ΑΛΚΗΣΤΙΣ
Provincia di Bergamo
Patrocinio Assessorato alla Cultura
Patrocinio e sostegno economico Assessorato
all’Istruzione
ALCESTI
da Euripide
Patrocinio del Comune di Lovere
Si ringraziano:
Parrocchia di Lovere - Teatro Crystal
Dall’Angelo Giuseppe S.n.c. – Casazza
ESSENZA S.p.A. - Cerete
GLOBAL S.a.s - Rogno
SITIM S.a.s. - Costa Volpino
MINERALS & METALS S.p.a. - Lovere
Studio Fotografico Tarzia – Lovere
Il Fiore - Lovere
STC – Studio tecnico Colosio - Chiuduno
Liceo Classico “D. Celeri” Lovere
Ass. “Il cerchio di gesso” Bg
Ramona Oprandi
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Personaggi ed interpreti
Classe II A Liceo Classico Celeri-Lovere(Bergamo)
Apollo Matteo Romano
Thanatos Paola Cadei
Alcesti Lucrezia Zanzottera e Silvia Colosio
Ancella Ylenia Sina
Admeto Edoardo Valetti e Lino Botticchio
Eracle Andrea Riboli
Ferete Andrea Marcobelli
Serva Elena Guizzetti
Coro Valeria Faccanoni, Daniela Filisetti, Laura
Bertagnoli, Silvia Berlai, Fabio Belafatti.
Coro danzante
Anna Pezzotti, Anna Saviori, Silvia
Gualini,
Canto e Musica dal vivo Monica Marsetti, Valentina
Meni, Ambra Dall’Angelo
Drammaturgia Regia Costumi Coreografie
Nadia Savoldelli e Laila Figaroli (Associazione “Il Cerchio
di gesso” di Bergamo)
Operatori tecnici Alessandro Coppola, Marco Zanni
Adattamento e riduzione del testo Onelia Bardelli,
Elisa Guizzetti
Musiche da Alceste di Chr. W. Gluck, English Sworddance suite di E. Huxs Jones, Sarabande di Hendel, Canto
popolare ungherese, Musiche popolari greche.
Gianmarco Agliardi
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Coordinatrice e responsabile del progetto
Onelia Bardelli
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Perché Alcesti?
L’idea di partenza è quella del viaggio nel tempo, verso quel mondo
che i ragazzi di questa classe II liceo hanno voluto provare a vivere
“da dentro”, non solo sui libri, attratti dalla voglia di fare e di
mettersi in gioco, perché affiorino emozioni e passioni riconosciute
come universali. La scelta è caduta su Alcesti di Euripide perché è
una “tragedia non tragica”, con un lieto fine e passaggi quasi comici,
con personaggi controversi e suscettibili di interpretazione,
tutt’altro che scontata.
E’ stato un viaggio lungo, iniziato già l’anno scorso con letture,
approfondimenti, confronti e con un laboratorio teatrale condotto da
Nadia Savoldelli e da Laila Figaroli (associazione “Il cerchio di
Gesso”); loro è anche il lavoro drammaturgico e registico.
E’ stato un viaggio emozionante e a tratti faticoso: non è stato facile
conciliarlo con gli impegni scolastici e personali di ognuno.
Affidiamo il risultato alla vostra attenzione … e benevolenza.
Raffaella Antoccia
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Cratere a figure rosse (350 a C) parodia di Alcesti.
Milano Museo del teatro della Scala
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La storia
Bozzetti elaborati dagli studenti della classe IV B
del Liceo Artistico di Lovere
Alcesti è una delle figlie di Pelia, il re di Iolco, e di Anassibia, sua moglie. E’ la
più bella e la più pia di tutte, la sola che non partecipò all’uccisione di Pelia,
allorché Medea, con i suoi inganni e i suoi sortilegi, fece in modo che questi
fosse massacrato dalle proprie figlie.
Quando Admeto, re di Fere, in Tessaglia, si presentò per chiedere la mano di
Alcesti, Pelia gli impose condizioni che egli soddisfò con l’aiuto di Apollo.
Euripide ci dice che la loro unione fu un modello di tenerezza coniugale, al
punto che Alcesti accondiscese a morire al posto del marito. Ma, allorché era
già morta, Eracle si precipitò agli Inferi, da dove la riportò più bella e più
giovane che mai. Si raccontava inoltre che Persefone, commossa dalla
devozione di Alcesti, l’avesse spontaneamente rimandata fra i viventi.
Sarcofago (161 – 170 d.C.) raffigurante la morte di Al cesti. Roma, Musei
Lucy Gabbiadini
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Alcesti è la protagonista dell’omonima tragedia di Euripide ma quest'opera ha
ispirato numerosi autori successivi. William Morris ha scritto L'amore di
Alcesti nel 1868 e Robert Browning in Balaustion’s Adventure (1871) ha
tradotto in inglese la tragedia greca. Nella tradizione medievale Alcesti era il
modello della moglie fedele, come appare nella Leggenda delle donne virtuose
di Chaucer. Essa ha il nome di Celia in Cocktail Party di T. S. Eliot. Milton cita
Alcesti nel suo Sonetto XXIII e Rilke scrisse Alcesti. L'opera musicale più
famosa dedicata all'eroina è l'Alceste di Gluck (1767), basata sulla tragedia di
Euripide. Una versione moderna è Alkestis di Rutland Boughton (1922), con la
traduzione inglese del testo di Euripide di Gilbert Murray. Citiamo inoltre
Alkestis di Egon Wellesz (1924), su libretto di Hugo von Hofmannsthal.
[informazioni tratte da: Enciclopedia dei miti, Garzanti, 1990; Dizionario
universale dei miti e delle leggende, Newton & Compton Editori, 2001]
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Angelica Kauffmann, Morte di Alcesti (1790)
vaso attico a figure nere con Hermes, Eracle e Al cesti.
