ISBN 978-88-8145-400-6
La filiera
della carne bovina
Un’analisi preliminare
per il rilancio del settore
a cura di
Maria Carmela Macrì
INEA 2014
La filiera della carne bovina
Un’analisi preliminare per il rilancio del settore
a cura di Maria Carmela Macri
Il presente documento è stato predisposto nell’ambito delle attività del progetto “Interventi per
il settore zootecnico”, finanziato dal Mipaaf con decreto dipartimentale n. 5340/2011, a supporto delle
attività relative alla definizione delle “Linee di intervento per il settore della zootecnia bovina da
carne” e presentato in occasione del tavolo tecnico tenuto il 15 aprile 2014.
Il rapporto è il frutto del gruppo di lavoro INEA coordinato da Maria Carmela Macri e
composto da Alfredo Battistini, Simonetta De Leo, Paola Doria, Mafalda Monda, Alessandra
Pesce, Francesca Pierri; Lara Abbondanza per il supporto di segreteria.
Si ringrazia Roberta Sardone per l’attenta lettura e i suggerimenti forniti.
I testi sono stati redatti da:
1 La filiera della carne bovina, Francesca Pierri
2. La fase primaria
2.1 L’allevamento bovino in Italia, Maria Carmela Macri
2.2 Analisi sulle aziende zootecniche da carne della RICA italiana, Simonetta De Leo
2.3 Le aziende specializzate in bovini misti: un confronto europeo, Paola Doria
2.4 Vincoli normativi e problematiche ambientali, Maria Carmela Macri
2.5 Il sostegno pubblico al settore, Maria Carmela Macri
3 La produzione di carne
3.1 Il contesto internazionale, Mafalda Monda
3.2 Il contesto europeo, Francesca Pierri
3.3 La produzione di carne bovina in Italia, Mafalda Monda
4 L’industria delle carni Francesca Pierri
5 I consumi e la distribuzione di carne bovina, Mafalda Monda e Francesca Pierri
6 I prezzi, Monda Mafalda
7 Gli scambi con l’estero
7.1 Importazione esportazioni di carne e bovini vivi, Monda Mafalda e Francesca Pierri
Box 7.1 L’approvvigionamento per l’ingrasso e di vitelloni da macello, Alfredo Battistini
2
Sommario
1 La filiera della carne bovina
4
2 La fase agricola
5
2.1 L’allevamento bovino in Italia
5
2.2 Analisi sulle aziende zootecniche da carne della RICA italiana
11
2.3 Le aziende specializzate in bovini misti: un confronto europeo
15
2.4 Vincoli normativi e problematiche ambientali
19
2.5 Il sostegno pubblico al settore carni bovine
21
3 La produzione di carne
24
3.1 Il contesto internazionale
24
3.2 Il contesto europeo
25
3.3 La produzione di carne bovina in Italia
28
4 L’Industria delle carni
31
4.1 L’industria di macellazione
31
4.2 L’industria di lavorazione e trasformazione
33
5 I consumi e la distribuzione di carne bovina
35
6 I prezzi
39
6.1 I prezzi alla produzione agricola
39
6.2 I prezzi alla produzione industriale
40
6.3 I prezzi al consumo
41
7 Gli scambi con l’estero
43
7.1 Importazioni ed esportazioni di carne e bovini vivi
43
Box 7.1: L’approvvigionamento per l’ingrasso e di vitelloni da macello
47
ALLEGATO: ANALISI SWOT DELLA FILIERA CARNI BOVINE
3
51
1 La filiera della carne bovina
La filiera della carne bovina è tra le più complesse del nostro settore agricolo per l’alto numero
di attori che ve ne prendono parte e per le notevoli differenze di tipo produttivo ed organizzativo che
assume nelle diverse aree del nostro paese.
Analisi dei flussi della filiera della carne bovina in Italia
Carni Fresche
fresche/congelate
Allevamento
HO. RE.CA
Consumo
Macellazione
Retail
Distribuzion
e moderna
Preparazioni
Rimonta
Dettaglio
tradizionale
Elaborati, salumi..
Fase agricola
Fase industriale
industriale
Fase commerciale
La filiera delle carni inizia con l’allevamento degli animali destinati alla produzione di alimenti. In tale
fase è possibile distinguere tre diverse aree merceologiche: a. il vitello di razze da latte; b. la vacca di fine
carriera; c. il vitellone. Quest’ultima rappresenta la categoria più importante e con 2 milioni di capi
macellati nel 2012, costituisce il cuore della filiera bovina da carne.
L’allevamento del vitellone può essere ulteriormente suddiviso in rapporto alle razze allevate, al
sistema di alimentazione e alla localizzazione in:

vitellone “estensivo” allevato in ambiente non confinato in Piemonte, nell’Appennino centro
meridionale e nelle isole attraverso la linea vacca-vitello.

vitellone “intensivo” allevato in ambiente confinato nella Pianura Padana e alimentato con
insilato di mais e concentrato, che a sua volta può essere suddiviso in leggero (450-500 Kg, ad
un’età di 14-16 mesi) e pesante (600-650 Kg, ad un’età di 16-20 mesi) secondo il peso.
Alla fase di allevamento segue quella relativa alla macellazione e lavorazione industriale nella quale
la carne viene preparata per poi essere consumata. Il prodotto trasformato è in seguito venduto al
commercio al dettaglio (Retail) o a esercizi commerciali (HO.RE.CA hotel, ristoranti, caffè).
La vendita al dettaglio avviene attraverso il canale tradizionale rappresentato dalle macellerie o
seguendo il canale della distribuzione moderna, rappresentato dalle grandi catene di distribuzione.
4
2 La fase agricola
2.1 L’allevamento bovino in Italia
Secondo il VI censimento dell’agricoltura sono 217.499 su 1.620.884 le aziende con allevamenti e
circa 124 mila quelle con bovini. Nei dieci anni tra i due censimenti le aziende con allevamenti si sono
ridotte del 41,3%, quelle con bovini del 27,8%, mentre quelle con vacche da latte del 37%. In termini di
capi la riduzione è stata inferiore, nel 2010 il numero di capi bovini allevati è pari a 5, 6 milioni con una
dimensione media di 45 capi a stalla ovvero 10 capi in più rispetto al 2000 (tabella 1).
Tabella 1: Aziende con bovini e relativi capi in Italia dal 1990 al 2010
Aziende con bovini
Totale
Capi
Di cui con
vacche da latte
Capi/azienda
Di cui vacche da
latte
Totale
Totale
Di cui vacche
da latte
1990
318.207
206.268
7.673.484
2.641.755
24,1
12,8
2000
171.994
79.893
6.049.252
1.771.889
35,2
22,2
2003
145.995
65.525
6.056.623
1.773.736
41,5
27,1
2005
142.145
59.261
5.941.509
1.693.628
41,8
28,6
2007
145.282
60.624
6.080.762
1.702.652
41,9
28,1
2010
124.210
50.337
5.592.700
1.599.442
45,0
31,8
-27,8
-37,0
-7,5
-9,7
28,0
43,3
Variazione %
2010/2000
Fonte: Istat IV, V e VI Censimento generale dell'agricoltura e Indagini infra-censuarie
La distribuzione delle aziende con allevamenti bovini per classe di superficie agricola utilizzata (SAU)
mostra una riduzione per quasi tutte le classi dimensionali fatta eccezione per quelle più elevate. Va
considerato, tuttavia, che le aziende ricadenti nelle classi di SAU inferiore ai 30 ettari rappresentano nel
2010 più del 76% delle aziende totali con bovini (nel 2000 questa percentuale era pari alll’85%; tabella 2).
In termini di numero di capi, complessivamente si evidenzia una riduzione dell’8% rispetto al
precedente censimento (con una più marcata diminuzione delle vacche da latte, -10%), aumenta però il
numero dei capi presenti nelle aziende con superfici superiori ai 30 ettari (tabella 3).
In sostanza emerge un processo di razionalizzazione caratterizzato dalla cessazione degli allevamenti
di più piccole dimensioni e il consolidamento delle classi dimensionali più elevate, su questo processo è
presumibile che abbiano agito i cambiamenti della politica agricola comune e, in particolare, il
disaccoppiamento introdotto dalla Riforma di Medio Termine (2003) che ai premi e pagamenti legati alle
quantità prodotte ha sostituito un aiuto unico basato un importo di riferimento calcolato come media degli
importi complessivamente percepiti da un produttore nelle tre annate di riferimento (2000-2003). Il nuovo
modello di pagamento potrebbe aver contribuito a indurre le aziende meno efficienti a riorientare la
propria produzione. La concentrazione della produzione in aziende più grandi ed efficienti, accanto al
5
presumibile vantaggio competitivo che ne deriva, ha però aggravato la fragilità dei territori più vocati già
individuati come aree vulnerabili all’inquinamento da nitrati di origine agricola.
Tabella 2: Numero di aziende con allevamenti bovini per classe di superficie agricola utilizzata, V e VI censimento
generale dell’agricoltura
2000
Classe di superficie
agricola utilizzata
2010
Di cui con
vacche da
latte
Totale
Di cui con
vacche da
latte
Totale
Variazione
2010/2000
%
Variazione
2010/2000
%
Totale
Di cui con vacche
da latte
0-1,99 ettari
22.726
7.458
16.276
4.032
-28
-46
2-2,99 ettari
13.276
5.381
7.208
2.420
-46
-55
3-4,99 ettari
23.230
10.603
12.883
4.894
-45
-54
5-9,99 ettari
37.748
18.460
22.113
9.544
-41
-48
10-19,99 ettari
34.751
17.947
23.947
11.049
-31
-38
20-29,99 ettari
15.129
7.858
12.476
5.838
-18
-26
30-49,99 ettari
12.499
6.345
12.796
5.904
2
-7
50-99,99 ettari
8.450
3.886
10.486
4.424
24
14
100 ettari e più
4.185
1.955
6.025
2.232
44
14
totale
171.994
79.893
124.210
50.337
-28
-37
Fonte: ISTAT, VI Censimento agricoltura
Tabella 3: Numero capi bovini per classe di superficie agricola utilizzata, V e VI censimento generale dell’agricoltura
2000
Classe di superficie
agricola utilizzata
Totale
2010
Di cui vacche da
latte
Totale
Di cui vacche
da latte
Variazione
2010/2000
%
Variazione
2010/2000
%
Totale
Di cui vacche da
latte
0-1,99 ettari
258.671
34.831
221.489
24.082
-14
-31
2-2,99 ettari
133.555
28.419
68.467
12.032
-49
-58
3-4,99 ettari
271.804
69.899
172.912
32.607
-36
-53
5-9,99 ettari
723.106
200.094
418.165
106.355
-42
-47
10-19,99 ettari
1.183.882
368.219
815.355
241.098
-31
-35
20-29,99 ettari
814.467
263.061
677.543
212.911
-17
-19
30-49,99 ettari
932.368
303.193
974.925
313.320
5
3
50-99,99 ettari
934.439
293.241
1.107.609
357.024
19
22
100 ettari e più
796.960
210.932
1.136.235
300.013
43
42
totale
6.049.252
1.771.889
5.592.700
1.599.442
-8
-10
Fonte: ISTAT, VI Censimento agricoltura
Dal punto di vista territoriale, infatti, più della metà del bestiame allevato in Italia si concentra in
quattro regioni – Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna – dove il 39% delle aziende detiene il
64% dei capi (tabella 4).
6
Tabella 4: Aziende con Bovini, relativi capi e dimensione media, per principali regioni produttrici. Anni 2010 e 2000
Aziende
2010
2000
Piemonte
13.234
18.537
Lombardia
14.718
Veneto
Capi
2010
2000
-28,6
815.613
818.798
-0,4
61,6
44,2
39,5
19.684
-25,2
1.484.991
1.606.285
-7,6
100,9
81,6
23,6
12.896
21.575
-40,2
756.198
931.337
-18,8
58,6
43,2
35,8
Emilia R.
7.357
12.183
-39,6
557.231
627.964
-11,3
75,7
51,5
46,9
Altre Reg.
