Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada 6 Proposte On the Road è un’associazione di volontariato che opera da circa un decennio, nelle regioni Marche ed Abruzzo, in azioni ed interventi diversificati (lavoro di strada, accoglienza, percorsi di inserimento sociale) nell’ambito della prostituzione di strada. Aderisce al Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e si raccorda con le realtà operanti in tale settore di intervento a livello nazionale ed europeo. ON THE ROAD ON THE ROAD l “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello fenomenico, con modalità ambivalenti: per molto tempo terra di nessuno (la paura di parlarne, l’oscenità del fenomeno), recentemente terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione “mostrata” dai mass- media). Il presente lavoro cerca di sottrarsi a tale inutile e dannosa diatriba. Il fatto è che la prostituzione di strada è sempre più visibile, ma “invisibili” rimangono le vite delle donne (soprattutto immigrate) che ci sono dentro. Il tentativo è quello di offrire alcune buone pratiche di lavoro sociale in cui presentare gli scenari, le politiche e gli interventi nel campo della prostituzione, in cui fare ipotesi su nuovi modelli operativi attorno al fenomeno, in cui ritrovare le utopie di possibili percorsi di progettazione sociale. CNCA I C N C A Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada Comunità Edizioni 1 Comunità Edizioni C.N.C.A. Via Vallescura, 47 63010 Capodarco di Fermo (AP) Tel. 0734/672504 - 671969 Fax 0734/675539 È consentita la riproduzione anche parziale in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo purché venga citata la fonte. In copertina: Kees van Dongen, Ritratto di Fernanda, 1905, (particolare). Finito di stampare nel mese di gennaio 1998 dalla coop. Litografica COM di Capodarco di Fermo (AP) 2 ON THE ROAD Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada A cura dell’Associazione On the Road Redazione di Marco Bufo e Annalia Savini Coordinamento di Vincenzo Castelli Comunità Edizioni 3 4 Indice Presentazione - Roberto Gobbato Introduzione - Vincenzo Castelli 1. 2. 3. 4. 5. PARTE I SCENARI, POLITICHE, INTERVENTI Aspetti del fenomeno della prostituzione straniera. Un quadro di riferimento Francesco Carchedi Le politiche italiane 2a. La legislazione in Italia Franco Prina 2b. Le politiche sociali a livello nazionale e locale. Genesi, risultati e problemi Roberta Tatafiore I sistemi applicabili alla prostituzione e le politiche prostituzionali in Europa Licia Brussa Gli interventi Vincenzo Castelli Gli attori 5a. Il target Carla Corso 5b. Le istituzioni pubbliche Vincenzo Castelli 5c. Il privato sociale Maria Teresa Tavassi PARTE II METODOLOGIA E STRUMENTI 1. Progettazione Vincenzo Castelli 2. Progettualità e fonti di finanziamento Vincenzo Castelli 5 pag. ” 7 9 ” 19 ” 37 ” 59 ” 81 ” 113 ” 135 ” 141 ” 155 ” 167 ” 189 3. La valutazione di progetti sulla prostituzione Pina De Angelis e Liliana Leone pag. 211 4. Strumenti di ricerca sociale sul fenomeno prostituzione Stefano Ricci ” 229 5. Strumenti giuridico legislativi Cristina Perozzi ” 257 6. Un profilo professionale: l’Operatrice Sociale di Base nell’ambito della Prostituzione Vincenzo Castelli e Marco Bufo ” 291 7. Il lavoro di strada Antonio D’Alessandro ” 305 8. Figure professionali nel lavoro di strada Pia Covre ” 337 9. Percorsi di uscita ed accompagnamento verso l’autonomia Stefania Scodanibbio e Maria Rosario Bolanos (Suor Charo) ” 347 10. Figure professionali nell’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia Stefania Scodanibbio ” 367 11. Il lavoro di rete. L’esperienza dell’Emilia Romagna Lorenza Maluccelli ” 379 12. Localizzazione degli interventi Vincenzo Castelli ” 397 13. Strumenti di riferimento Vincenzo Castelli ” 419 Postfazione - Roberto Merlo APPENDICE 1. Il C.N.C.A. Vincenzo Castelli 2. L’Associazione On the Road Vincenzo Castelli 3. Il Progetto “Ionique - Occupazione: femminile plurale” Marco Bufo 6 ” 431 pag. 455 ” 459 ” 463 Presentazione di Roberto Gobbato* C i sono spazi, ambiti, terre che appartengono a tutti, su cui tutti camminano... Ci sono spazi, ambiti, terre di nessuno, su cui nessuno si misura... Ci sono spazi, ambiti, terre di mezzo, che stanno a metà del guado, in una sorta di mezzadria indefinibile... Il “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello spazio-temporale, con modalità ambivalenti: per molto tempo terra di nessuno (la paura di parlarne, l’oscenità del fenomeno), recentemente terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione “mostrata” dai mass-media). Vorremmo rivisitare, con questo lavoro, i luoghi delle “terre di mezzo” in cui il fenomeno della prostituzione può trarre nuova luce... Si tratta di colmare le distanze tra il dire ed il fare (sulla prostituzione), tra la scena e l’osceno (della prostituzione), tra il sacro ed il perverso (del fenomeno), tra samaritani e “temerari” (operatori del settore)... Terre di mezzo appunto, perché le politiche sulla prostituzione sono ancora provvisorie, in cui le rappresentazioni sociali sul fenomeno sono ancora parziali, in cui gli interventi sono frammentati... Terre di mezzo, da cominciare a percorrere, sulla strada e tra le strade. 7 E’ per questo che proponiamo questo manuale, più che una bussola una mappa. Una mappa in cui raccontare la memoria delle esperienze prodotte (gli interventi sociali nel campo della prostituzione), in cui fare ipotesi su nuove costruzioni sociali (attorno al fenomeno), in cui ritrovare le utopie di possibili percorsi di progettazione sociale. *Roberto Gobbato è presidente dell’Associazione On the Road. Laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in neurologia, pronto soccorso e terapia d’urgenza; numerose esperienze lavorative e di volontariato nel campo delle tossicodipendenze e dell’handicap psicofisico. Attualmente lavora all’Ospedale Civile di San Benedetto del Tronto presso la divisione di Neurologia. 8 Introduzione di Vincenzo Castelli* M isurarsi, attraverso la pubblicazione di un testo, nell’analisi di un fenomeno come quello della prostituzione in Italia è certamente complesso in quanto oggi il “pianeta” della prostituzione si presenta come un processo in divenire con una velocizzazione vorticosa dei fenomeni, dei flussi, dei target, dei dibattiti, degli interventi ed anche, delle ideologie. Tale multifattorialità rende pertanto difficile affrontare, in maniera significativa e sensata, tale fenomeno, senza rischiare di elencare banalità, offrire frammenti e segmenti insufficienti per affrontare il tema in forma propositiva. A tali difficoltà si aggiungono: - le spettacolarizzazioni del mondo della prostituzione (con le sue violenze, trasgressioni, paradossalità, intrighi, piccanti sensazioni) da parte dei mass-media che fanno del fenomeno “prostituzione” un oggetto comunicativo di scambio fortissimo; - le campagne di moralizzazione pubblica e di “ritrovato” senso del pudore da parte del cittadino medio tra etica pubblica e trasgressione privata; - il dibattito ancora aspro tra contrapposte idee (quando non ideologie) tra proibizionismo e liberalizzazione, tra criminalizzazione della prostituta e tutela dei suoi diritti, tra ripristino delle case chiuse e attivazione della “zonizzazione” del fenomeno; 9 - la diversificazione strutturale dello stesso target: si va dalla prostituta che esercita liberamente senza costrizione a quella “trafficata”, sfruttata e schiavizzata, dalla prostituta di strada a quella protetta (negli hotels, negli appartamenti), a quella mascherata (ballerine, massaggiatrici...), dalla prostituzione minorile a quella adulta, da quella italiana a quella extracomunitaria. Tutte queste diversificazioni complicano ulteriormente l’approccio e “falsificano” interventi massificati e generalizzati. Anche il dibattito e la riflessione politica in Italia ed in Europa sul fenomeno sono molto ambivalenti e disomogenei. Sono infatti molte le “invarianze” che fanno diversificare le prese di posizione: - pubblico/privato - sanitario/sociale - laico/cattolico - destra/sinistra - visibilità (sulla strada)/insivibilità (al chiuso) - diritto all’esercizio/azione immorale - libera iniziativa/tratta e coercizione - liceità/illegalità Queste divaricazioni incidono certamente anche sul disegno delle politiche attorno al fenomeno della prostituzione. In particolare possiamo individuare alcune linee di tendenza: 1. Il rapido mutamento del fenomeno della prostituzione ha veicolato il mondo della prostituzione dentro i meandri della criminalità organizzata, locale ed internazionale, determinando la modificazione strutturale del rapporto tra prostituzione e comunità locale (gravi problemi 10 di insicurezza e manifestazioni di intolleranza da parte dei cittadini). 2. La massiccia presenza di prostitute extracomunitarie ha, di fatto, inserito le stesse dentro il dibattito sull’immigrazione extracomunitaria, sulla clandestinità, sulla regolamentazione del flusso migratorio. 3. Il traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, il problema della tratta e della riduzione in schiavitù di molte prostitute (qui potremmo usare il termine “prostituite”) fa cogliere sotto una luce totalmente diversa il fenomeno stesso, determinando riflessioni politiche di notevole rilievo (Cfr. La Conferenza di Vienna del 1996 sulla “Tratta delle donne”, il documento della Commissione delle Comunità Europee “Sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale” del 20.11.1996). Tale situazione ha moltiplicato, all’interno del privato sociale ed in particolare dentro il volontariato “cattolico”, dibattiti e progetti di accoglienza e di presa in carico di prostitute sfruttate e “trafficate”. 4. Il legame presente tra prostituzione e malattia (HIV e Malattie a Trasmissione Sessuale) ha riportato il dibattito dentro il pianeta sanitario attivando progetti di prevenzione sanitaria (attraverso l’avvio di unità di strada, in particolare la parte degli Enti Locali e da parte dei Comitati di prostitute), con l’ottica della riduzione del danno. Di fronte alla vasta panoramica degli attori (associazioni di volontariato, privato sociale, cooperative sociali, istituzioni pubbliche, istituzioni private, enti religiosi...), che lavorano, in forme diverse nell’ambito di alcuni settori del disagio sociale (Cfr. handicap - tossicodipen11 denza - minori...) ci assale una forma di sconforto pensando a quanti pochi siano gli attori che operano nel campo della prostituzione. A questo proposito però dobbiamo far notare: - che si tratta di un fenomeno impenetrabile fino a pochi anni fa e che negli ultimi tempi, per alcune “invarianze” sopra riportate (il fenomeno della tratta - il fenomeno dell’HIV e delle MTS il fenomeno della sicurezza - il fenomeno della criminalità...), è diventato, in parte, affrontabile; - che si tratta di un fenomeno definito “ambiguo” ed immorale da parte di molti attori, in particolare di matrice cattolica, per i quali è pertanto difficile rapportarvisi. - che si tratta di un fenomeno diverso (per approccio, per coinvolgimento personale, per tipologia di azione) rispetto agli altri classici in cui si esplicano la cura e la riabilitazione. - che si tratta di un fenomeno con poche sperimentazioni di intervento. In questa prospettiva dobbiamo dire che sono iniziati alcuni percorsi di intervento attivati dalle regioni (Cfr. il Progetto della Regione Emilia-Romagna), dalle città (Cfr. il progetto di alcune città come Venezia, Bologna, Modena...), dai movimenti di base (Cfr. la rete “Europap”, coordinato in Italia dalla Lega Italiana Lotta all’Aids e dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, e la rete “Tampep”, coordinata in Italia dallo stesso Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute), dal privato sociale (Cfr. gli interventi attivati, ad esempio, dalla Caritas Italiana). Si stanno altresì costruendo nuove progettualità ed avviando itinerari formativi per creare 12 capacità e competenze in grado di gestire interventi diversificati nell’ambito della prostituzione. L’idea della presente pubblicazione nasce appunto a partire dalla necessità di cominciare ad offrire alcuni strumenti di lavoro per chi si vuole misurare con il mondo complesso e complicato della prostituzione. In particolare si vuole offrire un prodotto, concepito come un manuale, in grado di permettere, a chi vuole operare nel campo, di entrare dentro il “pianeta prostituzione” cogliendone, gli scenari e le possibili modalità di intervento. Nella prima parte viene proposto il panorama delle politiche e degli interventi sulla prostituzione, (in particolare analizzando quale sia oggi il fenomeno in Italia, le politiche e la legislazione in Italia ed in Europa, le azioni tipologiche degli interventi realizzati e proponibili, gli attori in campo infine, a partire dalla prostituta per arrivare alle risposte messe in atto dai servizi pubblici e dal privato sociale). La seconda parte del manuale diventa eminentemente pratica, proponendo alcuni strumenti di lavoro necessari per azioni nel campo della prostituzione: la progettazione, le fonti di finanziamento, la valutazione degli interventi, la ricerca sociale sul campo, gli strumenti giuridico-legislativi, i nuovi profili professionali nell’ambito della prostituzione, i modelli del lavoro di strada, della presa in carico e dell’accompagnamento verso l’autonomia, la localizzazione degli interventi in corso ed, infine, alcuni strumenti e risorse di riferimento come libri, riviste e siti internet. In appendice infine saranno presentati i soggetti ispiratori di tale lavoro: il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza 13 (C.N.C.A.) ed, in particolare, l’Associazione di volontariato “On the Road” che, all’interno della Federazione C.N.C.A., a cui aderisce, ha gestito il Progetto di Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW, denominato “Ionique - Occupazione: Femminile plurale”, grazie al quale è stata possibile la realizzazione, oltre che delle fondamentali e centrali azioni formative per fasce femminili svantaggiate, del presente volume. Questo manuale, pur occupandosi del “pianeta prostituzione”, si pone in un ambito circoscritto di analisi e proposta di intervento, incentrandosi : - sul fenomeno della prostituzione di strada - sul fenomeno emergente della prostituzione extracomunitaria - sul fenomeno della prostituzione femminile. Una ultima annotazione di tipo strutturale. Il presente volume si presenta come un’opera collettiva. È il frutto della riflessione di chi opera sul campo, di chi da qualche, o molto tempo prova a riflettere sul fenomeno, di chi ha fortemente a cuore il problema. Certamente non è un’opera sinfonica (dove tutti suonano la stessa musica) ma polifonica. Ognuno degli autori ovviamente parte dal proprio sistema-lettore per affrontare il tema assegnatogli. Tutto ciò non è, riteniamo, negativo. Anzi il valore di tale opzione può essere colto proprio nella differenza degli orientamenti. Del resto, lo abbiamo affermato in tutto il testo, il lavoro sul “pianeta prostituzione” non è omogeneo o lineare, è senza dubbio particolare, sfruttato, discontinuo... Fa molto piacere, a chi ha coordinato tale 14 opera, che le differenze tra gli autori non abbiano impedito la pubblicazione di un testo comune. Ciò può significare voglia di confronto, di reciprocità, voglia di... rete. Ciò detto cercheremo allora di procedere coscienti che ciò che diremo oggi nell’arco di pochi mesi potrà essere ampiamente superato, e strutturalmente modificato. * Vincenzo Castelli è coordinatore Progetto Nazionale NOW C.N.C.A.; volontario dell’Associazione On the Road; Pedagogista; Consulente del C.N.C.A. per progetti sociali e del Comune di Bologna per il Progetto “Bologna Sicura”. 15 16 PARTE I SCENARI, POLITICHE, INTERVENTI 17 18 Aspetti del fenomeno della prostituzione straniera. Un quadro di riferimento Francesco Carchedi* Premessa L a “Legge Merlin” (del febbraio 1958) depenalizzando il reato di esercizio della prostituzione in ambito privato, ha fortemente influenzato il percorso evolutivo del fenomeno “prostituzione”. Difatti nel corso degli anni ‘60 e ‘70 l’esercizio della prostituzione - praticata in particolare dalle donne italiane - ha subito una lenta ma irreversibile trasformazione: dall’esercizio nelle “case chiuse” all’esercizio di strada e dalla strada alle abitazioni private. Sulla strada sono comparse negli anni ‘80 altre tipologie di donne, in particolare tossicodipendenti italiane e - sul finire del decennio - le ragazze di origine straniera. In definitiva possiamo affermare che le prime (le tossicodipendenti) appaiono in fase di decrescimento numerico, mentre le seconde (le ragazze di origine straniera) in fase di forte accrescimento. Da quanto pertanto detto l’analisi del fenomeno della prostituzione in Italia oggi va fatta, in maniera precipua, cercando di entrare dentro il pianeta della prostituzione di donne extracomunitarie. Quest’ultimo fenomeno va collocato nella nuova configurazione della società italiana, cioè al passaggio da paese di emigrazione a paese di 19 immigrazione. Passaggio avvenuto nel corso degli anni ‘70, in concomitanza con le politiche di stop emanate dai principali paesi nordeuropei di vecchia immigrazione, nel biennio 72-73 e degli effetti delle trasformazioni sociali avvenute dopo il “boom economico” del decennio precedente. Le strategie di stop sono state, e continuano ad essere, espressioni di politiche di frontiera, finalizzate ad arrestare, o quantomeno a filtrare, i flussi migratori d’ingresso sulla base di precise clausole di sbarramento. Tali politiche - tra le altre cose - hanno fatto dirottare una parte delle componenti migratorie, già propense all’espatrio, in direzione di altri paesi dove non vigevano queste normative, cioè i paesi europei del bacino Sud del Mediterraneo: Italia (in primo luogo, sin dalla prima metà degli anni Settanta), Spagna e Portogallo (dalla seconda metà degli anni Ottanta) e la Grecia (dalla fine dello scorso decennio). Questi paesi - cosiddetti di nuova immigrazione - si allineano alle politiche di stop emanate venti anni addietro dai paesi nordeuropei. Lo sbarramento alla libera circolazione (ad esempio anche tra i Paesi con rapporti ex coloniali), l’interruzione dei trattati sulla mano d’opera (in generale tra i paesi del Nord Europa e quelli del Sud, comprendenti anche paesi extracomunitari) hanno costretto di fatto componenti propense all’emigrazione a percorrere strade d’ingresso illegali, spesso all’interno di percorsi battuti da organizzazioni delinquenziali. In pratica la domanda migrante per motivi di lavoro - in mancanza di norme regolative degli ingressi - è stata intercettata da queste organizza20 zioni, innescando, con tale rapporto, un circolo vizioso tra propensione migratoria, emigrazione illegale e insediamento precario e incerto (a volte anche degradato) nei paesi di destinazione. All’interno di questo meccanismo si colloca anche la prostituzione straniera (e la tratta delle donne), sia quella cosciente ed esercitata per libera scelta (o quantomeno da una scelta governabile dalle interessate) che quella costrittiva, ovvero in contrasto con la volontà delle interessate. Le diverse fasi d’ingresso La presenza delle ragazze che esercitano la prostituzione acquista visibilità sociale in Italia nei primi anni Novanta e prosegue, in fasi diverse, negli anni successivi. Si tratta nella sostanza di fasi che possiamo far corrispondere a piccole ondate di flussi caratterizzate dalla diversa nazionalità di origine e arrivate a ridosso delle componenti migratorie più ampie entrate regolarmente o irregolarmente - sul territorio nazionale nell’ultimo decennio. La prima ondata è individuabile nel biennio 1989/90: sia perché sono gli anni di maggiore migrazione dall’Est verso l’Ovest (quale effetto della caduta del Muro di Berlino e della conseguente liberazione delle frontiere), sia perché inizia la guerra tra i paesi dell’ex Jugoslavia con la conseguente formazione di flussi di sfollati, profughi e richiedenti asilo, sia perché in Italia viene varata la principale legge di regolamentazione delle presenze immigrate che - come è sufficientemente noto - produsse un significativo effetto attrattivo (legge n. 39/90, meglio nota come “Legge Martelli”). 21 Questa prima ondata si caratterizza per la sua magmaticità, nel senso che rimane difficile definire in maniera specifica i collettivi nazionali nelle quali operano gruppi che praticano (spontaneamente o in maniera coercitiva) la prostituzione. In questo periodo emergono le ragazze “polacche”, anche se il termine indicava generalmente le donne dei paesi dell’Europa dell’Est. Infatti anche le donne ungheresi erano definite “polacche”, nonostante la loro presenza fosse datata già qualche anno prima, come del resto quella delle donne e dei transessuali brasiliani. La seconda ondata - più definita dal punto di vista delle nazionalità - è quella delle ragazze nigeriane e, in misura minore, da quelle peruviane e colombiane, individuabile nel biennio 1991/92. Queste entrano abbastanza regolarmente con il visto turistico e, una volta scaduto, restano in Italia, soggiornando in maniera irregolare. È probabile che questo secondo contingente abbia al proprio interno dei segmenti di donne trafficate, cioè raggirate con dolo e costrette alla prostituzione (specialmente tra le nigeriane). La terza ondata - anch’essa più definita dal punto di vista della nazionalità principale - è quella delle ragazze albanesi, individuabile nel biennio 1993/94. Queste donne - che entrano in maniera prevalentemente clandestina - provengono in maggioranza dalle grandi città albanesi e molto spesso sono arrivate insieme a parenti maschi o fidanzati. Anche in questi casi il raggiro iniziale (specialmente da parte di amici senza scrupoli) ha svolto una funzione determinate nella spinta alla prostituzione. Oggi sappiamo che i proventi della prostituzione andavano investiti nelle “piramidi finanziarie” coperte in parte dal Governo dell’ex Presidente Berisha, 22 che a sua volta alimentava altri traffici illegali. La quarta ondata - individuabile negli ultimi due anni, cioè a partire dagli inizi del 1995 - si caratterizza anche per l’arrivo di donne, comprese sia le nigeriane che le albanesi, coscienti del fatto che, una volta arrivate in Italia, avrebbero dovuto prostituirsi per risarcire il debito contratto al momento della partenza. Quello che non sapevano erano le condizioni di sfruttamento aggressivo e violento delle quali sarebbero state oggetto e che non permettono di sciogliere l’accordo. Questo di conseguenza determina il protrarsi della durata del rapporto di subordinazione che le lega ai rispettivi protettori e ne determina le forme di sfruttamento. In questa fase si riscontra anche un cambiamento delle aree di provenienza delle ragazze. Sembrano infatti provenire non solo dai grandi centri urbani (come nelle ondate precedenti) ma anche dai piccoli villaggi rurali dell’interno. Fatto che fa pensare ad un riadeguamento delle strategie di reclutamento da parte dei trafficanti, in quanto nelle città probabilmente il gioco comincia a essere scoperto e pertanto può diventare troppo rischioso per i loro affari transnazionali. Quante sono e dove sono I dati ufficiali La “Legge Merlin” (n. 75/58) ha depenalizzato il reato connesso all’esercizio della prostituzione, nel caso cioè che questa sia praticata privatamente, e aggravato, al contrario, tutte le attività illecite che possono prodursi intorno ad essa. Per tali ragioni, caratterizzate tra l’altro da 23 un profondo senso di civiltà, rimane pressoché impossibile definire statisticamente il fenomeno, anche alla luce delle trasformazioni che lo hanno caratterizzato negli ultimi anni. Le statistiche giudiziarie rilevano soltanto i reati di “istigazione, sfruttamento e favoreggiamento”, cioè quei reati che si consumano collateralmente alla prostituzione ma che non sono imputabili agli attori che esercitano la prostituzione medesima. Da questo punto di vista le persone che sono state denunciate (in maggioranza maschi) per i reati sopracitati, passano dalle 327 unità del 1990 alle 967 del 1995, cioè si riscontra nel corso del quinquennio una triplicazione delle denunce. I motivi di tale espansione possono essere diversi cioè: - una maggiore sicurezza e ricerca di autonomia e indipendenza di quante esercitano la professione rispetto alle persone che ne beneficiano sfruttandole; - un maggior controllo territoriale da parte delle forze dell’ordine con la presenza di agentidonne che facilitano la comunicazione con le “vittime” e pertanto l’emersione delle pratiche di sfruttamento; - la presenza di organizzazioni non profit che intervengono nel settore e diffondono la speranza tra le ragazze di poter fuoriuscire dal circuito della prostituzione; - l’allargamento del fenomeno e pertanto il conseguente allargamento delle denunce, come mero fatto statistico. Sono tutte ipotesi plausibili, ma nessuna da sola soddisfa completamente l’estensione quantitativa delle denunce, anche se nell’insieme possono offrire un ventaglio di possibili variabili esplicative. 24 Nel ‘94 le persone denunciate - suddivisibili per regione e per nazionalità di provenienza sono state 737, con punte maggiori in Lombardia (134), nel Lazio (107) e in Piemonte (71). Sul totale complessivo 258 cittadini (pari a circa un terzo) risultano essere di nazionalità straniera in particolare albanesi (70), ex jugoslavi (65) e nigeriani (12). Ovviamente - come gran parte delle rilevazioni statistiche di natura giudiziaria - si riscontrano soltanto i reati che vengono denunciati o che la polizia coglie in flagrante e pertanto attiva la cosiddetta “azione dovuta” (denuncia e arresto). Per questo i dati e le informazioni ufficiali offrono un quadro di riferimento sottodimensionato rispetto alla realtà delle violenze e delle pratiche di sfruttamento sommerse che ruotano intorno alle donne (o anche uomini) che si prostituiscono. Le stime per le prostitute straniere Se per un verso i dati ufficiali per loro natura conducono a sottodimensionare il fenomeno, dall’altro le procedure di stima dell’intero universo iniziano a produrre i primissimi risultati sulle componenti immigrate. Occorre tra l’altro precisare che l’esercizio della prostituzione in ambienti privati, come accennato, non rientra nei reati perseguibili. Infatti ipotizzando che a ciascun reato denunciato possa rispondere una persona che si prostituisce, abbiamo un totale corrispondente al numero delle denunce (cioè circa 3.000 persone negli anni 90-94, salvo restando che si tratti di persone che non compaiono nel conteggio più volte: sia nello stesso anno che negli anni successivi). 25 Per le straniere, al contrario, entrano in gioco altri fattori correlabili a quello che possiamo definire l’effetto-cittadinanza: ovvero la mancanza - o la riduzione - della piena agibilità sociale, nonché la presenza di ostacoli e forme di resistenza di varia natura che intralciano o ritardano i possibili processi di inserimento. Ad esempio: il permesso di soggiorno, la residenza anagrafica, le reti di protezione sociale, l’accesso ai servizi, la conoscenza delle risorse e delle dinamiche sociali, la scissione del tempo di esercizio della prostituzione e il tempo di mimetizzazione sociale o dell’essere nella società. Non secondaria - come fattore di difficoltà di stima - è la forte mobilità che caratterizza le ragazze che esercitano la prostituzione. Infatti, a fianco di collettivi che rimangono ancorati alla loro “residenza” abituale, si riscontrano collettivi che si spostano da un’area territoriale all’altra sulla base delle opportunità lavorative previste. Nonostante le difficoltà citate le stime sino ad ora prodotte sono sintetizzate nella Tab. 1 che evidenzia complessivamente un fenomeno che si attesta numericamente tra le 18.800 e le 25.100 unità, variamente distribuite sul territorio nazionale. Le presenze maggiori sembrano essere concentrate nel Nord con cifre comprese tra le 8.800 e le 11.300 unità, seguite dal Centro con 5.600/7.000 unità e dal Sud (comprensivo delle Isole) con 5.100/6.800 unità. Le regioni con un numero più alto di ragazze straniere che si prostituiscono sono il Lazio e la Lombardia, rispettivamente, con 4000/5000 e 3.500/4.500 unità stimate. Esse rappresentano, tra l’altro, sin dall’apparire del fenomeno immigratorio, le regioni a maggior attrazione insediativa, sia per le opportunità occupazionali nella 26 piccola impresa e nelle attività di servizio che per le opportunità di socializzazione offerte dalle grandi metropoli, in particolare Roma e Milano. Queste città sembrano essere - di conseguenza - quelle con una maggiore presenza di prostitute ed anche, come abbiamo già rilevato, le città con il più alto numero di denunce formali. Nell’insieme infatti Roma e Milano raggiungono circa un quarto del totale complessivo, per quanto riguarda le stime minime (5.000 su circa 18.800 unità) e poco più’ di un terzo per quanto riguarda quelle massime (9.500 su 25.100 unità). Per quanto riguarda le altre regioni - a parte l’Emilia Romagna e il Piemonte, rispettivamente con 1.200/1.800 unità stimate - si attestano quasi tutte al disotto delle 1.000 unità, dislocate tra l’altro a ridosso dei grandi centri urbani e lungo le località costiere di maggior richiamo turistico stagionale (ma anche settimanale). Tab.1 Presenze prostitute immigrate 1996. Indicazioni di stima dei testimoni privilegiati Regioni Città Veneto Venezia Vicenza Emilia Romagna Bologna Rimini Ravenna Lombardia Milano Brescia Minime 800 500 150 1.200 500 400 200 3.500 2.000 800 27 Stime Massime 1.200 800 200 1.800 800 600 400 4.500 2.500 1.000 Piemonte 1.200 Torino Lazio 1.800 700 4.000 Roma Latina 3.000 500 Abruzzo 600 Teramo Campania 3.500 700 800 200 1.500 Napoli Caserta Totale Altre Regioni Totale generale 900 5.000 300 2.000 1.000 300 12.800 6.000 18.800 1.200 500 17.100 8.000 25.100 Fonte: elaborazione Parsec (Roma) Le tipologie dell’esercizio della prostituzione Le condizioni di vita delle donne trafficate nei suoi aspetti più generali - sono aggregabili in tre tipologie principali, ciascuna delle quali è correlabile: - alle esperienze o meno di prostituzione precedenti all’arrivo in Italia e alle forme di consenso oppure al grado di raggiro, coercizione e violenza alla base dell’espatrio, nonché all’ammontare del debito contratto e alle modalità di restituzione; - alla durata temporale (a partire dal primo ingresso) e alle differenti fasi esperienziali che la caratterizzano: o come processo di rafforzamento del rapporto di subordinazione (a svantaggio delle interessate), oppure come processo di progressivo sganciamento dallo stesso (in tal caso a vantaggio delle medesime); 28 - alle modalità e ai livelli di autonomia che le interessate riescono ad acquisire o a raggiungere nello svolgimento della professione, in sintonia oppure con un certo equilibrio dei ruoli e delle funzioni di ciascun partner, o in netta oppure in latente contrapposizione con i “protettori”. Le tre tipologie, pertanto, laddove le variabili sopracitate svolgono una funzione aggregante, sono quelle ravvisabili nell’esercizio della professione all’interno di appartamenti (cioè le “squillo”), all’interno di locali pubblici o privati (cioè la “prostituzione mascherata”, ad esempio: le “entraîneuses”, le “ballerine” o le “attrici porno”) oppure sulla strada (cioè le “passeggiatrici”). Sono comunque ravvisabili - a partire da queste - tipologie miste, caratterizzate cioè dalle possibili combinazioni che possono prodursi tra gli aspetti e le modalità distintive delle une e delle altre e viceversa. Le condizioni di vita, sulla base di quanto detto, variano col variare della collocazione che le ragazze che si prostituiscono ricoprono all’interno delle differenti tipologie e queste si caratterizzano anche sulla base delle nazionalità di provenienza delle interessate e - come accennato precedentemente sul “modello” sottostante all’esercizio della prostituzione. L’esercizio della professione come “squillo” si caratterizza per una marcata autonomia decisionale delle interessate, sia per quanto concerne la scelta logistico-organizzativa (tipo di quartiere, ammontare delle tariffe, percorsi e mobilità), sia per la regolarità delle certificazioni di soggiorno e di quelle sanitarie, sia per la natura dei 29 rapporti con i protettori. Questi quando ci sono svolgono funzioni amicali o comunque non conflittuali o di violenta subordinazione, anche perché generalmente sono basate sul sentimento e sulle dinamiche di coppia. L’esercizio della professione in maniera mascherata - ovvero non immediatamente percepibile come tale in quanto “protetta” da un’altra professione - si manifesta in differenti forme. Quelle maggiormente diffuse sono: le entraîneuses e le ballerine in locali pubblici e privati (night club, ecc.), le estetiste e le massaggiatrici, le spogliarelliste e le attrici e le comparse dei pornovideo, le hostess per attività di accompagnamento e di intrattenimento. Infatti le condizioni di vita non differiscono molto da quelle descritte per le “squillo”, sia in termini di autonomia decisionale che nel “presentarsi” nell’aspetto fisico, sia in termini relazionali con i protettori, sia in termini di modalità di esercizio della professione. Stessa similitudine è riscontrabile nel fatto riguardante la presenza di donne che svolgevano lo stesso lavoro nel paese di origine (tra l’altro il permesso di lavoro per professionisti dello spettacolo non trova particolari difficoltà ad essere concesso). L’esercizio della professione come passeggiatrici si caratterizza con modalità molto diverse dalle “squillo” e dalle “mascherate”, non foss’altro per la forte visibilità sociale ad essa implicita. Le condizioni di vita e di lavoro sono correlate molto spesso a forme di subordinazione generalizzata. In primo luogo ai “protettori” (con i quali si registrano anche rapporti affettivo-esistenziali) e in secondo luogo - special30 mente per alcune componenti - a gruppi delinquenziali organizzati, sia della stessa nazionalità delle interessate che di nazionalità italiana, aventi collegamenti funzionali a carattere transnazionale. Tra le passeggiatrici la professione viene generalmente svolta - in maniera più evidente e diretta - per rimborsare il debito contratto con le agenzie internazionali che garantiscono l’espatrio, sia quando le interessate sono coscienti (in maniera completa o parziale) delle attività che dovranno svolgere che, al contrario, quando vengono spinte alla prostituzione con mezzi coercitivi e violenti. In entrambi i casi, comunque, la prospettiva della prostituzione diventa piano piano - in base alle pressioni violente dei “protettori” - il mezzo più sbrigativo per risolvere il contenzioso con l’organizzazione delinquenziale, innescando, inconsapevolmente, un meccanismo destinato a durare nel tempo e in maniera molto diversa da quello previsto. Nella maggioranza dei casi - come già accennato - i protettori trattengono il passaporto e gli altri documenti di soggiorno, oppure minacciano - non solo la diretta interessata - ma anche i familiari rimasti nel paese di origine. Insomma si tratta di un rapporto molto spesso violento che trascende qualsiasi codice di ragionevolezza, per sfociare in forme più o meno evidenti di semi-schiavitù e prevaricazione psico-fisica sulle ragazze/donne invischiate. Le modalità di fuoriuscita Le modalità di fuoriuscita dal circolo vizioso 31 (violenza all’ingresso in Italia, violenza o raggiro come effetto-spinta, spinta all’esercizio della professione, violenza a perpetuare le attività), si basano, in maniera intrecciata, su alcuni eventi che scaturiscono da situazioni differenti, a seconda delle diverse tipologie con le quali è stato possibile suddividere le donne in questione. In linea generale gioca una funzione determinante l’età delle interessate, nonché l’anzianità dell’esperienza maturata e il “modello” sottostante l’esercizio della professione. In sintesi le modalità di fuoriuscita che emergono con maggior chiarezza sono le seguenti: a. nella maturazione e nell’autoconvincimento - in maniera del tutto spontanea - della necessità di smettere di esercitare la prostituzione, nonostante lo stato di soggezione e di violenze che subiscono dai protettori. b. nell’intervento di parenti più prossimi (ma anche degli amici) delle ragazze: o perché le ragazze medesime hanno loro chiesto espressamente aiuto oppure perché loro stessi sono venuti a conoscenza (in maniera diretta o indiretta) delle condizioni di vita delle congiunte; in entrambi i casi, comunque, i parenti/amici si mobilitano (spontaneamente o - e questo accade quasi regolarmente - con il ricorso alle forze dell’ordine) al fine di farle uscire dall’invischiamento nel circolo vizioso nel quale si trovano; c. nell’intervento - finalizzato all’aiuto - da parte dei clienti, in quanto le frequentazioni costanti e prolungate nel tempo con specifiche ragazze riescono a produrre forme di solidarietà e rapporti ravvicinati con le stesse. Queste forme di vicinanza riescono, da un lato, a produrre ed innescare lentamente meccanismi di 32 sostegno e di attenzione disinteressata alle condizioni delle ragazze e, dall’altro, ad incoraggiarle a prendere decisioni finalizzate alla fuoriuscita dalla professione o quantomeno a sganciarsi dai rispettivi protettori; d. nell’intervento di operatori facenti capo ad Associazioni di volontariato o a Cooperative di servizi diretti alle donne che subiscono violenze o comunque che si trovano in condizioni di marginalità sociale; operatori che svolgono la propria attività autonomamente o in collegamento con le forze dell’ordine; e. nell’intervento delle forze dell’ordine (con la presenza di agenti-donne) dei Commissariati di zona e delle Questure locali, in quanto intervengono per normali controlli amministrativi oppure su richiesta specifica delle ragazze stesse. In altri casi intervengono perché le ragazze vengono trovate in stato di abbandono dopo aver subito violenze oppure perché si scopre che sono minorenni o prive di documenti di riconoscimento e delle certificazioni di soggiorno. Queste diverse modalità di fuoriuscita dall’esercizio della prostituzione rappresentano, in sintesi, le differenti offerte di aiuto che al momento sono riscontrabili all’interno di questo delicato e particolare settore sociale. D’altra parte in questa fase storica - dove il fenomeno ha acquisito una chiara visibilità sociale - gli interventi maggiormente strutturati sono quelli delle forze di polizia, mentre si trovano ancora ad un livello embrionale quelli degli altri soggetti sociali, in particolare quelli del volontariato/terzo settore e degli Enti Locali. In tali condizioni, il fenomeno rischia di perpetuarsi soltan33 to come campo di intervento repressivo, dimenticando che le sue componenti più sociali, centrate cioè sulla figura delle ragazze/donne invischiate, hanno necessità di essere trattate con altre filosofie e con altri strumenti. Si tratta in pratica di trovare la maniera di valorizzare maggiormente il lavoro sociale e coordinare gli sforzi di quanti intervengono nel settore sia in maniera spontanea che in maniera organizzata. * Francesco Carchedi è Presidente del Parsec di Roma, esperto di problemi legati alle marginalità sociali, studioso dei flussi migratori internazionali e italiani, ha pubblicato diversi articoli e libri sulla immigrazione straniera in Italia , collabora con l’Università di Firenze - Facoltà di Scienze dell’Educazione. Ha inoltre coordinato il gruppo di ricerca di Parsec e dell’Università di Firenze che ha portato alla redazione del Rapporto finale per la Conferenza Internazionale di Vienna, 10-11 giugno 1996 su “Il traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana”. 34 LE POLITICHE ITALIANE LA LEGISLAZIONE IN ITALIA LE POLITICHE SOCIALI A LIVELLO NAZIONALE E LOCALE. GENESI, RISULTATI E PROBLEMI 35 36 La legislazione in Italia Franco Prina* Stato e prostituzione: i modelli di rapporto I n premessa è opportuno ricordare che tre sono i possibili modelli di rapporto tra Stato e prostituzione: - il proibizionismo: l’esercizio della prostituzione è considerato in sé un reato, è quindi vietato, qualsiasi siano la forma e le modalità in cui si esplica; le sanzioni possono colpire sia chi si prostituisce, sia i clienti; - la regolamentazione: l’esercizio della prostituzione è consentito (“tollerato”) a determinate condizioni ed è regolato da precise disposizioni di carattere amministrativo (i “regolamenti”) che in genere prevedono la schedatura di chi si prostituisce ed una limitazione delle sue libertà e dei suoi diritti di cittadina/o; - l’abolizionismo: l’esercizio della prostituzione è libero, essendo stati aboliti i regolamenti o le disposizioni che ne dettavano le condizioni; la legge penale, tuttavia, continua di solito a punire i comportamenti che incidono sulla libera volontà della persona (l’induzione, la tratta) o che traggono vantaggio dal suo prostituirsi (lo sfruttamento). Si tratta naturalmente di tre modelli astratti, nel senso che le legislazioni vigenti in diversi paesi o che si sono succedute in uno stesso paese (come vedremo nel caso dell’Italia), pre37 sentano spesso caratteri ibridi o, quantomeno, margini di ambiguità e di contraddittorietà. Se si osserva l’evoluzione storica delle norme adottate da paesi diversi, in molti di essi si è passati dal proibizionismo alla regolamentazione, per poi pervenire all’abolizione della stessa per periodi più o meno lunghi, fino alla frequente reintroduzione di principi regolativi che, pur adottando contenuti e forme diverse dal passato danno luogo alla situazione nota come “neo-regolamentazione”. La situazione in Italia prima della legge Merlin: un secolo di regolamentazione Le norme che hanno regolamentato la prostituzione in Italia sono state elaborate e sperimentate a partire dal 1860, anno di emanazione del regolamento Cavour. Con alcune non sostanziali modifiche il regime introdotto con quelle norme è stato mantenuto in vita per quasi un secolo, fino cioè al 1958 anno di approvazione della legge n. 75, a tutti nota come “legge Merlin”. L’intento principale dei diversi regolamenti che si sono succeduti nell’arco dei cento anni considerati, era quello di conciliare le diverse esigenze da sempre al centro delle politiche regolamentazioniste: offrire agli uomini la possibilità di avvalersi di un servizio ritenuto utile e indiscutibile nella sua “naturalità”, garantire la tutela della salute dei fruitori dello stesso servizio, evitare gli inconvenienti che la prostituzione esercitata fuori dagli spazi delimitati e regolati determina, sotto il profilo dell’ordine e della morale pubblica (Gibson, 1995). 38 In sintesi si cercò per un intero secolo di conciliare la difesa dal “pericolo rappresentato dalle prostitute, e l’utilità sociale che si attribuisce alla prostituzione” (Antonini, Buscarini, 1985, p. 83). Il regolamento Cavour (decreto ministeriale del 15/2/1860) fu il primo atto che definiva le condizioni alle quali l’esercizio della prostituzione era consentito e le forme in cui si doveva esplicare il controllo di polizia ed il controllo sanitario su chi esercitasse la prostituzione. Ne era presupposto il fermo, la visita forzata, l’”iscrizione” della donna “notoriamente” dedita alla prostituzione e la sua obbligata collocazione in una delle due categorie previste (la prostituta isolata, che esercita in casa, e la prostituta di bordello). Sul concetto di notorietà e sugli abusi che una presunta condizione di prostituta poteva indurre molto si è scritto, in particolare osservando che “il doppio registro visita-iscrizione, faceva di una situazione momentanea nella vita di una donna uno status giuridico pressoché permanente e segnava il passaggio da una condizione di libero cittadino, in grado di godere pienamente di ogni diritto civile, a quella di sorvegliata speciale” (Antonini, Buscarini, 1985, p. 92). Tolti i documenti, sostituiti con un libretto personale apposito, su cui venivano annotate le visite obbligatorie, la prostituta era privata della libertà di disporre del proprio corpo (la scoperta di una infezione era preludio all’ingresso obbligato in un sifilocomio, ospedale retto da regole disciplinari di tipo carcerario) e della stessa libertà di movimento, sia nella frequentazione di luoghi pubblici (teatri, osterie, ecc.), al fine di evitare che si desse all’adescamento, sia 39 nella possibilità di uscire dal territorio comunale, per sfuggire ai controlli ed all’obbligo di visita e di cura. Già negli anni immediatamente successivi all’emanazione del regolamento Cavour, non mancarono di levarsi le voci critiche alimentate dalle influenze che la prospettiva abolizionista esercitava in altri paesi. L’ambigua posizione dello Stato che traeva utili da un’attività considerata moralmente inaccettabile era da più parti denunciata. Due successivi regolamenti (il regolamento Crispi del 1888 e il regolamento Nicotera del 1891) si incaricarono di modificare parzialmente il quadro di riferimento normativo della materia. Il primo - espressione dell’impegno degli abolizionisti presenti anche in Italia , tentò di attenuare gli aspetti di più palese discriminazione e repressione della libertà personale, anche se mantenne sostanzialmente inalterato l’impianto del rapporto tra Stato e prostitute. Cancellando la nozione di “notorietà” come premessa di schedatura, trattava essenzialmente dei locali di prostituzione e delle donne che vi esercitavano, mantenendo per esse gli obblighi di visita e di cura. Venivano aboliti i sifilocomi (le cui competenze passavano ad ospedali e “dispensari celtici”) e si affermava che il problema della profilassi antivenerea non era questione esclusivamente di pertinenza delle prostitute, le quali anzi avrebbero avuto interesse a collaborare spontaneamente ad un processo di crescita di consapevolezza della popolazione tutta. Apparentemente più liberale (la polizia avrebbe potuto arrestare le prostitute solo per violazioni della legge penale), il sistema rimase di fatto repressivo nella sua ispirazione di fondo, dal 40 momento che lasciava intatta la schedatura delle prostitute e i controlli della pubblica sicurezza sulle persone. Esso inoltre fu scarsamente applicato e mai effettivamente accettato dagli apparati di polizia e di controllo sanitario. Con il regolamento Nicotera (1891) si intese dar risposta alle preoccupazioni levatesi da più parti in merito ai rischi dell’allentamento del controllo, dovuto al lassismo del regolamento Crispi, in particolare sulle prostitute isolate, ribadendo apertamente i principi del regolamentazionismo (evitando l’ipocrisia delle posizioni ambigue del regolamento precedente e della sua non applicazione sostanziale). Riprendendo il pieno controllo delle prostitute che esercitavano fuori delle case di tolleranza (sottoposte a controllo “se già arrestate”), rafforzando gli obblighi per i tenutari di far effettuare le visite alle ospiti delle case, definendo comunque “presunte infette” le donne che non intendevano sottoporsi a visita, lo Stato riaffermò la sua posizione di tutore dell’ordine garantito da una prostituzione regolamentata. Insieme a questo controllo diretto, lo Stato manteneva quella funzione indirettamente, attraverso l’insieme delle norme e dei poteri discrezionali di tipo diverso esercitati dalle autorità di polizia (come le norme sul vagabondaggio, sul foglio di via obbligatorio, ecc.). In epoca fascista la prospettiva regolamentazionista mantenne intatta la sua forza e ne furono ribaditi i fondamenti e l’estensione. I regolamenti vennero inglobati da Mussolini nel Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza del 1931 (artt. 190-208) e nel relativo regolamento di attuazione del 1940 (artt. 345-360). Oltre a dettare le norme per l’autorizzazione e la gestione 41 dei “locali di meretricio”, il TUPS definiva il principio dell’obbligo di pagamento delle tasse da parte non solo dei tenutari, ma anche delle prostitute, e stabiliva una ampia serie di poteri di controllo e di vigilanza da parte dell’autorità di P.S. Insieme si mantennero i controlli rigidi non solo sui luoghi, ma sulle persone, e quindi anche sulle prostitute isolate, attraverso la schedatura, l’obbligo alle donne di portare con sé il libretto sanitario aggiornato e di sottoporsi a controlli e cure. La prospettiva abolizionista in Italia: tra principi costituzionali e riferimenti morali L’esigenza di superare la vergogna della palese discriminazione nei confronti di una parte delle donne (private di ogni diritto e sottoposte a molteplici forme di umiliazione e prevaricazione da parte delle autorità) e dello sfruttamento legalizzato (che vedeva la compartecipazione dello Stato alla distribuzione dei proventi derivanti dalla prostituzione) fu al centro, in Italia come in molti altri Paesi, di molte lotte e di un perseverante impegno di associazioni (che avevano come riferimento la Federazione Abolizionistica Internazionale) e singole persone. Nell’epoca immediatamente successiva alla definizione del nuovo quadro istituzionale dell’Italia repubblicana, tale impegno fu alimentato da un movimento di opinione che traeva ispirazione da un duplice ordine di riferimenti culturali ed ideali: - da un lato l’idea della inaccettabilità - in relazione ai contenuti della nuova Costituzione 42 solennemente affermati per l’insieme dei cittadini - del persistere di norme che violavano palesemente il principio di uguaglianza tra uomini e donne e l’impegno al rispetto dei diritti di libertà individuale (artt. 3 e 13 Cost.) e il divieto di sottomissione a obbligo di trattamento sanitario indirizzato esclusivamente a particolari categorie di persone (art. 32 Cost.); - dall’altro le istanze morali (di matrice religiosa o laica) che esprimevano interesse per la riduzione, fino all’eliminazione, dell’area di degrado umano ed etico costituita dalla mercificazione del corpo e della condizione di sottomissione della donna agli interessi e al dominio dell’uomo, che trovavano anch’esse sostegno nella Costituzione laddove dichiara doversi rifiutare ogni attività economica recante danno alla libertà e alla dignità umana (art. 41 Cost.) Le due posizioni, nella loro espressione “pura”, conducono naturalmente a definizioni normative diverse: - chi afferma l’esigenza di piena tutela dei diritti di chi si prostituisce avrà l’obiettivo di eliminare tutte le regole che determinano una situazione di discriminazione, di sfruttamento e di limitazione della libertà, evitando di prendere posizione sul comportamento in sé; - chi parte da una visione etica della questione, considera il prostituirsi in sé un male da eliminare e porrà quindi l’accento sulle misure che possono prevenire il suo estendersi o aiutare chi la esercita a uscire dalla situazione. Mentre la prima posizione definisce la prostituzione nei termini di una delle possibili espressioni della libertà personale di disporre di sé e del proprio corpo, la seconda nega alla donna che la esercita il pieno riconoscimento della 43 identità di persona dotata di libertà a causa dei molti e cogenti condizionamenti culturali, sociali, economici cui è sottoposta. Questo duplice orientamento di fondo attraversa e alimenta il dibattito abolizionista, partendo dalla stessa ambiguità semantica del termine e dal significato che comunemente si è portati ad attribuirgli: se è vero che l’abolizionismo ha come oggetto polemico la regolamentazione, il senso comune, alimentato dalla seconda delle istanze sopra descritte, tenderà a estendere l’area di ciò che si vuole abolire, fino a comprendere la prostituzione in sé. Come è stato giustamente affermato (Pitch, 1989), nella legge Merlin le due posizioni convergono determinando un testo che presenta i limiti del compromesso raggiunto faticosamente e si iscrive in pieno nell’ambiguità sopra indicata: “Lotta alla regolamentazione e lotta alla prostituzione ... tendono sempre più a confondersi” (ibidem, p. 187) I contenuti della legge 20/2/1958, n. 75, la “legge Merlin” La normativa italiana in materia di prostituzione risulta, tra le molte normative che riguardano fenomeni sociali rilevanti e percepiti come fonte di preoccupazione dall’opinione pubblica, quella più datata, non soggetta cioè a quel lavoro di aggiornamento che invece è stato fatto per altre normative (tossicodipendenze, processo penale per adulti e per minori, psichiatria, ecc.). Come tutti sanno, infatti, è oggi ancora in vigore in Italia la legge che nel 1958 innovò profondamente la materia e che è conosciuta come legge 44 Merlin (dal nome della senatrice socialista che propose il progetto di legge che diede il via all’iter parlamentare e che si batté per dieci anni perché diventasse legge). Naturalmente sulla condizione di chi esercita la prostituzione possono avere influenza altre normative più recenti, ma solo in modo accessorio e solo nella misura in cui la persona in questione si trovi in specifiche situazioni (si pensi alla persona tossicodipendente, alla madre di bambini che possono essere oggetto di incuria o abbandono, a chi è straniero, ecc.). La legge n. 75/1958 è composta di pochi articoli: solo 11, più 4 norme finali e transitorie. Vediamone in sintesi i contenuti. L’art. 1 chiarisce il principale obiettivo della legge sotto forma di divieto: è vietato l’esercizio di case di prostituzione. Ne è corollario l’art. 2 che stabilisce che i locali di meretricio dovranno chiudere entro sei mesi. L’art. 3 precisa quali comportamenti sono oggetto della sanzione penale, stabilita in reclusione da due a sei anni e multa da 500.000 a 20 milioni di lire: proprietà di una casa di prostituzione; concessione di locali a tale scopo; tolleranza di esercizio di prostituzione in locali aperti al pubblico di cui si disponga o di cui si sia gestore; reclutamento di persona a fini di prostituzione; induzione alla prostituzione o attività di lenocinio; induzione a recarsi in altro Paese o luogo al fine di prostituzione; associazione ai fini di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione; favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione. L’art. 4 prevede il raddoppio della pena se i fatti di cui all’articolo precedente sono commessi: con violenza, minaccia, inganno; ai danni di 45 minorenne o infermo, di ascendente o affine, di persona affidata alle cure, di persona dipendente; da pubblico ufficiale; ai danni di più persone; ai danni di persona tossicodipendente. L’art. 5, oggetto in tempi recenti, di molte delle proposte di modifica, afferma testualmente: “Sono punite con l’arresto fino a giorni otto e con l’ammenda da lire diecimila a lire venticinquemila le persone dell’uno e dell’altro sesso: 1) che in luogo pubblico od aperto al pubblico invitano al libertinaggio in modo scandaloso o molesto; 2) che seguono per via le persone, invitandole con atti o parole al libertinaggio”. I due commi successivi riprendono invece l’elencazione dei divieti, destinati questa volta non più ai singoli individui, bensì alle istituzioni di controllo, nello spirito della difesa dei diritti individuali: le persone che pure sono colte nell’atto di invitare al “libertinaggio”, non possono essere accompagnate all’ufficio di pubblica sicurezza e, qualora accompagnate perché prive dei documenti di identificazione, non possono essere sottoposte a visita medica L’art. 6 dispone l’interdizione dai pubblici uffici dei responsabili dei delitti previsti dalla legge. L’art. 7, che conclude il Capo I della legge, ribadisce il divieto assoluto di qualunque forma di registrazione, di rilascio di tessere sanitarie o documenti speciali, di obblighi a presentarsi presso gli uffici di qualsiasi autorità per chi esercita la prostituzione. Con l’art. 8 si passa al Capo II, che ha come titolo “Dei patronati ed istituti di rieducazione”. In esso si dispone a cura del Ministero dell’Interno, la creazione di speciali istituti di patronato al fine di garantire la tutela, l’assisten46 za e la rieducazione delle donne che sarebbero uscite dalle case di prostituzione e di quelle che avviate alla prostituzione, “intendano di ritornare ad onestà di vita”. Nell’art. 9 si specifica che tali istituti saranno finanziati dallo Stato e dovranno trasmettere un rendiconto esatto della loro attività. L’art. 10 prescrive che le persone minorenni dedite alla prostituzione siano rimpatriate e riconsegnate alle famiglie, se disposte ad accoglierle, oppure affidate agli istituti di patronato. Cento milioni di lire sono poste nel bilancio dello Stato dall’art. 11 a fronte dell’onere previsto per il funzionamento degli istituti di patronato. Nelle norme transitorie si prevede la costituzione di un Corpo speciale femminile della polizia che assumerà le funzioni inerenti ai servizi del buon costume e della prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione. La legge inoltre impone che, per effetto della chiusura delle case di prostituzione, si rescindano i contratti di locazione e afferma che tutte le obbligazioni verso i tenutari si debbono presumere determinate da causa illecita e quindi nulle. La legge abroga infine, come di rito, tutte le disposizioni contrarie alla legge . In sintesi (Parsec, 1996), e con particolare riferimento ai comportamenti oggetto di sanzione, sono quindi puniti i seguenti fatti: * la proprietà, l’esercizio, l’affitto, di una casa dove si esercita la prostituzione; * qualunque forma di partecipazione alle attività suddette; * la tolleranza allo svolgimento di attività di prostituzione in locali aperti al pubblico o utiliz47 zati dal pubblico (alberghi, pensioni, circoli o altro); * il reclutamento di una persona a tal fine e l’agevolazione dell’avvio alla prostituzione; * l’incitamento alla prostituzione, sia privatamente che in forme pubbliche; * lo sfruttamento della prostituzione in qualunque forma; * l’incitamento a trasferirsi in un luogo o in uno Stato diverso dal proprio per esercitarvi la prostituzione e l’agevolazione della partenza; * l’attività in organizzazioni nazionali o estere per reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento di essa, o il favoreggiamento rispetto a tali organizzazioni. Gli aspetti problematici Il cenno fatto sopra ai principi ispiratori della legge Merlin può essere nuovamente richiamato per meglio interpretare il significato della svolta impressa dalla legge al regime precedente, nel suo concretizzarsi nel dettato normativo. Esso risente infatti della lunghissima vicenda parlamentare (la discussione durò ben 10 anni, il primo progetto Merlin essendo stato presentato nel 1948), ma soprattutto è espressione della mediazione tra le posizioni in campo. Per questo appare tecnicamente imperfetto e aperto a interpretazioni molto diversificate, consentendo una discrezionalità di applicazione di molte delle singole disposizioni, così da farne uno strumento utilizzabile per scopi diversi (risposta alle esigenze di ordine pubblico, misura appariscente in momenti di particolare allarme sociale, controllo di singole persone o ambienti, 48 mezzo di pressione e “persuasione”, ecc.). Certo si può dire che è nella natura sempre (e forse inevitabilmente) ambivalente del rapporto dello Stato con la prostituzione che risiede il principale nodo problematico che connota la legislazione in vigore. La lettura dell’iter parlamentare svolta da T. Pitch (1989) è, sotto questo profilo, illuminante: la posta in gioco in tutta la discussione appariva chiaramente essere non solo la struttura degli interessi (economici e non), ma anche l’atteggiamento dello Stato e delle istituzioni verso la questione. Tre sostanzialmente le posizioni che si fronteggiavano e, potremmo dire, si confrontano ancora oggi pur nel mutare delle situazioni e delle sensibilità: - la posizione di chi sostiene l’inevitabilità dell’esistenza di una domanda e di una offerta che hanno come oggetto il sesso e che ritiene necessario e opportuno tutelare i diritti del compratore di un bene che deve essere comodamente accessibile e di buona qualità; - la posizione di chi afferma il principio di libertà ed i diritti di chi si propone in quello che viene considerato un mercato, i cui protagonisti debbono essere difesi, al tempo stesso, dai rischi di sfruttamento e dai pericoli di discriminazione; - la posizione di chi considera entrambe le prospettive da combattere, guarda alle persone coinvolte come soggetti o da perseguire (sia direttamente che indirettamente, colpendo cioè chiunque sia in qualche modo vicino ad esse e ne agevoli l’attività) o da ri-orientare (aiutandole a cambiare vita, a riscattarsi). Sostanzialmente battuta la prima delle tre posizioni, il testo di legge rappresenta un compromesso tra le altre due. 49 La seconda è espressa nell’affermazione dei diritti di libertà della persona che si prostituisce (con norme principalmente rivolte verso le istituzioni di controllo, cui si vieta di operare in modo discriminatorio) e nella condanna delle diverse forme di reclutamento, induzione e sfruttamento. La terza posizione si estrinseca nelle norme che, in maniera del tutto ambigua e aperta ad interpretazioni altamente discrezionali, colpiscono comportamenti della persona che si prostituisce o di chi le sta vicino allo scopo di limitare e contenere il riprodursi del fenomeno, facendo intorno ad essi “terra bruciata”. Vengono così puniti, da un lato, il comportamento teso a procurarsi clienti (l’adescamento, il seguire per via, l’invito al “libertinaggio in modo scandaloso o molesto”) e, dall’altro, i comportamenti di persone diverse che si rendono responsabili di “tollerare”, “agevolare” o “favorire”, anche senza finalità di lucro, la prostituzione altrui. Con lo stesso spirito vengono offerte alle donne che intendono “ritornare ad onestà di vita” le occasioni di riscatto attraverso i patronati e gli istituti di rieducazione e si crea il corpo si polizia femminile che ha compiti di prevenzione della prostituzione. Si può dire che in questo senso la legge rappresenta un ibrido tra una posizione compiutamente abolizionista e una posizione, pur molto attenuata, di regolamentazione, con tratti che fanno riferimento a orientamenti di tipo proibizionista. Così a ragione è stato scritto: “La criminalizzazione di ciò che circonda l’esercizio (anche in proprio: valga l’esempio della tolleranza dell’albergatore) della prostituzione, interpretativamente (e contrariamente a quan50 to usualmente ritenuto) induce a negare che questa normativa non sia “contro” la prostituzione; viceversa, e conclusivamente, si deve affermare di essere di fronte ad una regolamentazione penale decisamente “contro” quella che è e rimane un’attività illecita, pur se non ne sono perseguiti gli autori” (Pavoncello Sabatini, 1990). Le proposte di modifica della legge in vigore Fin dall’indomani dell’approvazione della legge n. 75 iniziarono ad essere presentate proposte di modifica, tendenti ad una riproposizione delle stesse tematiche che avevano subito una sconfitta in Parlamento e comunque, più in generale, ad una riformulazione dell’orientamento regolamentazionista. Nel corso di tutte le successive legislature proposte e disegni di legge con questo orientamento sono state presentate dai partiti di destra o da esponenti di partiti di centro. Solo in tempi più recenti, a partire cioè dai primi anni ottanta, a queste proposte si sono affiancate proposte di segno diverso, tese ad accentuare il carattere abolizionista dell’attuale legislazione e ad eliminare da essa quegli aspetti di ambiguità e discrezionalità che abbiamo sottolineato. Troppo lungo sarebbe ricordare tutte le proposte presentate durante i quasi quarant’anni intercorsi dalla legge Merlin. Si possono tuttavia sinteticamente ricordare alcune tappe di questo percorso in gran parte ripetitivo, mai andato al di là della discussione in Commissione o di un testo unificato (nel 1985) neppure approdato all’Aula del Parlamento, ciclicamente oggetto di 51 fiammate di attenzione di solito conseguente alla riproposizione della richiesta di riapertura delle “case chiuse”. Gli anni 60 e 70 sono gli anni delle proposte centriste, soprattutto democristiane, tese a rivedere le parti che hanno limitato il potere di controllo da parte delle autorità di polizia e sanitarie sulla prostituzione; è del 1973 la proposta di legge di iniziativa popolare promossa da La Stampa di Torino (che raccolse al termine di una martellante campagna di stampa ben centomila firme) per “ripulire le strade dall’invasione dell’esercito delle passeggiatrici”, le quali dovranno essere perseguite penalmente e obbligate a curarsi se malate. All’inizio degli anni ottanta, anche per effetto dell’affiorare della voce delle stesse protagoniste (il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute si affaccia sulla scena nel 1983) si avanzano proposte di segno opposto (radicali, socialiste, comuniste, ecc.), le quali, pur con accenti diversi in ordine alla valutazione del fenomeno ed alle iniziative per combatterne le cause, sono concordi nel sostenere l’esigenza di ridurre i margini di discrezionalità lasciati dalla legge Merlin, e nell’affermare la necessità di tutelare più compiutamente i diritti delle persone; il testo unificato del 1985 sostanzialmente riprende queste posizioni, incrementando le sanzioni in capo a chi sfrutta la prostituzione ed accentuando il richiamo al rispetto della libertà dalle ingerenze degli organi di controllo. Nella seconda metà degli anni ‘80 si assiste alla polarizzazione più netta tra i due orientamenti che ancora oggi sono in campo: da un lato le proposte di neo-regolamentazione, che giungono a riproporre il modello delle case di 52 tolleranza, dotate di autorizzazione, o sotto altre forme (famosa la suggestione delle “colline dell’amore” di una proposta del 1988); dall’altro le proposte di più ampia depenalizzazione, tendenti a precisare e a reprimere maggiormente le forme di sfruttamento, ma insieme ad eliminare le fattispecie di reato più ambigue e penalizzanti per le persone che si prostituiscono e per chi sta loro intorno (il favoreggiamento, l’agevolazione, l’adescamento), al fine di consentire una normalità di relazioni, la possibilità di associarsi indipendente di due o più persone, la garanzia di una minore ricattabilità sotto tutti i profili. La stessa contrapposizione - con l’aggiunta di un orientamento minoritario che concentra la propria attenzione sulla possibile sanzionabilità del cliente - si manifesta nelle proposte più recenti, in particolare in quelle formulate nel 1994/95, in un periodo in cui si assiste ad una delle ricorrenti “fiammate” di attenzione per il fenomeno ed il dibattito si fa più acceso, anche in virtù dell’esplodere della problematica della prostituzione immigrata, della conseguente maggiore visibilità sulla strada del fenomeno e delle paure per la diffusione del virus HIV. La contrapposizione tra le ipotesi di neoregolamentazione e quelle di depenalizzazione, ossia tra le due ipotesi che Tatafiore (1994) sintetizza con le espressioni “più legge” e “meno legge”, dà vita a progetti al loro interno anche piuttosto articolati e differenziati. Ad esempio, nella XII legislatura (conclusasi nel maggio 1996), per la revisione della legge n.75/58 sono stati presentati tre disegni di legge al Senato e sette proposte di legge alla Camera, da quasi tutte le forze politiche: Alleanza Nazionale (AN), Lega Nord, Progressisti, Coordinamento 53 Cristiani Democratici (CCD) e Forza Italia. Analoghe proposte sono state riproposte nell’attuale legislatura da AN, Verdi, Sinistra democratica, CCD. In una recente ricerca (Parsec, 1996) le iniziative parlamentari di questi ultimi anni sono state collocate in quattro categorie (anche se la distinzione tra le prime due categorie non è facile, “perché alcune delle proposte di legge potrebbero a buon diritto appartenere ad entrambe”). Si tratta della distinzione tra: - quelle che ripropongono esplicitamente la riapertura di “case di tolleranza” o di altre forme di “gestione” (pubblica o no) della prostituzione; - quelle che prevedono forme di registrazione delle persone “esercenti” (individualmente o collettivamente) la prostituzione e propongono di tassare i redditi che ne derivano; - quelle che propongono la depenalizzazione completa e contemporaneamente - e in un certo senso prioritariamente - mirano alla prevenzione del fenomeno e alla “tutela” delle persone coinvolte; - quelle che spostano l’ottica sul “cliente” prevedendo multe o provvedimenti similari. Da segnalare infine il fatto che il dibattito degli ultimi anni registra anche una più forte attenzione alla problematica della tratta e della riduzione in schiavitù a fini di prostituzione, questione che appare meritevole di una attenzione specifica e di norme che concretizzino nel nostro Paese un impegno richiesto da diversi organismi internazionali (ONU, Parlamento Europeo, Consiglio d’Europa). In parte tali esigenze hanno trovato risposta nella legge n. 66 54 del 1995 sulla violenza sessuale (artt. 3, 4, 8 e 9 che trattano della costrizione a compiere o subire atti sessuali con violenza o mediante limitazione della libertà personale), in parte in specifiche norme in materia di immigrazione. L’impostazione della nuova legge sull’immigrazione1 è, sotto questo profilo, piuttosto chiara, prevedendo che alla persona che si vuole sottrarre alla violenza e allo sfruttamento e che per questo corre un pericolo concreto per la sua incolumità, sia concesso uno speciale permesso di soggiorno “per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”. Tale programma sarà svolto dai servizi sociali degli enti locali avvalendosi del supporto di associazioni di volontariato o di altre strutture idonee. La valutazione circa la sussistenza delle condizioni per accedere a tale programma è legata anche “alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale, ovvero per l’individuazione o cattura dei responsabili dei reati indicati”. Il permesso di soggiorno, della durata di sei mesi (rinnovabile per un anno o per un periodo maggiore se necessario a fini di giustizia), consente l’accesso ai servizi assistenziali, a programmi di studio, alle liste di collocamento, ad attività lavorative. Quanto alle diverse proposte di legge per la modifica della Merlin, se è vero che dietro alle 1 Mentre scriviamo il testo è ancora all’esame del Parlamento e potrebbe quindi ancora subire qualche modifica. 55 diverse ipotesi permangono differenze di fondo in ordine ai principi e ai riferimenti che le ispirano, tanto da far apparire le proposte lontane e inconciliabili, non di rado le soluzioni concrete auspicate possono risultare meno nettamente distanti. Così, in Italia come in altri Paesi europei, la ricerca di forme di neo-regolamentazione, sebbene sia ispirata in genere alle posizioni più reazionarie e retrive, a volte diventa l’inevitabile approdo - naturalmente in forme diverse da quelle auspicate dai “nostalgici” - di quanti intendono meglio tutelare i soggetti, delimitando ad esempio i confini di zone o contesti, dettando condizioni per accedere a determinate risorse o opportunità, predisponendo politiche di prevenzione e sostegno per il superamento della condizione stessa. Dall’altra parte le posizioni più apertamente e chiaramente “abolizioniste”, orientate alla completa depenalizzazione di tutto quanto ha a che vedere con l’attività in questione, si trovano a fare i conti con le contraddizioni di un fenomeno nel quale libertà e coazione, scelte consapevoli e condizionamenti di varia natura si intrecciano in modi e forme di elevata complessità, con il rischio sempre presente di ignorare, in nome di principi giusti di tolleranza e di rispetto, l’esigenza di una attenzione vigile e partecipe alle vicende delle persone coinvolte. La complessità delle situazioni rimanda quindi, come per molti altri problemi e vicende, ai limiti del diritto, di quello presente e di quello “possibile”, e della sua possibilità di normare in maniera coerente, non contraddittoria e positiva un fenomeno sociale come quello in questione, nel rispetto delle differenze - sotto il profilo 56 delle condizioni, dei bisogni, dei diritti, delle aspirazioni - di chi ne è protagonista. La stessa complessità rimanda alle responsabilità e alle potenzialità di altre dimensioni del sociale - la politica, la cultura, gli orientamenti collettivi, la qualità delle relazioni tra le persone - la concreta speranza di costruire un diverso modo di affrontare la molteplicità di condizioni, bisogni, diritti, aspirazioni. * Franco Prina è docente di Sociologia della Devianza presso l’Università di Torino, è Giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Torino ed è Consulente dell’Agenzia di Formazione del C.N.C.A. Autore di vari saggi sui temi della tossicodipendenza, della devianza minorile e della prostituzione. È inoltre autore del volume: “Sociologia della devianza”, edito da N.I.S. Nuova Italia Scientifica, Roma 1995. 57 58 Le politiche sociali a livello nazionale e locale. Genesi, risultati, problemi Roberta Tatafiore* Emergenza T ra la fine di agosto e gli inizi di settembre del 1994 si svolse nel nostro paese la più vasta e incisiva operazione di pulizia e polizia nei confronti della prostituzione di strada dall’approvazione della legge Merlin. Eccezionale fu anche l’impatto degli avvenimenti sull’opinione pubblica, attraverso i giornali quotidiani in primo luogo e in subordine attraverso la televisione. Due esempi: La Repubblica titolò a nove colonne “Emergenza prostituzione”; La Voce, diretta da Indro Montanelli, pubblicò a tutta pagina una foto truccata di Giuliano Ferrara (allora ministro per i rapporti con il Parlamento del governo Berlusconi) in sembianze di Mimì del tabarin per significare l’insipienza dei governanti ad affrontare l’emergenza. Tutto iniziò alla fine di agosto a Milano, con il sequestro poliziesco di auto dei clienti come “corpo del reato” di rapporti sessuali lesivi per la pubblica decenza. Anche se la magistratura milanese, dopo il tempo debito, non confermò l’ipotesi del reato in base al quale avevano agito polizia e carabinieri, la notizia fece molto scalpore. Già da qualche anno iniziative sparse avevano escogitato l’attacco al cliente per colpire indirettamente le prostitute, costringendole a spostarsi dalle loro usuali zone di lavoro per 59 mancanza di clientela. Ma in quella fine di agosto ci furono anche retate di grandi dimensioni, controlli a tappeto di documenti, soprattutto nei confronti delle straniere, quasi tutte clandestine; fogli di via e ritiro di patenti nei confronti delle italiane, soprattutto transessuali. Questo, da parte delle autorità. Contemporaneamente ebbero luogo cortei di cittadini e cittadine, dotati di fiaccole, per “illuminare” i marciapiedi e vanificare così lo “sconcio e disgustoso” commercio. E si tennero feste, persino banchetti in piazza, come a Montepulciano, dopo la “ripulitura” di un quartiere. Emerse dunque una vastissima area di sofferenza sociale, mista a intolleranza, nei confronti della prostituzione di strada. Inoltre ci fu una novità riguardante gli attori delle tecniche di controllo fin qui descritte: non più solo la polizia, ma per la prima volta le amministrazioni locali presero iniziative autonome utilizzando gli strumenti del governo della viabilità. Strade e zone furono vietate alle automobili, istituendo isole pedonali. In tal modo vennero scoraggiati i clienti automobilisti con conseguente spostamento delle prostitute. Cosi, in particolare, a Bolzano e a Mestre. Quegli avvenimenti hanno segnato una svolta nella politica prostituzionale italiana. L’analisi di quella svolta, consistita nell’avvio di politiche sociali da parte degli Enti Locali e delle Regioni, è oggetto di questo scritto. Solo al nord Il dato interessante della “grande retata”(un dato che vedremo ripetersi pari pari quando analizzeremo le iniziative delle amministrazio60 ni) è che le città e le cittadine interessate a quella vasta operazione di controllo e limitazione del sesso commerciale furono solo quelle del centro nord. Al sud solo a Catania, in tempi successivi, ci furono interventi di rilievo. Per spiegare la specializzazione geografica si possono suggerire due ipotesi: 1) Nel sud c’è meno prostituzione visibile nei centri urbani perché si concentra in zone extra urbane, come lungo il litorale sud adriatico e sul litorale campano. Oppure si svolge nei quartieri deputati nei malconci centri storici o nei quartieri popolari degradati, come a Palermo, costituendo un continuum con il tessuto locale variamente malavitoso. 