Parigi, Museo del Louvre
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Pierre Peyron, Alceste morta
PRIMO COREUTA -- Molte sono le forme del divino, le risoluzioni inattese dei celesti.
Quello che si credeva non si è compiuto, un dio trovò la strada per l’impossibile. E questa
vicenda si è suggellata così.
Un ringraziamento particolare alla Prof. Maria Pia Pattoni, docente dell’Università
Cattolica di Brescia, che, oltre ad essere stata la prima a suggerirci la
realizzazione di questo lavoro, ci ha gentilmente concesso di arricchire questa
presentazione con un Suo recentissimo scritto dedicato a:
12- RIPERCORRERE IL VIAGGIO PER TORNARE OGGI CAMBIATI
Fine
…una delle famosissime “figurine Liebig” !
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Sacrifici al femminile:
Alcesti in scena da Euripide a Raboni
II mito di Alcesti, la donna che muore per amore del marito, affonda le sue
radici non in una saga religiosa panellenica o locale, bensì in un antichissimo
motivo folklorico, che ritroviamo in civiltà e in epoche fra loro assai lontane: è
il tema del sacrificio per amore, che si svolge secondo alcuni moduli fissi.
Arriva la morte a reclamare la vita della propria vittima, ma quest'ultima, con
uno scarto nel meraviglioso che è tipico dell'elemento fiabesco, ottiene di
poter continuare a vivere, a patto che qualcuno accetti di morire al posto suo.
Inizia così una penosa ricerca, nel corso della quale le persone legate dai
vincoli affettivi più intensi, come gli stessi genitori, oscillano senza esporsi al
sacrificio, o addirittura rifiutano recisamente: alla fine, è la donna amata ad
offrire se stessa al sacrificio, consegnandosi alla morte. In quasi tutte le
versioni della fiaba, destinata a una vera apoteosi del motivo erotico, la
vicenda ha tuttavia un lieto finale: gli dèi degli Inferi (o il Dio cristiano,
giacché gran parte di queste leggende si collocano in ambiente cristiano) come
premio per la virtù rifiutano il sacrificio e consentono alla donna di ritornare in
vita. L'area di diffusione di questo motivo folklorico è assai vasta: le versioni a
noi note, che sono state raccolte e indagate a partire da uno studio
fondamentale di Albin Lesky del 1925, vanno da una leggenda westfalica a
quella bizantina di Digenìs Akrìtas, al Mahabharata e ad un'articolata serie di
racconti greci e slavi: la differenza più significativa fra le versioni orientali e
quelle occidentali germaniche è che in queste ultime, per evidente influsso
della civiltà teutonica cavalleresca, è l'uomo a sacrificarsi per la donna, e non
viceversa.
Una volta accertata l'origine folklorica del mito, resta il problema di come
questo motivo si sia innestato nella tradizione greca antica: o, quel che qui più
ci interessa, di come questo racconto sia stato recepito da Euripide, che nella
sua piece Alcesti, rappresentata nel teatro di Dioniso ad Atene nel 438 a.C., ci
ha consegnato la prima versione letteraria a noi nota. Il fatto che si tratti di
una versione teatrale (e non, ad esempio, epica o lirica) ha una significativa
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importanza per la ricezione successiva di questo mito. Con la nascita del
teatro tra VI e V secolo a.C. in Occidente, l'approccio alle storie tradizionali
subisce infatti un'importante modificazione: il passaggio da una forma
essenzialmente narrativo-rievocativa del mito, nella quale l'attenzione si
concentra prevalentemente sui fatti e sulla fabula, ad una sua vera e propria
drammatizzazione ha incalcolabili implicazioni in direzione dell'esplorazione
delle motivazioni morali e psicologiche che muovono i personaggi della saga a
compiere le loro azioni. Il materiale ideologico e concettuale tende ad
organizzarsi per opposizioni, creando contrasti più o meno accentuati tra i
personaggi che si fanno veicolo delle istanze contrapposte; e sono appunto
questi contrasti che vanno a costruire la trama strutturale su cui si basa
l'esperienza tragica del teatro occidentale. Il caso di Alcesti è un paradigma
di questo processo. Una delle innovazioni introdotte da Euripide per rendere
problematica e conflittuale la vicenda mitica consiste nel fatto che la divinità,
che nel nucleo favolistico originario era unica (dio della morte e della salvezza
insieme), qui si suddivide in tre personaggi, i quali compaiono sulla scena
esponendo di volta in volta le proprie ragioni: uno totalmente negativo,
Thanatos, il dio della morte, inflessibile ad ogni umana e divina perorazione;
uno interamente positivo, Eracle, l'eroe salvatore, che strappa Alcesti dalle
mani di Thanatos ingaggiando con esso un vittorioso duello; uno ambiguo fra
negatività e positività, Apollo, il dio dell'arte mantica, ma talmente
sprovveduto nei confronti dei sentimenti dei mortali da ritenere che possa
essere davvero un bene per il suo protetto Admeto il sopravvivere ad ogni
costo, anche a prezzo della morte di una persona cara (l'ingenuità di questa
convinzione sarà smascherata da Admeto stesso, quando al ritorno dalle
esequie funebri, si arresterà angosciato sulla soglia della casa ormai vuota: La
sorte di mia moglie è, credo; migliore / della mia, anche se non sembra:
/perché nessun dolore la toccherà più / e con la gloria ha posto fine a molte
pene, / lo invece, che dovevo morire, per essere andato oltre il limite
assegnatomi / vivrò una vita tormentata. Adesso comprendo, (vv. 935-940).
