià * 1) Scivolare ( dei piedi) 2) Lisciare ( detto p. es. di un tessuto) Lòchë Lì Loggia * Terrazzo coperto Lópa 1) Voragine 2) Gran fame Lu Il, lo Luccëttèrra Lucciola Lùjë Luglio Lùmmë Lombo Luóchë Posto, sito Luóffë Coccige Lùpë Lupo - 68 - Parte Prima - Lessico paesano M Mà Mano Maccarënarë * Chitarra (per pasta) Machënà Trebbiare Machënetta ( o Motorë) * Il proprio cuore Macìngula * Gramola per canapa Magnà (lu) Cibo Magnà Mangiare, desinare Magnacòzza Lumaca Magnapà Blatta Magn‟edòrmë Indolente, inetto Mahàrë Fattucchiere Majòla Tenaglia (per focolare e attrezzo del fabbro alla forgia) Malàstëchë Elastico Mal‟eppèjë Arnese con due tagli 17 Malló Garzolo, canapa cardata Mamangí Mancina, sinistra 17 Del muratore: specie di martello a manico corto (40-50 cm.) con la parte metallica larga circa un palmo, a due tagli, uno verticale e uno orizzontale. In agricoltura: è un attrezzo simile al piccone, con un taglio a zappa ed uno ad accetta. “Da una parte fa male e dall‟altra… peggio”. Glossario - 69 - Mammìna Levatrice, ostetrica Mamó Babau, orco Mammuóccë Bamboccio Mànda Federa, coperta Mandèlla Ferraiuolo Mandëmà Stamattina Mandílë Pannello, panno Maniera * Sgomarello della conca Màngëlë Docile (sp. per gatti) Mannuócchië Manocchio: fascio di spighe mietute Marchésë Mestruo Marìtëmë * Mio marito Marítta Man dritta, destra Marruói Emorroidi Marùllë Bolo di fango e paglia Màssa Impasto Masséra Stasera Mastrëjà Fare, affaccendarsi Matèria Pus Mattariéllë Pazzerello Màttëra Madia Mattëtà Buffonata Mattùscë ( anche Mattìgnë)* Pazzerello, lunatico Maurízia Liquerizia Mazzafiónga Fionda Mazzëmaréllë Spiritello, diavoletto - 70 - Parte Prima - Lessico paesano Mazzuócchë Batacchio „Mbajà Impagliare Mbajatèllë Tagliatelle „Mbajatórë Impagliatore „Mbambëlàtë Imbambolato „Mbàmë (mbvàmë) * Infame „Mbàna Bozzima, mangime per polli „Mbanà Impanare, filettare „Mbanatùrë Filettatura „Mbannítë Appannato Mbapëcchià * Abbindolare „Mbarcà Imbarcare „Mbastà Impastare, intridere „Mbastardí Imbastardire „Mbastí Imbastire „Mbaurí Impaurire, intimorire „Mbè Ebbene „Mbëccià Impicciare, ingombrare „Mbëcciùsë Impaccioso, impiccioso „Mbëcíllë Imbecille „Mbëdìtë Paralitico „Mbëgnà Impegnare „Mbëllëccià Impiallacciare „Mbëllína Ampollina, oliera Mbërà Assiderare, congelare Glossario „Mbërrà * - 71 - Affondare una lama o un attrezzo (p. es.: il vomere o la vanga) „Mbëttëjà Imbottigliare Mbëttëtùra Imbottitura „Mbì Empiere, riempire „Mbianà Appianare „Mbiàstrà * Sporcare „Mbiàstrë Cataplasma, impiastro; traslato: Dispregiativo per individuo debole ed incapace „Mbíccë (li) Beghe, impicci „Mbíccë (lu) Impiccio, ingombro „Mbiéta Bietola „Mbónnë Bagnare „Mbòsta * Collo del piede „Mbranàtë * Impacciato, imbranato „Mbrëccià Inghiaiare „Mbrëdènza 1) Imprudenza 2) Influenza „Mbrëjà Gabbare, imbrogliare „Mbrënà Fecondare, ingravidare „Mbrëzzà Conficcare , infilzare „Mbriàchë * Briaco „Mbriacó Beone, ubriacone „Mbrijó Imbroglione „Mbrónda Impronta - 72 - Parte Prima - Lessico paesano „Mbruójë Imbroglio „Mbùllë * Oliatore „Mbùssë Bagnato; traslato: Ubriaco Mëccangégnë Arzigogolo, congegno Mëccëcó Boccone; Morso Mëìca Briciola Melacachì * Cachi Mëlàngula Cetriolo Mëlarància Arancia Mèlëca Saggina Mëndó Mucchio, cumulo Mëndùra Uniforme Mënëscàrië Veterinario Mënëtùra Cogno,olio per frantoio ,quota del raccolto Mënnàcchjë Spazzaforno Mënnëló Lercio, Scovolo per forno Mënnézza Immondizia „Mëntënà Accumulare Mëndëvà * Rammentare Mërcëlùsë * Di solito riferito a bambini.. con i moccoli dal naso Mërëcata * Macerata ( canapa) Mërèlla Grillo di terra Mërrìcchië Ripulitura delle olive Mërícula Mora di gelso o di rovo Glossario - 73 - Mërrëcchió Sempliciotto Mëscëlínë Mossette, coccole Mëscíllë Visciola Mësció Gattone Mëscìttë Gattino Mësìttë Grugnetto (del porco) Mëstëcà Mischiare Mëttìllë * Grosso imbuto utilizzato in cantina Mézza Appassita (frutta) Mëžžìttë Moggio,misura per granaglie Mëzzó Cicca, mozzicone Mjé Mio, Mia Miédëch Medico 18 Miércëla (li) Moccolo (dal naso) Mízzë Ammaccato Mmaffëttó * Schiaffone Mmammuóccë o Mmammòccë Bamboccione „Mmasciàta Ambasciata, faccenda „Mmassà Fare la massa Mmàstë Basto „Mmattí Impazzire, ammattire 18 Mio nonno, di cui porto il nome, dopo essersi stabilito in paese come medico condotto – siamo agli inzi del secolo XX – credo non si sia più sentito chiamare per nome: per tutti fu e rimase lu Miédëchë, compresa sua moglie – mia nonna. Ancora oggi i nostri cugini si riferiscono a lui come a “zio Medico” . Almeno i figli – mio padre e gli zii – però, risulta che lo chiamassero “papà”! - 74 - Parte Prima - Lessico paesano „Mmazzatòra * Mattatoio „Mmëccà Inclinare „Mmëcchià Invecchiare „Mmécë Invece Mmëdëcina * Farmaco; anche ogni anticrittogamico o antiparassitario „Mmëdjùsë Invidioso Mmëffëttó Schiaffo, manrovescio Mmëndà Inventare „Mmëndënà Accatastare, accumulare „Mmënzió Invenzione Mmèrda Merda „Mmërnàta Invernata „Mmèrnë Inverno Mmëstàrda Marmellata d‟uva Mmëstàtë * Contuso,Illividito „Mmëtà Invitare „Mmëttíllë Imbuto „Mmëzzà Avvezzare „Mmídja Invidia „Mmítë Invito Mmullë – Mmëllatë * Di vino andato a male Mmuóccë Bernoccolo Mó Adesso Moccëcabrodë * Di chi, mangiando, mastica e rimastica oltre misura Glossario - 75 - Mójma * Mia moglie Monëca * 1) Suora 2) Scaldaletto Mòra Ecchimosi – Livido Móstra * Elemento di paragone Mózza Vulva „Mpapacchià Scarabocchiare Mpërtënèndë Impertinente Mùcchië 1) Cumulo 2) Pagliaio 1) Mulo Mùlë 2) Trovatello, bastardo Muórë Gelso Mùscë Floscio, moscio Mùsë Faccia; Broncio Mùttë Cenno, motto N Nadaló Scanzafatiche Naddrattàndë Altrettanto „Nciénžë Incenso Ndà Come - 76 - Parte Prima - Lessico paesano „Ndàcca Intaccatura „Ndàccà * Intaccare „Ndandaló Altalena „Ndégnë Indegno „Ndëmërì Intimorire „Ndëmmàtë Contuso (anche per la frutta che ha preso colpi) Intirizzito „Ndënzió Intenzione „Ndëppàtë Bloccato (più che altro, di intestino) „Ndërëzzìtë Intirizzito „Ndërióra (li) Interiora, frattaglie „Ndesa * Udito Indurire, intostire „Ndëscëchì Intisichire „Ndëstà Indurire. intostire „Ndëvënà Azzeccare, indovinare „Ndëvënariéllë Indovinello „Ndëvëniellë Idem „Ndiepëdì Intiepidire „Ndiérë Intero „Ndòcca Rintocca (di campane) „Ndògnë * Intingere, inzuppare „Ndómmë-„Ndùmmë Contuso, dolente „Ndórnë Intorno „Ndóvë Dove „Ndrangulëjà Dringolare, oscillare „Ndrapèrtë Socchiuso Glossario - 77 - „Ndravëdé Intravedere „Ndravìstë Intraveduto „Ndrëccià Intrecciare „Ndrëgàndë Intrigante „Ndrëppëcà Ciampicare, incespicare „Ndrëppëcó Ciampicone, inciampicone „Ndrùjë Intruglio „Ndrùla (var. „Ndrùvëla) Spola, navetta „Ndruoppëchë * Inciampo; traslato: Complicazione „Nduócchë Tocco ( di campana) Ndussë * Contuso Nèfa Difetto Nëmëcàssë Inimicarsi Nënguènda Bufera Nëpótëmë * Mio nipote Nëviéra Diacciaia, locale freddo „Nfàmë Infame „Nfanatëchí Infanatichire „Nfangà Infangare „Nfarënàtë Farinoso, infarinato „Nfauttà Affagottare, infagottare „Nfëcà Infocare „Nfëlà Infilare „Nfëlàta Gugliata „Nfèrna Inferno „Nfërnà Infornare - 78 - Parte Prima - Lessico paesano „Nfërnàta Fornata, infornata „Nfëttà Infettare „Nfëttí Affittire „Nfëžžà Infilzare „Nfëzzió Infezione „Nfiammazió Infiammazione „Nfiascà Infiascare „Nfiëccà Infioccare „Nfiéttë Infetto „Nfilauaínë Infilaguaine, ago per nastri „Nfiòcca Fiocca „Nfízza Filza „Nfrattàssë Nascondersi per fratte „Nfuà 1) Accelerare 2) Mettere in fuga „Ngalëcà Calcare, incalcare „Ngappëttàssë Incappottarsi „Ngappià Allacciare, incappiare „Ngarbëjà Ingarbugliare „Ngardàzza In caccia per accoppiarsi „Ngarëcëllìtë Raggrinzito „Ngarrà * Inserire a forza „Ngascià Incaciare „Ngastrà Incastrare „Ngàstrë Incastro „Ngatënà Incatenare Glossario - 79 - „Ngazzàssë Incollerirsi, adirarsi „Ngazzùsë Irascibile, incazzereccio „Ngécca Gazza „Ngëfërrìtë * Alterato, adirato „Ngëgnàss Ingegnarsi „Ngëndëlítë Ingentilito „Ngënélla Ganghero „Ngëníllë Gancetto „Ngënittë * Uncinetto „Ngènnërë Frizzare, bruciare (di ferita) „Ngënnórë Cociore, bruciatura „Ngënžiérë Turibolo Ngëràta Incerato/a Nghë Con „Nghëppàtë Concavo „Nghjëvà Inchiodare „Ngí Gancio, uncino „Ngiambà Aggrovigliare, arruffare „Ngiambanèlla Complicazione, imbroglio „Ngiàmbë Intoppo „Ngiàmbëcà * Inciampare „Ngíma Sopra, in sommità „Ngìnda * Incinta „Ngiòccë * Cavalcioni „Ngnëttënì Ingolosire „Ngnëttí Deglutire, inghiottire - 80 - Parte Prima - Lessico paesano „Ngòcë Incuocere „Ngòtta 1) Granturco arrostito 2) spregiativo per donna insignificante „Ngravëdà Ingravidare „Ngrëscàta Cruscata „Ngrìccë Guascotto, né crudo né cotto „Ngrussà Ingrossare „Nguartàtë Inquartato, piazzato „Nguatramà Incatramare „Nguattà Acquattare „Ngucciàssë Ostinarsi „Ngucuzzù Accosciato „Ngùdëna Incudine „Ngulëttà Inghiottire, ingoiare „Ngullà Incollare „Ngullàssë Caricarsi in spalla „Ngundrà Incontrare „Ngùrdë Avido, ingordo „Ngurnatùra Fisionomia, incornatura Nijùsë Querulo, noioso Nìngulë Ghiandola „Nnacëdí Inacidire Nnaffiatùrë Annaffiatoio „Nnammëdà Inamidare „Nnànžë Davanti, avanti Glossario - 81 - „Nnànzë-arrètë Al contrario „Nnanzëdí Albore, innanzigiorno „Nnanžëdëjérë Avantieri „Nnànžë-piéttë Peso portato, poggiato sul torace „Nnanžëtiémbë Innanzitempo „Nnascunniéllë Rimpiattino „Nnaspà Ammatassare „Nnàspë Aspo, annaspo „Nnattaròla Culla „Nnazzëcà Cullare, ondeggiare „Nnëccà Colpire alla nuca 19 „Nnërítë Abbronzato, annerito „Nnësà Fiutare, annusare Nnëzzëlà * Infilare, inserire Nniértë * Spesso (trasl.: forte) „Nniéstë Marza, innesto „Nnívia Indivia Nocchia * Sansa „Ntësitë * Irrigidito ( p. es. dal freddo) Nù Noi „Nuccó Pochino, un po‟ „Nvëjà Invogliare „Nžaccà Conficcare, ficcare 19 Colpo di taglio alla nuca, per rompere la “noce del collo”. Tipico nell‟uccisone dei conigli, prima di sgozzarli. - 82 - Parte Prima - Lessico paesano „Nžalàta Insalata „Nžalatiéra Insalatiera „Nžanguënà Insanguinare „Nžanguërënéja Sanguina (egli, esso) „Nžapënà Insaponare „Nžëgnà Additare, insegnare „Nžëgnërì Insignorire „Nžëlëcà Assolcare „Nžëlfënà Insolfare „Nžëlëfënitë * Infuriato, assatanato „Nžënnëlítë Assonnato „Nžèrta (la) Innesto „Nzërtà Innestare „Nžëspëttì Insospettire „Nžétëla Setola; attrezzo del calzolaio per far passare lo spago nei fori praticati alla suola con la“subbia” (cfr. “spaccanzetëla) „Nžëvì Insivare „Nžëvìtë Insivato „Nží Grembo, in grembo „Nžiémbra Assieme, insieme „Nžolèndë Insolente „Nžómma Insomma „Nsultë * Ictus Glossario - 83 - O „Òbba Gobba „Òbbë Gobbo „Óccia Goccia Ógna Unghia - e Ógnë * Ungere Oj * Olio „Óla Gola „Ómma Gomma „Ónna Gonna Ondë * Unto, condimento Organéttë Fisarmonica Òpëra (l ‟) Operai P Pà Pane Pacòttë Pancotto Paccùtë Massiccio, spesso - 84 - Parte Prima - Lessico paesano Paínë Bellimbusto, damerino Pajàrë Rimessa sull‟aia Pajarola * Recipiente di paglia intrecciata Pajósa Pericolosa, critica Palëpàccë Sterpaglia Palléttë (li) * Farmaci in compresse, in confetti Palló Ernia, idrocele Pancëtà Sbadigliare Pancëtéja Sbadiglia Pandà Lama, pantano Pandàfëca Incubo Pandanòcchia Pozzanghera Pandanùsë Pantanoso, impantanato Pannèlla Sfoglia Panníttë 20 Braca Panzó * Soggetto obeso, Pancione Papàgnë Ceffone Paparèlla Anatra Paparó (lu) Oca Parà Pascere Paracènta * Copertura del pagliaio Parànža Paralisi Paratórë Decoratore Parnanžì Grembiulino 20 Erano presenti in tutte le case dove fossero donne fertili, prima della diffusione degli assorbenti igienici Glossario - 85 - Partërí Figliare, Partorire Pàrtëtë Tuo padre Pascíllë Piantone Pàsëma Asma Passà Abburattare, setacciare Patàna Patata Patrasuónnë Dorminpiedi Pàtrëmë Mio padre Patrëníttë Padroncino Patró Padrone Patróna Padrona Pattuèlla Pattina Pè Piede Pëccardiéllë Beccatello, appendiabiti Pëccéna Mammella Pëccënàra Colombaia Pëcchëriéllë Punta del bavero Pëcchí Beccamorto, becchino Pëcció Colombo, piccione Pëcciuólë Gambo, picciòlo Pëcuózzë Cafone, rozzo Pëdàcchië (li) Pedali del telaio Pèdëca Pedata Pëdëcaròla Viottolo, sentiero Pëdëcàta Orma Pëdëchënùtë * Robusto, tozzo, ben piantato - 86 - Parte Prima - Lessico paesano Base del tronco da cui si dipartono le Pëdëcó * radici Pëgnàta, - tiellë Pëluóttë 21 Pignata, pentolino Lardo per arrosto Pëndëcàna Topo di fogna Pëndëníllë Cantuccino, angoletto Pëndína Frangia, merletto Pëndó Cantone, angolo Pëndura * Iniezione intramuscolo Pëndùtë 22 Acuto, appuntito Pënënžù Allinsù Pëngiàra Casa costruita con argilla impastata con paglia Pënnëcà Dormicchiare Pënnëchétta (-ella) Dormitina Pëpétta Bamboletta di pezza Pëpígnë Capezzolo Pëppërélla Bocciolo, cima Përbëijùssë Dado a trottola Përcàcchjë Pianta grassa commestibile Përtëcàra Aratro Përtësinnëlë * Prezzemolo 21 Pezzo di lardo avvolto con carta-paglia, infilato in cima ad uno spiedo e quindi incendiato in modo che le gocce fiammanti cadessero sulle carni al girarrosto durante la cottura alla brace, per insaporirle e renderle croccanti in superficie. 22 L‟aggettivo veniva usato in paese per soprannome a tipi – per lo più donne – di carattere spigoloso e aggressivo. . Glossario - 87 - Përtósa Finestrella Pësàccia Bisaccia Pëscià Orinare Pëschjùsë Di bambino sporchetto Pësciariéllë Polla, rigagnolo Pëscùja-ója Pozzanghera Pëscoja * Bascula Pëscujà Pastrocchiare Pésëlë 23 * Che sta sospeso, in superficie Pëstaròla Pigiatrice per l‟uva Pëstrënàrë Frantoiano Pëstrí Frantoio Pëtëndína Saputella, petulante Pëtó Gallinaccio, tacchino Pëtóna * Sbornia Pëtuócchë Crocchia Pëvërammë Meschino, tapino Pëzzëcà Beccare, pizzicare Pëzzëcuóttë Specie di “strozzapreti” Pëžžì Polsino - i Piàgnë Piangere Piangítë Pavimento Pianuccia * Pialletto 23 Si dice ad esempio per il filo d‟olio aggiunto come condimento a crudo su una minestra. Il termine indica anche le fascine di legna che si usava sistemare all‟incrocio dei rami delle piante lungo i filari di vite. - 88 - Parte Prima - Lessico paesano Piàtëna Catino Píca Ghiandaia Piccamuortë * Becchino Pícchë Becco Pié (li) Piedi Pijëccà Ripulire da erbacce Piòtë Tipo (troppo) calmo Pirë * Piolo Pìttëma * Persona assillante Pizzëcaspí Scricciolo Póccia Tetta Póggë (lu) Pulce Poidëmà Dopodomani Porra * Porro, verruca Pòrta- àchë Agoraio Pòsta Agguato „Ppartarrètë Dietro, didietro „Ppassìtë Appassito „Ppëccëcà Attaccare, appiccicare „Ppëccëcùsë * Appiccicoso, Soggetto assillante, invadente „Ppëccià Accendere „Ppëndëzzì Appuntare, appuntire Ppërrënìtë * Deperito, sciupato (di persona) „Ppiccëcasàndë Lappola Prëcisë * Di persona stimabile ed affidabile Glossario - 89 - Prëcòca Albicocca Prëddacchiuólë Pretonzolo Prèddë Prete Prëíbbëtë Tipo non raccomandabile; (in positivo:“tosto”) Prèmë * Covare Préna Pregna, incinta, gravida Prëncípijë Inizio Prësëndí Vanesio, invadente Prèssëca Pesca Prèta 1)Pietra 2) Lapide Prëvà Assaggiare Prëvìna Rubinetto della botte Priémëtë Tenesmo, cistite Prónga Susina Progne , prëgnuolë Prugne Prùha Purga Prùssia 24 * Camisaccio di cotone/canapa Puochëfà Dianzi, poco fa Puóstë Luogo, posto Pùpa Bambola di pezza Pùpë (lu) Pannocchia 24 Indumento da lavoro del contadino d‟altri tempi, ma non solo. Se le nostre zie, allo sfoggiare di noi ragazzi i primi jeans, ci accusavano di esserci messa “la prussia”, la stoffa di quei camisacci doveva essere quella famosa dei camalli di Genova, da cui appunto i “geanes” - 90 - Parte Prima - Lessico paesano Pùschja * Schiuma agli angoli della bocca Pùžžë Polso Pùzzë Pozzo Q Qquajó Quaggiù Quacquósa * Qualche cosa Quajà Cagliare Quajàta Giuncata Quajàtë Accagliato Quàjë Caglio Quatràmë Catrame Quatrí Denaro, quattrini Quíllë Quello, colui Quíssë Codesto, costui Quístë Questo Quëndàlë Quintale Quôsa 1) Cosa 2) Affatto, niente Glossario - 91 - R Rà Grano Ràccëca Faringite Ràccëcà * Grattare, raschiare Racëmíttë Grappoluccio Racímë Grappolo Racùsë Di voce roca Ràdëca * Radice Radëcà * Mettere radici Raghëna * Ramarro Ràgnë 1)Ragno 2)Granchio Ràja Idrofobia, rabbia Ralla * Spatola metallica per togliere la terra dagli attrezzi da lavoro Ramàccia Gramigna Ramaruólë Ramaiolo Ramàta Acquata, scroscio Rambalëpí Sulla (prato) Rambazzíttë Grappoletto Rambëcà Graffiare Rambëcàta Graffiatura Rambëchí Muraiolo,- picchio o lucertola - 92 - Parte Prima - Lessico paesano Ràmpa Granfia Ràngëchë Rancido Rannëlà Grandinare Rànnëla Grandine Rannëlàta Grandinata „Rantùrchë Granturco - Mais „Rappèlla Accessorio del giogo: bardatura ai lati e alla testa dell‟animale Ràscia Incrostazione (tartaro) Rascìna * Oidio Rassèlla Raganella Ratíccë Graticcio Ratícula Gratella „Rattà Grattare „Rattacàscë Grattugia (per formaggio) „Rattàta Grattata Rattattù Bailamme, disordine Rattëchèlla Prurito Rëbbàttë Tornare (dei conti) Rëbbèca Ribeca Rëbbëcó Ribecone ( strumento da accompagnamento folk) Rëbbëví Risuscitare Rëbbianghëggià Imbiancare Rëbbrëzzëní Rabbrividire Glossario - 93 - 1) Disseppellire, esumare Rëcaccià 2) Dare ad un neonato il nome di un ascendente Rëccapà * 25 Rëccèlla Dividere, scegliere, ripulire Arnia Rëcchía * Orecchio Rëcchíttë Culaccino Rëccòjë Raccogliere Rëcèrtëla Lucertola Rëchëmbrà * Acquisire benemerenza Rëfà Guarire Rëfàttë Guarito Rëfrëcà Berteggiare, canzonare Rëfrëcatórë Canzonatore Rëggërà Abbindolare Rëggëratórë Régnë * 26 Abbindolatore Regno preunitario delle due Sicilie „Rëgnì Grugnire Rëgnó Rene, rognone Rëgnù (li) Reni Rëgrëmà Digrumare, ruminare 25 Il termine è probabilmente derivato da Giovanni Rucellai (Firenze 1475 – Roma 1525) autore di un - al suo tempo famoso - poema didascalico “Le Api” pubblicato postumo nel 1539. 26 Termine ancora in uso fino a non molti anni fa per indicare i territori abruzzesi al confine con le Marche, come pure le locuzioni:” dë qua” o “dë llà da Trundë” - 94 - Parte Prima - Lessico paesano Rëgrùma Rimugina Rèhula Mestruazione Rëí Riandare Rëjëstà Aggiustare Rëmbëzzà Imbronciarsi Rëmbëzzùsë Che fa il muso Immusonito Rëmbízza Rëmbrësatùra 27 Costipazione, raffreddore Rëmbrëscëttí Improsciuttire Rëmítë 1) Eremita 2) Ronzone (insetto) Rëmmëcchí Spuntino Rena * Sabbia Rënàlë Pitale, orinale Rëncappëttàssë Incappottarsi Rëndrëssëcà * Andare di traverso Rënfascià Fasciare Renga * Aringa Rëngujëní - itë Rimminchionire, rincoglionito Rëngurcëníssë Rincurvarsi 27 Mi raccontava questa cosa il cugino Franco : Don Gennarì ( il nostro dottore, succeduto a zio Medico) usciva dall‟aver visitato zio Ciro a letto con uno dei suoi memorabili raffreddori. “Jétë… jétë a trëvà Ciro… tè‟ una febbre… porta un cazzo di delirio…!!” E trovarono difatti zio Ciro, con una febbre da cavallo, che straparlava, ed a quanti, per conforto di compagnia, erano al suo capezzale, spiegava, natura, sintomi e terapia di ciò che aveva: “ Chesta è „na rëmbrësatura……….. La ri - mbresatura: è la pelle che si è intesita, ma col massaggio ridiventa fluida.” (Bibi) Glossario - 95 - Rëngurcënítë Rincurvato, rinsecchito Rënnaccià * Rammendare Rënnaccë * Rinaccio, rammendo Rënvèrsa Piega del lenzuolo Rënžàcchë Stambugio, nicchia Rëpó Calanco Rëppëllà Ridiscutere Rëppèlla * Accessorio del giogo „Réppia Greppia Rëscíbbia Erisipela Rësciuólë Triglia Rësëcà Rodere, sgranocchiare Rësèca Tacca, fessura Rësëcó Gretto Rësësvéldë Mentuccia Rësístë Desistere Rëspízzëca Spigolatura Rëssëccà Asciugare Rëssëttà Aggiustare, rassettare Rèsta Gracimolo, treccia d‟agli o cipolle Rëstìvë * Sforzato Rëtràbbië * Rudimentale attrezzo multiuso per la lavorazione di mosto e vino: affondare vinacce, sfecciare, ecc. traslato: appellativo dispregiativo per individuo fisicamente malmesso - 96 - Parte Prima - Lessico paesano Rëtrajà Inaiare Rëtréscëna Gorgo, mulinello Rëulétta Rucola Rëulízia Liquerizia Rëžžéchëra Zecca (insetto) Rífëna Duna di sabbia o neve Rijógnë Aggiungere, giuntare Rijùndë Aggiuntato Rijuólë Orzaiolo „Rìllë Grillo Rína (li) Dorso, reni Rióndë Giunto, giuntato Rípa Dirupo; Calanco Rìzza Recinto di canne, paretaio Ròcculë Rete per uccelli Ròla Semenzaio „Ròtta Grotta „Rracà Essere piccante o aspro „Rracanì Arrochire „Rrachìtë Afono , arrochito „Rrajà Arrabbiare „Rrajàtë Idrofobo, rabbioso „Rrëcëló Capriola „Rrëfìtë Irto Rrëfódda Abbondante „Rrégna Baruffa, rissa Glossario - 97 - „Rrëgnàssë Azzuffarsi Rrëscënítë Rinsecchito , malmesso „Rrëstëtóra Griglia per arrosti „Rrëvëntì Arroventare „Rrëžžëchì Arrugginire Rùa Chiassolo, stradina Rùndë Sarcocele, ernia scrotale Ruocchië * Spezzone Ruótëla Girella (di legno o cacio) Rùtte sostantivo : Rutto aggettivo : Rotto Ruggine Rùžža S Saggíccia Salsiccia Sainaccia * Erba con spighette attaccaticce Saittí Peperoncino Salta-pëdína Cavallina (gioco) Salvaví Imbuto Sanàcia Cicatrice Sanëtà Ansare - 98 - Parte Prima - Lessico paesano Sanëtéia Ansima (egli) Sapëtiéllë Saputello Sappó Bollero, zappa pesante Sapùtë Saccente, vanitoso Saràca Salacca, aringa Satùllë , -ólla * Sazio/a, soddisfatto/a Sažžiérë Mortaio Sbajà Errare, sbagliare Sbàttë Frullare Sbëllùnghë Bislungo Sbënnònna Bisnonna Sbëscià Bucare Sbësciacchià Forare, sforacchiare Sbësùndë Bisunto Sbírrë Birro Sbrëccëcùsë * Ruvido Sbrëdà Imbrodolare Sbruóccëchë Protuberanza dura Sbusciafrattë Scricciolo Scacà Incacare, impaurire Scaccëtà (inf.) Fare coccodè Scallaliéttë Scaldaletto Scamëciàssë * Mettersi in maniche di camicia Scanajà Stimare alla grossa Scancëllà Cancellare Scandapézza Traballone, sbandata Glossario - 99 - Scanžia * Credenza Scapëcuóllë Caduta a rompicollo Scapëstà Calpestare Scapìzzë Avanzo, rimasuglio Scappà Fuggire Scapparìccë * Chea va di fretta Scapùllë Bamboccio Scarciòfëna Carciofo Scardëzzà Spannocchiare Scarduózzë 1) Pannocchia 2) Involto Scarëcarèlla Vedi: Carrèlla; Ma anche: 1) Piccola trappola2) Domino con mattoni Scarëcatuóppë Fuciletto (gioco: Vedi descrizione sub “Lu Zzërrió”) Scarpàrë Calzolaio Scàrsë Insufficiente Scartuózzë Cartoccio Scassà 1) Cassare 2) Dissodare Scatafuoscë * Buca stradale, irregolarità del terreno Scatarrà Espettorare Scažžë Scalzo Scélla Ala - 100 - Scëllò * Parte Prima - Lessico paesano Accessorio dell‟aratro atto a creare solchi per sementi tipo mais, patate, legumi… Scëngià Scapigliare Scëngiàtë Spettinato Scèrnë Discernere Scèrpa Biscia , serpe Scërriàtë * Spettinato, disordinato Schëmmàttë Avere a che fare Schëmmiérsë Maleducato Schëppià Esplodere, scoppiare Schëppícchië Chicchi d‟uva svuotati della polpa (secondo alcuni: Semi legnosi dell‟uva) Schëppógna 28 Pèsca spaccherella Schiàfëna Chiazza , screpolatura Schiàntë * Parte di un grappolo d‟uva Schiëppà Sbattere, urtare Schiëppétta Battimuro Schìfë- Schjëfó-Schjëfìna Vassoi in legno di varie dimensioni e per vari usi Schiovacristë * 28 Persona perfida all‟ennesima potenza Erano, e da molti anni non le ho più trovate, buonissime pesche di pasta gialla, compatta, che si dividevano in due semplicemente girandole tra le mani in senso contrario Glossario - 101 - Apertura sulla doga mediana del Schijuólë fondo della botte, utilizzata per la pulizia dell‟interno. Schjënàlë Groppone Schjërëcàtë Chiericuto, pelato Scì Sì (affermazione) Sciambagnó Sciupone, spendaccione Sciàpë Insipido Sciapítë Sciapo, scemito Sciauiértë Sciattone Carruba Sciaunèlla Sciaurdié * 29 Sballottamento…, da bordo a bordo Sciérrë * Ufficiale giudiziario Scijó Scroscio, acquazzone Sciòdda Diarrea Scióma Cialtrona Sciuccamà (anche Sciuttamà ) Asciugamani Sciùrnë (femm: sciórna) Persona stramba, pazzerella Scòccia Scoccino : sfida con uova sode (usanza in occasione della Pasqua) Scocciapëgnàta Giunchiglia Scòfëcë Malcontento, di gusti difficili Scóta 30 Manico (di zappa, vanga, ecc.) 29 Derivato forse da “sciabordìo… per indicare un‟azione di rimescolamento? - 102 - Parte Prima - Lessico paesano Scrastà Rompere con le mani Scrëtëriàtë Insensato Scrèlla Scheggia (di legno) Scrià Cacciare, allontanare Scriàtë Allontanato; traslato : malmesso fisicamente Scrùcchia Mento Scuccígnë Rumor di cocci rotti Scudàlë Imbraca (finimento) Scudëlliérë Scolapiatti Scùffia Cuffia Scungià Arruffare i capelli Scurdariéllë Immemore Scùrë Buio, scuro Scurréja Scorreggia, peto Scurtà Finire Scurtëchì * Operaio del mattatoio, scuoiatore Scuscënëjàtë Disarticolato ( di persone e cose) Scussàtë Lussato nelle anche Scustëmàtë Incivile Scutëlà Scuotere, sgrullare Scutërëzzà Scodinzolare 30 In questo senso l‟ho sentito usare poco; molto più comune ne era - ed è, credo,l‟uso nel significato di soddisfacente atto di autoerotismo. Glossario - 103 - Sdëvà * Stancare fino a “rompere le ossa” ( le doghe) Sdiù * Colazione di mezza mattina Sëcà Assorbire; Succhiare Sëccà Essiccare Sëccasëmèndë Se per caso... Sdëgnà Lussare, slogare Sdëlëffàtë Sfiancato, sfinito Sdërënàtë Idem come sopra., ma con dolenzia di schiena Sëgnërì ( a ) Appellativo di deferenza del tipo: “vostro onore”, ma meno pomposo Sëllécchia Baccello, siliqua Sëllùzzëchë Singhiozzo Sënditë * Assennato Sènnëra ( o Sellëra) Sedano Sënzìttë * Leggero sapore Sërgèndë * Morsetto per assemblaggi in legno Sërgíttë 1) Topino 2) Gnocco di patate Sèrra Bica, larca Sëtàccë Crivello Sétta Saliscendi Sëttërrà Interrare, sotterrare Sfacciàtë Insolente Sfarënùsë Farinoso Sfascià Disfare , demolire - 104 - Parte Prima - Lessico paesano Sfëmmëcà Affumicare Sfënnàtë Insaziabile Sfëràstëchë * Scostante, ombroso Sfërmàtë 1) Informe, deforme 2) Alterato, fuori di sé Sfëtatùra L‟ultimo uovo di una gallina Sfràgnë Frangere, schiacciare Sframëcà Sbriciolare Sfrignë * Buffo Sfiàrë Olezzo (d‟ogni tipo) Sfrëculià Stuzzicare Sfrëschià * Schizzare acqua con un tubo rigido o di gomma Sfrëschiù ( a) * Movimento dello sfrëschià Sfrischië * Schizzo Sfùmmëchë * Suffumigi Sganassó Pugno in faccia Sgattó Leprotto Sghëmmarèllë Cucchiaione , mestolo Sgrascià * Cogliere un‟opportunità Sgrassà Digrassare Sgrassatórë Grassatore Sgravà Figliare Sgrëdà Rimproverare Sgrëmó Cresta del terreno Sgríllë Gioco della lippa Glossario - 105 - Sgrízzë Schizzo Sgrugnàtë Sbreccato Sgrugnatùra Sbreccatura Sguazzà Diguazzare Sguazzónë Discolo Sgurzëllù Tiro a manrovescio Sgurzó Sbieco, di traverso Sítë Cesso, luogo Sivë * Sebo Slattà Divezzare Smatrëcàtë Prolassato Smërcià Spegnere Sòda Infeconda Sonaorghënë * Bellimbusto Soprammà Ribattitura Sopruóssë Esostosi, soprosso Sór...-Sóra... Signor - a Sòrëma * Mia sorella Sórgë * Topo Sórrëca Ratto (di fogna) Sórrëca Macchia d‟unto Sosòra Tata Spaccanzétëla *31 Immaginario attrezzo del calzolaio 31 Lo “spaccanzetëla” non esiste: un artigiano burlone se ne servì per un simpatico scherzo…. Chiedere a Giuseppe Di Basilio per i particolari… - 106 - Parte Prima - Lessico paesano Spalviérë * Tavolozza per muratore Spambalàtë 32 Spampanato Spangiàtë Slabbrato, smagliato Spannaruólë-Sparnaruólë Cesto del seminatore Sparacëndàtë Allentato - Allascato Spàrra Cercine (per la conca) Sparró Strofinaccio Spartì Dividere, distribuire Spasërìtë Timoroso, impaurito Spasetta * Piatto da portata Spatracullàtë Rovinato (di animali) Spatracuóllë Danno, rovina Spëculjà Indagare Spëdëcënítë Male in arnese Spëjà Denudare, spogliare Spëppí Sbocciare Spërélla Solicello invernale Spërtëlló Imposta (infisso) Spërtiéllë Anta Spëttërëjàtë A petto nudo Spëziàlë Farmacista Spëzzërëllàtë A bordi dentellati 32 Si dice di fiore coi petali allargati e in procinto di cadere (rosa spambalàta). E‟ legato all‟usanza di togliere le foglie della vite, “pambëla”vicine ai grappoli per far prendere il sole e favorire la maturazione dell‟uva Glossario Spianàta - 107 - Focaccia; Pizza pasquale al formaggio Spítë Schidione , spiedo Spòtëchë Libero, senza vincoli Sprëfùnnë Abisso Spësciàssë Scompisciarsi, pisciarsi addosso Sprëmiéndë Esperimento Sprënà Sgravarsi Sprëngëpiàtë * Messo male ( di persona) Sprëscià Spremere Sprësciuócchë 33 Latticino spremuto a mano Sprëtà Impaurire Sprëtàtë 1) Indemoniato, spiritato 2) ex prete Squajàtë Disciolto Squaquaracchiàtë Schiacciato, squagliato Squarquajó Nottola, pipistrello Ssajó Costaggiù , laggiù Ssàmmëra 34 Pianta maschio della canapa; traslato.: Buono a niente Ssamuò * In codesto modo 33 Parte della cagliata stretta a mano. La massaia che confezionava la forma di caci poteva promettere al bambino: së fà lu bbuónë të fàccë lu sprësciuócchë ! 