6 ITALIA Martedì 8 gennaio 2008 Conti dormienti Confisca di Stato anche per fondi e obbligazioni Il regolamento del Tesoro “prescrive” a 10 anni anche i titoli pubblici. E sulle monetine... ::: BEPPE SCIENZA* Le leggi bipartisan sono le peggiori? Viene da chiederselo a vedere certi esempi. Per cominciare c’è quello macroscopico della riforma del Tfr varata dall’ultimo governo Berlusconi e addirittura anticipata dall’attuale governo Prodi. Ma c’è anche la legge sui cosiddetti conti dormienti, voluta da Giulio Tremonti e condotta poi in porto da Tommaso Padoa Schioppa. Si tratta sostanzialmente dei depositi rimasti senza prelievi, versamenti o altra movimentazione da parte del titolare per più di dieci anni (si veda il Dpr 22-6-2007 n. 116 sulla Gazzetta Ufficiale del 2-82007). Sull’argomento e sulla complessa normativa, in parte ancora in gestazione al ministero del Tesoro, Libero Mercato ha già riferito anche di recente con tre articoli di Francesco De Dominicis (30 novembre, 1° e 23 dicembre 2007). Merita però approfondire ma anche ampliare il discorso, collegandolo alla prescrizione dei titoli del Tesoro e delle stesse banconote. Aspetti positivi. L’idea di partenza non è del tutto sbagliata. Prendiamo infatti una banca, perché è il caso più tipico, ma il discorso vale pure per le sim, le sgr ecc. Per cominciare si voleva impedire che la somma su un libretto bancario venisse incamerata dalla banca, giocando sulla prescrizione dopo dieci anni senza movimenti, in modi anche discutibili, come denunciato più volte per esempio dall’Adusbef. Il problema è che così l’incamera lo Stato, che è meno peggio, ma non va comunque bene. Vediamo infatti in concreto chi sono e cos’hanno combinato coloro a cui verranno portati via i soldi e chiediamoci se davvero meritano un tale trattamento. Anche se di per sé il provvedimento riguarda pure altri soggetti (società ecc.), concentriamoci sui privati, ovvero sui risparmiatori. Uomini e donne che hanno messo soldi da parte, anziché spenderli, e poi se ne sono dimenticati. Oppure non se ne sono scordati, ma ignorano di non dovere assolutamente lasciar passare dieci anni, senza movimentare il libretto. La nuova normativa impone alla banca (sim, sgr ecc.) di comunicare per raccomandata con avviso di ricevimento l’esistenza del deposito a ri- schio di estinzione all’ultimo indirizzo conosciuto: questo nuovo obbligo è apprezzabile. Ma l’interessato potrebbe essersi dimenticato di comunicare un cambio d’indirizzo. Oppure l’indirizzo è quello giusto, ma il postino non lo trova in casa e l’avviso di giacenza della raccomandata viene sottratto. Oppure viene ritirato, ma per una malattia, un incidente ecc. va poi perso o comunque ci si dimentica di andare alla posta. È giusto che in questi casi lo Stato si sostituisca alla banca… per mettere mano sui loro soldi? Il rischio aumenta ovviamente nel caso di una successione. Oltretutto il più delle volte non si tratterà di grossi patrimoni né di gente ricca. È giusto che lo Stato subentri agli eredi, solo perché non sapevano del deposito e non gli è arrivata la comunicazione? Ci si lamenta della scarsa affezione degli italiani per lo Stato, ma un tale comportamento può solo peggiorare la situazione. Che reazione può avere un cittadino che scopra che i soldi che aveva in banca sono stati arraffati dallo Stato? Diverso sarebbe se la legge avesse previsto il trasferimento al Tesoro delle somme nei conti dormienti, mantenendo però il diritto a ritirarle per un tempo molto più lungo. La cosa inaccettabile è che lo Stato faccia il furbo e in pratica assuma nei confronti dei suoi cittadini il seguente atteggiamento: “Sei distratto, smemorato ecc.? Peggio per te, io ne approfitto”. Anche bond e fondi. Sconvolgente è poi l’ipotesi che il nuovo regolamento estenda la “confisca” pure ai depositi di titoli, se non movimentati. Ammettiamo infatti che nel 1998 un trentenne abbia pensato di costituirsi un capitale per la