L’infanzia e i servizi per l’infanzia:
verso un approccio europeo
Un documento di indirizzo proposto da Bambini in Europa
principio
principe
7
Valutazione:
partecipativa,
democratica e
trasparente
principe
principe
«La valutazione dovrà essere un processo
continuo, partecipativo e democratico. La
valutazione dovrà essere aperta a tutti i cittadini,
bambini e adulti, offrendo l’opportunità a
ciascuno di discutere problemi reali e concreti e
di assumersi la responsabilità di dare giudizi di
valore insieme agli altri, piuttosto che trincerarsi
dietro la presunta obiettività scientifica offerta da
esperti e da valutazioni manageriali. Ciò richiede
metodi quali una specifica documentazione
pedagogica che renda tale prassi visibile,
trasparente e soggetta a riflessione, dialogo,
interpretazione e giudizi di valore, e che
garantisca spazio per trovare risultati imprevisti».
principe
principe
(http://www.edizionijunior.com/public/Inrete/
DISCUSSIONPAPER.pdf)
Questo contributo fa parte di una
serie di documenti che mirano ad
approfondire i 10 principi proposti
da Bambini in Europa nella sua
dichiarazione L’infanzia e i servizi per
l’infanzia: verso un approccio europeo.
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Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
Che cosa significa questo principio?
Il principio 7 enuncia i criteri generali per valutare i servizi per
la prima infanzia nel quadro dei valori e dell’approccio descritti
nel documento di indirizzo di Bambini in Europa dal titolo
L’infanzia e i servizi per l’infanzia: verso un approccio europeo,
che mira ad andare al di là dell’obiettivo dell’espansione
quantitativa di questi servizi e richiama al rispetto dei diritti
dei bambini e all’equità sociale.
Per prima cosa, il principio 7 sottolinea che la valutazione deve
risultare da un processo continuo, durante il quale la qualità del
servizio è messa a punto continuamente ed è aperta a nuove
prospettive. In questo processo, devono essere coinvolti molteplici
attori, i quali devono essere messi in condizione di esprimere i
loro giudizi. La valutazione deve essere considerata un atto etico
e politico grazie al quale sia le persone direttamente coinvolte
(stakeholders) sia tutti i cittadini sono chiamati a compiere
delle scelte educative senza delegare questa responsabilità
unicamente agli esperti dell’educazione o della gestione dei
servizi. Di conseguenza, l’attività di valutazione di un servizio
per la prima infanzia può essere considerata come una forma
di partecipazione democratica alla vita della collettività; offre
l’ulteriore opportunità che il servizio divenga un forum di
discussione e di incontro sociale tra bambini e tra adulti, uno
spazio di prassi etica e politica, come sottolineato nel documento
di indirizzo di Bambini in Europa. L’attività di valutazione
diviene un’opportunità di comunicazione e di discussione
su temi e valori educativi e altre questioni sociali, culturali e
politiche connesse all’educazione. In questo particolare forum, i
diversi valori, credenze e atteggiamenti educativi possono essere
resi espliciti, riconosciuti e discussi, promuovendo il rispetto e
la valorizzazione della diversità, che il documento di indirizzo
di Bambini in Europa considera condizione fondamentale della
democrazia nei servizi per l’infanzia.
Il principio 7 suggerisce che questo processo di discussione
deve essere centrato su questioni concrete. Il documento di
indirizzo di Bambini in Europa propone un approccio olistico
all’educazione dell’infanzia che attribuisce pari importanza
tanto all’apprendimento dei bambini, alle relazioni sociali,
all’estetica e all’etica quanto al loro benessere emotivo e fisico.
Il principio 7 dichiara che le pratiche mediante le quali questo
approccio viene realizzato devono essere visibili e leggibili per
tutti i partecipanti, in modo tale che essi possano discutere le
conseguenze pratiche delle loro scelte educative. Grazie alla
documentazione, che è la rappresentazione delle pratiche
realizzata attraverso diverse modalità espressive (Rinaldi, 2009),
anche gli aspetti più immateriali delle pratiche e dell’esperienza
dei bambini possono essere resi oggetti materiali. Questa
affermazione apre la strada a un ruolo specifico degli operatori
nel processo di valutazione, che sono chiamati a impegnarsi
nel documentazione delle pratiche in modo che esse possano
diventare oggetto di riflessione e discussione da parte di un
pubblico più ampio. Sostenendo che questo processo di
riflessione e di discussione possa aprire nuove prospettive e
dare spazio a risultati imprevisti, il principio 7 suggerisce una
forte e specifica relazione tra valutazione e innovazione delle
pratiche educative.
Quali sono le basi di questo principio?
Questo approccio alla valutazione dei servizi per l’infanzia si
basa sui primi testi prodotti a partire dagli anni Novanta dalle
reti europee di esperti.