34 E‟la pianta maschio della canapa, più alta delle altre, ma che serve solo ad impollinare, senza dare apprezabile prodotto. Perciò è usato come dispregiativo, rivolto ad individuo poco valido: gruóssë e cazzaccë, „nu ssàmmëra. - 108 - Parte Prima - Lessico paesano Ssassù Lassù Ssëgnërí Signoria vostra Ssëgrà * Strofinare Ssëpërazió Suppurazione Ssèqujë Esequie Ssogna * Sugna; grasso del maiale dal quale si fa lo strutto Stabbiàrë Concimaia, letamaia Stàbbië Letame Stajë * Stalla Stamuò In questo modo Statëró * Bilancia Stazzë Addiaccio (delle pecore) Stazzella * Tavoletta di legno Stëccarola * Spatola da stucco Stëllërí Mingherlino Stènnë Distendere Stënnëtùrë ( o Stërnëtùrë) Matterello Stëppí Lucignolo, stoppino Stërdí Assordare, stordire Stërdítë * Non più lucido di testa Stèrza * 1) Timone del carro 2) Carro a due assi di cui l‟anteriore sterzante Stíra Arnese, attrezzo Straccalë o Straccàrë Bretelle, dande Glossario Straccë (passà lu -) * - 109 - Strofinaccio per pavimenti ( Lavare pavimenti) Strascënatë * Brasato (di verdure; p. es : Fojë strascënate.) Stràttë Conserva di pomodoro Stravalëcà Dementare, dare di matto Stravalëchéja Dà di matto Stréccë Pettine (a denti larghi) Strëfënà Fregare , strofinare Strëibbì Eliminare, distruggere Strëlëngó Spilungone Strëngëcó Ramo, tronco, stoppia Strëppatóra Estirpatore Strèusë Lunatico , strambo Struítë Istruito Strùjë Fondere , liquefare Struólë Porcile Strùttë Sostantivo: Grasso di maiale fuso e per essere poi conservato nella vescica ( sempre del maiale) Voce verbale: Fuso, fonduto Stù Questo Sùbbia Lesina Sùlëchë Solco - i Suó Suo Sùvë Salire - 110 - Parte Prima - Lessico paesano Sùvëtë Salito Svejammammòccë * Inattesa… esperienza istruttiva Svënà Dissanguare Svíjë Desto, sveglio T Tàcchë-màttë Cerotto antidolorifico Tàcchjë Talea - Getto Taccuniéllë “Maltagliati” ( impasto di farina di grano e mais) Tajafié Fienaia Talëfí Delfino Tallí Germinare Tallítë Germinato Tamarícë Mirica , tamericio Tamòck Uno che non conta niente Tànfë Lezzo Tarìna Scodella da portata Tastà * Toccare, palpeggiare Tastutë * Di spessore Tàvëla Asse Glossario - 111 - Tavëlétta Assicella Tëmbèra Pioggia abbondante Tënërùmë Cartilagine Tëpó Piolo, piantatoio Tëratùrë Cassetto ( di tavolo o madia) Tërdaca * Sbornia Tërtëràta Legnata Tërtùrë Clava - Tortore Tërzaló Rozzone - Grossolano Tëstariéllë Duretto Tëstatùrë *35 Fune di canapa Tétèllë Tato, fratellino Tëtëllùccë Fratelluccio Tëzzó Tizzone Tirannànzë Lascia perdere Tízzë Fumacchio - Tizzo Tòrcë * Incordare – Strizzare Tòrcëcuóllë Torcicollo Tòtëra (li) Pannocchie sgranate Tràja 36 Trappìtë * Traino Frantoio 35 La fune lega i buoi, per le corna, alla punta del timone del carro; in un percorso in discesa la valutazione della sua tensione induce a controllare opportunamente la frenata del mezzo 36 La tràja tirata da buoi; era un carro-slitta senza ruote, con lunghi pattini (realizzati con legno di fico), basso sul terreno. V. in Appendice sub: “Lu rëtrajà” - 112 - Parte Prima - Lessico paesano Trasàna Gronda Tre - Quattrë - Cinquë 37 Teorema di Pitagora Trëcà Durare Trëcculàta Piantonaia,vivaio per piante Trëmórë Fremito Trësëmarié Rosmarino Trëtiéllë Cruschello Trëttëcà Sballottare, scuotere Trëvëtà Intorbidare Trìppa Pancia , epa Trístë Cattivo Trocca * Trogolo Tròcchjë-Tòrchjë Torchio per spremere le vinacce Tropea * Sbornia Trufa * Schiuma ( p. es. del vino) Trùfë Orcio „Ttaccà Attaccare, legare „Ttaccatùra 1)Legamento, legatura 2) Sulla fronte, inizio della chioma „Ttëndà Tastare, palpare „Ttërà 1)Attrarre; 2) Atturare „Ttërcënà Attorcinare „Ttrëmì Attramirsi 37 Il più noto dei teoremi geometrici in enunciazione ipersintetica e di immediata sperimentazione concreta, per es. per la perfetta squadratura di un‟area:Tre e Quattro i cateti; Cinque l‟ipotenusa, e poi per multipli Glossario - 113 - Tùndë Gnorri, tonto Tuó Tuo Tuócchë Sincope, colpo apoplettico Tuóstë Duro ; Detto di persona per indicare un soggetto resistente alla fatica, o più genericamente :”in gamba”. U Uàccë Comando per “a cuccia”! „Uadàgnë Guadagno „Uàjë Guaio „Uàlë Pari, uguale „Uàndë Guanto „Uandiéra Guantiera Uànnë Quest‟anno „Uarnëzió Guarnizione „Uarnì Guarnire „Uarniéllë Guarnello , veste da casa „Uarzó Garzone „Uastà Deteriorare, guastare „Uàstë Guasto Uastënà Bastonare Uastënàta Bastonata - 114 - Parte Prima - Lessico paesano Uastó Bastone Uattùllë Stia,pollaio „Uàzza Brina, guazza „Uazzaró Gabbanella, grembiule „Ubbìtë Aggobbito Ubblëgà Obbligare „Uccétta 38 Goccetta, Bicchierotto di vino Ucchiara * Cazzuola Ucchjëró Occhione, pagello „Uccià Gocciare Úcëna Fusello (per tombolo) „Udé Godere Udórë Profumo , odore Udùtë Goduto „Uëdà Guidare „Uëdatórë Guidatore Uéh Olà „Úfë Gufo Ugnùnë Ciascuno, ognuno Uìccia * Residuo acquoso della molitura delle olive Uletta * Sottogola: accessorio del giogo Ulía Voglia, uzzolo 38 Termine usato per offrire una bevutina di cortesia, in modo analogo a come in Veneto si propone un‟ “ombretta” Glossario Úlmë 39 - 115 - 1) Olmo 2) A secco nella“passatella” „Ulùttë Ghiotto „Uluttënìzia Ghiottoneria, leccornia Úmëra Vomere „Umëtàta Gomitata „Unfià Gonfiare „Únfië Gonfio „Unfiórë Gonfiore „Unnèlla Gonnella Uócchjë 1) Occhio 2) Gemma di una pianta Uója Oggi Uojëcëllí Lucilina - Mosca carnaria Urdégnë Ordigno Úrlë 1) Grido,urlo 2) Orlo Urnalë * Tegole (coppi) dei bordi del tetto Úrsë Orso Uórbë Orbo Uóssë Osso Uóssë-passíllë Malleolo Uóvë (l‟) Uovo Uóvë (li) Buoi 39 Da ragazzini assistevamo alle partite di carte dei giovanotti grandi”, che si giocavano nu quàrtë e „na gazzósa e c‟era chi facendo parte del gioco, alla fine per non so quale regolamento ( la passatella) -veniva mannàtë a ùlmë il che significava che, mentre gli altri bevevano, lui restava a guardare a becco asciutto - 116 - Parte Prima - Lessico paesano „Urtëllàta Coltellata Urtësciàna * Recipiente, generalmente. di terracotta, usato per condire maccheroni, insalata o altro „Urtiéllë Coltello Usëmà Annusare … cercando Usëméja (Lui) annusa „Ústë Gusto Utàndë (Utantë) Abbastanza, assai Uttànë Dottato, fico dolce Uttó Ottone Úua Uva „Uvèrnë Governo Uvíttë Ovetto Uzijà Oziare Uzijùsë Ozioso Uzzà Aizzare V Vaccílë Catinella, bacile Valcà Gualcare, infeltrire Vandiéra Guantiera Glossario - 117 - Vandiòlë * Crisi epilettiche; Convulsioni Varílë Barile Varvàja Goletta, guanciale (del maiale) Varvajòzza Pappagorgia Vascià Baciare Vattùllë Stia Vàva Bava Važžē * Legaccio di spighe tagliate, per tenere insieme la“vrangata” mietuta Vècchia (La) Befana Vëcchiacó Longevo, vecchione Vëcciandó Calabrone Vëcënìttë Rocchetto per la „Ndrùla (v.) Vëcínë Vicino, presso Vëddà Voltare, svoltare Vëddëcà-të Rovesciare-ato Vëddécchia Svolta rapida in corsa Vëdèlla (li) Budella Vëdiéllë Budello Vëlandrèlla Farfallina; traslato: Persona magrolina Vëlèscia * Tassuto molto sottile ( così ridotto anche per consunzione)…, un velo Vëllégna Vendemmia Vëllëgnà * Vendemmiare Vëllìtë * Bollito; bollente - 118 - Parte Prima - Lessico paesano Véna Avena Vëndà Buttare, gettare Vèndapaia * Macchina di corredo alla trebbiatrice Vëndràmë * Interiora Vëndrëcína Ventricina (insaccato) Verdamóscia Terra bagnata non lavorabile Vërdënélla Succhiello Vërgàra Massaia Vèrmënë Bruco, lombrico Vërnëcchià Bisbigliare, cornacchiare Vërzícula Verzicola (gruppo di 3 carte) Vëscënìttë * Canaletto, tubetto, vaso (anche anatomico) Vëschëdùrnë Uragano, turbine Vëschëvíttë Spuntino, mangiatina Vësciàccula Bolla, vescichetta Vëtriùsë * Intrattabile , iperreattivo Vëttëcèlla Botticella Vëvëró * Intruglio di ingredienti vari, vitto del maiale Viàtta Ramo lungo e sottile Vínghë Vimine Viòcca Biocca, chioccia Víschjë Pania, vischio Vócca (dë la vóttë) Cocchiume Vócca Bocca Glossario - 119 - Voddarecchie * Tipo di aratro: reversibile Vòja Desiderio Vóscë Canale Vótëra (li) Maledizioni Vòtta Dà di matto (anche per animali) Vóttë Bótte Vòvë (lu) Bove, bue Vracciuólë Ramoscello Vrangata * Abbrancata, imbracciata Vrànghë Branco Vràscia Brace Vréccia Ghiaia, breccia Vrëcculósa Etisia Vrëillàta * Variegata; lo è p. es. la lomza di capocollo: mista: grassa e magra Vrëscënà * Rimestare braci o cenere Vrësció Acque luride Vrëugnùsë Pusillanime, timido Vríscia Bacchetta lunga, sottile ed elastica Vròcca Brocca Vròcculë Cavolfiore Vruócculë Cavolfiori, broccoli Vròda Broda Vrùscëla Morbillo; Varicella Vù Voi - 120 - Parte Prima - Lessico paesano Cavità nella navetta per il passaggio Vùscënë * del filo Vùtë Gomito Vùžžë Bolso „Vvërmënì Bacare „Vvëzzàtë Abituato „Vvëžžìtë Imbolsito Z Zalluócchë Grumo Zambàta Pedata Zambógna Zampogna Zarambógna Cornamusa Zëffrículë Cicciolo Zëlëfíttë Canapulo : Stelo di canapa e zolfo per fare fuoco Zélla Ciocca scomposta Zëllùsë Spettinato, disordinato Glossario Zëmbà 40 - 121 - Saltare Zëmbíttë Saltello Zënnàlë Grembiule Zënnaló Gabbanella , grembiulone Zépëta Dispari Zërlà Ruzzare, giocare Zëzzó * Sporcaccione Zi‟ – Zëzì – Zëzó * Zio Zí‟ – Zëzina * Zia, Zietta Zìëmë * Mio zio Zipèppë Pitale Zólla Ciocca Zùmbë Salto Zuócchë ( plurale: Zòcca) Acino, chicco Zùrla Ruzzo, gioco Zùzzë Sporco, sozzo Žžauóttë 1) Ragazzo 2) Briccone „Žžëccà Azzeccare Žžëcchià Sobbalzare „Zzëffiatùrë Soffiatore (per camino) Žžërrià Ronzare Žžërrió Bottone e spago (gioco) 40 Sghignazzando, lo si usa anche nel significato di “copulare”. - 122 - Parte Prima - Lessico paesano Žžëutrìnë Veterinario Žžìcchië Sobbalzo Žžërëpëpì Palèo, piccola trottola ***** Detti e motti - 123 - DETT I & MOTTI A „Ngarà së dicë „ccuscí Arrëfódda Abbondantemente A lu ménë Almeno A ùffa A ufo, a sbafo A la „mbrëvìsa D‟improvviso Allëhà li diéndë La sensazione che si avverte ai denti p. es. col succo di limone A lu pè‟ a lu pè‟ * D‟appresso Annànzë dë rètë All‟incontrario Arëcàlëtënë Pié‟ * Ricomincia daccapo…. A rëcchië rittë ! * Atternzione!... anche come monito. Arësseccà li pànnë Asciugare il bucato Arëvè „n ganna * Dà rigurgito, come accade ai più dopo una mangiata di peperoni… A tiembë dë fëllaccià, unë …….… „mmocca e unë a „mmà; quandë ………. jemë su lu padrò,… “cce frëcatë lu la colpa è del calabrone… vëcciandò! “ * A tiembë dë fascëlittë, cë li ma- ………. gnemë frischë frischë; quandë je- ………. më su lu padrò,….“cce frëcatë la la colpa è della siccità: il raccolto staggiò!” * è stato misero per il padrone ! - 124 - Auah chë mm‟ é „ppisë mamma ! * Parte Prima - Lessico paesano Reazione negatoria ad una richiesta o proposta ritenuta assurda, accompagnata da un gesto di inequivoco rinvio ai propri “attributi”. Di uso analogo al romanesco: “ ‟n par de palle!” Bbëscó-bbëscó Si dice facendo indovinare il contenuto delle mani a coppa. Ca dapuó …. Sarà mio pensiero…..( promessa di sdebitarsi …. un dì….) Casa a pëscióna In affitto Cciacchëtë l‟ogne * Schiacciati le unghie (detto solitamente a bambini quando asillano lamentando di annoiarsi o non sapere come passare il tempo) Ccíca-ccíca Gradatamente Cë‟aùsa E‟ abitudine Detti e motti C‟è pësciàtë la luna - 125 - * Si dice di certe mele…..41 Cavallétta dë la „bbàda Salincervio: gioco infantile Ccùncë-ccùncë Piano piano Cëvëtëllesë (lu) * Vento locale più o meno da occidente, da Civitella Chë të piagnë li frëchì? * Ad uno che mostra di andar di fretta Chi ha fumë ha càllë Dove c‟è fumo c‟è fuoco, quindi calore Chi më battezza m‟è chëmbarë * Leteralmente: Chi mi tiene a battesimo mi è compare( ma è detto figurato ed allusivo) Chi vò Dië chë së lu prega * Datti da fare! Non aspettare la Manna dal cielo Cielë chë luce, neve conduce* In inverno quando, a cielo chiuso, sembra che le nuvole tendano a riaprirsi 41 Credo si chiamino mela Zitella o Cerina o anche Gelata.Sono non molto grandi ed hanno buccia fine e colore che va dal verde chiaro fino al giallo rosato. Sono molto buone e profumate. Il detto dialettale “C‟é pësciatë la luna” si riferisce al fatto che hanno la caratteristica di macchiarsi quando c'è la luna piena.La polpa delle mele, nella parte che “vede” la luna, diventa quasi trasparente; in controluce sembra vetro e prende anche un sapore più dolce e particolare. - 126 - Parte Prima - Lessico paesano Comë së sòna s‟abbàlla Il prossimo si comporta a seconda del tuo comportamento Córrë arrètë Inseguire Costa pë në „gnó China (discesa) Crëllà li lùmmë Dilombarsi; colpo della strega Crick, crock e.. mànëchë dë „ngí * Crick, crock e manico di uncino: per indicare ironicamente persone solite ad essere viste insieme Curà li pànnë Fare bucato Dà la „mbàna Imbozzimare, nutrire i polli Da sólë ( a la sëlagna) * Verso Sud Da vora Verso Nord ( da borea, a setten- ( a la uòra) * trione) Da monte * idem Da mare * Verso Est Ddië prëvveda !* Come Dio vorrà Dó femmënë, nu mërcatë; do Due donne fanno un mercato, femmënë e „na pica, „na fiera due donne ed una gazza, una chëmbìta.* fiera perfetta. Dorme sapëritë Dorme placidamente. Detto in genre dei bambini in culla. Detti e motti - 127 - Essë të pènnë la coccia! * E‟ proprio un tuo pensiero fisso! Fà corrë lu càpë A chi smatassa del filo, affinché trovi il capo e non lo faccia ingarbugliare Fà dùrë Fare il solletico Fà li cënnërèllë Starnazzare Fà lu cappiéllë a lu ví Aggiungere al mosto uva in chicchi per dare sapore, profumo e per rendere il vino alquanto frizzante Fà lu tùndë Fare il nesci Fà „nu cìnnë Accennare Fà mùttë Accennare a parlare Fà vëní ulía Ingolosire Fà lu puórchë (fa‟ li mmasciatë dë Lavorare il maiale , insaccare lu puorchë) Fà li mmasciàtë Accudire (alla casa) Fà la rótta Scavare il passaggio nella neve Fa nu callë chë spacca lu culë a li Dilatazione eccessiva da calore?? passëra * Fa rëtërnà la prëcëssió… Fa tornare indietro la processione!…: Riferito ad una persona, ( in particolare di sesso femmi- - 128 - Parte Prima - Lessico paesano nile) proprio di brutto aspetto. Gnëlítë nda nu ranzuólë Gelido come granuli di neve ghiacciati Gnë nòccia * Espressione augurale, di solito all‟indirizzo di un neonato osservato in qualche manifestazione propria dell‟età. Jé scortë lu fiatë…. * Ei fu…….. Jècch‟a „nžì – Loch‟a „nžì Qui da me (nel mio – suo grembo) Jó „bbàllë / Sù „mmóndë Giù in basso( a valle) / Su in alto Jòppëca-Jòppëca Lemme, lemme La cera së chënzuma e la prëcëssió Ci si perde in chiacchiere senza nën cammina * concludere Lambéggia( o “ allamba”) a Ttëscí Cambia il tempo: lampi verso la valle del Tesino, a nord- nord est; in direzione di Offida. Detti e motti La sanda raggiò ! * - 129 - Giustizia divina! Espressione usata per enfatizzare il raggiungimento di un risultato contro ogni avversità Légnë dë Noè Lignite Li fusa ch‟è li fusa, è l‟artë dë chi Ad ognuno il suo mestiere. Un l‟aùsa vecchio contadino… di casa ( Jacindë) soleva dire: Chi è dë la pénna è dë la pénna, chi è dë la sàppa è dë la sàppa” Li pàrtë gëndílë Le parti delicate. Riferito di norma ai genitali, ambosessi. L‟opëra a piagnë * Le prefiche. Ma anche in senso figurato per dire che occorre una cosa organizzata, con dei costi… Lu dërètë Deretano,….. ma anche, fra due figli, il più giovane Fa nu fréddë chë stùcca li chiuóvë Fa così tanto freddo da schiantare i chiodi Lu riéstë lu cànta l‟òrghënë * Fatto quel che si doveva, il resto è benvenuto! Lu scëròcchë uója tira e dëmà Oggi scirocco? Domani piove! scròcca Lu tiémbë (la mëntgna) Cambia il tempo, si formano cu- s‟arëncappèlla muli - 130 - Lu tiémbë s‟arëcagna * Parte Prima - Lessico paesano Cambia il tempo ( però si dice solo quando peggiora) Màra ggèndë Calca, folla; un mare di gente ( ora è di moda dire, chissà perché, “una marea” , non si sa se alta o bassa...) Matta fenëca Matta che più matta non si può Mbizzë mbizzë * Sul limitare Mëscié dë Ddié Misericordia, Deo juvante Mó-mó Proprio adesso Méttë fùria Affrettare Méttë a bbévë Mescere Méttë li pèzzë Rattoppare, rimediare „Na vòdda Un tempo N‟ giarësmuórcë * Non smetti di rinfacciare( o anche: la lingua batte….) ! Nda „na chiavë d‟uórtë Di cosa che si adatta bene. Nën fiatà! * Taci ! Detti e motti „Nn‟è „uazza chë mena fuossë * - 131 - Detto di pioggia di scarsa consistenza: non sufficiente ad alimentare i fossi. „Nu ccó Alquanto , un po‟ „Nnànžë de jéra L‟altroieri „Na mùcchia Assai Nën më sendë tandë pë la qualë * Non sto troppo bene… Nën pò rëméttë lu pè a la strada Non riesce a guarire, ad uscire da una malattia Nën ž‟arëbbattë nu chiuovë * Non si fanno affari… „Óccia li urnàlë * I coppi terminali dei tetti gocciolano:è appena spiovuto o è piovuto poco. Ogna e sbórgna Sì è mangiato e bevuto ogni cosa (Dal latino: “omnia” e “ebrionia”). Ora sorda (nën pozz‟èssë mai) Un brutto momento tragico. Simile, nella “Marca” oltre Tronto “Parola sorda, „nzia mai”, detto a mo‟ di scongiuro. - 132 - Pà e spùtë * Parte Prima - Lessico paesano Per chi ha da mangiare solo pane e… la propria saliva Passà lu sfriscë * Esagerare, passare il segno Pë dappò-Pë dappòsta Apposta, con intenzione Përchìttë dë Sand‟Andònië Porcellino terrestre (insetto) Pianë, pianë Furtivamente, con delicatezza, con cautela Pianë, pianë …. „sciò préna Con cautela… ( ma) restò incinta Prëcisë…è muortë „n croce * In risposta ad una pretesa di perfezione assoluta Prieddë, cavallë e pullë „nzë trova Preti, cavalli e polli…. mai sazi mai satull * Prieddë, cavallë e ca‟, nghë „na Preti, cavalli e cani, con un buon magnata arëfà * pasto guariscono Pùrë li pùggë tè la tóscë Riferito a chi ha parlato mentre avrebbe fatto meglio a tacere Rëccapà li nocë da li carëcìllë * Dividere le noci dai fichi secchi (fig.: per intendere di rimettere le cose al posto giusto) Rëméttë l‟òjë lòchë a lu lùmë Rianimarsi, riprendere forza Rëvëní „n ganna * Avere un rigurgito ( da difficile digestione ) Detti e motti Ridë „nfaccia a sta fila dë bbëttù!* - 133 - Reazione a chi ridacchiasse sfottendo. Non più attuale, a rigore, dopo che per la patta dei pantaloni si usano quasi sempre le “zip,…. a parte i fedelissimi ai Levi‟s…… Rùscia-rùscia Raso al muro (comë „na pëntëcàna) S‟arrégna Egli litiga; Essi s‟azzuffano Së ažža lu stommëchë * Viene da vomitare S‟è méssë „n žùrla E‟ d‟umore giocoso Së n‟ addrë no …… Se non altro…… Së nën po‟ mêtë, carpë * Si dice di chi comunque vuol “mettere becco” o aver ragione S‟è vënutë menë * E‟ svenuto Së rëfà lu tiémbë Rasserena Së rënfaccia * Di cibo che si rifiuta per disgusto o nausea Së vò mërì…..(Tizio)* Dicesi di moribondo … senza indagare sui suoi effettivi desideri Së žžécca siéndë „na pùzza * Qualora avessi sentore.... Stà dë casa Abitare Stà „n cërviéllë – Stà „n zìstë Ci sta con la testa, è ben lucido. - 134 - Parte Prima - Lessico paesano „Scì dë ràzza Dirazzare Sbócchë dë sànguë Emottisi Stà „nda „nu Cèsëra Dicesi di individuo prospero e nel pieno delle forze Stà sërgígnë – sërgégna Stare ben svegli e pronti. Si dice anche “a rrécchië ríttë” T‟è fàttë babbù(babbajù) l‟uócchjë Hai le traveggole, sia in senso proprio che figurato. Tè lu mùsë E‟ imbronciato Tenga callë e faccia ride Purché protegga dal freddo… non importa l‟apparenza! Të pijéssë „nu tuócchë Della serie degli auguri poco amichevoli Të pijéssë „nu bbè da Ddié Questo è sicuramente più benevolo Tira „nu strìzzë Tira vento freddo Tuttë li cà porta la ggiùbba Detto di chi si atteggia a sapiente Tu va‟ annanzë chë i‟ të vènghë Portami pure in tribunale, arrètë * che lì ti risponderò. Detti e motti - 135 - Uója d‟òttë Otto giorni da oggi, oggi a otto Và „ccùccë Egli va aggobbito Và „n garròzza nònnë Si dice per indicare il rumore del tuono Vattë a fa frëcà * Va‟ a farti fottere Vùscëna, vùscëna…. * Gira e gira…. Zitta, zitta….. * (è al maschile) Simile al romanesco:“ Tomo tomo , cacchio cacchio “ ; sornione ***** - 136 - Parte Prima - Lessico paesano Appendice - 137 - APPENDICE Una serie di appunti lasciati senza spiegazioni dagli autori, è stata così completata da Simplicio “Bibi” Olivieri e dalla sua équipe di ricerca in Ancarano. Gli appunti originali sono in disordine, con tratti sottolineati, soprattutto delle cose da mangiare; la grafia è quella di zio Ricciardo e magari a Roma soffriva di nostalgia gastro-culinaria: Quando ti sposi ti sparo : per festeggiarti, spariamo le bombe (fuochid‟artificio). Buoi infiocchettati : antica usanza – in segno di ringraziamento si infiocchettavano gli animali e si adornavano i carri in occasione di festività (es. patronali). Su usa ancora a Colonnella e a Corropoli. Letto sul carro : In senso stretto si diceva del mezzadro che, o perché non particolarmente capace, o perché “strano” di carattere, cambiava spesso terreno e padrone. Estensivo, è riferito a persona poco solida e stabile. La collana : preliminare del matrimonio: una settimana prima delle nozze la futura suocera si recava dalla futura nuora per “appendere l‟oro” e/o - 138 - Parte Prima - Lessico paesano la collana di corallo, solitamente di grossi grani tondi e di misura degradante. La fratta = la siepe : mettere la fratta: interporre un impedimento al libero passaggio. Confetti e soldoni : oggetto di lancio propiziatorio – da parte di chi ne aveva – in occasione di nozze. Arrèscë „n sànta : la prima volta che la donna tornava alla messa, dopo aver partorito. Arrèscë la spuósa : la sposa va alla messa la domenica dopo le nozze che si celebravano solitamente il giovedì. Arrèscë lu muórtë : La scampanata la messa di suffragio il giorno dopo il funerale. : frastuono procurato con barattoli anche legati in- sieme, in segno di derisione variamente motivata (anche per fatti personali, come disavventure sentimentali). Mortaretti di Biancó – S. Simplicio: Biancó sarà stato senz‟altro l‟artificiere. Più di recente ne ricordo un altro che si chiamava „Nzëpó e mi pare fosse di Spinetoli. Appendice - 139 - Raggi in corda : particolare fuoco d‟artificio. Il mortaretto esplo- deva a distanza dopo aver percorso un certo tratto, con apposita puleggia, su un filo teso. Infiorate : composizioni decorative con petali di fiori, in occasione di particolari ricorrenze festive-religiose (es. Corpus Domini) Li strascënarèllë : (dette anche “ li lëscënelle) si scivolava sull‟erba, meglio se un po‟ bagnata, delle scarpate. Poi, per come si riducevano i calzoni, tornati a casa ... cë së pijàva! Lu rëtrajà : inaiare, cioè trasportare i covoni di grano dal campo all‟aia. All‟uopo si usava la tràja tirata da buoi; era un carro-slitta con lunghi pattini (realizzati con legno di fico), basso sul terreno e perciò comodo nelle operazioni di carico/scarico di cose pesanti ed ingombranti. Con la meccanizzazione la traja è praticamente scomparsa, ma il termine è tutt‟ora in uso per indicare un‟autovettura in pessimo stato, che “ si trascina” definibile, in lingua, un catorcio, „na tràja in dialetto. Lu scardëzzà : operazione compresa nella raccolta del mais; sull‟aia si liberano le pannocchie dalle foglie che le racchiudono. Segue “Lu sgranà”, operazione del separare i chicchi di granone (cariossidi) da lu tòtëra ( il tutolo). - 140 - Parte Prima - Lessico paesano Rame pulito per Pasqua : le “pulizie di Pasqua” prevedevano, fra l‟altro, pulitura e lucidatura del pentolame di rame; si usava come abrasivo farina di mais o crusca imbevuta di aceto e sale. Organetto, a ddó bòttë, due bassi: ricordiamo la tastiera di bottoni di madreperla dell‟organetto di zio Franco. Con esso si accompagnava lu saldariéllë, il diffusissimo saltarello. Li caggiù: leccornia locale di matrice umbro-ascolana. Impasto di uova e formaggio pecorino grattugiato, confezionato in forma di ravioli, poi cotti al forno. Gustati con accompagnamento di fettine di salame o anche di lonza, risultano un toccasana per la sete... Vino abbondante, sennò “s‟attoppa”. Li caggëníttë : ravioli fritti (natalizi) ripieni di pasta di castagne o di ceci lessati, addolcita e condita con cioccolata ed aromatizzata con rum. Le pizze pasquali di cacio e anche dolci. Quelle di cacio dette più comunemente “spianate”. Li tajlì: i tagliolini. Esclusiva ancaranese legata ad una leggenda sul- la statua lignea della Madonna della Pace (festeggiata nella domenica più prossima al 22 ottobre). Sfoglia di pasta all‟uovo sottilissima, quasi trasparente; taglio altrettanto. Vanno consumati cotti in brodo di gallina o di carni miste (meglio), ed è opportuno mangiarli in paese perché, se spediti per po- Appendice - 141 - sta, arrivano triturati... ( giusto,Francesco?)! Sono anche chiamati “tajlì ùntë” o “tajlinìttë”, per distinguerli da altra pasta meno pregiata, pure fatta in casa, anche senza uova e da consumare anche asciutta. Li ciammèlle „ngh lu mmóstë : ciambelle, col buco, fatte in tempo di vendemmia, impastate con mosto ed aromatizzate con semi di anice. Li pappardèllë : pappardelle (rinomate quelle di zia Marietta), una specie di corte tagliatelle fatte impastando farina, acqua e un pizzico di sale, poi cotte in un brodo preparato con un soffritto di lardo battuto ed un po‟ di pomodoro spezzato grossolanamente; raccomandate per le puerpere perché favorirebbero la produzione di latte. Con la stessa finalità e per ritenuta analoga virtù, si facevano Li Frascariéllë : una specie di polentina di farina di grano, cotta senza sciogliere o schiacciare i grumi, condita come le pappardelle. Li Maccarù : pastasciutta lunga ( “avvolgibile”), preferibilmente fat- ta in casa, condita in genere con sughi di carne. La pasta poteva essere all‟uovo e in questo caso li maccarù si facevano a sezione quadrata utilizzando lu maccarënàrë (la chitarra), oppure anche di sola farina di grano e acqua (o con poco uovo, giusto perché la massa legasse meglio), e per fare i maccheroni si usava una trafila montata su una macchinetta del tipo di quella utilizzata per confezionare gli insaccati di maiale. - 142 - Parte Prima - Lessico paesano La quajàta: la cagliata, parte del procedimento di confezione del ca- cio, in cui il latte si “restringe”. Così in senso figurato si dice che una cosa s‟è quajata quando si è ottenuto il risultato che ci si era prefisso. Fà lu stràttë : fare il concentrato (estratto) di pomodoro, facendo asciugare al sole, negli “schifi” la polpa passata di pomodori maturi. La Pasquèlla – lu Sand‟Andònië : era tradizione che si passasse per le case- soprattutto in campagna dove era più facile trovare ghiottonerie - a raccogliere offere ed ospitalità enogastronomica nella ricorrenza dell‟Epifania e di Sant‟Antonio abate (quello col maialino). L‟allegra compagnia provava a suggerire e propiziare la generosità dele famiglie visitate intonando, con accompagnamento di mandolino e strumenti tipo “ lu Rëbbëcó”, una filastrocca di cui purtroppo non ricordo abbastanza bene le parole, ma che più o meno, suonava così: …Se ci date un bel cappone Ci faremo li maccheroni Se ci date una pollastrella La faremo sulla padella! Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! Appendice - 143 - Accadeva, naturalmente che l‟invito non fosse sempre raccolto nel senso sperato ed allora, pronto, scattava l „anatema … sempre canoro, che credo di ricordare meglio: Tantë chiuovë „nghessa porta Tantë dijàvëlë chë të së porta, Tantë buscë „nguissë murë Tantë ciéculë llà lu culë !!! Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! e la Compagnia riprendeva il “giro” …….. ***** - 144 - Parte Prima - Lessico paesano Come ci si divertiva... a tutte le età PARTE SECONDA degli ancaranesi…… COME CI SI DIVERTIVA ………A TUTTE LE ETA‟ - 145 - - 146 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… Lu zzërrió - 147 - Ricciardo e Franco Rampini LU ZZËRRIÓ vecchi giochi in Ancarano a cura di Francesco Rampini Ancarano e Ravenna 1985 – 2009 - 148 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… PRESENTAZIONE Sono il primo nipote degli autori. Non molto tempo fa mi trovavo a casa di amici, una coppia di giovani, che da poco tempo hanno finito di arredare la loro casa. Moderna, luminosa, con bei mobili e accessori simpatici. Quella sera, dopo una buona cenetta, mi mostravano con orgoglio il loro ultimo acquisto, un computer, elemento – pare – ormai indispensabile in una casa normale. I primi programmi per farlo funzionare erano “giochi”, i videogames, con i quali ci siamo anche divertiti per un po'.Avevo già iniziato da qualche giorno a lavorare su queste note dei miei zii che, pure senza essere antropologi, avevano completato una ricerca antropologica vera e propria, a partire dal 1979 fino a quando uno di loro due ci ha lasciato a “giocare” quaggiù, per riunirsi alle memorie e allo spirito di quanti hanno giocato prima di noi sulla terra.Il contrasto fra queste descrizioni e il futuro, che è oggi, mi ha procurato un brivido: tutta questa tecnica a volte raggela; d'altronde è ovvio,indispensabile, inevitabile , che si vada avanti, sempre più avanti. Ma se è vero che i “tecnicissimi” giapponesi in casa spesso indossano ancora il kimono e qualcuno insegna ancora la“cerimonia del tè”, è giusto che non si perda la memoria di quanto c'è dietro e prima del nostro modo di essere oggi; e mi sono sentito dentro un buon calore quando, lasciati i video-games, ho ripreso il manoscritto sui giochi che Lu zzërrió - 149 - facevano i miei“vecchi”, molti, moltissimi dei quali ho giocato anch'io da bambino. Ancarano d'Abruzzo, in provincia di Teramo ma vicino (è ex feudo del vescovo) ad Ascoli, il nostro paese, ancora oggi minuscolo, a me, che nel periodo della guerra (la seconda mondiale) avevo quattro-cinque anni, non offriva certo di più di quanto potesse proporre una generazione prima. In tempo di guerra poi le condizioni generali erano sufficientemente difficili perché distanze di tempo e di progresso si annullassero. C'era forse maggiore possibilità di fare i“botti” perché il carburo occorrente lo si usava per le lampade di emergenza in casa, quando mancava la corrente; e poi i “botti” li facevano, e ben più forti, anche gli adulti! Per il resto, la stessa necessità di inventare ogni proprio gioco, supportati dalla tradizione e dai pazientissimi falegnami e dall'unico fabbro che anche noi affliggevamo, chiedendo “pezzi” speciali per i nostri divertimenti. Non ringrazio quindi i miei zii Ricciardo e Franco solo per aver conservato una piccola parte della memoria collettiva della nostra terra, ma per avermi riportato ogni giorno, per il tempo in cui ho curato queste note, indietro di una buona quarantina d'anni ... il che non fa affatto male. Ravenna, fine febbraio 1985 - 150 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… Scrivevo questa pagina più di vent'anni fa e a rileggerla mi sono venuti i lucciconi, anche al pensiero che l'altro mio zio, Franco, è andato a raggiungere suo fratello, forse per continuare a giocare e a ricordare. Mi accingo quindi a distanza di tanti anni a rimettere le mani in quel lavoro che agli zii prese tanto tempo e passione; spero di essere all'altezza. Ravenna, 7 marzo 2009 Francesco ***** Lu zzërrió - 151 - C‟ERA UNA VOLTA………… Quando dai tetti delle case uscivano ancora i comignoli neri ( li cammì ) che, specialmente la sera, spandevano nell'aria un buon odore di fumo di legna; quando non si aveva la minima idea della radio e ancor meno della televisione, un modo diffuso di passare le serate era quello di riunirsi in casa di parenti o di amici e stare a chiacchierare. Gli uomini - sigaro o pipa in bocca e un bicchiere di vino“conservato” - le donne coi ferri da calza in mano, tutti intorno al focolare, si commentavano i fatti del giorno. Bastava il tenue chiarore sparso dalla fiammella di un lumino a olio (ben pochi avevano in casa la luce elettrica) o, a volte, era soltanto la luce della fiamma nel camino o il riflesso della brace a rischiarare l'ambiente. Pretese non ce n'erano: il paese era povero, eminentemente agricolo e non offriva che qualche osteria per una partita a carte o la passeggiatina che tutti, specie gli artigiani, facevano immancabilmente per il corso, la sera, a chiusura della giornata di lavoro, dopo aver “messo la firma”, cioè preso un bicchierino – per lo più di mistrà – in una delle osterie. Si passeggiava anche se pioveva un po', con l'ombrello naturalmente, ed era possibile farlo perché il centro abitato era chiuso da ogni parte; le case esterne, strette l'una all'altra come una cortina a difesa dalle incursioni, difendevano anche dal vento. Una leggera brezza - 152 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… quasi costante non faceva paura (in dialetto “tira l'aria”): anzi faceva cantare in uno stornello: Uarda 'Ngarà ddovë sta piantatëë ... 