Una seconda novità del trattamento euripideo della storia, che troverà
tuttavia scarsi seguaci (uno dei rari casi è costituito dal dramma // mistero di
Alcesti, di Marguerite Yourcenar) è la dilatazione temporale introdotta dal
drammaturgo ateniese tra il momento della scelta del sacrificio, relegato tra
gli antefatti, e il momento della morte, che avviene sulla scena: il giorno della
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Lunghi dolori e tormenti patiti per i cari che scesero sotto terra! Perché mi hai impedito
di gettarmi nella fossa funebre e di giacere, morto, accanto a lei? L’Ade avrebbe avuto
due vite insieme, le più fedeli, insieme avremmo varcato la palude degli inferi
CORO: Eri felice, non toccato dal male; è sopraggiunto il dolore, ma hai salvato la vita e
l’anima. E’ morta tua moglie, lasciando un vuoto d’amore.
ADMETO: Amici, ritengo la sorte di mia moglie migliore della mia, anche se non sembra.
Si è liberata di molti affanni in un alone di gloria. E io, che sono fuggito al mio fato, avrò
una vita di pena. Mi sarà intollerabile entrare in questa reggia.
QUARTO STASIMO (vv 962 – 1005)
CORO -- Io, grazie alle Muse, mi sono levato alto nel cielo, io mi sono fatto padrone di
molte idee, ma nulla ho incontrato più forte della Necessità. Contro di lei non ho trovato
rimedi. Persino Zeus, qualunque cosa voglia, la realizza con il suo permesso. La dea ha
preso anche te, Admeto, nei suoi lacci implacabili.
11- LIETO FINE
ESODO (vv 1006 – 1163)
ERACLE -- Admeto, ti prego di prendere questa donna e di custodirmela finché non
sarò di nuovo qui. Se mi succede quello che non vorrei, te ne faccio dono. Ne sono venuto
in possesso con molta fatica.
ADMETO -- Ti prego, se possibile, affida questa donna ad un altro. A vederla in casa
non riuscirei a trattenere le lacrime. Chiunque tu sia, donna, hai la stessa statura di
Alcesti e le somigli. Portala via! Non colpire uno che è già segnato dal dolore.
ERACLE -- Che cosa ci guadagni a voler sempre piangere? Il tempo lenirà la ferita
ADMETO -- Il tempo? Sì, se il tempo significa morte…
ERACLE -- Una donna e nuove nozze metteranno fine al tuo rimpianto.
ADMETO -- Nessuna donna entrerà mai nel mio letto. Se accettassi il tuo dono
l’angoscia mi divorerebbe.
ERACLE -- Verrà il momento in cui mi ringrazierai. Ora dammi retta
ADMETO -- Mi costringi a fare cose che non voglio
ERACLE -- Non aver paura, tendile la mano! Guardala! La fortuna è dalla tua, smetti di
affliggerti.
ADMETO -- E’ davvero mia moglie quella che vedo?
ERACLE -- E’ tua. E che l’invidia degli dei non cada su di voi!
ADMETO -- Perché non parla?
ERACLE -- Devono passare tre giorni, prima che sia sciolta dal vincolo che la consacra
agli Inferi
CORO (in greco)
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privato del figlio: non mi vedrò costretto a consumare una penosa vecchiaia senza te. Col
suo gesto coraggioso Alcesti ha reso onore al suo sesso. Sono questi i matrimoni utili ai
mortali, altrimenti è meglio che uno non si sposi
ADMETO -- Io non ti ho invitato e la tua presenza non mi è gradita. Al mio dolore
dovevi partecipare quando ero in pericolo di vita. Invece hai lasciato che morisse un
giovane al posto di te vecchio.
E ora vieni a piangere su questo cadavere! No, tu non sei mio padre, quella che chiamano
mia madre, non mi diede alla luce. Sono sangue di schiavi e di nascosto mi hanno
attaccato al seno di tua moglie.
Questa donna straniera è l’unica che devo giustamente ritenere mia madre e mio padre.
Ma ora sbrigati a fabbricare altri figli che ti assistano in vecchiaia e ti compongano nella
bara, perché non sarò io a comporti nella bara...
PRIMO CORIFEO -- Smettetela! Basta già la disgrazia in corso. Figlio, non esasperare
tuo padre!
FERETE -- Ma chi credi di insultare così malamente? Tu offendi troppo e non te la
caverai a buon mercato! Io ti ho generato e allevato come signore della casa, ma non ho
l’obbligo di morire al posto tuo. O prospera o infelice, la vita è tua. In che ti ho fatto
torto? Di che ti privo? Ti piace vivere? E credi che a tuo padre non piaccia? Della mia
vita, certo, mi resta poco; ma è pur sempre piacevole. Hai lottato spudoratamente per
evitare la morte e vivi oltre il termine uccidendo lei. E accusi me di viltà, tu confuso da
una femmina che è morta per la tua bella faccia! Ingegnosa trovata, per evitare sempre
la morte, se saprai convincere sempre ogni sposa a morire per te. Taci. Sappi che se la
vita è cara a te, è cara a tutti. E se mi offendi, udrai altre offese.
PRIMO CORIFEO -- Troppe le offese sue, troppe le tue. Taci, non oltraggiare tuo
figlio, o vecchio.
ADMETO -- E’ la stessa cosa se muore un giovane o un vecchio?
FERETE -- Abbiamo avuto in sorte una sola vita, non due
ADMETO -- Ti auguro di vivere più a lungo di Zeus…
FERETE -- E tu? non mandi la tua sposa a morire per te?
ADMETO -- Grazie alla tua viltà, miserabile.
FERETE -- Dirai che è morta per salvare me? Sposane molte, tu, fanne andare molte
all’altro mondo!
ADMETO -- Morirai senza gloria, quando morirai. Vattene! lascia ch'io la seppellisca!
FERETE -- Seppelliscila, dopo averla uccisa. Vado! Ma tu dovrai rendere ragione ai suoi
congiunti.
ADMETO -- Alla malora, tu e la donna che abita con te. Senza figli invecchierete, pur
essendo vivo vostro figlio.
CORO -- Oh generosa, oh nobile, salve! Benigno Ermète sotterraneo te accolga, e l'Ade
10- PIANTO DI ADMETO
ADMETO -- Qual male peggiore per l'uomo, che perdere la compagna devota? Magari
non l’avessi mai sposata! Invidio chi non ha sposa e non ha figli.