76.005
100.015
-24,0
1.978.667
2.064.868
-4,2
26,0
20,6
26,1
124.210
171.994
-27,8
5.592.700
6.049.252
-7,5
45,0
35,2
28,0
Italia
Var. %
Numero medio capi per azienda
Var. %
2010
2000
Var. %
Fonte: Istat, VI Censimento agricoltura
Infatti, una serie di fattori di varia natura, tra cui le condizione pedoclimatiche che hanno reso
possibile l’affermazione su vasta scala delle coltivazioni a uso mangimistico (in primis il mais), la posizione
geografica che facilita il collegamento con i mercati di approvvigionamento e di sbocco, la disponibilità di
infrastrutture per i trasporti, l’organizzazione complessiva dell’economia e, in particolare, la presenza
dell’industria di trasformazione (tabella 5), hanno favorito la concentrazione degli allevamenti in alcune
regioni del territorio. A questo processo, specialmente in Lombardia, ma in una certa misura anche in
Veneto e in Piemonte, hanno contribuito anche le sinergie che si sono venute a creare tra la
specializzazione da latte e quella da carne per la produzione del vitello a carne bianca1. Infatti le i vitelli di
razze a spiccata attitudine lattifera, resi disponibili in quantità e a costi contenuti dalla filiera lattiero
casearia, possono essere utilizzati per la produzione di carni con caratteristiche (in particolare la tenerezza
conseguente al tenore adiposo) che incontrano i gusti dei consumatori2.
Tabella 5: Unità locali industria della carne e lattiero casearia
Lavorazione e conservazione di carne
e prodotti a base di carne
Industria lattiero-casearia
% su totale nazionale
% su totale nazionale
Piemonte
9,3
Lombardia
15,3
Veneto
8,7
Emilia Romagna
22,0
Altre regioni
44,7
Numero di unità locali in Italia
4.171
Fonte: Istat, Censimento dell’Industria e dei servizi, 2011
5,1
10,0
5,1
14,0
65,8
4.126
Il vitello a carne bianca è quello macellato prima del compimento dell’ottavo mese di vita (240 giorni) e con peso carcassa
non superiore a 180 kg.
1
Veneto agricoltura, Il vitello a carne bianca in Veneto, 2008
http://www.venetoagricoltura.org/upload/File/osservatorio_economico/NL%20carne.pdf
2
7
In sostanza, a fronte di una presenza di allevamenti diffusa sul territorio nazionale (Cartina 1),
quando si considera il numero di capi per superficie agricola utilizzata spiccano alcune regioni del Nord cui
si aggiungono specifiche e limitate aree del Lazio e della Campania, legate soprattutto alla produzione della
mozzarella (Cartina 2)3.
Cartina 1: Capi bovini
Cartina 2: Capi bovini su SAU
Fonte: Istat, VI Censimento agricoltura
Nel decennio tra i due Censimenti, l’evoluzione strutturale della zootecnia bovina mostra alcune
differenze a livello regionale nell’intensità e caratteristiche dei fenomeni rilevati. Il processo di
concentrazione è molto evidente nel Nord est dove cresce del 30% il numero medio dei capi e la riduzione
degli allevamenti è particolarmente elevata anche nelle regioni vocate ma con ampi margini di
3
Si ringrazia Silvia Vanino per la realizzazione delle cartine 1 e 2.
8
razionalizzazione, come in Veneto e in Emila Romagna4. Nelle Regioni del Centro il calo del numero di
allevamenti bovini è in linea con la media nazionale, ma la contrazione delle consistenze è superiore, ciò
determina un assottigliamento del comparto bovino di queste regioni.
In alcune regioni del Sud, come in Puglia e Basilicata, e nelle Isole, invece, il numero dei capi
addirittura aumenta (tabella 6).
Tabella 6: Aziende con capi bovini per regioni. Anno 2010 e variazione percentuale sul 2000
2010
variazione percentuale 2010-2000
numero
numero di
medio di capi
aziende
numero di capi
nel 2010
124210
5592700
45
ITALIA
Nord-ovest
Piemonte
Valle d'Aosta
Liguria
Lombardia
Nord-est
Bolzano
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Centro
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Sud
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Isole
Sicilia
Sardegna
numero di
aziende
-27,8
numero
numero
di capi medio di capi
-7,5
28,0
30223
13234
1176
1095
14718
32021
8315
1403
12896
2050
2347732
815613
32953
14175
1484991
1580884
132784
45509
756198
89162
78
62
28
13
101
49
16
32
59
43
-27,2
-28,6
-25,9
-35,7
-25,2
-34,3
-12,3
-19,4
-40,2
-45,5
-5,4
-0,4
-15,3
-16,3
-7,6
-14,5
-7,9
0,8
-18,8
-11,5
30,0
39,5
14,3
30,1
23,6
30,1
4,9
25,1
35,8
62,3
7357
17964
557231
422122
76
23
-39,6
-26,6
-11,3
-11,6
46,9
20,4
3415
2687
3171
8691
26997
3986
2513
85371
60527
57582
218642
653848
78566
47105
25
23
18
25
24
20
19
-31,2
-24,4
-37,7
-20,1
-31,7
-33,0
-37,8
-17,1
-3,9
-20,2
-8,7
-4,4
-5,2
-16,8
20,5
27,1
28,1
14,2
40,0
41,4
33,9
9333
3633
182630
158757
20
44
-39,2
-17,2
-14,0
4,0
41,5
25,5
2647
88354
33
-29,0
13,7
60,2
4885
17005
9153
7852
98436
588114
336152
251962
20
35
37
32
-19,8
-4,1
1,2
-9,6
-3,5
5,5
9,2
1,0
20,3
10,0
7,9
11,8
Dinamiche analoghe, ma più accentuate riguardano l’allevamento delle vacche da latte, dove la
dimensione media rimane inferiore a quella dell’allevamento dei bovini in generale, ma tra i due censimenti
è cresciuta a un ritmo maggiore (tabella 7).
4
Stefano Boccaletti e Daniele Moro, L’evoluzione della zootecnia bovina tra gli ultimi due censimenti dell’agricoltura,
Agriregionieuropa, n. 31, Dic 2012.
9
Tabella 7: Aziende con vacche da latte per regioni. Anno 2010 e variazioni percentuali sul 2000
Italia
Nord-ovest
Piemonte
Valle d'Aosta
Liguria
Lombardia
Nord-est
Bolzano
Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Centro
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Sud
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Isole
Sicilia
Sardegna
numero di
aziende
50337
13992
4087
1095
347
8463
18690
6866
1071
5155
numero di
capi
1599442
711756
146275
17269
1892
546320
528021
67676
21719
151863
1326
4272
3066
622
289
296
1859
11371
983
1332
4441
2457
970
1188
3218
1971
1247
39131
247632
84356
11010
8400
5702
59244
194324
18704
16148
56073
63124
23489
16786
80985
47480
33505
variazione percentuale 2010-2000
numero
medio di
numero
capi nel
numero di numero
medio di
2010
aziende
di capi
capi
32
-37,0
-9,7
43,3
51
-33,9
-5,6
42,7
36
-39,1
-14,4
40,5
16
-22,6
-12,4
13,2
5
-53,4
-47,3
13,2
65
-31,1
-2,4
41,7
28
-39,5
-14,1
42,0
10
-19,8
-10,3
11,9
20
-26,0
-8,9
23,1
29
-51,4
-22,3
59,9
30
58
28
18
29
19
32
17
19
12
13
26
24
14
25
24
27
-48,9
-44,4
-43,0
-40,0
-28,5
-28,3
-47,2
-40,2
-43,1
-49,2
-46,9
-25,2
-43,8
-7,3
-6,6
-12,6
4,5
-11,4
-10,2
-23,8
-28,3
-10,3
-30,5
-23,9
-9,8
-14,2
-19,4
-18,1
-4,5
6,4
-0,8
5,2
8,9
0,2
73,5
61,6
33,6
19,5
25,4
-3,0
44,2
50,9
50,9
58,8
54,4
27,7
89,4
7,0
12,6
24,6
-4,1
Il 40% delle aziende con bovini ricade in aree collinari e il 36% in montagna e solo il restante in zone
pianeggianti. La dimensione media delle aziende in montagna e collina – rispettivamente 23 e 32 capi – è
molto inferiore a quella di pianura (101) dove si pratica un allevamento più intensivo e dove, quindi, si
trova il maggior numero di capi.
In ogni caso prevale la conduzione diretta (97%) e l’impiego esclusivo di manodopera familiare
(tabella 8).
Dalle caratteristiche e dalle dinamiche strutturali che emergono dai dati censuari, confortate
dall’analisi di dati contabili (cfr. paragrafo 2.2), si delinea un modello duplice: una zootecnia di pianura più
intensiva e remunerativa caratteristica di alcune aree del Nord che però sembra risentire dell’esposizione
10
alla competizione internazionale e quella del Sud, meno competitiva seppure presenti una certa resilienza,
ma di cui va considerata soprattutto la funzione di presidio del territorio.
Tabella 8: Numero aziende con allevamenti e relativo numero di capi per specie di bestiame, forma di conduzione e
zona altimetrica (2010)
AZIENDE
%
CAPI
%
Conduzione diretta del coltivatore
120.726
97
4.798.576
86
Con solo manodopera familiare
64.265
53
1.432.900
30
Con manodopera familiare prevalente
53.722
44
2.994.905
62
Con manodopera extra-familiare
prevalente
2.739
2
370.771
8
Conduzione con salariati
3.030
2
709.398
13
FORME DI CONDUZIONE
Altra forma di conduzione
454
0,4
84.726
2
124.210
100
5.592.700
100
Montagna
45.021
36
1.018.064
18
Collina
49.631
40
1.587.470
28
Pianura
29.558
24
2.987.166
53
124.210
100
5.592.700
100
TOTALE
ZONE ALTIMETRICHE
TOTALE
Fonte. ISTAT, VI Censimento agricoltura
2.2 Analisi sulle aziende zootecniche da carne della RICA italiana
Attraverso l’indagine della Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA), svolta in Italia dall’INEA, è
possibile esaminare le performance economiche delle aziende specializzate in allevamenti di bovini da
ingrasso che, in termini di volume di produzione, rappresenta in Italia la filiera più importante.
In particolare, l’analisi di seguito riportata, fa riferimento agli ultimi tre esercizi contabili (2010-2012)
delle aziende con ordinamento tecnico economico bovini da allevamento e da ingrasso5 che, in ciascuno
degli anni considerati, presentano un utile lordo di stalla positivo.
Ovvero le aziende la cui produzione standard deriva prevalentemente dall’allevamento di bovini con
orientamento allevamento e ingrasso. L’«orientamento tecnico-economico» (OTE) di un'azienda è determinato
dall'incidenza percentuale della produzione standard delle diverse attività produttive dell'azienda rispetto alla
sua produzione standard totale. La produzione standard aziendale equivale alla somma dei valori di produzione
standard di ogni singola attività agricola, moltiplicati per il numero delle unità di ettari di terreno o di animali
presenti in azienda per ognuna delle suddette attività. La produzione standard di una determinata produzione
agricola, sia essa un prodotto vegetale o animale, è il valore monetario della produzione, che include le vendite, i
reimpieghi, l’autoconsumo e i cambiamenti nello stock dei prodotti. Le produzioni standard sono calcolate a
livello regionale come media quinquennale.
5
11
La considerevole numerosità del campione a disposizione, che supera 500 aziende nel 2012 e 440 nel
2010 (tabella 9), la selezione tramite specializzazione produttiva e la distribuzione geografica delle aziende
analizzate permette di fornire un quadro affidabile della zootecnia da carne italiana pur non trattandosi di
risultati rigorosamente rappresentativi dal punto di vista statistico6.
Il campione si distribuisce prevalentemente al nord-ovest, dove si localizza quasi il 40% delle aziende
ed in particolare il Piemonte, con oltre il 20% delle aziende, è, anche in base alla RICA, la regione italiana
dove si concentra il numero maggiore di aziende con allevamenti bovini da carne.
Tabella 9: Distribuzione delle aziende zootecniche per circoscrizione. Anni 2010-2012
2012
2011
2010
Nord-ovest
186
171
170
Nord-est
77
68
57
Centro
82
96
91
Sud
71
57
57
Isole
91
70
65
Italia
507
462
440
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2010-2012
A livello dimensionale7 tutte le classi sono sufficientemente rappresentate (tabella 10), la numerosità
diminuisce marcatamente solo nella classe delle aziende grandi in cui il campione RICA, a livello nazionale,
conta, in ciascuno dei tre anni, circa 20 aziende.