La Rete per l’Infanzia della Commissione Europea (1992) ha
proposto un documento che è stato sottoposto alla discussione
di più di 3.000 organizzazioni attive in Europa nel settore
dell’educazione dell’infanzia. In questo documento, esperti
di differenti Paesi europei hanno rifiutato l’idea di definire la
qualità dei servizi in relazione a degli standard predeterminati
da esperti, come i pedagogisti o gli psicologi dello sviluppo, e
hanno dichiarato che la qualità dei servizi per l’infanzia è un
costrutto multidimensionale, che tiene conto sia degli aspetti
organizzativi che degli aspetti educativi di questi servizi.
Inoltre, il documento sottolinea che la qualità dei servizi deve
essere definita nel corso di un processo di discussione tra
tutti gli stakeholders: operatori ed esperti, genitori e bambini.
Questo processo deve essere dinamico e continuo, complesso
e democratico; deve anche essere realizzato a più livelli e
coinvolgere un largo numero di gruppi che si interessano di
servizi per la prima infanzia.
Il documento del 1991 ha avuto un’influenza considerevole
sul successivo dibattito e sulle esperienze sviluppate nei
diversi Stati membri. Il suo approccio ha trovato corpo in una
“Raccomandazione del Consiglio, del 31 marzo 1992, sulla
custodia dei bambini” (92/241/CEE) adottata nel 1992 dal
Consiglio delle Comunità Europee. La Raccomandazione ha
proposto iniziative per aumentare il numero dei servizi per
l’infanzia in Europa insieme ad alcuni principi di qualità che ne
orientassero lo sviluppo. In seguito a questa Raccomandazione,
nel 1996 la Rete per l’Infanzia della Commissione Europea ha
prodotto un documento in cui venivano definiti 40 obiettivi
che gli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere nei
successivi dieci anni (Rete per l’infanzia, 1996). Il documento
fissava le percentuali di copertura dei servizi per la prima
infanzia e una serie di obiettivi relativi ad aspetti organizzativi,
funzionali, finanziari ed educativi. Gli ultimi obiettivi (37-40)
sono centrati sulla valutazione dei servizi.
Due di questi riguardano la responsabilità sul piano
dell’investimento nei servizi per la prima infanzia: l’obiettivo 37
afferma che i servizi devono dimostrare di aver raggiunto le loro
finalità e i loro obiettivi e come è stato speso il budget assegnato,
mentre l’obiettivo 38 richiede di rendere conto dei progressi dei
bambini. In entrambi in casi, il documento propone di verificare
i risultati realmente realizzati, piuttosto che la mera conformità a
modelli predeterminati o a standard di sviluppo del bambino o di
pratica educativa. Riguardo i progressi dei bambini, è importante
sottolineare che il documento propone di attivare una discussione
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Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
tra i genitori del bambino e il personale attorno a “che cosa accade”
al bambino, perché questa discussione può offrire una prospettiva
su “quanto bene funziona il servizio”. In altre parole, il documento
suggerisce di inferire la qualità del servizio dal comportamento
presente del bambino e dalle sue reazioni rispetto al contesto
che offre il servizio, piuttosto che ricercando i futuri effetti della
frequenza al servizio sul comportamento dei bambini.
Gli ultimi due obiettivi riguardano gli attori che devono essere
coinvolti nel processo di valutazione. L’obiettivo 39 sottolinea
l’importanza di coinvolgere il punto di vista dei genitori e della
collettività, mentre l’obiettivo 40 suggerisce che il personale
verifichi regolarmente le proprie attività “utilizzando sia
metodi oggettivi che modalità di auto-valutazione”. In questo
modo, viene introdotta una doppia distinzione. Le opinioni
espresse dai genitori e dagli altri partecipanti della collettività
sono considerate separatamente dalla posizione professionale
assunta dal personale. Inoltre, i metodi oggettivi e le attività di
auto-valutazione vengono distinte e contrapposte.
Quest’ultima distinzione, che risulta legata alla prima, riflette
il pregiudizio – predominante in quel periodo – secondo
il quale le procedure di auto-valutazione sono importanti
ma non possono essere considerate valide per giudicare la
qualità di un servizio. In altre parole, come sostiene Patton
(1994), si considera che esse abbiano una ricaduta importante
per sostenere l’empowerment degli attori e per migliorare i
progetti ma costituiscano solo una tappa preliminare alla
vera valutazione, cioè il giudizio oggettivo espresso da esperti
esterni.
In realtà, nella maggioranza delle esperienze di valutazione dei
servizi per la prima infanzia realizzate nei Paesi europei durante
gli anni Novanta, gli strumenti di valutazione proposti da
esperti sono stati rifiutati, modificati o utilizzati nel quadro di
processi di auto-valutazione da parte del personale dei servizi.