2) La qualità dell’ambiente urbano a sud è talmente bassa, caotica, aleatoria che - caos più caos meno - alla prostituzione di strada non si bada. Roma, infine, rappresentò un caso a parte. Come ho documento nel libro Sesso al lavoro, da prostitute a sex worker, miti e realtà dell’eros commerciale (Il Saggiatore, 1994), una vasta operazione di polizia, inclusa schedatura delle auto dei clienti, indirizzata soprattutto a fare piazza pulita delle transessuali e dei travestiti brasiliani, si svolse nel luglio del 1994, alla chetichella, tanto che ne parlarono (poco) solo le cronache cittadine: fu la prova generale del putiferio che si sarebbe scatenato esattamente un mese dopo. Dopo la tempesta Se questo è lo scenario iniziale, vediamo ora quali sono state le reazioni, tradotte in politiche, adottate in tappe successive dagli Enti Locali e 61 dalle Regioni. Soggetti differenti e in qualche modo dialettici (da un lato il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, e il Movimento Italiano Transessuali, dall’altro alcune amministrazioni locali progressiste) si sono attivati per primi passando dalla fase repressiva (subita dalle prostitute, agita dalle istituzioni locali) a quella della reazione e della proposta. Insomma: dalla repressione della prostituzione al tentativo del governo della medesima. L’espressione “governo della prostituzione” non deve apparire esagerata, anche se in qualche modo è enfatica. Va detto infatti che non si mossero né Governo né Parlamento. Eppure il Governo venne pressato, proprio in quello scorcio del 1994, sia dal dibatto nella pubblica opinione che dalla iniziativa di diversi parlamentari, a rivedere la legge Merlin. Il dibattito sulle “case chiuse”, o “colline dell’amore”, o “case aperte”, o “parchi del sesso” ebbe in quei mesi un forte impulso. E da allora ogni tanto ritorna. Se analizziamo sia le opinioni autorevoli espresse sui quotidiani, sia il sentire comune di cittadini e cittadine emersi nel mese di superattività coercitiva, se leggiamo i progetti di legge dei parlamentari presentati immediatamente dopo i fatti descritti, ci rendiamo conto che una diffusa istanza sociale e politica voleva, e probabilmente vuole, una modifica della legge Merlin nel senso neo-regolamentarista, sul modello delle leggi in vigore nel nord Europa. Una legge cioè che tratti in maniera differente la prostituzione al chiuso rispetto a quella di strada. Soprattutto le proposte di legge di destra propongono un regime di semistituzionalizzazione controllata per la prostituzione al chiuso e, per quella di strada, restrizioni che la vietino 62 del tutto o la consentano solo in certe zone, sotto un controllo normativo preciso. Requisiti che non sono presenti nella attuale legge Merlin. Ma il governo né si mosse allora, né si muove oggi. Forse, in futuro, si muoverà improvvisamente e sull’onda di qualche nuova emergenza. Non è qui però la sede per analizzare l’impotenza riformatrice del nostro paese in materia di prostituzione, ché essa deriva da fattori assai complessi. Va sottolineato soltanto che, come dicevo, per la prima volta, dopo i fatti della fine estate 1994, di fronte all’inerzia del potere centrale, si mosse il potere locale. Per disperazione o per vocazione “federalista”? Tutte e due, probabilmente. Ma certamente le intenzioni e i progetti operativi emanati per far fronte all’emergenza hanno dovuto fare i conti con gli scarsi poteri economici e decisionali che la nostra struttura istituzionale dà alle articolazioni locali dello Stato. Nel passare alla fase propositiva, le prime amministrazioni che si sono mosse (il Comune di Venezia Mestre e in successione l’intera Regione Emilia Romagna, poi altri) sono stati quelli governati dai progressisti (ancora non c’era l’Ulivo). Essi hanno tenuto in debito conto il documento “Analisi sulla prostituzione e soluzioni possibili” presentato ai media a metà settembre 1994 dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e dal Movimento Italiano Transessuali, cercando - come fece per primo il Comune di Venezia Mestre di utilizzare le competenze delle associazioni delle prostitute e di quella dei transessuali per stilare dei progetti e interventi di politica sociale e sposando le tesi del documento citato. Il contenuto fondante del 63 documento è il rifiuto di qualsiasi ipotesi neoregolamentativa della prostituzione, a favore dell’intensificazione della lotta allo sfruttamento e della totale depenalizzazione della prostituzione, inserendo in questo quadro una ipotesi di collaborazione tra soggetti che si prostituiscono e istituzioni locali per dare un ordine alla prostituzione di strada. Vale la pena di riportare per ampi stralci il capitolo del documento dedicato alle proposte di carattere sociale che contiene un’apertura in senso regolativo proprio per stabilire l’assetto prostituzionale nella strada. Da notare due cose. Primo, un nuovo assetto prostituzionale viene considerato fattibile caso per caso, luogo per luogo, e non viene associato a una modifica normativa generale. Secondo, l’uso della parola sex worker, invece di prostituta e prostituto, viene introdotto nel linguaggio delle organizzazioni di base per indicare una significazione onnicomprensiva di tutte le figure che operano nel mercato del sesso. “Poiché la prostituzione è una questione sociale che coinvolge tutti i cittadini, nel rispetto e nell’indirizzo della legge dello Stato che non la vieta, le Amministrazioni (...), con la collaborazione delle associazioni di base che operano sul territorio, con la consulenza delle associazioni dei sex workers, devono attuare programmi di supporto, prevenzione, informazione, educazione, con l’obiettivo di creare un rapporto di fiducia, di stimolare il dialogo e la comprensione fra le parti sociali al fine di evitare le ostilità e promuovere tra i cittadini il rispetto dei sex workers e in generale il rispetto dei diritti di tutti. Le Amministrazioni Comunali in un’ottica non repressiva potrebbero sperimentare con la col64 laborazione e l’accordo dei sex workers soluzioni nuove per il nostro paese, quali: 1) zonizzazione, 2) aree pedonali, 3) orari, 4) e/o altre soluzioni innovative che migliorino la qualità della convivenza civile. La zonizzazione non vuole significare quartieri a luci rosse, ma semplicemente significa la possibilità di escludere il traffico in alcune strade se particolarmente fastidioso. (...) Tali sperimentazioni non devono essere sistematiche! ma riguardare quelle città che per numero di popolazione e intensità del fenomeno prostituzione si trovino in una situazione di emergenza. Progetti pilota che coinvolgono i sex workers potrebbero già essere iniziati anche senza che sia modificata la legge Merlin. Siamo contrari ai quartieri a luci rosse, su modello di Amsterdam, Parigi ecc. perché creano una condizione ghettizzante del fenomeno, inoltre questi quartieri non risolvono il problema dello sfruttamento ma anzi rischiano di aumentarlo: i/le sex workers non potrebbero reagire al ricatto di chi inevitabilmente controllerà gli affari, forse anche con licenza legale. Riduzione del danno e solidarietà Dobbiamo ora ragionare sulle caratteristiche e l’efficacia delle politiche locali della fase post1994, che si protrae fino a tutt’oggi, per fronteggiare le problematiche legate alla prostituzione di strada. Va detto (ma è cosa che tutti sanno) che i soggetti cui tali politiche si rivolgono sono nella quasi totalità prostitute straniere, transes65 suali e travestiti anch’essi stranieri ma anche italiani, e una esigua minoranza di prostitute autoctone. La prima città italiana a fornirsi di un progetto ad hoc è stata, come dicevamo, Venezia Mestre. È molto evidente, nella delibera del progetto affidato alla collaborazione tra operatori comunali e del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, l’obiettivo di perseguire una politica di riduzione del danno degli effetti della prostituzione, e di solidarietà nei confronti dei soggetti deboli prostitute. Ma che vuol dire politica di riduzione del danno applicata alla prostituzione? L’espressione, vale la pena ricordare, è mutuata dalle politiche sulla droga adottate in alcuni paesi del nord Europa che prevedono la legalizzazione delle droghe per ridurre il danno procurato dalla loro illegalità sia sui soggetti consumatori che sulla società. L’esistenza di un fenomeno anomalo - il consumo di droghe - viene accettato e considerato ineludibile, e si cerca di portarlo sotto il controllo pubblico per far sì che i soggetti che si drogano stiano il meglio possibile e che coloro che non hanno questa abitudine non patiscano il disordine causato dai consumatori. Nel caso della prostituzione il discorso è simile, ma con una importante differenza. Innanzi tutto il benessere che la riduzione del danno persegue non è quello dei consumatori, che nel caso della prostituzione sarebbero i clienti, bensì quello di chi si prostituisce, ovvero della stessa “merce” che è oggetto del desiderio dei consumatori. La merce-corpo, ovviamente, non è una merce inerte come la droga, bensì una merce che è tale per proposizione volontaristica di chi la detiene (di qui il presupposto 66 giuridico, contenuto nella legge Merlin, che “prostituirsi non è reato”). A ciascun individuo viene riconosciuta la facoltà di alienazione mercantile di parti della propria individualità e quindi a ciascun individuo deve essere riconosciuta la facoltà di decidere il modo attraverso il quale fare commercio del proprio corpo. Nel caso delle droghe l’applicazione della politica di riduzione del danno sfocia nella richiesta di un regime di depenalizzazione delle cosiddette droghe leggere (o non-droghe) e di somministrazione controllata delle droghe pesanti, come si fa a Zurigo e, in parte, ad Amsterdam. Quale regime vorremmo per la merce-corpo? Quale regime vorrebbero per la propria merce-corpo coloro che la detengono? Questi sono gli interrogativi che, finora, non trovano soddisfacenti risposte. Depenalizzare la prostituzione vuol dire rinunciare a normare, e quindi lasciare che il commercio si svolga senza regole e restrizioni. Legalizzare vuol dire dare uno statuto commerciale all’attività di chi si prostituisce. Finora non c’è stato un vero confronto tra queste due opzioni e pertanto la politica di riduzione del danno applicata al corpo-merce resta, a mio avviso, alquanto vaga. La politica di riduzione del danno applicata alla prostituzione diventa concreta, invece, quando si tratta di considerare l’insieme della collettività e la necessità che il consumo del sesso mercificato debba avvenire senza penalizzare né coloro che si prostituiscono (e in subordine i clienti) né la società nel suo insieme. In questo senso riduzione del danno vuol dire integrare nel tessuto sociale lo scambio commerciale del sesso per una soluzione equilibrata della convivenza civile. E questa è la scelta che 67 è stata fatta dai primi progetti e interventi delle amministrazioni locali. Quanto alla solidarietà, altro cardine delle politiche sociali, la delibera del progetto comunale per Mestre Venezia (e più ancora quelle che si sono succedute, come quella, importantissima per estensione di territorio della Regione Emilia Romagna) hanno inserito nei loro impegni la prospettiva della cura nei confronti dei soggetti deboli prostitute. Ovvero: l’aiuto alle prostitute che vogliano uscire dalla prostituzione e rompere i legami con le organizzazioni criminali che presiedono allo sfruttamento Nei progetti ispirati alla riduzione del danno e alla solidarietà, i soggetti che si prostituiscono (il “target”) vengono coinvolti in primo luogo per consentire loro di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Ciò avviene tramite lavoro di contatto con chi si prostituisce nei loro luoghi che sono i luoghi della strada: educazione sanitaria per prevenire il contagio da Hiv, offerta di servizi, formazione di personale adeguato a svolgere il lavoro di strada, mappatura della prostituzione esistente ed eventualmente ma questa è la fase operativa rimasta ovunque praticamente incompiuta - intervento per “dirigere il traffico” della prostituzione, facendo in modo che la necessità di restringere o spostare le zone del commercio (per questioni di fastidio pubblico, ordine pubblico eccetera) non venga patita dai soggetti che si prostituiscono come intervento puramente repressivo. Costoro dovrebbero invece avere la possibilità di codecidere in che zona spostarsi, compatibilmente sia alle proprie esigenze di sicurezza, sia alle esigenze di sicurezza della cittadinanza. Per questa parte di intervento il “target” del proget68 to è anche l’insieme dei cittadini e delle cittadine. Dobbiamo ora chiederci: riduzione del danno e solidarietà convivono o no, con il dovuto equilibrio, nelle politiche sociali sulla prostituzione? Solidarietà versus riduzione del danno Qui la faccenda si fa complicata. La lotta al traffico di esseri umani, un fenomeno sempre più vistoso e strettamente collegato con l’esistenza di immigrazione clandestina, è questione criminale. Come tale è oggetto di impegno europeo, di delibere e piani di intervento delle istituzioni europee. Ciò è ovvio, visto che le migrazioni irregolari sono un problema di tutti i paesi europei e non solo - come spesso si crede - dell’Italia. Ma l’inserimento in un progetto di “riduzione del danno” dei compiti di lotta al traffico e di promozione dell’aiuto all’uscita dalla prostituzione coatta crea spesso uno sbilanciamento che sta nelle cose e che, poi, se non adeguatamente gestito, si riverbera in confusione progettuale. Cercherò di esemplificare questo concetto con le parole di Carla Corso, leader del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, pronunciate nel corso di una intervista rilasciata all’autrice nell’estate 1997: “All’inizio (dall’autunno 1994, N.d.R.) abbiamo lavorato benissimo a Mestre tra le prostitute straniere. Abbiamo promosso dei gruppi, quanto più possibili stanziali, collegati al progetto, abbiamo ottenuto miglioramenti di qualità della vita e di coscienza dei soggetti. Ma poi piano piano, montata soprattutto dalla stampa e dalle 69 tv locali, ha prevalso l’atteggiamento salvifico nel confronti delle prostitute e l’idea illusoria che un progetto sulla strada possa “lottare contro lo sfruttamento”. Inoltre gli Enti Locali hanno fatto il loro compito a metà, lasciando in secondo piano l’obiettivo di gestire la prostituzione in accordo con chi effettivamente fa questo mestiere. Così l’aspetto dell’aiuto alle prostitute che vogliono uscire dal racket è diventato preponderante e purtroppo solo di facciata. Per aiutare realmente una straniera clandestina che vuole denunciare gli sfruttatori e per poi appoggiarla perché decida se vuole davvero cambiare vita, oppure piuttosto vuole continuare a prostituirsi senza papponi sulle spalle, ci vogliono ben altri strumenti. I progetti non sono dotati di questi strumenti e di questi poteri”. Si tratta di una lamentela poi rientrata perché nel frattempo c’è stata una positiva rinegoziazione sugli obiettivi del Progetto di Mestre tra il Comitato Diritti Civili delle Prostitute e l’Amministrazione cittadina. L’aiuto per l’uscita dalla prostituzione coatta è certamente un obiettivo eticamente lodevole. Tanto lodevole, però, quanto quello di favorire il benessere nella prostituzione e di operare per ridurne gli effetti negativi sulla popolazione. Il primo obiettivo non dovrebbe escludere il secondo e viceversa. Nei fatti però si è verificata, e si verifica, una dicotomia. Perché si è operata una differenza tra le prostitute “per scelta” che non possono essere mai e in nessun caso quelle che lavorano in strada e le prostitute “coatte”, quelle che per definizione lavorano per strada. Gli obiettivi solidaristici per favorire l’uscita dalla prostituzione delle coatte tendono a predominare su quelli per renderne l’esercizio 70 quanto più agevole e ordinato possibile. Ma è una vana contrapposizione che produce una situazione schizoide. Se la gestione della questione prostituzione di strada è affidata all’intervento sociale prevalentemente solidaristico, che si ritaglia il suo spazio assai più agevolmente nell’ “aiuto alle prostitute vittime del racket” piuttosto che nella progettazione di una gestione della prostituzione civile e concordata, se all’intervento sociale non si dà contemporaneamente una progettualità politica più ampia, gli obiettivi che si realizzano sono esigui e precari. E soprattutto non si riesce a perseguire una efficace politica di riduzione del danno che “calmi” gli animi dei cittadini, dia ordine all’assetto prostituzionale e faccia - contemporaneamente stare bene, o il meglio possibile, chi si prostituisce. Inoltre l’efficacia dei progetti sulla prostituzione, laddove essi sono sbilanciati nell’ “aiuto” alle prostitute è assai difficile da quantificare. Un esempio di quantificazione che dà l’idea di quanto lavoro, passione, investimento sia dietro cifre oggettivamente esigue è il consuntivo dell’anno 1995/96 presentato dall’associazione di volontariato On the Road, che opera a partire dall’Abruzzo (Riviera adriatica) ed è senz’altro la più accreditata associazione italiana di volontariato che lavora sulla prostituzione. Attraverso il lavoro di prevenzione sanitaria, l’informazione su questioni giuridiche, penali, ecc., la consulenza psicologica gratuita, l’accompagno ai servizi pubblici, sono state contattate circa 120 giovani prostitute. Per 25 ragazze sono state approntate “gestioni d’emergenza” (accoglienza, aiuto al rimpatrio ecc.). Per 16 ragazze che hanno lasciato la stra71 da è stato possibile l’inserimento in stage e iniziative culturali (l’insegnamento della lingua Italia, per esempio). Dodici, infine, sono state avviate al lavoro “normale”, utilizzando gli strumenti del DDL di regolarizzazione degli immigrati. La questione, ripeto, non è quella di denigrare i progetti sociali così impostati. Essi, anzi, oltre a coprire bisogni di cura che altrimenti resterebbero insoddisfatti, producono relazioni forti tra esseri umani e sono dotati di un sano pragmatismo. Il fatto è che: Il problema è la gestione della prostituzione Insisterei sul fatto che le politiche sociali, finanziate dagli Enti Locali, dalle Regioni e spesso con il concorso della Comunità Europea, fioriti un po’ dovunque, non riescono a conseguire un assetto prostituzionale durevole e migliorativo delle condizioni di un dato quartiere, zona, territorio per una ragione molto semplice: manca la volontà degli Enti Locali (e conseguentemente la delega a progetti ad hoc) a gestire direttamente i luoghi di prostituzione. Mi spiego di nuovo con due esempi che ho potuto osservare con i miei occhi. A Rimini il progetto “Città sicure”, diretto da Massimo Pavarini, ha lavorato nell’estate del 1996 con lo scopo di mappare il territorio e con l’obiettivo ambizioso di equilibrare la pedonalizzazione del lungomare, che implicava la cacciata delle prostitute (operazione che negli anni precedenti era stata compiuta da forze dell’ordine e vigili urbani) con la costruzione di relazioni molteplici per arrivare a una soluzione concordata del necessario spostamento. L’idea era quella di far dialogare gruppi di prostitute, gruppi di cittadini e cittadine, Ente Locale e 72 strutture amministrative per spostare in zone più congrue il commercio sessuale. Dopo la mappatura (che ha prodotto dati assai interessanti che, tra l’altro, demoliscono la presunta “infestazione” estiva di Rimini da parte delle prostitute), la seconda parte del progetto, quella per individuare zone da dotare di strutture, servizi ecc. non è stata attuata. A Modena, come nelle principali città emiliano-romagnole, sono operativi una serie di progetti sulla prostituzione che qui non sto a enumerare. Pur tuttavia esiste una zona di prostituzione, nella località La Bruciata, all’uscita dell’autostrada da Bologna, additata come un vergognoso esempio di lupanare a cielo aperto. Interessata a questo luogo dopo aver letto un articolo del Giornale che lo descriveva nei dettagli, sono andata a visitarla. Ebbene, alla Bruciata ci si prostituisce in alcune strade piuttosto illuminate, lungo i cui lati sono parcheggiati i TIR che vi stazionano per la notte, a ridosso di un centro commerciale - chiuso di notte - abbastanza lontano dall’abitato. Le prostitute sono soprattutto di colore, e spesso passano qualche ora di riposo in uno dei TIR dei camionisti che sono contemporaneamente loro clienti. Non c’è un gabinetto pubblico, un luogo di ristoro, una rivendita di bibite. Non c’è una pensilina, una panchina. Non c’è una fontanella. Ovvio che - come descriveva il Giornale - le ragazze facciano la pipì accovacciate per terra e si lavino con l’acqua minerale. Ovvio che d’inverno siano intirizzite e d’estate soffocate dall’afa notturna. Ovvio che vi regni un’atmosfera di degrado, ovvio che i clienti della Bruciata siano a loro volta i clienti più degradati che ci siano. L’Ente Locale non interviene. Perché? Perché 73 non può o perché non vuole? Si può, invece, individuata una zona che, per necessità o per forza, diventa zona di prostituzione, provvedere per fornirla di attrezzature mobili, perché si può, da parte di una amministrazione, giustificare questo tipo di intervento come intervento sociale e così mettersi al riparo da una rigida interpretazione della legge Merlin che potrebbe ravvisare in ciò la configurazione del reato di favoreggiamento. Si può promuovere, sempre per motivazioni sociali, la costruzione di un “drop in center” prefabbricato, gestito da volontari o da privati, dove le prostitute possano trovare accoglienza come in un night hospital: per riposarsi, fare una doccia, rifornirsi dalle macchinette dei preservativi, o semplicemente fumarsi una sigaretta in pace. Si può, dunque, civilizzare una zona di prostituzione con strutture mobili e quindi pronte a spostarsi quando esigenze di mercato o di ordine pubblico rendono una zona obsoleta, magari in favore di un’altra che nasce a pochi chilometri di distanza. Zone si, zone no La legge Merlin, come è noto, non prevede la zonizzazione, come invece è previsto dalle leggi europee da Oltralpe in su. E anch’io non auspico la zonizzazione ex legge che, date le tradizioni urbanistico-culturali del nostro paese, probabilmente creerebbe più problemi che soluzioni. Non auspico l’imbrigliamento normativo della libertà di movimento di chi si prostituisce. Inoltre credo che il mercato del sesso, come tutti i mercati, non sopporti di essere 74 regolamentato più che tanto. Ovvero: anche la lotta allo sfruttamento della prostituzione non riceve impulso dalla rigida regolamentazione alla nord europea, visto che in quei paesi lo sfruttamento della prostituzione è tutt’altro che debellato. Però mi sembra assurdo, visto che si possono attivare strumenti di intervento sociale e di governo del territorio, che proprio il sesso commerciale debba essere lasciato a un laisser faire che nei fatti si risolve in delega ai soli agenti della repressione. E voglio aggiungere che la questione delle politiche prostituzionali, sia nella prospettiva italiana che in una prospettiva europea, non si configura più, come a inizio secolo, come uno scontro tra le due opzioni regolamentarismo o abolizionismo. Ovvero tra la regolazione di stato della prostituzione e l’abolizione della medesima. Non c’è più da smantellare l’istituzione del bordello. La partita si gioca quindi tra le nuove forme di regolazione. In Europa le soluzioni sono diverse, da quella liberale alla Olandese, a quella dirigista dell’Austria, dove sono state praticamente ripristinate le “case chiuse”. In questo contesto problematico un paese con la tradizione politica italiana, opportunamente contaminata da un moderno pragmatismo, potrebbe inventare soluzioni di governo dell’assetto prostituzionale libere dal vincolo della legge dello Stato. Invece non succede. Le politiche di destra Succede altro, e cioè che si sono diversificate in forma contrapposta (e sterile) le politiche, oltre i termini di quelle fin qui descritte. Si è 75 verificata una divaricazione tra i progetti delle amministrazioni locali di centro sinistra e quelli delle amministrazioni di centro destra, con la variabile Lega Nord. Gli esempi più significativi sono quelli della città di Verona e della Regione Veneto. Si intitola “Stop alla prostituzione sulle strade e pubblica in genere” la mozione approvata dal Consiglio comunale di Verona nell’ottobre del 1996. La mozione impegna sindaco e giunta di predisporre misure preventive e repressive che si traducono in multe ai clienti motorizzati per intralcio al traffico e alle prostitute per disturbo della quiete pubblica. Allegati alla mozione una serie di ordini del giorno che (naturalmente) impegnano il governo cittadino a lottare più alacremente contro i gruppi delinquenziali che presiedono lo sfruttamento e a predisporre progetti per promuovere l’uscita dalla prostituzione delle coatte. La risoluzione della Regione Veneto è più articolata. C’è uno stanziamento consistente di fondi per il 1997 da destinare a due scopi. Primo, una iniziativa da svolgere in collaborazione con Enti Locali, Unità Sanitarie e associazioni di volontariato per favorire l’uscita dalla prostituzione. Secondo, l’istituzione di un osservatorio permanente di controllo e prevenzione e un progetto di mappatura della prostituzione esistente. Ma ecco la vera novità: c’è una proposta di legge presentata in Consiglio Regionale per la revisione della Legge Merlin e l’introduzione di controlli sanitari obbligatori per chi si prostituisce. Il voto del Consiglio obbligherà il Parlamento a mettere in discussione il progetto approvato alla Regione: un disegno di legge che propone l’abrogazione dell’articolo 7 della 76 legge Merlin che proibisce sia la schedatura poliziesca che il controllo sanitario. Limite delle politiche sociali L’esempio della Regione Veneto - al di là delle conseguenze che potrà avere sul piano nazionale - dice chiaramente del punto morto a cui sono arrivate le politiche sociali. Esse, come ho spiegato, si sono fermate sulla soglia della cura dei soggetti che si prostituiscono senza voler affrontare la sfida del governo della prostituzione in un ottica di riduzione del danno e di assunzione della prostituzione come un mercato, particolare se si vuole, ma nel quale agiscono soggetti che vanno considerati, quale che sia la condizione coatta in cui si trovano, capaci di scelta e liberi nel movimento. So che questa affermazione può suonare balzana nel momento in cui lo sfruttamento della prostituzione da parte delle organizzazioni criminali sembra il presupposto da combattere ed eliminare, perché riduce le persone che si prostituiscono a schiavi. E so anche che la necessità di regolare l’immigrazione incide sulla libertà umana di movimento che, in teoria, dovrebbe essere un diritto garantito a tutti. Quindi si pensa che liberare chi si prostituisce dall’ “Indegna schiavitù” (titolo di un bellissimo libro di Rina Macelli che descrive ideali e scontri politici nella lotta contro il bordello di Stato dell’Ottocento) sia prioritario rispetto alle questioni di ordine prostituzionale. Ma assumere l’ottica di politica criminale contro i trafficanti di merce umana come prioritaria nel discorso e nelle decisioni sulla prostituzione di strada è molto pericoloso. 77 Prima di tutto perché avalla la divisione tra prostitute “per scelta” e prostitute “coatte” proponendo due regimi di intervento differenti: nessun intervento per le prime (che presumibilmente non stanno mai per strada, ma comode a casa loro, il che tra l’altro, non corrisponde alla realtà), intervento di lotta alla criminalità che le organizza e per distoglierle dalla prostituzione, per le seconde. Secondo, come si legge nella Risoluzione della Regione Veneto, è ormai chiaro che l’ottica solidaristica, intesa come aiuto alle prostitute per uscire dalla rete degli sfruttatori, può essere tranquillamente assunta a base di politiche neoregolamentatrici in senso forte: ripristinare la schedatura di polizia e il controllo sanitario, vietare in prospettiva qualsiasi forma di prostituzione di strada, porre sotto il controllo delle autorità di polizia la prostituzione al chiuso. Questa prospettiva non è solo odiosa dal punto di vista politico Essa è alla fine inefficace. Neo-regolamentarismo o regolazione senza legge? Il controllo totale della prostituzione è un residuo del passato e le politiche regolamentatrici forti, là dove sono in vigore in Europa, devono essere continuamente ridiscusse e rinnovate per tutti i problemi, anche di ordine, che lasciano irrisolti. Il neo-regolamentarismo, che nella mappa europea sembra la soluzione vincente, non risolve la questione dello sfruttamento e riduce i margini di libertà di movimento di chi si prostituisce. Detto questo, vedo però che qui in Italia il problema principale è di uscire da un immobili78 smo, che, alla lunga, dà spazio proprio a soluzioni forti e politicamente regressive. Vedo quindi che le scelte da fare sono due, e che non si escludono a vicenda. 1) Ridiscutere le politiche sociali per la prostituzione di strada e iniziare a sperimentare al più presto assetti prostituzionali nuovi a livello locale, anche forzando la libertà di manovra data dalla legge Merlin che, per la sua impostazione abolizionista, prefigura reati quali il favoreggiamento della prostituzione che, di fatto, limitano qualsiasi forma, anche privata, di autogestione della prostituzione. Nel caso delle politiche sociali, si potrebbe invocare proprio l’autogestione della prostituzione, che la legge Merlin non consente, ma neanche vieta, per iniziare un lavoro di zonizzazione (chiamiamola pure con un altro nome, se questo non ci piace!) concordata con i soggetti che si prostituiscono e garantita da servizi adeguati. 2) Prendere coraggiosamente in mano la legge Merlin e cambiarla. Ma avendo ben chiaro l’assetto prostituzionale che vogliamo promuovere. Per un assetto prostituzionale (valido sia per la prostituzione di strada che per quella al chiuso) che sia mobile, revocabile, rinnovabile, sia secondo le esigenze del mercato (che molto spesso coincidono con quelle di chi si prostituisce) che secondo quelle della sicurezza collettiva, ci vuole una legge sulla prostituzione che. si autoabroghi, arrivando così a decretare la massima depenalizzazione del commercio sessuale. Per la persecuzione dello sfruttamento, reato odioso e da combattere sia nell’interesse della collettività che di chi si prostituisce, si può utilizzare la casistica prevista dal codice penale esistente. Quello che va studiato, e non è facile, 79 è uno strumento legislativo che, per la prostituzione di strada, incrementi politiche sociali rinnovate e fattibili, ideate e controllate localmente, sperimentabili e revocabili se non funzionano, nell’interesse di chi si prostituisce e della collettività. *Roberta Tatafiore è giornalista, è stata per molti anni inviata del mensile noidonne, e collaboratrice del manifesto. Specializzata in questioni riguardanti la sessualità e il sesso commerciale, ha pubblicato nel 1989 (assieme a Stefania Giorgi) Le Nuove amanti, storie di amore e sesso oggi, edito da Lyra Libri, con la prefazione di Anna del Bo Boffino; Tra le principali recenti pubblicazioni: *Sesso al lavoro, da prostitute a sex workers miti e realtà dell’eros commerciale, Il Saggiatore 1994 *De Bello Fallico, storia di una brutta legge sulla violeza sessuale, collana millelire, Baraghini editore 1996 *Tra donne e uomini, storie di amore e di differenza, AA.VV., Il Saggiatore 1997 Attualmente risiede a Roma dove è giornalista freelance. Ha collaborato con la Tsi, televisione svizzera italiana, come autrice di documentari. È autrice dell’Enciclopedia Treccani. 80 I sistemi applicabili alla prostituzione e le politiche prostituzionali in Europa Licia Brussa* Premessa N ella storia moderna delle politiche prostituzionali, a partire dagli inizi del novecento, fino ai nostri giorni, si sono creati 4 regimi che tradotti in leggi, rappresentano i modelli di politica prostituzionale applicati in tutto il mondo. Questi regimi o sistemi, sono nati da diverse tendenze ideologiche e storiche, e sono stati influenzati, durante la loro applicazione da talmente tanti fattori socio-economici, politici, legali, morali, e sanitari, che è difficile darne una immagine schematica. Questa descrizione ci servirà per avere dei quadri di riferimento dove collocare poi l’analisi storico-ideologica sugli sviluppi delle politiche prostituzionali internazionali e le attuali politiche e tendenze. La descrizione dei regimi applicabili alla prostituzione, all’interno della ricostruzione delle ideologie su cui si basano, ci permetterà di vedere in che modo queste politiche sono attualmente in contraddizione o sono ancora all’interno dei paradigmi storici e ideologici passati, e in che modo stanno avvenendo cambiamenti e all’interno di quali tendenze. Si distinguono comunemente i 4 sistemi seguenti: - Regolamentarismo classico 81 - Regolamentarismo senza le case di tolleranza - Abolizionismo - Proibizionismo Regolamentarismo classico In questo regime, l’esercizio della prostituzione è regolamentata dai poteri pubblici. Questo sistema, nato nel periodo Napoleonico, è stato organizzato amministrativamente a partire dalla seconda metà del 1800 in Francia e per questo verrà anche chiamato “il sistema francese”. Esisterà in Francia fino al 1946 e fino alla seconda guerra mondiale è stato il sistema più applicato al mondo. Attualmente solo una minoranza di paesi, applica il sistema regolamentarista classico. La visione dei teorici regolamentaristi riguardo alla necessità di controllo statale sulla prostituzione si basava su tre punti. Il primo è che la prostituzione è un male necessario, che però va conosciuto, studiato e controllato per proteggere il resto della società “sana”. Il secondo è che la prostituzione è vista come la causa principale dei contagi biologici dell’epoca. Il sistema regolamentarista trova nel medico francese Parent-Duchatelet il suo profeta e ideologo. Fu il primo di una corrente di medici che alla fine dell’800 propagarono in Europa l’angoscia delle malattie veneree ed in particolare della sifilide. Angoscia reale vista l’inefficienza dei trattamenti e l’estensione delle epidemie di sifilide. Il terzo punto è che le prostitute formano una “contro società” sotterranea che costituisce una 82 minaccia morale, sociale, sanitaria e politica all’ordine sociale. Lo sforzo di controllo del fenomeno prostituzionale sarà investito nel periodo regolamentarista anche di un fine morale: di emarginazione sociale di questo milieu perché visto come fonte di vizio, di malattie, di cattivo esempio per le donne “oneste” e per l’istituto familiare. Vediamo attualmente che le nuove tendenze neo-regolamentariste ugualmente nascondono o nascono da queste ansie di contagio, o igienico-sanitarie, o di disordine sociale e disturbo di una certa organizzazione sociale o immagine sociale di ordine e sicurezza. Molte delle sommosse popolari di cittadini contro le prostitute di strada spesso hanno alla base questi argomenti: il rischio di contagio (le prostitute portano malattie), l’effetto corruttore della presenza delle prostitute per i propri uomini (mariti e figli), la sicurezza sociale messa in pericolo dal milieu, (criminalità e droga.). E come nel passato l’ansia del “contagio” di epidemie che avrebbero come soggetti pericolosi le prostitute, e quindi la richiesta di controlli obbligatori e di relegazione in luoghi determinati (le case chiuse), vengono giustificate da queste ragioni di tutela sanitaria per la salute pubblica (il resto dei cittadini). Nel passato la sifilide, ora l’AIDS. Quindi nelle politiche del sistema regolamentarista, la prostituzione vista come necessaria per la sessualità maschile, ma pericolosa, doveva essere tollerata, ma direttamente controllata dall’apparato medico ed amministrativo, nelle sue modalità e sviluppi, come opera sanitaria e morale. Principalmente per la difesa della famiglia borghese. 83 La necessità della tolleranza e della sorveglianza si è tradotta nell’elaborazione del sistema regolamentarista , che si fonda su tre regole fondamentali: 1) Bisogna creare circuiti e luoghi di prostituzione chiusi, le cosiddette case di tolleranza, case chiuse, solo per i clienti maschi, invisibili ai bambini e alle “donne oneste”. La chiusura dei luoghi permette di marginalizzare la prostituzione, e di contenere le attività sessuali extraconiugali e l’iniziazione sessuale dei giovani all’interno di questi luoghi, canalizzando quindi la sessualità maschile verso il lecito e l’illecito. È lecito socialmente il sesso mercenario, al di fuori del matrimonio nelle case di tolleranza, è illecita la sessualità extraconiugale non mercenaria e fuori dalle case di tolleranza. Le case chiuse inoltre prevenivano l’effetto scandaloso e corruttore della prostituzione di strada. 2) Questo milieu chiuso deve restare costantemente sotto la sorveglianza dell’amministrazione e trasparente per la polizia del buoncostume. La sorveglianza resta uno dei temi fondamentali del regolamentarismo, anche nelle sue forme attuali. 3) Per essere efficacemente controllato questo sistema sociale della prostituzione, in quanto società separata, deve essere rigorosamente gerarchizzato e settorializzato. La storia del periodo regolamentarista sarà quella di uno sforzo continuo per disciplinare le donne pubbliche. La gran nemica del sistema regolamentarista, che poi ne provocherà la fine e ne minerà le basi ideologiche e organizzative, più ancora che l’opposizione abolizionista, sarà la prostituzione clandestina: delle donne non “sottomesse”, e le nuove forme e ordini sociali 84 che nasceranno nell’era dello sviluppo industriale e delle grandi migrazioni internazionali assieme alle migrazioni di donne dalle campagne alle città. I raffronti con il presente sono evidenti. Anche nelle forme attuali di regolamentarismo in Europa il sistema di controllo statale è messo in crisi, come vedremo più tardi, dalle figure nuove nella prostituzione (migranti, irregolari, mobili), cioè da soggetti che sfuggono al controllo della registrazione sistematica. L’emancipazione delle prostitute, come soggetti politici, attraverso le organizzazioni che sono nate negli anni ‘70, è ugualmente un elemento che ha messo in crisi i resti di un sistema regolamentarista, o le nuove tendenze neoregolamentariste. Le prostitute organizzate internazionalmente si sono sempre battute per la protezione dei diritti civili ed umani, contro le leggi discriminatorie e penalizzanti verso le prostitute e contro la criminalizzazione della prostituzione libera. Dagli anni ‘80 le associazioni delle lavoratrici sessuali si sono poste anche come interlocutori politici per i loro governi sui cambiamenti legislativi per decriminalizzare certi aspetti dell’organizzazione del lavoro delle prostitute e in certi paesi per creare un quadro nuovo, che riconoscesse la prostituzione come una forma di lavoro indipendente. Questi movimenti hanno avuto ed hanno una grande influenza anche verso l’opinione pubblica per una discussione sociale sulla posizione delle prostitute e sulla prostituzione nella società, mettendo in crisi l’immagine demonizzata della prostituta come pericolosa per la società e fonte di vizio e corruzione. Inoltre, come nel passato, la prostituzione difficilmente si può canalizzare in una 85 forma per il semplice volere statale o amministrativo. Sempre dagli anni ‘70 si sono sviluppate in tutti i paesi, indipendentemente dai sistemi ufficiali in vigore (regolamentarista o abolizionista, neoregolamentarista o proibizionista) molteplici forme di prostituzione (appartamenti, excort, bars, strada, contatti occasionali nei locali o discoteche, saune...) con una grande diversificazione dei soggetti (donne che si prostituiscono occasionalmente, la prostituzione maschile, transessuale, di travestimento, o donne che si prostituiscono a causa della tossicodipendenza). Così pure c’è una diversità delle forme di fantasie sessuali e contesti nel contatto o della domanda dei clienti di contatti sessuali o a volte solo di compagnia verso queste diverse forme di prostituzione . E infine sempre a partire dagli anni ‘80, la maggiore mobilità di persone nel mondo ha creato due effetti, quello del cosiddetto turismo sessuale e la grande presenza, maggioritaria attualmente in Europa, di prostitute provenienti dai paesi del terzo mondo e, dopo la caduta del muro di Berlino, dall’Europa dell’Est. Questi cambiamenti radicali, sia dei soggetti, sia del mercato del sesso commerciale, hanno in realtà messo in crisi qualsiasi sistema di governabilità della prostituzione, sia il modello regolamentarista che le politiche di matrice abolizionista. E infine, come nel passato, attualmente certe tendenze di cambiamenti nelle politiche in Europa, verso modelli di neoregolamentarismo o di controllo amministrativo dei luoghi di prostituzione, nascono e si sviluppano ugualmente all’interno dei paradigmi che ho citato sopra. Le matrici ideologiche sono cambiate, la traduzione 86 di queste volontà politiche di riconoscimento della prostituzione come fenomeno sociale, esiste, ma la traduzione amministrativa di un modello di intervento pubblico ha la stessa finalità di quelli del passato, quella cioè della governabilità della prostituzione, del suo contenimento in luoghi o zone specifiche da sottomettere a una stretta sorveglianza amministrativa e poliziesca, attraverso un sistema di licenze per i luoghi di prostituzione: ciò sta succedendo in Olanda negli ultimi anni o, attraverso altre forme di regolamenti amministrativi e limiti verso l’esercizio della prostituzione, in altri paesi europei (Germania, Belgio, Danimarca, Svizzera). Parallelamente a queste forme di neo-regolamentarismo si aprono anche altri dibattiti politici in Europa sul fenomeno. Queste tendenze di cambiamento nelle politiche cercano, sulla strada della decriminalizzazione della prostituzione, altri strumenti giuridici per la protezione dei diritti delle persone. Per ritornare all’organizzazione del modello regolamentarista, sempre per comprenderne le politiche e riconoscerne gli elementi attuali rimasti nei paesi che ancora applicano questo sistema , è importante ancora sapere che nel passato l’asse del sistema era “la casa di tolleranza”. Varie misure amministrative regolavano la gestione e presentazione del bordello. L’organizzazione della casa doveva essere gerarchizzata, diretta dalla rappresentante dell’autorità, la madame o tenutaria. La prostituzione femminile deve esser e, secondo le idee regolamentariste, una società di donne, destinata a soddisfare la sessualità maschile, sotto il controllo diretto dell’amministrazione pubblica. 87 Nei paesi a regime regolamentarista attualmente è quasi scomparsa l’interdizione per uomini di gestione di un locale di prostituzione, mentre sono rimaste le figure delle madame che gestiscono, assieme ai proprietari, l’organizzazione del locale e i rapporti tra clienti e prostitute, istruiscono e introducono le nuove arrivate e mediano gli eventuali conflitti tra prostituta e cliente. La figura maschile del protettore, nel passato regolamentarista, era al contrario una figura moralmente reprensibile, autorità maschile che controlla il milieu, ponendosi in alternativa o in rivalità con il controllo poliziesco. Per questa ragione c’era l’interdizione agli uomini della gestione di una casa chiusa, anche se spesso in realtà erano uomini i proprietari dei locali, ed erano spesso uomini gli “adescatori”, cioè le persone che introducevano o accompagnavano e offrivano le ragazze alle tenutarie delle case, o gestivano i passaggi delle donne da un bordello all’altro, da un paese all’altro. L’altro asse principale del sistema era il potere medico, con i suoi controlli, trattamenti, e internamento coatto nei sifilicomi. Inoltre le registrazioni sanitarie svilupperanno un sistema sempre più perfetto, di registrazione nazionale e la schedatura poliziesca sarà sempre più anche quella medica. I famosi libretti sanitari e l’iscrizione nei registri speciali dei ministeri dell’ interno, diventeranno unici e intercambiabili. Una volta entrate in una delle due schedature e con il libretto medico, per una prostituta era praticamente impossibile uscire dal sistema di registrazione per il resto della sua vita. Il ruolo della polizia del “buon costume”, assieme ai medici che devono effettuare i controlli sanitari, è ugualmente chiaro: far rispettare 88 i regolamenti amministrativi, con la minaccia di ritirare la concessione dei permessi di gestione del bordello, sempre secondo il principio che il disordine è condannabile, non l’esercizio della prostituzione. L’esercizio della prostituzione in questo sistema viene tollerato e regolamentato. Le pensionarie delle case di tolleranza (in case che hanno il permesso di gestione), e le prostitute esterne registrate, possono esercitare la prostituzione, ma sono soggette a delle rigide prescrizioni regolamentari. La casa di tolleranza o bordello, è un luogo commerciale destinato alla prostituzione. I proprietari/proprietarie delle case di tolleranza ricevono per loro domanda, il permesso di fare funzionare il locale. Questa autorizzazione è precaria, può essere ritirata senza che l’autorità debba dichiararne i motivi. Non si tratta quindi di un vero sistema di licenze, ma di tolleranza con controllo amministrativo. Questa tolleranza è accompagnata da diverse consegne. Generalmente gli obblighi riguardano l’iscrizione in un registro delle persone che lavorano nel locale, l’obbligo di effettuare i controlli medici alle nuove iscritte e controlli periodici per tutte, a non fare lavorare donne ammalate (con malattie veneree) e minorenni. Inoltre ci sono regole che riguardano i clienti: non possono entrare minorenni e clienti in stato di ubriachezza e se portano armi da fuoco. In caso di risse la tenutaria deve chiamare la polizia, e spesso la vendita di alcolici è ugualmente proibita nel locale. Le prostitute che non lavorano in una casa di tolleranza sono ugualmente registrate; sono in possesso di una carta della polizia dove sono riportate le generalità e il numero delle visite 89 venereologiche a cui sono obbligate a sottoporsi. Nei paesi regolamentaristi il codice penale, anche se non può punire - per seguire la logica del sistema - in una maniera generale, lo sfruttamento della prostituzione altrui, incrimina gli atti di favoreggiamento della prostituzione e prossenetismo aventi come oggetto una persona minorenne o una persona maggiorenne obbligata a prostituirsi attraverso l’inganno, la violenza o altre forme di abuso di autorità o ricatto. Le modalità dei dettagli di questi regimi variano all’infinito, anche in rapporto a periodi storici, e secondo la situazione della prostituzione nel paese. Possono essere più o meno rigidi, tolleranti o repressivi, ma implicano tutti dei controlli amministrativi, e un regolare pagamento delle imposte da parte dei proprietari dei locali di prostituzione. Implicano quindi un atteggiamento attivo da parte dell’amministrazione pubblica, che attraverso i suoi amministratori speciali (polizia del buon costume, medici venereologici e di profilassi,) regolamenta, con regole amministrative il settore della prostituzione. Questo sistema di controllo amministrativo nazionale si realizza attualmente attraverso due forme: un sistema di licenze per i locali e la registrazione e controlli sanitari obbligatori per le prostitute. In Europa questo sistema attualmente è ancora applicato in Austria, Turchia e Grecia ed in altri 10 paesi nel resto del mondo. Nel sistema di regolamentarismo classico, le prostitute vengono iscritte in un registro speciale controllato a livello nazionale dal ministero dell’ interno, attraverso la registrazione polizie90 sca. Spesso nei loro documenti di identità viene nominata la prostituzione come condizione o lavoro, e a volte queste pratiche discriminatorie hanno come conseguenza la perdita di certi diritti civili. In certi paesi islamici (in Turchia ad esempio), una prostituta registrata non può sposarsi legalmente ed è esclusa a vita dall’accesso ad altre professioni. Anche nei paesi che non hanno queste regole estreme, la registrazione all’interno dei registri speciali della polizia ha conseguenze per i diritti alla cittadinanza delle prostitute, e una grande stigmatizzazione ed esclusione sociale. È da notare che il sistema regolamentarista classico non ha impedito la crescita della prostituzione “clandestina”, cioè non registrata e senza licenze per i locali dove si esercita la prostituzione non controllata dallo Stato. Ugualmente in questi paesi la presenza di prostitute migranti che vivono e lavorano principalmente nei locali di prostituzione non registrata, è maggiore che la prostituzione registrata . I due circuiti (il clandestino e il regolamentato), convivono parallelamente, e chiaramente aprono delle contraddizioni sul senso di queste politiche, sul potere statale di governabilità della prostituzione attraverso le regole amministrative e l’intenzione di un controllo totale (amministrativo-sanitario). Si può chiaramente concludere che la logica di questo sistema è completamente inefficace di fronte agli sviluppi attuali della prostituzione e soprattutto di fronte al fenomeno dell’internazionalizzazione della prostituzione e alla presenza maggioritaria in tutti i paesi europei di prostitute migranti ed extracomunitarie. 91 Regolamentarismo senza case di tolleranza Questo regime permette la registrazione delle persone prostitute, ma non, ufficialmente, delle case di tolleranza. Generalmente si tratta di paesi a regime regolamentarista classico, che hanno poi proibito le case di tolleranza, mantenendo il sistema di registrazione delle prostitute. Questo sistema di registrazione è soprattutto per fini di controlli sanitari. Il regime è allora detto neo-regolamentarista. Una amministrazione sanitaria speciale ha il compito della registrazione e dei controlli medici periodici delle prostitute. La polizia interviene per l’esecuzione di misure coercitive. Questa registrazione medica con i suoi controlli sanitari non ha un carattere volontario, ma è obbligatoria per le prostitute mentre il carattere confidenziale è puramente teorico. La Convenzione per la Repressione della Tratta degli Esseri Umani e dello Sfruttamento della Prostituzione, (New York, 1949) enuncia, nell’articolo 6, l’abbandono di tutte le misure discriminatorie verso le persone che si prostituiscono, e l’abolizione di procedure che tendono a mantenere queste persone nella loro condizione di prostitute. L’esistenza di registrazioni socio-sanitarie sono quindi contrarie alla Convenzione del 1949, e impediscono a questi paesi di ratificare la Convenzione, o i paesi che l’hanno ratificata sono in contraddizione con gli obblighi assunti. Si può dire che questo sistema è a metà cammino tra il regolamentarista e l’abolizionista. In Europa vengono ancora effettuati controlli sanitari obbligatori per prostitute nella maggior parte delle regioni (Länder) in Germania, e 92 naturalmente nei paesi soprannominati, a sistema regolamentarista. Questi sistemi di registrazione e controlli sanitari obbligatori per prostitute si sono dimostrati inefficaci dal punto di vista della protezione della salute pubblica. In Atene ad esempio circa 400 donne sono registrate come prostitute e sottoposte ai controlli sanitari coatti, mentre il numero di prostitute non registrate viene stimato a più di 5.000. In Germania approssimativamente 50.000 lavoratrici sessuali sono registrate e si sottomettono alle regole imposte dalla legge nazionale sui controlli obbligatori per prostitute (questo ancora una volta dipende poi dai regolamenti dei vari Länder in Germania), mentre il numero totale di prostitute in questo paese viene stimato globalmente a più di 150.000. Considerando poi che la prostituzione mobile e straniera spesso sfugge a una possibilità di stima e non ha ugualmente nessuna forma di registrazione nei servizi pubblici sanitari, possiamo vedere come sia irrisoria la pretesa di controllare in modo coatto e obbligatorio le persone che si prostituiscono. Inoltre da anni esperienze epidemiologiche sul terreno della prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale dimostrano l’inefficacia di questi metodi, mentre diverse direttive della Organizzazione Mondiale della Sanità condannano queste pratiche come discriminatorie e contrarie alle politiche attuali di prevenzione della salute. Abolizionismo Per sistema abolizionista non si intende un 93 sistema che vuole abolire la prostituzione. Quello che si intendeva abolire era la regolamentazione del potere pubblico sulla prostituzione, e quindi il regime regolamentarista. La situazione delle prostitute nelle “case di tolleranza” è considerata dagli abolizionisti come una forma di schiavitù, e il traffico di cui la prostituta è l’oggetto (da un bordello all’altro) come un commercio degli esseri umani. È sulla base di questi due principi, in analogia a quelli che riguardano l’abolizione della schiavitù, che è nato e si è sviluppato il movimento anti-regolamentarista. Da qui il nome Abolizionismo. La paladina di questo movimento di protesta fu l’inglese Josephine Butler che il primo gennaio del 1870, pubblica nel Daily News, un manifesto della Lady National Association, dove si condanna la nuova legislazione inglese regolamentarista. Il regime abolizionista non si caratterizza nemmeno per l’assenza di intervento del potere pubblico verso il fenomeno prostituzionale, condanna però la tolleranza dei locali di prostituzione e la presenza di “libretti” e registrazioni obbligatorie per le prostitute. La prostituzione in sé stessa come fatto non dovrebbe essere punita o ammendata, ma si punisce e proibisce lo sfruttamento della prostituzione da parte di terze persone, e a volte, l’adescamento di clienti. Le idee abolizioniste all’origine vedevano le persone che si prostituiscono come vittime fino ad insistere sulla uguaglianza che la legislazione in materia di prostituzione deve osservare riguardo ai due sessi. Quindi contro la “doppia morale”. Il movimento abolizionista raccoglieva diversi rappresentanti di gruppi sociali e diverse tendenze ideologiche ed ha appassionato e 94 dominato la discussione sulla moralità e l’uguaglianza sociale per più di un secolo. Infatti sia movimenti di carattere religioso che movimenti politico-rivoluzionari (socialista, femminista) parteciparono a questa battaglia internazionale. L’abolizionismo combatte il postulato del regolamentarismo che consiste nel riconoscere la normalità e necessità delle relazioni sessuali extramatrimoniali per gli uomini. Gli abolizionisti elogiavano la continenza, d’accordo con questo principio anche numerosi medici dell’epoca che, al contrario dei medici regolamentaristi, consideravano che la vera igiene deve tendere alla moralizzazione e alla fedeltà coniugale. I leaders della Federazione Internazionale Abolizionista, nata nel 1877, e tuttora esistente, sottolineavano i pericoli del celibato, che porta automaticamente al vizio, alla prostituzione e ai figli illegittimi. Questo abolizionismo proibizionista, che combatte contemporaneamente la schiavitù delle donne sottomesse (le prostitute delle case chiuse) e la tolleranza statale della prostituzione, è la prima matrice di un movimento contro l’accettazione sociale della prostituzione come un male necessario per soddisfare le incontrollabili pulsioni sessuali maschili. Una risoluzione del primo congresso della Federazione dice infatti che “La pratica dell’impurità è reprensibile in modo uguale per uomini e donne.” Qui inizierà quel tema, che poi con vigore sarà sviluppato dalla componente femminista abolizionista, della denuncia contro la “doppia morale”. La componente radical/rivoluzionaria e socialista della Federazione Abolizionista si batterà 95 per la limitazione della funzione dello stato all’interno del sistema regolamentarista, per la garanzia delle libertà individuali, per l’abolizione delle registrazioni delle prostitute e della detenzione come ammenda amministrativa verso le donne “non sottomesse” al regime regolamentarista. La componente abolizionista protestante ed evangelista della Federazione Internazionale Abolizionista fonderà nei vari paesi europei i comitati civili per l’aumento e il ripristino della moralità pubblica e i comitati per la protezione della gioventù. Da questi comitati nasceranno poi le strutture europee contro la tratta delle donne, nei primi anni del novecento, e per la protezione dal pericolo della prostituzione delle giovani donne sole. Case di accoglienza e comitati delle stazioni ferroviarie, che contattavano giovani viaggiatrici e soprattutto ragazze del proletariato o contadine che arrivavano in città alla ricerca di un lavoro. Queste ultime venivano prese in tutela da questi comitati, che per “salvarle dalla prostituzione”, le impiegavano invece come domestiche nelle case borghesi. La rivendicazione dell’abolizione della prostituzione tollerata, sarà all’interno della matrice abolizionista femminista della fine del XX secolo, sempre legata ai diritti delle donne in generale, come l’educazione laica e gratuita, il lavoro, e la morale ugualitaria per i due sessi. L’analisi abolizionista, all’interno di quel periodo storico, ha messo a nudo in modo magistrale i presupposti e le strutture del regolamentarismo, ha provato l’illegalità del sistema cercando costantemente di minarne l’efficacia. Ma per la grande maggioranza dell’opinione pubblica internazionale l’abolizionismo resterà, 96 fino alla prima guerra mondiale, il movimento che si ispira ai grandi principi dei diritti umani, per applicarli, in modo un po’ utopico e religioso, a quel gruppo della popolazione (le prostitute), che ancora non ne può beneficiare. Sarà soprattutto sul tema della “tratta delle bianche” e sull’organizzazione internazionale della lotta contro di essa che gli abolizionisti guadagneranno terreno contro i regolamentaristi, nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica e sul terreno della diplomazia internazionale. Ma nonostante queste vittorie ideologiche sui principi da parte abolizionista, la vera crisi del sistema regolamentarista, come capacità di governo e controllo della prostituzione, fu sancita dai cambiamenti in atto nel mercato stesso, e più in generale nella società. Fu la fine delle regole del milieu e delle case chiuse e l’inizio di una diversa organizzazione commerciale della prostituzione e soprattutto fuori delle case chiuse. Come movimenti di pensiero il regolamentarismo e l’abolizionismo sono in realtà due risposte borghesi alla paura dell’invasione della prostituzione: rappresentano ambedue il bisogno sociale di imporre o salvaguardare l’istituzione familiare e la moralità pubblica attraverso il controllo o la repressione della sessualità extraconiugale. Legati a epoche diverse e a sensibilità diverse sono ambedue fortemente moralizzatori. L’eredità attuale di questi movimenti di pensiero è fortemente presente sia nell’ambito delle politiche prostituzionali e i sistemi di governabilità della prostituzione, che negli accordi internazionali in materia, e nelle definizioni della prostituzione e della tratta. 97 Nel preambolo della Convenzione per la Repressione della Tratta degli Esseri umani e dello Sfruttamento della Prostituzione delle Nazioni Unite del 1949, che ha portato alla revisione di molti codici penali nazionali e all’introduzione e applicazione del sistema abolizionista, si afferma che: “la prostituzione, e il male che l’accompagna, cioè la tratta degli esseri umani, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana, e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia, della società”.1 Se nel sistema regolamentarista le prostitute erano viste come una categoria sociale necessaria ma pericolosa e da marginalizzare e controllare, nel sistema abolizionista le prostitute sono viste come vittime della schiavitù dello sfruttamento sessuale. Inoltre la tratta della persone per fini di sfruttamento sessuale e prostituzione sono in questo concetto, sinonimi e legati a un’unica definizione di condanna morale. L’attuazione del sistema abolizionista varia secondo il paese, ma è sempre basato su questi due principi: la lotta contro il favoreggiamento e l’adescamento, e la protezione del buon costume e dell’ordine pubblico e la lotta contro tutti quei crimini che possono essere associati nella definizione di attentato al pudore delle persone fatto in forma violenta o fraudolenta. La definizione di sfruttamento della prostituzio1 I 58 paesi che l’hanno ratificata hanno dovuto smantellare le strutture amministrative e gli organi specifici per il controllo della prostituzione in coerenza con l’articolo 6 che abolisce qualsiasi forma di registrazione speciale e di regime amministrativo di sorveglianza speciale per le prostitute. 98 ne da parte di terzi coinvolge sia le persone che direttamente approfittano delle entrate economiche legate ad attività prostituzionali, sia altre persone che finanziano queste attività o ne favoriscono l’attuazione commerciale. In questo modo si vuole colpire sia il protettore e i suoi complici, ma anche in generale l’organizzazione commerciale del fenomeno prostituzionale. Il regime abolizionista è attualmente il modello di politica prostituzionale più applicato nel mondo. Se in tutti i paesi con una politica abolizionista la prostituzione individuale è libera, nella pratica l’esercizio della prostituzione anche nelle forme libere viene perseguito, e soprattutto la gestione del lecito e dell’illecito, al di là di quello che il codice penale dice, viene delegato, come modello statale, agli organi di polizia, all’interno dell’area dell’ordine pubblico. O in qualche modo rientra all’interno della discrezionalità delle amministrazioni locali sui limiti e criteri della tolleranza o repressione della prostituzione e dell’applicazione del codice penale, soprattutto nell’interpretazione di cosa è favoreggiamento. Così può succedere che due colleghe prostitute in Francia che dividono assieme i costi di affitto di un appartamento possono essere accusate di favoreggiamento della prostituzione o addirittura il partner di una prostituta può essere accusato di favoreggiamento se accompagna la moglie al posto di lavoro, o se vive con le entrate economiche della moglie che provengono dalla prostituzione. Così pure la zona grigia di altre forme di prostituzione come ad esempio quella dei locali notturni e delle accompagnatrici, viene vista in certi momenti come forma di prostituzione organiz99 zata da terzi e quindi punibile, o in altri momenti viene ignorata o considerata come forma di non prostituzione, ma che rientra all’interno della sfera privata relazionale delle persone. La prostituzione di strada può essere ugualmente soggetta ad ammende e fogli di via per le donne che si prostituiscono. Proibizionismo Il proibizionismo, come l’abolizionismo, condanna la legalità delle case di tolleranza, la registrazione di prostitute e lo sfruttamento della prostituzione da parte di terzi, ma si distingue dal sistema precedente per l’interdizione della prostituzione in quanto tale. Le persone che si prostituiscono sono punite non solamente per l’adescamento in pubblico, ma anche per il solo fatto di prostituirsi. A volte anche i clienti possono essere incriminati. La interdizione della prostituzione può essere sanzionata sia da misure penali che amministrative. In Europa l’Inghilterra e l’Irlanda applicano questo modello; anche negli Stati Uniti, ad eccezione del Nevada, la prostituzione è proibita. Conclusioni Tutti i sistemi prostituzionali si inscrivono nei tre modelli differenti descritti: il modello proibizionista, regolamentarista e abolizionista. Tutti gli stati lottano contro la prostituzione dei minori, contro il prossenetismo, contro la prostituzione coatta e contro la tratta delle persone. Al di là di questi punti fondamentali, le 100 politiche prostituzionali applicate dai diversi paesi seguono i tre modelli tradizionali. Ugualmente si può constatare che questi tre modelli di politiche prostituzionali hanno dato prova di inefficacia nella soppressione della prostituzione ed anche nella protezione delle persone che si prostituiscono. Ma queste politiche non sono statiche e nuovi modelli di politiche prostituzionali sono in discussione. Queste tendenze innovatrici si inscrivono in un tentativo di decriminalizzare le forme di prostituzione libere. Altri tentativi di politiche prostituzionali cercano di attuare delle politiche che senza un ruolo moralizzatore, ma più pragmatico dello Stato, si inseriscano nella realtà della prostituzione attuale. Queste politiche presuppongono una accettazione della prostituzione come un fatto sociale. La prostituzione non viene vista come un fenomeno isolato, un cancro della società, da recidere per proteggere la società “sana”, ma come un fatto intrinseco alle strutture sociali. Un effetto dei rapporti tra i sessi, all’interno di questa società, dove anche la sessualità è un oggetto di scambio e di commercio. Il fenomeno della prostituzione è quindi uno dei tanti effetti della commercializzazione della sessualità, (come certe forme di pubblicità, ad esempio). Anche il riconoscimento della libertà individuale delle persone, e dunque della possibilità che prostituirsi sia una libera scelta, e di usare il proprio corpo come meglio credono, e il diritto alla protezione delle persone che sono state obbligate a prostituirsi da terze persone, o da determinate circostanze, sono due principi di base di queste politiche. Queste “nuove idee”, in realtà sanciscono un diverso ruolo dello Stato, non più “maestro di 101 costumi e protettore della moralità pubblica” (come è all’interno del modello abolizionista), ma garante dei diritti (attraverso il codice penale) di protezione delle persone da forme violente e dallo sfruttamento che ne intaccano la libertà e l’integrità fisica. Il passaggio quindi è quello di non considerare la prostituzione in sè come un male per la società, o come sinonimo di sfruttamento, ma di ritenere che vi possono essere condizioni di sfruttamento e di limitazione della libertà decisionale delle persone che offrono servizi sessuali in cambio di denaro. Su questo terreno si limita l’intervento statale e penale. Inoltre la separazione tra prostituzione per libera scelta, di persone maggiorenni (da rispettare), o per obbligo (da combattere), implica lo sviluppo di due politiche differenziate: - da una parte il riconoscimento della prostituzione come attività commerciale, e la creazione di norme amministrative che regolino questa attività, sia a livello individuale e indipendente sia in altre forme organizzate con più persone o all’interno di locali - dall’altra parte l’elaborazione di misure di prevenzione e difesa delle persone, contro le forme di prostituzione forzata e obbligata. I sistemi prostituzionali sopra descritti formano il quadro generale dei sistemi giuridici e amministrativi che attualmente esistono nel mondo. Questo non significa che non ci siano diverse applicazioni e che non ci siano enormi differenze tra paesi che adottano il sistema abolizionista. In questo caso si può ad esempio vedere la diffe102 renza enorme che esiste tra la politica prostituzionale olandese e quella francese, nonostante il fatto che dal punto di vista giuridico, nei due paesi, come in tutti gli altri paesi che dal dopoguerra hanno adottato il sistema abolizionista (che hanno cioè abolito il sistema delle “case di tolleranza” e il regolamentarismo) sono considerati reati lo sfruttamento commerciale della prostituzione, il favoreggiamento, la prostituzione di minori e la prostituzione coatta di maggiorenni. Per questo è importante fare una distinzione tra sistemi prostituzionali e politiche prostituzionali. Allo stesso modo, quando si parla di politiche prostituzionali negli ultimi cinquant’anni, vanno considerate non solo le enormi differenze di applicazione dei sistemi a livello nazionale, ma anche i periodi e gli sviluppi e le ideologie attorno all’interpretazione del fenomeno della prostituzione soprattutto all’interno di due aree: quello dell’ordine pubblico e della moralità pubblica, e quello dell’aspetto territoriale, cioè che spazio dare o non dare all’interno di un territorio urbano alla prostituzione. Soprattutto all’interno di quest’ultima area ci sono diversi modelli di regolamenti amministrativi comunali che fuoriescono dal quadro normativo delle leggi nazionali abolizioniste, che considerano lo sfruttamento commerciale della prostituzione e il favoreggiamento della prostituzione come reato. Svizzera, Danimarca, Germania, Olanda hanno sviluppato un modello di tolleranza e regole amministrative applicate ai locali di prostituzione, come per le vetrine (Olanda), per i bar (Germania e Belgio), per i sex-club o le saune (Svizzera, Danimarca, Germania, Olanda). In queste forme di prostituzione al chiuso, la gestione, il profitto economi103 co della prostituzione e l’organizzazione della stessa da parte di terze persone (proprietari, managers e gestori dei locali), sono tollerate da parte delle autorità locali anche se in realtà sono punibili secondo le leggi nazionali. Anche la prostituzione di strada in molti paesi europei con un sistema abolizionista è regolamentata da norme amministrative locali. Ad esempio in Olanda, si sono create delle zone nelle grandi città destinate alla prostituzione di strada e rese agibili a questa finalità; la zona viene destinata per ordinanza del sindaco a fini di prostituzione di strada, sviluppata e finanziata dagli amministratori pubblici con modalità fissate: la circolazione del traffico viene canalizzata in circuiti speciali attorno e all’interno della zona; la distanza da centri abitati viene considerata come un punto fondamentale; l’illuminazione all’interno della zona deve essere sufficiente per garantire la sicurezza delle prostitute; deve esserci un centro di servizi notturno per le prostitute, con la presenza di personale sociosanitario; sono stabiliti orari di apertura e chiusura dell’accesso alla zona, solo notturni; a volte ci sono dei sistemi di parcheggi coperti per la macchina del cliente e dove le prostitute hanno il contatto con il cliente. Allo stesso modo in Germania il sistema della “zonizzazione” della prostituzione di strada non è tanto “arredato” e fornito di servizi come le “zone” olandesi, però è regolamentato. Ad esempio le “zone” non si trovano all’interno di quartieri ad alta densità di abitanti e non in vicinanza di scuole ed è permesso prostituirsi solo in certi orari. Alla fine si può ancora dire che anche questi regolamenti comunali non sono omogenei, 104 come non lo sono le politiche nazionali sulla prostituzione, ma spesso si muovono tra un concetto di tolleranza (laissez faire) o di controlli e limiti più repressivi e severi. Anche l’intensità dell’applicazione e del controllo delle regole varia in relazione a fattori e circostanze mutevoli quali ad esempio le esigenze di sviluppo urbano di una città. In una zona tradizionale di prostituzione tollerata e relativamente contenuta o controllata nel suo possibile sviluppo od eccesso, viene ristretta la tolleranza e i regolamenti diventano più severi nel momento in cui quel territorio ha necessità di altri tipi di sviluppi urbanistici o commerciali. Zone considerate come di non disturbo per gli abitanti possono ugualmente poi diventarlo, così pure un’area destinata alla prostituzione di strada, può diventare improvvisamente un nodo centrale nello sviluppo dell’infrastruttura di una grande città, e quindi avere poi un’altra destinazione. Così come zone di vetrine tradizionalmente inserite in centri storici in vecchi quartieri attorno ai porti (Amsterdam, Anversa, Amburgo), possono disturbare lo sviluppo e il risanamento delle case, o la creazione di nuovi centri abitativi e commerciali. Si arriva così a certi paradossi come ad Arnhem, una città in Olanda, dove la zona delle 500 vetrine era integrata in un quartiere particolarmente povero e con vecchie case. Il piano di sviluppo urbano di questa città e l’intervento comunale per il risanamento abitativo di questo quartiere, ha significato che l’amministrazione pubblica ha dovuto contrattare con i proprietari degli immobili dove da 40 anni esistevano le vetrine, dei prezzi di acquisto molto superiori al valore del mercato e contem105 poraneamente garantire che in un’altra zona fuori della città vennisse costruito un quartiere nuovo e nuove case per rimpiazzare le vetrine perse. Questa creazione di un quartiere nuovo a “luci rosse”, su iniziativa e su terreno comunale, è ugualmente un fatto nuovo che pone una amministrazione pubblica di fronte a grandi dilemmi sulle frontiere tra regolamentarismo, abolizionismo, normalizzazione e accettazione della prostituzione come una attività commerciale che deve trovare uno spazio e condizioni adeguate all’interno del tessuto urbano. E ci si può immaginare che non tutti i cittadini sono d’accordo o sottoscrivono questo ruolo cosi prominente della loro amministrazione nella creazione di un quartiere completamente nuovo destinato alla prostituzione, ed aperto a nuovi grossi investimenti di privati. La contraddizione tra le politiche comunali olandesi, che in maggioranza hanno sviluppato dei sistemi che si possono iscrivere nel paradigma neoregolamentarista, (la gestione e la politica della la prostituzione è molto decentrata e le amministrazioni locali hanno storicamente avuto molta autonomia su questo terreno), la legge nazionale sulla prostituzione che è abolizionista (secondo l’articolo 250 del codice penale viene punito il favoreggiamento della prostituzione), e la politica olandese in tema di prostituzione che da più di 10 anni si iscrive all’interno dell’accettazione statale della prostituzione come “fenomeno che esiste e che sempre esisterà” (e che quindi, nelle sue forme libere e coscienti deve essere vista come una legittima attività commerciale o di lavoro, da normalizzare all’interno appunto di un quadro di diritti paragonabili ad altre forme di lavoro indipen106 dente), ed invece la politica di prevenzione e lotta a tutte le forme di prostituzione coatta e di tratta delle persone e di minori, ha portato alla nuova proposta di legge del ministero della giustizia, di legalizzazione della prostituzione e di abolizione dell’articolo sul favoreggiamento, e quindi nella pratica alla depenalizzazione della figura dei proprietari dei locali di prostituzione. Nello stesso tempo, le prostitute in Olanda sono per il 70 per cento donne e uomini o transessuali che provengono da paesi extracomunitari. Questo significa che se la prostituzione viene riconosciuta come una attività che ha un carattere dipendente o indipendente (a seconda delle diverse forme di prostituzione e relazioni di lavoro tra le prostitute e i proprietari dei locali), secondo le severe leggi sull’immigrazione, tutte le persone che non hanno un permesso di soggiorno verranno escluse e considerate doppiamente illegali nella prostituzione. Nella pratica quindi il riconoscimento statale della prostituzione come lavoro (sessuale), sarà riconosciuto e accettato solo per persone autoctone o residenti nella Comunità Europea. Attraverso la concessione di licenze ai proprietari di locali di prostituzione e la regolamentazione che riguarderà la nuova posizione giuridica e lavorativa delle lavoratrici sessuali, sarà proibito ai gestori dei locali (vetrine, clubs) far lavorare nel locale o affittare una stanza (le vetrine) a una persona irregolare, con la sanzione della chiusura del locale. Per quanto riguarda invece il sistema che si sta costruendo amministrativamente per la professione di lavoratrice sessuale, viene esclusa qualsiasi possibilità per una persona extracomunitaria attualmente irregolare nel paese, o che richiede dal paese d’ori107 gine un permesso di soggiorno per svolgere una attività indipendente di lavoratrice sessuale, di poter ottenere un permesso di soggiorno o di lavoro per prostituzione. Vediamo quindi che un esempio di politica prostituzionale molto liberale e senza dubbio pragmatica, ha ugualmente degli aspetti repressivi e discriminatori, nell’applicazione pratica e nelle conseguenze legate a queste scelte politiche in materia. Infine dopo questa complicata rassegna sulle politiche e sui sistemi prostituzionali in Europa, tra il vecchio e il nuovo, possiamo con sicurezza concludere che qualsiasi sistema è attualmente in crisi, che tutti i paesi europei cercano soluzioni pragmatiche di normative amministrative, o ricercano e studiano possibilità di cambiamenti nelle politiche prostituzionali. Il paradigma neoregolamentarista e quello abolizionista continuano ad esistere parallelamente come nel passato, e nelle politiche si influenzano, come abbiamo già rilevato. Come nel passato, il grande dibattito internazionale contro la tratta delle donne è sempre di più l’elemento dominante nello sviluppo delle politiche prostituzionali. Così pure è accesa la lotta internazionale sulle definizioni e sull’interpretazione del fenomeno. Inoltre i paesi che stanno seguendo una strada indirizzata verso la tolleranza dell’aspetto commerciale della prostituzione e la creazione di un quadro giuridicoamministrativo per la depenalizzazione della prostituzione organizzata da terze persone, si trovano a dover entrare in contraddizione con le leggi nazionali sull’immigrazione per quanto riguarda le normative sulla concessione di un permesso di lavoro per cittadini extracomunitari. 