Settore Politiche Sociali e Salute
I QUADERNI DI RISORSE
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LA DISABILITÀ
DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE
IN PROVINCIA DI BERGAMO
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LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO
PROVINCIA DI BERGAMO
I QUADERNI DI RISORSE
LA DISABILITA’ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE
IN PROVINCIA DI BERGAMO.
Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita:
dalle Consensus Conference
alla programmazione socio-sanitaria sul territorio
PROVINCIA DI BERGAMO
Settore Politiche Sociali e Salute
I QUADERNI DI RISORSE
LA DISABILITA’ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE
IN PROVINCIA DI BERGAMO.
Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita:
dalle Consensus Conference
alla programmazione socio-sanitaria sul territorio
a cura di
Silvano Gherardi, Michela Persico
Gennaro Esposito, Albero Zucchi
Si ringrazia per la collaborazione:
Realizzazione:
Provincia di Bergamo
Settore Politiche Sociali e Salute
Via Camozzi, 95 Passaggio Canonici Lateranensi 10 - Bergamo
Tel. 035.387652 – Fax 035.387695
E-mail: [email protected]
Sito Internet: www.provincia.bergamo.it
Coordinamento editoriale e curatela:
Silvano Gherardi, Michela Persico, Gennaro Esposito, Alberto Zucchi
Si ringraziano per i preziosi contributi:
Antonio De Tanti, Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini, Alberto Zucchi, Gennaro Esposito,
Simona Colpani, Giovanni Melizza, Lorella Algeri, Maria Grazia Inzaghi, Cooperativa
Progettazione, Fulvio De Nigris, Paola Dellera, Carlo Viganò
Immagine di copertina:
Dipinto di Antonio De Santis
Presentazione
Questa pubblicazione è, in ordine temporale, l’ultimo prodotto delle numerose iniziative del Tavolo
Provinciale della grave cerebrolesione acquisita e trauma vertebromidollare e deve la sua nascita
alla necessità ed al desiderio di rendere pubblici dati che, per tutti coloro che rivestono ruoli di
programmazione sociale, sono indispensabili.
I risultati ed i contenuti presentati sono stati resi possibili proprio grazie al Tavolo provinciale,
costituitosi presso il Settore Politiche Sociali e Salute, che ha consentito ai suoi componenti di
trovarsi, raccontarsi e condividere bisogni, conoscenze e strumenti differenti. Le associazioni
familiari hanno raccontato, con la passionalità del vissuto, l’incertezza del futuro delle persone che,
una volta dimesse dall’ospedale, sono tornate a vivere la loro “nuova vita” in famiglia. Il racconto,
da parte di tanti associati, di mesi e di anni di solitudine senza sapere da chi farsi ascoltare, fa
presupporre che tra le persone dimesse tante versino - insieme alle loro famiglie - ancora in
condizione di grave bisogno e solitudine.
I rappresentanti dell’ASL hanno dato la disponibilità ad accedere agli archivi interni per costruire un
quadro epidemiologico delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite.
La Cooperativa Progettazione ha partecipato ai lavori del Tavolo che ha evidenziato la necessità di
conoscere quante persone effettivamente potrebbero avere bisogno di servizi perché, a fronte di
questo dato, gli Enti locali potrebbero consapevolmente attivarsi. La stessa cooperazione potrebbe
offrire personale qualificato in numero adeguato.
Servizi costruiti e pensati specificamente per le persone con disabilità acquisita sono rari in
provincia. Altrettanto rari sono professionisti che operano con persone con disabilità e che hanno
tra le loro competenze una conoscenza degli specifici bisogni delle persone con disabilità acquisita.
Il tavolo provinciale è stato il contesto di occasione che ha permesso a tutti questi interlocutori,
come si diceva, di raccontarsi reciprocamente bisogni e risorse. La Provincia ha operato una regia
affinché, in linea con le proprie finalità istituzionali, potesse favorire il rendere visibile e spronare ad
una presa in carico di una problematica sociale tutt’ora poco considerata e presente se non per
una ristretta cerchia di addetti al lavoro che, in realtà, per l’elevata competenza, hanno portato la
nostra provincia ad essere uno dei fiori all’occhiello a livello nazionale e non solo.
Crediamo che questo ultimo tassello possa raccontare l’alto valore professionale di tutti i
componenti del Tavolo provinciale e delle Istituzioni bergamasche e contestualmente aggiungervi
valore, perché questa pubblicazione è portatrice di un risultato unico in Italia che potrebbe divenire
esempio per altre Provincie, Regioni od Ospedali.
L’Assessore alle Politiche Sociali e Salute
Domenico Belloli
Il Presidente della Provincia
Ettore Pirovano
I
Introduzione
Questa pubblicazione è il frutto di un notevole impegno, profuso dagli Autori, in relazione ad un
problema emergente nella società attuale. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite costituiscono infatti un
tema di particolare rilevanza per l’intera popolazione.
Il volume testimonia l’intensa collaborazione tra la Provincia di Bergamo, la cui sensibilità in questi
ultimi anni si è tradotta in una forte e concreta azione verso questa problematica, e l’ASL di
Bergamo, che con i propri professionisti ha supportato con soddisfazione questo percorso.
Il quadro di transizione epidemiologica e demografica mostra un continuo innalzarsi dell’aspettativa
di vita. Lo sviluppo di nuove conoscenze e avanzate tecnologie mediche consente sempre più il
superamento delle fasi critiche in patologie drammaticamente acute verso un’evoluzione cronica.
Assistiamo così al forte spostamento del bisogno di salute verso le malattie cronico-degenerative e
le malattie stabilmente cronicizzate, con l’innesto di forte disabilità acquisita post-acuzie.
Si determina tuttavia, come la nostra indagine epidemiologica sulla provincia di Bergamo ha
dimostrato, rilevando ben 3300 pazienti all’anno colpiti da una GCA, un forte impatto, come carico
di patologia, sull’intero sistema di welfare, per gli aspetti economici, ma soprattutto per quelli sociali
e familiari.
Il tema approfondito in questo volume rappresenta dunque quasi un paradigma delle complessità
emergenti fra bisogno sanitario e bisogno sociale di paziente, care giver e famiglia.
Le problematiche che insorgono a seguito di un evento drammatico come l’essere colpito da una
GCA sono complesse e su differenti livelli. Sono problemi di tipo fisico, cognitivo ed emotivo, con i
correlati personali, familiari e sociali. I servizi socio-sanitari con gli Ambiti Territoriali sono chiamati
a sviluppare, in un percorso di rete, maggiore adeguatezza ed efficacia per garantire le crescenti
richieste della popolazione, anche se non aiutano le difficoltà che stiamo vivendo, in questi anni,
per la riduzione delle risorse disponibili.
Dai contributi del lavoro presentato, emerge anche il vissuto di solitudine che le famiglie riportano;
la costituzione di una rete più efficace tra i servizi esistenti diventa allora non solo importante, ma
indispensabile.
Si propongono per ciò, come temi focali di ordine strategico, l’integrazione degli elementi legati a
complessità clinica, fragilità e disabilità e, inevitabilmente, a continuità assistenziale.
L’esperienza di questa pubblicazione è dunque positivamente emblematica della possibilità di
fondare una programmazione forte, volta all’integrazione dei percorsi, sulla base di metodologie
solide e di evidenze scientifiche, congiuntamente alla capacità di lavorare insieme, nel rispetto
delle specifiche competenze.
Direttore Generale dell’ASL di Bergamo
Mara Azzi
II
INDICE
 PRESENTAZIONE ……...........................................................................................................................…. I
Domenico Belloli, Ettore Pirovano
 INTRODUZIONE ……...............................................................................................................................…. II
Mara Azzi
 LA DISABILITÀ ACQUISITA DA GRAVI CEREBROLESIONI: UN QUADRO COMPLESSO ……....... p. 1
Antonio De Tanti
 LE GRAVI CEREBROLESIONI ………................................................................................................... p. 17
Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini
 EPIDEMIOLOGIA DELLE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO .. p. 41
Alberto Zucchi, Gennaro Esposito
 IL TAVOLO DELLA PROVINCIA SULLE GRAVI CEREBROLESIONI: UNO SPAZIO DI
INTERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO ……................................................ p. 138
Simona Colpani, Silvano Gherardi
 NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DELLA CONTINUITÀ ASSISTENZIALE
DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA ....................................................... p. 151
Giovanni Melizza, Lorella Algeri
 LA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE
ACQUISITA: DALLA CONSENSUS CONFERENCE DI SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI … p. 167
Maria Grazia Inzaghi, Lorella Algeri
 IDENTITÀ E DINAMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER E LA QUALITÀ DELLA VITA
DELLA FAMIGLIA ………...................................................................................................................... p. 195
Gennaro Esposito
 ATTIVITÀ ED ESPERIENZE DI UNA COOPERATIVA SOCIALE. ASPETTI SOCIOLOGICI
RELATIVI A PAZIENTE, FAMIGLIA E CARE GIVER: SUPPORTO, DINAMICHE DI
QUALITÀ DI VITA, REINTEGRAZIONE SOCIALE E LAVORATIVA, RETI DI SUPPORTO
FORMALI E INFORMALI …............................................................................................................ p. 231
Cooperativa Progettazione
 IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI PER USCIRE
DAL COMA E RIENTRARE NELLA VITA .......................................................................................... p. 248
Fulvio De Nigris
 IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI .. p. 262
Paola Dellera
 LA DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’INTERAZIONE CON UNA TAPPARELLA… p. 267
Carlo Viganò
 CONCLUSIONI …….............................................................................................................................. p. 279
Francesco Locati
LA DISABILITÀ ACQUISITA DA GRAVI CEREBROLESIONI:
UN QUADRO COMPLESSO
Antonio De Tanti1
Premessa
Per «Grave Cerebrolesione Acquisita» (GCA) si intende una patologia cerebrale acuta che provoca
stato di coma documentato da Glasgow Coma Scale (GCS) < 8 per una durata superiore alle 24
ore. Le GCA, sono principalmente rappresentate da traumi cranioencefalici (TCE), patologie
cerebrovascolari (emorragiche o ischemiche) ed encefalopatie post-anossiche; nel loro insieme
costituiscono una della più importanti cause di severa disabilità acquisita nel mondo occidentale,
con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano individuale, economico, della programmazione
sanitaria, del potenziale impatto sulla società che è chiamata a riaccogliere queste persone, con le
loro fragilità residue.
Proprio la compromissione dello stato di coscienza costituisce nel contempo un indice di gravità, la
causa di ulteriori danni secondari sia a livello cerebrale che a carico di tutto l’organismo e un indice
di severità prognostica: quanto maggiore è il periodo di alterazione della coscienza, tanto più
importante sarà il livello atteso di disabilità residua.
I nostri pazienti sono quasi sempre persone con quadri clinici molto complessi in cui menomazioni
di carattere sensori-motorio, cognitivo e comportamentale interagiscono tra di loro in modo tale che
la disabilità finale risulta spesso superiore e più severa di quanto ci si potrebbe attendere dalla
semplice somma delle singole componenti.
Nella maggior parte dei casi devono affrontare una lunga storia di cura che parte dal luogo del
primo soccorso, passa poi per i reparti di terapia intensiva, dove si gioca, per giorni e settimane, la
scommessa tra la vita e la morte. Dopo un intervallo di tempo, che oscilla in Italia da poche
settimane a uno, due mesi, i malati vengono trasferiti nei reparti di riabilitazione intensiva, spesso
per un numero elevato di mesi, con il fine di acquisire la stabilizzazione delle condizioni generali, il
recupero nell’autonomia delle funzioni vitali di base con la svezzamento da tutti i presidi invasivi, di
perseguire il maggior ripristino intrinseco possibile delle funzioni compromesse e di raggiungere un
livello di autonomia, almeno nelle attività di base della vita quotidiana, anche ricorrendo a tutte le
strategie disponibili di recupero adattativo.
A questo punto, se il livello di guarigione lo permette, inizia per molte persone una fase ancora più
lunga e complicata, dedicata alla ricostruzione delle competenze più complesse, quelle che
consentono il pieno recupero dell’individuo e il suo reinserimento nel contesto di vita familiare,
1 Fisiatra, Direttore Scientifico del Centro Card. Ferrari - Santo Stefano Riabilitazione Fontanellato (PR); Membro del Comitato
Promotore della Conferenza Nazionale di Consenso e Coordinatore del Gruppo 2 della Conferenza
1
sociale e lavorativo nelle migliori condizioni di autonomia possibili e compatibili con le disabilità
residue.
A fronte di bisogni così articolati l’unica risposta efficace è quella di organizzare una filiera di cura
strutturata a livello istituzionale, che consenta il passaggio programmato e tempestivo tra i vari
setting di cura, liberando i familiari dall’onere di organizzare in autonomia (o meglio in solitudine)
la successione delle fasi di riabilitazione.
Tutti i nodi della rete di cura devono disporre di un team molto articolato di professionisti esperti,
che condividono la filosofia riabilitativa di base e interagiscono in stretta collaborazione reciproca
nella costruzione e realizzazione del progetto riabilitativo individuale, prodotto su misura, per e
con il singolo paziente. Il team interprofessionale e multidisciplinare, deve conoscere in modo
approfondito protocolli di cura basati sulle evidenze scientifiche ed essere in grado di tradurli in
progetti riabilitativi individualizzati per il singolo paziente, realizzabili mediante programmi
riabilitativi costantemente aggiornati in rapporto all’evoluzione clinica e alle caratteristiche del
contesto ambientale in cui il soggetto sarà reinserito. La buona formalizzazione e la tempestività
degli interventi riabilitativi costituiscono infatti, di per sé, una variabile significativa, predittiva di
miglior recupero (Mac Kay, 1992).
Sempre più nel team sono inclusi, come attori a pieno titolo, il paziente stesso e i suoi familiari di
riferimento: entrambi sono chiamati a svolgere il doppio ruolo di essere oggetto di cura e attivi
registi nella conduzione del progetto riabilitativo. La fragilità, che purtroppo caratterizza entrambi,
non deve essere motivo per escluderli dal loro diritto di autodeterminazione, così come non può
che essere loro il giudizio finale circa il grado di soddisfazione e di gradimento di quanto è stato
fatto.
In questo capitolo introduttivo cercheremo di delineare a grandi linee quali sono le dimensioni e le
caratteristiche principali del fenomeno “Grave Cerebrolesione Acquisita”, quali le maggiori criticità a
cui la ricerca biomedica non è ancora in grado di dare risposte esaustive con riferimento al tema
principale che resta il problema del recupero della coscienza.
Siamo fermamente convinti che in questo dominio del sapere la cultura medica e riabilitativa
italiana abbia saputo fornire modelli teorici e operativi molto avanzati, solidamente fondati sui dati
di evidenza quando disponibili, ampiamente condivisi dagli operatori coinvolti, mediante percorsi
strutturati di ricerca del consenso, di formazione capillare dei membri dei team, di costante ricerca
di momenti di confronto tra sanitari, operatori sociali, amministratori e programmatori della cosa
pubblica, mondo del volontariato e dell’associazionismo. Siamo ora chiamati a dimostrare la nostra
reale capacità di implementazione locale e di costante approfondimento di quanto è stato
formalmente deciso e concordato nel corso delle tre Conferenze Nazionali di Consenso su TCE e
GCA che sono state celebrate dal 2000 in poi nel nostro paese. Sappiamo che è questa la fase più
delicata di ogni CC, poiché le conclusioni della Giuria non hanno, di per sé, valore vincolante ed è
precisa responsabilità di tutti coloro che vi hanno partecipato, usare la propria autorevolezza e
onestà intellettuale nel concorrere per farle recepire nel sistema di regole che governano
l’organizzazione sanitaria e renderle pratica clinica quotidiana. A queste tematiche sono dedicati
2
gli approfondimenti contenuti nei capitoli che seguono, con particolare attenzione alla realtà del
territorio della provincia di Bergamo che per la seconda volta ci ospita, dimostrando grande
attenzione a tematiche così importanti.
Epidemiologia delle GCA
Per quanto concerne i TCE nei Paesi sviluppati, l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi che si
verificano nella popolazione di una determinata area geografica in un certo periodo di tempo, è
stimata in un range di 180-250 nuovi casi anno ogni 100.000 abitanti in studi su popolazioni nordamericane, canadesi e australiane, con una frequenza di gravi traumi stimata tra 6 e 17 su
100.000 individui (Bruns e Hauser, 2003). I dati europei non sono significativamente differenti
(150-300 nuovi casi annui di ricoveri ogni 100.000 abitanti, con gravi traumi in 8,5 su 100.000
individui) (Masson et al, 2003).
Relativamente all’Italia, ad oggi non esistono studi epidemiologici di incidenza dei traumi su tutto il
territorio nazionale. I dati disponibili si riferiscono a uno studio population-based realizzato in
Romagna (Servadei et al, 2002) da cui risulta una incidenza di 250/100.000 abitanti. I quadri più
severi si sono verificati in 11/100.000 abitanti e di queste GCA solo 5-6/100.000 necessiteranno di
programmi di riabilitazione intensiva. Nel TCE i soggetti di sesso maschile hanno una probabilità di
subire un trauma nettamente superiore rispetto a quelli di sesso femminile, con un rapporto che
oscilla da 3:1(Bruns e Hauser, 2003) a 2:1. Tale sproporzione è massima nella fascia di
popolazione di età compresa fra 10-19 anni, la stessa in cui il TCE è la principale causa di morte
nel mondo occidentale, e tende ad annullarsi nelle popolazioni di età più avanzata.
Rispetto alle GCA non traumatiche, i dati epidemiologici risultano ancora più difficili da reperire.
Per quanto riguarda le forme emorragiche, il valore attualmente atteso in Italia, in base ai principali
studi epidemiologici disponibili, è di 43-58 nuovi casi di primo ictus emorragico per 100.000
abitanti all’anno (Di Carlo et al, 2003), di cui solo una percentuale minore risponde ai criteri di
GCA.
Non sono note stime di incidenza delle GCA di origine ischemica, che comprendono solo una
piccola quota degli ictus ischemici, quali, per esempio le ischemie troncoencefaliche come la
Locked-in Syndrome.
Le GCA secondarie a encefalopatia anossica, prevalentemente dovuta ad arresto cardiaco ripreso
mediante defibrillatore e manovre rianimatorie prolungate, sono in continuo aumento e
costituiscono attualmente causa prevalente degli stati vegetativi persistenti a lungo termine e
delle più severe disabilità residue.
Elementi di particolare interesse per l’attuale trattazione sono deducibili dall’indagine condotta dal
Gruppo Italiano per lo Studio delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite e Riabilitazione (GISCAR)
(Zampolini et al, 2012), che ha analizzato i percorsi riabilitativi di un vasto campione di circa 2.600
GCA, reclutati in 52 centri del territorio nazionale nel biennio 2001-2003. Non si può parlare in
questo caso di dati di incidenza in senso generale, quanto piuttosto di analisi della
3
sottopopolazione dei soggetti che accedono a percorsi riabilitativi nella rete italiana dei centri di
alta specialità per le GCA. In anni più recenti è stato attivato, grazie ad un progetto finalizzato del
Ministero della Salute, un registro nazionale per le GCA di cui, ad oggi, sono stati resi noti i dati di
attività relativamente al periodo giugno 2008 – aprile 2011, con un totale di 1400 pazienti reclutati
in 26 Centri riabilitativi, in fase di primo ricovero (De Tanti et al, 2011) Dal confronto tra i dati
riportati nei due studi emergono informazioni di grande interesse circa l’evoluzione che si è venuta
realizzando in Italia, nell’arco di 5-7 anni, rispetto alla composizione degli utenti che afferiscono ai
nostri reparti. I dati più salienti del cambiamento in corso riguardano l’eziologia e l’età media dei
pazienti. Come si puo’ osservare in Tab. 1, nel primo studio veniva documentata una prevalenza
delle GCA di origine traumatica, mentre nel secondo prevalgono le forme non-traumatiche. Si
documenta poi un progressivo aumento dell’età media dei pazienti, indipendentemente dalla
causa del danno cerebrale, pur confermandosi in entrambi gli studi una prevalenza relativa delle
persone più giovani tra i TCE.
GISCAR
Registro Naz.
TCE
58%
44%
nTCE
42%
56%
TCE età
29
44
nTCE età
55
57
Tab. 1 Eziologia ed età media
Le cause di questo cambiamento documentato dai due studi sono probabilmente molteplici e
includono da un lato l’aumento generale dell’età media della popolazione italiana, con il
conseguente aumento delle malattie cerebrovascolari e l’aumentato tasso di incidenza dei pazienti
più gravi grazie alla maggior efficienza della rete sanitaria in toto; dall’altro lato sono in fase di
riduzione i traumi cranici grazie alle massicce campagne di prevenzione degli infortuni. Ad
esempio l’introduzione dell’obbligatorietà per il casco nei motoveicoli ha contribuito a ridurre la
mortalità e la severità degli incidenti motociclistici, con riduzione del 66% dei ricoveri di
motociclisti, in seguito a trauma cranico, presso il Trauma Center di Cesena (Servadei, 2003).
Si può infine ipotizzare che l’aumentata disponibilità di posti letto dedicata alle GCA sul territorio
nazionale abbia contribuito a ridurre il bias di selezione negativa nei confronti dei pazienti meno
giovani e non traumatici, che fino a qualche anno fa trovavano maggior difficoltà di accesso ai
nostro reparti.
Come si vedrà in seguito il cambiamento nella composizione della popolazione di soggetti che con
GCA che afferiscono ai reparti di riabilitazione intensiva ha delle conseguenze pratiche importanti
sul piano della programmazione sanitaria e socio-assitenziale perché entrambi i fattori (età ed
eziologia) sono prognosticamente significativi.
In Tab. 2 sono riportate le percentuali delle diverse cause di TCE severo documentate nello studio
GISCAR, da cui emerge che gli incidenti stradali restano in assoluto la causa principale di trauma
cranico in Italia.
4
Eziologia trauma
Incidente stradale
Cadute
Sport/tempo libero
Altro
Tentativi suicidi
%
79.26
13.80
3.12
1.90
1.00
Violenza
0.89
Tab. 2 Studio GISCAR: causa di TCE
Non sono attualmente disponibili informazioni precise sulla prevalenza delle GCA in Italia, ovvero
sul numero di soggetti sopravvissuti con vario grado di disabilità e abitanti in una determinata area
geografica nel momento della rilevazione dei dati. Nel Regno Unito si stima che la percentuale di
sopravvissuti disabili a TCE sia di 100-150 per 100.000 abitanti. Tale percentuale viene invece
stimata intorno a 54/100.000 in uno studio canadese di prevalenza (Pickett et al, 2001). Negli Stati
Uniti i Centers for Disease Control (CDC) hanno calcolato che il 2% della intera popolazione vive
con un qualche forma di disabilità secondaria a TCE. In uno studio, realizzato mediante interviste
postali ai Medici di Medicina Generale di una regione del Belgio, le Fiandre, sono risultati 72 casi di
soggetti disabili per TCE per 100.000 abitanti (Lannoo et al, 2004). I dati per le forme non
traumatiche sono ancora meno conosciuti.
Nel nostro paese si può stimare una prevalenza di un numero variabile tra 300 e 800 casi di
GCA/100.000 abitanti ma solo una piccola parte di queste dovrebbero appartenere alla categoria
dei “gravi-gravissimi”. Occorre però considerare il rischio di sottostimare il numero reale delle
persone con grave disabilità per la possibilità che non si riesca ad intercettare tutti i casi esistenti,
soprattutto se sono gestiti a domicilio, direttamente dal nucleo familiare di appartenenza. (Apolone
et al, 2006).
Il disturbo di coscienza
La protratta alterazione dello stato di coscienza costituisce l’elemento caratterizzante e unificante
tutte le forme di GCA, almeno nel loro decorso all’esordio: risulta quindi essenziale che tutto il
team conosca gli elementi clinici distintivi delle diverse forme di deficit della coscienza, sia in grado
di porre una corretta diagnosi differenziale con quadri clinici solo apparentemente simili e utilizzi la
terminologia attualmente condivisa da tutta la comunità scientifica.
In accordo con gli attuali criteri classificativi si riconoscono tre distinte condizioni di alterazione
della coscienza in corso di GCA.
5
Classificazione e valutazione
-
-
Il coma, è la condizione clinica caratterizzata da assenza di apertura degli occhi, mancanza
di contenuti dimostrabili di coscienza e di produzione verbale comprensibile (GCS<8)
(Jennet, 2002). La sopravvivenza per un periodo superiore a un mese è eccezionale nel
coma non traumatico (Levy et al, 1981).
Lo stato vegetativo (SV) è quella condizione caratterizzata da assenza di contenuti
dimostrabili di coscienza di sé e dell’ambiente circostante, con conservazione delle funzioni
autonomiche, con apertura degli occhi e presenza di ritmo sonno-veglia (Jennet, 1997).
Lo stato di minima coscienza (SMC) è una alterazione severa della coscienza in cui siano
però evidenziabili minimi ma definiti comportamenti che dimostrino coscienza di sé e
dell’ambiente circostante (Giacino, 2002).
Occorre porre sempre un’attenta diagnosi differenziale tra queste forme e quadri patologici in cui la
gravità del deficit di attività motoria rende difficile l’esplorazione dello stato di coscienza (Mutismo
Acinetico e Locked-in Syndrome. Nella Tab. 3 sono riportati i criteri neurocomportamentali
distintivi di queste cinque condizioni cliniche (De Tanti, 2006).
L’esame neurologico e l’applicazione periodica di scale di valutazione da parte dei componenti
esperti del team riabilitativo multidisciplinare mantengono un ruolo prioritario nella diagnosi di
disordini della coscienza
Le scale maggiormente utilizzate sono la Disability Rating Scale (DRS) (Rappaport, 1982), la
Levels of Cognitive Functioning (LCF) (Hagen, 1979), la Glasgow Outcome Scale (GOS) (Jennet,
1975) la Coma/Near Coma (CNC) (Rappaport, 1992) e la Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R)
(Giacino, 2004; Lombardi, 2007).
Schnakers (2009), del Coma Science Group di Liegi, ha portato l’attenzione sui limiti della
valutazione clinica, trovando una percentuale di errore diagnostico di circa il 40% nei pazienti a cui
era stata posta la diagnosi di SV. Proprio grazie all’applicazione sistematica della CRS-R è stato
possibile ridurre sensibilmente il margine di errore rispetto alla definizione del disturbo di coscienza
e molti pazienti che erano stati definiti erroneamente in SV sono stati riclassificati in SMC.
Accanto alla valutazione clinica al letto del paziente e all’applicazione di scale strutturate di
valutazione, vi sono indagini complementari rappresentate dalle tecniche di neuroimmagine e
neurofisiologiche, che da una decina di anni sembrano evocare nuove possibilità di diagnosi
differenziale e prognosi precoce rispetto ai dati clinici. La tematica è stata estesamente
approfondita dal gruppo tecnico di lavoro 3 sulla “ridotta responsività” della terza Conferenza di
Consenso di Salsomaggiore (Giuria 3°CC). Qui ci limitiamo a ricordare che, a differenza delle
tecniche tradizionali di neuroradiologia che permettono di studiare l’anatomia del cervello, le nuove
modalità di indagine consentono di studiare il “cervello in azione”, cioè di osservare le modificazioni
delle regioni cerebrali a seconda del loro stato di attivazione.
La fRMN (Risonanza Magnetica Funzionale) permette, attraverso le immagini, di evidenziare la
risposta emodinamica, in relazione a specifiche modificazioni regionali del flusso cerebrale e del
midollo spinale, ossia permette di mostrare le modificazioni dell’attività cerebrale, a cui corrisponde
6
un aumento del flusso sanguigno di una determinata area cerebrale, in rapporto all’esecuzione di
compiti specifici, o comunque a sollecitazioni, a cui il paziente viene sottoposto durante l’esame.
La PET (Positron Edmitting Topography) produce immagini tridimensionali o mappe dei processi
funzionali che avvengono all’interno del cervello.
L’applicazione di queste tecniche a pazienti con disordini di coscienza ha permesso di rivedere il
concetto di abolizione di coscienza.
La valutazione della percezione del dolore è stato l’approccio più rapido ed intuitivo per studiare la
coscienza dei pazienti in SV.
Già negli anni Novanta vengono riportate alcune segnalazioni che dimostrano che il dolore, in
condizioni cerebrali fisiologiche, viene processato in multiple aree corticali e la sua percezione
viene modulata da vie discendenti (Brooks, 2005).
Laureys nel 2002, ha evidenziato che nei pazienti in stato vegetativo gli stimoli nocicettivi attivano
la corteccia somatosensoriale primaria e il talamo, ma non le aree corticali e sottocorticali
secondarie. La corteccia somatosensoriale secondaria, insulare bilaterale, parietale posteriore e
cingolata anteriore non mostrano, invece, alcuna attivazione.
Questo studio è stato condotto utilizzando la PET, che nei pazienti in SV ha dimostrato che vi è
una riduzione del metabolismo cerebrale di oltre il 40%. Con la PET si valutava la risposta allo
stimolo doloroso applicato al nervo mediano in 15 pazienti in SV ed in un gruppo corrispondente di
controllo. Lo stimolo doloroso ha attivato, anche se minimamente, il talamo e la corteccia
somatosensoriale primaria anche nei pazienti in SV; l’attivazione non si è poi diffusa alle aree
corticali e sottocorticali secondarie. La risposta agli stimoli nocicettivi è solo distrettuale e non si
diffonde attraverso le vie associative. Tale diffusione è necessaria perché la percezione diventi
cosciente; ciò avviene grazie all’attivazione del circuito cortico-talamico ed aree associative corticali
(Laureys, 2002).
Ad analoghi risultati è giunto Kassubeck in uno studio su 7 pazienti anossici in SV (Kassubeck,
2003 in Schnakers, 2009).
Al contrario Boly (2008), studiando pazienti in SMC ha documentato un’attivazione delle aree
cerebrali non dissimile dalle risposte presentate dai controlli, a dimostrazione che in questi pazienti
c’è un’attivazione delle aree associative, contrariamente ai pazienti in SV. Pertanto i pazienti in
SMC possono provare coscienza di dolore e quindi meritano, a maggior ragione, di essere trattati
con analgesici e, prima ancora, accuratamente indagati circa la presenza di sintomi sentinella di
possibili stati dolorosi (De Tanti e Bertolino, 2012).
Questi studi hanno dimostrato che esistono aree corticali in grado di esprimere frammenti di attività
cerebrale nei pazienti con danno cerebrale acuto che pur sono ritenuti incoscienti, ma proprio la
mancanza di attivazione di una vasta rete corticale che coinvolge le aree primarie e secondarie,
corticali e sottocorticali non consente lo sviluppo di contenuti di coscienza.
Le tecniche di neuroimmagine risultano, quindi, potenzialmente utili per migliorare le capacità
diagnostiche, volte principalmente ad una corretta diagnosi differenziale fra pazienti in SV e SMC.
7
Di frequente le risposte fornite da questi pazienti, in corso di osservazione/valutazione clinica, sono
ambigue; a volte è difficile discriminare fra un movimento riflesso e una risposta motoria
spontanea, volontaria e ciò spiega l’alta percentuale di errori di inquadramento diagnostico.
Vari studi hanno cercato di confrontare l’accuratezza diagnostica basata su osservazione clinica
con quella fornita da esami strumentali evoluti.
Il gruppo di Liegi ha condotto uno studio su 54 pazienti in SV e SMC (Monti, 2010). I ricercatori
hanno utilizzato la fRMN ed una serie di test necessari per verificare il livello di coscienza. La fRMN
è servita per documentare l’attivazione di determinate aree corticali durante l’esecuzione dei tests.
Nella prima parte dell’esperimento ai pazienti è stato chiesto di immaginare di giocare a tennis o di
camminare in un luogo noto, come per esempio la propria casa. L’applicazione di questi test
coinvolgeva anche la sfera emotiva e cognitiva, in quanto il paziente dimostrava di capire il
contenuto della richiesta che gli veniva fatta, di ricordare tale richiesta e di visualizzarla nella sua
mente, cioè nel suo immaginario. Gli studiosi hanno verificato che 5 pazienti con diagnosi clinica di
SV erano in grado di controllare volontariamente la loro attività cerebrale. Questi 5 pazienti erano
rimasti vittima di trauma cranico.
Nella seconda parte dell’esperimento si è voluto verificare se le attivazioni cerebrali ottenute nella
prima parte del test potessero essere utilizzate dal paziente per comunicare una risposta di “si” o di
“no”. In particolare uno di questi 5 pazienti, un ragazzo di 22 anni, precedentemente ritenuto in SV,
è risultato molto reattivo ai test. Il paziente doveva immaginare di giocare a tennis nel caso volesse
rispondere “si” alla domanda e di immaginare la sua abitazione se volesse rispondere “no”. Il
paziente ha risposto a 5 domande su 6; ciò significa che era in grado di sentire, capire e riusciva ad
immaginare sia di fare cose che di trovarsi in determinate situazioni, ma non poteva esprimersi
mediante i normali canali comunicativi.
Analogamente Owen (2006) descrisse il caso di un paziente considerato in SV che, sottoposto a
fRMN, si è rivelato capace di rispondere mentalmente ad alcuni comandi che gli sono stati dati
dagli esaminatori, dimostrando sia la presenza di attività corticale anche complessa (gli veniva
chiesto di immaginare un’azione), sia la capacità di eseguire un ordine verbale e, pertanto, che il
paziente non poteva, per definizione essere in SV.
Anche questo lavoro dimostra l’utilità sperimentale delle tecniche di neuroimmagine come
strumento efficace per comunicare con pazienti con disordini della coscienza.
Tuttavia, tali metodi di indagine non sono, attualmente, proponibili su larga scala e, soprattutto,
sono gravati da un numero elevato di problemi applicativi, che non consente di introdurli in uso
clinico routinario (Owen, 2009, Coleman, 2009).
Esiste poi ampia letteratura sull’uso di indagini neurofisiologiche (EEG, potenziali evocati
somatosensoriali, potenziali evocati evento correlati) per indagare il livello di compromissione dello
stato di coscienza e per ricercare indici prognostici precoci. Successivamente ai lavori della terza
Conferenza Nazionale di Consenso di Salsomaggiore (Giuria 3a CC), alle cui conclusioni
rimandiamo per l’analisi della letteratura esistente sul tema, è stato pubblicato un lavoro di
Rosanova e coll (2012) che propongono l’utilizzo di uno stimolatore magnetico transcranico (TMS)
associato ad un elettroencefalografo ad alta intensità come metodica diagnostica eseguibile al letto
8
del paziente per valutare la connettività corticale di soggetti non in grado di comunicare e con
alterazione della coscienza. Gli autori sono partiti dal presupposto teorico e sperimentale che
l’attività cosciente debba essere sostenuta dalla connessione rapida ed efficace di multiple aree
corticali specializzate. I primi risultati presentati dagli autori sono interessanti, perché mostrano che
nei soggetti in SV la TMS evoca solo risposte locali che testimoniano l’interruzione di network
corticali complessi, analogamente a quanto accade in soggetti anestetizzati. Al contrario nei
soggetti in SMC la TMS evoca risposte complesse che progressivamente si diffondono ad aree
corticali lontane ipsi e contro laterali, analoghe a quelle documentate in soggetti sani di controllo o
con Locked-in Syndrome. Al di là della possibile funzione di supporto strumentale alla diagnosi
clinica, resta però ancora da dimostrare se la metodica presentata da Rosadini sia in grado di
fornire elementi prognostici utili in anticipo rispetto alla clinica.
Dall’analisi attenta anche della letteratura più recente viene confermata la conclusione riportata
dalla giuria della Conferenza di Salsomaggiore che, ad oggi, il goal standard nella valutazione del
disturbo di coscienza dei pazienti con GCA resta una accurata valutazione clinica svolta da
personale specificamente addestrato, che si avvale di scale strutturate come la CRS-R. Si
raccomandata che il giudizio finale non si basi su un'unica valutazione, ma su una osservazione
longitudinale, meglio se eseguita da diversi operatori, così da poter cogliere la miglior prestazione
possibile di pazienti che sono, per loro natura, soggetti a grandi oscillazioni, anche circadiane, del
loro livello di “responsività”. Un’accurata intervista ai familiari del paziente, e il loro possibile
coinvolgimento nell’analisi delle risposte comportamentali dei propri cari, può costituire un utile
strumento aggiuntivo per cogliere, ad esempio, variazioni legate a stimoli con diversa valenza sul
piano emotivo personale (De Tanti e Bertolino, 2012).
E’ possibile promuovere il recupero della coscienza?
Per favorire la ripresa del contatto con l'ambiente dei pazienti in coma/SV molti autori hanno
sostenuto l'utilità di programmi riabilitativi di stimolazione sensoriale. Un tale approccio riabilitativo
sarebbe supportato sia dalla dimostrazione che la deprivazione sensoriale produce negli animali
perdita di funzione neurologica, come pensavano i primi autori che le hanno proposte (Le Winn e
Dimancescu, 1978), sia dalle teorie sulla plasticità sinaptica (Albensi e Janigro, 2003). È
necessario sottolineare però che, secondo la teoria sulla plasticità neuronale, non tutti gli stimoli
sensoriali sono per propria natura positivi rispetto alla produzione di legami sinaptici stabili. Una
parte delle critiche ai programmi di stimolazione sensoriale, intesi come somministrazione
intensiva e contemporanea di stimoli a massima intensità applicati in successione sui recettori
sensoriali (Doman et al, 1993), sono state incentrate proprio sul rischio che stimolazioni intense,
prolungate e indiscriminate producano in fase iniziale un temporaneo incremento del livello di
attivazione (arousal) che, di per sé, non è in grado di suscitare o incrementare possibilità di
esperienza cosciente; il prolungarsi di tale stimolazione porta poi rapidamente a fenomeni di
«abitudine» (o «assuefazione») psicologica al rumore di fondo (noise habituation) con
corrispondente calo della capacità di elaborazione delle informazioni (Wood, 1991) Passando dal
9
piano dei modelli teorici a quello della ricerca scientifica, dalle conclusioni di una revisione
sistematica della letteratura sull'efficacia delle stimolazione sensoriali per favorire il risveglio dal
coma (Lombardi et al, 2002) emerge che non esiste evidenza a supporto della efficacia, ma
neppure di controindicazioni, circa l’uso di programmi di stimolazione multisensoriale in pazienti in
coma o SV. E’ attualmente in corso una nuova ricerca Cochrane per verificare se nel decennio
trascorso dal lavoro precedente siano emersi nuovi dati significativi sul tema.
Allo stato attuale delle conoscenze riteniamo che il compito del team riabilitativo, in questo ambito,
sia quello di esprimere adeguata competenza nel saper cogliere e amplificare i primi segni di
contatto intenzionale del paziente, rappresentati spesso da reazioni neurovegetative a stimoli
emotivamente significativi e da iniziale capacità di fissazione e inseguimento visivo
dell’esaminatore. Per ottenere questo risultato occorre organizzare un setting strutturato di
osservazione e trattamento in cui il paziente sia posto nelle condizioni più favorevoli: in assenza di
complicanze cliniche disturbanti, dopo aver contrastato e rimosso qualunque spina irritativa
algogena, in postura confortevole, in condizioni di veglia e a riposo, in ambiente privo di stimoli
interferenti, cercando di ridurre al minimo possibile l’effetto potenzialmente negativo di farmaci ad
azione sedativa.
Esiste poi una ampia letteratura sull’utilizzo di farmaci per promuovere il recupero della coscienza.
Rimandando al lavoro del gruppo tecnico 3 della CC di Salsomaggiore per una analisi dettagliata
dei limiti metodologici dei lavori pubblicati su questo tema fino al 2010, in questa sede ci preme
ricordare come vari autori sostengano che la dopamina svolga un ruolo centrale sulla vigilanza,
l’attenzione, la concentrazione, la velocità di esecuzione motoria, le abilità visuospaziali e
linguistiche, la motivazione, le funzioni esecutive e sul tono dell’umore. I principali farmaci in grado
di influenzare primariamente i sistemi dopaminergici sono l’amantadina, gli agonisti dopaminergici
e L-dopa (Krimchansky B., et al. 2004). L’amantadina è quello che ha riscosso più successo (Patrik
et al, 2003): essa agisce presinapticamente sia facilitando il rilascio della dopamina dai terminali
sinaptici, sia bloccandone il reuptake incrementandone così i valori a livello sinaptico. In un lavoro
di recente pubblicazione Giacino (2012) ha dimostrato un miglioramento, misurato mediante la
Disability Rating Scale (DRS), di un gruppo di soggetti TCE trattati per quattro settimane con
amantadina in fase precoce (4-16 settimane dal trauma) e confrontato ai soggetti trattati con
placebo. Il miglioramento ottenuto andava però annullandosi a distanza di due settimane dalla
sospensione del trattamento stesso e, a 6 settimane dall’inizio dello studio i due gruppi di pazienti
non differivano più per punteggio alla DRS .
Come si può capire anche dalle conclusioni di quest’ultimo e interessante lavoro, ancora molta
ricerca deve essere sviluppata, prima di poter affermare con certezza che esistono farmaci in
grado di garantire un effetto terapeutico duraturo nel promuovere recupero di coscienza in soggetti
con esiti di GCA. Ciò non toglie che si possa, sul piano clinico, continuare a provare l’efficacia dei
farmaci più promettenti, quali l’amantadina, nella consapevolezza però che si agisce su base
empirica e utilizzando sempre farmaci of-label, ovvero al di fuori dalle indicazioni ufficialmente
riconosciute.
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Coscienza
Sonno/
Attività motoria
Sensibilità
Comunicazione
Veglia
Coma
Assente
Assente
Assente
Assente
Assente
Stato
Vegetativo
(SV)
Assente
Presente
Apertura spontanea degli occhi
Movimenti
riflessi/afinalistici
Reazione di allerta a
stimoli uditivi/visivi
Assente
Presente
Localizzazione di stimoli nocicettivi
Possibile toccare, raggiungere e
tenere oggetti in modo corretto
rispetto a dimensione/forma
Esecuzione di ordini incostante
Localizzazione della
provenienza dei suoni
Fissazione e
inseguimento visivo
conservati
Produzione verbale
incomprensibile
(occasionali vocalizzi)
Comunicazione
gestuale inconsistente
Presente
Minimo grado di movimento e di
esecuzione di ordini, dipendente
dalla natura ed intensità dello
stimolo
Inseguimento visivo
conservato
Minimo grado di
comunicazione
verbale, dipendente
dalla natura ed
intensità della
stimolazione
Presente
Quadriplegia
Conservati i movimenti di
verticalità degli occhi e di chiusura
delle palpebre a comando
Conservata
Afonia/Anartria
Comunicazione
possibile per mezzo di
movimenti oculari e
apertura/chiusura
palpebrale
Stato di Minima
Coscienza
(SMC)
Mutismo
acinetico
MA
Loked-in
Syndrome
LYS
Parziale
Parziale
Presente
Tab. 3 Segni clinici associati agli alterati stati di coscienza. [modificato da De Tanti, 2012]
Fattori prognostici e aspettative di vita
Rispetto al rischio di decesso in seguito a GCA, tutti gli autori concordano sul fatto che c’è una
prima fase precoce con probabilità di decesso per i pazienti con TCE, tra il 51 e il 19% (Dance et
al, 1994) Dopo tale periodo le probabilità che il decesso avvenga in fase tardiva tendono a ridursi
di quattro-cinque volte rispetto al periodo precedente (Jennet, 2002). Tuttavia, i dati attuali sulla
mortalità in fase «tardiva» sono poco affidabili, vista l’assenza di follow up a lungo termine e il dato
che le moderne tecnologie di nursing favoriscono la buona gestione a lungo termine e quindi
progressivamente aumentano le aspettative di sopravvivenza anche dei più gravi.
Rispetto alla prognosi dello SV, la Multy-Society Task Force (1994) ha prodotto un’esaustiva e
autorevole revisione della letteratura esistente nel mondo anglosassone, riportando i dati di circa
754 casi di soggetti risultanti in SV a un mese da un insulto acuto (traumatico o non). Rispetto alla
sottopopolazione dei soggetti di origine traumatica e di età adulta, la Task Force ha calcolato che
la probabilità di outcome a un anno per i soggetti in SV da un mese comporta una percentuale del
11
15% di permanenza in SV; viene stimata intorno al 52% la possibilità di recupero della coscienza,
che si accompagna a buon recupero di indipendenza solo nel 24% dei casi. La prognosi si fa
progressivamente più severa con il trascorrere dei mesi: dopo tre mesi di SV aumenta il rischio di
persistere in SV (30%) Le previsioni sono ancora più critiche per uno SV perdurante a sei mesi,
con 52% di probabilità di rimanere in SV a un anno.
Dalla disamina della letteratura si deve concludere che, con l’eccezione della cerebropatia
anossica, in cui l’assenza bilaterale dei potenziali evocati somatosensoriali e l’assenza di reattività
pupillare costituiscono indice prognostico negativo precoce (Robinson, 2003, Log, 2003,
Zandbergen, 2006) non sono ad oggi disponibili indagini strumentali o indici prognostici attendibili,
soprattutto in fase precoce, in grado di predire quale sarà l’outcome dei nostri pazienti (Giuria CC
di Modena, 2001). Fatta questa premessa, secondo vari autori si può ritenere la prognosi di
recupero migliore:
1) nei casi a eziologia traumatica rispetto a quelli di natura vascolare e anossica (MSTF, 1994);
2) per minor gravità iniziale del coma, misurato con la Glasgow Coma Scale (GCS), in
particolare il sub-item motorio (Lee, 2010);
3) minor intervallo di tempo evento/ricovero riabilitativo; maggiore è il livello funzionale al
ricovero (DRS) e l’entità del cambiamento funzionale (delta DRS) nelle prime 2 settimane di
ricovero (White, 2005), migliore sarà la prognosi di recupero favorevole;
4) nei casi in cui vi sia stata una minor durata del periodo di non responsività (coma e SV) e di
(PTA);
5) nei casi di pazienti in MCS rispetto a quelli in SV (Giacino, 2006, Taylor, 2007);
6) nei soggetti di età inferiore rispetto ai più anziani, con un’età cut-off intorno ai 40-45 anni, con
l’eccezione dei primi anni di vita.