'ngima a nù collë tantë arïusëë .... Così gli adulti passavano le ore libere; i giovani si riunivano anch'essi per andare ad amoreggiare, ma i piccoli, che pure di tempo libero non mancavano? Giocattoli? Non se ne aveva l'idea: chi possedeva una palla di gomma – regalatagli in qualche rara occasione – la mostrava con un certo orgoglio: “E' Pirelli!”. Le bambine: una bambola di celluloide o fatta di cenci. Era tutto. Eppure non ci si sgomentava; con l'ingegno e la fantasia ognuno inventava il proprio passatempo. Ed era necessario farlo perché, se un bambino annoiato si rivolgeva ai grandi per chiedere lamentosamente “che faccio?”, si sentiva immancabilmente rispondere: “cciàcchëtë l'ógna”(péstati le unghie)! E allora bisognava arrangiarsi e crearsi un divertimento qualsiasi che facesse passare il tempo. Lu zzërrió - 153 - LU ZZËRRIÓ Tra i tanti bottoni che normalmente portavano nelle tasche i ragazzi (per giocare a schiëppétta) ce n'era di certo uno speciale – da giacca o,meglio perché più grosso, da cappotto – nel quale, attraverso due fori opposti,passava un filo robusto, lungo 70-80 centimetri, chiuso ad anello. Era lu zzërrió. Si infilava un dito di ciascuna mano nell'anello e lo si teneva non molto teso, in modo da consentire un moto rotatorio del bottone che avvolgesse tra loro i due opposti segmenti del filo; poi con leggeri movimenti di “tira-e-molla” si costringeva lo spago a svolgersi e ad avvolgersi, sì che il bottone ruotasse alternativamente attorno a se stesso. Se il moto era abbastanza veloce si udiva un ronzìo a causa dell'aria che passava tra i fori: da ciò il nome. Questo appena descritto era il più semplice o, se volete, il meno complicato dei semplici giochi che anche chi scrive ha “inventato” per sé e per i compagni, come è successo per moltissime generazioni, almeno fino all'avvento dell'era televisiva. Per questo abbiamo voluto che desse il titolo a questa piccola raccolta di “note tecniche” sui giochi di un tempo in un piccolo paese, che è anche raccolta di ricordi di tanto tempo fa. - 154 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… SCÁRËCA TUÓPPË Un pezzo di ramo di sambuco lungo 10-12 centimetri 42 al quale veniva tolto il midollo (il ramo doveva avere un diametro di 3-5 centimetri); per il foro che ne risultava si faceva passare una bacchetta di legno(olmo, o pero, o giunco) sagomata a tenuta, leggermente più corta della “canna” per non espellere il tappo e con il manico più grosso che non passasse per il foro. Con della stoppa ( in dialetto tuóppë ) aggrovigliata si facevano dei tappi che si inserissero a pressione nel foro del sambuco; per avere una migliore tenuta i tappi venivano masticati e così imbevuti di saliva! Se ne introduceva uno nel foro e lo si spingeva fino alla sommità con la bacchetta, poi si introduceva il secondo e si premeva, sempre con la bacchetta: l'aria compressa rimasta tra i due tappi espelleva violentemente il primo. Se la tenuta era buona – il che si otteneva dopo un certo numero di passaggi e relative masticature! - il primo tappo veniva lanciato a considerevole distanza e l'aria, espandendosi, produceva un rumore come di un colpo di pistola. 42 ( nota di Bibi) Nei miei personali ricordi il pezzo di ramo di sambuco è un po‟ più lungo: 20 – 25 cm., per avere più aria da comprimere fra i due “tuoppe”; la bacchetta di legno doveva essere ben pulita e levigata nella parte posteriore perché destinata ad essere appoggiata sugli addominali e quindi su di essi premuta con movimento rapido e violento per un‟efficace espulsione del tappo di stoppa preventivamente ben “biascicato”…. Che bontà!!! Lu zzërrió - 155 - LU SCHIËPPÍTTË Un pezzo di canna gentile (arundo donax) lungo circa 40 centimetri, che avesse un nodo a circa 5 centimetri da una delle estremità. Un giunco lungo circa 60 centimetri, abbastanza resistente ma non troppo sottile. In prossimità del nodo verso l'estremità aperta della canna si facevano due fori opposti, uno dei quali a fessura, lunga circa 2 cm., tali che vi passasse il giunco. Un altro foro veniva praticato all'altra estremità della canna: qui si introduceva e si fissava un capo del giunco, mentre l'altro capo si faceva passare per i fori suddetti, in modo da farne uscire da un lato un pezzetto di circa 2 centimetri. Il giunco risultava così piegato ad arco e costituiva la molla. Spingendo con un dito sulla parte del giunco che usciva dalla canna, a mo' di grilletto, lo si spingeva verso l'interno della canna fino a liberarlo dal foro; allora esso scattava nella fessura e lanciava fuori il proiettile, che poteva essere un sassolino o altro (bacche, ecc.), introdotto nella canna ad avancarica. Questo giocattolo e il precedente erano ovviamente usati dai maschi per battaglie incruente ma impegnatissime, o per tirare addosso alle “femmine” che, in qualche piazzetta, giocavano tra di loro con le bambole o a “campana”. - 156 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… LU CAVÁLLË Un bastone, un ramo ripulito dalle foglie o una canna. Si correva per focose galoppate standoci a cavalcioni. A volte veniva munito di una traversa a croce per impugnarlo più facilmente. Quando si usava la canna, le si lasciavano alcune foglie in fondo, così che nel correre facessero rumore o alzassero polvere (le strade non erano ancora asfaltate). Se la canna era abbastanza lunga il movimento della corsa la faceva sollevare da terra ritmicamente e produceva un suono che, con molta fantasia, poteva richiamare il trotto del cavallo. LA CARRÈLLA La si adoperava durante la settimana santa; adesso è di moda negli stadi e nei campi sportivi,ma è di plastica e in genere colorata con i simboli delle squadre del cuore. Quelle nostre erano fatte con la solita canna gentile: un pezzo lungo 20-25 centimetri e di 3 o 4 centimetri di diametro, con una estremità chiusa dal nodo. All'altra estremità veniva praticato un incastro femmina e, partendo da esso, da un lato, si facevano due tagli paralleli, abbastanza lunghi, per ricavare una lingua vibrante. Sulle due alette dell'incastro veniva praticato un foro passante. Da un dischetto di legno si ricavava una specie di ruota dentata (bastava a volte la testa di un rocchetto di legno, di quelli dei cucirini); la Lu zzërrió - 157 - rotella andava sistemata nel taglio dell'incastro. Un bastoncino di legno sufficientemente lungo da servire anche da manico teneva tutto unito insieme e funzionava anche da perno. È ovvio che, sistemata la ruota dentata, la lamina vibrante doveva poggiare sui denti, ma consentire la rotazione. Facendo girare la canna intorno al perno, rimanendo ferma la ruota dentata, gli scatti della lamina, amplificati dalla cassa di risonanza cava della canna, producevano il rumore che è onomatopeicamente nel nome dell'attrezzo. I ragazzi lo usavano per accompagnare i segnali sonori delle varie funzioni religiose della settimana santa, a campane “legate”, che venivano dati per le strade del paese da tavelle di legno su cui battevano maniglie metalli- che,“suonate” dal sacrestano e dai chierichetti, che si disputavano accanitamente l'onore di portare queste bbaràcculë. ZZIRËPËPÍ Le rotelline più grandi delle sveglie rotte servivano egregiamente, se no la testa di uno dei soliti rocchetti di legno dei cucirini con un pernetto passante per il foro e, ad un'estremità, più o meno a punta. Prendendo con due dita l'altra estremità del perno, gli si imprimeva un movimento rotatorio e lo si lasciava girare su superfici piane o sul palmo della mano. - 158 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… PËRBËJÚSSË E‟ una variante del precedente: la testa del rocchetto veniva squadrata, oppure ci si procurava un dado di legno con un foro passante nel quale si infilava il perno; sulle facce esterne del dado si segnavano (con la matita copiativa, o facendole incidere con un ferretto arroventato) quattro lettere: P = pìja (cioè prendi), M = mìttë (metti),T = tùttë (tutto), N = gnèndë (niente). Gli adulti lo usavano per giocare con denari ma per i ragazzi, soprattutto con bottoni, che erano moneta corrente assieme ai pennini. I giocatori versavano una posta poi, a turno, facevano girare lu përbëjùssë. Quando si fermava, cadendo, la lettera superiore dava il verdetto: con la P chi aveva giocato prendeva una unità di posta, con la M doveva aggiungerne una al piatto,con la T tutto il piatto era suo, la N lo lasciava a bocca asciutta (e con la voglia di riprovare). BBRÉCCA Cinque sassolini rotondeggianti, grandi quanto un'oliva o una nocciola. Ogni bambina (il gioco infatti era per lo più praticato dalle femmine), dai cinque anni agli undici-dodici, aveva i suoi in una tasca del grembiule ( lu zënnàlë) o, se non li aveva, faceva presto a sceglierli accuratamente fra la breccia che a quei tempi ricopriva le strade. Si Lu zzërrió - 159 - giocava stando seduti in terra, in due, tre o più, intorno ad uno spazio non grande e pianeggiante. A turno si tiravano in aria a circa mezzo metro di altezza tutti e cinque i sassolini, con una mano, in modo da farli spargere sul terreno di gioco; c'era chi usava mettere un dito nella traiettoria di caduta per farli disperdere maggiormente. Poi se ne sceglieva uno (o lo indicava l'avversaria) lo si tirava di nuovo in aria e, lestamente, mentre quello volava, si doveva prendere con la stessa mano che giocava uno dei quattro sassolini lasciati in terra, raccogliendo anche quello lanciato senza farlo arrivare al suolo. Così per gli altri tre. Chi sbagliava, non raccogliendo uno dei sassetti a terrao mancando quello in aria, passava la mano. Una volta raccolti i sassolini uno ad uno, il gioco continuava complicandosi: da terra se ne raccoglievano due per volta, poi tre, poi tutt'e quattro in un colpo. Superata questa prova, si passava ad un'altra fase: sparsi i sassolini, sene prendeva uno, si poneva la mano libera in terra, a palmo in giù con le dita divaricate al massimo (il ponte); mentre si lanciava in aria il sassolino prescelto, si dovevano far passare gli altri ad uno ad uno fra le dita, in modo da riunirli sotto il palmo, sempre senza far cadere in terra quello lanciato. Riuniti i quattro sassolini, si lanciava ancora una volta quello “in gioco”, si passavano i quattro nella mano che lanciava - di solito la destra – e si dovevaraccogliere quello lanciato senza farlo cadere in terra; il tutto con una solamano.Questo gioco, abbastanza complesso e che richiedeva grande abilità perchédoveva essere svolto il più velocemente e disinvoltamente possibile, è molto antico: negli - 160 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… scavi di Ercolano si è rinvenuto un bassorilievo in marmo che raffigura le figlie di Niobe intente a questo passatempo, per il quale usano degli astragali. CAMPANA Anche questo riservato, in genere, alle bambine; è gioco molto comune e diffuso e non presenta in Ancarano varianti degne di nota. A CORDA Anche il salto della corda, singolo o di gruppo, è gioco molto diffuso tra le bambine di ogni paese e non solo tra loro, se è vero che lo praticano regolarmente i pugili per “fare il fiato” e per “il gioco di gambe”. 'NDANDALÓ Nel vecchio dialetto romanesco è detto “la canoffiena”, in lingua “altalena”. Non è il caso di descriverlo minuziosamente. Forse è bene specificare che per noi il termine indicava specificamente un'asse di Lu zzërrió - 161 - legno o un trave appoggiato, alla metà, ad un rialzo di terra, o a un muretto o ad altro, e alle estremità del quale ci si metteva a cavalcioni, sollevandosi alternativamente (sempre che i pesi non fossero troppo diversi). CUCUZZÁRË Anche questo gioco si pratica, forse ancora oggi, in molti luoghi, per cui non viene descritto. Una caratteristica era il modo di punire chi commetteva errori: il direttore del gioco (detto lu cucuzzárë )era munito della mazzòcca, cioè un fazzoletto – più o meno pulito – che veniva piegato in quattro, poi tre lembi, presi per l'angolo, venivano arrotolati il più stretto possibile verso il centro a mo' di cordone; il tutto si rovesciava ed in tal modo restava fermato. Preso per la coda (il quarto lembo), questo arnese veniva battuto sul palmo della mano di chi aveva sbagliato: un colpo, due o più, secondo la sentenza. I colpi potevano essere “caldi” se dati con la parte dura, “freddi” se dati con la coda, molle. Qualcuno nascondeva nella parte dura un sassolino, e allora ... - 162 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… SËRGÈNDË E MËSCHËTTIÉRË Come lu cucuzzàrë, si giocava in parecchi e c'era un capo munito di mazzòcca, ma questo era un gioco che richiedeva una particolare capacità mimica. Ogni partecipante sceglieva il mestiere di un artigiano e ne faceva una mossa caratteristica; ad esempio, il falegname che pialla o che sega, il calzolaio che tira lo spago, il sarto che cuce con l'ago, eccetera. Il capo dava il via con la frase: Sërgèndë e möschëttiérë tutt'all'artë e suo mëstierë, al che ognuno eseguiva i gesti caratteristici del mestiere scelto. Ad un certo punto il capo: Smettë tuttë dë lavörà, trannë lu ... per esempio: scarpàrë (calzolaio). Tutti dovevano fermarsi e il calzolaio continuava finché, quando decideva lui, accennava il gesto di uno degli altri mestieri e si fermava. Il “titolare” del mestiere chiamato in causa doveva subito attaccare a fare il suo gioco, fino ad accennare a quello di un altro, e così di seguito. Ecco quindi la necessità di seguire il gioco con attenzione e silenzio perché se non si era pronti a mimare immediatamente, erano colpi “caldi” o “freddi”sulle mani. ÈSCË GËRÒLËMË Gioco di squadra questo: i partecipanti si dividevano in due gruppi, uno più numeroso che si disperdeva ed era inseguito dall'altro Lu zzërrió - 163 - gruppo, di meno ragazzi sì, ma armati della mazzòcca. Questo secondo gruppo partiva al grido di: Èscë Gëròlëmë 'nghë tutta la famìjia e, saltando su un piede solo ( a cciuóppë 'allë) rincorreva l'uno o l'altro componente del primo gruppo. Generalmente si prendevano accordi per isolare il meno furbo e, raggiuntolo, giù botte di mazzòcca. Abbastanza spesso finiva ... male! CIUÓPPË 'ÁLLË Letteralmente “gallo zoppo”. Consiste nello spostarsi saltellando su un piede solo, tenendo l'altra gamba piegata indietro, al ginocchio, come si fa per giocare a “campana”. Era uno dei modi per riscattare un pegno nei giochi con penitenza: fare un dato percorso – più o meno lungo – a cciuóppë 'állë. 'RRËTÍ E PËZZÉTTA Una buchetta di 8 – 10 centimetri di diametro, profonda 4 o 5, e delle biglie di terracotta o di vetro (quante bottiglie di acqua gassosa – quelle di allora – sono state rotte o manomesse, per avere la pallina che le chiudeva) o, inmancanza di queste, servivano bene i bottoni delle giacche, meglio quelli più piccoli delle maniche. Ci si metteva - 164 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… ad una distanza prestabilita dalla buca (4-5 metri) ed ognuno tirava la propria biglia o il proprio bottone verso di essa; chi vi entrava o chi si avvicinava di più giocava per primo e, dando una serie di tre colpetti con un dito al bottone o alla pallina, cercava di mandarlo nella buca. Se vi riusciva vinceva la posta (in genere i soliti bottoni), altrimenti il turno passava al secondo giocatore più vicino alla buca dopo il tiro d'inizio. Dando il primo colpetto si diceva ciofrì; al secondo ciofrò, e al terzo cë 'ndrò, anche se non si entrava nella “pozzetta”. SCHIËPPÉTTA Anche qui i bottoni. I più grandi usavano “i soldi” - 5 oppure 10 centesimi (di lira) – anche i giovinotti, specialmente a Pasqua, alla Madonna della Carità e il lunedì della festa alla Madonna Tonna (tonda). Il gioco consisteva nel battere il bottone o la moneta contro un muro non troppo scabroso e mandarlo di rimbalzo ad una certa distanza. Se però il bottone cadeva a meno di 'nu fùrchë (distanza tra pollice e indice divaricati) dal muro, il tiro si ripeteva. Il secondo giocatore, poi gli altri a turno, battendo sul muro il proprio bottone, dovevano farlo avvicinare al primo o a uno degli altri già giocati, facendolo andare – qui stava l'abilità – a meno di una distanza stabilita: generalmente 'nu palmë (una spanna) che ognuno misurava con la propria mano. Se c'era la distanza, il bottone o la moneta passava nella Lu zzërrió - 165 - tasca del vincitore, se non c'era si continuava a giocare secondo i turni stabiliti precedentemente facendo la conta (si diceva démë lu cuntë cioè “diamo il conto”), oppure con un tiro a: 'CCÒSTA A MÚRË I giocatori, allineati ad una certa distanza dal muro, tiravano contemporaneamente il proprio bottone verso il muro stesso, quasi rasoterra, cercando di avvicinarsi il più possibile: colui che restava più distante giocava per primo a schiëppétta, gli altri lo seguivano nell'ordine. Se invece si giocava solo a ccòsta a mùrë, colui che più si avvicinava vinceva tutto e intascava. In tempi più recenti si usavano per questi giochi i tappi a corona o le figurine (dei calciatori, dei ciclisti, anche degli attori e attrici). Oggi si vedono usare monete da 100 o 200 lire! STÁZZA E‟ gioco che si usa anche oggi: “a piastrelle” e vi si impiegano discoidi di gomma o di plastica. Noi di queste non avevamo idea, avevamo minori pretese e ci accontentavamo di pietre più o meno leviga- - 166 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… te, quando non erano addirittura pezzi di mattoni o di mattonelle da pavimenti. CASTËLLÍTTË Noci o castagne, ad averle avute, ma si ripiegava sui nocciòli delle pesche o, meglio, quelli delle albicocche, che allora erano dolci; adesso neanche quelli si trovano più. Quattro di questi semi bastavano per un “castelletto”: tre a terra, avvicinati per le punte, a formare una stella, e uno sopra di essi. Ognuno costruiva il proprio o i propri, se decideva di giocarne più d'uno, allineandoli lungo un fronte; poi da una linea di tiro posta a distanza convenuta si giocava, cercando di demolire il castello dell'avversario mediante una stàzza. Un po' come ai birilli. Qui, come nei giochi che seguono, si stabiliva il turno a piacere: uno gridava prìmë, un altro sëcùnnë, poi di seguito, fino a quello che, dopo l'ultimo, gridava lùddëmë dë tuttë ... e non si discuteva! Lu zzërrió - 167 - SALÁMË 43 Anche qui siamo in tema di piastrelle ( li stàzzë); in più c'era un mattone piuttosto lungo, quasi intero, che veniva posto ritto e sul quale si metteva la posta (in genere i soliti bottoni, li bbëttù): quello era il “salame”. Sistemato il quale, i giocatori a turno tiravano con la propria stàzza, cercando di far cadere il salame che così spargeva intorno la posta. I bottoni che finivano a meno di una distanza stabilita da una stazza erano vinti dal proprietario di questa, perciò chi giocava la lasciava sul terreno. I tiri continuavano, sempre secondo i turni, fino a che tutta la posta messa sul “salame” era raccolta. SALÁMË MUÓRTË E VÍVË Ogni giocatore sceglieva un pezzo di mattone che stesse ritto, e una stazza; ci si divideva in due squadre di pari numero e ciascuna squadra allineava su due linee opposte i “salami” dei singoli giocatori, ognuna nel proprio campo; ogni giocatore specificava quale fosse il suo. Stabiliti i turni, si iniziavano i tiri, alternativamente un giocatore dell'una e dell'altra squadra. Scopo del gioco: abbattere i “salami” av- 43 Ricordo anche una variante detta: “Salame a portà „nghollë” modalità e regole erano, più o meno, le stesse, ma sul padrone del salame abbattuto gravava l‟obbligo del trasporto “a cavacecio” dell‟abbattitore. (Bibi) - 168 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… versari. Quando uno di questi veniva abbattuto, il giocatore corrispondente era dichiarato muórtë e quindi non poteva più tirare (si cercava perciò di eliminare quelli che notoriamente avevano buon tiro); il suo “salame” veniva rimesso in piedi su una linea arretrata di circa un metro perché i compagni di squadra, volendo, e su preghiere insistenti del “morto”, potessero tirare su di esso invece che su quelli avversari e, abbattendolo di nuovo, “resuscitarlo”; allora il redivivo rientrava immedia-tamente in gioco facendo il suo tiro che generalmente era diretto sull'avversario che lo aveva abbattuto. Vinceva la squadra che riusciva a trasferire sulla seconda linea tutti i “salami” avversari. SÁLTA PËDÍNA E‟ il gioco che in lingua è detto “cavallina”. I partecipanti, in numero vario, si mettevano d'accordo sul turno da seguire, poi uno - il più volenteroso, in genere – prendeva la posizione della pëdína (cavallina): gambe tese e divaricate, flesso sulle anche, braccia tese, mani appoggiate alle ginocchia e testa il più possibile bassa tra le spalle; e si metteva di traverso al senso della corsa degli altri. Questi, uno alla volta, presa la rincorsa e arrivati in prossimità della pëdína, spiccavano un salto poggiando le mani sulla schiena del compagno e, divaricando le gambe, lo scavalcavano. Fatti alcuni passi in avanti, ognuno prendeva la posizione del primo. Quindi il secondo saltatore doveva Lu zzërrió - 169 - scavalcarne due, il terzo tre e via di seguito. Quando tutti erano passati, il primo si alzava e faceva la sua serie di salti. Si percorrevano in tal modo lunghi tratti di strada. Chi non riusciva a saltare si appartava oppure pagava un pegno che poi doveva riscattare con penitenze varie. SÁLTA (a) CAVÁLLË E MÓNDA Gioco a squadre di due, tre, massimo quattro ragazzi ciascuna. Stabilito quale squadra doveva “mettersi sotto”, uno dei suoi componenti si poneva in piedi con le spalle contro un muro; un secondo componente chinandosi gli poggiava una spalla o la testa sulla pancia e puntellava le mani contro il muro stesso; il terzo, se c'era, si chinava anche lui dietro al secondo e, nel modo migliore, si appoggiava a lui, così anche l'eventuale quarto; il tutto in maniera da costituire una specie di groppa di cavallo che resistesse al peso dell'altra squadra. Questa, un componente per volta, presa una sufficiente rincorsa, con abili salti “montava a cavallo” dalla parte della coda! Quindi il primo cavaliere cercava di portarsi il più avanti possibile verso il muro (testa del cavallo), per lasciare spazio agli altri suoi compagni. Intanto, e questo era compito del giocatore della prima squadra che stava ritto, bisognava osservare che coloro che erano “montati” non toccassero terra in alcun modo, neanche a sfiorarla con i piedi, perché in quel caso dovevano smontare tutti e si invertivano le posizioni. Quando tutti erano - 170 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… “in groppa”, se il cavallo resisteva, si contava fino a tre e si dava il cambio. Erano dolori invece se il cavallo non resisteva: crollavano tutti, un cumulo di gambe e di teste per terra, poi la stessa squadra doveva fare di nuovo il cavallo. Spesso si dava la colpa a chi per primo aveva ceduto; lo si scherniva a lungo, quando non finiva peggio. CRÍSCË MËNDÓ Gioco per il quale non occorreva certo abilità ma solo furberia: consisteva nel far cadere alla meno peggio uno dei partecipanti a terra e gli altri gli si buttavano sopra, cercando di non fargli e non farsi troppo male. La furberia consisteva nel cercare di sgusciare da sotto il mucchio (mëndó) e rientrare nel gioco buttandosi sopra gli altri. PÓGGË (letteralmente “pulce” = scarica barile): due giocatori con la schiena contrapposta incrociavano le braccia l'uno con l'altro, poi uno si chinava in avanti sollevando l'altro da terra; e viceversa. A volte si diceva: primo giocatore: Póggë secondo giocatore: Ooh – Lu zzërrió - 171 - 1°: Chi cë stà sopr' a mmé? – 2°: Cë stènghë ìjë Lèvëtë tu, cà më cë vòijë méttë ìjë e si invertivano le posizioni, cioè il primo si drizzava, facendo poggiare i piedi in terra all'altro, che a sua volta si chinava, sollevando il primo da terra, e così finché ci si annoiava. A PPËNDÓ (i quattro cantoni) Chiamato così perché generalmente si giocava in luoghi dove fossero dei cantoni, in dialetto, appunto, pëndó. TÒCCA FÈRRË E‟ analogo al precedente: dei partecipanti, uno era libero e doveva intercettare gli altri nei loro spostamenti, rincorrendoli e impedendo che potessero raggiungere un oggetto di ferro (o il cantone, nel gioco precedente) al quale essi erano diretti. Mentre il “libero” ne inseguiva uno, gli altri dovevano toccare qualcosa di metallico (tubi di scarico delle grondaie, cancelli di ferro, cardini di porte, chiodi infissi nei muri, eccetera); facendo finta di spostarsi verso un altro oggetto di sicurezza, attiravano l'attenzione del “libero”, consentendo a qualcun altro - 172 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… di spostarsi. Se invece il “libero” riusciva ad intercettarne uno in movimento, senza cioè che “toccasse ferro”, ne prendeva il posto e l'altro doveva intercettare a sua volta. Più facile diventava il gioco se al ferro si sostituiva il legno. SBARRIÉRA Gioco di squadra che si faceva schierandosi generalmente su due fronti, di traverso d'una strada. Il traffico allora si limitava a qualche calesse tirato da un cavallo più o meno efficiente, o a carri tirati da buoi, magari carichi di tini pieni d'uva, che venivano regolarmente assaltati per prenderne qualche grappolo; poi, allontanatosi il contadino con le sue imprecazioni bonarie, si ritornava al gioco. Dunque, le due squadre schierate di fronte: da una si staccava un giocatore che andava a provocare quelli dell'altra squadra; da questa allora ne partiva un altro che tentava di prenderlo e farlo prigioniero toccandolo su una spalla, però dalla prima squadra ne partiva un secondo, o anche un terzo, che tentavano di passare di corsa tra i primi due, al che l'inseguitore doveva cambiare rotta e inseguire quello che gli aveva tagliato la strada. Partivano poi altri ad inseguire l'inseguitore e le cose si complicavano fino a non capirsi più chi inseguiva e chi era inseguito. Se veniva fatto un prigioniero, lo si poneva in un punto a pochi metri davanti alla linea della squadra che lo deteneva, a lato Lu zzërrió - 173 - della strada. I suoi compagni dovevano tentare di liberarlo, raggiungendolo senza farsi prendere, e toccandolo sulla spalla o su un braccio; il prigioniero allora riprendeva il suo posto in squadra. Naturalmente i detentori cercavano di impedirlo, facendo magari altri prigionieri. Erano corse a non finire e si arrivava al punto che uno cascava fiaccato da una parte, uno da un'altra... Non vi erano vincitori né vinti. Come in ogni guerra! A 'CCHIAPPÁ Gioco simile al precedente, ma senza schieramenti prestabiliti; un gruppo veniva inseguito da un altro fino a che tutti venivano fatti prigionieri. Spesso non si ricordava quali fossero gli inseguitori e allora erano discussioni che, a volte, degeneravano. 'NNASCUNNIÉLLË, TÁNA, TÍNGOLO Erano nomi e forme diversi del “rimpiattino”. Nel primo erano quelli che si nascondevano a dare il via, dicendo viéttënë, una volta celatisi; nella seconda versione lo stesso, ma se uno dei celati riusciva, non visto, a tornare alla “tana”, liberava tutti quelli che erano già stati scoperti. Analogamente succedeva nel “tìngolo”, ma qui a dare il via - 174 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… era colui che si “cecava”, il quale, contando di cinque in cinque fino a cento, dava agli altri tempo sufficiente per nascondersi, poi partiva alla ricerca. In tutte e tre le versioni, il primo che veniva scoperto si “cecava” a sua volta, però bisognava sempre scovarli tutti. CAVALLÉTTA DË LA 'BBÁDA (l'abbátë) Chissà perché questo nome a questo gioco fatto quasi per i più piccoli, che sapessero appena contare fino a cinque. In due: uno si sedeva su un gradino o qualcos'altro, mentre l'altro, stando ritto, si chinava sulle cosce del primo che gli poneva una mano sulla spalla, quasi per tenerlo fermo, mentre con l'altra esponeva un certo numero di dita, supponiamo tre, e diceva: “Cavallétta dë la bbàda, quandë còrna porta la capra?”. L'altro rispondeva dicendo un numero che, se era quello delle dita alzate, consentiva di scambiare le posizioni, ma se non coincideva obbligava a sottostare ancora. Naturalmente occorreva fiducia! In altri paesi si usa dire: “Mazzabbubbù, quante corna stanno quassù?”. Lu zzërrió - 175 - SËDÏÒLA Erano più le bambine a praticarlo: in due, ognuna afferrava un proprio polso ed uno dell'altra partecipante, costituendo una specie di seggiolino sul quale si sedeva una terza, generalmente più piccina, che veniva portata in giro. I maschietti invece portavano 'NGÒLLË Cioè uno si caricava sulle spalle e portava in giro l'altro, che si sosteneva incrociando le braccia intorno alle spalle del primo. SCHIAFFÍTTË (schiaffo del soldato) Bisognava essere almeno sei o sette; stabilito chi andava sotto, gli si faceva prendere la posizione dovuta cioè la mano sinistra sotto l'ascella destra col palmo aperto e rivolto all'indietro, il braccio destro piegato al gomito, con la mano a fianco dell'occhio destro a costituire uno schermo che impedisse di vedere ciò che avveniva di fianco. Gli altri giocatori, tutti raggruppati alle spalle del primo, cercavano di confonderlo, mentre uno dava un colpetto (spesso un sonoro schiaffone) sul palmo della mano in posa. Mentre il primo si girava il più ra- - 176 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… pidamente possibile per poter individuare chi lo aveva colpito, gli altri si facevano trovare con un indice ritto, magari sotto il suo naso, sempre per confonderlo; e queste dita si muovevano, giravano, si accavallavano, finché il primo ne indicava uno come responsabile dello schiaffo. Se indovinava, si scambiavano i posti, se no ... altri schiaffi. È MUÓRTË SANZÓ Gioco tranquillo che consisteva nel prendere uno dei partecipanti per le braccia e per le gambe e portarlo in giro penzoloni, con il fondo della schiena più o meno strofinante sul terreno, mentre si cantava: È muórtë Sanzó (Sansone) e cchì lu va ' ppijà... la cömpagia dë Roma jë fa la carëtà. (E' morto Sansone e chi lo va a prendere (trasportare) la compagnia di Roma gli fa la carità). Lu zzërrió - 177 - Quindi gioco dei maschietti... Le femminucce invece cantilenavano in altro modo in un gioco di cui non è noto il nome: affiancandosi a due a due, ognuna prendeva con la propria mano destra la destra dell'altra e lo stesso con la sinistra, in modo che le quattro braccia risultavano incrociate sul davanti e, camminando, canticchiavano: Andiamo alla guerra spariamo sotto terra... Zucchero e cannella... qui un rapido dietro-front, senza lasciarsi le mani, e ricominciavano. Strano, le donne che andavano alla guerra! Ausiliarie avanti lettera??!! 