108 Il mercato della prostituzione resta nella realtà internazionale una forma di attività commerciale in continua evoluzione, flessibile, rapidamente mutabile. Naturalmente come in tutti i settori di servizi informali di carattere privato (la prostituzione libera è alla fine un contratto privato tra due persone che stabiliscono che in quel luogo e in quel momento avviene uno scambio accordato tra i due soggetti: certi tipi di servizi sessuali in cambio di denaro) la prostituzione è fonte di reddito e di sopravvivenza per tutta quella popolazione che emigra dal proprio paese alla ricerca di risorse economiche e sociali nei paesi più ricchi. La prostituzione quindi diventa anche un termometro sociale, un catalizzatore e indicatore di cambiamenti economici e sociali nel mondo, di idee, costumi, relazioni umane e modi di comunicazione. Infine, storicamente, i cambiamenti all’interno del sistema prostituzionale sono sempre più rapidi dei cambiamenti politici o ideologici sulla prostituzione. Questi ultimi in qualche modo rincorrono sempre le reali trasformazioni e le nuove forme del fenomeno o cercano di riposizionarsi rispetto ai soggetti nuovi all’interno della prostituzione, come in questo momento sta succedendo verso le prostitute immigrate che ugualmente o vengono viste come vittime schiavizzate e sfruttate, o come vittime della povertà o semplicemente come soggetti sovversivi e “illegali” da scacciare. Considerando che la prostituzione oggi è strutturalmente un fenomeno internazionale nella popolazione, nei circuiti e nella sua organizzazione (e in questo momento non mi riferisco alla rete organizzata dei trafficanti, ma alle “multinazionali dell’industria sessuale”, formate 109 da estese reti di persone che hanno grossi interessi commerciali nel settore dell’industria del sesso) e considerando altresì che la mobilità delle prostitute migranti è sempre più in aumento al pari delle reti transnazionali, e che questi fatti e cambiamenti ancora una volta rispecchiano o sono la conseguenza di relazioni socio-economiche nel mondo (di classe, di genere, comunque effetti della globalizzazione), è estremamente limitativo in questo momento storico pensare a dei cambiamenti nelle politiche prostituzionali o nei sistemi prostituzionali a solo carattere locale o nazionale. Questa sarebbe una illusione di governabilità di area geografica (la propria città, il proprio centro storico o la propria regione), così limitata come l’utopia regolamentarista di governo e controllo statale della prostituzione, o l’utopia abolizionista secondo cui la politica delle buone intenzioni è sufficiente ad eliminare o prevenire la prostituzione. Oltre quindi a una dimensione europea e internazionale nella discussione e nello sviluppo di linee comuni nelle politiche prostituzionali, e alla necessità di un approccio interdisciplinare delle politiche di intervento, è anche importante che a livello nazionale si rivedano i sistemi prostituzionali e soprattutto si abbandoni il paradigma passato che vede il diritto penale come il principale strumento di intervento verso la prostituzione. La revisione di questi sistemi può anche portare alla decriminalizzazione della prostituzione per una maggiore efficacia e chiarezza del diritto penale per i reali reati di sfruttamento della prostituzione altrui e della prostituzione coatta. Insomma creare una chiara linea demarcatrice 110 tra gli atti di criminalità reale, di violenza, abuso e ricatto nella prostituzione e ciò che invece non lo è (ad esempio le forme di organizzazione del lavoro o certi aspetti commerciali dell’organizzazione del lavoro, come per quanto riguarda la prostituzione in appartamenti o altre modalità al chiuso). Questa chiarezza di definizione serve appunto ad avere realmente strumenti giuridici più efficaci per proteggere le prostitute da situazioni di sfruttamento e dipendenza e per creare una possibilità di normalizzazione della prostituzione all’interno della società. *Licia Brussa è coordinatrice europea e per l’Olanda del progetto TAMPEP dal 1993, da 15 anni è impegnata in attività di studio e ricerca e nell’elaborazione ed attuazione di programmi ed iniziative a livello internazionale nell’ambito della prostituzione migrante. Nel 1991 ha lavorato per il Consiglio d’Europa al Seminario sulla lotta contro la tratta delle donne e la prostituzione forzata come violazione dei diritti e della dignità umana organizzato dal Comitato Europeo per le Pari Opportunità. È inoltre consulente per diverse agenzie internazionali, tra cui il Gruppo di lavoro sulle forme contemporanee di schiavitù presso le Nazioni Unite e l’OMS U.N. AIDS a Ginevra. 111 112 Gli interventi Vincenzo Castelli A ffrontare il tema delle azioni possibili da attivare, (a partire da quelle già sperimentate e messe in campo) nell’ambito della prostituzione, è certamente complesso. Infatti la concezione teoretico-filosofica attorno al fenomeno “prostituzione”, il suo impatto con il contesto sociale, le sue ricadute politiche e rappresentative determinano atteggiamenti, posizioni, stigmatizzazioni, elaborazioni con conseguenti strategie d’intervento e pratiche sociali ben marcate e definite. Vanno pertanto a coesistere modelli, metodologie, strategie e modalità di intervento differenti ed, in alcuni casi, contrapposti. Diventa difficile allora muoversi in questi meandri poliedrici ed offrire alcuni modelli di azioni strutturate ed armoniche. Pur con tutti i limiti rappresentati dall’incasellare in alcuni filoni un’area di intervento sociale relativamente giovane ed in evoluzione quale il lavoro nell’ambito della prostituzione, credo si possano individuare alcuni modelli di orientamento (diversificati appunto per le prassi di intervento, i riferimenti teorici, gli obiettivi, la formazione degli operatori) che sembrano ispirare le diverse epistemologie e pratiche sociali. Proviamo a costruire tali azioni a partire da alcuni indicatori di riferimento: 113 1. IL MODELLO DI RIFERIMENTO. Intendiamo con ciò la concezione originaria che si ha del fenomeno “prostituzione”, l’elaborazione agita, i sistemi-lettori da cui si guarda il mondo della prostituzione. 2. GLI OBIETTIVI Intendiamo definire quali siano le finalità delle azioni. 3. LE AZIONI TIPO Intendiamo articolare un modello tipo in grado di presentarsi nella sua consistenza di prototipo: un intervento consolidato, sostenibile e ripetibile. La griglia che proponiamo, di seguito, cerca pertanto di indicare quali siano le azioni agite o agibili rispetto alla “perturbazione” attivata dal fenomeno della prostituzione di strada. Presenteremo in tal senso n.11 azioni tipo, che pensiamo possano dare un’idea, pur se compressa, delle possibili iniziative avviabili nel settore. Tale descrizione offre modelli schematici (che poi saranno sviluppati nella seconda parte all’interno del capitolo sulla progettazione): alcuni correlati ed armonici, altri diversificati ed antitetici, spesso in contrapposizione tra loro. Non è nostra intenzione (non è questo certamente l’ambito più adatto) di dare un giudizio di valore e di validazione dell’uno piuttosto che dell’altro modello. Vogliamo solo offrire un spaccato sufficientemente ampio delle azioni possibili nell’ambito della prostituzione di strada. 114 Modello PREVENZIONE SANITARIA. di Tale modello, avviato in riferimento Europa in particolare dalle reti EUROPAP e TAMPEP, ritiene significativo un intervento, verso il target delle prostitute di strada, centrato su azioni di prevenzione sanitaria. Tale modello, lungi dall’essere etichettato come univocamente sanitario, permette ovviamente di poter lavorare, in maniera positiva, con il target di strada. Obiettivi - Diffusione di informazioni sanitarie mirate al cambiamento dei comportamenti relativi alla prevenzione e alla profilassi igienico-sanitaria. - Creazione di contatti e dinamiche relazionali con il target. - Garantire la fruibilità da parte del target del diritto alla salute e facilitare l’accesso ai servizi sanitari. Azione tipo - Diffusione di informazioni nelle varie lingue del target relative soprattutto alla prevenzione da HIV e delle Malattie a Trasmissione Sessuale. - Accoglienza della domanda di cura sanitaria del target. - Accompagnamento del target ai servizi. 115 Modello LAVORO DI STRADA E RIDUZIONE di DEL DANNO riferimento Tale modello, riferito in genere ad altri target (ad es. tossicodipendenti), viene applicato anche al mondo della prostituzione di strada. Tale orientamento è mossoprevalentemente dall’urgenza di offrire azioni che riducano il rischio. Parole d’ordine di tale approccio risultano essere la limitazione o la riduzione del danno ed il concetto di rischio. Obiettivi - Avvicinare il mondo della strada al mondo dei servizi per migliorare le condizioni di vita del target e ridurre i rischi. - Attivare un’analisi dinamica della distribuzione del fenomeno della prostituzione di strada, della composizione del target e della sua mobilità. - Avviare un lavoro di osservazione, mappatura, approccio, costruzione e stabilizzazione di relazioni significative con il target. - Avviare una integrazione con la rete dei servizi ed i soggetti sociali del territorio in cui si opera. - Raccordo con osservatori territoriali, provinciali, regionali e nazionali. Azione tipo - Analisi di rilevazione primordiale sul fenomeno della prostituzione presente sulla strada. 116 Rilevarne i flussi, le mobilità, le correlazioni. - Catalogazione delle progettualità, delle azioni, dei servizi, delle procedure agite verso tale target. - Attivazione di unità di strada (con presenza di educatori/educatrici, mediatrici culturali, educatrici pari). - Avvio di un lavoro di contatto e di relazione con il target mediante azioni diversificate (adeguamento dell’unità mobile utilizzata per le uscite di strada, quale spazio di scambio immediato ed itinerante, creazione di un “Drop in center”, quale spazio di incontro tra operatori di strada e target). - Raccordo con gli interventi di accoglienza per l’uscita da situazioni di prostituzione forzata. - Realizzazione e aggiornamento di mappe territoriali. - Report del lavoro dell’unità di strada su contatti e bisogni del target. Modello GRUPPI DI AUTO-AIUTO di Tale modello nasce dal filone riferimento di intervento sociale denominato “self-help”. Si tratta di dare una forte valorizzazione al ruolo che può avere un gruppo sociale che, a partire da alcuni problemi convissuti, può attivare un sistema di aiuto, 117 di condivisione, di superamento dei problemi all’interno del gruppo stesso o attraverso alcuni membri del gruppo (ad esempio la figura degli operatori pari) Obiettivi - Possibilità di conoscenza del fenomeno della prostituzione a partire da attori sociali competenti appartenenti al target. - Attivazione di interventi adeguati e significativi in grado di cogliere la domanda del target e di dare risposte conseguenti. - Inserimento nell’ambito del lavoro sociale di operatrici pari in grado di attivare una costante azione di contatto e di mediazione sociale. Azione tipo - Creazione di un modello di intervento in cui possa inserirsi la figura dell’operatrice pari (come coinvolgere - chi coinvolgere per quale lavoro - con quali vincoli). - Creazione di un modello formativo per potenziali operatrici pari. - Inserimento della figura dell’operatrice pari nell’unità di strada. - Attivazione di interventi specifici di contatto e di relazione con il target mediante la figura dell’operatrice pari. Modello ACCOGLIENZA E PRESA IN CARICO di Tale modello nasce a partire riferimento dalla forte emersione del feno118 meno della tratta, dello sfruttamento a fini sessuali. A fronte di questa situazione è stato attivato un modello di “uscita”, di presa in carico, di accoglienza di ragazze prostitute o prostituite che chiedono un aiuto per sfuggire al racket ed agli sfruttatori. Tale modello è stato costruito ed avviato in particolare all’interno del mondo cattolico (Caritas Italiana, Comunità Papa Giovanni XXIII) ed altresì all’interno dei movimenti di tutela delle donne. Obiettivi - Analisi del fenomeno della tratta e dello sfruttamento presente nel territorio. - Definizione della tipologia della persona prostituita. - Creazione di una rete di risorse (per l’accoglienza, la presa in carico, la socializzazione). - Particolare attenzione al mondo dei protettori e al loro coinvolgimento nel fenomeno della criminalità organizzata. - Raccordo con le reti di tutela e di sicurezza (Forze dell’Ordine Questure - Tribunali). Azione tipo - Organizzazione di un’equipe di pronta accoglienza per contattare, accompagnare, inserire ragazze prostitute in uno spazio di accoglienza riservato e tutelato. - Creazione di una rete di spazi diversificati per l’accoglienza. 119 -Definizione e creazione di una rete di risorse (medici, avvocati, psicologi, assistenti sociali...). - Creazione di un gruppo di lavoro tecnico-gestionale in grado di dare risposte ad alcune emergenze (permessi di soggiorno, documenti, rapporti istituzionali, rapporti di lavoro). - Definizione di rapporti bilaterali costanti con realtà positive e significative dei paesi di origine delle ragazze accolte. Modello FORMAZIONE PROFESSIONALE di ED INSERIMENTO LAVORATIVO riferimento Tale modello nasce dalla consapevolezza di dover attivare, p e r le ragazze prostitute, percorsi di autonomia progressiva e di alternativa al lavoro sulla strada. La formazione professionale può essere un primo passo per acquisire capacità e competenze spendibili nel mercato del lavoro italiano. L’inserimento lavorativo rappresenta il punto di arrivo di tale processo di autonomia. Obiettivi - Permettere l’avvio di un processo di normalizzazione personale della ragazza prostituta. - Attivare l’acquisizione di capacità e competenze per un inserimento professionale nel mercato del lavoro italiano. - Individuare la tipologia del pos120 sibile settore di inserimento lavorativo a partire dalle attitudini e capacità espresse dalle ragazze nell’itinerario formativo. - Creare, nella ragazza uscita dalla prostituzione, una cultura dell’inserimento lavorativo come tappa fondamentale di un processo di autonomia personale. - Attivare un percorso strategico di modalità progressive e differenziate di inserimenti lavorativi (ergoterapia, tirocinio in azienda, stages aziendali, borse lavoro, apprendistato, part-time). Azione tipo - Creazione di un’equipe capace e competente nella progettazione di interventi formativi (a livello regionale, nazionale ed europeo), e nel reperimento di fondi e risorse economiche per avviare sperimentazioni formative e per individuare misure di sostegno (borse lavoro, salario d’ingresso garantito per un tempo definito, trasporto e mensa fruibili, servizio di kinderheim...) in grado di permettere un inserimento “possibile” delle ragazze nel mondo del lavoro. - Analisi del mercato del lavoro locale ed individuazione delle nicchie di mercato compatibili e fruibili dalle ragazze. - Creazione di uno sportello di negoziazione sociale (con Ufficio Provinciale del Lavoro, Agenzie 121 per l’Impiego, Associazioni di Categoria...) e di informazione sulle occasioni di lavoro presenti sul territorio. Tale sportello deve curare in maniera particolare le nicchie di mercato cosiddette “invisibili” (servizi alle persone, assistenza domiciliare, lavori stagionali...) che molto spesso risultano interessanti per le ragazze stesse. - Creazione di una rete di imprenditori in grado di supportare il percorso di inserimento lavorativo. Modello ZONING di Questo modello nasce dalla riferimento necessità (valutata tale per alcuni) di concentrare in una determinata e circoscritta “zona” del territorio e della città la presenza della prostituzione di strada. Questo modello è stato sperimentato in particolar modo nelle città e in territori del Nord Europa (in particolare in Olanda, Belgio e Germania) con la creazione dei famosi “quartieri a luci rosse” (vedasi il “Modello Amsterdam”). Oggi questo modello di zonizzazione, molto dibattuto e controverso, è di fatto presente (creato a volte dallo stesso target) in alcuni territori e città anche italiane. 122 Obiettivi - Contenere e delimitare, in termini di politica urbana, un fenomeno, come quello della prostituzione di strada, in genere frammentato e disseminato sull’intero territorio urbano. - Attivare una politica di cittadinanza che permetta la riduzione della protesta popolare. - Determinare una riduzione del senso di insicurezza sociale che è spesso presente (in alcuni casi anche realmente tangibile e visibile) nei quartieri dove è presente il fenomeno della prostituzione di strada. Garantire alle donne che si prostituiscono maggiore tutela sociale, garanzia ed offerta di servizi (sanitari, abitativi, strutturali...). Azione tipo - Analisi e ricerca-intervento sul fenomeno della prostituzione di strada su un determinato territorio o città. - Individuazione dei flussi, della mobilità, della penetrazione territoriale del fenomeno. - Individuazione della divisione già presente all’interno del target: per etnia (ad esempio tra italiane ed extracomunitarie o tra extracomunitarie ad esempio tra albanesi, nigeriane e russe); per sesso (ad esempio tra donne e transessuali). - Individuazione di un’area territoriale compatibile (occorre ovvia123 mente definire gli indicatori di compatibilità; ad esempio: assenza di punti critici rilevanti, zona demarcata e definita, zona sufficientemente decentrata, zona non isolata, zona con servizi fruibili, rete stradale praticabile, arredo urbano presente...) per tale sperimentazione di “zonizzazione”. - Attivazione di strategie di connessione per avviare questa esperienza (lavoro sul target, lavoro sul contesto strutturale dei servizi e dell’arredo urbano, lavoro di comunità con i cittadini...). Modello INTERVENTO DI COMUNITÀ di Tale modello è legato alla trariferimento dizione ed ai riferimenti della psicologia di comunità e che vede il luogo e l’azione nella strada come parte di un processo di sviluppo complessivo della comunità locale, volto all’assunzione (modello “Community care”) da parte dei cittadini dei problemi e delle soluzioni legate alla sicurezza sociale, alla vivibilità delle aree urbane ed al senso di appartenenza, di partecipazione e di cambiamento in una comunità. Tale filone è molto critico rispetto a modelli di tipo repressivo e riparatorio. Infatti qui viene data la centralità al concetto di “empowerment”. 124 Obiettivi - Creazione di una comunità locale in grado di cogliere e agire su: “invarianze” strutturali presenti nel proprio territorio, i modelli di rappresentazione sociale, i rapporti causa-effetto, i target forti e i target deboli, la gestione del potere, la pressione dei gruppi sociali, il ruolo delle minoranze attive, i rapporti tra bisogni, risorse e servizi, la capacità di armonizzare domanda sociale ed offerta sociale. - Creazione di una comunità competente in grado di elaborare processi di mediazione dei conflitti sociali che si manifestano attorno al fenomeno della prostituzione. Azione tipo - Elaborazione di un modello di formazione per operatori di comunità e di mediazione sociale in grado di poter offrire ai propri territori in seno alle proprie comunità locali una referenzialità ed un accompagnamento costante nell’azione di empowerment sociale. - Attivare un “osservatorio di comunità” in grado di rilevare, in tempi costanti e definiti, l’evoluzione dei fenomeni “perturbativi”, la loro persistenza nel tempo, le “invarianze” fenomeniche, l’evoluzione delle rappresentazioni sociali nella comunità. - Elaborazione di uno spazio di 125 confronto costante nella comunità territoriale tra i soggetti della prostituzione, i servizi, i cittadini e le cittadine. - Interventi specifici sulla rappresentazione sociale del fenomeno della prostituzione di strada nel territorio. - Interventi di comunicazione sociale rivolti in particolare ai clienti. Modello AZIONE DI NETWORK di Tale modello nasce all’interno riferimento della valorizzazione delle reti come processo di sviluppo del contesto sociale. In particolare tale modello trae origine all’interno della “network analisys” (di derivazione sociologica) che vede nel modello delle reti una grande risorsa per avviare processi di cambiamento sociale. Obiettivi - Definizione del ruolo, delle potenzialità, delle interrelazioni, dell’incidenza delle organizzazioni sociali nell’intervento sulla prostituzione. - Creazione, all’interno delle reti, di una cultura di approccio al fenomeno della prostituzione di strada. - Creazione delle modalità di raccordo ed integrazione dell’azione locale con quella regionale, nazionale ed europea. 126 - Creazione di un sistema di raccordo ed integrazione delle diverse azioni intraprese nella città nell’ambito della prostituzione. - Integrazione delle diverse tipologie di intervento. Azione tipo - Attivazione di un censimento analitico sulle organizzazioni sociali che operano nel campo della prostituzione, sui progetti specifici da esse avviati, sulle diverse modalità di intervento da esse agite, sulle loro modalità di comunicazione. - Creazione di una banca dati fruibile che sia in grado di offrire schede analitiche sulle organizzazioni sociali (nelle modalità sopra esposte). - Creazione di un modello di formazione a distanza che permetta un processo di formazione continua tra le organizzazioni sociali operanti nel settore. Tale sistema potrebbe avviare uno spazio telematico di informazione e di scambio tra organizzazioni attivando un sito Internet e creando pagine Web. - Avvio di percorsi formativi in grado di offrire alle organizzazioni capacità e competenze congrue, unitamente ad un minimo comune denominatore per un intervento integrato nell’ambito della prostituzione. 127 - Organizzazione di seminari di scambio e di confronto con le realtà regionali, nazionali ed europee che lavorano nel campo. Modello AZIONI CON I PAESI D’ORIGINE di Tale modello cerca di dare riferimento una lettura del fenomeno della prostituzione non in maniera univocamente sintomatica (il fenomeno della prostituzione che si vede nelle nostre città) ma cercando di cogliere anche i nessi causali (il perché di questo lavoro, il retroterra personale e contestuale delle ragazze). Per fare questo diventa fondamentale il rapporto diretto e costante con i paesi d’origine delle ragazze . Pur se non facile tale raccordo permette di cogliere molti elementi significativi in grado di offrire maggiori chances alle ragazze stesse. Obiettivi - Cercare di cogliere il retroterra contestuale (situazione socioeconomica, concezioni sociali e culturali, atteggiamenti e comportamenti, vincoli, lingua...) dei paesi d’origine delle ragazze che arrivano in Italia per prostituirsi. - Creazione di un rapporto interfacciale correlato tra paese d’origine della ragazza e paese di esercizio della prostituzione. 128 - Creare le premesse per avviare nei paesi d’origine azioni pilota in grado di non permettere progressivamente l’abbandono endemico del proprio paese verso facili mete (paesi occidentali) e di verificare le possibilità di un progressivo rientro “soft” delle ragazze già emigrate. Azione tipo - Attivazione di una analisi strutturale (condizioni socio-economiche, legislazione sociale presente, forze politiche e sociali contattabili, modalità comunicative...) sui paesi d’origine delle ragazze emigrate in Italia per esercitare la prostituzione. - Attivazione di un censimento analitico sulle organizzazioni non governative (ONG) che operano in tali paesi d’origine, sui progetti specifici da esse avviati, sulle diverse modalità di intervento da esse agite, sulle loro modalità di comunicazione. - Creazione di una banca dati fruibile che sia in grado di offrire schede analitiche sulle organizzazioni non governative (nelle modalità sopra esposte).Tale banca dati potrebbe offrire altresì informazioni, mappe, indirizzi, istituzioni presenti nel paese d’origine. - Organizzazione di seminari di scambio e di confronto con le realtà regionali, nazionali ed 129 europee che lavorano nel campo. - Creazione di un rapporto di partenariato costante tra gli attori (attivazione di progetti finanziati dall’Unione Europea). Modello CONTROLLO SOCIALE di E REPRESSIONE riferimento Tale modello fonda la sua concezione sulla necessità di garantire l’ordine pubblico messo in crisi dal target ed in particolare utilizzando strumenti di controllo sociale e di repressione. Obiettivi - Garantire il controllo dell’ordine pubblico, da parte delle forze dell’ordine (polizia e carabinieri) in particolare nelle aree dove viene esercitata la prostituzione di strada. - Garantire la sicurezza dei cittadini che chiedono maggiori forme “visibili” (controllo e repressione) di presenza delle forze dell’ordine. - Esercitare una forma di dissuasione della presenza del target sulla strada. Azione tipo - Controllo dei documenti e “stato di fermo” delle prostitute - Applicazione del divieto di sosta sulle strade dove lavorano prostitute. - Controllo delle targhe dei clienti ed invio di tale segnalazione alla famiglia (azione dissuasiva). 130 - Controllo della flagranza dell’atto prostitutivo e sequestro dell’automezzo come corpo di reato. Modello AUTARCHIA POPOLARE di Questo modello nasce dall’eriferimento mergere del “discontent” (concetto traducibile in maniera non altrettanto efficace con malcontento o discontento). La percezione di malcontento di molti cittadini per il fatto di veder vanificate tutte le possibili strategie (delle Forze dell’ordine, dei progetti delle città, degli interventi del privato sociale...) di superamento del disagio provocato nel territorio dalla presenza di prostitute di strada attiva, motiva, veicola o aggrega fenomeni di xenofobia, di auto-legittimazione, di controllo popolare del territorio. Obiettivi Attivare una messa in crisi delle istituzioni pubbliche e delle organizzazioni private, ritenute incapaci di arginare il fenomeno della prostituzione di strada e i cui mezzi sono considerati non idonei ed inefficaci. - Provare a rimuovere, con un’azione di forza popolare (autarchica), il disagio (vero o presunto, reale o rappresentato, dedotto o indotto) determinato dal fenomeno della prostituzione (con tutti i suoi indotti: visibilità oscena, 131 aumento della pericolosità del territorio, occupazione di spazi privati con atti osceni e disseminazione di profilattici utilizzati, atti di violenza e di criminalità...). Azione tipo - Azioni di “discontent” pubbliche (utilizzando i mass media, i luoghi istituzionali, le sedi private). - Azioni “simboliche” di dissenso pubblico (occupazione di strade e luoghi pubblici per porre il problema, fiaccolate e marce di protesta...). - Azioni di controllo del territorio (creazione di gruppi di vigilantes di auto-tutela della comunità locale, azioni di disturbo nei confronti del target, azioni di dissuasione dei clienti mediante sbarramento di spazi appartati e annotazione della targa dell’automezzo del cliente...). 132 GLI ATTORI IL TARGET LE ISTITUZIONI PUBBLICHE IL PRIVATO SOCIALE 133 134 Il target Carla Corso* P rima di gettare uno sguardo sul mondo della prostituzione e descrivere i vari gruppi etnici che hanno invaso pacificamente il nostro paese, credo che bisogna fare un passo indietro e capire perché è successo tutto questo. Durante gli anni ottanta è stata messa in atto in tutta Italia una sistematica e costante repressione con l’unico scopo di costringere le prostitute a ritirarsi nelle proprie case o scegliersi dei piccoli appartamenti dove poter lavorare. L’obiettivo è stato quello di ripulire le strade e non si è previsto minimamente che da lì a poco una massiccia immigrazione avrebbe provveduto a colmare il vuoto creatosi. Forse più corretto sarebbe parlare di esodo sia per il gran numero delle donne coinvolte, sia per la ragione della loro fuga, sia infine, per la modalità del suo coinvolgimento. A guardare le aree di provenienza è fin troppo facile indicarne le cause più immediate ed ovvie nella fame, nella mancanza di lavoro, nelle guerre interetniche e tribali, nell’implosione di fragili imperi, nelle crisi cicliche indotte dalle più feroci politiche neoliberiste, ecc. ecc. Resta il fatto che per migliaia e migliaia, forse milioni di donne e di uomini in fuga, prevalentemente giovani, mediamente acculturati, l’Occidente ha significato e continua a significare la terra promessa e non necessariamente col 135 carico di aspettative e di ragioni che segnarono fenomeni solo all’apparenza simili tra l’otto e il novecento o negli anni trenta e cinquanta di questo secolo. È la qualità del soggetto migrante a fare la differenza. Così ad esempio, se continua ad essere vero che la molla che spinge le donne ad intraprendere viaggi disperati dall’Est o dall’Africa, dall’America Latina o dall’Estremo Oriente è il denaro, è altrettanto vero che la posta in gioco è una vita godibile, non soltanto migliore. E ciò può essere a partire da una ricchezza latente, da una esuberanza di potenzialità e di possibilità in grado di rendere reversibile la propria condizione di partenza. Veramente il denaro, in questa prospettiva, diventa mezzo di emancipazione e di liberazione! Negli anni ottanta le prime ad arrivare in Italia direttamente dall’America Latina (Brasile, Colombia, ecc.) sono state le transessuali seguite, subito dopo dalle donne (peruviane, messicane, ecc.). Le poche italiane rimaste sulle strade sono state costrette a ritirarsi in casa dai modi a volte aggressivi delle transessuali italiane e straniere che, con la loro presenza, hanno di fatto modificato l’offerta del mercato abbassandone i prezzi. A sancire questo passaggio è stata l’invasione pacifica delle nostre strade di prostitute latinoamericane e del Sud Est asiatico. Sono loro che hanno soddisfatto la forte domanda di prostituzione a basso costo. Quasi sempre adulte, sono arrivate in Italia con un matrimonio alle spalle, molte bocche da 136 sfamare e, soprattutto, con i mariti trasformati per l’occasione in veri e propri protettori. Giunte in Italia con visti di turismo, entrano in clandestinità alla loro scadenza. Con la stessa procedura arrivano anche le donne del Sud Est asiatico. Il loro iter è così scandito: arruolamento in locali notturni con regolari contratti di lavoratrici dello spettacolo oppure lavoratrici in nero negli stessi locali. Alla scadenza del permesso di soggiorno entrano in clandestinità. Sono preferite ad altre di altre nazionalità perché più miti e sottomesse e quindi più facili da gestire da parte dei padroni dei locali che le trasferiscono da un posto all’altro, da una città all’altra secondo le richieste. È questa mobilità anche territoriale ad impedire rapporti e relazioni significative. Alla fine degli anni ottanta arrivano le prime africane, quasi tutte dalla Nigeria, sempre con visto di turismo pagato a caro prezzo. La loro immigrazione è gestita e controllata da organizzazioni che, oltre al visto, procurano il biglietto aereo, un po’ di spiccioli per i primi giorni e un nominativo in Italia, quasi sempre una donna nigeriana che si incaricherà di riscuotere il debito al quale molto spesso si aggiunge quello che la famiglia delle ragazze ha contratto in Nigeria. Così la cifra da restituire diventa enorme, di svariati milioni di lire. Una volta saldato il debito, la ragazza è libera di lavorare per se stessa se nel frattempo non si è legata a qualche connazionale che la sfrutta. Le condizioni di vita di tutte queste donne sono inaccettabili per un paese civile; molto 137 spesso vivono in case super affollate, quando non occupano vecchi casolari abbandonati. Solo le più fortunate abitano in qualche pensione di infimo ordine. Si alimentano poco e male, fanno fatica ad abituarsi al nostro cibo, non riescono però a mantenere le loro abitudini alimentari. Passano la metà delle loro giornate in treno, dormendo e mangiando per raggiungere i sempre più lontani luoghi di lavoro nella speranza di trovare denaro in un mercato ormai saturo. Il fenomeno delle donne provenienti dall’Est europeo e dall’Albania è più recente, risale infatti all’inizio degli anni ‘90. Le prime ad arrivare sono state le donne della ex-Jugoslavia spinte dalla paura della guerra e dalla fame. Non bisogna però dimenticare che già conoscevano la generosità dei nostri uomini. Per molti anni infatti la Jugoslavia è stata in testa come meta di turismo sessuale a basso costo. Queste donne attraversano consapevolmente il confine di notte, quindi entrano subito in clandestinità. Sono organizzate da trafficanti che le sfrutteranno per tutto il tempo che rimarranno nella prostituzione; solo poche riescono a liberarsi o vengono abbandonate dagli stessi sfruttatori perché non garantiscono abbastanza denaro. Per le donne della ex Unione Sovietica l’iter è pressoché simile. Alcune entrano clandestinamente, molte arrivano a bordo di autobus con brevi permessi di soggiorno per turismo; sono consapevoli che entreranno a far parte del mercato della prostituzione e stipulano dei veri e propri contratti con gli organizzatori del traffico. 138 Solo se libere dai vincoli contrattuali, possono lavorare per se stesse. Un capitolo a parte meritano le albanesi, quasi mai consapevoli di venire a fare le prostitute. Molto spesso sono cedute dalle famiglie in cambio di denaro; alcune vengono rastrellate nei più isolati paesi dell’interno con la promessa di un lavoro, altre vengono spinte da mariti e fidanzati con la promessa di un matrimonio appena messo da parte un gruzzolo per comprare casa e beni di consumo. Le albanesi, in particolare, sono sempre più giovani, proprio per soddisfare una richiesta pressante degli uomini che pensano così di non contrarre malattie. Consapevoli o no, sulle spalle di queste donne pesano i costi delle vite di molti, infatti esse sono una risorsa per le famiglie di origine e per le rimesse in denaro che fanno nei loro paesi di origine. Nel loro percorso di emancipazione contribuiscono allo sviluppo dei loro paesi. * Carla Corso è fondatrice e presidente del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, esperta sulla questione prostituzione sulla quale ha relazionato a conferenze internazionali organizzate da Enti politici e culturali quali Università e Parlamenti. Ricercatrice e consulente sui temi della salute delle donne prostitute, attualmente collabora al coordinamento dei progetti europei EUROPAP e TAMPEP e al progetto “Città e prostituzione” del Comune di Venezia. Con Sandra Landi ha pubblicato i libri “Ritratto a tinte forti” ed. Giunti e “Quanto vuoi” ed. Giunti in press. 139 140 Le istituzioni pubbliche Vincenzo Castelli Premessa D escrivere gli interventi realizzati nell’ambito della prostituzione da parte dei servizi e delle pubbliche istituzioni potrebbe essere, a prima vista e ad un occhio superficiale, un esercizio abbastanza semplice. Potrebbe bastare prendere atto dell’inesistenza di servizi, delle assenze, delle situazioni di impotenza, delle mancanze e dei silenzi, delle responsabilità disattese e delle politiche sociali inadeguate di fronte ad un fenomeno emergente e complesso come quello della prostituzione, su cui le istituzioni sono chiamate a rispondere in termini diversificati (sicurezza pubblica, malessere e devianza sociale, offerta di prevenzione sanitaria, proposte di percorsi di uscita ...). Ma riteniamo che lo stereotipo del “muro del pianto” non è funzionale, né sensato. Vanno invece avviate alcune riflessioni che ci permettano di capire tanti ritardi, cogliere i nodi problematici, dal punto di vista strutturale, delle azioni “negate” valorizzando i primi innovativi interventi, faticosamente attivati, dalle pubbliche istituzioni. La costruzione delle politiche sociali da parte delle pubbliche istituzioni Proviamo allora dapprima a comprendere i 141 sistemi e gli elementi che determinano la costruzione delle politiche sociali all’interno degli enti pubblici cercando di coglierne le maschere, le manipolazioni, gli indicatori di senso, in definitiva il percorso elaborativo. 1. Molte volte un Ente pubblico costruisce una politica sociale territoriale a partire da un “sintomo” o dalla paura che esso ci sia, da manifestazioni esterne dello “star male” o della “o-scenità”. Solo davanti a fenomenologie più o meno complesse si decide di promuovere processi progettuali. Tali sintomi sono sempre più letti in forme stigmatizzate, a partire da sistemi-lettori definiti ed autoreferenziali, isolati dal contesto vitale in cui detti sintomi hanno preso consistenza. Alla fine di questo sentiero viene colto il disagio, quasi come un insieme di sintomi, dato dalla casualità piuttosto che da un processo causale, su cui l’azione progettuale si deve, per prima, misurare. Occorre, superando il sintomo, ricollocare allora la progettualità delle politiche sociali a partire da processi di normalità. È infatti a partire dalla normalità che si attivano percorsi di differenza, dapprima, e di diversità poi, di disagio e di emarginazione, di devianza infine. Ciò significa ricomprendere le cause degli atteggiamenti marginali ricogliendo il sintomo come indicatore di disagio. Solo nel rapporto causaeffetto si può definire l’alveo e l’ambito dove nasce il processo marginale: il territorio, paradigma da ri-giocare in termini non fisicistici ma referenziali, uno spazio che significa e crea significati nella dialettica relazionale con cui le persone vi si misurano. Questa unità di misura territoriale ci fa entrare nella globalità dell’intervento progettuale: il sistema di relazioni. 142 2. Le politiche sociali oggi molto spesso attivano interventi di tipo categoriale, centrati, cioè, sul singolo target (la prostituta nel nostro caso), estrapolato dal contesto vitale e dalle trasversalità strutturali. Quasi che, eliminando una determinata categoria sociale, che crea problemi, sarebbero eliminati i problemi. Occorre andare al di là della categorizzazione sociale per poter cogliere il processo complessivo della vivibilità contestuale (la categoria dell’agio) come indicatore centrale del servizio sociale. Parlare di disagio oggi significa misurarsi con l’insieme delle sofferenze, entrare dentro il fenomeno della complessità, spesso irriducibile, non lineare, impredicibile. Applicare questo concetto sistemico al mondo della prostituzione significa cominciare a parlare di differenze di genere, di vita sessuale, di maggioranze sociali forti e minoranze deboli, di tolleranza ed intolleranza, di abuso e violenza...Tutto ciò é parte integrante, e non accessoria, delle politiche dei servizi pubblici. 3. Le politiche sociali, in tal senso, e quelle dei servizi in continuità, sono veicolate attraverso processi di emergenza sociale, determinate da fattori di occasionalità e vettori di estemporaneità. Tutto ciò significa lavorare per “pezze” piuttosto che per “vestiti”, per negativo piuttosto che per positivo, per parziale piuttosto che per globale, per angosce piuttosto che, appunto, per servizi. Occorre allora, in definitiva, cominciare a concepire la costruzione delle politiche all’interno di processi globali eliminando “zone franche”, doppie morali, giochi al rialzo. Questa constatazione permette certamente di cominciare a squarciare il muro dell’approssimazione sociale attraverso una sensa143 ta programmazione strutturale. Ciò rappresenta un tentativo di inventare, questa volta seriamente, quali siano gli indicatori ed i paradigmi della politica sociale, che superi le facili scorciatoie e non proponga intricati labirinti. 4. Quando si parla di creazione di nuove politiche sociali nei nostri “santuari elaborativi” (Uffici Ministeriali, Regionali, Comunali...) si è molto più preoccupati a dare tout court, in maniera quasi parossistica, risposte, spesso a “chili”, spesso “precotte”, spesso “scorciatoie”. La parola d’ordine è fare, che molto spesso equivale a “far(e) vedere” cosa si dice di fare. Questa velocizzazione della pratica sociale (oso azzardare “praticoneria”) rischia di far saltare processi fondamentali della progettazione e della programmazione sociale delle politiche sociali. Non meraviglia pertanto che la risposta ai problemi spesso diviene (o ridiviene pensando alle ombre lunghe del passato) “assistenza” e “beneficenza”, vettori involutivi delle politiche sociali, abbassamento della dignità morale delle persone e messa in crisi del concetto di diritto sociale. Spesso questa “risposta assistenziale” può essere camuffata con nuove parole (prevenzione, cura, inserimento...) e nuovi servizi (centro di accoglienza, unità di crisi, servizi alla persona...). Diventa fondamentale allora riaffermare l’esigenza di un sistema globale di progettazione e di programmazione che permetta il superamento delle dicotomie: pubblico/privato, sanitario/sociale, professionale/volontario, nazionale/locale, centro/periferia; che permetta la creazione di reti (di intervento), in una strategia di cittadinanza, con il passaggio dalla politica assistenziale alla politica dei diritti. 144 Dall’istituzione totale alla “community care” e ritorno: evoluzione ed involuzione dei servizi sociali Se le politiche sociali fanno fatica a decollare per i vincoli ed i legami sopra evidenziati vale la pena provare ora a descrivere alcune linee di tendenza dell’evoluzione e dell’involuzione dei servizi sociali in Italia in questo ultimo periodo. 1. Evoluzione o involuzione dei servizi sociali? I servizi sociali rappresentano l’ambito, lo spazio-tempo di gestione dei sistemi complessi (la persona con o senza problemi, irriducibile, impredicibile, soggettiva, fallimentare...). Potremmo cogliere una dimensione bifronte della elaborazione dei servizi sociali: una sorta di evoluzione/involuzione a partire da alcune coppie di sistemi-lettori: - concentrazione/assenza Grande presenza di servizi in un determinato contesto, territorio, ambito, settore da una parte (Cfr. in questa prospettiva la grande concentrazione di servizi nell’ambito della tossicodipendenza, in particolare in alcuni territori e con alcune modalità determinate) e, dall’altra parte, mancanza, assenza, deficienza di servizi in altri contesti, ambiti, settori (Cfr. in questo senso l’assenza quasi totale di servizi per il “pianeta prostituzione”). - nord /sud Pur essendoci stati, in questi anni, notevoli progressi, certamente sono ancora presenti gli squilibri, nell’attivazione di servizi sociali, tra nord e sud. Non è un problema soltanto di nord e sud geografico, ma anche politico, strutturale, 145 formativo, economico. Ci sono tanti “sud” nell’attivazione di servizi sociali: la periferia rispetto al centro, le aree decentrate rispetto alle città metropolitane, un target rispetto ad un altro... - sociale/ sanitario Un altro punto critico, dalla cui ottica leggere l’evoluzione/involuzione dei servizi sociali, è il rapporto esistente, nella gestione dei servizi, tra sociale e sanitario. È questa infatti una distinzione nominalistica e priva di senso. Oggi ritorna con insistenza per motivi esclusivamente economici: mentre infatti il sanitario ha risorse almeno sufficienti, il sociale ne è pressoché totalmente privo. - pubblico/privato Un altro nodo da affrontare è quello del rapporto pubblico/privato. La confusione intorno a questo rapporto, recentemente, è aumentata e rischia di inficiare l’evoluzione dei servizi sociali stessi. In questa prospettiva diventa fondamentale creare regole di compartecipazione integrata in grado di definire ruoli, capacità, competenze, costi. - professionale/volontario Un altro nodo riguarda la cosiddetta professionalità invocata a gran voce, ultimamente, all’interno della gestione dei servizi sociali. Le competenze sono indispensabili per affrontare problemi delicati e bisognosi di professionalità. Del resto il servizio alle persone è una risposta complessa che necessita di adeguata prepa146 razione ma altrettanta motivazione. Ridurre il tutto a titoli di studio porta a sgradite sorprese: occorrono anche esperienza, passione, dedizione per affrontare problemi per i quali il coinvolgimento non può essere inteso esclusivamente come “tecnico”. - costo/beneficio Altra variabile da tenere in considerazione è il rapporto costo/beneficio. Soprattutto in questo tempo di contrazione della spesa sociale diventa fondamentale parametrare costantemente i costi derivanti dall’attivazione di servizi sociali ed i relativi benefici rientranti da tale processo sociale. Dal Welfare State al Welfare Market Abbiamo sempre più una sensazione: il fatto di assistere ad un passaggio radicale dal welfare state (le politiche dello stato sociale) al welfare market (con una concezione delle politiche sociali di tipo “mercantilistico”). In effetti alcuni indicatori sono inequivocabili: - Abbiamo una sempre maggiore diminuzione delle risorse finanziarie - Assistiamo al congelamento delle figure professionali innovative - Scopriamo un nuovo concetto di solidarietà (un ritorno alla beneficenza pubblica e patinata) - C’è, senza alcuna ombra di dubbio, un nuovo concetto di servizi sociali: il minor male 147 Politiche e servizi sociali nell’ambito della prostituzione Le politiche ed i servizi sociali attivati dagli enti pubblici rispetto al fenomeno della prostituzione risentono dei vincoli, dei problemi e dei limiti sopra evidenziati. Anzi tali difficoltà si ampliano per la complessità del fenomeno, per il suo impatto nei sistemi di rappresentazione sociale dei cittadini, per una serie di implicazioni correlate (problemi di ordine e di sicurezza urbana, di morale pubblica, di criminalità organizzata, di clandestinità, di igiene e sanità, di tutela ed accoglienza del target). 1. Per quanto concerne la costruzione delle politiche sociali nell’ambito della prostituzione possiamo fare le seguenti considerazioni: - Il fenomeno della prostituzione extra-comunitaria sta divenendo una vera e propria emergenza sociale sull’intero territorio nazionale. Da ciò si stanno costruendo alcune politiche nazionali contro il fenomeno della tratta e per la tutela delle ragazze vittime dello sfruttamento a fini sessuali. Possiamo citare in particolare la Legge n. 285/97 (Promozione dell’infanzia ed adolescenza) che garantisce l’attivazione di spazi di accoglienza e di inserimento sociale di ragazze in difficoltà e la nuova legge quadro sull’immigrazione (che all’art. 16 - disposizioni di carattere umanitario - prevede permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale). - Per quanto concerne l’avvio di politiche regionali è da citare l’unica felice esperienza 148 pilota della regione Emilia Romagna (Assessorato politiche sociali) che ha approvato, nell’anno 1996, un progetto regionale prostituzione, che prevede l’attivazione di un intervento reticolare nell’intera regione con la promozione delle azioni avviate, nell’ambito della prostituzione, dalle città emiliano-romagnole (n.10 progetti), offrendo altresì alle stesse un supporto tecnico-formativo. - Sulle politiche sociali attivate dalle città, per l’avvio di progetti nell’ambito della prostituzione, possiamo dire che siamo in una fase a doppia velocità: da una parte ci sono esperienze molto significative e profondamente innovative localizzate soltanto in alcune regioni e città del nord Italia (è il caso della “veterana” esperienza del comune di Venezia-Mestre e, di seguito, i progetti delle città Emiliano Romagnole quali Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Imola, Cesena, Ravenna e Rimini, alcune azioni attivate nella città di Torino e nella città di Roma con fondi della Regione Lazio e della Provincia di Roma), dall’altra assistiamo ad azioni, sporadiche ed occasionali per la verità, incentrate particolarmente sul controllo del territorio, sulla repressione del fenomeno deviante, sul contenimento del malcontento popolare di fronte alla presenza della prostituzione di strada. - Il dibattito politico sul fenomeno è anche presente all’interno delle reti delle città, avviate in questi ultimi anni. In particolare alcune reti sono veri e propri laboratori di sperimentazioni sociali anche nell’ambito della prostituzione. Ne ricordiamo, di seguito, alcune: 149 Eurocities Si tratta di una associazione di città metropolitane europee. Tra le sue commissioni interne figura la Commissione Sociale che si occupa di devianza e disagio metropolitano, con particolare interesse verso le strategie di intervento verso il fenomeno della prostituzione di strada. Forum Europeo della Sicurezza urbana È una rete di città (sia metropolitane che non) che si occupa, in maniera precipua, di sicurezza urbana. In Italia si è costituita la sezione italiana del Forum della sicurezza urbana. Nei suoi lavori e ricerche il tema della prostituzione è uno dei problemi emergenti (Cfr. il gruppo di lavoro “Tossicodipendenza e prostituzione”). Città Sane Si tratta di una rete di città che aderiscono al progetto dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che intende sviluppare strategie innovative nel campo della promozione della salute dei cittadini. Il tema della prevenzione sanitaria della prostituzione di strada è certamente uno dei temi di dibattito all’interno della rete. Città Sostenibili Dalla “Carta delle Città Europee per uno Sviluppo Durevole e Sostenibile” alcune città europee hanno costituito una rete per elaborare piani d’azione finalizzati allo sviluppo sostenibile (a livello di vivibilità urbana). Vi partecipano città italiane quali Bologna, Firenze, Livorno, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia. Potrebbe essere il luogo privilegiato, quello 150 della rete delle “Città sostenibili”, per affrontare il tema della vivibilità urbana in cui spesso viene coinvolto il mondo della prostituzione di strada. Pericle (Coordinamento “Città per la lotta all’esclusione”) Si tratta di un coordinamento nazionale sull’Esclusione sociale attivato da una rete di città italiane (Perugia, Napoli, Bologna...). Sono centrali, in tale rete, le riflessioni attorno alle fenomenologie della devianza urbana. Il “pianeta prostituzione” è certamente uno degli ambiti di notevole interesse, per l’avvio di strategie di intervento sociale, in tale dibattito. Carta di Arezzo Si tratta di un coordinamento attivato in seguito alla emanazione di un documento (la Carta di Arezzo appunto) sulle politiche giovanili. Di tale coordinamento fanno parte città medie quali Arezzo, Viterbo, Salerno, Forlì... Il tema del disagio giovanile, affrontato da questa rete di città si va, alcune volte, a coniugare con il mondo della marginalità giovanile urbana, all’interno della quale può essere letto il fenomeno della prostituzione di strada. 2. Per quanto concerne la costruzione dei servizi sociali nell’ambito della prostituzione possiamo fare le seguenti considerazioni: Ci sono servizi pubblici che, pur avendo funzioni non specifiche di ambito, si occupano del fenomeno “prostituzione”. In particolare possiamo ricordare: 151 - Gli Uffici Stranieri o Uffici per l’immigrazione, attivati dagli Enti Locali per rispondere ai problemi derivanti dal fenomeno dell’immigrazione in Italia. - I Consultori per immigrati, attivati, in alcune regioni, dalle Aziende USL. I progetti, sopra descritti, attivati in alcune regioni e città del nord, hanno avviato servizi specifici per il target che possiamo così sintetizzare: - Servizi di prevenzione sanitaria (attraverso l’attivazione di unità mobile, in grado di offrire informazioni sanitarie in lingua originaria del target, di distribuire profilattici, di proporre l’accompagnamento delle ragazze ai servizi sociosanitari). - Servizi di mediazione culturale (attraverso la presenza, nell’unità di strada, di mediatrici culturali, provenienti dalla nazione delle ragazze prostitute, si crea un significativo intervento di mediazione culturale. Tale servizio di mediazione si amplifica con la presenza di “operatrici pari” in grado di creare una valida relazione con il target). - Servizi di tutela e protezione (attraverso l’attivazione di progetti di accoglienza per richieste di uscita dalla strada si offrono a tali ragazze spazi riservati di tutela e di protezione, di pronta accoglienza). - Servizi di orientamento, formazione profes152 sionale ed inserimento socio-lavorativo (attraverso l’avvio di percorsi di uscita alcuni Enti Locali hanno dovuto necessariamente attivare servizi in grado di offrire proposte di orientamento, di formazione professionale ed altresì di creare le basi per inserire le “ragazze in protezione” in percorsi ergoterapici, di borse lavoro, di contributi per salari di ingresso nel mondo del lavoro). 153 154 Il privato sociale Maria Teresa Tavassi* Il privato sociale con riferimento alla tratta Il fenomeno della tratta è abbastanza recente 1 nei nostri paesi, come descritto nei precedenti capitoli. Il privato sociale é una delle forme di risposta ai bisogni, sviluppatasi negli anni del Welfare State. Allo scopo di offrire un quadro sintetico ma preciso del tipo di intervento del privato sociale con riferimento alla tratta si è cercato di conoscere direttamente le iniziative in atto. Attraverso incontri nei luoghi di ascolto e accoglienza, sul territorio e sulle unità mobili, attraverso colloqui con le ragazze e le donne uscite dalla situazione, con operatori e operatrici, mediatrici culturali, in diverse località d’Italia del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole, in città e paesi di approdo o di transito, nelle stazioni ferroviarie e nelle vie delle grandi città - si è cercato di cogliere la portata e il significato delle diverse iniziative di fronte al grave fenomeno. Il fenomeno della tratta di donne immigrate per sfruttamento sessuale cresce e si diversifica nel tempo, coinvolgendo attualmente decine di migliaia di ragazze e donne, raggirate, sfruttate, 1 L’autrice pone l’accento sugli interventi realizzati all’interno di percorsi di uscita ed a partire dal fenomeno della “tratta”. 155 rese schiave; esso sviluppa un giro di affari di migliaia di miliardi ed è connesso con forme di criminalità organizzata, traffico di armi, droga e riciclaggio di denaro. Non è prostituzione, ma un fenomeno indotto, in cui le donne vengono prese con l’inganno, trasferite in altri paesi, avviate alla prostituzione in forma violenta, private dei documenti di riconoscimento e dei loro diritti fondamentali. Il privato sociale impegnato in questo ambito non può non tenere conto della complessità del fenomeno, per combattere le cause di esso e i processi che lo generano, per diffondere la cultura della accoglienza e della solidarietà e uno stile di rispetto di ogni persona, di condivisione con coloro che fanno più fatica e di attenzione ai problemi dei Paesi del Sud del Mondo. Esso è diversificato, come in altri settori. Vi sono gruppi di volontariato, comunità di vita consacrata, associazioni giovanili e associazioni etniche, famiglie solidali, cooperative integrate, comunità parrocchiali, ragazze uscite dal giro...: si tratta quindi di soggetti informali e di soggetti costituiti giuridicamente, di grandi e piccole iniziative, di gruppi di ispirazione cristiana e laici. Le iniziative del privato sociale si muovono in questo terreno fluido e difficile, con una triplice funzione. Cercano innanzitutto di rispondere a bisogni espressi o inespressi, offrendo alle donne e ai minori coinvolti quei servizi che di volta in volta si rendono necessari: ascolto, accoglienza, tutela giuridica, prevenzione e tutela sanitaria, rimpatrio, inserimento lavorativo. Nascono nuovi servizi, altri si modificano per rispondere alle nuove esigenze, anticipando in tale modo le risposte istituzionali o integrandole, dopo averle sollecitate. Le forme di servi156 zio tuttavia non bastano. Ci si rende subito conto della urgenza di cambiare la mentalità e coinvolgere altre forze, in quanto allo sfruttamento corrisponde decisamente una domanda di prestazioni sessuali da parte di gente comune, padri di famiglia e giovani, studenti e pensionati, operai, impiegati e manager... Non si può curare una ferita, senza rendersi conto che la società continua a provocarne di nuove. Il privato sociale si preoccupa di creare opinione, dando luogo a dibattiti, forum, assemblee pubbliche, in cui vengono coinvolti operatori, amministratori, comunità, cittadinanze... e dove si affronta il problema nella sua complessità e nei suoi risvolti. Famiglie, gruppi, associazioni, forze sindacali, istituti di formazione... diventano destinatari di iniziative di informazione sul problema, per puntare sulla prevenzione di esso e per incidere sulla mentalità. Ecco che al servizio - reso dal privato sociale - si affianca l’animazione del territorio. Ma poi c’è anche l’impegno socio-politico, volto a incidere maggiormente sulla realtà istituzionale, per promuovere leggi adeguate, per salvaguardare le donne dal rimpatrio forzato, per consentire loro di ottenere permessi di soggiorno e di lavoro. Nascono in alcune regioni tavoli interistituzionali di consultazione e di riflessione, promossi dal pubblico e aperti al privato sociale, nell’attesa che anche a livello nazionale possa realizzarsi qualcosa di simile. Il privato sociale assume poi un’altra caratteristica particolare, dipendente dal posto che occupa accanto alle vittime e in rapporto al territorio e al pubblico. È il ruolo di “antenna”, che capta la situazione e di “ponte” tra vittime e istituzioni; tra servizi diversi e in vista di una rete; tra servizi 157 e altre forze culturali, sociali ed economiche, impegnate a vario titolo negli ambiti della esclusione sociale. Il fenomeno sommerso, per i suoi risvolti umani e per la gravità delle ritorsioni sulle persone in esso coinvolte, viene a poco a poco a emergere e a collegarsi, a costruire le prime maglie di quella rete che dovrà costituire il grosso progetto dei prossimi anni per bloccare definitivamente il fenomeno stesso. I soggetti del privato sociale impegnati nel settore Le iniziative del privato sociale nel settore sono diversificate sia con riferimento ai diversi bisogni delle persone, sia in rapporto all’entità del fenomeno locale, che dà vita alle iniziative stesse. I bisogni sono quelli dell’ascolto, della accoglienza e dell’orientamento, del sostegno psicologico per chi è particolarmente provato dalla situazione vissuta, dell’assistenza sanitaria per chi aspetta un bambino o teme di avere contratto malattie infettive o ha subito un aborto, del trasferimento immediato da un luogo a un altro dopo la denuncia, del bisogno di trovare una famiglia in cui trascorrere un periodo di riconciliazione con la vita e con la gente. I soggetti sono diversi e tutti impegnati in modo creativo. In qualche caso domina l’improvvisazione e la scarsa preparazione iniziale, ma poi ci si rende conto che non si può lavorare in questo campo senza prepararsi. Nascono richieste di appositi corsi di formazione, di strumenti di conoscenza del fenomeno, sussidi, schede..., cui gli organismi nazionali e locali cercano di rispondere. Vediamo quali sono i soggetti impegnati nel settore. 158 Le comunità di vita consacrata. Religiose di diverse congregazioni sono tra le prime - con il volontariato laico e di ispirazione cristiana, presente in situazioni di frontiera sul territorio - a rendersi conto del fenomeno. Nascono casefamiglia, comunità di accoglienza, gruppi appartamento e altre iniziative nelle quali le ragazze vengono accolte o alle quali si dà la possibilità di autogestirsi dopo un periodo di affiancamento, di vita insieme, di supporto psicologico, a seconda della situazione in cui esse si vengono a trovare. Spesso gli spazi di accoglienza sono ricavati in case famiglie per madri nubili o ragazze in difficoltà; in altri casi i servizi sono creati per rispondere al fenomeno più specifico; in altri ancora è la piccola comunità o l’istituto per minori o altro che, pressato dall’emergenza, offre uno o più locali per rispondere alla richiesta avuta. Sono le stesse Congregazioni religiose che si interrogano di fronte al nuovo fenomeno per vedere come adeguare le loro strutture e come preparare il personale per non rimanere sorde e impreparate alle richieste di aiuto. Gruppi di volontariato di ispirazione cristiana e associazioni laiche si propongono, in diverse città d’Italia, come luoghi di prima accoglienza, per studiare un programma individuale differenziato e per orientare quindi le ragazze o le donne ad altri servizi più stabili. Si deve anche ad alcuni di questi gruppi l’avvio di corsi di formazione per operatori e/o di qualificazione per l’inserimento lavorativo delle donne uscite dalla tratta, corsi di lingua per chi si trova da poco in Italia, e di assistenza domiciliare per offrire lavoro in una cooperativa di servizi agli anziani o di 159 pulizia o altro. Alcuni realizzano, in collegamento con l’azienda sanitaria locale, un servizio di strada, su unità mobili o presso le stazioni ferroviarie, per fornire strumenti di prevenzione sanitaria. Si sta cercando, inoltre, da parte di associazioni che utilizzano anche fondi pubblici, di realizzare una campagna informativa in alcuni dei paesi dell’Est Europeo, con testimonianze di donne, che presentano alle loro connazionali, nella loro stessa lingua, le modalità di adescamento da parte della criminalità organizzata, per metterle in guardia e prevenire il fenomeno. Associazioni di immigrati in alcune zone d’Italia hanno dato vita a luoghi di aggregazione; esse tendono a prevenire l’avvio di donne nel racket della prostituzione o si stringono attorno a un gruppo di connazionali o anche di altri paesi, già caduto nella tragica rete, allo scopo di dimostrare amicizia e solidarietà e impedire che il fenomeno si radichi. Sono per lo più immigrati del Senegal, delle Filippine e di qualche altra località dell’Africa. Le famiglie solidali costituiscono un’altra risorsa per le giovani donne. Esse sono pronte a forme di accoglienza, affiancamento, opportunità di verifica per il lavoro domestico. Tra le famiglie solidali vi sono alcune formate da donne uscite dal racket che, con i loro mariti, si sono rese disponibili ad affiancare una loro connazionale che ha vissuto lo stesso problema. Per alcune delle famiglie coinvolte in questo impegno sono previsti specifici momenti di formazione per renderle in grado di rispondere con una certa competenza relativa alle domande e ai bisogni delle ragazze accolte. In altri casi 160 si tratta di famiglie già legate a Movimenti o associazioni di volontariato o di spiritualità familiare, che si sono aperte a questa nuova forma di impegno e trovano nel gruppo più ampio momenti di confronto, appoggio, consulenza o altro, per affrontare, situazioni difficili. Alcune cooperative di solidarietà sociale sono coinvolte accanto ai gruppi di volontariato. Esse offrono lavoro, qualificazione, possibilità di tirocinio a coloro che escono dal giro. Volontari specializzati danno consulenze mediche, psicologiche, legali, sindacali, presso strutture pubbliche o del privato sociale. Le Chiese. La Chiesa Cattolica, specie attraverso le Caritas e le comunità parrocchiali, la Federazione delle Chiese Evangeliche, gruppi di spiritualità e altri organismi allargano ulteriormente il quadro del privato sociale sia con forme di servizi realizzati per l’ascolto e l’orientamento delle vittime della tratta, sia la prevenzione e la denuncia del fenomeno, attraverso appelli, pronunciamenti, prese di posizione, conferenze stampa, seminari, corsi... Si tratta di iniziative di formazione delle coscienze volte a frenare il fenomeno e a combatterlo, puntando specialmente sui clienti e su coloro che guadagnano da un simile traffico. L’impegno delle Chiese in questo momento è teso anche nel ricercare, con le Chiese sorelle dei paesi di origine delle donne, di prevenire il fenomeno, attraverso qualche progetto per l’avvio di attività lavorativa nei luoghi di maggiore povertà, nei quali il fenomeno della tratta rischia di avere una grande presa. 161 I movimenti di donne rappresentano infine una esperienza significativa nell’ambito del contatto e dell’accoglienza di ragazze in difficoltà. Tali esperienze, diversificate tra loro, all’interno della medesima matrice di genere, sono costituite da Centri anti-violenza donna, sportelli di informazione donna, telefoni donna, case per le donne per non subire violenza, centri studi donna... Per quanto concerne il fenomeno della tratta l’apporto dei movimenti di donne è certamente importante. Offrono infatti case di pronta accoglienza per l’emergenza, attivano la propria rete delle risorse per dare risposte sul versante giuridico-legale, medico-sanitario, abitativo, occupazionale. Avviano progetti di formazione professionale per donne “trattate” ed attivano azioni di pubblica denuncia di situazioni legate allo sfruttamento delle donne stesse. Dal servizio all’impegno socio-culturale L’impegno socio-politico del privato sociale è forse la funzione più importante che esso svolge nella società. Non é solo importante intervenire con servizi, quanto piuttosto anticipare servizi e iniziative con modalità nuove, di attenzione alle persone e in rapporto con i servizi pubblici. La funzione di “ponte” sembra particolarmente necessaria oggi in ogni campo di intervento, ma principalmente in questo della tratta di donne straniere, in un periodo di ritorno al privato e all’individuale, di paure del diverso. Il privato sociale, con piccole iniziative significative vuole proporre un modo diverso di rapportarsi con la gente, di rispettare la dignità di ogni persona, di creare legami, rapporti, ponti, dove 162 si vogliono barriere, fratture, esclusioni. La ricerca delle cause del fenomeno, lo studio dei clienti, il rapporto con i paesi di origine delle donne per comprendere i motivi del fenomeno, i collegamenti con le forze dell’ordine, la magistratura, i Ministeri, per sollecitare una legislazione adeguata, l’impegno per la formazione delle persone e per la coscientizzazione dell’opinione pubblica.... sono tutti tasselli di un unico mosaico in cui il privato sociale vuole essere sì un soggetto, ma non l’unico soggetto. Vuole comunque avere il ruolo significativo di contribuire a cambiare le cose, a partire dalla mentalità della gente, dei clienti, a ripensare un’immagine di donna diversa da quella che appare nella pubblicità e che induce forse a comportamenti di sfruttamento. e tutto ciò con l’apporto di tutti: delle donne coinvolte, delle forze del territorio, di organismi di ispirazione laica e cristiana, di enti pubblici, delle diverse nazioni. Soltanto in questo modo si riuscirà a frenare il fenomeno. Forse tale impegno non avrebbe incidenza se non fosse realizzato con uno stile di condivisione, sobrietà, rispetto per le persone di ogni razza religione e lingua, che vuole caratterizzare il privato sociale stesso. * Maria Teresa Tavassi è nata nel 1936. Laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Roma, con perfezionamento in Sociologia e Ricerca Sociale. Lavora dal 1976 alla Caritas Italiana. 163 164 PARTE II METODOLOGIA E STRUMENTI 165 166 Progettazione Vincenzo Castelli Premessa S ul disagio sociale in generale e sulla prostituzione in particolare, si attivano oggi sempre di più, in un sistema iper-complesso come quello rappresentato dai nostri territori, un numero significativo di azioni progettuali sia di carattere definito preventivo che di cura in forme dirette ed indirette da parte di una molteplicità di attori sociali con modalità quasi sempre scoordinate e non integrate. Il risultato di un tale insieme (e non sistema) di azioni è spesso la costruzione di situazioni, percezioni e definizioni molto confuse e contraddittorie intorno al fenomeno. Su quest’ultimo, quindi, scarsa diventa la capacità di incidenza degli interventi volti a orientarlo e ad affrontarlo. Inoltre si può affermare che nella quasi totalità dei casi, pur essendo gli obiettivi dichiarati della progettazione del tipo “modificare gli atteggiamenti e i comportamenti... produrre consapevolezza... persuadere... o dissuadere...”, scarsa attenzione viene data sul piano ideativo ed esecutivo a ciò che la riflessione teorica (attraverso l’applicazione del sapere derivante dalle scienze sociologiche, psicologiche ed economiche) e la pratica sociale (attraverso l’applicazione del sapere derivante dalla scienza del 167 quotidiano) ci indicano per la composizione di una progettazione e programmazione sociale “sensata”. Gli indicatori di qualità della progettazione Offriamo, di seguito, alcuni indicatori di qualità della progettazione, che possono essere referenziali per la costruzione di un progetto armonico ed adeguato alla complessità dei fenomeni sociali: Indicatori di qualità della progettazione 1. Definizione degli obiettivi primordiali. 2. Valutazione della congruenza, della compatibilità e della sostenibilità degli obiettivi nel contesto. 3. Analisi della rispondenza degli obiettivi primordiali alle attese della committenza, del contesto e degli attori. 4. Elaborazione del sistema di valutazione (ex ante, in itinere, ex post). 5. Costruzione di prototipi e modelli operativi. 6. Specificazione operativa degli obiettivi, definizione degli standard di funzionamento, analisi e definizione del fabbisogno, analisi e rilevazione delle disponibilità (personale, strutture, finanze). 7. Predisposizione delle strategie di intervento e delle risorse (umane, strutture, finanze). 8. Realizzazione dell’intervento programmato. 9. Analisi dei risultati. 10. Valutazione dei risultati in termini di efficacia ed efficienza. 168 Le ricadute progettuali Una elaborazione progettuale significativa ed armonica certamente permette di avviare un sistema di intervento globale in grado di offrire un modello sostenibile e moltiplicabile. Fa cogliere alcune ricadute, visibili e tangibili, sulla comunità locale. Possiamo dire, con una immagine suggestiva, che la progettazione può rappresentare una sorta di “laboratorio sociale” in cui creare nuovi prototipi e modelli, nuovi servizi e nuovi profili professionali. Ricadute progettuali 1. Ridare dignità, capacità e competenza al contesto dove il disagio è stato colto, stigmatizzato, sintomatizzato cogliendo i nessi causali di tale disagio. 2. Lavorare sull’incidenza del fenomeno, cosiddetto deviante, nel contesto, nei gruppi sociali, nelle rappresentazioni sociali determinate, sulla sua persistenza nel tempo e nello spazio, sulla perturbazione creata sullo stesso, sulla possibile strategia progettuale applicabile. 3. Produrre interventi programmati, strategici e sinergici che possano dare unitarietà a processi preventivi, riabilitativi, curativi, formativi, occupazionali ed imprenditoriali. 4. Creare capacità e competenze, attraverso percorsi formativi adeguati, sia per chi interviene sul disagio sia per chi viene dal disagio. 5. Attivare un rapporto positivo e significativo con i servizi pubblici per permettere 169 interventi integrati e trasversali. 6. Determinare un sistema di valutazione degli interventi e dei prodotti, cogliendone il rapporto costo/beneficio, domanda/offerta, disagio/agio, sintomo/causa, obiettivi/procedure... 7. Creare un sistema di monitoraggio delle esperienze realizzate per impiantare processi paradigmatici fruibili in altri contesti. Le strategie ed i percorsi della progettazione Diventa, a questo punto importante, capire quali siano le strategie ed i percorsi della progettazione. Cogliere, cioè, le parole-chiave che permettano di definire un progetto congruo e sensato. Strategie e percorsi della progettazione 1. La progettazione è locale: ciò significa che deve essere identificabile e raggiungibile il target del programma, gli attori coinvolti, il territorio in cui si svolge. 2. La progettazione è sui sistemi e sulle loro interazioni, non su uno specifico sottosistema (vedi ad esempio la prostituzione di strada...). 3. La progettazione si attiva sul disagio, non sul sintomo. 4. Il tempo della progettazione è il quotidiano. 5. La progettazione presuppone una competenza previsionale e valutativa. 6. La progettazione presuppone un sistema di conoscenze ed ipotesi adeguato dello stato delle cose prima dell’intervento. 170 Progettare nell’ambito della prostituzione Impiantare un progetto nell’ambito del pianeta “prostituzione”, della cui fenomenologia abbiamo già colto la complessità estrema, non è certamente una delle azioni più semplici. Proviamo ad indicare alcune motivazioni: 1. Innanzitutto, come già affermato, il fenomeno è estremamente “pre-giudicato”, mutevole, flessibile, ondivago, particolare, visibile per una piccolissima parte (la prostituzione di strada), invisibile per una grandissima parte (la prostituzione “riservata” degli appartamenti, degli hotel, delle saune, dei bar, dei night club...). 2. Pochi sono, in Italia, i progetti avviati in questo settore. Non ci sono, come magari in altri campi (come ad esempio il mondo della tossicodipendenza), sperimentazioni ventennali, servizi consolidati, profili professionali definiti, percorsi formativi certificati, dibattiti strutturati. I riferimenti, per elaborare progetti innovativi nell’alveo della prostituzione, sono pertanto pochi, frammentati e non ancora verificabili totalmente. 3. È certamente inadeguata ed in ritardo, in Italia, l’elaborazione della legislazione e delle politiche sociali del settore. Ci sono per altro una serie di complicazioni strutturali (il fatto che la maggioranza delle prostitute sono extra-comunitarie, il fatto che molte ragazze prostitute sono “trafficate” ed introdotte nel mondo della prostituzione con la forza, il fatto che il mondo della criminalità organizzata vi è sempre più presente...) che non aiutano il legislatore ad offrire percorsi innovativi. La spendibilità delle poche e precarie competenze in questo campo sono inoltre ulterior171 mente abbassate da altri fattori: la mancanza, ad oggi, di erogazione di fondi e risorse economiche da parte dei competenti ministeri; il numero ridotto di progetti attuati dagli Enti Pubblici decentrati (Cfr. il Progetto Regionale Prostituzione, elaborato dalla Giunta Regionale dell’Emilia Romagna - Cfr. i progetti elaborati dai Comuni di Venezia-Mestre, Bologna, Modena e pochi altri, quasi tutti emiliano-romagnoli); la difficoltà ad entrare nei circuiti dell’Unione Europea per fruire di fondi comunitari (Cfr. il difficile e complicato utilizzo del Fondo Sociale Europeo, dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW e del Programma Leonardo da Vinci; la ristretta disponibilità economica dei Programmi Salute Pubblica, “Dafne” e “Stop”...). Cerchiamo di offrire alcune griglie di “facilitazione progettuale” Progettare nell’ambito della prostituzione 1. Passaggio dalla gestione dell’emergenza alla progettazione dell’intervento sociale (è centrale nelle strategie progettuali nei confronti del fenomeno “prostituzione”). 2. Acquisizione di capacità e competenze adeguate ad abbassare fenomeni di disagio e di conflitto sociale (interventi di comunità, processi di mediazione sociale, esperienze di minoranze attive...). 3. Progettazione di nuove tipologie d’intervento, necessarie e irrinunciabili nell’impatto con il fenomeno della prostituzione di strada (lavoro di strada, lavoro di comunità, percorsi di uscita...). 4. Progettazione di interventi di autonomia 172 personale delle ragazze uscite dalla prostituzione (formazione professionale, stages aziendali, borse lavoro, misure di sostegno all’inserimento lavorativo, salario d’ingresso, inserimento in imprese sociali). 5. Allargamento del raggio d’azione progettuale verso nuove facce della prostituzione (tossicodipendenti prostitute, travestiti e transessuali, prostituzione maschile, prostitute “invisibili”). 6. Attivazione di un sistema di formazione adeguato, capace di cogliere la fenomenologia della prostituzione, di dar vita a nuovi profili professionali, di supportare azioni innovative (operatore/trice di strada, mediatore/trice culturale, operatrice pari, operatore/trice di accoglienza, operatore/trice di inserimento socio-lavorativo...). 7. Individuazione di futuri scenari: il lavoro di comunità, il mondo dei clienti, l’impresa sociale, la “zonizzazione”... Standard dei prototipi progettuali nell’ambito della prostituzione Volendo provare ad attivare, nel nostro lavoro di progettazione, alcuni prototipi nell’ambito della prostituzione di strada ci permettiamo di definire alcuni stardard vincolanti: Standard dei prototipi progettuali nell’ambito della prostituzione 1. I prototipi devono essere sperimentali, pilota, visibili, verificabili, monitorabili e valutabili. 173 2. I prototipi devono essere parziali, aperti cioè alla modificazione determinata dall’impatto con il territorio, con i target, con gli agenti di cambiamento sociale. 3. I prototipi devono essere trasferibili, ma non clonati e fotocopiati. 4. I prototipi devono essere armonici (da una fase esplorativa, di primo livello, occorre passare ad una fase mirata pur se fluida, ad una fase, infine, di standardizzazione dei processi). 5. I prototipi devono essere contestualizzati allo sviluppo fenomenologico della prostituzione, ai saperi già esistenti in questo campo, alle capacità ed alle competenze sociali necessarie. 