Tabella 10: Distribuzione del numero di aziende zootecniche per classe di dimensione economica. Anni
2010-2012
2012
2011
2010
Grandi
Classe dimensionale
20
23
24
Medio Grandi
131
112
117
Medie
112
104
101
Medio Piccole
126
122
117
Piccole
118
101
81
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2010-2012
6
I dati dell’indagine RICA sono rilevati presso un campione di aziende agricole definito tramite un preciso disegno
statistico che permette l'estensione di alcuni risultati all'universo di osservazione. Per maggiori informazioni
sull’indagine, sulla rappresentatività del campione RICA e sulla ponderazione dei risultati campionari si rimanda al sito
http://www.rica.inea.it/public/it/ponderazione_risultati.php.
7 Sulla
base della produzione standard, dall’esercizio contabile 2010, le aziende RICA sono suddivise nelle seguenti
classi di dimensione economica: piccola, che raggruppa le aziende con produzione standard compresa tra 4.000 e
25.000 euro; medio piccola, con produzione standard superiore a 25.000 e inferiore a 50.000; media da 50.000 a
100.000, medio grande costituita dalle aziende la cui produzione standard rientra nell’intervallo 100.000 -500.000 e
grande oltre i 500.000 euro.
12
Strutturalmente, nel triennio analizzato a livello nazionale, si nota una leggera diminuzione delle
dotazioni medie di bestiame, che scendono da 99 UBA del 2010 a 96 del 2012, e del fattore lavoro, in
relazione al quale rimane comunque stabile l’incidenza della manodopera familiare (80%).
Grafico 1: Principali voci di bilancio, anni 2010-2012 (medie aziendali)
350.000
300.000
250.000
2012
200.000
2011
150.000
2010
100.000
50.000
0
PLV
VA
ULS
RN
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2010-2012
A fronte di tali lievi variazioni strutturali, le performance economiche mostrano un trend in calo
decisamente marcato: sia le principali variabili economiche (produzione lorda vendibile, valore aggiunto,
utile lordo di stalla e reddito netto, grafico 1) che i relativi indici, calcolati per unità di bestiame adulto
(grafico 2) e per ettaro di superficie foraggera (grafico 3), registrano valori in diminuzione.
Grafico 2: Principali voci di bilancio per unità di bestiame, anni 2010-2012 (medie aziendali )
3.500
3.000
2.500
2012
2.000
2011
1.500
2010
1.000
500
0
PLV/UBA
VA/UBA
RN/UBA
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2010-2012
13
ULS/UBA
La diminuzione del valore della produzione nel 2012 rispetto al 2010 si attesta intorno al 21%,
mentre scostamenti maggiori si registrano a livello reddituale (-26% VA e -37% RN). Inoltre se nel 2010 su
100 euro di PLV, 32 euro residuavano a remunerare il fattore di rischio imprenditoriale e gli altri fattori
produttivi apportati dell’imprenditore, nel 2012 questa cifra scende a 26 euro.
Anche il sostegno proveniente dal I pilastro della PAC, mediamente percepito dalle aziende,
diminuisce negli anni considerati, pur se in misura più contenuta rispetto alle componenti reddituali: ne
consegue un aumento del peso sul reddito netto del sostegno, che mediamente passa dal 35% del 2010 al
48% del 2012.
Grafico 3: Principali voci di bilancio per ettaro di superficie foraggiera, anni 2010-2012 (medie aziendali )
7.000
6.000
5.000
2012
4.000
2011
3.000
2010
2.000
1.000
0
PLV/Sau Foraggiera
VA/Sau Foraggiera
RN/Sau Foraggiera
ULS/Sau Foraggiera
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2009-2012
Grafico 4: Produzione lorda vendibile, anni 2010-2012 (medie per circoscrizione)
1.600.000
1.400.000
1.200.000
1.000.000
2012
800.000
2011
600.000
2010
400.000
200.000
0
Nord ovest
Nord est
Centro
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2010-2012
14
Sud
Isole
A livello territoriale, la maggiore incidenza di aziende grandi più strutturate nel Nord-est, con
dotazioni di bestiame e capitale fondiario più che doppie rispetto alla media nazionale, e con un impiego
maggiore del fattore lavoro, contribuisce a spiegare i valori maggiori delle principali voci di bilancio per
questa circoscrizione (grafico 4).
E’ da tener presente che la diminuzione dei dati produttivi e reddituali nel 2012 rispetto agli anni
precedenti è più evidente nella circoscrizione Nord orientale, e, in termini dimensionali, nelle aziende
grandi, raggruppamenti che incidono rispettivamente per oltre il 50% e il 60% sul totale della PLV
campionaria complessiva (grafico 5).
Grafico 5: Reddito netto, anni 2010-2012 (medie per circoscrizione)
450.000
400.000
350.000
300.000
250.000
2012
200.000
2011
2010
150.000
100.000
50.000
0
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Fonte: Elaborazioni su BDR RICA-INEA 2009-2012
Questi andamenti vengono confermati anche da recenti studi di settore (CRPA, Opuscolo C.R.P.A.
2.69 – N. 4/2012, ISMEA Rapporto annuale 2012) che mostrano come i margini di redditività
dell’allevamento bovino da carne si siano ridotti nel tempo e non sembrano destinati a migliorare a causa
della stagnazione (o, meglio, del calo) dei consumi, da un lato, e del tendenziale aumento dei costi di
produzione, dall’altro. In particolare ci si riferisce ai costi dei mangimi che nel modello produttivo intensivo
incidono in modo significativo sui costi aziendali, nonché ai costi di smaltimento dei reflui zootecnici.
2.3 Le aziende specializzate in bovini misti: un confronto europeo
Utilizzando i dati della RICA comunitaria (Farm Accountancy Data Network, FADN), è possibile porre a
confronto la situazione italiana delle aziende specializzate in bovini misti, che afferiscono ai due
15
ordinamenti tecnico economici “46 aziende bovine specializzate-orientamento allevamento e ingrasso” e
“47 aziende bovine-latte, allevamento e ingrasso combinati”, classificate in base al nuovo parametro
tipologico della produzione standard, con quella dei principali paesi produttori europei per l’ultimo triennio
disponibile 2009-20118.
Grafico 6: Unita di bestiame adulto, medie aziendali (2009-2011)
160
140
Unione europea
120
Germania
100
Francia
80
Irlanda
Italia
60
Olanda
40
Polonia
20
Regno Unito
0
2009
2010
2011
Fonte: Elaborazioni su FADN europea 2009-2011
I dati che annualmente vengono inviati dagli organismi di collegamento dei Paesi membri agli uffici
della Commissione Europea, e da questi elaborati e diffusi, consentono di confrontare a livello di principali
paesi produttori, le differenze nelle strutture aziendali, le principali voci di bilancio e i raggruppamenti delle
voci di costo che, incidendo sul valore della produzione (PL), contribuiscono a determinare le performance
aziendali espresse sinteticamente in termini di reddito netto familiare (RN) 9.
8
Gli uffici della Commissione Europea non diffondono i dati medi campionari, ma solo i dati medi riportati all’universo
rappresentato dalla RICA, pertanto non è possibile confrontare l’analisi effettuata sul campione RICA italiano 20102012 del paragrafo precedente, con l’analisi dei principali paesi EU qui riportata. Ulteriori informazioni sui dati RICA
comunitari sono reperibili sul sito http://ec.europa.eu/agriculture/rica/index_en.cfm ed in particolare per
informazioni sulla metodologia di ponderazione applicata dagli uffici della DG Agri della Commissione si veda
http://ec.europa.eu/agriculture/rica/methodology3_en.cfm.
L’analisi effettuata sui dati RICA italiani e l’analisi effettuata sui dati RICA comunitari inoltre differisce per la
specializzazione produttiva considerata, dato che con la base dati RICA italiana è possibile circoscrivere l’analisi ad un
livello più specializzato che riguarda le sole aziende bovine specializzate in allevamento e ingrasso.
9
Il reddito netto rappresenta la remunerazione che spetta all’imprenditore per il rischio d’impresa e per i fattori
produttivi conferiti, incluso il ricorso alla manodopera familiare. Tale indicatore si ottiene sottraendo dal valore della
16
Grafico 7: Unita di lavoro, medie aziendali (2009-2011)
Unione europea
1,9
Germania
1,7
Francia
1,5
Irlanda
Italia
1,3
Olanda
1,1
Polonia
Regno Unito
0,9
2009
2010
2011
Fonte: Elaborazioni su FADN europea 2009-2011
A livello strutturale è evidente il distacco che separa le aziende italiane dal gruppo di testa composto
da Olanda, Regno Unito, Francia e Germania, le cui dotazioni medie aziendali di bestiame (grafico 6) e di
manodopera (grafico 7) superano lungamente quelle delle aziende italiane che mostrano un’evidente
distanza anche in termini di valore della produzione (grafico 8).
Grafico 8 Andamento valore della produzione (medie aziendali 2009-2011), €
180000
Germania
160000
Italia
140000
120000
Francia
100000
80000
Irlanda
60000
Olanda
40000
Regno
Unito
20000
0
2009
2010
2011
Fonte: Elaborazioni su FADN europea 2009-2011
produzione tutti i costi, consumi intermedi ed ammortamenti, inclusi anche i fattori esterni, quali salari, affitti ed
interessi passivi.
17
Nel momento in cui si considera il reddito netto, la posizione relativa dell’Italia muta radicalmente
(grafico 9), ma si tratta di un fenomeno esclusivamente contabile dovuto al fatto che la remunerazione del
lavoro familiare non è esplicitata come costo tra le voci di bilancio.
Grafico 9: Andamento reddito netto (medie aziendali 2009-2011), €
35000
Germania
30000
25000
Italia
20000
Francia
15000
Irlanda
10000
Olanda
5000
Regno Unito
0
2009
2010
2011
Fonte: Elaborazioni su FADN europea 2009-2011
Nei tre anni considerati, l’incidenza media percentuale del reddito netto sul valore della produzione
degli allevamenti italiani (39% seguite dalle aziende spagnole con il 36%) fondamentalmente è riconducibile
ad una minore incidenza dei consumi intermedi.
Grafico 10: Aziende specializzate in bovini misti: composizione percentuale della PL, (triennio 2009-2011)
Regno Unito
61
Polonia
12
48
Olanda
17
53
Italia
12
Irlanda
55
Francia
56
Germania
5
6
Consumi Intermedi
20%
11
7
14
40%
Ammortamenti
60%
Fattori esterni
Fonte: Elaborazioni su FADN europea 2009-2011
18
14
36
14
55
0%
28
19
5
8
39
61
Unione Europea
33
23
11
52
19
3
16
44
Spagna
8
12
9
13
22
80%
Reddito netto familiare
100%
Si ribadisce però che il costo implicito del lavoro familiare, che in Italia incide più che negli altri Paesi,
crea un situazione di vantaggio dell’Italia che è solo apparente mentre, complessivamente, dai dati emerge
il limite di competitività della aziende Italiane con orientamento bovini misti, attribuibile in via prioritaria a
un ritardo strutturale di queste imprese rispetto a quelle dei principali paesi europei.
2.4 Vincoli normativi e problematiche ambientali
L’elevata concentrazione dei capi, evidenziata nei paragrafi precedenti, in alcune aree specifiche del
Nord Italia, dove peraltro si praticano anche allevamenti intensivi di altre specie (polli e suini), genera un
problema in relazione al rispetto della direttiva comunitaria 91/676/CEE, la cosiddetta direttiva nitrati. La
normativa in questione individua negli effluenti di origine zootecnica e nell’utilizzo non bilanciato di
fertilizzanti azotati una possibile causa di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. Pertanto la
normativa impone di individuare le cosiddette “zone vulnerabili” cioè quelle che scaricano composti azotati
in acque inquinate o a rischio di inquinamento a causa dell’attività agricole stessa.
Le aziende collocate nelle aree individuate sono sottoposte agli obblighi previsti dai programmi
d’azione che dettagliano i vincoli in base alle caratteristiche del territorio, delle colture e delle pratiche.
Inoltre, su queste aree vige il limite di spandimento di 170kg di azoto per ettaro per gli effluenti di origine
zootecnica. Questo limite implica una gestione degli effluenti che si articola in una serie di parametri che
devono essere rispettati dall’azienda e che sono finalizzati a calcolare il bilancio azotato presunto.