Inoltre, la qualità dei servizi disegnata da questi strumenti è
risultata spesso inadeguata alla cultura locale dell’educazione
infantile.
LE ESPERIENZE DI VALUTAZIONE IN EUROPA
NEGLI ANNI NOVANTA
La maggior parte delle esperienze di valutazione dei
servizi per la prima infanzia realizzate nei Paesi europei
negli anni Novanta hanno fatto uso delle scale ECERS
e ITERS-ECERS messe a punto e validate negli USA
(Harms, Clifford, 1980; Harms, Cryer, Clifford, 1990), ma
in molti casi l’uso di queste scale è stato abbandonato
dopo pochi anni. Sebbene fosse stata confermata la
loro efficienza nel dare un resoconto rapido e olistico
sui diversi aspetti della qualità di un servizio (come
nella Comunità fiamminga del Belgio), molti esperti
e operatori europei ritenevano che queste scale non
tenessero conto dei bisogni e delle aspirazioni proprie
della cultura educativa locale e hanno rivendicato la
necessità di strumenti di misurazione della qualità
educativa maggiormente contestualizzati e adatti alla
specifica tipologia di servizio (Brophy, Statham, 1994 ) o
alla cultura educativa o definizione delle qualità locali
(Wessels, Lamb, Hwang, Broberg, 1997; Bondioli,
Ghedini, 2000). Dunque sono stati elaborati altri
strumenti, come il CCFS in Grecia (Dragonas, Tsiantis,
Lambidi, 1995), l’OLiVE in Svizzera (Pierrehumbert,
Ramstein, Krucher, El-Najjars, Lamb, Halfon, 1996),
l’ISQUEN (Cipollone, 1999) e l’AVSI in Italia (Bondioli,
Ferrari, 2008), basati sulla cultura e sui valori locali
oppure finalizzati a rendere espliciti questi valori,
come ad esempio l’ACEI (Darder, Mestres, 1994). È
particolarmente interessante sottolineare che nella
gran parte di queste esperienze, tutte le scale, incluse
l’ECERS e l’ITERS-ECERS, sono state utilizzate dagli
operatori dei servizi nell’ambito di iniziative di autovalutazione al fine di attivare una discussione e un
confronto tra il personale del servizio, piuttosto che di
verificare la conformità del servizio alle normative o alle
linee guida.
Più recentemente, un gruppo di ricerca dell’Università
di Leuven ha messo a punto un nuovo strumento per
valutare il benessere e il coinvolgimento dei bambini
nel servizio (Laevers, Debruyckere, Silkens, Snoeck,
2005). Questo strumento, il cui uso è stato promosso
nel 2003 da Kind en Gezin (l’agenzia governativa
che ha la responsabilità del settore dell’infanzia
e della famiglia nelle Fiandre, in Belgio), prevede
che gli operatori del servizio valutino e analizzino il
comportamento dei bambini per discutere e migliorare
le loro pratiche.
Giudicare o verificare la qualità?
Il principio 7 intende andare oltre il rifiuto per la valutazione
esterna realizzata dagli esperti perché respinge esplicitamente
l’idea che la qualità del servizio debba essere definita solamente
in relazione a parametri scientifici o gestionali. Il principio 7
considera illusoria la ricerca di una definizione della qualità
fondata scientificamente e sottolinea la dimensione valoriale
dei giudizi sulla qualità. Questa affermazione evoca l’attuale
dibattito in atto tra gli scienziati sociali sul rapporto tra verità
scientifica e metodo, nel corso del quale alcuni enfatizzano il
ruolo dell’analisi dei valori nello stabilire “le cose che sono
buone o cattive per gli esseri umani”, come sostiene Aristotele,
in contrasto con quanto accade per il sapere scientifico e tecnico
(Flyvbjerg, 2001). Questa posizione a favore di un fondamento
etico del processo di valutazione non significa negare il
contributo scientifico della ricerca all’analisi della qualità dei
servizi per la prima infanzia. Né propone di ignorare quel
corpo quasi omogeneo di saperi professionali che si è andato
costruendo nel settore dell’educazione della prima infanzia nel
corso degli ultimi decenni sulla relazione tra pratiche educative
e loro conseguenze sul benessere e sull’apprendimento dei
bambini. Quello che il principio 7 contesta è l’assunto di un
legame diretto tra conoscenza scientifica e pratiche educative,
in base al quale l’attività di valutazione viene ridotta alla
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Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
verifica della corrispondenza di una pratica educativa con
una accreditata applicazione di proposizioni scientifiche
universalmente valide. La dimensione valoriale nella valutazione
implica che i partecipanti al processo di valutazione discutano
l’adeguatezza delle pratiche in relazione al loro significato nel
contesto sociale al quale essi appartengono e agli obiettivi che
essi hanno deciso di perseguire.