6. I prototipi devono avere il carattere della innovatività (per fenomeni, per target, per figure professionali, per saperi, per metodologie). 7. I prototipi devono essere integrati e multiformi (tra target, tra servizi, tra pubblico e privato, tra formale ed informale). Progetto tipo Presentiamo di seguito un modello di progetto tipo. Si ritiene che possa essere un esempio di riferimento, tenendo presente la sua contestualizzazione. Esso si situa nel territorio marchigiano, che vede una crescita progressiva del fenomeno della prostituzione di strada di donne immigrate, provenienti soprattutto dall’Albania, dalla Nigeria, recentemente in misura sempre maggiore dai paesi dell’ex Unione Sovietica, da altri 174 paesi dell’Est europeo. Si tratta dell’estratto di un progetto elaborato dall’Associazione On the Road, nella cui attuazione collaborerà la Caritas di Ancona. Nella fase iniziale di elaborazione il progetto è stato proposto alle Provincie di Teramo e di Ascoli Piceno che hanno a loro volta coinvolto le Amministrazioni Comunali delle due Provincie interessate dal fenomeno. In seguito il progetto è stato fatto proprio dalla Regione Marche che ha coinvolto tutte le Provincie della Regione. Si entrerà presumibilmente nella fase operativa nei primi mesi del 1998. Progetto tipo Attori, ruoli e funzioni Attore Regione Marche Assessorato Sanità e Servizi Sociali Settore Immigrazione Amm. Provinciali di Pesaro, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno Ruolo e funzione Coordinamento regionale Raccordo inter-istituzionale regionale Supporto economico Coordinamento provinciale Raccordo inter-istituzionale provinciale Concorso economico Enti Locali Individuazione aree di crisi Azione di network territoriale Supporto strumentale Privato sociale Gestione progetto nelle Associazione “On the Road” provincie di Ascoli Piceno e Macerata Privato sociale Gestione progetto nelle proCaritas Diocesana di Ancona vincie di Ancona e Pesaro 175 Ambiti progettuali Si ritiene dover avviare un progetto che abbia i seguenti ambiti progettuali: 1. Lavoro di strada (con relativa mappatura e creazione di rete dei servizi sanitari) 2. Percorsi di uscita (accoglienza, presa in carico ed accompagnamento verso l’autonomia) 3. Intervento sulla comunità locale 4. Azioni di network 5. Interfaccia con i paesi d’origine del target Ambito Sulla strada Obiettivi - Diffusione di informazioni sanitarie mirate al cambiamento dei comportamenti relativi alla prevenzione e alla profilassi igienico-sanitaria - Creazione di contatti e dinamiche relazionali con il target Azione - Lavoro di contatto e di relazione tipo con il target mediante educatricipari, mediatrici/ori culturali, operatrici/ori che compongono l’unità di strada - Raccordo con gli interventi di accoglienza per l’uscita da situazioni di prostituzione forzata - Diffusione di informazioni - nelle varie lingue del target - relative soprattutto alla prevenzione da HIV e Malattie a trasmissione sessuale - Accoglienza della domanda di cura sanitaria del target e accompagnamento ai servizi 176 Ambito Rete dei servizi socio-sanitari Obiettivi - Garantire la fruibilità da parte del target del diritto alla salute (art. 13 DLg ) e facilitare l’accesso ai servizi sanitari Azione Individuazione dei servizi prioritari tipo per rispondere ai bisogni del target: - servizi medici di ginecologia, (contraccezione e IVG) - centri diagnostici per l’accertamento dell’ HIV/ MTS e delle malattie infettive (tubercolosi, epatite, ecc.) - servizi medici di dermatologia - servizi medici di base (per prescrizione farmaci e visite) - servizi medici d’emergenza Creazione di una canale privilegiato per il target che garantisca anonimato, confidenzialità e gratuità del servizio Ambito Mappatura Obiettivi - Analisi dinamica della distribuzione del fenomeno della prostituzione di strada, della composizione del target e della sua mobilità - Raccordo con osservatori territoriali, provinciali, regionali e nazionali Azione - Realizzazione e aggiornamento di tipo mappe territoriali - Reports del lavoro dell’Unità di strada su: contatti e bisogni del target Ambito Accoglienza, presa in carico, inserimento ed accompagnamento verso l’autonomia 177 Obiettivi - Analisi del fenomeno della tratta e dello sfruttamento presente nel territorio - Definizione della tipologia della persona prostituita - Creazione di una rete di risorse (per la presa in carico, per la socializzazione, per la formazione, per l’occupazione) - Particolare attenzione al fenomeno dei protettori e del loro coinvolgimento nel mondo della criminalità organizzata - Raccordo con le reti di tutela e di sicurezza (Forze dell’Ordine Questure - Tribunali) Azione - Organizzazione di un’equipe di tipo pronta accoglienza per monitorare, accompagnare, inserire ragazze prostitute in uno spazio di accoglienza riservato e tutelato - Creazione di una rete di spazi diversificati per l’accoglienza - Definizione ed creazione di una rete di risorse (medici, avvocati, psicologi, assistenti sociali, imprenditori...) - Creazione di un gruppo di lavoro tecnico-gestionale in grado di dare risposte ad alcune emergenze endemiche (permessi di soggiorno, documenti, rapporti istituzionali, rapporti di lavoro) - Definizione di rapporti bilaterali costanti con realtà positive e significative dei paesi di origine delle ragazze accolte 178 Ambito Interventi di comunità Obiettivi Armonizzazione e mediazione dei conflitti sociali che si manifestano attorno al fenomeno della prostituzione Azione - Mediazione sociale tra il target, i tipo servizi e i cittadini e le cittadine - Interventi sulla rappresentazione sociale del fenomeno della prostituzione - Interventi di comunicazione sociale rivolte in particolare ai clienti Ambito Azione di network Obiettivi - Raccordo e integrazione dell’azione locale con quella regionale, nazionale ed europea - Raccordo ed integrazione delle diverse azioni intraprese nei territori - Integrazione delle diverse tipologie di intervento Azione - Organizzazione di seminari di tipo scambio e di confronto con le realtà regionali, nazionali ed europee che lavorano nel campo - Azioni formative - Azioni informative: presentazione del progetto e dei suoi risultati e creazione di canali comunicativi (Sito Internet) Ambito Azioni con i paesi d’origine Obiettivi - Creazione di una rapporto interfacciale e di progettualità correlata tra paese d’origine della ragazza e paese di lavoro prostitutivo Azione - Individuazione di ONG ed autorità 179 tipo locali dei paesi d’origine che possono correlarsi con progetti nell’ambito della prostituzione - Creazione di un rapporto di partenariato costante tra i due attori - Attivazione di un modello di progetto interfacciale - Creazione di una banca-dati di informazioni, mappe, indirizzi, istituzioni per reciproca utilità Metodologia e Strumenti Metodologia - Individuazione, coinvolgimento e attivazione e formazione permanente di operatrici/ori di strada, educatrici pari, mediatrici/ori culturali - Lavoro di rete con i servizi - Accompagnamento del target ai servizi - Informazione e accompagnamento - Mappatura, interviste per raccolta di informazioni e per stima dei bisogni del target Strumenti ˙ - Materiale informativo (nelle varie lingue del target) - Materiale di profilassi - Counseling/mediazione culturale - Tecniche di colloquio e di intervista - Tecniche di registrazione (mappatura) - Tecniche di raccolta di dati empirici - Tecniche di valutazione dei risultati 180 Sviluppo progettuale Attivazione Drop in Center Centro di incontro, ufficio di informazioni, spazio di orientamento, ambito di negoziazione sociale, centro di invio ai servizi Servizi - Prevenzione (socio-sanitaria rivolta al target, ai conviventi, ai figli...) - Informazione (abitativa, socio-relazionale, collocativa) - Counseling (sostegno psicologico, consulenza legale) - Orientamento (ai servizi, alla formazione professionale, all’inserimento lavorativo - Collegamento interfacciale con i “sensori” (Comuni, Associazioni territoriali...). Operatività - Attivazione di n.2 sportelli 20 h settimanali (per ciascun sportello) Figure - n. 2 Operatori Sociali professionali (n.20 h sett. x n.2 unità) - n.1. Psicologo (n.12 h sett.) - n.1 Avvocato (n. 12 h sett.) Nb. Saranno valorizzate anche figur e pr ofessionali volontarie Localizzazione - n.1 sportello zona Ancona intervento n.1 sportello zona San Benedetto del Tronto Nb. Tutti i servizi degli sportelli saranno fruibili in tutte le aree della regione attraverso una comunicazione interfac181 ciale tra referenti territoriali e operatori dello sportello Attivazione Unità di strada Lavoro di prevenzione sanitaria sulla strada, contatto, relazione con le ragazze che si prostituiscono sulla strada, accompagnamento ai servizi, ambito di negoziazione sociale. Servizi - Contatto sulla strada, creazione relazione confidenziale - Prevenzione sanitaria sulla strada - Informazione - Monitoraggio e mappatura del fenomeno - Collegamento interfacciale con i “sensori” (Comuni, Associazioni. territoriali...) Operatività Attivazione di n.2 unità di strada Figure - n. 2 Operatrici di strada professionali (n.20 h sett. x n.2 unità) - n.3 Mediatrici culturali (n.1 albanese - n.1 nigeriana - n.1 russa) 12 h/sett. x n.3 unità - n.2 Educatrici pari (n.10 h/sett. x n.2 unità) - n.1 Supervisore/coordinatore (n.4 h sett.) Nb. Saranno valorizzate anche figur e pr ofessionali volontarie. Localizzazione Le n.2 unità di strada opereintervento ranno su tutto il territorio marchigiano. In particolare la prima opererà 182 nelle provincie di Pesaro ed Ancona e la seconda nelle provincie di Macerata e di Ascoli Piceno. Attivazione spazio accoglienza Pronta accoglienza, inserimenti familiari, autonomia Servizi Operatività Figure professionali - Pronta accoglienza - Accoglienza individualizzata - Protezione - Controlli e cure sanitarie - Sostegno psicologico - Follow up - Attivazione di n.1 casa di pronta accoglienza (n.6 posti disponibili) - Individuazione ambiti diversificati di accoglienza (famiglie, istituti religiosi, appartamenti finalizzati) - Autonomia (reperimento appartamenti per ragazze in grado di autogestione) - Inserimento socio-lavorativo - n. 2 Operatrici di accoglienza n.40 h sett. x n.2 unità. - n.1. Psicologo (n.6 h sett.) - n.1 Orientatore sociale (n.12 h/sett.) Nb. Saranno valorizzate anche figur e pr ofessionali volontarie. In particolar e famiglie sociali, istituti religiosi 183 Localizzazione Lo spazio di accoglienza intervento garantisce una copertura regionale. Nb. Tutti gli spazi di accoglienza saranno fruibili in tutte le ar ee della r egione attraverso una comunicazione interfacciale tra referenti territoriali e operatori dell’accoglienza. Attivazione Servizi trasversali Servizi Operatività Figure professionali - Coordinamento generale - Raccordo generale tra gli interventi del progetto n.1 Supervisore progetto n.20 h/sett. Localizzazione intervento Su tutto il territorio regionale Schema di lavoro per un progetto tipo Offriamo di seguito uno schema di lavoro per l’elaborazione di un progetto di intervento. Schema di lavoro per un progetto tipo 1. Contesto progettuale 2. Motivazioni progettuali 184 3. Obiettivi 4. Tipologia degli interventi e delle azioni 5. Articolazione degli interventi 6. Risorse Umane 7. Destinatari intermedi e/o finali 8. Metodologia dell’intervento 9. Attrezzature, materiali, tecnologie utilizzate 10. Localizzazione dell’intervento 11. Durata (data di inizio e di fine - durata in ore) 12. Calendario dell’intervento (azione tempo programmato) 13. Descrizione del carattere innovativo 185 14. Descrizione dell’approccio “bottom-up” (partecipazione delle reti territoriali al progetto) 15. Interdipendenze con i programmi di sviluppo regionali e locali e rafforzamento delle politiche e dei programmi comunitari 16. Criteri e modalità del sistema di valutazione (ex ante, in itinere, ex post). 17. Prodotti finali 18. Attività programmate per la diffusione dei risultati. 19. Fonte finanziaria. anno.... Bilancio progettuale1 1.00 REDDITO ALLIEVI 1.01 Indennità di frequenza 1.02 Assicurazione allievi 2.00 PREPARAZIONE DEL CORSO 2.01 Spese progettazione intervento 2.02 Spese elaborazione testi e dispense 2.03 Spese pubblicizzazione corsi e bandi 2.04 Colloqui e selezione finale 1 Modello di preventivo economico dei progetti del Fondo Sociale Europeo (da rielaborare per altri progetti - tipo) 186 3.00 PERSONALE 3.01 Retribuzione ed oneri personale interno 3.02 Collaborazioni professionali docenti esterni 3.03 Retribuzione ed oneri tutors interni 3.04 Collaborazioni professionali tutors esterni 3.05 Retribuzione ed oneri altro personale 3.06 Collaborazioni professionali altro personale 4.00 IMMOBILI 4.01 Affitto locali 4.02 Ammortamento locali 4.03 Manutenzione ordinaria e pulizia locali 5.00 ATTREZZATURE DIDATTICHE 5.01 Affitto e/o leasing attrezzature 5.02 Ammortamento attrezzature 5.03 Manutenzione ordinaria attrezzature 6.00 MATERIALE DI CONSUMO 6.01 Materiale didattico collettivo 6.01 Materiale didattico individuale 7.00 SPESE PER ESAMI E COLLOQUI FINALI 7.01 Esami e colloqui 8.00 AMMINISTRAZIONE 8.01 Assicurazioni 8.02 Illuminazione e forza motrice 8.03 Riscaldamento e condizionamento 8.04 Spese telefoniche 8.05 Spese postali 8.06 Cancelleria e stampati 9.00 FORMAZIONE FORMATORI 9.01 Retribuzione ed oneri personale docente interno 9.02 Collaborazioni professionali docenti esterni 9.03 Retribuzione ed oneri partecipanti 10.00 SPESE VIAGGIO E SOGGIORNO ALLIEVI 187 10.01 Spese per viaggi giornalieri 10.02 Spese di viaggio per corsi esterni 10.03 Vitto 10.04 Alloggio 11.00 SPESE VIAGGIO TRASFERTE RIMBORSI PERSONALE 11.01 Personale docente 11.02 Tutors 11.03 Altro personale TOTALE GENERALE DEL PROGETTO 188 Progettualità e fonti di finanziamento Vincenzo Castelli Premessa Il materiale che segue vuole offrire alcune schede sintetiche, parziali in verità, delle fonti di finanziamento possibili per sostenere e sviluppare progetti “ad hoc” nell’ambito della prostituzione. Tale lavoro è diviso in due parti: 1. Analisi delle fonti finanziarie nazionali. 2. Analisi delle fonti finanziarie dell’Unione Europea. Fonti finanziarie nazionali Legge n. 216/91 Interventi a favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose Obiettivo Contrastare, attraverso azioni pilota, il fenomeno della criminalità minorile. Destinatari finali Minori a rischio o all’interno di circuiti penali Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato. Realizzazione I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. 189 Scadenza Riferimenti La richiesta può essere inoltrata sia da Enti Pubblici che dal privato sociale. Si è in attesa di Circolare ministeriale (scadenza annuale) Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministero per la Famiglia e la Solidarietà Sociale DPR n.309/90 Fondo Nazionale Lotta alla Droga Obiettivo Interventi di prevenzione, cura, riabilitazione, riduzione del danno, reinserimento socio-lavorativo per soggetti tossicodipendenti. Destinatari finali Giovani a rischio, tossicodipendenti, ex tossicodipendenti, famiglie, insegnanti, agenzie socioeducative Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato. Realizzazione I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. La richiesta può essere inoltrata sia da parte di Enti Locali (ed ASL) che da parte degli Enti Ausiliari (iscritti all’Albo regionale) Scadenza Si è in attesa di Circolare regionale (scadenza annuale) Riferimenti Assessorato Regionale Servizi Sociali 190 Legge n.135/90 Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS Obiettivo Interventi diversificati per ricerca, informazione ed azioni pilota per la prevenzione e la lotta all’Aids. (Cfr. art.1- comma 1- lett.a). Destinatari finali Gruppi a rischio di contrazione HIV Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato. Realizzazione I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. La richiesta può essere inoltrata sia da Enti Pubblici che dal privato sociale. Scadenza Si è in attesa della circolare ministeriale (scadenza annuale) Riferimenti Ministero della Sanità Legge n. 285/97 Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. Obiettivo Attivazione di interventi diversificati di prevenzione, azioni pilota, progetti strutturati per promuovere diritti ed opportunità per le fasce minorili, adolescenziali e le agenzie socio-educative ad esse collegate. Destinatari finali Fasce minorili, adolescenziali e le agenzie socio-educative ad esse collegate. 191 Finanziamento Realizzazione Scadenza Riferimenti Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato. I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. Si prevede altresì una programmazione triennale (1997-1999). In particolare occorre fare riferimento all’art.4, comma 1, punto h ad oggetto: “Interventi di prevenzione e di assistenza nei casi di abuso o sfruttamento sessuale”. La richiesta può essere inoltrata dagli Enti Locali. Il progetto avrà una scadenza definitiva dagli Assessorati Servizi Sociali delle singole regioni (per quanto concerne le città non metropolitane). Per le città metropolitane (Torino - Milano - Genova - VeneziaBologna - Firenze - Roma - Napoli - Bari - Reggio Calabria - Catania Palermo - Cagliari) si è in attesa del finanziamento diretto da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministero per la Famiglia e la Solidarietà Sociale. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ministero per la Famiglia e la Solidarietà Sociale Legge n.266/91 Gestione del Fondo per il Volontariato. Obiettivo Attivazione di progetti sperimen192 tali, elaborati da organizzazioni di volontariato, per far fronte ad emergenze sociali e per favorire l’applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate ed innovative. Destinatari finali Fasce svantaggiate che non sono beneficiarie di interventi già previsti “ad hoc”. Finanziamento 30% dell’importo a carico dell’ente destinatario del progetto Realizzazione I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. La richiesta può essere inoltrata solamente da organizzazioni di volontariato iscritte all’Albo Regionale del Volontariato. Scadenza Si è in attesa di Circolare ministeriale (scadenza annuale) Riferimenti Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali. Legge quadro sull’immigrazione In corso di approvazione Obiettivo Attivazione di percorsi di uscita dalla prostituzione di strada attraverso la realizzazione di programmi di assistenza e di integrazione sociale (con la possibilità di fruire del permesso di soggiorno per motivi di giustizia in grado di consentire l’accesso ai servizi assistenziali ed allo studio nonché l’iscrizione alle liste di collocamen193 to e lo svolgimento di lavoro subordinato (Cfr. art.16). Destinatari finali Prostitute immigrate che chiedono un programma di protezione sociale. Finanziamento Vengono garantiti agli enti gestori (pubblici e privati) della protezione sociale i costi relativi all’applicazione dei predetti obiettivi. Realizzazione I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. Scadenza Non ancora definita Riferimenti Ministero della Famiglia e della Solidarietà Sociale. Fonti finanziarie Unione Europea Programma STOP Obiettivo Il programma intende promuovere iniziative coordinate relative alla lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale. Destinatari finali Le vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale, in particolare ragazze minori. Finanziamento Il contributo finanziario a carico del bilancio comunitario non potrà superare l’80% del costo dell’azione. Realizzazione Il programma comprende azioni nei seguenti assi: - formazione - programmi di scambio e di tirocini 194 Scadenza Pubblicazione Riferimenti - studi e ricerche - circolazione di informazioni Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. 31 marzo 1998 G.U. CE L 322 del 12.12.1996 Comitato STOP Commissione europea. Segretariato generale Task Force Cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni. Unità Cooperazione di polizia e doganale. Rue de la Loi, 200 B- 1049 Bruxelles Tel. 0032-2-2966701 Iniziativa DAFNE Obiettivo L’iniziativa tende a creare misure volte a combattere la violenza contro i bambini, gli adolescenti e le donne. Destinatari finali Bambini, adolescenti e donne che subiscono violenza e sfruttamento sessuale. Finanziamento Il contributo della Comunità non potrà superare il tasso massimo dell’80% del costo totale stimato. Realizzazione In particolare si vogliono attivare le seguenti azioni: - Protezione di bambini, adolescenti e donne e prevenzione di tutte le forme di violenza e sfruttamento sessuale, traffico ed altre 195 Scadenza Riferimenti forme di abuso (n.4)) - Azioni volte a contrastare le reti internazionali di pedofili (n.5) Progetti pilota (n.6) La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale (ONG). 30 giugno - 15 settembre Commissione europea. Segretariato generale Task Force Cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni. Rue de la Loi, 200 B- 1049 Bruxelles fax. 0032- 2- 2950174 Programma d’azione comunitaria a medio termine per le pari opportunità per le donne e gli uomini (1996-2000) Obiettivo Il programma è destinato ad appoggiare gli sforzi di promozione delle pari opportunità per le donne e gli uomini. Il programma costituisce un importante complemento alle azioni avviate nell’ambito di altre politiche comunitarie, compresi i Fondi Strutturali. Il valore precipuo del programma consiste in particolare nell’individuazione e nello scambio di informazioni e di esperienze sulle 196 buone pratiche nel settore delle pari opportunità per le donne e gli uomini. Destinatari finali Agenti di cambiamento Gestori di risorse umane Donne Finanziamento La Commissione darà un contributo massimo del 60% dell’intero costo del progetto. Realizzazione Le azioni - tipo da realizzare sono le seguenti: - Integrazione della dimensione delle pari opportunità in tutte le politiche ed azioni; - Occupazione e vita professionale; - Processo decisionale - Informazione e ricerca - Statistiche La durata dei progetti è variabile (in genere è di 12 mesi). Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di donne. Scadenza Variabile Pubblicazione G.U. L. 335 del 30/12/1995 Programma Sanità Pubblica (1996-2000) Obiettivo Si tratta di un Programma d’azione comunitario concernente la promozione della salute, l’informazione, l’educazione e la forma197 zione sanitaria nel quadro dell’azione nel campo della Sanità Pubblica (1996-2000). Destinatari finali Si tratta di lavorare sui seguenti ambiti di riferimento: - promozione della salute - educazione alla salute - informazione sanitaria - tossicodipendenza - HIV Finanziamento La Commissione darà un contributo massimo del 50% dell’intero costo del progetto. Realizzazione Si tratta di alcune azioni tipologiche innovative, con una forte connotazione trans-nazionale, quali: - progetti pilota; - ricerche - creazione e gestione di reti - scambi e trasferimento di know how La durata dei progetti è in genere è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. Scadenza 15 marzo 1998 Pubblicazione G.U. C 252, 9.9.1994 – G.U. C 135, 2.6.1995 – G.U. C 89, 10.4.1995 – G.U. C 102, 24.4.1995 Programma Lotta al turismo sessuale Obiettivo Azioni di comunicazione nel campo della lotta al turismo ses198 suale. Tali interventi mirano al rafforzamento delle campagne nazionali d’informazione e di sensibilizzazione contro il turismo sessuale. Destinatari finali Bambini/e ed adolescenti abusati e sfruttati sessualmente Finanziamento La partecipazione finanziaria della Commissione ammonterà al massimo al 60% del totale dei costi ammissibili. Realizzazione La Commissione intende cofinanziare progetti relativi alla realizzazione di azioni di comunicazione nel campo della lotta al turismo sessuale che coinvolge l’infanzia e che abbiano rilevanza su scala europea. La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. Scadenza Ottobre 1998 Pubblicazione G.U.C.E. C 232 del 31.07.1997 Riferimenti Commissione Europea DG XXIII, Unità C/3 Rue de la Loi, 200 1049 Bruxelles tel. 0032-2-22995050 Programma Phare e Tacis Democracy Obiettivo Scopo del programma è quello di contribuire, con azioni positive e 199 diversificate, al consolidamento di società democratiche, rispetto dei diritti nei paesi PECO e NIS Destinatari finali Soggetti svantaggiati Finanziamento La partecipazione finanziaria della Commissione ammonterà al massimo al 90% del totale dei costi ammissibili. Realizzazione La Commissione intende cofinanziare progetti relativi alla realizzazione di azioni di rafforzamento di ONG e trasferimento di esperienze nel campo educativo, prevenzione dei conflitti, promozione dei diritti umani e delle pratiche sociali. La durata dei progetti è di 36 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. Scadenza 31 ottobre - 30 aprile Pubblicazione G.U.CE 94/C 337/08 del 1° dicembre 1994 Riferimenti European Human Rights Foundation - 70 Avenue Michel Ange - B - 1000 Bruxelles Tel. 0032-2-73680405 Programma Leonardo da Vinci Obiettivo Applicazione di una politica di formazione continua in grado di promuovere: - azioni positive a favore di giovani sfavoriti, privi di una formazio200 ne adeguata; - la parità di accesso alla formazione iniziale e continua delle persone svantaggiate; - la parità di opportunità in materia di accesso di uomini e donne alla formazione; - la parità di opportunità in materia di accesso dei lavoratori migranti e dei loro figli. Destinatari finali Giovani in difficoltà, donne immigrate. Finanziamento La partecipazione finanziaria della Commissione ammonterà al massimo al 70% del totale dei costi ammissibili. Realizzazione In particolare si pone l’attenzione sulla realizzazione dei “Progetti Pilota”. Essi dovrebbero mirare a: - sviluppare la qualità e la capacità di innovazione dei sistemi e dei dispositivi per la formazione professionale; - supportare l’innovazione della formazione professionale. Per il nostro specifico ci si orienta verso le misure I.1.1.d (promozione delle pari opportunità) e I.1.1.e (miglioramento della qualità dei dispositivi di formazione professionale a favore delle persone svantaggiate). La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato 201 Scadenza Riferimenti sociale. In particolare organismi di formazione. Primavera 1998 Pubblicazione G.U. L. 340, 29/12/1994 ISFOL (Assistenza Tecnica) Via Morgagni, 43 - Roma Commissione Europea Direzione Generale XII Istruzione, Formazione e Gioventù Rue de la Loi, 200 B - 1049 Bruxelles Iniziative Comunitarie Occupazione Programma NOW Obiettivo L’iniziativa comunitaria Occupazione tende ad attivare azioni mirate nell’ottica di offrire modelli pilota di buone pratiche nell’ambito dell’inserimento lavorativo delle fasce svantaggiate. In particolare il programma NOW viene rivolto a donne disoccupate, svantaggiate e viene perseguito l’obiettivo primario di contribuire a ridurre la disoccupazione femminile e di migliorare il loro statuto professionale. Destinatari finali Donne disoccupate Donne svantaggiate Donne immigrate Agenti di cambiamento e gestori di sistemi Finanziamento La Comunità garantisce con il Fondo Sociale Europeo il 45% del 202 Realizzazione Scadenza Riferimenti contributo (ob.3). Il restante 55% viene garantito dal Fondo di Rotazione dello Stato Membro (in genere il 10% viene garantito dal promotore del progetto). Il programma tende ad attivare n.4 azioni - tipo: - Azioni di sistema - Azioni di formazione - Azione di imprenditoria - Azioni di informazione La durata dei progetti è di 24 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di formazione. La fase 1997-99 è appena stata approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Pubblicazione G.U. C 180, 1/7/1994 ISFOL (Assistenza Tecnica) Via Morgagni, 43 - Roma Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Vicolo D’Aste, 12 - Roma Iniziativa Comunitaria ADAPT Obiettivo L’iniziativa comunitaria Occupazione ADAPT tende ad attivare azioni innovative mirate nell’ottica di offrire nuovi modelli pilota di buone pratiche nell’ambito del203 l’adattamento socio-economico. In particolare il programma ADAPT vuole favorire la creazione di posti di lavoro connessi ai mutamenti indotti dalla società complessa e per aumentare la competitività europea nei nuovi settori. Destinatari finali Giovani in formazione Giovani in mobilità Agenti di cambiamento e gestori di sistemi Finanziamento La Comunità garantisce con il Fondo Sociale Europeo il 45% del contributo (ob.3). Il restante 55% viene garantito dal Fondo di Rotazione dello Stato Membro (il 25% deve essere garantito da aziende private). Realizzazione Il programma tende ad attivare n.4 azioni - tipo: - Azioni di sistema - Azioni di formazione - Azione di imprenditoria - Azioni di informazione La durata dei progetti è di 24 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di formazione. Scadenza La fase 1997-99 è appena stata approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Pubblicazione G.U. C 180, 1/7/1994 Riferimenti ISFOL (Assistenza Tecnica) 204 Via Morgagni, 43 - Roma Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Vicolo D’Aste, 12 - Roma Fondo Sociale Europeo Piani Operativi Multiregionali (regionali) ob.3 Obiettivo Impedire il rifluire delle categorie disagiate (in particolare donne) in un circuito di precarietà, di emarginazione o di inattività forzata. Interventi resi ad individuare percorsi compositi di inserimento o reinserimento lavorativo. Interventi tesi alla crescita della consapevolezza in materia di pari opportunità. Destinatari finali Donne disoccupate Donne svantaggiate Agenti di cambiamento e gestori di risorse umane Finanziamento La Comunità garantisce con il Fondo Sociale Europeo il 45% del contributo (ob.3). Il restante 55% viene garantito dal Fondo di Rotazione dello Stato Membro (in genere il 10% viene garantito dal promotore del progetto). Realizzazione Il programma tende ad attivare le seguenti azioni - tipo: - Azioni di orientamento - Azioni di formazione - Azione per la creazione di lavoro autonomo - Azioni di sostegno all’avviamen205 Scadenza Riferimenti to di impresa - Azioni di ricognizione nuovi bacini d’impiego Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3 La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di formazione. Estate 1998 ISFOL (Assistenza Tecnica) Via Morgagni, 43 - Roma Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Vicolo D’Aste, 12 - Roma Fondo Sociale Europeo Piani Operativi Multiregionali (regionali) ob.3 Azioni innovative Obiettivo Impedire il rifluire delle categorie disagiate (in particolare donne) in un circuito di precarietà, di emarginazione o di inattività forzata. Interventi resi ad individuare percorsi compositi di inserimento o reinserimento lavorativo. Interventi tesi alla crescita della consapevolezza in materia di pari opportunità. Attivazione di azioni innovative sia per individuazione di nuove metodologie formative, che per tipologia di target, che per proce206 dure e nuovi bacini d’impiego, sia per tecnologie utilizzate. Destinatari finali Donne disoccupate Donne svantaggiate Agenti di cambiamento e gestori di risorse umane Finanziamento La Comunità garantisce con il Fondo Sociale Europeo il 45% del contributo (ob.3). Il restante 55% viene garantito dal Fondo di Rotazione dello Stato Membro (in genere il 10% viene garantito dal promotore del progetto). Realizzazione Il programma tende ad attivare le seguenti azioni - tipo: - Azioni di orientamento - Azioni di formazione - Azione per la creazione di lavoro autonomo - Azioni di sostegno all’avviamento di impresa - Azioni di ricognizione nuovi bacini d’impiego Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3 La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di formazione. Scadenza Estate 1998 Riferimenti ISFOL (Assistenza Tecnica) Via Morgagni, 43 - Roma Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Vicolo D’Aste, 12 - Roma 207 FSE - art.6 - Nuovi giacimenti occupazionali Obiettivo L’art.6 del Regolamento del Fondo Sociale Europeo prevede il finanziamento di azioni preparatorie, valutazione per la realizzazione di azioni volte ad attuare una nuova organizzazione del lavoro, aiuti alle imprese che si misurano nei nuovi giacimenti occupazionali. Destinatari finali Disoccupati Svantaggiati Finanziamento La Commissione erogherà il 100% del costo complessivo del progetto finanziato Realizzazione Azioni e progetti volti ad attuare una nuova organizzazione del lavoro, aiuti alle imprese che si misurano nei nuovi giacimenti occupazionali (es. servizi alle persone, i servizi della vita quotidiana), azioni di sviluppo locale per l’occupazione. La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare parti sociali, imprese ed organismi di formazione. Scadenza Inizio 1998 Riferimenti Commissione Europea DG V Occupazione, relazioni industriali ed affari sociali Progetti art.6 FSE Rue de la Loi, 200 208 B - 1049 Bruxelles Fax 0032-2-22979771 Fondo Sociale Europeo Programmi Operativi “Parco Progetti: una rete per lo sviluppo locale” Obiettivo Attivazione di accordi territoriali (misura 1), progetti in rete (misura 2) e promozione di lavoro e di impresa per nuovi bacini d’impiego (misura 3) con avvio di interventi resi ad individuare percorsi compositi di inserimento o reinserimento lavorativo. Attivazione di azioni innovative sia per individuazione di nuove metodologie formative, che per tipologia di target, che per procedure e nuovi bacini d’impiego, sia per tecnologie utilizzate. Destinatari finali Soggetti disoccupati Donne disoccupate Donne svantaggiate Agenti di cambiamento e gestori di risorse umane Finanziamento La Comunità garantisce con il Fondo Sociale Europeo il 45% del contributo (ob.3). Il restante 55% viene garantito dal Fondo di Rotazione dello Stato Membro . Realizzazione Il programma tende ad attivare le seguenti azioni - tipo: - Azioni di orientamento - Azioni di formazione - Azione per la creazione di lavo209 Scadenza Riferimenti ro autonomo - Azioni di sostegno all’avviamento di impresa - Azioni di ricognizione nuovi bacini d’impiego Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3 La durata dei progetti è di 12 mesi. Possono inoltrare le domande soggetti pubblici e del privato sociale. In particolare organismi di formazione. Non c’è una scadenza perentoria. Pubblicazione G.U. 265 13/11/1997 ISFOL (Assistenza Tecnica) Via Morgagni, 43 - Roma Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale Vicolo D’Aste, 12 - Roma 210 La valutazione di progetti sulla prostituzione Liliana Leone* e Pina De Angelis** Caratteristiche dei progetti sulla prostituzione e domanda di valutazione L a prostituzione è un fenomeno in larga parte sommerso caratterizzato da continui cambiamenti connessi a fenomeni migratori, traffici di micro e macro organizzazioni criminali, cambiamenti a livello della domanda sul versante dei clienti (nuove mode e richieste). Come altri fenomeni al margine della legalità (almeno in Italia) risente della mancanza di dati e statistiche ufficiali. Le stime nazionali orientative (tra le quali spicca quella del Parsec in collaborazione con l’Università di Firenze sul traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale) sono basate sulle informazioni raccolte con interviste a testimoni privilegiati. Esistono poi diversi modi di prostituirsi con diversi gradi di sfruttamento. Solitamente le prostitute hanno stili di vita mutevoli, un’alta mobilità territoriale e poca disponibilità a impegnare tempo in interviste o somministrazione di questionari. Di contro i progetti che intendono intervenire sul fenomeno della prostituzione, ad esempio per ridurre il rischio di contrarre AIDS e altre malattie sessualmente trasmissibili, sono caratterizzati da una fragilità finanziaria e dalla difficoltà a poter contare su programmi di lavoro a 211 lungo termine (4 - 5 anni) Questi progetti sono inoltre “giovani”, la maggior parte, infatti, si sono sviluppati a partire dagli anni ’90 (anche se le strategie di lotta alla prostituzione vengono da lontano, dalla prima adesione dei paesi europei alla “Convenzione di New York” del ’49 e quindi dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e di Amnesty for Women entrambi sorti nel 1982) e in confronto ad altre tipologie di progetti la diffusione dei risultati non è ancora capillare. Le competenze professionali di cui necessitano questi progetti sono altamente specifiche anche se in buona parte sono mutuate o derivano da precedenti esperienze sviluppate in progetti per la riduzione del danno nelle tossicodipendenze. Le metodologie d’intervento utilizzate nel settore della prostituzione prendono in prestito abilità, competenze ed esperienze sviluppate dalla figura degli operatori di strada affiancati dalle peer educators e/o mediatrici culturali (v. metodologia sviluppata da TAMPEP), come anche dalla figura del mediatore istituzionale per favorire gli inserimenti lavorativi (v. esperienze di inserimento lavorativo per fasce deboli). Si inizia ora a parlare di profili professionali ma si tratta pur sempre di profili deboli (come lo sono d’altronde tutti i profili nel “sociale”), scarsamente definiti e riconosciuti (v. differenze nella durata e nella tipologia di formazione prevista). I progetti che intervengono sul fenomeno della prostituzione si trovano a dover gestire 212 una complessità connessa all’approccio teorico ed operativo le cui problematicità si collocano su più livelli: 1. Quello della legittimità a livello di comunità e a livello istituzionale: il tema della prostituzione è ancora sottaciuto, negato, fonte di contrasti ideologici e alcuni ostacoli alla realizzazione degli stessi progetti talvolta derivano anche da resistenze culturali interne (nel caso di autocommittenze) ed esterne alle istituzione pubbliche. 2. Quello della definizione degli approcci di prevenzione e di riduzione del danno (è prevenzione l’informazione sul blood test? è riduzione del danno l’aumento di contatti delle lavoratrici sessuali con gli operatori?...). 3. Quello del superamento di una dicotomia negli approcci orientati esclusivamente o sulla riduzione del danno o sull’inserimento sociale (accoglienza, inserimento lavorativo, ecc...) delle prostitute. 4. Quello della multifattorialità dei rischi e degli in-put di variazione sul sistema . 5. Quello della comunità e del suo empowerment (Se e come debbano prevedersi e misurarsi la modificazione del contesto, comprendere l’impatto sul territorio e sulla sua rappresentazione sociale del fenomeno). 6. Quello della gestione del paradosso visibilità/riservatezza: i progetti devono essere visibili nei confronti di organizzazioni della rete dei 213 servizi (EELL, forze dell’ordine, presidi sanitari...) e al tempo stesso devono garantire totale riservatezza nei confronti del proprio target e della rete dei collaboratori (es.: imprese per l’inserimento lavorativo, gruppi di accoglienza, garanti della sicurezza degli operatori...). 7. Quello della professionalità esposta a rischio di burn-out: il contesto in cui gli operatori intervengono è molto incerto e richiede un alto coinvolgimento, la visibilità dei risultati è scarsa e il contesto in cui operano offre pochi elementi “contenitivi” (è più protettivo e rassicurante un contesto più definito come quello di un ufficio...). Perché valutare: quali benefici e per chi Il processo di valutazione risponde in sé ad alcuni obiettivi espliciti e impliciti che mutano a seconda da chi proviene la “domanda “ di valutazione e di come questa viene utilizzata. L’organizzazione che gestisce operativamente il progetto dovrebbe poter utilizzare la valutazione per: - sviluppare una capacità interna di riflessione al fine di verificare, adeguare e migliorare le metodologie di intervento utilizzate; - sviluppare un sistema di monitoraggio che permetta di tenersi aggiornati rispetto alle continue modificazioni del target (riformulazione progettazione operativa); - offrire agli operatori coinvolti nel progetto una maggiore tangibilità dei risultati raggiunti e di conseguenza la possibilità di sostenerli e di sviluppare apprendimenti (non solo attraverso 214 un supporto psicologico-relazionale ma anche di follow up); - comprendere la coerenza e l’adeguatezza delle risposte e delle attività programmate rispetto alla cultura dei bisogni (es. se le case di accoglienza sono un modello trasferibile alle prostitute nigeriane...); - supportare i processi decisionali (monitoraggio) e sviluppare apprendimenti dall’esperienza (importante feed back per l’operatore); - avere una percezione esterna del progetto che non sia quella di chi vi è coinvolto quotidianamente e sviluppare confronti e apprendimenti mettendo in “rete” i risultati della propria esperienza; - restituire al committente/finanziatore dei risultati e accrescere la propria legittimità ad operare nel settore. Nell’insieme si tratta di progetti che potremmo considerare “pilota”(v. il terzo paragrafo), progetti in cui l’incertezza è ancora alta a livello di metodologie di intervento (livello tecnico) e in cui, di conseguenza, la valutazione dovrebbe ancora centrarsi sulla validità interna dei modelli di intervento. Come valutare: approcci e metodi di valutazione I programmi - e i progetti al loro interno sviluppati - possono essere distinti in due tipi: a) dimostrativi, ovvero ancora in fase sperimentale; b) operativi, ovvero a regime (Sauchman 1972). 215 a) I programmi dimostrativi a loro volta sono classificati in: programmi pilota, programmi modello e prototipi a seconda del grado di convalidazione delle metodologie e delle procedure adottate. a1) I programmi pilota “si svolgono in un periodo iniziale di trial-and-error, in cui vengono esplorati nuovi approcci e procedure (...) che vengono riviste rapidamente in modo flessibile. Si impara dall’esperienza e dai problemi che sorgono. Qui ci vuole una valutazione rapida, con grande enfasi sui feedback. Non è possibile basarsi su un disegno sperimentale di valutazione, e ci si affida piuttosto a case studies, osservazioni ecc.” a2) Nei programmi modello si sa “che il successo è possibile” (validità interna), ma non si è ancora certi di voler/poter diffondere il programma su vasta scala. Per farlo, si vuole avere una maggiore certezza sulle condizioni di applicabilità in luoghi e contesti diversi (validità esterna). Qui si prevede un disegno di valutazione di tipo sperimentale, in cui si confronti un gruppo sperimentale cui si somministra il programma con uno di controllo cui il programma non viene somministrato.” a3) Il prototipo rappresenta “lo stadio in cui il programma è stato testato ampiamente e può essere reso operativo su vasta scala. Qui il disegno della valutazione deve cercare di avvicinarsi al modello sperimentale (attraverso i quasiesperimenti), tenendo la situazione attuale del programma come gruppo sperimentale e quella dei programmi precedenti come gruppo di controllo.” (Stame N.) 216 b) Programmi operativi. “Una volta che il programma sia a regime non è più necessario valutarlo tramite un disegno sperimentale, perché si cerca piuttosto di capire come si può migliorare il programma esistente: lo si farà con un sistema di monitoraggio, e con analisi di processo, con valutazioni continue del personale, ecc.”. “Un progetto operativo che va bene viene normalmente applicato da varie parti, anche se - come vedremo subito - ciò non significa dire se esso sia esattamente “riprodotto”. Un progetto pilota, invece, non può accontentarsi di un solo successo per potersi ritenere riproducibile (siamo così venuti al secondo slittamento linguistico): infatti, tra i progetti dimostrativi solo i prototipi sono - per definizione - considerati riproducibili, mentre i progetti pilota hanno ancora bisogno di verifiche e di decisioni di attuazione.” (Stame N.). Nel proseguire l’articolo la Stame mette in guardia da un utilizzo acritico di questa distinzione ricordando che in campo sociale la costante variabilità del contesto in cui si colloca un progetto fa si che in un certo senso quest’ultimo debba essere sempre considerato “dimostrativo” e non invece a regime. Gli ultimi approcci sviluppati nell’ambito della ricerca valutativa rifuggono da modelli “pesanti” centrati su tecniche matematico-statistiche che spesso calandosi in processi di implementazione (la concreta realizzazione dei progetti) faticosi e di tipo adattativo, provocano degli inutili appesantimenti e dei rallentamenti dei processi decisionali (piuttosto che dei sostegni) (Bertin 1995). 217 Attualmente si utilizzano approcci diversificati a seconda dei contesti decisionali (si parla di approccio multidimensionale e pluralistico), ma che non rinunciano all’obiettivo di ridurre l’incertezza e di migliorare il processo decisionale attraverso una messa in comune ed uno sviluppo delle conoscenze, dei diversi apprendimenti sviluppati a partire dall’operatività. Diversi sono gli obiettivi che può perseguire la valutazione (valutazione ex ante, di processo, della riproducibilità, della qualità...) come pure le pratiche che utilizza: disegni basati sull’autovalutazione degli operatori, sul giudizio degli utenti ecc. Gli approcci di valutazione più ricorrenti dei progetti sulla prostituzione, di cui si ha documentazione scritta, si collocano generalmente sulla valutazione di un primo livello d’intervento definibile come “Azioni sulla strada” (Castelli 1997) o come interventi di “Prevenzione primaria” (Brussa 1995): diffusione di informazioni relative alla prevenzione e alla profilassi igienico-sanitaria e facilitazioni nella fruibilità del target dei servizi sanitari. Le caratteristiche fondamentali che accomunano tali metodologie di valutazione possono essere lette attraverso tre elementi portanti: a) Partecipazione I progetti sono caratterizzati da una forte partecipazione dei soggetti che gestiscono e realizzano il progetto (lo staff). I motivi di un approccio “partecipato” anche nella valutazione dei progetti sono in parte evidenti tuttavia, ci conviene esplicitarli: - Gli operatori in questa prima fase sviluppano un prezioso Know how necessario a impian218 tare un sistema di osservazione e sono loro stessi ad individuare, costruire e migliorare alcuni strumenti utilizzati nella raccolta dei dati (es voci previste nelle schede contatto). La partecipazione coinvolge in alcune fasi specifiche il target di riferimento attraverso le figure delle peer educators (che a differenza dei mediatori culturali sono membri del target group) soprattutto nei casi di stanzialità del fenomeno. La partecipazione di prostitute appartenenti al target sembra meno evidente e andrebbe rinforzata. - La valutazione costa in termini di tempo e di energie e per poter essere sostenuta e risultare utile deve poter rispondere anche alle esigenze (di informazione, apprendimento, confronto...) di chi direttamente opera (lo staff). - I criteri di valutazione non sono a carattere universale ma sono frutto della co-definizione di diversi attori (v. La difficoltà nell’individuazione di indicatori di efficacia non è solo di ordine tecnico e metodologico). Inoltre co-definire un criterio di valutazione, ricercare insieme gli indicatori ha come immediato riscontro il fatto che ci si deve intendere maggiormente sul “cosa si vuole ottenere e sul cosa è possibile realisticamente ottenere”. b) Attenzione posta al monitoraggio del fenomeno prostituzione - Viene posta una grossa rilevanza al monitoraggio delle caratteristiche del Target. Quasi tutti i progetti hanno sviluppato in modo continuativo delle indagini e dei monitoraggi tramite schede contatto per poter “mappare” con continuità il fenomeno (es: Progetto Lucciola, Coop. Magliana 80 - Roma) , conoscere i comporta219 menti di gruppo e l’influenza del soggetto leader all’interno dei gruppi. Questa attenzione risponde a delle esigenze fondamentali: gli interventi sviluppati dai progetti per tipologia e dislocazione devono continuamente adattarsi alle modificazioni del target attraverso il lavoro di aggancio e di informazione (v. Rapporto tra orario di presenza sulla strada e nazionalità delle prostitute a cui va coniugata la scelta di utilizzare in modo efficace le unità di strada e le disponibilità delle mediatrici culturali). - L’interrelazionalità tra ricerca ed intervento, tra sviluppo di conoscenze e progettazione degli interventi, è una delle caratteristiche del metodo di lavoro del progetto TAMPEP. c) Valutazione degli interventi - Prevale una valutazione di processo centrata su un’analisi degli output, della quantità di attività sviluppate dagli operatori (n° contatti, n° depliants e altro materiale informativo dato, n° preservativi distribuiti, n° esami, n° accompagnamenti ai servizi). - Numerare ciò che si fa è il primo passo per rendere visibile a sé e agli altri la propria operatività, tuttavia, in alcuni casi se non viene affiancata ad altri tipi di valutazione poco ci dice sugli esiti complessivi. - Nel caso di adozione di comportamenti e metodologie già sperimentate (es: vaccinazioni per epatite b) è invece più significativo il rapporto tra risultati attesi (efficacia) e intervento (n° % persone vaccinate). - I vari progetti comunque sviluppano una valutazione interna (più o meno formalizzata) attraverso riunioni di equipe e avvalendosi, a volte, di una supervisione. 220 Esempio di valutazione sviluppato nell’ambito dei progetti Il seguente schema (v. Tab 1) è stato tratto dal rapporto conclusivo del Progetto EUROPAP (EUROPAP 1994) a cui hanno partecipato undici paesi europei e si riferisce alle raccomandazioni sui sistemi di valutazione dei progetti; si tratta di una traduzione libera che per adattarsi al nostro discorso ha subìto alcune modifiche e delle aggiunte (Progetto EUROPAP, Conclusioni Generali e Raccomandazioni di Rudolf P. Mak). Ve la proponiamo perché rispetto al tema della valutazione ci sembra il documento ufficiale più completo sin’ora prodotto a livello europeo da chi opera nel settore della prostituzione. Come si potrà facilmente osservare lo schema che vi proponiamo ha il pregio e contemporaneamente il limite di focalizzarsi su una specifico modello di intervento: quello della riduzione del danno. Si tratta di uno schema che può aiutare i soggetti che operano secondo tale modello a sviluppare più adeguatamente una autovalutazione che riguarda le diverse fasi di realizzazione di un progetto. Indicazioni operative per lo sviluppo di impianti di valutazione Un ragionamento sulla valutazione deve tener conto delle caratteristiche dei progetti e non può calarsi aprioristicamente senza una conoscenza degli stessi e della realtà organizzativa che lo va a gestire: gli elementi accennati in precedenza ci offrono diversi spunti. Riassumendo quanto esposto nei primi para221 grafi osserviamo che esistono delle specificità dei progetti sulla prostituzione connesse a: - fenomeno prostituzione - target - risorse finanziarie e umane - modelli di intervento - cultura del settore Tali specificità riteniamo debbano essere considerate il punto di partenza per sviluppare degli impianti di valutazione che possiedano le caratteristiche seguenti: validità metodologica, fattibilità e congruenza con vincoli e risorse presenti nei progetti e nelle organizzazioni che li gestiscono, utilità e vantaggi (in termini di sviluppo di apprendimenti, di sostegno ai processi decisionali...) per gli attori coinvolti (operatori, organizzazione che gestisce il progetto...). Di seguito nella tabella (Tab.2) vengono esposti i rapporti esistenti tra caratteristiche dei progetti e indicazioni operative utili allo sviluppo di processi di valutazione interni ai progetti stessi. Conclusioni In conclusione ci preme sottolineare che un ragionamento comune relativo agli impianti ed alle metodologie di valutazione adottate dai diversi progetti attualmente in corso in Italia ed in Europa ci sembra potrebbe aiutare in modo consistente lo sviluppo dei progetti nel settore della prostituzione. Rimangono, infatti, aperti una serie di interrogativi su cui sarebbe interessante sviluppare “valutazione e verifiche”. Gli interrogativi maggiori riguardano la possi222 bilità di sviluppare metodologie di intervento integrate che rispondano a obiettivi di riduzione del danno come pure di integrazione sociale e di empowerment della comunità locale inteso come capacità di contrastare i fenomeni di emarginazione e di criminalità connessi spesso alla prostituzione. Mentre il modello di intervento che prevede l’affiancamento dell’operatore di strada e della mediatrice culturale e/o peer educator sembra essere stato abbastanza formalizzato e verificato, una maggiore attenzione in termini di valutazione è necessario che si ponga su altre questioni tipo: L’invio ai servizi sanitari pubblici in quali casi ha successo? Esistono delle resistenze da parte di alcune donne extracomunitarie spiegabili in termini di differenze di modelli culturali? Che efficacia ha l’affidamento familiare di ragazze ex prostitute, esistono famiglie più adatte? Come innestare percorsi che prevedano azioni di formazione professionale (es.: si veda l’esperienza di valutazione del progetto “IONIQUE – Occupazione: femminile plurale” dell’Associazione On The Road) coerenti con le esigenze di questo target? Come valutare la capacità di impatto del progetto su opinione pubblica (a livello di comunità locale) e su atteggiamenti dei clienti? Sarebbe inoltre opportuno impiantare sistemi di verifica dei cambiamenti di atteggiamenti e di pratiche operative (accordi, protocolli, procedure per invii e segnalazioni, prese in carico di persone segnalate ad esempio dall’unità di strada) sviluppati durante la realizzazione del pro223 getto dagli operatori dei diversi servizi coinvolti. Il successo dei progetti non è infatti mai affidato ad una singola organizzazione ma alla capacità della rete complessiva dei servizi ed al fatto che riescano a condividere delle finalità comuni se non proprio identici obiettivi. *Liliana Leone è valutatrice esterna del Progetto NOW “IONIQUE – Occupazione: femminile plurale”. Psico-sociologa, consulente organizzativa e formatrice nell’ambito di progetti sociali e socio-sanitari per Enti Locali e Organizzazioni del Terzo Settore. **Pina De Angelis si è laureata in Sociologia nel 1987 e da allora ha lavorato in diversi campi delle scienze sociali: dalle sperimentazioni nelle scuole di diverso livello alla consulenza per i programmi sociali per gli Enti Locali. E’ stata coordinatrice nazionale del programma CEE Petra-Yip e attualmente è referente per l’Agenzia Nazionale di Formazione del CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza). E’ Presidente della Cooperativa RES Risposte Esperienze Servizi. 224 225 226 227 228 Strumenti di ricerca sociale sul fenomeno prostituzione Stefano Ricci* Oggetto della ricerca L e insufficienze della conoscenza sui fenomeni sociali, nel nostro Paese e non solo, sono state da più parti e più volte denunciate ma la realtà sostanziale non è mutata notevolmente anche se si sono avviati nuovi processi di ricerca, da equilibrare e stabilizzare. D’altra parte ogni fenomeno sociale oggetto di studio e di ricerca ha delle caratteristiche peculiari che implicano l’utilizzo di strumenti e tecniche adeguate alla sua specificità. Queste due dimensioni, la mancanza di conoscenza e la ‘particolarità’, risultano ancor più accentuate per il tema della prostituzione in quanto alcuni aspetti ‘propri’ lo rendono al tempo stesso interessante e ostico: la ‘clandestinità’, le implicazioni etiche, le connessioni con altre questioni quali giustizia, criminalità, salute, condizione della donna, immigrazione..., la pluralità e l’eterogeneità dei soggetti coinvolti. Gli ambiti e gli ‘oggetti’ della ricerca sociale sul fenomeno prostituzione sono molteplici e vanno: dall’aspetto quantitativo (con la necessità di utilizzare procedure adeguate di stima) a quello dei flussi e delle provenienze in considerazione della crescita del fenomeno della prostituzione straniera; dall’analisi delle condizioni di vita all’identikit di chi pratica la prostituzione; 229 dal confronto tra le politiche attivate nei diversi Paesi alla ricognizione di risorse e risposte. Il ‘campo di interesse’ della ricerca sociale pone difficoltà particolari ai ricercatori in quanto non si tratta di studiare oggetti inanimati, reazioni e relazioni tra elementi fisici, chimici, vegetali o animali, ma di studiare gli esseri umani nella loro relazionalità, con le loro personalità individuali complesse, con capacità di scegliere atteggiamenti e comportamenti su base razionale o irrazionale. I principali problemi di metodologia della ricerca sociale che si occupa di persone acquistano ‘sfumature’ specifiche se visti nella prospettiva della prostituzione: - Le origini del comportamento sociale sono quasi sempre estremamente complesse perché derivano da fattori ereditari, psicologici, sociali, culturali, storici e di altro tipo che si interconnettono in maniera sempre diversa e articolata; in molti casi è difficilissimo anche solo avvicinare gli ‘attori’ coinvolti nella prostituzione per studiarne il comportamento. - Le persone hanno emozioni, motivazioni, atteggiamenti, opinioni e comportamenti fortemente caratterizzati sul piano individuale, che risulta difficile conoscere; è diffusa la tendenza a nascondere le proprie idee, a dare informazioni false, a proporsi in una modalità diversa dal reale, ma nell’ambito della prostituzione appare decisamente la ‘norma’. - Ogni comportamento sociale può essere influenzato, condizionato o alterato semplicemente per il fatto di essere oggetto di indagine; un fenomeno ‘esposto e nascosto’ come quello della prostituzione si presta particolarmente a questo rischio, con evidenti riflessi negativi sui risultati della ricerca. 230 - Il ricercatore sociale ‘appartiene’ alla realtà che sta studiando per cui è difficile mantenere un atteggiamento ‘neutrale’; fenomeni come la prostituzione coinvolgono la cultura, la tradizione, la morale, i valori di riferimento di ogni ricercatore. Anche altre difficoltà ‘generali’ per la ricerca sociale, relative alle fonti ed a strumenti appropriati, attendibili e significativi, risultano aggravate nell’approccio alle questioni relative alla prostituzione. I modi per risolvere questi problemi risentono di due approcci: concentrare gli sforzi sul perfezionamento delle tecniche statistiche (sia quantitative che qualitative) o impegnarsi in descrizioni basate su categorie interpretative soggettive dei comportamenti. Appare chiaro che va ricercato un equilibrio tra gli ‘estremi’, anche se, probabilmente, rispetto alla prostituzione può prevalere la seconda modalità, a patto che sia scevra da pregiudizi e preconcetti e che mantenga, quanto più possibile, un preciso riferimento ad elementi quantitativi verificabili. Teoria La ricerca sociale consiste nel lavoro di verifica/arricchimento della capacità di conoscenza e di interpretazione corretta della realtà sociale, ma rispetto ad una situazione ‘problematica’ ha una valenza che oltre la produzione di informazione può favorire o indicare possibili soluzioni dei problemi - ‘ricerca applicata’ -. In questa prospettiva la ricerca sociale aiuta ad acquisire un atteggiamento ed un metodo di ricerca che 231 permetteranno di impostare correttamente l’intervento sociale. Questa ‘definizione teorica’ assume particolare rilevanza nell’ambito della prostituzione dove, al di là delle motivazioni diverse che possono promuovere un processo di ricerca (dall’ordine pubblico allo sviluppo delle politiche sociali, dalla profilassi sanitaria alla sicurezza sociale), sono difficilmente scindibili le dimensioni della conoscenza e dell’azione sociale. Tra le motivazioni a fare ricerca sociale, ma anche all’operare ‘nel’ sociale, è necessario privilegiare la presenza e l’acquisizione di un atteggiamento e di una metodologia di ricerca. Atteggiamento di ricerca vuol dire che attraverso la ricerca si mette in discussione: la conoscenza che si ha dei problemi, il modo attraverso il quale ci si è fatti tale conoscenza, le motivazioni e le modalità con cui si affrontano i problemi. Acquisizione di una metodologia vuol dire non solo imparare ad usare (o a conoscere) degli strumenti di ricerca, ma soprattutto sperimentare che, comunque, chi fa ricerca non è spettatore esterno, ma parte in causa di una situazione. Ha senso parlare di ricerca sociale solo se essa è in funzione del ‘cambiamento’. Uno spirito ed una mentalità di ricerca rifiuta e rifugge ogni atteggiamento rigido, rende disponibili all’ascolto, alla collaborazione; non fa selezionare a priori di ciò che è o non è importante, ma valorizza tutto quanto emerge dalla realtà; fa partire dai bisogni non dai propri schemi. Il ‘cambiamento’ richiesto nell’ambito della ricerca sul fenomeno prostituzione deve prescindere da ‘assiomi valoriali’ mettendo al centro la dignità e la qualità della vita della persona 232 debole; l’avalutatività, tipica della ricerca sociale, in questo caso rappresenta un elemento irrinunciabile, di rispetto e attenzione alla persona. Fonti Le ‘fonti’ sono quelle entità che permettono di acquisire informazioni e dati riguardanti caratteri quantitativi e qualitativi di un fenomeno e si distinguono per la forma che possono assumere: dati già pronti per l’uso (e per la prostituzione questo è il caso meno frequente), valori sui quali è necessario compiere alcune elaborazioni statistiche per renderli utilizzabili, materiale che va ripreso secondo una logica innovativa, dati da ricostruire globalmente attraverso valutazioni personali del ricercatore. Il sistema delle fonti in generale e degli apparati statistici ufficiali pone una serie di problemi e un’attenta valutazione critica per quanto riguarda la significatività, l’attendibilità, la confrontabilità dei dati. Anche per questi aspetti della ricerca sociale l’ambito della prostituzione rappresenta spesso una situazione ‘limite’. È intuibile che c’è una certa gradualità dal basso indice di attendibilità per le fonti orali che cresce passando ai documenti scritti e alle statistiche ufficiali; la significatività di una fonte è in diretta relazione con la maggiore o minore conoscenza del fenomeno in oggetto; ma rispetto alla questione prostituzione non è detto, anzi, che una fonte ‘significativa’ - per esempio il racconto di una prostituta - sia di per sé ‘attendibile’, e quindi vanno sempre utilizzate più ‘fonti’ - sia ‘dirette’ che ‘indirette’ - per verificare le informazioni acquisite. 233 Per la ‘diffusione’ del fenomeno prostituzione non esiste (e in effetti non potrebbe esistere) una fonte certa per cui ci si deve affidare a diversi criteri di ‘stima’ (dati giudiziari e istituzionali integrati da indagini ad hoc, micro-censimenti svolti nelle aree di maggiore concentrazione del fenomeno, interviste a testimoni privilegiati quali operatori del settore - pubblici e del volontariato -...). Una fonte statistica ufficiale per la prostituzione è rappresentata, anche se non in maniera specifica, dalle statistiche giudiziarie e penali dell’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT), che raccoglie ‘numeri’ rispetto: al reato di ‘istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione’ ex legge n.75/58; al reato di traffico di donne finalizzato alla prostituzione (anche se non consentono di isolarlo da ‘riduzione in schiavitù’ o ‘tratta’); ai delitti ‘contro la moralità e il buon costume’. I dati disponibili riguardano, pur con una sfasatura temporale di circa 2 anni, l’intero territorio nazionale disaggregato per: regioni, numero dei delitti e delle persone denunciate, sesso delle persone denunciate, nazionalità e paese di provenienza. Sul piano locale fonti utili alla conoscenza del fenomeno prostituzione possono essere rappresentati dalle Forze dell’Ordine (ed in particolare dalle Questure per le connessioni con il fenomeno delle immigrazioni clandestine finalizzate allo sfruttamento della prostituzione) e dai Tribunali. In misura minore possono essere i Servizi Sociali di Enti Pubblici (Comuni e Aziende U.S.L.) ad aver acquisito informazioni sul fenomeno. In tutti questi casi risulta evidente la difficoltà di accesso ai dati per, diversamente motivate, questioni di riservatezza. 234 Piste di ricerca In questa sede non interessano i temi della ricerca teorica sulla prostituzione. Nell’individuare possibili ‘piste di ricerca’ sociale applicata al fenomeno è importante ribadire la necessità di un approccio integrato che riesca a coniugare correttamente più ‘dimensioni’ del problema in una prospettiva unitaria (anche se non univoca) e complessiva. Per collegare i diversi aspetti connessi al fenomeno prostituzione può essere utile da un lato individuare ‘ambiti’ e ‘settori’ in cui avviare la ricerca e, dall’altro, esporre i caratteri dei metodi e delle tecniche di ricerca che è possibile utilizzare. Tra gli ‘ambiti’ della ricerca, avendo già trattato delle difficili questioni connesse con le dimensioni quantitative del fenomeno prostituzione a livello nazionale e locale, se ne possono evidenziare almeno quattro: - L’ambito Culturale è vasto e raccoglie elementi che si rifanno alla ‘tradizione’, ai mutamenti nella concezione della ‘corporeità’ e dei rapporti interpersonali e dei riferimenti etici e morali, ai cambiamenti delle abitudini e condizioni di vita nel nostro Paese con la prospettiva di sviluppo nel senso della multiculturalità. - L’ambito Socio-assistenziale comprende sia gli aspetti relativi alle politiche per la prostituzione (che risentono anche delle dimensioni culturali) che i servizi, le azioni e gli interventi, diretti ad incidere sul fenomeno. - L’ambito Sanitario rappresenta un aspetto specifico ma importante perché non riguarda solo la ‘sicurezza’ sanitaria collettiva legata all’esercizio della prostituzione ma anche gli aspetti ‘personali’ per la tutela e la salvaguardia della 235 salute individuale. - L’ambito Giudiziario costituisce una dimensione importante anche per la difficoltà, già sottolineata, di scindere le diverse componenti connesse alla prostituzione. I vari ambiti individuati si intersecano con specifici, e a loro volta articolati, ‘settori’ che devono costituire vere e proprie ‘direttrici’ di ricerca: - Le persone che si prostituiscono devono rappresentare il centro di una corretta e rispettosa attenzione alla conoscenza perché rappresentano l’anello debole della ‘catena’. Chi sono, da dove vengono, che vita fanno, quali problemi hanno, che relazioni hanno tra loro e con il territorio... non sono solo ‘informazioni’ socio-anagrafiche ma il primo necessario passo per avviare un’attività di prevenzione sanitaria, un sostegno psicologico ed un intervento sociale efficaci. - Il ‘mondo della prostituzione’ è una variegata e complessa realtà che merita un interesse tutto particolare per alcuni aspetti propri (la struttura, l’organizzazione, le gerarchie, i ‘rituali’, gli interessi economici e finanziari...) e per le implicazioni che ha (con i diversi aspetti della devianza, con le varie forme di delinquenza organizzata, con la dimensione internazionale...). - Le risposte ed i servizi attivati nel campo della prostituzione sono un ‘settore’ che comprende sia gli interventi diretti costituiti da azioni (sulla strada, la rete dei servizi socio-sanitari, l’accoglienza, la presa in carico, l’inserimento e l’autonomizzazione, gli interventi di comunità e di mediazione, la formazione...) con obiettivi e 236 contenuti specifici, che riguardano la pluralità di operatori coinvolti, pubblici e del volontariato; conoscere e collegare i diversi aspetti di questo ‘settore’ risulta decisivo per una ricerca sociale finalizzata al cambiamento. - In una logica di ‘sistema’ non va tralasciata la necessità di approfondire la conoscenza del ruolo di altri servizi e risorse che, pur non essendo esplicitamente finalizzati all’intervento sul fenomeno prostituzione, costituiscono un riferimento territoriale irrinunciabile (e spesso il meno ‘attrezzato’ ad affrontare la problematica); tra questi si possono ricordare la scuola, il mondo del lavoro, il tempo libero... - L’opinione pubblica, i cittadini tutti, sono un settore privilegiato per la ricerca sociale che si interessa di prostituzione: dall’analisi delle conoscenze, delle ‘percezioni’ dell’immaginario ad una corretta informazione, alla sensibilizzazione e all’azione diretta su categorie specifiche (commercianti, affittuari, taxisti...) o territori particolari (zone di lavoro e quartieri residenziali in cui è maggiore la concentrazione del fenomeno). Metodi Nella ricerca sociale ogni tecnica, mezzo, strumento di ricerca, risponde ad un preciso e particolare bisogno di conoscenza; una classificazione troppo rigida tra i metodi non aiuta la ricerca che è sempre un ‘processo’ articolato con l’utilizzo di strumenti diversificati. D’altra parte un elemento comune ai vari metodi è che essi, in base al tipo di ricerca, possono essere impiegati in diverse fasi dell’indagine, dalla 237 ‘ricerca di sfondo’ e lo ‘studio pilota’ alla effettiva ‘raccolta dei dati’ secondo le modalità definite nel ‘protocollo’ o ‘piano’ di ricerca. È stato già espresso come, per qualificare la conoscenza del fenomeno prostituzione, sia opportuno utilizzare in maniera integrata più strumenti di rilevazione. Per offrire un quadro non esaustivo ma adeguato degli strumenti di cui avvalersi per ricerche sulla prostituzione, si propone la distinzione tra metodi: - descrittivi (che tendono a prendere in considerazione gli aspetti generali e complessivi dei fenomeni); - quantitativi (che raccolgono le procedure finalizzate ad acquisire elementi ‘numerici’, trattabili statisticamente); - qualitativi (orientati ad approfondire aspetti e dimensioni interpretative); - della ricerca-intervento (per la dimensione dell’ ‘azione sociale’ intimamente collegata alla questione prostituzione). I metodi ‘descrittivi’ coprono l’intera gamma del lavoro di ricerca e quindi possono essere utilizzati anche per l’analisi del fenomeno prostituzione. La ‘mappatura del territorio’ è una esigenza conoscitiva che non va tanto intesa nella accezione di ‘individuare’ la distribuzione del fenomeno prostituzione sul territorio, con intenti ispettivi di ‘schedatura’, quanto nella possibilità di cogliere le zone ‘sensibili’ ai diversi aspetti del fenomeno prostituzione: ‘lavoro’, abitazione, trasporto...; in questa prospettiva può essere utile un approccio sociografico. La sociografia è costituita da una serie di tecniche che permettono di presentare in maniera ordinata i dati rac238 colti, pertinenti all’oggetto di studio: territorio, popolazione, condizioni di vita, costumi, tipi e indici della delinquenza, distribuzione di uffici e servizi pubblici... Gli strumenti usati per tali descrizioni sono estremamente vari, possono includere: compilazione di liste di date e dati, archivi di documenti, inventari di beni posseduti, raccolta di relazioni fatte da osservatori, mappe e rilievi topografici. Questo approccio permette di accennare all’uso dei documenti nella ricerca sociale, una modalità non molto utilizzata nei periodi più recenti (anche per l’impegno di molte risorse) ma utile in un contesto di studio articolato come il fenomeno della prostituzione. La documentazione segue, necessariamente, alcune fasi: la ricerca (dei soggetti e/o enti che hanno la documentazione che interessa il ricercatore, degli archivi, delle tipologie di informazioni, con la questione della qualità e della compatibilità delle informazioni); la raccolta e la sistematizzazione di dati e informazioni (attraverso la classificazione e la catalogazione delle informazioni); la lettura e la selezione delle informazioni (individuando i documenti più utili, rilevando modelli, concetti, ipotesi e interpretazioni). A queste possono seguire altre attività quali il completamento di informazioni non esaustive, trattare adeguatamente certi dati, costruire un ‘archivio ragionato’ o una ‘banca dati’. Sulla stessa linea di ricerca si trova anche l’analisi del contenuto, una tecnica di ricerca che si applica a documenti e testi diversi, ma anche alle comunicazioni di massa - cinema, stampa, televisione -, alle opere letterarie, ai documenti conservati negli archivi pubblici e privati (e quindi anche ai diari, alle lettere, agli epistolari). 