Tali parametri riguardano
1. le caratteristiche della mandria:

consistenza dell’allevamento con capi distinti per sesso, razza ed età;

peso vivo medio per ogni categoria rappresentata (vitelli in svezzamento, vitelli a carne bianca,
bovini da ingrasso);

razioni somministrate e piano di razionamento;
2) dati relativi alle strutture:

modalità di stabulazione, quantitativo e tipologia dei lettimi impiegati;

ampiezza delle superfici disponibili, coperte e scoperte destinate a paddock;

dimensioni e caratteristiche delle strutture per lo stoccaggio reflui
3) dati relativi agli effluenti:

descrizione del sistema di allontanamento e gestione dei reflui;

valutazione dei volumi prodotti, della capacità dei contenitori e dell’autonomia di stoccaggio;
19

descrizione delle tecniche di trattamento impiegate, quantificazione della ripartizione
percentuale delle frazioni solida e liquida e delle rispettive concentrazioni di azoto.
Ampie parti dei territori su cui insistono gli allevamenti delle 4 Regioni che detengono il maggior
numero dei capi (circa il 63 % della superficie agricola utilizzata (SAU) in Emilia Romagna, l’82 % in
Lombardia, il 38 % in Piemonte e l’87 % in Veneto) è stata dichiarate dalle rispettive amministrazioni
regionali “Zona Vulnerabile”, comportando con ciò un inasprimento dei vincoli nella gestione dei reflui di
origine zootecnica.
La deroga accordata dall’Unione - Con decisione n.2011/721/UE la Commissione ha accolto la
richiesta italiana di una deroga al limite dei 170 kg/ha in relazione alle regioni Emilia Romagna, Lombardia,
Piemonte e Veneto, definendo il necessario percorso di adozione dei provvedimenti attuativi e di apposite
linee guida.
La richiesta italiana si è basata sulla norma della stessa direttiva 91/676/CEE (allegato III, punto 2,
terzo comma) che prevede la possibilità di derogare laddove si dimostri che un quantitativo superiore ai
170 kg/ha non produrrà danno all’ambiente.
In questo si è ottenuto la possibilità di arrivare a 250 Kg/ha per ettaro per anno da effluenti bovini e
da effluenti suini trattati in aziende agricole con almeno il 70% di colture con stagioni di crescita
prolungate e con grado elevato di assorbimento di azoto, ovvero - come specificato nella decisione stessa i prati, il mais tardivo, il mais o il sorgo seguiti da erbaio invernale e cereali vernini seguiti da erbaio estivo.
Va sottolineato che la deroga i applica su base individuale alle aziende agricole (la cui superficie è
coltivata per almeno il 70% a colture con stagioni di crescita prolungata e con grado elevato di
assorbimento di azoto) che devono presentare domanda (entro il 15 febbraio) con cui sottoscrivono
l’impegno a rispettare le condizioni previste nonché a notificare ogni anno una serie di informazioni relative
al trattamento dell’effluente. Tra gli impegni sottoscritti c’è quello che il prodotto che risulta dal
trattamento dell’effluente non deve essere applicato nelle aziende agricole beneficiarie della deroga. Le
autorità competenti devono incoraggiare l’uso della frazione solida stabilizzata su suoli a basso contenuto
di sostanza organica. Tali suoli sono indicati nelle mappe elaborate a livello regionale e messe a
disposizione degli agricoltori.
Impiego di biodigestori - Gli effluenti zootecnici prodotti in azienda possono essere avviati a digestione
anaerobica divenendo in questo modo una risorsa aziendale cioè un input per produrre biogas dando
dunque un’opportunità di diversificazione che va valutata in base alla dimensione aziendale e/o alla
possibilità di creare progetti di cooperazione perché il costo dell’impianto necessita di un minimo di
capacità di alimentazione per essere remunerativo. I fanghi risultanti (digestato) possono essere utilizzati
sul suolo agricolo secondo i normali piani i utilizzazione agronomica (PUA) tenendo presente che processo
di digestione anaerobica non riduce i quantitativi di azoto e fosforo.
20
Secondo l’indagine condotta tra il 2008 e il 2012 dal Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA) di
Reggio Emilia, gli impianti di biogas agro-zootecnici nel dicembre 2012 erano 994 da 146 che risultavano
nell’aprile 2007, nello stesso periodo la potenza è passata da circa 350 MWe (megawatt) a 756 MWe10.
Com’era prevedibile il maggior numero di impianti si trovano nelle regioni del nord a specializzaione
zootecnica: Lombardia (374 impianti); Veneto (151); Emila Romagna (143); Piemonte (106).
2.5 Il sostegno pubblico al settore carni bovine
Con la Riforma di Medio Termine i pagamenti per il settore dei bovini da carne sono rientrati nel
regime di pagamento unico, seguendo però una deroga in relazione al vincolo del possesso della terra.
Infatti, il pagamento unico, in genere, è stato attribuito dividendo quanto percepito dall’agricoltore nel
periodo 2000/2002 per gli ettari mediamente disponili nello stesso periodo, con una dimensione
minima per beneficiare dell’aiuto di 0,3ha. Per procedere alla domanda per il pagamento unico era
necessario dimostrare il possesso di titoli in numero pari a quelli che avevano generato i titoli
standard di cui si era titolari.
Per quanto riguarda la zootecnia, poiché c’era il problema degli allevamenti senza terra, sono
stati definiti i “diritti speciali” cioè quelli provenienti dai pagamenti ricevuti nel triennio di riferimento
a vario titolo (premio alla macellazione, premio speciale bovini maschi, premio alle vacche nutrici,
pagamenti supplementari) che sono stati conferiti a allevatori senza terra o con terra nel caso in cui il
valore del titolo standard superasse il limite dei 5000 euro.
Al pagamento unico si aggiungeva il premio accoppiato, prima “articolo 69”, poi “articolo 68”
che permetteva di integrare pagamenti allo scopo di incoraggiare produzioni specifiche che rivestono
un’importanza particolare nella valorizzazione dell’ambiente o nel miglioramento della qualità e della
commercializzazione dei prodotti agricoli
L’applicazione dell’articolo 68 ha previsto pagamenti per i vitelli nati da vacche nutrici
(diversamente dall’articolo 69 dove l’oggetto del sostegno era la vacca nutrice) con un plafond
annuale pari a 24 milioni di euro (tabella 11) e per i bovini macellati con un plafond annuo di 27.5
milioni di euro (tabella 12).
Il pagamento per capo è andato leggermente diminuendo rispetto al primo anno di applicazione
a causa dell’aumentare dei capi ammessi, ma si è trattato comunque di un aiuto importante per la
zootecnia bovina da carne. Inoltre, il passaggio dal sistema previsto dall’Art. 69 (premio accoppiato
alla vacca nutrice) al sistema dell’Art. 68 con premio accoppiato a vitello nato ha stimolato gli
10C.
Fabbri, N. Labartino, S. Manfredi, S. Piccinini, Biogas, il settore è strutturato e continua a crescere, Supplemento
all’Informatore Agrario, 11/2013.
21
imprenditori a curare le fecondazioni e la nascita di vitelli. Infatti, i dati dimostrano una crescita
apprezzabile confrontando le nascite 2010 (primo anno di applicazione del sistema) con le nascite
2012. Il che depone a favore per la sua efficacia in relazione all’obiettivo di diminuire la dipendenza
dall’estero per i ristalli.
Tabella 11: premio vitello nato da vacche nutrici
2012
Vitello nato
da vacche
nutrici
2011
2010
max
capo
Capi
accertati
primipare di razze da
carne iscritte ai libri
genealogici
200
29.743
162,82
4.842.755
170,11
5.271.709
172,30
5.497.748
pluripare di razze da
carne iscritte ai LLGG
150
151.383
122,11
18.485.37
8
127,58
18.894.980
129,23
17.816.423
a duplice attitudine
iscritte nei registri
anagrafici
60
13.730
48,84
670.573
51,03
752.131
51,69
685.254
Importo
a capo
Importo
per
misura
Import
o capo
al
Importo
per misura
Importo
a capo
Importo
per misura
Tabella 12: premio ai bovini macellati, plafond 27,25 milioni di euro
2012
Bovini
macellati
in età
compresa
tra 12 e 24
mesi,
allevati in
azienda per
almeno 7
mesi
consecutivi
2011
max
capo
Capi
accertati
Importo
a capo
in conformità
a un
disciplinare
di
etichettatura
facoltativa ai
sensi del Reg.
Ce
1760/2000
50
644.899
40,46
certificati ai
sensi Reg. Ce
510/2006
(Igp)
90
15.878
72,83
Import
per
misura
2010
Importo
capo al
Import per
misura
Importo
a capo
Import per
misura
26092613
42,17
27.060.531
42,63
26.351.138
1156395
75,92
1.228.765
76,73
897.971
Per quanto riguarda invece il premio per il bovino macellato, il requisito della permanenza
minima di 7 mesi in allevamento sembrerebbe aver influito sul prezzo del ristallo più giovane che è
stato pari a quello del capo più vicino all’età della macellazione (cfr. box 7.1). In sostanza, la possibilità
di accedere al premio accoppiato ha fatto si che venisse meno lo svantaggio di acquistare un capo che
22
doveva essere allevato per più tempo prima della macellazione. Se così fosse i benefici del premio si
sarebbero trasferiti dall’allevatore italiano a quello estero fornitore dei capi da ingrasso.
Nella prossima programmazione, in base al paragrafo 2 dell’articolo 52 del Reg. 1307/2013 “Il
sostegno accoppiato può essere concesso esclusivamente a quei settori o a quelle regioni di uno Stato
membro in cui determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che rivestono particolare
importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali, si trovano in difficoltà.”
In considerazione dei presupposti normativi, in Italia si è scelto di destinare il 49% dei 429 milioni di
euro previsti per i premi accoppiati per il 2015 (che diminuiranno fino a 407 milioni nel 2019) alla zootecnia
per aiutare questo settore già in difficoltà e limitare le ricadute negative che potrebbero conseguire dal
processo di convergenza deciso nell’ultima revisione della Politica Agricola Comune.
In particolare, al settore della carne bovina è stato assegnato un plafond di 106,9 milioni di euro
destinato per 40,5 milioni di euro alle vacche nutrici iscritte ai Libri genealogici ed al Registro anagrafico che
hanno partorito e i cui vitelli sono registrati entro i termini previsti dalla regolamentazione nazionale e
comunitaria. Sulla base delle stime del Ministero, il premio dovrebbe attestarsi a 202 euro a vitello per una
stima di 200 mila capi ammessi. Ai bovini di età compresa tra i 12 e i 24 mesi è destinato un plafond di 66,4
milioni di euro per la concessione di un premio ai bovini macellati di età compresa tra i 12 e i 24 mesi,
allevati presso le aziende dei richiedenti per un periodo non inferiore a 6 mesi. inoltre, è previsa la
possibilità di un premio aggiuntivo se il capo bovino è certificato IGP oppure (ma senza possibilità di
cumulare le due integrazioni) se l’azienda aderisce un Sistema di qualità nazionale o regionale o a sistemi
di etichettatura facoltativi riconosciuti. Si stima un premio tra i 45 e 49 euro a capo.
23
3 La produzione di carne
3.1 Il contesto internazionale
Nel 2014 la produzione di carne bovina nel mondo vede al primo posto gli Stati Uniti sia pure con una
certa contrazione del 4,9% rispetto all’anno precedente, contrariamente alla produzione di carne brasiliana,
che registra un aumento del 3,3% rispetto al 2013 (grafico 11).
Un altro paese latino americano che occupa un posto di rilievo tra i paesi produttori di carne è
l’Argentina che si colloca al sesto posto, nonostante il crollo delle produzioni (-22,5%) registrato tra il 2009
e il 2010, dovuto sostanzialmente allo smantellamento di molte aziende come conseguenza dei bassi prezzi
pagati nel 2009.
Grafico 11: Principali produttori di carni bovine nel mondo (2009-2014), migliaia di tonnellate
14,0
12,0
Stati Uniti
10,0
Brasile
8,0
UE-28
Cina
6,0
India
4,0
Argentina
2,0
0,0
2009
2010
2011
2012
2013
2014
Fonte: elaborazioni INEA su dati USDA
La Cina si conferma quarto produttore mondiale dopo l’UE, mostrando nel 2014 un’importante
ripresa (+15,8%) rispetto al periodo 2009-2012 caratterizzato da variazioni negative della produzione, come
conseguenza di costi crescenti per gli allevamenti e margini di profitto ridotti.