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dipartita era stato reso noto, ma è tanto distante nel tempo che Alcesti può
vivere per anni accanto allo sposo, dandogli anzi due figli, il più grande dei quali
è grande abbastanza da avvertire la sofferenza della separazione. Se nelle
versioni originarie della leggenda la protagonista femminile, in un momento di
suprema tensione dell'anima, offre se stessa in sacrificio e subito, con un
eroico slancio che non lascia spazio ai ripensamenti, va incontro alla morte,
l'Alcesti euripidea conosce ed apprezza tanto più la vita, dopo aver rinunciato
ad essa. Ed Admeto stesso allude con intense parole all'angoscia logorante di
quell'attesa: Da tempo sapevo, e per questo mi tormentavo (v. 421). Si tratta
evidentemente di uno spunto interessante di approfondimento, da parte del
drammaturgo, nella caratterizzazione del personaggio. Il dramma di Euripide,
con la sua ricchezza di spunti e tematiche, con il suo groviglio di sottili
ambiguità o accavallamenti di piani (gli estremi si toccano in continuazione: vita
e morte, divino e umano, sublimità e meschinità, tragico e antitragico,
verosimiglianza e inverosimiglianza), è rimasto la pietra di paragone con cui si
sono confrontati, con intenti critici, emulativi, parodici, poeti e scrittori, che
hanno visto in esso il dramma dedicato per eccellenza all'amore coniugale.
C'è stato chi ha seguito l'archetipo euripideo abbastanza da vicino, come Hugo
von Hofmannsthal nel dramma Alkestis: Eìn Trauerspiel nach Euripides scritto nel 1894 quando il drammaturgo austriaco aveva circa vent'anni, ma
pubblicato nel 1911 - nel quale domina lo scavo psicologico: Admeto è riflessivo,
intimamente provato dal dolore, e riscattato dal suo tratto magnanimo e
regale; Eracle ha tratti di pensosità quasi 'filosofica'. Ci sono state,
soprattutto nel Settecento, riscritture del dramma che hanno eliminato le
parti più conturbanti e problematiche del modello, come in particolare il
dialogo padre-figlio, in Euripide di una violenza ed aggressività impressionante,
oppure - un altro punto che poteva mettere in crisi la forma tragica - la scena
in cui Eracle inconsapevole si ubriaca mentre la casa di Admeto è in lutto:
questo atteggiamento di rettifica a scopo nobilitante o agiografico è evidente
ad esempio nel libretto che Ranieri Calzabigi scrisse per l'Alcesti di Christoph
Willibald Gluck, oppure nel Singspiel Alcesti di Christoph Martin Wieland, o
ancora nell'Alceste seconda di Vittorio Alfieri, che nel I atto rappresenta un
nobile alterco fra Alcesti e il suocero Ferete (qui Fereo) che fanno a gara per
offrire la propria morte per Admeto. E c'è stato infine chi, soprattutto nel
Novecento, ha proceduto ad un rinnovamento sostanziale del dramma, ad una
sua piena e totale attualizzazione, calandolo nella temperie storica
contemporanea. E' il caso, in particolare, dell' Alcesti di Samuele di Alberto
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Savinio, una riscrittura del mito antico sullo sfondo delle persecuzioni razziali
promosse dall'antisemitismo nazista: con un finale 'capovolto', autenticamente
tragico, in cui si esprime il cupio dissolvi di una società che ha ormai perso ogni
desiderio di sopravvivenza, Teresa-Alcesti, rifiutando l'intervento del
'Salvatore' (che qui è impersonato dal Presidente Roosevelt, emblema della
positività e ottimismo del nuovo mondo americano), convince il marito a lasciare
la vita per seguirla nel regno dei morti (Entreremo nella suprema felicità.
Pensa! Non individui più: scio/ti nel nulla - nel tutto... Nascere è un atto
individuale: morire è un atto universale... Questo il grande segreto della morte.
Questo il suo immenso bene... Vieni, Paul. Sposa tua e madre, apro a te
l'universo). Una piena attualizzazione del mito, ambientato in un appartamento
piccolo-borghese poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, è ancora nel
dramma Alcesti di Corrado Alvaro: lasciato incompiuto dall'autore, è stato
scoperto, fra le carte donate dalla vedova, nella Biblioteca Comunale di Reggio
Calabria e recentemente pubblicato.
Questo per quanto riguarda alcune delle più note versioni drammatizzate, che,
analogamente all'originale euripideo, portano in scena contrasti e tensioni. Ma
c'è stato anche chi ha optato per l'elaborazione lirico-narrativa della vicenda,
come Rainer Maria Rilke, che nella sua poesia Alkestìs scritta a Capri nel 1907
si avvicina al substrato favolistico della vicenda, ambientandola nel giorno delle
nozze e riducendo al minimo i personaggi: Admeto, Alcesti, il nunzio di morte
Hermes e, molto sullo sfondo, i vecchi genitori, mentre al Coro greco si
sostituisce l'anonima folla degli invitati al banchetto nuziale. La morte di
Alcesti, secondo l'interpretazione ormai classica che a questa lirica è stata
data da Ernst Zinn, il primo curatore delle opere complete di Rilke, è il
tradursi in azione del significato profondo delle nozze: vissute da Alcesti
fanciulla come metamorfosi, come passaggio dalla verginità all'età matura. Il
commiato da uno stadio della vita diviene, simbolicamente, una forma di morte.
Ecco l'ultima immagine che Admeto ha della sua sposa-bambina: Ma ancora una
volta vide / in viso la fanciulla a lui rivolta / con un sorriso chiaro di speranza,
/ che era quasi una promessa: / di ritornare adulta dalla morte profonda / a
lui, vivente - / Ed egli a un tratto si coprì / il viso con le mani, inginocchiato, /
per non vedere più nulla dopo quel sorriso (trad. di G. Cacciapaglia).