239 Si distinguono due tipi di metodo di ‘analisi del contenuto’: quelli ‘classici’ o qualitativi, di carattere ‘intensivo’, che mirano ad una analisi approfondita di pochi documenti; i metodi quantitativi o di carattere ‘estensivo’, che tendono a lavorare su una grande quantità di comunicazioni, ricavandone i dati più frequenti e salienti. Nell’ambito dell’ ‘analisi del contenuto’ quantitativa si distinguono due grandi categorie: l’analisi dei modi di espressione, effettuata con procedimenti statistici, e l’ ‘analisi del contenuto’ in senso stretto, volta soprattutto al significato delle parole nel contesto del discorso. Rispetto al tema della prostituzione sembra utile suggerire almeno due piste di ricerca che si avvalgono delle tecniche dell’analisi del contenuto. I metodi qualitativi sono utili per analizzare diari e lettere di prostitute così da avere indicazioni importanti sul loro vissuto, sulla prostituzione ‘dal di dentro’, anche al fine di verificare, ed eventualmente smascherare, troppi luoghi comuni e/o pregiudizi. I metodi quantitativi o estensivi possono essere utilizzati per studiare in maniera sistematica sia l’idea di prostituzione che emerge dai mass-media, dalla stampa quotidiana, dai servizi televisivi e che possono influenzare l’opinione pubblica, che la concezione e l’impostazione di documenti (delle pubbliche amministrazioni, del privato sociale...) e studi sulla prostituzione. Il procedimento dell’analisi dei modi di espressione, che utilizza anche adeguati software, consiste nel creare delle categorie in cui riunire le unità di analisi nelle quali si è scomposta la comunicazione; il difficile è costruire adeguati quadri di analisi ed è impossibile individuare esaurientemente le categorie usabili, perché 240 variano da ricerca a ricerca, in base alle ipotesi dell’indagine e in base al tipo di comunicazione in esame. È possibile creare degli ‘indici delle materie quantificate’ (in uso nell’analisi della stampa di informazione) o individuare ‘categorie’ che possono essere variamente classificate: di materia (argomenti trattati), di forma (il modo in cui il testo si esprime con la variante dell’ ‘intensità’ degli effetti), di valutazione (in cui si fa riferimento a principi e valori dell’autore), di persone e protagonisti. La costruzione di un Osservatorio sui fenomeni sociali rappresenta un’opportunità importante, nell’ambito dei metodi ‘descrittivi’ in quanto lo stato, la condizione, la situazione della popolazione di un dato territorio deve essere costante oggetto di conoscenza, di studio, di approfondimento per chi, politici, amministratori, educatori, operatori sociali e sanitari, ha il compito primario di intervenire nel mantenimento di condizioni di vita dignitose, nel miglioramento delle opportunità per le fasce deboli, nella prevenzione, nel recupero, nel sostegno alle persone in disagio, con problemi, in difficoltà. Possono essere diverse le modalità per strutturare un Osservatorio che si deve basare comunque su una consolidata conoscenza di base, a partire dai dati ‘grezzi’, con una funzione propedeutica rispetto all’obiettivo di dotare un territorio di quegli indicatori quantitativi e soprattutto qualitativi utili alla programmazione sociale, sanitaria ed educativa. Una ipotesi progettuale ‘classica’ si può sviluppare a partire: - dal raccordo con dati e studi epidemiologici dell’area, analisi ed elaborazione dati relativi alla condizione della popolazione desunti da 241 ricerche, censimenti, fonti di analisi diverse; - dalla costituzione di una struttura flessibile ed integrata con i servizi e gli operatori pubblici sociali, sanitari ed educativi presenti sul territorio che attivi un monitoraggio permanente raccogliendo periodicamente dati ed elaborando indicatori sociali rispetto ad alcuni ambiti; - dalla diffusione dei dati relativi all’ambito territoriale oltre alla consultazione in loco delle informazioni raccolte. La realizzazione di un Osservatorio così strutturato per il fenomeno prostituzione implica però un raccordo, ed un accordo, forte e di difficile realizzazione tra le istituzioni e gli uffici che possono avere le informazioni necessarie: Aziende U.S.L. - Anagrafi dei Comuni (ma anche altri Uffici municipali - Servizi Sociali, Cultura, Polizia Urbana, Commercio) - Uffici di Polizia e Carabinieri - Strutture Giudiziarie Prefetture - Associazioni di categoria (albergatori, imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori) - Sindacati... Per la tipologia del fenomeno prostituzione sembra più praticabile la costruzione di un Osservatorio a partire da alcune modalità di raccolta informazioni utilizzate dal modello dell’Osservatorio delle Povertà sviluppato dalla Caritas Italiana, che si configura come ‘metodo dell’osservazione sistematica funzionale alla conoscenza della realtà’ ed è centrato sui “bisogni”, sui soggetti deboli. Dei cinque tipi di informazioni previste dall’Osservatorio sembra utile proporne due: i ‘Dati raccolti attraverso proprie ricerche’, raccogliendo dati individuali (per mezzo di questionari, schede familiari, ecc.) e ricostruendo scenari (attraverso interviste qualitative); i ‘Dati sugli interventi’, con la rilevazione 242 sistematica e con la schedatura dei dati delle richieste di aiuto e delle prestazioni erogate nei centri e nei servizi collegati con la Caritas (nel caso della prostituzione si prendono a riferimento le iniziative che operano nel settore). Tra i metodi quantitativi le tecniche più usate, per la loro varietà e la versatilità, sono quelle del questionario e dell’intervista. Il questionario è una sequenza strutturata di domande che consentono di verificare (in genere quantitativamente) le ipotesi di ricerca. Esistono diversi tipi di questionari: un questionario semplice è un modulo di raccolta dati; una ‘griglia’ utile anche per la check-list; quello ‘classico’ viene somministrato da un intervistatore secondo le indicazioni del ricercatore; ci può essere il caso in cui il questionario sia ‘autocompilato’ dal soggetto che lo deve riconsegnare successivamente; una forma particolare di questa tipologia è il ‘questionario postale’ che viene inviato e raccolto tramite i servizi postali; negli ultimi anni questa tecnica, anche se ancora usta, è stata progressivamente sostituita dalle ‘indagini telefoniche’, realizzate in maniera sempre più diffusa supportate anche da sofisticati strumenti informatici. Per ogni questionario, anche in considerazione dell’ampia ‘tipologia’, va prevista una ‘guida’ di compilazione che accompagna e guida il rilevatore; è però possibile dare alcune indicazioni generali su come si somministra un questionario: le domande vanno presentate in modo informale evitando di far sentire l’intervistato ‘sotto esame’; le domande vanno fatte tutte, esattamente come previsto e nell’ordine stabilito; vanno evitati commenti, critiche, sorpresa, incoraggiamenti, approvazioni, cambiamenti di 243 tono...; l’intervistatore non deve esprimere il proprio parere sulle risposte e se deve riformulare la domanda lo farà senza cambiare le parole o l’ordine, secondo le indicazioni della ‘guida’; non si deve insistere in caso di mancata risposta sia per mancanza di volontà che per ‘ignoranza’; un intervistatore attento, partecipe ed interessato stimola un buon rapporto e migliora la qualità del dialogo e dei risultati dell’indagine. L’intervista è un dialogo tra una persona che propone una serie di domande sui temi della ricerca e una o più persone individuate come soggetti che sono nella condizione di fornire le risposte (informazioni, opinioni...) richieste. Esistono diversi tipi di interviste classificabili in base al diverso livello di approfondimento dei contenuti, al ruolo e all’iniziativa dell’intervistatore, alle finalità del colloquio, all’organizzazione delle domande e alle diverse modalità di codifica in funzione del trattamento statistico dei dati. Una prima distinzione viene fatta tra interviste strutturate, semistrutturate e non strutturate (chiamate anche standardizzate, semistandardizzate e non standardizzate) e fa riferimento alla maggiore o minore articolazione della traccia dell’intervista, da una traccia ben organizzata dei temi e delle domande a una indicazione generale per quella non strutturata; nella forma ‘semistrutturata’ la sequenza degli item prevede una maggiore libertà dell’intervistatore nel porre le domande. Centrando la classificazione sul ruolo dell’intervistatore, più o meno rigido nella gestione del colloquio, si parla di intervista ‘direttiva’ o ‘non direttiva’. L’intervista ‘focalizzata’ riguarda esperienze e aspettative dei soggetti che hanno vissuto quel244 la particolare situazione oggetto della ricerca (in genere di tipo sperimentale o di osservazione). L’intervista in ‘profondità’ mira ad un approfondimento qualitativo dei problemi affrontati, in numero limitato ma con dimensioni e implicazioni diverse; non segue uno schema rigido ed è, in genere, molto lunga. Il termine ‘intervista clinica’ indica il colloquio a scopo diagnostico o terapeutico ed è una tecnica di osservazione e di studio più legata alla psicologia che alla sociologia. È opportuno utilizzare l’intervista quando serve un buon approfondimento qualitativo delle tematiche affrontate; si può usare quando, nel rapporto tra costi, tempi e dimensione del campione, è conveniente e sufficientemente attendibile restringere il campo di analisi; è utile avvalersi dell’intervista per integrare tecniche diverse di indagine e per controllare ‘qualitativamente’ le tendenze dei dati raccolti con altri strumenti. Non è possibile dare un’indicazione univoca su quali tipi di questionario e/o intervista sono adeguati per una ricerca finalizzata ad approfondire i diversi aspetti collegati con la prostituzione; può però essere utile ‘incrociare’ le ‘classificazioni’ proposte con gli ambiti ed i settori indicati nei paragrafi precedenti per intuire quale tecnica è più adeguata, sempre in relazione all’obiettivo della ricerca che si intende svolgere. Un aspetto particolare dei metodi quantitativi da poter utilizzare per la conoscenza del fenomeno prostituzione è collegato alle indagini epidemiologiche. Una delle svariate definizioni di epidemiologia la indica come quella disciplina che ha come oggetto di studio il fenomeno della insorgenza delle malattie nelle popolazio245 ni di esseri umani, con particolare riguardo allo studio delle condizioni e dei fattori che le determinano; per questo risulta essere fondamentale per ogni attività preventiva ed è quindi chiaro il riferimento al mondo della prostituzione. La ricerca epidemiologica opera a due livelli: - conoscitivo (relativo alla ‘storia’, alla consistenza e diffusione delle malattie e degli stati patologici...); - di intervento (relativo alla messa a punto e alla valutazione di interventi pratici finalizzati alla difesa della salute). Gli obiettivi della epidemiologia rispetto alla questione prostituzione possono essere così ridefiniti: - descrivere lo stato di salute delle fasce di popolazione coinvolte nel fenomeno prostituzione studiando la frequenza di malattie nel gruppo delle prostitute, evidenziandone gli andamenti; - suggerire interventi preventivi, curativi, riabilitativi finalizzati a controllare la diffusione delle malattie a trasmissione sessuale e dei loro esiti per tutta la popolazione; - valutare correttamente l’efficacia pratica degli interventi proposti e messi in atto per gli aspetti sanitari del fenomeno prostituzione. Nelle indagini epidemiologiche riferite al mondo della prostituzione possono essere usati molti degli strumenti nella ‘cassetta degli attrezzi’ dell’epidemiologo. Rispetto ai metodi qualitativi da poter utilizzare nello studio del fenomeno prostituzione si accenna a due tecniche. L’osservazione partecipante consiste nell’ ‘osservare’, prendere nota dei molteplici aspetti della realtà studiata, colta nelle sue varie sfac246 cettature ed espressioni, durante un periodo di tempo lungo, a contatto con persone, soggetti, famiglie della ‘realtà che ospita’ il ricercatore. Diverse sono le ‘definizioni’ e le ‘tipologie’ dell’osservazione che però si caratterizza per il fatto di svolgere la ricerca in un ambiente ‘naturale’, non particolarmente influenzato dalla presenza del ricercatore (anche se ogni presenza ‘estranea’ tende comunque a perturbare una situazione, soprattutto quando - come nel caso della prostituzione - il ricercatore è realmente ‘altro’ rispetto all’ambiente di indagine). Le difficoltà di una strategia di ricerca basata sull’osservazione riguardano principalmente la mancanza - o la difficoltà - del controllo, la difficoltà di quantificazione (riducibile solo nelle fasi avanzate dell’indagine), la dimensione esigua del campione ed il carattere localistico della ricerca. Questi, che sono i problemi più rilevanti di quasi tutte le ricerche qualitative, rispetto al tema della prostituzione appaiono come meno rilevanti in quanto è un contesto in cui va ribadita la ‘centralità’ della persona, del soggetto all’interno del processo di ricerca. Rispetto all’osservazione si distingue tra ‘osservazione semplice’ (o non sistematica) che si caratterizza per la mancanza di strumenti strutturati e formalizzati di raccolta delle informazioni, e l’ ‘osservazione sistematica’ che si presenta con forme più articolate e precise di rilevazione, anche attraverso l’utilizzo di ipotesi di ricerca accurate, con modelli e schemi di classificazione di atteggiamenti, fatti, comportamenti, opinioni più precisi. D’altra parte le tecniche di osservazione si distinguono anche in base all’oggetto di studio, ai ‘vincoli’ che la realtà osservata impone; uno stesso oggetto può essere osservato/studia247 to nella sua globalità o colto in alcuni aspetti specifici, e questo determina problemi ed opportunità diverse per le modalità e le forme di osservazione. Il ricercatore che utilizza la tecnica dell’osservazione procede dalle prime osservazioni non strutturate a livelli più raffinati e precisi di raccolta, classificazione e misura delle informazioni; spesso in queste situazioni si integra l’intervento con la raccolta di autobiografie e con le “storie di vita”, che possono essere utilizzate in maniera autonoma. Ed è appunto l’approccio biografico l’altro metodo qualitativo che è opportuno utilizzare per studiare il fenomeno della prostituzione a partire dal vissuto delle/dei protagonisti. La conoscenza delle storie, dei percorsi e degli eventi di vita, anche attraverso i singoli soggetti, rappresenta un potente mezzo di analisi delle società e dei suoi mutamenti. L’utilizzo delle biografie può rappresentare sia una fonte che uno strumento di analisi ma è utile anche come esempio di orientamento al caso, come racconto di pratiche sociali, come rappresentazione e immagine di sé, come ‘corso di vita’. Il materiale biografico può essere raccolto in maniera ‘diretta’ (con interviste biografiche relativamente strutturate - storie di vita -, finalizzate a ricostruire eventi e comportamenti codificati e codificabili, o con interviste semistrutturate quando si vuole cogliere la dimensione più generale, la percezione di determinate questioni) o in maniera ‘indiretta’, attraverso la mediazione di documenti personali (diari, lettere, autobiografie scritte sollecitate o meno) o di schede che codificano le tappe più importanti della vita di un individuo. 248 Altri metodi qualitativi quali test proiettivi o reattivi psicologici sembrano essere meno adeguati alla indagine degli elementi connessi al fenomeno prostituzione. La ricerca-azione è, in sintesi, un metodo di indagine attivo che nell’acquisire gli elementi conoscitivi caratteristici di un fenomeno, promuove un’azione di sensibilizzazione, di autoconsapevolezza, di modificazione. La ricercaazione non è tanto una tecnica quanto, appunto, una metodologia che può utilizzare diversi strumenti; certamente l’intervista e la somministrazione di questionari rappresentano mezzi privilegiati in quanto permettono un’interazione diretta con i soggetti che, al tempo stesso, sono ‘oggetto’ di studio e ‘destinatari’ dell’intervento. Per una ricerca-azione sul tema della prostituzione è necessario definire chiaramente l’oggetto di osservazione/intervento; può trattarsi di una fascia di popolazione specifica come, ad esempio, i residenti in un quartiere dove è particolarmente concentrata la prostituzione di strada o gli amministratori ed operatori dei servizi di un certo territorio su alcuni aspetti ‘sociali’ e ‘politici’ della prostituzione, o direttamente le prostitute che operano in un’area per sensibilizzarle al tema della salute. Esperienza All’interno del ‘Corso per Operatrice Sociale di Base per la Prevenzione della Prostituzione’ realizzato dall’Associazione On the Road C.N.C.A. nell’ambito del Progetto NOW ‘Ionique - Occupazione: femminile plurale’, è stata svolta un’attività di ricerca che si è dimo249 strata di particolare interesse ed utilità anche oltre le finalità didattiche. Il titolo della indagine, che si ispirava ai principi della ricerca-azione, era: ‘Prostituzione tra immaginario collettivo e realtà’. Può essere utile riportare i ‘passaggi logici’ della ricerca e la ‘traccia’ degli strumenti utilizzati in quanto esplicativi di alcune delle idee espresse in questo contributo. 6.1. Obiettivi e ipotesi della ricerca-azione Obiettivo principale della ricerca era la rilevazione delle informazioni che ha la ‘gente comune’ sul fenomeno della prostituzione nella propria zona, con particolare riferimento alle condizioni di vita delle prostitute. Obiettivo corollario, rispetto alla natura di ‘ricerca-azione’, è stato cercare di fornire un’occasione di riflessione sulla condizione delle prostitute, evitando di raccogliere direttamente valutazioni, giudizi di valore o ‘suggerimenti’ per gli interventi da realizzare. Altri scopi collegati alla rilevazione sono stati: - il confronto tra l’immaginario collettivo, che sarebbe scaturito dalla rilevazione, e la ‘realtà’ della prostituzione nelle aree oggetto di studio, come risultato di due fonti: dalle conoscenze degli operatori per la prevenzione della prostituzione attivi sul territorio oggetto di studio e dalle ‘storie di vita’ di alcune prostitute del territorio; - l’analisi delle ‘zone d’ombra’ (i ‘non lo so’) e dei pregiudizi nelle conoscenze sul fenomeno della prostituzione da parte dell’opinione pubblica, distinta per tipologia dei rispondenti (sesso, età, professione, area di residenza), così da poter impostare campagne mirate di infor250 mazione corretta e sensibilizzazione. Le ipotesi che hanno orientato la ricerca-azione si possono raccogliere in due proposizioni: - La conoscenza del fenomeno della prostituzione da parte dell’opinione pubblica è impropria, lacunosa e basata su pregiudizi dovuti a valutazioni moralistiche, non sostenute da informazioni sulle condizioni reali delle prostitute. - I fattori principali che influenzano la conoscenza e le opinioni dei cittadini sul fenomeno della prostituzione sono riconducibili a dimensioni quali: il sesso, l’età, l’attività professionale (anche in quanto correlata con il titolo di studio). 6.2. Piano della ricerca-azione La ricerca-azione ha cominciato a definirsi nel corso delle lezioni di Metodologia della Ricerca sociale del Corso per Operatrice Sociale di Base per la Prevenzione della Prostituzione con la prima elaborazione di una griglia di lettura per la condizione di vita delle prostitute. Successivamente sono stati individuati gli obiettivi e le ipotesi e costruiti gli strumenti: il questionario per i cittadini e la griglia per l’intervista sulle ‘storie di vita’. In questa fase sono state anche definite le aree per la rilevazione: zona di Pescara-Montesilvano; S.P. Bonifica tra le provincie di Teramo e Ascoli Piceno; zona tra S.Benedetto del Tronto e P.S.Elpidio, in provincia di Ascoli Piceno. La somministrazione di questionari ed intervista si è svolta nei tempi stabiliti per il ‘tirocinio’ del corso, così pure l’inputazione dei dati al computer e la loro rielaborazione. L’interpretazione dei risultati è stata realizzata (anche per la finalità didattica della ricerca-azio251 ne) attraverso un confronto comune con le allieve del Corso e gli Operatori di strada dell’Associazione ‘On the road’. La fase di preparazione della ricerca-azione si è sviluppata nei mesi di maggio-giugno 1997; la fase operativa si è concentrata nel mese di ottobre 1997. Per ogni ‘territorio’ in cui si è svolta la ricercaazione sono stati intervistati - circa - 100 cittadini distribuiti secondo le variabili: Sesso; Età (1825; 26-35; 36-45; 46-55; 56-65); Professione (Operai; Impiegati; Professionisti; Commercianti/Artigiani; Altro - studente, pensionato...). 6.3. Strumenti Questionario per i cittadini Il questionario per i cittadini è stato strutturato in domande a risposte chiuse e somministrato a soggetti incontrati casualmente lungo la strada. Tra le variabili rilevate ci sono anche la fascia oraria in cui è stato somministrato e il numero dei rifiuti ricevuti, distinti per le variabili sesso, fascia di età e momento di contatto. Storia di vita Per ognuna delle zone in cui viene effettuata la ricerca-azione sono state individuate due prostitute disponibili a rispondere ad una intervista strutturata secondo lo schema predisposto nelle lezioni del Corso. La traccia che è servita all’elaborazione dei due strumenti utilizzati nella ricerca-azione è la seguente: 252 AREA PERSONALE ‘Conoscenza’ di: - Età - Provenienza - Livello culturale - Tipologia Cura di sè, -‘Esperienze’ precedenti Autopercezione, - Modalità arrivo Percorso Rapporti affettivi - Uomo/marito - Famiglia d’origine/Figli AREA RELAZIONALE - Etnìa/nazionalità - Tipo di rapporto - Tempo del rapporto Rapporti - Quantità interpersonali - Tipologia - Qualità - Amici Uso del tempo - Tempo di lavoro - Tempo libero Abitazione - Luogo - Territorio - Distanza posto lavoro - Rapporti con vicini - Costo Colleghe AREA SOCIALE Rapporto istituzioni - Permesso di soggiorno - Rapporto con Paese d’origine Conoscenza - Servizi Sociali e rapporti - Servizi Sanitari Rapporti con il - Volontariato territorio - Associazionismo sociale 253 - Partecipazione ad eventi (culturali, artistici, sportivi...) AREA ECONOMIA-LAVORO Modalità di lavoro - Da sola/per altri Disponibilità - Soldi (incassi, a disposizione, utilizzo, finalizzazione) - Beni Fattori produttivi - Luogo di lavoro - Mezzi di trasporto - Spese di alloggio Tempo lavoro (quando/fascia/ durata) Clienti - Costo prestazione - N. clienti - Tipologia clienti AREA SICUREZZA Rapporti forze - Frequenza e tipolodell’ordine gia controlli - Provvedimenti Rapporti giustizia - Denunce a carico - Processi in corso Rapporto criminalità - Droga - Ricettazione - Ricatti Sfruttamento - Violenza da sfruttatore - Plagio - Riduzione in schiavitù Sicurezza personale - Violenza da clienti - Violenza da ‘colleghe’ 254 - Estorsioni e rapine - Incidenti diversi - Denuncia sfruttatori e rapine - Prevenzione e cura (canali istituzionali) - Prevenzione e cura (canali non istituzionali) - Atteggiamento verso la salute Sicurezza sanitaria DATI GENERALI Per le prostitute: - Sesso (distinguere se travestito) - Nazionalità - Età - Livello Culturale - Stato Civile/Prole - Conoscenza lingua italiana Per i cittadini - Luogo di rilevazione - Orario di rilevazione - Sesso - Età - Attività - Stato civile * Stefano Ricci, sociologo ed operatore sociale, 40 anni – sposato, 4 figli. Attività di ricerca sociale in collaborazione con istituti ed enti di carattere nazionale; insegnamento di Metodologia e Tecnica della Ricerca 255 Sociale nel D.U. in Servizio Sociale dell’Università di Ancona; esperienza lavorativa con la Comunità di Capodarco di Fermo nella organizzazione di servizi socio-sanitari; collaborazione con il C.N.C.A. per attività di progettazione, ricerca, verifica e valutazione anche nell’ambito di progetti europei. 256 Strumenti giuridico- legislativi Cristina Perozzi* Premessa L e problematiche giuridiche personali dei soggetti sui quali verte la trattazione, sono varie e comportano diverse metodologie di approccio. Non esiste in proposito una disciplina organica che regoli l’ampia materia dei diritti e doveri dell’immigrato, ed occorre tenere conto che la ex-prostituta oltre ad essere straniera, è giuridicamente collegata al fenomeno del c.d. “sesso commercializzato”, materia ancora oggi governata dalla legge nr. 75 del 1958, c.d. “legge Merlin”, con evidenti lacune e disaderenze rispetto ad una realtà in continua evoluzione. La ragazza che abbandona il mondo della prostituzione pertanto, rappresenta uno status giuridico complesso che necessita dapprima di una analisi compiuta, quindi di un programma efficace di soluzioni. Si tenterà di evidenziare le più comuni evenienze, facendo riferimento ai diversi stadi cronologici dell’intervento sociale sulla prostituzione, affiancando poi le opzioni risolutorie. Verrà considerata poi la regolarizzazione giuridica della prostituta clandestina, alla luce della vecchia legge nr. 39 del 1990, c.d. “Legge Martelli”, e della nuova normativa sugli immigrati, in via di emanazione. Chiuderanno alcune prospettive sull’operato 257 dei destinatari del seguente manuale, in continuo contatto con situazioni giuridicamente rilevanti. Lo status giuridico della prostituta 1) Fase della prima accoglienza a) La qualità di imputata di reato. Nella prima fase del progetto di lavoro nella prostituzione, i soggetti vengono contattati e sono presi in carico. Spesso l’abbandono della strada è collegato ad un evento giuridico scatenante, che coinvolge la ragazza dal punto di vista attivo o passivo. Costei infatti può essere fatta oggetto di arresto o di fermo da parte delle Forze dell’Ordine o può, molto più frequentemente, rimanere vittima di condotte altamente lesive dell’incolumità personale, integranti fattispecie di reato. Nella prima ipotesi la ragazza riveste la qualità di imputata o indagata di reato, nella seconda si identifica in persona offesa dal reato. L’arresto è attività esclusiva della Polizia Giudiziaria che, ex art. 380 C.P.P., ha l’obbligo di intervenire nella flagranza di un reato impedendo al soggetto di proseguire nella commissione di determinate condotte criminose, espressamente indicate dal codice di procedura penale. Tale strumento può essere altresì utilizzato, facoltativamente, per altra categoria delittuosa di minore gravità (art. 381 C.P.P.). Si parla di fermo di Polizia Giudiziaria invece, quando quest’ultima incide sulla libertà personale di un individuo gravemente indiziato di 258 aver commesso specifiche fattispecie di reato, la cui situazione o condotta induca a ritenere fondato il pericolo di fuga e non vi sia una flagranza di reato. Numerose sono le occasioni in cui le prostitute restano coinvolte nelle c.d. “retate delle Forze dell’Ordine” e talvolta costoro, dopo essere state arrestate in flagranza o fermate, vengono ulteriormente ristrette nelle Case Circondariali di Custodia e Pena, con una misura di custodia cautelare. Ciò significa che l’Autorità Giudiziaria dispone che la ragazza resti in carcere perché esiste la possibilità che costei recidivi nella commissione del reato, ovvero che si dia alla fuga o inquini le prove a suo carico. E’ evidente che tale mezzo verrà utilizzato a maggior ragione nei confronti delle straniere che non dispongono di una fissa dimora. In tali ipotesi, l’intervento da richiedere sarà quello di un avvocato che provveda innanzi tutto a far tornare in libertà la ragazza, fornendo prove a discarico, o, nei casi più difficili, adeguata garanzia a favore della stessa, che potrà scontare la pena detentiva mediante la più accettabile misura degli arresti domiciliari. La reclusione all’interno del domicilio, infatti, può essere concessa solo se esiste una struttura idonea all’accoglienza della ragazza in tali condizioni, atteso che, numerosi e reiterati sono i controlli della Forze dell’Ordine sull’effettivo rispetto della misura cautelare adottata (permanenza entro le mura domiciliari, assenza di contatti telefonici con l’esterno). Per quanto riguarda le più comuni fattispecie di reato, si può iniziare con il delitto di “furto” di cui all’art. 624 C.P., ed esaminare i vari ulteriori reati contro il patrimonio, che spesso vedo259 no implicata la ragazza nei confronti del proprio cliente. Va in merito ricordato che le pene edittali sancite dal Codice Penale per le condotte integranti reato di furto, sono esemplari e partono, con la circostanza aggravante che normalmente si contesta, ossia l’esposizione dell’oggetto rubato alla pubblica fede, da un minimo di un anno di reclusione, in aggiunta ad una multa. Se la sottrazione patrimoniale viene eseguita dalla prostituta con violenza o minaccia, il reato contestato sarà la “rapina”, enunciata dall’art. 628 C.P. La sanzione che consegue è più elevata e la reclusione va dai tre ai dieci anni, seguita da una pena pecuniaria. L’elemento, caratterizzante entrambi i delitti, risulta essere l’impossessamento di una cosa mobile altrui mediante sottrazione a chi legittimamente la detiene. La ragazza può inoltre risultare complice di un reato speciale inerente la legge nr.58/1975 sulla prostituzione. Con i propri comportamenti può, in particolare, concorrere con altri nel “favoreggiamento della prostituzione”, fornendo alle proprie compagne ausilio, occasionalità di clientela, mezzi od ospitalità. Può rispondere di “induzione alla prostituzione”, persuadendo le “neofite” ed indicando loro i luoghi e le modalità del meretricio. Può infine essere imputata di “sfruttamento della prostituzione”, qualora lucri sull’altrui attività di meretricio, appropriandosi di una parte del provento. L’attività di prostituzione in sé, al contrario, non costituisce reato ai sensi della legge in esame. Tuttavia la stessa normativa tipizza all’art.5, abrogativo dell’art. 208 del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, il c.d. “invito al 260 libertinaggio” ovvero “adescamento”, che si identifica in contegni scandalosi o molesti da parte delle prostitute, apertamente diretti alla offerta di prestazioni sessuali a pagamento. Si tratta, in vero, di una contravvenzione con sanzioni molto lievi, ossia l’arresto fino a otto giorni e l’ammenda di Lire diecimila, a conferma della poca rilevanza penale di simili condotte. Usuale fattispecie di reato in capo alla ragazza straniera risulta “l’uso di atto falso”, previsto dal’art.489 C.P., ovvero le “false dichiarazioni sulle proprie generalità”. Costei infatti sovente, entrando nello Stato Italiano, si procura o viene fornita di un passaporto falsificato materialmente, nel quale è citato un nominativo diverso sotto la propria fotografia. Conseguentemente, se fatta oggetto di controllo da parte delle Forze dell’Ordine, la ragazza declinerà nomi e propri estremi mendaci, per cui sarà denunciata ai sensi dell’art.496 C.P., che punisce le false dichiarazioni ad un Pubblico Ufficiale sulla propria identità o su qualità personali proprie o di altri. Le qualità personali che rilevano ai fini della fattispecie di reato in esame, sono tutte quelle condizioni sociali, quali lo stato civile di coniugata o nubile, lo stato anagrafico, la professione ecc. Qualora invece la prostituta, dietro richiesta dell’Autorità controllante, rifiuti di fornire le proprie generalità, risponderà della contravvenzione di cui all’ art. 651 C.P. Trattasi in tal caso di reato di minore gravità, per il quale è prevista la pena detentiva dell’arresto e la sanzione pecuniaria dell’ammenda, a differenza dei delitti sopra evidenziati, che sono puniti con la reclusione e la multa. Per concludere l’analisi delle ipotesi delittuo261 se che maggiormente coinvolgono le prostitute, vanno menzionati il delitto di “atti osceni”, disciplinato dall’ art. 527 C.P. e la contravvenzione degli “atti contrari alla pubblica decenza”, di cui all’ art. 726 C.P. Giurisprudenza e dottrina definiscono “atti osceni” quelli che richiamano direttamente o indirettamente sensazioni o manifestazioni della vita sessuale che debbono rimanere celate, e che spesso vengono compiuti dalle ragazze per favorire l’incontro con i clienti. La strada infatti, è il luogo pubblico per eccellenza ove il reato può consumarsi, tuttavia è da ricomprendersi anche il luogo che, seppur non accessibile a tutti, può essere visto da un numero di persone indeterminato, quale per esempio l’interno di una autovettura. Diversamente, nell’art. 726 C.P. si contemplano le condotte attive contrarie alle regole di educazione ed al sentimento di compostezza verso i consociati, come indica la Corte di Cassazione, quali espressioni e parole disgustose o ripugnanti ovvero, per esempio, l’esposizione degli organi genitali in luogo pubblico. Va da ultimo annotato che, il nostro sistema penale accorda all’imputato, la non esecuzione della sanzione comminata dal giudice in una sentenza di condanna, con l’istituto della c. d. sospensione condizionale della pena. Grazie a quest’ultima la pena non viene eseguita per un tempo determinato (cinque anni se si tratta di un delitto e due anni se si tratta di una contravvenzione) durante il quale il colpevole non deve violare ulteriormente la legge. La concessione di tale beneficio è rimessa alla discrezionalità del giudice, che oltre a verificare che non si tratti di una pena detentiva superiore ai due 262 anni, dovrà accertare una serie di altre condizioni procedurali ed emettere una prognosi favorevole nei confronti del reo, ossia presumere che costui si asterrà dal commettere nuovi reati. b) La qualità di persona offesa dal reato Dalla prospettiva opposta, il soggetto che fuoriesce dall’ambito della prostituzione, spesso resta vittima di violente aggressioni da parte dei protettori, che vedono venir meno facili e lauti guadagni. Le condotte lesive sulle ragazze per lo più si concretizzano in numerosi reati contro l’incolumità fisica, ossia: le “percosse” o “le lesioni personali”, se viene cagionato uno stato di malattia, fino alla “violenza sessuale” in ogni accezione terminologica, il “sequestro di persona”, e non di meno la “riduzione in schiavitù” contemplata dall’art. 600 del C.P.. Tale ultima previsione comprende tutti quei comportamenti tesi ad annichilire psico-fisicamente la ragazza, con assoggettamento in toto alla volontà del protettore-sfruttatore e privazione di ogni basilare capacità di auto-determinazione (La Cassazione sul punto è unanime). In riferimento al reato di “violenza sessuale”, va rilevato che la legge nr. 66 del 15/2/96 ha novellato l’intera disciplina del Codice Penale, per cui attualmente è punito con la reclusione da cinque a dieci anni chiunque costringe taluno, con violenza o minaccia, o mediante abuso di autorità, ossia avvalendosi di posizioni di superiorità o preminenza sull’altro soggetto, a subire o compiere atti sessuali. La precedente normativa invece, era incentrata sulla distinzione tra congiunzione carnale ed 263 “atti di libidine violenti”, intesi come ogni forma di contatto corporeo ai fini sessuali, diverso dalla penetrazione. Questi ultimi venivano inquadrati in altro articolo del codice, che comminava una pena di minore gravità. Se nonchè la predetta dicotomia del codice creava non pochi problemi in sede di accertamento della qualità dell’atto subìto, costringendo peraltro la vittima a sopportare odiose indagini implicanti nuove sofferenze, talvolta superiori a quelle patite. Il problema è stato infine risolto atteso il carattere omnicomprensivo del concetto di “atto sessuale”. Va evidenziata inoltre la previsione nel Codice Penale, di una autonoma figura criminosa per l’ipotesi di “violenza sessuale compiuta da più persone riunite”. L’art. 609 octies C.P. infatti, si giustifica, oltre che per la sempre crescente frequenza dei fatti di stupro collettivo, per i gravi effetti fisici e psichici che, a causa della pluralità degli aggressori e della loro contemporanea presenza, si producono sulla vittima, eliminandone o riducendone la forza di reazione. Per tali condotte criminose infatti la pena è maggiore, e va dai sei ai dodici anni di reclusione. Qualora la ragazza venga privata, dai suoi sfruttatori, della propria libertà personale, in particolare di movimento, si parla di “sequestro di persona” ai sensi dell’art. 605 C.P. Il reato si realizza con la limitazione fisica della persona, sia essa assoluta, come nel caso in cui la vittima venga rinchiusa ed isolata, che relativa, tale cioè da consentire il recupero della piena libertà solo mediante il ricorso a mezzi straordinari e non prontamente attuabili (Cassazione sentenza 264 n. 3979/ 1989). La giurisprudenza prevalente nega che il consenso della sequestrata a tali condotte possa scriminare i responsabili dal reato, che pertanto dovranno essere condannati ad una pena detentiva da sei mesi ad otto anni. Si precisa infine che talvolta la prostituta resta vittima mortale del proprio aggressore. Gli “omicidi” più comunemente esaminati sono “dolosi” o c.d. volontari, motivati cioè dalla intenzione di sopprimere definitivamente la ragazza, spesso per vendetta o ritorsione nei confronti di sue ribellioni allo stato in cui è stata ridotta. In altre vicende, si riscontrano altresì decessi definibili “eventi ulteriori”, e più gravi rispetto a quello perseguito dal colpevole, che sono enunciati dal Codice Penale con il nomen juris di “omicidi preterintenzionali”. L’evento della morte in questi casi, non è voluto dall’agente, ma è la conseguenza di atti diretti a percuotere o ledere la vittima, e determina una sanzione che parte da dieci fino a diciotto anni di reclusione. 2) Fase del reinserimento e della regolarizzazione giuridica a) La disciplina della legge nr. 39 del 1990, c.d. “legge Martelli”. Trattando prevalentemente di prostitute immigrate, nella seconda fase del programma, ossia durante il reinserimento sociale del soggetto accolto, le esigenze giuridiche ed i relativi strumenti legislativi si diversificano notevolmente. L’intervento deve pertanto orientarsi verso la permanenza stabile della ragazza nel territorio 265 Italiano, con le dovute e necessarie garanzie professionali e personali. La problematica emergente diventa il “permesso di soggiorno”, vale a dire il documento rilasciato dalla Questura territorialmente competente rispetto al luogo di residenza, che legittima la presenza dell’assistita nel Paese. Il permesso di soggiorno si differenzia dal “visto di soggiorno”, autorizzazione rilasciata solitamente per meri motivi di turismo e avente normalmente la durata di quindici giorni e comunque mai superiore ai tre mesi (art. 4 co 2° Legge 39/1990). Il permesso di soggiorno invece viene rilasciato per periodi più lunghi, fino a due anni, fatti salvi i più brevi periodi stabiliti dalla legge 39/1990, e può essere richiesto solo per determinate e specifiche ragioni. In particolare, si può avanzare in Questura richiesta nominativa di assunzione di lavoratore straniero, tendente ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, solo se ed in quanto il destinatario sia nel proprio paese di origine. Sarà l’Ufficio Provinciale del Lavoro, di concerto con la Questura adìta, a rilasciare tutta la documentazione necessaria al lavoratore, che dovrà poi provvedere a sua volta, presso l’Ambasciata del proprio paese di origine. Una volta rilasciato il permesso, lo stesso potrà accedere sul territorio Italiano per la propria attività lavorativa. Identico iter segue la richiesta di permesso di soggiorno per motivi di studio, che facoltizza la ragazza straniera a risiedere nello Stato italiano per il tempo necessario alla frequenza di un determinato ciclo scolastico. Il Questore della provincia nella quale l’istante risiede o dimora, può consentire il rinnovo del permesso, che non può tuttavia prolungarsi per più di due 266 anni oltre la durata legale del corso di studi cui il medesimo era iscritto. La legge consente che, una volta entrata per motivi di studio, l’extracomunitario possa chiedere di trasformare il proprio visto in modo da poter svolgere una attività lavorativa e viceversa (art. 4 co.5 ° legge 39/1990). Ulteriore motivo alla richiesta di permesso di soggiorno può essere fornito da esigenze di tipo sanitario, se la ragazza provi, allegando idonea certificazione medica, di dover subire interventi chirurgici o seguire terapie per specifiche patologie diagnosticate. In tali ipotesi anche chi presiede la casa di cura o l’istituto presso il quale l’istante è ricoverato può avanzare la richiesta di permesso di soggiorno. Lo straniero che ha familiari di primo grado, regolarmente soggiornanti nel territorio Italiano, può infine chiedere permesso per visitarli, la cui durata può essere inferiore ai due anni. Secondo il dettato dell’art. 3 co.5° legge citata, vanno in ogni caso respinti i cittadini extracomunitari che risulti siano stati espulsi o segnalati come persone pericolose per la sicurezza dello Stato ovvero come appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso, o dedite al traffico illecito degli stupefacenti o terroristiche, nonché gli stranieri che risultino manifestamente sprovvisti di mezzi di sostentamento in Italia. Tuttavia non sono da considerare tali, anche se privi di denaro sufficiente, coloro che esibiscono documentazione attestante la disponibilità in Italia di beni o di una occupazione regolarmente retribuita ovvero l’impegno di un Ente o di una associazione di volontariato, individuati con decreto del Ministro dell’Interno e del Ministro degli Affari Sociali, o di un privato che 267 diano idonea garanzia ad assumersi l’onere del suo alloggio o sostentamento nonché del suo rientro in patria (art. 3 co. 6° Legge 39/1990). La ragazza straniera in possesso del permesso di soggiorno può chiedere l’iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza secondo le norme in vigore per i cittadini italiani, ed in tal caso deve dichiarare alla Questura territorialmente competente ogni eventuale trasferimento della propria dimora abituale. Con decreto motivato il Prefetto della Provincia interessata, e previo nulla-osta dell’Autorità giudiziaria qualora la straniera sia implicata in un procedimento penale, può disporre l’espulsione della stessa dal territorio dello Stato. Tale provvedimento viene adottato in presenza di una condanna con sentenza “passata in giudicato”, ossia non suscettibile di ulteriore ricorso, per delitti di rilevante gravità, in particolare per gli stessi in cui è ammesso l’arresto obbligatorio. Costituiscono altresì motivo di espulsione le violazioni in materia di intermediazione di manodopera, detta anche “lavoro nero”, nonché di sfruttamento della prostituzione o del reato di violenza carnale e comunque dei delitti contro la libertà sessuale (art. 7 legge 39/1990). Il decreto di espulsione viene eseguito mediante l’intimazione alla straniera ad abbandonare entro quindici giorni il territorio dello Stato, o di presentarsi in Questura per l’accompagnamento in frontiera entro lo stesso termine. Va rilevato che non sarà mai consentita l’espulsione o il respingimento in frontiera della straniera verso uno Stato ove la stessa possa essere perseguita per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, opinioni politiche o religiose, 268 o per altre condizioni personali o sociali. b) Il pendolarismo legislativo dei DecretiLegge: efficacia temporanea e problemi applicativi. L’intera disciplina della “legge Martelli” fu fatta successivamente oggetto di numerose modifiche da parte del Governo che, spinto dall’esigenza di fronteggiare il crescente fenomeno dei flussi stranieri, a partire del 18 novembre 1995, per un anno intero adottò decreti legge in materia di politiche dell’immigrazione e per la regolarizzazione dell’ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato dei cittadini extracomunitari. Inizialmente (D.L. 489 del 18/11/95) il testo normativo modificava notevolmente la legge pre-vigente, in tema di espulsioni. Veniva infatti prevista sia una articolata tipizzazione delle ipotesi di espulsione (come misura di sicurezza, come misura di prevenzione alla commissione dei reati, adottata a richiesta di una parte interessata ovvero adottata dal Ministero dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, e infine una espulsione in via amministrativa), sia una nuova disciplina del procedimento di espulsione e la previsione di una tutela giurisdizionale dello straniero nei confronti del provvedimento stesso. In seguito, con ulteriori reiterazioni del decreto legge (D.L. 376 del 16/7/96) sono state eliminate le norme relative alle espulsioni e apportate modifiche alle condizioni per il ricongiungimento con il coniuge o altro familiare extracomunitario già regolarmente presente in Italia. Da ultimo, il D.L. 477 del 13/9/96, aveva introdotto una 269 norma alla quale seguirono polemiche e risonanze sui mass-media, che creava la nuova figura dello straniero “collaboratore di giustizia”. Poteva infatti presentare richiesta di permesso di soggiorno per motivi di giustizia, l’immigrato che, nel corso di un procedimento penale per reati sulla prostituzione o per altri di pari gravità, risultasse esposto a grave pericolo per effetto della collaborazione o delle dichiarazioni rese agli inquirenti, a condizione che l’eventuale ritorno nello Stato di appartenenza potesse metterne in grave pericolo l’incolumità personale, ed il contributo offerto fosse di eccezionale rilevanza per l’individuazione e la cattura dei responsabili o per la disarticolazione di una organizzazione criminale. Di quanto fin qui brevemente esposto nulla fu riconfermato dopo l’ultimo Decreto Legge n. 477 del 13/9/96, posta la mancata conversione in legge, e la irreiterazione dello stesso da parte del Governo. Intervenne soltanto una legge “salva-effetti”, la nr. 617 del 9/12/96,che confermava la validità degli atti e dei provvedimenti rilasciati sulla base dei decreti-legge oramai decaduti, e precisava altresì che i procedimenti di rilascio dei permessi allo straniero avviati nel vigore dei decreti-legge, dovevano concludersi con l’applicazione dell’ultimo emanato, il D.L. 477 del 13/9/96. c) Il progetto di legge sulla immigrazione: le innovazioni legislative. L’esperienza negativa di tali vicende legislative, fuorvianti e confuse, e gli sviluppi attuali del fenomeno della immigrazione, hanno indotto il Governo a presentare alla Camera dei Deputati 270 in data 19/2/97 un “Disegno di legge sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero” che, superate alcune fasi dell’iter procedurale di formazione legislativa, dovrebbe diventare formale legge entro poco tempo, e tale si spera sarà al momento della pubblicazione del presente manuale. Gli obbiettivi della nuova normativa saranno: - contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori; - realizzazione di una puntuale politica di ingressi legali limitati, programmati e regolati; - avvio di realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per gli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia. L’intento del Governo è dunque quello di varare una c.d. “legge – quadro”, pronta a fronteggiare il prevedibile aumento del fenomeno immigratorio dei prossimi anni, articolata in punti precisi, ossia: a) modalità e controlli degli ingressi nello Stato, disciplina dell’accesso dello straniero al lavoro; b) efficace strategia delle espulsioni e del respingimento alla frontiera; c) nuove ipotesi di reato per la lotta alla criminalità organizzata dedita alla immigrazione clandestina; d) diritti civili e tutela giuridica dell’immigrato. Il nuovo disegno di legge è suddiviso in sette Titoli, nel primo dei quali sono previste le disposizioni generali e di principio che defini271 scono l’ambito di applicazione della legge (art. 1), il trattamento dello straniero (art. 2), nonché la programmazione governata dei flussi immigratori (art. 3). All’art. 1 si segnala, oltre all’identificazione dei destinatari della legge, il richiamo alle norme comunitarie ed internazionali vigenti nello Stato Italiano e più favorevoli agli stranieri nonché la qualificazione delle norme della legge come “principi fondamentali”, ai sensi dell’art. 117 Cost. (materie delegate alla potestà legislativa regionale), al fine di indirizzare le Regioni in alcune competenze legislative sul tema dell’immigrazione. Quanto all’art. 2 è precisato che i diritti fondamentali della persona umana sono riconosciuti indiscriminatamente, nel territorio dello Stato, a tutti gli stranieri, a prescindere dal loro regolare ingresso o soggiorno (Vedi infra). E’ invece ai “regolari” che si assicura la pienezza dei diritti in materia civile (cittadinanza, lavoro, iniziativa economica) contemplati dalla legge e dalle Convenzioni internazionali, fino a configurare uno “status giuridico” particolare dello straniero, in virtù del quale, ex art. 7, con il possesso della c.d. Carta di soggiorno, costui può partecipare alla vita pubblica degli Enti Locali. L’art. 3 prevede la redazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di un documento programmatico triennale per la politica dell’immigrazione, con le indicazioni degli interventi che lo Stato intende attuare anche in cooperazione con gli altri Paesi Europei, con le organizzazioni internazionali, con gli enti comunitari e le associazioni non-governative. Il Titolo II concerne l’ingresso, il soggiorno, il respingimento e l’espulsione dello straniero. Ai 272 sensi dell’art. 4, l’ingresso in Italia può essere consentito solo ai possessori di un passaporto o altro documento equipollente valido o che dimostrino documentalmente lo scopo e le condizioni del soggiorno nonché la disponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti alla durata del soggiorno ed al ritorno nel Paese di origine. Competenti al rilascio del visto di ingresso sono le rappresentanze diplomatiche o consolari Italiane nello Stato di provenienza dello straniero, e il provvedimento può essere rilasciato per soggiorni di breve durata, fino a 90 giorni, o sotto forma di permesso di soggiorno, di durata più ampia. Il permesso di soggiorno, in particolare, può altresì essere richiesto al Questore della provincia in cui lo straniero si trova, entro otto giorni dal suo regolare ingresso nello Stato Italiano. La durata, non può comunque essere superiore : a) a tre mesi per: visite, affari, turismo; b) a sei mesi, o a nove mesi per: i lavori stagionali; c) ad un anno per: corsi di studio o formazione; d) a due anni per: lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari.(art. 5). Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo, sono rifiutati o revocati se mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato ed in proposito, ai sensi dell’art. 6 comma 3, lo straniero che, su richiesta delle Forze dell’Ordine, senza giustificato motivo, non esibisce il passaporto od altro documento, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, è punito con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire ottocentomila. 273 E’ di rilievo la previsione nell’art. 7 della sopra citata Carta di soggiorno, un titolo permanente di cui potrà fruire lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni ed incensurato da pregiudizi penali rilevanti, che consentirà allo stesso l’ingresso ed il reingresso nello Stato in esenzione dalle norme sul visto, lo svolgimento di ogni attività lecita (tranne alcune riservate al cittadino italiano), l’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione e, di rilevante novità, il diritto di elettorato attivo e passivo nelle votazioni comunali e circoscrizionali. Tale documento, da considerare un traguardo intermedio nel percorso verso la cittadinanza italiana, incontra tuttavia innumerevoli divergenze di opinioni politiche, per cui è in dubbio se verrà mantenuto nella legge in sede di emendamenti. Nel disegno di legge si passa di seguito, alla materia dei respingimenti, che, tranne che nei confronti di coloro ai quali è riconosciuto lo status di rifugiato, vengono adottati quando lo straniero tenta di entrare senza avere i requisiti richiesti, dalla normativa stessa e già analizzati: gli articoli 9 e 10 potenziano in tal senso l’azione di contrasto alle immigrazioni clandestine, sia attraverso misure di controllo e di coordinamento, sia mediante norme repressive più severe, con sanzioni detentive che vanno da quattro a dodici anni di reclusione, in aggiunta alla multa, per coloro che favoriscono, a fine di lucro, l’ingresso clandestino degli stranieri, nonché da cinque a quindici anni di reclusione, oltre alla sanzione pecuniaria, se il fine perseguito è il reclutamento o lo sfruttamento di donne o minori nella prostituzione. In tali casi, 274 efficacemente la nuova legge consente l’arresto in flagranza del “trafficante” e la confisca del mezzo di trasporto utilizzato. Con l’art. 11 si disciplinano le espulsioni amministrative, ridotte a due ipotesi: la prima è disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato; per la seconda è competente il Prefetto, che la adotta contro il clandestino entrato nel territorio Italiano sottraendosi ai controlli di frontiera, ovvero nei confronti dell’irregolare che non abbia ottemperato al rinnovo del permesso di soggiorno, e degli stranieri pericolosi per la sicurezza pubblica (per es. pluri-pregiudicati). In conformità al Protocollo nr. 7 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, ratificato in Italia con Legge n. 98 del 9/4/90, l’espulsione è eseguita con accompagnamento immediato alla frontiera solo in casi limitati (espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale, espulsioni già disposte e rimaste indebitamente ineseguite, una volta esauriti i rimedi giurisdizionali), o quando ricorrono circostanze obbiettive che fanno ritenere concreto il pericolo che l’interessato si sottragga al provvedimento. Negli altri casi l’espulsione è adottata mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni. Qualora lo straniero sia colto in flagranza di reato sono previste dal progetto di legge meccanismi giuridici che contestualmente assicurano sia l’effettività del provvedimento di espulsione che la garanzia del diritto di difesa dell’imputato, che potrà chiedere l’autorizzazione al reingresso nel territorio dello Stato per assistere al processo in cui è coinvolto. Rilevante novità è data dalla scelta legislativa 275 a favore del giudice ordinario, il pretore, quale autorità giurisdizionale competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione, che non andrà più presentato al Tribunale Amministrativo Regionale, tranne che si tratti di espulsione disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale. Il procedimento instaurato con il ricorso è rapidissimo, e per legge deve esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso davanti alla Corte di Cassazione e senza escludere che il Pretore adìto possa sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato. Ulteriore innovazione si rileva nell’art.12 del Disegno di legge, laddove al fine di assicurare l’effettività delle espulsioni disposte con l’accompagnamento alla frontiera e dei respingimenti, è previsto il trattenimento dell’interessato in appositi centri di permanenza ed assistenza, gestiti dal Ministero dell’Interno, e comunque estranei alle strutture penitenziarie. La misura può essere adottata in casi tassativamente indicati dalla legge, quando è impossibile procedere nell’immediatezza all’esecuzione del provvedimento nei confronti dello straniero: per esempio se risulta necessario disporre accertamenti supplementari o acquisire visti e documenti, ovvero predisporre un vettore ed un mezzo di trasporto. Nel rispetto dell’art. 13 Cost., sulla inviolabilità della libertà personale, il trattenimento ordinato dal Questore dovrà essere convalidato davanti al Pretore territorialmente competente e non potrà avere durata superiore ai venti giorni, prorogabili al massimo per ulteriori dieci giorni. La norma trova comuni denominatori nelle legislazioni di quasi tutti i Paesi Europei ed è confortata dal disposto dell’art. 5 276 comma 1, lettera f) della Convenzione di Roma, per la “salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, esecutiva in Italia con Legge nr. 848 del 4/8/55, ove si contempla la possibilità di misure custodiali provvisorie preordinate all’esecuzione di un provvedimento di espulsione. Gli articoli 13 e 14 infine disciplinano ex novo le espulsioni sancite dal giudice, sia a titolo di misura di sicurezza (nel caso di imputazione o di condanna per uno dei delitti per cui è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo da parte della polizia giudiziaria – artt. 380, 381 C.P.P. - vedi sopra), sia nell’ipotesi, peraltro mai riportata prima, che l’imputato straniero chieda al giudice di sostituire una pena detentiva inferiore ai due anni, comminata con sentenza di patteggiamento, con la misura dell’espulsione. Al capo III coglie l’attenzione la vera novità della legge: per la prima volta, con l’art. 16, sono introdotte norme a tutela delle vittime del traffico di clandestini, in specie per lo sfruttamento sessuale. Lo straniero irregolare, infatti, sia donna, uomo o minore, che intenda sottrarsi alle violenze ed ai condizionamenti di una organizzazione criminale, e renda dichiarazioni utili ai fini delle indagini, non incorre nella espulsione, ma ottiene un permesso di soggiorno per motivi di giustizia e/o di protezione sociale (di sei mesi, rinnovabile per un anno), e può usufruire di una programma di assistenza ed integrazione sociale presso enti associativi diversi da quelli istituzionalmente preposti ai servizi sociali, con facoltà di accedere a corsi scolastici, alle realtà assistenziali ed alle liste di collocamento lavorativo. Si intende in tal modo aiutare 277 e proteggere le vittime dalle ritorsioni degli sfruttatori, incentivando il numero delle denunce in vista di una più forte lotta contro la criminalità organizzata operante nell’ambito della immigrazione clandestina e dello sfruttamento ai fini sessuali. Completano le previsioni a carattere umanitario gli articoli 17 e 18, che vietano l’espulsione nei confronti di alcuni soggetti (minori, donne in gravidanza, possessori della Carta di soggiorno) e contengono speciali misure temporanee di protezione degli immigrati per eventi eccezionali quali disastri naturali, guerre e situazioni di grave pericolo in genere. Il Titolo III del Disegno di legge riguarda la disciplina del lavoro ed incide profondamente sulla vecchia disciplina della legge nr. 943 del 1986, definendo in primis le modalità di ingresso in Italia per lavoro, sulla base delle quote fissate in riferimento al documento programmatico triennale del Governo che abbiamo sopra citato. Occorre pertanto la tradizionale chiamata del datore di lavoro, e la preventiva autorizzazione degli Uffici Provinciali del Lavoro, con il prelievo da liste di prenotazione predisposte nel Paese di origine e comunicate in Italia, ovvero attraverso la garanzia di soggetti, persone fisiche o associazioni di volontariato, che si obblighino a provvedere per l’alloggio ed il sostentamento dello straniero nello Stato. Il Titolo IV regola il diritto all’unità familiare e la tutela del minore straniero, tenuto conto che la Corte Costituzionale, con sentenza nr. 28 del 1995 ha qualificato diritto soggettivo quello dello straniero al ricongiungimento familiare. In 278 generale pertanto, lo straniero regolarmente soggiornante in Italia può chiedere l’ingresso dei propri parenti, entro il terzo grado, con il rilascio di un permesso di soggiorno di durata equivalente a quello personale, dimostrando la disponibilità di un alloggio e di un reddito sufficiente al mantenimento dei familiari richiesti. La condizione giuridica del minore straniero è tutelata dall’art. 29 del disegno di legge, secondo il quale è la stessa del genitore convivente o la più favorevole tra quella dei genitori conviventi. Il suo permesso di soggiorno è inserito in quello del genitore sino all’età di quattordici anni. Il comma 3 del suddetto articolo, prevede inoltre il rilascio di un visto di ingresso e di un permesso di soggiorno da parte del Tribunale per i Minorenni, a favore del familiare di un fanciullo in difficoltà, se necessario all’integrità psico-fisica del minore. Dal punto di vista sanitario-assistenziale, il Titolo V equipara i Cittadini Italiani agli stranieri regolari, mentre è pur sempre garantito ai clandestini il diritto alle cure urgenti ospedaliere per malattie, infortuni e maternità. La tutela della gravidanza e della salute del minore, quantunque si tratti di irregolari, risulta identica a quella dei cittadini italiani, in conformità a quanto previsto dalle leggi nr. 405 del 1975 e nr. 194 del 1978, nonché dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, esecutiva in Italia con legge nr. 176 del 1991. L’ingresso ed il soggiorno in Italia per cure mediche infine, verranno condizionati alla prova da parte dello straniero di idonea capacità economica per il pagamento delle stesse. 279 Le norme sull’istruzione, contenute di seguito, estendono l’obbligo scolastico ai minori stranieri - comunque - presenti nel territorio Italiano, mentre in riferimento ai corsi universitari, le stesse promuovono attività di orientamento e di accoglienza dello straniero, nonché la possibilità di erogazioni sovvenzionali. Nell’ambito delle politiche di integrazione, è previsto che le Regioni, di concerto con le associazioni di volontariato, predispongano centri di accoglienza per lo straniero, e che questi, previa regolarizzazione, possa accedere ad alloggi di edilizia residenziale pubblica. Quanto sopra risponde ad una esigenza sociale primaria dell’immigrato, ossia l’abitazione, anche al fine di prevenire situazioni di emarginazione e deterioramento del tessuto sociale in cui vive. Va da ultimo evidenziata la disposizione degli articoli 40 e 41, in toto originali, che mirano alla definizione delle c.d. discriminazioni razziali, identificandole in ogni comportamento finalizzato a distinzioni per motivi di razza, colore, ascendenza, origine nazionale o etnica, religione. Contro le stesse, è ammessa una azione civile per la loro cessazione (c.d. inibitoria) e per il risarcimento del danno, anche solo morale se non si ravvisi un danno patrimoniale, con le sanzioni penali dell’art. 388 C.P. (“Dolosa inosservanza di un provvedimento del giudice”) per chi elude quanto deciso dal Pretore, Magistrato indicato competente in merito dal disegno di legge. Restano i dubbi sulla sopravvivenza del disegno di legge, così come ab origine presentato, successivamente alla fase della conversione in legge formale, posto che vari gruppi politici hanno già paventato numerose proposte di emendamento. 280 I diritti della prostituta immigrata 1) L’acquisizione della cittadinanza italiana Con la permanenza in regola nel territorio, la straniera inizia a maturare il diritto di ottenere la cittadinanza. L’art. 9 co. 2 lett. - f) della legge 91 /1992 prevede la concessione della cittadinanza allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. La legge 91/1992 riconosce altresì la cittadinanza allo straniero adottato da cittadino italiano. Tuttavia qualora sia maggiorenne, lo straniero deve risiedere nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione. Medesima opportunità viene consentita al coniuge straniero di cittadino italiano, quando risieda legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non è intervenuta separazione, divorzio, annullamento o scioglimento da parte delle autorità competenti. 2) I diritti inviolabili della Prostituta immigrata Prima della regolarizzazione, la ragazza straniera vive in base all’attuale disciplina, una condizione giuridica definibile imperfetta. In particolare vengono meno quelli che la Costituzione della Repubblica definisce rapporti economici, per cui la clandestina, ossia la straniera senza permesso di soggiorno, non può validamente prestare la propria attività lavorativa. Nei suoi confronti non possono trovare infatti applicazione i principi degli artt. 36 e seguenti della Costituzione che di contro forniscono i diritti 281 del lavoratore della essenziale tutela giuridica. Non di meno va rilevato che l’art. 14 della legge 848/1955, in ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, garantisce il godimento di una serie di diritti e libertà basilari dell’uomo, a prescindere da alcuna distinzione sia essa fondata sul sesso, sulla razza, sulle opinioni politiche o religiose ed in specie sull’origine nazionale o sociale, ovvero sull’appartenenza ad una minoranza nazionale. L’importanza dei predetti principi è manifesta: nessuna straniera, sia essa prostituta o meno, regolarmente residente in Italia o clandestina potrà essere privata o limitata del diritto alla vita, (art. 2 legge citata) e, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge, alla libertà, né alla sicurezza personale, (art. 3 legge citata). In virtù di quanto sopra, alla ragazza sarà assicurata piena libertà di pensiero, coscienza o religione, nonché la sottoposizione personale ad un eventuale procedimento penale legittimo ed imparziale. Parimenti alla stessa verrà sempre riconosciuta una piena assistenza sanitaria nei casi in cui ve ne fosse urgenza. In questo ambito giuridico, attinente le fondamentali garanzie giuridiche della persona, la ragazza straniera mantiene prerogative identiche al cittadino italiano, attesa la priorità di simili aspettative di tutela nei confronti dello Stato. Sembrerebbe dall’analisi sopra esposta, che tali corollari siano stati recepiti dal nuovo disegno di legge precedentemente descritto sulla condizione degli immigrati, di cui si invoca, pertanto, l’immediata trasposizione in diritto positivo. 282 Aspetti giuridicamente rilevanti della funzione dell’operatore di strada Ipotesi di reato commesso nell’attività di operatore di strada. Va da ultimo analizzata l’eventuale rilevanza penale delle condotte degli operatori, che frequentemente nelle diverse fasi di un progetto di intervento sociale-sanitario, si trovano ad operare a stretto contatto con le realtà personali delle prostitute straniere, come sopra enucleate Qualora l’operatore si attivi in ausilio della ragazza, per assicurarle la definitiva acquisizione dei vantaggi tratti da un precedente comportamento delittuoso, egli stesso risponde di “favoreggiamento reale”, punito dall’art. 379 C.P.. La fattispecie si differenzia dal “favoreggiamento personale”, di cui all’art. 378 C.P. in quanto nel primo il responsabile dirige il proprio aiuto sui beni conseguiti dalla ragazza mediante reato, fornendone per esempio idonea allocazione, mentre nel secondo è la ragazza stessa che viene favorita, dopo aver commesso un reato, onde consentirle l’elusione delle indagini ovvero di sottrarsi alle ricerche dell’Autorità. Va in proposito ulteriormente distinto l’art. 648 C.P. (“ricettazione”) che persegue l’operatore se questi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da qualsiasi delitto commesso dalla ragazza. Il fine perseguito del vantaggio patrimoniale, che in diritto penale si definisce “dolo specifico”, separa l’ipotesi in esame dal “favoreggiamento reale” sopra riferito. Contro l’amministrazione della giustizia inol283 tre, l’operatore può concretizzare condotte di “procurata evasione”, ai sensi dell’art. 386 C.P. nei casi in cui agevoli l’evasione di una ragazza legalmente arrestata o detenuta. Va specificato che la norma può trovare verosimile applicazione nei casi in cui alla ragazza, implicata in procedimenti penali, venga irrogata dal Magistrato la misura degli arresti domiciliari, già esaminati. L’operatore che, dietro richiesta di informazioni dal Pubblico Ministero inquirente nei confronti di una assistita, mente od omette di dichiarare quanto è a sua conoscenza, può essere imputato di “false informazioni al pubblico ministero”, vale a dire per la violazione dell’art. 371 bis C.P. Se invece la falsa o l’omessa deposizione si verifica durante un processo, il colpevole, in quanto assume la qualità di testimone, risponde ai sensi dell’art. 372 C.P. che sanziona la “falsa testimonianza”. I due articoli da ultimo esaminati tutelano la veridicità e la completezza delle deposizioni nelle diverse fasi di un procedimento giurisdizionale, al fine di garantire il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria. Secondo la prevalente giurisprudenza, non esiste coincidenza con il reato di favoreggiamento personale. Ricorre pertanto un concorso di reati, con violazione di due diversi precetti penali, quando le dichiarazioni mendaci volte a favorire la ragazza autrice di un delitto siano dall’operatore rese prima dinanzi alla polizia giudiziaria che sta indagando e successivamente dinanzi al Giudice. Si è tentato di fornire una generica cognizione delle principali problematiche giuridiche delle ragazze straniere prostitute, puntualizzando altresì il ruolo talvolta penalmente “sui generis” 284 di chi si adopera al riguardo. Non può omettersi tuttavia una definitiva precisazione: ogni ragazza che esce dalla prostituzione configura un microcosmo giuridico specifico, e per conoscerlo appieno, oltre all’esperienza ed alla preparazione, occorre munirsi di inesauribile determinazione. Non è infrequente infatti che la assistita, a causa dei traumi precedentemente subiti, mostri di confidare dell’operato del legale, ma all’improvviso, riveli condizionamenti e realtà segrete che mai si potrebbero preventivare. Glossario Status giuridico: situazione giuridicamente rilevante che esprime la posizione di un soggetto nei confronti di altri soggetti nell’ambito di una collettività organizzata. Arresto obbligatorio in flagranza: attività della polizia giudiziaria che deve interrompere la commissione di determinati reati elencati dal Codice di Procedura Penale con una limitazione della libertà personale del responsabile. seguita dalla verifica dell’autorità giudiziaria. Arresto facoltativo in flagranza: attività della polizia giudiziaria che può interrompere la commissione di determinati reati elencati dal Codice di Procedura Penale con una limitazione della libertà personale del responsabile, o altrimenti procedere alla denuncia del responsabile a piede libero. Fermo di polizia giudiziaria: attività della polizia giudiziaria con limitazione della libertà personale di un soggetto nei confronti del quali esistano gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di un reato, già compiuto, e vi 285 sia una esigenza cautelare motivata dal pericolo di fuga del responsabile . Imputato: qualifica attribuita al soggetto nei confronti del quale è emesso il decreto di rinvio a giudizio, ovvero la citazione in una udienza per essere giudicato di un fatto costituente reato. Indagato: qualifica attribuita al soggetto nei confronti del quale la magistratura indaga per verificare la commissione di fatti costituenti reati prima di emettere il decreto di rinvio a giudizio. Persona offesa dal reato: titolare del bene tutelato dalla norma penale che subisce un danno dal fatto costituente reato. Misura di custodia cautelare: provvedimento dell’autorità giudiziaria con il quale prima di un processo si limita la libertà personale di un soggetto, con restrizione in una Casa Circondariale di Custodia e Pena ,nei confronti del quali sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di un reato e vi siano esigenze cautelari motivate dal pericolo di fuga del responsabile, ovvero da sue condotte di inquinamento delle prove ovvero infine dalla previsione che lo stesso reiteri il reato. Arresti domiciliari o detenzione domiciliare: espiazione della misura della custodia cautelare all’interno delle mura domestiche invece che detenuto in carcere, con prescrizioni varie dell’autorità giudiziaria di isolamento del ristretto verso l’esterno. Delitto : fatto costituente reato per il quale è comminata la pena dell’ergastolo, della reclusione o della multa. Contravvenzione: fatto costituente reato di minore gravità per il quale è comminata la pena dell’arresto o dell’ammenda. 286 Reclusione : pena o sanzione detentiva con limitazione della libertà personale prevista per le violazioni della legge penale che corrispondono ai delitti. Multa: pena o sanzione pecuniaria incidente sul patrimonio del colpevole prevista per le violazioni della legge penale che corrispondono ai delitti. Arresto : pena o sanzione detentiva con limitazione della libertà personale prevista per le violazioni della legge penale che corrispondono alle contravvenzioni. Ammenda:: pena o sanzione pecuniaria incidente sul patrimonio del colpevole prevista per le violazioni della legge penale che corrispondono alle contravvenzioni. Pena edittale: pena prevista per un determinato reato che parte da un limite minimo ad un limite massimo fissati dalla legge. Circostanza aggravante: elemento accessorio del reato, non necessario ai fini della sussistenza ma incidente sulla gravità comportando un aumento di pena ( o una diminuzione se trattasi di circostanza attenuante). Reato speciale: fattispecie criminosa non contenuta dal codice penale bensì prevista e disciplinata in una legge speciale. Corte di cassazione: massimo organo giurisdizionale di controllo di legittimità delle sentenze e terzo grado di ricorso contro una pronuncia giudiziale. Riveste la funzione cd nomofilalica, ossia di indirizzo ed orientamento nei confronti delle autorità giudicanti inferiori. Pretore: organo giurisdizionale monocratico di primo grado. Tribunale: organo giurisdizionale collegiale di primo grado 287 Corte di assise: organo giurisdizionale collegiale di primo grado per reati di rilevante gravità. Corte di appello: organo giurisdizionale collegiale di secondo grado davanti al quale si ricorre impugnando una sentenza emessa da una autorità giudicante di primo grado . Corte costituzionale: massimo organo giurisdizionale che decide, fra l’altro, sulla legittimità di una legge in relazione ai principi della Costituzione. Sentenza passata in giudicato: pronuncia di una autorità giudicante non più impugnabile per decorrenza dei termini di o per esaurimento dei gradi di ricorso. Decreto-legge: fonte normativa avente forza di legge, emanato dal Governo in situazioni di necessità ed urgenza, da convertire entro 60 giorni in legge o da reiterare pena la perdita di efficacia. Legge-quadro: legge formale del Parlamento tecnicamente formata in principi da rendere ulteriormente esecutivi tramite altre fonti normative ( leggi regionali, regolamenti ,ecc.) Titolo di legge: parte di una legge o di un codice che distingue in relazione all’aspetto della materia disciplinata. Patteggiamento: procedimento giurisdizionale nel quale prima di un processo si concorda con il pubblico ministero l’entità della pena, comunque entro i due anni, da irrogare per la commissione di un reato del quale l’imputato ammette la responsabilità. 288 * Cristina Perozzi è avvocato e attualmente Legale volontario dell’Associazione On the Road. Ha svolto funzioni di Vice Procuratore onorario presso la Pretura di Ascoli Piceno nel triennio ’95 – ‘97. E’ consulente legale del Telefono Anti Violenza istituito dalla Provincia di Ascoli Piceno. Finalista nel 1996 alla selezione per Esperto Associato dell’ONU, Ufficio Prevenzione del Crimine e Giustizia Penale di Vienna. 289 290 Un profilo professionale: l’Operatrice Sociale di Base nell’ambito della Prostituzione Vincenzo Castelli e Marco Bufo* Premessa N ei nuovi scenari degli interventi sociali nell’ambito della prostituzione di strada, per quanto ancora giovani e non consolidati, cominciano a definirsi alcune figure professionali. Esse sono recenti, non formalizzate, caratterizzate dall’inesistenza di titoli definiti e riconosciuti, da una molteplicità eterogenea di percorsi formativi possibili e dunque di titoli di accesso agli stessi. Queste figure sono impiegate negli interventi sulla prostituzione nell’asse che va dal lavoro di strada a quello dell’accoglienza e dell’accompagnamento verso l’autonomia delle persone che decidono di intraprendere percorsi di uscita, comprendendo quindi anche la problematica del loro inserimento sociale e lavorativo. Tali figure professionali sono: operatrici e operatori di strada, educatrici pari, mediatrici e mediatori culturali, operatrici e operatori di accoglienza ed inserimento. Rimandiamo per le specifiche operatività del lavoro di strada e alle figure coinvolte al capitolo “Figure professionali nel lavoro di strada”, e al capitolo “Figure professionali nell’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia” per quel che riguarda questo ambito. 291 Vorremmo qui tentare di ipotizzare il profilo professionale di una figura che sia in grado di muoversi nella globalità di un intervento nella prostituzione, dal lavoro di strada all’inserimento socio-lavorativo (escludendo le specifiche professionalità della mediatrice o mediatore culturale e dell’educatrice pari) pur prevedendo la possibilità di un suo utilizzo settoriale. E’ infatti difficile (e rischioso) che un’operatrice di strada sia contemporaneamente anche operatrice di accoglienza, ma una formazione trasversale (e non eccessivamente settorializzata), offre sia il vantaggio pratico della versatilità (che non è però scontata perché i due fronti richiedono attitudini relazionali d’impatto con diverse sfumature), che il vantaggio di una conoscenza a tutto campo (e non parcellizzata) degli ambiti dell’intervento. Il profilo che andiamo a delineare nasce dall’esperienza formativa realizzata dall’Associazione On the Road con il corso per “operatrice sociale di base per la prevenzione nell’ambito della prostituzione” nel quadro del progetto NOW. Si tratta di una ipotesi di profilo professionale per la quale è auspicabile un lavoro di confronto con le altre realtà che operano nel settore al fine di perfezionarla. Inoltre il confronto dovrà inquadrare tale ipotesi nel più ampio scenario del dibattito intorno ai profili professionali e alla loro legittimazione, poiché attualmente ci si muove tra l’immobilismo a livello centrale e la proliferazione di profili “dal basso” per l’iniziativa del privato sociale e di alcune Regioni. 292 Il contesto Il profilo di Operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione tenta di coniugare, in maniera integrata, il lavoro sociale nell’ambito della prostituzione sia nella sua fase di intervento di strada che di accoglienza e di accompagnamento verso l’autonomia. Tale profilo nasce dunque nella consapevolezza che, pur nella specializzazione dei singoli interventi, occorre produrre una sintesi tra le diverse modalità di lavoro. Tale profilo oggi in Italia è certamente innovativo e può rispondere alla domanda che tale fenomenologia pone alle politiche sociali ed ai servizi sociali: prevenzione sanitaria, accompagnamento ai servizi, emergenza, sicurezza, problemi giuridico-penali, problemi familiari, accoglienza, presa in carico, formazione professionale, inserimento lavorativo, autonomia gestionale, relazionale ed abitativa. Il fenomeno, del resto, si è talmente modificato in questi ultimi anni da far coesistere concezioni e modalità di intervento diversificato anche in considerazione della concomitanza di problemi tra loro correlati nel mondo della prostituzione: ˙ libero esercizio della professione ˙ immigrazione ˙ clandestinità ˙ criminalità ˙ tratta La situazione occupazionale La figura dell’operatrice sociale di base nel293 l’ambito della prostituzione può avere buone possibilità di inserimento lavorativo, alla luce dello sviluppo delle politiche di intervento in questo campo. Infatti sono già svariati gli Enti Locali o le organizzazioni del privato sociale che hanno avviato interventi sulla prostituzione (Cfr. a titolo esemplare i Comuni di Venezia, Bologna, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Firenze...), unitamente ad alcune Provincie (Cfr. Provincia di Torino, di Roma...) all’interno di nuovi quadri legislativi predisposti “ad hoc” (Cfr. Legge regionale Emilia e Romagna). Tali enti pubblici hanno attivato in generale progetti organici in cui coesistono interventi di prevenzione e di accoglienza e pertanto cercano figure polivalenti (come appunto il profilo in questione) in grado di “gestire” processi complessi di intervento (prevenzione - presa in carico - reinserimento). Del resto in tali servizi pubblici non esistono figure in organico in grado di ricoprire tali funzioni. L’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione ha pertanto possibilità di inserimento lavorativo presso servizi pubblici (Aziende USL - Enti Locali - Provincie - Regioni) che attuino sul territorio di loro competenza un intervento sulla prostituzione. Possono trovare altresì inserimento lavorativo presso realtà del volontariato sociale (associazioni, cooperative, comunità) che attuano nell’ambito della prostituzione interventi diversificati. 294 Le prospettive Non esiste nessuna normativa, né riconoscimento di tale professionalità, né ancora si intravede l’attivazione di un corso di formazione a carattere universitario o parauniversitario. All’interno del Fondo Sociale Europeo dell’Unione Europea (Cfr. Iniziative Comunitarie Occupazione - Programma Leonardo - Piani Operativi Multiregionali) ci sono progetti “sperimentali” di formazione su tale professionalità. In alcune università italiane ci sono dei cicli di formazione sul lavoro sociale di strada, che a volte trova applicazione nell’ambito della prostituzione. Essendo comunque una nuova professione, senza dubbio emergente e necessaria1, rappresenterà un polo significativo nelle qualifiche professionali sociali per gli anni futuri. Ci sono comunque dei percorsi formativi ed implementativi ormai consolidati: ad esempio il lavoro delle reti europee EUROPAP2 e TAMPEP3 hanno avviato una metodologia sperimentale (nell’ambito specificatamente della prevenzione sanitaria) in grado di proporre un modello di intervento specifico certamente innovativo. Anche le Regioni e le Provincie, nell’ambito 1 Il fenomeno sta divenendo nelle città metropolitane, ma anche nelle realtà periferiche, una vera e propria emergenza (che implica problemi di sicurezza sociale, di tutela dei cittadini, di criminalità organizzata...). 