Il principio 7 identifica la documentazione pedagogica
come uno strumento potente che permette ai partecipanti di
basare le loro interpretazioni e i loro giudizi su pratiche reali
e concrete. Anche se nella documentazione i fatti da valutare
sono solo rappresentati, e quindi costituiscono già il prodotto
di ri-elaborazione dell’esperienza dei bambini nel servizio
(Dahlberg, Moss, Pence, 1999), questa rappresentazione risulta
contestualmente definita e pragmaticamente orientata e può
favorire l’espressione di giudizi di valore.
La questione della qualità nell’agenda
politica dei Paesi europei
L’interesse per la qualità dei servizi per la prima infanzia è
progressivamente cresciuto a partire dalla fine del ventesimo
secolo e, negli ultimi dieci anni, in numerosi Paesi europei
hanno visto luce normative e linee guida finalizzate a orientare
la qualità dei servizi.
Si potrebbe affermare che, paradossalmente, questa maggiore
attenzione alla qualità dei servizi per la prima infanzia è stata
in parte il risultato dello sviluppo quantitativo di questi servizi.
La più diffusa implementazione di un approccio universalistico
all’educazione prescolare, così come il riconoscere che i servizi
per la prima infanzia, sostenendo l’occupazione femminile,
rappresentano un forte motore di sviluppo economico, hanno
fatto sì che la questione dell’estensione dell’offerta abbia trovato
posto nell’agenda politica di molti Paesi europei. Queste stesse
tendenze hanno anche messo in luce la responsabilità delle
autorità pubbliche nel garantire la qualità di questa offerta
nel quadro della lotta per le pari opportunità in educazione e
contro l’esclusione sociale.
Affrontare le questioni della qualità è urgente. Gli obiettivi
del Consiglio Europeo concordati a Barcellona nel 2002, che
hanno promosso l’aumento dei servizi per la prima infanzia
e che hanno suscitato una generale mobilitazione nella gran
parte dei Paesi europei, non specificano alcun requisito o
obiettivo di qualità. Dunque emergono nuovi interrogativi
e possibili contraddizioni. Quali politiche e quali procedure
possono conciliare la necessità di incrementare l’offerta con
quella di garantirne la qualità? È possibile offrire in un Paese
un’ampia gamma di servizi e, allo stesso tempo, garantire la
stessa qualità a tutti i bambini e le famiglie?
L’urgenza di raggiungere gli obiettivi quantitativi di Barcellona
così come la crisi economica e finanziaria che sta interessando
le pubbliche amministrazioni in molti Paesi europei, stanno
ulteriormente orientando le politiche verso un sistema di
welfare misto, in cui gli attori privati e pubblici partecipano
all’offerta all’interno di uno stesso territorio. Si può esigere la
qualità in un sistema di servizi che incoraggi l’intervento di
differenti gestori e operatori, senza imporre procedure che
potrebbero ridurre la capacità di offrire risposte creative e
flessibili ai bambini e alle famiglie?
Sembrano allora emergere due distinte finalità dell’attività
di valutazione: quella di sostenere il miglioramento e
l’innovazione della qualità dei servizi e quella di verificare il
rispetto delle normative. Questa distinzione si ritrova in alcuni
studi internazionali.
La rassegna dell’OCSE sui servizi per la prima infanzia in
venti Paesi (OECD, 2001; 2006) raccomanda che ciascun Paese
stabilisca una normativa specifica per tutti i servizi per la
prima infanzia, che fissi degli standard di qualità per gli aspetti
strutturali e di processo e che sostenga i servizi nel superare
questi standard e nel migliorare ulteriormente la qualità. Di
conseguenza, la rassegna sostiene che sono necessarie attività
di valutazione per verificare il rispetto degli standard, nei
servizi sia pubblici che privati, ma anche per sostenere pratiche
di riflessività da parte degli operatori e l’innovazione della
pratiche.
Più recentemente, uno studio condotto in venticinque Paesi
dell’OCSE (Bennett, 2008) ha identificato alcuni standard di
qualità universali per i sistemi di servizi per la prima infanzia. Lo
studio segnala l’esistenza di un considerevole accordo tra esperti
di differenti Paesi sui requisiti strutturali e programmatici
necessari ad assicurare la qualità e propone una lista di 15
benchmarks o condizioni fondamentali. Ancora, la questione
della valutazione è menzionata in relazione alla governance del
sistema e alla qualità del programma. Nel primo caso, sono
richieste una valutazione dei servizi realizzata con regolarità
a livello nazionale (benchmark n. 5) e un monitoraggio della
loro conformità alle normative (benchmark n. 6). Tra i requisiti
per assicurare la qualità di un programma, il benchmark n. 12
richiede che «le agenzie di governo offrano un sostegno a [...]
forme partecipative di sviluppo e verifica della qualità (come
ad esempio la ricerca e la documentazione pedagogica)».