Il dramma di Giovanni Raboni, uno dei nostri massimi poeti e scrittori
contemporanei, è l'ultima importante rielaborazione di questo mito che la
letteratura ci abbia consegnato. Benché destinata alla scena, l'opera presenta
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SECONDO CORIFEO -- Antistrofe seconda Ed ora, ha spalancato la reggia, con gli
occhi umidi di pianto; ha accolto l’ospite, piangendo la sposa or ora defunta. Chi é nobile
sa ben comportarsi. Nel mio cuore regna la fiducia: è pio Admeto: sarà benedetto dagli
dei.
8- SERVO ED ERACLE
SERVO -- Ne ho visti molti, di forestieri, e da ogni parte del mondo, giungere alla
reggia di Admèto, e li ho serviti a tavola. Ma uno peggiore di questo, non ci ha messo mai
piede. Prima, trova il mio padrone in lutto, ed entra, senza farsi scrupolo di varcare
questa soglia. Poi, saputa tanta disgrazia, non ha mica accolto con discrezione
l'ospitalità! Ci scordavamo qualche cosa? E lui tempestava, per farsela portare. Agguanta
con le mani una coppa d’edera, tracanna vino puro sin che il fuoco del vino gli si diffonde
nelle vene e lo accende. E poi si ficca in testa una corona di mirto e abbaia e abbaia.
C'erano due musiche: quello berciava, senza darsi pensiero di Admèto e dei suoi guai: noi
servi piangevamo la signora; ma nascondevamo le lagrime all'ospite come Admèto aveva
ordinato. - E adesso, io devo servirlo a tavola, quest'ospite, questo birbone, questo ladro,
questo brigante! E intanto, la mia padrona la portan via di casa, ed io non l'ho seguita,
non ho potuto tenderle la mano, sfogarmi a singhiozzi, lei che per me, che per i servi
tutti, era una madre, che ci risparmiava mille castighi, mitigando l'ira dello sposo. Ho
ragione o no, se odio lo straniero che piombò fra i nostri guai?
ERACLE -- con una coppa in mano ed una corona in testa Perché stai lí con aria seria e
preoccupata? Un servo non deve fare il muso lungo agli ospiti, ma accoglierli con garbo e
grazia. Lo sai qual è la sorte dei mortali? Debbon morire tutti quanti gli uomini;né tra i
mortali c’è qualcuno che sappia se domani vivrà. Perciò datti alla gioia, bevi, pensa che il
giorno che tu vivi è tuo, il resto è della fortuna. E onora Cípride, la piú benigna per i
mortali. Bevi insieme con me: il tintinnio del calice farà mutare subito di rotta all'umore
nero. Per la gente ammusonita, sempre accigliata, credi pure a me, la vita non è vita: è
un'agonia.
SERVO -- Tutto questo lo so; ma la situazione attuale non richiede né risa né bagordi.
ERACLE -- E’ morta una straniera: non pigliartela
SERVO -- Va' in pace: noi piangiamo i mali del re.
ERACLE -- Non parli come d'un lutto estraneo! Il mio ospite mi ha tratto in inganno?
SERVO -- E’ morta la moglie di Admeto!
ERACLE -- Io devo salvare la donna or ora spenta e a questa casa ricondurla, e
all'ospite ricambiare con un degno favore. Affronterò Thànatos dal negro peplo. Lo
troverò vicino alla tomba, a succhiare il sangue delle vittime. Sono sicuro di ricondurre al
mondo Alcèsti.
QUARTO EPISODIO (vv 606 – 961)
9- FERETE ED ADMETO
FERETE -- Figlio, sono qui per partecipare al tuo dolore. Per la tua buona consorte
gradisci questi doni. Bisogna onorarne le spoglie perché si è immolata per te e non mi ha
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ADMETO -- Quest'oggi devo seppellire un defunto.
ERACLE -- Che stia lontana la sventura dai tuoi figli
ADMETO -- I miei figli sono vivi nella casa.
ERACLE -- Tuo padre, comunque era anziano, se si tratta di lui
ADMETO -- Anch'egli è vivo, e anche mia madre.
ERACLE -- E’ forse successo qualcosa ad Alcesti?
ADMETO -- Il discorso su di lei è ambiguo.
ERACLE -- Insomma! E’ viva o morta?
ADMETO -- Vive e non vive: ed angoscia il mio cuore.
ERACLE -- Non ne so piú di prima. Parli per enigmi.
ADMETO -- Sai quale destino l’aspetta?
ERACLE -- Sí. Che accettò di morire in vece tua.
ADMETO -- E come puoi dirla viva, dopo una promessa simile?
ERACLE -- Non piangere prima del tempo! Attendi l'ora.
ADMETO -- Morto è chi deve morire. Chi è morto non è più.
ERACLE -- Essere e non essere, sono due cose diverse.
ADMETO -- Tu pensi cosí; ed io penso altrimenti.
ERACLE -- Chi piangi, dunque? Quale dei tuoi cari è morto?
ADMETO -- Una donna: parlavamo di una donna, poco fa
ERACLE -- Straniera, o del tuo sangue?
ADMETO -- Straniera: eppure legata al mio tetto.
ERACLE -- E come mai è morta in casa tua?
ADMETO -- Orfana del padre, fu cresciuta qui.
ERACLE -- Mi spiace! Non avrei voluto trovarmi qui mentre sei in lutto!
ADMETO -- Perché dici cosí? Che pensi?
ERACLE -- Penso di cercare ospitalità altrove.
ADMETO -- Non può essere! Dio non voglia!!
ERACLE -- Un ospite dà fastidio quando si è in lutto.
ADMETO -- I morti sono morti. Entra!
ERACLE -- Non sta bene che un ospite mangi accanto a gente che piange.
ADMETO -- Ti condurrò in stanze appartate.