I dati che abbiamo appena riportato ci impongono alcune considerazioni conclusive:
a) il progressivo aumento dell’età media dei nostri pazienti e la prevalenza delle GCA non
traumatiche sono due elementi indicativi di una maggior complessità clinico-assistenziale e di
una peggior prognosi di recupero dei pazienti che accedono nei reparti di riabilitazione
intensiva, con tutte le conseguenze organizzative, economiche e sociali che ne derivano,
anche quelle a lungo termine, tanto che risulta in aumento il numero di persone con
grave/gravissima disabilità residua che necessitano di accoglienza in strutture
extraospedaliere ad alta valenza assistenziale, non potendo essere riaccolti a domicilio;
b) la conferma del fatto che non disponiamo di indici prognostici precoci in grado di fornirci una
previsione attendibile delle possibilità di recupero del singolo paziente conferma, anche sul
piano etico, la raccomandazione della Giuria della prima Conferenza di Consenso di
Modena, nel 2000, secondo cui occorre garantire a tutti i pazienti con GCA, salvo poche
controindicazioni maggiori, almeno una prima fase di ricovero in strutture riabilitative di alta
specialità, per evitare che la decisione di una prognosi precoce troppo negativa e una
altrettanto prematura sospensione di terapie si traduca in una profezia negativa che si autoavvera.
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16
LE GRAVI CEREBROLESIONI
Giovanni Pietro Salvi1 e Marcello Simonini2
Il termine Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) comprende una varietà di lesioni cerebrali acute a
eziologia traumatica e non, caratterizzate da uno stato di coma più o meno prolungato, e dalla
contemporanea presenza di menomazioni motorie, sensoriali, cognitive e/o comportamentali.
L’inquadramento nosologico delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite è caratterizzato da una comune
gravità delle fasi iniziali (stato di coma) ma presenta una evoluzione tale da dar luogo a una
molteplicità di sindromi. Nella maggior parte dei casi, infatti, permangono sequele che rendono
necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni
e disabilità presenti e difficoltà di reinserimento famigliare, sociale, scolastico e lavorativo. Sono
tutti aspetti che spesso provocano importanti cambiamenti dello stile e della qualità della vita sia
del soggetto che del nucleo famigliare.
Per questo è importante comprendere i bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone affette da
Gravi Cerebrolesioni Acquisite e delle loro famiglie sia nella fase acuta, sia in fase post-acuta e
soprattutto nella fase degli esiti.
Le principali associazioni e società scientifiche italiane interessate alla riabilitazione delle Gravi
Cerebrolesioni Acquisite hanno affrontato questi problemi promuovendo diverse “Consensus
Conference”.
La scelta della procedura della Consensus Conference indica il riconoscimento che un problema,
così complesso e significativo per la vita di molte persone, debba essere affrontato con un
approccio multidisciplinare, interprofessionale, sistematico, metodologicamente rigoroso e radicato
nei progressi scientifici più recenti. La Consensus Conference ha, infatti, lo scopo di produrre
raccomandazioni “attraverso un processo formale di accordo tra diverse figure rispetto a questioni
sanitarie particolarmente controverse e complesse, favorendo la scelta di orientamenti il più
possibile uniformi nella pratica clinica, nell’ottica di fornire ai pazienti la migliore qualità di cura in
rapporto alle risorse disponibili”.
Il lavoro degli esperti focalizzato sulle domande critiche identificate dai comitati scientifici promotori
delle Consensus e attraverso l’analisi della letteratura scientifica ha portato alla stesura di revisioni
sistematiche secondo gli standards della Evidence-Based Medicine (EBM).
Riguardo all’Evidence-Based Medicine, va ricordato che si tratta di un approccio alla pratica clinica
in cui le decisioni derivano dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo coscienzioso,
1 Neurologo, Responsabile dell’Unità operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale, Casa di cura “Quarenghi”, San
Pellegrino Terme (BG); Presidente della Rete (Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni
Acquisite)
2 Medico, Casa di cura “Quarenghi”, San Pellegrino Terme (BG)
17
esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del
paziente.
La multidisciplinarietà è stata ricercata coinvolgendo nei lavori i rappresentanti di tutte quelle
professionalità e funzioni che, in diversi momenti, possono essere implicati nella riabilitazione delle
Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
Punti di riferimento importanti sono stati i risultati della Conferenza Nazionale di Consenso su
“Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio-encefalico in fase acuta, criteri di
trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati”, svoltasi a Modena nel 2000
e della Conferenza di Consenso su “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità
da Grave Cerebrolesione Acquisita e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera”, svoltasi a
Verona nel 2005.
Altra importante Consensus Conference è stata quella sulla riabilitazione neuropsicologica della
persona adulta svoltasi a Siena nel febbraio 2010 (La riabilitazione neuropsicologica della persona
adulta).
Ultima in ordine di tempo la terza Conferenza Nazionale di Consenso su “Buona pratica clinica
nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi Cerebrolesioni Acquisite” tenutasi a
Salsomaggiore nel novembre 2010. Da questi incontri sono scaturite delle indicazioni e
raccomandazioni di massima da seguire per le diverse tematiche che possono coinvolgere le
persone affette da Gravi Cerebrolesioni Acquisite, i sanitari ed i famigliari.
Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite rappresentano un problema di notevole rilevanza sanitaria e
sociale nelle società moderne. Va considerata l’elevata incidenza e prevalenza, specialmente tra
adulti e giovani in piena età scolastica o lavorativa. Inoltre, la numerosità e complessità delle
conseguenze di tipo senso-motorio, comportamentale e cognitivo, sono spesso disabilitanti nella
vita quotidiana. Importanti sono anche le ripercussioni emotive e materiali che vanno a gravare sul
sistema famigliare della persona colpita. Le conseguenze sociali, in termini di difficoltà di
reinserimento famigliare, scolastico o lavorativo, richiedono la necessità di un elevato impegno di
risorse, in ambito sociale e sanitario, con interventi complessi e prolungati nel tempo, che spesso
devono essere modulati e diversificati in funzione degli specifici bisogni della persona cerebrolesa
e del suo nucleo famigliare. Quest’ultimo aspetto, soprattutto, costituisce un compito estremamente
impegnativo sul piano tecnico-professionale, organizzativo e relazionale.
Vorremmo segnalare la grande importanza delle conferenze di consenso e della elaborazione di
linee guida che, magari lentamente e con molta difficoltà, alla fine ci auguriamo diventino operative
e traccino davvero la strada del percorso di questi pazienti.
Questo manuale vuol avere la funzione di informare, con parole facilmente comprensibili, gli
operatori di sanità e desidera approfondire i principali temi che riguardano la cura, l’assistenza e la
riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
Gli stessi pazienti ed i loro familiari possono trovare in questo testo informazioni aggiornate ed
esaurienti su questi temi.
18
1a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO
Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio encefalico in fase acuta,
criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati
Modena, 20-21 giugno 2000
Sintesi delle principali raccomandazioni
x
Per avviare una corretta programmazione dei servizi e definite il livello di assistenza più
appropriato alle diverse fasi della malattia, è urgente migliorare le conoscenze
epidemiologiche sulle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
x
Pur non esistendo prove scientifiche di buona qualità circa la efficacia di trattamenti precoci
e/o intensivi, la Giuria raccomanda che, in fase acuta, l’intervento riabilitativo sia attivato
precocemente allo scopo di prevenire i danni secondari, minimizzare le menomazioni e
facilitare la ripresa di contatto con l’ambiente.
x
Sulla base dell’analisi delle prove scientifiche disponibili la Giuria ritiene che l’uso delle
tecniche di stimolazione multisensoriale intensiva e i programmi di regolazione sensoriale non
debbano essere raccomandanti.
x
A giudizio della Giuria devono essere considerati interventi minimi essenziali per il paziente
con Grave Cerebrolesione Acquisita: a)variazioni periodiche di posture nell’arco della giornata
e mobilizzazione passiva pluriarticolare; b)monitoraggio strutturato della responsività e
strutturazione di un ambiente favorevole al manifestarsi delle prime capacità di
comunicazione; c) interventi di riabilitazione respiratoria mirati al drenaggio bronchiale e
all’insegnamento delle tecniche di svezzamento progressivo dalla respirazione controllata a
quella assistita e autonoma; d) omogeneizzazione all’interno del team che ha in carico il
paziente, del tipo di informazione da fornire alla famiglia e dei supporti psicologici e logistici.
x
La Giuria ha ritenuto utile definire precisi criteri di trasferibilità da strutture di terapia intensiva
e neurochirurgia a strutture riabilitative suddividendoli in “criteri di sufficiente stabilizzazione
medica” e “criteri di sufficiente stabilizzazione neurochirurgica” (assenza di instabilità
cardiocircolatoria, respiro autonomo e stabilità metabolica, assenza di insufficienza d’organo,
di stato settico, di problemi chirurgici). La Giuria si è altresì trovata concorde nel
raccomandare che la presenza di cannula tracheostomica, di catetere venoso centrale, di
sondino nasogastrico o gastrostomia (PEG) (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy) e di
crisi epilettiche non ancora completamente controllate dalla terapia non devono essere
considerati criteri di controindicazione al trasferimento.
x
La Giuria raccomanda che per quanto riguarda la identificazione dei percorsi dei pazienti con
Grave Cerebrolesione Acquisita vengano considerate tre tipologie distinte definite in base al
19
grado di responsività, alle condizioni medico internistiche, al tipo e grado delle complicanze
nonché alla stima delle possibilità di recupero (vedi figure 1-2-3-4).
x
La Giuria raccomanda che la problematica della informazione e del coinvolgimento della
famiglia del paziente con Grave Cerebrolesione Acquisita venga assunto come elemento
centrale di una buona qualità della assistenza e che le équipe si attrezzino in modo strutturato
perché la informazione e la presa in carico diventi un elemento costante nelle diverse fasi
della assistenza a questi pazienti.
x
Pur in assenza di dati empirici relativi alla efficacia di differenti modelli organizzativi, la Giuria
raccomanda come riferimento il modello “a reti integrate con livelli di responsabilità
differenziati” basati su livelli principali e decentrati sia per le Unità Operative per Acuti (UOA)
che per le Unità Operative di Medicina Riabilitativa (UOMR) (vedi figura 5).
x
La Giuria ritiene urgente segnalare ai responsabili delle Aziende Sanitarie ed alle Autorità
Sanitarie Regionali la necessità di promuovere momenti di valutazione e monitoraggio degli
interventi mirati a migliorare la conoscenza delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.
x
La Giuria raccomanda ai promotori della Conferenza di consenso di indentificare le modalità
più efficaci perché le raccomandazioni emerse da essa vengano discusse e, se condivise,
implementate dalle Aziende Sanitarie Locali e dalle Autorità Regionali competenti.
2 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO
Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da Grave
Cerebrolesione Acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera
Verona, giugno 2005
Definizione, epidemiologia e bisogni informativi
Considerando le criticità che sono state descritte, relative alla conoscenza delle dimensioni del
fenomeno, la Giuria ritiene che tre approcci di studio, con un livello di fattibilità diverso e crescente,
dovrebbero essere condotti per migliorare le conoscenze epidemiologiche.
x
Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili.
In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi
informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che
permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi
flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico
DRG (Diagnosis Releated Groups) potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri
20
rilevanti, per poi tracciarne la successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative
amministrative.
x
Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella Scheda di Dimissione
Ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, che
consenta di identificare con maggior precisione questa categoria di casi.
x
Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in
grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che
permettono di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravità/complessità e di fabbisogno
riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine.
Evoluzione, pianificazione, realizzazione ed efficacia dei modelli di intervento
riabilitativo
x
La Giuria raccomanda di evitare la separazione temporale delle fasi degli interventi riabilitativi
sanitari da quelli socio-assistenziali: interventi a valenza sociale ed assistenziale devono
essere effettuati fin dalla fase acuta, e svilupparsi in misura progressivamente maggiore nelle
fasi successive (post acuta precoce e tardiva, degli esiti); e, d’altra parte, interventi a valenza
sanitaria, che sono prevalenti nella fase acuta e post-acuta, possono essere necessari anche
nelle fasi tardive della presa in carico.
x
Oltre al superamento della divisione temporale fra interventi a valenza sanitaria e sociale, è
necessario perseguire la integrazione fra i due livelli di intervento.
x
E’ raccomandabile una organizzazione in rete di tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato
ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con Grave
Cerebrolesione Acquisita dopo la fase di ospedalizzazione, ed uno stretto raccordo fra tale
rete di servizi e le strutture ospedaliere di riabilitazione.
x
E’ opportuna la conduzione di studi di outcome (effectivenss) su ampie casistiche che siano
rappresentative della popolazione di interesse.
x
Data la numerosità dei fattori che influiscono sul profilo di bisogno riabilitativo ed assistenziale
nella fase post-ospedaliera, la Giuria ritiene opportuno che la valutazione delle persone con
Grave Cerebrolesione Acquisita e dei fattori ambientali che condizionano la loro salute, sia
multidimensionale, inter-professionale, ed effettuata con il coinvolgimento attivo della persona
o della famiglia. Nella valutazione del profilo di bisogno , è necessario tener conto in egual
modo dei fattori clinici e di quelli personali (individuali) e ambientali.
x
Nel pianificare gli interventi riabilitativi ed assistenziali per la persona con Grave
Cerebrolesione Acquisita e la sua famiglia, è necessario perseguire il criterio della
21
personalizzazione degli interventi. Tale personalizzazione non va intesa come un semplice
processo di selezione fra le diverse opzioni di intervento disponibili, in funzione delle singole
aree di bisogno, ma anche nella loro coordinazione ed integrazione. La Giuria ritiene
necessario che per garantire tale integrazione sia necessario assicurare una funzione di
case-management a supporto di ogni persona e nucleo famigliare.
x
Ogni intervento dovrebbe essere basato su conoscenze condivise dalla comunità scientifica.
x
Ogni intervento dovrebbe essere basato su una valutazione effettuata da operatori
competenti, con la partecipazione del paziente quando possibile e della famiglia, e dovrebbe
definire obiettivi, tempi e modalità di effettuazione.
x
Ogni intervento sanitario, riabilitativo, assistenziale, dovrebbe essere integrato in un progetto
di presa in carico individuale, pianificato e condotto attraverso una funzione di “case
management” personalizzato.
x
E’ necessario, anche al fine di non alimentare aspettative non realistiche, che il paziente e la
famiglia siano adeguatamente informati sulle finalità degli interventi, in particolare su quale sia
la reale finalità: - terapeutica, intesa come azione volta a modificare positivamente una
alterazione strutturale, funzionale, o una limitazione di attività e partecipazione; - assistenziale
intesa come azione volta a mantenere una determinata condizione di alterazione strutturale,
funzionale o una limitazione di attività e partecipazione; - educativa, intesa come azione volta
a trasmettere conoscenze e competenze utili a gestire una determinata condizione di
alterazione strutturale, funzionale o una limitazione di attività e partecipazione.
Classificazione delle strutture e dei servizi, nella fase post-ospedaliera e modelli
organizzativi generali e locali
x
E’ necessaria una revisione ed armonizzazione delle denominazioni dei servizi e delle
strutture in modo da rendere più agevole lo scambio di informazioni ed il confronto fra realtà
diverse.
x
E’ opportuno favorire la costituzione di registri ed osservatori locali che possano rilevare le
necessità in ambito assistenziale e sociale.
x
E’ opportuno favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti, cui possano
accedere le persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e le loro famiglie, operatori
professionali e del volontariato amministratori, associazioni coinvolte in queste problematiche
attraverso lo sviluppo di banche dati sui servizi a livello locale e nazionale.
x
E’ necessario dare ulteriore sviluppo alla integrazione socio-sanitaria attraverso la creazione
di reali percorsi di rete attivati fin dalle prime fasi riabilitative, sulla base di criteri generali
22
condivisi a livello nazionale, e adattati a livello locale, e che prevedano investimenti economici
congruenti a tutti i livelli d’intervento.
x
E’ opportuno sostenere la domiciliazione attraverso programmi di supporto alla persona che
prevedano interventi finanziari specifici, peraltro già attuati in alcune Regioni.
x
E’ opportuno sviluppare programmi assistenziali individualizzati con standards minimi garantiti
per i pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita, fissati in funzione dei diversi livelli di
disabilità secondo le varie scale di misurazione adottabili.
x
E’ necessario incentivare la creazione di servizi non residenziali dedicati con programmi di
supporto specifico in grado di sollevare la famiglia garantendo attività mirate al reinserimento
sociale.
Percorsi di riqualificazione professionale
x
Si raccomanda di perseguire una maggiore integrazione e coordinamento fra i servizi che
intervengono nelle diverse tappe del processo di reinserimento (team riabilitativi ospedalieri e
territoriali), commissioni di valutazione, servizi per l’inserimento lavorativo, servizi handicap,
ecc).
x
E’ opportuno perseguire una migliore ed univoca specificazione dei ruoli rivestiti dai diversi
operatori nel processo di reinserimento, nonché l’adozione di una terminologia comune e
condivisa.
x
Il processo di reinserimento professionale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita
deve essere personalizzato ed adattato alle specifiche situazioni e necessità; è quindi
necessario garantire flessibilità nei tempi di accesso ai diversi servizi e tutoraggio individuale.
x
La possibilità di un percorso di riqualificazione /reinserimento professionale andrebbe valutata
precocemente, fin dalla fase riabilitativa ospedaliera; è raccomandabile che i team riabilitativi
che operano nella fase intensiva intraospedaliera stabiliscano relazioni stabili con i servizi che
operano nell’ambito del reinserimento lavorativo e professionale.
x
Va posta maggior attenzione alle relazioni fra servizi per il reinserimento professionale ed il
mondo delle aziende , promuovendo specifiche azioni di informazione e consulenza.
x
E’ necessario sviluppare la rete delle strutture transizionali extraospedaliere specificatamente
dedicate alle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (centri per attività occupazionali
senza scopi lavorativi; strutture di preparazione ai tirocini lavorativi, strutture per il lavoro
protetto a tipo delle cooperative).
23
Famiglie ed associazioni
x
Per garantire la continuità dell’intero percorso riabilitativo del paziente, in particolare nella
fase post-ospedaliera, è necessario che i Dipartimenti di Riabilitazione e le Unità Operative di
riabilitazione intensiva si “raccordino “ strettamente con le strutture/servizi territoriali del
proprio bacino d’utenza, elaborando protocolli condivisi (anche con le famiglie) di definizione
di percorsi assistenziali specifici per ogni tipologia di esito.
x
L’informazione/coinvolgimento della famiglia rimane il cardine di buon processo assistenziale:
il nucleo famigliare e, quando possibile il paziente, devono essere informati, addestrati e
coinvolti nelle varie opzioni di scelta del percorso post ospedaliero.
x
E’ necessario da parte delle Regioni, un potenziamento delle strutture di
assistenza/riabilitazione a lungo termine, basata sui dati epidemiologi locali, per alleviare il
carico dei famigliari nelle situazioni di maggior gravità degli esiti. In particolare: -strutture
degenziali specializzate per i casi gravi in cui il rientro a domicilio dopo la fase ospedaliera
non sia sostenibile; – strutture di riabilitazione sociale come “Centri Diurni” per pazienti
definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie ma con gravi esiti motori e/o cognitivi
cronicizzati, in cui operatori specificamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria
assistenza e le adeguate stimolazioni; – strutture di sollievo temporanee per dare le
possibilità ai famigliari di recuperare energie e mantenere la qualità di vita del nucleo
famigliare.
x
E’ indispensabile garantire una funzione di “case management” con la individuazione di una o
più figure con funzione di coordinatore/i formato e informato (es. assistente sociale,
assistente sanitario ecc) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il
percorso riabilitativo da seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche
nella fase post-acuta, e nel coadiuvare il disbrigo delle varie incombenze di tipo
amministrativo e giuridico e nel mantenere i collegamenti e la integrazione fra i diversi servizi
coinvolti.
x
Si sollecita da parte delle istituzioni un maggior sostegno sociale alle famiglie attraverso
l’applicazione di misure di politica assistenziale e sanitaria quali: - facilitazioni per il
tempestivo riconoscimento d’invalidità e relativa indennità di accompagnamento fin dalla fase
acuta; - deducibilità fiscale di tutte le spese sostenute per l’assistenza del paziente a
domicilio; - applicazione diffusa delle normative sulla Assistenza Domiciliare Integrata; riconoscimento di aiuti economici per le famiglie a basso reddito o che si trovino in particolari
situazioni di disagio.
x
E’ fondamentale l’acquisizione di dati attraverso l’implementazione di studi di survey su una
più ampia popolazione di pazienti/nuclei famigliari/caregiver e di associazioni, basati sia sulla
24
rilevazione di informazioni (report) come opinioni, preferenze ecc. sia sulla valutazione diretta
(rating) di aspetti riguardanti outcomes soggettivi come la soddisfazione e la qualità di vita.
x
E’ auspicabile una maggior collaborazione e integrazione tra le diverse associazioni.
Normativa e welfare
x
E’ necessario sviluppare azioni di omogeneizzazione ed armonizzazione della nomenclatura
utilizzata nella valutazione, nella pianificazione e nello sviluppo degli interventi riabilitativi
svolti da tutte le figure professionali ed istituzioni che a vario titolo sono coinvolti nei percorsi
assistenziali e riabilitativi delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali azioni sono
necessarie in modo particolare nell’ambito delle attività a carattere sociosanitario o sociale.
x
E’ necessario sviluppare azioni di armonizzazione nella interpretazione delle normative.
x
E’ necessario sviluppare azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra le diverse
istituzioni.
x
E’ necessario aggiornare la attuale normativa in tema di prescrizione, autorizzazione e
fornitura di ausili.
x
E’ necessario definire l’assetto normativo relativo alle risorse destinate alle persone non
autosufficienti.
x
E’ necessario sperimentare modalità innovative indirizzate alla tutela delle persone con Grave
Cerebrolesione Acquisita, anche attraverso forme di partnership fra soggetti pubblici e privati
e forme di previdenza integrativa.
Informazione
x
Attività strutturate di informazione e supporto alle persone con Grave Cerebrolesione
Acquisita e alle loro famiglie debbono essere inserite nel progetto di presa in carico
individuale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita nella fase successiva alla
ospedalizzazione.
x
E’ necessario promuovere attività di informazione strutturate, consistenti in raccolta,
elaborazione e diffusione di informazioni, fruibili da tutti i soggetti (persone ed istituzioni)
coinvolti nella presa in carico delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali attività
dovrebbero essere sviluppate e gestite sia a livello centrale che a livello locale.
25
Ricerca
x
Ogni intervento (di ricerca, valutazione e cura) dovrebbe essere basato su una attenta
valutazione delle conoscenze disponibili e condivise dalla comunità scientifica. Questo implica
una attività Evidence Based Medicine (EBM) prospetticamente implementata da Istituzioni o
Gruppi in grado di sostenerla nel tempo.
x
E’ necessario sviluppare azioni che favoriscano la omogeneizzazione ed armonizzazione
della nomenclatura utilizzata, con particolare attenzione alle attività in ambito socio-sanitario e
sociale.
x
E’ opportuno un utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili nei vari data-base. Questo
implica un censimento dei dati a disposizione e un tentativo di creare un data-base unico ed
integrato.
x
E’ opportuno sviluppare nuovi sistemi classificativi standardizzati, basati sulle informazioni già
disponibili nella SDO (Scheda Dimissione Ospedaliera), che ottimizzino le capacità di
identificare e classificare al meglio il caso (nuovi DRG (Diagnosis-Releated-Groups) che
permettano nuove aggregazioni diagnostiche o stratificazioni in funzione della severità).
x
E’ opportuno individuare un set minimo di nuove informazioni da includere nella SDO (Scheda
di Dimissione Ospedaliera) per migliorare la capacità classificativa.
x
E’ raccomandabile la creazione di registri locali, regionali o nazionali che condividano un core
di strumenti classificativi comuni, orientati a rilevare le necessità in ambito assistenziale e
sociale.
x
E’ raccomandabile la conduzione di surveys (valutazioni cross-sectional di campioni
rappresentativi della popolazione di interesse) (caregivers, pazienti, famigliari, decisori) al fine
di raccogliere informazioni e valutazioni su aspetti rilevanti della Grave Cerebrolesione
Acquisita.
x
E’ raccomandabile la conduzione si studi prospettici di outcome (effectiveness) su ampie
casistiche, che siano rappresentative della popolazione di interesse, descritte con strumenti
standardizzati, e con periodicità e durata di valutazione appropriati alle modificazioni dello
status della situazione e della persona.
26
3 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO
Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi
Cerebrolesioni Acquisite
Salsomaggiore Terme, novembre 2010
Gestione delle menomazioni parossistiche intese come crisi neurovegetative
La Giuria raccomanda che:
x
sia adottata una nomenclatura univoca della sindrome, in linea con le indicazioni della
letteratura più recente (Iperattività Simpatica Parossistica), anche al fine di non ingenerare
confusione con sindromi disautonomiche di altra origine (secondarie ad es. a mielopatie,
neuropatie periferiche, malattie degenerative);
x
una specifica segnalazione di episodi di iperattività simpatica parossistica, e della loro
frequenza , sia contenuta nella lettera di dimissione dal reparto per acuti;
x
sia posta particolare attenzione ai soggetti a rischio (in età giovanile, con lesione anossia, o
traumatica con danno assonale diffuso, con Levels of Cognitive Functioning <4 (LCF <4);
x
venga indagata, in presenza di sintomi di iperattività simpatica parossistica, ogni possibile
causa scatenante potenzialmente prevenibile o curabile;
x
si renda disponibile un ambiente adeguato (maternage/nursing accurato e guidato e
minimizzazione di fattori ambientali eccessivi quali rumore, temperatura etc);
x
si ricorra alla terapia farmacologica in caso di parossismi frequenti e non altrimenti
controllabili, con betabloccanti non selettivi eventualmente sostituiti da (o in associazione con)
clonidina, benzodiazepine, oppiacei, baclofen.
Gestione delle problematiche neuroendocrinologiche
x
Nei traumi cranici gravi e nell’ESA (Emorragia Sub Aracnoidea) è raccomandata l’esecuzione
di uno screening ormonale basale, a 3 mesi ea a 6 mesi dall’evento acuto.
x
Il panel di esami consigliato dovrebbe comprendere cortisolo sierico (mattino-sera), cortisolo
libero urinario delle 24 h. fT3, fT4, TSH, IGF-1, FSH, LH, Testosterone nel maschio e 17
Beta-estradiolo nella femmina, prolattina, osmolarità plasmatica e natremia.
x
In particolare sono raccomandati la diagnosi precoce e il trattamento dei deficit di ormone
antidiuretico, di ormoni tiroidei e di cortisolo.
27
x
Nel caso di iposodiemia deve essere differenziato il deficit di ormoni surrenalici da altre
condizioni (SIADH) (Syndrome of Inappropriate Antidiuretic Hormone Secretion).
x
La diagnosi e la terapia dei deficit ormonali, in particolare del deficit di GH (ormone della
crescita), dovrebbe essere sempre concordata con gli specialisti endocrinologi.
x
In caso di trauma cranico grave o Emorragia Subaracnoidea (ES), nella lettera di dimissione
dall’Unità Gravi Cerebrolesioni (UGC) dovrebbe essere consigliato un controllo degli ormoni
ipofisari a distanza di un anno dall’evento acuto.
Valutazione e gestione della nutrizione
x
La Giuria raccomanda che venga eseguita un’accurata valutazione dello stato nutrizionale nei
soggetti reduci da grave lesione cerebrale (in particolare Trauma Cranio Encefalico (TCE)
grave con GCS (Glasgow Coma Scale) <8) e prolungato periodo di degenza in UTI (Unità
Terapia Intensiva).
x
E’ raccomandata la consulenza dell’esperto di nutrizione clinica nei casi di malnutrizione
proteico-calorica severa (calo ponderale superiore al 20% del peso abituale o del 40%
rispetto al peso ideale, BMI (Body Mass Index) <16.
x
Nell’adulto con Grave Cerebrolesione Acquisita è raccomandato un fabbisogno calorico pari a
25-30 Kcal/Kg di peso attuale/die, con 1.2 – 1.8 gr/Kg/die di proteine, se tollerati.
x
Si raccomanda allestimento di PEG (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy) quando si
preveda che la Nutrizione Enterale (N.E.) debba durare più di 30 giorni.
x
Si raccomanda il monitoraggio del residuo gastrico e delle possibili intolleranze e
complicazioni metaboliche o meccaniche della Nutrizione Enterale (N.E.).
x
Si raccomanda il passare a modalità di somministrazione ciclica e a boli prima possibile, salvo
controindicazioni (intolleranza, instabilità clinica, inalazione etc).
x
E’ raccomandato il monitoraggio settimanale del peso.
x
Prima della reintroduzione dell’alimentazione per os è raccomandata una valutazione formale
della funzione deglutitoria.
Valutazione e gestione della deglutizione
x
La Giuria raccomanda un’accurata valutazione della deglutizione in tutti i pazienti con Grave
Cerebrolesione Acquisita, anche con LCF (Levels of Cognitive Functioning) <4.
28
x
Si raccomanda che la valutazione della deglutizione “bedside” e con blue dye test sia
eseguita con medico o da un logopedista esperto.
x
E’ raccomandato un approfondimento diagnostico con FEES (Fiberoptic Endoscopic
Evalutation of Swallowing) e/o Videofluorografia soprattutto nei casi di sospetta aspirazione
silente. La FEES è preferibile in soggetti scarsamente collaboranti.
x
Si raccomanda di iniziare il training della deglutizione solo in presenza di un adeguato livello
di vigilanza (LCF 4 o superiore).
x
Si raccomanda che il trattamento della disfagia sia eseguito da un logopedista esperto in
disfagia, anche con l’impiego di appropriate strategie compensatorie.
x
Nel training della deglutizione di pazienti portatori di tracheostomia si raccomanda, in assenza
di controindicazioni, l’uso della valvola fonatoria.
x
E’ indispensabile fornire precocemente informazioni ai familiari sul timing di svezzamento per
minimizzare i rischi di alimentazioni improprie.
Valutazione e gestione della ventilazione/respirazione
La Giuria raccomanda:
x
che le pressioni di aspirazione siano mantenute al livello più basso efficace, e comunque non
superiori (a sondino occluso) a 150-200 mmHg;
x
che la cannula tracheale venga sostituita (a meno che non si tratti di modelli “long-life) almeno
ogni 30 giorni;
x
il ricorso di routine all’umidificazione passiva (“naso artificiale”), ritenendo tale metodica
maggiormente compatibile con il setting riabilitativo, riservando l’umidificazione attiva
riscaldata a casi selezionati ed assicurando in ogni caso un’adeguata umidificazione
ambientale;
x
che la cannula non venga mantenuta cuffiata, soprattutto in pazienti non costantemente
monitorati;
x
che si proceda alla decannulazione in soggetti con adeguato livello di coscienza, dopo
valutazione clinica della tolleranza alla chiusura della cannula (per periodi progressivamente
più lunghi fino ad almeno 48 ore consecutive) e quando siano rispettati i seguenti criteri:
saturazione di O2>92% in aria ambiente, sufficiente efficacia della tosse con riduzione e/o
capacità di autogestione delle secrezioni, assenza di infezioni e Rx torace negativa, efficacia
almeno parziale della deglutizione, assenza di ostruzione delle vie aeree superiori,
soddisfacenti condizioni di nutrizione.
29
E sottolinea:
x
come la decannulazione sia possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato vegetativo o
di minima coscienza, dopo aver verificato la presenza di una ragionevole efficacia tosse e
della deglutizione automatica;
x
che venga eseguita, prima della decannulazione, una valutazione fibrobroncoscopica per
valutare in maniera accurata la regione sovraglottica ed il piano glottico, e per escludere la
presenza di stenosi tracheale, granulomi ostruenti e tracheomalacia.
Modalità cliniche e strumentali per la diagnosi e la prognosi di stato vegetativo e
stato di coscienza minima
La Giuria raccomanda:
x
di valutare e trattare i fattori clinici potenzialmente interferenti con il recupero della
responsività (idrocefalo, sepsi, stato di male non convulsivo, dolore, spasticità, sindromi
parkinsoniane);
x
che i pazienti con disturbo prolungato della coscienza vengano esaminati periodicamente da
un medico esperto e da team multidisciplinare;
x
che nella valutazione della responsività (in particolare nel passaggio tra SV (Stato Vegetativo)
e SMC (Stato di Minima Coscienza) si tenga conto del parere dei familiari e di osservazioni
relative alla variazione dei parametri vegetativi in loro presenza;
x
che ai pazienti classificabili nelle categorie SV (Stato Vegetativo) e SMC (Stato di Minima
Coscienza) vengano somministrate in modo seriale e da valutatori esperti scale
comportamentali validate. In particolare viene indicato l’uso della CRS-Revised. (Coma
Recovery Scale Revised);
x
la valutazione neurofisiologica seriata PESS (Potenziali Evocati Somato Sensitivi) e ERP
(Evocated-Related-Rotential) in particolare in collaborazione con gli specialisti della
neurofisiologia clinica;
x
che, nella comunicazione con i familiari, sia considerata la difficoltà interpretativa dei risultati
degli esami;
x
che l’outcome dei pazienti con disturbo prolungato di coscienza venga monitorato con followup periodici (6-12-24 mesi);
x
altresì un raccordo con gli esperti della fase acuta al fine di contribuire alla definizione degli
elementi prognosticamente più sensibili. In particolare si sottolinea l’utilità di protocolli
condivisi per le indagini neurofisiologiche sviluppate longitudinalmente.
30
Facilitazione riabilitativa e farmacologica per la ripresa di contatto con l’ambiente
La Giuria raccomanda:
x
prima di utilizzare farmaci attivanti, di valutare l’interferenza negativa sul recupero della
coscienza della terapia in atto (antiepilettica, antispastica, antidolorifica…);
x
in particolare di evitare l’uso profilattico di farmaci anticonvulsivanti in assenza di definita
epilessia;
x
di considerare giustificato il ricorso all’amantadina quale farmaco di prima scelta per favorire il
recupero della vigilanza, pur tenendo conto dei potenziali rischi epilettogeni;
x
di ritenere che l’impiego di altre metodiche non farmacologiche necessiti di prove di efficacia
sostenute da studi clinici consistenti;
x
di ritenere giustificata, ancorchè regolamentata, l’integrazione dei familiari nel processo di
stimolazione dei pazienti.
Complicanze neurochirurgiche e idrocefalo
La Giuria raccomanda che:
x
ogni paziente trasferito in unità di riabilitazione post-acuta dopo craniectomia/cranioplastica,
deve essere attentamente monitorato per il possibile sviluppo di complicanze precoci e
tardive;
x
per ogni paziente con craniectomia trasferito in Riabilitazione post-acuta, dovrebbe essere
concordato prima possibile col neurochirurgo il timing della cranioplastica che non dovrebbe
comunque eccedere le 12 settimane dopo la craniectomia;
x
dopo la cranioplastica è indicata una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) cerebrale e il
monitoraggio clinico e radiologico;
x
ogni paziente che presenti arresto o rallentamento del recupero o deterioramento neurologico
e/o cognitivo dovrebbe essere sottoposto a indagini per escludere idrocefalo.
x
Per la non rara presenza di idrocefalo a bassa pressione, la Giuria ritiene preferibile
l’adozione di shunts con valvola programmabile.
31
Menomazioni e disabilità’ sensomotorie e metodologie di trattamento riabilitativo
La Giuria raccomanda:
x
che data la complessità e varietà della patologia, è necessario adottare dei sistemi di
misurazione univoci che possano essere utilizzati su gran parte dei pazienti;
x
la necessità individuare quali sistemi di valutazione utilizzare, anche rispetto alla fase del
percorso riabilitativo in cui si trova il paziente;
x
che mentre per le menomazioni motorie vi sono già scale che permettono di effettuare
un’adeguata valutazione, bisogna trovare gli strumenti per la misurazione delle menomazioni
sensoriali e delle funzioni;
x
che il trattamento riabilitativo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite risulta più efficace,
particolarmente nei giovani adulti, quando iniziato più precocemente, in degenze ospedaliere
dedicare e quando è seguito da una équipe multidisciplinare;
x
un aumento dell’intensità del trattamento, quando possibile, risulta idoneo per un recupero
funzionale precoce;
x
l’utilizzo di training robotizzati non è stato ancora sufficientemente studiato nelle Gravi
Cerebrolesioni Acquisite, tuttavia l’impiego di queste metodiche è risultato efficace nei
pazienti con ictus.
Tossina botulinica
La Giuria raccomanda:
x
la riduzione della spasticità modifica in maniera significativa la posturale, quando possibile, la
deambulazione, in soggetti con esiti di Grave Cerebrolesione Acquisita;
x
il trattamento riabilitativo da solo non è in grado di controllare soddisfacente la spasticità;
x
i farmaci somministrati per via sistemica sono utili particolarmente nelle persone che hanno
una spasticità lieve;
x
che nella grave spasticità generalizzata, trova indicazione l’utilizzo del Baclofen per via intratecale.
x
che la tossina botulinica è indicata nelle spasticità focali;
32
x
che alcune volte è indispensabile utilizzare ortesi, cast e splinting, per stabilizzare la riduzione
della spasticità; l’utilizzo degli stessi, accompagnato da un training riabilitativo, migliora
l’effetto decontratturante della tossina.
Prevenzione complicanze secondarie
x
Non vi sono prove convincenti sull’efficacia dei vari farmaci proposti, pertanto il loro utilizzo ha
un significato prevalentemente sintomatico.
x
Nelle fasi iniziali delle POA (ParaOsteoArtropatia) va presa in considerazione la
sintomatologia algica.
x
Il trattamento chirurgico, in alcuni casi, è indispensabile e risolutivo, resta incerto il ruolo della
radioterapia
Valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo-comportamentali
La Giuria raccomanda:
x
che vengano individuati quanto più precocemente possibile i disturbi comportamentali,
attraverso l’osservazione sistematica e con l’ausilio di scale appropriate;
x
che sia preso in considerazione un intervento farmacologico con beta-bloccanti ove sia
opportuno attenuare l’intensità di episodi di agitazione per rendere il paziente più gestibile
(anche se meno efficiente dal punto di vista cognitivo);
x
di programmare quanto più precocemente possibile una valutazione della PTA (Post
Traumatic Amnesia);
x
di utilizzare in modo sistematico scale che monitorino una PTA anterograda e retrograda;
x
di utilizzare modificazioni ambientali e ausili esterni passivi per favorire l’orientamento spaziotemporale e la memoria prospettica;
x
di monitorare con attenzione l’evoluzione del paziente per evidenziare la risoluzione della
PTA e valutare l’opportunità di iniziare in modo tempestivo un trattamento neuropsicologico
specifico;
x
di individuare quanto più precocemente possibile disturbi della consapevolezza di malattia
(sia di tipo anosognosico che di negazione).
33
Metodologia e organizzazione dei percorsi assistenziali
La Giuria raccomanda:
x
di implementare modelli organizzativi che si basino sul concetto di “reti integrate di servizi” in
grado di seguire l’intero percorso del paziente dalla fase acuta al rientro sul territorio Tale
organizzazione può ottimizzare l’utilizzo delle risorse garantendo l’appropriato utilizzo di posti
letto nel territorio;
x
di concentrare nelle strutture specializzate il più alto livello di expertise possibile;
x
di garantire un’efficiente gestione del passaggio dalla fase acuta alla fase riabilitativa precoce
attraverso il governo e integrazione della rete dei servizi per l’emergenza, per acuti e della
riabilitazione;
x
la presa in carico multiprofessionale ed elaborazione di un Progetto Riabilitativo
Personalizzato condiviso con il paziente e la famiglia;
x
l’implementazione di un processo strutturato e integrato nell’assistenza di informazione e
coinvolgimento del paziente e della famiglia/caregiver;
x
l’approccio EBM (Evidence Based Medicine) da parte di tutti gli operatori del team con scelta
di interventi orientati a criteri di efficacia riconosciuta e di essenzialità;
x
l’adozione, in tutte le fasi del percorso assistenziale, di indicatori di esito e di processo
monitorati in modo continuativo almeno su base annuale;
x
la formazione continua di tutti gli operatori, privilegiando la formazione sul campo con
particolare riguardo alle competenze relazionali; promozione di specifici percorsi formativi per
gli infermieri, finalizzati a fornire conoscenze cliniche avanzate e capacità che permettano di
garantire adeguate prestazioni di nursing riabilitativo;
x
l’implementazione sull’intero territorio nazionale di registri che condividano un core di in
indicatori comuni orientati a rilevare i bisogni in ambito assistenziale e sociale e gli esiti.
Modalita’ di informazione ed integrazione dei famigliari e caregiver nel percorso
riabilitativo del paziente
La Giuria raccomanda:
x
di garantire l’informazione/formazione del paziente (quando possibile) e della
famiglia/caregiver relative alle condizioni cliniche, alla prognosi riabilitativa, alle attività
strutturate e integrate nell’assistenza;
34
x
che l’attività informativa deve essere attuata da tutti gli operatori sanitari con coerenza rispetto
alle valutazioni e obiettivi condivisi e deve avere caratteristiche di continuità, chiarezza ed
onestà;
x
che compatibilmente con le modalità organizzative proprie di ogni reparto, si raccomanda
l’introduzione della figura del case-manager, come punto di riferimento della famiglia durante
le varie fasi del processo/percorso riabilitativo;
x
di prevedere attività formative specifiche per tutti gli operatori sui temi della comunicazione e
sulle modalità più appropriate per dare le informazioni e per fronteggiare i conflitti e burnout;
x
di attuare forme di coinvolgimento attivo dei famigliari e caregiver, attraverso modalità
strutturate che si basino sui principi della TPE (Educazione Terapeutica al paziente),
finalizzate a migliorare la valorizzazione del loro punto di vista nella gestione quotidiana e le
loro capacità di autogestione della disabilità del paziente a lungo termine;
x
di garantire durante tutto i percorso di riabilitazione un supporto specifico alla famiglia e ai
caregiver, mettendo a disposizione le figure dello psicologo e dell’assistente sociale con ruoli
definiti all’interno del team;
x
di garantire un’organizzazione flessibile degli orari di visita e delle modalità assistenziali del
reparto, che permetta ai famigliari e caregiver una reale possibilità di stare accanto al
paziente e di effettuare i training necessari;
x
una maggior integrazione tra le diverse associazioni e la loro presenza attiva nei reparti di
riabilitazione come punto di riferimento per le famiglie.
35
PERCORSO ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON TCE, CON STIME DEL FABBISOGNO
BASATE SUI DATI EPIDEMIOLOGICI ATTUALMENTE DISPONIBILI
Pazienti con TCE nella intera
popolazione: da 600 a 4000 ogni
100.000 abitanti/anno
Decessi extraospedalieri per
TCE :11-12/100.000ab./anno
Pazienti che arrivano al Pronto Soccorso
per TCE: 400-800/100.000 ab./anno
Pazienti ricoverati per TCE: dai 100 ai
300/100.000 ab./anno
Pazienti ricoverati in RianimazioneNeurochirurgia: 22/100.000 ab./anno
Decessi in fase acuta:
7-8/100.000ab./anno
Necessità di trattamento
riabilitativo in regime di
ricovero dopo la fase acuta:
3-5/100.000 ab.anno
SV persistente per
oltre 6 mesi:
1-2/100.000ab./anno
Pazienti con Good
recovery o Moderate
Disability all’uscita
dalla fase acuta:
Dopo la fase riab.intensiva:
GOOD RECOVERY
1-2/100.000ab./anno
MODERATE DISABILITY
Fig. 1
36
CLASSE I
do
ve
Servizi ambulatoriali
o Day Hospital
Obiettivi
y
y
y
y
pazienti
Good Recovery or Moderate Disability
DRS <= 6
Basso rischio di instabilità clinica
Non necessità di assistenza nelle 24 ore
x Completamento della stabilizzazione
clinica
x Valutazione e trattamento delle
menomazioni residue (fisiche, cognitive,
comportamentali)
x Recupero delle autonomie nelle AVQ
“semplici” e “complesse”
x Facilitazione del reinserimento sociale
scolastico e lavorativo (integrazione con
strutture di riabilitazione sociale)
x Informazione, supporto ed educazione
terapeutica ai famigliari e care-givers
Fig 2
37
CLASSE II
do
ve
Riabilitazione
intensiva
Obiettivi
y
y
y
y
pazienti
Moderate or Severe Disability
DRS <= 21
Rischio di instabilità clinica
Necessità di assistenza nelle 24 ore
x Completamento della stabilizzazione clinica
x Recupero autonomia nelle funzioni vitali di base
x Contenimento dei danni e prevenzione delle
complicanze secondarie
x Valutazione e trattamento menomazioni residue
x Recupero delle autonomie nelle AVQ “semplici”
e “complesse”
x Facilitazione del reinserimento sociale scolastico
e lavorativo (integrazione con strutture di
riabilitazione sociale)
x Informazione, supporto ed educazione
terapeutica ai famigliari e care-givers
Fig. 3
38
CLASSE III
do
ve
Strutture
di riabilitazione
intensiva
Obiettivi
y Vegetative state or minimally
Conscious patients
y DRS > 21
y LCF < 3
pazienti
x Completamento della stabilizzazione clinica
x Valutazione longitudinale della responsività e
facilitazioni al contatto con l’ambiente
x Assistenza medico specialistica
infermieristica dedicata 24 ore
x Recupero delle autonomie possibili
(respiratorie, nutrizionali ecc)
x Prevenzione-Gestione delle complicanze
x Informazione, supporto ed educazione
terapeutica ai famigliari e care-givers
Fig 4
39
CLASSE III
PAZIENTI
Vegetative state or
minimally conscious
DRS > 21
LCF < 3
Permanenza in strutture di
riabilitazione intensiva fino al
completamento dei programmi non
erogabili in modalità extra ospedaliere
SI
dove
Recupero
responsività
< 6 mesi
SI
Strutture sanitarie
di lungodegenza o
riabilitazione
estensiva
Necessità di
NO
assistenza sanitaria
continua
Riabilitazione
intensiva
NO
Fig 5
40
Domicilio con supporti
Strutture residenziali
EPIDEMIOLOGIA DELLE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE
IN PROVINCIA DI BERGAMO NEL PERIODO 2006-2011
Alberto Zucchi1 e Gennaro Esposito2
Introduzione
Per “Grave Cerebrolesione Acquisita” (GCLA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma o ad
altre cause (anossia cerebrale, emorragia/ischemia cerebrale), tale da determinare una condizione
di coma di durata non inferiore alle 24 ore, e menomazioni sensomotorie, cognitive o
comportamentali permanenti, tali da comportare disabilità. Da questa condizione vengono escluse
le situazioni di danno cerebrale congenito o ad insorgenza perinatale, o a carattere degenerativoprogressivo. Il termine GCLA è spesso intercambiabile con la forma abbreviata GCA.