In sintesi, lo studio traccia una netta distinzione tra le
attività di valutazione finalizzate a orientare e controllare al
livello di organi di governo (nazionali, regionali o locali) e le
attività realizzate dagli operatori a livello di servizio al fine di
monitorare l’attuazione del progetto. È importante sottolineare
che lo studio esprime la ragionevole argomentazione che,
in entrambi i casi, la valutazione debba essere realizzata in
relazione a un quadro condiviso di normative, linee guida e
obiettivi.
Le considerazioni messe in evidenza dallo studio sollevano due
serie di questioni.
La prima riguarda la distinzione tra i due obiettivi della
valutazione, che sono il sostegno al miglioramento e
all’innovazione della qualità del servizio e il controllo del
rispetto delle normative. Questa distinzione suggerisce una
potenziale contraddizione nelle procedure e nei metodi che
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Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
devono essere utilizzati nelle differenti attività di valutazione?
L’indicazione presente nel principio 7, secondo la quale la
valutazione deve essere partecipata e democratica, incontra
solo l’obiettivo di sostenere il miglioramento e l’innovazione
delle pratiche? Può un approccio partecipativo e democratico
inspirare anche il controllo del rispetto della normativa da
parte di una pluralità di gestori e di operatori, come ci si
aspetta da politiche di equità sociale?
La seconda serie di questioni riguarda il monito che la
valutazione sia realizzata in relazione a un quadro stabilito di
normative e linee guida. Questo monito impone troppi vincoli
a un processo di discussione democratica prevista dal principio
7? Indebolisce il ruolo e la responsabilità dei partecipanti
a questo processo e riduce lo spazio per “trovare risultati
imprevisti”? In che modo è possibile conciliare il desiderio di
riflettere su “cosa accade nel servizio”, di discutere se è buono o
non è buono, di decidere come cambiarlo, e la conformità con
le linee guida definite da un governo?
I ricercatori che si occupano di valutazione al di fuori dal
settore dei servizi per la prima infanzia dibattono su questioni
simili riguardo la natura e gli scopi della valutazione.
Nel 2004, il tema principale della Conferenza della Società
Europea di Valutazione che ha avuto luogo a Berlino è
stato “Governance, Democrazia e Valutazione”. In questa
conferenza sono state discusse questioni e prospettive che
risultano assolutamente rilevanti per il settore dell’educazione
dell’infanzia. Secondo Stame (2006), la funzione della
valutazione è «rendere il processo di governare più democratico»
e i valutatori devono scegliere approcci e metodi che possano
rinforzare la partecipazione, garantire la trasparenza e
promuovere il welfare. La valutazione è considerata una
dimensione fondamentale della governance, laddove per
governance si intende il processo di governare in senso lato,
ma può anche indicare «una forma cooperativa di governo da
parte di reti di attori pubblici e privati che partecipano alle
decisioni politiche e alla loro attuazione».
Questo approccio, che sembra essere largamente condiviso
tra i ricercatori europei che si occupano di valutazione,
riconosce che la valutazione non è né neutrale né oggettiva
e apre la strada a metodi, come l’empowerment evaluation,
la developmental evaluation, la valutazione formativa, che
condividono tutti l’idea che la valutazione sia un processo
continuo il cui primo scopo è il miglioramento del programma.
Questo approccio sottolinea anche l’efficacia dei metodi di
valutazione partecipata che, come ha evidenziato Hanberger
(2006): si basano sul dialogo e sul confronto tra partecipanti,
accrescono l’efficacia e la razionalità nella governance,
rafforzano la responsabilità dell’atto valutativo tramite la
sua condivisione tra tutti gli stakeholders e realizzano una
funzione chiarificatrice perché aiutano gli stakeholders stessi
a vedere “cosa è buono per loro”.
Queste affermazioni sembrano essere particolarmente rilevanti
in relazione alla valutazione e alle peculiarità dei servizi per la
prima infanzia.
La valutazione: le peculiarità dei servizi
per la prima infanzia
In molti Paesi europei il sistema dei servizi per la prima
infanzia è caratterizzato da un marcato decentramento
dell’offerta pubblica e nella pianificazione, nel finanziamento,
nella regolamentazione e nella realizzazione dei servizi sono
implicati differenti livelli di governo (locale, regionale,
nazionale). Inoltre in quasi tutti i Paesi europei, il sistema dei
servizi per la prima infanzia è caratterizzato da un significativo
intervento del settore privato, soprattutto nel caso dei servizi
rivolti ai più piccoli (Humblet, Moss, 2006). In questi sistemi,
le questioni relative alla governance orizzontale e alla governance
verticale divengono particolarmente cruciali. Le procedure
di valutazione dovrebbero essere capaci di rispondere alle
domande relative alle nuove tendenze nella gestione pubblica
(governance o controlli di conformità) così come alle domande
che riguardano i diversi livelli di governance in termini di
reciproca trasparenza, efficienza e affidabilità. Questo significa
anche che le procedure di valutazione devono tenere conto
del coinvolgimento di una pluralità di stakeholders (organi di
governo, gestori, genitori, comunità locali, operatori) e delle
loro credenze, aspettative e richieste potenzialmente diverse.