ERACLE -- Lasciami andare; ti sarò comunque grato.
ADMETO -- Non puoi andare al focolare di un altro. Vieni. Sian chiuse le porte. Non
bisogna rattristare gli ospiti.
PRIMO CORIFEO -- E perché mai celasti la tua sorte all'uomo che, come dici, ti è
amico?
ADMETO: Il tetto mio non sa che cosa sia respingere o far torto ad un ospite…
7-L’OSPITALITÀ
TERZO STASIMO (vv 568 – 605)
PRIMO CORIFEO -- Strofe prima O casa d'un uomo generoso, sempre generosa e
ospitale, Apòllo pizio, signor della cetra, si degnò di abitarti e di diventare pastore
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alcuni elementi in comune con le versioni liriche del mito, in particolare con
Rilke. L'azione drammatica è semplice e lineare, e i personaggi, che non si
chiamano mai l'un l'altro per nome, sono ridotti a quattro: il padre, il marito, la
moglie e infine il Custode ("traghettatore" o "spedizioniere"), ambiguo, come
nelle versioni più antiche (o come anche in Rilke), fra il ruolo di salvatore e
quello di angelo della morte (...quel tipo indecifrabile / che compare e
scompare / come un orologio a cucù / o come la figura della morte / in certi
campani/i gotici... dice di lui il padre). L'ambientazione è nel presente: un'età
contemporanea che sta cadendo a pezzi, contrassegnata dalla persecuzione
politica e dall'intolleranza (il pensiero corre a Savinio, anche se il contesto
storico non è qui precisato). Il terzetto - padre, figlio e moglie del figlio - si
rifugia in un vecchio teatro, in attesa di poter essere imbarcato e fuggire, ma
si apprende che, contrariamente a quanto era stato pattuito, solo due persone
potranno partire, e dunque salvarsi. Poiché i due uomini non accettano l'idea
che a restare possa essere la donna, ha inizio un conflitto drammatico fra il
padre e il figlio, mentre la moglie tenta inutilmente di proporre una soluzione
alternativa: restare a vivere insieme, nascondendosi nel teatro, in attesa che
cessi la persecuzione. Dello scontro verbale fra l'Admeto euripideo e il padre
rimane una reminiscenza nelle parole con cui il vecchio nel dramma di Raboni
difende il suo diritto a vivere: lo ci tengo / ancora, ci tengo forse di più, / ci
tengo forsennatamente / a quel po' d'albe e dì tramonti / che, chissà, potrei
ancora vedere... (in modo analogo il Ferete euripideo esprimeva il suo
attaccamento alla dolce luce del sole). L'archetipo euripideo è del resto citato,
con raffinata operazione metateatrale, all'interno del dramma: la donna
ricorda di aver debuttato proprio in quel teatro nel ruolo dell'ancella di
Alcesti, e della sua regina ella aveva appreso a memoria la parte. E nel ruolo di
Alcesti ella ora cala se stessa: allontanandosi in silenzio (vengono in mente
certe nobili e solitàrie eroine sofoclee, come Deianira, o Euridice, o Giocasta,
che escono di scena senza proferire parola, per darsi la morte), mette i due
uomini di fronte al fatto compiuto della sua scelta, costringendoli con il suo
sacrificio a continuare a vivere nel ricordo della loro meschina grettezza.
L'ombra di Euripide riaffiora ancora nell'ambiguo finale: la novella Alcesti
ricompare in scena velata e muta, per partire insieme ai due uomini. Ma la
conclusione è assai più amara: la scena di riconoscimento, che nel modello greco
aveva luogo nell'esodo e che non poco contribuiva alla lieta katastrophé, qui è
rimandata al di fuori del dramma: i due uomini si avviano a prendere posto sul
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camion che li porterà alla salvezza senza conoscere l'identità della misteriosa
passeggera, avvolta nel suo velo come crisalide in attesa di metamorfosi (sul
fondo della scena compare Sara, riconoscibile ma misteriosamente mutata e
con il volto nascosto da un velo, recita la didascalia scenica). Tra i vari elementi
di originalità che lo spettatore attento e sensibile al dato letterario non
mancherà - con un certo compiacimento - di cogliere nel tessuto di questo
testo, ce n'è uno in particolare che attira l'attenzione, ed è l'atipico rapporto
intercorrente fra la donna e i due uomini. L'eroina di questo dramma, infatti,
divide il suo amore fra il marito, pragmatico uomo d'azione che le dà sicurezza
e agio, e il padre, figura d'intellettuale con il quale ella condivide l'amore per il
teatro e la letteratura (io vi amo uno nell'altro, / uno a causa dell'altro,
qualche volta / uno per rimpianto dell'altro, / indissolubilmente, /
inestricabilmente...}. Ne nasce una peculiare triangolazione, che Raboni sfrutta
abilmente anche allo scopo di delineare, in modo nuovo e attento al dato
psicologico, l'opposizione fra padre e figlio, quasi geloso, quest'ultimo, della
complicità che esste fra gli altri due. Un'invenzione interessante, che accresce
il fascino di questo dramma: ultima creazione letteraria nella lunga storia di
Alcesti.
Maria Pia Pattoni
ADMETO -- Guardali ancora, guardali ancora!
ALCESTI -- Muoio! Addio!
ADMETO -- Io sono morto!
CORO -- Non è più la moglie di Admeto.
5- PIANTO DEL CORO SECONDO STASIMO (vv 435 – 476)
(PEANA FUNEBRE)
CORO in greco
PRIMO CORIFEO -- Strofe- O figlia di Pèlio, sii felice laggiù, nelle oscure case
dell’Ade. E sappia Ade, il dio dai neri capelli e il vecchio che i morti conduce, stando al
remo e al timone, che mai sopra la nera palude d'Acherónte, mai donna piú degna ha
portato sulla sua barca.