Nell’ambito delle GCA si impone una distinzione, applicata anche in questo lavoro, in base alla
origine eziologica. Si riconoscono pertanto GCA di origine traumatica (grave trauma cranioencefalico) e non traumatica (a loro volta suddivise in vascolare emorragica, ischemica, ipossicoanossica).
La definizione proposta implica la presenza di condizioni immediatamente correlate al danno
cerebrale (coma), di esiti a distanza (menomazioni multiple) e di esiti funzionali (disabilità). Tale
definizione comporta alcune difficoltà tassonomiche, che hanno importanti conseguenze sulle stime
di frequenza ed impatto del fenomeno a livello di popolazione. Infatti una corretta identificazione e
descrizione richiede dati che derivano da fonti diverse (ricoveri in unità per acuti, o presso strutture
di riabilitazione od altre strutture) relativi a momenti diversi (fase acuta, post-acuta e degli esiti) e
derivate dalla applicazione di strumenti valutativi e classificativi diversi. In prima istanza si
considera accettabile, secondo le esperienze riscontrate in letteratura, fondare un’iniziale stima
valutativa sull’analisi delle SDO.
La patologia da GCA (Traumatica e Non Traumatica) produce esiti di notevole impatto sociale, sia
per il tipo di disabilità conseguente (cognitiva, neuromotoria, comportamentale), sia perché tra le
fasce di età più colpite appare rilevante quella dei giovani adulti, in particolare per le lesioni da
Trauma Cranio Encefalico (TCE). Ciò implica dunque quindi estese compromissioni di ruolo e di
produttività sociale. Numerosi studi evidenziano che, tra coloro che subiscono una GCA, la
maggior parte presenta conseguenze moderate sul piano neuromotorio, ma associate a gravi esiti
sul piano cognitivo e comportamentale, tali da produrre la perdita del ruolo lavorativo.
1
Epidemiologo, Responsabile dell’Osservatorio Socio Sanitario – Direzione Sociale, ASL di Bergamo
2 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo
41
Rilevare prevalenza ed incidenza delle GCA, individuarne le cause più frequenti, qualificare il tipo e
l'entità delle disabilità conseguenti, sono quindi azioni utili per valutare più correttamente le
necessità terapeutico riabilitative e permettere la formulazione di interventi più efficaci in ambito
sanitario e sociale.
Gli studi epidemiologici condotti sulle GCA nella letteratura nazionale non sono molti, e talora
restituiscono poche informazioni circa gravità, incidenza, prevalenza e la valutazione dei fattori di
rischio. Si può tuttavia stimare che ogni anno in Italia (dati della 3.a Consensus Conference sulle
GCA) vi siano almeno 10-15 nuovi casi anno/100.000 abitanti di GCA che rispondono ai criteri
sopra esposti.
Sulla base dei dati preliminari derivati da progetti di ricerca prospettici su base nazionale e
regionale, si può affermare che vi sia una tendenza ad un progressivo aumento di incidenza delle
GCA di origine non traumatica. In termini di prevalenza, si può ipotizzare che un numero di persone
compreso fra i 300 e 800/100.000 abitanti presenti una GCA; questa stima suggerisce un numero
di almeno 150.000 casi nel nostro paese; ciò corrisponde ad un numero di casi attesi in provincia di
Bergamo tra 3200 e 8000. Per quanto riguarda le GCA a maggiore impatto disabilitante (stati
vegetativi protratti) in Italia si può ritenere che vi siano circa 6 casi/100.000, che corrispondono a
circa 3000 casi complessivi in Italia, e a 60 casi attesi in provincia di Bergamo.
Per quanto concerne, in specifico, lo studio epidemiologico dei TCE, una valutazione
epidemiologica condotta negli USA (Kraus J.F., Sorenson S.B., 1994) indica una stima di incidenza
del TCE pari a circa 200 casi su 100.000 abitanti l'anno; la mortalità sarebbe tra 14 e 30 casi per
100.000 abitanti l'anno e le fasce di età a maggior rischio sono indicate tra i 15 e i 24 anni e dopo i
65 anni; il rapporto maschi/femmine è tra 2.0 e 2.8 a 1 per i maschi. Si rileva inoltre una forte
correlazione con l'uso di alcool ed una maggiore incidenza nelle classi socioeconomiche più basse.
La causa più frequente è rappresentata da incidenti con mezzi di trasporto (correlati ad eccesso di
velocità, abuso di alcolici, mancato uso del casco e delle cinture di sicurezza), e dalle cadute
accidentali più frequenti nei bambini e negli anziani. In accordo con i criteri di gravità della GCS, le
prevalenze dei traumi cranici si suddivisono in lievi (80%), moderati (10%), gravi (10%) (Kraus J.F.
et al. The incidence of acute brain injuries and serious impairment in a defined population. Am.
Epidemiol. 119:186-201, 1984).
Relativamente agli esiti, il 10% dei traumi lievi, il 60% dei traumi moderati ed il 100% dei traumi
gravi presentano sequele permanenti. Il costo per ciascun paziente nel corso della vita, si aggira
tra i 73.000 e i 93.000 dollari nelle forme lievi e moderate ed intorno ai 350.000 dollari nelle forme
gravi (Max W. et al.: Head injuries: Cost and consequences. Journal of head trauma rehabilitation
6: 76-91, 1991). In Italia, alcuni studi (Servadei et al, 1988; Study Group of Head Brain Injuries of
the Italian Society for Neurosurgery, 1996) hanno stimato che ogni anno circa 300-400 persone su
100.000 abitanti subiscano un ricovero per trauma cranico; nel 66% di tali casi il trauma è dovuto a
incidente stradale. Dati ISTAT relativi al periodo 1969-1990 rilevano che il 70% dei decessi nell'età
compresa tra i 15 e i 19 anni è dovuto a incidenti automobilistici ed il TCE è responsabile di tali
42
decessi nel 65% dei casi. E’ interessante notare come tali tassi risultino in notevole decremento
dall’introduzione obbligatoria dell’uso del casco in motocicletta e delle cinture di sicurezza sugli
autoveicoli.
Finalità
Questo studio si propone di effettuare un rilevamento epidemiologico retrospettivo delle GCA in
provincia di Bergamo, relativamente al periodo 2006-2011, utilizzando le Schede di Dimissione
Ospedaliera (SDO) prodotte dalle strutture di degenza e inviate alla Regione Lombardia attraverso
l’apposito flusso di rendicontazione.
Tramite le informazioni così derivate è stato possibile definire un archivio di pazienti univocamente
identificati, sulla cui base costruire tutte le valutazioni epidemiologiche susseguenti, anche
attraverso successivi record-linkage con altre fonti dati (ad es., riabilitazione, mortalità, etc.).
Per i limiti intrinseci alle analisi retrospettive, i dati raccolti sono volti ad una ragionevole stima, e
non ad una valutazione precisa quale potrebbe essere, ad esempio, quella derivante da un formale
Registro di Patologia; essi tuttavia consentono di ricavare informazioni utili alla pianificazione dei
percorsi di cura in questo settore, contribuendo a favorire la progettazione e la realizzazione della
rete dei servizi in modo adeguato al fabbisogno.
Materiali e metodi
L’analisi è stata condotta sulle SDO relative al periodo 2006-2011, relative ad assistiti della
provincia di Bergamo con ricovero presso una struttura pubblica o privata accreditata in Regione
Lombardia, con lo scopo di determinare il numero di soggetti con una diagnosi di GCA. Per la
costruzione dei tassi di popolazione si è utilizzato, come denominatore, il dato ufficiale ISTAT dei
residenti in provincia di Bergamo al 31/12 dei relativi anni. L’identificazione univoca dei pazienti è
avvenuta tramite l’utilizzo congiunto dei campi ‘Codice Fiscale’ e ‘Data di nascita’.
Sono stati considerati, e conseguentemente classificati nei gruppi sopra descritti, i seguenti codici
di diagnosi ICD-9-CM:
TCE
x
x
da 800 a 804 compreso (fratture del cranio)
da 850 a 854 compreso (traumatismi intracranici esclusa frattura del cranio)
GCA Emorragiche/Anossiche
x
x
348.1 (anossia cerebrale)
430 (emorragia subaracnoidea)
43
x 431 (emorragia cerebrale)
x 432 (ematoma subdurale/emorragia intracerebrale/emorragia intracranica NS)
GCA Ischemiche
x
x
433 (Infarto cerebrale)
434 (Trombosi/Embolie Cerebrali)
I codici considerati sono quelli che identificano le patologie compatibili con la definizione di GCA
riportata più sopra e condivisa nella Consensus Conference citata.
Come condiviso in sede di Tavolo di lavoro provinciale, e secondo le indicazioni di molti lavori
italiani riportati in bibliografia, sono state incluse tutte le SDO che riportavano i codici diagnostici
individuati, sia in diagnosi principale sia in diagnosi secondaria. Sono state escluse alcune cause di
danno cerebrale (da etiologia infettiva, ad es.) che possono, per caratteristiche cliniche, assimilarsi
alle categorie di danno valutate in questa indagine. Sono stati considerati, per la fase descrittiva
finalizzata alla produzione dell’indicatore di prevalenza, anche i pazienti deceduti durante il
ricovero. Attraverso il codice fiscale di ogni paziente si è “purificato” il campione dai ricoveri ripetuti.
Le mappe di patologia a livello prvinciale, basate sulla prevalenza comunale, sono state analizzate,
per la ricerca di cluster (cfr. capitolo “Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di GCA
ed analisi dei cluster”) atrraverso la metodologia Spatial Scan Statistic.
Per poter contestualizzare a livello regionale i dati dell’ASL di Bergamo, si è infine prodotta
un’analisi specifica, utilizzando un’identica metodologia di classificazione dei casi, attraverso lo
strumento ALEE-AO (Atlante Lombardo Epidemiologico ed Economico dell'Attività Ospedaliera v.
5.1). In questo caso, l’analisi è stata effettuata sul quinquennio 2005-2009, per la relativa
disponibilità dei dati al momento dell’analisi. Le mappe di patologia prodotte in questo modo
presentano la prevalenza di ricovero per singoli pazienti (depurandola cioè dai ricoveri ripetuti),
attraverso indicatori kernel, su base comunale. I denominatori sono costituiti dalle relative
componenti per sesso della popolazione regionale lombarda nei medesimi anni in studio. Gli
indicatori kernel sono una tecnica atta a rappresentare una distribuzione di eventi “puntiformi” (eg,
singoli tassi comunali) trasformata in superficie continua di rischio di patologia, permettendo così di
far emergere un’eventuale componente di clustering territoriale (cfr. capitolo specifico).
Risultati
Nel periodo 2006-2011 si sono identificati 19.969 soggetti univoci che abbiano avuto almeno un
ricovero con una delle diagnosi sopra descritte; la media annua di soggetti è pari a 3.328, con un
trend in modico decremento (per le relative stime di prevalenza si veda il capitolo “Analisi di
popolazione e territoriale”. La tabella 1.0 mostra come il peso complessivo dei ricoveri per GCA, sul
totale dei ricoveri annui degli assistiti bergamaschi, sia pressoché costantemente pari al 2,1%. La
44
distribuzione per genere (tab. 1.1) vede una sostanziale prevalenza quantitativa del genere
maschile (58% vs 42%). Il rapporto medio annuo M:F è pari ad 1,38. Tale distribuzione è identica,
sostanzialmente, in tutti gli anni considerati.
Tab. 1.0
GCA su totale
ricoveri
Anno
GCA
Totale
2006
N.casi
193186
% casi
riga
97,9%
N.casi
4108
% casi riga
2,1%
N.casi
197294
% casi
riga
100,0%
2007
180419
97,8%
4077
2,2%
184496
100,0%
2008
179169
97,9%
3921
2,1%
183090
100,0%
2009
176938
97,9%
3723
2,1%
180661
100,0%
2010
166090
97,8%
3688
2,2%
169778
100,0%
2011
162898
97,8%
3715
2,2%
166613
100,0%
Totale
1058700
97,9%
23232
2,1%
1081932
100,0%
Tab. 1.1
N. soggetti
ricoverati da GCA
per anno e genere
Anno
Altri ricoveri
2006
Genere
Maschi
% casi
N.casi
riga
2154
57,4%
Femmine
N.casi
1596
% casi riga
42,6%
Totale
% casi
N.casi
riga
3750
100,0%
2007
2116
59,2%
1457
40,8%
3573
100,0%
2008
1936
57,4%
1438
42,6%
3374
100,0%
2009
1836
58,3%
1314
41,7%
3150
100,0%
2010
1796
58,3%
1284
41,7%
3080
100,0%
2011
1747
57,4%
1295
42,6%
3042
100,0%
Totale
11585
58,0%
8384
42,0%
19969
100,0%
Il rispettivo numero di ricoveri è presentato nella tabella 1.2.
45
Tab. 1.2
N. ricoveri per
anno e genere
Anno
Genere
Maschi
Femmine
Totale
2006
N.casi
2382
% casi riga
58,0%
N.casi
1726
% casi riga
42,0%
N.casi
4108
% casi riga
100,0%
2007
2417
59,3%
1660
40,7%
4077
100,0%
2008
2279
58,1%
1642
41,9%
3921
100,0%
2009
2211
59,4%
1512
40,6%
3723
100,0%
2010
2168
58,8%
1520
41,2%
3688
100,0%
2011
2175
58,5%
1540
41,5%
3715
100,0%
Totale
13632
58,7%
9600
41,3%
23232
100,0%
Vi sono dunque, determinati da un evento legato a GCA, 3.328 ricoverati/anno che producono
3.872 ricoveri/anno. Il rapporto medio annuo ricoveri/ricoverati è complessivamente pari a 1,10
(1,18 nei maschi, 1,15 nelle femmine). Le tabelle successive evidenziano il numero di ricoveri e di
ricoverati per le singole GCA e per il genere. Si evidenzia la costante preminenza di eventi legati al
genere maschile.
Tab.1.3
Ricoveri TCE
per anno
Anno
2006
Genere
Maschi
Femmine
N.casi
% casi riga
1033
66,6%
Totale
N.casi
% casi riga
517
33,4%
N.casi
% casi riga
1550
100,0%
2007
1039
66,5%
524
33,5%
1563
100,0%
2008
921
63,2%
537
36,8%
1458
100,0%
2009
910
64,8%
494
35,2%
1404
100,0%
2010
822
65,0%
443
35,0%
1265
100,0%
2011
811
64,4%
448
35,6%
1259
100,0%
Totale
5536
65,1%
2963
34,9%
8499
100,0%
46
Tab.1.4
Ricoveri GCA
Emorragiche/
Anossiche
Anno
Maschi
Femmine
Totale
2006
N.casi
306
% casi riga
53,3%
N.casi
268
% casi riga
46,7%
2007
277
51,6%
260
48,4%
537
100,0%
2008
294
52,6%
265
47,4%
559
100,0%
2009
326
54,7%
270
45,3%
596
100,0%
2010
317
51,2%
302
48,8%
619
100,0%
2011
345
55,1%
281
44,9%
626
100,0%
1865
53,1%
1646
46,9%
3511
100,0%
Total
Tab.1.5
Ricoveri GCA
Ischemiche
Anno
Genere
N.casi
% casi riga
574
100,0%
Genere
Maschi
Femmine
Totale
2006
N.casi
1043
% casi riga
52,6%
N.casi
941
% casi riga
47,4%
N.casi
% casi riga
1984
100,0%
2007
1101
55,7%
876
44,3%
1977
100,0%
2008
1064
55,9%
840
44,1%
1904
100,0%
2009
975
56,6%
748
43,4%
1723
100,0%
2010
1029
57,0%
775
43,0%
1804
100,0%
2011
1019
55,7%
811
44,3%
1830
100,0%
Totale
6231
55,5%
4991
44,5%
11222
100,0%
Le tabelle che seguono mostrano la distribuzione, sul periodo, dei ricoverati per le differenti
specifiche tipologie di GCA, in totale, per genere e singolo anno.
47
Tab.1.6
Ricoverati TCE
Anno
Maschi
Femmine
% casi
N.casi
riga
484
33,8%
Totale
N.casi
% casi riga
1433
100,0%
2006
N.casi
949
% casi riga
66,2%
2007
938
66,1%
480
33,9%
1418
100,0%
2008
816
62,7%
485
37,3%
1301
100,0%
2009
805
64,7%
440
35,3%
1245
100,0%
2010
714
64,2%
398
35,8%
1112
100,0%
2011
693
63,4%
400
36,6%
1093
100,0%
Totale
4915
64,7%
2687
35,3%
7602
100,0%
Tab.1.7
Ricoverati GCA
Emorragiche/
Anossiche
Anno
Genere
Genere
Maschi
Femmine
% casi
N.casi
riga
218
45,6%
Totale
N.casi
% casi riga
478
100,0%
2006
N.casi
260
% casi riga
54,4%
2007
231
52,4%
210
47,6%
441
100,0%
2008
217
49,3%
223
50,7%
440
100,0%
2009
238
52,0%
220
48,0%
458
100,0%
2010
220
48,7%
232
51,3%
452
100,0%
2011
231
51,6%
217
48,4%
448
100,0%
Totale
1397
51,4%
1320
48,6%
2717
100,0%
48
Genere
Tab.1.8
Ricoverati GCA
Ischemiche
Anno
2006
Maschi
Femmine
N.casi
% casi riga
945
51,4%
Totale
894
% casi
riga
48,6%
N.casi
N.casi
% casi riga
1839
100,0%
2007
947
55,3%
767
44,7%
1714
100,0%
2008
903
55,3%
730
44,7%
1633
100,0%
2009
793
54,8%
654
45,2%
1447
100,0%
2010
862
56,9%
654
43,1%
1516
100,0%
2011
823
54,8%
678
45,2%
1501
100,0%
Totale
5273
54,6%
4377
45,4%
9650
100,0%
Distribuzione per tipologia di GCA, genere e anno
Le tabelle (2.x) che seguono mostrano il peso percentuale, totale ed entro genere, dei singoli tipi di
GCA sul totale delle GCA. E’ evidente il rilievo quantitativo delle forme ischemiche (48%), seguito
dai TCE (38%). Interessante come nei maschi il peso dei TCE salga fino al 42,4%, mentre nelle
femmine aumenti lo sbilanciamento delle forme ischemiche, che pesano per il 52%.
Genere
Tab. 2.0
Soggetti ricoverati per tipo GCA
e genere
Maschi
Femmine
Totale
% casi
% casi
% casi
colonn
colonn
colonn
N.casi
a
N.casi
a
N.casi
a
Tipo di
TCE
4915
42,4%
2687
32,0%
7602
38,1%
GCA:
GCA
1397
12,1%
1320
15,7%
2717
13,6%
5273
45,5%
4377
52,2%
9650
48,3%
Emorragiche/Anossiche
GCA Ischemiche
Totale
11585 100,0%
49
8384 100,0%
19969 100,0%
Queste proporzioni si mantengono simili durante tutti i 6 anni di osservazione (cfr tabelle
successive).
Interessante tuttavia notare (tab. 2.1 e grafico 1) come, in termini di casi assoluti, si mostri
chiaramente nei 6 anni di osservazione una discreta diminuzione per TCE e GCA ischemiche (TCE
in particolare nei maschi), a fronte di una sostanziale stabilità per le GCA emorragiche.
Tab. 2.1
Soggetti
ricoverati per
tipo GCA,
anno e generetotale
Anno
TCE
GCA
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche
Totale
2006
N.casi
1433
% casi
riga
38,2%
N.casi
478
% casi riga
12,7%
N.casi
1839
% casi
riga
49,0%
% casi
riga
N.casi
3750 100,0%
2007
1418
39,7%
441
12,3%
1714
48,0%
3573 100,0%
2008
1301
38,6%
440
13,0%
1633
48,4%
3374 100,0%
2009
1245
39,5%
458
14,5%
1447
45,9%
3150 100,0%
2010
1112
36,1%
452
14,7%
1516
49,2%
3080 100,0%
2011
1093
35,9%
448
14,7%
1501
49,3%
3042 100,0%
Totale
7602
38,1%
2717
13,6%
9650
48,3%
19969 100,0%
50
Graf. 1 Trend casi 2006-2011 per tipologia GCA e genere
Tab. 2.2
Soggetti
ricoverati
per tipo
GCA, anno
e genereMaschi
TCE
Anno 2006
%
casi
N.casi
riga
949 44,1%
2007
Tipo di GCA:
GCA
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche
Totale
N.casi
260
% casi
riga
12,1%
%
casi
N.casi
riga
945 43,9%
% casi
riga
N.casi
2154 100,0%
938 44,3%
231
10,9%
947 44,8%
2116 100,0%
2008
816 42,1%
217
11,2%
903 46,6%
1936 100,0%
2009
805 43,8%
238
13,0%
793 43,2%
1836 100,0%
2010
714 39,8%
220
12,2%
862 48,0%
1796 100,0%
2011
693 39,7%
231
13,2%
823 47,1%
1747 100,0%
Totale
4915 42,4%
1397
12,1%
5273 45,5%
11585 100,0%
51
Tab. 2.3
Soggetti
ricoverati
per tipo
GCA, anno
e genereFemmine
TCE
Anno 2006
%
casi
N.casi
riga
484 30,3%
2007
Tipo di GCA:
GCA
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche
Totale
N.casi
218
% casi
riga
13,7%
%
casi
N.casi
riga
894 56,0%
% casi
riga
N.casi
1596 100,0%
480 32,9%
210
14,4%
767 52,6%
1457 100,0%
2008
485 33,7%
223
15,5%
730 50,8%
1438 100,0%
2009
440 33,5%
220
16,7%
654 49,8%
1314 100,0%
2010
398 31,0%
232
18,1%
654 50,9%
1284 100,0%
2011
400 30,9%
217
16,8%
678 52,4%
1295 100,0%
Totale
2687 32,0%
1320
15,7%
4377 52,2%
8384 100,0%
Distribuzione per età e tipologia di GCA
La distribuzione complessiva per classi di età (tab.3) vede la chiara prevalenza complessiva dei
pazienti di età superiore a 70 anni; ciò è determinato dalla numerosità importante delle GCA di
origine non traumatica.
Analizzando le singole tipologie è impressionante verificare come nei TCE il 33,4% dei casi sia
determinato da pazienti sotto i 24 anni, ed addirittura più del 50% sia entro i 45 anni. Un nuovo
picco si ripresenta poi negli ultra settantenni. GCA emorragiche ed ischemiche, come atteso, sono
invece eventi sostanzialmente rari prima dei 35-40 anni, in quanto chiaramente correlati
all’aumento dell’età stessa. Si veda anche il grafico 2 al proposito.
52
Tab. 3
Tipologia
GCA per
classi di
età e
genere
0-17
Tipo di GCA:
GCA
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche
TCE
% casi
colonna
N.casi
1699 22,3%
N.casi
44
% casi
colonna
1,6%
% casi
colonna
N.casi
10
,1%
Totale
% casi
colonna
N.casi
1753
8,8%
18-24
841
11,1%
20
,7%
13
,1%
874
4,4%
25-34
842
11,1%
61
2,2%
61
,6%
964
4,8%
35-45
795
10,5%
151
5,6%
198
2,1%
1144
5,7%
46-59
844
11,1%
386
14,2%
820
8,5%
2050
10,3%
60-69
620
8,2%
493
18,1%
1830
19,0%
2943
14,7%
70+
1961
25,8%
1562
57,5%
6718
69,6%
10241
51,3%
Totale
7602 100,0%
2717
100,0%
9650 100,0%
19969 100,0%
Il grafico 2, a seguire, evidenzia la differente tipologia di distribuzione delle singole classificazioni di
GCA rispetto alle età. Si noti, come detto, l’evidente correlazione tra GCA ischemiche ed aumento
dell’età, così come i due picchi di età contrapposti per i TCE: in età giovanissima ed in età
avanzata.
53
Graf.2 Dist. Per classi età e tipologia GCA
Se effettuiamo una valutazione comparativa tra i gruppi di patologie (grafico 2), emerge una
diversa tipologia di distribuzione. Infatti, mentre il rischio di trauma cranico è prevalente per gli
uomini per quasi tutto l’arco della vita, con un chiarissimo picco in età giovanile-adulta, in età senile
il rischio diventa prevalente per il sesso femminile. Tale inversione potrebbe essere correlabile alla
maggiore longevità del sesso femminile, ma anche altri fattori potrebbero essere chiamati in causa,
come per esempio l’abbattimento per il sesso maschile del rischio lavorativo, o la diminuzione
all’uso dell’auto, mentre continuerebbe costante il rischio per le donne di incidente domestico. Per
quanto concerne il rischio da ricovero per GCA emorragiche, si evidenzia una sostanziale identità
distributiva tra i generi, mentre per le GCA ischemiche il rischio è costantemente più elevato per gli
uomini fino ai 75 anni, quando prevale in ambito femminile. Anche in questo caso la spiegazione
più plausibile riporta alla maggior longevità femminile.
I grafici 3-5 dettagliano l’andamento delle singole tipologie di GCA come singole classi di età
nell’arco dei sei anni di osservazione.
54
Grafico n.3 TCE-Distr. Freq. per età e anni di osservazione
Il grafico 3 mostra la distribuzione dei casi di TCE per classi di età e anni di osservazione.
Interessante notare come vi siano trend in decremento per quasi tutte le classi di età
(particolarmente importante la riduzione della classe 0-17), con l’eccezione dell’aumento per classi
over 60 –con incremento particolarmente significativo per gli over 70.
55
Grafico n.4 GCA emorragiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione
Nel grafico 4 riscontriamo un aumento costante solo nella classe over 70, a fronte di andamenti
sostanzialmente stabili nelle altre età.
56
Grafico n.5 GCA ischemiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione
Nel grafico 5 riscontriamo sostanziali stabilità in quasi tutte le classi di età, con l’eccezione di un
trend in modesta diminuzione per l’età 60-69; la classe di età over 70 presenta un andamento
complessivamente decrescente, ma caratterizzato da una netta ripresa negli ultimi tre anni.
Come indicatori sintetici, riscontriamo che l’età media dei soggetti identificati è di 57 anni per gli
uomini e di 68 anni per le donne (61 complessivamente). Le rispettive età mediane sono 65, 76 e
70 (tab.4). Vi sono, come già accennato, rilevanti differenze tra le diverse patologie: il TCE, in
particolare, riguarda maggiormente le classi giovanili (in particolare nei maschi), mentre le GCA
ischemiche sono più frequenti nelle persone di età elevata.
57
Tab.4
Età-Indicatori
di sintesi per
genere e
tipologia di
GCA
Genere
Maschi
Femmine
Deviazione
Media Mediana
standard
Totale
Deviazione
Media Mediana
standard
Deviazione
Media Mediana
standard
TCE
39
34
25
52
62
31
44
40
28
GCA
66
70
17
71
76
17
68
73
17
71
72
11
76
79
12
73
75
12
57
65
24
68
76
23
61
70
24
Emorragiche
GCA
Ischemiche
Totale
La distribuzione di dettaglio per gruppo di patologia e classi di età, nel sessennio, è presentata
nelle tabelle che seguono.
Tab.5
Distr. freq. classi
età e genere –
TCE
Classi di
età
Genere
Femmine
Maschi
Totale
N.casi
1126
% casi
colonna
22,9%
N.casi
573
% casi
colonna
21,3%
N.casi
1699
% casi
colonna
22,3%
18-24
684
13,9%
157
5,8%
841
11,1%
25-34
675
13,7%
167
6,2%
842
11,1%
35-45
618
12,6%
177
6,6%
795
10,5%
46-59
603
12,3%
241
9,0%
844
11,1%
60-69
401
8,2%
219
8,2%
620
8,2%
70+
808
16,4%
1153
42,9%
1961
25,8%
4915
100,0%
2687
100,0%
7602
100,0%
0-17
Totale
58
Tab.6
Distr. freq. classi età e
genere – GCA
Emorragiche/Anossiche
Maschi
Femmine
Totale
N.casi
31
% casi
colonna
2,2%
N.casi
13
% casi
colonna
1,0%
N.casi
44
% casi
colonna
1,6%
18-24
12
,9%
8
,6%
20
,7%
25-34
33
2,4%
28
2,1%
61
2,2%
35-45
82
5,9%
69
5,2%
151
5,6%
46-59
234
16,8%
152
11,5%
386
14,2%
60-69
287
20,5%
206
15,6%
493
18,1%
70+
718
51,4%
844
63,9%
1562
57,5%
1397
100,0%
1320
100,0%
2717
100,0%
Classi di età 0-17
Totale
Tab.7
Distr. freq. classi età e
genere – GCA
Ischemiche
Classi di età
Genere
Genere
Maschi
Femmine
0-17
% casi
colonna
5
,1%
18-24
6
25-34
Totale
5
% casi
colonna
,1%
10
% casi
colonna
,1%
,1%
7
,2%
13
,1%
31
,6%
30
,7%
61
,6%
35-45
120
2,3%
78
1,8%
198
2,1%
46-59
605
11,5%
215
4,9%
820
8,5%
60-69
1272
24,1%
558
12,7%
1830
19,0%
70+
3234
61,3%
3484
79,6%
6718
69,6%
Totale
5273
100,0%
4377
100,0%
9650
100,0%
N.casi
59
N.casi
N.casi
Tipologia dimissioni
Relativamente alla tipologia di dimissione riscontrata nei soggetti alla fine del ricovero incidente (il
primo ricovero per ogni paziente univocamente tracciato), le tab.8.x mostrano le distribuzioni
riscontrate per i singoli gruppi di GCA. Le valutazioni sul percorso “riabilitazione”, ovviamente
connesse anche alla tipologia di dimissione, saranno effettuate nel capitolo specifico.
Tab. 8.1
Tipo di GCA: TCE - Tipo dimissione
n. casi
% casi colonna
1-ordinaria al domicilio del paziente
6383
84,0%
2-volontaria (su decisione paziente)
184
2,4%
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,
279
3,7%
202
2,7%
95
1,2%
1
,0%
296
3,9%
149
2,0%
13
,2%
7602
100,0%
pubbl. o privato
4-deceduto
5-dim ordinaria presso RSA
6-dim a domicilio paziente con attivazione H
domiciliare
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero
(dh-ord-riab)
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione
9-dim ord. con attivazione di ADI
Totale
La dimissione ordinaria risulta di gran lunga prevalente nei TCE. Il 2,7% dei casi decede in sede di
ricovero. Nelle TCE, l’elevata quantità di dimissioni ordinarie è rappresentativa di quei ricoveri in cui
il trauma è stato presumibilmente di entità lieve (questo dato è corroborato anche dalla media di
giornate di degenza per gruppo GCA presentato nella tab. 11, nonché dal basso numero di
deceduti intra-ricovero).
60
Tab. 8.2
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - Tipo
dimissione
n. casi
% casi colonna
1-ordinaria al domicilio del paziente
1025
37,7%
2-volontaria (su decisione paziente)
26
1,0%
290
10,7%
725
26,7%
59
2,2%
1
,0%
360
13,2%
216
7,9%
15
,6%
2717
100,0%
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,
pubbl. o privato
4-deceduto
5-dim ordinaria presso RSA
6-dim a domicilio paziente con attivazione H
domiciliare
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero
(dh-ord-riab)
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione
9-dim ord. con attivazione di ADI
Totale
Per le GCA emorragiche, la dimissione ordinaria risulta prevalente (37,7%), ma su dimensioni
molto differenti dai TCE e dalle GCA ischemiche; più di un paziente su quattro (26,7%) decede in
sede di ricovero, e molto rilevante è la quantità di coloro che vengono trasferiti per altro ricovero o
per terapia riabilitativa.
61
Tab. 8.3
Tipo di GCA: Ischemiche - Tipo dimissione
n. casi
% casi colonna
1-ordinaria al domicilio del paziente
6874
71,2%
2-volontaria (su decisione paziente)
59
,6%
396
4,1%
4-deceduto
683
7,1%
5-dim ordinaria presso RSA
135
1,4%
1
,0%
666
6,9%
764
7,9%
72
,7%
9650
100,0%
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,
pubbl. o privato
6-dim a domicilio paziente con attivazione H
domiciliare
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero
(dh-ord-riab)
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione
9-dim ord. con attivazione di ADI
Totale
Nelle GCA ischemiche decede il 7% dei pazienti durante il ricovero, mentre il 71% esce con
dimissioni ordinarie.
62
Tab. 8.4
Tipo di GCA: tutte - Tipo dimissione
n.casi
% casi colonna
1-ordinaria al domicilio del paziente
14282
71,5%
2-volontaria (su decisione paziente)
269
1,3%
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,
965
4,8%
1610
8,1%
289
1,4%
3
,0%
1322
6,6%
1129
5,7%
100
,5%
19969
100,0%
pubbl. o privato
4-deceduto
5-dim ordinaria presso RSA
6-dim a domicilio paziente con attivazione H
domiciliare
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero
(dh-ord-riab)
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione
9-dim ord. con attivazione di ADI
Totale
La tabella 8.4 descrive le modalità di dimissione per tutte le GCA. Per quanto sia meno rilevante
rispetto alla valutazione che nasce dalle singole GCA, è interessante notare come, a fronte del
71,5% di pazienti che esce con dimissione ordinaria a domicilio, vi sia una quota pari a 8,0% di
decessi intra-ospedalieri (tra cui prevale il 26,7% dei decessi per il gruppo delle GCA emorragiche)
ed un 12% che viene indirizzato su un percorso di terapia riabilitativa (regime 7 sommato a regime
8). In realtà tale dato merita un approfondimento a parte, per la complessità di tracciatura all’interno
dei vari flussi dei dimessi in riabilitazione.
Durata dei ricoveri
La tabella che segue presenta alcune statistiche di sintesi sulla durata dei ricoveri (sono esclusi dal
calcolo i ricoveri in regime di day-hospital).
63
Tab.9
Statistiche descrittive
n.giornate di degenza
per GCA
n. giorni degenza
Deviazione
Media
standard
Percentile 25
Mediana
Percentile 75
TCE
7,1
13,6
2
4
8
GCA
14,9
16,7
4
11
19
GCA Ischemiche
9,8
8,3
4
8
12
Totale
9,5
12,2
3
6
12
Emorragiche/Anossiche
E’ molto evidente, dalle statistiche presentate, come gran parte dei ricoveri (12 giorni come
75esimo percentile) tenda a risolversi nelle prime due settimane (con l’eccezione delle GCA
emorragiche); il 50% si risolve entro 6 giorni.
Il grafico successivo (Graf. 6) mostra la media delle giornate di degenza per sesso e classi di età.
Vi è una tendenza all’aumento della durata di ricovero con l’età del paziente, con picco intorno ai
40-45, e successivo decremento per le età più avanzate.
64
Graf. 6 – GCA complessive-giornate di degenza: distribuzione della media per
sesso e classi di età
Il grafico 7 evidenzia un andamento sovrapponibile per TCE e GCA Ischemiche (con l’area sottesa
alla curva comunque prevalente nell’arco della prima settimana), mentre per le GCA emorragiche
la distribuzione è maggiormente “spalmata” su un arco temporale più ampio, sia pur su livelli
quantitativi, come numerosità di casi, sempre più marginale.
65
Graf. 7 distr. freq. gg degenza per gruppo GCA
Altre variabili di interesse
Nelle tabelle 12.x sono rappresentate le afferenze dei ricoveri per territorio. Il 91% complessivo è
avvenuto presso strutture localizzate nel territorio dell’ASL di Bergamo. Quote sostanzialmente
identiche si riscontrano nelle analisi per singola GCA che seguono.
66
Tab. 12.1
Tipo di GCA: Totale - ASL di localizzazione della
struttura di ricovero
ASL
A01 PROV. BERGAMO
N.casi
% casi colonna
21161
91,1%
A02 PROV. BRESCIA
723
3,1%
A08 MILANO
492
2,1%
A05 PROV. LECCO
247
1,1%
A15 VALCAMONICA-SEBINO
186
,8%
A11 PROV. MONZA E BRIANZA
114
,5%
A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO)
77
,3%
A03 PROV. COMO
60
,3%
A04 PROV. CREMONA
54
,2%
A12 PROV. PAVIA
36
,2%
A13 PROV. SONDRIO
27
,1%
A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO)
27
,1%
A14 PROV. VARESE
12
,1%
A06 PROV. LODI
6
,0%
A07 PROV. MANTOVA
5
,0%
Dato mancante
5
,0%
23232
100,0%
Totale
67
Tab. 12.2
Tipo di GCA: TCE - ASL di localizzazione della
struttura di ricovero
ASL
A01 PROV. BERGAMO
N.casi
% casi colonna
7606
89,5%
355
4,2%
A08 MILANO
94
1,1%
A05 PROV. LECCO
95
1,1%
116
1,4%
A11 PROV. MONZA E BRIANZA
63
,7%
A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO)
38
,4%
A03 PROV. COMO
25
,3%
A04 PROV. CREMONA
40
,5%
A12 PROV. PAVIA
17
,2%
A13 PROV. SONDRIO
20
,2%
A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO)
11
,1%
A14 PROV. VARESE
11
,1%
A06 PROV. LODI
4
,0%
A07 PROV. MANTOVA
3
,0%
Dato mancante
1
,0%
8499
100,0%
A02 PROV. BRESCIA
A15 VALCAMONICA-SEBINO
Totale
68
Tab. 12.3
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - ASL di
localizzazione della struttura di ricovero
ASL
A01 PROV. BERGAMO
N.casi
% casi colonna
3197
91,1%
118
3,4%
A08 MILANO
70
2,0%
A05 PROV. LECCO
62
1,8%
A15 VALCAMONICA-SEBINO
17
,5%
A11 PROV. MONZA E BRIANZA
9
,3%
A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO)
4
,1%
13
,4%
A04 PROV. CREMONA
5
,1%
A12 PROV. PAVIA
9
,3%
A13 PROV. SONDRIO
3
,1%
A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO)
2
,1%
A14 PROV. VARESE
0
,0%
A06 PROV. LODI
0
,0%
A07 PROV. MANTOVA
0
,0%
Dato mancante
2
,1%
3511
100,0%
A02 PROV. BRESCIA
A03 PROV. COMO
Totale
69
Tab. 12.4
Tipo di GCA: Ischemiche - ASL di localizzazione
della struttura di ricovero
ASL
A01 PROV. BERGAMO
N.casi
% casi colonna
10358
92,3%
A02 PROV. BRESCIA
250
2,2%
A08 MILANO
328
2,9%
A05 PROV. LECCO
90
,8%
A15 VALCAMONICA-SEBINO
53
,5%
A11 PROV. MONZA E BRIANZA
42
,4%
A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO)
35
,3%
A03 PROV. COMO
22
,2%
9
,1%
10
,1%
4
,0%
14
,1%
A14 PROV. VARESE
1
,0%
A06 PROV. LODI
2
,0%
A07 PROV. MANTOVA
2
,0%
Dato mancante
2
,0%
11222
100,0%
A04 PROV. CREMONA
A12 PROV. PAVIA
A13 PROV. SONDRIO
A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO)
Totale
Le tab. 13.x presentano la distribuzione dei pazienti per tipologia di struttura presso cui il ricovero è
avvenuto. E’ chiaro come, sulla base della gravità e, sovente, della subitaneità dell’accadimento
delle patologie di cui stiamo trattando, vi sia una distribuzione che conduce il paziente in prima
istanza verso una struttura di AO (68,0%), probabilmente per una presenza più frequente del PS.
Ciò si riscontra particolarmente nel caso dei TCE (76%) e delle GCA emorragiche (74%).
70
Tab. 13.1
Tipo di GCA: Totale –distr. freq. per tipologia
struttura di ricovero
Tipologia
Struttura di A.O.
N.casi
15770
67,9%
6762
29,1%
IRCCS Privato
366
1,6%
Struttura di A.S.L.
186
,8%
IRCCS Pubblico
77
,3%
Ospedale Classificato
63
,3%
Dato mancante
5
,0%
Casa di Cura non Accreditata
3
,0%
23232
100,0%
Casa di Cura Accreditata
Totale
Tab. 13.2
Tipo di GCA: TCE –distr. freq. per tipologia
struttura di ricovero
Tipologia
% casi colonna
N.casi
% casi colonna
Struttura di A.O.
6473
76,2%
Casa di Cura Accreditata
1820
21,4%
32
,4%
116
1,4%
IRCCS Pubblico
29
,3%
Ospedale Classificato
28
,3%
Dato mancante
1
,0%
Casa di Cura non Accreditata
0
,0%
8499
100,0%
IRCCS Privato
Struttura di A.S.L.
Totale
71
Tab. 13.3
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche –distr. freq.
per tipologia struttura di ricovero
Tipologia
N.casi
Struttura di A.O.
2588
73,7%
805
22,9%
IRCCS Privato
60
1,7%
Struttura di A.S.L.
17
,5%
IRCCS Pubblico
16
,5%
Ospedale Classificato
23
,7%
Dato mancante
2
,1%
Casa di Cura non Accreditata
0
,0%
3511
100,0%
Casa di Cura Accreditata
Totale
Tab. 13.4
Tipo di GCA: Ischemiche –distr. freq. per tipologia
struttura di ricovero
Tipologia
% casi colonna
N.casi
% casi colonna
Struttura di A.O.
6709
59,8%
Casa di Cura Accreditata
4137
36,9%
274
2,4%
Struttura di A.S.L.
53
,5%
IRCCS Pubblico
32
,3%
Ospedale Classificato
12
,1%
Dato mancante
2
,0%
Casa di Cura non Accreditata
3
,0%
11222
100,0%
IRCCS Privato
Totale
72
Modalità di accesso al ricovero
Le tabelle 14.x descrivono, complessivamente e per singola GCA, le modalità di accesso al
ricovero. Le modalità prevalenti sono quelle in regime di urgenza o tramite Pronto Soccorso, come
prevedibile in particolare per TCE e GCA emorragiche. Le altre modalità fanno riferimento
soprattutto ai trasferimenti, interni o verso altro istituto o regime (ad esempio, riabilitazione).
Tab. 14.1
Tipo di GCA: Totale -modalità di accesso
N.casi
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata
118)
02-inviato da medico di base
03-ricovero programmato da stesso istituto di
cura
04-trasferito da Osp. Pubblico
09-Altro
05-trasferito da struttura privata accreditata
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist.
06-trasferito da struttura privata non
accreditata
Dato mancante
Totale
73
8806
5094
% casi colonna
44,1%
25,5%
2305
1961
11,5%
9,8%
1108
360
278
43
5,5%
1,8%
1,4%
,2%
10
,1%
4
19969
,0%
100,0%
Tab. 14.2
Tipo di GCA: TCE -modalità di accesso
N.casi
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata
118)
03-ricovero programmato da stesso istituto
di cura
04-trasferito da Osp. Pubblico
09-Altro
02-inviato da medico di base
05-trasferito da struttura privata accreditata
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist.
06-trasferito da struttura privata non
accreditata
Dato mancante
Totale
Tab. 14.3
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche modalità di accesso
3950
2142
% casi colonna
52,0%
28,2%
773
10,2%
428
114
112
62
12
5,6%
1,5%
1,5%
,8%
,2%
5
,1%
4
7602
,1%
100,0%
1373
724
% casi colonna
50,5%
26,6%
255
129
9,4%
4,7%
126
50
47
8
4,6%
1,8%
1,7%
,3%
5
,2%
0
2717
,0%
100,0%
N.casi
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata
118)
04-trasferito da Osp. Pubblico
03-ricovero programmato da stesso istituto
di cura
02-inviato da medico di base
09-Altro
05-trasferito da struttura privata accreditata
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist.
06-trasferito da struttura privata non
accreditata
Dato mancante
Totale
74
Tab. 14.4
Tipo di GCA: Ischemiche -modalità di accesso
N.casi
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118)
02-inviato da medico di base
03-ricovero programmato da stesso istituto di
cura
04-trasferito da Osp. Pubblico
09-Altro
05-trasferito da struttura privata accreditata
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-Riab-LD)
entro Ist.