La natura specifica dei servizi per la prima infanzia aggiunge
ulteriori livelli di complessità. Questi servizi sono luoghi dove
una pluralità di individui, con differenti ruoli e/o diverse identità
personali o di gruppo, si incontrano insieme ripetutamente.
In questi contesti, condividere la responsabilità della cura
e dell’educazione dei bambini è l’obiettivo più importante:
il dialogo e il confronto sono essenziali per raggiungere
questo obiettivo. Dunque, le funzioni della valutazione di
empowerment e di enlightenment acquisiscono una forza e un
significato specifici perché aiutano i partecipanti a mettere a
fuoco “cosa è buono per loro” e a comprendere e rispettare i
reciproci punti di vista.
Questa questione ha importanti implicazioni per la
partecipazione del personale del servizio all’attività di
valutazione, sia sul piano del significato che quest’ultima
assume sia sul piano delle procedure. Una prima importante
considerazione riguarda il fatto che la formazione rappresenta
l’attività di base nei servizi per la prima infanzia e costituisce
anche un compito specifico degli operatori; questo implica
che l’attività di valutazione, con il suo impatto formativo,
debba diventare una componente essenziale della loro pratica
professionale. Inoltre, poiché il cambiamento, sia in termini
di sviluppo del bambino che in termini di evoluzione delle
situazioni e degli eventi, è una dimensione costitutiva della
pratica in questi servizi, risulta particolarmente importante
che le attività di valutazione da parte degli operatori siano
realizzate secondo un processo continuo, sistematico
e costante, e assumano la continuità e il cambiamento
come unità fondamentali di analisi. Ciò non implica che
la valutazione debba essere esclusivamente realizzata
dagli operatori. Essa deve piuttosto implementare le loro
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Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
competenze nell’analizzare e documentare l’esperienza dei
bambini al fine di offrirne una rappresentazione sapiente ai
genitori e agli altri stakeholders.
Un’altra considerazione riguarda il coinvolgimento dei
genitori nella valutazione, il modo in cui è proposto, realizzato
e, successivamente, preso in considerazione da parte del
personale e dei gestori. Interrogare i genitori esclusivamente
sulla loro soddisfazione del servizio restituisce un’immagine
non adeguata della loro complessa condizione. In primo
luogo, i genitori non sono semplici clienti, ma partner
principali degli operatori nel compito di educare il bambino.
In secondo luogo, poiché il loro coinvolgimento nel servizio
e le loro relazioni con gli operatori possono influire
sul loro benessere e influenzare il loro comportamento
genitoriale, i genitori possono essere considerati utenti
diretti del servizio. Infatti, nei sistemi di valutazione della
qualità più sviluppati, come i sistemi per l’accreditamento
proposti dall’associazione professionale NAYEC negli USA
o dall’agenzia federale NCAC in Australia, ai genitori viene
richiesto di esprimere giudizi dettagliati sui differenti aspetti
della qualità del servizio. In questi sistemi, le valutazioni
dei genitori sono rilevate separatamente dalle valutazioni
espresse dagli operatori o da esperti esterni e sono previste
delle specifiche procedure per mettere insieme i giudizi
di tutti gli stakeholders in un risultato finale complessivo.
Tuttavia, queste procedure sembrano non tenere conto
della necessità di una reale integrazione tra le differenti
valutazioni, che invece potrebbe risultare da un’interazione
diretta tra genitori, operatori e gestori, durante la quale i
diversi attori possono dialogare, cooperare in un processo di
costruzione di significato e, infine, aprire nuove prospettive
sull’educazione dei bambini.
Inoltre, non è irrilevante che la partecipazione alla valutazione
da parte degli operatori, dei genitori e della comunità locale
si svolga principalmente a livello di singolo servizio, mentre il
controllo del rispetto dei requisiti venga realizzato dalle agenzie
di governo, dalle quali ci si aspetta che operino in relazione a
un territorio più ampio.