2 Per l’Italia sono referenti la LILA ed il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute 3 La referenzialità italiana è del Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute con una rete costituita dai Comuni di Venezia - Torino - Modena - Bologna. 295 delle strategie della formazione ordinaria e straordinaria, stanno prevedendo l’attivazione di corsi di formazione per Operatori di strada nell’ambito della prostituzione. In particolare possono essere un ottimo volano didattico-pedagogico le attività formative “ad hoc” definite da alcune realtà del privato sociale4. Descrizione del profilo Gli obiettivi L’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione, si presenta e si pone come una messa in crisi delle modalità classiche di intervento sociale, poiché l’obiettivo è di incidere sulla realtà che il “target” vive, e da questa non può prescindere. Il suo lavoro si gioca quindi innanzi tutto sulla strada, concepita come luogo fisico, ma anche come realtà paradigmatica, e sulla capacità di cogliere i bisogni di chi vive la prostituzione e di co-elaborare risposte, siano esse immediate che di medio-lungo termine. Obiettivi dell’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione sono pertanto: - “leggere” la realtà territoriale della prostituzione e dei suoi attori - migliorare le condizioni di vita delle perso4 Cfr. i corsi per Educatrici, Mediatrici culturali, Operatrici Pari attivati dalla rete Tampep e dal Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute, i corsi attivati dal Progetto “Bologna Sicura” del Comune di Bologna, i corsi dell’Associazione “On The Road” del CNCA. 296 ne che si prostituiscono e ridurre i fattori di rischio - offrire al “target” opportunità di uscita dalla prostituzione - offrire opportunità di accoglienza e di inserimento socio-lavorativo (con la predisposizione di risposte a tutte le problematiche correlate, ad esempio permesso di soggiorno, salute, abitazione ecc.) - incidere positivamente sul contesto (inteso come realtà in cui convivono componenti diverse: prostitute, cittadini ecc.) e sulle interrelazioni tra le agenzie che vi operano (servizi sociosanitari, Ente Locale, unità di strada ecc.). Situazione-tipo di lavoro Essendo “giocato” prevalentemente sulla strada, nella notte, o in situazioni di emergenza, o nel difficile lavoro della presa in carico e dell’accompagnamento verso l’autonomia, l’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione lavora direttamente sul campo, spesso senza rete protettiva, con alle spalle le forze vive del territorio (servizi sociali pubblici, servizi sanitari, associazioni, gruppi, cooperative, privato sociale...). La situazione-tipo lavorativa, per quanto inquadrata nell’ambito di un progetto con interventi programmati, è comunque fluida, soggetta a modificarsi con il quotidiano delle storie, delle situazioni, dei luoghi che l’operatrice frequenta. Spesso tale intervento evade i canoni classici dell’orario e della tipologia lavorativa: esso viene gestito sulla strada, di notte, nei bar, nelle discoteche, nei servizi sanitari pubblici e privati 297 (per quanto concerne l’azione di prevenzione sanitaria), in appartamenti, case di fuga, Questure, spazi familiari, ambiti pre-lavorativi o aziende (per quanto riguarda l’inserimento socio-lavorativo). Capacità e competenze In riferimento agli obiettivi delineati, l’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione deve possedere le seguenti capacità e competenze suddivise in tre sfere: 1. Sapere ˙ Conoscenza del fenomeno della prostituzione e delle sue connotazioni, delle politiche e degli interventi possibili nel campo ˙ Conoscenza di elementi di sociologia, psicologia, pedagogia, adeguatamente calati nella realtà di intervento ˙ Conoscenza delle metodologie di intervento nei vari possibili assi di un progetto sulla prostituzione (ricerca-azione, mappatura, lavoro di strada, prevenzione sanitaria, accoglienza, orientamento, inserimento socio-lavorativo...) ˙ Conoscenza di problematiche specifiche legate alle caratteristiche del “target” (immigrazione, problemi legali, sanitari ecc.) ˙ Conoscenza attenta e qualificata del territorio sociale e dei ruoli e funzioni delle diverse agenzie e istituzioni 298 2. Saper fare ˙ Osservazione del territorio e del fenomeno prostituzione (gli attori, i luoghi, i tempi, le dinamiche) ˙ Contatto e comunicazione col “target” ˙ Individuazione dei bisogni ˙ Negoziazione delle risposte (col target, con la committenza, con l’équipe) ˙ Informazione e prevenzione sanitaria ˙ Accompagnamento presso i servizi sociosanitari ˙ Ascolto attivo ed eventuale prospettazione di percorsi di uscita ˙ Relazione di aiuto e di sostegno ˙ Gestione di percorsi di accoglienza ˙ Gestione di percorsi di inserimento sociolavorativo ˙ Lavoro di équipe ˙ Lavoro di rete ˙ Lavoro in ottica progettuale e valutativa (nel progetto, nei percorsi individuali dell’“utenza”, nel lavoro di equipe) 3. Saper essere ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ Motivazione Presenza non giudicante Ascolto attivo Capacità comunicativa Capacità relazionale Capacità di gestire i conflitti Capacità di gestire situazioni di pericolo o di rischio ˙ Capacità di gestire angosce e fallimenti ˙ Capacità propositiva ed elasticità 299 Saperi richiesti Titolo di accesso Il profilo dell’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione si incanala, come per altre nuove professionalità sociali, più su un sapere di tipo pragmatico (saper essere - saper fare) che di tipo teoretico (sapere), nell’ottica e nel superamento della concezione di sapere meramente di tipo teorico e nozionistico. Per accedere ad un percorso di formazione per la figura professionale in questione, si può ipotizzare perlomeno il requisito formale del titolo di scuola secondaria superiore o consolidata esperienza lavorativa o di volontariato negli interventi sociali in favore di persone emarginate. Riconoscimento istituzionale ed organi di formazione Come detto non esiste nessun riconoscimento istituzionale di tale intervento. A parte alcuni corsi effettuati, all’interno di facoltà universitarie, gli organi di formazione di tale profilo sono ancora quelli della base sociale (associazioni, cooperative, privato sociale). E’ possibile che proprio grazie allo stimolo della base sociale, attraverso il coinvolgimento delle rispettive Regioni si addivenga ad un riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale della nuova figura professionale. La difficoltà resta da una parte la staticità della macchina Ministeriale nel contemplare le nuove necessità nei vari contesti professionali e le relative figure di intervento, dall’altra il 300 rischio di una proliferazione selvaggia ed incontrollata di nuovi profili professionali. Iter e moduli formativi Non esistendo una normativa nazionale l’iter formativo viene definito di volta in volta soprattutto tenendo conto dei vincoli posti dagli Enti titolari della formazione per il riconoscimento del titolo (Cfr. Ministero del Lavoro - Regioni Provincie)5. Fondamentalmente, a livello standard, l’iter si attiva sui seguenti moduli formativi: Fase di orientamento (100 ore) Orientamento al ruolo e selezione dei partecipanti con lo sviluppo teorico-pratico delle principali tematiche di formazione, del programma sotto riportato. Moduli (200 ore) ˙ il fenomeno della prostituzione; ˙ le politiche e la legislazione sulla prostituzione; ˙ gli interventi nella prostituzione; ˙ profilo del target; ˙ lingua e cultura dei paesi di origine; ˙ aspetti legali e sanitari; ˙ immigrazione e lavoro; ˙ l’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione: profilo, capacità e competenze; ˙ metodologie e tecniche di ricerca sociale; 5 In genere per il riconoscimento del titolo professionale vengono avviati corsi professionali di almeno n.600 ore. 301 ˙ metodologie e tecniche dell’intervento di strada; ˙ comunicazione e relazione di aiuto; ˙ modalità di accoglienza; ˙ opportunità e strumenti per l’inserimento lavorativo; ˙ il territorio: i suoi attori e i suoi linguaggi; ˙ il lavoro di comunità; ˙ la mediazione interculturale; ˙ lavoro di rete; ˙ lavoro di équipe; ˙ progettazione e valutazione; Tirocinio formativo (300 ore) ˙ visite e analisi di progetti attivati nel contesto nazionale ed europeo; ˙ ricerca-azione; ˙ mappatura; ˙ unità di strada; ˙ accoglienza; ˙ inserimenti lavorativi; ˙ creazione di materiali di informazione e prevenzione; (Il tirocinio si articola in una successione di momenti di “aula”, lavoro sul campo, lavoro individuale, da realizzarsi anche presso progetti attivati nel contesto nazionale o europeo). Seminari esperienziali Durante tutto il percorso vanno realizzati periodicamente seminari esperienziali sulla relazione di aiuto e le dinamiche emotive connesse al ruolo. * Mar co Bufo è Coordinatore del Progetto di Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW “Ionique - 302 Occupazione: femminile plurale” a titolarità C.N.C.A., Associazione On the Road. In precedenza, dal 1992 al 1995, ha collaborato con l’Associazione RES - Risposte Esperienze Servizi di Capodarco di Fermo (AP), occupandosi dello sviluppo e dell’attuazione di progetti di ricerca, formazione, sperimentazione ed intervento nell’ambito delle politiche sociali e giovanili nel quadro di programmi ed iniziative a livello locale, nazionale ed europeo. Tra gli altri incarichi ha coordinato attività nell’ambito di Corsi di Formazione per Operatori di Reti Sociali Territoriali, Corsi per Operatori di Strada, progetti PETRA, HELIOS e HORIZON, e ImparaRes - Itinerari di Formazione Sociale. 303 304 Il lavoro di strada Antonio D’Alessandro* Introduzione Q uando si parla di lavoro di strada viene subito in mente, soprattutto fra gli operatori sociali, l’associazione con la riduzione del danno, e in particolare con le unità di strada rivolte ai tossicodipendenti attivi; anzi, per chi segue meno da vicino il settore dell’emarginazione sociale, questi due approcci sono sostanzialmente simili e sovrapposti. Seppure esistano molte contiguità teoriche ed operative fra lavoro di strada e riduzione del danno, come vedremo in seguito, occorre evitare di cadere nella trappola di ritenere che in Italia il primo approccio sia stato introdotto sulla scorta del secondo; sarebbe come definire “nuove droghe” quegli stupefacenti detti comunemente ecstasy, mentre nuove non sono1. Così come per l’ecstasy il lavoro di strada è divenuto negli ultimi anni di “moda”, essendo stato in qualche modo ri-scoperto dal dibattito sulla riduzione del danno, ma non bisogna dimenticare che in Italia a partire dal secondo dopoguerra, con una accelerazione dalla secon1 Il principio attivo riscontrato più volte nelle pasticche di ecstasy, il MDMA (metilenediossimetanfetamina), fu brevettato nel 1912 dalla casa farmaceutica Merck. 305 da metà degli anni ‘60, molte organizzazioni attive nel settore dell’emarginazione sociale, soprattutto d’ispirazione religiosa, hanno considerato la strada come luogo privilegiato della loro azione sociale; ciò, non deve sorprendere se si pensa che il primo “operatore di strada” era un cattolico che ha iniziato la sua opera nel primo medioevo: San Francesco d’Assisi. Ritornando a tempi più recenti, è necessario ricordare come la scelta di lavorare in strada sia stata, ed è, un approccio non soltanto metodologico ma una precisa scelta etica e politica, come lo fu la scelta di povertà di francescana memoria. Infatti, la persona che privilegia questo metodo sceglie di mettersi allo stesso livello dell’utente e, possibilmente, di imparare da lui, nel rispetto della sua autonomia e delle scelte di vita, come si comprende meglio dal seguente brano: “(...) siamo partiti sulla strada, nell’incontro con chi vive situazioni di disagio e sofferenza, dalla voglia di ascoltare, di capire e condividere la fatica di tanta gente e di ricercare insieme soluzioni possibili. La strada, luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione, è un elemento costitutivo della nostra identità e il punto di riferimento del nostro lavoro. Ci siamo educati a non selezionare i compagni di viaggio, nel dialogo e nella responsabilità reciproca”2. Quando si discute e si ragiona sul lavoro di strada spesso si tende a dimenticare questo aspetto etico-politico a vantaggio delle problematiche più strettamente operative e/o ai risul2 Gruppo Abele, “Strada facendo”, pag. 7; Torino, 1994. 306 tati quantitativi conseguiti, che sono ovviamente molto importanti; tale tendenza rischia di omologare questo approccio alle altre azioni sociali meno caratterizzate, con il rischio, come vedremo poi, di introdurre una serie di interventi di routine che diventano, man mano, la sostanza del lavoro di strada. Per sconfiggere questa tendenza occorre avere ben chiari le finalità e gli obiettivi di ciò che si vuole realizzare fin dall’inizio, attraverso il pieno coinvolgimento di chi poi sarà l’operatore di strada; inoltre, sarà necessario impostare l’organizzazione del lavoro con lo scopo di favorire la riflessione sul lavoro svolto fra i membri dell’équipe di lavoro e i responsabili. I punti chiave del lavoro di strada Quali sono i punti chiave del lavoro di strada? E’ difficile affermarlo con sicurezza e definitivamente in quanto il lavoro di strada è, per fortuna, abbastanza vario ed articolato, sia per quanto riguarda la tipologia di interventi che per il target a cui si riferisce. Quindi, verranno approfonditi alcuni aspetti che possono sembrare più importanti e generalizzabili di altri, ma sicuramente ogni esperienza ed ogni operatore potrà avere i suoi punti chiave; inoltre, in questa parte non affronteremo l’aspetto organizzativo, che pure è un punto chiave, che a causa della sua complessità merita una trattazione a parte. - La strada Come abbiamo già detto l’operare in strada deve essere un opzione netta, individuale e/o 307 collettiva, preceduta e sostenuta da una scelta etico-politica; infatti, a differenza degli altri “terreni” e luoghi dell’agire sociale, è fondamentale stabilire un rapporto biunivoco con tale contesto, caratterizzato, cioè, dalla capacità di modificare l’azione in base ai ritorni che si ricevono costantemente. “La strada ci ha educato: 1) a mettere al centro la persona e le sue relazioni significative, la sua originalità, l’irripetibilità della sua storia; 2) a proporre interventi non standardizzati, bensì progetti personalizzati e rispettosi delle libertà e delle possibilità di ognuno; 3) a non sottovalutare la necessità e l’importanza di strumenti culturali, di informazione, di formazione e a non confondere sobrietà e condivisione con pressappochismo o faciloneria; 4) a lavorare affinché il disagio, da solo problema, diventi anche risorsa, punto di rottura, opportunità di trasformazione per ognuno. Questo ha significato intervenire anche nei “contesti di normalità”, ovvero sui sistemi di relazione all’interno dei quali si produce e manifesta il disagio, con le famiglie, con i gruppi dei pari, nella scuola e negli ambienti di lavoro, nel territorio.”3 Quindi, occorre innanzitutto comprendere che la strada ha una funzione educativa importante e che è necessario porsi in “posizione d’ascolto”, cioè essere attenti a ciò che emerge da tale contesto. La capacità di recepire, decodificare e riflette3 ibidem, pag. 8. 308 re sui segnali della strada deve essere, però, una scelta “politica” da compiere prima, o all’inizio, dell’operatività; infatti, soltanto avendo accettato tale necessità sarà possibile percepire veramente ciò che giunge dalla strada (non a caso un proverbio popolare afferma che non vi sia peggior cieco di colui che non vuole vedere). Ciò implica sia precise scelte organizzative, come vedremo poi; sia, una decisone autonoma da parte delle persone che scelgono di operare in strada e che devono rinunciare a giudizi e approcci precostituiti, al fine di facilitare al massimo lo scambio con i fruitori dell’intervento. Anche su questa affermazione torneremo in seguito. La scelta etico-politica di lavorare in strada, come abbiamo detto, deve partire da una riflessione e da un dibattito interno alla strutture e alle persone che vogliono operarvi. Una volta definita tale opzione è necessario iniziare ad “ascoltare la strada”, cercando di capire le peculiarità del contesto dove si opererà; si dovrà comprenderne il linguaggio e percepirne il “respiro”. Quindi, si deve avere un grande rispetto della strada e sforzarsi costantemente di comprenderne i cambiamenti, così come nei rapporti sociali fra gli uomini; è necessario considerare questo contesto operativo in un’ottica ecosistemica più generale, in cui la strada è la parte emergente di un tutto, che spesso è sommerso. Questi osservazioni potranno sembrare un po’ astratte, ma, oltre ad essere generate dall’esperienza diretta, trovano riscontro in altre riflessioni operate sulla stessa tematica e basate su altri percorsi. Ad esempio, in una interessante riflessione 309 sulla modificazione degli approcci pedagogici in relazione al lavoro di strada, viene evidenziato come sia necessario impostare l’azione educativa attraverso l’intreccio tra relazione, azione e storie di vita, a partire da una spiccata attenzione filosofica: “Fare quindi lavoro di strada significa (...) assumere non tanto il punto di vista di una inesistente pedagogia scientifica, quanto il punto di vista proprio di una metodologia cognitiva. Utilizzando ancora un riferimento al filosofare, azzardiamo l’ipotesi che il lavoro pedagogico di strada (ma non solo) si doti delle categorie concettuali che appartengono alla filosofia della conoscenza.”4 “(...) Il lavoro di strada (ma qualsiasi lavoro pedagogico dovrebbe essere informato a questo principio) va vissuto come una storia di vita (e una storia di vita include ragione e follia, certezza e indeterminazione, sfida e sconfitta) e va studiato mentre si compie o va concludendosi come una autobiografia che non risparmia nulla di quanto è accaduto. E, qui, le domande saranno domande (anche spietate e impietose, imbarazzanti ma coraggiose) che facendo pulizia di tanti termini tratti dalla letteratura o introdotti dal formatore di turno verteranno, se saranno tali, sui problemi riconducibili al senso di ciò che si è fatto, ai significati esistenziali (al di là del numero di preservativi distribuiti o delle siringhe raccolte) di quanto - per gli altri e per se stessi, in quanti inclusi nell’esperimento - si è riusciti a costruire di volta in volta. Ma, domanda ancora più imbarazzante, ai significati che si 4 Duccio Demetrio, “Per una pedagogia del lavoro di strada”, in Animazione Sociale n° 8/9, agosto/settembre 1995; pag. 60. 310 è riusciti a modificare introducendo - attraverso i fatti e le parole - novità esperienziali ed esistenziali, provocazioni e rassicurazioni, giochi e regole. Il tempo della valutazione di ciò che si è fatto irrompe quando ci si accorge che lavorando percon gli altri, si è lavorato per-con se stessi”...5 In definitiva, la strada può essere una finestra sulla nostra società e ci può dare una visione del mondo meno parziale di quanto sembri, anche se si opera soltanto con gli emarginati; occorre, come abbiamo già detto, la volontà di cogliere la complessità che questo ambito ci offre. - Lavoro di strada e riduzione del danno Il revival del lavoro di strada in questi ultimi anni deve molto al dibattito che si è sviluppato sulle azioni di harm reduction in relazione alla tossicodipendenza; infatti: “Il concetto di riduzione del danno è divenuto di uso comune alla fine degli anni ‘80 in risposta a due particolari emergenze. La prima era la diffusione dell’infezione da HIV tra i consumatori di droghe per via iniettiva. La seconda, il sospetto che le strategie che avevamo adottato per fra fronte al consumo di droghe avevano aggravato il problema invece che contenerlo”.6 In Italia, il dibattito sulla riduzione del danno si è andato progressivamente allargando dallo “specifico droga”7 interessando, via via, quegli 5 ibidem, pag. 61. 6 AA.VV. “La riduzione del danno”, Edizioni Gruppo Abele; Torino, 1994; pag. 1. 7 “(...) la riduzione del danno (...) da qualche tempo (è) entrata a far parte, anche in Italia, della esperienza 311 ambiti di disagio che più erano contigui a tale problematica: giovani “a rischio” e prostituzione (maschile e femminile); però, questa contaminazione è avvenuta in maniera diversificata. Per i progetti rivolti ai giovani a rischio di devianza, le modificazioni operate sulle attività già in corso sono state più limitate rispetto a quelle che sono state avviate dopo la Conferenza Nazionale sulla Droga svoltasi nel 1993 a Palermo; infatti, fu proprio in quella sede che il dibattito sulla prevenzione dell’uso di droghe si allargò significativamente anche alla diffusione del virus HIV fra i giovani, che iniziava ad emergere come fascia di popolazione in cui, specialmente per le donne, si riscontravano picchi percentuali relativi alle nuove infezioni. Quindi, le esperienze improntate sull’educazione di strada, sull’approccio pedagogico, attivate da più tempo non tennero subito conto di questo nuovo approccio in quanto potevano basarsi su una operatività e su risultati ormai ampiamente consolidati.8 Inoltre, un altro elemento che influenzò, ed ancora condiziona, l’avvicinamento alla riduzione del danno, sul versante prevenzione rivolta ai giovani, era la necessità di distribuire ad essi strumenti concreti di prevenzione; ovviamente, a differenza delle siringhe distribuite ai tossicodipendenti attivi, ai giovani dovevano essere operativa e del dibattito sulle politiche sociali (sino al punto di egemonizzare) - almeno a parole - la prima Conferenza Nazionale su stupefacenti e tossicodipendenza tenutasi a Palermo nel giugno 1993”; ibidem, pag. V. 8 Fabrizio Guaita et al. “Il progetto operatori di strada della Regione Veneto”, in Animazione Sociale n° 11, del novembre 1994; pag. 27 e seguenti. 312 offerti materiali informativi espliciti e profilattici. Però, già da molti anni le istituzioni ecclesiastiche si sono dichiarate contrarie all’uso dei condoms, e lo spettro dell’AIDS non ha minimamente modificato questo approccio ideologico, anzi, è stato più volte ribadito da importanti teologi che il problema AIDS non si sarebbe manifestato in maniera così virulenta se si fosse tenuto un comportamento basato sull’astinenza, la monogamia e sul rifiuto dei rapporti omosessuali, considerati contro natura. Pertanto, la conversione alla riduzione del danno di quelle attività gestite da strutture religiose o da gruppi laici che hanno come referente l’area cattolica, hanno avuto ovvi rallentamenti. Le iniziative che riguardavano più direttamente le nuove emergenze sociali, come la prostituzione di strada, hanno invece avuto un forte impulso proprio dalla “vicinanza” con tale approccio e, ovviamente, all’esplosione del fenomeno AIDS. Infatti, molte azioni si sono immediatamente riconvertite in base a questa metodologia, come dimostra l’esperienza maggiormente consolidata realizzata in Italia dal Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute di Pordenone, che ha rappresentato, e rappresenta, un punto di riferimento per chi vuole opera9 re in tale ambito. Spesso, quindi, gli operatori di queste unità di strada utilizzavano, ed utilizzano, la distribuzione dei profilattici come uno strumento di 9 Parsec - Università di Firenze: “Il traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana”; ciclostilato; Roma, 1996. 313 aggancio della persona che si prostituisce, così come chi opera con tossicodipendenti attivi distribuisce le siringhe pulite con lo stesso obiettivo. Però, anche qui, ci sono eccezioni che riguardano i gruppi confessionali o di ispirazione cattolica, anche se sono molto meno numerose rispetto a chi si occupa di prevenzione fra i giovani. In conclusione si può tranquillamente affermare che la riduzione del danno abbia determinato una ri-scoperta del lavoro di strada e, fra chi già operava in questo contesto, determinato un ripensamento rispetto ad alcuni approcci poco immediati; naturalmente, a causa della perenne tendenza all’ideologizzazione caratteristica del nostro paese, non sono mancati i fraintendimenti e le incomprensioni, più o meno “innocenti”, verso il lavoro di strada. A volte, si verifica una forte demonizzazione di questa metodologia di intervento; altre volte viene quasi “santificata”, come dimostra la proliferazione dei corsi di formazione per operatori di strada finanziati dalle Regioni, o l’utilizzazione sfrenata di unità mobili per azioni che non riguardano per niente la riduzione del danno o l’emarginazione10. 10 Per facilitare la comprensione di quanto affermato può essere di aiuto la breve esposizione di una esperienza di lavoro di strada realizzato a Milano; qualche mese dopo la Conferenza di Palermo un sacerdote, che si era caratterizzato in quell’assise come avversario della riduzione del danno, annunciò che presto avrebbe iniziato ad operare una Unità di strada per tossicodipendenti alla Stazione centrale, sulla scorta di quanto già si verificava a Roma. Naturalmente, questa apparente inversione di tendenza suscitò molto interesse che, però, scemò rapidamente una volta saputo che gli operatori di strada “milanesi” avrebbero operato affin- 314 Comunque, è necessario evitare le estremizzazioni, in un senso o nell’altro, ma deve essere altrettanto chiaro che il lavoro di strada è stato definitivamente modificato dall’incontro con la riduzione del danno. Attualmente non ha nessun senso finanziare iniziative basate sul lavoro di strada rivolte a segmenti della popolazione emarginata che presentano particolari problematiche ed emergenze di tipo sanitario evitando di distribuire gli strumenti di prevenzione essenziali, ad iniziare dai profilattici, o non prevedendo una presa in carico della persona. Chi opera diversamente, oltre a realizzare interventi “all’acqua di rose” di dubbia efficacia, è sicuramente dannoso per lo sviluppo del lavoro di strada nel nostro paese, in quanto drena risorse alle azioni più urgenti e giustifica l’esistenza di iniziative e/o organizzazioni essenzialmente autoreferenziali. - La relazione con l’utenza Il rapporto con l’utente è sicuramente la base degli interventi che si possono realizzare in strada e, soprattutto, “oltre la strada”, cioè, di quella progettualità tendente ad affrontare il disagio manifestato dalla persona che si è incontrata nel suo complesso. A tal fine entrano in gioco ché l’utenza contattata si convincesse ad iniziare un programma terapeutico presso la loro comunità; quindi, non erano previste né la distribuzione di siringhe pulite, né altre azioni di riduzione del danno (pronto soccorso, interventi in casi di overdose, ecc.). Non si conoscono attualmente i risultati di questa iniziativa mentre quella realizzata a Roma è stata studiata e valutata, evidenziando, fra l’altro, oltre 500 interventi in caso di overdose. 315 diverse variabili, quali le caratteristiche individuali degli operatori e quelle degli utenti, la mission dell’azione che si sta realizzando e gli strumenti utilizzati per l’aggancio e l’analisi iniziale del territorio; se ne potrebbero aggiungere delle altre, ma queste ci sembrano le principali che analizzeremo di seguito. Per quanto riguarda l’operatore i due elementi che incidono fortemente sulle capacità e la “qualità” della relazione sono la propensione al lavoro di strada e la professionalità posseduta. Per non ripetere ciò che è stato già detto sulla propensione al lavoro di strada riportiamo un brano di un articolo che esprime bene questi concetti. “Ogni operatore ed operatrice che abbia intenzione di lavorare in strada dovrebbe analizzare onestamente ed approfonditamente quali sono le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi che lo/la spingono a fare questo tipo di lavoro. Non solo per rispetto delle persone con le quali si relazionerà in strada ma, per poter esercitare un ruolo non confuso ed ambiguo, è necessario avere la capacità di mettere a nudo di fronte se stessi e di riconoscere con maggior chiarezza possibile qual è l’epistemologia sulla quale basa il proprio ruolo professionale e quale ideologia lo guida.”11 Con il termine professionalità si intendono sia i titoli di studio posseduti che l’esperienza maturata; infatti, non esiste attualmente nessun corso di studi che, alla fine, formi degli operatori di strada immediatamente validi ed efficaci, tant’è che spesso ci si riferisce a questo tipo di 11 Luigi Roberto Raimondo “Il lavoro di strada con i gruppi. L’operatore di strada tra miseria e nobiltà” , in Fuori Orario n°14, del febbraio 1997; pag. 10. 316 lavoro più in termini di mestiere che di professione.12 Ciò non significa che soltanto chi ha esperienze simili, passate o presenti, alla popolazione target sia in grado di operare in strada, anche se il coinvolgimento di persone con tale vissuto può essere estremamente utile soprattutto in alcuni tipi di intervento (tossicodipendenze, giovani, prostituzione), utilizzando metodologie di lavoro molto sperimentate in altri paesi come la peer education (educazione fra pari) e il peer support (sostegno fra pari).13 Si può quindi affermare che l’operatore di strada, in cui c’è un mix fra gli elementi analizzati prima, spesso ha più facilità ad “agganciare” l’utenza e a stabilire con essa un rapporto significativo. Un altro elemento che incide sul rapporto con l’utenza è l’obiettivo finale dell’azione che si realizza. Infatti, se lo scopo è, ad esempio, quello di proporre un cambiamento radicale e repentino nelle abitudini e nei comportamenti dell’utenza ci si approccerà in un certo modo, enfatizzando negativamente alcuni aspetti della 12 Il termine mestiere è collegato storicamente alle attività di tipo artigianale (falegname, calzolaio, arrotino, ecc.), in cui la trasmissione del sapere avviene più attraverso il praticare un’attività che studiarla; per quanto riguarda le professioni (avvocato, notaio, insegnante, ecc.), è esattamente il contrario, anche se la parte di “tirocinio” è comunque sempre presente. 13 Per pari si intendono persone che hanno le stesse caratteristiche esistenziali e/o culturali della popolazione target; essi, dopo una illustrazione del lavoro che si vuole svolgere, possono entrare a far parte a pieno titolo dell’équipe di lavoro oppure essere il tramite con il gruppo su cui si vuole intervenire. 317 condizione in cui vive la persona che si contatta e/o evitando di fornire loro strumenti di profilassi che possano in qualche modo far perdurare la loro condizione. Il lavoro di strada è, in definitiva, uno strumento operativo che può essere utilizzato con modalità ed obiettivi molto diversificati. Pertanto, non può esistere un modello astratto, accademico, di “relazione in strada”, ma ci sono tante pratiche diversificate quante sono le variabili che intervengono (l’obiettivo, l’operatore e l’azione realizzata). In base alle esperienze maturate da chi opera in strada da molti anni e da chi ha introdotto gli interventi di riduzione del danno in Italia, possiamo indicare, però, i seguenti punti fermi nella relazione fra operatore ed utente che riteniamo essere condivisi da molte persone che operano e riflettono sulle tematiche relative al lavoro di strada: 1. 2. 3. 4. 5. ascolto attivo; osservazione; presenza costante; presenza non giudicante; dialogo.14 In definitiva, la relazione con l’utenza rappresenta la parte più problematica e, nel contempo, più affascinante del lavoro di strada, in quanto è necessario essere sempre disponibili ad apprendere attivamente quanto ci suggerisce la strada, ma senza che ciò si tramuti in una regola di comportamento e di azione immutabi14 questo schema è tratto dall’articolo citato nella nota 10. 318 le; quindi, la relazione si deve strutturare e destrutturare continuamente, al fine di adeguarla ai cambiamenti che l’utente, e l’operatore, maturano durante l’azione di strada. L’organizzazione del lavoro di strada Nel lavoro di strada gli aspetti organizzativi hanno finora avuto meno peso ed importanza dei contenuti da veicolare o dei principi etici su cui basarsi; certamente, può sembrare che la parte relativa all’hardware abbia molta meno importanza del software. Però, per continuare la similitudine con il mondo dei computer, se noi abbiamo a disposizione un programma molto avanzato e un calcolatore vecchio si verifica che il primo non gira sul secondo e, così, diviene inutilizzabile. Quindi, questa semplice metafora può far comprendere come sia necessario impostare le attività di strada attraverso un disegno organizzativo il più possibile preciso e complessivo; non è sufficiente la voglia di fare ma occorre riflettere e pianificare su cosa e quando fare, al fine di ottenere i risultati che ci aspettiamo. Affronteremo, dunque, una serie di punti che sono tutti strettamente interconnessi fra loro e la cui piena attuazione incide in maniere decisiva sul buon andamento del lavoro di strada. - Gli operatori Nei capitoli precedenti ci siamo soffermati molto sulle caratteristiche dell’operatore; quindi, fatto salvo quanto già detto, in un’ottica esclusivamente organizzativa è necessario tener conto dei seguenti elementi nella fase di sele319 zione dell’équipe operativa: 1) propensione a lavorare in strada; 2) disponibilità alla relazione con l’utenza; 3) esperienza maturata; 4) professionalità posseduta. A questi elementi se ne possono aggiungere altri a secondo dell’esperienza e delle necessità specifiche (ad esempio, il sesso e la nazionalità di provenienza nel caso si volesse raggiungere una specifica utenza); comunque, tali indicazione vanno tenute ancora più presenti nel caso in cui si debba scegliere il responsabile dell’équipe. E’ bene ricordare che la “precarietà” tipica del lavoro di strada moltiplica le dinamiche interne al gruppo degli operatori che vanno governate e possibilmente risolte in modo tempestivo; inoltre, il responsabile è il rappresentante sul campo dell’équipe ed è, quindi, l’immagine esterna del lavoro svolto. Da tutto ciò si comprende facilmente che il responsabile è l’architrave del gruppo di operatori di strada e che va scelto con cura ed attenzione, evitando di effettuare scelte eccessivamente “ideologiche” (determinate, cioè, dalla totale adesione ad un disegno generale di cui il lavoro di strada è solo un tassello) o, al contrario, fortemente “tecniche” (in cui i titoli accademici sono l’unico criterio di scelta). Non è neanche sufficiente che il responsabile sia designato in base al ruolo avuto nell’ideazione e nella progettazione dell’intervento di strada, in quanto la gestione delle risorse umane, compito principale di tale figura, non si acquisisce automaticamente leggendo libri e/o partecipando a convegni sul lavoro di strada. Comunque, così come la scelta degli operato320 ri, anche in questo caso soltanto la strada potrà indicarci se le scelte effettuate sono state quelle più giuste. - La formazione Il lavoro di strada è uno di quei settori del lavoro sociale che si è sviluppato fortemente negli ultimi 10 anni; infatti, ancora oggi molte iniziative hanno un carattere di sperimentazione, come dimostrano le iniziative rivolte al mondo della prostituzione. Quindi, la formazione diventa uno strumento di lavoro indispensabile in un quadro operativo ancora non ben definito e stabilizzato, sia in termini di conoscenze iniziali che, e soprattutto, per l’aggiornamento costante dell’équipe di lavoro, come vedremo in seguito. Nonostante la specificità del lavoro di strada la metodologia formativa è la stessa di ogni altro intervento di questo tipo, prevedendo le 4 fasi “classiche”:15 1. 2. 3. 4. l’analisi dei bisogni; la progettazione; l’attuazione dell’intervento; la valutazione. Il processo formativo può essere gestito da un esperto esterno all’équipe oppure, soprattutto nel caso dell’aggiornamento, da uno o più operatori. Al fine di chiarire maggiormente le modalità formative operative, distingueremo le fasi suddette per queste due tipologie di azioni (formazione ex ante ed in itinere). 15 Parsec (a cura di Carlo Bracci) “Due e un’acqua appunti su un’esperienza di unità di strada”; Roma, marzo 1995; pagg. 71 e seguenti. 321 Per quanto riguarda l’analisi dei bisogni per la formazione iniziale si potrà procedere ad elaborare una scheda di rilevazione sulle conoscenze possedute relativamente al lavoro di strada progettato ed alle esperienze maturate, chiedendo agli operatori di evidenziare gli aspetti meno chiari relativi al settore di intervento e/o alle caratteristiche dell’utenza potenziale; successivamente, le indicazioni raccolte potranno essere discusse con tutti gli operatori al fine di stabilire quali siano i bisogni condivisi. A questo punto si elabora un progetto di massima dell’intervento formativo, confrontandolo, se possibile, con altri interventi già realizzati, ed assolvendo a tutte le necessità organizzative (individuazione e contatto con i formatori, identificazione del calendario e del luogo di svolgimento, preparazione degli strumenti didattici, ecc.). Quindi, si attiva l’azione formativa garantendo un costante tutoraggio al gruppo, al fine di favorire l’acquisizione dei contenuti espressi (attraverso le metodologie che favoriscono l’apprendimento attivo), ed apportare le eventuali modifiche in corso d’opera. Infine, verrà preparata una scheda di rilevazione volta a valutare sia quali concetti sono stati appresi meglio, sia, a comprendere la soddisfazione dei partecipanti alle attività formative. Rispetto alle attività di aggiornamento lo schema operativo è simile al precedente, ma presenta una notevole differenza: l’operatore da discente può divenire docente, infatti, mentre la prima azione formativa era caratterizzata da un apprendimento di base rivolto a persone che 322 magari non avevano mai lavorato in strada, la fase di aggiornamento può essere utile per favorire una riflessione, individuale e collettiva, su ciò che si è realizzato fino a quel momento. Pertanto, incaricare l’operatore X a relazionare su un tema Y può rappresentare un forte stimolo a ragionare organicamente sul lavoro di strada ed a individuarne gli eventuali limiti; quindi, la formazione in itinere, oltre a rispondere alle esigenze di approfondimento dell’équipe scaturite dall’operatività sul campo, rappresenta, dal punto di vista organizzativo, un importante momento per identificare le eventuali modificazioni operative che si ritengono necessarie. - La supervisione Il primo presupposto della supervisione è che chi la effettua deve essere necessariamente esterno al gruppo di operatori e possibilmente alla struttura che organizza il lavoro di strada; eventualmente, nel caso in cui il supervisore sia impegnato in altre attività con la stessa struttura, è necessario che sia sufficientemente esterno al lavoro di strada e che non ricoprirà nessun ruolo di responsabilità, altrimenti dalla supervisione si passa al “super controllo” (o controllo superiore). Inoltre, è necessario ricordare che la supervisione non va confusa con le riunioni periodiche dell’équipe, che hanno caratteristiche per lo più strettamente operative e funzionali a ciò che si sta realizzando. Una volta stabilite le caratteristiche del supervisore, si deve comprendere perché questo elemento operativo è parte integrante del lavoro di strada, nonostante se ne sottovaluti fortemente l’importanza in fase progettuale (e anche nell’analisi dei progetti da parte delle istituzioni). 323 Questo termine deriva dall’ambito aziendale dove si intendeva un’attività volta alla revisione dei conti e di controllo della funzionalità operativa. Successivamente, è stato adottato dalla psicoterapia, dove il supervisore si configura prima come verifica/sostegno dello studente o dello psicoterapeuta in formazione, poi, assume la funzione di referente per il singolo terapeuta o per l’intera équipe.16 Pertanto, assumendo quest’ultimo approccio, la supervisione va intesa come consulenza attiva e non come controllo, finalizzata a fronteggiare le problematiche che si pongono all’operatore di strada nel suo lavoro. “Bisogna tener presente che il lavoro dell’educatore nel territorio lo pone in prima linea, lo espone ad un grande investimento emotivo in quanto lo mette a contatto con situazioni di grave sofferenza personale e familiare, in situazioni molto coinvolgenti e molto deteriorate, a volte anche con la morte. Tutto ciò genera angoscia, confusione, impotenza (...). L’educatore può anche subire un coinvolgimento personale tale da provocare danni alla propria capacità lavorativa e alla propria persona.”17 Quindi, la supervisione è uno strumento utile per evitare l’insorgenza delle difficoltà prima descritte ma, proprio per essere più efficace, deve essere progettata e realizzata fin dal primo momento, evitando di considerarla un “optional” e di ricorrere ad essa soltanto quando il clima équipe di lavoro è già ampiamente compromesso. 16 ibidem, pag. 83 e seguenti. 17 AA.VV. “La strada come rete di accoglienza e solidarietà”, in Animazione Sociale n° 4 dell’aprile 1994; pagg. 64/65. 324 Altra scelta che deve essere effettuata “a priori” è quella del tipo di consulenza da offrire all’équipe, in un ventaglio di opzioni che vanno dall’approccio aziendale (supervisione organizzativa) a quello psicoterapeutico (supervisione sulle dinamiche di gruppo). Infatti, spesso succede che il supervisore abbia una formazione e/o un’esperienza che gli fa preferire un certo aspetto piuttosto che un altro. Dall’esperienza diretta si evince che la supervisione in questo settore dovrebbe tener conto di entrambi gli aspetti ed essere assai flessibile, modificandosi in base alle necessità che si incontrano durante lo sviluppo del lavoro di strada. Pertanto, si dovrebbe tener conto degli elementi soggettivi ed oggettivi dell’organizzazione, partendo dal principio che non si possono modificare gli uni se non se ne comprende la connessione con gli altri; occorre, quindi, procedere ad un analisi parallela dei seguenti elementi: 1) problematiche relazionali e conseguentemente intrapsichiche di ciascun operatore, al fine di favorire il confronto di ciascuna persona con le relazioni, difficoltà, capacità e limiti che incontra durante il proprio lavoro, al di là del tipo di relazione che si instaura con l’altro (utente, collega, responsabile, ecc.); 2) dinamiche istituzionali che attraversano l’organizzazione, intendendo con tale termine sia quelle relative alla struttura che realizza l’intervento, sia, quelle determinate dal committente. La supervisione deve, quindi, entrare nei differenti livelli, strutturali e funzionali, dell’orga325 nizzazione, per rendere espliciti i sistemi e i sottosistemi presenti e le dinamiche che li animano. In conclusione una buona supervisione, oltre a migliorare la qualità del lavoro, è la base di partenza di qualsiasi possibilità di riflessione e di trasformazione del lavoro che si sta portando avanti. - La valutazione Come la supervisione anche la valutazione deve essere una parte del processo operativo pensata ed organizzata prima dell’avvio delle attività; infatti, la valutazione di un programma di azione sociale risponde, in genere, a due esigenze:18 1. assicurare trasparenza e buona gestione degli investimenti; 2. verificare nella pratica quotidiana obiettivi, attività, ostacoli, risultati allo scopo di migliorare gli interventi. A differenza della valutazione, però, il processo valutativo deve avere due “attori”: uno esterno, che ha il compito di verificare il processo di valutazione e favorirne il confronto con altri simili, ed uno interno, che riguarda l’analisi condotta da chi svolge il lavoro per comprenderlo e migliorarlo. L’integrazione del lavoro dei diversi attori permette un approccio più dinamico alla valutazione, cosa particolarmente importante per le 18 Parsec (a cura di Carlo Bracci) “Due e un’acqua appunti su un’esperienza di unità di strada”; Roma, marzo 1995; pag. 113 e seguenti. 326 azioni sociali tendenti al cambiamento, come è il lavoro di strada; infatti, qualora si compia un buon lavoro, sarà necessario ridefinire continuamente gli obiettivi e gli strumenti utilizzati, in quanto la nostra azione avrà attivato una modificazione negli utenti e nel contesto sociale di riferimento che, necessariamente, porterà a nuove richieste da soddisfare. Una valutazione rigida e di carattere strettamente quantitativo potrà dare indicazioni che difficilmente si tradurranno in modificazione dell’azione sociale.19 Purtroppo, lo spazio limitato a disposizione non ci consente di approfondire le questioni teoriche che indicano come negli interventi di carattere socio-sanitario sia fondamentale tener conto contemporaneamente degli aspetti quantitativi e qualitativi al fine di poter efficacemente modificare gli approcci e le azioni operative. Comunque, per chiarire meglio come impostare un processo di valutazione nell’ambito del lavoro di strada, evidenzieremo rapidamente le varie fasi operative. Innanzitutto occorre ricordare che la valutazione è un processo formale di raccolta e analisi dei dati relativi alle modalità di realizzazione e all’efficacia di un programma; i dati raccolti (caratteristiche dell’utenza, bisogni rilevati, 19 Un evidente esempio di questo approccio è contenuto nel volume: “Programma integrato di riduzione del danno nei tossicodipendenti a Roma”, a cura dell’Osservatorio Epidemiologico Regione Lazio (Progetto Salute n° 36, del marzo 1996), in cui non sono mai descritte le differenze di contesto e di approccio in cui si sono sviluppate le diverse iniziative; così come, per impatto dell’azione realizzata si intende esclusivamente il numero di strumenti di profilassi distribuiti o gli interventi di primo soccorso. 327 interventi effettuati, ecc.) attraverso opportuni strumenti, devono essere elaborati in modo sistemico. La necessità di valutare è determinata dall’ottenere informazioni confrontabili nel tempo all’interno del servizio e con altre attività simili; inoltre, l’analisi dei dati, condotta con sistematicità ed effettuata insieme agli operatori, migliora la qualità del lavoro e permette di rappresentare più efficacemente il lavoro svolto. Gli elementi che sono oggetto della valutazione sono, schematicamente, i seguenti: 1. il processo lavorativo, inteso come analisi delle risorse (le strutture a disposizione, il numero e il tempo di impiego degli operatori, ecc.), i servizi offerti all’utenza (tipologia e quantità), i servizi di supporto all’attività degli operatori (formazione, supervisione, tenuta dei registri sulle attività) e le attività di costruzione della rete sociale collaborativa; 2. efficacia dell’intervento, in cui vengono evidenziati i dati quantitativi e qualitativi prodotti dal lavoro di strada, pur sapendo che l’efficacia è difficilmente valutabile soprattutto quando riguarda iniziative di prevenzione; 3. efficienza dell’intervento, che ha lo scopo di valutare se c’è un rapporto ottimale tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti, con le avvertenze di cui sopra. Anche le tappe del processo di valutazione possono essere riportate per sommi capi: 1. descrivere con chiarezza qual è l’obiet328 tivo generale del progetto, cioè definire la “mission” dell’azione sociale che si vuole realizzare, evidenziandone quindi i valori e le finalità, al fine di individuare gli elementi valutativi dell’intero lavoro; 2. descrivere i campi di attività in cui è necessario agire per raggiungere l’obiettivo generale, cioè dividere in tappe, in sub obiettivi, le attività utili al raggiungimento delle finalità; 3. descrivere gli obiettivi particolari che è necessario realizzare per conseguire i risultati desiderati nei singoli campi di attività, procedendo, quindi, ad un’ulteriore scomposizione degli obiettivi intermedi e dei fattori di successo che riguardano ogni singolo campo di attività. Ovviamente queste indicazioni generali debbono esser fortemente contestualizzate al fine di disegnare il processo di valutazione specifico per l’azione sociale che si sta realizzando; purtroppo (o per fortuna), la mutevolezza del lavoro di strada non consente di utilizzare modelli operativi standardizzati per nessuna delle fasi organizzative finora descritte. E’ fondamentale, quindi, documentarsi costantemente sulle altre esperienze realizzate e far comprendere agli operatori che soltanto attraverso l’analisi, il confronto e la ridiscussione continua di ciò che si sta portando avanti sarà possibile adeguarsi a ciò che la strada chiede. - Un possibile schema operativo Con il seguente schema si vuole riepilogare quanto già detto in precedenza, al fine di facili329 tare l’azione di chi vuole organizzare ex novo una unità di strada nel settore della prostituzione partendo dall’idea di attivare un simile intervento fino alla valutazione dello stesso. Per facilitarne la comprensione e l’eventuale implementazione tale processo è stato diviso in fasi operative sintetiche che, ovviamente, possono essere modificate in base alle esigenze scaturenti dalla lettura “locale” del fenomeno; quindi, tale schema è da considerarsi assolutamente di massima. Fase 1: rilevazione del bisogno Gli indicatori che ci consentono di identificare le necessità di intervento in questo settore sono, in genere, due: l’allarme sociale, che si manifesta attraverso l’evidenziazione del fenomeno sui mass media e/o con denunce specifiche dei cittadini, e le richieste di aiuto da parte delle persone coinvolte direttamente senza il loro consenso. Una volta che si è deciso di avviare un intervento specifico occorre innanzitutto cercare di localizzare e quantificare il fenomeno attraverso una mappatura attiva; infatti, occorrerà attivare un azione di scouting territoriale per comprendere quali siano i luoghi in cui sono presenti le persone che si prostituiscono, la loro nazionalità e il numero presuntivo. Ciò, sarà fondamentale per realizzare la fase successiva. Fase 2: progettazione Una volta che si ha un quadro sufficientemente chiaro sulle caratteristiche territoriali del fenomeno si può ipotizzare il tipo di intervento da attuare; tale scelta è condizionata da molte330 plici fattori (caratteristiche di chi vuole realizzare il progetto, possibilità di finanziamento, ecc.), e si può collocare in uno spettro che va dall’assistenza sociale a quella medica; attualmente in Italia non esistono interventi che si caratterizzano esclusivamente verso un polo o l’altro, ma l’esplicitazione di caratteristiche limite può rendere più facile l’orientarsi verso un progetto “misto”, come quelli che sono stati generalmente attivati. Il primo polo d’azione ha l’obiettivo di migliorare le prospettive di vita della persona che si prostituisce attraverso l’allontanamento definitivo da tale mondo e l’inserimento in un nuovo e diverso contesto sociale; corollario indispensabile di questo tipo di azione è quello di disporre di luoghi protetti dove chi si vuole allontanare può nascondersi e dei necessari collegamenti sociali per facilitarne il ritorno al paese d’origine, in caso di prostitute/i straniere che lo vogliano, o l’inserimento nel contesto territoriale. La seconda tipologia di intervento ha come obiettivo quello di migliorare le condizioni di salute delle prostitute/i e di evitare la diffusione di malattie epidemiche; in questo caso nel momento del contatto si forniranno strumenti di profilassi (preservativi, disinfettanti, ecc.), procedendo eventualmente a visite mediche in loco (utilizzando camper appositamente attrezzati) o indirizzando e/o accompagnando le persone interessate a strutture adatte al loro caso. In base alla preponderanza progettuale di un approccio rispetto all’altro si determineranno tutte le azioni conseguenti, anche se non bisogna dimenticare che un progetto ben articolato avrà comunque i due poli di intervento compre331 senti concretamente. Occorre tuttavia precisare che tale compresenza deve essere “nascosta”, poiché mentre l’intervento di prevenzione sanitaria è solitamente accettato se non ben visto dai “protettori”, certamente non lo è l’intervento volto ad offrire a chi si prostituisce la possibilità di intraprendere percorsi di uscita. Questa seconda tipologia dell’azione va svolta quindi con molta discrezione e possibilmente prevedendo (in caso di necessità) l’intervento di una unità di appoggio non assimilabile (nella percezione dei “protettori”) all’unità di strada. Fase 3: alleanze territoriali (la rete) Questa fase è molto importante per la realizzazione concreta del progetto, in quanto è funzionale al raggiungimento degli obiettivi che ci si è prefissi; al di là delle diverse articolazioni delle attività che si vogliono realizzare esistono, comunque, 3 “agenzie” con cui confrontarsi comunque e stabilire eventualmente alleanze più o meno strette. La prima è rappresentata dalle Forze dell’Ordine, che hanno il compito di reprimere lo sfruttamento della prostituzione; è necessario collegarsi con loro prima dell’avvio di qualsiasi azione per evitare possibili fraintendimenti e per migliorare la mappatura già realizzata, in quanto istituzionalmente tali organismi raccolgono informazioni sul territorio. Tale collaborazione potrà articolarsi in diversi modi determinati dallo sviluppo del progetto, ma dovrà essere sempre funzionale al raggiungimento degli obiettivi che ci si è prefissati; è bene ricordare sempre che ci sono ruoli, responsabilità e gradi di coinvolgimento diversi. La seconda entità con cui ci si deve collegare 332 è quella rappresentata dalla rete territoriale di accoglienza, costituita da quelle organizzazioni che hanno come scopo quello di intervenire a favore degli emarginati; tali organismi, di tipo religioso e/o laico, possono favorire la realizzazione del progetto in diversi modi: fornendo i luoghi di accoglienza nascosti alle prostitute\i che si vogliono allontanare da tale esperienza; coinvolgendo i loro volontari nel potenziamento dell’intervento, oppure, raccogliendo contributi per portare avanti l’iniziativa. Anche in questo caso non ci si deve dimenticare degli obiettivi progettuali e di distinguere bene i ruoli. L’ultima ma non meno importante “agenzia” è quella costituita dai servizi socio-sanitari pubblici; anche in questo caso il loro contributo alla realizzazione del progetto può variare dalla fase di accoglienza (utilizzando strutture quali le ex IPAB), all’assistenza (corsie preferenziali per le pratiche burocratiche, interventi di tipo sanitario, ecc.). Spesso si dimentica quale potenzialità hanno tali servizi in quanto è molto difficile stabilire con loro un’alleanza funzionale, a causa dei tempi di assimilazione delle richieste e di quelli di risposta, che non tengono conto delle urgenze della persona. Comunque, qualora si stabilisca una reale collaborazione su obiettivi comuni ciò potrà rappresentare la migliore garanzia per la continuità del progetto. Fase 4: selezione dell’équipe E’ evidente che, seguendo il processo di implementazione dell’intervento descritto prima, le modalità di selezione dell’équipe dipendano in gran parte dagli obiettivi che si vogliono rag333 giungere; qualora si pensi ad un progetto più sbilanciato sul fronte dell’accoglienza sarà utile individuare persone che per esperienza e qualificazione possano facilitare la realizzazione delle attività; se, invece, si vuole accentuare il carattere medico-preventivo dell’azione si sceglieranno persone con altre peculiarità. Comunque, è fondamentale la chiarezza degli obiettivi iniziali che si vogliono raggiungere e la piena adesione di tutti i membri dell’équipe su questi; ciò non vuol dire che in corso d’opera non si possano modificare, ma è necessaria una base comune su cui costruire un intervento sociale ex novo. Pertanto, se ci troviamo di fronte un operatore che ha molta esperienza nel settore, o un’alta qualificazione professionale, ma non è d’accordo con gli obiettivi iniziali, manifestando ciò attraverso un dissenso palese e/o un dissenso operativo, non bisogna avere nessuna remora nell’allontanarlo. Magari sarà possibile un eventuale ri-coinvolgimento una volta che sarà cambiato il quadro della situazione. Fase 5: attivazione dell’intervento Per quanto riguarda tale fase, oltre a quanto già scritto in precedenza, occorre utilizzare i primi mesi di attivazione come laboratorio permanente, in quanto solo l’esperienza sul campo ci può confermare o meno le ipotesi progettuali; pertanto, si dovrà porre molta attenzione nel valutare le iniziative realizzate in questo periodo e cercare di comprenderne l’impatto sulla realtà della prostituzione. A questo proposito sarà molto utile lo scambio con le persone che si prostituiscono ed il confronto con altri che hanno già realizzato iniziative simili in altri territori. 334 In questa fase, inoltre, si procederà ad una eventuale ridefinizione degli obiettivi, degli strumenti e dell’équipe, evitando sia di considerare immodificabile il progetto iniziale, sia, di stravolgerne incongruamente il disegno complessivo, se non nel caso in cui si dimostri completamente fuori contesto. Le indicazioni che saremo in grado di recepire e rielaborare in questa fase saranno, quindi, fondamentali per garantire lo sviluppo dell’intervento che si vuole realizzare. Fase 6: valutazione in itinere ed ex post Come già detto la valutazione è un elemento indispensabile per ogni progetto che vuole incidere sui fenomeni sociali con l’obiettivo di modificarli, in quanto una corretta valutazione dell’intervento ci può dare la misura di quale impatto ha avuto la nostra azione nello specifico. Pertanto, occorre definire fin dalla fase progettuale come si vuole valutare l’azione che si realizzerà, al fine di elaborare appositi strumenti di rilevazione che ci consentano di definire la quantità e la qualità di ciò che sarà generato. Quindi, è necessario ribadire che la valutazione degli interventi sociali non ha come obiettivo quello di garantire la continuità del progetto, in quanto potrebbe favorire l’afflusso di nuovi contributi, ma serve ad adattare costantemente le azioni progettuali alla realtà sociale su cui si interviene; anzi, qualora sia considerata solo in un ottica di autoriproduzione dell’attività, lo schema valutativo così approntato sarebbe immediatamente identificato come scorretto e ne verrebbe svalutato tutto il lavoro realizzato. Altra funzione di un corretto processo valutativo è quello di combattere il burn out dei 335 membri dell’équipe, in quanto il loro coinvolgimento diretto in tale processo fa emergere precocemente le difficoltà individuali e/o i nodi organizzativi disfunzionali. Inoltre, lo stimolo a pensare su quello che si fa quotidianamente, base della valutazione, porta automaticamente a riflettere sul come lo si fa, favorendo l’astrazione dell’azione progettuale ed il suo collocamento in un quadro di riferimento più ampio; tutto ciò contribuisce al mantenimento della motivazione dell’operatore e lo stimola a studiare e non solo ad agire. * Antonio D’Alessandro, 36 anni, si occupa di problematiche sociali dal 1976, prima come volontario in un centro sociale del quartiere Tufello di Roma, poi come socio di Parsec - Ricerca ed interventi sociali - di cui è direttore dal 1994. In questi anni si è occupato soprattutto di tossicodipendenze, AIDS e minori, sia come responsabile dell’accoglienza, che in qualità di responsabile di progetto; inoltre, ha collaborato alla realizzazione e/o alla direzione di oltre 20 ricerche sociali. E’ stato membro del Direttivo Nazionale della LILA ed è segretario dell’area Centro-Ovest del CNCA dal 1995. Nel settore della prostituzione ha fatto parte del nucleo direttivo della ricerca realizzata dall’Università di Firenze e da Parsec su “La tratta delle donne e la prostituzione straniera in Italia”, svolta per conto dell’OIM e presentata alla Conferenza di Vienna dell’aprile 1996. 336 Figure professionali nel lavoro di strada Pia Covre* Premessa C hi dovrebbe essere impiegato per un lavoro di primo contatto con le persone che si prostituiscono in strada? Quali caratteristiche dovrebbero avere gli operatori di Unità di Strada? Cercherò di tracciare un profilo sulla base della esperienza acquisita nei progetti già sperimentati in Italia, ma anche traendo profitto dallo studio fatto in EUROPAP1 per tracciare delle linee generali. Va sottolineato che il background personale e professionale della persona che si dedica a questa attività può non essere rilevante. Vanno invece considerate alcune caratteristiche come: - Personalità - Attitudine - Genere - Capacità di comunicazione e di linguaggio - Motivazioni personali e lavoro di equipe. Personalità Non tutti possono fare lavoro di strada. “Temperamento di strada” è la somma di più 1 European intervention projects/AIDS prevention for prostitutes rete europea di progetti finanziati dalla Commissione Europea DGV 337 qualità che un operatore in strada deve possedere. Confidenza per interagire con persone normalmente sospettose nei confronti di qualsiasi “autorità”, il senso di quali azioni possano provocare reazioni negative-caotiche ecc. La capacita’ di percepire se c’è una situazione di pericolo e di mantenere la calma di fronte qualsiasi a momento di crisi, sensibilità all’umore e alle situazioni. Sapere quando è il momento di approfondire o quando chiudere un argomento, l’abilità di parlare e capire il linguaggio dell’interlocutore. Una persona può essere abile in una situazione di counselling, o essere un ricercatore esperto, non significa che questa stessa persona può con successo fare lavoro di strada. A volte persone impiegate con professionalità e ruoli diversi vengono mandate in strada a contattare prostitute, se la persona apprezza il lavoro di strada bene, ma se la persona è preoccupata e/o timorosa, non sarà in grado di lavorare efficacemente. Un operatore al quale non piace il lavoro di strada può essere riluttante ad avvicinare le prostitute, può essere frettoloso, può comunicare ansietà alle persone a cui parla, può sembrare indifferente o addirittura scortese. Può succedere quindi che le uscite vengano accorciate o annullate con ragioni apparentemente valide, e l’origine vera del problema si perderà in una marea di pretesti. Attitudine Politica e religione non hanno posto nella salute sessuale e nella prevenzione all’AIDS e altri bisogni di servizi che le prostitute hanno. Questo non significa che un operatore non 338 abbia le proprie convinzioni politiche o religiose, ma vi è il rischio che queste attitudini da parte degli operatori prima o poi emergano. Coloro che credono che il lavoro sessuale sia inevitabilmente degradante o peccaminoso è probabile comunichino il loro atteggiamento alle persone a cui si rivolgono, e possono respingere più persone di quante ne aiutino. Ad ogni modo la maggior parte delle persone concorda che la lettura della “dannazione eterna” è inadeguata per questo tipo di lavoro, ma sussistono altre cose che sono viste alla stessa luce, per esempio, la scelta di una donna per un certo boy-friend. E` importante non colludere con l’accettazione di qualsiasi forma di sfruttamento e violenza, ma l’operatore deve saper accettare la vita della prostituta cosi come è. Accettazione e pazienza sono indispensabili per un operatore che lavora in strada con le prostitute. Bisogna tenere testa a momenti di indifferenza, ostilità, abitudini autodistruttive, e offrire l’identico trattamento ai “casi” difficili come a quelli amichevoli: entusiastico e accogliente. Genere Un operatore maschio può avere più difficoltà di una operatrice nell’approccio con una prostituta. Anche quando un operatore presenta il proprio ruolo e la propria identità professionale con molta chiarezza, una prostituta potrà sempre nutrire sospetto sulle sue intenzioni. Col tempo una relazione di fiducia e confidenza potrà essere stabilita con una prostituta che avrà avuto l’opportunità di accertare le vere 339 motivazioni dell’operatore, ma bisognerà avere molta cautela al primo e ai nuovi contatti. Ad una prostituta che sia stata sfruttata da un uomo gioverà relazionarsi con un uomo che non sia sfruttatore. Un operatore maschio potrà lavorare bene con colleghe femmine, ma si deve fare attenzione a quelle situazioni in cui un operatore maschio può creare imbarazzo e diffidenza. Capacità di comunicazione e linguaggio Poiché le prostitute sono individui diversi fra loro bisognerà di volta in volta adeguarsi. Cercare il linguaggio più adatto, avere la sensibilità per distinguere le diverse situazioni. E’ importante essere capaci di spiegare con parole semplici le questioni mediche. Quando le prostitute sono di cultura etnica e di lingua differente dalla nostra è importante che gli operatori siano in grado di comunicare e servono persone speciali, mediatrici/ori culturali che parlino la stessa lingua e che sappiano instaurare con loro una corrente di simpatia. Motivazione e lavoro di equipe Un operatore deve essere convinto della utilità del proprio lavoro, e soprattutto di farlo bene. E’ responsabilità del coordinatore e degli altri membri del gruppo dare supporto e motivare il lavoro di ognuno. Alcune persone quando lavorano sole lo fanno in modo eccellente, ma come membri di una équipe sono assolutamente inadatti. La collaborazione fra gli appartenenti al gruppo di UdS è fondamentale. Ci deve essere scambio delle informazioni 340 raccolte sul campo riguardanti gli avvenimenti e le persone che si incontrano, oltre a garantire un più efficiente modo di lavorare, ciò garantisce maggiore sicurezza per gli operatori. Programmazione, coordinamento, orari e la capacità di definire le priorità sono tutti aspetti importanti. Poiché spesso le prostitute si presentano con bisogni urgenti che sembrano non rinviabili si può essere sempre in una situazione di emergenza. Un operatore inesperto può pensare che è più importante aiutare a risolvere i problemi immediati che mantenere i piani di lavoro concordati precedentemente con altri membri della équipe. L’operatore deve aiutare la équipe a mantenere un costante livello di servizio per tutte le utenti che possono avere bisogno. Gli operatori di una équipe devono riservarsi il tempo e lo spazio per riunirsi come équipe, e non solo perché è indispensabile per il progetto, per programmare, confrontarsi e discutere i problemi, ma anche per migliorare la relazione tra loro e darsi supporto psicologico. Il lavoro degli operatori di strada si svolge in una situazione stressante che raramente si incontra in altri lavori. Lavorare nel campo della prostituzione significa lavorare sulla salute sessuale e sull’HIV, ciò copre gli aspetti più intimi della vita umana. Dalla gravidanza alla maternità, l’adolescenza, le abitudini sessuali, le relazioni familiari, fino alla malattia terminale e la morte. Nei progetti di riduzione del danno per le prostitute questi aspetti si presentano spesso esasperati da situazioni di pericolo o di stress e 341 dall’aspetto in alcuni casi alienante della prostituzione. Inoltre gli operatori di strada lavorano in situazioni che possono essere insicure, senza controllo e senza copertura istituzionale. Lavorano in strada di notte in situazioni che non possono essere prevedibili. Bisogna riconoscere e anticipare i differenti bisogni di supporto degli operatori e della équipe. Provvedere affinché la équipe e le persone stiano bene aiuta a dare un miglior servizio, può accrescere la capacità e la iniziativa degli operatori e prevenire lo stress e i disturbi ad esso relativi. La responsabilità di provvedere supervisione e supporto spetta al coordinatore del progetto là dove vi è una struttura gerarchica, mentre se c’è una gestione più democratica la stessa équipe deve riconoscere i bisogni al suo interno. Mediatrici/ori culturali Trattandosi di interventi in strada i contatti sono prevalentemente con donne straniere pertanto sarà indispensabile l’utilizzo della mediazione culturale . La metodologia di lavoro implementata dal progetto TAMPEP 2 ha evidenziato come la mediazione culturale sia indispensabile e le mediatrici culturali importantissime. Poiché ancora non esistono nel nostro paese 2 TAMPEP Transnational AIDS/STD prevention among migrant prostitutes in Europe project, progetto finanziato insieme a EUROPAP dalla Commissione Europea DG V nel programma Europa contro l’AIDS 342 molte persone che possiedono questa qualifica o che hanno frequentato i pochi corsi disponibili per formarsi a questa attività, spesso è necessario formare come mediatore persone che sono nuove sia al lavoro di mediazione che al contatto con le prostitute. In questa situazione avere una prostituta o ex prostituta da poter usare come mediatrice e educatrice pari è quasi sempre la cosa migliore. L’impatto positivo che può avere con le colleghe e connazionali non ha eguali. Ma attenzione: l’atteggiamento che la pari tiene con le colleghe è importantissimo poiché potrebbe in caso di errori divenire una squalifica totale. Operatori pari Includere persone che hanno, o hanno avuto in passato, esperienza personale di lavoro come prostitute, specialmente se sono conosciute dal target, dà immediatamente credibilità all’intervento e potenzia le dinamiche di relazione. Ma, nell’includere prostitute attive o ex nel gruppo degli operatori, va fatta attenzione ad alcuni aspetti che potrebbero creare complicazioni. Per esempio la collaboratrice potrebbe essere giudicata con invidia dalle colleghe con conseguenze negative per il lavoro del progetto e per la sua personale posizione in strada. Oppure se la collaboratrice ha una relazione di potere e di guadagno sopra le sue colleghe (a volte le prime ad essere intraprendenti sono proprio le donne coinvolte con lo sfruttamento) che conseguenza potrebbe avere sulla immagine e sugli 343 effetti del progetto per le altre prostitute? Le scelte devono essere accurate e ben chiari gli accordi, naturalmente le prostitute devono essere pagate al pari degli altri operatori coinvolti. A volte le prostitute hanno qualifiche professionali idonee altre volte è solo la loro speciale esperienza e la personale capacità di essere adatte al lavoro di strada a renderle buone operatrici, in ogni caso va trovata all’interno del progetto una soluzione per riconoscere ufficialmente il loro ruolo e l’adeguato compenso. Gli operatori non pari devono saper dare supporto e integrare le operatrici pari, essere l’unica persona con un background differente e senza eventuali conoscenze scientifiche ortodosse può isolare dal gruppo e rendere l’esperienza negativa e autosqualificante. Lavorare con orari e giorni prestabiliti, sapersi organizzare attorno ad un piano di lavoro, per chi non vi è abituato è una disciplina che richiede tempo di apprendimento e aiuto dai collaboratori. I colleghi devono essere molto chiari sui compiti e su cosa ci si aspetta in termini di attività, lavoro di registrazione e comportamento. Un più specifico supporto potrebbe servire per aiutare la collaboratrice ad affrontare questo ruolo di persona a cui altre sottopongono dei problemi e dei bisogni (e ci si aspetta che lei valuti con obiettività questioni che prima per lei erano personali o private), trovandosi “stretta” fra il mondo della prostituzione e il mondo regolare. 344 Formazione Quale formazione speciale debbono avere gli operatori che escono in strada? Proprio perché il background formativo di un operatore può essere di vario tipo è necessario che esso abbia almeno una breve informazione sui temi riguardanti la prostituzione e una più accurata formazione per sviluppare un efficace lavoro di prevenzione sulla salute e sulla sicurezza nel lavoro. Gli argomenti principali da affrontare saranno quindi gli aspetti della legislazione sulla prostituzione e aspetti sociali del fenomeno anche in relazione alla condizione di immigrata, legislazione sulla immigrazione e effetti delle leggi sull’accesso ai servizi sociosanitari, le abitudini sessuali dei clienti in relazione al lavoro delle prostitute per ridurre i rischi nel campo della salute e della sicurezza fisica, tecniche di comunicazione e capacità di counselling. Inoltre il confronto con altri operatori di progetti già avviati e la visita a questi progetti può essere utile. Naturalmente fino a qui abbiamo considerato quali interlocutori dell’operatore di strada il target e i colleghi di équipe. Ma un operatore potrebbe trovarsi a interagire con soggetti diversi come ad esempio i responsabili di servizi sociosanitari o di polizia. Spesso queste relazioni possono essere di gran lunga più difficili di quelle con il milieu della prostituzione, in quanto si tratta di persone appartenenti a organismi molto strutturati, generalmente poco flessibili. Alcuni operatori possono avere talento anche in questo campo, ma forse è opportuno che sia 345 il responsabile del progetto ad assumersi il carico di trattative che non sempre sono facili e potrebbero aggiungere preoccupazioni e stress. * Pia Covre è fondatrice del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, coordinatrice dei Progetti europei EUROPAP e TAMPEP per l’Italia. Dalla esperienza personale di lavoro nella prostituzione ha elaborato le conoscenze necessarie per un lavoro politico e scientifico sulla questione prostituzione, collabora con svariati Enti per lo sviluppo di progetti e di metodi di intervento nella prostituzione. 346 Percorsi di uscita e accompagnamento verso l’autonomia Stefania Scodanibbio* e Maria Rosario Bolanos (Suor Charo)** I l percorso di uscita dalla strada, che può essere intrapreso da una prostituta, è un percorso difficile, costellato da molteplici varianti nella interazione tra il soggetto e gli attori che possono accompagnare tale processo. Un processo che parte dalle dinamiche della strada per arrivare ad una ritrovata identità ed autonomia della ragazza, passando attraverso diversificate forme di accoglienza e varie misure di accompagnamento. Di seguito questo articolato processo verrà sinteticamente denominato “presa in carico”, sottintendendo che la definizione implica il ruolo attivo dell’ “utenza” ed il processo di interazione cui si faceva riferimento. La presa in carico può sia indicare la fase del primo immediato incontro, dove si studia il problema, nell’ambito di dinamiche di chiarificazione (primo livello), sia la fase operativa a medio e lungo periodo (consulenze sociali di secondo livello, inserimento in strutture residenziali, consulenze socio-sanitarie, legali, attuazione di psicoterapie, orientamento per il reinserimento lavorativo). Del primo livello si è parlato nei due precedenti capitoli, in questo tratteremo del secondo livello, e della sfida dell’accoglienza globale. La presa in carico, che, per motivi didattici, presentiamo suddivisa in tre fasi, è in realtà, un continuum di interventi che non ha tempi o 347 modelli prestabiliti e strutturati, ma che si compongono e si costruiscono in forma interattiva e sovrapposta. Non esiste un modello strutturato e sperimentato in accoglienza, pertanto l’intervento si modula e si struttura in modo flessibile tenendo conto degli attori, delle storie di ognuno e del contesto. Parlare di accoglienza in un contesto emarginante come lo è il fenomeno della prostituzione femminile, forse è osare troppo, ma ancora di più lo è nell’ambito della prostituzione di strada di donne immigrate. Le donne che incontriamo troppo spesso non praticano la prostituzione come scelta autonoma, ma prevalentemente la subiscono come condizione, determinata quasi sempre da ragioni di grave disagio economico. Un segmento quello della prostituzione di strada, socialmente più debole, segnato da profili di marginalità e che presenta problematiche ampie a più livelli (per esempio sicurezza, ordine pubblico, salute...) e su cui si è riversata “l’ossessione disciplinare” che produce una “rappresentazione sociale della prostituzione, fortemente qualificata da attributi di marginalità e negatività che nel contempo ha determinato l’effetto di occultare tutte le forme della prostituzione che a questo modello non rispondono”1. In questa ottica l’accoglienza diventa sfida e strumento alternativo di cambiamento. Chi e’ l’utenza? Sono donne immigrate, per lo più albanesi, 1 M. Pavarini, atti del Convegno, “Oltre la strada”, Modena 2.12.96 348 nigeriane o ragazze dell’est, alla ricerca di un futuro migliore da offrire a sé e alle proprie famiglie e che fanno invece esperienza della mistificazione. Le donne (vittime della tratta) arrivano generalmente al seguito di un sedicente fidanzato, di un amico, di un parente (nel caso di ragazze albanesi), o attraverso un vero e proprio contratto (nel caso di ragazze nigeriane o dell’est). Questi accompagnatori, sostenendo un illusorio desiderio di riscatto, si propongono inizialmente come i curatori della sicurezza, garantendo alla donna protezione, tutela dalla sofferenza e stabilità nell’insediamento, per poi rivelarsi invece attori dello sfruttamento. Tuttavia, il passaggio da curatori ad attori di violenza avviene in un contesto di mistificazione semantica che oscura la presenza di violenza e che rende difficile, se non impossibile, riconoscerne il cambiamento. Ciascuna donna con la sua storia, sperimenta un contesto in cui la mistificazione e la distruzione dei messaggi e dei significati, la costringe ad un doppio legame2 in cui non c’è via d’uscita. 