'ARËBBÁLDË CIUÓPPË Non tutti erano disposti a partecipare a questo gioco, dato che esso era assai poco olente e serviva a fare un tiro birbone al più semplice della comitiva: combattimento sull'Aspromonte, colpi di fucili (con la bocca), poi gli urli di un ferito: 'Arëbbàldë (Garibaldi) che due portavano verso il cavallo sostenendolo sotto le ascelle, poiché il ferito ha una gamba piegata e posa in terra un solo piede. Uno dei partecipanti è il cavallo, pronto, in piedi e con le mani poggiate a terra. Arriva Gari- - 178 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… baldi che non riesce a montare a cavallo e bisogna reggergli la staffa. Di questo deve incaricarsi quello che è preso a bersaglio del gioco: accoppia le mani con le dita incrociate e offre l'appoggio su cui Garibaldi posa il piede “ferito” ... ma prima aveva procurato di sporcarsi ben bene la suola della scarpa con qualche “deposito” di animali quadrupedi ... o bipedi... Urli! PÁPA Simile al precedente per lo scopo, ma più pulito, perché il predestinato veniva costretto a terra, immobilizzato dagli altri che gli si distendevano a sopra, di traverso, o lo tenevano fermo a forza; poi gli si aprivano i pantaloni e gli si riempivano di erba, terra, brecciolino e quante cose del genere capitavano sottomano. Quello era il Papa! LU CIÉRCËNË Il cerchio! Per quante generazioni i bambini si sono divertiti con il cerchio, e quante sudate, e quante cadute! Ma quelli che si trovavano in commercio, di legno, con tanto di bacchette per farli rotolare, chi poteva permetterseli?! Supplivano allora quelli delle vecchie ruote di bicicletta, senza i raggi; per spingerli si faceva una speciale forcella Lu zzërrió - 179 - col filo di ferro, oppure bastava una semplice bacchetta di legno che si infilava nel solco in cui un tempo era stata alloggiata la camera d'aria, e poi via di corsa. Faceva al caso anche un cerchio di botte che, benché tronco-conico, si faceva andare dritto a colpi di bacchetta o con la solita forcella. Una delle aspirazioni maggiori era quella di potersi fare nu‟….. CARRÍTTË A QUÁTTRË RÓTË... Oggi in alcuni luoghi se ne vedono ancora, con l'assale anteriore sterzabile e, per ruote, i cuscinetti a sfere. Ma allora ... le sfere non si pensavano neanche! Un tronchetto di diametro sufficiente veniva affettato, a gran fatica, per ricavarne quattro dischi di spessore opportuno; al centro un foro e, nei casi raffinati, otto piastrine di lamiera di ferro forate, fissate sulla faccia di ogni disco, fungevano da boccole: ecco fatte le ruote. Poi un telaio alla bene e meglio, a volte un semplice longherone, sul quale si fissavano assicelle di legno come piano portante. Il longherone, in prossimità della estremità anteriore, aveva un foro attraverso cui passava un bullone con dado che lo collegava all'assale e permetteva a questo di sterzare. Se c'era la disponibilità di un fabbro amico, si ricorreva a lui per farsi fare le sàlë o saléttë, cioè piastre di ferro con un'estremità rifilata che servissero da perno alle ruote, con tanto di acciarì, generalmente un chiodo piegato a U che - 180 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… impedisse alle ruote di uscirsene dalla sede. Se non era disponibile il fabbro, il tutto si faceva di legno. Montato lu carrìttë, due spaghi bastavano per la guida: e poi, via, corse a più non posso per le strade in discesa ... che poi si dovevano risalire faticosamente. Ma chi ci badava! 'UÈRRA E‟ gioco questo che purtroppo piace agli uomini anche quando non sono più ragazzi da molto tempo e, per quanto si faccia, finché esisteranno individui della razza umana, ve ne saranno sempre almeno due che si combatteranno, magari senz'armi, ma l'uno dovrà prevalere sull'altro. Il nostro gioco era incruento pur se vi erano morti e feriti; sangue non ne scorreva, a meno che, nella foga del combattimento o ... nel fuggire, non si cadesse e qualche gomito o ginocchio non ci andasse di mezzo. I partecipanti si dividevano in due gruppi avversari, distinti da un contrassegno (un fazzoletto legato a un braccio o intorno alla testa) e si disperdevano per le vie del paese. All'inizio delle ostilità, o poco dopo, si incominciava a sentire colpi di fucile: pum! pim! pam! Era qualcuno che aveva scoperto un avversario e cercava di farlo fuori. Erano immancabili le discussioni: Të sò ccìsë ! (ti ho ucciso). “No, ho sparato prima io”. “Non è vero, io ti ho visto prima”... e si correva per strade e ruette, appiattandosi contro i muri, cercando di Lu zzërrió - 181 - non farsi scoprire. A volte si apriva qualche finestra ed una mamma si affacciava commentando: Auà, 'stì màttë! (guarda un po', questi matti...). SCÒCCIA e SCUCCÉTTA Si giocava solo a Pasqua, intorno alla chiesa della Madonna della Carità, e il giorno dopo, intorno a quella della Madonna della Misericordia. C'era l'usanza delle uova sode, colorate nel modo più vario, da mangiare quel giorno alla colazione del mattino, e da regalare agli amici e ai notabili del paese. Queste uova servivano anche per giocarle, battendo le due estremità corrispondenti una contro l'altra. Chi restava con l'uovo sano vinceva e intascava quello dell'avversario. Qualcuno si forniva di uova di 'allënèlla (gallinella = faraona) perché, si diceva, erano più dure. Ma allora era difficile trovare avversari perché queste uova erano visibilmente più piccole e affusolate rispetto a quelle di gallina. Capitava spesso che le due uova si rompessero insieme: la partita allora era pari. Di norma questa incominciava con una velata sfida lanciata intorno da qualcuno: Tènghë 'na cìma (la cima è, nel dialetto, la parte più acuminata dell'uovo), oppure: Tènghë 'nu cùlë (il c ... è la parte opposta, più rotondeggiante), e se si trovavano parti corrispondenti di uova sane, si faceva la conta a chi batteva per primo e si giocava. A volte, se non quasi sempre, la partita era preceduta da lun- - 182 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… ghi preliminari: ogni giocatore saggiava la durezza dell'uovo avversario battendolo a piccoli colpettini, quasi vibrandolo, contro i propri denti incisivi superiori, tenendo la bocca chiusa e sollevando il labbro; faceva altrettanto col proprio uovo, per poter fare un paragone, restava indeciso, ripeteva le prove, poi accettava o rifiutava la sfida. Qui sorgevano spesso discussioni e proteste del proprietario dell'uovo il quale lamentava che in tal modo il suo uovo si “stonava” e diventava meno resistente. In realtà spesso la prova serviva per cercare nell'uovo una qualche crepa, una frattura che poi, nel giocare, all'urto del colpo cedeva. Questo gioco era più spesso praticato dai grandi e dagli anziani; i giovani e i ragazzi, sempre e solo in quei due giorni, giocavano a: 'RRËCËLÓ o CIMECCÚLË (in un vecchio documento si trova “a rotoloni”) Consisteva nel far rotolare l'uovo lesso lungo un pendio, una scarpata o una strada in discesa, in modo che andasse il più lontano possibile dal luogo di partenza. Qui generalmente si metteva un mattone inclinato per il lungo, in modo che all'inizio l'uovo, posto in alto e lasciato senza spinta, non trovando asperità, acquistasse un buon impulso e continuasse a rotolare sul terreno, mentre il proprietario lo affiancava e, chino su di esso, gli suggeriva di rotolare intorno all'asse più corto, cioè a ruzzolare per il lungo, dicendogli: cimeccúlë, cimeccúlë, Lu zzërrió - 183 - cimeccúlë ... in modo che per ogni giro percorresse più distanza. Che l'uovo sentisse o no, ruzzolava anche per lunghi tratti e quello che andava più lontano vinceva, permettendo al proprietario di intascare le uova di tutti gli altri. Come già accennato, anche questo gioco si giocava solo nei due giorni delle feste pasquali. CÁ(S)CË (cacio) Anche questo era gioco di un periodo limitato dell'anno, la quaresima. Forse perché in quel tempo si rivede il primo sole e la campagna invitava (ora molto meno) ai primi contatti. Due squadre di tre o quattro giocatori, ciascuna fornita di una “forma” di pecorino, secca al punto giusto e di peso circa pari. Ogni giocatore aveva un pezzo di spago di canapa, anche quello di studiata lunghezza e grossezza, che avvolgeva accuratamente intorno alla forma, tenendone un capo legato a un dito o al polso della mano con cui “tirava”. Si giocava lungo le strade, a quell'epoca quasi deserte: qualche carro agricolo o più rari calessi. Presa una breve rincorsa, il primo giocatore di una squadra faceva il suo tiro: chi aveva pratica e un po' di intelligenza riusciva a far sì che la forma seguisse anche le curve della strada; bastava a volte prendere bene il solco lasciato dalle ruote dei carri e regolarsi con la forza. Tirava poi il primo giocatore dell'altra squadra, dopo di che si camminava per raggiungere le “forme”; dal punto dove si erano fer- - 184 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… mate eseguiva il tiro il secondo giocatore, anche se la forma di cacio era andata fuori strada; in questo caso, se bisognava risalire una scarpatella,cominciavano le difficoltà. Si stabiliva all'inizio il numero di tiri da fare e chi percorreva più strada vinceva: la posta spesso, o quasi sempre, era la stessa “forma” con cui si giocava. È chiaro a questo punto che si trattava di un gioco “da grandi”; difficilmente un ragazzino avrebbe potuto disporre in proprietà di un'intera forma di cacio, col rischio anche di perderla. Succedeva talvolta che la forma, per un urto contro un sasso o al momento di toccare terra all'atto del lancio, andasse in pezzi. Qui entravano in scena i ragazzi, sempre numerosi al seguito dei giocatori: raccoglievano i vari pezzi sparsi intorno ... e se li mangiavano! Arrivavano però i più lesti dei giocatori e, anche a scapaccioni, allontanavano i ragazzi, perché era regola che anche solo con un pezzo di forma si potesse continuare a giocare, purché fosse possibile avvolgervi lo spago e farla ruzzolare. Le “forme” sono sempre, anche ora, leggermente tronco-coniche, quindi da un lato sono più strette di diametro, più basse. Da questa considerazione derivava il consiglio degli esperti, ripetuto molto sovente al tiratore di turno della propria squadra: Mìttë lu vàssë a Rrégnë (gira la parte bassa verso l'Abruzzo – il Regno era ancora quello di Napoli) oppure a Tróntë (verso il Tronto, Ascoli, Stato della Chiesa), e tìra pianë. Se gli adulti usavano il pecorino, i giovani non erano da meno: c'era sempre qualcuno che disponeva di una ruzzola (rùzzëca) di legno e si giocava con queste, mimando gli atteggiamenti dei grandi; per posta qualche soldo Lu zzërrió - 185 - o i soliti bottoni. Così, con la primavera già nell'aria, si camminava, a volte anche per lunghi tratti, fuori dal paese, in campagna, e si stava insieme, commentando il gioco e altro, facendo buon esercizio fisico: a nessuno viene in mente il raffinatissimo “golf ”??! CRUSCHÉTTA Gioco passato di moda da molto tempo; noi personalmente non lo abbiamo mai fatto né lo ricordiamo ... Lo abbiamo visto giocare in un atto de “Il campiello” di Wolf Ferrari, ma qui da noi lo ricordava qualcuno di altre e più antiche generazioni. Consiste nel cercare alcuni minuscoli oggetti nascosti dentro un mucchio di crusca (da cui il nome) o di segatura. Ogni partecipante ficca una mano nel mucchio: l'oggetto che trova è suo. Bisognerebbe parlare dei vari “giro tondo”, “mosca cieca” ( cèca mósca) e simili, d'altronde troppo comuni per doverli descrivere. Meriterebbero invece di essere riportate le varie filastrocche che accompagnavano questi ed altrigiochi, come quella in lingua: Pisà, pisì,pisello colore così bello colore così fino il santo Martino la bella mulinara - 186 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… che sale sullascala ... oppure l'altra, più adatta per le bambine: La bella lavanderina che lava i fazzoletti ... e continua ancora a lavarli. Ma di più vogliamo ricordarne una in dialetto: Pìzzëca pëzzàngula méla mëlàngula féta lu còcchë la 'allìna ciòppa féta dë qquà féta dë llà jéscë fòrë da 'sta città. Come si vede serviva per fare delle eliminazioni o a stabilire i turni. Allo stesso scopo se ne usava un'altra le cui parole sono di significato alquanto oscuro: Ahibbà lu Lu zzërrió - 187 - mëscà trìcch trìcch famërà ahi, bbài, bbuff ! Altri giochi, anche se confusi nelle memorie di generazioni passate, sono, ad esempio: SPËZZËCHÍ ed un altro del quale non si ritrova il nome (forse Palétta), abbastanza simile allo “Shangài” ritornato in voga alcuni anni orsono. Per il primo, che spesso si giocava sui banchi di scuola, si impiegavano i pennini, quegli oggetti cioè che avevano sostituito la penna d'oca nel tramandare ai posteri le memorie e il sapere del passato e che sono pressoché spariti con l'avvento della penna a sfera. Forse non tutti li conoscono e descriverli non è facile: un lamierino d'acciaio lungo 4 o 5 centimetri e largo poco più di uno, con la coda sagomata a tegola, per infilarla nell'asticciola, e la punta spaccata per lungo, in modo da fare “filetti” e “pieni” calligrafici dopo averla intinta nell'inchiostro, contenuto nel calamaio. Ebbene questi pennini (ma potevano essere usati anche gli immancabili bottoni) si mettevano su un piano, poi si premeva su di essi il polpastrello del pollice per farveli aderire, si sollevava la mano, si lasciava ricadere il pennino e, se si rovesciava, era guadagnato. L'altro gioco era fatto di calma e pazienza; impiegava - 188 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… i “denti” dei pettini per telai da tessere. Allora in alcune case esistevano di questi telai e diverse donne, buone Berte, dopo aver filato la lana, la canapa o il lino, sapevano anche tesserne le fibre e confezionare semplici tele o elaborati tessuti a magnifici disegni, sicché di giorno , qua e là, si sentiva per il paese il ritmico doppio colpo della “cassa” alternato allo scorrere della 'ndrùla (la navetta). Appunto nella cassa era contenuto il “pettine” attraverso i cui denti passavano i fili dell' “ordito”; esso serviva ad avvicinare intimamente i fili di “trama” lasciati dalla “spola” ( ùcëna) contenuta nella navetta. Quando un pettine, per una ragione qualsiasi, andava fuori uso, i denti (sottili striscioline di canna d'India lunghe 10-12 centimetri) passavano nelle tasche dei ragazzi che li usavano per questo gioco. Un mazzetto di 30, 40 o più stecchetti tenuto stretto in pugno, si lasciava cadere da poca altezza su un piano, in modo che restassero più o meno accumulati. Ogni giocatore conservava uno dei bastoncini col quale, a turno doveva sollevare ed estrarre dal mucchio uno di quelli caduti, senza però far muover gli altri. Se ci riusciva se li intascava, altrimenti passava il turno. Van Loon, nel suo “Le Arti”, dice che l'uomo è nato pittore perché da bambino gli basta un pezzo di gesso o di carbone per ... disegnare sui muri; secondo noi nasce anche scultore! Infatti a chi non è capitato da bambino di imbrattarsi le mani con argilla o terra bagnata o sabbia? Oggi esiste la plastilina, ma è lo stesso. Così noi facevamo animali o pupazzetti di terra, ma facevamo anche i “botti”: Lu zzërrió - 189 - LE BOMBE ( di creta) Una certa quantità di creta, più o meno plastica, veniva foggiata a forma quasi cilindrica, bassa, incavata nel mezzo, coi bordi sottili e il fondo ancora di più; questo cilindro veniva gettato a bocca in giù, con forza, su una superficie piana; l'aria compressa al suo interno sfondava violentemente la sottile membrana del fondo, con un'esplosione abbastanza forte. Si facevano anche gare: chi produceva il buco più piccolo sul fondo doveva, con la propria terra, chiudere quello degli altri. Ma c'era anche un altro modo per fare botti: BARATTOLI AL CARBURO Gioco alquanto pericoloso, e Santa Pupa aveva un gran da fare perché non capitassero guai seri. Bastava entrare in possesso di un po' di carburo di calcio e a fornirlo era quasi sempre lo scarico del gasogeno col quale funzionavano i fari di un autobus che collegava Ancarano con la stazione ferroviaria di Alba Adriatica, allora Tortoreto; l'autista rinnovava il carburo e scaricava i residui, pressoché esauriti, a breve distanza dalla rimessa. Rovistandovi, si trovava sempre il desiato pezzettino di carburo; allora si cercava affannosamente un barattolo di latta al quale si praticava un forellino sul fondo. Poi una buchetta per terra, dove si versava un po' d'acqua; se questa mancava lì - 190 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… vicino, suppliva molto bene... l'acqua fisiologica! Si mettevadentro il pezzettino di carburo e sveltamente uno copriva col barattolo, tenendo chiuso col dito il forellino sul fondo, mentre un altro accendeva e avvicinava un fiammifero: via il dito, la miscela gassosa usciva, si incendiava: botto e barattolo che volava in aria. APPËCCIÁ LI CANALÚ Questo era per i più grandi che, per lo più d'estate, la sera “facevano tardi” (le undici, mezzanotte ...) Un vecchio giornale, un manifesto strappato, altra carta, il tutto introdotto in uno scarico di grondaia e acceso. Il tubo faceva da camino e tirava, la fiamma si alimentava e la colonna d'aria calda ascendente nel tubo tirava su il tutto, producendo un ululato come di una sirena, con grande “diletto” di quelli che già dormivano, mentre gli “autori” se la gustavano, rintanati in qualche vano o nelle vie laterali; finché il “malloppo” usciva dall'alto sul tetto e lì si spegneva. I tubi spesso erano di latta, saldati, e le saldature col calore dopo un po' si aprivano e alla prima buona pioggia perdevano acqua da ogni parte ... fuorché dal fondo. I tubi più efficienti erano quelli di don Frangì, la casa al n. 2 di via Biancone, con la bella facciatina sulla “Piazzetta”, ora deturpata da un balcone e da una serranda metallica. Ecco, e se la memoria nostra e degli anziani del paese, con cui abbiamo rievocato i “nostri” e i “loro” giochi, fosse più sciolta l'e- Lu zzërrió - 191 - lenco sarebbe molto più lungo. Ecco come si passava il tempo libero dalla scuola, dai compiti a casa e dalle piccole faccende domestiche cui pure i bambini e le bambine dovevano accudire. Poi c'erano le feste, l'estate, e si arrivava a volte la sera stanchi da cadere dal sonno, ma soddisfatti di esserci divertiti, perché oltretutto, il gioco, il divertimento, ce lo eravamo “fatto” noi, da soli, al massimo riferendoci all'uso locale e alla tradizione. I ragazzi e i giovani, oggi, a raccontare loro queste cose, spalancano gli occhi e rimangono a bocca aperta; il pallone e, sopra ogni cosa, la televisione che li assorbe per gran parte del tempo libero, fanno pensare molto poco e lasciano poco spazio all'inventiva e alla fantasia. LU RÈGBI 44 Arrivò tanto tempo dopo e fu qualcosa di più che solo un gioco………. ma c‟è un antefatto che con i giochi da ragazzi ha a che fare e che, ho ragione di credere, conosciamo in pochissimi … . Si era negli anni dell‟immediato dopoguerra, grosso modo fra il ‟48 ed il ‟50. Giocavamo al pallone - con mezzi di fortuna, in primis la palla, anch‟essa a volte arrangiata - sulla piazzetta antistante la chiesa parrocchiale, fra l‟altro su piano inclinato, ma ci accontentava- 44 “m‟arëcord” di Bibi - 192 - Parte Seconda – Come ci si divertiva… mo. Certo, fra i principali sogni, allora quasi irrealizzabili, c‟era un pallone di cuoio, insomma “vero”. E c‟era Peppino, soprannominato in famiglia Lu Bardàsch‟ - figlio del fabbro „Dëvìchë - che aveva zii in America (USA) dai quali era consuetudine che arrivassero pacchi con generi vari, di conforto, un paio di volte l‟anno. Peppino ci provò: “ Mi piacerebbe un pallone per Pasqua… nel pacco”. Ed il pacco arrivò, puntuale. Dentro, fra altre cose utili per la famiglia, sgonfio naturalmente e tutto acciaccato, si trovò anche il pallone di cuoio con relativa camera d‟aria, come allora si usava: il sogno s‟era dunque realizzato!: subito una pompa, qualche mandata…. e si formò, con grande sconcerto di tutti, una strana cosa ovale che, ovviamente, rimbalzava in maniera incontrollabile, e , in ogni caso, pareva del tutto inutile per noi di allora. Che delusione !!, ma di sicuro tutto potevamo immaginare, meno quel che in Ancarano sarebbe accaduto una trentina di anni dopo. ***** Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 193 - PARTE TERZA degli ancaranesi ..… CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI E , QUA E LÀ, ….. QUALCHE CURIOSITÀ - 194 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… LEGENDA - nella prima colonna “©” sta per “Casata”, nei casi in cui la corri- spondenza è stata credibilmente accertata. Il segno “ riguarda le persone comunemente chiamate, anche nell‟ambito familiare, con un nome diverso da quello ufficiale. - nella seconda colonna sono riportati i cognomi anagrafici oppure, allorché è stato possibile risalirvi, il nome e cognome di chi può aver dato origine al soprannome di casata - nella terza colonna la collocazione topografica, anche approssimativa, della famiglia nel territorio di Ancarano, dove C.u. sta per “centro urba- no”.- la ž indica pronuncia dolce, come per “zingaro” l‟asterisco * è per i casi di persone chiamate e conosciute con nome diverso da quello ufficiale anagrafico ***** Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 195 - CASATE…… SOPRANNOMI……NOMIGNOLI A Alló © Mestichelli Luigi Casette Attë © Coccia Sabatino Tronto Bbaffó Capoferri Franco C.u. Bballó © Camaioni (Dadduccë) Carità Bandëlëffó © Camaioni C.u. Bbažžaló © Marinucci Simplicio Casette Babbèa © Alesi Casette Bbëcó © Del Moro Simplicio C.u. Diversi a nome Simplicio C.u. Bix Passavanti Giacomo C.u. Bomba © Di Emidio Palmarino C.u. Bombardone Cialani Domenico Carità Brannë (lu) © Cappellacci Carità Bbreschë © (Camillë dë…) Carità B Bbì 45 * 38 Vi si arriva per vari passaggi muovendo da Simplicio : dialettizzato Sëbbizië; per apocope: Sëbbì; per aferesi: Bbì. - 196 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Boris Pompei Vito C.u. Brill Di Giuseppe Guido ( Trippa) C.u. Cajó © Muscella Carità Cambacasa Tamburrini Italo C.u. Cambaniéllë © Di Basilio Pierino (Uggenië) C.u. Camblesë Bozzi Giuseppe (Senior) C.u. Cambualana (la) © ………………. …… Cannó Febi Domenico C.u. Canutë © D‟Ascenzio Carità Capó © Daziani (Bbì) Carità Cappella(de)© Panichi Cesare C.u. Catënà © Marconi Casette Carrajatë © Macci Donato C.u. Casció © De Ascanis Casette Casciola Meco Callisto C.u. Cazzëdorë © Viola Carità Cažžó Calcagnoli Giuseppe C.u. Cchiù © Felicioni Tronto Cció Nardi Ezechiele ( Bbërtëccittë) C.u. Cëccariéllë © Capoferri C.u. Cëppariéllë Panichi Valeriano C.u. Cëció Pulcini Luigino C.u. C Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 197 - Cëlëstrì Fioravanti Primo ( Celestino) C.u. Cëmëcè © Pompili Benito Carità Cëngiarë (lu) Alesiani Carità Cënnëró De Angelis Umberto C.u. Chëlluccë Ricci Achille ( lu Mëlënarë) C.u. Ciafardó © Di Giuseppe Vibrata Ciaccë (lu) Fazzini Nicola C.u. Ciancëfariéllë © Cicconi Carità Ciànë Curzi Curzio C.u. Ciaràffa © Galli Tronto Ciaciaió © Costantini Casette Ciuckciù Romagni Giuseppe ( di Ludovico) C.u. Coccialonga © Vanni Tronto Crëspì © Di Giambattista Mario (Senior) C.u. Crëstò © Anastasi Cristanziano Tronto Crisantë © (Middië) Vibrata Cuccìttë © Viola Tronto Cuciuffo Muscelli G.Maria C.u. Culèra 46(lu) Romagni Giuseppe (Pino ) C.u. Currëppëlesa (la) Di Marco Maria ( m. dë Lu Morë) C.u. Curtì © Romandini C.u Cutella © Sorci Luigi C.u Cutugnë © Del Moro C.u. e T.nto 46 Soprannome assegnato affettuosamente (pare) da sua madre „Gnesìna. - 198 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… D Dëddì Lucidi Amadio Collina Dëlaida Fanini Adelaide C.u. Demonio De Carolis Ezio C.u. Diadorë © Cardola C.u. Diomè Diomedi ( Osvaldo, Pietro) C.u. Duardë © Di Salvatore ( Bënëdettë) …. Fefè Anastasi Raffaele C.u. Fefèna Ciavatta Eufemia C.u. Ffè Fioravanti Giosaffatte C.u. Ffënùccë © Amatucci …. Fëmìttë Nepa Fulvio C.u. Fèra (la) © Feriozzi Tronto Fiërí © Galanti Guido C.u. Frësciuocchë © Di Felice Carità Consorti Giuseppe C.u. Diversi di nome Francesco ---- F Fflò 47 Frangì 47 Ebbe una disavventura: rompendo a colpi di mazza, un barile di soda caustica per la bottega di Tavaniellë, a piedi scalzi…, mancò poco che li perdesse. Gli amici, generosamente, si affrettarono ad aggiungere al suo soprannome la qualifica di “re della soda”. Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 199 - Friz Serafini Tronto Giorgë Cicconi Luigi C.u. Giuannuccë Calcagnoli Gino C.u. Giuggiùna © Rosini Maria (sposata Pompei ) C.u. Geggè Massimi Ageo C.u. Ggëttó © Pierannunzi Tronto Gnuocchë © Di Francesco Donato Carità Ggià( lu) Esposito Giacomo C.u. Gittë 48 Tucci Luigi C.u. Gino Muscelli Ruggero Tronto Gnëcchittë © Esposito ( Peppe la guardia, Lu C.u Fùttëra © G Ggià) 48 Zio Massimino Olivieri, seduto a passare qualche mezz‟ora davanti al bar “ de lu Morë”, al termine della sua quotidiana passeggiata, osservava Gittë che con andatura alquanto incerta scendeva le scalette della Porta Nova… e se ne uscì con questa sorta di ossimoro :“ Vidë Gittë? .. La dolcezza dei piedi … gli amareggia la vita!” - 200 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… I Ricci Carità Jak De Antoniis Sergio C.u. Jamì Panichi Beniamino C.u.. Lalla (femm.) De Vecchis Adelaide C.u. Lalla (masch.) Laurenzi Dario C.u. Lamancina © …………… Casette Largià Pompei Peppe ( fabbro) C.u. Laurittë © Capoferri Carità Lauterië © Presciutti („Ngëlina de Lauterië) C.u. Lëcció © Giovannini Carità Lëcció Monsignore Carità Lëngó © Coccia (Biascië) …… Lëpënìttë © Nardi C.u. L‟Ëvarë © Di Giacinto Casette Lërè Fioravanti Luigi C.u. Llè Fioravanti Ettore C.u. Izzuóttë J L Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 201 - Lu Ciuoppë Romagni Luigi C.u. Lupë (lu) © Del Toro Pietro (senior) Tronto, poi C.u. M Macaletti ©49 Aleandri C.u. Magnalardë © Monsignore C.u. Magnittë © Capriotti Emidio Carità Mamó © Di Girolamo Adriano Casette Mandëcó © Rossetti C.u. Mapittë © Antonini Carità Maranesë © Marinucci …….. Marcandò © Valeri C.u. Marchëscià © Corvaro Collina Marchëscianiellë© De Angelis C.u. Marëniellë Michetti Vincenzo C.u. Marënozzë © Marinucci Collina Màrzië © Di Simplicio Casette Mattè © Polidori C.u. Mazzarella © Luzi C.u. Mbrizzafoja Nepi Giuseppe C.u. Mbu mbu © Felicioni Egidio C.u. 49 Una giovinetta Aleandri andò sposa a tale Macaletti di famiglia particolarmente agiata e di ciò pare si ricordasse sovente , così che quel cognome, spesso citato, fu praticamente acquisito. - 202 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Mbùtë Nardi Alfredo C.u. Mëddiòla Fioravanti Emidia ( dë Spiazzì) C.u. Mëlarè © Pulcini C.u. Mëlocchë © …….. Carità Memena Filomena mar. Febi; M. Patana, C.u. Mëmì Diversi con varie corrispondenze fra cui: Massimiliano, Ermenegildo, ecc Mëndagnuolë © Marziale Carità Mënëstenghë © Acciaroli Carità Menga © Branella Collina Mëngió © Cruciani C.u. Mëngittë © Brandimarte (Francì) Carità Mënistrë (lu) Sacchini Damino C.u Mëriellë Alessandrini Giuseppe C.u. Mërló © Di Carlo Carità Mëró © Cinciripini C.u. Mëró © Valeri C.u. Mësè © (Bëluccë dë) ……… Mësittë © Romagni ( Verina) C.u. Mèsser Marini Tito C.u. Mezzanotte © Candelori Collina Mëzzèra © Romandini Carità Mëzzuolë © Cosenza ( Lësandrë) Casette Mianó © Camponi Damiano Carità Mimmo Diversi di nome Emilio o Emidio ….. Casate… Soprannomi… Nomignoli… Mmazzatëdeschë 50 - 203 - Di Salvatore Giovanni Carità Mmicchë (lu) © Costantini Domenico Casette Mmò ( lu) © Quaglia Domenico Carità Mondëcià © Barcaroli Annibale C.u. Mongana Colò Antonio Carità Mòra (la) © Romandini Tromto Mòra Ciavatta Numidia C.u. Cicconi Eugenio C.u. Lignini Pierluigi C.u. Nanà Romagni Arnaldo C.u. Nanuccë Ciavatta C.u. Natuccë …….. …… Ndré © Panichi Carità Nësció © Pompei Vibrata „Ngecca Diverse a nome Francesca Morë Mou * 51 N 50 Soprannome legato ad un tragico fatto, accaduto dopo l‟8 settembre 1943, di cui fu vittima un ufficiale medico della Wermacht in ritirata. 51 Dal nome della nota caramella al latte di cui pare facesse generoso uso, da ragazzo, agevolato anche dall‟averne comoda dsponibilità nella bottega di generi alimentari gestita da suo padre - 204 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… „Ngëlì © Illuminati ( Natuccë) Carità „Nží Ciavatta Vincenzo C.u. Corradetti C.ù. Ricci Vittorio Casette Colò Angelo Carità Pacchëfò Febi Orteo C.u. Pa‟ chë l‟oj De Dominicis Giuseppe jr C.u. Pallì Marziale Guido C.u. Papariéllë Di Leonardo Dario C.u. Paparó © Muscella Carità Papó © Virgulti Rosa C.u. Pappalecca Di Giambattista Emilia C.u. Parìssë © Scarpantoni C.u. Partenza © Cosenza (Bëluccë) Carità Passolungo 53 Quaglia Gabriele Collina O Obba (la) © Olba (la) Ottë dë coppa 52 P 52 Derivato dall‟abitudine ad assumere una particolare postura tale da richiamare la figura del fante delle carte Napoletane. Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 205 - Patana © Di Vitantonio C.u. Paulë Monardi Collina Pëccèrtë © Antonini C.u. Pëcciuottë© Biancucci (Isèppë, Bëluccë,Fëlì C.u. Pëcurà © Pasquale Pëló …. Carità Pënduta Pontuti Maria C.u. Pënittë ….. Collina Pënžiérë © Di Giambattista C.u. Peppe la luna Di Carlo Giuseppe Casette Pëstó © Marinucci Casette Pëtrillë © Amatucci C.u. Pëtró © Corradetti C.u. Pezza (la) © Fanesi Tronto Picchiëpà Balestra Angelo C.u. Piëchèra © Bizzarri Carlo Casette Piëmëndesa (la) © Pompei Luigi C.u. Pipino Di Giacinto Livio Casette Pirelli Curzi Lanfranco C.u. Pluto Antonini Guido C.u. Ppìttë Panichi Giuseppe C.u. Ppittë lu soldatë Maurizi Carità Prëfèttë Sorci Eugenio C.u. Prëfëžia © Meco Casette- 53 Legato al modo di camminare; figlio di Domenico detto “lu maggiore” e nipote di “lu tenente” entrambi per ricordi del servizio militare di leva . - 206 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Vittorii Carità Radëcó © Ianni ( Mariannì) C.u. Ramirez Muscelli Lorenzo C.u. Rapetta © Anastasi C.u. Rasëmuccë ……. Vibrata Rëccàngëlë © Di Basilio Casette Rëccuccë © Cicconi Carità Rëmaniellë © Riccetti ( Peppe) Carità Rëró Massimi Enrico C.u. Rësció © Bizzarri Carità Rospë (lu)54 Di Basilio Giuseppe C.u. Rré (lu)© Pantoni (Fra‟ Salvatore… Casette Rrëscënìtë © Fazzini Collina Ruscë (Lu) Antonini Aldo C.u. Prëziusë © R 54 Da bambino si fratturò una gamba e gli fu ingessata. Impossibilitato così a correre appresso alle sorelle che gli facevano dispetti provava a raggiungerle sputando…. E gli restò il soprannome ad imperitura memoria Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 207 - S Sandola© Piscina Casette Santariellë © Di Michele Giovanni C.u. Santë Spëditë Meco Attilio C.u Sapaòna 55 Giardino Amelia C.u. Sbiannóra Di Basilio Furia Carità Sbrëcciusë © Bizzarri Luigi Casette Scëdòrë © (Carluccë) …… Scëlló Vittorii Aurelio Carità Scënìa © Cialani Domenico C.u. Scëscià © Ricci ( Maddië) Casette Sciuolë Sfratato Francesco C.u. Scorza (lu) 56 Romagni Giuseppe (di Ludovico) C.u. Sëbbì Meco Simplicio C.u. Sëppetta Virgulti Giuseppina C.u. Sesè © Paoloni … Carità Smaèllë © Di Giambattista C.u. Spallatë © Feriozzi C.u. Spellò Pulcini Valentino C.u. Spiazzì © Fioravanti ( lu Negus) C.u. Spicoski Silvestri Gabriele C.u. 55 Derivato dal caricare la pronuncia della parola “sapone” data la provenienza familiare da San Sevéro di Fóggia della Sig. ra Giardino Amelia, insegnante delle scuole elementari negli anni „40 – ‟60. 56 Vedi anche : “Ciuckciù”- è sempre lui , aveva più di un soprannome… - 208 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Sprecapà © Fioretti Maria Carità Squajatufë Paoloni Vincenzo ( Mëngè) C.u. Ssè Panichi Giuseppe Carità Stracciabëttù Dëcëmuccë C.u. Surdë (Lu) © De Antoniis C.u. Tabarruolë © Luciani Collina Tabbacchì © Ciavatta C.u. Taffó © Reginelli C.u. Tapa Nardi Raffaele C.u. Tappó © Fanini Casette Tassë (lu) Amatucci Francesco Collina Tavaniellë © Ianni C.u. Tempesta © Camaioni Carità Tënendë © Di Leonardo Collina Tëpittë © Capoferri Carità Tërà Lignini Emidio C.u. Tërró © Reginelli C.u. Tiraccambà © Fioretti Tronto Trëbbëlió © D‟Eusebio („Ndò) Carità Trëfittë © Di Girolamo Casette T Casate… Soprannomi… Nomignoli… - 209 - Tripolina (la)57 Di Mauro Antonina C.u. Trippa © Di Giuseppe C.u. Uadagnuolë © Silvestri Collina Uggió Casmirri Luigi Carità Urció © ….. ….. Urinë Diversi a nome Guerino ….. Uggè Diversi a nome Eugenio ….. Uggènië Di Basilio Pierino C.u. Vacchì © Pieranunzi C.u. Vardó Talvacchia Giustino C.u. Bruni Piermichele C.u. Di Saverio C.u. U V Vëlandrella Vëllandesë (lu) 58 57 Dalle Colonie… 58 Originari di Bellante - 210 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Z Žacché © Corradetti Carità Žacchiellë Bruni Casette Zampì © Marinucci C.u. Zëccarì © Cicconi Casette Žžëchè © Antonini Casette Žžëchittë Di Eugenio Marino C.u. Žžëcó Barcaroli Tito C.u. Žžè dë Nanà …….. Tronto Žžërvó © Cicconi Tronto Zzó Aleandri Francesco C.u. Zzuffa Zzuffa 59 Di Giuseppe Adriano C.u ***** 59 Bambino, ammise di aver provato ad accendere la paglia del mucchio…: soffia, soffia.. alla fine arse … e, ricordo, arrivarono i pompieri. Nomi propri in dialetto - 211 - NOMI PROPRI IN DIALETTO Abramo: Bbramùccë Achille: Chëllí Sandrì Chëllúccë „Ndì Adalgisa: Dalgisa Adamo : Damùccë Daminë Alessandro Alferina : Lësàndrë Farina Fërina Alfonso : Dëmó Ffó Ffënzùccë Addolorata Ddëlëràta Alfredo : Ffrédë Adelaide : Làlla Amalia : „Màlia Lallà Amadio : Maddìjë Dëlàita „Ddëddó Adele : Dèla Amedeo : Madè Adelina : Dëlìna Amelia : Mèlia Adriano : Drijà Andrea : „Ndré Aggeo : Ggéggé Angela : „Ngëlìna Agnese : Gnésa Angelo : „Ngëlì Gnësìna „Ngëlùccë Agostino : „Ustì Lilì Alage : Ggiàggia Anita : „Nnìta Alberto : Lëbbèrtë Anna : „Nnétta Albina : Bbërtùccë Nina Bbìna Nënétta „Nnarèlla - 212 - Annibale : Parte Terza – Casate… Soprannomi… „Nnìbbëlë Augusto : Bbëlùccë Annunziata : „Ustë „Ustì „Nnënziàta Aurelia : Urèra „Nnënziató Bartolomeo : Bbartëlëmmè „Nnënziatina Battista : Bbattì Nzàna Beatrice : Bbëatrìcia Nzanétta Beniamino : Bboniamì Anselmo : „Nzèlmë Bbomì Antonia : „Ndònia Jamì Antonio : „Ndënétta Bernardino : Vëlardì „Ndonìna Bernardo : Bëlàrdë „Ndò Bënàrdë „Ndondò Biagio : Bbiàscë „Ndëniùccë Bianca : Bbianghìna Tonì Bice : Bbìcia Apollonia : Ppëllònia Bonizia : Bbënìzia Arcangelo : „Rëccàngëlë Camillo : Cammìllë Armeno : Armènë Armè Cammëllùccë Candelora : Parmènë Cannëllòra Cannèlla Parmè Carlo : Carlùccë Arnaldo Nanà Carmine : Carmënuccë Assunta : „Ssùnda Carolina : Carëlìna Attilio : „Ttìlijë Casimiro : Casëmìrrë Augusta : Usta Nomi propri in dialetto Caterina : Catarina - 213 - Costanza : Rina Custanza Ustanza Catocchia Crispino : Crëspì Celeste : Cëlèsta Cristanziano Crëstò Celestino : Cëlëstì Cristina : Crëstìna Cëlëstrì Stìna Centiola : Jola Cristoforo : Crëstò Cesare : Cèsëra Croce : Crucétta Cesira : Cësìrra Damiano : Damià Chiara : Chiarina Danilo : Danìlë Chiaruccia Davide : Davìddë Cipriano : Cëprijà Delfino : Delfì Cirillo : Cërìllë Domenica : Ménëca Claudina : Clautìna Mënëchétta Claudio : Clàudië „Mmemmétta Clotilde : Clutilda Domenico : Domé Tìldë Domì Colomba : Culomba Dëmì Concetta : Cungètta Mëchìttë Corrado : Curràrë Mënëcùccë Costantino : Custandì Mëmì Ustandì Ccùccë Standì Donato : Dënàtë Stanghetta Edoardo : Nardùccë Tëtì Egidio : Ggìdijë - 214 - Elena : Parte Terza – Casate… Soprannomi… Lelè Ercole : Lèna Èrculë Erculì Nënùccia Erio : Rìjë Eleonora : Lëunòra Ermanno : Ermànnë Eleuterio : Lautèrijë Erminio : Ermìnijë Elisa : Lìsa Esterina : Stërìna Lësétta Espedito : Spëdìtë Sabbétta Ettore : Èttërë Elisabetta Bbétta „Ttërùccë Bbëttìna Lèttërë Sabbìna Llè Emidia : „Mëddiòla Emidio : „Middijë Emilia : Eufemia : Ufèmia Fefèna Mëddiùccë Eufrasia : Ufràsia „Milia Eugenio : Uggènië Mëmìna Eulalia : Ulàlia Mijó Ulàuta Emiliana : „Mëlijàna Evelina : „Vëlìna Emilio : „Milijë Ezio : Èzijë Ennio : Ènië Fannì : Fannìna Enrico : Rìchë Faustino : Faustì Rëchìttë Fedele : Fëdèlë Rëccùccë Federico : Fëdërìchë Rëró Rìchë Epifanio : Bëffó Rëchìttë Erasmo : Rasëmùccë Rërì Nomi propri in dialetto Felice : Felicia : Ferdinanda : Fëlìcë - 215 - Francesco : Frangì Fëlëcìttë Chëcchì Fëlìcia Cëccùccë Fëlëcétta „Ngìcchë Ciòcca Cecchìnë Nanda Fulvio : Nandina Fufù Fëmìttë Ferdinando : Fërdënàndë Gabriele : Caprièllë Fileno : Fëlè Gaetana : Tanèlla Filippo : Fëlìppë Fëlì Nella Gaetano : Caità Pìppë Caitó Pëppùccë Tanì Ppùccë Gaspare : Spërùccë Fëlëmèna Gaudenzio : Caudènzijë Memèna Gennaro : Gënnarì Flavia : Flaviùccia Genoveffa : Ggënuèffa Flaviano : Flavijà Genziana : Cënziàna Janùccë Germano : Ggermà Nanùccë Giacinto : Jacìntë Fortunato : Fërtënàtë Giacomina : Mëmìna Francesca : Chëcchìna Giacomo : Ggiàchëmë Filomena : Frangëschina Ggiachëmùccë „Ngécca Chëmùccë Ngëcchétta Jacó Lu Ggià - 216 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Giambattista Bbattì Ppìttë Giannino : Giannì „Isëppìttë Gilberto: Gëlbèrtë Giuseppina : Pëppìna Gësbèrt Pëppënèlla Ginesia : Cënèsa Pëppënétta Gino : Ggìnë Ggësèppa Gioacchino : Vacchì Sëppétta Giorgio : Ggiòrgë Giustina : „Stìna Giosaffatte : Iëssaffàttë Giustino : Jëstìnë Feffè Grazia : Graziétta Ffè Razijétta Giosia : Ggësija Gregorio : Grëhòrijë Giovanna : Ggëvannìna Guerrino : Urìnë Nnìna Giovanni : Urì Giuànnë Guglielmo : „Ujèrmë Ggiuannùccë Guido : „Uìdë Giannì „Udùccë Ggió Igina : Gënétta Giovina : Ggëvìna Igino : Ggìnë Girolamo : Ggëròlëmë Ignazio : Gnàzië Ggëlòrmë Ilario : Ilàrjë Giuditta : Ggëdìtta Immacolata : Mmaculàta Giuseppe : „Isèppë Ines : Inéssa „Isëppó Isidora : Scëdòra Pèppë Ismaele : Smaèllë Pëppì Ismelia : Smèlia Nomi propri in dialetto - 217 - Isolina : Sëlìna Isolino : Sëlìnë Ggëggìna Iva : Ivétta Gëggétta Ivo : Ivùccë Ggétta Lamberto : „Mbèrtë Leandro : Landrì Luisétta „Ndrì Lësétta Luigina : Luisa : Gìggia Lëvìsa Leonardo : Lëunàrdë Letizia : Lëtizzijë Lèna Lëtìzia Nèna Maddalena : Matalèna Lërè Manlio : Malijùccë Rènzë Mansueto : Manzuètë Lëréta Marcello : Marcèglë Tëtìna Marco : Marcùccë Loreto : Rétë Margherita : Margarìta Lucia : Lëcijé Maria : Mariétta Lorenzo : Loreta : Cijòla Mariùccia Jòla Jùccia Luciano : Cijà Iccétta Ludovico : Dëvìchë Luigi : Luìggë Marëniéllë Luiggió Marënìttë Ggëggì Marënùccë Marino : Marìnë Ggëggìttë Mario : Màrijë Ggió Martino : Martì Ggittë Massëmì - 218 - Massimiliano : Massimino : Matilde : Parte Terza – Casate… Soprannomi… Mëmì Orteo : Ortè Massëmì Osvaldo : Svàldë Massì Ottavio : Taviùccë Mëmì Ottorino : Ttërì Matìlda Tìldë Matteo : Mattè Melania : Mëlània Michele : Mëcchèlë Ttorì Pace : Pacétta Pacìna Pacifico : Pacì Pacënìttë Mëcchëlì Palma : Palmùccia Cchëllì Palmarino : Palmarì Mëcchëlùccë Pancrazio : Bbongràzijë Mintina : Mëntìna Paolina : Paulìna Narciso : Narcìsë Paolo : Pàulë Nazzareno : Nazzarè Zzarè Paulùccë Pasqua : Zzè Pascùccia Pasquina Nemesio : Mèzijë Nicodemo : Nëcudèmë Nicola : Nëcòla Pia : Pijétta Nëculì Piera : Pierìna Pasquale : Pasqualùccë Palùccë Norberto : Bbërtùccë Pieròtta Odilla : Udìlla Odoardo : Nardùccë Pierì Olimpia : Ulìmpija Pëtrìllë Oliva : Ulìva Pëtró Pietro : Piétrë Nomi propri in dialetto - 219 - Pio : Pijùccë Pompeo : Pëmbijùccë Rësétta Pulcheria : Pëlëchèria Rësìna Quintino: Cundì Quinto : Quìndë Quirino : Curì Salvatore : Tatórë Urìnë Sante : Sandì Féfè Saverio : Savè Ffeffè Savino : Savì Ffè Saturnino : Satërnì Raffó Scolastica : Sculàstëca Raffaele : Rosina : Sabatino : Rësënèlla Sabbatì Bbattì Raniero : Raniérë Renato : Rënàtë Sebastiano Bbastià Reparata : Rëparàta Serafina : Ffìna Rëparàzia Serafino : Sëraffì Rocco : Rodolfo Sculastra Rëccùccë Ffì Ròcchë Ffó Dolfë Ffënùccë Rorò Severino : Sëvërì Romeo : Romè Silvio : Sëlviùccë Rosa : Rësétta Sëlvìnë Rësìna Sësì Rosalina : Rosaria : Rësalìna Simplicio : Bbì Salìna Bbëbbì Rësària Bbìbbi Sëbbì - 220 - Parte Terza – Casate… Soprannomi… Bbëcó Sofia : Zëfìja Bbërtì Valentino : Sëfijé Valëndì Vëndì Solinda : Sëlìna Valerio : Valèrijë Speranza : Spërandìna Verdiana : Vërdijàna Splendora : Nnóra Veronica : Vërònëca Stanislao : Llallà Vespasiano : Spasijà Stefano : Stèfëna Vincenza : Mëngènza Teodolfo : Stëfanì Mëngënzétta Dòlfë „Ngétta Dodò Cènza Teodora : Tëudòra Teodoro : Lollò „Ngè Teresa : Trësìna Cënzì Sìna „Nzì Tìttë Mëngiariéllë Tito : Vincenzo : Mëngè Tìtë Virginia : Vërgìnija Tëttì Vito : Vìtë Tobia : Tëbbia Vëtùccë Tommaso : Tëmàssë Vittorio : Vëttòrijë Massì Zaccheo : Zacchè Torello : Tërèllë Zenobio: Zënòbbijë Ubaldo : Bbaldùccë Ugo : Úchë Umberto : Bbërtùccë Zënòbbëlë ***** Canti, filastrocche… - 221 - PARTE QUARTA degli ancaranesi…… CANTI , FILASTROCCHE …ED ANATEMI - 222 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… Canti - 223 - CANTI E ragnë…. e mosca Escë lu Ragnë dë tinta ragnera Së magna la Mosca dë tinta mëschèra…. E Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca.. E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Sorgë dë tinta sërgèra Së magna lu Ragnë dë tinta ragnera…. E Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Hattë dë tinta hattèra Se magna lu Sorgë dë tinta sërgèra…. E Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Ca‟ dë tinta canera Së magna lu Hattë de tinta hattèra…. E Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, - 224 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Lupë dë tinta lëpèra Së magna lu Ca‟ dë tinta canera…. E Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Lió dë tinta liunèra Së magna lu Lupë dë tinta lëpèra…. E Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë lu Dijavëlë dë tinta dijavëlèra Së magna lu Lió dë tinta liunèra….. E Dijavëlë, e Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Escë la Femmëna dë tinta fëmmënèra Së magna lu Dijavëlë dë tinta dijavëlèra…. E Femmëna, e Dijavëlë, e Lió, e Lupë, e Ca‟, e Hattë, e Sorgë, e Ragnë e Mosca, E curra padró, chë mo‟ së l‟abbosca… E scì lu Ragnë së magnò la Mosca! Canti - 225 - Ancarano…. quant‟è bello Vedete Ancarano quant‟è bello Soltanto le ragazze che ci stanno… Soltanto le ragazze che ci stanno I giovanotti son fatti a pennello Cogli la rosa e lascia star la foglia Io non ho voglia di far con te l‟amore Cogli la foglia e lascia star quel fiore Io non ho voglia di far l‟amor con te. Ancarano bel paese… Ancarano bel paese Gente semplice e cortese Vu rëdétë e sapetë pëcché Tutë sorta dë bëllezzë c‟è. Se t‟affaccë a la Porta da mare Vidë lu mare ualë ualë Purë li barchë së vedë a pëscà Tuttë së vedë dë qua a „Ngarà - 226 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… Se t‟affaccë a la Porta da monde Vidë li paiscë dë llà da Trondë Purë li lucë së vedë appëccià Tuttë së vedë dë qua a „Ngarà Së t‟affaccë a la Porta nova Vidë li frëchì chë va a la scòla Chi pë në „nguà, chi pë në llà Nzë rëcunoscë più „Ngarà E së po‟ vënì l‟istatë Li fërastierë da ugnë latë Chi pë në „nguà, chi pë në llà Nzë rëcunoscë più „Ngarà ( e qualche bozzetto del passato…) E „Ngarà è tunnë tunnë Cë sta Bëttina60 chë tè lu furnë Sopra la rua së mettë a grëdà Tutta la gende fa rësvëjà ( Mmassa, … Spiana….Porta a lu furnë!!!! 60 Scartozzi Elisabetta. Il forno passò poi alla figlia Clarice che con suo marito Celestino Fioravanti lo gesti fino a quando, nel dopoguerra, anni ‟50, prese piede l‟uso di acquistare il pane “commerciale” nelle botteghe alimentari Canti E cë sta lu Podestà - 227 - 61 Chë pë la Chiesa sa tantë fa Li Precessió sa „cchëmmëdà Quant‟è bravë stu Podestà E cë sta lu Sorë Uduccë 62 Ora va drittë, ora va „ccuccë Sorë Uduccë dë qua, Sorë Uduccë dë llà Sorë Uduccë nën po‟ „rrëvà 61 Ennio Massimi: ricoprì la carica di Podetstà di Ancarano durante il ventennio fascista. 62 Guido Pieranunzi ( Zi‟ Uduccë): aveva una sua caratteristica andatura “ondeggiante”…. ricordata nella strofetta. - 228 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… Inaudite fantasie 63 L‟altra notte, l‟altra notte mi sognai Inaudite inaudite fantasie Ora udite Signori miei che vi vengo che vi vengo a raccontar. Mi sognai, mi sognai sul far del giorno D‟esser dentro, d‟esser dentro in un pollaio: Un magnifico somaro…. L‟uovo fresco, l‟uovo fresco stava a far. Un‟aringa, un‟aringa giubba lunga Gironzava, gironzava pel paese A cantare la Marsigliese In onore, in onore di Belzebù. L‟elefante, l‟elefante con le ghette A braccetto, a braccetto a una zanzara Passeggiava in su per l‟aja A smaltire, a smaltire l‟indigestion. 63 Questa, evidentemente, non è in dialetto, ma fa parte dei miei ricordi di quando ero bambino: me la cantava a volte mio padre, ma era conosciuta anche fra i compagni di giochi di allora. Qualche giorno fa curiosando in rete ho scoperto che ne esistono versioni più o meno diversificate in altre zone d‟Italia [Bibi] Canti - 229 - Là nel mare, là nel mar dei Dardanelli Si fa pesca, si fa pesca degli uccelli E sui monti degli Appennini Si sementa, si sementa il baccalà. Senza titolo -Bëlletta pë lu cantë më piìstë E mo‟ së vuó magnà…. màgnëtë quistë Affaccëtë a la fënestra tutta quanta Fija dë callararë tutta tinta…. Lu dì chë babbë e mamma lëtëchettë Misë lu tavolò miezzë a lu liettë Bella së të rëcuordë jó la stalla, Pë tëstëmonië c‟era la vëtèlla, Chë tu „uardivë „n cielë E jë për terra. - 230 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… Fino alla “tompa” Di lassù vedrai passare Una lunga e mesta croce Ed un prete a bassa voce Miserere a recitar. T‟amerò, sì t‟amerò Fino alla tompa… Ed anche morta, ed anche morta Pur t‟amerò. La pasquella (sacro e profano) Il Presepio è ancora aperto Quando noi l‟abbiamo visto Dove è nato Gesù Cristo Fra lu bove e l‟asinello Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! Daccë cuosa la zia miéé Chë sënnó cë në jemë viéè Cë në jemë chë la bon‟ora Viva a Pasqua e Salvatorë Canti Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! Se ci date un bel cappone Lo faremo sopra al carbone Se ci date una gallinella La faremo sulla padella! Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! ( ed infine, …. per l‟eventualità di un più o meno cortese rifiuto) Tantë chiuovë „nghessa porta Tantë dijàvëlë chë të së porta, Tantë buscë „nguissë murë Tantë ciéculë llà lu culë !!! Evviva l‟Annë Nuovë e la Pasquella! - 231 - - 232 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… FILASTROCCHE 1 Musë dë 'àtta Màmmëta è matta Magna la pappa Bbevë lu vì Dìcë ch‟è l‟acqua Frusta, frusta Martì. 2 Miscia mëcétta arëdàmmë la mia bbërrétta. „Në dë la pòzzë arëdà! Pëcché nën më la puó rëdà? Pë lu pà chë nën më dà. „Ndóvë vàchë pë lu pà? Llà a lu fërnàrë Fërnàrë, dàmmë lu pà. Nën të lu pòzzë dà! Pëcché nën më lu puó dà? Pë lu fiórë chë nën më dà! Ndóvë vàchë pë lu fiórë? Vànnë a mëlì. Mëlì, dàmmë lu fiórë! Filastrocche Nën dë lu pòzzë dà. Pëcché nën më lu puó dà? Pë lu rà chë nën më dà. Ndóvë vàchë pë lu rà? Vànnë a càmbë. Càmbë, dàmmë lu rà! Nën dë lu pòzzë dà. Pëcché nën më lu puó dà? Pë lu stàbbië chë nën më dà! Ndóvë vàchë pë lu stàbbië? Vànnë a bbòvë. Bbòvë, dàmmë lu stàbbië. Nën dë lu pòzzë dà. Pëcché nën më lu puó dà? Pë la jèrva chë nën më dà! Ndóvë vàchë pë la jèrva? Vànnë a pràtë! Pràtë më déttë la jèrva; La jèrva la diéttë a lu bbòvë; Lu bbòvë më déttë lu stàbbië; Lu stàbbië lu diéttë a lu cambë; Lu càmbë më déttë lu rà; Lu rà lu diéttë a lu mëlì; Lu mëlì më déttë lu fiórë; - 233 - - 234 - Lu fiórë lu diéttë a lu fërnàrë; Lu fërnàrë më déttë lu pà; Lu pà lu diéttë a la mëscétta; E la mëscétta më rëdèttë la mia bbërrétta. 3 Jó ll‟uórtë de zi‟ prèddë Ce stà nu cardellì Tutta la nottë cànda E zi‟ prèddë nën pò dërmì. Sò itë a Napëlë appòsta A chëmbrà nu schiëppëttì: Lu vòjë dà a zi‟ prèddë P‟ammazzà lu cardëllì! 4 Chi màgna la pëlènda e bbévë l‟acqua Azza la cossa e la pëlènda scappa. 5 Oh che pùzza dë Crëstià: O cë stà o n‟gë stà. Je më l‟ài da magnà. Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche - 235 - 6 Chëmmà! Ohh... Jé ìta a la fóndë? Sciii! Jé vistë lu lùpë? Sciii! T‟è fàttë paùra? Noo! „Uó fa‟ a chi fa‟ più durë? 7 Càzzë calàtë, Cappiéllë pëntùtë, Chi të „ngóndra Të dìcë curnùtë! 8 Pà, vì, uójë, bbënnànzia e carëstié 9 Nëculò, Nëculò Fra li càžžë së cacò E la mamma lu pëlò: Quàndë pùzza Nëculò! - 236 - 10 „Ndré „Ndré „Ndré Chi t‟è fattë li càzzë a tte? Ttë l‟è fattë Maria Giuànna, Una stretta e una rànna; Ttë l‟è fattë „nghë „nu palmë dë réfë, Povërë „Ndré „nghë li càzzë appesë; Ttë l‟è fattë senza bëttù: Pòvërë „Ndré senza cujù! 11 Mariùccia dë li casë nòvë, Remìttë li pëcciù ca vè lu piòvë! 12 Dunguë sopraddùnguë Sopra Ásculë cë stà Trësùnghë. 13 Sërgèndë e mëschëttiérë, Tutt‟all‟artë e suo mëstiérë. Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche 14 Tìttë Tìttë, Ècchëtëlu stuórtë Arëdàmmëlu drìttë. 15 Tiéssë chëmmàrë, Facemë „nu ccó dë pà: Lu pà e lu panéttë Tiéssë chëmmà, chë scì bbënëdétta! 16 A, e bbì, e bbà, La ... (iil.) më li dà; Më li dà „nghë la bachétta, Sanda Crocë bënëdétta. 17 Cavalletta dë l‟abbatë Quandë còrna porta la capra? - 237 - - 238 - 18 Sàlda cavallë e bbù, Quandë déta sta quassù? Së dëcìvë ... „ndë trëvìvë „nghìssë pénë! 19 Sottë a lu póndë Cë stà tre cónghë; Passa lu lùpë e nnë li róppë. Passa lu fijë dë lu Rré E li róppë tutt‟a tré. 20 Póggë! Ooh... Chi cë sta sopr‟a mmé? Cë stènghë ìjë. Lèvëtë tu ca mmë cë mécchë ij 21 Tiéssë chëmmàrë: La chëmmàrë è ita fòrë, E‟ ita a ccòjë li viòlë; Li viòlë è tandë bbèllë, Cc‟è cacàtë la përcèlla, Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche La përcèlla è përcëllùta E ...(nome)... jó lu cavùtë. 22 Seca seca la mojë dë Lùca Ss‟è përdùtë li quatrì, L‟è trëvàtë Bulgënèlla, Sòna sòna la cambanèlla. 23 Mbì, mbò, mbà Li cambànë dë Mondërà, Mondërà scòccia l‟ova Ha paura dë Giulianòva; Giulianòva fa li bëcchiérë Ha paura dë Sandëmiérë; Sandëmiérë fa li còccë Ha paura dë Currùppëlë; Currùppëlë è pëdëcëllùsë E „Ngarà è tabbaccùsë. - 239 - - 240 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… 24 La fàula tattamàula Chë sta „ncërquìta, E‟ tanta bbèlla, Ócchë të la rëdìca? 25 Dëmà è festa, La pupa a la fënèstra, Lu sórgë a bballà, La „atta a cucënà. 26 Piëvìccëca, lu culë të s‟appìccëca. Piòvë, lu culë të së „nchiòva. Piòvë e dà lu sólë, Së marìta li cucciòlë. 27 Cala Pié, sùva Catarì, Prëpàra caccuósa bbòna pë lu pòvarë Piétrë tuó. Filastrocche 28 Nën pòzzë più candà, më sò rrachìtë, sò magnatë „na cëpolla raca. 29 C‟era „na vòdda „Ngicchë Rëvòdda, Së cascò pë li scàlë e nën së fécë màlë: Ócchë të la rëdìchë „n‟addra vòdda? 30 Tatta, vóllë la callàra, Tatta pìja la cucchiara. Chë ttè dittë mamma Che nën fùscë attattafëllatë E tu jé vëlùtë attattafëllà. 31 Dëmà è dëménëca, Tajémë „na récchia a Menëca, Së Menëca „n zë në cùra Jë tajémë chell‟addra purë; Së Menëca s‟arëvòdda Jë la tajémë n‟addra vòdda. - 241 - - 242 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… 32 Tre fratiéllë a la vigna stié Unë sappié, unë vanghié, e unë la „mmìdia sembrë facié; San Pietrë dë Roma, Sand „Ggìdië dë la Spagna Liévijë la scìcca, la „mmìdia e la lagna. 33 Li saggìccë chë pènnë dë àddë, Lu mié còrë nën pènza àddrë; Quandë mamma va a la méssa Cë facémë lu spëtìllë: Lu mié còrë fa rìllë rìllë. 34 Tre soldatë dë lu Papa Nën pëtié carpì „na rapa; Cë në va unë dë lu Rré, „Nghë „na bòtta në càrpë tre. 35 Ijë la véchë, ijë la sèndë, L‟uócchië mié j‟è parèndë. Filastrocche 36 Li cëllìttë chë sta su „n piazza Unë fila, unë annàspa, Unë cóscë li bbëttù, Unë fa li maccarù, Unë fa li cappiéllë dë pàja, E‟ fënìta la battaja, La battaja dë lu Rré, Unë, ddó e tré. 37 Sémë „ccìsë lu puórchë, Sémë fattë lu pa‟, Fiocca fiocca, së vuó fiëccà. 38 Sand‟Andònië mié bënégnë, Li prësciùttë è fattë li regnë, Li saggìccë s‟è fracëcàtë, Via a Sand‟Andònië abbàtë. 39 Tre travë „ntravàtë tìrëli su, Tre culë d‟àsënë vàscëli tu. - 243 - - 244 - 40 Pumella, pumella, pumella ... - Chë è chésta? - La torrë dë li fràtë. - Chë ccë stà? - Lu pa‟ e lu càscë. - Mbè! Chi prima parla e prima ridë Nu schiàffë e „na sardella. 41 Dìtë, dëtìllë, Fiorë d‟aniéllë. Maggiorë dë tuttë, Lécca callàra, „Ccìdë pëdùcchië. 42 Arrètë a San Crëstòfërë Cë sta „na fëndanèlla; Jersèra jéttë a bbévë, Më së cascò la fedë; Pëscujài pëscujài, Mai più la rëtrëvài. Cë stava ddó zëtèllë Chë facié li crëspèllë; Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche Më në déttë nu vëccó, Më parèttë tàndë bbònë, Më në déttë n‟addrëttàndë, Lu prësùttë sopra la bbanga. La bbanga era rotta. Jó sotta cë stié lu pùzzë, Lu pùzzë era cupë, Sotta cë stié lu lupë, Lu lupë era viécchië, Acciaccava li chëmbiéttë; Li sùrgë su li tìttë Ciëfëlàva li ciëfëlìttë; La hàtta „n gamìscia Schiattò pë li risa Li pecura jó ll‟uórtë Se magnò „nu pè dë fënuócchië, Jë pëngëcò lu spì jó lu pè, Zëprëmè, zëprëmè. 43 Lu pëcuràlë piagnë quandë nenguë, Nën piagne quannë porta lu cascë a vénnë; Lu pëcuràlë piagnë quandë fiòcca, Nën piagnë quannë magna la rëcòtta; Fischia a li pècurë e fischia a li caprë, Fischia all‟anëma dë chi t‟è cacàtë. - 245 - - 246 - 44 Quandë la mëndàgna s‟ accappèlla Vìnnëtë la capra e cumbra la mandèlla; Quandë la mëndàgna sbraca, Vìnnëtë la mandèlla e cumbrëtë la capra. 45 Rré, rré, rré Settë rëggìnë è natë pë tté. 46 Viéttëne Ciangarèlla Mo‟ të tìrë „na ciambrèlla. 47 „Ndrì „ndrò „n Drùndë, Arëscèttë tuttë „mbùssë, Cëmmëlàtë jó pë ttèrrë, Uàrda com‟è sfrìgnë, Tìrëjë „na vrécca. Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche 48 Mamma e bbabbë è itë a Lëréta, Mmè rëpertàtë „nu cëfëlìttë: Tuttë lu juórnë stènghë a sënà Brù bruèllë, brù bruèllë. 49 La mojë dë lu „mërëcànë Va a la messa „nghë sèttë sëttànë, Së „ngënòcchia e prèha Ddijé “Manna quatrì, marìtë mijé”. Li quatrì chë më jé mannàtë Li sò scëpàtë chë lu „nnammëràtë; Më li sò scëpàtë chë la bbòna salutë, Mànnënë angóra, marìtë curnutë! 50 Quìstë dicë ch‟ha famë, Quìstë dicë ch‟ha sétë, Quìstë dicë: Comë facémë? Arrëbbémë! Nick, nick, chi rrùbba së „npìcca. - 247 - - 248 - 51 Sarròcchë Sarròcchë, Dà lu pundë a chi attòcca. 52 Jèscë solë sàndë, Rëscàlla tuttë quandë, Rëscàlla la povëra vecchia Chë stà „n gima la cèrqua: Chélla nën fìla, Chélla nën tèssë, Chélla nën dicë „nu zuocchë dë curona, E‟ „na vecchia buggiarona! 53 Bbëscó, bbëscó, Trendaddó Trendasié, Quandë cë në sta jècchë a dé? 54 Pìzzëca pëzzàngula, Mela mëlàngula, Féta lu còcchë Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche La „allina ciòppa; Féta dë quà Féta dë llà, Jéscia fòra dë sta cëttà. 55 Jémë spàssë spàssë, „Ngundrémë sandë Tëmàssë, Cë dà la bënëdëzzió Cë mëttémë „n gënëcchiù. 56 Ai bbà, lu mëscà, Trik trik fa mërà Ai, bbài, bbuff. 57 Lòffa catòffa Chi è fàttë la lòffa, Lu marë, lu vèndë Lu più pëzzëlèndë E‟ stata la ggèndë. - 249 - - 250 - 58 Crocë dë vacca Lu diàvëlë nën g‟attacca. 59 Piazza piazzétta C‟è passata la pëcurétta Jë s‟è „ntrëppëcàtë lu pè E‟ fattë bbèèè... 60 Ciofrì, ciofrò e cë „ntrò. 61 Zùrr, zùrr, zùrr, Chë më dà, cà t‟abbëtùrë. 62 Còccia pëlata de trenda capìllë, Tutta la nottë cë canta li rìllë; E li rìllë c‟è candàtë Bbòna nottë a còccia pëlata. Parte Quarta – Canti, filastrocche… Filastrocche 63 Ciammarìca ciammarìca Caccia li corna, ccìca a ccìca. 64 Së vuó chë la ròbba dura Fin‟ all‟acqua tiè la mësùra. 65 Sèttë, quattòrdëcë, vintùna, vëntottë Së t‟acchiàppë të ccìdë dë bòttë, Së të tròvë rrètë lu përtó Të në dènghë quandë në vuó. 66 Tira lu viéndë, abbaia lu ca‟, So‟ ccìsë lu puórchë, so‟ fattë lu pa‟, Fiocca fiocca, së vuó fiëccà. 67 Cannëlòra, Cannëlòra, da l‟immèrnë sémë forë Ma së piovë o tira viéndë në l‟immèrnë sémë dendrë. - 251 - - 252 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… 68 Tandë lëndanë së vedë stu fuochë Tandë lëndanë li cruocchë e li tuopë Jescia fëbbrarë ca marzë vo‟ „ndrà Tutte li cruocchë sogna scaccià Li scaccemë nghë lu fërcó Tuttë li cruocchë jó a Mëró Cruocchë dë qua, cruocchë dë llà Tuttë li cruocchë su Caità ( si cantava il 28 di febbraio…) 69 Iescë sole santë, rëscalla tuttë quantë ! Rëscalla pure „lla vecchia chë sta „ncima a la cerqua ! Chella nën fila, chella nën tèssë, Chella nën dice „nu zuocchë dë curona… E‟ „na vecchia buggiarona. ***** Non proprio bene augurando - 253 - Ed infine una raccolta di “anatemi” a piacere … a seconda dei soggetti o delle circostanze: NON P R O P R I O..