A questo punto, emergono due questioni strettamente
connesse. La prima riguarda il processo di valutazione a livello
locale: in che modo è possibile contrapporre, combinare o
integrare le valutazioni potenzialmente divergenti dei differenti
attori? La seconda questione riguarda la relazione tra i due
processi di valutazione, che sono rispettivamente finalizzati al
miglioramento della qualità e al controllo della conformità agli
standard e al rispetto dei requisiti, e il fatto che anche questi
processi possono essere potenzialmente divergenti: come è
possibile mettere insieme la valutazione nel servizio, che risulta
essenzialmente orientata al miglioramento della qualità e che
è il fulcro di una procedura partecipativa, con la valutazione
del servizio, che è necessaria per assicurare la qualità di tutto il
sistema dei servizi a livello di governance?
Tutte le risposte a queste domande sono connesse al modo
in cui pensiamo debba essere realizzata la democrazia in una
società complessa (Moss, 2007a).
Prossimi passi
La stretta relazione enunciata nel principio 7 tra i metodi
utilizzati per la valutazione dei servizi per la prima infanzia e la
dimensione politica ed etica, partecipativa e democratica della
valutazione rappresenta una vera sfida per la società europea.
Nella gran parte dei Paesi europei, nei processi decisionali
relativi ai servizi per la prima infanzia sono coinvolti differenti
livelli istituzionali e una varietà di stakeholders e tutti questi
devono essere implicati nella valutazione della qualità. La
questione sul tavolo è se e come questi diversi livelli possono
essere messi in relazione.
Di certo vi è la necessità di un insieme di valori e di obiettivi
educativi a livello di governance nazionale o regionale stabiliti
all’interno di contesti partecipativi e democratici. Ma questo
non restringe necessariamente lo spazio per esprimere
valori e obiettivi diversi e definizioni di obiettivi specifici in
altri contesti di partecipazione a livello locale, a condizione
che sia istituita la possibilità di un meccanismo di feedback
reciproco. I rapporti tra i costrutti definiti nei differenti
contesti di partecipazione dovrebbero essere immaginati come
un processo a spirale, che offra ampia possibilità di costruire
significati e di discutere attorno alle finalità da perseguire così
come al modo di raggiungerle.
VALUTARE LA REALIZZAZIONE DEL CURRICULUM
NAZIONALE IN SVEZIA
Nel 1998, i servizi per la prima infanzia svedesi sono
stati inseriti nel sistema educativo ed è stato formulato
un curriculum in cui sono definiti i valori e gli obiettivi
principali dell’educazione dell’infanzia. Nel 2004 e nel
2008, l’Agenzia Nazionale per l’Educazione ha realizzato
a livello nazionale due valutazioni di questa riforma
attraverso visite di ispezione dei servizi e interviste agli
insegnanti e ai responsabili municipali delle scuole.
Sono state accertate la conformità del servizio alle
normative e individuate le origini dei malfunzionamenti.
La valutazione è stata anche finalizzata a verificare se
le attività educative fossero basate sui valori espressi
nel curriculum nazionale. Su questo aspetto, i rapporti
hanno rilevato che di frequente i servizi tendevano
a fraintendere ciò che il curriculum indicava come
“obiettivi da perseguire”, intendendoli piuttosto come
tappe da raggiungere obbligatoriamente, cosa che
metteva bambini e insegnanti sotto un’eccessiva
pressione. Questo fraintendimento mette in luce la
tensione tra i valori educativi e gli obiettivi concreti
così come tra la definizione della qualità al livello di
governance e a livello di servizio.
Una condizione prioritaria per mettere in atto un tale processo
è disegnare un sistema di valutazione che metta in rete i
differenti contesti di partecipazione sulla base di rigorose
procedure democratiche. Tutti gli stakeholders (dai genitori dei
bambini e dagli operatori dei servizi alle agenzie di governo ai
7
Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
diversi livelli di governance) dovranno partecipare all’interno
di contesti diversi ed esprimere e discutere i loro giudizi dalle
loro diverse prospettive di utenti, gestori o controllori. L’uso
della documentazione garantirà una base comune per ancorare
la discussione a fatti concreti e rendere i giudizi trasparenti
per tutti. Ecco che allora, le procedure di auto-valutazione e
della valutazione esterna troveranno un punto di convergenza
e di integrazione e, infine, proveranno che i giudizi espressi
dai valutatori interni ed esterni non sono necessariamente in
contraddizione.