Infine, l’India quinto produttore di carne a livello mondiale mostra una crescita della produzione pari
al 9,3% tra il 2013 ed il 2014. Va tuttavia considerato che, in questo paese, le macellazioni riguardano
esclusivamente carne di bufalo, derivante o da vitelloni o da vacche a fine carriera, dato il divieto di
macellare bovini in senso stretto e bufale in produzione.
24
3.2 Il contesto europeo
Nell'UE il valore della produzione zootecnica nel 2014 è pari a 171.895 milioni di euro, cioè il 42%
circa della produzione agricola totale.
La produzione di carne rappresenta il 57% della produzione zootecnica con un valore complessivo di
98.476 milioni di euro, mentre la parte restante (43%) è costituita dai prodotti zootecnici (latte, uova e altre
produzioni animali).
L’osservazione dei dati riportati in tabella 10 mostra che la produzione di carne bovina è la seconda
più importante produzione di carne nell’EU (33% circa del totale), preceduta da quella di maiale (36% circa
del totale) e seguita da quella di pollame (22% circa).
Tabella 10: Valore della produzione agricola nel 2014, milioni di euro
Valori 2014
Composizione %
171.895
41,7
98.476
57,3
•Bovini
32.232
32,7
•Maiali
35.500
36,0
•Pollame
21.782
22,1
5.396
5,5
983
1,0
Valore della produzione zootecnica
Animali - carne
•Ovini e caprini
•Equini
•Altri animali
2.583
2,6
73.419
42,7
•Latte
61.976
84,4
•Uova
8.606
11,7
2.837
3,9
Prodotti zootecnici
•Altre produzioni animali
Valore della produzione vegetale
207.184
50,2
Produzione servizi agricoli
20.005
4,8
Produzione attività secondarie (inseparabili)
13.616
3,3
412.700
100,0
Valore della produzione agricola totale
Fonte: elaborazioni INEA su dati Eurostat
Nel 2014 il valore della produzione di carne, considerata a prezzi correnti, nei paesi EU ha subito una
riduzione (-4%) rispetto al 2013. In particolare la produzione di carne bovina ha registrato una flessione, di
portata maggiore (-5%) rispetto a quella verificatasi nell’intero comparto carni.
25
Grafico 12: Principali produttori di carni bovine in Europa (2006-2014), valore della produzione a prezzi
costanti (2005=100) in standard di potere d’acquisto (PPS)
50
40
30
20
10
0
-10
-20
-30
2006
2007
EU-28
2008
Francia
2009
2010
2011
Italia
Regno Unito
2012
Spagna
2013
2014
Germania
Fonte: elaborazioni INEA su dati Eurostat
A livello europeo il comparto delle carni bovine è dominato da 4 grandi produttori: Francia,
Germania, Regno Unito e Italia che da soli rappresentano il 57% del totale (tabella 11). Tra il 2010 ed il 2013
l’Italia di colloca al terzo posto nella scala dei produttori europei, preceduta dalla Germania e dalla Francia.
Nell’ultimo anno, tuttavia, il paese perde una posizione, attestandosi al quarto posto preceduta dal Regno
Unito, per effetto della consistente contrazione della produzione di carne bovina pari al 17% rispetto al
2013.
Ulteriori riduzioni nella produzione di carne bovina, anche se di portata minore, vengono fatte
registrare dall’Austria (-2,4%) e dai Paesi Bassi (-0,8%). Nel complesso europeo la produzione di carne
bovina evidenzia una certa stazionarietà rispetto al 2013. Peraltro i dati relativi ai consumi di carne bovina,
a livello europeo, evidenziano una leggera variazione positiva di questi ultimi dell’ 1,2% nello stesso
periodo. In lieve rialzo anche il consumo pro-capite che ha registrato una variazione positiva dell’1,0% sul
2013.
26
Tabella 11: Produzione di carne bovina nei principali Paesi dell'UE (2008-2014), migliaia di tonnellate
Francia
Germania
Regno Unito
Italia
Irlanda
Spagna
Polonia
Paesi Bassi
Belgio
Austria
Svezia
Danimarca
Unione Europea (28 Paesi)
2010
2011
2012
2013
2014
2014/2013
1.521
1.187
924
1.075
559
607
386
389
263
225
148
131
7.968
1.559
1.159
936
1.009
547
604
380
382
272
221
148
133
7.895
1.477
1.140
883
981
495
591
371
373
262
221
135
125
7.578
1.408
1.106
848
855
518
581
339
379
250
227
136
125
7.271
1.420
1.128
878
709
582
576
413
376
258
222
142
126
7.270
0,9
2,0
3,5
-17,1
12,4
-0,9
21,7
-0,8
3,1
-2,4
4,8
0,3
0,0
Fonte: elaborazioni INEA su dati Eurostat
Grafico 13: Indice trimestrale dei prezzi alla produzione dei vitelli nei principali mercati europei (20102012), variazioni tendenziali
46,0
36,0
26,0
16,0
6,0
-4,0
-14,0
-24,0
Germania
Francia
Italia
Regno Unito
Fonte: elaborazioni INEA su dati Eurostat
L’analisi dell’indice dei prezzi alla produzione dei vitelli, per i principali paesi europei produttori di
carne bovina, mostra un andamento pressoché simile per la Germania, la Francia e l’Italia mentre il Regno
Unito, nel periodo considerato (2011-2014), evidenzia delle forti variazioni trimestrali sia in positivo
27
(+46,9% nel I trimestre del 2012) che in negativo (-21,2% nel I trimestre del 2013). In Italia il ribasso dei
prezzi alla produzione dei vitelli ha caratterizzato l’intero anno 2013 e solo nel primo semestre del 2014 si
sono registrate delle variazioni leggermente positive.
3.3 La produzione di carne bovina in Italia
Le informazioni fornite dall’ISTAT indicano che il valore della produzione ai prezzi di base degli
allevamenti di bovini da carne in Italia è stato superiore nel 2013 superiore a 3.373 milioni di euro, pari al
7,0% della produzione di beni e servizi agricoli totali (grafico 14). Il contributo del comparto al valore della
produzione agricola è rimasto stabile, rispetto al 2012. Ciò nonostante il sopra menzionato calo del 4%
registrato dal valore della produzione di carne bovina considerata a valori concatenati.
Grafico 14: Composizione del valore della produzione agricola totale (2013), valori correnti
Altri prodotti
zootecnici
3%
attività di supporto
all'agricoltura
13%
latte
10%
pollame
6%
carni ovine e caprine
0%
coltivazioni agricole
(produzione
vegetale)
55%
carni suine
6%
carni bovine
7%
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
Negli ultimi anni il settore degli allevamenti di bovini da carne ha subito un costante rallentamento.
Tale declino è evidente anche analizzando i dati della produzione in valori concatenati e
confrontando le diverse tipologie di carne (grafico 15). A partire 2007 il trend è particolarmente negativo
per le carni bovine contrariamente a quanto avviene per il pollame che registra valori fortemente in
crescita.
28
Grafico 15: Valore della produzione ai prezzi di base delle carni 2005-2013 (valori concatenati 2005)
1,3
1,2
1,1
1
0,9
0,8
2005
2006
carni
2007
2008
carni bovine
2009
2010
carni suine
2011
2012
carni ovine e caprine
2013
pollame
Fonte: elaborazioni INEA su dati Istat
La distribuzione della produzione a livello territoriale (grafico 16) mostra per il 2013 una elevata
concentrazione degli allevamenti bovini nelle regioni del Nord, quali Lombardia (23%), Piemonte (15%),
Veneto (14%) ed Emilia Romagna (10%). Anche alcune regioni del sud realizzano quote importanti della
produzione nazionale, in particolare Sicilia (6%), Campania (6%), Sardegna (4%) e Puglia (3%). Infine al
centro importante è il contributo della regione Lazio (5%) alla produzione nazionale di carne bovina.
Grafico 16: Distribuzione territoriale del valore della produzione di carne bovina (2013), euro
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
29
Liguria
Valle d'Aosta / Vallée d'Aoste
Provincia Autonoma Trento
Molise
Umbria
Basilicata
Abruzzo
Marche
Friuli-Venezia Giulia
Calabria
Toscana
Provincia Autonoma Bolzano
/ Bozen
Puglia
Sardegna
Lazio
Campania
Sicilia
Emilia-Romagna
Veneto
Piemonte
Lombardia
900.000
800.000
700.000
600.000
500.000
400.000
300.000
200.000
100.000
0
L’importanza della produzione di carne bovina nelle singole realtà geografiche risente delle variazioni
registrate regionalmente. In particolare, le informazioni sul valore della produzione a prezzi costanti,
indicano un calo considerevole nelle regioni Sardegna, Lazio, Calabria e Piemonte (-7% rispettivamente) tra
il 2012 ed il 2013. Di minore entità è invece il calo registrato nello stesso periodo dalla regione Umbria (4%).
30
4 L’Industria delle carni
4.1 L’industria di macellazione
Negli ultimi anni è in corso un processo di razionalizzazione dell’industria di macellazione, per effetto
delle pressioni esercitate dal mercato mondiale, dell’evoluzione dei consumi e della presenza di tagli
pregiati di buona qualità di origine estera. L’insieme di questi fattori ha altresì determinato una crescita dei
volumi produttivi medi e un processo di trasferimento dell’attività di macellazione dagli stabilimenti
pubblici a quelli privati, con il conseguente crollo dell’offerta dei primi e l’aumento del volume medio degli
abbattimenti nei secondi. Inoltre, la crisi spingendo fuori dal mercato realtà meno competitive, ha
contemporaneamente prodotto un innalzamento del livello qualitativo dei prodotti attraverso
l’organizzazione di filiere garantite certificate e la differenziazione dell’offerta sia per la domanda finale che
intermedia.
Infine, l'aumento progressivo della pressione competitiva esercitata sulla filiera bovina dei Paesi UE,
ha comportato una radicale trasformazione delle reti di macellazione. Nei principali Paesi produttori la
trasformazione delle reti di macellazione è stata guidata e organizzata all'interno di programmi nazionali
che hanno visto la partecipazione ed il coordinamento della componente pubblica. Infatti, anche se con
modalità differenti, in molti Paesi sono stati avviati programmi di riorganizzazione dei macelli bovini
attraverso la creazione di un Fondo che ha operato erogando contributi a singoli imprenditori per ottenere
la dismissione delle attività di macellazione bovina.
Viceversa, il nostro Paese si pone in posizione di ritardo su tale aspetto presentando una numerosità
dei macelli senza eguali in Europa. Infatti in Italia sono presenti 1.100 macelli bovini mentre nei Paesi
comunitari produttori di carni bovine la struttura industriale risulta molto meno polverizzata ( per esempio
la produzione bovina si concentra in: 20 macelli nei Paesi Bassi, 46 in Irlanda, 270 in Francia e Germania, 61
in Danimarca). Ciò da luogo ad un gap competitivo significativo specie nei paesi dove la capacità produttiva
(capi per macello) dei competitors risulta superiore a quella dell’Italia (111.000 capi macellati all’anno
mediamente in un macello nei Paesi Bassi, 33.000 in Irlanda, 18.000 in Francia, 14.000 in Germania, 11.000
in Danimarca).
Nel 2012 il numero di bovini macellati in Italia è pari a 3.007,6 capi, dei quali il 39% è rappresentato
dai vitelloni maschi e manzi, il 25% dai vitelli, il 18% da manze ed infine il 17% dalle vacche. Residuali sono i
buoi ed i tori pari al 1% circa del totale (tabella 12).
Rispetto all’anno precedente si registra una riduzione complessiva del numero di capi bovini
macellati pari all’11,8%. Tale variazione negativa ha interessato quasi tutte le specie con delle vacche che
registrano un lieve incremento pari allo 0,3%.