… B E N E A U G U R A N D O Cadute di salute…. a scelta: Puozza avé… Che tu possa avere…( a fantasia) Puózza avé „nu „nžultë Che tu possa avere un ictus Puózza avé „nu tuocchë idem Puózza avé „nu cànghëra Che ti venga un cancro Puozza fa‟ nu sbocchë dë sanguë Che ti venga un‟emottisi Puozzët‟ arraià Possa prenderti la rabbia Nën puózza rëpësà Che tu non possa trovare riposo Possibili infortuni…: Puozzt‟ appëccià Che tu possa prendere fuoco Të puozza roppë „na amma - nu pè Che possa romperti una gamba – un piede Chë te puozza scrucià Che ti si rompano le articolazioni Puozza cascà da li scale „ngh li ma‟ …con le mani in tasca: caduta rovi- - 254 - Parte Quarta – Canti, filastrocche… „nzaccoccia nosa,senza possibilita di ripararsi Puozza fa‟ „na bòtta Che tu possa avere un incidente…. Chë të puózza rëntrëssëcà Che ti vada di traverso ( p. es. ad un ingordo) Ammènnë! Ad uno che ha nominato qualcosa di spiacevole o una disgrazia Senza mezzi termini: Puózza cascà sicchë Una sincope e…. addio Puózza cascà sicchë e panzutë idem … e con il ventre gonfio Puózza schiattà Che tu possa schiattare Puózza mërí mo‟ subbëtë Possa morire adesso subito Puozza fa parë….li pié Che tu possa mettere i piedi pari… Nën puózza rëcurdà dëmà Che tu non possa arrivare a domani Chë të puozza appëccià Che tu possa prendere fuoco Puózza mërì bbrëciatë Che tu possa morire bruciato Puózza mërì dë famë Che tu possa morire di fame Chë të puózza sfiatà Che tu possa soffocare Chë të puózza scrià Che tu possa uscire dal creato L‟uddëmë! Ad uno che ha starnutito o dato un colpo di tosse…. Puozza èssë accisë : Sci „ccisë: Che tu possa essere ucciso Idem Non proprio bene augurando - 255 - Puozza mërí nch „na rambëcata dë Micidiale zampata di tacchino ( di- pëtó retto ad uno che commerciava in pollame). ***** - 256 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico PARTE QUINTA degli ancaranesi…… ITINERARIO GASTRONOMICO tra i fornelli e sulle tavole imbandite degli Ancaranesi a cura di Simplicio Olivieri Itinerario gastronomico - 257 - - 258 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico E MO‟… TUTTI A TAVOLA !!..... Questa vuole essere una raccolta, più che di ricette in senso tecnico, di piatti ( e bicchieri…) da portare in tavola, ricordati o riscoperti frugando tra le usanze ancaranesi del passato e del presente. Alcune di esse sono, o erano legate a particolari ricorrenze stagionali o a festività importanti in occasione delle quali anche la tavola imbandita ha il compito di offrire al palato sapori diversi da quelli della consuetudine giornaliera. In ogni caso non ho l‟intenzione di presentare una pretenziosa e professionale guida culinaria; sicuramente non ne sarei neppure all‟altezza, ma anche perché, quanto a cucina, sebbene mi diletti, di tanto in tanto, di mettermi ai fornelli, debbo ammettere una certa riottosità all‟ortodossia e la tendenza a personalizzare dando così retta più ai consigli di naso e palato, che alle indicazioni dei …”sacri testi” Le ricette che seguono vengono proposte per lo più come parte di sprazzi di vita quotidiana o di memoria nei quali mi pare di riconoscere un “valore ancaranese” e dunque - me ne sono presa la libertà con licenza sia di eventuali imprecisioni di ricordi, spesso lontani nel tempo, sia di notazioni di carattere autobiografico e storico, nelle quali i piatti si inseriscono anche come occasionali note di colore. Ho cercato, interpellando a volte parenti, amici e conoscenti, di includere in questa sorta di ricettario sui generis piatti che effettivamente fossero, per lo meno, abbastanza ricorrenti nella tradizione ancaranese, e la cui osservanza da parte delle famiglie del paese avesse ca- E mo‟… Tutti a tavola!! ….. - 259 - rattere, se non di assoluta generalità, almeno di significativa diffusione. Non in tutti i casi ho trovato risposta certa in questo senso ed allora mi sono rimesso, come dicevo, soprattutto ai miei personalissimi ricordi. Non escludo affatto perciò, e lo accetterò di buon grado, di poter essere corretto da chi abbia fonti diverse di informazioni e di memoria. Le mie si rifanno quasi sempre, specialmente per le usanze che risalgono ad almeno mezzo secolo fa, al gruppo familiare Olivieri, di cui evidentemente sono parte, ed a quello Rampini, al quale mi lega una stretta parentela. Mi rendo conto che dall‟essere questi i miei principali riferimenti, deriva la prevalenza di molti elementi di “ ascolanità ” nelle abitudini gastronomiche citate: gli Olivieri sono “ imparentati “ ad Ascoli, ripetutamente, per più generazioni; io stesso lo sono in particolare, essendo mia Madre una Merli, antica famiglia ben nota ad Ascoli, anzi, “in Ascoli”, come conviene che si dica. Quanto ai Rampini, il Dott. Francesco, medico condotto in Ancarano dal 1894 per ben 41 anni e nel nostro paese profondamente integrato, era ascolano di nascita con radici familiari addirittura umbre. Del tutto naturale dunque che tali circostanze facessero sentire tutto il loro peso anche nel modo di gestire la cucina ed i menù osservati sia nella routine quotidiana che nella ricorrenze più importanti. Tuttavia, così come ho già fatto più volte, quando mi è stato possibile attingere ad informazioni diverse da quelle provenienti dai miei ambiti familiari, non mancherò, se ve ne sarà l‟opportunità, di dar retta ad altri contributi di conoscenze affinché - 260 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico questa panoramica sulla nostra gastronomia, riesca a proporsi come la più fedele ed esauriente possibile. La maggior parte delle ricette che seguono non rivendica una sua esclusività ancaranese. Si tratta per lo più di piatti conosciuti, cucinati e serviti anche fuori dai confini di Ancarano, quanto meno in ambito abruzzese – marchigiano, con la consueta particolarità del collegamento preferenziale alla gastronomia ascolana per i legami di ordine storico e socio-culturale già ricordati in altra parte di questo “lavoro”, là dove, attendendo ad “Ancaraneide”, ci siamo soffermati sul linguaggio, su termini e sui modi di dire del dialetto locale nonché su altre consuetudini paesane. I piatti visitati prevedono quasi sempre la cucina della carne; praticamente mai il pesce, ( a dispetto dell‟àncora presente sullo stemma del Comune e tutt‟oggi priva di credibile spiegazione ), fatta eccezione per il baccalà e per il tonno, ingrediente essenziale quest‟ultimo, ad esempio, per il sugo “di magro”, componente fissa, presso moltissime famiglie, del menù per la cena della Vigilia di Natale . Quanto al pesce mi concedo tuttavia un brevissimo “ fuori pista” preliminare, riservato ad un piatto che ho davvero detestato, da che mi ricordo, fin da ragazzo, per anni ed anni, e che invece improvvisamente dovetti apprezzare il giorno che me lo trovai in tavola, preparato da mia moglie, su di una ricetta di sua madre, entrambe di terra marinara, in quanto di Grottammare. E mo‟… Tutti a tavola!! ….. - 261 - Penso di non aver fatto grande e festosa accoglienza all‟iniziativa, quella volta, quando, tornando a casa dal lavoro, vidi, scodellato nel piatto, il riso col brodo di pesce, ma … per amor di pace, feci buon viso …. ed iniziai a mangiare. Un cucchiaio dopo l‟altro, dovetti convincermi della sua squisitezza e, dunque non potei far altro che “farci pace” in un primo tempo, per poi - onore al merito - chiedere notizie sulla ricetta che, in fin dei conti, è molto semplice e riporto qui, come mi è stata data: BRODO DI PESCE Occorrono intanto dei “suri”, pesce azzurro umile e di non grande reputazione ( Trachurus trachurus, della famiglia dei Carangidi alla quale appartengono anche le Ricciòle). Due o quattro o più suri a seconda del numero dei commensali e della grandezza dei pesci. Diciamo all‟incirca tra otto etti ed un chilo per 4 persone. In acqua salata ed in abbondanza, si mettono a bollire: cipolla, sedano, carota ed un bel ciuffo di prezzemolo. Anche un paio di foglie di alloro se piace il profumo. Dopo un dieci minuti di bollitura si tolgono le verdure e si aggiunge il pesce del quale si sarà avuto cura di esaminare attentamente le interiora e, se del caso, eliminare presenze sospette. Si fa bollire per circa una buona mezzora e si toglie dal fuoco. Frattanto, in altra casseruola, si sarà preparato un leggero soffritto di olio e ci- - 262 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico polla, con aggiunta di pezzetti di pomodoro fresco. A cipolla appassita si verserà sul soffritto il brodo ricavato dalla bollitura del pesce, si attenderà il bollore e si verserà il riso per attenderne la cottura. Che dire? Molto gustoso, ma provare per credere. Per la verità non so se e quanto sia diffusa in Ancarano l‟abitudine di cucinare il brodo di pesce, ma, volendo fare ammenda di un ingiusto e prolungato preconcetto, penso che la maniera più idonea fosse di “promuoverne” la ricetta … a prescindere. Chiusa la divagazione “pesciaiola”, torno alla cucina paesana tradizionale. Li tajilì della Madonna della Pace - 263 - LI TAJLÌ DË LA MADONNA DË LA PACE Introduzione Sicuramente tipico ed esclusivo di Ancarano è il piatto “principe” della gastronomia locale, indiscutibile e meritato vanto delle non moltissime massaie ancora oggi capaci di realizzarlo. Oltre alla riconosciuta gradevolezza per il palato, sua caratteristica curiosa e ad un tempo interessante, come a volte mi piace sottolineare - ma pare sia stata immediatamente colta anche da qualche occasionale visitatore esterno - è la peculiarità di essere, fra le minestre in brodo, la sola che preveda l‟uso della forchetta !!! Molto probabilmente questa cosa non è di facile comprensione per chi non si è mai trovato di fronte ad un piatto di “tagliolini”, ma poiché mi pare che sia una caratteristica davvero singolare, spero di riuscire prima o poi - probabilmente quando completeremo la versione elettronica di “Ancaraneide” - a realizzare un breve ed esplicativo filmato così da sfruttare a pieno le potenzialità della, come si sul dire, “tecnologia moderna”. Altra particolarità, sia pure di più prosaico profilo, è che i tagliolini non possono essere oggetto di spedizione, per esempio a parenti ed amici lontani. Tre o quattro anni fa, nella ricorrenza della festa della Madonna della Pace mi venne in mente di mandarne qualche “pagnottella” a mio cugino Francesco - che viveva a Ravenna e da parecchi anni mancava da - 264 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Ancarano - ed a sua moglie, ravennate, che di sicuro non aveva idea di cosa fossero i tagliolini. Giuro che confezionai il pacco con estrema cura, una scatola entro un‟altra imbottendo l‟intercapedine con fogli di carta stropicciati nel tentativo di ridurre al minimo il prevedibile stress del viaggio. Acclusi anche, a buon bisogno, indicazioni per la preparazione del brodo e per la cottura …... Dopo qualche giorno Francesco mi chiamò al telefono per dirmi quanto avessero gradito, lui e sua moglie….., ma il problema della forchetta non si era proprio posto: era stato più che sufficiente il cucchiaio per il “tritume” contenuto nel pacchetto. Da quella volta, naturalmente, ho rinunciato alle spedizioni ……. Sto parlando, come è ovvio per i lettori compaesani, dei Tagliolini della Madonna della Pace (“ Li tajlì dë la Madonna dë la Pace”; secondo alcuni: secondo alcuni: “Li tajlì ùntë”, ma credo facciano qualche confusione con tutt‟altro piatto !) che provo ora a descrivere, non senza citare prima la leggenda, affettuosamente ingenua, dalla quale si vuole che essi traggano origine. Leggenda che si lega alla venerazione della Madonna della Pace, protettrice del Paese, ed alla pregevole statua lignea della Vergine, a grandezza naturale, fondatamente attribuita allo scultore sulmonese Li tajilì della Madonna della Pace - 265 - Silvestro dell‟Aquila (1450? – 1504), che si può ammirare, conservata ed esposta nella chiesa parrocchiale. 64 Si narra…. Avvenne che alcuni malfattori, introdottisi nottetempo all‟interno della chiesa, ne trafugarono la statua col proposito, verosimilmente, di portarla in luogo sicuro, lontano dal paese, per trarne profitto vendendola a qualche buon estimatore. Senonché, dopo breve tragitto, il peso della statua si fece man mano troppo gravoso per le forze dei ladri, e divenne così insostenibile da indurli a rinunciare al loro progetto e ad abbandonarla in un fossato. Di lì a poco, una vecchietta che percorreva la medesima strada, ma in direzione di Ancarano, notò la statua dove era stata abbandonata, la riconobbe e, dopo aver rivolto una devota preghiera alla Madonna perché si rendesse abbastanza leggera per le poche energie di cui la poverina disponeva, riuscì, per sorte si- 55 Dagli “Annali della Terra di Ancarano” del Dott. Francesco Rampini [ Ed. a stampa in 300 esemplari del Gennaio 2001 per i tipi della Linea Grafica di Centobuchi (AP)], a pag.32, trascrivo: “ E‟ di quest‟epoca ( seconda metà del „400) la statua della Madonna della Pace che si venera in Ancarano come principale protettrice. Fu opera di Silvestro dell‟Aquila, o Silvestro di Giacomo di Sulmona, detto “L‟Ariscola”, seguace di Antonio Rosellino.[Nel libretto di D. Francesco Marinucci….è segnata a pag.34 la data,1490, di acquisto di quella statua, ma non so da cosa gli sia risultato] Ha somiglianza con altre statue dello stesso Autore, conservate nella Chiesa di S. Berardino ( ove vi sono altri lavori dello stesso Autore) e Collemaggio di l‟Aquila, e specialmente con quella della Chiesa “Mater Domini”di Chieti. Ve ne è pure una nelle Sale al primo piano del Palazzo Comunale di Ascoli. Dicesi per tradizione che fosse stata fatta in memoria della riconciliazione fra Ancarano e Torano.” - 266 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico curamente miracolosa, a caricarsela sulla testa come è d‟uso fare per un cesto o per una “conca”, ed a riportarla in paese, dove fu accolta dai cittadini con grande festa e riconoscenza. In segno di gratitudine gli ancaranesi si preoccuparono di rifocillare la vecchietta dalla fatica sostenuta. Tuttavia la donna era piuttosto in là con gli anni e probabilmente anche abbastanza malmessa quanto a denti; le massaie di Ancarano inventarono allora, per l‟occasione, un piatto che fosse ad un tempo sostanzioso e facile da consumare. Prepararono dunque un saporito e sostanzioso brodo di carne nel quale misero a cuocere della pasta all‟uovo tagliata in tagliolini sottili come capelli, così sottili da poterli mangiare senza quasi bisogno di masticarli. Da allora ( ma non si hanno notizie per datare storicamente l‟avvenimento ) è tradizione che per la ricorrenza della festa della Madonna della Pace ( per consolidata tradizione cade nella domenica più prossima al 22 ottobre ! ) sui tavolini delle famiglie ancaranesi sia di rigore, come primo piatto, il brodo - secondo alcuni di gallina, secondo altri di carni miste - con i tagliolini. Queste le modalità della Preparazione: Per la quantità, il riferimento è il numero di uova impiegate per l‟impasto: si preparano cioè, per esempio, quattro o sei o più uova di impasto; ogni uovo dovrebbe dare una resa di quattro pagnottelle di Li tajilì della Madonna della Pace - 267 - tagliolini. Si lavora a lungo l‟impasto di uova e farina, si osservano dei tempi di riposo prima di stendere la sfoglia e poi si procede a formare una pannella sottilissima, al limite della trasparenza, frapponendo secondo alcuni, tra impasto e spianatoia, un telo di cotone di trama molto sottile. Una volta che la sfoglia si sia asciugata al punto giusto ( fase questa molto delicata nella preparazione) si arrotola su sé stessa come si fa per le tagliatelle e si provvede quindi al taglio. Il coltello deve essere affilatissimo. Nelle case in cui ci sono donne capaci di preparare i tagliolini, spesso esiste, gelosamente custodito, un coltello “dedicato”. La mano che guida il taglio, con le dita piegate “a martelletto”, propone la sfoglia arrotolata alla lama; la mano che regge il coltello, lo batte di piatto sulle unghie delle dita che fanno da guida e con movimento appena basculante, esegue decisamente il taglio. Mi è capitato di osservare qualche massaia esperta ed ogni volta sono rimasto davvero ammirato e quasi incredulo di fronte alla velocità, alla precisione ed alla naturalezza con le quali l‟operazione veniva svolta. Infine i tagliolini così preparati vengono sbrogliati con le dita e se ne confezionano delle ariose pagnottelle ognuna delle quali corrisponde all‟incirca ad una porzione individuale. - 268 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico I buongustai e gli appassionati ai quali il brodo di carne “non rimane pesante” ne mangiano però anche due, senza sforzo e con devozione.65 Per il brodo, va detto che dev‟essere un saporito e ristretto brodo di carne per la cui preparazione valgono le comuni regole note a chiunque si occupi di cucina con sufficiente perizia. E tuttavia il caso di precisare che esistono in paese almeno due correnti di pensiero: secondo alcuni dovrebbe essere utilizzata solo carne di gallina; altri preferiscono impiegare, oltre alla gallina, carne di manzo per una migliore sapidità ed attenuazione di quel “lezzo pollino” non sempre e non a tutti gradito. 65 Recentemente, per interessante e meritoria iniziativa della Pro-loco di Ancarano, in un edificio del centro storico messo a disposizione dall‟Amministrazione comunale, si è tenuto un corso che ha avuto larga partecipazione di Ancaranesi e non, donne e uomini, per l‟insegnamento dell‟arte del confezionamento dei tagliolini…..Pare che l‟iniziativa sia andata a buon fine, pur se con qualche immancabile polemica. E‟ da augurarsi che si sia ottenuto il risultato auspicato di tener viva una tradizione altrimenti a rischio di sopravvivenza. Forse sarebbe bene anche ripetere…. Primi piatti - 269 - PRIMI PIATTI Avendo iniziato con i tagliolini, continuo con i primi piatti, così che questa scorribanda sugli usi gastronomici e sulle tavole apparecchiate delle famiglie ancaranesi segua un certo ordine logico temporale. Per i tagliolini il mese “dedicato” è ottobre, per la ricorrenza festiva che ho già menzionato. E‟ vero però che si possono consumare, a patto di saperli fare o di commissionarli, per tutto l‟autunno, l‟inverno e la primavera ( in estate è meno consigliabile: con il caldo forte, la sfoglia sottilissima rischia di asciugare troppo e troppo velocemente, con qualche pregiudizio per il confezionamento e per il risultato finale). Dunque prendo le mosse dalla fine del mese di ottobre e, andando avanti con i giorni e le settimane, trovo come occasione importante, per tradizioni consolidate e molto comuni, il periodo natalizio. Per la Vigilia di Natale è usanza diffusa che a cena si mangino spaghetti conditi con il SUGO DI MAGRO Preparazione: Questi gli ingredienti dosati per circa quattro persone: un decilitro di olio; 200 grammi di tonno sott‟olio di qualità ben scolato; quattro o cinque alici diliscate e dissalate; 30 grammi di capperi essiccati o - 270 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico anche sotto sale, ( ma, in tal caso, messi per tempo a dissalare); due o tre spicchi di aglio rosso di Sulmona; una quindicina di olive verdi denocciolate e fatte a pezzetti non troppo piccoli; un ciuffo di prezzemolo; un pezzetto di peperoncino; una bottiglia di passata di pomodoro. Si mette a scaldare l‟olio e si mettono a soffriggere gli spicchi d‟aglio spogliati e schiacciati, con appena un po‟ di peperoncino, per poi toglierli non appena imbionditi. Si aggiunge il tonno sminuzzato e, dopo qualche minuto, le acciughe fatte a pezzetti. Si lascia insaporire per due o tre minuti o anche un poco di più, in tal caso aggiungendo un dito di bicchiere di acqua calda ad evitare che tonno ed alici rosolino, infortendo di sapore. Si aggiunge quindi la passata di pomodoro, i capperi e le olive in successione, si aggiusta di sale e si fa cuocere per circa quindici minuti. Si aggiunge infine il prezzemolo e si fa sobollire ancora un po‟. Il sugo è pronto per gli spaghetti o i vermicelli, a preferenza personale. Per il giorno successivo, al pranzo di Natale, per lo più si mangiano cappelletti in brodo ( se siano a rigore cappelletti o tortellini … non approfondirei, anche se, assente la mortadella nel ripieno …. sarei più per i cappelletti …; comunque, qui da noi si chiamano: “li cappëllìttë”). Primi piatti - 271 - Per il brodo vale quanto detto per i tagliolini, ma c‟è anche chi usa il cappone, all‟emiliana. La ricetta è internazionale e dunque penso non sia il caso di soffermarvisi. Si arriva poi al Capodanno preceduto dal cenone del 31 dicembre. In regime consumistico si prevede oggi il cenone presso qualcuno dei circa quindici ristoranti di Ancarano, o anche altrove. Può darsi debba considerarsi una sopravvenuta usanza …. Personalmente non condivido, ma, de gustibus… Nel nostro ambito familiare la consuetudine era un piatto di lenticchie con tozzetti di pane fritti e, a crudo, un filo di olio “pésëlë” 66 ; a volte anche col cotechino o con lo zampone. Poi si aspettava la mezzanotte per un brindisi a spumante, con qualche dolce, per poi andare a nanna. Con il pranzo di Capodanno viene il momento del timballo e qui il paese credo si possa considerare diviso in due correnti di pensiero e di gusto: quella che il timballo lo vuole di sfoglia e quella che lo prevede di frittatine. Ascoli vs Teramo, Guelfi vs Ghibellini. Comunque, ricette entrambe notissime ed entrambe ottime. La differenza naturalmente è data dall‟abilità delle cuoche e poi … dal peso delle abitudini e dei gusti personali. 66 Il filo d‟olio, a crudo, versato sulla minestra brodosa, resta naturalmente a galla, in superficie: è questo il concetto che esprime il termine “pesëlë”. - 272 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Proseguendo arriviamo al Carnevale, per lo più nel mese di febbraio. Se un primo piatto c‟è da ricordare per questa ricorrenza credo che sia quello dei RAVIOLI DI RICOTTA Pur nell‟identicità della base: sfoglia di uova e farina e ripieno di ricotta condita con uova e maggiorana, due mi risultano essere le ricette fondamentali. Una, decisamente salata, prevede i ravioli lessati e serviti con sugo di pomodoro. L‟altra è invece salata ed insieme dolcetta: i ravioli lessati e scolati vengono serviti in bianco, spolverati di cannella ed abbondante parmigiano. Il periodo di Quaresima, passa senza quasi nulla di particolare da segnalare, sotto il profilo gastronomico. Tuttavia considerando che le temperature invernali spesso inducono a desiderare il calore di un buon saporito piatto di minestra, non si possono dimenticare le pappardelle, i “taccuniellë” e il riso con la cicoria o con l‟indivia. LI PAPPARDELLE Credo sia uno dei piatti più semplici ed umili del menù tradizionale e popolare. Farina, acqua ed appena un pizzico di sale per stendere una Primi piatti - 273 - pannella appena più spessa di quella per le tagliatelle all‟uovo, come appena più larghe delle tagliatelle si tagliano le pappardelle, ma piuttosto corte, per poter essere mangiate con il cucchiaio. Il brodo si dovrebbe fare come tanto tempo fa, quando non erano in commercio i “dadi”: un soffritto di lardo o di guanciale (“varvaia”) con poca cipolla. L‟aggiunta di pezzetti di pomodoro fresco o conservato in bottiglia per un po‟ di sapore in più, ed acqua in quantità proporzionata alle pappardelle da cuocere. Comunque questa è la ricetta avuta da mia sorella Marialuisa : Ingredienti: farina tipo “0”, acqua (anche qualche albume se si ha inutilizzato) Preparazione: Impastare gli ingredienti fino a che l‟impasto risulta omogeneo, liscio, di media consistenza(come per le tagliatelle) e far riposare coperto per circa un‟oretta; stendere la sfoglia, un paio di millimetri di spessore, con il matterello o anche con la macchina per la pasta e far asciugare. Procedere al taglio come accennato sopra. Si utilizzano per minestre di legumi o minestra con base di battuto di lardo o “grasse magro”, cipolla tagliata sottile, pomodoro maturo fresco a pezzetti e basilico. Zia Marietta (Maria Olivieri), aveva, in merito, reputazione di specialista e ricordo che quando le cucinava non mancava di riservarne un - 274 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico pentolino per mio padre (suo fratello) che ne era grande e ghiotto estimatore. Ancora una notazione: le pappardelle pare siano raccomandate per le puerpere, perché favorirebbero la produzione di latte: ovviamente non ne ho personale esperienza…, ma conosco signore che ricordano di averne, per materno scrupolo, ingurgitati piatti su piatti. Analoghe proprietà galattogene venivano attribuite a LI FRASCARIELLË Preparazione: In un brodo, preparato più o meno alla stesso modo che per le pappardelle veniva messa a cuocere della farina versandola come se si fa quando si prepara della polenta di granoturco, favorendo però, al contrario di questa, la formazione di piccoli grumi. Secondo un‟altra tecnica, la farina veniva lavorata su di un piano, con poca acqua in modo da creare piccoli granuli ( simili a quelli del cuscùs ) che venivano quindi versati nel brodo bollente perché cuocessero. Primi piatti - 275 - LI TACCUNIELLË Zia Marietta - sempre lei - faceva ogni tanto anche “li taccuniellë”. L‟assimilazione ai “maltagliati”, da alcuni voluta, può risultare fuorviante. Questi vengono di solito descritti di forma irregolarmente romboidale e credo siano piuttosto, nella tradizione della cucina romagnola, una specie di sottoprodotto delle tagliatelle, per l‟utilizzo anche dei piccoli ritagli della sfoglia per esse preparata. Per quel che mi risulta, li taccuniellë hanno invece forma assimilabile, se proprio si vuol cercare qualcosa di analogo reperibile in commercio, ai pizzoccheri valtellinesi, con i quali però non hanno null‟altro in comune per quanto riguarda gli ingredienti usati ed il modo di cucinarli. Preparazione : Caratteristica di “li taccuniellë” è che l‟impasto dal quale vengono tagliati prevede l‟impiego di farina di grano tenero e farina di granturco in proporzioni variabili da 2:1 fino a 1:1. E consigliabile l‟impiego di un uovo per 3 etti di farina circa, perché l‟impasto leghi meglio e renda più facile stendere la pannella. Questa deve essere abbastanza spessa: un paio di millimetri o anche di più. Una volta che si sia asciugata a sufficienza, viene tagliata a strisce della larghezza di circa cinque centimetri e da esse si tagliano i “taccuniellë” larghi dai cinque ai dieci millimetri. Non mi risulta ci siano regole precise per questa misura, né che debbano essere tra loro regolarissimi. - 276 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico La “morte loro” è mangiarli in brodo - non troppo acquoso - con i ceci, o con i fagioli, ma anche senza. Per il brodo era consuetudine preparare un soffritto di lardo o di guanciale, aggiungere acqua, aromatizzare con del rosmarino ed un po‟ di peperoncino a piacere. Facoltativa l‟aggiunta di un po‟ di pomodoro fresco a pezzetti. Subito prima di mangiarli, un filo di olio “pesëlë”, a crudo è di prammatica. LU PA‟ „NGALLUCCË Quando i costumi erano improntati a sobrietà e nulla, possibilmente, doveva andare sprecato, anche al pane raffermo veniva dedicata qualche ricetta che consentisse di consumarlo e, perché no?, anche con gusto. Preparazione: E‟ il caso di questo piatto di minestra la cui base liquida era il consueto soffritto di lardo o grasso e magro e cipolla cui si aggiunge, in estate, del pomodoro fresco a pezzetti (sostituto nelle altre stagioni presumibilmente da pomodoro conservato in bottiglia) ed odori secondo gradimento. Si versa quindi l‟acqua nella quantità necessaria ed il pane raffermo tagliato a tozzetti. Un filo d‟olio a crudo nel piatto porzionato può essere un gradevole completamento. Primi piatti - 277 - OVA A MËNESTRA Preparazione Protagonista, come nel caso precedente, è il pane raffermo, stavolta tagliato a fettine sottili. Il piatto però è decisamente più sostanzioso per la presenza dell‟uovo ( almeno uno a testa) che, intanto che il solito brodo bolle in pentola, viene sbattuto in una scodella, come se si dovesse fare una frittata, ed eventualmente condito ed aromatizzato a piacere ( un po‟ di formaggio grattugiato, forse prezzemolo o maggiorana, un odore di pepe…). Nei piatti fondi le fettine di pane sono in attesa. Le uova sbattute si versano nel brodo bollente e si attende un attimo che cuocciano, senza mescolare. Si toglie quindi la pentola dal fuoco e si versano mestoli del brodo con le uova nei piatti, sul pane. L‟UOVË „N PRËHATORIË ( l‟uovo in pugatorio) Non so veramente se questa sia una minestra, una pietanza o … un ibrido piatto unico, magari per una cena abbastanza leggera ancorché nutriente. Neppure trovo una soddisfacente spiegazione del perché l‟uovo così cucinato sia collocato in purgatorio…..Una ragione ci sarà pure!! La realizzazione è delle più semplici, da come mi è stato riferito. - 278 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Preparazione: Si prepara uno dei soliti soffritti e poi pomodoro abbondante con gli odori che ciascuno più gradisce. In questo sugo bollente, ancora sul fuoco, si versa un uovo sgusciato ma senza spappolarlo e si aspetta che arrivi a cottura. Non l‟ho mai assaggiato, ma sembra promettere e ci farò un pensiero. Essenziale direi la qualità della materia prima…. RISO CON LA CICORIA Minestra davvero squisita, salutare e per ogni stagione: basta trovare la cicoria, molto meglio se “campagnola”, ma ora si può usare benissimo anche quella congelata a cubetti, in vendita nei reparti di alimentari. Preparazione: La verdura va lessata e poi ridotta praticamente in poltiglia con un coltello sul tagliere, o, per gli esperti e raffinati, con la mezzaluna. Si triturano finemente anche cipolla e carota, regolandosi per le quantità e le proporzioni. Si batte sul tagliere della pancetta o del lardo e si mette il tutto a soffriggere, regolando di sale e pepe, eventualmente con aggiunta di olio se la pancetta e molto magra. Terminata la bra- Primi piatti - 279 - satura si aggiunge acqua nella quantità necessaria e, ottenuto il bollore, si aggiunge riso in ragione di circa 80 grammi a persona,… o a misura dell‟appetito. Il piatto, a cottura avvenuta, non deve risultare né liquido ne risotto. Si serve caldo con una bella spolverata di parmigiano. Piatto praticamente gemello si usa cucinare utilizzando, al posto della cicoria, l‟indivia. Buono anch‟esso, risulta, al palato, meno amaro ed un po‟ più “liscio” . Altro modo di cucinare il riso per farne un saporito risotto e quello detto del RISO „N CAGNÓ Questa preparazione prende spunto dal “Sartù” napoletano, molto semplificato. Preparazione: Si cuoce il riso come d‟uso per il risotto aggiungendo un po‟ alla volta acqua calda salata con parsimonia, oppure un leggero brodo vegetale. A metà cottura si aggiunge del buon sugo di carne preparato appositamente o di recupero da precedente preparazione, in quantità tale da insaporire il riso, mantenendo la consistenza di un risotto (per - 280 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico 400 grammi di riso, due mestoli di sugo). A cottura ultimata si completa con una generosa spolverata di formaggio pecorino grattugiato. Siamo in primavera! Con il pranzo di Pasqua tornano per lo più i cappelletti in brodo, ma non manca chi opta per un primo asciutto ( di solito timballo, o maccheroni alla chitarra). Per la verità, nei miei ricordi di ragazzo ritrovo, per il giorno di Pasqua, un primo molto parco e semplice, per quanto squisito ( lo dico oggi però; allora, potendo, avrei certamente votato per un primo asciutto). Zia Marietta Olivieri preparava, per primo, una minestra di riso con l‟indivia. A forza di ripetute proteste dei commensali si passò ai cappelletti …. ma l‟indivia brasata e piccante di peperoncino mi pare di ricordare che rimase, comunque, per contorno. Una trentina di giorni o poco più e, con maggio, matura la fava. Legume prelibato, per appassionati, si mangia prevalentemente verde, con accompagnamenti vari: dal pane e olio, al pane con spalmata la “ventricina”, al pane e formaggio. Ma squisita è anche la Primi piatti MINESTRA - 281 - DI FAVA Preparazione: Detta anche “favetta”. Si aprono i baccelli ( la fava deve essere ben “granita” senza però aver fatto “lu capë nirë”) e le fave lavate vengono messe in padella a brasare ed insaporire con abbondante cipolla, qualche fetta di pancetta arrotolata, un po‟ di vino bianco, aggiustando sale e pepe. Arrivata a cottura, se l‟ingordo resiste alla voglia di mangiarla così com‟è, si trasferisce in una casseruola aggiungendo acqua bollente nella quantità necessaria .Si aggiunge quindi la pasta: indicati sono i ditali. Un filo d‟olio nel piatto e peperoncino secondo il gusto individuale. C‟è chi ne mangia un paio di scodelle, ma anche chi va oltre ( personalmente… non me ne faccio scrupolo, anche perché il mese di maggio passa velocemente e cucinare la favetta con i congelati… è tutt‟altra e meno apprezzabile cosa). Passa qualche settimana e si arriva, con l‟estate, alla raccolta del grano e, un tempo, alla trebbiatura. Un classico della tavola, per questa occasione da tempo ormai superata col progredire della meccanizzazione, erano sicuramente - 282 - LI Parte Quinta – Itinerario gastronomico MACCARÙ DË LU MACHËNÀ Siamo, come dicevo, nel periodo in cui si trebbiava il grano, solitamente agli inizi del mese di luglio. L‟epoca alla quale mi riconduce il ricordo è quella di una cinquantina di anni fa, quando le moderne e rapide “mietitrebbia” erano di là da venire e la trebbiatura era un insieme di “riti” e di protocolli consolidati che andavano, ad esempio, dal posizionamento sull‟aia della macchina trebbiatrice, al riempimento dei sacchi di frumento, alla formazione dei mucchi: quello principale della paglia e la serra minore della “cama”. Non ricordo con precisione il perché, ma, quali che fossero le ragioni, la trebbiatura presso il terreno di