06-trasferito da struttura privata non accreditata
Dato mancante
Totale
3483
2228
2067
1059
% casi colonna
36,1%
23,1%
21,4%
11,0%
425
196
169
23
4,4%
2,0%
1,8%
,2%
0
0
9650
,0%
,0%
100,0%
Descrizione evento traumatico (tce)
Le tab. 15.x mostrano, per i pazienti con diagnosi di TCE, la modalità di accadimento dell’evento
traumatico che ha dato luogo al ricovero, dettagliando quindi le distribuzioni di frequenza per
genere e per classi di età. Nonostante vi sia una quota elevata di descrizioni mancanti o non
definite, rispetto agli items, alcuni elementi sono evidenziabili: chiara prevalenza delle cause per
traffico e sul lavoro nei maschi, così come accadimenti in ambiente domestico per le donne; si
veda anche il grafico a seguire ed il relativo commento di dettaglio (grafico n. 8).
Tab. 15.1
TCE-descrizione evento traumatico
altro
N.casi
3481
% casi colonna
45,8%
da traffico
1821
24,0%
in ambiente domestico
1364
17,9%
sul lavoro
452
5,9%
violenza altrui
266
3,5%
Dato mancante
205
2,7%
13
0,2%
7602
100,0%
autolesione o tentato suicidio
Totale
75
Tab. 15.1
TCE-descrizione evento
traumatico per genere
Genere
Maschi
N.casi
Femmine
% casi colonna
N.casi
% casi colonna
Altro-non noto
2277
46,3%
1204
44,8%
da traffico
1294
26,3%
527
19,6%
in ambiente domestico
597
12,1%
767
28,5%
sul lavoro
408
8,3%
44
1,6%
violenza altrui
231
4,7%
35
1,3%
99
2,0%
106
3,9%
9
,2%
4
,1%
4915
100,0%
2687
100,0%
Dato mancante
autolesione o tentato
suicidio
Totale
Tab. 15.2
TCE-descrizione evento
traumatico per età e genere
- Sul lavoro
Classi di età
0-17
18-24
25-34
35-45
46-59
60-69
70+
Totale
Genere
Maschi
N.casi
21
50
74
101
141
18
3
408
% casi colonna
5,1%
12,3%
18,1%
24,8%
34,6%
4,4%
,7%
100,0%
76
Femmine
N.casi
7
4
8
12
12
1
0
44
% casi colonna
15,9%
9,1%
18,2%
27,3%
27,3%
2,3%
,0%
100,0%
Tab. 15.2
TCE-descrizione evento
traumatico per età e
genere - In ambiente
domestico
Classi di età
0-17
18-24
25-34
35-45
46-59
60-69
70+
Totale
Tab. 15.4
TCE-descrizione evento
traumatico per età e
genere - Da violenza altrui
Classi di età
N.casi
0-17
18-24
25-34
35-45
46-59
60-69
70+
Totale
Tab. 15.3
TCE-descrizione evento
traumatico per età e
genere - Da traffico
Classi di età
Genere
Maschi
0-17
18-24
25-34
35-45
46-59
60-69
70+
Totale
210
17
18
37
57
75
183
597
Femmine
% casi colonna
35,2%
2,8%
3,0%
6,2%
9,5%
12,6%
30,7%
100,0%
N.casi
184
12
18
26
43
60
424
767
% casi colonna
24,0%
1,6%
2,3%
3,4%
5,6%
7,8%
55,3%
100,0%
Genere
Maschi
N.casi
241
218
223
218
156
94
144
1294
Femmine
% casi colonna
18,6%
16,8%
17,2%
16,8%
12,1%
7,3%
11,1%
100,0%
N.casi
95
93
57
68
79
46
89
527
% casi colonna
18,0%
17,6%
10,8%
12,9%
15,0%
8,7%
16,9%
100,0%
Genere
Maschi
N.casi
27
65
66
41
17
11
4
231
% casi colonna
11,7%
28,1%
28,6%
17,7%
7,4%
4,8%
1,7%
100,0%
77
Femmine
N.casi
0
4
6
9
8
4
4
35
% casi colonna
,0%
11,4%
17,1%
25,7%
22,9%
11,4%
11,4%
100,0%
Il successivo graf. 8 mostra come, con l'età, variino anche le cause di traumatismo. I traumi da
incidente stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente rilevante nell’età
compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le femmine. Nell'età infantile e nell'età senile
risultano prevalenti gli infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini in età
compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste evidenze appaiono importanti in
un’ottica di pianificazione di interventi di prevenzione.
Graf.8 Distr. Freq. tipologia traumatismi per età e sesso
78
Descrizione soggetti per condizione lavorativa
Le tabelle successive (tab. 16.x) mostrano la distribuzione dei soggetti per condizione lavorativa
per le GCA in totale e per singola tipologia, nei due generi; il dato rilevato è relativo al primo
ricovero in assoluto dei soggetti nell’arco dell’intero sessennio. I dati relativi alla condizione
lavorativa sono coerenti con quanto ci si attenderebbe sulla base della distribuzione per età già
presentata. Di particolare interesse, per i TCE (tab. 16.2), la notazione che per gli uomini la
prevalenza maggiore si riscontri nelle categorie “operai/salariati agricoli”, “bambini/studenti” e
“pensionati/invalidi”, identificando nuovamente gli incidenti stradali, gli infortuni lavorativi e gli
incidenti domestici come momenti critici su cui intervenire come prevenzione primaria.
Genere
16.1
GCA totali- condizione
lavorativa al momento del
primo ricovero
Maschi
Femmine
% casi
% casi
colonna
N
Totale
colonna
N
% casi
colonna
N
1-Imprenditore/Dirigente
318
2,8%
31
,4%
349
1,8%
2-Impiegato/Insegnante
312
2,7%
221
2,6%
533
2,7%
3-Artigiano/Coltivatore
486
4,2%
66
,8%
552
2,8%
1827
15,9%
371
4,4%
2198
11,1%
18
,2%
13
,2%
31
,2%
10
,1%
1151
13,8%
1161
5,8%
6535
56,7%
5572
66,6%
12107
60,9%
683
5,9%
289
3,5%
972
4,9%
1337
11,6%
649
7,8%
1986
10,0%
11526
100,0%
8363
100,0%
19889
100,0%
diretto
4-Operaio/Salariato
agricolo
5-Altra condizione
lavorativa
6-Casalinga
7-Pensionato/Invalido
8-Disoccupato/in cerca di
prima occup.
9-Studenti/Scolari/Bambini
Totale
79
Genere
16.2
TCE - condizione lavorativa
al momento del primo
ricovero
Maschi
Femmine
% casi
colonna
N
Totale
% casi
colonna
N
% casi
colonna
N
1-Imprenditore/Dirigente
127
2,6%
12
,4%
139
1,8%
2-Impiegato/Insegnante
192
3,9%
124
4,6%
316
4,2%
3-Artigiano/Coltivatore diretto
258
5,3%
33
1,2%
291
3,9%
4-Operaio/Salariato agricolo
1376
28,2%
238
8,9%
1614
21,4%
5-Altra condizione lavorativa
14
,3%
6
,2%
20
,3%
1
,0%
312
11,6%
313
4,1%
1195
24,5%
1200
44,8%
2395
31,7%
418
8,6%
134
5,0%
552
7,3%
9-Studenti/Scolari/Bambini
1291
26,5%
621
23,2%
1912
25,3%
Totale
4872
100,0%
2680
100,0%
7552
100,0%
6-Casalinga
7-Pensionato/Invalido/Inabile
8-Disoccupato/in cerca di
prima occup.
80
16.3
GCA
Emorragiche/Anossiche condizione lavorativa al
momento del primo ricovero
Genere
Maschi
Femmine
% casi
colonna
N
Totale
% casi
colonna
N
% casi
colonna
N
1-Imprenditore/Dirigente
42
3,0%
7
,5%
49
1,8%
2-Impiegato/Insegnante
34
2,4%
43
3,3%
77
2,8%
3-Artigiano/Coltivatore diretto
52
3,7%
12
,9%
64
2,4%
4-Operaio/Salariato agricolo
152
10,9%
57
4,3%
209
7,7%
5-Altra condizione lavorativa
0
,0%
3
,2%
3
,1%
6-Casalinga
2
,1%
211
16,0%
213
7,9%
989
71,2%
896
68,1%
1885
69,7%
84
6,0%
68
5,2%
152
5,6%
35
2,5%
18
1,4%
53
2,0%
1390
100,0%
1315
100,0%
2705
100,0%
7-Pensionato/Invalido/Inabile
8-Disoccupato/in cerca di
prima occup.
9-Studenti/Scolari/Bambini
Totale
81
Genere
16.4
GCA Ischemiche condizione lavorativa al
momento del primo ricovero
Maschi
Femmine
% casi
colonna
N
Totale
% casi
colonna
N
% casi
colonna
N
1-Imprenditore/Dirigente
149
2,8%
12
,3%
161
1,7%
2-Impiegato/Insegnante
86
1,6%
54
1,2%
140
1,5%
3-Artigiano/Coltivatore diretto
176
3,3%
21
,5%
197
2,0%
4-Operaio/Salariato agricolo
299
5,7%
76
1,7%
375
3,9%
5-Altra condizione lavorativa
4
,1%
4
,1%
8
,1%
6-Casalinga
7
,1%
628
14,4%
635
6,6%
4351
82,7%
3476
79,6%
7827
81,3%
181
3,4%
87
2,0%
268
2,8%
11
,2%
10
,2%
21
,2%
5264
100,0%
4368
100,0%
9632
100,0%
7-Pensionato/Invalido/Inabile
8-Disoccupato/in cerca di
prima occup.
9-Studenti/Scolari/Bambini
Totale
82
Descrizione Reparto Accettazione e Dimissione
Le distribuzioni di frequenza relative al reparto di accettazione e dimissione dei pazienti sono
naturalmente determinate dalla situazione in essere: il momento iniziale, l’andamento del ricovero
rispetto al caso specifico (trasferimenti interni, trasferimenti ad altre strutture meglio attrezzate,
etc.), le diverse modalità di dimissione, i casi in cui si rendano necessari ricoveri successivi al
primo ricovero post-evento per la stabilizzazione di situazioni particolari.
Reparto Accettazione
Tab. 17.1
Tipo di GCA: TCE
N
32-NEUROLOGIA
39-PEDIATRIA
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
38-OTORINOLARINGOIATRIA,
AUDIOLOGIA
30-NEUROCHIRURGIA
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
26-MEDICINA GENERALE (NON
ALTRIMENTI SPECIFICATA)
36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
ALTRI REPARTI
Totale
83
1651
1145
990
% casi colonna
19,4%
13,5%
11,6%
781
773
9,2%
9,1%
727
655
8,6%
7,7%
627
7,4%
558
422
170
8499
6,6%
5,0%
2,0%
100,0%
Tab. 17.2
Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche
N
32-NEUROLOGIA
30-NEUROCHIRURGIA
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
26-MEDICINA GENERALE (NON
ALTRIMENTI SPECIFICATA)
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
75-NEURO-RIABILITAZIONE
60-RIABILITAZIONE GENERALE E
GERIATRICA
ALTRI REPARTI
Totale
Tab. 17.3
Tipo di GCA: GCA Ischemiche
1124
739
670
% casi colonna
32,0%
21,0%
19,1%
597
17,0%
225
22
19
6,4%
,6%
,5%
115
3511
3,3%
100,0%
N
32-NEUROLOGIA
26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI
SPECIFICATA)
14-CHIRURGIA VASCOLARE
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
08-CARDIOLOGIA
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
30-NEUROCHIRURGIA
60-RIABILITAZIONE GENERALE E
GERIATRICA
ALTRI REPARTI
Totale
84
% casi colonna
4647
3118
41,4%
27,8%
2350
349
20,9%
3,1%
326
75
2,9%
,7%
69
47
31
,6%
,4%
,3%
210
11222
1,9%
100,0%
Tab. 17.4
Tipo di GCA: Totale
N
32-NEUROLOGIA
26-MEDICINA GENERALE (NON
ALTRIMENTI SPECIFICATA)
14-CHIRURGIA VASCOLARE
30-NEUROCHIRURGIA
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
39-PEDIATRIA
38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
ALTRI REPARTI
Totale
% casi colonna
7422
4342
31,9%
18,7%
2351
1513
1400
10,1%
6,5%
6,0%
1356
5,8%
1158
788
781
716
1405
23232
5,0%
3,4%
3,4%
3,1%
6,0%
100,0%
Reparto Dimissione
Tab. 17.5
Tipo di GCA: TCE
N
% casi colonna
32-NEUROLOGIA
1720
20,2%
39-PEDIATRIA
1182
13,9%
30-NEUROCHIRURGIA
1000
11,8%
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
973
11,4%
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
805
9,5%
38-OTORINOLARINGOIATRIA,
AUDIOLOGIA
775
9,1%
26-MEDICINA GENERALE (NON
ALTRIMENTI SPECIFICATA)
636
7,5%
36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA
600
7,1%
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
422
5,0%
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
202
2,4%
ALTRI REPARTI
Totale
85
184
2,2%
8499
100,0%
Tab. 17.6
Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche
N
1175
% casi colonna
33,5%
30-NEUROCHIRURGIA
963
27,4%
26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI
SPECIFICATA)
584
16,6%
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
419
11,9%
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
225
6,4%
75-NEURO-RIABILITAZIONE
22
,6%
60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA
19
,5%
08-CARDIOLOGIA
15
,4%
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
13
,4%
ALTRI REPARTI
76
2,2%
3511
100,0%
32-NEUROLOGIA
4755
% casi colonna
42,4%
26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI
SPECIFICATA)
3044
27,1%
14-CHIRURGIA VASCOLARE
32-NEUROLOGIA
Totale
Tab. 17.7
Tipo di GCA: GCA Ischemiche
N
2404
21,4%
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
332
3,0%
08-CARDIOLOGIA
332
3,0%
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
69
,6%
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
63
,6%
30-NEUROCHIRURGIA
40
,4%
60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA
31
,3%
152
1,4%
11222
100,0%
ALTRI REPARTI
Totale
86
Tab. 17.8
Tipo di GCA: Totale
32-NEUROLOGIA
N
7650
% casi colonna
32,9%
26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI
SPECIFICATA)
4264
18,4%
14-CHIRURGIA VASCOLARE
2406
10,4%
30-NEUROCHIRURGIA
2003
8,6%
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA
CHIRURGIA URGENZA)
1318
5,7%
39-PEDIATRIA
1198
5,2%
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
805
3,5%
38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA
783
3,4%
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA
716
3,1%
49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E
RIANIMAZIONE
684
2,9%
ALTRI REPARTI
Totale
1405
6,0%
23232
100,0%
I decessi
L’analisi dei decessi connessi ad una GCA è di notevole rilevanza, soprattutto se si consideri che,
in particolare per i TCE, è riconosciuto un peso decisivo come causa di morte nelle classi di età; La
lesione traumatica rappresenta infatti la prima causa di morte e di invalidità nell’infante e nei
giovani adulti (15-45 anni).
I decessi intra-ospedalieri in fase acuta
In questo paragrafo si descrivono i decessi avvenuti in sede di ricovero. La tabella 18.1 descrive, in
termini assoluti e percentuali, i decessi dichiarati come “tipo di dimissione” avvenuti in sede di
ricovero (numerosità 1837, pari a 7,9%). La tab. 18.2 mostra come l’87,6% di questi decessi
(numerosità pari a 1610) sia avvenuto durante il ricovero incidente, mentre la tabella 18.3 evidenzia
una sostanziale continuità nel trend delle quote percentuali di decessi tra il ricovero incidente e gli
eventuali ricoveri successivi nel corso dei sei anni analizzati.
La tab. 18.4, che analizza la distribuzione per classi di età, pone in luce come il fenomeno del
decesso durante un ricovero ripetuto sia, almeno in parte, correlabile all’avanzare dell’età, mentre il
87
decesso intra-ospedaliero durante il ricovero incidente (primo ricovero), sia pur nell’ambito di valori
costantemente elevati, è in qualche misura prevalente nelle classi di età giovani-adulte.
La tabella 18.5 descrive le quote di decessi intra-ospedalieri relativamente ai tre diversi gruppi di
GCA: il livello di decesso più elevato è presente nei ricoveri per GCA Emorragiche/Anossiche
(23%).
Tab. 18.1
Decesso in sede di
ricovero
Frequenza
21395
Percentuale
92,1
decesso
1837
7,9
Totale
23232
100,0
Non deceduto
Tab. 18.2
Decesso in sede di
ricovero –confronto
ricoveri incidenti ed
eventuali ricoveri
successivi
Ricovero ripetuto
decesso
no
si
% casi
N
colonna
Totale
% casi
colonna
N
% casi
N
colonna
3036
14,2%
227
12,4%
3263
14,0%
Ricovero incidente
18359
85,8%
1610
87,6%
19969
86,0%
Totale
21395
100,0%
1837
100,0%
23232
100,0%
88
Tab. 18.3
Decesso in sede di
ricovero –confronto
ricoveri incidenti ed
eventuali ricoveri
successivi per anno
di dimissione
Anno
Decesso durante:
Ricovero ripetuto
Ricovero incidente
Totale
% casi
N
% casi riga
N
riga
N
% casi riga
2006
27
9,1%
269
90,9%
296
100,0%
2007
32
10,8%
264
89,2%
296
100,0%
2008
39
12,1%
284
87,9%
323
100,0%
2009
29
8,9%
298
91,1%
327
100,0%
2010
45
15,6%
243
84,4%
288
100,0%
2011
55
17,9%
252
82,1%
307
100,0%
Totale
227
12,4%
1610
87,6%
1837
100,0%
Tab. 18.4
Decesso in sede di
ricovero –confronto
ricoveri incidenti ed
eventuali ricoveri
successivi per classi
di età
Classi di età 0-17
Decesso durante:
Ricovero ripetuto
N
Ricovero incidente
% casi riga
N
% casi riga
Totale
N
% casi riga
0
,0%
6
100,0%
6
100,0%
18-24
1
9,1%
10
90,9%
11
100,0%
25-34
1
5,0%
19
95,0%
20
100,0%
35-45
3
7,7%
36
92,3%
39
100,0%
46-59
20
14,1%
122
85,9%
142
100,0%
60-69
34
16,0%
179
84,0%
213
100,0%
70+
168
11,9%
1238
88,1%
1406
100,0%
Totale
227
12,4%
1610
87,6%
1837
100,0%
89
Tab. 18.5
Decesso in sede di ricovero –confronto
tipologia GCA
Tipo di GCA:
Decesso intra-ospedaliero
no
N
si
% casi riga
N
% casi riga
TCE
8245
97,0%
254
3,0%
GCA
2702
77,0%
809
23,0%
GCA Ischemiche
10448
93,1%
774
6,9%
Totale
21395
92,1%
1837
7,9%
Emorragiche/Anossiche
I decessi nei ricoveri incidenti
Nelle tabelle 18.6, 18.7, 18.8 e 18.9 sono presentati i dati relativi ai decessi intra-ospedalieri, per i
1610 soggetti incidenti, nei tre gruppi, rispetto alle classi di età e per genere.
Tab. 18.6
GCA totali
Decesso in sede di
ricovero incidente–
confronto per genere e
classi di età
Classi di
età
Genere
Maschi
Femmine
Totale
6
% casi
colonna
,4%
,2%
10
,6%
5
,6%
19
1,2%
3,0%
12
1,5%
36
2,2%
82
10,1%
40
5,0%
122
7,6%
60-69
112
13,9%
67
8,4%
179
11,1%
70+
563
69,7%
675
84,2%
1238
76,9%
Totale
808
100,0%
802
100,0%
1610
100,0%
1
% casi
colonna
,1%
1,0%
2
14
1,7%
35-45
24
46-59
0-17
5
% casi
colonna
,6%
18-24
8
25-34
N
N
90
N
Tab. 18.7
TCE Decesso in sede
di ricovero incidente–
confronto tipologia
GCA per genere e
classi di età
Classi di
età
Maschi
Femmine
Totale
5
% casi
colonna
2,5%
,0%
5
2,5%
2
2,7%
11
5,4%
5,5%
1
1,4%
8
4,0%
20
15,6%
2
2,7%
22
10,9%
60-69
19
14,8%
6
8,1%
25
12,4%
70+
64
50,0%
62
83,8%
126
62,4%
128
100,0%
74
100,0%
202
100,0%
1
% casi
colonna
1,4%
3,9%
0
9
7,0%
35-45
7
46-59
0-17
4
% casi
colonna
3,1%
18-24
5
25-34
Totale
Tab. 18.8
GCA
Emorragiche/Anossiche
Decesso in sede di
ricovero incidente –
confronto tipologia
GCA per genere e
classi di età
Classi di età
Genere
N
N
N
Genere
Maschi
Femmine
Totale
1
% casi
colonna
,1%
,6%
5
,7%
3
,9%
8
1,1%
4,0%
11
3,2%
26
3,6%
47
12,4%
28
8,1%
75
10,3%
60
15,8%
40
11,6%
100
13,8%
70+
248
65,4%
262
75,7%
510
70,3%
Totale
379
100,0%
346
100,0%
725
100,0%
0
% casi
colonna
,0%
,8%
2
5
1,3%
35-45
15
46-59
60-69
0-17
1
% casi
colonna
,3%
18-24
3
25-34
N
91
N
N
Tab. 18.9
Genere
GCA Ischemiche
Decesso in sede di
ricovero incidente –
confronto tipologia
GCA per genere e
classi di età
Classi di
età
Maschi
Femmine
0-17
0
% casi
colonna
,0%
18-24
0
25-34
Totale
0
% casi
colonna
,0%
0
% casi
colonna
,0%
,0%
0
,0%
0
,0%
0
,0%
0
,0%
0
,0%
35-45
2
,7%
0
,0%
2
,3%
46-59
15
5,0%
10
2,6%
25
3,7%
60-69
33
11,0%
21
5,5%
54
7,9%
70+
251
83,4%
351
91,9%
602
88,1%
Totale
301
100,0%
382
100,0%
683
100,0%
N
N
N
I decessi in fase post-ricovero
Una seconda modalità di analisi dei decessi è relativa alla valutazione complessiva della mortalità
dei soggetti anche extra ricovero, definendo come parametro di interesse l’intervallo temporale (in
giorni) trascorso tra la data del ricovero incidente e l’eventuale decesso. Lo scopo di questo
paragrafo è sostanzialmente descrittivo, non essendo disponibili, nei dati di routine, un singolo
indice o un insieme di elementi che possano fungere da fattori prognostici predittivi di mortalità a
distanza.
Alla conclusione del periodo di identificazione dei soggetti, ricostruita l’esistenza in vita dal 1
gennaio 2006 al 31 dicembre 2011 attraverso il match dei soggetti con la fonte dati “Anagrafe
Assistiti Regionale”, si può vedere dalla tabella 19.1 come il 20,5% sia deceduto. La tabella 19.2
descrive il medesimo parametro per le singole GCA. Le GCA Emorragiche/Anossiche, come
previsto, costituiscono la causa in cui la mortalità è maggiore. Nelle tab. 19.3-19.6 sono presentati
questi dati per età e genere, sia totali, sia per tipologia di GCA.
92
Tab. 19.1
Decessi sui soggetti singolarmente
identificati
Frequenza
Vivi
Percentuale
15871
79,5
4098
20,5
19969
100,0
Deceduti
Totale
flag decesso
Tab. 19.2
Decessi sui soggetti identificati per tipo
di GCA
Tipo di GCA:
vivo
N
deceduto
% casi riga
N
% casi riga
TCE
6960
91,6%
642
8,4%
GCA
1607
59,1%
1110
40,9%
7304
75,7%
2346
24,3%
15871
79,5%
4098
20,5%
Emorragiche/Anossiche
GCA Ischemiche
Totale
Tab. 19.3
Decessi sui soggetti identificati per
età e genere
Genere
Maschi
Femmine
% casi
colonna
8
,4%
N
% casi
N
colonna
1
,0%
Totale
N
% casi
colonna
9
,2%
Classi 0-17
di età 18-24
9
,4%
25-34
23
1,1%
7
,3%
30
,7%
35-45
36
1,8%
20
1,0%
56
1,4%
46-59
153
7,6%
63
3,0%
216
5,3%
60-69
299
14,9%
143
6,8%
442
10,8%
70+
1477
73,7%
1856
88,7%
3333
81,3%
Totale
2005 100,0%
93
3
,1%
2093 100,0%
12
,3%
4098 100,0%
Tab. 19.4
TCE Decessi sui soggetti identificati
per tipo GCA, età e genere
Genere
Maschi
Femmine
% casi
colonna
5
1,5%
N
N
% casi
colonna
1
,3%
Totale
N
% casi
colonna
6
,9%
Classi 0-17
di età 18-24
6
1,8%
0
,0%
6
,9%
25-34
18
5,3%
4
1,3%
22
3,4%
35-45
12
3,5%
3
1,0%
15
2,3%
46-59
39
11,5%
4
1,3%
43
6,7%
60-69
44
12,9%
15
5,0%
59
9,2%
70+
216
63,5%
275
91,1%
491
76,5%
Totale
340 100,0%
Tab. 19.5
GCA Emorragiche/Anossiche
Decessi sui soggetti identificati per
tipo GCA, età e genere
302 100,0%
642 100,0%
Genere
Maschi
N
Femmine
% casi
colonna
3
,5%
N
% casi
colonna
0
,0%
Totale
N
% casi
colonna
3
,3%
Classi 0-17
di età 18-24
3
,5%
3
,6%
6
,5%
25-34
5
,9%
3
,6%
8
,7%
35-45
18
3,1%
14
2,6%
32
2,9%
46-59
66
11,5%
42
7,8%
108
9,7%
60-69
104
18,2%
61
11,4%
165
14,9%
70+
374
65,3%
414
77,1%
788
71,0%
Totale
573 100,0%
94
537 100,0%
1110 100,0%
Tab. 19.6
GCA Ischemiche Decessi sui
soggetti identificati per tipo GCA, età
e genere
Genere
Maschi
Femmine
% casi
colonna
0
,0%
N
N
% casi
colonna
0
,0%
Totale
N
% casi
colonna
0
,0%
Classi 0-17
di età 18-24
0
,0%
0
,0%
0
,0%
25-34
0
,0%
0
,0%
0
,0%
35-45
6
,5%
3
,2%
9
,4%
46-59
48
4,4%
17
1,4%
65
2,8%
60-69
151
13,8%
67
5,3%
218
9,3%
70+
887
81,2%
1167
93,1%
2054
87,6%
Totale
1092 100,0%
1254 100,0%
2346 100,0%
Le tabelle 19.7 e 19.8 sintetizzano l’andamento della mortalità per cut-off temporali dei pazienti
identificati come deceduti, a partire dalla mortalità intra-ricovero fino alla mortalità oltre l’anno
successivo alla data di primo ricovero.
Si sottolinea l’elevatissima quota di decessi entro le prime due settimane (già evidenziata
dall’analisi dei decessi entro ricovero) per le GCA Emorragiche (62,4%). In generale, la quota
maggiore di decessi avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per crescere
ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente. Il dato si stabilizza, con incrementi
contenuti, entro il primo anno. Una valutazione più dettagliata è presentata nel paragrafo
successivo.
95
Tab. 19.7
Andamento cumulativo
decessi sui soggetti
identificati per tipo
GCA per cut-off
temporali
decesso entro 2
settimane
decesso da 2 sett a 1
mese
decesso entro 2 mesi
decesso entro 6 mesi
decesso da 6 mesi a 1
anno
decesso da 1 a 2 anni
decesso oltre 2 anni
Tipo di GCA:
GCA
Emorragiche/Anossiche
TCE
Tempo
decesso
615
% cum
casi
colonna
26,20%
70,40%
800
34,10%
844
941
997
76,00%
84,70%
89,70%
1004
1391
1629
42,80%
59,30%
69,40%
1050
1110
94,50%
99,90%
1960
2346
83,50%
100,00%
N
187
% cum
casi
colonna
29,10%
232
36,10%
782
275
365
434
42,80%
56,80%
67,50%
533
642
82,90%
99,90%
% cum casi
N
colonna
693
62,40%
Tab. 19.8
Andamento cumulativo decessi sui
soggetti identificati per per cut-off
temporali
GCA Ischemiche
vivo
N
deceduto
% casi
N
colonna
0
0,0%
vivi
N
15871
% casi
colonna
100,0%
decesso entro 2 settimane
14376
90,6%
1495
9,4%
decesso da 2 sett a 1 mese
14057
88,6%
319
11,4%
decesso entro 2 mesi
13748
86,6%
309
13,4%
decesso entro 6 mesi
13174
83,0%
574
17,0%
decesso da 6 mesi a 1 anno
12811
80,7%
363
19,3%
decesso da 1 a 2 anni
12328
77,7%
483
22,3%
decesso oltre 2 anni
11773
74,2%
555
25,8%
Totale
15871
100,0%
4098
100,0%
Analisi della sopravvivenza: differenza tra GCA
Le evidenti differenze negli andamenti della mortalità tra i gruppi di GCA meritano un
approfondimento, sia pur limitato, come già accennato, dall’impossibilità attuale di effettuare analisi
sui fattori prognostici non già presenti nei tracciati record standard utilizzati in questo studio. Si è
così effettuata un’analisi di sopravvivenza il modello di Cox per rischi proporzionali (per verificare
eventuali differenze significative tra le tre tipologie di GCA) e attraverso il metodo di Kaplan-Meier
96
(per il confronto delle sopravvivenze generali per genere e per classi di età). Il tempo massimo di
osservazione è pari a 72 mesi.
Analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA
Per l’analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA si è utilizzato un modello di Cox per rischi
proporzionali, poiché tale modello permette di valutare la significatività di eventuali differenze di
sopravvivenza tra i parametri in studio, al netto di possibili effetti di confondimento determinati da
altri fattori (in particolare, sulla base dei dati già presentati nei paragrafi precedenti, è ragionevole
attendersi un impatto importante dell’età e della gravità di presentazione del paziente al ricovero
incidente post-evento). Al fine di includere nel modello di regressione finale solo i predittori
significativi, si è fatto uso di una procedura backward di massima verosimiglianza. La
sopravvivenza maggiore (al termine dei 72 mesi di osservazione) è stata quella relativa ai casi di
TCE: 67 mesi come media. 59 mesi, invece, il relativo dato per i casi di GCA ischemica. La
mortalità maggiore si osserva nei casi di CGA emorragica/anossica: la sopravvivenza media è
infatti pari a 49 mesi, ma già esplorando il grafico 1, che mostra la distribuzione delle probabilità di
sopravvivenza per i tre tipi di GCA, si nota come solo il 25% dei pazienti sia ancora in vita a 3 mesi
dalla data indice.
Le uniche covariate significative si sono rivelate essere età (come ci si attendeva, aumentando l’età
aumenta il rischio di decesso) e genere (in parte inatteso: vi è rischio aumentato, statisticamente
significativo, nel genere femminile; ciò potrebbe essere parzialmente determinato dal peso
importante dei decessi femminili nelle GCA di tipo emorragico e di tipo ischemico). Non sembra
rivestire significato particolare sulle probabiltà di sopravvivenza, invece, la durata della degenza del
ricovero incidente (coerentemente, per certi versi, con l’evidenza già citata del fatto che uno dei
momenti in cui si addensano i decessi sono le prime due settimane dall’evento indice). La tabella
20.1, infatti, mostra una quantità di giornate di degenza maggiore per il TCE (12,6 vs 6,6) e per le
GCA Ischemiche (11.97 vs 9,04), mentre è esattamente l’opposto per le GCA emorragiche (10.6 vs
17.8).
Tab. 20.1
Media giornate di degenza per
Tipo di GCA e stato in vita
Stato in vita
vivo
deceduto
Totale
Media
Media
Media
TCE
GCA Emorragiche/Anossiche
GCA Ischemiche
Totale
97
6,64
12,61
7,14
17,85
10,61
14,90
9,04
11,97
9,75
8,88
11,70
9,46
Tab. 20.2a
Variabile di stratificazione: tipo
di GCA
Evento
TCE
Troncati (a.)
Percentuale troncati
642
6960
91,6%
GCA Emorragiche/Anossiche
1110
1607
59,1%
GCA Ischemiche
2346
7304
75,7%
4098
15871
79,5%
Totale
a. Troncati (censored): sono i casi vivi al termine del periodo di osservazione o persi al follow up
Mediaa
Tab. 20.2b
Media sopravvivenza in
Intervallo di confidenza 95%
a (limitata al tempo massimo di
mesi
osservazione se caso troncato)
per
tipo GCA
Stima
Errore std.
Limite inferiore
Limite superiore
TCE
66,92
,189
66,551
67,293
GCA Emorragiche/Anossiche
48,72
,554
47,635
49,807
GCA Ischemiche
58,52
,249
58,031
59,006
Globale
60,11
,167
59,785
60,440
98
G.1 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per tipo GCA (72 mesi di
osservazione)
Analisi di sopravvivenza per genere
Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per genere. Nel
grafico si vede molto chiaramente come già in periodo molto precoce le femmine (linea
tratteggiata) presentino una probabilità inferiore di sopravvivenza nei confronti dei maschi (linea
continua). Tale differenza è statisticamente significativa (p< 0,0001; test log-rank di Mantel-Cox).
99
Tab. 20.3
Troncati
Riepilogo
dell'elaborazione
dei casi per
Genere
Maschi
N totale
Maschi
9580
82,7%
8384
2093
6291
75,0%
19969
4098
15871
79,5%
flag decesso
vivo
N
Totale
deceduto
Totale
9580
2005
11585
82,7%
17,3%
100,0%
6291
2093
8384
% entro Genere
75,0%
25,0%
100,0%
N
15871
4098
19969
% entro Genere
79,5%
20,5%
100,0%
% entro Genere
Femmine
Percentuale
2005
Tab. 20.4
Variabile di stratificazione: genere
Genere
N
11585
Femmine
Globale
N. di eventi
N
Tab. 20.5
Media
Intervallo di confidenza 95%
sopravvivenza in
mesia (limitata al
tempo massimo di
osservazione se caso
troncato) -
Genere
Stima
Errore std.
Limite inferiore
Limite superiore
Maschi
61,06
,228
60,611
61,504
Femmine
56,13
,309
55,521
56,731
Globale
58,98
,186
58,623
59,351
100
Tab. 20.6
Test per l'uguaglianza delle
distribuzioni di sopravvivenza per i
diversi livelli di Genere.
Chi-quadrato
Log Rank (Mantel-Cox)
175,806
df
Sig
1
,0001
G.2 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per genere (72 mesi di
osservazione)
Analisi di sopravvivenza per classi di età
Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per classi di età.
Nel grafico si vede come vi siano forti differenze tra le classi d’età più avanzata e le altre; la prima
rilevante discontinuità è a partire dalla classe 46-59, per proseguire linearmente con probabilità
sempre decrescenti di sopravvivenza rispetto fino alla classe over 70. Anche in questo caso le
differenze di sopravvivenza media sono statisticamente significative (p<0,0001; test log-rank di
Mantel-Cox).
101
Tab. 20.7
Troncati
Riepilogo
dell'elaborazione
dei casi per classi
di età
N totale
N. di eventi
N
Percentuale
0-17
1753
9
1744
99,5%
18-24
874
12
862
98,6%
25-34
964
30
934
96,9%
35-45
1144
56
1088
95,1%
46-59
2050
216
1834
89,5%
60-69
2943
442
2501
85,0%
70+
10241
3333
6908
67,5%
Globale
19969
4098
15871
79,5%
Tab. 20.8
Media
Intervallo di confidenza 95%
sopravvivenza in
mesia (limitata al
tempo massimo di
osservazione se caso
troncato)
-Classi di età
Stima
Errore std.
Limite inferiore
Limite superiore
0-17
71,66
,116
71,429
71,884
18-24
71,06
,271
70,530
71,592
25-34
69,99
,368
69,267
70,710
35-45
68,67
,438
67,814
69,531
46-59
64,94
,459
64,044
65,844
60-69
62,78
,418
61,958
63,596
70+
51,39
,302
50,797
51,981
Globale
58,99
,186
58,623
59,351
102
Tab. 20.9
Test per l'uguaglianza delle
distribuzioni di sopravvivenza per i
diversi livelli di Classi di età
Log Rank (Mantel-Cox)
Chi-quadrato
df
Sig
2006,15
6
,0001
G.3 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per classi di età (72 mesi di
osservazione)
La riabilitazione in regime di ricovero
I caratteri distintivi del problema di riabilitazione del TCE sono riassunti nel documento della Giuria
della Consensus Conference a titolo “Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranioencefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi
103
appropriati - Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni” (Giornale Italiano di Medicina
Riabilitativa, 15(1), 29-42, 2001).
Viene in particolare utilizzata una definizione di Trauma Cranio Encefalico (TCE) utile sul piano
riabilitativo, in quanto sottolinea le possibili sequele disabilitanti del trauma e le sue conseguenze
sociali, ripresa dalla National Head Injury Foundation: “Il trauma cranio encefalico è un danno
cerebrale di natura non degenerativa né congenita, ma causato da una forza esterna. Tale danno
può determinare una diminuzione od una alterazione del livello di coscienza, e menomazioni a
livello cognitivo, emotivo, fisico. Tali menomazioni possono essere temporanee o permanenti e
determinare disabilità parziale o completa e/o difficoltà di adattamento psicosociale”.
Il percorso del TCE viene di norma suddiviso in diverse fasi temporali, che, unitamente alle
categorie del modello ICIDH (classificazione delle conseguenze degli eventi morbosi della
Organizzazione Mondiale della Sanità nelle dimensioni principali di: Danno, Menomazione,
Disabilità ed Handicap) costituiscono una utile griglia di riferimento per la pianificazione e la
realizzazione degli interventi riabilitativi (vedi tabella 19).
Le tre fasi principali sono la fase acuta (o rianimatoria, e/o neurochirurgica), la fase post-acuta (o
riabilitativa) e la fase degli esiti. Nell'ambito della fase post-acuta, o riabilitativa, è possibile fare una
ulteriore distinzione fra fase post-acuta precoce, assimilabile alla fase denominata “acute
rehabilitation” della letteratura anglosassone, e fase post-acuta tardiva. Di regola, nella fase postacuta precoce gli interventi sono svolti in regime di ricovero, in strutture di riabilitazione intensiva,
come le strutture di riabilitazione di III livello (Unità di alta specialità riabilitativa per le Gravi
Cerebrolesioni) o le strutture di riabilitazione di II livello (De Tanti A., Gatta G., Emanuel C., Actis
M.V, et al. La Riabilitazione della Grave Cerebrolesione. Conferenza di Consensus. Documento
del Gruppo di Lavoro Medico, Modena, 2000 (www.simfer.it).
104
Tabella 21.1
Percorso riabilitativo del Trauma Cranio-Encefalico nelle diverse fasi temporali.
FASE
DIMENSIONE DI
MAGGIORE
INTERESSE
DURATA
STRUTTURE OVE
SI EFFETTUANO
GLI INTERVENTI
ACUTA
Dal momento del
trauma fino alla
risoluzione delle
problematiche
rianimatorie e
neurochirurgiche
DANNO
x
Da alcune
ore ad alcune
x
settimane
x
MENOMAZIONE
Dalla
stabilizzazione
delle funzioni
vitali al
raggiungimento
del massimo
livello di
autonomia
primaria
x
MENOMAZIONE
Da alcune
settimane ad
alcuni mesi
(ABILITA’)
x
POST-ACUTA O
RIABILITATIVA
x
105
x
Supporto agli
interventi
rianimatori e
neurochirurgici
nella prevenzione
del danno
secondario
x
Minimizzazione
delle menomazioni
x
Facilitazione della
ripresa di contatto
ambientale
x
Trattamento delle
menomazioni
x
Minimizzazione
della disabilità
residua
x
Attività di Vita
Quotidiana
Primarie
x
Informazione e
addestramento
alla gestione delle
problematiche
disabilitanti
x
Minimizzazione
della disabilità
Rianimazione
Neurochirurgia
Unità per acuti
POST-ACUTA O
RIABILITATIVA
1. PRECOCE
FINALITA’
PRINCIPALI DEGLI
INTERVENTI
RIABILITATIVI
Unità di
Riabilitazione
Intensiva
(specializzata
e non)
Unità di
Riabilitazione
Estensiva
Unità di
Riabilitazione
2. TARDIVA
Dal livello di
autonomia
primaria al
raggiungimento
del massimo
livello di
autonomia
secondaria
(MENOMAZIONE)
Intensiva
(specializzata)
Da alcuni
a vari mesi
ABILITA’
x
Unità di
Riabilitazione
Estensiva
residua
x
Attività di Vita
Quotidiana
Secondarie
x
Informazione e
addestramento
alla gestione delle
problematiche
disabilitanti
Alla luce di queste definizioni, è opportuno definire quali siano le fonti dati routinariamente
interrogabili dall’ASL (in Regione Lombardia) per costruire un quadro statistico su questo tema
(tabella 21.2).
Tab. 21.2
Fonti dati ASL rispetto alla fase
FASE
ACUTA
POST-ACUTA O
RIABILITATIVA
1. PRECOCE
POST-ACUTA O
RIABILITATIVA
2. TARDIVA
STRUTTURE OVE SI
EFFETTUANO GLI
INTERVENTI
Rianimazione
Neurochirurgia
Unità per acuti
Unità di Riabilitazione
Intensiva (specializzata e non)
Unità di Riabilitazione
Estensiva
Unità di Riabilitazione
Intensiva (specializzata e non)
Unità di Riabilitazione
Estensiva
FONTE DATI ASL
Archivio SDO
Archivio SDO
Archivio SDO-FAM
Archivio RIA-FAM
Archivio SDO
Archivio SDO-FAM
Archivio RIA-FAM
La terza fase sopra definita, legata agli esiti (outcome), richiede, al momento, l’implementazione di
studi ad hoc, non essendo tracciabile da nessun tipo di archivio routinario.
Nella nostra osservazione, limitata alla fase di ricovero, sono stati individuati 1137 pazienti, pari al
5,7% complessivo, avviati, post-dimissione, verso un percorso riabilitativo (tab. 21.3). Ciò
corrisponde ad un tasso di 21 per 100.000 abitanti/anno.
106
La tab. 21.4 mostra la distribuzione per genere (4,9% nei maschi rispetto a 6,8% nelle femmine),
mentre la successiva tab. 21.5 descrive la distribuzione per classi di età (la distribuzione per età di
questi soggetti è rappresentata anche nel grafico 4). In tabella 21.6 viene definita la distribuzione
per gruppo di GCA.
Tab. 21.3
Freq. soggetti in riabilitazione post-dimissione
Frequenza
Altro tipo di dimissione
Dimissione in riabilitazione
Totale
Tab. 21.4
Freq. dimissione
soggetti in
riabilitazione per
genere
Genere Maschi
Femmine
Totale
Percentuale
18832
94,3
1137
5,7
19969
100,0
Dimissione in
Altro tipo dimissione
N
riabilitazione
% casi riga
N
Totale
% casi riga
N
% casi riga
11015
95,1%
570
4,9%
11585
100,0%
7817
93,2%
567
6,8%
8384
100,0%
18832
94,3%
1137
5,7%
19969
100,0%
107
Tab. 21.6
Freq. dimissione soggetti in
riabilitazione per classi di età
Altro tipo
Dimissione in
dimissione
riabilitazione
% casi
N
riga
Totale
% casi
N
riga
% casi
N
riga
Classi di
0-17
1745
99,5%
8
,5%
1753
100,0%
età
18-24
864
98,9%
10
1,1%
874
100,0%
25-34
941
97,6%
23
2,4%
964
100,0%
35-45
1109
96,9%
35
3,1%
1144
100,0%
46-59
1945
94,9%
105
5,1%
2050
100,0%
60-69
2799
95,1%
144
4,9%
2943
100,0%
70+
9429
92,1%
812
7,9%
10241
100,0%
18832
94,3%
1137
5,7%
19969
100,0%
Totale
Tab. 21.5
Freq. dimissione soggetti
incidenti in riabilitazione per
tipo GCA
Altro tipo
Dimissione in
dimissione
riabilitazione
% casi
Totale
% casi
N
riga
TCE
7448
98,0%
154
2,0%
7602
100,0%
GCA Emorragiche
2501
92,1%
216
7,9%
2717
100,0%
GCA Ischemiche
8883
92,1%
767
7,9%
9650
100,0%
18832
94,3%
1137
5,7%
19969
100,0%
Totale
108
riga
% casi
N
N
riga
Graf. 4 Distr. Freq. per età e gruppo GCA dei pazienti inviati in riabilitazione
E’ del tutto evidente come il percorso riabilitativo, nella sua interezza, non si possa e non si debba
esaurire in questa prima analisi descrittiva. Per poter valutare adeguatamente questo tema,
tuttavia, sarà opportuno disporre di dati individuali, anche raccolti ad hoc, e non esclusivamente
derivanti dai database amministrativi.
GCA e accessi al Pronto Soccorso
L’evento acuto che determina l’inizio del percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo, conduce
pressochè sempre il paziente ad un accesso al Pronto Soccorso.
La tabella che segue mostra, per l’anno 2010, utilizzato a titolo di esempio, la dimensione
quantitativa degli accessi ai Pronto Soccorso delle strutture in provincia di Bergamo (fonte dati:
flusso di cortesia PS –Dipartimento PAC ASL di Bergamo). Il dato è dunque, in qualche misura,
109
sottostimato rispetto al dato reale, in quanto mancano le informazioni sugli assistiti dell’ASL di
Bergamo aventi avuto accesso ai PS extra-provincia.
n. accessi
Tab.22
Tasso
accesso
100.000 abitanti)
(per
N. accessi e tassi accesso a PS per tipo
GCA –anno 2010
3938
TCE
428
GCA Emorragiche/Anossiche
213
GCA Ischemiche
Totale
4579
358,4
39,0
19,4
416,8
Analisi di popolazione e analisi territoriale
L’applicazione dei dati alla popolazione dei residenti in provincia di Bergamo ha portato alla
definizione dei principali indicatori epidemiologici di popolazione per le GCA totali e per i tre gruppi
distinti. Il calcolo delle stime di sopravvivenza alle coorti dei casi incidenti annui ha permesso
inoltre di produrre i rapporti di prevalenza (gli indicatori sono per 100.000 residenti). Le tabelle che
seguono presentano quindi i tassi di incidenza e di ricovero negli anni in osservazione (e le relative
medie annue) e, infine, il rapporto di prevalenza puntuale al 31/12/2011.