31
Tabella 12. Bestiame bovino macellato in Italia
Numero di capi (.000)
Var. %
Peso morto (.000 t)
Var. %
2012
2013
2013/12
2012
2013
2013/12
Vitelli
Vitelloni e manzi
Manze
Buoi e tori
Vacche
804,7
1379,1
660,3
59,3
506,5
744,4
1165,1
546,5
43,7
508,0
-7,5
-15,5
-17,2
-26,3
0,3
119,6
490,3
187,2
21,0
139,7
106,0
426,2
158,7
17,1
134,2
-11,3
-13,1
-15,2
-18,8
-4,0
Totale
3.410,0
3.007,6
-11,8
957,8
842,1
-12,1
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
I fattori che hanno contribuito a determinare il calo delle macellazioni vanno riportati, da un lato,
all’impennata delle quotazioni delle materie prime ad uso zootecnico, cereali e soia, e, dall’altro,
all’aumento dei prezzi dei ristalli di importazione da cui vengono provengono gran parte dei capi da
ingrasso. Infine un ulteriore elemento che ha inciso negativamente sulla dinamica delle macellazioni in
Italia è rappresentato dal calo dei consumi interni come verrà meglio approfondito in seguito.
Grafico 17: Distribuzione territoriale dei macelli destinati alla macellazione di bovini e bufalini (dic. 2013)
60
50
40
30
20
10
0
Fonte: elaborazioni INEA su dati Ministero della salute (dicembre 2013)
Le strutture di macellazione per i soli bovini e bufalini (grafico 17) si concentrano per il 40% nelle
regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna), ma anche in Calabria (10%), Sicilia (10%)
Campania (8%) e Puglia (8%). Anche l’attività di macellazione si concentra nelle regioni del Nord in
32
particolare per l’82% nelle regioni Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Un fenomeno che si
è registrato già da qualche anno è lo spostamento della macellazione verso gli impianti privati, soprattutto
in alcune Regioni del Meridione dove questi ultimi ormai costituiscono circa il 94%, a fronte del 60% nelle
Regioni del Centro nonostante la storica presenza dei macelli pubblici. In Umbria meno del 30% degli
impianti sono privati.
4.2 L’industria di lavorazione e trasformazione
Le informazioni pubblicate dall’ISTAT sull’indice mensile della produzione industriale della
lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne (grafico 18) hanno indicato variazioni
positive della produzione negli ultimi due trimestri del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012.
In effetti, segnali di ripresa della produzione erano già evidenti all’inizio del secondo trimestre del
2013 quando si è registrata una variazione positiva dell’indice pari al 2,6%.
Viceversa per tutto il 2012 la produzione del comparto ha evidenziato un andamento discontinuo,
con momenti di ripresa e forti cadute da attribuire alle ripercussioni della crisi economica sul mercato
interno.
Grafico 18: Indice mensile della produzione industriale per la lavorazione e conservazione di carne e
produzione di prodotti a base di carne*, 2012-2013
6,0
5,0
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
-1,0
-2,0
-3,0
-4,0
I-2012
II-2012
III-2012
IV-2012
I-2013
F ONTE: ELABORAZIONI INEA SU DATI ISTAT
*NOTE: ESCLUSI I VOLATILI
33
II-2013
III-2013
IV-2013
Nel 2013, tuttavia, l’indice mensile del fatturato dell’industria della lavorazione e conservazione di
carne e produzione di prodotti a base di carne ha mostrato una flessione a partire dal primo trimestre in
continuità con quanto avvenuto nell’ultimo trimestre del 2012.
Il fatturato del comparto ha alternato momenti di flessione e di ripresa durante tutta la restante
parte del 2013, in linea con l’indice del fatturato dell’intero settore delle industrie alimentari (grafico 19).
Grafico 19: Indice mensile del fatturato delle Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco e della
lavorazione di carne e produzione di prodotti a base di carne*
125
120
Industrie
alimentari, delle
bevande e del
tabacco
115
110
105
Lavorazione e
conservazione di
carne e
produzione di
prodotti a base
di carne
100
95
90
IV-2012
I-2013
II-2013
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
*Note: esclusi i volatili
34
III-2013
5 I consumi e la distribuzione di carne bovina
Per le carni bovine l’evoluzione della distribuzione ha seguito un percorso specifico rispetto agli altri
comparti dell’agroalimentare per effetto della struttura stessa della distribuzione tradizionale, che si è
sempre basata sui negozi specializzati, le macellerie, non facilmente sostituibili dagli specialisti della vendita
al banco all’interno della distribuzione moderna (DM). La DM resta, tuttavia, l’elemento chiave del mercato
di questo comparto (incide per il 15% sul fatturato della catena) in termini di innovazioni organizzative che
prevedono la creazione di centri di lavorazione e distribuzione, l’ottimizzazione del flusso delle consegne
finalizzate all’innalzamento della garanzia di freschezza. Inoltre, a ciò si aggiunge che molte delle principali
catene distributive hanno implementato linee di carni fresche con un proprio marchio (private label).
In Italia, i canali prevalenti di distribuzione della carne bovina sono costituiti dai supermercati (36,6%
in complesso), seguiti dagli ipermercati (22,5%) e delle macellerie (26,5%). Le tipologie di carni più vendute
sono rappresentate dalla carne di bovino adulto (manzo e vitellone) pari al 64-66% delle quote dei
supermercati e ipermercati e meno del 25% delle quote delle macellerie, mentre per la carne bianca tale
forbice è minore (52% per i primi, 34% pe le macellerie).
Un’indagine condotta da SG marketing presso 40 punti vendita della GDO, tra giugno e agosto 2011,
ha inoltre messo in evidenza la composizione dell’offerta di carni e la sua differenziazione territoriale. In
particolare dall’indagine è emerso che la carne bovina rappresenta il 32,4% dell’offerta complessiva di carni
presso i GDO, preceduta soltanto dalla carne avicunicola (40%). La maggiore diffusione della carne bovina in
tale contesto va riportata anche alla più ampia varietà di tagli possibili11.
A livello territoriale, la maggiore referenza per la carne bovina arriva dal Nord ovest, dove
quest’ultima rappresenta il 37% del totale dell’offerta contro il 32% di quella avicunicola. Situazione
opposta si verifica nel Nord est. Infine nelle aree centrali la quota di carne bovina è pari al 40%, lievemente
inferiore a quella avicunicola (40%) mentre al sud la quota di carne bovina è inferiore rispetto alla media
italiana e superiore per la carne avicunicola.
Riguardo ai prezzi della carne bovina presso i GDO, la sopra citata indagine evidenzia che il prezzo
medio di vendita (13,30 euro al Kg) risulta superiore rispetto a quello al consumo (+73%). Tale prezzo
tuttavia risente anche delle politiche attuate dai diversi GDO e, localmente, dai diversi punti vendita. Il
prezzo medio per circoscrizione territoriale risulta allineato con quello medio italiano nelle regioni
settentrionali e meridionali e un po’ più contenuto al centro. Va sottolineato che esistono tuttavia rilevanti
differenze tra i punti vendita considerati nell’indagine.
11
Ismea
2013,
L’offerta
di
carni:
analisi
store
www.pianidisettore.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/874
35
check
presso
la
GDO,
Le informazioni disponibili sulla spesa agroalimentare delle famiglie italiane nel periodo gennaionovembre 2013 (ISMEA, Gfk-Eurisko) indicano una riduzione degli acquisti di carne bovina fresca e
refrigerata sia in volume (-3,4%) che in valore (-3,3%). Tale riduzione ha interessato, soprattutto, la carne
bovina fresca naturale che si è ridotta del -3,6% ed, in particolare, il segmento del bovino adulto (-3,9%). La
flessione dei consumi va riportata agli effetti della crisi economica che ha spinto le famiglie verso carni più
economiche come quelle avicole, determinando altresì un calo delle macellazioni.
L’evoluzione dei consumi alimentari in Italia
La composizione della spesa per generi alimentari delle famiglie mostra come nel 2013 i consumi di carne
sono pari al 21% del totale, con una riduzione del 3% rispetto al 2012. In particolare il consumo di carne
bovina si è ridotto del 12% nel 2013 rispetto all’anno precedente a vantaggio dei consumi di pollame,
conigli e selvaggina che registrano un incremento della spesa pari al 2,4% nell’anno e dei salumi (+1%). La
contrazione dei consumi di carne è dipesa principalmente dalla riduzione del potere d’acquisto delle
famiglie dovuta alla crisi economica. Infatti, i consumi di generi alimentari hanno registrato una variazione
negativa nel 2013 pari complessivamente al 2,5 %. Un ulteriore elemento che ha inciso sulla spesa per
generi alimentari è stata anche la variazione degli stili di consumo.
Grafico.20 Composizione della spesa per generi alimentari delle famiglie (2013)
Acque minerali,
bevande gassate e
succhi
4%
Bevande alcoliche
5%
Caffè, tè e cacao
2%
Bevande non
Pane e cereali
15%
alcoliche
7%
Carne
21%
Generi alimentari1
2%
Zucchero,
marmellata, miele,
cioccolato e
pasticceria
4%
Vegetali
11%
Pesce e frutti di mare
7%
Frutta
7%
Oli e grassi
3%
Latte, formaggi e
uova
12%
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, contabilità nazionale 2014
36
Tab.13 La composizione della spesa media mensile familiare per la carne per aree geografiche (euro)
Nord-ovest
var.%
2013
2013/12
Nord-est
var.%
2013
2013/12
Centro
var.%
2013
2013/12
105,9
-3,4
98,1
-2,5
114,7
39,6
-13,8
34,1
-13,5
9,3
2,3
11,7
3,4
24,8
4,3
20,0
25,6
2,2
Pane e cereali
79,3
Pesce
35,1
Latte, formaggi e
uova
Oli e grassi
Carne
1.
2.
3.
4.
carne
bovina
carne suina
pollame,
conigli e
selvaggina
salumi
Patate, frutta e
ortaggi
Zucchero, caffè e
drogheria
Sud
Italia
2013
var.%
2013/12
2013
var.%
2013/12
-2,1
106,6
-4,3
106,8
-3,2
44,4
-10,1
40,3
-12,5
39,8
-12,4
12,4
-2,4
12,6
-5,1
11,6
-0,8
2,8
26,6
2,4
25,5
1,1
24,5
2,4
24,6
2,7
23,9
-0,7
19,4
-0,1
23,3
1,0
0,0
75,2
-2,9
77,8
-0,4
74,0
-1,8
76,4
-1,2
0,6
34,8
-0,3
43,9
-4,7
47,1
-2,1
40,9
-1,2
64,3
-1,0
60,3
-1,8
61,6
-0,7
57,7
-2,2
61,5
-1,5
16,8
-0,1
14,6
-0,3
15,2
-3,1
15,1
-2,2
15,6
-1,8
86,8
3,7
82,4
0,5
88,2
-0,3
77,8
-2,4
84,0
0,6
35,2
0,3
32,3
-4,0
33,1
-0,1
32,9
-1,0
33,7
-0,9
Bevande
45,3
-3,1
44,6
-4,1
42,7
-2,1
36,4
-4,6
41,9
-3,6
Alimentari e
bevande
468,6
-0,5
442,2
-2,0
477,3
-1,5
447,6
-2,8
460,7
-1,6
Totale spesa
2.672,5
-2,2
2.725,4
-2,7
2.436,1
-3,0
1.758,8
-2,6
2.359,1
-2,5
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, contabilità nazionale 2014
A livello territoriale la spesa media mensile sostenuta dalle famiglie mostra una particolare riduzione nelle
regioni del centro (-3%) e del nord ovest (2,7%). Tuttavia se si guarda al solo consumo di carne bovina,
sono le regioni del Nord, in particolare del nord-ovest, a registrare la riduzione più importante (-13,8%). Tali
alimento viene sostituito dal consumo di pollame, conigli e selvaggina che registrano proprio in tale realtà
geografica l’incremento più consistente (+4,3%).
Tab. 14: Evoluzione dei punti vendita al dettaglio specializzati in carne e prodotti a base di carne
2012
2013
var.% 2013/2012
Nord-ovest
5.885
5.798
-1,5
Nord-est
2.101
3.677
-42,9
Centro
5.376
5.286
-1,7
Sud
17.628
17.480
-0,8
Italia
32.566
32.241
-1,0
Fonte: elaborazioni su dati INEA, Annuario dell’agricoltura Italiana 2014
37
Al calo dei consumi di carne si è accompagnata una riduzione del numero dei punti vendita specializzati
nelle aree dove tale riduzione è stata più consistente, in particolare nelle regioni del nord est (-43%) e del
nord – ovest (-1,5%).