famiglia iniziava sempre nelle primissime ore del mattino, quando era ancora notte fonda. Alle prime luci del giorno i lavori avevano una breve interruzione per una veloce quanto gustosa colazione a base di pane casareccio – cotto nel forno a legna dalla “vërgara” – e fette di lonza di capocollo… Che bontà!! Più tardi ci fu una variante “dolce” di questa colazione, con introduzione di certi “biscotti”, molto buoni anch‟essi, ma che, secondo me, non reggevano il confronto con la lonza di un tempo. Poi il lavoro riprendeva con i suoi ritmi: i sacchi di frumento si accumulavano nel granaio ed il mucchio della paglia prendeva man mano la sua classica forma sotto l‟attenta, severa e non di rado blasfema ( quannë cë vo‟, cë vo‟) vigilanza del capo di casa; e guai a chi sgarrava, o si distraeva o non si atteneva alle direttive impartite. Primi piatti - 283 - Poco dopo il mezzogiorno, a quel che ricordo, la trebbiatura era completata e veniva il momento per tutta la squadra di sedersi a pranzo: qualche volta la tavolata era all‟aperto, ma ricordo anche di aver pranzato in casa. Il menù completo non lo rammento, ma il “piatto forte” erano “li maccarù dë lu machënà”. Spero di riferire la ricetta con sufficiente esattezza: Preparazione Pasta asciutta dunque, anzi, per la precisione, spaghetti e, nei casi più fortunati, maccheroni alla chitarra, ma la particolarità era sicuramente il sugo di condimento, fatto con la carne di “paparó”.. L„oca, tagliata a pezzi, veniva messa a rosolare in una capace casseruola nella quale si era frattanto approntato, in olio di oliva, ovvero lardo di maiale - a seconda dei gusti -un soffritto di cipolla, sedano e carota. Una volta rosolata ed insaporita la carne, si aggiungeva la passata di pomodoro e del concentrato dello stesso, se necessario. Il tutto veniva quindi lasciato sul fuoco a sobollire per il tempo occorrente a che la carne dell‟oca cedesse sapore e sostanza ed il pomodoro si restringesse a sufficienza per condire adeguatamente la pastasciutta. Piatto, si sarà notato, non proprio leggerissimo sotto il profilo squisitamente dietetico, ma per chi aveva passato ore a lavorare alla trebbia non credo proprio che si ponessero problemi di digestione. In ogni caso rammento bene che più d‟uno dei commensali esibiva, infilato - 284 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico nel taschino della camicia, il proprio peperoncino intero al quale, a piacere, attingeva, di tanto in tanto, durante il pasto, a morsi, senza risparmio. PAPPARDELLE AL SUGO DI PAPERA Un piatto questo molto simile a quello appena sopra descritto per quanto riguarda il sapore e la preparazione del sugo di condimento. Queste “pappardelle” sono di pasta all‟uovo tagliate da una sfoglia simile a quella dalla quale si fanno le tagliatelle. Rispetto alle tagliatelle le pappardelle sono larghe circa il doppio, più corte ed un po‟ più spesse. Inoltre sono a volte ricavate dalla sfoglia, invece che con il taglio dritto e netto del coltello, con taglio eseguito con la rotella che si usa per i ravioli, cosicché i bordi delle pappardelle risultano ondulati. LI FRȄGNACCȄ Quando si prepara la pasta all‟uovo, per farne delle tagliatelle o maccheroni alla chitarra, o della sfoglia per confezionarne dei ravioli, capita che dalle operazioni di taglio della sfoglia risultino degli avanzi di pasta rispetto a quella utilizzata per lo scopo iniziale o che proprio ci si trovi ad averne preparata in quantità maggiore di quella necessaria. Primi piatti - 285 - In questo caso le “fregnacce” sono una soluzione di ripiego, ma non è escluso che un po‟ di pasta si prepari appositamente per il desiderio di mangiare questo piatto dal condimento semplice ed appetitoso. Ingredienti per 4-6 porzioni: 500g di farina; 5 uova; salsa di pomodoro; 1 cipolla; basilico fresco; peperoncino; parmigiano grattugiato; olio; sale. Preparazione: Si prepara la pasta e la si lavora come se dovessero farsi tagliatelle o lasagne. Si stende la sfoglia con il matterello o con la macchinetta per la pasta e si ritagliano dei quadrati di circa 15 cm. di lato. Si soffrigge in una casseruola la cipolla tritata, con olio in quantità adeguata e si aggiunge il pomodoro ( fresco passato o la salsa preparata). Si aromatizza con abbondante basilico e si aggiunge peperoncino a seconda dei gusti. Si regola di sale e si lascia sobollire per una ventina di minuti. Il sugo deve addensarsi abbastanza, ma il pomodoro non deve cuocere troppo. A questo punto si lessano i quadrati di pasta in abbondante acqua bollente salata. Una volta a cottura questi vengono scolati e disposti su un vassoio e su ogni quadrato si versano alcune cucchiaiate del sugo, spolverando con del parmigiano. Si arrotolano senza stringere troppo e si condiscono nuovamente con un po‟ di sugo. C‟è chi le fregnacce le consuma così, ma anche chi, avendole sistemate in un recipiente da forno, ve le passa per qualche minuto, dopo un‟ulteriore spolverata di parmigiano, per gustarle più asciutte.. - 286 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico PIETANZE Visto che trattando dei primi piatti sono partito dai tagliolini in brodo, inizio la visita alle pietanze da una che del brodo è una specie di conseguenza naturale anche se non necessaria. Penso di seguire anche in questa parte un ordine più o meno stagionale, dall‟autunno in avanti, ma senza vincoli esagerati … LI CHËPPIETTË Quando si fa il brodo di carne, ovviamente residua il lesso o, come si dice in Ancarano,: “l‟allessë”, che, giova ricordarlo, è cosa diversa dal “bollito”, sia per l‟assortimento delle carni utilizzate, sia per la fondamentale differenza che sta nel fatto, nel primo caso, di mettere a cuocere la carne nell‟acqua “a freddo”; nel secondo, quando l‟acqua di cottura è già in ebollizione. A volte mi è capitato anche di sentir dire che il lesso, in quanto “sfruttato”, si può anche buttare ….. Non vorrei… ma in questi casi mi “girano”, e vorticosamente; di solito tuttavia riesco a contenermi e non replico, anche se ne avrei…… Infatti la carne del lesso, anche se “sfruttata” , può essere molto gradevole da consumare, purché bollente. Riscaldato, invece, il lesso è in effetti molto meno buono, persino spregevole, ma si può renderlo di Pietanze - 287 - nuovo gradevole ed appetitoso sottoponendolo a qualche oculato trattamento. Uno è quello di “rifarlo” insaporendolo con olio, abbondante cipolla, pomodoro e peperoni; c‟è chi aggiunge anche un paio di foglie di alloro, come da consuetudine toscana, ma vi sono anche altre varianti a piacere. L‟altro che conosco, consiste nel farci, per l‟appunto, “li chëppiettë” Preparazione Il lesso avanzato viene macinato finemente e se ne fa un impasto al quale si aggiungono patate lesse, un odore di aglio, prezzemolo e parmigiano grattugiato. Per le dosi …. ci si regola. Con l‟impasto ben amalgamato si fanno delle polpettine, rotonde o bislunghe, non troppo grandi. Si infarinano leggermente e si friggono per stabilizzarle. Si mettono infine ad insaporire in un sughetto di pomodoro e cipolla, anche aromatizzato a piacere, per esempio, con del basilico, se è stagione. Prelibate erano quelle di zia Marietta Olivieri, classe 1884 !! LA SARTANIA DË LU PUORCHË Siamo, in questo caso, all‟incirca nel mese di dicembre, nel tempo giusto per “ammazzare il maiale”. - 288 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Il piatto di cui si parla è un arrosto in padella, rigorosamente di ferro, di rifilature di carne del maiale appena macellato, residuali nell‟operazione di divisione dell‟animale in mezzene ( le “pacche”), propedeutica alla “spezzatura”, alla salatura e, in tempi diversi, alla preparazione di insaccati, prosciutti, “pacche” di lardo ecc.Allorché il suino macellato veniva appeso per le zampe posteriori e diviso nelle due classiche mezzene, da alcune parti dell‟animale ( es. fra i prosciutti, dallo sterno, dalla goletta, ecc.) si recuperavano, di risulta, delle rifilature di carne magra, o mista a grasso, adatte per essere immediatamente cucinate e consumate a conclusione delle operazioni di macellazione. Per come mi torna alla mente – per essere stato presente qualche volta tanti anni fa – nella cucina della casa colonica, al calore del fuoco del camino sul quale era posta una grande “sartania” di ferro, si cuoceva questa specie di spezzatino grasso - magro e, di seguito, il sangue raccolto durante la macellazione e lessato. Ingredienti : temperatura esterna vicina a 0°; un camino attivo, non ornamentale, con relativa dotazione di legna (meglio se fa un po‟ fumo); una grossa padella di ferro; rifilature di carne di una maiale appena macellato; sangue dello stesso, lessato e tagliato a fettine sottili; aglio, cipolla, la scorza di un‟ arancia, peperoncino piccante, rosmarino, vino bianco o conservato. Preparazione : La sequenza delle operazioni di cottura era la seguente: Pietanze - 289 - I pezzetti di carne ( nell‟ordine di 3,4 chili per un suino di stazza ordinaria), ripuliti del grasso in eccesso, venivano messi a cuocere in un‟ampia padella di ferro ( la “sartania” per l‟appunto), posta sulla brace del camino. Si aggiungeva dell‟acqua per evitare una rosolatura troppo secca e violenta e per favorire lo scioglimento della parte grassa. Per aromatizzare si aggiungevano alcuni spicchi di aglio “vestiti”, qualche rametto di rosmarino, peperoncino a piacere e qualche dito di vino bianco o “conservato”. Evaporata l‟acqua aggiunta, si prelevava parte del grasso liquefatto che si era prodotto e la si teneva da parte per successivo utilizzi. Si terminava quindi la rosolatura della carne, salando e pepando opportunamente. Tolta la carne dal fuoco, nella stessa padella si versava un po‟ del grasso liquefatto tenuto da parte e vi si metteva a cuocere abbondante cipolla tagliata a fette sottili. Appassita la cipolla si aggiungeva il sangue precedentemente lessato e fatto a fettine, unendo pezzetti di scorza di arancio e peperoncino in misura … a seconda dei commensali. Si lasciava a soffriggere per alcuni minuti affinché si completasse la cottura e si amalgamassero i sapori. L‟accompagnamento di qualche buon bicchiere di vino rosso generoso, era di prammatica. Certe scorpacciate!!! - 290 - BACCALÀ Parte Quinta – Itinerario gastronomico CON PATATE E‟ un classico per la cena della vigilia di Natale anche in Ancarano o almeno lo era. Può darsi che io non sia aggiornatissimo e che sulle tavole degli ancaranesi sia stato ora sostituito da pietanze diverse. Ma facciamo conto che sia ancora come una volta. Mi risulta che si cucinasse prevalentemente il “baccalà” ancorché seguendo un ricettario non proprio univoco. Lo stoccafisso invece, benché “spinga” dalla confinante Marca, credo sia rimasto opzione di una minoranza di famiglie. Nel nostro gruppo Olivieri-Rampini riuniti, ai quali ex nuptiis si aggiunsero, benaccolti, da Ascoli, i Clementi, alla preparazione del baccalà era addetta, al solito, zia Marietta. Lo cucinava in casseruola, secondo una semplice ricetta per la quale i vari ingredienti venivano messi tutti a crudo, incluso il baccalà che non veniva precedentemente infarinato e fritto come invece si usa in molte zone teramane, inclusa la Val Vibrata, in primis nella vicina S.Omero, dove il baccalà è poco meno che una religione. Non ricordo nei minimi particolari la ricetta di zia Marietta, ma poiché, per ormai annosa consuetudine,nella ricorrenza natalizia provvedo personalmente a questa cucina, credo di ripeterla abbastanza fedelmente. Preparazione Come diceva, e con tono favolosamente ispirato, l‟amico e compaesano Primo Febi, purtroppo scomparso recentemente - che nel cucinare Pietanze - 291 - il baccalà si considerava a buon diritto particolarmente versato -, si comincia disponendo sul fondo del tegame un “letto di cipolle” sul quale si adagiano i pezzi di baccalà dissalato, spellato e diliscato. Fra i “tocchi” del pesce si inseriscono in abbondanza pezzi di gambo di sedano (possibilmente quello dei nostri orti, molto più ricco di profumo e sapore, pur se meno appariscente di quello che si trova dal fruttivendolo), patate tagliate a fette abbastanza spesse, qualche listello di carota gialla, e pomodoro a pezzi a piacere, ma con misura, perché piace che il tegame, alla fine, mostri un colore appena rosato. Si distribuiscono sui pezzi un pugno di pinoli, un po‟ di uva passa precedentemente fatta rinvenire in acqua calda, e capperi dissalati. Si irrora il tutto di olio di oliva ed appena un poco di acqua. Ancora una “spolverata” in superficie di cipolla finemente tritata e quindi si passa il tegame in forno preriscaldato a 150° - 180° tenendo coperto ( anche con carta stagnola se non si dispone di un coperchio della forma del tegame), per una ventina di minuti. Si toglie un attimo dal forno per eliminare il coperchio e per aggiungere un po‟ di olive verdi denocciolate,pezzetti di acciughe, anch‟esse dissalate e diliscate, aggiustando infine di sale e pepe. Ancora una mezzoretta di forno ed il baccalà parrebbe pronto. Ed invece no ! Occorre che si raffreddi e che riposi, quanto più possibile, ancora meglio se la mattina per la sera, perché, come ammoniva zia Marietta, il baccalà, al pari di altri piatti, è più buono “stato”. Naturalmente prima di consumarlo, va riscaldato. - 292 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico In alternativa, o in aggiunta a quella appena illustrata, la cucina del baccalà può offrire una proposta di più semplice esecuzione e più “leggera”, ma non meno buona ed appetitosa: quella del BACCALÀ BOLLITO E SERVITO IN BIANCO con accompagnamento di olio, patate lesse, aglio e prezzemolo, e con possibilità di attingere ad una salsa verde alquanto aspra e leggermente piccante. Per la salsa, fatta secondo la seguente indicazione di un amico buongustaio che “ci teneva”, occorrono soltanto poco più di un quarto d‟ora di tempo ed i seguenti ingredienti : Per una tazza di salsa verde: sette acciughe dissalate e diliscate; capperi essiccati o dissalati gr. 50; peperoni sottaceto gr. 50; aglio uno spicchio; prezzemolo un bel ciuffo; un po‟ di peperoncino; il succo di un limone; un tuorlo d‟uovo lesso. In una casseruola si fanno scaldare circa 120 cc di olio di oliva. Alle prime bollicine si uniscono gli ingredienti precedentemente frullati e si va avanti mescolando, contando mentalmente fino a cinquanta: non deve soffriggere. Via dal fuoco, è pronta!67 67 La ricetta mi fu data, anni fa, da Giacomino Rosati (già citato), di San Benedetto del Tronto, al termine di una cena di pesce cucinato da lui in casa sua. Pietanze - 293 - Per il baccala: In una pentola capace a sufficienza mettere, a freddo, nell‟acqua, una bella cipolla; una carota tagliata a pezzi; un gambo di sedano; la buccia di un limone; un bel ciuffo di prezzemolo. Far bollire per non meno di una decina di minuti e il “court-bouillon” che deve essere decisamente saporito, sarà pronto ad accogliere il pesce. Si butteranno via le verdure/odori, si attenderà che riprenda a bollire e si aggiungerà il baccalà, già spellato e diliscato, lasciandolo a cuocere per circa un quarto d‟ora o venti minuti. Tolto dal fuoco dovrà essere tenuto un po‟ umido, sminuzzato un po‟, condito con un filo d‟olio, con prezzemolo fresco tritato al momento, uno spicchio d‟aglio tagliato a sottili fettine ed olive verdi denocciolate. Nell‟acqua di cottura del baccalà si lesseranno intanto le patate e, se piacciono, anche un paio di carote gialle, in proporzione alla quantità del pesce e, una volta cotte e spellate, si taglieranno a fette a guarnire il vassoio sul quale sarà stato sistemato il pesce. All‟atto della consumazione si potrà usare, a piacere, la salsa verde, oppure, se più gradita, della salsa maionese eventualmente “corretta” per palati esigenti. - 294 - LU PULLȄ Parte Quinta – Itinerario gastronomico „NGIP „NGIAP Anche questo è un piatto di provenienza della Marca ascolana, ed in famiglia si faceva spesso quando c‟era da cucinare un pollo. Però credo di aver sentito parlare del pollo “„ngip „ngiap” anche al di fuori del ristretto ambito familiare. Non ho mai saputo l‟origine del nome, benché la curiosità mi abbia spinto a chiedere, ma già a pronunciarlo pare accattivante. In realtà è solo uno spezzatino, però innegabili mi sembrano i vantaggi almeno per quel che riguarda la garanzia di insaporimento della carne - anche le parti solitamente meno gustose, come il petto - l‟omogeneità della cottura ed i tempi non troppo lunghi di preparazione. Ingredienti: Un pollo; un bicchiere di vino bianco;lardo e olio d‟oliva; rosmarino, salvia, aglio; peperoncino; 15/20 olive verdi Preparazione: Il pollo va tagliato a pezzi abbastanza piccoli e messo a cuocere in una casseruola con un battuto di lardo e un po‟ di olio d‟oliva. Si aspetta che sia un po‟ rosolato e, una volta che abbia preso colore, si irrora ( sfuma) con un bicchiere di vino bianco. Si aggiungono odori: un rametto di rosmarino, qualche foglia di salvia, cinque o sei spicchi d‟aglio vestiti e peperoncino a piacere. Si regola di sale e pepe. Alcuni aggiungono del pomodoro fresco a pezzetti per conservare la carne più morbida e le olive verdi denocciolate, se piacciono. Pietanze - 295 - TRIPPA ALL‟ANCARANESE Trovo la ricetta così “battezzata” in una antica agenda della casa farmaceutica Wassermann dell‟anno 1950 utilizzata dal cugino Ricciardo, come era sua abitudine, per la raccolta di ricette le più svariate, non solo di carattere strettamente culinario. Nelle pagine della rubrica telefonica, in fondo all‟agenda Ricciardo annotava, ovviamente in ordine alfabetico, il nome o il titolo della ricetta, indicando a fianco, col numero del giorno e del mese, la pagina dell‟agenda stessa nella quale la ricetta veniva descritta. Perché sia abbia un‟idea della dimensione della raccolta preciso che le pagine dell‟agenda Wassermann in questione ( regalo dell‟amica e medico curante Dott.ssa Anna Resnicova, con tanto di dedica datata 11 febbraio 1950), ingiallite dal tempo, sono interamente coperte da annotazioni scritte di pugno dal 1° gennaio al 19 agosto !! Dal 20 agosto in poi, molto più sporadicamente, proseguo io… La Trippa all‟ancaranese è alla pagina dell‟8 maggio e, a lato del titolo si può leggere, fra parentesi: Peppë dë Tabbacchì ( Giuseppe Ciavatta, macellaio in Ancarano) e nella riga seguente, al centro, sempre fra parentesi : zi‟ Marietta (Olivieri) dalla quale evidentemente Ricciardo l‟aveva appresa. La trascrivo, anche perché, ho provato a cucinare quel piatto rispettando fedelmente le istruzioni e l‟ho gradito un bel po‟. - 296 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Preparazione Trippa di manzo o, meglio, di vitellone, ovviamente ben lavata, lessata e fatta a pezzi, né grandi né piccoli. Soffritto con olio, lardo, molta cipolla e, se piace, poco aglio. Quando è al punto si aggiunge la trippa, il sale necessario, un po‟ di pepe, peperoncino, sedano e maggiorana. Si tira a cottura aggiungendo di tanto in tanto un bicchiere di vino bianco. Meglio però il nostro “conservato”. Memoria di Peppe: uno nella pentola, uno nello stomaco;…ne consumava un fiasco!! Arrivati a cottura si aggiungono patate fatte a tocchetti e, se piacciono, ma ci dicono, capperi seccati all‟ombra, senza sale e rinvenuti. Quando anche le patate son cotte si aggiungono pomodori o anche conserva di pomodoro stemperata in acqua. Degli uni o dell‟altra però non troppo: si deve ottenere un colore “rosatello”. Si completa la cottura per amalgamare i sapori e, prima di togliere dal fuoco, una buona dose di parmigiano o, meglio, pecorino. NB: L‟aggiunta del pomodoro o della conserva va fatta quando le patate sono già cotte, altrimenti, diceva Peppe, “lìtëca” e le patate restano incrudite. Durante la stagione estiva, quando, per fatto naturale, le verdure abbondano per quantità e tipi, è frequente trovare in tavola, a pranzo come a cena, una pietanza di semplice realizzazione, ma molto gustosa e ricca di profumi. Nei ricettari della cucina teramana è denominata Pietanze - 297 - “la tièlla”. Credo di averla sentita chiamare così anche in Ancarano, pure se in casa nostra è sempre stata citata come “la téggia”. La sostanza è fondamentalmente la stessa: un ricco insieme di verdure tagliate a pezzi, diversamente dosate, ma con criterio, perché occorre evitare che qualche profumo o sapore, particolarmente deciso, prevalga troppo mascherandone altri . LA TEGGIA Questi gli ingredienti ( con l‟avvertenza che le quantità sono solo un‟indicazione di massima per orientarsi nelle proporzioni ) : 2 o 3 patate; 2 o 3 cipolle ( personalmente trovo indicate le rosse di Tropea); 4 peperoni “cornetti”; un paio di zucchine; aglio, basilico, sale, pepe, olio. Preparazione: Le verdure tagliate a pezzi; le cipolle fatte a fette trasversali, come pure i pomodori, vengono disposte a strati in una teglia ( la “téggia” appunto) rotonda o rettangolare con qua e là qualche foglia di basilico. Sale e pepe per quanto occorre, ed olio in buona misura, ma senza esagerare. Può risultare opportuno aggiungere appena un poco di acqua qualora i pomodori apparissero poco acquosi. Si passa la teglia in forno medio per circa un‟ora e mezza, ma è bene restare vigili durante la cottura. - 298 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Nelle ricette del teramano mi risulta anche l‟impiego della melanzana e dell‟aglio, ma, come ho detto, è una questione di gusti e di sensibilità a ben bilanciare i sapori. Dolci - 299 - DOLCI CIAMBELLE CON IL MOSTO Una volta erano un dolce d‟autunno perché legate al periodo della raccolta dell‟uva ed alla disponibilità di mosto fresco. Oggi, volendo, sia perché si può trovare sempre l‟uva fresca, sia perché penso si possa conservare il mosto in congelatore, queste ciambelle si possono fare lungo l‟intero arco dell‟anno. Personalmente tuttavia, poiché non ho troppa simpatia per le forzature fuori stagione, preferisco pensare che vadano fatte e consumate nel loro naturale e abbastanza breve arco di tempo. Così fra l‟altro si evita che finiscano per “stufare”. Leggo da qualche parte che sarebbero una tradizione tipicamente romana e più precisamente della zona dei Castelli: la cosa è credibile pensando al vino di quei luoghi, ma non penso di sbagliare se dico che ad Ancarano si sono sempre fatte, sia in campagna che in paese, e rivedo ancora i testi di ferro con le ciambelle lievitate, portati ai forni per la cottura, e mi pare di sentire ancora il profumo di quando venivano poco dopo ritirati e rientravano nelle case. La ricetta, per le dosi e l‟esecuzione, dovrebbe essere la seguente. Preparazione: - 300 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Per 3 kg di farina, 3 uova, 600 grammi di olio di oliva, un litro di mosto, 600 grammi di zucchero, lievito di birra fresco 5/6 panetti,( oppure lievito naturale, se se ne dispone, in quantità congrua; occorre solo un tempo di lievitatura alquanto più lungo) un pugno di semi di anice. Si impastano tutti gli ingredienti insieme, sciogliendo il lievito in un po‟ di mosto. Si mette a lievitare aspettando circa due o tre ore perché il volume del‟impasto raddoppi. Si lavora ancora l‟impasto per aggiungere i semi di anice e si formano le ciambelle. Si fanno lievitare ancora fino a che raddoppiano di nuovo e si mettono al forno a 180/200 gradi per circa mezz‟ora o comunque finché non prendono colore al punto giusto. La foto che ho recuperato mi sembra renda bene l‟idea di come dovrebbe apparire il risultato finale. LA NOCIATA Dolce della tradizione umbra, lo preparava zia Emma (Olivieri ved. Rampini) per la Vigilia di Natale, forse perché aveva a disposizione le noci che aveva raccolto dalle due piante della “Casetta”: era un piccolo giardino/orto, all‟inizio di Via Pastine, dietro la chiesa della Madonna della Misericordia, che Nonno Simplicio Olivieri aveva donato ai suoi primi nipoti e dove ogni tanto, nella buona stagione, si andava Dolci - 301 - a passare qualche pomeriggio. La tradizione, ora, è stata raccolta da mia sorella Marialuisa. Questa, per grandi linee, la Preparazione: Si rompono grossolanamente i gherigli delle noci. Si raccoglie, lava ed asciuga un certo quantitativo di foglie di alloro. Si mette a cuocere del miele ( le proporzioni: circa 300 grammi di miele per 500 grammi di gherigli ). Si continua la cottura del miele a fuoco lento, girandolo con un mestolo, fino a quando brunisce un po‟ (color rame). Si uniscono quindi i gherigli sempre mescolando e quindi si toglie la pentola dal fuoco. Con un cucchiaio si versa il composto sulle foglie di alloro e si lascia raffreddare. Ho letto da qualche parte che si spruzza sopra del limone, ma forse è una variante soggettiva, come sovente capita in questi tipi di ricette. Insieme con la nociata era previsto anche IL CROCCANTE e, nel nostro gruppo familiare lo preparava Giannino Rampini, fratello maggiore di Ricciardo e Franco. Il procedimento è molto noto ed anche piuttosto semplice. Preparazione : - 302 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Preliminarmente vanno preparate le mandorle che vanno “spellate” dopo averle “scottate” in acqua bollente. Vanno quindi ben asciugate e passate in forno leggero per breve tempo per una opportuna disidratazione e pre-tostatura. Si procede quindi a sciogliere lo zucchero a caldo ( la proporzione rispetto alle mandorle di 1 : 1) aggiungendo nella casseruola - preferibilmente di ferro - appena un po‟ d‟acqua. Un amico, che si diletta personalmente dell‟operazione, riferisce che allo zucchero aggiunge un po‟ di fruttosio perché questo facilita la fusione, e quindi la lavorabilità, della massa zuccherina (c‟è anche chi aggiunge il succo di un mezzo limone). Questa deve diventare bionda, non caramellata, e vi si versano le mandorle tritate grossolanamente, lasciandole cuocere per pochi minuti. A cottura ultimata l‟insieme viene versato su di un piano protetto da carta-forno e viene spianato in strato sottile, circa mezzo centimetro. Prima che raffreddi troppo si taglia con un coltello in pezzi della forma preferita, a losanghe o rettangoli. LE CROSTATE Sono probabilmente, dalle nostre parti, il dolce più classico per il Natale, fra quelli tradizionalmente fatti in casa. La preparazione base è quella che prevede l‟uso della marmellata e soprattutto della marmellata d‟uva, variamente condita con aggiunta di cioccolato fondente,di mandorle tostate e tritate, limone, e persino liquore ( un odore di Dolci - 303 - rhum). Altra preparazione pure molto buona ed apprezzata è quella della crostata con un ripieno di ricotta, condita con scorza di arancio e limone, cannella in polvere, uova, zucchero ed anche uvetta. Ma il dibattito verte sulla pasta frolla: con o senza lievito. La “querelle” è infinita, ma, alle corte, se si preferisce restare legati alla cucina canonica, non c‟è spazio per il lievito e la pasta frolla va fatta senza, pur con qualche margine di scelta fra le diverse ricette che i testi della cucina d‟autore mettono a disposizione. Uniche regole sulle quali mi dicono che non sia possibile transigere: lavorare la pasta il meno possibile e darle lunghi tempi di riposo. LU FËZIJUÓLË E mo‟ si complica ….. ma solo perché mi è proprio ignota l‟etimologia del nome di questo dolce e non sono neppure sicuro che sia proprio così che vada scritto. Neppure so se la tradizione di questo dolce sia autoctona o di importazione. So tuttavia l‟essenziale: che è una vera leccornia. Si potrebbe pensare che il mio sia un giudizio viziato da sentimentale campanilismo. Possibile; però mi torna in mente quest‟episodio: anno di grazia 1967, festività natalizie. Ero in famiglia, benché militare, ma per Natale in licenza. Un collega, in quei giorni Tenente, col quale avevo molto legato, Pietro Toniarini D‟Orazi da Terni, mi prospettò l‟idea di venire ad Ancarano per una “gita fuori - 304 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico porta” con sua moglie, tempo permettendo. Pareva una battuta ed invece, con sorpresa, me li vidi arrivare e li presentai a tutto il parentado, riunito, come di consueto, in “casa Olivieri”, nella “ cameretta” sopra la Porta Nova. Avevamo pranzato da non molto. Esaurite presentazioni e formalità, fu proposto loro di accettare qualche dolcetto ed arrivò il vassoio con “lu fëzijuolë” già tagliato a fette sottili e del vino “bambëniéllë” di chissà quanti anni. La conversazione andò avanti,: …. come era andato il viaggio ( ricordo che nevicava)….. Era il caso che si trattenessero ….. ed altri convenevoli del caso. Dopo qualche tempo, fece la sua comparsa a tavola una bottiglia di cognac; qualcuno chiese a Pietro se ne avesse gradito un bicchierino ….. Ricordo che cortesemente rifiutando, tuttavia, inaspettatamente, se ne uscì: “ Magari un‟altra fettina di quel dolce di fichi e un po‟ di quel vino cotto!!” Sono passati quasi cinquanta anni, Pietro è oggi Generale in pensione; io, congedato e … congelato al grado di Tenente, rammento ancora l‟episodio, ma anche lui!!! Ed ancora oggi, rivangando comuni ricordi, ci facciamo una cordiale risata. Lu fëzijuolë aveva colpito e lu bambëniéllë pure. Nel teramano c‟è un “quasi uguale”: si chiamano “libretti”, per la loro forma sicuramente. Sono infatti a pianta rettangolare e la forma la prendono da quella del torchio nel quale vengono pressati. Ma andiamo alla ricetta, avuta insieme con altre da mia sorella Marialuisa che si è anche cimentata personalmente nella confezione di questo “dolcetto”. Dolci - 305 - Ingredienti per un Fezijuóle: Fichi bianchi della varietà “Dottato”: almeno un paio di chili; mandorle pelate (un pugno); cioccolato fondente; odore di cannella; odore di limone; Preparazione: Pelare i fichi e metterli al sole coperti da un tulle per farli asciugare bene (5/6 giorni se il tempo è buono, altrimenti anche una settimana, facendo attenzione che non prendano pioggia e umidità. Se le notti dovessero essere fredde è bene rientrare tutto). Una volta asciutti i fichi, si aprono e si allargano a metà mettendoli su una spianatoia uno affianco all‟altro, leggermente