Il grafico 5 evidenzia una sostanziale diminuzione dei tassi di incidenza complessiva nel sessennio
osservato. Tale trend in decremento appare discretamente importante nelle GCA Ischemiche e nei
TCE, mentre si configura un trend sostanzialmente stabile nelle GCA Emorragiche.
Tab. 23.1
GCA COMPLESSIVE
Anno
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Media annua
Prevalenza a fine 2011
Tasso Incidenza
Tasso ricovero
393,2
384,8
364,5
342,4
335,7
334,4
359,2
358,9
337,2
313,7
289,7
280,3
273,8
308,9
1428,8
110
Tab. 23.2
TCE
Anno
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Media annua
Prevalenza a fine 2011
Tasso Incidenza
Tasso ricovero
148,4
147,5
135,6
129,1
115,1
113,3
131,5
137,2
133,8
121,0
114,5
101,2
98,4
117,7
626,8
Tab. 23.3
GCA Emorragiche/Anossiche
Anno
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Media annua
Prevalenza a fine 2011
Tasso Incidenza
Tasso ricovero
54,9
50,7
52,0
54,8
56,3
56,3
54,2
45,7
41,6
40,9
42,1
41,1
40,3
42,0
144,5
Tab. 23.4
GCA Ischemiche
Anno
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Media annua
Prevalenza a fine 2011
Tasso Incidenza
Tasso ricovero
189,9
186,6
177,0
158,5
164,2
164,7
173,5
176,0
161,8
151,8
133,1
138,0
135,1
149,3
657,5
111
400,0
Incidenza TCE (x 100.000/anno)
Incidenza GCA Emorr (x 100.000/anno)
Incidenza GCA Ischem (x 100.000/anno)
Incidenza GCA totale/anno (x 100.000)
350,0
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Grafico 5. Trend temporale tassi incidenza GCA complessive e singole tipologie
Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di gca ed analisi dei cluster
La sorveglianza “spaziale” nasce con lo scopo ultimo di ottenere un’informazione sintetica ed
efficiente in base ai dati provenienti dagli indicatori statistici più adeguati rispetto al fenomeno in
studio e dalla prossimità geografica, producendo mappe relative a qualunque evento di natura
sanitaria, come la mortalità o i ricoveri o altro, purchè “georeferenziabile” (Kulldorff M, William FA,
Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan statistic and brain
cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998; 8(9): 1377-1380).
L’interpretazione dei dati geografici (al di là di problemi tecnici quali il tipo di statistiche da utilizzarsi
e le loro proprietà, la definizione delle aree, la scala, lo schema colorimetrico, etc.), coinvolge la
definizione di almeno tre problematiche:
x La casualità o meno nella differenza dei tassi rilevati in aree diverse.
x La definizione di aree ad alto o basso rischio.
112
x
L’esistenza o meno di aggregati anomali di casi di patologia (“detection of cluster”) o
viceversa di un certo pattern che esprima la tendenza ad una aggregazione spaziale
particolare (“clustering”).
E’ dunque apparso interessante procedere, sulla distribuzione territoriale dei casi, ad una
valutazione più approfondita della possibile aggregazione (cluster) dei casi stessi.
“Cluster”: nell’accezione ormai comunemente accettata in ambito epidemiologico, indica
un’aggregazione inusuale di casi di patologie relativamente poco comuni (Last, 1988).
Le caratteristiche iniziali di un cluster sono generalmente individuate dalla seguente lista:
x è presente un evento sanitario “definibile”;
x sono presenti (di solito) almeno due casi del suddetto evento;
x è presente (o è percepita come tale da chi sospetta il cluster, in inglese definito “informant”)
una vicinanza dei casi rispetto all’area spaziale e/o ad un periodo temporale;
x si sospetta una potenziale esposizione, ed una presunta correlazione tra l’esposizione e
l’evento;
x la situazione è di solito inusuale o inaspettata;
x l’“informant” o la comunità interessata richiedono spiegazioni sull’evento sanitario.
Tre tipologie di cluster sono generalmente riportate:
x cluster temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo definito
di tempo;
x cluster spaziali (“hot spots”) – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un’area
definita;
x cluster spazio-temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo
definito di tempo, in una certa area definita.
L’investigazione di un sospetto cluster, in particolare di eventi relativi a patologie cronicodegenerative o più genericamente non trasmissibili, quali patologie oncologiche o malformazioni
congenite, è sempre un processo complesso, che richiede un uso intenso di risorse, un’accurata
pianificazione ed un’attenta valutazione sia della metodologia da applicarsi che della gestione dei
risultati ottenuti. Particolarmente delicato è il trattare l’argomento rispetto al pubblico ed ai media.
Il processo di investigazione di un cluster si dovrebbe sviluppare in almeno quattro fasi:
1. Valutazione preliminare di un presunto cluster.
2. Verifica del/dei caso/casi indice e delle relative sospette esposizioni .
3. Individuazione completa dei casi (Full Case Ascertainment).
4. Studio di sorveglianza o studio di epidemiologia analitica.
Ogni fase presuppone la raccolta e la validazione di dati sempre più specifici, ma ovviamente i
confini tra queste fasi sono relativi alla situazione locale in termini di esperienza e risorse
disponibili. In teoria, ogni passaggio da una fase alla successiva presuppone la stesura di un
113
rapporto che giustifichi sia la scelta di procedere, che quella di non procedere oltre. Tale rapporto
non dovrebbe avere come destinatario solo la Direzione strategica dell’area di sanità pubblica cui è
stato affidato il presunto problema, ma anche la comunità ed altri eventuali soggetti interessati.
La sequenza di fasi deve seguire i principi basilari della ricerca in epidemiologia:
x
x
x
x
x
x
x
x
stabilire l’esistenza del problema;
confermare l’omogeneità degli eventi;
raccogliere e validare i dati relativi all’evento;
caratterizzare gli eventi rispetto a fattori di tipo;
valutare patterns e trends;
formulare un’ipotesi;
verificare l’ipotesi;
scrivere un rapporto, sottoporlo alla critica tra pari, comunicarne i risultati.
Metodologia utilizzata nell’analisi spaziale delle GCA
Spatial Scan Statistic (SSS)
Le analisi sono state effettuate mediante il metodo Spatial Scan Statistic (SSS) di Kulldorf (Kulldorff
M, William FA, Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan
statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998;
8(9): 1377-1380.; Kulldorff, M. 1999. Spatial scan statistics: models, calculations, and applications,
in Scan Statistics and Applications. Glaz, J & Balakrishnan (eds.), Birkhauser, Boston, pp.303-322),
con le seguenti specificità:
Obiettivo: individuazione delle aree ad alto tasso, i.e. cluster spaziali “puri”
In questa analisi si utilizza come area minima spaziale il territorio areale di residenza del caso; il
numero di casi in ogni area si assume distribuito secondo una distribuzione di Poisson. L'ipotesi
nulla sottende che il numero di casi attesi in ogni area sia proporzionale alla massa di anni-persona
dell'area stessa. La SSS sovrappone una finestra circolare alla mappa dell’area in studio (fig. I). La
finestra si posiziona a turno su ognuno dei possibili centroidi dell'area in studio. Per ogni centroide,
il raggio della finestra varia in continuo come dimensione da 0 ad un limite superiore (posto in
questo caso al 50% della popolazione complessiva).
Il metodo crea così un numero infinito di differenti cerchi geografici, con differenti aree all'interno, e
su ognuno calcola un rapporto osservati/attesi.
114
L'ipotesi alternativa per ogni finestra è che il tasso sia estremamente elevato rispetto all'esterno
della finestra stessa. Sotto l'assunto di Poisson, l'ipotesi viene testata con un Likelihood Ratio test
(LR). La funzione di verosimiglianza per ogni finestra è la seguente:
dove N è il n° tot. di casi dell'area, e n e il n° di casi della finestra.
Il valore di log likelihood ratio (LLR) richiesto per la significatività di un sospetto cluster è stato
rispettivamente posto a:
x per p=0.01: LLR=9.79;
x per p=0.05: LLR=7.52.
Fig. 1
Spatial Scan statistic – esempio di movimento della finestra circolare
115
Analisi dei cluster: risultati
Le mappe che seguono presentano i rapporti di prevalenza (x 1.000 residenti) delle GCA in base
alla residenza comunale del paziente. In sequenza sono rappresentate le le tre tipologie di GCA.
Lo schema di presentazione prevede la mappa complessiva e le due relative mappe per sesso. La
scala colorimetrica rappresenta le classi di aggregazione dei tassi standardizzati per età in quintili
di distribuzione.
Le mappe dedicate all’individuazione della presenza di eventuali cluster sono così caratterizzate:
Cluster spaziali: pattern grafico a graticcio, con linee bianche su fondo nero, posizionati sulle aree
comunali incluse nel cluster (Most Likely Cluster-cluster primario); ove esistessero cluster
secondari (Secondary Cluster), i pattern grafici sono di tipo griglia trasversale a linee bianche su
fondo grigio.
Il termine Most Likely Cluster indica la presenza di un’area in cui l’aggregazione inusuale di casi,
sottoposta a formale test statistico, raggiunge il livello previsto di significatività statistica. In altri
termini, questo è il cluster riscontrato che, in base al valore del test statistico formale, minimizza il
rischio di un’occorrenza fortuita, casuale di casi.
Il termine Secondary Cluster indica un territorio circoscritto in cui vi sono evidenze di aggregazione
inusuale di casi, ma senza che il test scan statistic raggiunga un livello di significatività statistica
paragonabile al Most Likely Cluster.
Nell’ambito della presentazione della mappa complessiva, inoltre, qualora vi siano evidenze di
cluster possibili o statisticamente certi, sono posti in calce gli output di descrizione, in sequenza,
della scan statistic relativi all’analisi in oggetto:
Location-ID –rappresenta l’identificativo dell’area mediante il codice dell’area secondo la
classificazione del Comune-; coordinate/raggio; arco temporale (Time frame); popolazione dell’area
inclusa nel cluster; n. casi osservati e n. casi attesi; n. casi annui per 100.000 residenti; rischio
relativo overall dell’area inclusa nel cluster rispetto all’intera città; valore del test Log likelihood ratio
e rango del test di Montecarlo; valore di probabilità p del cluster osservato.
116
Mappa 1
TCE totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale
117
TCE TOTALI
Si riscontrano un cluster principale, localizzato nei Comuni del nord-est della Valle
Brembana, ed un cluster secondario nei Comuni di Zogno, Ubiale, Sedrina.
MOST LIKELY CLUSTER
1.Location IDs included.: 16164, 16227, 16014, 16166, 16151, 16165, 16092, 16191, 16061,
16090, 16136, 16121, 16125, 16145, 16190, 16229, 16039, 16048
Coordinates / radius..: (2.547222 N, 1.362778 E) / 27.79 km
Population............: 21444
Number of cases.......: 187
Expected cases........: 121.86
Annual cases / 100000.: 145.4
Observed / expected...: 1.53
Relative risk.........: 1.55
Log likelihood ratio..: 15.225684
P-value...............: 0.000065
SECONDARY CLUSTERS
2.Location IDs included.: 16221, 16196, 16246
Coordinates / radius..: (2.146667 N, 1.366944 E) / 3.95 km
Population............: 16486
Number of cases.......: 151
Expected cases........: 93.68
Annual cases / 100000.: 152.7
Observed / expected...: 1.61
Relative risk.........: 1.62
Log likelihood ratio..: 14.983320
P-value...............: 0.000081
118
Mappa 2
TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale
MASCHI
119
Mappa 3
TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale
FEMMINE
120
Mappa 4
GCA Emorragiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale
GCE EMORRAGICHE TOTALI
Si riscontra un cluster principale, localizzato in quattro Comuni del nord-est della Valle
Brembana (Taleggio, Vedeseta, Camerata Cornello, Blello).
121
MOST LIKELY CLUSTER
1.Location IDs included.: 16210, 16027, 16230, 16048
Coordinates / radius..: (2.278056 N, 1.285556 E) / 5.19 km
Population............: 2040
Number of cases.......: 14
Expected cases........: 4.14
Annual cases / 100000.: 114.4
Observed / expected...: 3.38
Relative risk.........: 3.39
Log likelihood ratio..: 7.205923
P-value...............: 0.089
122
Mappa 5
GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale
MASCHI
123
Mappa 6
GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale
FEMMINE
124
Mappa 7
GCA Ischemiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale
GCA ISCHEMICHE TOTALI
Si riscontra un grande cluster (probabilmente somma di più cluster locali sovrapposti) che ingloba
buona parte del nord della provincia di Bergamo, comprendendo pressochè per intero le valli
Brembana e Seriana. Un cluster secondario comprende invece tre comuni del distretto della Bassa
Bergamasca (Caravaggio, Misano, Casirate).
125
MOST LIKELY CLUSTER
1.Location IDs included.: 16184, 16158, 16175, 16012, 16121, 16100, 16168, 16125, 16145,
16080, 16070, 16060, 16163, 16147, 16111, 16199, 16116, 16173, 16247, 16234, 16179, 16004,
16118, 16146, 16148, 16227, 16035, 16164, 16201, 16110, 16225, 16197, 16092, 16236, 16107,
16136, 16191, 16144, 16071, 16241, 16151, 16067, 16166, 16169, 16077, 16244, 16014, 16025,
16249, 16190, 16205, 16039, 16069, 16165, 16178, 16048, 16055, 16216, 16108, 16160, 16124,
16099, 16008, 16239, 16214
Coordinates / radius..: (2.476111 N, 1.636111 E) / 44.48 km
Population............: 238187
Number of cases.......: 2034
Expected cases........: 1718.15
Annual cases / 100000.: 142.4
Observed / expected...: 1.18
Relative risk.........: 1.23
Log likelihood ratio..: 33.773432
P-value...............: 0.0000000000029
SECONDARY CLUSTERS
2.Location IDs included.: 16135, 16059, 16053
Coordinates / radius..: (1.713889 N, 1.230000 E) / 8.16 km
Population............: 28008
Number of cases.......: 256
Expected cases........: 202.04
Annual cases / 100000.: 152.4
Observed / expected...: 1.27
Relative risk.........: 1.27
Log likelihood ratio..: 6.793714
P-value...............: 0.034
126
Mappa 8
GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale
MASCHI
127
Mappa 9
GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale
FEMMINE
128
La tabella 24.1 mostra la distribuzione dei casi di GCA per ambito.
Tipo di GCA:
Tab. 24.1
distr. Freq. GCA per
Ambito e tipo GCA
(2006-2011)
TCE
GCA
GCA
Emorragiche/An.
Ischemiche
% casi
colonn
N
a
% casi
colonna
N
N
Totale
% casi
% casi
colonn
colonn
a
N
a
01-Bergamo
835
11,0%
443
16,3% 1556
16,1%
2834
14,2%
02-Dalmine
805
10,6%
313
11,5% 1148
11,9%
2266
11,3%
03-Seriate
457
6,0%
133
4,9%
553
5,7%
1143
5,7%
04-Grumello
294
3,9%
104
3,8%
360
3,7%
758
3,8%
05-Valle Cavallina
358
4,7%
140
5,2%
404
4,2%
902
4,5%
06-Monte Bronzone-
241
3,2%
63
2,3%
265
2,7%
569
2,8%
07-Alto Sebino
292
3,8%
86
3,2%
227
2,4%
605
3,0%
08-Valle Seriana
680
8,9%
269
9,9% 1130
11,7%
2079
10,4%
09-Valle Seriana Sup
339
4,5%
115
4,2%
465
4,8%
919
4,6%
10-Valle Brembana
483
6,4%
147
5,4%
451
4,7%
1081
5,4%
11-Valle Imagna e
336
4,4%
147
5,4%
441
4,6%
924
4,6%
12-Isola Bergamasca
922
12,1%
308
11,3% 1022
10,6%
2252
11,3%
13-Treviglio
974
12,8%
268
9,9% 1008
10,4%
2250
11,3%
14-Romano di
586
7,7%
181
6,7%
6,4%
1387
6,9%
7602 100,0%
2717
Basso Sebino
e Val di Scalve
Villa Almè
620
Lombardia
Totale
129
100,0% 9650 100,0% 19969 100,0%
Analisi delle GCA su base regionale (ricoveri quinquennio 2005-2009)
Le due mappe e la tabella che seguono contestualizzano il fenomeno GCA su base regionale,
attraverso l’utilizzo del sistema ALEE-AO (cfr. materiali e metodi).
La provincia di Bergamo risulta sostanzialmente in linea con la prevalenza ospedaliera media
regionale. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia di Bergamo, in
buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, come risultanti di livelli di prevalenza
particolarmente elevati.
Mappa 13
GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel
MASCHI (anni 2005-2009)
130
Mappa 14
GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel
FEMMINE (anni 2005-2009)
131
Numero di osservati per ASL-2005-2009
ASL DI
APPARTENENZA
301 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
BERGAMO
302 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
BRESCIA
303 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI COMO
304 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
CREMONA
305 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI LECCO
306 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI LODI
307 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
MANTOVA
308 - A.S.L. DELLA
CITTA DI MILANO
309 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
MILANO 1
310 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
MILANO 2
311 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
MILANO 3
312 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI PAVIA
313 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
SONDRIO
314 - A.S.L. DELLA
PROVINCIA DI
VARESE
315 - ASL DELLA
VALCAMONICASEBINO
Totale
NUMERO
NUMERO
NUMERO Prevalenza Prevalenza Prevalenza
OSSERVATI OSSERVATI OSSERVATI annua (x annua (x annua (x
- maschi
- femmine
- totale
1000) - M 1000) - F 1000) - Tot
6.366
4.611
10.977
2,50
1,78
2,14
7.045
5.353
12.398
2,65
1,96
2,30
3.511
2.804
6.315
2,55
1,94
2,24
2.634
2.004
4.638
3,11
2,26
2,67
1.973
1.588
3.561
2,49
1,93
2,20
1.673
1.291
2.964
3,12
2,33
2,72
2.870
2.426
5.296
3,00
2,41
2,70
8.799
7.535
16.334
2,86
2,19
2,51
6.139
4.512
10.651
2,61
1,85
2,22
3.483
2.430
5.913
2,64
1,78
2,20
7.122
5.342
12.464
2,78
2,00
2,38
4.000
3.136
7.136
3,23
2,37
2,78
1.348
972
2.320
3,07
2,12
2,59
4.967
4.015
8.982
2,42
1,85
2,12
596
403
999
2,45
1,62
2,03
62.526
48.422
110.948
2,72
2,00
2,35
132
Conclusioni
Anche se la nostra valutazione è, per certi versi, da considerarsi preliminare, in quanto effettuata
solo attraverso l’utilizzo di dati di routine, si sono comunque evidenziate alcune peculiarità
territoriali, che puntualizzano molte diversificazioni dalle casistiche note in letteratura anche in
elementi di rilievo, come il quoziente uomini/donne, le cause di traumatismo (concentrate
fondamentalmente in traumi della strada, incidenti domestici ed infortuni sul lavoro), oltre ad una
differenziazione in base all'età del soggetto.
Le principali evidenze emerse sono le seguenti:
1.
Dimensione del fenomeno in generale
a. Il fenomeno GCA è di particolare rilevanza quantitativa in provincia di
Bergamo, in quanto il “Burden of Disease” indotto da circa 3300 pazienti
all’anno è certamente da valutare approfonditamente per l’impatto sul
sistema sanitario, sul sistema riabilitativo e sulle famiglie, oltre che sul
paziente stesso.
b. Una quota pari ad 8% dei ricoverati decede entro la durata del ricovero
stesso (ma con un livello di decesso pari al 23% nei ricoveri per GCA
Emorragiche/Anossiche). In generale, la quota maggiore di decessi
avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per
crescere ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente.
c. La sopravvivenza long-term varia
maggiore (al termine dei 72 mesi
casi di TCE: 67 mesi come media.
GCA ischemica. La sopravvivenza
emorragica/anossica, in cui più
dall’evento.
in misura ampia; la sopravvivenza
di osservazione) è quella relativa ai
59 mesi, invece, il dato per i casi di
minore si osserva nei casi di CGA
dell’80% decede entro sei mesi
d. Il 6% dei ricoverati viene indirizzato ad un percorso riabilitativo dopo la
dimissione dalla struttura per acuti; questo dato tuttavia può arrivare al
12%, se si considerino anche i trasferimenti interni. Per la complessità
della
tematica,
appare
tuttavia
opportuno
un
successivo
approfondimento ad hoc.
e. Le cause dei traumatismi sono differenti con le età. I traumi da incidente
stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente
rilevante nell’età compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le
femmine. Nell'età infantile e nell'età senile risultano prevalenti gli
infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini
133
in età compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste
evidenze appaiono importanti in un’ottica di pianificazione di interventi
di prevenzione.
f.
2.
Vi sono alcune aree peculiari, nella provincia di Bergamo, in cui la
concentrazione dei casi è al di là del puro effetto stocastico (cluster); su
tali aree appare opportuno approfondire le evidenze, per sviluppare
progetti di tipo preventivo.
Dimensione del fenomeno ASL BG vs Regione Lombardia
a. L’ASL di Bergamo si presenta, per i cinque anni analizzati nel confronto,
sostanzialmente in linea con i tassi medi regionali
b. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia
di Bergamo, in buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, con
livelli di prevalenza particolarmente elevati.
In termini di sviluppo della ricerca, sia a livello regionale, sia di ASL, è opportuno riprendere le
raccomandazioni emergenti dalla citata 3.a Consensus Conference: tre approcci di studio, con un
livello di fattibilità diverso e crescente, che dovrebbero essere condotti per migliorare le
conoscenze epidemiologiche.
1) Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili.
In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi
informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che
permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi
flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico
DRG potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri rilevanti, per poi tracciarne la
successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative amministrative.
2) Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella scheda di dimissione
ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, quali
i punteggi di alcune scale (DRS, Glasgow Coma Scale, etc.) o l’esistenza di alcuni fattori
prognostici importanti (PEG, Tracheostomia, etc.), che consentano di identificare con maggior
precisione questa categoria di casi.
3) Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in
grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che
permettano di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravita/complessità e di fabbisogno
riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine. Ciò faciliterebbe, inoltre, la conduzione di
134
survey sulle popolazioni di interesse (pazienti, familiari, caregiver), la raccolta di informazioni
su aspetti rilevanti della presa in carico riabilitativa, nonché la conduzione di studi prospettici
di outcome (effectiveness) su ampie casistiche, per valutare le modificazioni nel tempo dello
stato di salute e di qualità di vita delle persone con GCA.
Questa necessità è rivolta soprattutto all'ottimizzazione dell'outcome del paziente con TCE,
laddove cioè si può agire in termini di riduzione della disabilità. A tal proposito, la programmazione
sanitaria deve essere incentrata sull'appropriatezza recettiva e sulla qualità di intervento delle
strutture e dei percorsi assistenziali implicati nelle fasi successive all'emergenza. L’evoluzione
epidemiologica e demografica e lo sviluppo di nuove tecnologie, che consentono il superamento di
fasi critiche di patologie ad evoluzione cronica con disabilità acquisita, determinano infatti la
crescita del problema delle criticità post-acuzie.
Una migliore conoscenza del fenomeno, fondata su dati più ampi e più
solidi, può consentire una migliore pianificazione sanitaria e sociale per far
fronte a questo tipo di patologia che rischia di assumere le dimensioni di una
vera e propria emergenza (22.000 ricoveri per GCA all’anno in Lombardia,
3700 in provincia di Bergamo).
135
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137
IL TAVOLO DELLA PROVINCIA SULLE GRAVI CEREBROLESIONI:
UNO SPAZIO DI INTERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO
Simona Colpani1 e Silvano Gherardi2
Il “Tavolo Provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e vertebromidollare”,
costituitosi nel 2003/2004 presso l’allora Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo, ha
l’obiettivo di favorire, in un luogo estraneo ai contesti già connotati in modo significativo, un dialogo
tra soggetti che, per motivi diversi, sono stati coinvolti dallo stesso avvenimento: l’evento
traumatico generatore di grave disabilità. La Provincia, nelle sue attività sul territorio, non è
deputata né alla cura, né alla riabilitazione, ma si impegna per il raggiungimento dell’integrazione
sociale. Inoltre, fra i suoi obiettivi programmatici, vi sono la formazione e la promozione di buone
prassi. Il coordinamento territoriale, permette di leggere i bisogni che emergono nelle fasi di
passaggio da un luogo ad un altro, da un percorso tipo quello medico ad uno come quello sociale.
Abbiamo la fortuna di avere sul territorio provinciale professionisti validi e riconosciuti a livello
nazionale. Tra questi, quelli che hanno fatto parte di gruppi di lavoro della Consensus Conference,
partecipano al Tavolo Provinciale. Abbiamo, anche, la fortuna di avere genitori che si sono attivati e
associati, ed abbiamo cooperative che hanno maturato competenze specifiche a fronte di
investimenti di pensiero, di riflessione, di conoscenza.
Sicuramente ognuno dei membri del Tavolo, tra i quali anche rappresentanti delle famiglie, ha una
conoscenza approfondita del “proprio pezzo”, del proprio compito, delle piccole azioni che fanno la
differenza qualitativa e che solo tra “addetti ai lavori” sono visibili e riconoscibili: i medici, per la
capacità diagnostica e di cura; la cooperazione, per tutto ciò che attiene la quotidianità del dopo le
dimissioni, incluso il sostegno ai familiari, e per l’integrazione sociale; le famiglie, per la
conoscenza dell’individuo, per la dimensione di cura e per la dimensione della speranza che
consente di intuire al di là del percepibile.
Dall’esterno si vede sempre solo una parte del lavoro dell’altro. La specializzazione ha creato
competenze rilevanti e pregevoli il cui punto debole, lo sappiamo tutti, è la frammentazione. Il
Tavolo è nato con lo scopo di offrire un luogo in cui i “frammenti” potessero, per un attimo, provare
a guardarsi reciprocamente, anche affrontando il nodo problematico della zona cerniera tra sociale
e sanitario, quella terra di tutti e di nessuno nella quale consuetudini, saperi e linguaggi diversi
dovrebbero comprendersi per dialogare ma, spesso, non si conoscono neppure.
Dal proprio osservatorio ognuno è convinto di fare tutto e di farlo correttamente. Non solo, spesso
si vedono con chiarezza quali sono le mancanze e i possibili spazi di miglioramento d’azione degli
1 Psicopedagogista, Coordinatrice del “Tavolo provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e
vertebromidollare” per la Provincia di Bergamo – Settore Politiche Sociali e Salute
2 Dirigente del Settore Politiche Sociali e Salute della Provincia di Bergamo
138
altri soggetti della rete. Ci sono stati momenti in cui una parte affermava con sicurezza di
aggiungere, allo svolgimento del proprio compito, azioni ed attenzioni che dall’altra parte non erano
assolutamente percepite, anzi venivano lamentate come fortemente mancanti.
Solo provando a guardare ciò che facciamo da altre prospettive possiamo riflettere uscendo da una
logica autoreferenziale per cogliere spazi di miglioramento, passaggi particolari da presidiare con
attenzione e che ci riguardano.
L’esperienza del Tavolo prosegue con continuità e presenza costante da parte di tutti i partecipanti.
Crediamo che questo dato possa essere letto come una conferma del bisogno da una parte e
dall’altra della validità della proposta.
La scelta dei membri
La scelta dei componenti del Tavolo provinciale tra differenti Enti e strutture di riferimento è stata
effettuata tenendo conto del percorso che la persona segue a partire dall’evento traumatico.
I medici
A partecipare al Tavolo sono stati invitati i medici delle tre strutture di riferimento a livello
provinciale in materia di riabilitazione delle persone con disabilità acquisita: l’Unità di Riabilitazione
di Mozzo che aveva3 maturato alcune attenzioni innovative per la riabilitazione soprattutto motoria;
la Clinica Quarenghi di San Pellegrino Terme che si caratterizza per una forte attenzione al tema
della riabilitazione cognitiva; il Centro Don Orione di Bergamo che si occupa dell’accoglienza degli
“Stati vegetativi” o dei minimo responsivi. Queste non sono le uniche tre strutture che si occupano
di trauma cranico o di lesioni vertebromidollari sul territorio provinciale, ma chiamare tutte le
strutture ospedaliere che si occupano di questi soggetti avrebbe significato sovrapporsi a situazioni
già esistenti e dare un taglio sanitario alla composizione del Tavolo che ha preferito invece una
connotazione prettamente sociale. Nonostante questo, la presenza della componente medica,
quindi del versante sanitario per definizione, è stata ed è un tassello indispensabile per affrontare
le problematiche connesse alla disabilità acquisita in termini di continuità, di “progetto di vita”,
senza separazioni teoriche/tecniche tra un prima e un dopo. Quando le conseguenze del trauma
sono severe, la presenza del medico diventa una costante. Non sempre i medici di famiglia sanno
o possono dare risposta ai bisogni specifici di queste situazioni. Le strutture che in qualche modo
hanno “ridato” o “consentito nuovamente” la vita restano presenti per mesi, a volte per anni, in
modo forte nella vita delle famiglie. Il ritorno a casa porta infatti con sé, in una certa misura, il
3 L’utilizzo del verbo all’imperfetto è dovuto al fatto che al tempo della costituzione del Tavolo gli ospedali avevano
alcune caratteristiche proprie. In parte queste sono rimaste ma il dialogo costante ha sicuramente favorito una
circolazione delle competenze. Ne è un esempio la figura della neuropsicologa che ora appartiene alle equipe sia del
centro di riabilitazione di Mozzo che della Clinica Quarenghi
139
trauma della separazione ed il rapporto con l’ospedale si connota di sentimenti contrastanti. Questo
è stato uno dei temi affrontati dal Tavolo che ha portato a produrre alcuni strumenti dedicati che
sono stati sperimentati con l’obiettivo di introdurre quelle buone prassi che, nella loro semplicità,
riescono a cambiare la qualità della vita delle persone.
I familiari
La presenza delle persone toccate quotidianamente, emotivamente ed affettivamente dal trauma
con conseguenza invalidante, porta con sé la Domanda4 con la maiuscola, quella concreta e reale,
quella vera, quella non mediata dalle teorie e dai saperi, quella raccontata a volte in modo
improprio o nascosta dietro ad altre domande, ma l’unica non eludibile.
Seguendo il motto del movimento per la Vita Indipendente “Nulla su di noi senza di noi”, l’ideale
sarebbe stato avere al Tavolo i soggetti direttamente interessati. Se è stato possibile un confronto
diretto con le persone con disabilità acquisita da trauma vertebromidollare, non è stato – e non è –
altrettanto possibile avere come interlocutori persone con disabilità cognitiva a causa delle
caratteristiche proprie del trauma cranico. Sono i loro familiari, genitori, fratelli, mariti o mogli, figli,
ad essere coinvolti direttamente e quotidianamente.
La voce delle persone con disabilità acquisita è rappresentata ed espressa dalle associazioni. Sul
territorio provinciale però, a differenza di quanto accade per le disabilità congenite, non ci sono
sufficienti realtà associative a sostegno dei numerosi soggetti con disabilità acquisita.
Quando il Tavolo si è costituito, esistevano solo due associazioni di familiari di persone con
disabilità acquisita da trauma cranico ed una per persone con disabilità acquisita da trauma
vertebromidollari. Tutte e tre facevano capo alle strutture sanitarie che, in ordine temporale, si
erano occupate per ultime – o che ancora si stavano occupando – dei propri cari. Le associazioni
erano: l’Associazione Amici Traumatizzati Cranici (AATC) e l’Associazione Disabili Bergamaschi
(ADB) collegate alla Unità di riabilitazione di Mozzo, e l’Associazione Genesis collegata alla Clinica
Quarenghi. Solo negli ultimi tempi si sono aggiunte due ulteriori associazioni delle quali una
costituita da familiari di persone con disabilità acquisita da trauma cranico e l’altra da familiari di
persone in stato vegetativo. La Provincia ha ritenuto che fosse fondamentale la presenza al Tavolo
di un rappresentante di ciascuna di queste realtà. La scelta è stata motivata anche dalla storia delle
associazioni familiari per persone con disabilità maturata in provincia e sostenuta in primis anche
dal Settore Politiche sociali e salute della Provincia di Bergamo. Infatti, come traguardo importante
di un lungo percorso di informazione e formazione tenuto dalla Provincia per le associazioni
familiari di persone con disabilità, queste ultime hanno costituito il Coordinamento Bergamasco per
l’Integrazione (CBI), coordinamento delle associazioni familiari a livello provinciale. Al CBI
aderiscono associazioni di familiari di persone sia con disabilità congenita che con disabilità
4
Consapevoli della distinzione tra bisogno e domanda, abbiamo preferito qui utilizzare il termine “domanda” perché è ciò
che i familiari portano al Tavolo. Non sempre la domanda racconta dei bisogni e di tutti i bisogni. Sta agli altri componenti
accogliere le domande leggendo anche i bisogni sottesi, quelli negati come quelli enfatizzati
140
acquisita. Quello è sembrato essere il luogo migliore di confronto e di dialogo tra associazioni
familiari, oltre che di passaggio d’informazioni relativo agli oggetti discussi e alle proposte elaborate
dal Tavolo.
I Comuni e gli Assistenti sociali
Dopo il periodo di ricovero dell’assistito in ospedale, le famiglie, con il loro fardello di
preoccupazioni e d’impegni quotidiani di assistenza, devono affrontare il ritorno a casa5. A questo
punto sono due gli interlocutori importanti: il medico di famiglia e l’assistente sociale del Comune di
riferimento o, eventualmente, dell’Ambito Territoriale d’appartenenza. Per la realizzazione
dell’opuscolo informativo “Sostenere Percorsi dentro e fuori casa” è stato realizzato, all’interno del
Tavolo, un sottogruppo di lavoro al quale sono stati invitati tutti gli Ambiti Territoriali e che ha visto
la partecipazione di una rappresentanza di assistenti sociali dell’Ambito di Romano di Lombardia e
di Seriate. La presenza delle assistenti sociali è sfociata nella partecipazione dell’assessore ai
Servizi sociali del Comune di Seriate al Convegno provinciale del 2007 ed in una più matura
consapevolezza, almeno da parte di un gruppo di essi, di un bisogno formativo ed informativo.
Gli assistenti sociali non sono percepiti come un riferimento dalla maggior parte delle famiglie
aventi un caro con disabilità acquisita. Ciò deriva da un problema culturale del nostro territorio
legato in parte alla fatica/vergogna nel chiedere aiuto, e in parte al fatto che sono pochi gli
assistenti sociali che conoscono gli aspetti normativi e legislativi in materia di disabilità acquisite ai
quali fare riferimento. L’affermazione precedente non ha alcuna intenzione di essere giudicante: le
competenze richieste ad un assistente sociale comunale ricomprendono situazioni riguardanti i
minori, gli anziani, la disabilità congenita (minori e anziani con disabilità), le situazioni di fragilità
sociale, etc. L’elenco è lungo e le competenze, per mantenersi tali, hanno bisogno di essere
esercitate ed aggiornate. Avendo poco tempo a disposizione, ci s’impone di operare delle scelte, e
la quantità di persone con un problema simile con le quali si entra in contatto segna “il valore di
merito”. Gli assistenti sociali quindi, pur essendo un tassello importantissimo nella cerniera tra
sociale e sanitario, non sono stati mai presenti al Tavolo.6 È stato invece invitato un membro del
Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci.
5
Sono purtroppo escluse dal ritorno a casa le situazioni di stato vegetativo, che nella maggioranza dei casi passano
dall’ospedale a strutture dedicate, come ad esempio il don Orione
6
Il problema va ben oltre quello della rappresentanza al Tavolo. È effettivamente impossibile essere competenti rispetto
a situazioni che magari nella propria carriera lavorativa non verranno mai affrontate o, al limite, affrontate per un numero
molto circoscritto di situazioni. A questo proposito la Consensus Conference di Verona del 2005 ha proposto di istituire la
figura del Case manager specializzato in disabilità acquisita. “La giuria ritiene necessario adottare comunque una
funzione di case manager che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente sanitario e
sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto dopo la fase ospedaliera”. Si veda:
A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie. Individuazione
dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita
tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009
141
La cooperazione sociale
Oggi, con forme diverse, le attività rivolte alle persone con disabilità - dall’assistenza scolastica alla
direzione di strutture residenziali - sono gestite, per la quasi totalità, da cooperative. L’unica
cooperativa riconosciuta sul territorio provinciale con una competenza specifica è la Cooperativa
Progettazione. Oltretutto, alla data della prima convocazione del Tavolo, la cooperativa collaborava
già, con iniziative interne alla struttura, con il centro di riabilitazione di Mozzo ed aveva attivato
presso sedi proprie progetti diurni diversificati7 di sostegno alle famiglie e iniziative sperimentali di
residenzialità etc. Le esperienze e le competenze specifiche maturate erano patrimonio quasi
esclusivo di questa cooperativa e di un’altra cooperativa ad essa collegata, la Paul Wittgenstein.
Uno tra i valori del lavoro delle cooperative sociali consiste nella territorialità. I progetti di
socializzazione, realizzati nei territori di residenza delle persone con disabilità, consentono di
costruire una nuova appartenenza, oltre alla possibilità che si attivino reti di sostegno spontanee o
legate alle associazioni di volontariato8.
Per questo motivo molte delle persone con disabilità acquisita non usufruiscono delle competenze
tecniche di una cooperativa specializzata (sempre che ne conoscano l’esistenza), ma si
appoggiano alle proposte che offrono i servizi sociali del territorio ove risiedono. Negli anni questo
ha portato a chiedere la presenza al Tavolo, oltre che della cooperativa Progettazione, di un
rappresentante di Confcooperative – Federsolidarietà. La valorizzazione di competenze specifiche
in seno a Confcooperative ha portato alla maturazione di consapevolezza di bisogni formativi e alla
progettazione e realizzazione di percorsi formativi dedicati condivisi.
L’ASL
È l’altro Ente istituzionale, insieme alla Provincia, che opera sul territorio con particolare attenzione
e competenze. Tra queste la programmazione, il controllo, la possibilità di accedere ai dati sanitari,
la conoscenza diretta di tutte le strutture sia sanitarie che sociali: l’essere soggetto proponente e
coordinatore di altri tavoli di lavoro su tematiche simili, ha reso la sua presenza non solo utile, ma
anche insostituibile e preziosa. La Pubblicazione nasce con la priorità di rendere pubblico il lavoro
del Tavolo Provinciale. Grazie alla disponibilità dell’ASL di Bergamo nel mettere a disposizione il
proprio epidemiologo (senza il quale questo lavoro non sarebbe stato possibile perché è colui che
concretamente ha cercato ed elaborato i dati), si è realizzato il primo atlante epidemiologico delle
7 I progetti diurni possono coprire una vasta gamma di bisogni: da quello più prettamente riabilitativo, a quello lavorativo
o socio-occupazionale, a quello sociale
8 Il valore dei progetti a valenza territoriale richiederebbe ben altri spazi e ben altre parole, ma non crediamo sia questo il
luogo per un approfondimento. Era però indispensabile citare questa caratteristica perché di fatto, al di là delle teorie, ci
sono molte persone con disabilità acquisita che frequentano i servizi territoriali che non hanno specializzazioni specifiche
traendone beneficio e dichiarando apprezzamento e soddisfazione per le proposte
142
persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) in provincia di Bergamo. Questo risultato ci
rende particolarmente orgogliosi – e di questo siamo riconoscenti all’ASL ed al suo epidemiologo
dott. Alberto Zucchi – perché siamo riusciti a realizzare la prima tra le raccomandazioni della prima
Conferenza Nazionale di Consenso, ovvero la conoscenza dei dati epidemiologici. Infatti gli unici
dati sui quali sino ad ora era stato possibile lavorare – a livello nazionale - erano quelli della
Regione Emilia Romagna. Mariangela Taricco ci ricordò, durante il Convengo del 2007, che tra le
questioni di prioritaria importanza - e su cui lavorò il suo gruppo di lavoro - vi è proprio la
“conoscenza dei dati epidemiologici con particolare riguardo alla prevalenza dei differenti esiti a
lungo termine delle cerebrolesioni e all’analisi dell’offerta di servizi esistenti.”.
Il Tavolo provinciale costituitosi inizialmente era composta da:
- Ospedali Riuniti di Bergamo - Unità di Medicina Fisica e Riabilitazione presidio di Mozzo:
Ivo Ghislandi, Gianni Melizza;
- Clinica Quarenghi - Unità Operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale: G. Pietro
Salvi;
- Centro Don Orione: Giovanni Battista Guizzetti;
- Cooperativa Sociale Progettazione: Giancarla Panizza;
- Associazione Genesis; Associazione Amici Traumatizzati Cranici: Stefano Pelliccioli;
- Associazione Disabili Bergamaschi: Alberto Bacchini;
- ASL provincia di Bergamo: Gennaro Esposito e Alberto Zucchi;
- Provincia di Bergamo: Silvano Gherardi, dirigente del Settore e Simona Colpani,
consulente.
A distanza di alcuni anni, la partecipazione al Tavolo dei membri degli Enti rappresentati ha visto la
conferma sostanziale della composizione precedente con l’aggiunta di:
- Confcooperative – Federsolidarietà: Omar Piazza;
- Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci.
Le questioni guida nella scelta delle diverse iniziative
Un evento traumatico, tale da determinare una disabilità acquisita, coinvolge la persona che riporta
il trauma direttamente e i familiari stretti, modifica i rapporti tra nucleo familiare e famiglie di origine,
inficia rapporti di amicizia, richiede cambiamenti lavorativi, stravolge progetti di vita. Questo vale
nel caso in cui la disabilità acquisita sia “solo” di tipo motorio, sia nel caso in cui coinvolga anche
aspetti cognitivi. Questo non significa che tutte le disabilità siano uguali e che il loro impatto possa
essere sovrapponibile. Un ventenne allettato e che non ricorda nulla non è paragonabile ad un
cinquantenne che ha perso l’uso delle gambe, ma che ha mantenuto tutte le competenze cognitive;
eppure, per entrambi, la vita cambia radicalmente.
Gli eventi della vita ci cambiano. Cambiano il nostro carattere, le nostre motivazioni, il nostro ordine
valoriale. Una persona che ha subito un trauma vertebromidollare può diventare completamente
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diversa rispetto a ciò che era prima, e chi sta con lei può non riconoscerla più come il compagno
che ha sposato, come il figlio che ha cresciuto.
Certo, in termini oggettivi e scientifici, la gravità di una lesione vertebromidollare non è
paragonabile a quella di un trauma cranico grave. L’ho sentito dire tante volte dai familiari. È
un’affermazione per certi aspetti vera ma, se si seguono questi ragionamenti, il rischio è di finire a
fare una guerra tra poveri. Qual è il dolore che pesa di più? Sì, non è negabile che una disabilità
cognitiva, oltre che motoria, sia peggio della “sola” disabilità motoria, ma non credo che per questo
se a noi dovesse capitare una disabilità motoria, la prenderemmo positivamente perché “è meno
grave di altre disabilità”. La quantità di barriere architettoniche esistenti è tale che, per noi che
camminiamo, è difficile rendersene conto. Sono innumerevoli le situazioni nelle quali è presente
l’ascensore ma per raggiungerlo c’è un piccolo gradino, così piccolo che chi ha le gambe
funzionanti non lo avverte neppure. Oppure di un negozio che ha abbattuto le barriere
architettoniche ma il marciapiede su cui insiste l’ingresso non ha lo scivolo o lo stesso è stato
realizzato male, oppure una sala per convegni che è completamente accessibile tranne che per il
palco accessibile solo attraverso le scale. Le persone con disabilità da trauma vertebromidollare
possono avere capacità cognitive intatte, ma sperimentare che è per loro è impossibile utilizzarle è
un’esperienza simile ad un lutto, ritrovarsi con un corpo che non consente loro di essere e di
riconoscersi per ciò che erano è estremamente difficile.
Avere come oggetto di riflessione le persone con disabilità acquisita da trauma sia
vertebromidollare che cerebrale ha significato, in questi anni, mantenere alta l’attenzione sulle
conseguenze sociali dell’evento traumatico. Questo ha favorito un dialogo tra le stesse
associazioni di familiari, dialogo che all’inizio della storia del Tavolo non era per nulla scontato. Ci
sono stati momenti di forte scontro tra i diversi punti di vista.
Da parte dei diversi attori ci sono state situazioni nelle quali ognuno voleva che gli altri
riconoscessero la bontà del proprio lavoro evidenziando al contempo le fragilità e le mancanze
delle altre parti. Durante i primi anni, a fianco degli incontri ufficiali, spesso ci sono stati incontri
chiesti dai singoli partecipanti perché, fuori del luogo di confronto, potessero raccontare la loro
verità su di sé e sugli altri. Di fronte ad interessi forti - e nulla è forte come la vita e la
sopravvivenza dignitosa propria e/o di un familiare - erano presenti posizioni molto lontane.
Trincerati in posizione difensiva, vi erano incomprensioni reciproche, occlusioni al dialogo e al
reciproco ascolto.
Una delle questioni centrali nel lavoro del Tavolo è stata dunque il favorire un riconoscimento ed
una visibilizzazione delle problematiche, tra le quali quelle personali e familiari, ma anche quelle
organizzative ed economiche, senza eludere quelle di politica dei servizi.
Le scelte operative hanno seguito due linee guida: l’attenzione al bisogno personale e l’attenzione
sul piano nazionale.