38
6 I prezzi
6.1 I prezzi alla produzione agricola
Le stime sull’indice dei prezzi dei prodotti venduti dagli agricoltori, pubblicate dall’ISTAT, indicano
una variazione negativa dell’indice relativo al comparto delle carni bovine a partire da giugno 2012 (grafico
21), in linea con l’andamento registrato dall’indice generale relativo agli animali venduti dagli agricoltori
fino ad aprile 2013. Va, tuttavia, tenuto conto che le dinamiche che interessano i prezzi dei prodotti venduti
dagli agricoltori, specie per il comparto carni, risultano differenziate per effetto delle specificità dei diversi
comparti e delle problematiche ad essi attinenti.
Grafico 21: Andamento tendenziale dell’indice dei prezzi dei prodotti venduti dagli agricoltori
20,0
15,0
10,0
5,0
dic-13
nov-13
ott-13
set-13
ago-13
lug-13
giu-13
mag-13
apr-13
mar-13
feb-13
gen-13
dic-12
nov-12
ott-12
set-12
ago-12
lug-12
giu-12
mag-12
apr-12
mar-12
feb-12
-5,0
gen-12
0,0
-10,0
-15,0
Animali
Bovini
Suini
Pollame
Indice generale
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
Infine va anche considerato che le variazioni dei prezzi della carne bovina venduta risentono, da un
lato, delle dinamiche registrate da comparti che possono essere considerati come alternativi (come il
pollame) e, dall’altro, dal prezzo dei prodotti acquistati dagli agricoltori, come spese veterinarie e mangimi.
A questo riguardo, il grafico seguente mostra l’andamento tendenziale dell’indice dei prezzi dei
prodotti acquistati dagli agricoltori, in particolare quelli occupati in attività di allevamento, nello stesso
periodo considerato in precedenza (gennaio 2012- dicembre 2013).
L’osservazione dei dati (grafico 22) mostra un aumento progressivo dell’indice relativo ai consumi
intermedi a partire da giugno 2012. Tale incremento, tuttavia, è più contenuto rispetto a quello registrato
dai mangimi e, tra questi, in particolare dai mangimi composti impiegati principalmente per le attività di
39
allevamento dei bovini. Le spese veterinarie, che tra l’altro rappresentano una quota minore dei costi
sostenuti dagli agricoltori, invece, non registrano importanti variazioni.
Grafico 22: Andamento tendenziale dell’indice dei prezzi dei consumi intermedi e dei mangimi
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
dic-13
nov-13
ott-13
set-13
ago-13
lug-13
giu-13
mag-13
apr-13
mar-13
feb-13
gen-13
dic-12
nov-12
ott-12
set-12
ago-12
lug-12
giu-12
mag-12
apr-12
mar-12
feb-12
-5,0
gen-12
0,0
-10,0
Consumi intermedi
Spese veterinarie
Mangimi
Mangimi semplici
Mangimi composti
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT
Quanto detto implica una progressiva erosione della redditività delle imprese agricole di allevamento
bovino nel periodo considerato. Queste ultime, infatti, dovendo fronteggiare elevati costi di produzione
non riescono a compensare tali maggiori costi con un incremento dei prezzi delle carni vendute.
6.2 I prezzi alla produzione industriale
I prezzi alla produzione dei prodotti industriali venduti sul mercato interno mostrano per l’industria
delle carni una variazione tendenziale positiva negli ultimi mesi del 2013 (grafico 23).
Infatti, a partire da gennaio 2012, l’indice si è progressivamente ridotto in linea con quanto
accaduto ai prezzi alla produzione dell’Industria nel suo complesso. La lieve ripresa, d’altra parte, riflette
anche un aumento dei prezzi delle carni vendute dagli agricoltori, mostrata in precedenza e che interessa
tutte le tipologie di allevamento.
40
Grafico 23: Andamento tendenziale dell’indice dei prezzi alla produzione per l’industria delle carni
Fonte: elaborazioni INEA su dati Istat
6.3 I prezzi al consumo
In base alle informazioni pubblicate dall’Istat, l’indice del prezzo della carne bovina registra un
costante aumento a partire dal 2011 (2,28% in media all’anno). L’incremento interessa in particolare la
carne di bovino adulto che aumenta, tra il 2011 e il 2012, del 3,16% e, tra il 2012 e il 2013, del 2,39%, in
linea con le variazioni registrate dell’indice dei prezzi dei prodotti alimentari pari, nello stesso periodo, a
2,44% e al 2,48% rispettivamente (tabella 15).
Tabella 15: Indice dei prezzi al consumo della carne bovina e dei prodotti alimentari e variazioni annuali %
2011
2012
2013
2012/2011
2013/2012
carne bovina
102,1
104,8
106,8
2,64
1,91
carne di bovino adulto
101,4
104,6
107,1
3,16
2,39
carne di vitello
101,5
103,4
104,6
1,87
1,16
prodotti alimentari
102,5
105
107,6
2,44
2,48
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
La carne di vitello registra, al contrario, aumenti di prezzo di minore entità rispetto sia all’indice
generale dei prezzi dei prodotti alimentari che alla carne di bovino adulto. Infatti l’incremento risulta pari a
1,87% nel 2012 rispetto al 2011 e dell’1,16% nel 2013 rispetto al 2012.
41
Le variazioni dell’indice dei prezzi appena considerate vanno messe in relazione con la dinamica dei
prezzi alla produzione industriale delle carni e quelli delle carni vendute dagli agricoltori. Come visto, infatti,
queste ultime due categorie di prezzi si sono ridotte progressivamente negli ultimi anni, contrariamente a
quanto accaduto all’indice dei prezzi al consumo della carne ed in particolare di quella bovina. Ciò implica
che i margini di mercato per la distribuzione sono stati piuttosto ampi, a discapito dei consumatori finali.
42
7 Gli scambi con l’estero
7.1 Importazioni ed esportazioni di carne e bovini vivi
Il settore della zootecnia da carne presenta un forte deficit strutturale sia per il comparto degli
“animali vivi” che per quello delle “carni” e in particolar modo delle “carni fresche”. Nel 2013 tale deficit si
è attestato su circa 955 milioni di euro per i bovini vivi (pari ad un saldo normalizzato di -97,8), e su quasi
2,0 miliardi di euro per la carne fresca e congelata (pari a un saldo normalizzato di -60,4). Passando
all’analisi delle singole categorie, i bovini da ristallo si confermano la principale voce di importazione del
comparto con una quota dell’85,2% sul totale dei bovini vivi importati. La forte dipendenza per i ristalli
discende dal fatto che buona parte della produzione di carne bovina italiana deriva dall’allevamento
intensivo dei vitelloni di razze specializzate da carne acquistati all’estero.
Tabella 14: Bilancio del commercio con l’estero di capi vivi e carni bovine (migliaia di euro), 2012-2013
Bovini da ristallo
di cui
- fino a 80 kg
- da 80 a 160 kg
- da 160 a 300 kg
- oltre i 300 kg
- Vacche
Bovini da macello
Totale bovini vivi
Carni fresche
Carni congelate
Totale carni
Totale
import
852.637
2012
export
9.013
35.988
40.245
252.454
514.518
9.433
148.041
1.000.678
1.857.510
231.742
2.089.252
3.089.930
6.637
452
1.594
320
9
2.142
11.154
328.324
198.567
526.891
538.046
SN 2012
-97,9
import
807.950
2013
export
8.322
-68,9
-97,8
-98,7
-99,9
-99,8
-97,1
-97,8
30.639
35.670
233.712
500.557
7.372
146.881
954.831
1.770.846
229.056
1.999.901
2.954.733
5.793
708
1.257
562
1
2.390
10.712
311.667
182.551
494.218
504.930
-70,0
-7,7
-59,7
-70,3
SN 2013
-98,0
SN 20132012
-0,1
-68,2
-96,1
-98,9
-99,8
-100,0
-96,8
-97,8
0,7
1,7
-0,2
0,1
-0,2
0,3
0,0
-70,1
-11,3
-60,4
-70,8
-0,1
-3,6
-0,6
-0,5
Note: SN= saldo normalizzato
Fonte: elaborazioni INEA su dati ISTAT.
Dalla tabella 14 si rileva infatti che la maggior parte dei bovini da ristallo (circa 62,0% nel 2013)
importati ha un peso di oltre 300 Kg corrispondente al vitello pesante prossimo al macello. Per quanto
riguarda il comparto delle carni fresche e congelate si sottolinea la forte prevalenza nell’importazione di
carne bovina fresca o refrigerata che ha rappresentato nel 2013 l’88,5% delle carni importate. Il saldo netto
è pari a -70,0% con una sostanziale stabilità rispetto ai valori del 2012.
43
L’import di carne in quantità è diminuito dell’1,5% nel 2013 rispetto al 2012 raggiungendo in volume
la cifra di 396.945 tonnellate (tabella 15). La variazione negativa ha riguardato, in particolar modo, le
carcasse e mezzene (-8,1%) mentre busti e quarti anteriori e i tagli disossati hanno registrato un leggero
aumento rispetto al 2012, rispettivamente di 1,6% e 2,9%.
Tabella 15: Import di carne bovina fresche, refrigerate e congelate, (2009-2013)
2009
2010
2011
2012
2013
Var.
2013/12
(%)
t
%
t
%
t
%
t
%
t
%
127.317
28,4
125.140
27,3
109.683
25,7
100.113
24,8
92.020
23,2
-8,1
57.734
12,9
63.092
13,8
60.994
14,3
55.625
13,8
56.531
14,2
1,6
115.045
25,6
122.229
26,7
118.079
27,7
111.881
27,8
110.365
27,8
-1,4
43.426
9,7
44.924
9,8
37.255
8,7
36.303
9,0
35.965
9,1
-0,9
Tagli
disossati
105.510
23,5
102.913
22,5
100.013
23,5
99.174
24,6
102.064
25,7
2,9
Totale
449.032
100,0
458.297
100,0
426.024
100,0
403.096
100,0
396.945
100,0
-1,5
Carcasse
e
mezzene
Busti e
quarti
anteriori
Selle e
quarti
posteriori
Altri tagli
non
disossati
(*) Dati provvisori.
Fonte: elaborazioni Inea su dati ISTAT.
L'import dalla Francia, nel 2013, ha subito una diminuzione pari al 9,1% con un volume di 84.418
tonnellate, così come è continuato a diminuire l'approvvigionamento da Germania (-11,2%) e Paesi Bassi (4,8%), le cui esportazioni sono costituite prevalentemente da carni di vitello (tabella 16). La Polonia ha
compensato il sensibile calo delle esportazioni verso la Turchia, aumentando le forniture di materia prima
al mercato italiano (+38,6%), oltre che verso Russia, Olanda e Spagna.
Anche il Brasile ha guadagnato quote sul totale dell'import italiano, segnando nel 2013 un aumento
in volume del 17,4%. Pur se in continua ripresa, le importazioni italiane dal Brasile - pari a 2.150 tonnellate sono rimaste inferiori ai volumi raggiunti prima che fossero assoggettate alle restrizioni imposte dall'UE
all'inizio del 2008.
44
Tabella 16: Import di carni bovine fresche per Paese di provenienza, (2009-2013)
2009
2010
2011
2012
2013
t
%
t
%
t
%
t
%
t
%
Variazione
%
2013/2012
Francia
81.201
19,9
89.198
21,3
92.121
23,9
92.829
25,8
84.418
24,0
-9,1
Paesi Bassi
72.175
17,7
70.410
16,8
68.672
17,8
62.567
17,4
59.547
16,9
-4,8
Germania
67.278
16,5
67.304
16,1
59.196
15,4
51.458
14,3
45.711
13,0
-11,2
Polonia
59.622
14,6
57.197
13,7
41.624
10,8
43.330
12,1
60.050
17,0
38,6
Irlanda
29.650
7,3
34.093
8,1
31.694
8,2
24.809
6,9
20.450
5,8
-17,6
UE-28
392.631
96,2
403.278
96,3
372.831
96,8
347.786
96,7
339.876
96,4
-2,3
Mondo
408.123
100,0
418.733
100,0
385.304
100,0
359.555
100,0
352.439
100,0
-2,0
(*) Dati provvisori.
Fonte: elaborazioni Inea su dati ISTAT.
Per quanto riguarda il commercio di bovini vivi, la banca dati relativa al commercio con l’estero
dell’Istat mostra un calo del 2,6% delle importazioni sia a livello mondiale sia per i 28 Paesi dell’Unione
Europea (tabella 17). Gli ingressi registrati nel 2013 sommano un totale di 1,0 milioni di capi con la Francia
che rappresenta il maggior fornitore di bovini per la produzione di carne con quasi 760 mila capi e una
piccola variazione negativa pari a -1,1% rispetto al 2012.