2 “Il concetto di doppio legame si riferisce ad un modello di coppie, o, insieme di messaggi a diversi livelli, strettamente connessi, ma sottilmente incongruenti che si verificano insieme ad altri messaggi che, attraverso dissimulazioni, negazioni o altri mezzi, impediscono a chi li riceve di notarne l’incongruenza e di affrontarla in modo efficace, per esempio commentandola (...), all’interno di una relazione importante, dove i messaggi non possono essere semplicemente ignorati o evitati, la combinazione di tale comunicazione e delle abitudini di chi le riceve a partecipare alla relazione stessa accettandone l’incongruenza senza porre problemi, può dare origine ad un comportamento schizofrenico.”(...) da D. Jackson e J. H. Weakland, 349 Ogni individuo si muove nel mondo con un contratto sociale implicito in relazione agli altri esseri umani che garantisce sicurezza, alterità, riconoscimento e condivisione. In questo contratto ogni abuso o violenza o contravvenzione al contratto stesso è un tradimento di questa aspettativa. Ci aspettiamo che il mondo sociale o naturale sia prevedibile e comprensibile e che quindi l’imprevisto abbia un ruolo minore; tuttavia le cose accadono a prescindere da un certo ordine (per es. una sparatoria in piazza, l’abuso sessuale su un minore, un terremoto, la tortura per estorcere una confessione...); in sintesi ci troviamo di fronte a due variabili: una, la conseguenza della minaccia sull’integrità psicofisica della persona, cioè il rischio potenziale percepito dal sé, l’altra, la natura ripetitiva o isolata nel tempo della presenza di violenza. L’intersezione di queste due variabili dà origine ad un campo comunemente detto “ circonflesso” (Sluski,1996), che consente di evidenziare alcune dinamiche già da noi riscontrate nelle donne in accoglienza. (Schema 1). Livello basso di minaccia dissociazione cognitiva socializzazione attacco-fuga ristrutturazione cognitiva inondazione sottomissione (anestesia psichica Sindrome di Stoccolma) dissociazione insolito ripetitivo Livello massimo di minaccia Terapia della famiglia congiunta: alcune considerazioni su teoria, tecniche e risultati, in Fondamenti della famiglia, a cura di J. Haley, Feltrinelli Milano 1980. 350 Il primo quadrante riguarda l’esperienza quotidiana, in cui verifichiamo lo scarto tra la naturale causalità degli eventi, che crea una serie di azioni sequenziali prevedibili (Stimolo Risposta), e l’introduzione di una variabile che, interrompendo la sequenza, crea un contrasto tra la percezione dell’evento stesso e le mappe cognitive individuali (strutturate per economizzare il pensiero), che non prevedono l’assimilazione dello stimolo discrepante e quindi non riconoscibile. Questa discrepanza detta “dissonanza cognitiva” (L. Festinger, 1978) determina una reazione psicofisiologica di allerta, che si traduce in un comportamento di attacco fuga tendente o a diminuire la dissonanza e, quindi, verificare se è possibile assimilare lo stimolo, o a produrre un comportamento di uscita dalla situazione discrepante. Per es. cammino di notte per strada, sento dei passi dietro di me... cosa posso fare? scappo? affronto il pericolo?... è’ un pericolo? Là dove la reazione di attacco o fuga è impedita (per es. violenza sessuale, tortura...) si crea una drammatica situazione in cui la persona non ha alternative per uscire dalla condizione di pericolo. Lo stile di adattamento interpersonale si blocca, si arriva ad uno stato alterato di coscienza quando la violenza è massima ed imprevedibile. Si attiva una scissione tra il sé ed il corpo, si perdono le connotazioni spazio-temporali, si può strutturare una sindrome più persistente come l’iper-vigilanza, l’iper-allerta, la distanza emozionale, incubi, apatia, irritabilità fino alla depersonalizzazione cronica, cioè una situazione persistente di estraneità al corpo. (Personalità multipla che ritroviamo in terapia, soprattutto di donne vittime di violenza sessuale.) 351 E’ cioè l’esperienza imprevedibile: es. parto dal mio paese per sposarmi, lavorare... mi ritrovo sulla strada, oppure so che farò la prostituta, ma a condizioni completamente diverse da quelle previste dal contratto (senza possibilità di gestione del denaro, del tempo, di relazioni, del numero di clienti...). Per poter strutturare un self efficiente, l’essere umano ha bisogno di costruire una sequenza causale e prevedibile della realtà (mappe cognitive), dove possa persistere un margine di casualità, che sia però tollerabile. Quando si supera il confine della prevedibilità, diventa impossibile anche solo immaginare la reazione all’evento e quindi organizzare la propria storia (per es. è impossibile immaginare il terrore di una violenza sessuale o prevedere l’esperienza della tortura...). Il fatto poi che il protettore appartenga quasi sempre allo stesso gruppo di provenienza della vittima produce un’ulteriore complessizzazione dell’esperienza con un conseguente effetto più stabile che se fosse un estraneo. A volte la vittima è portata a pensare, pur di ottenere un qualche tipo di controllo sulla situazione, che è responsabile del proprio stato, per es. non ha fatto o detto qualcosa per impedire la situazione. L’effetto è simile a un tentativo di ottenere un controllo (e delle responsabilità) su quanto sta accadendo. Questo tipo di “variante narrativa” è a volte indotta dal carnefice stesso che organizza le sue strategie per colpevolizzare la vittima per la violenza subita (“ti è piaciuto eh...” per indurre vergogna o paura, “se mi denunci succederà qualche cosa alla tua famiglia”... o... “io ti ritroverò...”). Quando invece il livello di minaccia è basso, 352 ma c’è una reiterata esposizione a questa violenza, la vittima tende a produrre una distorsione cognitiva con funzione adattativa: c’è una progressiva ristrutturazione della situazione, cioè un’adesione totalmente acritica ai valori del vittimario. La donna vive una sorta di restrizione concettuale e percettiva attraverso la selezione di alcuni stimoli e la negazione di altri. Si sospende ogni abilità critica, punti di vista alternativi non vengono considerati cioè si ha una vera e propria deformazione del pensiero definita “brain-washing” (lavaggio del cervello). Distorcere l’imput sensoriale (lo faccio perché ci mancano i soldi per sposarci) è preferibile al rischio di subire le conseguenze di un pensiero inaccettabile e frustrante (lui mi reifica, mi sfrutta); è un autoinganno, una inconsapevole distorsione della realtà che comunque consente di non intaccare il livello di autostima. E’ una sorta di “razionalizzazione”, un meccanismo difensivo per cui l’individuo tende a dare una giustificazione pseudo-razionale a una realtà frustrante. La continuità e la ripetitività nel tempo e l’aumento dell’intensità dell’esperienza di violenza (per es. donne più volte vendute a diversi protettori...) induce nella vittima una sorta di “anestesia psichica”, cioè la dissoluzione delle proprie emozioni, un distacco dalla realtà, apatia ed una totale sottomissione al protettore. L’esperienza di vita appare senza passato, né futuro; la sottomissione induce una identificazione con l’aggressore, finalizzata alla sopravvivenza, che la porta a giustificare ciò che fa l’aggressore. Questa forma di sottomissione psichica è nota come “Sindrome di Stoccolma”3. 3 Fenomeno di dipendenza affettiva che si crea in una situazione di forte stress emotivo tra vittima e 353 Il fenomeno più grave che può comunque presentarsi in soggetti esposti per lungo tempo ad un livello molto alto di violenza è quello della dissociazione. Meccanismo regressivo per cui ci sono parti del self che rimangono inaccessibili all’esperienza della paura e della violenza, con la funzione di mantenere un certo livello di autostima e di identità. Il rischio è che si strutturi una sindrome dissociativa persistente se non vengono recuperate subito, attraverso un rinforzo, le funzioni dell’Io (principio di realtà). L’accoglienza L’esperienza della prostituzione forzata cambia il proprio vissuto e modifica la propria esperienza del sé contestualizzata. Si è diversi da come ci si conosceva. Si perde l’identità di cittadino con diritti per entrare nel mondo degli emarginati, senza documenti, senza riconoscimento sociale, si vive di notte, senza nome, senza relazioni, senza “appartenenza” in un gioco di incontri e contatti in cui tutto è finzione. Alla “strada”, indefinito scenario pubblico, oppressori. Questa definizione nasce da un episodio che suscitò un forte interesse tra gli psicologi di tutto il mondo: una banda di rapinatori in una banca, presero in ostaggi alcuni clienti per dieci giorni. La relazione tra i malviventi e gli ostaggi nei giorni successivi divennne così intima e profonda che quando i rapinatori furono arrestati, le “vittime” non mossero un dito per aiutare la polizia. In seguito addirittura una delle vittime sposò un rapinatore. 354 luogo di incontro e di scambio dai confini indefinibili, mutanti e fluttuanti, si oppone l’accoglienza, luogo di incontro stabile, sistematico e costante in uno spazio definito, che permette di individuare l’esistenza di un luogo mentale in cui poter collocare il vissuto degli eventi quotidiani (tra passato, presente e futuro), uno spazio molto privato, dove le donne possano sentirsi al sicuro, riposarsi e ritrovare se stesse. E’ un “luogo relazionale” che viene a caricarsi di gesti che, sebbene oggettivi e poco significativi per gli altri, perché quotidiani, per chi ci si muove dentro, operatore e utente, assume il valore di significante. Dice Winnicott (1971) che la psicoterapia ha luogo nella sovrapposizione di due aree di gioco “quella del paziente e quella del terapeuta”, quando ciò non è possibile, il lavoro terapeutico consiste nel portare il paziente da uno stato in cui “non è capace” ad uno in cui “è capace”. L’accoglienza, cioè la presa in carico globale della persona ha questo significato: accettare la sfida di produrre dall’impotenza competenza emotiva, cognitiva, affettiva, sociale. Consentire cioè l’accesso al simbolico, così da permettere la ri-narrazione della propria storia, deattivando le costruzioni colpevolizzanti, attraverso una stabilità di rapporto, di spazio e di tempo, che perda tuttavia la stretta accezione “terapeutica” per diventare condivisione di un percorso. L’accoglienza diventa pertanto lo spazio “transizionale” avente le caratteristiche che Winnicott (1953) ha descritto riferendosi all’area intermedia d’incontro tra madre e bambino, “l’area dell’illusione”, cioè tra il soggettivo e l’oggettivo, che consente quindi il passaggio verso 355 una “vera relazione oggettuale”4, ossia la capacità di percepire e relazionarsi ad una realtà oggettuale fuori del sé. E’ anche lo spazio di riconoscimento del bisogno di mentalizzare le distorsioni cognitive, di ricostruzione delle narrazioni (o mappe cognitive), e cioè storie alternative degli eventi in grado di liberare la vittima dagli effetti distruttivi della semantizzazione mistificante (per es. l’ignominia, il tasso di degradazione che il vittimario utilizza strategicamente per colpevolizzare la vittima...) In questa fase l’obiettivo primario è quello di garantire, alla donna in accoglienza, i bisogni vitali della sopravvivenza e della sicurezza e, quindi, di appartenenza al consesso sociale, facilitando l’apprendimento di semplici regole essenziali per il vivere quotidiano (per es. un orario che scandisca la giornata, la pulizia personale e dello spazio abitativo) favorendo il riconoscimento di una personalità giuridica, che la renda passibile di diritti e doveri, favorendo l’accesso ai servizi socio-sanitari, l’accesso al lavoro, alla stabilità. Occorre, a questo proposito, contenere le ansie e lo scoraggiamento di questi momenti, rendendo questa fase un momento pedagogico ed educativo, insegnando il rispetto delle norme e l’impossibilità di ottenere tutto e subito (principio di realtà). Ciò significa far emergere la richiesta di cambiamento: cioè defamiliarizzare la vittima con la violenza subita, generare una dissonanza rispetto al vissuto metacomunicando, cioè esplicitan4 J. Laplanche ,J. B. Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Editori La Terza 1990, pag. 370 356 do le restrizioni e le presupposizioni, generando dissintonia dove c’è sintonia. Significa co-costruire, operatori e utenti insieme, narrazioni diverse, storie alternative, non solo favorendo il recupero delle proprie potenzialità e distanze emotive, in una sintesi superiore, ma riattivando ciò che si era perso, cioè il modello attacco fuga, quindi la capacità discriminante della scelta che era andata perduta nella lettura lineare, unidirezionale e mistificante imposta dal vittimario. L’accoglienza è la fase in cui si strutturano le relazioni significative, si imbastiscono i codici comunicativi comuni, in cui la tensione è alta e i due attori, operatore ed utente, debbono conoscere e farsi conoscere dall’altro. E’ la fase delle sfide, delle seduzioni, dei tentativi di alleanza con cui la persona mette alla prova i suoi interlocutori nel tentativo di controllare l’ansia per la nuova situazione e per capire se può o meno fidarsi. E’ anche la fase in cui la persona risponde alle presunte aspettative dell’operatore, nel tentativo di farsi accettare o creare alleanze “privilegiate”. Tentativi che l’operatore deve essere in grado di prevedere, cogliere e neutralizzare perché si strutturi un clima relazionale ed operativo sereno e fiducioso. Sulla base della nostra esperienza, riteniamo che oggi non sia possibile adottare quelle forme di accoglienza di un tempo, in cui un numero elevato di donne veniva confinato all’interno di una struttura creata appositamente per aiutarle. Seppure a nostro avviso è necessario, almeno in una prima fase, un confronto con altre vittime per favorire una migliore organizzazione del sistema di validazione dell’esperienza (una 357 prima fase di accoglienza prevede infatti la convivenza di tre quattro persone dello stesso ceppo culturale per un breve periodo), è bene tuttavia evitare risposte istituzionalizzate per diversi motivi per es. sicurezza, difficoltà dell’intervento individualizzato, rischio di isolamento e ghettizzazione sociale, problemi di intolleranza del vicinato, ecc. Per tanto è opportuno differenziare, a seconda delle caratteristiche delle donne stesse (età, presenza o meno di figli, maggiore o minore grado di autonomia...), l’accoglienza. In questo senso è bene utilizzare strutture diversificate: case di prima accoglienza (con la presenza sistematica di operatrici), o famiglie affidatarie, in cui inserire soprattutto adolescenti, o strutture adeguate per donne in gravidanza, o ancora, alcune case di fuga che garantiscano una protezione in una prima fase di uscita dalla strada, nel caso in cui la persona ha bisogno di “sparire” perché magari ha denunciato qualche membro dell’organizzazione. In questo caso la presenza di un operatrice deve essere garantita per le ventiquattro ore. L’accoglienza deve essere temporanea e finalizzata al pieno raggiungimento dell’autonomia, e dovrebbe coinvolgere le strutture di accoglienza esistenti sul territorio, non solo locali, ma anche nazionali. Dare la possibilità di accesso ai network favorisce il cambiamento e la soluzione di problemi; occorre creare infine reti significative perché l’Accoglienza, benché autonoma, è un punto sensore collegato ad un sistema di sintonie. 358 L’orientamento L’orientamento è la fase di confronto finalizzata alla ricerca di risposte per il futuro, e si intreccia in modo complementare all’accoglienza. E’ la fase della co-costruzione di ipotesi che operatore e utente fanno rispetto alla storia e alle risorse personali e ambientali individuate. La proposta si articola sulla base degli elementi raccolti e sulla selezione di linee operative che siano significative ed adeguate per quella persona specifica; è tuttavia una ricerca basata su tentativi ed errori. In questa fase il rischio è di orientarsi su due estremi: - impostazione di un progetto che la persona non è in grado di gestire perché troppo ambizioso. Si rischia di farle sperimentare un fallimento o perché il livello di aspirazione è troppo alto, cioè non basato sul realismo e sulla storicità, o per un eccessivo investimento dell’operatore sulla persona stessa, - la soluzione minimalista, dettata da una sottovalutazione delle competenze della persona in carico, che determina una demotivazione e quindi una risposta frustrante perché poco stimolante ed identificatoria verso un livello troppo basso. L’orientamento riguarda le più ampie problematiche, dai servizi legali (per esempio immigrazione, regolarizzazione del soggiorno...), a quelli sanitari (visite mediche specialistiche, libretto sanitario...), a quelli relazionali (sostegno psicologico, socializzazione...), alla formazione culturale e professionale fino all’occupazione e quindi all’inserimento sociale. 359 “(...) L’emarginazione è una particolare situazione di gruppi o persone a cui viene riconosciuto formalmente il diritto di accesso a garanzie e risorse ma che in realtà non usufruiscono di niente (...)”5. Lavorando con persone emarginate, dunque, nella fase di orientamento, occorre prevedere un meticoloso lavoro di individuazione ed indicazione dei singoli passaggi tenendo conto del contesto in cui ci muoviamo. E’ un momento che si può rivelare non facile. Il rischio è che la persona voglia “tutto e subito”, e quando questo non è attuabile, si entri nel circuito della vittimizzazione (per esempio nessuno mi aiuta, tutti ce l’hanno con me). Occorre costruire un’ipotesi di percorso tenendo conto delle attitudini, delle abilità, dei bisogni della persona, del suo back-ground culturale ed etnico, valutandone le diverse modalità di adesione alla proposta . A questo punto le variabili si complessizzano: - La persona rifiuta e non vuole altri confronti; è importante rispettare la libertà di pensiero e i tempi individuali. In questa fase l’operatore può solo aspettare senza forzare la persona a prendere decisioni (che sarebbero dettate dall’ansia di definire una situazione), ma garantire comunque una disponibilità a mantenere una relazione di aiuto. - La persona accetta ma è critica su alcuni punti: quando c’è un tentennamento è bene chiarire e definire gli aspetti non delineati accogliendo le perplessità della persona attraverso una mediazione. 5 Alicia H. Puleo, La Mujer maginada, cuestion de genèro no de sexo, Editorial Cavarrubies, Madrid 1996. 360 - La persona accetta ma non attua la proposta: occorre indagare sulle motivazioni e valutare se questa risposta è o meno adeguata alla persona in questione e valutare anche se la non attuazione è determinata dalla mancanza di sufficiente autostima o, invece, se la persona aderisce solo formalmente per non deludere l’operatore senza peraltro essere interessato alla proposta stessa. - La persona accetta ma salta alcune fasi o le applica in modo inadeguato: è possibile che la proposta non sia stata chiara, occorre quindi tornare a specificare nell’interezza la proposta e cercare di cogliere quali sono le difficoltà della persona. - La persona accetta e attua la proposta: a questo punto è importante accompagnare e valutare il percorso. La fase di orientamento, una volta individuata la domanda e le problematiche ad essa connesse, prevede un lavoro capillare di bottom-up (rete). L’ inserimento lavorativo Il lavoro in situazioni definite “di devianza” con “soggetti a rischio”, ha sempre rappresentato una risorsa volta a produrre cambiamenti, in quanto è opinione comune che il lavoro sia una attività che consente il riscatto sociale dell’individuo e che può favorire il suo reinserimento sociale. Nel contesto della presa in carico della donna prostituita il lavoro non ha solo la funzione “ergoterapica”, cioè con valore essenzialmente interno al percorso terapeutico come per esem361 pio nelle comunità terapeutiche, o per ex detenuti ecc., in cui attraverso il lavoro “(...) si entra più frequentemente in contatto con altri utenti e con i responsabili, e serve a questi ultimi per valutare l’impegno e il rispetto delle regole interne da parte della persona (...)”6 ma ha valore di emancipazione e riscatto ed in quanto tale è una fase delicata e difficile. “(...) Proprio la fase in cui sono necessari supporti rassicuranti per chi vive questo impatto nel quale solitamente ha investito molto, è purtroppo anche la fase nella quale la collettività, il gruppo sociale sembra chiedere a sua volta rassicurazioni e garanzie (...)”.7 Tenendo conto che il target di cui ci occupiamo è fortemente caratterizzato dalla presenza di donne per lo più albanesi e nigeriane, quindi immigrate provenienti dalla fascia svantaggiata, il cosiddetto terzo mondo, e tenendo conto che è un mondo tutto al femminile, questo pone una serie di problemi con cui ci dobbiamo confrontare: la disoccupazione giovanile, ed in particolare femminile. Se questo fenomeno da un lato fa diminuire la possibilità di una giovane donna immigrata di trovare lavoro, dall’altro implica una valutazione attenta dei progetti finalizzati all’inserimento lavorativo di queste persone che non devono essere né privilegiate né concorrenti rispetto alle altre donne disoccupate. La gestione di borse lavoro, stage aziendali, 6 F. Carchedi, A. D’Alessandro, L. Innocenti, A. Picciolini - Tossicodipendenza e lavoro : Un problema aperto. Quaderni della fondazione Villa Maraini n.7, 1993; pag. 16. 7 M. Timi, in Lavoro società, anno 5°, n°7/8, luglioagosto 1990; pag. 72. 362 inserimenti lavorativi sono percorsi iniziali fondamentali per permettere alla persona di misurarsi in una nuova dimensione così come l’avvio di corsi di preformazione o di formazione che garantiscano una professionalità specializzata e che favoriscano contatti con il mondo del lavoro. Tenendo conto di questi aspetti problematici non è facile individuare orientamenti che siano definitivi e stabili; né è utile l’applicazione di una rigida metodologia da utilizzare in qualsiasi contesto o persona. Riteniamo però fondamentale creare situazioni che non siano di precarietà, con contratti a termine che alla lunga tendono a creare disoccupazione ed evitare ogni forma di assistenzialismo che si riveli un ostacolo alla reale emancipazione dei soggetti, ad esempio utilizzare le possibili misure volte a facilitare l’inserimento come “aree di parcheggio”. La formazione e il reinserimento devono essere programmate nei dettagli, devono cioè indicare un percorso che fornisca nozioni e strumenti utili a chi non ha una “cultura del lavoro” o, non ha mai lavorato costantemente. Da una fase di orientamento iniziale in cui si evidenzino le motivazioni personali, i comportamenti da adottare e gli atteggiamenti da tenere in relazione alle regole produttive e alla comprensione del lavoro che la persona andrà a fare, si passa alla formazione. La formazione vera e propria secondo gli esperti, va impostata “on the job”, cioè mentre si lavora, in tal modo si illustrano e si spiegano le operazioni che si stanno facendo con l’obiettivo di comprendere al meglio tutto il ciclo lavorativo. 363 Tuttavia secondo la nostra esperienza, la formazione per queste persone deve avere due caratteristiche fondamentali: da un lato deve essere una vera e propria formazione professionale mirata all’attività che si vuole intraprendere, dall’altro deve essere un modo per fornire strumenti ad hoc necessari per affrontare le difficoltà a cui vanno incontro. Non vanno tuttavia dimenticate le difficoltà connesse all’inserimento in una realtà produttiva, che sono maggiori per chi ha avuto esperienze problematiche e su cui si innestano problemi di integrazione, anche razziali. Sono quindi necessari corsi mirati che rafforzino anche dal punto di vista psicologico e che rendano possibile affrontare gli ostacoli e le frustrazioni iniziali. Occorre attivare una formazione di base, sia di tipo culturale come si fa a scuola, sia finalizzata a fornire le competenze primarie funzionali al lavoro e, solo successivamente, passare alle competenze specifiche con una formazione ricorrente direttamente in aziende. “(...) In tal modo abbiamo un percorso modulare che permette alle diverse persone di collocarsi in maniera differente nell’ambito formativo, sulla base delle istruzioni e delle conoscenze possedute.(...)” 8. In questo processo è importante la tutorship, cioè la supervisione dell’attività formativa, ma anche la funzione di orientamento svolta da un singolo o da una struttura, anche pubblica, che consenta ai partecipanti di comprendere meglio quali sono le loro aspirazioni, che fornisca un aiuto concreto al reperimento del lavoro o indica8 .Carchedi et al. 1993,op. cit., pag. 44. 364 zioni su corsi di formazione professionali regionali e, nel contempo, favorisca l’avvio di iniziative di lavoro autonomo o l’inserimento in azienda. In questo senso è utile provvedere all’impegno di creare imprese e lavoro attraverso l’erogazione di borse lavoro, attraverso corsi di formazione e riqualificazione e sostenere la costituzione di cooperative. Ovviamente il lavoro di reinserimento prevede un lavoro di interfaccia, come del resto nelle fasi precedenti, meglio definito come lavoro di rete. Ciò comporta uno scambio continuo con realtà sociali e lavorative pubbliche e private: è la cultura della cittadinanza. * Stefania Scodanibbio è Psicologa dell’associazione “On the road”. Specializzata in terapia sistemico-relazionale; ha collaborato, in qualità di operatrice sociale, alla realizzazione del Centro di accoglienza psichiatrico “S. Silvestro”di Civitanova Marche; al progetto di prevenzione alle tossicodipendenze del Comune di Ascoli Piceno in qualità di psicologa della prevenzione; collabora, in qualità di psicologa dell’orientamento, con il Centro Diurno d’Integrazione Sociale (per portatori di handicap psico-fisico) di Pagliare del Tronto. ** Maria Rosario Bolanos (Suor Charo) appartiene alla Congregazione delle Suore Oblate del SS. Redentore, nell’ambito di questa ha lavorato da anni in favore di donne prostituite con interventi di strada e di accoglienza; è stata insignita del titolo di “Donna dell’anno 1997” dall’associazione ANLAIDS; ha pubblicato diversi articoli tra cui: “La spiritualità della strada” rivista Allogan 27 1995; “Il disagio femminile: prostituzione, separazione, divorzio, immigrazione, ragazze madri e minori a rischio” Quaderni Caritas n.1 1996 Caritas Diocesana di Udine. 365 366 Figure professionali nell’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia Stefania Scodanibbio Premessa L ’accoglienza non ha un modello strutturale di riferimento, si muove su linee guida su cui però operatrice ed utente co-costruiscono con flessibilità il quotidiano, tenendo conto di più variabili (fattori culturali, di personalità, caratteriali, ecc.), del contesto e del sistema che in essa si muove. Vista la tipologia dell’utenza e come la realtà dell’accoglienza oggi si configura, parliamo di operatrice, anche se una figura operativa maschile non è da escludersi a priori (per esempio nel caso di famiglie affidatarie, o in aree diverse dall’ accoglienza quali l’orientamento, la socializzazione, l’inserimento lavorativo). L’operatrice di accoglienza agisce spesso “senza rete”, deve per tanto essere dotata oltre che di una formazione personale e relazionale, di maturità ed autorevolezza che le consentano di agire ruoli diversi e flessibili, pur mantenendo la propria individualità. Il lavoro relazionale si muove su due poli: - “Assimilazione” (capacità di modificare l’ambiente attraverso un’azione significativa); - “Accomodamento” (capacità di modificare il vissuto individuale per adattarsi all’ambiente). In questa ottica l’accoglienza diventa lo spazio di focalizzazione della domanda e di soste367 gno nella realizzazione dell’obiettivo, in un clima di piena fiducia. L’operatrice ha dunque sia il ruolo di “attivatrice” della domanda, attraverso l’ascolto, l’osservazione, il contenimento, sia di fornire sostegno, che, tuttavia, è reale solo se è “condivisione intelligente”, cioè se è ancorato al rapporto esigenza - risorsa.1 Perché ciò sia possibile (sostegno e focalizzazione del problema), l’operatrice deve porsi in un atteggiamento di autenticità e condivisione, utilizzando alcune modalità operative. Empatia Condividere empaticamente significa guardare attraverso gli occhi dell’altro senza confondersi con l’altro, senza entrare in una relazione emotiva simbiotica. Accogliere le angosce, le ansie, le tensioni senza forzature o giudizi, mantenendo invece sempre la capacità di elaborazione, di analisi e di sintesi che non riducano l’operatrice ad uno sterile contenitore e l’utente in uno stato di dipendenza. L’operatrice non deve cadere nell’errore di inserire la persona in uno schema personale ideale per cambiarlo secondo i propri canoni e criteri di bellezza, bontà, perfezione. Ciò sarebbe deleterio per la persona destinataria del servizio poiché la priva del suo vissuto, le impedisce di fare le proprie esperienze, di elaborare la propria angoscia e crescere nella scoperta di sé; inoltre, al momento di sperimentare l’autono1 P. Guiducci, Persona e relazionalità, tra desiderio e incontro, Franco Angeli Editore. 368 mia le verrebbe a mancare la “guida”, il punto di riferimento e non sarebbe strano se disorientandosi tornasse a cercare modelli di riferimento già sperimentati, se non altro per la sicurezza di tornare in una condizione che già conosce e che bene o male ha imparato a gestire. Ugualmente pericoloso e disorientante è il voler far emergere la persona senza dare un orientamento, una regola, in un accoglienza di tipo alberghiero in cui il concetto di presa in carico si traduca semplicemente in una risposta al bisogno abitativo. Realismo Strettamente connesso è il principio di realismo: tenere conto di chi è l’altro, cosa vuole, cosa mi sta chiedendo, come posso agire. L’operatrice, dal momento che costituisce un punto di riferimento nel gruppo di accoglienza, deve essere in grado di reggere i conflitti, sedare le ansie, modulare le relazioni, orientare i bisogni, le competenze e le capacità per raggiungere gli obiettivi discussi e concordarli con la persona, aiutandola ad auto-organizzarsi e favorendo la valorizzazione del sé. Perché ciò sia possibile l’operatrice deve essere dotata di un sano realismo che le permetta di valutare le capacità e le competenze della persona e del contesto in cui opera, per evitare di creare false aspettative che potrebbero risultare inadeguate e frustranti per i partners della relazione. Partire dal presupposto teorico che l’operatrice è colei che sa e l’utente è colei che non sa, ci pone in un pregiudizievole errore epistemologi369 co che ha come unico risultato il produrre nella persona un comportamento inadeguato, cioè la “risposta fantasticata” (quella che penso ci si aspetti da me), o di “fuga” (esco dalla relazione perché le risposte che ricevo non sono significative). Il rischio che si corre in questo caso è di cercare, attraverso il comportamento dell’utente, una gratificazione alla posizione mentale dell’operatrice e non la soddisfazione del bisogno della persona stessa. Un dato operativo importante in accoglienza, è quindi l’evitamento di ogni facile rassicurazione che può essere indotta dall’operatrice per un’istanza di onnipotenza o per insicurezza. Tutto ciò potrebbe creare illusorie aspettative e conseguenti delusioni nella persona in accoglienza che minerebbero la possibile continuità del rapporto di fiducia. Chiarezza Occorre puntare sulla chiarezza della relazione. Non si deve inventare qualcosa, ma esprimere la ricerca, che significa condividere una fatica; solo così l’operatrice esce dal ruolo di semplice contenitore e rivaluta le condizioni di un ascolto che apre alla visione. Diventa cioè osservatrice della sofferenza altrui per leggerne l’autenticità dei fatti storici e per individuarne i meccanismi involutivi trasformandoli in azioni propulsive “dell’andare verso”. Rileggendo i comportamenti in positivo e metacomunicando su questi meccanismi si ricontestualizzano gli eventi garantendo una 370 competenza alla persona. Chiarezza significa comunque mantenere il ruolo, evitando pericolosi scivolamenti “di contesto” (per es. complicità alla pari, permettere all’altro di entrare troppo nel proprio privato, consentire digressioni dal contratto iniziale senza che se ne esplicitino i contenuti e le modifiche). E’ inoltre fondamentale che espliciti il suo mandato perché possa agire totalmente la significatività del suo ruolo. In accoglienza infatti l’operatrice ha un ruolo di interfaccia: da una parte il mandante (questura, carabinieri, unità di strada, istituzioni....) dall’altra la persona in accoglienza; per tanto, nel definire il contratto di presa in carico dovrà agire un ruolo di mediazione che dovrà esplicitare per evitare di creare confusioni o essere triangolata. Un’operatrice che non agisce un mandato chiaro, è un operatrice che mistifica e favorisce la mistificazione. Motivazioni Il lavoro di accoglienza non può essere una scelta forzata dall’impossibilità di trovare un impiego in altri settori; si deve conoscere il tipo di attività, ci si deve sentire portati, occorre essere adeguatamente formati, anche se ancora non esiste un profilo giuridico definito di questa figura professionale. L’operatrice che si accinge ad un lavoro così complesso deve avere ben chiare le motivazioni che la spingono a scegliere un così specifico target, in un contesto dove la condivisione e 371 l’impegno sono totali e dove le sollecitazioni emotive sono così pregnanti. In questo senso atteggiamenti “salvifici” che nascono dalla convinzione di essere “migliori” delle persone che abbiamo di fronte, impediscono la relazione sintonica, squalificano la persona e non rappresentano una buona motivazione per affrontare questo lavoro. Autenticità e conoscenza di sé Autenticità significa saper vivere ed esprimere le proprie emozioni, vissuti e convinzioni giocandole nella relazione esplicitamente senza paura di confrontarsi o di farsi scoprire dall’altro. L’operatrice deve avere una buona conoscenza di sé, dei punti di forza che può utilizzare in positivo nella relazione e delle aree deboli che invece deve tenere sotto controllo perché non vadano ad invalidare la relazione, (per esempio proiezioni di dinamiche personali estranee alla relazione stessa, ma da questa sollecitate). In questo modo neutralizza i meccanismi manipolatori che si attivano nella relazione, evitando di attivarne altri: per es. triangolazioni in caso di conflitti più o meno espliciti tra operatrici (“tu sei migliore dell’altra operatrice”) che tendono a gratificare, ma inficiano la relazione, la teatralità (convinzione che impressionando l’operatrice, si abbia una risposta più immediata o maggiore attenzione), o ancora l’uso della colpevolizzazione, per cui la persona è continuamente vittima di ingiustizie, e pertanto richiede la “consolazione” dell’operatrice più sensibile. Sono tutti tentativi seduttivi dell’utenza per 372 ottenere vantaggi immediati da cui l’operatrice deve tutelarsi, per evitare lo stress del fallimento relazionale e l’oscillazione tra meccanismi di ottimismo e sicurezza ed espressioni di difesa e di critica fino al pessimismo e al fatalismo. L’operatrice dunque deve essere dotata di una dose di maturità che le consenta di tollerare la frustrazione al fallimento, è infatti altissimo il rischio di “burn out”, valutando in termini obiettivi le proprie responsabilità per migliorare il suo intervento e quindi essere in grado di modulare il comportamento, o anche la capacità di elaborare il lutto della perdita della relazione, per esempio favorendo l’uscita della persona verso l’autonomia e non procrastinando il tempo della presa in carico nella convinzione di “essere ancora necessaria” alla crescita della persona stessa. Questo evitando il senso di onnipotenza che consegue al ritenersi, nel bene e nel male, l’unica responsabile della relazione; all’altro va riconosciuta la corresponsabilità nella gestione della relazione stessa. Capacità di ascolto L’operatrice interviene per aiutare la persona ad aiutarsi, non per favorire la depressione e la chiusura fornendo risposte esaustive. Ogni persona ha tempi e bisogni diversi, pertanto l’ascolto e l’orientamento debbono essere individualizzati. Sono necessari tempo, pazienza, e disponibilità perché si possa costruire una relazione significativa di fiducia e riconoscimento. L’operatrice pertanto dovrebbe essere dotata di attitudine all’ascolto paziente, nel rispetto dei tempi di ciascuno, dovrebbe avere la capacità di 373 reggere i silenzi, evitando domande incalzanti e dirette che, soprattutto in una fase iniziale, tenderebbero a soddisfare solo una sua mera curiosità, senza garantire il rispetto della privacy della persona. Nella prima fase di accoglienza “osservazione ed ascolto” e sospensione da ogni giudizio o pregiudizio ideologico o morale, debbono sostituire “l’ansia di fare”, tuttavia l’ascolto deve condurre alla sintesi e all’elaborazione costruttiva di un percorso. Lavoro di rete L’operatrice, professionista o volontaria, deve essere ben preparata alla conoscenza dei servizi e delle procedure. In ogni centro di accoglienza è bene che esista una documentazione aggiornata in tema di politica dei servizi, mappe territoriali con ubicazione dei servizi stessi, delibere comunali, provinciali e regionali, indirizzario di altri centri o di strutture sul territorio che operano nel campo dell’accoglienza, di agenzie educative ed altro. L’operatrice non dovrebbe essere un semplice dispensatore di informazioni, ma una persona inserita in una collettività e deve porsi in sintonia con chi opera nei servizi a tutela del cittadino: dovrebbe cioè conoscere personalmente e collaborare con operatori pubblici e privati ed essere inserita in momenti di confronto ed elaborazione di progetti comuni. Lavorare in un contesto di rete. 374 Lavoro d’equipe Un’equipe si costituisce attraverso la percezione di un compito o di uno scopo comune e si sviluppa nella rete di relazioni che attiva all’interno (operatori-operatori, operatori -utenti,...), sull’esterno (territorio, istituzioni...), nella realizzazione degli obiettivi. Il lavoro di equipe è fondamentale in quanto diventa un osservatorio permanente di molteplici realtà umane e ambientali: - favorisce la comunicazione interna al gruppo e l’integrazione a livello di contenuti; - produce risposte elaborate secondo una metodologia dell’orientamento condivisa a partire dalle esigenze presentate dall’utenza; - è un luogo di confronto-incontro in cui gli interventi personali e le diverse modalità comunicative si armonizzano con il contributo collettivo e si modulano tenendo conto del principio di unitarietà degli interventi; - è scelta di professionalità diverse e significative che arricchiscono e complessizzano l’approccio ed il percorso di realizzazione degli obiettivi. Oltre all’area del compito, l’equipe si fa carico dell’area socio-emotiva dei suoi componenti: - diventa il luogo dove si individuano le difficoltà personali e collettive; - dove si elaborano le possibili soluzioni attraverso il contributo individuale e dove è possibile sperimentare l’adozione o l’abbandono della proposta ed i suoi probabili effetti; 375 - dove si valuta la coesione (totalità delle forze che determinano l’unione dei membri di un gruppo), le motivazioni, le emozioni, i valori comuni, che permettono il passaggio dall’”io” al “noi”; - dove si sperimenta la diminuzione della tensione e la gestione del conflitto, dove cioè è possibile attivare il “trattamento” delle tensioni che emergono nel lavoro relazionale, non solo con l’utenza, ma anche all’interno del gruppo di lavoro stesso (sindrome del burn out); - sarebbe inoltre auspicabile (anche se di difficile realizzazione dati i costi molto elevati), la presenza di un super visore esterno che consenta all’equipe un ulteriore e più complesso livello di analisi, evitando invischiamenti e avvitamenti interni a volte non controllabili dagli stessi membri. Perché ciò sia possibile occorre che l’operatrice sia in grado di gestire in modo equilibrato l’appartenenza-individuazione: cioè la capacità di appartenere e riconoscersi come parte di un gruppo, pur mantenendo la capacità di individuarsi, esporsi, discutere i propri vissuti emotivi positivi e negativi, e di chiedere al gruppo di sostenerla, elaborando il contenuto al suo interno. La persona dovrebbe avere la capacità di mettere in discussione il suo stile relazionale personale modulandolo nel confronto senza tuttavia perderlo. Il lavoro di equipe non è solo necessario all’interno di una struttura, ma è anche un lavoro tra equipe che operano in settori diversi. L’accoglienza infatti è un punto sensore che si colloca nel lavoro progettuale più ampio che 376 implica ricerca, mappatura, unità di strada, servizi, lavoro di rete, attivazione di risorse, investimenti progettuali. Il lavoro tra diverse equipes permette dunque: - una reciproca conoscenza fin dove è possibile; - un confronto per migliorare la gestione delle risorse; - consente un coordinamento ed un confronto che permetta di evitare ripetizioni, perdita di tempo, circolazione delle informazioni. Socializzare infatti l’esperienza porta alla migliore gestione di risorse, interazioni e politiche sociali. L’operatrice che lavora in accoglienza deve quindi formarsi su più piani, tenendo conto che lavorare con gli altri significa innanzitutto disponibilità a lavorare su di sé, essere in grado di rimettersi in discussione sempre pur mantenendo una propria individualità ben definita. 377 378 Il lavoro di rete. L’esperienza dell’Emilia Romagna Lorenza Maluccelli* Network tra progetti e coalizioni locali P er parlare del lavoro di rete mi riferirò ad alcune esperienze concrete, anche recenti, cui ho a vario titolo partecipato e, principalmente, ai progetti sulla prostituzione in corso in molte città dell’Emilia Romagna. La rete che si sta formando a livello regionale e che comprende 10 città dell’Emilia Romagna1, è stata promossa dall’Assessorato alle Politiche Sociali e Familiari, Scuola e Qualità Urbana della Regione2 che tra le strategie di intervento sulla prostituzione, ha anche programmato attività di accompagnamento ai progetti locali incentivando lo scambio e la loro messa in rete. Si tratta di una realtà sicuramente parziale, ma rilevante per la sperimentazione e il confronto delle politiche locali sulla prostituzione. L’osservazione di questa rete regionale di progetti (come lo sono le reti TAMPEP ed EUROPAP a livello europeo) è particolarmente interessante anche perché ci permette di assumere una gamma di informazioni sulle coalizioni locali 1 Le città sono: Piacenza, Parma (che però in molti livelli d’analisi non sarà considerata perché non ha ancora avviato un progetto, ma partecipa, ad esempio, agli incontri di formazione), Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna, Imola, Cesena, Rimini. 2 Delibera n. 2567 del 24 ottobre 1996 379 sufficientemente ampia per tentare una mappa ragionata dei soggetti che le compongono. Questa riflessione sul lavoro di rete può essere letta anche come una prima restituzione pubblica dei risultati e delle informazioni raccolte nell’arco di questi ultimi cinque mesi (aprile settembre 1997), durante i quali sono stati realizzati numerosi incontri per la ricognizione dei progetti esistenti, finalizzati alla diffusione e allo scambio di conoscenze nell’ambito degli interventi sulla prostituzione di strada. A supporto del lavoro di ricognizione dei progetti locali abbiamo utilizzato alcune schede per la rilevazione (cfr. schede A, B, C) che hanno facilitato la conoscenza dei diversi progetti e permesso la loro comparazione. Gli incontri personali e le schede di raccolta di informazioni costituiscono le mie fonti principali per tentare una mappa ragionata dei soggetti che definiamo appartenenti alle coalizioni locali e, quindi, al network regionale. Il confronto tra i diversi progetti certamente non potrà restituire, in questo contesto, l’aspetto dinamico, né le relazioni tra gli attori che la compongono, né potrà cogliere i flussi comunicativi tra i diversi soggetti che, come sappiamo, condizionano notevolmente il funzionamento di ogni intervento. La mappa che descriveremo dovrà innanzi tutto riflettere gli obiettivi prioritari di ogni progetto e il contesto sociale e istituzionale in cui nasce e si consolida e le diversità tra i soggetti che compongono le reti locali non solamente di ruolo, ma anche di percezione e costruzione del problema “prostituzione” rispetto cui, a diverso titolo, sono chiamati a fornire risposte. 380 I progetti prostituzione: due diverse prospettive I progetti prostituzione cui mi sto riferendo nascono tutti in questi ultimi anni, quando cioè, con l’evidenza di una “emergenza misteriosa”, il fenomeno della prostituzione è diventato uno dei problemi sociali più avvertiti nelle città. Rimando a parti del manuale più pertinenti, la ricerca del perché la prostituzione di strada crei più allarme e preoccupazione di pochi anni fa e l’analisi delle trasformazioni del mercato del sesso che stanno facendo scricchiolare il delicato equilibrio abolizionista in atto nel nostro paese dagli anni ‘50. Noi partiremo, considerandolo al momento come un dato di fatto, dal riconoscimento che l’attenzione pubblica è concentrata solo sul settore più visibile del mercato: la prostituzione di strada costituisce, infatti, il problema sociale attorno cui sono nati progetti d’intervento specifici. I nove progetti che analizzeremo si distinguono per i diversi contesti sociali, organizzativi e istituzionali in cui sono nati, ma hanno anche alcuni aspetti molto comuni. Ad esempio, sono quasi totalmente orientati sul solo lato dell’offerta, le persone che si prostituiscono e, semplificando, sono riconducibili a due differenti prospettive di intervento e ad altrettante diagnosi del problema. Praticamente in quasi tutte le principali città della Regione esistono progetti rivolti alle persone che si prostituiscono orientati alla prevenzione sanitaria e alla facilitazione dell’accesso ai servizi territoriali ed altri di sostegno al percorso di uscita dalla prostituzione (cfr. scheda prospettive). 381 Per schematizzare, i primi rientrano in una strategia di riduzione del danno e i secondi di accoglienza e assistenza sociale, ma vediamo gradualmente da quali differenti costruzioni del problema sociale esse derivino e cosa queste strategie vogliano dire se ci caliamo nelle realtà dei progetti. Per gli interventi orientati alla riduzione del danno il problema prostituzione viene declinato principalmente sotto il profilo dell’igiene pubblica. L’informazione e la prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale rivolta alle persone che si prostituiscono in strada è, insieme alla facilitazione dell’accesso ai servizi sanitari, l’obiettivo operativo principale. D’altra parte, gli interventi orientati all’accoglienza, partono da una lettura del problema della prostituzione di strada come luogo di coazione e di traffico delle donne; da cui conseguono come obiettivi principali il sostegno e l’integrazione sociale delle ‘vittime’ che ne vogliono uscire. L’integrazione e/o la compresenza di queste due prospettive di azione o la scelta di una di esse, è determinata, come vedremo meglio in seguito, dai differenti contesti locali che influenzano e differenziano la selezione degli obiettivi prioritari, la scelta dei metodi di lavoro, gli attori coinvolti in ogni realtà. Lavoro di rete e mappatura degli attori L’attivazione di una rete di risorse territoriali costituisce l’obiettivo principale della fase di preparazione dell’intervento. Coordinatori ed operatori pianificano una serie di contatti con i 382 servizi, le istituzioni ed altre organizzazioni presenti nella città per stabilire con loro un rapporto di collaborazione attiva (partnership) e di condivisione del progetto o di alcuni obiettivi parziali. Questa fase riveste una importanza cruciale perché permette di misurare gli obiettivi alla qualità e alla quantità delle risorse a disposizione e, quindi, alla potenzialità del progetto di raggiungerli fornendo risposte adeguate ai problemi che s’intendono e si prevede di dover affrontare. Va sottolineato che per quanto sia importante il disegno iniziale di una mappa di contatti, la rete è ampliabile e modificabile durante tutto il processo di intervento mano a mano che gli operatori identificano nuovi bisogni e, quindi, nuove necessità di mobilitare risorse. Prima di iniziare un lavoro più analitico sulle reti che gestiscono e supportano i progetti prostituzione in Emilia Romagna; diamo uno sguardo d’insieme alla composizione della rete regionale ripartita per città. È subito evidente che sono in gran parte soggetti istituzionalmente e/o tradizionalmente preposti ad un’azione pro-attiva alle situazioni di disagio che possono essere associate, come nel caso della prostituzione, anche a comportamenti a rischio per la salute pubblica, o a condotte considerate “devianti” o che possono comunque produrre rappresentazioni di insicurezza sociale. I soggetti della rete che istituzionalmente sono chiamati a rispondere re-attivamente alle condotte che possono suscitare allarme sociale, in cui abbiamo incluso le Forze dell’Ordine, la Polizia Municipale, ecc. costituiscono la parte “mancante” della rete, ma su questo punto ritor383 neremo (cfr. scheda tipologie soggetti). Nella rete pro-attiva abbiamo identificato tra i differenti attori che partecipano a vario titolo nei progetti prostituzione delle nove città già attive, una prima e fondamentale distinzione tra gli attori istituzionali - Comuni e Aziende USL e gli attori del privato sociale - organizzazioni e gruppi di donne, associazioni di cittadini stranieri, organizzazioni a base religiosa, organizzazioni a base laica e associazioni di prostitute. Il raggruppamento degli attori coinvolti nei progetti sulla prostituzione, e l’osservazione ravvicinata delle diverse prospettive e culture che vi confluiscono ci consentono di rilevare interessanti punti di continuità storica che caratterizzano i discorsi e le azioni attuali sulla prostituzione così come le novità e le rotture rispetto al passato, che meriterebbero una più approfondita ricerca e trattazione. Mi riferisco in particolar modo a chi si occupa oggi di prostituzione tra cui emergono sia attori che hanno avuto un forte ruolo anche nei secoli passati sanità pubblica, femministe, istituzioni religiose, - sia nuovi soggetti, in primo luogo le associazioni di prostitute e quelle degli stranieri. Emerge, inoltre, una notevole capacità pragmatica da parte di attori così diversi di coalizzarsi per obiettivi e per sensibilità e retroterra in ultima istanza affini in ogni realtà locale. Per ottenere una mappa più precisa delle risorse, delle competenze, delle potenzialità progettuali ed operative locali, prenderemo in esame la struttura della rete cercando di ricostruire il livello di distanza dei vari soggetti dall’azione progettuale sul fenomeno della prostituzione, cioè quello che in una parola definiamo il ruolo dei vari attori. 384 Come punto di partenza delle reti locali individuiamo il soggetto o i soggetti titolari dell’intervento (cfr. scheda titolari). E’ immediatamente visibile che questo ruolo è ricoperto o dai Comuni o dalle Aziende Sanitarie delle varie città. Sono questi, infatti, gli enti istituzionali che la Regione ha identificato come interlocutori per i progetti e per i finanziamenti, ma come vedremo, è esplicitamente riconosciuta, valorizzata e sollecitata la collaborazione e la sussidiarietà di alcune funzioni tra gli Enti Locali e le organizzazioni del privato sociale. I progetti sperimentali sulla prostituzione sono entrati, quindi, a far parte degli interventi sociali istituzionali: Comuni e AUSL sono i titolari di progetti specifici collocati, nelle diverse realtà, in ambiti organizzativi differenti anche se contigui. La collocazione organizzativa all’interno degli Enti Pubblici e delle aziende sanitarie rispecchia la lettura che è stata fatta del fenomeno prostituzione e, in particolare, ciò che si ritengono essere gli aspetti prioritari su cui intervenire. In un certo senso, possiamo osservare, anche solo attraverso una lettura organizzativa, la riduzione che ogni organizzazione opera rispetto alla complessità del fenomeno su cui intende agire. In molti contesti, come Ravenna, Imola, Modena e Ferrara i progetti sulla prostituzione nascono all’interno di interventi più complessivi rivolti alle comunità immigrate, spesso all’interno dei servizi per gli immigrati dei Comuni e delle AUSL; a Modena ha preso avvio anche dalle iniziative contro la diffusione dell’AIDS, a Bologna e a Rimini sono progetti in parte maggiormente integrati alle politiche di sicurezza urbana. I soggetti “chiave” di ogni rete locale sono, comunque, quelli che rivestono il ruolo di 385 attuatori perché hanno la responsabilità operativa dell’intervento. Gli attuatori sono in genere, organizzazioni sufficientemente strutturate per gestire direttamente i progetti o parte di essi in convenzione con i Comuni e le Aziende USL (cfr. scheda attuatori). Al terzo “livello di distanza”, cioè con il ruolo di sostegno ai progetti locali, possiamo osservare un’ancora più ampia tipologia di attori: sia istituzionali sia sociali. Si tratta di organizzazioni che svolgono un ruolo importante ai fini del raggiungimento di obiettivi particolari e specifici dei progetti e per questo sono vitali ed essenziali (cfr. scheda rete di sostegno). La mappa dei soggetti “di sostegno” è, come abbiamo già detto, una mappa maggiormente variabile di quelle precedenti ed andrebbe, per questo, aggiornata periodicamente. Dopo aver ricostruito le dimensioni delle reti locali e della rete regionale, tentiamo di definire i contenuti delle relazioni tra gli attori; un aspetto che crediamo abbia grande utilità applicativa. Le schede riassuntive dei soggetti titolari, attuatori e di sostegno non distinguono, infatti, il tipo di obiettivi progettuali cui sono chiamati a rispondere, dato che in molti casi la scelta degli enti titolari è stata quella di attivare sia interventi di riduzione del danno in campo principalmente sanitario, sia di sostegno sociale alle persone che chiedono di uscire dal mercato della prostituzione. La principale rete dei progetti di riduzione del danno è quella sanitaria. Gli operatori di questo tipo di interventi svolgono un ruolo di facilitatori per l’accesso ai servizi sanitari territoriali, di accompagnamento e di informazione per la riduzione dei rischi di contagio dell’HIV e delle 386 MTS connessi alle attività del target. Va premesso che non esiste una realtà omogenea di servizi e di modalità di accesso tra le diverse realtà cittadine, ma in generale, possiamo affermare che i servizi potenzialmente o realmente coinvolti nei progetti sono sia di tipo preventivo, sia diagnostico che terapeutico. I servizi principali da attivare per una équipe di operatori di strada sono: consultori territoriali per la medicina di base e le visite specialistiche ginecologiche; gli ambulatori, in genere ospedalieri o i dipartimenti per l’igiene pubblica, per la prevenzione delle malattie infettive; i SerT per il target con problemi di tossicodipendenza; i servizi materno-infantili per le problematiche legate alla gravidanza, all’affido, ecc.. La collaborazione con queste strutture è tanto cruciale quanto problematica date la necessità di stabilire codici di confidenzialità ed anonimato, la necessità della mediazione linguistica e culturale e, soprattutto, per la diffusa condizione di irregolarità del target rispetto allo status di permanenza nel nostro paese. E’ dunque importante che venga istituito un protocollo clinico e amministrativo. Rispetto ai progetti di accoglienza riveste un ruolo cruciale la rete dei cosiddetti “rifugi”. La case e i centri antiviolenza, infatti, come le strutture gestite da organizzazioni religiose, sono state tra le prime a mettere in campo le loro risorse e le competenze delle operatrici nel difficile percorso di sostegno a donne in situazione di difficoltà. Questo elenco non è sicuramente esaustivo ma è indicativo del tipo di contatti necessari per la preparazione degli interventi. 387 Conclusioni: ciò che manca E’ molto importante stabilire contatti con le Forze dell’Ordine e altre agenzie re-attive. E’ necessario che le Forze dell’Ordine siano al corrente dell’attivazione degli interventi sul territorio, per evitare agli operatori di strada di vedere vanificati gli sforzi di relazione e di contatto con il target e perché tali agenzie possono fornire delle informazioni utilissime riguardo il territorio: dai luoghi di stazionamento a quelli di consumo delle prestazioni, ecc. Per gli operatori di accoglienza tali rapporti sono necessari per i molteplici e controversi problemi che insorgono nel percorso di sostegno e di regolarizzazione delle prostitute/i che vogliono uscire dal mercato. E’ più frequente che quest’ultima tipologia di progetti abbia contatti con le Forze dell’Ordine e che sviluppi sinergie, ma è certamente un dato da registrare la situazione totalmente disomogenea tra le diverse realtà cittadine. E’ proprio al fine di sostenere una evoluzione comune ai progetti locali che il network regionale può sviluppare un più forte ruolo rispetto a diversi soggetti, soprattutto istituzionali (Forze dell’Ordine e sanità) la cui collaborazione ancora troppo spesso dipende da volontà e sensibilità di singoli o di singole strutture. * Lorenza Maluccelli è consulente del Comune di Bologna, coordinatrice del Progetto “Moonlight Project” del Comune di Bologna sulla prostituzione di strada; coordinatrice progetto violenza sessuale “o Tollerance” del Comune di Bologna. 388 SCHEDA A 389 SCHEDA B 390 SCHEDA C 391 392 SCHEDA PROSPETTIVE 393 SCHEDA TIPOLOGIE SOGGETTI SCHEDA TITOLARI 394 395 SCHEDA ATTUATORI 396 SCHEDA RETE DI SOSTEGNO Localizzazione degli interventi (chi, cosa, con chi) Vincenzo Castelli Riportiamo di seguito gli indirizzi utili per chi opera o vuole operare nel mondo della prostituzione in Italia. Certamente tale indirizzario non vuole essere esaustivo, ma indica associazioni ed enti ormai consolidati nel campo dell’intervento sociale nell’ambito della prostituzione. Ente Comitato per i diritti civili delle prostitute Casella Postale C.P. n.67, Pordenone tel. 0434/640563 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV- MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori Rete di riferimento - TAMPEP - EUROPAP NB. il Comitato è punto di riferimento per molti progetti di prevenzione sanitaria Opera nei comuni di: Bologna, Mestre, Verona, Modena, Milano, Genova, Torino Ente L.I.L.A (Lega Italiana Lotta all’AIDS) V.le Tibaldi, 41, 20136 Milano tel. 02/89400887 397 - L.I.L.A Via Capra 11, 29100 Piacenza - tel. 0523/338033 fax 0523/300259 - L.I.L.A Via Milano 58/B1, 16126 Genova -tel. 010/2462915 fax 010/2464543 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV- MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori Rete di riferimento -La L.I.L.A. è essa stessa una rete. Da ricordare tra i gruppi L.I.L.A. impegnati nel settore quelli di Milano, Genova, Piacenza Ente MIT (Movimento Italiano Transessuali) Via Polese 22, 40100 Bologna tel. 051/250877 Progettualità - L’intervento rivolto al target attivata di travestiti e transessuali prevede: - Prevenzione sanitaria HIV- MTS - Unità di Strada Rete di riferimento - Comune di Bologna Progetto “Moonlight project” - Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Ente Circolo di cultura omosessuale “Mario Mieli” Via Corinto 5, 00184 Roma tel. 06/5413985 fax 06/5413971 Progettualità - Il Circolo gestisce la linea teleattivata fonica trans per dare informazioni, consigli di tipo sanitario, 398 formativo, occupazionale - Unità di strada Rete di riferimento - In collaborazione con la CGIL Ente Comune di Venezia- Mestre via A. Costa 12, Venezia tel. 041- 950648 Progettualità - Il Progetto “Città e prostituzioattivata ne” si occupa di: - Prevenzione sanitaria HIV- MTS - Unità di Strada - Formazione operatori Rete di riferimento - TAMPEP Ente Comune di Bologna via S. Isaia 90, 40100 Bologna tel. 051/554345 Progettualità Il Progetto “Moonlight project” attivata attiva interventi di: - Prevenzione sanitaria HIV- MTS - Unità di Strada - Formazione operatori di strada In collaborazione con: - TAMPEP - MIT Il Progetto “Garantire alle donne il diritto a non prostituirsi” attiva interventi di: - accoglienza - di tutela - di inserimento sociale delle ex prostitute - interventi di mediazione sociale 399 - interventi di comunità In collaborazione con - Associazione Orlando via Galleria 8, 40121 Bologna, tel. 051/233863 fax 051/263460 - Associazione Ritor no al Futuro c/o CGIL, via Marconi 67/II, 40121 Bologna, tel. 051/6087111 fax 051/251062 - la Caritas diocesana di Bologna via Fossalta 4, 40124 Bologna - tel.051/267972 Casa delle donne per non subire violenza di Bologna via De’ Poeti 4, 40100 Bologna tel. 051- 283343 Rete di riferimento - TAMPEP - Coordinamento Regione Emilia Romagna (progetti città che operano nell’ambito della prostituzione) - Forum eur opeo sulla Sicurezza urbana (sottogruppo droga e prostituzione) - Rete “Città sane” - Progetto “Città sicure” della Regione Emilia- Romagna Progetto “Bologna Sicura” Ente Comune di Torino via Delle Orfane 2, 10100 Torino tel. 011- 5213940 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori 400 Rete di riferimento - TAMPEP - Forum europeo sulla Sicurezza (sottogruppo droga e prostituzione) - Ufficio Stranieri Comune di Torino - Gruppo Abele di Torino Ente Azienda USL di Rimuni Ufficio tutela famiglia, donna, giovani, coppia tel. 0541/707603 fax 0541/54688 Progettualità Il progetto” help” ha attivato: attivata - formazione operatori di strada Servizi di: - accoglienza - tutela - inserimento sociale delle ex prostitute - interventi di mediazione sociale - interventi di comunità Rete di riferimento - Progetto “Città sicure” della Regione Emilia- Romagna - Coordinamento r egione Emilia Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente Comune di Modena Ufficio Centro Stranieri v.le Monte Kosica 26, 41100 Modena tel. 059- 206718 fax 059/237155 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS 401 attivata Rete di riferimento - Unità di Strada - Progetto di accoglienza - Formazione operatori In collaborazione con: - Centro contro la violenza alle donne via del Gambero77, 41100 Modena tel. 059/361050 fax 059/361369 - Progetto “Città sicure” della Regione Emilia- Romagna - Coordinamento Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione - Forum eur opeo sulla Sicurezza urbana (sottogruppo droga e prostituzione) - Progetto Sicur ezza città di Modena Ente Comune di Piacenza via Taverna n.39, 29100 Piacenza - tel. 0523/492727 fax 0523/331224 Progettualità Il progetto prevede interventi di: attivata - unità di strada per prevenzione sanitaria e accompagnamento ai servizi - accoglienza per chi decide di uscire dalla prostituzione Collabora con: - Caritas Diocesana di Piacenza via S. Giovanni 7, 29100 Piacenza, tel. 0523/332750 fax 0523/326904 402 - Istituto Buon Pastor e via Mazzini 18, 29100 Piacenza tel.0523/324772 fax 0523/338268 - L.I.L.A via Capra 11, 29100 Piacenza Rete di riferimento Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente Consorzio Servizi Sociali di Ravenna via S. Agata n.20, 48100 Ravenna - tel. 0544/409836 fax 0544/482442 Progettualità Il progetto prevede interventi di: attivata - unità di strada per prevenzione sanitaria e accompagnamento ai servizi - accoglienza per chi decide di uscire dalla prostituzione In collaborazione con: - Coop. Il Mappamondo via Cassino 79/b, 48100 Ravenna tel.0544/403278 fax 0544/403278 - Associazione Terra Mia via Ghibuzza 20, 48100 Ravenna tel. 0544/403794 Rete di riferimento - Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione 403 Ente Comune di Ferrara via Boccanal di S. Stefano n.14, 44100 Ferrara - tel 0532/240037 fax 0532/200800 Progettualità Il progetto prevede: attivata - ricerca - azione - seminari di informazione - accoglienza In collaborazione con: - UDI Centro donne e giustizia via Terranuova 12/b, 44100 Ferrara tel.& fax 0532/247440 - Associazione Nelson Frigatti della Caritas Diocesana di Ferrara via Brasavola 19, 44100 Ferrara Rete di riferimento Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente AUSL di Imola v.le D’Agostino n.2/a, 40026 Imola - tel. 0542/604511 fax 0542/604518 Progettualità - Ricerca e monitoraggio del attivata fenomeno - Prevenzione sanitaria ed accesso ai servizi - Accoglienza e sostegno sociale In collaborazione con: - Coop. Metoikos via S. Isaia 17, 40121 Bologna tel. 051/331226 fax 051/331350 404 - Istituto S. Teresa, via Emilia, 40026 Imola, tel. 0542/23254 Rete di riferimento - Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente Azienda USL di Cesena - SerT via Marinelli 9, 47023 Cesena (FO) - tel. 0547/21611 fax 0547/21959 Progettualità - Formazione operatori attivata - Creazione rete di accoglienza In collaborazione con: - Centro Accoglienza Caritas via mura S. Agostino 16, 47023 Cesena tel. 0547/611060 Rete di riferimento - Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente Comune di Reggio Emilia p.zza Prampolini 1, 42100 Reggio Emilia - tel. 0522/456714 fax 0522/436747 Progettualità Il “progetto prostituzione” preattivata vede - unità di strada per la prevenzione sanitaria e accesso ai servizi - l’accoglienza e il reinserimento lavorativo 405 In collaborazione con: - Associazione Rabbunì via don Leuratti n.8, 42100 Reggio Emilia tel.0522/440981 fax 0522/920386 Rete di riferimento - Partecipa al Coordinamento della Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione Ente Azienda USL n.22- Distretto Sanitario- Villafranca (VR) corso Vittorio Emanuele II n.169, 37069 Villafranca (VR) tel. 045/6338459 Progettualità Il progetto “Prevenzione, infeattivata zione da HIV e delle MTS nelle prostitute immigrate clandestine” vuole attuare: - la creazione di una rete di Enti Locali per l’avvio di un intervento comune - l’attivazione di una unità di strada per interventi di prevenzione ed informazione sanitaria Rete di riferimento - TAMPEP Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute Ente Regione Emilia- Romagna Assessorato alle Politiche Sociali - via A. Moro 30, 40100 Bologna - tel. 051- 283216 406 Progettualità Il progetto vuole avere le attivata seguenti caratteristiche: - azione di coordinamento, accompagnamento, supporto alla progettualità locale - azioni di formazione per Amministratori pubblici, funzionari, operatori sociali - produzione di materiali e strumenti di lavoro per interventi diversificati - azioni di valutazione e di moltiplicazione Rete di riferimento - Forum europeo sulla Sicurezza urbana (sottogruppo droga e prostituzione) - Progetto “Città sicure” della Regione Emilia- Romagna Ente Caritas Italiana v.le Baldelli 41, 00146 Roma tel. 06/541921 Progettualità L’intervento strutturale, rivolto attivata particolarmente a prostitute “trattate”, prevede: - azioni di coordinamento, promozione, accompagnamento di progetti attivati dalle Caritas diocesane - azioni di formazione operatori - pubblicazioni e creazione di strumenti di informazione - collegamento con i paesi originari delle prostitute. Vanno tenuti in particolare con407 siderazione significativi interventi di alcune Caritas diocesane quali: - la Caritas Diocesana di Torino servizio migranti via Principi d’Acaia 42 bis, 10138 Torino tel. 011/44771078 - la Caritas Ambrosiana via S. Bernardino 4, 20100 Milano tel. 02/760371 fax 02/76021676 - la Caritas Diocesana di Napoli largo Donna Regina 22, 80138 Napoli - tel. 081/5574263 - la Caritas Diocesana di Brindisi via Madonna della Scala 56, Brindisi - la Caritas Diocesana di Cagliari via S. Gregorio Magno 11, 09100 Cagliari tel. 070/651645 - la Caritas Diocesana di Bologna via Fossalta 4, 40124 Bologna - tel.051/267972 - la Caritas Diocesana di Ancona c/o Curia Arcivescovile, via Pio II 1, 60121 Ancona tel.0336/736841 - la Caritas Diocesana di S. Benedetto del Tronto, via Madonna della Pietà 111, 63039 San Benedetto del Tronto tel. e fax 0735/588286 - Caritas Diocesana di Piacenza, via S. Giovanni 12, 29100 Piacenza - Caritas Diocesana di Padova via Vescovado 29, 35100 Padova tel. 049/8750755 408 Rete di riferimento La Caritas Italiana è essa stessa una rete nazionale. Si coordina con gli altri settori della Conferenza Episcopale Italiana e con altre risorse del volontariato cattolico e non. Ente Ass. Papa Giovanni XXIII via Mameli 1. 47037 Rimini tel. 0541/54719 Progettualità Il progetto prevede: attivata - interventi di strada per agganciare prostitute “trafficate” - interventi di accoglienza presso case-famiglie e famiglie affidatarie dell’Associazione - interventi di formazione per le ragazze accolte - interventi di formazione per operatori sociali Rete di riferimento - L’Associazione Papa Giovanni XXIII è essa stessa una rete a livello nazionale. - E’ inserita altresì nella rete del progetto della città di Rimini Ente Casa delle donne per non subire violenza via De’ Poeti 4, 40100 Bologna tel. 051/283343 Progettualità Il Progetto “Garantire alle donne attivata il diritto a non prostituirsi”, a titolarità comunale è gestito 409 dalla Casa delle donne per non subire violenza, con la Caritas diocesana di Bologna e con l’Associazione “Ritorno al futuro”, prevede l’attivazione di interventi di accoglienza, di tutela, di inserimento sociale delle ex prostitute Vanno tenuti in particolare considerazione significativi interventi di alcuni centri quali: - Centro donne giustizia c/o UDI, via Terranuova 12/B, 44100 Ferrara tel. e fax 0532/247440 - Casa di accoglienza delle donne maltrattate, via Piacenza 14, 20135 Milano tel. 02/55015519 fax 02/55019609 - Centro contro la violenza alle donne c/o Casa delle donne, via del Gambero 77, 41100 Modena tel. 059/361050 - fax 059/361369 - Associazione centro antiviolenza via dei Farnese 23, 43100 Parma - tel. 0521/238885 fax 0521/238940 Rete di riferimento Ente La Casa delle donne è inserita nella rete nazionale dei Centri donna antiviolenza. E’ altresì dentro la rete progettuale del Comune di Bologna Associazione differenza donna via Tre Cannelle 15, 410 00187 Roma - tel. 06/6780563 fax 06/06/6780537 Progettualità L’Associazione gestisce il Centro attivata Antiviolenza e cerca di attivare reti di accoglienza per ex prostitute Rete di riferimento La Casa delle donne è inserita nella rete nazionale dei Centri donna antiviolenza Ente Progetto Miriam c/o Caritas Diocesana di Padova via vescovado 29, 35100 Padova tel. 049/8750755 Progettualità Il progetto, prevede attivata - unità di strada - accoglienza e sostegno per l’integrazione In collaborazione con: - Coop. Nuovo Villaggio via Bronzetti 35100 Padova tel.049/8713047 - Parva Domus via Padova 63, 35030 Tencarola Selvazzano Dentro (PD) tel.049/8686213 - Progetto immigrazione ACLI Villaggio via Bronzetti, 35100 Padova tel.049/8720055 Rete di riferimento Caritas italiana Ente C.A.T. Centro di animazione Triccheballacche v.le Guidoni 26, 50127 Firenze 411 tel. 055/4222390 fax 055/4486018 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori Rete di riferimento - TAMPEP - Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute - LILA - C.I.P. Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Ente Villa Maraini via Ramazzini 31, 00151 Roma tel. 06- 55285057 fax 06/5877215 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori Rete di riferimento Croce Rossa Italiana Ente Gruppo Abele via Giolitti 21, 10123 Torino tel. 011/8142700 Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS attivata - Unità di Strada - Formazione operatori - Editoria specializzata Rete di riferimento Il Gruppo Abele costituisce un punto di riferimento per molte associazioni. Fa parte altresì del Coordina412 mento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Ente Coop. Magliana ’80 via Vaiano 3, 00146 Roma tel. 06/5503713 Progettualità Il Progetto “Lucciola”, finanziato attivata dal Ministero della Sanità attraverso i fondi della Regione Lazio vuole essere un intervento di prevenzione sanitaria dell’HIV e delle MTS. Ha attivato: - Unità di Strada - Formazione operatori. Ha iniziato altresì un intervento di strada per conto dell’Amministrazione Prov.le di Roma Rete di riferimento Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Ente Coop. Parsec p.zza O. Marucchi 49, 00141 Roma - tel. 06/8174426 Progettualità Ha all’attivo la prima ricerca in attivata Italia sul “traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca ed analisi della situazione italiana”, realizzata nel 1996, in collaborazione con l’Università di Firenze (Dipartimento Scienze dell’Educazione) Attiva altresì interventi di strada 413 per la prevenzione dell’HIV e delle MTS, con azioni di formazione professionale e di collocamento lavorativo Rete di riferimento Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Ente Ass. On The Road via A. Moro 88/90, 64014 Martinsicuro (TE) tel. e fax 0861/796666 Progettualità Il Progetto “On the Road” preveattivata de le seguenti azioni: - Intervento di strada per aggancio di donne “trafficate”, per la prevenzione sanitaria, per prevenzione situazionale - Intervento di accoglienza di ex prostitute - Intervento di formazione professionale per ex prostitute - Inserimento lavorativo ed abitativo - Formazione Operatori - Attivazione rete di volontari In tale senso l’associazione sta realizzando il progetto “IONIQUE - Occupazione: Femminile plurale” nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Occupazione NOW Rete di riferimento Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) - E’ altresì all’interno della rete 414 della Caritas Italiana. - Suore Oblate del S.S. Redentore Ente C.I.P. Collegamento Interventi Prostituzione via del Leone 9, Firenze tel. 055/288150 Progettualità Il progetto “Collegamento attivata Interventi Prostituzione” (C.I.P.) è un intervento di rete volto a razionalizzare e coordinare le competenze ed i servizi esistenti - nel pubblico e nel privato individuando anche nuove forme di presenza sul territorio. Il progetto ha attivato altresì un intervento di accoglienza di donne “trafficate” e una unità di strada Partecipano al C.I.P: - C.A.T. via Macchiavelli 10, Settimello Fiorentino tel. 055/8874812 - Associazione Progetto Arcobaleno via del Leone 9, Firenze tel.055/288150 - Associazione Artemisia via del Mezzetta 1 int, Firenze tel. 055/602311 - Rete Pronta Accoglienza – Comune di Firenze Centro Mercede (servizio di reperibilità ed invio) via Accursio 19, Firenze tel.055/2049112 fax 055/2320940 - Istituto Innocenti p.zza 415 Annunziata 12 Firenze, tel.055/2491775 - Progetto Donna vicolo S. Maggiore 1 Firenze, tel .055/2767920 fax 055/292056 - Casa famiglia San Paolo, p.zza S. Domenico Fiesole - Suore Francescane di Maria, p.zza del Carmine 21, Firenze tel.055/213856 fax 055/281835 - Giardino dei ciliegi p.zza dei Ciompi 11, Firenze tel. 055/243649 - C.O.S.S.E.T. via S. Gallo 32, 50129 Firenze, tel & fax 055/486393 - Istituto Stenone p.zza S. Lorenzo 9, Firenze, tel.055/280960 - A.U.S.L. 10 Consultorio per extracomunitari p.zza Tasso Firenze, tel. 055/6588732 - LILA via Santorre di santarosa 21, Firenze tel. & fax 055/613333 - Associazione A.A.P.E.M. via G. Orsini 61, Firenze tel. 055/6810633 Rete di riferimento Ente Il C.I.P. è essa stessa una rete Si raccorda con: - TAMPEP - CNCA - LILA “Centro Accoglienza “Cascina Mazzucchelli” 416 Progettualità attivata Rete di riferimento Ente Progettualità attivata Rete di riferimento Ente Progettualità 20070 S. Zenone al Lambro (MI) - tel. 02/98870392 fax 98870377 Il progetto, appena iniziato, si muove nell’ambito della tratta con accoglienza di donne che chiedono di uscire dal mondo della prostituzione Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Associazione Porta Aperta p.le A. Gramsci, 46100 Mantova - tel. 0376/368165 Il “Progetto notte” è rivolto alle persone che vivono particolari situazioni di marginalità legate alla prostituzione. Il progetto attiva un intervento di strada con azioni di prevenzione ed informazioni sulla salute. Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) Associazione Mimosa Via Padova 63, 35030 Tencarola di Selvazzano Dentro (PD) tel 0338/6623275 fax 049/620450 Il progetto attiva un intervento 417 attivata Rete di riferimento di strada con azioni di prevenzione ed informazioni sulla salute - accoglienza - accompagnamento ai servizi - sensibilizzazione territoriale - TAMPEP - Gruppo osservatore del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA) 418 Strumenti di riferimento (libri, riviste, siti internet) Vincenzo Castelli O ffriamo di seguito alcuni ulteriori stru- menti, che riteniamo utili, per conoscere ed affrontare il “fenomeno della prostituzione”. Una bibliografia con le più recenti pubblicazioni sul campo, una selezione di riviste che hanno trattato o trattano il tema con particolare attenzione e alcuni siti internet sul tema. Pur essendo un campo dove non si produce molto, e consapevoli che tali strumenti possano essere ampliati, riteniamo costituiscano una prima base di informazione. Bibliografia utile Ambrosini M. e Zandrini S., La tratta infame. La prostituzione delle donne straniere, Ed. Quaderni Caritas, Milano 1996 Amirante C., Stazione termini, Città Nuova Editrice, Roma, 1995 Anonima, Manuale di una allegra battona, Mazzotta, Milano, 1979 Anthony C., La prostitution clandestine, Ed. Le cherche midi, Parigi, 1993 Antonini C., Buscarini M. (1985), La regolamentazione della prostituzione nell’Italia postunitaria, in “Rivista di storia contemporanea”, pp. 83-114 AA.VV., Augusta’s Way, Safe sex, TAMPEP Italia, 419 Settembre, 1993 AA.VV., Il disagio femminile. Donna: ruolo e persona?, da “Appunti Caritas” n.1, Udine, 1996 AA.VV. – Cgil nazionale, Dipartimento diritti di cittadinanza e politiche dello stato, Una riflessione in tema di prostituzione, Roma, 1994 AA.VV., Prostituzione, numero speciale di “Famiglia oggi”, n. 8 – 9, 1994 AA.VV., La riduzione del danno, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1994 AA.VV., La tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, in “Italia Caritas Documentazione”, n.1, 1997 AA.VV., L’infanzia negata, Vecchio Faggio, Chieti Scalo, 1991 AA.VV., La moglie e la prostituta, Guaraldi, Firenze, 1975 AA.VV, Chi infetta chi?, in “Prospettive sociali e sanitarie”, n.2, 1994 AA.VV., Prostituzione, Rosenberg & Sellier, Torino, 1986 AA.VV., Le trafic des femmes immigrées à des fins d’exploitation sexuelle en Italie, in Migrations Societè, vol.9, n.52, juillet-aout, Ciemi, Paris, 1997 AA.VV., Toximane sexe. Masculin profession. Prostituè specialitè: hommes, Adato, Paris, 1984 AA.VV., Report finale attività TAMPEP 1993/1996, Commissione Europea - DG V, 1996 AA.VV., Report finale attività EUROPAP 1994/1996, Commissione Europea - DGV, 1996 ASPE, Speciale migrazioni, n.19/94 420 ASPE, Speciale schiavi o bambini, n.21/95 ASPE Rassegna, Prostituzione. Un mondo che attraversa il mondo, 1996. Raccolta di tutti gli articoli pubblicati dall’agenzia stampa Aspe su disagio pace e ambiente edita dal Gruppo Abele dal 1983 al 1995 ASPE, n. 5, Speciale Prostituzione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1989 Atti Parlamentari della Camera dei Deputati: relazione al Disegno di legge Nr.3240 presentato il 19/2/97 Baldaro Verde J., L’enigma dell’identità, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1991 Baldaro Verde J., Illusioni d’amore, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995 Barlay S., Schiavitù sessuale, Feltrinelli, Milano, 1995 Baudrillard Jean “Il delitto perfetto”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996 Belladonna J., Prostituzione, Savelli, Roma, 1979 Bertin G.(a cura di), Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali, Franco Angeli, Milano, 1995 Bianca, Diritto Civile, vol.1, Ed. Giuffrè, 1995 Blumir G. e Sauvage A. Donne di vita, vita di donne, Ed. Mondadori, Milano, 1980 Brussa L., progetto Città e prostituzione, 1995, analisi del primo anno di lavoro, Comune di Venezia Cabaia E., La repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione nella Convenzione di New York, in “Le nuove leggi civili commentate”, 1981 Caletti G., Rapporto prostituzione oggi, Ed. Calderini, 1986 Campani, G., Du Tiers Monde à l’Italie: une 421 nouvelle migration féminine, in “Revue Européenne des Migrations Internationales”, vol. 5, n.2, pp. 29-47, 1989 Campani, G., Donne immigrate, in Cocchi C. (a cura di), “Stranieri in Italia”, Bologna, Istituto Cattaneo, 1990 Canetti Elias, Massa e potere, Adelphi, Milano, 1994 Carcelli G., De Risi G., Prostituzione, Droga, Aids. Un’emer genza dal volto umano, Istituto Ricerche Economico-Sociali Placido Martini, Roma, 1994 Caritas di Roma, Immigrazione Dossier Statistico 1995, Roma, Anterm, 1996 Castelli V., Strade di un pianeta sconosciuto, CNCA Rapporti sociali - Prostituzione n.1, Comunità Edizioni, Capodarco di Fermo, 1997 Cian, Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, Ed. Cedam, Padova, 1997 CNCA, Progetto “Ionique – Occupazione: femminile plurale”, Capodarco di Fermo, 1995 Colombo Svevo M.P., Il ritorno della tratta di esseri umani, in “Aggiornamenti Sociali” nn.7-8/96 Commissione Comunità Europea, Sul traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, Bruxelles, 1996 Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Progetto di informazione Aids rivolto alle persone prostitute immigrate, Ministero della Sanità - Istituto Superiore di Sanità, Primo progetto di ricerca sugli aspetti etici, psicosociali, giuridici, comportamentali, assistenziali e della prevenzione nel campo dell’Aids, 1996 Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e MIT, Analisi sulla prostituzione e soluzioni 422 possibili, Documento in merito alle proposte di legge in materia di prostituzione, Pordenone, 1995 Comune di Bologna, Garantire alle donne il diritto a non prostituirsi, Bologna, 1994 Comune di Bologna, Progetto Prostituzione sicura, Bologna, 1996 Comune di Bologna, Moonlight Pr oject, Bologna, 1997 Comune di Modena, Progetto di prevenzione dall’infezione da HIV e dalle malattie sessualmente trasmesse nel mondo della prostituzione femminile, Modena, 1996 Comune di Rimini, Per una progressiva civilizzazione del rapporto tra città e prostituzione, Rimini, 1996 Comune di Venezia, Progetto Città e prostituzione, Venezia, 1995 Corso C., Landi S., Ritratto a tinte forti, Giunti, Firenze, 1991 Crespi, Stella, Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, Ed. Cedam, Padova, 1997 Cutrufelli M., Il cliente, Editori Riuniti, Roma, 1981 Cutrufelli R., Il denaro in corpo, Ed. Marco Tropea , Milano, 1996 Dallayrac D., Dossier prostituzione, Dellavalle, Torino, 1970 Da Pra Pocchiesa M., Ragazze di vita, Editori Riuniti, Roma, 1996 De Angelis R., Ghetti etnici e tensioni di vita, Ed. La Meridiana, Roma, 1991 De Beauvoir S., Il secondo sesso, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1962 De Barbès Violette, 50 ans de trottoir, Editions Alan Lefeuvre, Paris, 1980 De Rosa G., La prostituzione oggi in Italia, in 423 “La Civiltà Cattolica”, III, 1995 Del Mundo F., Il traffico di vite umane, in “Rifugiati” (rivista dell’ACNUR), Roma, ottobre/dicembre, 1995 De Stoop C., Elles sont si gentilles, Monsieur, Ed. La longue vie, Paris, 1993 De Stoop C., Trafficanti di donne, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997 Dimestein G., Bambine della notte, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1993 Farias De Albuquerque F., Jannelli M., Princesa, Sensibili alle foglie, Roma, 1994 Festinger Leon “Teoria della dissonanza cognitiva”, Franco Angeli, Milano, 1987 Fiandaca, Musco, Diritto Penale, Ed. Zanichelli, Bologna, 1996 Foucault Michel, Storia della sessualità, vol. I, II, III, Feltrinelli, Milano, 1991 Gay Meynier M., La prostituzione e i suoi problemi, Claudiana, Torino, 1970 Galimberti Umberto, Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano, 1994 Garbelli G., La prostituzione in Italia oggi, Paoline, Alba, 1973 Gibson M., Stato e prostituzione in Italia, Il Saggiatore, Milano, 1990 Iglebaek O., La Baltic Connection, in “Rifugiati” (rivista dell’ACNUR), Roma, ottobre-dicembre, 1995 IOM, Transit Migration in the Russian Federation, Ed. IOM, Budapest, 1994 IOM, Trafficking and Prostitution. 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Giuffrè, 1994 426 Rivisteria AGGIORNAMENTI SOCIALI - P.zza San Fedele n.4, 20121 Milano, tel.02/86352.212 - fax 02/86352.582 - ccp.32049207 - ED. San Fedele; ANIMAZIONE SOCIALE “Mensile di formazione per operatori sociali” - Via Giolitti n.21, 10123 Torino, tel.011/8142716 - fax 011/8395577 - ccp. 155101 - ED. Gruppo Abele Periodici; ASPE “Periodico di informazione su disagio, pace e ambiente” - Via Giolitti n.21, 10123 Torino, tel.011/8142716 - fax 011/8395577 ccp. 155101 - ED. Gruppo Abele Periodici; CNCA Informazioni - Via Vallescura n.47, 63010 Capodarco di Fermo (AP), tel.0734/672504 – fax 0734/675539 - ED. CNCA; DOCUMENTAZIONE ITALIA CARITAS - Viale Baldelli n.41, 00146 Roma, tel.06/5419224 fax 06/5410300 - ED. Caritas; FARSI PROSSIMO - Via San Bernardino n.4, 20122 Milano, tel.02/76037213.223 - fax 02/76021676 - ccp.37696200 - ED. Caritas Ambrosiana Coop. Oltre; FUORI ORARIO – Via Brofferio n.10, 20158 Milano, tel.02/3761692 – fax 02/33220278 – ED. Coop. Sociale contro l’emarginazione. IL DELFINO - Via Attilio Ambrosini n.129, 00147 Roma, tel. 06/54195216 - fax06/5407304 ccp. 86665007 - ED. CEIS; L’ALTRA FACCIA - Via Vallescura n.47, 63010 Capodarco di Fermo (AP), tel.0734/674888 – fax0734/674668 - ED. RES; NARCO MAFIE - Via Giolitti n.21, 10123 Torino, tel.011/8142716 - fax 011/8395577 - ccp. 155101 - ED. Gruppo Abele Periodici; 427 PARTECIPAZIONE (mensile della Comunità di Capodarco) – Via Lungro n.3, 00178 Roma, tel.06/7180569 – fax 06/7180197 – ccp. 10608636 – ED. Comunità di Capodarco POLITICHE SOCIALI - Via Vescovado n. 66, 35141 Padova, tel. 049/663800 - fax 049/663013 - ccp. 12106357 - ED. Fondazione Zancan; PROSPETTIVE SOCIALI E SANITARIE - Via XX Settembre n.24, 20123 Milano, tel.02/46764276 - fax 02/46764227 - ccp. 36973204 SERVIZI SOCIALI - Via Vescovado n.66, 35141 Padova, tel. 049/663800 - fax 049/663013 ccp. 12106357 - ED. Fondazione Zancan. Siti internet IUS e internet: primo organo di informazione giuridica su internet per operatori del diritto. Tramite questo sito si può accedere a fonti legislative (Gazzetta ufficiale) ecc.. http://www.jei.it/index.htm Sito della Regione Emilia Romagna: in questo sito sono riportati sinteticamente tutti i progetti sviluppati nell’ambito della prostituzione nella regione. Progetti di Comuni e AUSL per favorire la fuoriuscita dal mondo della prostituzione e fare prevenzione. http://www.regione.emilia-romagna.it/pre_stampa/servsoc/19961202_921.htm http://www.regione.emilia-romagna.it/ass_psociali/prost.htm 428 Legislazione contro la prostituzione infantile: interventi legislativi contro la prostituzione infantile. http://www.citinv.it/associazioni/MANITESE/men sile/696_15_1.htm Prostituzione, intervento dell’Arcigay-Arcilesbica contro la raccolta di firme – Prostituzione, intervento dell’Arcigay-Arcilesbica contro la raccolta di firme di Alleanza Nazionale a Bologna. http://www.gay.it/;grillini/prostituzione.htm CGIL – Prostituzione: L’impegno della CGIL – Sindacato e prostituzione. http://www.cgil.it/org.diritti/esclusio/pos_cgil.htm CGIL – Prostituzione e nuove schiavitù: una riflessione in tema di prostituzione, discussione del 10/11/94. http://www.cgil.it/org.diritti/esclusio/prostit.htm Prostituzione: prostituzione 20 settembre 1958 la legge Merlin liberalizza la prostituzione: Chiudono 560 case “aperte” con 2700 operatrici eros. http://www.goldnet.it/francomputer/prost.htm Progetto On the Road: Corso per Operatrici Sociale di Base per la Prevenzione della Prostituzione. http://www.teknet.rgn.it/wol/wo13/prost.htm GLI ALTRI editoriale periodico fondato da Rosanna Benzi sull’emarginazione e sulla prostituzione. http://www.publinet.it/editoria/glialtri/3/prost.htm1 429 IOM the Inter national Or ganization for Migration: si tratta di un’organizzazione internazionale con sede a Bruxelles che si occupa del fenomeno dell’immigrazione e della tratta. http://www.iom.ch/ http://www.iom.int http://comm.ch/doc/MIP-italy.htm http://home.pi.net/;notreg/backgr/italy/htm Progetto EUROPAP: rapporto finale e rapporto dei diversi Stati http://allserv.rug.ac.be/;rmak/europap/rapfin.htm1 5 EU Member State : The Netherlands http://home.pi.net/;notrf/backgr/netherl.htm 15 EU Member State: Italy http://allserv.rug/ac/be/;rmak/europa/rapita.htm1 http://home.pi.net/;notraf/backgr/italy.htm Progetti a livello di Comunità Europea: nel sito della CE è possibile alla voce DG5 (Direzione Generale 5) trovare dei materiali, documenti, programmi operativi, rapporti di ricerca sui temi della prevenzione dell’AIDS. Alcuni di questi progetti relativi alla riduzione del danno hanno interessato anche il settore della prostituzione. http://europa.eu.int/en/comm/dg05/health/ph/si da/prjects.htm http://europa.eu.int/en/comm/dg05/health/ph/si da/aidsmain.htm http://europa.eu.int/en/comm/dg05/home.htm 430 Postfazione Roberto Merlo* “Penoso è lottare contro il cuore ogni nostro desiderio si compra al prezzo della nostra anima” Eraclito E... domani? La questione irrisolta “L a prostituzione sempre c’è stata e sempre ci sarà”, questa frase l’abbiamo ascoltata molte volte durante i dibattiti o le discussioni che in questi anni si sono fatti, più o meno a sproposito, sul fenomeno in oggetto. Essa dovrebbe rappresentare una sorta di sintesi della saggezza popolare, un fatalistico e inaccettabile o realistico e pragmatico - a seconda della posizione ideologica di chi la ascolta - punto di non ritorno di ogni ragionamento intorno al fenomeno: la frase non solo infatti afferma l’impossibilità di eliminare il fenomeno, implicitamente ci dice anche che i tentativi di ridurlo significativamente sono vani . Ma se così è, perché chiunque, sia di destra o di sinistra, la utilizzi o la contesti, ne sente l’inaccettabile inevitabilità? I sentimenti infatti che l’accompagnano vanno dal senso di rassegnazione all’ira per la sua pregnanza di verità; ci si può ribellare o giustificare con quella frase, ma una cosa non si può fare: ignorarla Dopo aver letto i contributi, le esperienze e quant’altro di interessante v’è in questo libro, proprio quella frase continua a ronzarmi nella 431 testa come una questione irresolubile, fastidiosamente conclusiva da un lato e inaccettabilmente esplicativa dall’altro. Non credo che il fatto di essere maschio determini questo mio stato d’animo, ho presente quanto la contraddizione implicita in quella frase sia irrisolta anche nelle più interessanti riflessioni dell’altro genere, quanto, ad esempio, all’interno dei gruppi femministi, lo stesso fenomeno sia fastidiosamente o sbrigativamente rimosso... Ma proprio questa postura sia negli uomini che nelle donne permette la persistenza del fenomeno da un lato e il desiderio di “assassinarlo” dall’altro. Da un punto di vista analitico si dovrebbe parlare di una forma di invidia che si sviluppa in termini fantastici. So bene come questa categoria sia rifiutata e negata dalla riflessione importante e decisiva che le autrici di genere appunto hanno condotto [vedi per tutte Nadotti Maria 1996], però uso il concetto di invidia secondo l’accezione di Melanie Klein [1987] ( una donna non a caso) e che in sintesi si può riassumere con la distruzione illusoria dell’oggetto: “né per Dio né per il diavolo”. Non ci si può nascondere che nella nostra cultura il giudizio morale che viene dato sulla prostituta ha come premessa una visione della sessualità che divide il genere umano in due grandi categorie: coloro che “divertono” l’altro o lo stesso genere e coloro che sono “sacri” poiché si destinano alla perpetuazione della specie. La prostituzione è allora l’altra faccia della medaglia dell’esistenza del genere, quella da nascondere e appunto da invidiare in forma fantastica perché parte complementare di ciascuno di noi, parte altresì insopportabile e quindi desiderabile. 432 C’è dell’altro, tuttavia. E “quest’altro” non è questione di poco conto se è vero, come è vero, che la caratteristica di ineluttabilità in un fenomeno decide, più di ogni altra, ciò che sullo stesso si può dire, fare, pensare, agire, oggi e, soprattutto, domani. La domanda dovrebbe quindi essere posta così: la prostituzione è un elemento costitutivo della organizzazione sociale della nostra specie, come la pulsione alla vita, la tendenza alla concentrazione in gruppo, branco, massa, ecc.... o è una costruzione, un fenomeno che si è sviluppato a seguito di una serie di fattori combinatisi in un certo modo invece che in un altro, e quindi tutt’altro che ineluttabile? Più ancora provocatoriamente, il fatto che solo una minoranza di donne e uomini si prostituisca e la maggioranza non lo faccia è il frutto di un processo culturale e sociale che ha piegato un comportamento strutturale della specie regolamentandolo, o una devianza dall’organizzazione (in parole brutali siamo, in fondo, tutte/i puttane/i e solo alcuni non riescono a controllarsi o lo si diventa)? Dalla risposta che si dà a queste domande, solo apparentemente assurde, dipende cosa pensare e fare sul fenomeno e il suo domani, poiché appare evidente che se la prima opzione è quella vera, nulla in realtà si potrà mai fare per eliminare il fenomeno e, se è vera la seconda, è nelle nostre mani il potere di eliminarlo. Il fatto che in tutto il libro la tensione degli autori sia stata quella di cercare non tanto una risposta radicale alla questione di fondo quanto un più saggio e pragmatico tentativo di cercare concretamente cosa si può fare insieme, al di là della risposta alla questione posta, non va letto 433 come il segno della sua inutilità o impossibilità quanto come il tentativo di cercare una risposta attraverso un approccio indiretto: nel processo. In ciò che porta verso la soluzione di un problema molte volte vi è la conseguenza del modo con cui se ne sono affrontati, prima, solo alcuni aspetti parziali. Quando ci si pone però, giustamente, la domanda come evolverà il fenomeno (per progettare e programmare meglio il pensiero e l’azione), non ci si può ingannare sul fatto che, nel rispondere, decisivo è, appunto, la risposta sulla concezione che noi abbiamo della sua “natura”: il sistema di premesse con cui lo individuiamo. Alcune ipotesi sul modo migliore di procedere per trovare una strada che ci conduca a una risposta Nei capitoli che precedono questa post fazione sono state illustrate molte ipotesi eziogenetiche del fenomeno. Vorrei qui fare un tentativo di elencare le questioni che ad esse stanno sottese, iniziando a individuare alcuni concetti chiave che quelle presuppongono. Mi pare che alcuni dei concetti di cui stiamo parlando siano: il contatto, la differenza di genere, il potere, il mercato e la legge. Se guardiamo questo elenco il sospetto che la prostituzione sia parte costitutiva della società come organizzazione viene spontaneo: non sono infatti queste le questioni che vengono considerate come gli oggetti principali del contratto che le fonda? Considerare la prostituzione come metafora delle forme di contratto sociale ci appare una strada interessante da percorrere 434 Il contatto Iniziamo allora a cercare di comprendere su quale base il contratto sociale si è costituito ed evoluto per ciò che riguarda il prostituirsi. Per far ciò è necessario che esaminiamo un aspetto particolare del processo. Il sociale si costituisce con e attraverso i fenomeni di concentrazione [Elias Canetti 1994]. Il branco, la tribù, il villaggio, la città sono alcuni dei modi con cui la storia della nostra specie ha realizzato questi fenomeni. Le ragioni per cui ciò è avvenuto sono ancora poco studiate e approfondite, tuttavia alcune ipotesi appaiono per lo meno plausibili e utili al nostro discorso. Una di queste individua, come ragione di quei processi, la necessità di mantenere l’organizzazione interna della specie [Humberto Maturana e Francisco Varela 1985] . In sostanza, semplificando molto, l’ipotesi recita così: la sopravvivenza, o meglio la capacità della organizzazione della specie di gestire le minacce esterne e interne alla stessa, è data anche dalla concentrazione che la stessa è in grado di produrre nel suo territorio, nel suo locale. La questione è che ogni forma di concentrazione ha insito in sé un rischio altrettanto pericoloso per la specie quanto quello per cui si adotta questa strategia: il rischio di innescare i processi tipici di massa [Elia Canetti, op. cit.] Ogni concentrazione se non regolata e bloccata procede inevitabilmente verso uno sblocco a cui segue la frammentazione; insomma paradossalmente, ma a dire il vero non tanto, il concentrarsi ha al suo interno il rischio del frammentarsi, del disperdersi. Infatti la massa, di qualsiasi tipo sia o per qualsiasi finalità essa 435 sorga, sempre segue, se non regolata e bloccata, un ciclo che porta la concentrazione della stessa verso un evento (l’uccisione della strega o del re, la distribuzione dei pani e dei pesci, il linciaggio, ecc...) che ne scioglie la ragione di esistenza e ne comporta la frammentazione in individui. Ora ogni concentrazione ha un aspetto, tra gli altri che ha noi interessa particolarmente: il contatto. Non si dà infatti concentrazione di massa senza contatto. Quindi il contatto va regolato e bloccato. La forma di contatto più difficilmente regolabile e bloccabile è certamente quella legata alla sessualità. Foucault [1991] ci ha insegnato, tra l’altro, che proprio guardando lo sviluppo storico di questo particolare tipo di contatto è possibile comprendere come si sviluppa il comportamento e l’etica dell’uomo e della donna contemporanea: la regolazione infatti del piacere che questo contatto suppone, il blocco di alcune vie e l’averne, quindi, privilegiate altre (si pensi a ciò che lega il piacere e la costruzione sociale e culturale di ciò che oggi si intende per amore) e costituisce uno dei fondamenti della nostra attuale civiltà e organizzazione sociale. Appare, quindi, una ipotesi plausibile che la prostituzione (attraverso le mille forme con cui nei secoli e nelle culture si è realizzata, da quelle sacrali a quelle ora più conosciute: le mercantili) sia una forma di regolazione del contatto sessuale e una forma di suo blocco. Sappiamo però bene che ogni spiegazione delle realtà complesse, quando appare coi caratteri della necessità, è sicuramente erronea. Vediamo quindi quali sono i punti deboli di questo nostro modo di ragionare proprio per436 ché ci permetteranno di complessizzare le ipotesi che esso tende ha presentare. La differenza di genere Il primo punto debole di questo ragionare sta nel fatto che i sistemi di regolazione dei processi di contatto riguardano in prima istanza i fenomeni di aggressività e la sessualità non può, sic et simpliciter, essere pensata come una forma di quest’ultima. Questa osservazione ci permette però di considerare la questione dal seguente punto di vista: la prima fonte di aggressività sta nella differenza di genere. Questa differenza ha costituito, come ogni differenza fondante, fonte di potenziale minaccia e, come tale, andava risolta. Basta leggere Erich Neumann [1978] per darsene conto: il passaggio dalla grande madre alla costruzione dell’io suppone la sua uccisione e la trasformazione dei miti fondanti dall’Uroborus all’eroe (dal generare che uccide il generato per generare nuovamente senza che quell’io possa svilupparsi, alla piena affermazione di quell’io attraverso il mito dell’eroe che uccide i generatori : il padre e la madre). La soluzione che questo processo ha trovato, nelle società occidentali, e non solo, è stata, semplificando molto, quella di definire la supremazia, quindi, del genere maschile in quanto archetipo del modello fondante la stessa: l’eroe appunto. Non occorre infatti molto argomentare per dimostrare che i miti fondanti la nostra cultura sono quelli non tanto di Dioniso né tanto meno di Prometeo incatenato quanto quelli di Apollo 437 e Eracle [Umberto Galimberti 1994]. L’ordinare della ragione ha prevalso sul gioco della follia, Apollo ha prevalso su Dioniso, anche se il primo non esisterebbe senza il secondo, come la follia è contrappunto dell’ordinare della ragione; d’altro canto la trasgressione punita, Prometeo, ha perso di fronte alla cieca obbedienza al proprio sicuro destino di Eracle, anche se è proprio quest’ultimo che, non ha caso, nel mito, lo libera dal supplizio e gli consente di diventare come lui (metafora della assoluta necessità degli opposti in ogni evento pensiero o agito che venga dall’uomo). Il modello infatti che tutti noi perseguiamo anche quando cerchiamo di opporvicisi è quello del maschio forte e vincente capace di perseguire il suo scopo (essere dio o, meglio, semidio) senza alcun tentennamento o scrupolo, intangibile dall’esistenza dell’altro genere sotto qualsiasi profilo, vittorioso sulla morte e su tutte le sue simbolizzazioni: dal dolore alla malattia, superiore agli affetti e tutto sommato giudice di se stesso... All’eroe la prostituzione, maschile o femminile che sia, è perfettamente funzionale, in fondo non lo coinvolge e gli permette di essere anche sulla sessualità dominante. I sentimenti sono infatti ciò che rischiano di perderlo, meglio, molto meglio, una tipologia di relazione con l’altro o con lo stesso genere che gli consenta il minimo di rischio di trovarsi coinvolto nelle passioni che non siano quelle definite dal suo destino radioso: meglio un matrimonio combinato , una relazione anaffettiva, ecc.... Insomma per affermare la supremazia di un genere sull’altro è necessario regolare la relazione con il secondo “squalificando” le forme che 438 per quello sono fondanti: la mitezza, la ciclicità della concezione della vita, il piacere... l’esatto contrario delle caratteristiche del genere maschile vincente, dell’eroe. Curioso d’altro lato constatare che in molti miti eroici sono proprio le donne che fanno l’eroe e nel contempo tentano di ucciderlo senza ovviamente quasi mai riuscirci completamente, ovviamente! La prostituzione appare una forma, se non addirittura paradigma , di realizzazione perfettamente congruente con i processi descritti e come tale “necessaria” all’esistenza dei miti dominanti che connotano la nostra civiltà e organizzazione sociale. Il potere Un secondo punto debole sta nel fatto che il motore dei processi di blocco della concentrazione, se questi, come abbiamo detto, si fondano sul principio dell’autopoiesi, è sicuramente la gestione della minaccia delle minacce: la morte. Il contatto con la morte è ciò che metterebbe in crisi qualsiasi organizzazione. Ciò è così vero che le strategie (soprattutto religiose e quindi culturali) della specie nei confronti di questo altro “inevitabile” sono state motore delle nostre civiltà. Il culto dei morti è uno delle chiavi di lettura più interessanti per leggere lo sviluppo di quest’ultime. La questione, inoltre, è che una concentrazione di massa ha, con questo irriducibile, una relazione particolare: la morte dell’altro infatti è un cristallo di massa da sempre, ma anche la fine della massa stessa (la morte della vittima 439 innocente concentra più di tre miliardi di individui, mi riferisco alla recente scomparsa di Diana d’Inghilterra, ma il suo funerale li disperde). Ora la morte appare, come fenomeno, qualche cosa che nulla ha a che fare con la prostituzione. Vedremo che non è così. Da un lato infatti, se consideriamo il fatto che un eros autenticamente e irriducibilmente eros suppone un thanatos altrettanto autentico e irriducibile, potremmo affermare che, se è vero ciò che abbiamo testé affermato, la regolazione e il blocco dell’eros suppone la regolazione e il blocco del thanatos. Ora nulla è più capace di evidenziare il thanatos del nascere, dell’essere generati (si incomincia a morire quando si nasce). Il potere del generare è del femminile: regolare e bloccare il femminile appare un modo per regolare e bloccare l’irriducibilità del thanatos e dell’eros (o per lo meno illudersi di riuscire a farlo). Dall’altro (ed è la questione che più qui ci interessa) la morte è matrice di ogni forma di potere (il massimo del potere infatti sta nel dare e togliere la vita, solo che il darla non è nelle mani dell’uomo mentre il toglierla si). Il potere è anche una forma di regolazione e di blocco dell’alterità. Ciò che è altro da noi è potenzialmente una minaccia alla nostra organizzazione, il potere sull’altro è una forma di controllo di quella potenzialità. Il potere è anche quindi una forma di regolazione e blocco della morte. Dio non a caso è onnipotente e immortale allo stesso tempo. Ora la prostituzione è metafora nella uccisione di ogni forma di alterità poiché questa è negata due volte e da entrambi gli attori. Per la prostituta l’altro, il cliente non esiste se non 440 come cosa ed essa stessa non esiste nella relazione con l’altro nell’atto del prostituirsi, non a caso si dice che finge. Per il cliente la prostituta non esiste in quanto altro ed anch’egli non è ciò che è quando è con una prostituta , non a caso si dice che s’illude. La prostituzione appare davvero come una forma perfetta di negazione del desiderio e nello stesso tempo una forma di realizzazione dello stesso (non dimentichiamoci che il desiderio nella nostra cultura è una minaccia più che una possibilità e, se non è coerente con il destino dell’eroe, è ammesso solo come oggetto “clandestino” !). Dunque l’altro in quanto altro e io in quanto io si negano reciprocamente. Per negare l’altro (forma metaforica dell’ucciderlo) devo avere almeno l’illusione del potere. Pochi comportamenti danno l’illusione del potere dell’uno sull’altro e viceversa. Per far ciò però è necessario che l’oggetto in gioco sia virtuale, sia irreale. La sessualità nella prostituzione come l’eros è totalmente virtuale. Nella prostituzione tutto è illusione. Non mi si fraintenda, quando affermo ciò, ho ben presente la materialità brutale del fenomeno, la parte bestiale che esprime. La forma attraverso cui la esprime, però, è regolata e bloccata, tant’è vero che quando così non è scattano immediatamente (chissà perché solo in questi casi) i siatemi di sicurezza sociale: i progetti prostituzione. Questi infatti null’altro sono che una forma di regolazione e blocco del degenerare (dal virtuale al reale) del fenomeno: quando la donna o l’uomo è costretto dalla violenza fisica a prostituirsi o quando la violenza fisica del cliente esce dai canoni accettabili allora si dà l’intervento, per prevenire o ricondurre a regola... D’altro 441 lato ciò che resta sempre incompiuto è il desiderio di possedere - uccidere l’altro con il proprio corpo . Un desiderio bloccato e regolato non è più una minaccia. Il cerchio è perfetto! Il mercato Abbiamo detto, esagerando un poco, che nella prostituzione tutto è illusione; vorremmo continuare questo ragionamento dimostrando come, questa affermazione, contenga parti di verità se si considera cosa è oggetto reale di scambio in questo fenomeno. Ci si prostituisce per denaro. Più autori hanno sottolineato che la prostituzione è un mercato. Il denaro è un feticcio, una reificazione della offerta agli Dei in cambio della loro benevolenza una riduzione in fin dei conti a scambio di tutto ciò che è “naturale”. Bene, ora pochi oggetti reali sono più virtuali del denaro e quest’ultimo è ciò che è perché ha come suo luogo un altro oggetto oggi più che mai virtuale e quindi reale : il mercato. Vale la pena considerare come la connotazione di virtuale data al fenomeno lo renda oggi più che mai reale. Dice Jean Baudrillard [1996] (e non solo lui) che la dominazione del virtuale nella nostra cultura è tale che si sta compiendo un delitto perfetto : l’uccisione della realtà. La domanda quindi è: cosa si uccide attraverso il fenomeno della prostituzione, cosa da sempre si è ucciso? Alla prima domanda è più facile rispondere (anche se so che la risposta che ora sinteticamente indicherò farà arrabbiare quei pochi lettori che saranno giunti sin qui a leggere questo 442 scritto): l’amore (per ciò che si intende oggi con questo termine, sia chiaro, non tanto per il suo significato originale). L’amore nella nostra cultura è la follia necessaria, quando si manifesta come illusione, che giustifica e rende nobile molte delle brutture di cui siamo protagonisti. Ma l’amore in realtà è un pericolo per la organizzazione sociale così come noi la conosciamo. L’amore suppone un cambiamento interno, un terremoto della propria organizzazione mentale e sentimentale, una perdita di controllo e di potere, ecc... che è meglio che venga regolato e bloccato il più possibile. E’ un fenomeno della serie se lo conosci lo eviti, se non lo conosci cerca di continuare così, se ti capita cerca di guarire il più presto possibile... L’amore ovviamente suppone la pienezza dell’esistenza dell’altro in quanto altro e indipendentemente dalla rappresentazione che io posso farmi di lui controllandolo prevedendolo e manipolandolo, implica anche un con-promesso, la responsabilità che da questo deriva... Pericoloso, molto pericoloso! Perché allora, qualcuno potrebbe obiettare, appare come paradigma del nostro modo di pensare la vita? Lungi dal pensare di avere una risposta a una domanda così difficile, penso però di poter formulare una ipotesi che sia utile per il nostro ragionare sul fenomeno della prostituzione. L’ipotesi è questa: per il modello “Apollo Eracle” (il modello dell’eroe di cui sopra) il sentimento dei sentimenti deve essere da un lato astratto (nel significato corrente e originale del termine: a-stratto) e dall’altro, essendo la sua utopia, deve essere affermato (nel significato 443 corrente e originale del termine). Per dirla in termini più semplici: Eracle non può amare nessuno nemmeno se stesso (se lo facesse manderebbe a quel paese gli Dei, le fatiche e si ritirerebbe a coltivare musica e patate) ma non può non amare se stesso nella forma che ha, come destino - desiderio d’essere come gli Dei (e il carattere virtuale di questo destino è il motore che lo fa esistere come Eracle). Ora se ciò che stiamo dicendo contiene un po’ di verità, potremmo azzardare che nella nostra cultura l’amore è potenzialmente una dissonanza psichica e materiale, individuale e sociale che abbiamo imparato a contenere attraverso forme di autoinganno [vedi Leon Festinger, 1987]; la metafora di Ulisse ne è uno splendido esempio. La prostituzione è una di queste forme di autoinganno. Non è difficile dimostrare che questa definizione ha del vero: quante volte è accaduto a chi lavora nel “settore” di trovarsi di fronte a prostitute che chiedono di uscire dalla loro condizione e poi fanno di tutto per ritornarci, quante volte è accaduto di incontrare persone insospettabili, di ferrea moralità, splendidi esempi di padri e sacerdoti, lungo i viali dove stanno le meretrici... autoinganno appunto. E ancora una osservazione mi si permetta rivolta a coloro che non accettano la parziale verità di questa affermazione: Pretty Woman ci ha fatto piangere tutti. In realtà essa ci ha combinato tutto ciò perché ben sappiamo che è del tutto virtuale. Di Pretty Woman, nella vita concreta, ve ne sono quasi nessuna... Ciò che si vede nella vita reale è l’illusione del riscatto e il suo altissimo costo in termini di 444 negazione della propria identità, quasi sempre da parte della donna, in cambio di un simulacro di amore. Ciò che ci si scambia allora attraverso il virtuale del denaro è un autoinganno, la possibilità di saldare, con un atto, la dissonanza interna che viviamo rispetto all’amore inteso come accettazione senza condizioni dell’altro in quanto altro. La legge Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo mio ragionare prescinde dai problemi concreti, che in fondo sono io astratto dalla realtà del fenomeno, vorrei allora affrontare un argomento concreto dei molti che sono presenti in questo libro, ovviamente dal punto di vista con cui sto riflettendo sul fenomeno, per dimostrare che questo non è così astratto come forse qualcuno dei lettori lo può percepire. Il più adeguato è la questione della legge. Non ho competenze giuridiche per entrare nel merito ma qualche esperienza e riflessione. Molto è già stato detto nei capitoli che precedono questa post fazione, mi si permetta soltanto di porre una domanda e di tentare una risposta: perché occorre una legge sulla prostituzione? So che sono molte le risposte più che valide, le trovate espresse o sottese a molte argomentazioni presenti sul tema in questo libro: tutelare i diritti delle donne e degli uomini che si prostituiscono, tutelare il diritto individuale e renderlo compatibile con il diritto collettivo, ecc.... In qualche modo però tutte le argomentazio445 ni sulla necessità della legge si rifanno a questioni di principio (persino quelle di coloro che vogliono sancire un mestiere e affermare la priorità del principio pragmatico sugli altri... si rifanno appunto a un principio). Quando, però, si parla di principi e li si vuol tradurre in legge sappiamo tutti molto bene che possono sorgere guai. La storia della legge Merlin insegna... Il problema è che i principi, non sempre e non tutti, si possono tradurre in legge senza incorrere nella produzione di contraddizioni peggiori, a volte, di quelle che si tentano di risolvere... per legge. La domanda allora che sorge spontanea è: a quali principi possiamo riferirci nel trattare il fenomeno in modo tale da non cadere in questa trappola? A me pare che per lo meno a tre principi etici ci si possa riferire: il principio che afferma il diritto alla cura di chiunque, indipendentemente dalla sua condizione, comportamento, credenza ecc...., il principio della tolleranza o della mitezza e il principio della carità. So bene che debbo definire e precisare per evitare di essere riaccusato di astrazione, incominciamo dal primo. Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la cura: la capacità della organizzazione sociale nelle sue varie forme di privilegiare, prima di ogni altro atto o pensiero, l’attenzione alla dignità e alla esistenza di tutti gli “altri” che costituiscono il fenomeno: prostitute, clienti, contesto. Sento già le obiezioni, “ma come, adesso dobbiamo anche preoccuparci dei clienti o dei cittadini che fanno le ronde contro le prostitute, oppure, ma come adesso dobbiamo 446 anche preoccuparci del diritto di esistenza e della dignità delle prostitute...” sin che non usciremo da queste modalità di discorso credo che sul fenomeno agiremo soltanto producendo guai. Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la tolleranza intesa accettazione dell’altro in quanto altro, indipendentemente dal giudizio che ho su di lui. Ogni legge dovrebbe garantire, quindi, che le forme del fenomeno e la sua collocazione all’interno del sociale non violino il diritto all’esistenza degli attori e del conflitto di cui essi sono portatori. Costruire zone nelle nostre città dove, in forma autogestita, si esercita la prostituzione, se è un modo per rendere più degna la vita e la relazione tra gli attori in gioco, va bene, se è un modo per togliersele dalla vista e controllarle meglio è un sopruso e una negazione del diritto. Sento già le obbiezioni: ma come la legge dovrebbe discriminare tra le intenzionalità, ecc.... Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la carità intesa come... Le obiezioni sono diventate assordanti: “ci manca ancora la carità, qui si fa confusione di piani”. Bene se la legge non può su questo fenomeno garantire dei principi allora che la si interpreti come definizione di un contratto tra potenti che affermano la loro supremazia, il loro autoinganno sulla parte debole del fenomeno, ma lo si faccia, per lo meno, con il pudore di non mettere in ballo valori e quant’altro, lo si faccia con la brutalità e la semplificazione della violenza che sta alla base dell’autoinganno più grande: quello di voler regolamentare e 447 bloccare un fenomeno che per sua natura è regolamentazione e blocco funzionale all’esistenza del sistema sociale in cui, pur lamentandoci, tanto bene viviamo. Conclusioni Avevamo iniziato con una domanda, a cui, a questo punto, occorre dare una risposta seppur parziale e finalizzata a continuare la riflessione. Il tenore della risposta potrebbe essere questo: data la organizzazione sociale, i modelli prevalenti della cultura e i principi etici dominanti, la prostituzione è un fenomeno strutturale della nostra società e, quindi, la frase di cui all’inizio non è uno stereotipo ma solo una semplificazione di un fatto irriducibile. Per essere più chiari, la conclusione a cui si giunge implica che, senza il fenomeno della prostituzione, la nostra organizzazione sociale e la nostra cultura entrerebbero in una crisi tale da poter compromettere la loro stessa esistenza. Quindi il comportamento sociale, al di là di ciò che mostra in realtà, lavora per mantenere il fenomeno e non certo per eliminarlo poiché esso rappresenta, anche per il suo futuro, una delle garanzie di sopravvivenza. Pensare il contrario significa far parte dei produttori di un virtuale alienato dalla realtà storica e quindi contribuire, proprio pensando il contrario, ad affermare ciò che siamo venuti sin qui dicendo nelle conclusioni. Che ad alcuni tra cui il sottoscritto appaia insopportabile questa conclusione è più che comprensibile, pur tuttavia non se ne intravede altra. 448 Certo c’è quella premessa “data la organizzazione sociale, i modelli prevalenti della cultura e i principi “etici” dominanti” che potrebbe far pensare, a chi sente inaccettabile la conclusione, che esista una strada per uscirne, ribaltandola. Certo nel regno di utopia o dei cieli o nel mondo che verrà forse questo è vero, oggi e domani no. Ciò non significa che uno non possa pensare legittimo lavorare per realizzare questo dopodomani, personalmente penso che questo è il sogno che dà senso alla mia esistenza, la questione però è un’altra. La questione può essere formulata nel seguente modo: dato ciò che abbiamo affermato, come possiamo realizzare comportamenti e strategie che realizzino quei principi di cui abbiamo parlato? Nel libro vi sono molte indicazioni in proposito, vorrei limitarmi qui ad alcune osservazioni complementari. Credo che non occorre essere profeta per predire che il fenomeno della prostituzione, soprattutto quella dai paesi meno ricchi, sarà un dato endemico per i prossimi decenni. Si impone come atto di cura una strategia preventiva che miri a tre obiettivi: il primo è quello di dare alle donne e agli uomini di quei paesi per lo meno informazioni adeguate a consentire una “scelta” non costruita sul virtuale dei mass media o della rappresentazione che in quei luoghi si ha dell’occidente. Un secondo è quello di impedire il più possibile che questo mercato sia esclusivo possesso delle grandi organizzazioni criminali. Per far ciò, accanto alle forme di legalizzazione della prostituzione, occorre concentrare gli sforzi 449 repressivi contro gli aspetti economici del fenomeno criminale. Infine occorre puntare molto di più sul lavoro sui clienti. Questo aspetto, non a caso, è stato trascurato quasi in tutti i progetti di intervento nel campo. Lavorare sui clienti significa però abbandonare, per quel che hanno dimostrato di servire..., ogni forma di dissuasione fondata su atti persecutori. A parte la loro scarsa efficacia, essi quasi sempre contribuiscono a sommergere il fenomeno e a renderlo quindi più facilmente gestibile proprio da quelle grandi organizzazioni criminali di cui sopra. Il fenomeno inoltre, molto probabilmente, si esprimerà, sempre più, attraverso forme altamente differenziate a seconda delle condizioni materiali e culturali dei paesi che si considerano, ma con una tendenza comune: la ricerca nel mercato di prostitute e prostituti sempre più giovani e la tendenza a costruire rapporti di prostituzione basati su elementi di forte sadismo. L’attuale cinematografia ha più volte sottolineato questa tendenza. Possedere per “uccidere” un corpo giovane come espressione di un desiderio patologico di esorcizzare sia il desiderio di essere giovani sia l’impossibilità di esserlo, realizzare attraverso un eros psicopatologico l’illusione di un dominio su thanatos, questi e molti altri sono gli elementi incontrollati che si stanno tramutando in comportamenti di masse sempre più grandi di uomini ma anche di donne. La prostituzione virtuale su internet appare la forma estrema di questa tendenza. Si fa l’amore attraverso il virtuale ove tutto è permesso tranne un piccolo particolare: avere un corpo e quindi avere un’anima. Svelare il sommerso appare quindi la forma 450 attuale che può realizzare il principio di cura così come lo abbiamo definito. Da questo punto di vista le proposte di legalizzazione sono una delle armi. Altrettanto importante a me appare il cercare di riprendere la riflessione sul fenomeno che esca assolutamente dalle attuali modalità di costruzione di immagine dello stesso. Il danno che si è fatto e il sadismo implicito che si è sviluppato, in questi ultimi tempi, con il far apparire la prostituzione nei vari talk show che pretendono di approfondire il discorso sui fenomeni umani, è stato rilevante. Bisognerebbe invece approfondire molto di più le radici profonde del fenomeno e costruire con i diversi attori sociali una nuova cultura intorno allo stesso, rifiutandosi sistematicamente di farlo apparire nei templi del virtuale. Occorre amare * Roberto Merlo è psicoterapeuta e formatore, consulente del Comune di Bologna per le Politiche sociali. 451 452 APPENDICE IL C.N.C.A. L’ASSOCIAZIONE ON THE ROAD IL PROGETTO “IONIQUE - OCCUPAZIONE: FEMMINILE PLURALE” 453 454 Il C.N.C.A. Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza Vincenzo Castelli Premessa I l C.N.C.A. è una organizzazione di livello nazionale che federa 202 gruppi (associazioni no profit e cooperative sociali) a carattere locale, con un coordinamento a carattere regionale (7 aree regionali). 17 gruppi aderenti al C.N.C.A. hanno anche un livello europeo e mondiale (attraverso proprie ONG e reti proprie). La federazione C.N.C.A. partecipa anche ad altre organizzazioni, di livello nazionale, quali Mo.VI. (Movimento Volontari Italiani), Cesc (Coordinamento Enti Servizio Civile), Centrali Cooperative, L.I.L.A. (Lega Italiana Lotta all’AIDS), Banca Etica, C.I.S. (Compagnia Investimenti Sociali), CILAP... 1 Lavorano nel C.N.C.A. 8.607 persone (di cui 4.360 maschi e 4.257 femmine, con 1.983 dipendenti a contratto, 958 a prestazione professionale, 869 cooperatori, 2.241 volontari). La federazione nasce giurdicamente nel 1986 pur avendo iniziato il proprio lavoro nel 1980. 1 I dati di riferimento sono aggiornati al 31.12.1996 455 I principali obiettivi del C.N.C.A.2 1. Superamento delle diverse forme di disagio sociale 2. Centralità della persona e del territorio dove le persone vivono 3. Comunità di Accoglienza come laboratorio di sperimentazione di nuova vivibilità sociale 4. Comunità di Accoglienza come crocevia di reti sociali (pubblico-privato, nord-sud, operatori-utenti, professionisti-volontari...) In particolare possiamo dire che a partire da tali obiettivi gli interventi del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza non si sono posti come esperienze appartate dal contesto della vita quotidiana dei cittadini, offrendo magari soluzioni miracolistiche ed alternative, ma cercando di coniugare l’esperienza del disagio all’interno dei processi di normalità sociale, nel cui scenario impiantare la produzione di una nuova qualità della vita. In questa prospettiva ci si è misurati nell’attivazione di progetti sociali, nel tentativo di recepire i problemi sociali e metterli in una circolarità globale, facendo confluire in essa tutte le risorse di analisi del bisogno, di prevenzione al bisogno stesso e di risposte, siano esse derivanti dagli apparati dello Stato, che dai gruppi del volontariato, che dai singoli cittadini. La proposta di porsi in una progettazione sociale ha determinato, necessariamente, una svolta significativa che certamente ha modificato il modello referenziale delle comunità stesse. 2 Cfr. Documento programmatico 1982 456 Essersi poste in un percorso sociale ha significato infatti: ˙ ridare dignità, capacità e competenza al contesto dove il disagio è stato colto, stigmatizzato, sintomatizzato avendo colto i nessi causali di tale disagio; ˙ lavorare sull’intero percorso che dall’esperienza di normalità sociale è passato dapprima attraverso il mondo della differenza e della diversità, per approdare poi in quello del disagio e dell’emarginazione e che è finito in quello della devianza; ˙ produrre interventi programmati, strategici e sinergici che potessero dare unitarietà a processi preventivi, riabilitativi, curativi, formativi, occupazionali, imprenditoriali; ˙ creare capacità e competenze, attraverso percorsi formativi adeguati, sia per chi interveniva sul disagio sia per chi veniva dal disagio; ˙ attivare un rapporto positivo e significativo con i servizi pubblici che permettessero interventi integrati e trasversali; ˙ determinare un sistema di valutazione dei prodotti, cogliendone il rapporto costo/beneficio, domanda/offerta, disagio/agio, sintomo/causa, obiettivi/procedure, ... ˙ creare un sistema di monitoraggio delle esperienze realizzate dalle comunità per impiantare processi paradigmatici fruibili a livello nazionale. 457 In effetti i progetti sociali avviati dal C.N.C.A. hanno permesso di fare sintesi, rilanciandone le potenzialità, sugli interventi realizzati dalle singole comunità di accoglienza in questi ultimi anni. Possiamo infatti dire, in una immagine suggestiva, che le comunità di accoglienza rappresentano una sorta di “laboratorio sociale” in cui sono create nuove progettualità e nuovi profili professionali. Le azioni sviluppate dal C.N.C.A. sono: ˙ Gestione di servizi sociali ˙ Formazione ˙ Informazione ˙ Imprese sociali ˙ Ricerca sociale I tar get a cui si rivolge maggiormente il C.N.C.A.3 sono i seguenti: 1. Tossicodipendenti (6.273 accolti) 2. Minori in difficoltà (3.199 accolti) 3. Adolescenti a rischio (1.612 accolti) 4. Portatori di handicap (633 accolti) 5. Immigrati (632 accolti) Il C.N.C.A. pubblica bimestralmente la rivista “C.N.C.A. Informazioni”, ha una propria collana editoriale (Comunità Edizioni). Possiede una propria rete telematica “dedicata” (C.N.C.A.-net) che collega tutti i gruppi del coordinamento. 3 I dati di riferimento sono sempre al 31.12.1996 458 L’associazione On the Road Vincenzo Castelli Premessa L’ Associazione di volontariato “On the Road”, iscritta all’Albo regionale del volontariato della Regione Abruzzo dall’anno 1994 ed al Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.), opera dall’anno 1990 nell’ambito di interventi diversificati a favore di prostitute di strada (particolarmente extracomunitarie). L’associazione svolge il suo intervento in, ed intorno a quello che da decenni è stigmatizzato come il luogo classico della prostituzione locale: la Strada Provinciale Bonifica, che, partendo dalla costa di San Benedetto del Tronto si inoltra verso l’interno, costeggiando le due provincie di Teramo, in Abruzzo, e di Ascoli Piceno, nelle Marche. Insieme a travestiti e transessuali latino-americani e ad alcune prostitute autoctone (soprattutto tossicodipendenti), centinaia di prostitute immigrate, soprattutto Nigeriane, Albanesi, dei Paesi dell’ex Unione Sovietica e di altri Paesi dell’Est popolano la Bonifica. Dall’intervento diretto sulla strada, l’azione dei volontari è andata strutturandosi creando una vera e propria rete, una rete sommersa. 459 I principali obiettivi dell’Associazione On the Road 1. Presenza attenta e rispettosa sulla strada 2. Centralità della ragazza prostituta (o prostituita) 3. Intervento sociale polivalente (lavoro di strada - accoglienza e presa in carico - orientamento e accompagnamento verso l’autonomia) 4. Coinvolgimento delle reti istituzionali, del privato sociale e della comunità locale Le azioni sviluppate dall’Associazione On the Road 1. Progettazione e realizzazione di interventi nell’ambito della prostituzione di strada 2. Esperienze formative “ad hoc” (in particolare corsi per operatrici sociali nell’ambito della prostituzione) 3. Presenza in reti nazionali (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, Caritas Italiana) 4. Lavoro d’impatto, per la creazione di sinergie significative, con le pubbliche istituzioni (Enti Locali – Prefetture - Ministeri) e Forze dell’Ordine (Questura - Carabinieri...) 5. Contributo all’avvio di un dibattito politico sul problema della prostituzione extra-comunitaria nel territorio abruzzese-marchigiano (il tema della violenza, della tratta, delle malattie a trasmissione sessuale, della criminalità, della sicurezza, della clandestinità, dei permessi di soggiorno...) 6. Lavoro di strada (Strada Provinciale Bonifica - costa Adriatica nell’asse MartinsicuroAlba Adriatica) caratterizzato dai seguenti interventi: 460 ˙ prevenzione sanitaria (informazioni su malattie a trasmissione sessuale - HIV - igiene) ˙ informazione sociale (problemi giuridici penali - documenti - occupazione...) ˙ aggancio per interventi diversificati (colloqui informali, assistenza psicologica, accompagnamento ai servizi) 7. Gestione dell’emergenza (sistemazione delle ragazze, che chiedono di uscire dal giro della prostituzione, in micro-strutture di accoglienza adeguatamente preparate). In tali unità di accoglienza le ragazze possono fruire dei seguenti servizi: ˙ vitto e alloggio gratuito ˙ assistenza sanitaria ˙ assistenza psicologica ˙ alfabetizzazione della lingua italiana ˙ inserimento ergoterapeutico ˙ avviamento al lavoro 8. Creazione di reti di solidarietà sociale per l’inserimento di tali utenze (contatto con categorie sociali: avvocati, medici, infermieri professionali, datori di lavoro, psicologi, assistenti sociali, educatori, religiosi...). 461 462 Il Progetto “Ionique - Occupazione: femminile plurale” Marco Bufo Premessa L’ Associazione On the Road, nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW, realizza il Progetto “Ionique Occupazione: femminile plurale”, di cui è titolare il C.N.C.A. - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e che l’Associazione svolge in quanto gruppo ad esso federato. La creazione di un settore come NOW nel quadro dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE, non è certo casuale né residuale a fronte di uno scenario europeo in cui, in diversa misura, le donne non solo sono fortemente sottorappresentate ai livelli più alti delle cariche politiche, istituzionali e manageriali, ma incontrano le maggiori difficoltà per una piena partecipazione a tutti i livelli del mercato del lavoro. In Italia i dati di tale generale condizione sono particolarmente preoccupanti, evidenziando come il grado di partecipazione delle donne al lavoro sia molto più basso sia rispetto agli uomini che rispetto alla media delle donne europee. In questo contesto le donne immigrate vivono le condizioni di maggior svantaggio assommando alle difficoltà citate quelle derivanti dalla posizione di immigrate, sinonimo spesso di clandestinità, assenza di tutele, emarginazione e 463 assoggettamento a violenze e rischi di ogni genere. Spesso il canale di immissione, sommerso ma per altri versi ben visibile, diventa dunque quello del mercato del sesso. Vere e proprie organizzazioni criminali di diverse dimensioni gestiscono la tratta di donne, il più delle volte giovanissime, avviandole alla prostituzione. E’ proprio in questo scenario di emarginazione estrema che l’associazione (che non a caso si chiama “On the Road” ) opera, ed è qui che si svolgono le azioni del progetto. Il Contesto Il progetto viene a realizzarsi in, ed intorno a quello che da decenni è stigmatizzato come il luogo classico della prostituzione locale: la Strada Provinciale Bonifica, che partendo dalla costa di San Benedetto del Tronto si inoltra verso l’interno, costeggiando le due provincie di Teramo, in Abruzzo, e di Ascoli Piceno, nelle Marche. Le presenze più forti sono quelle di giovani donne Albanesi, Nigeriane, dei Paesi dell’ex Unione Sovietica e di altri Paesi dell’Est europeo. E’ in questa frontiera che nasce ed opera l’Associazione On the Road (si veda il capitolo precedente). Gli Obiettivi Il progetto, avviato nel luglio del 1996 e con464 cludentesi nel 1998, come si può desumere dal titolo, ha inteso valorizzare il termine “occupazione” per le donne, dandogli una nuova dignità ed estendendolo nella sua trasversalità e “pluralità”, al di là delle barriere e delle marginalizzazioni. Esso si è posto dunque i seguenti obiettivi, definiti da diversi punti di vista. ˙ Offrire un’opportunità diretta e concreta di integrazione sociale e di inserimento lavorativo a giovani donne immigrate ex-prostitute Come detto, le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, già notevoli per le donne in generale, si accentuano nel caso di donne immigrate e sembrano insormontabili quando si tratta di immigrate ex prostitute. Alla carenza di spazi occupazionali nel mercato del lavoro e alle svariate limitazioni di diverso ordine cui sono soggette le donne, si aggiungono le difficoltà legate alla condizione di essere immigrate. Queste difficoltà non sono legate soltanto al fatto di trovarsi in un diverso contesto linguistico e culturale o di avere precari strumenti materiali o culturali per cogliere eventuali opportunità di inserimento, ma sono determinate anche, ed in misura non trascurabile, da pregiudizi più o meno sommersi e da non poche strettoie legali e burocratiche. Offrire un’opportunità diretta e concreta di integrazione sociale e di inserimento lavorativo a giovani donne immigrate ex prostitute è al tempo stesso un obiettivo inderogabile ed un’ardua sfida. Si tratta di un obiettivo perseguibile soltanto 465 attraverso il raggiungimento progressivo di una serie di micro-obiettivi, quali: - la ridefinizione dell’identità e dell’autostima della donna; - la strutturazione di nuove modalità comportamentali; - la scoperta e la messa in gioco di risorse e potenzialità personali; - lo sviluppo delle capacità di autonomia e di autodeterminazione; - la costruzione di una rete relazionale e sociale; - l’individuazione di possibili percorsi formativi e/o occupazionali. Un processo, dunque, nel quale confluiscono in forma partecipata l’agire delle donne immigrate uscite dalla prostituzione e l’agire delle persone che sviluppano le azioni di accompagnamento. ˙ Estendere e rendere più incisivi la presenza e l’offerta di aiuto sulla strada, e gli interventi volti a far acquisire consapevolezza alle prostitute immigrate delle possibilità concrete di abbandonare la strada e di ottenere condizioni di vita migliori Obiettivo del progetto è non solo quello di sostenere il processo di riscatto personale e sociale delle donne immigrate uscite dalla prostituzione, ma anche di profilare tale possibilità a coloro che ancora sono sulla strada. In questo senso, un primo obiettivo è quello di ridurre i rischi della vita di strada e di offrire di conseguenza un servizio di informazione e prevenzione sanitaria. 466 In secondo luogo si persegue l’obiettivo di rendere consapevoli le donne immigrate avviate alla prostituzione, spesso giovanissime, della possibilità di abbandonare la strada e di ottenere condizioni di vita migliori. Dunque si è tentato di concretizzare la possibilità di sottrarsi allo sfruttamento e di intraprendere un percorso di inserimento sociolavorativo offrendo servizi di pronta accoglienza e di accoglienza, di protezione, di assistenza legale, di assistenza sanitaria, di sostegno psicologico e relazionale, di orientamento, di formazione, di avviamento al lavoro. ˙ Configurare il nuovo profilo professionale di “operatrice di sociale di base per la prevenzione nell’ambito della prostituzione”, sperimentandone l’approccio metodologico e pratico in un percorso formativo per donne disoccupate, ed individuando nuove operatività e sbocchi (o meglio necessità) occupazionali nel sociale Si tratta di un duplice obiettivo. Da una parte offrire un servizio qualificato in un campo di intervento sociale nuovo quale quello della prostituzione immigrata, creando una figura professionale nuova e poliedrica in grado di incidere efficacemente per il miglioramento della vita delle donne immesse nel giro della prostituzione. Dall’altra focalizzare nuovi sbocchi occupazionali nell’ambito degli interventi sociali, in rispondenza di tali nuovi ed effettivi bisogni. Per queste ragioni si propone nel progetto il profilo professionale di “operatrice di sociale di base per la prevenzione nell’ambito della pro467 stituzione”, sperimentandone l’approccio metodologico e pratico in un percorso formativo per donne disoccupate, ed individuando nuove operatività e sbocchi occupazionali nel sociale. ˙ Sensibilizzare gli operatori del pubblico e del privato rispetto alle problematiche in questione e alle risposte possibili Il fenomeno della prostituzione di strada immigrata è piuttosto recente. Tuttavia, a causa della sua vastità crescente e della sua visibilità ha generato una serie di accesi conflitti sociali di fronte ai quali le istituzioni pubbliche sono state per lo più colte impreparate. Nel progetto ci si propone l’obiettivo di creare sensibilità e capacità di intervento presso le agenzie pubbliche e private del territorio, in particolare: - attivare gli Enti Locali a livello Comunale, Provinciale, Regionale; - promuovere una politica di sviluppo di comunità nei territori interessati al fenomeno della prostituzione di strada ed avviare una riflessione significativa nell’ambito delle politiche sociali sulla problematica - promuovere la cultura del lavoro di rete tra i soggetti coinvolti negli interventi sul campo (Enti Locali, Prefetture, Questure e altre Forze dell’Ordine, Agenzie del Privato Sociale, Servizi Socio-Sanitari, Rappresentanti del Mondo del Lavoro). ˙ Offrire idee e spunti operativi per nuove iniziative nel campo, nel contesto locale, naziona468 le ed europeo Grazie all’esperienza maturata e alle connessioni con progetti di intervento sulla prostituzione e sull’emarginazione delle donne in Italia ed in Europa, l’Associazione On the Road si è posta l’obiettivo di offrire attraverso il Progetto Now, idee e spunti operativi per nuove iniziative nel campo nel proprio territorio, le cui ricadute possano assumere una valenza nazionale ed europea. ˙ Migliorare, nel senso dell’innovatività, dell’incisività e della trasversalità la capacità organizzativa e di intervento dell’Associazione Obiettivi dell’Associazione dal punto di vista interno sono i seguenti: - aumentare la capacità di intervento nei diversi ambiti (lavoro di strada, accoglienza, presa in carico, inserimento socio-occupazionale); - acquisire nuove esperienze e sperimentare metodologie ed operatività innovative; - monitorare il fenomeno prostituzione nelle sue dinamiche e continue evoluzioni; - ottimizzare l’organizzazione interna ed incrementare la sistematicità degli interventi; - valorizzare e potenziare l’attività della rete associativa ed estendere la sua rete territoriale formale ed informale nell’ottica di una strategia delle connessioni; - accrescere la visibilità dell’Associazione e la propria forza di impatto verso le pubbliche istituzioni. 469 ˙ Attivare un confronto ed uno scambio a carattere europeo su strategie e modalità di intervento nel campo delle azioni a favore di donne emarginate o a rischio di emarginazione, in particolare di donne immigrate immesse nel mondo della prostituzione Il fenomeno della prostituzione di donne immigrate ha un carattere europeo e trasversale. La dimensione transnazionale del progetto ha offerto l’importante opportunità di perseguire l’obiettivo di uno scambio ed un confronto a questo livello, attraverso modalità diversificate. Ciò sia con i Partner istituzionali del progetto, francesi e belgi - organismi di formazione ed intervento sociale specializzati nell’attuazione di progetti rivolti a persone appartenenti a fasce svantaggiate - sia con altre organizzazioni che, sempre in Francia ed in Belgio, realizzano interventi sociali specifici nell’ambito della prostituzione. Le Azioni Azioni rivolte direttamente alle giovani donne immigrate prostitute ed ex prostitute per favorire il loro inserimento sociale e lavorativo ˙ Corso di Lingua e Cultura Italiana Il corso, della durata di 600 ore, svoltosi tra febbraio e ottobre 1997, è stato rivolto a 10 giovani donne immigrate uscite dal giro della prostituzione grazie all’intervento dell’Associazione e alle rispettive misure di accoglienza e presa in carico. 470 Con tale proposta formativa si è inteso far acquisire alle ragazze una serie di conoscenze ed una più fiduciosa e approfondita familiarità con la lingua e la cultura italiana, per consentire ed agevolare il processo di costruzione di una rinnovata ed autonoma identità personale, relazionale, sociale La finalità del corso è stata di fornire alle partecipanti le basi per affrontare il processo di inserimento sociale e lavorativo, prevedendo pertanto nel progetto una serie di misure di accompagnamento quali l’accoglienza presso famiglie o strutture appartenenti alla rete dell’Associazione, il trasporto dai rispettivi domicili alla sede del corso, l’assistenza sanitaria ed il sostegno psicologico, la consulenza e l’assistenza legale. Il Programma Formativo, oltre ai moduli dedicati all’insegnamento della lingua e della cultura italiana, ha incluso una serie di moduli dedicati alla conoscenza del territorio, dei mass media, della legislazione in materia di immigrazione e lavoro e momenti laboratoriali sull’espressione e la comunicazione, sulla rappresentazione teatrale e la realizzazione di “video tape”, sull’utilizzo del mezzo informatico. ˙ Orientamento e Formazione Pratica in Impresa Si tratta di una serie di misure volte a facilitare il processo di inserimento socio-lavorativo delle giovani donne immigrate in maniera diretta ed in forma individualizzata. Tali attività, sviluppantesi da novembre 1997 alla fine del progetto, sono rivolte sia alle parte471 cipanti al Corso di Lingua e Cultura Italiana, che ad altre immigrate nel frattempo entrate in contatto con l’Associazione. Esse consistono in: Orientamento Si è prevista una specifica attività di orientamento individualizzata, rivolta alle possibili partecipanti alla Formazione Pratica in Impresa. Tale attività è finalizzata a verificare le capacità, le attitudini, le aspirazioni e le potenzialità delle giovani donne immigrate e ad incrociarle con le reali possibilità di effettuare esperienze di Formazione Pratica in Impresa e con le opportunità offerte dal mercato del lavoro. L’attività di Orientamento viene a realizzarsi attraverso la collaborazione di una tutor di intermediazione che seguirà le partecipanti alla Formazione Pratica in Impresa, di una psicologa incaricata del sostegno psicologico, degli operatori volontari e degli operatori del progetto. Formazione Pratica in Impresa A seguito dell’attività di Orientamento, si prevedono dei periodi di Formazione Pratica in Impresa per le donne immigrate uscite dalla prostituzione. La finalità è quella di offrire un’opportunità concreta di misurarsi in contesti lavorativi normali, di intraprendere il difficile percorso di affrontare i tempi, i ritmi, la regolarità del lavoro, di acquisire dunque la strumentazione attitudinale e comportamentale di base che possa facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro. Per rispondere meglio alle esigenze delle beneficiarie, la durata, i tempi e le modalità di attuazione di tali percorsi di formazione in 472 impresa, saranno individualizzati. I periodi di formazione in impresa sviluppantesi tra dicembre 1997 e la fine del progetto, avranno una durata variabile, da 1 a 6 mesi e potranno essere part time o a tempo pieno. La formazione verrà svolta presso imprese resesi disponibili, del cui numero comunque si prevede un ampliamento, per offrire maggiori opportunità sia in termini quantitativi che in termini di differenziazione di settori produttivi, di dimensioni aziendali, di dislocazione territoriale. Naturalmente verrà data la priorità a quelle imprese presso cui si profilano possibilità di inserimento a formazione pratica conclusa. Nel progetto si porta avanti dunque il necessario lavoro di ricerca, contatto e sensibilizzazione di ulteriori imprese. A ciò seguirà un costante lavoro di interfaccia tra queste e l’Associazione. Durante il periodo di formazione pratica ogni partecipante avrà tre riferimenti costanti: il referente in impresa, la tutor di intermediazione e la psicologa. ˙ Attività di Informazione Orientamento Sostegno Tale attività è rivolta direttamente alle giovani donne immigrate che si prostituiscono, in particolare sulla strada provinciale Bonifica tra Martinsicuro (TE) ed Ascoli Piceno, e l’area del Salinello, tra Giulianova e Tortoreto (TE) e viene realizzata dai volontari dell’Associazione. Si tratta di attività di: - informazione (primi contatti, prevenzione sanitaria, informazione sui servizi); - orientamento (regolarizzazione/immigrazione, orientamento legale, possibilità di accoglien473 za, possibilità formative e/o occupazionali); - sostegno (sostegno relazionale, psicologico, aiuto medico/sanitario, supporto legale). Azioni volte a for mare nuove operatrici sociali nel settore degli interventi nella prostituzione immigrata ˙ Corso per Operatrice Sociale di Base per la Prevenzione nell’ambito della Prostituzione Il corso, della durata di 600 ore, svoltosi tra gennaio e dicembre 1997, è stato rivolto a 15 donne disoccupate in possesso di diploma di scuola secondaria superiore o con documentata attività lavorativa di almeno 4 mesi nel settore, o documentata esperienza, anche a titolo di volontariato, di almeno 6 mesi, negli interventi in favore delle persone emarginate. Di tale qualifica è stato ottenuto il riconoscimento da parte della Regione Abruzzo. E’ un’iniziativa di formazione pilota, in quanto la prima di tal genere e portata in Italia, volta a formare una nuova professionalità sociale con competenze specifiche di intervento nell’ambito della prostituzione. Una figura professionale di cui sempre più pressantemente si avverte la necessità, e per la quale si possono prevedere conseguenti sbocchi occupazionali, come dimostra l’interesse manifestato dagli Enti Locali (a livello comunale, provinciale, regionale) dei due contesti territoriali direttamente interessati dagli interventi del progetto (le provincie di Teramo e di Ascoli Piceno), ma anche da realtà territoriali limitrofe e appartenenti al più ampio contesto nazionale. 474 Il corso si è sviluppato come segue: - parte teorica (200 ore) moduli principali: il fenomeno della prostituzione; le politiche sulla prostituzione; gli interventi nella prostituzione; aspetti legali e sanitari; profilo del target; lingua e cultura dei paesi di origine; l’operatrice sociale di base della prevenzione nell’ambito della prostituzione: profilo, capacità e competenze; metodologie e tecniche dell’intervento di strada; progettazione e valutazione - stage all’estero (64 ore in Francia e Belgio) presso progetti di intervento nella prostituzione - stage in Italia (64 ore a Modena, Bologna, Venezia Mestre, Torino, Roma) presso progetti di intervento nella prostituzione - tirocinio formativo (esperienza pratica di 272 ore) presso progetti attivati in ambito nazionale e presso la stessa Associazione. Azioni volte a creare una nuova e necessaria sensibilità nelle amministrazioni pubbliche, negli operatori sociali del pubblico e del privato, nell’opinione pubblica, con la conseguente capacità di progettare interventi specifici nel campo ˙ Coinvolgimento degli attori pubblici e privati del territorio Al fine di coordinare e rendere incisivi gli interventi nel campo della prostituzione immigrata, è necessario il coinvolgimento nell’ottica del lavoro di rete dei diversi attori, pubblici e privati, del territorio. Si prevedono pertanto forme diversificate di 475 collaborazione con: - i Comuni - le Provincie - le Regioni - Prefetture, Questure e altre Forze dell’Ordine - Servizi socio-sanitari - Sindacati e Associazioni di Categoria - Imprese - Associazioni e Cooperative del Privato Sociale - Organizzazioni Religiose ˙ Convegno Si è promosso e organizzato un Convegno sui temi legati alla prostituzione immigrata, realizzato nel gennaio del 1998, grazie al quale ci potesse essere un confronto a livello locale, nazionale ed europeo, con il coinvolgimento di realtà ed operatori del settore sulle strategie e le modalità di intervento nel campo in questione. ˙ Manuale E’ stato realizzato il presente Manuale di intervento sociale nell’ambito della prostituzione immigrata, con il coinvolgimento di esperti nel contesto nazionale ed europeo, con l’obiettivo di offrire un valido strumento per gli operatori del settore. ˙ Attività transnazionali Attività diversificate con i partner istituzionali del progetto e altri partner impegnati direttamente in interventi sociali nella prostituzione in 476 Francia e in Belgio, comprendenti scambio di materiali, meetings e seminari congiunti, visite in loco, comunicazione telematica, una pubblicazione congiunta. ˙ Pubblicazione di articoli su stampa specializzata rivolti ad operatori dei settori di riferimento ˙ Attivazione delle possibilità di comunicazione e diffusione offerte dalle reti telematiche attraverso il CNCA-Net ed Internet. Sistema di Valutazione Il progetto nel suo complesso, e le sue varie azioni, sono accompagnati da un costante e diversificato processo di verifica e valutazione, applicato ai vari livelli e da diversi punti di vista. Un processo tanto più irrinunciabile ove si considerino le spiccate caratteristiche di novità ed anche di imprevedibilità del progetto. Il sistema di valutazione è duplice ed interrelato: una valutazione generale effettuata centralmente dal C.N.C.A. ed una interna e ravvicinata con il supporto di una valutatrice esterna. Prospettive Il progetto, avviatosi verso la fase conclusiva, ha consentito di elaborare e sperimentare una serie di strategie e modalità formative ed operative nell’ambito delle politiche e degli interventi nel campo della prostituzione di strada di donne immigrate. 477 Nella sua attuazione l’Associazione On the Road, sulla base dell’esperienza maturata, ha avuto modo di migliorare, nel senso dell’innovatività, dell’incisività e della trasversalità la propria capacità organizzativa e di intervento, confrontandosi con le realtà operanti nel settore a livello nazionale ed europeo. Fondamentale, inoltre, è risultato il lavoro di sensibilizzazione delle istituzioni pubbliche. In particolare tale azione ha portato al coinvolgimento degli Enti Locali a livello comunale, provinciale e regionale di Abruzzo e Marche, profilando una serie di progettualità comuni possibili attraverso l’attuazione di modelli operativi in grado di affrontare il fenomeno nella sua globalità. Tali strategie di intervento prevedono azioni rivolte direttamente al target (partendo dal lavoro di strada per giungere, attraverso l’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia, all’inserimento sociale e lavorativo) e azioni rivolte alle comunità locali e allo sviluppo del lavoro di rete. 478 Nella collana “Proposte”: 1 - Annunciare la carità. Pensare la solidarietà 2 - AIDS, l’esperienza delle risposte 3 - Minori - Luoghi comuni - Crescere in comunità 4 - Annunciare la carità. Vivere la speranza 5 - Droga - in frontiera 479 Finito di stampare nel mese di gennaio 1998 dalla Cooperativa Litografica COM di Capodarco di Fermo (AP) Realizzato nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW Progetto “Ionique - Occupazione: femminile plurale” a titolarità Associazione On the Road - C.N.C.A. ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★★ ★ Unione Europea Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 480 Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada 6 Proposte On the Road è un’associazione di volontariato che opera da circa un decennio, nelle regioni Marche ed Abruzzo, in azioni ed interventi diversificati (lavoro di strada, accoglienza, percorsi di inserimento sociale) nell’ambito della prostituzione di strada. Aderisce al Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e si raccorda con le realtà operanti in tale settore di intervento a livello nazionale ed europeo. ON THE ROAD ON THE ROAD l “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello fenomenico, con modalità ambivalenti: per molto tempo terra di nessuno (la paura di parlarne, l’oscenità del fenomeno), recentemente terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione “mostrata” dai mass- media). Il presente lavoro cerca di sottrarsi a tale inutile e dannosa diatriba. Il fatto è che la prostituzione di strada è sempre più visibile, ma “invisibili” rimangono le vite delle donne (soprattutto immigrate) che ci sono dentro. Il tentativo è quello di offrire alcune buone pratiche di lavoro sociale in cui presentare gli scenari, le politiche e gli interventi nel campo della prostituzione, in cui fare ipotesi su nuovi modelli operativi attorno al fenomeno, in cui ritrovare le utopie di possibili percorsi di progettazione sociale. CNCA I C N C A Manuale di intervento sociale nella prostituzione di strada Comunità Edizioni