UN SISTEMA DI VALUTAZIONE PARTECIPATA IN ITALIA
In Italia, le più recenti normative hanno definito le
procedure di accreditamento per i servizi che intendono
richiedere finanziamenti pubblici. Sono stati sviluppati
un importante dibattito e alcune esperienze al fine di
elaborare procedure adeguate per definire gli standard
di qualità richiesti per ottenere l’accreditamento e per
valutarne la messa in opera da parte dei servizi. Nel
periodo 2004-2009 il Comune di Roma, in collaborazione
con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha messo
a punto un sistema di valutazione della qualità dei
servizi per la prima infanzia accreditati con il duplice
obiettivo del miglioramento delle pratiche e della
verifica del rispetto delle norme dell’accreditamento (Di
Giandomenico, Musatti, Picchio, 2008). Questo sistema
ha disegnato procedure per documentare, analizzare e
valutare la qualità educativa e ha coinvolto gli educatori,
i coordinatori, i genitori e i dirigenti municipali all’interno
di un quadro strutturato di partecipazione, nel quale
ciascun attore è chiamato a esprimere il proprio giudizio
su quanto documentato da differenti prospettive e
secondo il proprio ruolo e la propria posizione (come
gestore del servizio, utente, amministratore).
Ampio spazio è stato riservato al confronto, alla
discussione e integrazione dei differenti punti di vista
e giudizi. Il sistema ha previsto anche una valutazione
finale dei risultati del processo di valutazione
partecipata realizzato durante l’anno e un progetto per il
miglioramento della qualità.
Questo processo di documentazione, analisi e valutazione della
qualità dei servizi ha le potenzialità di aprire nuove prospettive
per comprendere i diritti e i bisogni dei bambini e trovare
nuove risposte sociali ed educative. La conoscenza scientifica
già acquisita sullo sviluppo e sull’educazione dei bambini dovrà
interagire con questo processo di costruzione di significati
(Moss, 2007b) e giocare un ruolo cruciale nel mettere in luce le
relazioni tra finalità generali e obiettivi specifici educativi e le
pratiche perseguite in ciascun contesto.
Naturalmente non esiste un unico modo per disegnare questo
sistema. Si dovrà tenere conto della variabilità culturale, dei
valori, così come dei differenti modi in cui è organizzata la
partecipazione e delle relazioni di potere tra gli stakeholders in
ciascun contesto.
In ogni caso, due principali assunti devono essere chiariti.
Per prima cosa, deve essere riconosciuta la duplice natura
della valutazione dei servizi per la prima infanzia: deve essere
attribuita uguale importanza sia alla valutazione finalizzata al
miglioramento delle pratiche sia a quella finalizzata a verificare
la conformità alle normative e agli standard. Le due finalità
devono essere strettamente connesse nel giudizio responsabile
di tutti gli stakeholders. Esse sono le due facce di una stessa
moneta che deve essere spesa per garantire i diritti dei bambini
e il loro benessere presente e futuro.
UN IMPEGNO RECIPROCO PER IL MIGLIORAMENTO DELLA
QUALITÀ IN BELGIO
La Comunità francese del Belgio ha messo a punto
un Codice di Qualità (Code de qualité, 1999; 2004)
che ha introdotto una certificazione della qualità dei
servizi rivolti ai bambini da 0 a 12 anni, i quali devono
rispettare alcuni standard strutturali e di processo.
La certificazione richiede l’impegno del sevizio a
predisporre un piano di miglioramento della qualità per
il superamento degli standard. Al fine di sostenere la
discussione e la sperimentazione autonoma da parte
degli operatori, l’Office Naissance et de l’Enfance,
l’agenzia governativa che ha la responsabilità delle
politiche per l’infanzia e per la famiglia nella Comunità
francese del Belgio, ha prodotto un documento con
le linee educative e tre opuscoli che presentano e
descrivono alcune buone pratiche educative per
realizzare queste linee guida (ONE, 2004). Inoltre, l’ONE
ha lanciato un programma per cui il suo personale
pedagogico accompagna e sostiene le iniziative
autonome dei servizi e le attività di valutazione. Questa
esperienza mette in luce l’importanza di stabilire
procedure specifiche per supportare la discussione a
livello locale e mettere in rete i servizi.
Il secondo assunto è ancora più cruciale. Durante tutto il
processo di valutazione, tutte le opinioni devono essere prese
in considerazione e rispettate e nessuno degli stakeholders deve
pensare di sapere “quello che è buono per tutti e per sempre”.
Questo assunto solleva un’altra importante questione, quella
relativa al rispetto della diversità culturale negli approcci
pedagogici e nei valori e nelle pratiche educative. Tale questione
emerge in maniera molto evidente in molti Paesi europei, dove
la professionalità degli operatori dell’infanzia che si è sviluppata
nell’ambito di approcci culturali omogenei si trova oggi di fronte
a un gran numero di diverse culture educative portate dalle
famiglie. La risposta a questa questione richiede nuove riflessioni
ed esperienze (Vandenbroeck, 1999) e rappresenta la più grande
sfida per raggiungere la qualità nei servizi per la prima infanzia
così come per definirla e per valutarla.
Tullia Musatti
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione
Consiglio Nazionale delle Ricerche
8
Principio 7
Valutazione: partecipativa, democratica e trasparente
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