Tabella 17: Import-export di bovini vivi per Paese di provenienza (n. capi), (2012-2013)
2012
2013
Variazione Import
2013/2012 (%)
import
export
import
export
768.208
649
759.628
1.351
-1,1
Paesi Bassi
9.364
10.627
5.163
11.982
-44,9
Germania
15.698
2.053
13.826
3.248
-11,9
Irlanda
32.306
0
21.437
0
-33,6
Austria
55.172
69
57.157
2
3,6
Polonia
76.188
2.446
61.599
843
-19,1
Romania
36.568
27
40.999
267
12,1
UE-28
1.046.725
46.825
1.019.473
46.914
-2,6
Mondo
1.046.732
47.103
1.019.473
46.944
-2,6
Francia
(*) Dati provvisori.
Fonte: Istat
45
In forte contrazione l’importazione di capi bovini dall’Irlanda (-33,6% nel 2013) e dai Paesi Bassi (44,9%) mentre è in crescita il rifornimento dalla Romania con un +12,1%. La crescita dei prezzi dei ristalli e
la contrazione degli utili lordi di stalla hanno continuato a deprimere la domanda degli ingrassatori italiani
anche nel corso del 2013. Tra i mesi di gennaio ed ottobre del 2013 l'importazione di bovini vivi è infatti
diminuita del 5%.
Data anche la riduzione delle disponibilità per il mercato interno, le esportazioni italiane di carni
bovine, attestatesi nel 2013 a 117.047 tonnellate, hanno segnato un calo in volume del 5,4% (tabella 18).
Per le carcasse e le mezzene non congelate si è registrata una variazione negativa delle quantità esportate
nel 2013 pari al 16,4% rispetto al 2012 mentre le spedizioni di busti e quarti anteriori e di selle e quarti
posteriori hanno subito dei consistenti aumenti pari a 17,6% e al 20%, rispettivamente. Il 90% dell'export
italiano è indirizzato verso Paesi dell'UE, tra i quali i principali in termini di volumi sono la Francia, Paesi
Bassi e Germania – le cui rispettive domande sono state in diminuzione (-11,7% e -16,9%) – oltre a Grecia,
dove al contrario si è registrato un aumento del 13,1%.
Tabella 18: Export di carne bovina fresche, refrigerate e congelate (2009-2013)
t
%
t
%
t
%
t
%
t
%
Var.
2013/12
(%)
22.034
20,8
26.611
19,9
24.111
18,0
24.781
20,0
20.720
17,7
-16,4
16.518
15,6
19.032
14,2
24.254
18,1
18.473
14,9
21.731
18,6
17,6
3.376
3,2
2.487
1,9
2.173
1,6
3.649
3,0
4.378
3,7
20,0
7.708
7,3
11.105
8,3
10.676
8,0
8.642
7,0
7.836
6,7
-9,3
Tagli disossati
56.416
53,2
74.542
55,7
72.879
54,3
68.145
55,1
62.382
53,3
-8,5
Totale
106.051
100,0
133.777
100,0
134.092
100,0
123.690
100,0
117.047
100,0
-5,4
2009
Carcasse e
mezzene
Busti e quarti
anteriori
Selle e quarti
posteriori
Altri tagli non
dissossati
2010
2011
2012
2013
(*) Dati provvisori.
Fonte: elaborazioni CRPA su dati ISTAT.
In generale, il calo delle importazioni dall’estero ha determinato una riduzione della produzione
interna derivante da capi esteri del 14,3% a cui si è aggiunta la flessione della produzione, derivante da capi
nazionali (-9,6%), dovuta alla contrazione del patrimonio di vacche nutrici e alla stabilizzazione delle
consistenze dei capi riproduttori da latte. Quanto detto ha comportato altresì un calo della produzione
complessivamente pari al 10,7% (tabella 19).
46
Tabella 19: Bilancio di approvvigionamento della carne bovina in Italia (migliaia di tonnellate), 2008-2012
Macellazioni bovini nazionali
Macellazioni bovini esteri
Produzione
1
1
1
2010
2011
2012
2013
Var. %
2013/2012
842,0
751,7
730,1
660,3
-9,6
226,9
248,7
227,7
195,0
-14,3
1068,9
1000,4
957,8
855,3
-10,7
2
458,3
1527,2
426,0
1426
401,2
1359
398,2
1254
-0,7
-7,8
2
133,8
1393,4
134,1
1292,3
123,7
1235,3
117,3
1136,3
-5,2
-8,0
60,3
58,2
59,1
58,1
-1,7
Import di carni
Disponibilità
Export di carni
Consumo apparente
Tasso di autoapprovvigionamento (%)
(1) Peso morto al lordo del grasso della carcassa.
(2) Dati provvisori.
Fonte: elaborazioni CRPA su dati ISTAT.
Il calo della produzione interna unendosi alla riduzione dell’import di carni dall’estero ha ridotto la
disponibilità di carni per il consumo interno del 7,8%. La capacità di autoapprovvigionamento del comparto
è peggiorata passando dal 60,3% al 58,1%.
Box 7.1: L’approvvigionamento per l’ingrasso e di vitelloni da macello
Il mercato dei vitelli da ristallo
L’Italia importa, per lo più dalla Francia, un gran numero di animali vivi per lo più destinati
all’ingrasso (ristalli) (tabelle 14 e 17). Si tratta di una vera dipendenza che genera incertezza economica per
gli allevatori. Infatti, considerato che il periodo di allevamento in Italia dei bovini ristallati è mediamente di
circa 5 mesi per i maschi e di 4 mesi le femmine, gli sbalzi di prezzo del ristallo che rappresenta
mediamente oltre il 60% del costo di produzione, possono condizionare in modo negativo il valore di
realizzo del bovino pronto da macello.
Per meglio capire l’andamento del mercato dei vitelli da ristallo, si riportano alcuni grafici che
mostrano l’andamento dei prezzi (quotazioni della Borsa Merci di Modena) di varie categorie di vitelli.
Come si può notare nel grafico A, tra febbraio 2012 e febbraio 2015, pur presentando importanti
aumenti di quotazione per effetto dei notevoli acquisti di bovini da parte della Turchia sul mercato
francese, si registra una flessione tendenziale nel prezzo.
Da rilevare, anche, che nello stesso periodo, i bovini per gli allevatori italiani, se provenienti da zone
francesi soggette a restrizione delle movimentazioni a causa della Blue Tongue, potevano costare anche
oltre €. 50,00 a capo in più per effetto dell’obbligatorietà in Italia della vaccinazione che non era invece più
obbligatoria in Francia.
47
Grafico A: Bovini maschi da ristallo: Charolaise ed incroci francesi Kg. 350 (Prezzo merce a peso vivo)
Dati: Camera di Commercio di Modena
Grafico B: Bovini maschi da ristallo: Charolaise ed incroci francesi Kg. 450 - Prezzo merce a peso vivo.
Dati: Camera di Commercio di Modena
In modo inatteso, i prezzi dei capi più leggeri sono maggiori di quelli del vitellone di kg. 450 che in
realtà è più vicino alla fine del suo ciclo produttivo (grafico B). Questa apparente contraddizione è
conseguenza in parte dell’aumento della domanda dalla Turchia, in parte delle modalità con cui sono
assegnati i pagamenti dell’art 68 che, riconoscendo il premio accoppiato al vitello macellato detenuto in
azienda per almeno 7 mesi, va a compensare il maggior costo sostenuto dagli allevatori italiani, in sostanza
il vantaggio si trasferisce sul venditore estero.
48
Grafico C: Bovini maschi da ristallo: incroci irlandesi Kg. 400 - Prezzo merce a peso vivo.
Dati: Camera di Commercio di Modena
Nel grafico C che rappresenta la quotazione dei ristalli Irlandesi, sempre riferito ad un periodo di 36
mesi per un vitellone da kg. 400 si nota un andamento simile a quello dei ristalli francesi.
Il mercato dei vitelloni da macello
Per quanto riguarda i vitelloni da macello, nonostante la flessione dei consumi di carne
(soprattutto quella non trasformata, tavola A), l'ulteriore calo delle disponibilità interne, la minore
offerta nell'Ue e i prezzi elevati raggiunti dalle carni comunitarie, il prezzo bovini vivi ha continuato a
subire pressioni in rialzo in Italia così come su tutte le altre piazze europee, dove si sono registrati
aumenti compresi tra il 10 ed il 15%.
Tavola A: consumi di carne bovina in Italia
Gen.nov 13/gen-nov 12
q.tà
Val.
Totale carne bovina e preparazioni
-3,4
-2,9
Carne bovina fresca e refrig. Di cui:
-3,4
-3,3
Naturale
Vitello
Bovino adulto
Elaborata
Bresaola
Dati: panel famiglie Ismea
-3,6
-2,7
-3,9
1,3
-0,6
-3,2
-5,0
-2,5
-8,4
5,2
Nel corso del 2014 le condizioni di mercato dei bovini da macello ha fatto segnare un iniziale e
significativo innalzamento dei prezzi per poi ripercorrere l’andamento del 2013 (grafico D).
49
Grafico D: Vitelloni maschi da macello - peso vivo: Charolaise ed incroci francesi oltre Kg. 750
Dati: Camera di Commercio di Modena
50
ALLEGATO: ANALISI SWOT DELLA FILIERA CARNI BOVINE
Punti di Forza
Punti di Debolezza
Esistenza di aree e allevamenti ad elevata specializzazione produttiva
Debolezza contrattuale della fase primaria dovuta alla frammentazione
dell’offerta
Know-how industriale e impiego tecnologie avanzate
Per alcune aree prossimità territoriale materia prima industria limitata
Capacità imprenditoriali e professionali non sempre adeguati
Scarso ricambio generazionale;
Presenza di filiere incentrate sulle razze autoctone italiane legate alla tradizione
territoriale
Scarsa propensione all’integrazione di filiera;
Sistema dei controlli sanitari pubblici efficiente
Forte dipendenza dall’esterno dell’azienda per i mangimi
Sistema di tracciabilità ben implementato
Forte dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento dei bovini da ingrasso
Limitata capacità di penetrazione dei mercati di alcune filiere della linea vaccavitello
Bassa redditività del comparto
Elevata concentrazione territoriale degli allevamenti in aree sottoposte a vincoli
normativi con finalità ambientale (direttiva nitrati)
Difficoltà nella gestione dei reflui soprattutto negli allevamenti intensivi
Prezzi degli affitti dei terreni agricoli elevati
Elevata presenza di carne straniera nella GDO
Scarsa diversificazione produttiva
Polverizzazione e inadeguatezza del sistema della macellazione, ritardo rispetto
ai competitori europei
51
Minacce
Opportunità
Declino del consumo domestico di carni rosse e maggiore pressione competitiva Espansione mercato di alta fascia per le carni di qualità e garantite (produzioni
di produzioni provenienti da Paesi terzi;
biologiche; produzioni integrate; SQN , ecc.);
Progressivo abbandono delle attività zootecniche nelle zone montane e
svantaggiate;
Riduzione del sostegno accordato dal primo pilastro PAC 2014/2020;
Costi e problemi di adeguamento alla normativa nitrati e alle norme igienicosanitarie;
Eccessi di offerta per scarsa capacità di programmare le produzioni in base alle
variabili del mercato;
Oscillazione del prezzo dei principali fattori produttivi (cereali, soia e
energetici);
Debolezza dei prezzi all’origine;
Discontinuità nell’approvvigionamento del mais per problematiche sanitarie e
competizione con impieghi (food, feed , fuel)
Possibilità di sviluppare filiere a elevata tipicità
Possibilità di sviluppare produzioni a elevato benessere animale;
Inter-professione
Sviluppo organizzazioni di allevatori
Creazione di sinergie con il comparto lattiero caseario per
l’approvvigionamento dei vitelli da ingrasso
Sbocchi nella ristorazione collettiva e nelle varie forme di filiera corta
Riconoscimento della funzione ambientale delle attività zootecniche in aree
marginali e montane;
Premi accoppiati nuova programmazione
Misure gestione del rischio
Misure innovazione
Produzione biogas
52
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LINEE di intervento per settore zootecnico