La presenza dei genitori, ma anche della cooperazione sociale, ricollocava puntualmente il Tavolo
nel bisogno di concretezza; la presenza dei medici che, oltre al lavoro quotidiano, facevano e fanno
parte di gruppi di lavoro nazionale, rinviava a collocarsi dentro scenari di scelte organizzate e
condivise tra strutture e gruppi di lavoro nazionali.
144
La “Guida al ritorno a casa”, per citare un esempio, è stata pensata a partire dal bisogno espresso
dai familiari che lamentavano di aver vissuto le dimissioni come un salto nel vuoto, nel buio. La sua
costruzione ha tenuto conto del bisogno di continuità assistenziale dell’individuo e della necessità
di sostenere la famiglia oltre che sollecitarla a chiedere aiuto ai servizi sociali territoriali per uscire
da una frequente forma di isolamento e schiacciamento sul piano medico–riabilitativo.
Contestualmente, la consegna dello strumento avrebbe sollecitato i servizi sociali territoriali a
conoscere la presenza di un bisogno e a farsi carico della questione spesso non presente con una
domanda. Nella costruzione ci si è avvalsi di spunti e guide di altri documenti presenti e
sperimentati fuori regione in centri di eccellenza9.
Ogni investimento va commisurato con l’entità del bisogno e l’entità del bisogno è fatta di
“individualità” e di quantità. La progettazione sociale, la programmazione dei servizi, non possono
prescindere dai numeri, ovvero dal sapere quante persone necessitano di un certo tipo di
intervento. Chi ha l’onere di scegliere quale percentuale, dei soldi a disposizione, distribuire tra le
fasce di bisogno deve basarsi sulla quantità e sulla gravità delle situazioni.
Una questione che, accanto alle riflessioni e alle progettualità inerenti la Guida al ritorno a casa, al
sollievo, alla Conferenze di Consenso, è sempre stata presente è quella del numero di persone con
disabilità acquisita presenti sul territorio. L’espressione spesso usata in testi scientifici e articoli
divulgativi, per riferire delle disabilità acquisite, è quella di “epidemia silenziosa” perché è una
popolazione in continuo aumento. Come verbalizzò con chiarezza il dr. Giambattista Guizzetti nella
sua relazione al Convegno che la Provincia organizzò a Bergamo nel 2007, molte delle situazioni di
stato vegetativo accolte dal Centro Don Orione sono il frutto avvelenato della grande tecnologia
medica che ha dato dei risultati straordinari, che ha contribuito a salvare un’enorme quantità di vite
umane e a migliorare la qualità di queste vite, ma che forse a volte sconfina nell'accanimento o in
quella che si chiama medicina difensiva. Le stesse innovazioni della tecnologia e dei saperi in
medicina che producono i frutti avvelenati, salvano molte vite che un tempo erano destinate a non
farcela. Questo si traduce per qualcuno nel poter riprendere la vita di sempre, per altri ad iniziare a
fare i conti con una disabilità. Una stima grossolana portata dai medici ai primi Tavoli di lavoro
raccontava di circa 40 soggetti l’anno che, a fronte di evento traumatico, riportavano gravi
conseguenze invalidanti. Ogni anno, dunque, la popolazione delle persone con disabilità acquisita
incrementa il proprio numero. Nel corso degli anni, Questa consapevolezza ha sollecitato il Tavolo
a trovare una modalità per capire quante persone con disabilità acquisita sono presenti sul territorio
provinciale, come vivono, quali sono le conseguenze socioeconomiche, di quale tipologia di servizi
hanno usufruito o se ne hanno usufruito, di quale necessita, quanti sono sopravvissuti e quanti
hanno avuto altri ricoveri, magari in altri ospedali, per patologie conseguenti la disabilità. Le
risposte a queste domande potrebbero raccontarci dei costi economici, personali o relazionali che
un evento invalidante comporta al di là di quelli quantificabili in un tempo a breve e medio termine.
9 Soprattutto il "Diario di Bordo", elaborato dall’Unità Gravi Cerebrolesioni e l’Unità di Medicina Riabilitativa del
Dipartimento di Neuroscienze/Riabilitazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, pensato inizialmente per
familiari ed i pazienti ricoverati. La Guida se ne discosta in parte perché l’idea era di fornire anche, quando valutato
opportuno dai medici, il “Diario di Bordo”
145
La dimensione quantitativa, a cui l’indagine coordinata dal dr. Alberto Zucchi ha iniziato a dare
risposta, necessita di criteri di lettura per tradursi, senza tradire, in comprensione dei bisogni
presenti, indipendentemente dalle domande tanto urlate quanto taciute.
Il rischio delle indagini epidemiologiche è che le persone si traducano in numeri. Come scrisse E.
Lussu nel romanzo “Un anno sull’altipiano”: “un soldato morto al confine è una tragedia, mille
soldati morti sono una statistica”. Non dobbiamo cadere nel rischio di trasformare l’analisi
epidemiologica in statistica cruda. La sua collocazione all’interno del lavoro del Tavolo ha favorito
una lettura del materiale a partire dalle motivazioni che avevano ingaggiato la ricerca. Ora
abbiamo a disposizione un materiale che nei prossimi mesi potremo analizzare anche alla luce
delle richieste esplicitate, come già è stato sottolineato, dalle Conferenze di Consenso nazionali.
Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa
La prima azione compiuta dal Tavolo è stata produrre un sintetico documento condiviso da tutti i
membri e firmato dalle reciproche istituzioni di riferimento nel gennaio 2005 dal titolo “Osservazioni
sulla situazione presente in provincia di Bergamo e prime ipotesi di lavoro”, con la finalità di fare un
quadro delle realtà esistenti sul territorio provinciale e delineare ipotesi di lavoro in relazione ai
bisogni individuati.
Quel primo documento ha aperto la strada ad una serie di riflessioni ed iniziative alcune delle quali
pensate appositamente per le persone con disabilità acquisita ed altre per la disabilità congenita.
Un primo esempio è la pubblicazione "Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa". A fronte di
iniziative volte a sensibilizzare e sostenere progetti di sollievo per famiglie di persone con disabilità,
ci si è chiesti se anche i bisogni delle famiglie delle persone con disabilità acquisita fossero
sovrapponibili a quelli della disabilità congenita. Molto brevemente, la riflessione che è stata fatta è
che per la disabilità congenita ha senso parlare di sollievo solo in relazione alla famiglia, per la
disabilità acquisita invece il bisogno di sollievo è si della famiglia, ma a volte anche della persona
che ha acquisito la disabilità: tornare in un mondo nel quale tutti ti conoscono e riconoscono per il
tuo aspetto fisico attendendosi che anche “il resto” sia “riconoscibile”, può rendere molto difficile
trovare ed esprimere quella che per alcuni è una identità radicalmente nuova. In altre parole, il
mondo attorno ti riconosce e continua a chiederti di essere “quello di prima”, mentre tu hai bisogno
di tempi e di spazi per sperimentarti in una dimensione che non conosci, non immagini e che deve
essere scoperta. In termini di linee guida condivise a livello provinciale, le considerazioni a cui si
giunse con quella ricerca fu che, relativamente alla disabilità congenita, aveva senso parlare di
sollievo alla famiglia, mentre per le situazioni con disabilità acquisita poteva essere corretto
pensare, oltre che a progetti di sollievo per la famiglia, anche a progetti di sollievo per le persone
con disabilità.
Da queste riflessioni, con il velo di quell’ironia che a volte aiuta a suggerire dei pensieri senza
legittimarsi ad esprimerli compiutamente, ci si è chiesti se anche alcune delle persone con
disabilità congenita non potessero aver bisogno saltuariamente di un …. “sollievo dalla famiglia”!
146
“Guida al ritorno a casa”
Nei primi mesi del 2006 è stata avviata una nuova fase di lavoro: la raccolta e l'analisi dei
documenti ufficiali e delle esperienze significative a livello nazionale tra le quali il documento
conclusivo della Commissione tecnico scientifica (istituita con Decreto Ministeriale del 12 settembre
2005) "Stato vegetativo e stato di minima coscienza” - datato Roma 14 dicembre 2005 - e i temi
della Conferenza Nazionale di consenso conclusasi a Verona nel 2005.
Questi approfondimenti e il "Diario di Bordo” - curato dall'Unità Operativa di alta specialità per la
riabilitazione delle gravi cerebrolesioni dell'Azienda Ospedaliera Universitaria "Sant'Anna” di
Ferrara - sono alla base del "Progetto dimissioni” all'interno del quale è stata predisposta la “Guida
per il ritorno a casa”. La Guida ha avuto una prima fase di sperimentazione, avvenuta con la
collaborazione dell’Unita di Riabilitazione di Mozzo e con la Clinica Quarenghi, che ha consentito di
apportare alcune migliorie. È così stata redatta la nuova “Guida al ritorno a casa”. Il dato che è
stato assunto, nel tentativo di affrontarlo, è quello legato alla percezione di una frattura tra il dentro
- l'ospedale, la fase acuta - e la realtà esterna, "il mondo”, frattura riconducibile in parte ai diversi
linguaggi, riferimenti ed obiettivi che differenziano il contesto sanitario da quello sociale. L'obiettivo
è che ci sia uniformità sul territorio provinciale rispetto allo strumento adottato ma, soprattutto, che
sia le informazioni contenute che la terminologia utilizzata siano comprensibili e fruibili anche da
parte di familiari, assistenti sociali, insegnanti ed educatori.
La costruzione dello strumento è stata peraltro assolutamente in linea con quanto prescritto dalla
seconda Conferenza Nazionale di Consenso. Riporto uno stralcio della relazione del dr. Antonio De
Tanti perché tematizza esattamente gli obiettivi della Guida: “Ecco allora la prima
raccomandazione della giuria che dice che, vista la numerosità dei fattori che influenzano il profilo
del bisogno, è opportuno che la valutazione dei soggetti sia multidimensionale, interprofessionale e
con il coinvolgimento attivo della persona e della sua famiglia. Altro elemento di complessità è la
variabile temporale. Sicuramente, a questo punto, occorre adottare una prospettiva dinamica che
superi i concetti di cronico, di stabile, perché assolutamente insufficienti e fuorvianti nella ricerca
della meta, che deve essere continuamente perseguita, del migliorare, dell’aiutare la persona a
integrarsi, a partecipare di più. Quindi la raccomandazione della giuria è che la valutazione dei
bisogni riabilitativi e assistenziali debba essere prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con
frequenza, adeguata alle possibili modificazioni della persona e dell'ambiente in cui essa abita.
Perché anche l'ambiente cambia: pensiamo solo al problema del dopo di noi, le famiglie dei nostri
pazienti che invecchiano e quindi cambia totalmente il panorama in cui dobbiamo inserire il nostro
intervento”10.
Cambiare le routine ed introdurre nuove prassi è difficile per tutti. La Guida voleva essere uno
strumento che consentisse di tradurre le indicazioni mediche in parole riconducibili ad azioni
concrete, che potesse costituire una sorta di promemoria scritto delle parole dette in stanze che
10
In: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre
2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009
147
trasudano lacrime e sofferenze in tal quantità da rendere offuscato l’ascolto. Al tempo stesso
l’indicazione di recarsi con la Guida dall’assistente sociale offriva alla famiglia un motivo per
contattare i servizi limitando al minimo la fatica di dover dire dei propri dolori. Le assistenti sociali
dal canto loro, avrebbero saputo che sul loro territorio c’era una persona con un bisogno
assistenziale da tenere monitorato. L’aver introdotto una parte dedicata alle annotazioni della
famiglia, così come richiesto dalla Conferenza di Consenso, significava legittimare la famiglia a dire
dei bisogni e delle speranze, delle fatiche e dei dolori come dei progressi perché la situazione non
venisse letta come cronica, ma in evoluzione. Le annotazioni della famiglia avrebbero favorito una
valutazione “prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con frequenza”, oltre che costituire
materiale utile per una lettura in follow up utile ad esempio per affiancare un’indagine
epidemiologica con alcune più riflessioni qualitative.
Il bisogno di una continuità e di una guida è stato sottolineato anche dalla sollecitazione, venuta
sempre dalla Conferenza di Consenso, di identificare un professionista con la “funzione di case
manager11 che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente
sanitario e sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto
dopo la fase ospedaliera”12.
Nonostante il progetto rispondesse alle linee guida identificate dalla Conferenza di Consenso
senza chiedere il forte investimento economico presente invece nell’istituzione del Case Manager,
le strutture che collaborano con il Tavolo hanno fatto fatica ad assumere lo strumento costruito ad
hoc che di fatto è ancora in attesa di venire valorizzato adeguatamente.
“Sostenere percorsi dentro e fuori casa”
Sempre nell'ambito del “Progetto dimissioni” si è lavorato per predisporre un breve opuscolo
informativo, “Sostenere percorsi dentro e fuori casa” da destinarsi ai familiari, agli assistenti sociali
del territorio, ma anche alla gente che per diversi motivi ha avuto occasione di incontrare persone
con disabilità acquisita, con l’obiettivo di favorire un riconoscimento e una visibilizzazione di
problematiche personali e familiari, che spesso sfociano in solitudini ed isolamenti. Molte volte di
fronte a questi problemi si assiste a dei ritiri o a dei percorsi di solitudine centrati quasi unicamente
sulle dimensioni tecniche e riabilitative. A nostro avviso, i motivi sono principalmente due: il primo è
il noto e documentato desiderio di “aggiustare” ciò che si è rotto; il secondo è dovuto alla facilità nel
frequentare luoghi conosciuti, che non guardano con occhi indaganti o giudicanti perché lì “si è tutti
così” e tutti più o meno tutti sanno com’è, perché chi pratica quei posti ha già guardato tutto, è stato
11 La figura del Case manager è peraltro oggetto di studio oggi da parte della Regione e delle ASL anche per quanto
attiene la disabilità congenita
12 A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie.
Individuazione dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire
qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009
148
costretto a guardare per conoscere e quindi ora non ha più nulla da voler guardare.
Far girare questo opuscolo ha significato iniziare a provare a scalfire l’omertà e la paura nel dire,
perché questi temi arrivino ad essere sempre più legittimati e se ne possa parlare senza vergogna
e senza comportamenti di ritiro.
Convegno organizzato dalla Provincia e presentazione degli Atti dello stesso
Con il duplice obiettivo di sensibilizzare il territorio e di proseguire nel percorso di radicamento delle
scelte quotidiane in un indirizzo di orizzonte nazionale nel novembre del 2007 è stato organizzato il
convegno “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario”. La
finalità era quella di portare a Bergamo i contenuti della Conferenza Nazionale di Consenso
svoltasi a Verona nel 2005. Coerentemente con le finalità del Tavolo sono stati invitati, tra gli altri, i
coordinatori dei due gruppi di lavoro che più specificamente avevano affrontato tematiche sociali o
sociosanitarie: Mariangela Taricco che aveva coordinato il gruppo di lavoro avente per oggetto
“Qualità di vita , autodeterminazione, ruolo della famiglia” e Antonio De Tanti per l’oggetto “Analisi
dei profili di bisogno, sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie.
Individuazione dei percorsi di presa in carico”. Giambattista Guizzetti ha portato le linee guida della
conferenza di Roma sugli stati vegetativi e Pietro Salvi ha contestualizzato gli interventi riportando
la storia delle Conferenze di Consenso. Il pomeriggio è stato tutto dedicato alla dimensione locale,
ovvero a come e quali delle teorie e delle indicazioni esposte la mattina erano state accolte
dall’operatività attivata nella nostra provincia. Non ci dilunghiamo sul racconto dei contenuti perché
una pubblicazione, curata e presentata dalla Provincia nel 2009, ha reso disponibili gli Atti di quella
giornata.
Iniziative formative
All’interno di progetti di formazione e di sensibilizzazione ci sono state due diverse iniziative.
Un’altra iniziativa, che rispetto al convegno ha coinvolto un numero ridotto di persone, ma che ha
rappresentato una prima apertura verso un tema mai preso in considerazione, neppure a livello
nazionale, è stato quello di un’ iniziativa per siblings13 resa possibile grazie all’impegno della
Provincia.
Infatti, un significativo gruppo di fratelli o sorelle di persone con disabilità acquisita compilò un
questionario elaborato dal settore Politiche Sociali e Salute della Provincia e diffuso attraverso le
associazioni di genitori ed i servizi; questo ha consentito di organizzare alcuni incontri dedicati a
loro. La differenza tra questo gruppo e quelli dei siblings con disabilità congenita è stata forte, ma
13 Il termine inglese consente di indicare, con una sola parola, i fratelli e le sorelle di persone con disabilità
149
per le considerazioni specifiche rinviamo ai Report pubblicati sul sito della Provincia. Il dato che
sinteticamente può essere riportato è quello della presenza, molto di più che negli altri gruppi, della
componente della rabbia.
La seconda iniziativa, costruita con Confcooperative e con un ruolo forte della cooperativa
Progettazione, è stato un percorso di formazione dedicato agli operatori.
La Conferenza Nazionale di Consenso chiedeva servizi dedicati per le persone con disabilità
acquisita, ma i numeri presenti sui territori non riescono a permettere la sostenibilità di iniziative di
questo genere, così le persone con disabilità acquisita frequentano i centri nati per le persone con
disabilità congenita, a meno che non si tratti di un percorso individuale.
Piuttosto che sollecitare le cooperative della provincia all’ideazione di strutture e proposte dedicate
che non avrebbe trovato alcuna risposta soprattutto in questi tempi di scarsità di risorse, si è
pensato di costruire una proposta formativa indirizzata alle cooperative che si occupano di
disabilità congenita per intercettare tutti quegli operatori che hanno in carico, tra i loro utenti, anche
persone con disabilità acquisita. Il primo obiettivo è stato sicuramente quello di iniziare a dare loro
alcune indicazioni specifiche relative alle caratteristiche che differenziano questa tipologia di
disabilità da altre. La speranza è che, in futuro, la consapevolezza dei bisogni specifici, ma anche il
raccordo con comuni confinanti, possa far nascere alcune iniziative dislocate sull’intero territorio
provinciale senza la caratteristica dell’offerta a macchia di leopardo che un po’ ci contraddistingue.
Un’aspirazione più teorica, invece, è che i bisogni specifici delle persone con disabilità acquisita
provochino una rilettura delle progettualità consolidate dedicate alle disabilità congenite perché si
ritiene che ciò possa essere vantaggioso per entrambi: da un lato convogliare e valorizzare
esperienze e reti consolidate, dall’altro interrogarsi sui significati e su possibili modalità
complementari.
Prospettive di lavoro
Sarebbe utile incrociare i dati dell’indagine epistemologica con la Mappatura Provinciale che
racconta di quali sono le persone conosciute o/e in carico ai servizi sociali. Quante delle persone
che dovrebbero essere sul territorio sono note? Quante di queste godono di offerte di servizi? Quali
sono i bisogni accolti e quali quelli che non hanno ancora trovato spazio?
Certamente, se ci sarà una divergenza tra quello che dovrebbe essere e ciò che per il territorio è,
servirà attivarsi per capire quali sono le cause e quali le modalità per superarle. Un’analisi
congiunta dei dati raccolti ci potrà raccontare la dimensione del bisogno e quanto questo è
coerente con la domanda consapevole ed esplicitata. Tra le proposte formative in cantiere vi è una
giornata di formazione alle assistenti sociali.
Quello che è certo è la volontà della Provincia, Settore Politiche Sociali e Salute, nel volere
continuare l’esperienza di collaborazione con gli Enti che partecipano al Tavolo al fine di garantire
alle persone con disabilità acquisita prospettive di una vita migliore e di qualità.
150
NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DELLA CONTINUITÀ
ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA
Giovanni Melizza1 e Lorella Algeri2
Nella provincia di Bergamo risiedono oltre un 1.000.000 persone. La rilevanza epidemiologica
presentata impone la necessità di offrire interventi sanitari e sociali che possano rispondere ai
bisogni di salute dei pazienti e delle loro famiglie poichè la Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA)
è la causa più frequente di disabilità nella fascia di età relativa alla popolazione attiva. Uno dei
bisogni è certamente il recupero dell’autonomia possibile che si realizza con il contributo della
riabilitazione sia sanitaria che sociale. Attualmente gli interventi in ambito sanitario ed in quello
sociale sono orientati al modello bio-psico-sociale, che pone al centro del sistema il cittadino
disabile e il suo contesto familiare nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni
orientando conseguentemente tutte le attività rispetto a tale priorità e verificandone i risultati.
Affrontare gli aspetti legati alla riabilitazione delle persone con disabilità acquisita significa
innanzitutto averne una visione globale che a partire dalla valutazione del dato oggettivo (la
menomazione) vanno al di là di questo e toccano il vissuto di ogni singolo soggetto nel suo
peculiare contesto, chiamando in causa non solo singoli campi di specializzazione, ma l’insieme
delle strutture e dei servizi dedicati. In questo contesto il termine riabilitazione indica un processo di
soluzione dei problemi nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di
vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, sia mediante attività sanitarie di
riabilitazione (interventi valutativi, diagnostici, terapeutici finalizzati a contenere o minimizzare la
disabilità) sia mediante attività di riabilitazione sociale (azioni e interventi finalizzati a garantire al
disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale con la minor restrizione possibile delle
sue scelte operative indipendentemente dalla gravità delle menomazioni e delle disabilità al fine di
contenere la condizione di handicap). Analogo approccio globale ed integrato è adottato
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato una classificazione del
Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Anche in questa classificazione è prospettato
il modello bio-psico-sociale della disabilità che si basa sull’integrazione del modello medico (che
tradizionalmente vede la disabilità come problema personale, causato da malattie, traumi o altre
condizioni di salute che necessitano di assistenza medica individuale) con il modello sociale (che
vede la disabilità principalmente in termini di limitazione alla piena integrazione degli individui nella
società, e non come attributo di un individuo, ma piuttosto come un insieme complesso di
condizioni, sia personali che sociali). In altri termini secondo il modello bio-psico-sociale la disabilità
1Fisiatra, Responsabile U.S.C. Medicina fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
2 Psicologa, U.S.S.D. Psicologia Clinica - U.S.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di
Bergamo
151
è il risultato di una complessa relazione tra l’individuo e i fattori personali e ambientali che
rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo stesso, secondo una visione complessiva a
livello biologico, individuale e sociale; tale modello mette in evidenza come ciascun soggetto
disponga di abilità e/o disabilità solo in rapporto con l’ambiente in cui interagisce. In questo senso
non si parla più di “handicap” inteso come situazione di svantaggio, ma di “partecipazione sociale”
intendendo il livello di coinvolgimento di un individuo nelle situazioni di vita. In questo quadro lo
scopo dell'intervento riabilitativo è “guadagnare salute”, in un'ottica che vede la persona con
disabilità e limitazione della partecipazione non più come “malato”, ma come “persona avente
diritti” (conferenza di Madrid del 2002, anno europeo della persona con disabilità). Quindi compito
dell'intervento riabilitativo è definire la “persona”, per poi realizzare tutti gli interventi sanitari
necessari a far raggiungere alla persona stessa, nell'ottica del reale empowerment, le condizioni di
massimo livello possibile di funzionamento e partecipazione, in relazione alla propria volontà ed al
contesto. Il “percorso assistenziale integrato” è il riferimento complessivo che rende sinergiche le
componenti sanitarie e non sanitarie dell'intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto
Riabilitativo Individuale (PRI) rappresenta lo strumento specifico, sintetico ed organico per tutto ciò,
unico per ciascuna persona, definito dal medico specialista in medicina fisica e riabilitazione in
condivisione con gli altri professionisti coinvolti nel team riabilitativo. Elementi essenziali sono
sempre rappresentati da una buona informazione e dalla partecipazione consapevole ed attiva alle
scelte ed agli interventi da parte della persona che ne è al centro, della famiglia e del suo contesto
di vita. Gli interventi derivanti dal progetto riabilitativo, incentrati sui diversi problemi rilevati,
necessitano di una valutazione sistematica della performance e della definizione di obiettivi ed
indicatori di processo, al fine della verifica del raggiungimento del risultato atteso. II PRI,
applicando i parametri di menomazione, limitazione di attività e restrizione di partecipazione sociale
elencati nella International Classification of Function (ICF), definisce la prognosi, le aspettative e le
priorità del paziente e dei suoi familiari; viene condiviso con il paziente, quando possibile, con la
famiglia ed i caregiver, definisce le caratteristiche di congruità ed appropriatezza dei diversi
interventi, nonché la conclusione della presa in cura sanitaria in relazione agli esiti raggiunti (Piano
di indirizzo per la riabilitazione. Ministero della Salute 2011).
Il grafico sottostante rappresenta l’andamento temporale del bisogno riabilitativo di tipo sanitario e
di tipo sociale: la linea tratteggiata indica il bisogno di tipo sanitario, la linea continua il bisogno di
tipo sociale.
152
E’ evidente come ad una maggiore partecipazione sanitaria nelle fase acuta del danno, si
inseriscano precocemente e progressivamente le necessità di interventi sociali che diventano
preponderanti nella fase degli esiti. Come costruire allora un percorso che possa prevedere
l’integrazione delle necessità sanitarie e di quelle sociali ovvero una rete territoriale a supporto
della continuità assistenziale del paziente con GCA? Le indicazioni delle Linee Guida Nazionali del
trattamento del trauma cranico minore e severo, le tre Conferenze di Consenso sulla Grave
Cerebrolesione Acquisita, la Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica della
persona adulta e le Linee Guida del Ministero della Salute relative alla riabilitazione, permettono di
delineare un percorso socio-sanitario integrato che prevede compiti e caratteristiche della struttura
sanitaria riabilitativa. Nella fase acuta, la gestione dell’emergenza viene realizzata attraverso
l’attivazione dei Dipartimenti di Emergenza (DEA). Il DEA di 2° livello è fornito di Centro Traumi
Alta Specializzazione (CTS) e di riabilitazione per costruire da subito un percorso sanitario e
sociale integrato nelle prime fasi al fine di facilitare la comunicazione e l’informazione con i parenti
sulla situazione clinica, gli esiti e delineare una possibile prognosi. Tale organizzazione facilita il
contatto con i servizi sociali, l’individuazione di strutture riabilitative di riferimento dopo
l’emergenza, migliora gli indici di sopravvivenza. L’attivazione della riabilitazione in tale ambito
porta più facilmente a prevenire danni terziari, minimizzare le menomazioni, facilitare la ripresa di
contatto. L’attuazione di pratiche di fisioterapia respiratoria, controllo posture, monitoraggio della
responsività e rapido passaggio in degenza riabilitativa consente inoltre un miglioramento della
prognosi ed una riduzione dei giorni di degenza (1° Conferenza di Consenso sulle GCA, Linee
Guida Nazionali di riferimento per il trattamento del trauma cranico minore e severo, riferimenti
normativi accordo Stato Regioni del 04.04.2002 e Accordo Stato Regioni del 29.04.2004,
Conferenza Stato Regioni del 03.02.2005). Viene stabilita la classificazione dei pazienti in tre livelli
153
di gravità che consente di meglio definire l’allocazione in ambito riabilitativo (1° Conferenza di
Consenso sulle GCA):
x soggetti con disabilità di grado lieve o moderata secondo la Glasgow Outcome Scale (GOS)
– Disability Rating Scale (DRS) ” 6;
x soggetti con disabilità moderata o grave secondo la GOS – Level Cognitive Functional (LCF)
• 3 e DRS ” 21;
x soggetti in stato vegetativo e o minima responsività secondo la GOS – LCF ” 3 e DRS > 22.
Il passaggio alla riabilitazione può essere preceduto da una collocazione temporanea in unità subintensive ad alta valenza riabilitativa, affiancata alla rianimazione. In ambito riabilitativo l’intervento
si realizza con la formulazione di un progetto riabilitativo personalizzato (orientato all’individuo)
con programmi specifici, attuato da figure professionali diverse inserite in team e che lavorano
insieme in modo interprofessionale, cioè per obiettivi comuni in base all’ outcome globale e
funzionale, ma anche multiprofessionale multidisciplinare (3° Conferenza di Consenso GCA). In
tale progetto riabilitativo vengono identificate le seguenti figure professionali: fisiatra, infermiere,
fisioterapista, terapista occupazionale, neuropsicologo, logopedista, psicologo clinico, assistente
sociale (1° e 3° Conferenza di Consenso GCA). E’ necessario che la Riabilitazione sia dotata
anche di un progetto riabilitativo di struttura quali spazi adeguati, arredamento, organizzazione del
lavoro e delle modalità operative orientato alla protezione ed alla stimolazione delle capacità
funzionali e relazionali dei malati. La struttura riabilitativa deve essere in grado di fornire delle
garanzie di base, la possibilità di seguire pazienti anche in stato vegetativo (SV) con cannula
tracheale, bisogno di ossigenoterapia anche in continuo, alimentati con Gastrostomia Percutanea
Endoscopica (PEG), dotati di catetere venoso centrale (1° Conferenza di Consenso GCA).
Deve altresì essere in grado di gestire un numero consistente di pazienti ogni anno (si parla di
numero non inferiore a 30 gravi cerebrolesioni annue), deve inoltre avere il supporto di molte
specialità e la possibilità di effettuare indagini strumentali con facilità. (Neurochirurgia, Neurologia,
Otorinolaringoiatria,
Oculistica,
Neuroradiologia
,
Neurofisiopatologia,
Dietologia,
Gastroenterologia, Ortopedia, etc.).
La struttura riabilitativa deve anche essere in grado di affrontare le comuni problematiche e
complicanze legate alla grave cerebrolesione quali: crisi neurovegetative; problematiche
neuroendocrine; gestione della ventilazione della respirazione; autonomia respiratoria, nutrizionale
e sfinterica con svezzamento dai presidi; fornire adeguato apporto nutrizionale; valutare e gestire la
deglutizione; monitoraggio dello stato vegetativo e della responsività; facilitazione riabilitativa e
farmacologica alla ripresa di contatto; controllo dei possibili rischi legati all’insorgenza
dell’idrocefalo; gestione delle menomazioni e disabilità sensomotorie compresa la spasticità;
valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo- comportamentali (1°e 3°
Conferenza di Consenso GCA, 1° Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica).
La struttura riabilitativa deve poi occuparsi della realizzazione di un piano di dimissione strutturato,
formulato tempestivamente, condiviso con il paziente e i familiari e con il coinvolgimento delle
154
strutture e operatori del territorio, per garantire la continuità assistenziale e il processo di reintegro
(1° e 3° Conferenza di Consenso GCA).
Viene raccomandata un’organizzazione in rete con tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato
ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con GCA dopo la fase della
ospedalizzazione, con uno stretto raccordo fra tale rete di servizi e le strutture ospedaliere di
riabilitazione. Tale integrazione diviene fondamentale perché una delle caratteristiche di questa
patologia é la facile modificazione nel tempo del profilo di bisogno della persona con GCA e della
sua famiglia. Occorre quindi adottare una prospettiva dinamica nelle valutazioni, pianificazioni e
realizzazione degli interventi derivata dai fattori clinici, personali ed ambientali. La necessità di
personalizzare gli interventi non va intesa solo come possibile scelta tra opzioni possibili in
funzione dei bisogni, ma anche la loro coordinazione ed integrazione. Ne consegue la necessità di
assicurare una funzione di case management a supporto di ogni persona e nucleo familiare. Si
raccomanda che i trattamenti vengano attuati da operatori competenti e che venga fornita al
paziente ed ai familiari una completa informazione rispetto ai risultati attesi ( 2° Conferenza di
Consenso GCA).
Vengono fornite indicazioni alla diffusione delle informazioni dei servizi esistenti ed i programmi di
supporto alla persona per facilitare la domiciliazione tramite interventi finanziari specifici. Si devono
realizzare percorsi che facilitino nel complesso la formazione lavorativa, l’inserimento al lavoro con
tirocini, il tutoraggio o percorsi presso strutture a lavoro protetto come ad esempio le cooperative di
tipo B (2° Conferenza Consenso GCA).
Vengono fornite alle regioni indicazioni per:
- l’attivazione di strutture degenziali specializzate qualora non sia possibile il rientro al domicilio
al termine della fase ospedaliera;
- l’attivazione di strutture di riabilitazione sociale identificate come Centri Diurni per pazienti
definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi
cronicizzati in cui operatori specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria
assistenza e le adeguate stimolazioni;
- l’attivazione di strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei
familiari.
Viene segnalata la necessità della funzione del case management con la individuazione di una o
più figure con funzione di coordinatore formato e informato (assistente sociale, assistente sanitario,
etc.) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il percorso riabilitativo da
seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche nella fase post acuta, nel
coadiuvare il disbrigo di pratiche amministrative e giuridiche e nel mantenere i collegamenti e le
integrazioni fra i diversi servizi coinvolti. Si sollecitano inoltre le istituzioni a fornire maggior
sostegno sociale alle famiglie per le pratiche di invalidità, di attivazione dell’Assistenza Domiciliare
Integrata (ADI), di deducibilità fiscale ed eventuali riconoscimenti economici.
Nelle conferenze di consenso la normativa nazionale per le GCA appare sufficientemente
esaustiva, ma vengono parimenti evidenziate disomogenee applicazioni ed interpretazioni nelle
155
diverse realtà regionali e locali delle normative, insufficiente raccordo fra le diverse agenzie,
strutture ed istituzioni coinvolte nell’applicazione delle normative.
Vengono pertanto suggerite lo sviluppo di azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra
le diverse istituzioni. E’ necessario inoltre sperimentare modalità innovative anche attraverso
partnership fra soggetti pubblici e privati (2° Conferenza di Consenso GCA).
Date tali indicazioni, è possibile con la normativa attuale costruire questo percorso? La creazione
di un percorso sanitario per le GCA trova supporto legislativo nella seguente legislazione:
-
La legge 595 /85 “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale
1986-1988” definisce, all’art. 5, i presidi e i servizi di alta specialità come le attività che
richiedono particolare impegno di qualificazione,mezzi, attrezzature e personale
specificatamente qualificato e, all’art 8 viene individuato il progetto-obiettivo “ la prevenzione
degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali”.
-
Nel Decreto Ministeriale della Sanità del 29.01.1992 sono riconosciuti nelle attività di alta
specialità della riabilitazione due tipologie di presidi neuroriabilitativi “riabilitazione delle para
e tetraplegie acute e del coma apallico” e la “riabilitazione dei cerebrolesi” definite come
strutture riabilitative di terzo livello o presidi di alta specialità. Tale decreto pone delle
indicazioni alla dotazione obbligatoria di servizi e delle funzioni erogabili per ogni tipologia di
strutture di alta specialità. Definisce la tipologia di pazienti ammessi e prevede la
realizzazione di: 1) unità per para e tetraplegie e del coma apallico; 2) unità per la
riabilitazione dei cerebrolesi, destinati al trattamento delle gravi cerebrolesioni
prevalentemente post traumatiche caratterizzate da un periodo protratto di coma GCS < 8. In
tale presidio non sono di norma trattati gli esiti di ictus (stroke ed altre cerebropatie
degenerative). Il bacino d’utenza effettivo deve essere compreso tra 6 e 9 milioni per le
cerebropatie e tra 14 e 17 milioni per para e tetraplegie e coma apallici. Dati oggettivamente
poco consoni all’entità epidemiologica ed alla fattiva possibilità di rieducare con il
coinvolgimento dei familiari e l’ attivazione dei percorsi sociali.
-
La legge finanziaria 1996 (legge 549 del 28.12.1995) introduce nell’organizzazione interna
degli ospedali il modello dipartimentale al fine di consentire ai servizi affini e complementari di
operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo di risorse
finanziarie.
-
Per gli aspetti economici il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 prevedeva per l’alta
specialità riabilitativa “l’analisi di consumo di risorse e costi associati ai diversi tipi di
intervento, per consentire valutazioni sistematiche, anche al fine di pervenire ad una
tariffazione per livelli e per tipologie di intervento”.
-
Nelle linee guida del Ministero della Sanità per le attività di Riabilitazione del 1998
(Conferenza Stato Regioni e Prov. Aut. del 07.05.1998 pubblicato sulla Gazzetta serie
generale n° 124 del 30.05.1998, viene ampliata l’offerta per l’alta specialità riabilitativa con la
possibilità di istituire: 1) unità spinali per le lesioni midollari; 2) unità per le gravi
156
cerebrolesioni; 3) unità per le disabilità gravi in età evolutiva; 4) le unità per la rieducazione
delle turbe neuropsicologiche acquisite. Tali linee guida individuano “l’unità operativa per le
gravi cerebrolesioni acquisite ed i gravi traumi cranio encefalici alla presa in carico di pazienti
affetti da esiti di grave cerebrolesione acquisita (di origine traumatica o di altra natura) e/o
caratterizzata nell’evoluzione clinica da un periodo di coma più o meno protratto (GCS < 8) e
dal coesistere di gravi menomazioni comportamentali che determinano disabilità multiple e
complesse e che necessitano di interventi valutativi e terapeutici non realizzabili presso le
altre strutture che erogano interventi di riabilitazione intensiva”. L’alta specialità riabilitativa
deve dotarsi di un’area sub intensiva ad alta valenza di recupero e rieducazione funzionale e
deve coordinare il proprio intervento con i servizi di riabilitazione estensiva o intermedia o
intensiva con i quali dovrà raccordarsi per il ritorno in tempi adeguati del disabile nel proprio
territorio garantendo il completamento del percorso riabilitativo. E’ bene evidenziare che l’alta
specialità riabilitativa con le Linee Guida del 1998 si arricchisce della creazione della Unità
per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite da realizzarsi all’interno di un
presidio ospedaliero dove siano presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e
riabilitazione, neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e
dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato e numericamente adeguato.
Sempre le Linee Guida del 1998 per la riabilitazione quantificano le attività svolte in
riabilitazione intensiva in tre ore giornaliere omnicomprensive (infermiere, medico, terapista,
logopedista, etc.) con progetti e programmi contenuti in 120 giorni da realizzarsi in presidi
ospedalieri plurispecialistici e monospecialistici ove siano già presenti funzioni di ricovero e
cura ad alta intensità diagnostica ed assistenziale o nei quali si sia costituita una specifica
unità operativa, in grado di garantire la presa in carico multicomprensiva di individui di tutte le
età. Le attività di riabilitazione ospedaliera sono prevalentemente effettuate nelle Unità di
Recupero e Riabilitazione Funzionale e di Alta Specialità in particolare neuro riabilitativa. Le
Linee Guida del 1998 non pongono l’obbligo ma forniscono solo indirizzi tecnico-organizzativi,
non prescrittivi, ferma restando l’autonomia delle regioni nel definire i contenuti e le procedure
di accreditamento, nonché la loro allocazione sul territorio in coerenza con la
programmazione regionale e nazionale. Altro limite è che non forniscono indicazioni su come
realizzare un’integrazione con il sociale.
-
Il Piano sanitario Nazionale 1998-2000 richiama l’attenzione alla continuità terapeutica e
descrive l’assistenza riabilitativa corrispondente a strutture e servizi a diversi livelli
(distrettuale, sotto-distrettuale e multizonale) e con diversa modalità di organizzazione
dell’offerta (ospedaliera, extraospedaliera, di natura residenziale, semiresidenziale).
-
In relazione alla valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e
comportamentali la prima Conferenza di Consenso “Riabilitazione neuropsicologica della
persona adulta” svoltasi a Siena nel febbraio 2010, individua come figura elettiva per la
valutazione e riabilitazione neuropsicologica lo specialista in neuropsicologia e conferma che
il modello delineato dalle Linee Guida ministeriali sulla riabilitazione, che prevede l’esistenza
157
di unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di
strutture specialistiche ospedaliere, risponde all’esigenza di presa in carico globale del
paziente in modo coerente con il modello bio-psico-sociale in riabilitazione.
-
Le recenti Linee Guida 2011 accordo Stato Regioni 10.02.2011, il Piano di indirizzo per la
Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione-, il Ministero della Salute introducono
ufficialmente il modello bio-psico-sociale (ICF) “che pone al centro al centro il cittadino con
disabilità e la sua famiglia nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni e
che conseguentemente orienta tutte le attività a tale priorità verificandone i risultati. Lo
strumento principale per concretizzare questa impostazione unitaria è il percorso
assistenziale integrato basato sulla valutazione multidimensionale e sociale”.
-
Il percorso assistenziale integrato è il riferimento complessivo che rende sinergiche le
componenti sanitarie e non sanitarie dell’intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto
Riabilitativo Individuale rappresenta lo strumento specifico sintetico ed organico per tutto ciò.
Il documento segnala l’importanza di un governo clinico dei diversi professionisti coinvolti che
richiede cultura, strumenti, metodi, organizzazione e modalità di remunerazione specifiche
non mutuabili da quelle della fase acuta; introduce il concetto di “persona ad alta complessità”
(PAC) necessitante di una collocazione riabilitativa adeguata; delinea un percorso riabilitativo
unico per il paziente e conferma le necessità di un progetto di struttura; richiama la necessità
di un dipartimento di riabilitazione che garantisce la clinical governance del percorso
garantendo la continuità ospedale territorio sul piano riabilitativo. Viene riconfermata la
suddivisione tra Riabilitazione Intensiva e Riabilitazione Intensiva ad Alta Specializzazione
(secondo L.G. 1998) e fa risultare in 19 su 21 regioni e province autonome, la presenza delle
Unità per Gravi Cerebrolesioni (UGC) e in 6 su 21 le Unità per la riabilitazione delle turbe
neuropsicologiche acquisite (URNA).Tali dati sono peraltro non rilevabili. Viene comunque
evidenziato tra i punti deboli dalla situazione attuale che la continuità assistenziale è ottenuta
attraverso la somma di molteplici interventi singoli non realizzando una completa e precoce
presa in carico globale della persona. Il documento ha molte valenze positive ma fornisce
informazioni solo nell’ambito del percorso riabilitativo medico mentre non spiega come
integrare il percorso sociale, né richiama l’utilità del case management.
Le Regioni hanno preso atto dei modelli teorici di riferimento, delle indicazioni scientifiche e delle
normative ministeriali per decretare l’attuazione di procedure organizzative del percorso integrato
riabilitativo al fine di fornire a tutti i soggetti pari opportunità di cura, ma hanno costituito modelli
diversi di risposta al bisogno di un percorso integrato socio-sanitario e secondo i riferimenti ICF.
Nell’attuazione delle norme, il modello meglio definito è il Modello Gracer dell’Assessorato
Politiche alla Salute della Regione Emilia Romagna denominato “Il percorso Assistenziale Integrato
nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase acuta e post acuta.” (Progetto di ricerca
finalizzata 2005 Ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99). In tale documento oltre agli aspetti
epidemiologici e la possibile evoluzione clinica, vengono fatte proprie le indicazioni del modello
ICF-OMS e del progetto europeo Elios II per l’integrazione sociale dei disabili ed i riferimenti delle
158
conferenze di consenso in materia. Vengono individuate le figure professionali indispensabili al
progetto riabilitativo, delineati i fabbisogni ed i percorsi integrati tra le varie riabilitazioni (intensive
ed estensive). Tra le indicazioni il modello propone un ponte al collegamento con le strutture
sociali, richiama l’importanza del case management e l’attivazione, alla dimissione ospedaliera,
della Unità di Valutazione Multiprofessionale della Disabiltà (UVMD) della AUSL di riferimento nel
caso di Stati vegetativi, Minima Responsività e grave disabilità.
Un altro esempio di modello di rete attuato, realizzato su scala provinciale, è quello che è stato
istituito a Treviso dopo una preventiva indagine sui bisogni di un territorio di 410.000 abitanti.
L’emergenza viene gestita dall’Ospedale di Treviso come centro DEA di 2° livello, accanto alla
terapia intensiva sono stati attivati 5 letti ad alta valenza riabilitativa e ciò ha consentito la riduzione
del consumo di 2 posti letto di rianimazione con contenimento della spesa sanitaria. Il passaggio in
riabilitazione avviene con il ricovero all’Ospedale Riabilitativo di Alta Specialità con 20 posti letto
dedicati per le GCA (Ospedale di Motta di Livenza). Vi è poi alla dimissione da questa unità un
invio, secondo i bisogni del percorso riabilitativo, a strutture che offrono il trattamento riabilitativo
distribuite nella provincia avvalendosi anche di strutture private accreditate. La rete è collegata con
i servizi sociali territoriali. Viene garantita la gestione unitaria del percorso di cura attraverso
procedure e sistemi di comunicazione condivisi. I servizi che vengono offerti riguardano pertanto
tutte le fasi della presa in carico riabilitativa della persona con GCA e delle loro famiglie: fase acuta
rianimatoria, fase riabilitativa intraospedaliera, ambulatoriale, territoriale. I punti di forza
organizzativi sono la creazione nel 2009 di un Dipartimento Funzionale Interaziendale di
Riabilitazione e la gestione dell’Ospedale di Treviso è realizzata direttamente dalla USSL locale.
Le indicazioni del gruppo di lavoro ministeriale del 2011 danno forse troppo per scontato l’esistenza
di una rete integrata effettiva per le gravi cerebrolesioni tanto che esso sollecita la formazione di
unità per lesioni midollari, per patologie cardiache e respiratorie ed inoltre non fornisce più alcun
riferimento sulla utilità e presenza delle unità di per la riabilitazione dei disturbi neuropsicologici
acquisiti (URNA).
Quello appena illustrato è il panorama delle normative nazionali ed alcuni esempi su dove e come
siano stati attivati dei percorsi di rete per le gravi cerebrolesioni. Per vedere lo stato del nostro
territorio dobbiamo riferirci però alla normativa della Regione Lombardia qui di seguito riportata:
-
Il DGR n.7 /19883 del 16.12.2004 ha ridefinito l’organizzazione della riabilitazione in ambito
regionale. Ha posto come obiettivo la creazione di un modello di percorso integrato e continuo
suddiviso in: sanitario, socio- sanitario e socio assistenziale. In tale ambito la riabilitazione
veniva suddivisa in: specialistica (codice 56 e 75), generale geriatrica (codice 60) e di
mantenimento (non per stati vegetativi). Nella riabilitazione specialistica vengono garantiti 160
minuti di assistenza, per la riabilitazione generale geriatrica 120 minuti. Vengono considerate
come necessarie le seguenti figure professionali: medico, terapista della riabilitazione,
logopedista, terapista occupazionale, educatore, ortottista, podologo, tecnico della
riabilitazione psichiatrica.