vecchiaia, sottoscrivendo obbligazioni a cedola nulla (zero coupon bond) e mettendole in un deposito collegato a un piccolo conto corrente, per le spese del deposito. Per esempio quelle trentennali della Banca Commerciale Italiana, col codice Abi 120039, emesse a 18,65 con rimborso a 100 il 17-2-2028. La sua intenzione era di lasciarle lì fino verso l’età della pensione, giustamente fidandosi dell’emittente. Peccato che il rischio che corre sia un altro. Fra poco saranno infatti passati dieci anni. Se non fa nulla e gli sfugge la raccomandata della banca, addio gruzzoletto per la pensione. Anche le sue obbligazioni verranno trasferite al Tesoro. Il colmo è forse il caso dei fondi comuni. Chi ne sottoscrisse quote per esempio quindici anni fa, se le ha lasciate in deposito gratuito alla banca o sim senza riscattarne o aggiungerne altre, se le vedrebbe (o vedrà?) soffiate via, a meno che si attivi in tempo ricevuta la comunicazione del depositario. Si salva invece chi, caso molto più raro, se l’era messe nella cassetta di sicurezza o sotto una mattonella. I consumatori. Ma questi aspetti non sono stati oggetto di denuncia dalle associazioni . di consumatori, che invece quasi all’unanimità hanno subito applaudito entusiaste all’idea che lo Stato mettesse mano sui conti dormienti, destinandoli in prima istanza a risarcire i risparmiatori vittime di crac obbligazionari (Argentina, Cirio, Parmalat ecc.). Era anche l’occasione per metterci lo zampino e infatti il decreto del 22-6-2007 ha previsto una poltrona per le associazioni di consumatori nella commissione per la gestione delle somme provenienti dai conti dormienti. Come spesso, una posizione più corretta fu fin dall’inizio quella del Centro di tutela dei consumatori e utenti (Ctcu) di Bolzano, ovvero la Verbraucherzentrale Südtirol, che aveva bollato come mo- ralmente scorretto utilizzare quei soldi per risarcire le vittime dei crac finanziari. “Che paghino le banche, che questi disastri hanno causato” aveva infatti dichiarato il 21-12-2005 il direttore del Ctcu Walther Andreaus. Bankitalia e Buba. Il guaio è che la norma sui conti dormienti s’inserisce in una non nobile tradizione. Si veda il comportamento nei confronti dei titoli del Tesoro. Ho presente il caso concreto di una docente del mio stesso dipartimento dell’Università di Torino, che due anni fa ritrovò fra gl’incartamenti della madre defunta un Btp da un milione di lire scaduto il 15-31990. Ebbene, niente da fare, soldi persi: il titolo era irrimediabilmente prescritto. Infor- mandosi sulla questione, scoprì addirittura che una legge aveva abbassato da dieci a cinque anni il termine per la prescrizione. Di nuovo non ci siamo. Uno presta soldi allo Stato, se ne dimentica e lo Stato, che comunque per anni ne ha goduto senza pagare interessi, a muso duro non glieli ridà indietro (coi titoli dematerializzati ovviamente questo non capita più). Ma ce n’è un’altra, forse ancora più indecente. Già una legge del 1997 stabiliva la prescrizione di banconote e biglietti di Stato dopo dieci anni dalla fine del corso legale. Poi, per festeggiare l’arrivo dell’euro, un decreto del 1999 ha premurosamente esteso la cosa alle monete metalliche, che prima si salvavano. Conclusione, alcune banconote e monete in lire sono già scadute e comunque tutte perderanno valore fra circa quattro anni, precisamente il 29 febbraio 2012. Non saranno casi frequenti, ma ciò significa per esempio che lo Stato confischerà i risparmi nascosti in un incavo del muro da un poveretto con qualche problema di lucidità. Il loro valore verrà infatti azzerato ipso iure. È questo lo stato etico? Ciò stride anche col continuo blaterare sulla necessità di adeguarsi agli altri paesi dell’Unione Europea. La Banca d’Italia s’adegui piuttosto ai comportamenti migliori; faccia cioè come la banca centrale tedesca. Dal canto suo infatti la Bundesbank cambierà in euro i biglietti in marchi senza nessun limite di tempo. * Università di Torino