CORO in greco
SECONDO CORIFEO -- Antistrofe- Spesso ti celebreranno i poeti con inni
accompagnati dalla cetra silvestre, a sette corde o con semplici cori a Sparta, quando
ricorre il ciclo delle feste Carnee, in autunno, e la luna si leva alta nel cielo, a Atene,
splendida e opulenta città. Morendo hai offerto argomento di canto agli aedi.
PRIMO CORIFEO -- Se dipendesse da me, se ne fossi capace, ti riporterei alla luce
dalle case dell’Ade, dalle correnti del Cocito, trovando remi adatti ai fiumi d’oltretomba.
Perché tu sola, prediletta tra le donne, tu hai liberato il tuo sposo dalla morte
sacrificando la vita. Che la terra ti sia leggera. E se tuo marito accogliesse una nuova
moglie nel suo letto, grande sarebbe l’odio nostro e dei figli.
SECONDO CORIFEO -- La madre si è rifiutata di scendere nella tomba al posto del
figlio, e anche suo padre, un vecchio. Sì, lo hanno messo al mondo, ma non hanno voluto
salvarlo, e pensare che hanno i capelli bianchi. Ma tu, fiorente di gioventù, te ne vai,
precedi il tuo uomo nell’Ade. Vorrei una compagna come lei _ ma è un destino che capita
di rado ai viventi, starebbe al mio fianco fino alla fine, con armonia.
6- ARRIVO DI ERACLE, DIALOGO CON ADMETO
TERZO EPISODIO (vv 477 – 567)
Eracle che lotta contro la morte di Alceste (Leighton)
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ERACLE -- Ospiti, gente di Fère! trovo in casa Admèto?
PRIMO CORIFEO -- Sì Eracle! Il figlio di Ferete è in casa.
Ma, di': qual motivo ti ha indotto a spingerti in Tessaglia, alla città di Fère?
ERACLE: Devo compiere una fatica per Euristèo, cerco il cocchio di Diomede, in Tracia.
ADMETO -- Stirpe di Giove e di Persèo, salute!
ERACLE -- E a te salute, o Admèto, re dei Tèssali!
ADMETO -- Magari! So che è l’augurio di un amico sincero!
ERACLE -- Come mai quei capelli rasati a lutto?
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ANCELLA -- Tiene fra le braccia la sposa diletta e piange, e prega perché non lo lasci.
Cerca l'impossibile! Ella si strugge nel suo male, si disfa, s'abbandona al suo braccio,
triste peso,. Respira ancora debolmente, ma vuole guardare la luce del sole. Ora vado a
riferire che siete qui: non tutti amano tanto i loro signori, da star loro vicini nelle
sciagure; tu sei vecchio amico dei padroni.
4- VISIONE DI ALCESTI, COLLOQUIO CON ADMETO E MORTE
PRIMO STASIMO (vv 213 – 243) e SECONDO EPISODIO (vv 244 – 434)
CORO -- Devo recidere i miei capelli? Indossare le vesti nere del lutto? Non dirò più
che le nozze recano più gioia che dolore. Me lo provano gli eventi del passato e vedo la
sorte che tocca al mio re. Ha perduto una sposa esemplare: avrà in futuro una vita che
non è più vita.
ALCESTI -- Vedo, vedo nella palude la barca e il traghettatore dei morti, Caronte:
impugna una lunga pertica, mi chiama: “Perché indugi? Sbrigati, tu mi sottrai tempo”. Mi
fa fretta, con rabbia.
Mi trascina qualcuno, mi trascina verso il regno delle ombre! Ha le ali… nei suoi occhi
cupi, semichiusi, splende la morte. - Lasciami. Che fai? Mi inoltro disperata per
un’orribile strada!
Figli, figli, la madre vostra non vive piú. Addio, figli, godete questa luce del giorno.
ADMETO -- Non partire, ti prego.
Se muori, io morrò. Tu sola puoi darmi la vita o la morte.
ALCESTI -- Admèto, prima di morire, a te dirò quello che desidero. Potevo non morire
per te, ma priva di te non volli vivere coi figli derelitti; e abbandonai i doni della
giovinezza. L'uomo che ti ha generato, la donna che ti ha partorito, ti hanno tradito
entrambi. Ed erano pur giunti agli anni in cui è giusto lasciar la vita; e avevano te solo.
Ma un Dio volle che cosí fosse tutto questo. E sia. Ma tu, rendimi una grazia. Tu da buon
padre ami i tuoi figli, come li amo io. Lasciali padroni della casa, ai figli miei non dare una
matrigna. Non farlo, no, ti prego! Io devo morire, e non domani, e non il terzo giorno del
mese; fra poco non potrete chiamare me viva. Addio, siate felici. Potete vantarvi, tu,
marito, per la moglie e voi, bambini, per la madre.
ADMETO -- Sarà, tutto sarà. Non temere. Io ti ebbi sposa da viva; e morta, ancora,
sarai detta mia unica sposa. E non un solo anno il lutto tuo porterò; ma sin ch'io resti in
vita, e aborrirò la madre e il padre. M'erano amici, non a fatti, a parole. Mi farò scolpire
da un bravo artista una statua che ti raffiguri, la collocherò nel nostro letto, la cingerò
con queste braccia. Ora attendimi là, quando io sia morto, e prepara la casa dove
abiteremo insieme!
ALCESTI -- La tenebra già mi scende sugli occhi.
ADMETO -- Ma io sono perduto se tu mi vieni a mancare!
ALCESTI -- Io non sono piú nulla.
ADMETO -- Alza il tuo volto... non lasciare i figli!
ALCESTI -- Non io voglio lasciarli... Oh figli... Addio!