159
-
Nel DDG 12376/05 viene attuata una valutazione delle attività di degenza in area riabilitativa,
già accreditate nel sopracitato decreto, classificando gli interventi riabilitativi per DRG,
sistema basato su raggruppamenti omogenei di diagnosi, su informazioni ricavate dalle
schede di dimissione ospedaliera (SDO) e con remunerazione con tariffe predeterminate. La
classificazione diagnostica è attuata secondo la Classificazione Internazionale delle Malattie
(ICD CM). La tariffa remunerativa è stabilita in base alle giornate di degenza. Esiste un limite
temporale di degenza oltre al quale vi è un importante riduzione della remunerazione
giornaliera.
-
Viene introdotta negli anni successivi una normativa regionale a parte per gli stati vegetativi
inviati in strutture assistenziali residenziali o che vengono accolti dai parenti al domicilio: in tal
caso la regione eroga un contributo extra con voucher mensile (Deliberazione della Giunta n°
IX/2633 del 06.12.2011 Regione Lombardia e DGR n 2124/2011). Questo crea gravi disparità
con le persone in condizione di minima responsività che hanno lo stesso tipo di bisogno
assistenziale (vedi anche profilo dei bisogni secondo ICF) senza un adeguato sostegno.
La scelta della Regione Lombardia di individuare un percorso nel settore della “riabilitazione
specialistica” ha varie conseguenze con aspetti di vantaggio e di criticità per la creazione di una
rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con GCA. Tra i vantaggi
possiamo individuare i seguenti punti:
-
aumenta teoricamente la possibilità sul territorio di trovare una risposta in ambito riabilitativo
in senso “intensivo” anche vicino al domicilio, facilitando così i familiari e la comunicazione
con le istituzioni locali;
-
consente anche a chi ha una GCS > 8 di poter accedere a strutture con requisiti omogenei di
accreditamento, anche perché non è scontato che avere una GCS > 8 non produca grave
disabilità meritevole di un intenso impegno riabilitativo;
-
permette il superamento dei 120 giorni di riferimento per il trattamento per le patologie
meritevoli di un intervento “intensivo” secondo le Linee Guida Ministeriali 1998.
Tra gli aspetti critici possiamo evidenziare:
-
i compiti devoluti dalle Linee Guida Ministeriali alle strutture con Codice 75 non sono realizzati
(attività di raccordo con la riabilitazione estensiva, addestramento formalizzato ai parenti per
l’assistenza domiciliare per alimentazione e assistenza respiratoria, problematiche cognitive e
del comportamento, assistenza ortesica, attività di consulenza);
-
vengono ridotti i minuti di assistenza minima da 180 minuti delle linee guida relative alla
riabilitazione intensiva a 160 minuti die (quando è noto che l’impegno organizzativo e
professionale di norma rende insufficienti i 180 minuti. E’ possibile erogare alta specialità con
tali parametri?). Si può arrivare al paradosso che possono essere riconosciuti nella
assistenza degli stati vegetativi presso le RSA e RSD anche 2200 minuti alla settimana nei
160
soggetti classificati in classe A secondo DGR 19.12.2007, n. VIII /6220 e Circolare
28.01.2008, n.2 della regione Lombardia Direzione Generale famiglia e Solidarietà;
-
non vengono richieste figure professionali indispensabili per la gestione di queste patologie
quali neuropsicologi e psicologi per la valutazione e riabilitazione degli aspetti cognitivi,
comportamentali e l’eventuale supporto psicologico ai pazienti e ai familiari, né vengono
attivate le URNA che affianchino le strutture riabilitative. Peraltro l’assenza dei neuropsicologi
nel team riabilitativo difficilmente si concilia con un moderno concetto, almeno sul piano
funzionale se non normativo, di alta specialità riabilitativa;
-
vi è il rischio documentabile della disparità che si può realizzare tra strutture accreditate
pubbliche bloccate nelle assunzioni del personale e quelle private che possono scegliere le
figure professionali da assumere in funzione dei bisogni, anche se le strutture pubbliche sono
mediamente le più coinvolte nella fase acuta e post acuta, perché le strutture di emergenza si
trovano più facilmente in tali ambiti (DEA di 2° livello);
-
non vengono richieste caratteristiche di accreditamento che siano relative alla riabilitazione di
struttura o all’organizzazione interna per la gestione di questa patologia così complessa, né
vengono richieste specifiche attività di integrazione con il territorio;
-
non viene ad ora introdotto in concreto il concetto di Persona ad Alta Complessità (PAC)
previsto dal Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Ministero della Salute 2011;
-
non viene perseguita la creazione di una rete integrata di servizi in ambito riabilitativo;
-
nel piano Socio Sanitario 2007-2009 viene indicato come obiettivo il superamento della
distinzione, all’interno delle reti di riabilitazione, tra assistenza ospedaliera ed
extraospedaliera, perché tale suddivisone non è più ritenuta fondata “né sul piano
assistenziale né su quello organizzativo”. Lo stesso piano pone anche l’obiettivo
imprescindibile di realizzare “l’integrazione della riabilitazione dei settori sanitario e sociosanitario e la necessità di creare un modello di percorso integrato e continuo sanitario, socio
sanitario e sociale, ove i servizi di riabilitazione si modulano alle differenti condizioni di fragilità
di pazienti” con gli obiettivi tra gli altri di “monitorare l’implementazione della riabilitazione di
mantenimento per il reinserimento e la riabilitazione generale geriatrica in ciclo diurno
continuo, governare la complementarietà dell’intervento riabilitativo, la sua appropriatezza ed
i suoi costi”;
-
non vengono incentivate nonostante quanto sopra riportato, sul piano remunerativo, le
strutture che meglio si organizzano nella gestione della riabilitazione delle gravi
cerebrolesioni. Dato rilevato anche dal Ministero della Salute è che “un limite è rappresentato
dai regimi di rendicontazione e tariffazione differenti che non sono basate sul reale utilizzo
delle risorse assegnate, ma che si basano solo su codici di malattia”;
-
non viene proposta l’adozione di un case management sanitario come di seguito definito: “Il
case management rappresenta una metodologia di gestione dell’assistenza sanitaria che
161
utilizza un processo di miglioramento dell’efficacia ed efficienza dell’assistenza, basandosi
sulla logica del coordinamento delle risorse da utilizzare per trattare la specifica patologia di
un paziente e coinvolgendo le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario in cui si
trova” (Mazzucchi, 2011);
-
non vengono concentrati i pazienti nelle strutture specializzate al più alto livello di expertise
possibile (3° Conferenza di Consenso GCA) impedendo di fatto di mettere tutti i cittadini nelle
stesse possibilità paritarie di cura;
-
non ultimo, il modello scelto dalla Regione Lombardia che suddivide il ruolo di erogatore dei
servizi, cioè le strutture accreditate, da quello del controllore ASL limita, in assenza di obiettivi
comuni e di una regia, la realizzazione di un percorso socio-sanitario unitario delle GCA;
-
non vengono recepite a livello normativo le indicazioni del modello bio-psico-sociale ICF in
ambito sanitario, mentre il suo utilizzo in ambito sociale viene introdotto, almeno nelle
intenzioni, con il Piano d’Azione Regionale per le persone con disabilità 2010 -2020;
-
le Linee Guida Ministeriali del 1998 prevedono la creazione della Unità per la riabilitazione
delle turbe neuropsicologiche acquisite come unità di bacini sovra regionali. Tale indicazione
pare alquanto inopportuna rispetto all’entità epidemiologica presentata ed inoltre non
permette la fattiva possibilità di rieducare con il coinvolgimento dei familiari, l’attivazione dei
percorsi sociali ed il reinserimento lavorativo, modello ICF, nella realtà territoriale del
paziente. La criticità maggiore è data dalla loro quasi totale assenza dopo quattordici anni
dall’emissione delle Linee Guida e soprattutto nella struttura pubblica. Vi sono alcune
realizzazioni di URNA solo in alcune regioni (Veneto) e all’interno di strutture private
convenzionate e IRCSS. Tali unità sono previste all’interno di un presidio ospedaliero dove
fossero presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e riabilitazione,
neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica con posti letto o
in neurologia o in medicina fisica e riabilitazione e devono essere dotate di personale
specificatamente addestrato,qualificato e numericamente adeguato. Anche la conferenza di
consenso di Siena 2010 conferma che “il modello delineato dalle linee guida ministeriali sulla
riabilitazione, che prevede l’esistenza di unità per la riabilitazione delle turbe
neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di strutture specialistiche ospedaliere,
risponde all’esigenza di presa in carico globale del paziente in modo coerente con il modello
bio-psico-sociale in riabilitazione. La giuria ritiene inoltre opportuno che a tali centri ospedalieri
siano affiancati strutture ambulatoriali territoriali, dove sia possibile effettuare una
riabilitazione cognitiva particolarmente indicata per disturbi neuropsicologici selettivi e meno
gravi”. Ma, oltre alla non esistenza delle Unità per la riabilitazione delle turbe
neuropsicologiche acquisite, anche i centri ambulatoriali sul territorio sono pressoché
inesistenti, soprattutto nelle nostre aree. Questo comporta che la struttura di degenza si
accolli per lungo tempo, anche per anni, la riabilitazione cognitiva e comportamentale del
paziente e, con la scarsità di risorse disponibili, ciò comporta una riduzione dell’intervento
162
riabilitativo e la scarsissima possibilità di rapporti di continuità assistenziale con le strutture
sociali territoriali. In relazione poi ai disturbi comportamentali, qualora come spesso accade, ci
sia la necessità di un supporto farmacologico, esiste una grave criticità nella presa in carico di
questi pazienti perché la patologia che determina il disturbo comportamentale è organica e
pertanto i Centri Psico-Sociali (CPS) di competenza territoriale spesso non hanno risorse e
disponibilità. La conferenza di consenso di Siena 2010 individua come “figura elettiva per la
valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e comportamentali lo
specialista neuropsicologo”. La realtà a tutt’oggi è ben diversa: la riabilitazione
neuropsicologica è prevalentemente fornita da altre figure professionali (logopediste e
terapisti della riabilitazione); dove poi esistono psicologi con formazione neuropsicologica la
loro posizione contrattuale è quanto mai precaria e tale da non poter garantire una continuità
del servizio.
E’ dunque opportuno porre alcune domande: è possibile istituire la figura del case management in
ambito sociale in tempi rapidi in considerazione del fatto che è già previsto dal Piano d’Azione
Regionale 2010-2020 per le persone con disabilità ? Può la soluzione dei voucher (rimborsi
regionali) consentire un’adeguata gestione delle problematiche socio-sanitarie della GCA in
assenza di strutture che non abbiano valenza sanitaria e che non hanno la vocazione verso
questa patologia?
Nella realtà del territorio lombardo non appaiono sufficientemente presenti:
x
strutture degenziali specializzate in cui non sia sostenibile il rientro al domicilio al termine
della fase ospedaliera, ad esempio residenze socio- sanitarie (RSD) orientate alla disabilità;
x
strutture di riabilitazione sociale come Centri Diurni per pazienti definitivamente dimessi dalle
strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi cronicizzati in cui operatori
specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria assistenza e le adeguate
stimolazioni;
x
strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei familiari.
Alcune norme più recenti possono forse offrire l’occasione per creare una rete efficiente.
Il Piano Socio Sanitario della Regione Lombardia 2010–2014 ha come sottotitolo “Programmazione
sanitaria e socio sanitaria, reti di patologia e piani di sviluppo” e recita “Far crescere il benessere
sociale e promuovere la salute: sanità d’avanguardia per garantire la salute: dalla cura al prendersi
cura”. Fornisce indicazioni per la realizzazione di “reti di patologia” che rappresenta un “ modello di
integrazione all’offerta in grado di coniugare esigenze di specializzazione delle strutture sanitarie e
socio sanitarie, diffusione sul territorio di centri di eccellenza e di tecnologie ad elevato standard,
sostenibilità economica, fabbisogni della collettività e dei professionisti che operano in ambito
sanitario e sociale”. Si conferma che “la risposta al bisogno di unitarietà del processo di cura, si
realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati multidisciplinari e di continuità delle cure, che
garantiscono la centralità del paziente” e in questa ottica “la rete di patologia rappresenta la
163
naturale risposta a queste esigenze, in grado di garantire la continuità delle cure, l’individuazione e
l’intercettazione della domanda di salute con presa in carico globale del paziente ed il governo dei
percorsi sanitari, socio sanitari e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di
sostenibilità economica”.
Il prendersi cura si realizza nell’evitare “vuoti” assistenziali che possono ripercuotersi in modo
negativo sul sistema con ricorsi inappropriati ai servizi. Per questo in ambito di interventi di sollievo
e pronto intervento sociale viene incentivata la comunicazione e l’integrazione della rete con
accompagnamento dei pazienti e delle famiglie da un nodo all’altro della rete, promuovendo
modalità uniformi di accesso ai servizi attraverso il collegamento e la collaborazione tra i servizi
territoriali delle ASL e dei comuni.
In relazione alle reti di patologia per ora non è prevista alcuna rete per le gravi cerebrolesioni
acquisite.
Nel complesso la percezione è che a livello regionale non sia compresa la rilevanza epidemiologica
e clinica e quindi la diretta ricaduta sul sistema sanitario e l’impatto sul sociale che la grave
cerebrolesione acquisita comporta.
Come costruire allora una rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con
GCA nell’ambito della provincia di Bergamo?
La proposta potrebbe essere quella di costituire anche da noi un Dipartimento funzionale
interaziendale che possa fungere da regia alla creazione di una gestione unitaria dei percorsi di
cura. Il dipartimento riabilitativo è per altro lo strumento ritenuto indispensabile per la clinical
governance dal Piano di Indirizzo per la Riabilitazione del Ministero della Salute del Febbraio 2011
che ha evidenziato, come anche in ambito nazionale, che “la continuità assistenziale è perseguita,
ma non sempre ottenuta, attraverso la concatenazione di diversi interventi singoli, senza realizzare
una completa e precoce presa in carico globale della persona”. La Regione, dal suo canto, alla luce
dei dati epidemiologici, dovrà favorire la creazione di una rete di patologia per le GCA al fine di
orientare investimenti adeguati che consentano anche l’istituzione di centri ambulatoriali per il
proseguimento della riabilitazione soprattutto dei disturbi cognitivi ed emotivo-comportamentali,
causa delle principali disabilità di questa patologia.
164
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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traumatizzato cranio encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e
indicazioni a percorsi appropriati”, Modena, 2000
AA.VV., Atti della 2a Conferenza Nazionale di Consenso “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle
persone con disabilità ad grave cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie nella fase
post-ospedaliera”, Verona, 2005
AA.VV., Atti della 3a Conferenza Nazionale di Consenso “Buona pratica clinica nella riabilitazione
ospedaliera delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite”, Salsomaggiore Terme, 2010
AA.VV., Atti della Conferenza Nazionale di Consenso “La riabilitazione neuropsicologica
dell’adulto”, Siena, 2010
AA.VV., Atti del Convegno “Le gravi cerebrolesioni acquisite: i problemi aperti” 30.03.2012,
Fondazione Don Gnocchi, Rovato (Bs)
AA.VV., Il percorso Assistenziale Integrato nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase
acuta e post acuta, Progetto di ricerca finalizzata 2005 ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99
AA.VV, Trattamento del Trauma Cranico minore e severo. Linee Guida nazionali di riferimento,
Roma
Basaglia N., Trattato di Medicina Riabilitativa. Medicina fisica e riabilitazione, Idelson-Gnocchi,
2000
Basaglia N., Progettare la riabilitazione, Edi-Ermes, 2002
Engel G.L.,The need a new medical model:a challenge for biomedicine. Science, 1977;196: 129136
Mazzucchi A., La riabilitazione delle gravi cerebrolesioni acquisite. Percorsi sanitario assistenziali
problematiche gestionali evidenza dei risultati, Giunti Organizzazioni Speciali, 2011
OMS, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute,
Erickson, 2001
Vallar G., Cantagallo A., Cappa S.F., Zoccolotti P., La riabilitazione Neuropsicologica. Un’analisi
basata sul metodo evidence based medicine, Springer, 2011
165
RIFERIMENTI NORMATIVI
Circolare n. 2 del 28.01.2008, - Direzione Generale famiglia e Solidarietà, Indicazione in ordine alla
applicazione DGR n. 8/6220 del 19.12.2007, Regione Lombardia
Decreto Direttore Generale n. 12376/05 del 05.08.05, Regione Lombardia
Decreto Ministero della Sanità del 29.01.1992
DGR n. VII/1988 del 16.12.2004, Regione Lombardia
DGR n. VIII/6220 del 19.12.2007, Determinazione in ordine alla assistenza di persone in stato
vegetativo nelle strutture di competenza - Direzione Generale Famiglia e Solidarietà e Sociale
(Finanziamento a carico del Fondo Sanitario- Regione Lombardia)
Deliberazione della Giunta n. IX/2633 del 6.12.2011, Regione Lombardia
Linee guida del Ministero dalla Sanità per le attività di riabilitazione, Gazzetta Ufficiale n. 124 del
30.05.1998
Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione, Ministero della
Salute, febbraio 2011
Piano Socio Sanitario 2007-2009 della Regione Lombardia
Piano Socio Sanitario 2010-2014 della Regione Lombardia
166
LA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE
CEREBROLESIONE ACQUISITA: DALLA CONSENSUS CONFERENCE DI
SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI
Maria Grazia Inzaghi1 e Lorella Algeri2
La riabilitazione neuropsicologica è un processo terapeutico per migliorare la capacità di un
soggetto con danno cerebrale nell’elaborare ed usare le informazioni e per permettere un migliore
funzionamento nella vita di tutti i giorni (Wilson, 2003a; Sohlberg e Mateer, 1989). Si pone
l’obiettivo di eliminare, ridurre o evitare l’aggravarsi di deficit causati da una compromissione
cerebrale.
Negli ultimi anni sempre più numerose ricerche condotte dagli psicologi hanno messo in luce quali
effetti produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. I riabilitatori hanno quindi compreso
che un progetto riabilitativo non può più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse
di natura motoria e sensoriale. Se le conoscenze di base dei riabilitatori in ambito neuropsicologico
si limitavano a constatare la presenza dei disturbi del linguaggio (in caso di cerebrolesione
sinistra), ora è sempre più evidente la necessità di acquisire conoscenze relative ad altre funzioni
(attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che possono influire
negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono di modificare le condotte da
attuare, le modalità di interazione col paziente e la pianificazione stessa degli 'esercizi'.
I deficit delle funzioni cognitive inoltre presentano una ripercussione negativa anche sulle attività
della vita quotidiana e possono determinare notevoli difficoltà in riferimento al reinserimento
familiare, sociale e lavorativo.
La richiesta di riabilitazione neuropsicologica deriva oltre che da una maggiore consapevolezza
dell’importanza degli aspetti cognitivi nel raggiungimento dell’autonomia, nella vita di relazione,
nella vita sociale, anche dal numero crescente di soggetti interessati a causa dall’aumento della
sopravvivenza dopo grave lesione cerebrale, dal miglioramento nelle terapie di alcune malattie
neurologiche e dall’invecchiamento della popolazione.
Negli ultimi anni, a fronte dello sviluppo di numerose procedure riabilitative e alla conduzione di
studi ed esperienze di rilievo nel campo della riabilitazione neuropsicologica, in ambito scientifico e
clinico è stata avvertita l’esigenza della definizione di linee guida relative alle evidenze di efficacia
per gli interventi.
1 Psicologa, Responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia, Casa di Cura Quarenghi, S. Pellegrino Terme, Bergamo;
Presidente SPAN, Società degli Psicologi dell’Area Neuropsicologica
2 Psicologa, USSD Psicologia Clinica,USC Medicina Fisica e Riabilitazione Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di
Bergamo
167
Tra i lavori di rilievo relativi alla revisione delle evidenze disponibili in letteratura per l’efficacia della
riabilitazione neuropsicologica e la valutazione della qualità dei singoli studi, si collocano le
raccomandazioni per la pratica clinica del gruppo coordinato da Cicerone (Cicerone et al,2000;
2005) e le linee guida della Task Force della European Federation of Neurological Societies
(Cappa et al, 2003;2005).
Alcune Società Scientifiche italiane (Associazione Italiana di Psicologia, AIP; Gruppo
Interprofessionale di Riabilitazione in Neuropsicologia, GIRN; Società Italiana di Neurologia, SIN;
Società Italiana di Neuropsicologia, SINP; Società di riabilitazione Neurologica, SIRN, Società
Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, SIMFER; Società degli Psicologi nell’Area della
Neuropsicologia, SPAN) nel 2007 hanno iniziato una collaborazione per reperire non solo le
evidenze di efficacia della riabilitazione neuropsicologica ma anche le implicazioni sociali, gli
aspetti organizzativi, normativi e formativi.
L’analisi della letteratura è stata condotta seguendo il modello proposto dal gruppo SPREAD: una
procedura avanzata di Evidence Based Medicine che considera come ‘gold standard’ il Trial Clinico
Randomizzato (RCT) e come livello più avanzato di evidenza la metaanalisi.
Dopo 3 anni di lavoro, i documenti redatti sono stati illustrati nella Conferenza di Consenso a
Siena, nel 2010 e successivamente ad un aggiornamento dei dati derivante dall’analisi della
letteratura sino al 2010, pubblicati in lingua italiana (Vallar et al, 2012) e inglese (Ladavas et al,
2011).
Di seguito vengono presentate le conclusioni emerse dai diversi gruppi di lavoro presentati nella
Conferenza di Consenso di Siena.
I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive
(P. Zoccolotti, M. De Luca, C. Guariglia, P. Ianes, L. Trojano)
I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive determinano un impatto significativo nella vita di
relazione del paziente, in particolare sulle prospettive di reintegro nel mondo del lavoro. I disturbi
della sfera attentiva si manifestano con l’incapacità di filtrare e selezionare adeguatamente
dall’ambiente l’informazione che deve essere elaborata dal cervello. I disordini disesecutivi si
esprimono con difficoltà di pianificazione delle attività quotidiane, ridotta efficienza della memoria
prospettica e deficit nella selezione e nel controllo delle azioni appropriate in funzione del contesto.
Nel lavoro le due funzioni sono state considerate separatamente
Trattamento dei disordini dell’attenzione
Le conclusioni delle precedenti review (Cicerone et al. 2000; 2005 Cappa et al. (2003 e 2005)
sono relativamente simili. Secondo Cicerone et al. (2000) le prove sostengono l’efficacia di un
training specifico dell’attenzione nella fase post-acuta della malattia e suggeriscono questa forma
d’intervento come Practice guideline. Nella fase acuta, invece, a causa di una non chiara
168
separazione tra recupero spontaneo e recupero indotto dal trattamento, secondo Cicerone et al.
(2000) non vi sono prove convincenti che un intervento specifico dei disturbi dell’attenzione sia
indicato. La conclusione che il training dell’attenzione sia più efficace quando si utilizzano compiti
complessi con una valenza funzionale (compiti strategici) piuttosto che compiti attenzionali di base
(come tempi di reazione a stimoli semplici o vigilanza) è condivisa dalle due review di Cappa et al.
(2003, 2005). Nella loro sintesi successiva, Cicerone et al. (2005) sottolineano la maggiore
efficacia di interventi di tipo strategico e propongono un modello di intervento basato più sullo
sviluppo di strategie per compensare i deficit cognitivi residui (“strategy training”) che sul tentativo
di recuperare la funzione danneggiata (“restitution training”).Nel presente lavoro sono stati
revisionati 15 lavori originali pubblicati dal 2000 al 2007 (tra cui una revisione, una meta-analisi e 2
case report). In generale, la maggior parte degli studi sostiene la validità degli interventi, pur
riconoscendone alcuni limiti metodologici; in alcuni casi, infatti, nonostante l’esito efficace,
l'attendibilità dello studio è minata da debolezze metodologiche diverse (assenza di gruppo di
controllo, possibile effetto della pratica, utilizzo di compiti “trained” per valutare l'outcome, effetto
aspecifico del trattamento, effetto non significativamente diverso rispetto all'effetto di un intervento
di controllo, etc.).
Raccomandazioni: Coerentemente con gli esiti delle review di Cappa et al. (2003, 2005) e Cicerone
et al. (2000, 2005), in generale, si può concludere che i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla
riabilitazione delle capacità attentive si dimostrano efficaci soprattutto nei casi in cui il trattamento è
stato adattato al profilo neuropsicologico e soprattutto attenzionale del paziente e quando il metodo
è basato su strategie piuttosto che sull’addestramento a compiti o abilità specifici. Permane
l’esigenza di un maggior numero di studi con trial clinico randomizzato e con valutazione del
mantenimento a lungo termine degli effetti dell’intervento. Inoltre, essendo la casistica composta
per la maggior parte da pazienti con trauma cranico, l’estensione di questi trattamenti ad altre
tipologie di pazienti deve ancora essere supportata da ulteriori verifiche. L’efficacia é più chiara nel
caso di pazienti con una sintomatologia relativamente stabile o post-acuta. In sintesi, le evidenze
disponibili indicano che trattamenti mirati producono una riduzione apprezzabile dei disturbi.
Rispetto agli standard SPREAD questi interventi nel loro complesso sono codificabili con una
raccomandazione di grado A. Risultati quindi positivi, ma con i limiti metodologici precedentemente
descritti; tra questi, la scarsità di follow-up e la possibile non specificità dell’effetto del trattamento
sono i più rilevanti.
Trattamento dei disordini disesecutivi acquisiti
Quasi tutti gli studi revisionati sono stati rivolti alla riabilitazione dei pazienti con esiti di trauma
cranico. In tutti gli studi sono stati evidenziati risultati favorevoli statisticamente significativi, ma
nella gran parte di essi manca una verifica nel tempo della stabilizzazione degli effetti ottenuti. Non
è possibile un’analisi comparativa o cumulativa dei diversi studi, in quanto essi differiscono molto
per obiettivi, metodologia, tipo di trattamento e misure utilizzate per verificarne l’efficacia. Gli
elementi scaturiti dalla revisione bibliografica si sovrappongono in gran parte a quelli evidenziati
169
nelle due recenti revisioni sistematiche sull’argomento (Cicerone et al., 2005; Geusgen et al.,
2007). Attualmente sono disponibili almeno alcuni studi randomizzati e controllati a favore di
un’efficacia significativa di alcuni trattamenti riabilitativi per le funzioni esecutive. Poiché quasi tutti
gli studi , sono stati rivolti a pazienti con esiti di trauma cranico, le principali conclusioni che si
possono trarre riguardano questo tipo di pazienti.
In sintesi:
-
i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla riabilitazione delle capacità di pianificazione
delle attività quotidiane sembrano godere di un grado di evidenze sufficiente a definirli come
raccomandati in presenza di disturbi disesecutivi;
-
i trattamenti mirati a riabilitare specifiche attività, pur nel contesto generale del recupero di
abilità di pianificazione, hanno finora ricevuto dimostrazioni di efficacia non rigorosamente
controllate;
-
l’utilizzo di computer nel contesto della riabilitazione dei disturbi disesecutivi non sembra
generare uno specifico vantaggio.
Come per i disturbi attenzionali, vi sono alcuni limiti: per esempio, la scarsa casistica (casi singoli o
piccolissimi gruppi), l’esiguità dei dati sulla generalizzazione dei risultati al contesto quotidiano e la
scarsezza delle verifiche della stabilizzazione nel tempo dei risultati ottenuti. Inoltre, è ancora da
dimostrare l’eventuale efficacia dei trattamenti riabilitativi in caso di eziologie diverse dal trauma
cranico.
Raccomandazioni
Purtroppo allo stato attuale non è possibile suggerire raccomandazioni basate su evidenze
convergenti. Pertanto, le raccomandazioni proponibili sono fondate su singoli studi ben controllati.
Sulla base di uno studio randomizzato e controllato si può assegnare una raccomandazione di
grado A al training per l’utilizzo di un’agenda-organizzatore di attività, con lo scopo di migliorare la
capacità di pianificare le attività quotidiane in pazienti con trauma cranico o con lesione cerebrale
ischemica; tale trattamento garantirebbe una generalizzazione alle attività quotidiane almeno fino a
due mesi, ma sono necessarie ulteriori verifiche empiriche. Un livello inferiore di raccomandazione
(B) può essere assegnato ai due trattamenti dimostratisi efficaci in studi con livello di evidenza 1+ .
Combinando questi studi, sebbene condotti con metodi diversi, si suggerisce che il trattamento dei
deficit di pianificazione in pazienti con traumi cranici sia da considerare efficace. Le evidenze
raccolte dagli altri studi, sebbene incoraggianti, non indicano che specifici trattamenti possano
essere considerati efficaci rispetto agli standard SPREAD.
170
L’eminattenzione spaziale unilaterale o neglect
(E. Làdavas, A. Berti, N. Beschin, G. Bottini, L. Magnotti, A. Serino)
Il neglect, è un disturbo neuropsicologico conseguente a lesione cerebrale caratterizzato
dall’incapacità di percepire, elaborare e rispondere a stimoli presentati nell’emispazio contro
lesionale. Il neglect è un fenomeno molto comune in fase acuta, con un’incidenza riportata fra il 40
e 80 % dei pazienti colpiti da ictus. Solitamente, si verifica un recupero spontaneo della
sintomatologia nel corso dei primi tre mesi dall’evento morboso; tuttavia il deficit persiste in
maniera cronica in circa un terzo dei pazienti.
Negli ultimi 20 anni circa sono stati tentati diversi approcci per riabilitare il neglect. Alcuni si basano
su esercizi volti ad insegnare esplicitamente al paziente ad orientarsi attivamente ed esplorare
l’emicampo negletto. In questo caso si parla di strategie top-down , implementate attraverso metodi
visuo-esplorativi. Altri approcci si basano su forme di stimolazione sensoriale e motoria volti ad
indurre un orientamento implicito verso il lato negletto (strategie bottom-up). Ciò può essere
ottenuto attraverso diversi metodi, quali: l’Adattamento Prismatico, il Nistagmo Optocinetico, la
Stimolazione Calorica Vestibolare, la Stimolazione Elettrica Transcutanea, il Feedback e l’Eye
pathching. Infine, sono stati sperimentati anche alcuni trattamenti farmacologici.
x
Trattamento visuo immaginativo: Grado di raccomandazione A
Il trattamento dell’eminattenzione con metodi visuo-esplorativi si è dimostrato efficace nel
recupero del neglect, come riportato da diversi studi, che prevedono gruppi di controllo e
randomizzazione dei soggetti. Dai diversi studi considerati si evince che il trattamento deve
prevedere diversi tipi di attività, proposte per un periodo sufficientemente lungo (dalle 4 alle 8
settimane) e con una frequenza giornaliera (5 sedute a settimana). L’associazione del training
visuo-esplorativo con altre metodiche di stimolazione sensoriale non sembra apportare
ulteriori benefici significativi. Raccomandazioni: si sente la necessità di studi che valutino
l’efficacia a lungo termine del trattamento mediante valutazioni follow up a tre, sei mesi ed un
anno.
x
Trattamento di Adattamento Prismatico (AP): Grado di raccomandazione B
E’ una procedura di rapida somministrazione, non invasiva ed efficace per la riabilitazione
delle capacità visuo-spaziali La ripetizione del trattamento per un arco di tempo di due
settimane è in grado di indurre un recupero a lungo termine, mostrato fino a 6 mesi. L’AP
ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Raccomandazioni: Per ottenere il grado A i
lavori necessitano di un adeguato gruppo di controllo, selezionato in maniera randomizzata
rispetto al gruppo sperimentale.
x
Nistagmo optocinetico: Grado di raccomandazione C
E’ una procedura di rapida somministrazione e non invasiva; la tecnica non è attualmente da
considerarsi efficace per la riabilitazione.
x
Stimolazione calorica vestibolare (SET): Grado di raccomandazione B
171
Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia di
questo approccio nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la
rilevanza clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il
reinserimento del paziente nel contesto ecologico.
x
Stimolazione elettrica transcutanea : Grado di raccomandazione B
Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia
della SET nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la rilevanza
clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il reinserimento del
paziente nel contesto ecologico.
x
Eye Patch e trattamento farmacologico
Non essendo stato riportato un chiaro miglioramento del neglect , risultano non consigliati.
In sintesi, fra i metodi di riabilitazione del neglect, i trattamenti Visuo-esplorativi hanno ricevuto il
maggior supporto sperimentale, anche se al momento mancano valutazioni accurate a lungo
termine soprattutto riguardo alla generalizzazione dei risultati alle attività della vita quotidiana.
L’Adattamento Prismatico si è mostrato uno strumento di rapida somministrazione, non invasiva ed
efficace, che ha mostrato effetti positivi a lungo termine. Tuttavia manca una dimostrazione certa
dell’efficacia derivante da studi RCT. La Stimolazione Calorica Vestibolare e la Stimolazione
Elettrica Transcutanea si sono dimostrati interventi efficaci in singole sedute sperimentali, senza
tuttavia mostrare una reale applicabilità in ambito clinico-riabilitativo. Gli studi sperimentali effettuati
sui metodi del Nistagmo Optocinetico e dell’Eye Patch non hanno mostrato benefici significativi
stabili, mentre i risultati ottenuti mediante il metodo del Feedback sono rimasti sempre limitati al
contesto ed al compito sperimentale utilizzato durante il trattamento, senza generalizzazione ad
altri indici. Infine gli interventi farmacologici non si sono dimostrati efficaci.
I disturbi di campo visivo sono deficit sensoriali elementari conseguenti a una lesione acquisita
post-chiasmatica, e si manifestano come perdita o alterazione del campo visivo in una porzione
dell’emispazio controlesionale che corrisponde retinotopicamente all’area danneggiata. Gli
interventi riabilitativi attualmente in uso sono volti a ridurre le conseguenze disabilitanti del disturbo,
che coinvolgono lo scanning visivo, la ricerca spaziale, la lettura e gli spostamenti nello spazio. I
trattamenti sviluppati fino ad oggi sono riconducibili a tre principali approcci: restituivo,
compensativo, e di adattamento mediante ausili ottici.
L’approccio restituivo, rappresentato dalla Vision Restoration Therapy, è sostenuto da almeno tre
studi randomizzati-controllati-doppio cieco che ne hanno documentato gli effetti positivi.
Nonostante il rigore metodologico adottato, le evidenze a sostegno di tale tecnica non risultano
sufficientemente convincenti e la genuinità dell’effetto restituivo è stata messa in dubbio da studi
che hanno impiegato più rigorosi sistemi di controllo dei movimenti oculari . Di conseguenza,
l’approccio restituivo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Gli interventi di tipo
compensativo risultano meno rigorosi sul piano metodologico: mancano studi controllatirandomizzati-doppio cieco, i pazienti reclutati sono spesso eterogenei in termini di tempo dalla
172
lesione, la cecità del valutatore non è quasi mai specificato. Tuttavia, gli interventi compensativi
hanno ottenuto maggiori evidenze di successo per i seguenti motivi: i benefici osservati sono
consistenti, clinicamente rilevanti, e in alcuni casi supportati da misure dirette degli effetti indotti sul
sistema oculomotore ; l’effect size è testato con analisi statistiche di tipo parametrico;la trasferibilità
dei benefici è generalmente valutata con prove non direttamente impiegate nella fase di training ; il
mantenimento dell’outcome è stato quasi sempre valutato in follow-up da 1 a 12 mesi.
Complessivamente, l’approccio compensativo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B.
L’impiego di ausili ottici richiede una più chiara definizione degli effetti di tali sistemi per una serie di
limitazioni che hanno caratterizzato gli studi presentati: non sono presenti condizioni di controllo
adeguate; gli effetti osservati sui pazienti sono eterogenei e i lavori si presentano come case series
piuttosto che studi di coorte; la valutazione dei benefici funzionali nella vita quotidiana è di tipo
aneddotico, affidata prevalentemente a report soggettivi; il follow up, laddove presente, è limitato
ad un numero insufficiente di casi. Nonostante sia riportato uno studio di classe II sull’uso dei
prismi in soggetti con emianopsia (Rossi et al., 1990), la presenza di effetti collaterali disturbanti
non consente di stabilire un grado di raccomandazione per questo intervento.
Sia i training restitutivi che quelli compensativi ottengono un grado di raccomandazione di tipo B.
Tuttavia, la possibilità di applicare metodi compensativi è preferibile rispetto ai metodi restitutivi, sia
per qualità metodologica degli studi analizzati (l’efficacia è stata replicata da gruppi di studio
differenti) che per il loro significato clinico (maggior numero di pazienti idonei al training, minore
durata del training, maggiore effect size, trasferibilità degli effetti ad altri test, mantenimento a lungo
termine). All’interno dei metodi compensativi, si rileva una pari efficacia delle tecniche bottom-up
(Bolognini et al., 2005) e top-down (Zihl, 1995) nel recupero e mantenimento delle abilità di
esplorazione e ricerca visiva. Al momento mancano trial clinici di confronto tra le due tecniche nello
stesso gruppo di pazienti. Per quanto riguarda il recupero della dislessia da emianopsia, ottiene la
più alta evidenza il metodo optocinetico (Spitzyna et al. 2007). L’utilizzo degli ausili ottici non
ottiene al momento alcuna raccomandazione anche per la presenza di significativi effetti collaterali
negativi.
L’aprassia dell’arto superiore
(R. I. Rumiati, M. Maini, A. Cantagallo)
L’aprassia è un disturbo primitivo dell'attività motoria che insorge durante l'esecuzione di un
movimento finalizzato, avviato intenzionalmente per compiere un'azione o un gesto, sulla scorta di
uno scopo. Il disturbo aprassico può manifestarsi in assenza di: deficit di input, o deficit di output,
deficit di orientamento spaziale, deficit di schema corporeo, o inerzia frontale. Secondo una
classificazione clinica ancora oggi largamente in uso, le principali forme di aprassia sono
l’ideomotoria (deficit di produzione di gesti su imitazione e su comando verbale) e l’ideativa (deficit
d’uso di oggetti). I trattamenti cognitivi presi in esame fanno riferimento esclusivamente all’aprassia
dell’arto superiore, sia essa ideomotoria (di imitazione) o ideativa (di utilizzo).
173
Dai lavori analizzati emerge un’estrema variabilità nel trattamento del disturbo aprassico. Sono stati
identificati due approcci “restitutivo” e “compensativo”, che però non sono stati applicati in modo
uniforme. Ciascun gruppo di ricerca propone il proprio metodo, che, però, è spesso descritto in
modo sommario e quindi non riproducibile. Spesso, inoltre, i criteri di scelta delle azioni da trattare
sono lasciati alla valutazione del singolo terapista, senza indicazioni di base o linee guida da
seguire. Quasi tutti gli studi testimoniano un beneficio del trattamento che si manifesta in una
riduzione degli errori ai test di aprassia standard, nel miglioramento nelle attività della vita
quotidiana (ADL), nella generalizzazione del trattamento alle azioni non trattate. In alcuni lavori non
è possibile fissare il grado di raccomandazione in quanto il disegno sperimentale non consente di
dimostrare l’efficacia o l’inadeguatezza del trattamento utilizzato. Prendendo in considerazione gli
studi nell’insieme, il grado di raccomandazione per il trattamento dell’aprassia dell’arto superiore è
stato fissato a C.
I trial riabilitativi più efficaci sono quelli che hanno fatto ricorso a un metodo riabilitativo ispirato a
modelli teorici della funzione oggetto di trattamento. Questi studi sono anche quelli che hanno
seguito il metodo più corretto, quelli cioè che hanno utilizzato un gruppo sperimentale e uno di
controllo, con assegnazione randomizzata ai due gruppi dei soggetti, che hanno valutato i pazienti
con test standardizzati prima e dopo il trattamento, e che hanno spiegato esattamente in che cosa
consista il trattamento. Questi risultati positivi possono essere ottenuti solo se questi progetti sono
pensati, disegnati e realizzati da personale specializzato.
I deficit della memoria
(G. A. Carlesimo, F. Piras, C. Incoccia, E. Borella)
I disturbi della memoria dichiarativa, cioè di quella componente della memoria implicata nella
rievocazione consapevole di informazioni precedentemente acquisite , si rendono responsabili
nella vita di tutti i giorni della ridotta abilità sia ad apprendere nuove informazioni (amnesia
anterograda) che a ricordare informazioni apprese prima dell’insorgenza dell’evento patologico
responsabile del deficit mnesico (amnesia retrograda). Il deficit di memoria può riguardare tanto
eventi autobiografici (deficit della memoria episodica) che informazioni di carattere più generale (ad
es., culturale o linguistico) non strettamente autobiografici (deficit della memoria semantica). I
disturbi della memoria dichiarativa possono inoltre interferire con l’accurata realizzazione, al
momento opportuno, di intenzioni precedentemente formulate (deficit della memoria prospettica). Il
danno selettivo delle strutture che formano il network neuronale responsabile dei processi di
memoria dichiarativa produce rari quadri di amnesia pura (cioè senza la simultanea presenza di
altri deficit cognitivi). Molto più frequentemente, i deficit della memoria dichiarativa si osservano nel
contesto di una compromissione più diffusa delle funzioni cognitive, sia come esito stabilizzato di
pregressi eventi cerebrolesivi (es., traumatismi cranio-encefalici, stroke ischemici o emorragici,
sofferenza diffusa dell’encefalo su base ipossica o infiammatoria) che come componente di un
deterioramento progressivo delle funzioni cognitive nelle sindromi demenziali su base degenerativa
174
(es., malattia di Alzheimer) o vascolare. Gli approcci alla riabilitazione dei deficit della memoria
dichiarativa si sono prevalentemente concentrati sui disturbi di tipo anterogrado e prospettico e
possono essere raggruppati in tre categorie.
a) Metodiche finalizzate al rafforzamento delle capacità residue di apprendimento: tecniche per
migliorare la qualità di codifica delle informazioni in entrata . Nei pazienti con deficit di
memoria stabilizzati ci sono sufficienti evidenze per esprimere una forza di raccomandazione
di tipo B relativamente alla riabilitazione dei compiti di memoria oggetto specifico del training.
Relativamente alla permanenza a distanza di tempo del miglioramento ottenuto alle
prestazioni ai test, le evidenze sono scarse. Le evidenze circa l’efficacia della riabilitazione
per migliorare in questi stessi soggetti l’esecuzione di compiti di memoria non oggetto
specifico del training sono contraddittorie e sostanzialmente inconcludenti. Non sussistono
infine evidenze sperimentali sull’efficacia di questo tipo di riabilitazione nel migliorare
l’autonomia nelle attività della vita quotidiana in questi pazienti.
Non sussistono evidenze sperimentali per raccomandare questo tipo di riabilitazione della
memoria in pazienti con sindrome demenziale.
Mancano, infine, evidenze sperimentali per preferire trattamenti di breve o di lunga durata, a
bassa o alta intensità, individuali o di gruppo.
b) Addestramento all'uso di ausili esterni, concepiti come una sorta di "protesi cognitive", per
ovviare alla ridotta funzionalità dei processi di memoria fisiologici (utilizzo di apparecchi
elettronici, diari, agende, ecc).
Ci sono evidenze sufficienti per esprimere una forza di raccomandazione di tipo A all’utilizzo
del NeuroPage (ausilio esterno passivo) per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti
con esiti stabilizzati di danno cerebrale. Ci sono inoltre evidenze per esprimere una forza di
raccomandazione di tipo B all’utilizzo di memory aids di tipo attivo, sempre in pazienti con
esiti stabilizzati di danno cerebrale, alla riabilitazione, mediante ausili esterni, di pazienti con
deficit organici della memoria. E’ infine possibile esprimere una raccomandazione di tipo D
all’utilizzo di ausili esterni passivi per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti con
danno cerebrale evolutivo su base degenerativa (malattia di Alzheimer). Infine, nonostante
pochi studi conducano follow-up a sei o più mesi, emerge un mantenimento dell’utilizzo
dell’ausilio esterno attivo (notebook) a lungo termine.
c) Metodiche finalizzate all'insegnamento di informazioni e/o procedure utili per l'effettuazione di
specifici compiti (domain-specific knowledge).
L’efficacia delle metodiche che consentono l’acquisizione di informazioni specifiche utili alla
vita di tutti i giorni non sembra allo stato attuale essere supportata da forti evidenze
sperimentali.
175
I disturbi del linguaggio e del calcolo: afasie, alessie, agrafie, acalulia
(A. Basso, S. Cattaneo, L. Girelli, C. Luzzatti, A. Miozzo, L. Modena, A. Monti)
Il termine “afasia” si riferisce alla perdita, più o meno completa, della capacità di usare il linguaggio
conseguente alla lesione delle aree cerebrali, generalmente localizzate nella metà sinistra del
cervello, che presiedono alla nostra capacità di parlare, capire, leggere e scrivere; i termini
“dislessia” e “disgrafia” sottolineano i disturbi della lettura o della scrittura. Il termine “acalculia”,
infine, si riferisce a specifici disturbi nella elaborazione dei numeri e del calcolo che raramente si
trovano isolati essendo quasi sempre associati a disturbi afasici.
Tutti i lavori condotti su gruppi hanno dimostrato, in gruppi eterogenei di soggetti afasici, che la
rieducazione è efficace e va consigliata, purché non sia di breve durata. Infatti la differenza tra
soggetti rieducati e soggetti non rieducati non è risultata significativa quando i trattamenti sono stati
brevi.
In base ai lavori considerati e al loro livello di evidenza, il grado di raccomandazione è B.