sovrapposti, fino a realizzare un rettangolo. Si schiaccia bene tutto per far aderire i fichi e si distribuiscono le mandorle ( private della buccia e tagliate possibilmente a metà), il cioccolato a scaglie, la cannella in polvere, la buccia del limone tagliata a striscioline sottili . Quando è tutto condito, si prende il lato più stretto del rettangolo e si inizia ad avvolgere su se stesso, comprimendo e stringendo per serrare il rotolo. Dovrà risultare ben compatto ed è quindi necessario stringere molto bene e chiudere le estremità. A questo punto si raccolgono foglie di pianta di fico, si puliscono bene e con queste si avvolge il rotolo ottenuto, legandolo leggermente con uno spago sottile. - 306 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Conservare in luogo fresco o in frigorifero avvolto da un panno per evitare che asciughi troppo. Si consuma preferibilmente nel periodo natalizio. LA PIZZA DOLCE DI PASQUA Mi risulta che come consuetudine sia meno diffusa rispetto alla Pizza di formaggio, ma presso alcune famiglie si conserva anche questa tradizione. Ho letto da qualche parte che sia una ricetta tipica del ternano e dunque di importazione, ma nei miei ricordi più lontani, quando i dolci commerciali, specie in paese, erano meno diffusi e reperibili di quanto non sia oggi, la ritrovo fra le cose che si preparavano ogni tanto anche in casa nostra. Che la ricetta fosse precisamente quella che riporto di seguito, non potrei giurarlo, però ho provato personalmente a realizzarla qualche anno fa (2009) e direi che, se non identica, fosse molto simile a quella che rammentavo. Questi gli ingredienti, le dosi ed il procedimento: Si prepara con un giorno di anticipo la pasta madre impastando circa 100 grammi di lievito naturale con 100 – 150 grammi di farina, procedendo circa così: Si versa la farina in una terrina e si unisce il lievito sciolto in poca acqua. Si mescola il tutto aggiungendo acqua tiepida quanta ne oc- Dolci - 307 - corre per ottenere un impasto morbido e consistente che potrà essere raccolto a forma di palla. Si incide la palla con due tagli a croce, si copre con un panno e si ripone in un luogo tiepido fino al giorno dopo. Il giorno successivo si prepara l‟impasto con : - la pasta madre lievitata; - 650 grammi di farina tipo 0 - 5 uova - 150 cc di latte - 80 grammi di olio - 80 grammi di burro - 250 grammi di zucchero vainigliato (o con l‟aggiunta di una bustina di vainillina) - 50 grammi di lievito di birra sciolti in poco latte tiepido Si incorpora nell‟impasto un bicchierino di liquore per pizze dolci, o altro liquore di cui si gradisca il profumo, ed una bustina di vanillina. Si incorpora anche un pugno abbondante di uvetta fatta rinvenire, un pugno di canditi e la buccia grattugiata di un limone ( c‟è chi utilizza anche la buccia di arancio) Si lavora fino ad avere un impasto liscio ed elastico, lo si depone entro una casseruola capiente a sufficienza ( ho usato la stessa della pizza di cacio) imburrata sul fondo e sulle pareti. - 308 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Si attende che lieviti ( dovrebbe diventare circa il triplo) e si inforna a 180 gradi per un‟ora e un quarto. Un altro dolce che ricordo come presenza fissa nel menù del pranzo di Pasqua era il CIAMBELLONE ALLE MANDORLE Chiudeva il pranzo, a volte insieme con la”Pizza dolce”, quando non erano ancora venute di moda le “colombe” commerciali, e, per non dover “murare a secco”, si accompagnava con un bicchiere di “bambëniellë”. Mia sorella Marialuisa, che lo prepara anche adesso e che mi ha anche fornito la ricetta, mi precisa che in casa Olivieri era tradizione che questo dolce si facesse, oltre che a Pasqua, anche per il giorno di San Giuseppe (19 marzo). Ingredienti: farina 00 kg 1, uova 8 intere, latte meno di un quarto di litro, zucchero gr 450, burro gr 200, mandorle gr 200 pelate e finemente tritate, lievito Angeli per un kg, scorza di limone. Preparazione: Montare le uova con lo zucchero a lungo, fino a che il composto risulti chiaro, incorporarlo al burro, precedentemente ammorbidito e la- Dolci - 309 - vorato. Proseguire con l‟aggiunta della farina, il latte, il lievito e la scorza di limone grattugiata. L‟impasto deve risultare molto morbido. Aggiungere la metà delle mandorle triturate, versare il tutto in un tegame di circa 40 cm di diametro già imburrato. Distribuire sulla superficie dell‟impasto il resto delle mandorle mescolate ad un cucchiaio abbondante di zucchero. Mettere in forno caldo a 170° per circa 45/60 minuti. - 310 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico VARIE LU LÈVËTË Quando ero bambino ed abitavo in corso Spalazzi, nel centro storico del paese, nell‟immediato dopoguerra, il pane non si vendeva nelle botteghe di generi alimentari del paese, né da Ianni, né da Ggittë, né da Lu Ciuoppë né da Loreto ( le botteghe di generi alimentari erano tutte in Corso Spalazzi) il pane veniva fatto presso ogni famiglia, cliente “abbonata”, per così dire, di uno dei due forni attivi in paese: quello di Celestrì Fioravanti ( o di Clarìce: sua moglie), vicino alla Porta Nova, oppure quello di Gnësina Romagni, vicino alla Porta da mare. E il pane si faceva, come d‟uso, con il lievito naturale che ogni famiglia conservava pronto per la bisogna. Oggi se si vuole il lievito naturale bisogna andare su internet e confrontarsi con una miriade di ricette, a volte apparentemente complicatissime. Il pane fatto in casa è sempre stato, da che mi ricordo, una mia passione, per una merenda con qualche fetta di lonza o con spalmato del lardo macinato condito con un po‟ d‟aglio e del prezzemolo sminuzzato. Per merende più ghiotte e raffinate il lardo macinato veniva sostituito dal lardo, raschiato con la lama di un coltello, dal prosciutto che pendeva nella dispensa ed era allora una più saporita e profumata leccornia. Poi arrivarono il progresso e la modernità e con essi pure il pa- Varie - 311 - ne bianco nelle botteghe alimentari. I forni di Clarice e di Gnësina chiusero i battenti, sostituiti da un forno più moderno e commerciale tutt‟ora esistente ed in piena e florida attività ( oggi Ditta Florindo Valeri ). Da adulto, specialmente dopo aver recuperato la quasi piena disponibilità del mio tempo, di tanto in tanto mi si risvegliava la fantasia di assaggiare ancora il sapore del pane fatto in casa e cercavo di “sgamare” la tecnica di come farlo da qualche buona amica vicina di casa, abbastanza matura ed esperta perché potessi fare sicuro affidamento sulle necessarie conoscenze in materia. Ogni volta tuttavia, parlandone, finivo per scontrarmi con il mistero del lievito ….”Ma come si fa questo lievito?”, chiedevo, e mi sentivo rispondere che si andava in prestito dalla ” chëmmare” e poi si conservava su di un piatto… e poi si faceva rinvenire …… Mai nessuno che mi spiegasse la procedura con partenza da zero! Alla fine, come sempre ormai, ultima preziosa risorsa: la rete. Le radici della scoperta del lievito pare risalgano all‟Egitto dei Faraoni, quando un‟ancella addetta alla preparazione del pane, forse perché presa da più urgenti impegni o da altre più “private” incombenze, dimenticò di aver ammassato il pane da mettere al forno e, quando se ne rammentò, non azzardandosi a buttar via le pagnotte già preparate, nonostante fosse trascorso più tempo di quello dovuto, le passò ugualmente nel forno affidandosi alla buona sorte. Ne risultò sorprendentemente, dopo la cottura, un pane più soffice e più saporito del so- - 312 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico lito e dunque più gradevole da mangiare: si era così scoperta, per puro caso, la lievitatura. Dopo i cenni storici, veri o frutto di fantasia, seguono di solito istruzioni dettagliatissime, spesso complicate ed a volte scoraggianti, per la produzione del lievito naturale, con dotte enunciazioni dei meccanismi fisici e chimici che hanno come risultato la formazione di un panetto di lievito. Dopo un‟ormai pluriennale esperienza ( da sette, otto anni in casa nostra si consuma quotidianamente pane prodotto da me) sono in grado di descrivere il procedimento seguito per fare lievito naturale e posso assicurare che è cosa molto meno complessa di quanto da alcuni si voglia far credere. Preparazione: Si inizia procurandosi una pera ben matura ( vanno bene anche altri frutti, ma riferisco, passo-passo, il procedimento seguito da me). Si tolgono buccia e semi e si frullano gli spicchi o si passano con uno schiacciapatate. Si mette la poltiglia che ne risulta in un bicchiere capace e si aggiunge un po‟ d‟acqua per avere un insieme un po‟ più liquido. Si copre il bicchiere con un tovagliolo o con dello scottex, (importante è che il contenuto respiri) e si aspetta che l‟intruglio inacidisca. Ci si accorge dell‟inacidimento dall‟odore, o perché si formano delle bollicine in superficie, altrimenti, nel dubbio, si assaggia: deve sapere di acido. Si filtra l‟intruglio con il tovagliolo ( è importante Varie - 313 - che sia assolutamente pulito) si raccoglie il liquido e con esso si ammassa un poco di farina, quella che il liquido “si tira”, fino ad ottenere una palla di impasto morbida, della consistenza, al tatto, di un lobo di orecchio,… più o meno. Se tutto è andato per filo, il più è fatto. Volendone la prova provata, si riempie d‟acqua un vaso di vetro alto circa un palmo e vi si immerge la palla di impasto appena formata. Essa andrà a fondo, ma se i lieviti si stanno moltiplicando, nel giro di 24-36 ore, o anche prima, la palla verrà a galla perché i lieviti l‟hanno riempita di anidride carbonica rendendola più leggera. Così i giochi sono compiuti. Resta ora da provvedere al cosiddetto “rinforzo” o “rinfresco” per far diventare il lievito più potente. Si riprende la palla di impasto e con una metà di essa ( l‟altra metà si può anche gettarla nella pattumiera) si fa una nuova palla aggiungendo acqua e farina fino a raddoppiarla. La si mette quindi in una ciotola di ceramica o anche di plastica per alimenti e si aspetta: nel giro di 6-8 ore ( dipende anche dalla temperatura) l‟impasto si gonfia fino a quasi raddoppiare il suo volume. Il lievito è pronto e ci si può fare il pane. Per la conservazione nel tempo è bene che non venga a contatto con il sale e può invece essere opportuno, di tanto in tanto, aggiungere al lievito messo a conservare nella ciotola, in occasione di nuovi “rinfreschi”, un cucchiaino di miele o di zucchero per dare nutrimento ed energia alle “bestiole”. Può capitare che, se inutilizzato per troppo tempo, vada a male. Ci se - 314 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico ne accorge perché cambia odore ed anche colore. Si butta tutto e si ricomincia da capo, ma niente paura: ogni volta è più semplice. Per la panificazione uso, di norma, farina 0 o 1, con aggiunta di farina di grano duro e di farina integrale. La cottura di una o due pagnotte richiede circa un‟ora in forno a circa 200 gradi. LA PIZZA DË CASCË Il lievito naturale non serve solo per il pane …. Nel periodo pasquale è d‟uso fare le “pizze dë cascë”, dette anche, in Ancarano, “spianate”, ancorché non mi sia chiara la ragione di questa denominazione, perché tutto sono meno che spianate …., ma tant‟è, ciò che conta è che vengano buone! Non è una preparazione difficile, anzi. E‟ molto importante però, si capisce, che siano di qualità gli ingredienti base, in primis il formaggio che deve essere pecorino, stagionato al punto giusto e saporito, senza indulgenze parmigia- nesche,. Ne riporto le dosi, sperimentate per fare una pizza formata e cotta entro una casseruola di alluminio a pianta circolare, del diametro di cm.24, alta cm. 13. Le ricavai da una antica ricetta di famiglia, dettata però dal Sig. Ennio Massimi, benemerito cittadino ancaranese al quale si attribuivano molte virtù, fra le quali anche di essere un appassionato e raffinato cuoco ( famose le sue tagliatelle e le olive ripiene Varie - 315 - all‟ascolana che con abbondanza era solito offrire agli amici in una ricorrente riunione conviviale, nel periodo delle feste natalizie. Mi sembra di ricordare che ci fosse una specie di tacita gara a chi di olive ne mangiava di più….Io, all‟epoca, ero ancora ragazzo e per partecipare direttamente …. ahimè, non avevo l‟età…). Preparazione: Per sette uova, procurarsi o preparare gr.600 di massa lievitata del pane; cr.180/200 di pecorino stagionato grattugiato; gr. 50 di lievito di birra fresco; gr. 80 di olio o strutto; circa un kg di farina di grano tenero, tipo 0. Va sciolto il lievito di birra in una tazza da tè di latte tiepido. Si dispone poco più della metà della farina sulla spianatoia e si includono le uova, il lievito di birra sciolto come detto, l‟olio o lo strutto, il pecorino grattugiato, la massa del pane, un pizzico di sale. Si impasta e si aggiunge tutta la farina residua che l‟impast0 “si tira” e si lavora fino a che l‟insieme non risulta ben amalgamato, abbastanza morbido, ma non appiccicoso . Si unge con burro o margarina l‟interno della casseruola e vi si adagia l‟impasto lavorato. Si copre e si mette a lievitare al caldo, ma non troppo, evitando l‟esposizione a correnti d‟aria. Si attende che la lievitazione si compia ( nella sperimentazione fatta la casseruola si è quasi interamente riempita); se piace si indora con un uovo sbattuto la superficie superiore della pizza e si mette al forno a 180 gradi. Cuocerà in meno di un‟ora. - 316 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico In Ancarano credo che la pizza di formaggio si faccia più o meno così presso tutte le famiglie. Così pure in Ascoli, ma ho letto che l‟origine della ricetta è umbra e da quelle parti pare che qualche marginale diversità ci sia. Per esempio aromatizzano, mettendo nell‟impasto del pepe nero macinato. Con gli stessi tipi di ingredienti con i quali si fa la pizza di formaggio - ma diversi, come subito si potrà vedere, sono i dosaggi, il tipo di lavorazione e l‟assenza di lievito – si prepara un‟altra vera prelibatezza tipicamente pasquale proveniente anch‟essa dall‟ascolano: LI CAGGIÙ In Ascoli si chiamano “pëcù”, italianizzando: “piconi”, altrove, ma sempre nel sud delle Marche, “cacioni”; in Ancarano, “li caggiù” e quella che segue è la ricetta: Ingredienti Per l‟impasto: 50 gr di pecorino di media stagionatura, grattugiabile, per ogni uovo; Per la sfoglia: per 20 uova di impasto occorrono 6 uova circa, 500 gr di farina 00, acqua nella quantità di due gusci d‟uovo, una noce di burro o strutto. Varie - 317 - Preparazione: L‟impasto si prepara la sera prima sbattendo le uova come per una frittata, facendo attenzione che albume e tuorlo siano bene amalgamati, senza però montarli. Aggiungere il formaggio grattugiato un po‟ alla volta fino ad ottenere un impasto abbastanza sodo tale da mantenere eretta la “cucchiaietta” utilizzata per la lavorazione; è tradizione tracciare una croce greca sull‟impasto e coprire con un telo bianco. Volendo anticipare il lavoro per il giorno successivo si può preparare anche l‟impasto per la sfoglia, si avvolge nella pellicola e si conserva in frigo. La mattina seguente si preparano sfoglie sottili, come per i ravioli in genere. Si pone una cucchiaiata di impasto sulla sfoglia, si copre con la parte restante, si pigia per chiudere il tutto e si tagliano in forma di “mezzaluna”con la rotella dentellata: Si posizionano sul testo precedentemente unto, distanziati di circa 2 cm., si indorano e successivamente si pizzicano con una forbice sulla parte convessa del raviolo creando un‟incisione sempre a forma di piccola croce; completato il primo testo si provvede subito ad infornare in forno normale elettrico a circa 170 gradi per circa 25/30 minuti. Sono un appetitoso antipasto da accompagnare con salame nostrano, per il giorno di Pasqua insieme alla pizza di formaggio, o per le merende del giorno di”Pasquetta”, lunedì dell‟Angelo. - 318 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico In paese era d‟uso, quando la benedizione delle abitazione veniva portata dal Parroco il sabato santo, porre queste preparazioni sul tavolo perche venissero benedette e nessun componente famiglia assaggiava alcunché,prima di tale devota consuetudine. OLIVE IN SALAMOIA ( all‟antica ) L‟oliva verde, possibilmente la tenera ascolana, si “cura” praticamente ovunque, anche in Ancarano, lasciandola immersa in una soluzione di acqua e soda caustica in proporzione di 21 grammi di soda per litro di acqua. Dopo alcune ore si verifica dove è arrivata l‟azione “curante” della soda all‟interno dei chicchi di oliva ( la polpa prende un aspetto “bagnato”) e quindi, oltrepassata di poco la metà dello spessore della polpa, si tolgono le olive dal bagno nella soluzione, si sciacquano e si mettono di nuovo a bagno, ma in acqua, cambiandola ripetutamente per qualche giorno fino a quando non rimane limpida ed incolore. Poi si fa la salamoia e si stiva l‟oliva “curata” in vasi di vetro per la conservazione e l‟ulteriore addolcimento, aggiungendo in abbondanza pezzi di gambo di finocchio selvatico. Sapevo tuttavia che un tempo l‟oliva veniva “curata” con procedimento ed ingredienti un po‟ diversi ed alla fine riuscii ad avere le istruzioni del caso. A fornirmele fu la Dott.ssa Giovanna De Amicis, della Varie - 319 - vicina Torano Nuovo, che ripescò la ricetta fra le carte di famiglia, trascritta da lei il 3 ottobre 1979 alle ore 17,32 ! ! Quando si dice la precisione!!! La copio ora a mia volta, e la ripropongo così come mi è stata data, precisando di averla provata in prima persona: Preparazione: Per kg. 4 di olive verdi: 3 piatti piani di cenere ed 1 di calce. Aggiungere un po‟ di acqua e fare un impasto abbastanza denso. Girare spesso. Dopo circa 3 ore controllare fino a dove l‟impasto è penetrato. Si può far arrivare fino al nocciolo se si consuma subito, altrimenti a metà. Dopo aver sciacquato le olive si lasciano stare tre giorni cambiando l‟acqua mattina e sera. Dopo tre giorni si fa la salata che consiste di: finocchi bastardi ( n.d.r.: non è un dispregiativo sessuofobo; sta per selvatici) gr. 70 di sale per chilo, acqua da regolarsi. Dopo 10 giorni si rifà la salata, però con gr. 50 al chilo di sale. Il risultato è ottimo: la “cura” più lenta, con l‟oliva che, alla fine, risulta più dolce e col nocciolo che non “pizzica” sulla punta della lingua. - 320 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico LA COTOGNATA Non saprei dire quanto sia diffusa in paese l‟abitudine di utilizzare le mele cotogne per questa preparazione: nella nostra famiglia è tradizione abbastanza datata, ma conosco anche altre persone che si tolgono lo “sfizio” ogni tanto di preparare questi gustosi “fruttini”, molto adatti ad essere conservati anche a lungo, per essere poi consumati o ad uso di bimbi, magari per una distrazione da qualche occasionale capriccio, ma anche di adulti in caso di tossi alte e “stizzose” da calmare con qualcosa di emolliente che non sia per forza un farmaco. Ingredienti: mele cotogne, zucchero. Preparazione: Lavare bene le mele cotogne e pulirle bene all‟interno soprattutto nella parte del torsolo, che è molto duro. Immergere subito i pezzi in acqua, leggermente acidulata da un po‟ di succo di limone, perché altrimenti tendono a scurirsi. Si mettono a cuocere in un tegame con acqua fino all‟orlo delle mele. Far cuocere bene fino a che le mele possano sfaldarsi. Si scolano e il liquido ottenuto può essere utilizzato per fare della gelatina. Le mele, ben scolate, vengono passate con il passatutto (a mano) e la polpa che se ne ricava viene pesata e poi messa sul fuoco a bagnomaria per farla asciugare. A parte, si prepara un tegame con lo zucchero (nella quantità della metà abbondante del peso della polpa: per 1 kg di polpa, 600 gr circa di zucchero) e acqua, che deve bagnarlo interamente. Si mette sul fuoco e si fa bollire fino al grado di cara- Varie - 321 - mello..A questo punto viene versato nella polpa ed amalgamato. Si aggiunge una spolverata di cannella e si cuoce, sempre a bagnomaria, per almeno 1 ora girando di tanto in tanto. Quando è pronto, si versa su una superficie liscia su carta da forno, si livella fino ad avere uno spessore di 2 cm circa e si fa asciugare. Ogni giorno, questa “lastra” verrà girata dall‟altro lato. Ci si può aiutare mettendo la cotognata nel forno riscaldato a 50° e spento, in modo che il calore acceleri l‟asciugatura. Questo procedimento dura fino a che la cotognata risulta dura e compatta, dopo di che si taglia a piccoli quadratini o si possono creare delle formine a piacere. Il liquido di cottura delle mele cotogne può‟ essere utilizzato per farne una gradevole gelatina da utilizzare per colazione. Si pone sul fuoco dopo averlo pesato con l‟aggiunta di zucchero pari alla metà abbondante del peso, si aromatizza con un pezzetto di cannella e di vainiglia avvolti in una garzina legata alle estremità come una caramella e si fa bollire fino a che prenda densità, quindi si versa nei vasetti di vetro come se si trattasse di una marmellata. La densità può essere controllata versando una piccola porzione del composto su un piattino attendendo che raffreddi: se si addensa la gelatina è pronta. - 322 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico VINI IL VINO E LIQUORI CONSERVATO E‟ probabile che le origini di questo “trattamento” del mosto siano legate ad esigenze di aver qualche garanzia in più di buona conservazione del vino anche in annate in cui la gradazione zuccherina dell‟uva raccolta era piuttosto scarsa. Si sostiene anche che le ragioni di fare il “conservato” risiedessero nella non disponibilità di un raccolto di uva selezionata, ma spesso di uve miste, bianche o nere, vitigni diversi. Quali che siano comunque i motivi, sta di fatto che quella di fare il “conservato” era abitudine molto diffusa. Per quel che ricordo anche in casa paterna Olivieri, a tavola, si beveva praticamente solo conservato, e un poco di rosso si faceva ad uso praticamente esclusivo di mio padre - che mi diceva di un‟antica piccola vigna di Bordeaux da lui impiantata….- e poi, più tardi, Montepulciano d‟Abruzzo. Ad ogni modo così si faceva il “conservato. Preparazione : Stabilita la quantità di vino da ottenere, si prendeva circa il 20% del mosto “destinato” e lo si faceva bollire nell‟apposito caldaio su “lu catënàrë” per lunghe ore, fino ad ottenere una riduzione a circa un Vini e liquori - 323 - quarto del volume iniziale (per ingannare l‟attesa ricordo che, fra l‟altro, si metteva sotto la la cenere rovente che si formava sotto il caldaio, qualche patata che aveva così tempo e modo di arrostire per un gustoso spuntino, di tanto in tanto). Il concentrato, che frattanto durante la bollitura aveva spesso preso un certo sentore di caramello, veniva quindi messo a raffreddare in tini di legno duro e, una volta freddo veniva aggiunto al mosto dal quale era stato prelevato, versato nella botte ed ancora in attesa di iniziare la fermentazione. Si lasciava quindi che la natura facesse il suo corso e si attendeva, con pazienza, fino, grosso modo, alla primavera, per assaggiare il risultato. Tutto questo qui da noi, di qua da Tronto, cioè “ a Regnë ”. Di là a Tronto la pratica è un po‟ diversa, ancorché finalizzata al medesimo scopo. L‟intero quantitativo di mosto da rendere “conservato” si fa bollire, fino a ridurne la quantità originaria pari a quella ottenuta col metodo precedentemente descritto. La differenza, apprezzabile al gusto, sta proprio nella mancanza del sentore di caramello …. LU VI‟ COTTË ( BAMBËNIELLË ) Destinato ad essere bevuto come accompagnamento a dolci come la crostata, o biscotti tagliati, o con “lu fëzijuolë”. Usato anche come - 324 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico “parafarmaco”, ad azione ricostituente, con contestuale ingestione di un uovo fresco, per un numero di giorni congruo rispetto al grado di debilitazione da combattere. Preparazione: Per fare il vino cotto si preleva dalla spremitura dell‟uva il quantitativo di mosto che si è stabilito di lavorare per il cotto e lo si mette a bollire nel solito caldaio fino a che non si ritira fino al 25% circa del volume iniziale. A questo concentrato, una volta raffreddato, si aggiunge mosto fresco nella quantità necessaria a ripristinare il volume originario. Si versa in botte di legno di qualità ed ivi si lascia a fermentare e quindi ad invecchiare per anni. Dopo qualche anno di invecchiamento matura i caratteri per aver diritto ad essere denominato “LU BAMBËNIELLË”. Nel contempo, per quel che “beve” la botte e per eventuali piccoli consumi, anche di prova, si provvede annualmente ai necessari rabbocchi. IL NOCINO DI RICCIÀ Riporto questa ricetta, tratta dalla famosa “agenda” di mio cugino Ricciardo che ho già avuto modo di menzionare, in segno di meritato riconoscimento al valore delle svariate preparazioni liquorose di cui mio cugino si dilettava ed anche perché, fra le diverse “versioni” di Vini e liquori - 325 - nocino che mi è capitato di assaggiare, sia di provenienza commerciale, sia di produzione “casereccia”, è quella che mi è parsa di gusto più gradevole. Preparazione: Le noci vanno raccolte nella seconda metà del mese di giugno ( il giorno di San Giovanni: 24/6 ) e tagliate in quattro pezzi, o anche di più. Per gr. 500 di noci: gr. 10 di cannella in stecche gr. 10 di noce moscata ( una di media grandezza) n. 15 chiodi di garofano n. 2 o 3 semi di cardamomo la buccia di un limone Si mette il tutto in infusione in cc. 500 di alcool “buongusto” diluito con cc. 250 di acqua in modo da avere una gradazione di circa 60°. Si lascia in infusione per 70 giorni agitando di tanto in tanto, quindi si filtra. Alla TINTURA così ottenuta va aggiunto lo SCIROPPO (acqua – zucchero) preparato con gr. 500 di zucchero e cc. 500 di acqua ed infine ALCOOL buongusto, nelle seguenti proporzioni: cc. 100 di tintura; cc 100 di sciroppo; cc. 50 di alcool 95 °. E‟ consigliabile lasciar stagionare il liquore per almeno qualche mese prima di consumarlo. - 326 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Ottima cosa se si riesce a costituire una scorta, rinviando il consumo all‟anno successivo rispetto a quello di produzione. VINO ALLA GENZIANA Di questa preparazione si occupa abitualmente l‟amico Ennio Camponi, che non ha avuto problemi a rilasciarmene la ricetta, oltre che a darmi un probante assaggio del prodotto. Del vino bianco che occorre, genuino e di qualità, egli dispone personalmente poiché ha di che farne raccolto. Ignoro da quale fonte gli venga la genziana, ma so comunque che non viene acquistata in erboristeria. Per le altre droghe, sono facilmente reperibili sul mercato alimentare. Gli ingredienti, le dosi ed il procedimento: in un litro di vino bianco si mettono in infusione 40 gr. di radice di genziana; 5 o 6 semi di centaurea , 10 o 12 semi di coriandolo; 2 chiodi di garofano, una mezza stecca di cannella. Si lascia macerare per 25/30 giorni. Si filtra e si aggiungono 50 grammi di zucchero e 50 cc di alcool 95°. La bevanda è assolutamente gradevole al palato e, considerati gli ingredienti, dovrebbe avere proprietà stomachiche e quindi essere adatta come aperitivo, come digestivo, o … ad libitum. Vini e liquori - 327 - Per chi desiderasse un “amaro” di maggior contenuto alcoolico, aromatico e straordinariamente ben “bilanciato” nell‟assemblaggio dei tipi e delle quantità degli ingredienti, soccorre la solita agenda di Ricciardo Rampini, che alla pagina del 24/1 propone questo “liquore amaro” denominato, per acronimo, “Arabassec 7” dove il 7 è riferito al numero delle erbe che vanno messe in infusione. ARABASSEC 7 Ingredienti e Preparazione: Assenzio gr. 30; Arancio amaro gr. 20; Cascarilla gr. 2; Centaurea gr. 10; China gr. 40; Genziana gr. 25; Rabarbaro gr. 20. Alcool 85° lt. 1 Lasciare in infusione per 15 giorni agitando frequentemente. Indi filtrare per ottenere la tintura. A cc.25 di tintura aggiungere cc. 300 di alcool 95°; gr. 300 di zucchero sciolti in cc. 500 di acqua. Se in luogo dello zucchero semolato si volesse usare del fruttosio la quantità va ridotta del 30%, dato il maggior potere dolcificante. ******* - 328 - Parte Quinta – Itinerario gastronomico Penso, a questo punto, di aver percorso interamente, o quasi, l‟itinerario che mi ero prefisso. Qualcosa ho lasciato per strada sicuramente: poiché l‟appetito è stato solleticato alquanto, mi viene in mente, ad esempio, la cucina del coniglio ( occorre ricordare che in Ancarano da molti anni, nel mese di agosto si organizza una sagra che dura circa una settimana, denominata proprio “Sagra del coniglio italiano”, molto frequentata ed evidentemente apprezzata), o dei fagioli con le cotiche e l‟osso del prosciutto, o delle lumache ed altre ancora, come pure avrei qualcosa da dire sui bucatini all‟amatriciana, sugli spaghetti alla carbonara, per i quali conservo un formidabile ricordo di un cuoco trasteverino dal quale ebbi la ricetta, ma credo che un ulteriore e più impegnativo “fuori pista” si allontanerebbe troppo e senza giustificabile motivo dall‟ambientazione ancaranese di questa appassionante e divertente, almeno per me, passeggiata. Ancarano, gennaio 2012 - 329 - Alla realizzazione di “Ancaraneide” hanno collaborato tanti compaesani - quando coinvolti od interpellatii, ma anche di propria spontanea iniziativa animati da genuino e caloroso interesse a contribuire a che della tradizione del nostro paese possa restare un piccolo segno in più. Fare l‟elenco delle persone esporrebbe al rischio di involontarie dimenticanze, dunque il ringraziamento va a tutti gli ancaranesi, a quelli che hanno già fornito il loro apporto ed a quelli che vorranno farlo per l‟avvenire, visto che, giova ricordarlo, Ancaraneide, come è nell‟intenzione degli autori, vuole essere “opus apertum” . °0° Ancaraneide, nella versione originaria, articolata sulle prime quattro parti risultanti dall‟indice generale, è stata edita a stampa nel dicembre 2011, in Ancarano, negli stabilimenti di Stampitalia S.r.l, alla quale vanno sentiti ringraziamenti per l‟apprezzata collaborazione. ___ o ___