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Porcellana di F. C. Linck (1730 – 1793)
13
ALCESTI
da Euripide
(Riduzione ed adattamento di O. Bardelli)
1-
INGRESSO
IL VIAGGIO NEL TEMPO
2- APOLLO-THANATOS
(PROLOGO 1 – 76)
APOLLO Addio casa di Admeto, dove ho accettato, pur essendo un dio, una
condizione servile; Giove ne fu causa; la folgore vibrata in petto al mio figliuolo
Asclepio, l'uccise. Allora io sterminai per vendetta i Ciclopi, del divin fuoco i
fabbri; e, per punirmi, mi costrinse il padre a servire un mortale. Sono disceso in
quest’angolo di terra a pascolare le mandrie del mio ospite custodendo anche la sua
casa. Mi sono imbattuto in un uomo pio, nel figliolo di Ferete.
Ora io, deludendo le Parche, l’ho salvato dalla morte.
Mi concessero che Admeto potesse schivare l’Averno, se al suo posto avesse offerto un
altro alle potenze dell’Oltretomba. Provò tutti gli amici, a tutti fece ricorso, anche al
padre e alla vecchia madre che l’aveva partorito, ma non trovò chi volesse morire per lui
e abbandonare la luce – tranne la sposa. Proprio oggi deve rendere l’anima e abbandonare
la vita. Ora devo lasciare la casa diletta perché non mi contamini il contagio della morte.
Ecco, Thanatos: spiava il giorno in cui ella doveva morire ed è giunto in punto.
THANATOS -- Che fai qui attorno? Stai provando a calpestare i diritti degli Inferi?
Non ti è bastato strappare Admeto al suo destino, ingannando le Moire con arti subdole;
di nuovo monti la guardia alla figlia di Pelio, che s’è offerta alla morte salvando il marito
APOLLO: -- Al cuor m'è grave il male d'un amico.
THANATOS: -- Vuoi togliermi anche questo secondo corpo?
APOLLO: -- Non è possibile che Alcesti arrivi alla vecchiaia?
THANATOS: -- Dalla morte dei giovani ricevo un onore più grande
APOLLO: -- Se morrà vecchia avrà esequie ricchissime.
Anche tu, con tutta la tua durezza dovrai cedere. Alla reggia di Ferete sta per arrivare
un grande eroe, Eracle. Il re Euristeo lo ha mandato a impadronirsi di certe cavalle nelle
selvagge regioni della Tracia. Verrà ospitato nella casa di Admeto e ti strapperà dalle
mani questa donna. Così non avrai da me nessun grazie, e farai lo stesso quello che voglio;
e l'odio mio guadagnerai per giunta.
THANATOS: -- Nulla otterrai, per quanto a lungo parli: giú nell'Averno scenderà la
donna. Ora muovo su lei: con la mia spada, la tocco; e quanti il crine hanno sfiorato da
questo ferro, sono sacri agl'Inferi.
3- RACCONTO DELLA SERVA AL CORO
(PARODO vv 77 – 135 e PRIMO EPISODIO vv 136 – 212)
CORO -- Perché questa pace dinanzi alla reggia? è muta la casa d'Admèto. Perché?
CORIFEO A -- Vicino a me non c’è nessuno degli amici per dirmi se devo piangere la
regina morta o se ancor vede luce la figlia di Pelio, Alcèsti.
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CORIFEO B -- Per me e per tutti si è dimostrata la migliore delle donne: mai sulla
terra simile non visse.
CORIFEO C -- Ella è già spenta!
CORIFEO A -- No, non uscita è ancor dalla dimora.
CORIFEO B -- Eppure, il giorno fatale è questo!
CORIFEO C -- Quando sui buoni piomba la sciagura, chi buono è per natura deve avere
compassione.
CORIFEO A -- Su lei pesa ineluttabile il Fato. Non esiste sacerdote o altare cui
rivolgermi. Al male non v'è medicina.
CORIFEO B -- Che notizie ci porta l’ancella? Il pianto si spiega se sta capitando
qualcosa di grave ai padroni. Ora tu dicci se viva ancora o spenta è la regina.
ANCELLA -- Puoi dirla viva e morta nello stesso tempo, puoi già morta dirla.
CORIFEO A -- Come può uno essere morto e vivo?
ANCELLA -- Già vicina è a morte, già lo spirito esala.
CORIFEO A -- Sappi, Alcèsti, che muore con te la donna migliore fra quante vivono
sotto il sole.
ANCELLA -- Come no? La migliore. Che cosa si dovrebbe fare per superarla?
Alcesti ha dimostrato di onorare il marito nel modo più grande, accettando di morire per
lui. Ma questo a tutti i cittadini è noto. Senti ora, e te ne stupirai, come si è comportata
dentro alla reggia.
Quando vide giungere il giorno estremo, lavò nella corrente d’acqua il proprio corpo
candido; e dalle arche di cedro, tolse vesti ed ornamenti e s'abbigliò. E stando presso
l'ara di Vesta, la pregò:
«Ora che scendo ai regni sotterranei, quest'ultima preghiera, o Dea, ti rivolgo. Proteggi i
miei figli.
Concedigli una sposa che lo ami e fa’ che non muoia prima del tempo, come è toccato a
me, ma che nella patria viva felice».
Si accostò a tutti gli altari del palazzo, depose corone di fiori e pregava con gli occhi
asciutti e senza un gemito. La morte imminente non segnava il pallore del suo bel volto.
Entrò quindi nel talamo, sul letto nuziale; e qui pianse e disse «Letto che avesti il fior
della mia vita, addio: non ti odio io, no, sebbene muoia solo per te: per non tradire lo
sposo e te, muoio. Sarai di un'altra donna, non piú fedele di me, ma piú fortunata».
Cadde in ginocchio e lo baciava, inondando le coltri con un fiume di lacrime.
Tutti i servi piangevano nella dimora, per pietà della regina. Ed essa tese a tutti la
destra.
Ecco che avviene nella casa d'Admèto. Se egli fosse morto, per lui sarebbe finita. Ma,
scampando si è procurato un dolore di cui non si scorderà mai.
CORIFEO A -- Certo, per questo male Admèto piange.
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libretto Alcesti - Istituto Decio Celeri