Vi sono inoltre delle indicazioni che l’effetto del trattamento riabilitativo non varia anche se iniziato a
diversi anni di distanza dall’evento morboso (entro 7 anni). Segue l’elenco dei disturbi trattati e il
grado di raccomandazione:
x produzione di parole: C
x ripetizione: D
x produzione di frasi: C
x comprensione di frasi: C
x lettura: C
x scrittura: C
x trattamenti con PC: D
x disturbi del calcolo: D
Il livello di evidenza è buono (B) per quanto riguarda il trattamento non meglio specificato di gruppi
di soggetti afasici. Da notare che in tutti i lavori “negativi” il trattamento è significativamente più
breve che nei lavori “positivi”
Non è invece possibile raggiungere alti livelli di evidenza e gradi di raccomandazione della tabella
SPREAD quando si considerano trattamenti specifici per disturbi specifici, a causa dell’assenza di
RCT. Tuttavia gli autori ritengono che per valutare l’efficacia del trattamento dei disturbi afasici gli
RCT non siano lo strumento più adatto. Questi infatti richiedono, per esempio, la non-sostanziale
dipendenza della resa dell’intervento dalla “competenza” dell’operatore mentre risulta ovvio che nel
trattamento logopedico la relazione tra soggetto afasico e terapeuta è di vitale importanza. Inoltre,
“afasia”, come già detto, è un termine che copre disturbi molto eterogenei. Mentre è relativamente
facile fare dei gruppi di soggetti “afasici”, è estremamente difficile fare gruppi di soggetti che
presentino lo stesso disturbo funzionale, tanto da poter essere analizzati insieme. Agli studi su
gruppi di “afasici” si sono sostituiti nel tempo gli studi su casi singoli con specifici disturbi funzionali,
trattati con motivati interventi mirati. In sintesi il grado delle raccomandazioni per i disturbi afasici
176
del linguaggio è apparentemente piuttosto basso perché da molti anni il problema dell’efficacia del
trattamento viene affrontato con lo studio di casi singoli e non viene più applicato il disegno RCT su
gruppi di soggetti. Questo, nell’ambito degli studi afasiologici, è stato considerato un notevole
passo avanti perché lo studio del caso singolo permette di identificare chiaramente il disturbo
studiato e il trattamento messo in atto.
L’aprassia dell’articolazione (apraxia of speech)
(C. Luzzatti)
L’aprassia dell’articolazione (AA) è un deficit della programmazione motoria articolatoria che
consegue a una lesione unilaterale, solitamente dell’emisfero sinistro, che non consegue a paresi
dei muscoli che controllano l’esecuzione dei movimenti necessari alla realizzazione dei suoni del
linguaggio. In passato, il disturbo è stato descritto con il termine anartria e disintegrazione fonetica.
L’AA è uno dei sintomi che solitamente caratterizzano l’afasia di Broca. Tuttavia, il deficit può
comparire anche in forma pura. I pazienti affetti da AA controllano con fatica la programmazione
dei movimenti articolatori bucco-faringo-laringei dando l’impressione di una lotta per la
realizzazione delle sequenze sonore desiderate. Il meccanismo principale che sottostà al disturbo
aprassico articolatorio è una perdita dell’abilità programmare (cioè di integrare spazialmente e
temporalmente) l’azione dei muscoli che intervengono nella produzione dei suoni del linguaggio. A
differenza della disartria, l’AA è un disturbo della programmazione motoria che coinvolge i soli
movimenti che permettono la realizzazione sonora del linguaggio, lasciando generalmente intatte la
abilità motorie elementari non articolatorie del distretto bucco-linguo-facciale (non paresi buccofacciale) e occasionalmente intatte quelle motorie complesse (il deficit può occasionalmente
dissociare dall’aprassia aprassia bucco-facciale).
Le tecniche utilizzate per trattare l’AA possono essere distinti in 4 categorie principali in relazione al
focus del trattamento:
1) tecniche che intervengono sulla cinematica articolatoria;
2) tecniche che intervengono sul ritmo;
3) tecniche che mirano alla facilitazione e riorganizzazione intersistemica;
4) tecniche di comunicazione alternativa e aumentativa (CAA).
Nessuno degli studi selezionati corrisponde ai criteri di un trial randomizzato caso-controllo.
Data l’assenza di studi di gruppo, i criteri SPREAD per la verifica dell’adeguatezza metodologica
paiono inadeguati per un giudizio sull’efficacia del trattamento dell’AA. D’altra parte, la variabilità di
manifestazioni del deficit articolatorio (gravità del deficit stesso, gravità del deficit afasico
eventualmente associato), rende difficile la definizione di uno specifico piano di trattamento da
somministrare in modo standard per ogni soggetto.
In sintesi il trattamento mirato dei deficit articolatori è dimostrato migliorare le abilità di produzione
in soggetti affetti da AA cronica di entità media e grave. L’efficacia pare dipendere dall’intensità del
trattamento svolto e pare generalizzare anche a materiale non trattato, ma con caratteristiche simili
177
a quelle del materiale in trattamento, e mantenere la propria efficacia a lungo termine alla
sospensione del percorso riabilitativo. Tuttavia, poiché la totalità degli studi descritti riporta
trattamenti di casi singoli, non è possibile trarre conclusioni sulla generalizzabilità dell’efficacia del
trattamento tra soggetti: gli studi non specificano in generale i criteri di inclusione ed esclusione dei
pazienti e non riportano eventuali casi di drop-out e delle relative motivazioni. Per tali ragioni
nessun lavoro è stato classificato di livello 1, corrispondente ad un randomized clinical standard
(RCT). A causa di questa mancanza è possibile assegnare un grado di raccomandazione di livello
B. Inoltre, gli effetti del trattamento sono stati mostrati sulle prestazioni ai test neurolinguistici, ma
manca una valutazione appropriata dell’efficacia dei benefici ottenuti sul recupero della disabilità
del paziente nella vita quotidiana.
Il trauma cranio-encefalico lieve o mederato
(A.Cantagallo, A. Di Santantonio, G. Mancini, R. Keim, F. Stablum, A. Vestri)
La distinzione fra trauma cranio-encefalico (TCE) lieve, moderato e grave utilizzata è quella
generalmente adottata sia a livello clinico che in letteratura. La gravità del trauma è definita in
relazione alle condizioni del paziente nella fase acuta: livello di profondità del coma, misurato con
la scala Glasgow Coma Scale (GCS), durata del coma, durata della fase di Amnesia PostTraumatica o APT. Le ricerche esaminate comprendono, in genere, gruppi misti. In particolare, non
è stato reperito nessun articolo che trattasse esclusivamente pazienti con TCE moderato: questo
viene sempre presentato insieme al TCE grave proprio per la somiglianza clinica e prognostica.
Dall’analisi della letteratura sono stati individuati il livello di efficacia ed il grado di evidenza dei
diversi programmi riabilitativi:
1) Gli studi di efficacia dei Programmi Riabilitativi Neuropsicologici riguardano sia approcci
riabilitativi ad ampio spettro (programmi integrati che prevedono interventi di training cognitivo
"diretto", insegnamento di tecniche di compensazione e di strategie, interventi psicoterapeutici
e/o cognitivo-comportamentali, fisioterapia e terapia occupazionale, trattamento
neurosensoriale ed interventi farmacologici) che programmi più specificatamente mirati a
riabilitare la singola componente cognitiva deficitaria (la memoria di lavoro, ad esempio). Il
grado di raccomandazione degli studi sui Programmi Riabilitativi Neuropsicologici sono
presentati separatamente a seconda del gruppo di pazienti esaminati: TCE lievi B , TCE misti
con lievi B, TCE misti moderato-gravi B.
2) Programmi Riabilitativi delle Abilità Sociali. Le social skills non sono definite in modo univoco
e in base ai lavori analizzati, comprendono aspetti legati ad indipendenza nelle situazioni di
vita quotidiana fino a consapevolezza e autostima, considerati importanti per regolare il
comportamento rispetto ai contesti di vita quotidiana. L’azione combinata tra l’intervento sulle
abilità di vita quotidiana studiate e concordate con il paziente, e il lavoro metacognitivo sulla
consapevolezza con la gestione degli aspetti comportamentali sembra avere effetti sulle
178
capacità di indipendenza. Tuttavia vi è un solo studio controllato, non randomizzato. Inoltre,
tale studio non riporta aspetti tecnici specifici di ambito neuropsicologico, ma cita interventi di
metacognizione, sulla consapevolezza e sul problem solving senza entrare nel merito delle
tecniche utilizzate. Dove citate, le tecniche sono diverse da uno studio all’altro. Questi
approcci hanno in comune il fatto di essere basati sull’attenzione al feedback, alla graduale
diminuzione dei prompt esterni e all’acquisizione di maggiore consapevolezza, ma non vi
sono prove sul fatto che siano questi aspetti in particolare a migliorare l’indipendenza nei
contesti sociali. Buona è l’attenzione generale di questi lavori alle attività di vita quotidiana,
scarso invece il riferimento a modelli di funzionamento dei processi cognitivi. Grado di
raccomandazione D.
3) Interventi di Psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale dopo un trauma cranico lieve
possono diminuire il rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress e sembra
anche utile per il trattamento dell'insonnia. Grado di raccomandazione B.
4) Gli studi sull'outcome della Riabilitazione Neuropsicologica Olistica dimostrano senza
eccezione un effetto positivo, sia subito dopo la conclusione del programma che nel follow-up
fino a tre anni. Anche il numero dei pazienti trattati è abbastanza alto (range 18-113 casi
trattati). Quattro degli studi analizzati hanno anche un gruppo di controllo, paragonabile con il
gruppo sperimentale per gravità del trauma e fattori demografici. Infine, per definizione, tali
programmi riguardano direttamente la ricaduta nelle ADL, pertanto la valutazione di questo
aspetto è sempre presente. Grado di raccomandazione B.
5) Nessuna delle pubblicazioni sulla Riabilitazione Sociale e Lavoro ha un gruppo di controllo,
tutti si limitano a un pre-post design e le statistiche a volte sono soltanto descrittive. Grado di
raccomandazione D.
6) Emerge dai lavori analizzati l’utilità dei Programmi educativi nei pazienti con TCE lieve o
moderato e per i loro familiari nel ridurre o prevenire i sintomi, non necessariamente nel
migliorare le funzioni neuropsicologiche: essi dovrebbero essere precoci, semplici, precisi e
magari forniti in modalità scritta, disponibili su richiesta del paziente. Grado di
raccomandazione D.
179
Gli interventi in ambito neuropsicologico nelle gravi cerebrolesione acquisite con
stato di coscienza alterata
(M. G. Inzaghi, M. Sozzi, J. Conforti, F. Lombardi)
Per ‘grave cerebrolesione acquisita’ (GCA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranio
encefalico o ad altre cause tale da determinare una condizione di coma, più o meno protratto con
Glascow Coma Scale iniziale ”8, associato a menomazioni sensitivo-motorie, cognitive o
comportamentali, che comportano una disabilità severa. Tutti i pazienti con grave cerebrolesione
acquisita presentano disturbi della coscienza. Lungo il cammino verso il recupero della coscienza
sono individuabili tre condizioni: Coma, Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza. Scopo del
lavoro è analizzare la letteratura riguardante le procedure di monitorizzazione e valutazione dello
stato di coscienza e i trattamenti riabilitativi mirati ad ottenere significative modificazioni dello stato
di coscienza rispetto al recupero spontaneo .
Per gli strumenti di valutazione la ricerca è stata condotta dal 1981 (anno di pubblicazione del
lavoro di Jennet & Teasdale, sulla definizione di coma) al 2007.
Le scale di valutazione reperite, sono state suddivise in quattro gruppi:
-
Al primo gruppo appartengono le scale “descrittive” cioè caratterizzate da criteri tassonomici
da applicare all’osservazione clinica del paziente; esse si rilevano strumenti vantaggiosi per la
facilità e la rapidità di somministrazione tuttavia si dimostrano poco sensibili ai cambiamenti
minimi dello stato di coscienza e non sono in grado di evidenziare le sottili modificazioni del
quadro nel passaggio tra i vari stati di coscienza alterata a causa di un’eccessiva ampiezza
delle categorie di punteggio.
-
Al secondo gruppo e ai successivi appartengono le scale che implicano la somministrazione
di stimolazioni e l’analisi delle risposte. Nel secondo gruppo sono comprese le scale
pubblicate prima del contributo teorico e delle definizioni fornite dal gruppo di Aspen (2002),
pertanto non consentono di diagnosticare il passaggio da SV a SMC e da SMC a stato di
coscienza. Tuttavia il punteggio globale ottenibile da queste può fornire indicazioni sullo stato
di coscienza in termini di miglioramenti o regressioni. Il limite di queste scale risiede nel fatto
di non prendere in considerazione la presenza di eventuali deficit cognitivi e sensoriali
frequentemente presenti nelle gravi cerebrolesioni acquisite. Da questo punto di vista l’analisi
del punteggio globale potrebbe essere inficiata dalla presenza di un deficit cognitivo o
sensoriale che comporterebbe una sottostima dello stato di coscienza e di conseguenza
condurrebbe ad una misdiagnosi.
-
Nel terzo gruppo è presente l’unica scala che tiene conto delle raccomandazioni dell’Aspen
Workgroup, la JFK Coma Recovery Scale-R (Giacino et al., 2004).
-
Al quarto gruppo appartiene l’unica scala reperita, Preliminary Neuropsychological Battery
(PNB), somministrabile ai pazienti già responsivi ma che per la loro gravità ancora non sono
valutabili con test psicometrici strutturati.
180
Un approccio valutativo diverso, ma molto accurato, per valutare lo stato di coscienza è quello
proposto da Whyte, basato sul principio del disegno sperimentale sul singolo soggetto. Tuttavia
questa modalità presenta il limite di non consentire confronti tra i vari pazienti poiché non è
possibile generalizzare i risultati ottenuti.
In sintesi dall’analisi delle caratteristiche delle scale di valutazione reperite emerge che molte
contengono indicatori clinici che possono avere utilità prognostica esclusivamente nella fase acuta
(es i riflessi corneali, la reattività pupillare, le risposte oculo motorie, l’apertura spontanea degli
occhi), mentre altre scale, che potrebbero essere meglio applicate per esaminare l’evoluzione nel
tempo, non consentono di classificare adeguatamente i pazienti e altre ancora si rivelano utili solo
per valutare i pazienti già responsivi ma ancora non valutabili con test psicometrici strutturati.
In considerazione delle limitazioni presenti nella totalità delle scale esaminate nessuno strumento
si rivela del tutto adeguato per valutare pazienti con disturbi di alterata coscienza. Tuttavia è
indispensabile che il Neuropsicologo esegua osservazioni e valutazioni periodiche che, tenendo
conto delle raccomandazioni del gruppo di lavoro di Aspen e dei numerosi elementi che possono
ostacolare la rilevazione/comprensione delle richieste e l’elaborazione/esecuzione delle risposte,
consentano di cogliere i segnali di significativi cambiamenti del livello di coscienza. Per una più
attenta monitorizzazione è auspicabile il coinvolgimento di tutte le persone che si accostano al
soggetto.
Per il trattamento riabilitativo la ricerca è stata ristretta al periodo 2002-2007 poiché i lavori
precedenti utilizzavano modalità di classificazione dei pazienti non del tutto compatibili con i criteri
a tutt’oggi ritenuti più adeguati, individuati dall’Aspen Workgroup (2002.)
È disponibile una revisione Cochrane (Lombardi et al, 2002) dei lavori pubblicati dal 1966 al 2002
sull'efficacia delle stimolazione sensoriali nei soggetti in coma o in SV; le conclusioni indicano che
non vi sono evidenze attendibili a supporto dell’efficacia dei programmi di stimolazione sensoriale
nei pazienti in coma e SV.
Dalla nostra revisione dei dati di letteratura solo 2 articoli corrispondevano ai criteri stabiliti. Pur
essendo successivi ai lavori dell’Aspen Workgroup, presentano un set di dati raccolti ed elaborati in
epoca precedente pertanto i miglioramenti sono considerati con scale che prevedono intervalli
eccessivamente ampi (GCS) o punteggi globali (WNSSP) che potrebbero non evidenziare sottili
modificazioni dello stato di alterata coscienza.
Sono ancora molto scarse quindi le evidenze scientifiche in grado di dimostrare l’efficacia di
specifici interventi di riabilitazione e il confronto tra differenti approcci, in grado di dimostrare i
vantaggi di un metodo sull’altro, non ha portato a conclusioni condivisibili.
I miglioramenti nelle alterazioni dello stato di coscienza dovrebbero essere dimostrati sia nelle
modificazioni dello stato di veglia che in quelli di contenuto, identificati con i processi superiori.
Pertanto anche gli studi dovrebbero fornire indicatori di miglioramento sia dello stato di attivazione
che dei processi cognitivi; questi ultimi tuttavia non sono ancora adeguatamente considerati né nei
criteri di inclusione né nei protocolli sperimentali o nei risultati; infatti nel primo lavoro considerato
gli autori paiono consapevoli della carenza dell’analisi e auspicano per i futuri lavori l’utilizzo di
misure più complesse in grado di valutare anche le funzioni cognitive; il secondo lavoro, invece,
181
che si pone come obiettivo l’incremento nell’utilizzo di una competenza comunicativa, non fornisce
indicazioni sulle prestazioni nell’area cognitiva, non indica quali pazienti avrebbero potuto avere un
deficit afasico nemmeno riportando il lato della lesione cerebrale e la lateralità manuale.
Allo stato attuale non sono dunque reperibili in letteratura evidenze a supporto di programmi
riabilitativi in grado di suscitare la coscienza o accelerare il passaggio tra i vari stati in modo
significativo rispetto all’andamento del recupero spontaneo.
I disturbi del comportamento
(R. Cattelani, M. Zettin, P. Zoccolotti)
La letteratura corrente classifica i disordini emotivo-comportamentali conseguenti a GCA in due
categorie principali, a seconda delle caratteristiche cliniche prevalenti:
a) internalizing behaviour, ovvero, comportamenti passivi, difettuali/insufficienti nelle loro varie
manifestazioni, indicativi di ridotto dinamismo e di carente attitudine proattiva;
b) externalizing behaviour, ovvero, eccessi comportamentali da discontrollo di azioni, pensieri ed
emozioni, e condotte disorganizzate, inopportune e inappropriate alle circostanze per i modi
con cui si manifestano
I trattamenti delle sequele emotivo-comportamentali scaturiti da questa revisione bibliografica
possono essere classificati in due categorie principali:
1.
Modelli teorici comportamentisti/cognitivisti
Identificano tecniche e procedure di modificazione di specifici comportamenti disadattivi
ispirate dai principi del condizionamento “classico” ed “operante”, mediante rigoroso
monitoraggio delle caratteristiche ambientali, accurate analisi della relazione stimolo-risposta
e rigorosa selezione delle procedure. Dall’analisi dei lavori emergono: grado di
Raccomandazione C e D rispettivamente. Complessivamente considerati, gli interventi di
modificazione di specifici comportamenti-problema non sono supportati da livelli di evidenza e
di efficacia sufficienti/accettabili. La trentennale esperienza nell’applicazione clinica di
tecniche e procedure ispirate ai modelli comportamentisti e cognitivisti suggerisce che questi
interventi possono essere efficaci per soddisfare esigenze cliniche specifiche nel trattamento
di casi singoli, mentre resta da dimostrare la loro efficacia in termini di
generalizzazione/mantenimento dei risultati e, soprattutto, di integrazione delle abilità
cognitive-comportamentali-affettive-psicosociali.
2.
Approcci olistici-integrati
Si tratta di programmi basati sul presupposto secondo cui qualsiasi ipotesi di riabilitazione
deve considerare la complessità delle caratteristiche umane e i vari ambiti in cui si realizza
l’esistenza delle persone. Grado di Raccomandazione B e D . I tipi di intervento riabilitativo
182
considerati rappresentano approcci terapeutici integrati/globali, sostanzialmente comparabili
in termini di obiettivi generali (reinserimento lavorativo-formativo, adattamento psicosociale ed
emotivo). L’unica variante può essere riconosciuta nella modalità di “strutturazione” del
contesto clinico e nella rigorosità del “contratto” terapeutico che risultano più accentuate o
meglio delineate nel “MORP”(Milieu-Oriented Rehabilitation Program) i cui obiettivi generali
riguardano la produttività, l’adattamento psicosociale e l’adattamento emotivo del paziente
mediante il recupero “integrato” delle componenti cognitive, comportamentali, psicosociali ed
affettive. Nonostante tali minime differenze, i livelli di evidenza/efficacia emersi dalla revisione
bibliografica avvalorano l’approccio più rigoroso e strutturato previsto dal MORP.
In sintesi, l’eterogeneità/complessità dei quadri clinici dei disordini emotivo-comportamentali
conseguenti a GCA, le oggettive difficoltà di controllo di tutte le variabili, le multiformi necessità
psicosociali di ogni singolo “caso”, nonché le inevitabili questioni di etica sanitaria-assistenziale,
rendono sostanzialmente improponibili rigorosi protocolli sperimentali (trials randomizzati,
controllati e in ‘doppio cieco’) e programmi terapeutici rigidamente strutturati a livello di scelte
tecniche e strategico-procedurali. Le lacune metodologiche riscontrate nella letteratura esaminata e
la variabilità dei protocolli applicati nei singoli studi rendono difficilmente confrontabili i risultati di
ciascuna ricerca. Le principali debolezze degli studi revisionati riguardano la limitata numerosità
delle casistiche, la prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial
non randomizzati .i criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici casocontrollo, la limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della
vita quotidiana, la marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni (per es., per caratteristiche
anagrafiche, gravità del disturbo, distanza dall’esordio, tecniche, obiettivi e durata dell’intervento,
strumenti di misura dell’outcome).
Le criticità emerse dai gruppi di lavoro
Nella quasi totalità dei gruppi di lavoro si sono fatte considerazioni circa la problematicità di reperire
in letteratura lavori accettabili secondo il modello SPREAD e quindi di poter esprimere giudizi
dell’efficacia dei trattamenti riabilitativi in ambito neuropsicologico secondo le procedure della
Evidence Based Medicine. Molti autori hanno espresso dubbi sulla possibilità di realizzare studi
RCT ritenendoli strumenti non adatti per la ricerca dell’efficacia della riabilitazione neuropsicologica
e prediligendo invece lo studio sul singolo soggetto. E’ emersa una serie di problemi specifici, che
vanno tenuti in adeguata considerazione nella lettura dei risultati della revisione:
-
Cecità di chi eroga il trattamento e di chi lo riceve. La relazione tra paziente e terapeuta è di
vitale importanza e solo un riabilitatore pienamente consapevole della natura e della tipologia
di intervento è in grado di rendere più efficace il suo operato.
-
Standardizzazione dei trattamenti. Mentre la standardizzazione è facilmente realizzabile
nell’ambito della sperimentazione farmacologica, è estremamente difficile da ottenere in un
183
ambito in cui la peculiarità dell’interazione riabilitativa dipende strettamente dalle specifiche
caratteristiche di ogni singolo paziente.
-
Omogeneità dei pazienti. Considerando l’estrema complessità dei processi mentali, le
differenze nell’organizzazione cerebrale di ogni individuo, la multifattorietà dei quadri
sindromici e l’estrema variabilità degli effetti di ogni lesione cerebrale è impossibile che i
pazienti possano essere considerati omogenei circa la presenza e la gravità di un disturbo
neuropsicologico oggetto di riabilitazione. Diventa quindi estremamente difficile se non
impossibile creare dei gruppi di pazienti che presentino lo stesso disturbo funzionale tanto da
poter essere analizzati in modo omogeneo.
-
Il trattamento placebo del gruppo di controllo. Diversamente dagli studi sulla sperimentazione
farmacologica, in ambito neuropsicologico è problematico individuare i compiti da proporre ai
soggetti del gruppo di controllo. Basti pensare all’attenzione: quale attività può essere svolta
senza che l’attenzione sia implicata?
Per quanto riguarda l’adeguatezza metodologica degli studi presi in considerazione, si sono
riscontrati diversi problemi relativamente sia alla selezione e descrizione qualitativa dei pazienti
oggetto degli studi che all’impostazione del disegno sperimentale ,rendendo così difficilmente
confrontabili i risultati di ciascuna ricerca.
Le principali “debolezze” degli studi revisionati sono sintetizzate di seguito:
a) Limitata numerosità delle casistiche.
b) Prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial non
randomizzati , con criteri di inclusione/esclusione non chiaramente o per nulla definiti.
c) Criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici caso-controllo.
d) Marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni di soggetti in termini di criteri di
inclusione/esclusione, quali:
- caratteristiche anagrafiche dei soggetti;
- eziologia dell’evento cerebrolesivo;
- gravità clinica dei comportamenti-target e del quadro cognitivo-comportamentale
complessivo, nonché dei deficit sensitivo-motori eventualmente associati;
- intervallo temporale tra evento patologico e inizio del trattamento.
e) Estrema eterogeneità di tecniche/procedure/protocolli utilizzati, caratteristiche del setting
riabilitativo, obiettivi e durata dell’intervento terapeutico, frequenza/intensità dei trattamenti:
scarsa descrizione degli interventi, tecniche di intervento non paragonabili, diversa durata del
trattamento,diverso numero di sedute (1-2 al dì, 3-5 alla settimana), nessuna attività del
gruppo di controllo, possibile effetto pratica, qualifica e competenza dell’operatore non
specificata, ecc.
f) Differenti parametri e strumenti di misura dell’outcome.
g) Mancato controllo dei possibili effetti interferenti di terapie farmacologiche eventualmente
associate.
184
h) Limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della vita
quotidiana.
i) Valutazioni fatte sulla media dei dati dei gruppi Trattati e Controlli senza specificazione della
percentuale dei soggetti che hanno beneficiato.
j) Scarso o assente follow up.
Aspetti normativi sull’attività di riabilitazione in Italia
(A. Salvia, A. Cantagallo, A.Vestri, M.G. Inzaghi S.Paolucci)
Un ulteriore gruppo di lavoro si è occupato dell’ analisi e della revisione dell’assetto normativo
esistente nel nostro paese in relazione alla erogazione delle attività di riabilitazione
neuropsicologica.
Dall’analisi della normativa riguardante le attività di riabilitazione, si evince una quasi totale
assenza di indicazioni circa l’organizzazione di servizi o unità per la riabilitazione neuropsicologica.
Gli aspetti che risultano più problematici riguardano la costituzione e l’organizzazione di servizi e
l’identificazione di quali figure professionali siano più appropriate.
Servizi o Unità di Riabilitazione Neuropsicologica
La normativa nazionale sull’alta specialità (Legge 595/85,codice75) (1) prevedeva che il Ministero
della Sanità avrebbe fissato i requisiti minimi di personale, attrezzature, posti letto e le
caratteristiche di professionalità richieste, tuttavia nei successivi provvedimenti legislativi mentre si
ritrovano i requisiti delle strutture e delle attrezzature (DM 29/01/1992, allegato B)(2), non vi è
alcuna indicazione riguardo alla qualificazione del personale operante presso le unità di
riabilitazione. Pur specificando che tali strutture sono deputate al trattamento di pazienti affetti da
gravi traumatismi cranio encefalici e altre gravi cerebrolesioni acquisite con gravi menomazioni
fisiche, cognitive e comportamentali non stabilisce quali figure professionali debbano occuparsi dei
diversi ambiti della riabilitazione. Anche quando la normativa sulla riabilitazione intensiva (codice
56; DM 13/09/88) (4) definisce gli standard del personale, si trova la dicitura generica di “personale
di riabilitazione” senza alcun ulteriore chiarimento.
Il DPR 14/01/1997 (4) definisce gli standard per la riabilitazione intensiva: i requisiti minimi delle
strutture sanitarie. Sono descritti nei particolari i requisiti minimi strutturali, impiantistici e
tecnologici, mentre per quelli organizzativi solo un accenno aspecifico: ”la dotazione organica del
personale addetto deve essere rapportata al volume delle attività”, anche in questo caso sembra
che l’attenzione sia focalizzata sulla numerosità degli operatori piuttosto che sulla professionalità
specifica richiesta per i diversi progetti di riabilitazione.
Quando si affronta il tema della durata complessiva quotidiana del trattamento riabilitativo (Linee
Guida del Ministero della Sanità 1998, punto b) (5) di disabilità importanti che richiedono un elevato
impegno, e si identificano orientativamente 3 ore giornaliere di terapia specifica, la riabilitazione
185
neuropsicologica non è neppure menzionata tra le attività riabilitative erogabili, poiché si fa
riferimento esclusivamente al personale sanitario della riabilitazione quale “fisioterapista,
logopedista, terapista occupazionale, educatore professionale e infermiere, in quegli atti finalizzati
al miglioramento delle ADL- Attività della vita quotidiana”
L’unico riferimento normativo alla riabilitazione neuropsicologica si trova nelle Linee Guida sulla
Riabilitazione del 1998 (5) che prevede la costituzione di specifiche Unità per la riabilitazione delle
turbe neuropsicologiche acquisite. Stabilisce che debba essere attivata all’interno di un presidio
ospedaliero in cui siano disponibili attività specialistiche di neurologia, medicina fisica e riabilitativa,
neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e che non sia dotata
di posti letto poiché in caso di necessità possono essere utilizzati posti letto di altre unità. Prevede
sia dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato, numericamente adeguato (senza
ulteriore specificazione) comprendente: fisiatri, neurologi, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri
infantili, infermieri, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricità, terapisti occupazionali,
operatori tecnici di assistenza, educatori professionali, assistenti sociali.
L’attività prevista è quella di consulenza e valutazione finalizzata ad approfondimento diagnostico
relativo a menomazioni e disabilità neuropsicologiche rare e complesse, a formulazione del
progetto riabilitativo e del programma terapeutico, ecc.
Ad oggi sul territorio nazionale sono presenti solo pochi esempi di tale Unità
Figure professionali
L’analisi dei profili professionali delle figure che a tutt’oggi si trovano frequentemente nelle strutture
che erogano prestazioni di riabilitazione neuropsicologica per adulti, indica la necessità di
provvedimenti che chiariscano meglio le diverse competenze e le mansioni che tale figure possono
svolgere.
In alcuni profili si trovano accenni ad interventi sugli aspetti cognitivi:
x
x
x
Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “svolge in via autonoma o in collaborazione con altre figure
sanitarie interventi di cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali
superiori e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita o
acquisita”.
Logopedista (decreto 742/94)(7): “svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento
riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e
geriatrica”.
Terapista Occupazionale (decreto 136/97)(8): “opera nell’ambito della prevenzione, cura e
riabilitazione dei soggetti affetti da malattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità
temporanee che permanenti”.
Tuttavia un’analisi degli strumenti di intervento previsti per ciascuna figura, chiarisce meglio le
specifiche mansioni:
186
x
x
x
Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali”.
Logopedista (decreto 742/94)(7): “terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della
comunicazione e del linguaggio verbali e non verbali”.
Terapista Occupazionale (decreto 136/97) (8): “attività espressive, manuali, rappresentative,
ludiche, della vita quotidiana”.
Come emerge dall’analisi dei relativi decreti, gli strumenti cognitivi (per es. tecniche di
potenziamento del sistema attenzionale, mnesico, comportamentale ecc) non sono menzionati tra i
loro strumenti di intervento; pertanto non si comprende come tali figure professionali possano
praticare la riabilitazione neuropsicologica di deficit cognitivi, senza poter far ricorso a quegli
strumenti che, come si evince dai contributi emersi nel contesto della Conferenza di Consenso, si
sono dimostrati utili nel recupero funzionale delle varie funzioni cognitive lese in seguito ad uno
specifico danno cerebrale.
L’unico riferimento normativo riguardante la riabilitazione neuropsicologica è contenuto nel Decreto
del Ministero dell’Università e della Ricerca 24 Luglio 2006 (9), relativo agli ordinamenti didattici di
specializzazione di area psicologica, il cui accesso è consentito ai soli psicologi, nel quale si
definisce che “Lo specialista in Neuropsicologia deve aver maturato conoscenze teoriche,
scientifiche e professionali nel campo dei disordini cognitivi ed emotivo motivazionali associati a
lesioni o disfunzioni del sistema nervoso nelle varie epoche di vita (sviluppo, età adulta ed
anziana), con particolare riguardo alla diagnostica comportamentale mediante test psicometrici,
alla riabilitazione cognitiva e comportamentale, al monitoraggio dell’evoluzione temporale di tali
deficit, e ad aspetti subspecialistici interdisciplinari quali la psicologia forense”.
Un ulteriore aspetto problematico riguarda la valutazione neuropsicologica.
Nessuna delle figure professionali sopra citate è abilitata a svolgere attività finalizzate alla diagnosi
dei disturbi cognitivi e comportamentali, che invece rientra nelle mansioni previste per la figura
dello psicologo, come indicato nel decreto 24 Luglio 2006 (9): “identificare i deficit cognitivi ed
emotivo-motivazionali determinati da lesioni o disfunzioni cerebrali (deficit del linguaggio, afasia e
disordini della lettura e della scrittura; deficit della percezione visiva e spaziale, agnosia e
negligenza spaziale unilaterale; deficit della memoria, amnesia; deficit dell'attenzione e della
programmazione e realizzazione del comportamento motorio e dell'azione complessa), valutare i
predetti deficit mediante test psicometrici, interviste e questionari; analizzare risultati quantitativi
degli accertamenti mediante tecniche statistiche descrittive ed inferenziali e utilizzando le
tecnologie informatiche”.
In sintesi gli aspetti della riabilitazione neuropsicologica che necessitano di interventi normativi
sono:
x riconoscere l’importanza della valutazione e riabilitazione neuropsicologica come uno degli
aspetti fondamentali nel recupero dopo una cerebrolesione;
x definire l’organizzazione delle strutture, Unità o Servizi, deputate all’erogazione delle
prestazioni di valutazione e riabilitazione neuropsicologica, sia quelle che necessitano di posti
letto per i gravi cerebrolesi che hanno una importante compromissione anche motoria, che
quelle ambulatoriali cui possono afferire soggetti cerebrolesi senza deficit di moto;
187
x
x
x
x
definire le modalità e i criteri di accesso a tali strutture, sia per soggetti che hanno
concomitanti deficit motori che per coloro che presentano solo deficit in ambito
neuropsicologico;
definire le figure deputate alla valutazione e alla riabilitazione neuropsicologica;
definire la numerosità degli operatori necessari per la valutazione e la riabilitazione
neuropsicologica in relazione alla popolazione residente sul territorio;
definire la durata delle prestazioni erogate in ambito neuropsicologico, soprattutto per quelle
in regime ambulatoriale.
Riferimenti normativi
1. Legge n. 595 del 23 ottobre 1985, “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano
sanitario triennale 1986-88”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 260 del 5 novembre
1985
2. Decreto Ministro della Sanità del 29 gennaio 1992, “Elenco delle alte specialità e fissazione dei
requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità”,
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 26 del 1 febbraio 1992
3. Decreto Ministro della Sanità del 13 settembre 1988, “Determinazione degli standards del
personale ospedaliero”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 225 del 24 settembre
1988
4. D.P.R. del 14 gennaio 1997, “Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e
alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed
organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e
private”, Supplemento Ordinario n. 37 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 42 del
20 febbraio 1997
5. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento
e Bolzano. Provvedimento 7 maggio 1998, “Linee-guida del Ministro della Sanità per le attività
di riabilitazione”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 124 del 30 maggio 1998
6. Decreto n. 741 del 14 settembre 1994, “Profilo Professionale del Fisioterapista”, Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995
7. Decreto Ministeriale n. 742 del 14 settembre 1994, “Regolamento concernente l’individuazione
della figura e del relativo profilo professionale del logopedista”, Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995
8. Decreto Ministero Sanità n. 136 del 17 gennaio 1997, “Regolamento concernente la
individuazione della figura e relativo profilo professionale del terapista occupazionale”,
188
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 119 del 24 maggio 1997
9. Decreto Ministero dell’Università e della Ricerca 24 luglio 2006 “Riassetto delle scuole di
specializzazione di area psicologica”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 246 del 21
Ottobre 2006
La situazione della provincia di Bergamo
Ancora non vi è una normativa che consenta a tutti i soggetti cerebrolesi di potersi sottoporre ad
adeguata valutazione e, ove ve ne sia necessità, ad una specifica riabilitazione in ambito
neuropsicologico.
Non vi sono direttive regionali che richiedano la presenza del neuropsicologo nelle strutture
dedicate alla riabilitazione. Tulle le strutture ricevono gli stessi compensi per ogni giornata di
ricovero di un cerebroleso, ma solo poche hanno scelto di investire fondi per garantire la presenza
costante del neuropsicologo: le più sensibili alle problematiche dei pazienti, le più attente alla
globalità della persona, le più informate e aggiornate sulle implicazioni negative dei deficit
cognitivo/comportamentali sulla vita dei soggetti cerebrolesi.
È pur vero che ogni soggetto potrebbe scegliere in quale struttura ricoverarsi, ma non è diffusa la
conoscenza specifica di tutto ciò che è necessario per una ‘buona riabilitazione’. Solitamente si
sceglie la struttura più vicina al luogo di residenza, oppure quella che per prima offre un posto letto,
così si è costretti ad affidarsi alle cure di un determinato centro, nella speranza che ogni luogo sia
uguale all’altro.
Il grafico 1 illustra la situazione delle 17 strutture della provincia di Bergamo, dedicate alla
riabilitazione specialistica, come rilevata da un’indagine condotta nel mese di Marzo 2012:
- In 5 strutture è presente uno psicologo-neuropsicologo, a tempo prolungato, inserito nel
lavoro di équipe riabilitativa per la programmazione del progetto terapeutico.
- In 7 strutture è presente:
9 “al bisogno”, ma non viene specificato né per quante ore, né se la presenza è regolare;
9 “2 ore settimanali” oppure “svolge attività in tutti i reparti”. Tale presenza è assolutamente
insufficiente: solo la valutazione neuropsicologica di un paziente cerebroleso necessita
di un periodo da 4 a 8 ore, a cui si aggiunge lo studio della documentazione, la
correzione dei punteggi, la stesura della relazione, i colloqui con i familiari, quelli con il
team riabilitativo, l’implementazione di progetti riabilitativi specifici, ecc ecc.;
9 “presente in reparto di neurologia”, senza accesso sistematico ai degenti di riabilitazione.
- 5 strutture non hanno uno psicologo con formazione neuropsicologica.
Nel grafico 2 sono riportati i dati relativi ai posti letto dedicati alla riabilitazione specialistica (N°
666), suddivisi in base alla presenza di un neuropsicologo :
- per un numero adeguato di ore;
- per un tempo solo parziale, insufficiente per risponde in modo adeguato alle esigenze;
189
- se il neuropsicologo non è presente.
I dati emersi dalla Conferenza di Consenso sulla riabilitazione neuropsicologica confermano
l’importanza di un trattamento strutturato, ben calibrato sulle peculiari difficoltà che emergono solo
dopo un’attenta valutazione neuropsicologica.
Nel grafico 3 è illustrato il numero di posti letto in cui i pazienti ricoverati possono essere
adeguatamente seguiti anche per questo aspetto cruciale (281 posti letto) e quello delle strutture
che non prevedono il trattamento o si affidano esclusivamente all’attività isolata di logopedisti e
fisioterapiste senza una pianificazione e una monitorizzazione che derivi dalla valutazione
neuropsicologica (385 posti letto).
In molti studi è emerso che il miglioramento in ambito neuropsicologico dipende dalla frequenza dei
trattamenti (almeno 4 sedute settimanali di 1 ora) e dalla durata, ben oltre i 6 mesi di degenza
massimi consentiti. Pertanto per ottimizzare gli interventi ed ottenere il miglior recupero è
necessario garantire la prosecuzione delle cure dopo la dimissione.
Nel grafico 4 è mostrata la situazione in provincia di Bergamo: solo 5 strutture garantiscono ai
pazienti la possibilità di accessi ambulatoriali mentre 2 offrono solo trattamenti per logopedia.
Conclusioni
Le ricerche condotte dagli psicologi e da altri studiosi hanno messo in luce quali effetti devastanti
produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. Si è quindi reso sempre più evidente che
un progetto riabilitativo non possa più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse di
natura motoria e sensoriale, ma risulta essenziale l’intervento di uno psicologo con adeguata
formazione. Mediante una valutazione neuropsicologica acquisisce conoscenze relative ad altre
funzioni (linguaggio, attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che
influiscono negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono un’attenta
considerazione al fine si implementare un programma di riabilitazione più efficace. In molte
patologie vi è un rapporto diretto tra la presenza/gravità del deficit e le conseguenze che ne
derivano: maggior tempo di permanenza nelle strutture sanitarie per il percorso di riabilitazione,
minor recupero funzionale, minor percentuale di rientro a domicilio del paziente.
La valutazione neuropsicologica di tutti i soggetti cerebrolesi e in particolare di tutti i soggetti postcomatosi, si pone quindi come una necessità per poter meglio pianificare un adeguato progetto di
riabilitazione globale e in molti casi può suggerire percorsi riabilitativi specifici per ridurre le
influenze negative che i deficit hanno sulle potenzialità di recupero e di reinserimento sociolavorativo.
Ogni struttura che si prende cura di soggetti cerebrolesi, dalla fase più precoce quando il soggetto
si trova ancora in stato vegetativo fino al reinserimento socio-lavorativo, deve avvalersi di uno
psicologo che indaghi le problematiche in ambito cognitivo-comportamentale-relazionale, verifichi
le potenzialità di recupero residuo e pianifichi il percorso di riabilitazione più idoneo. Tale intervento
190
consentirà di programmare meglio l’allocazione delle risorse necessarie a sostenere tutto il
percorso di cura e assistenza, verificare l’efficacia dei progetti riabilitativi intrapresi e garantire una
percorso di cura più attento ai bisogni del soggetto cerebroleso e del suo contesto familiare e
sociale.
Dall’analisi della situazione attuale della provincia di Bergamo scaturiscono le seguenti necessità:
-
sensibilizzare la popolazione sul diritto di poter accedere a specifiche valutazioni e trattamenti
neuropsicologici adeguati: personale specificatamente formato, frequenza quotidiana dei
trattamenti, durata del trattamento di 60 minuti, prolungamento del trattamento fino a quando
vi sono margini di recupero, ecc;
-
sensibilizzare le strutture ad investire fondi per poter migliorare la qualità del servizio offerto,
mostrando anche i vantaggi che si possono ottenere da una adeguata valutazione e
riabilitazione in ambito neuropsicologico, sia nella gestione dei pazienti cerebrolesi in reparto
che nel trattamento motorio;
-
sensibilizzare le istituzioni perché modifichino i criteri di accreditamento delle strutture,
inserendo la figura del neuropsicologo, specificando la numerosità delle ore lavorative del
personale specificatamente dedicato anche alla riabilitazione neuropsicologica, e definendo
gli standard degli interventi.
191
Valutazione NPS: presenza di
Neuropsicologo nella Struttura
8
7
6
5
4
3
2
1
0
NO
Dubbia/Insuffic
Presente
Grafico 1
Valutazione NPS: Posti Letto 666
presenza di Neuropsicologo
350
300
250
200
150
100
50
0
NO
Dubbia/Insuffic
Grafico 2
192
Presente
Riabilitazione Neuropsicologica:
Posti Letto 666
300
250
200
150
100
50
0
Nessuno
Logo/Fisio
senza
neuropsic
Trattam
Strutturato
Grafico 3
Strutture che offrono
Riabilitazione Neuropsicologica
Ambulatoriale
12
10
8
6
4
2
0
Nessuno
solo logopedia
Grafico 4
193
Trattam
Strutturato
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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cognitive rehabilitation: report of an EFNS Task Force, 2003. In: European Journal of Neurology;
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Cicerone K.D., Dahlberg C., Kalmar K. et al, Evidence-based cognitive rehabilitation:
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pp. 1596-1615
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47, 2011
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Zeitlinger, 2003
194
IDENTITÀ E DINAMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER
E LA QUALITÀ DI VITA DELLA FAMIGLIA
Gennaro Esposito 1
Premessa
In questo contributo sarà presentata una breve ricerca realizzata avvicinando alcune famiglie con
un componente con esiti di grave trauma cranico.
Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, com’è confermato dalle riflessioni che accompagnano questo
intervento, rappresentano un problema di estrema rilevanza che ancora oggi non riesce a ricevere
un’adeguata attenzione, soprattutto per le sue fortissime implicazioni familiari e sociali, oltre che
sanitarie.
“Il Trauma Cranio-Encefalico è tra le più frequenti malattie disabilitanti dovute a danno del sistema
nervoso, la sua incidenza è superiore a quella dell'emorragia cerebrale, in Europa Occidentale i
ricoveri ospedalieri per Trauma Cranio-Encefalico sono un milione all'anno…. è, inoltre, tra le
principali cause di morte in età giovanile-adulta” 2.
Le ragioni che giustificano una particolare attenzione per questa categoria di trauma, sono diverse
e, nell’esperienza che si presenta in questa ricerca, riguardano le numerose e gravi ripercussioni
sull’identità delle persone coinvolte e sulle dinamiche familiari.
I dati esposti in questo stesso volume, dimostrano ampiamente l’elevata incidenza e prevalenza di
queste tipologie di danno, esse colpiscono ogni fascia d’età e condizione professionale, non
escluso i più giovani, i bambini in età scolastica e gli adulti in piena attività lavorativa, anche se,
statisticamente, per il trauma cranico si rileva una prevalenza di maschi in età lavorativa.
La numerosità e la complessità degli esiti disabilitanti hanno, a loro volta, numerosi risvolti, spesso
non gestibili né prevedibili nella loro intensità, sugli aspetti comportamentali, cognitivi ed emotivi
della persona coinvolta.
Tra i problemi di comportamento, molti dei quali ritrovati durante le interviste, si evidenzia in
particolare la possibilità di sviluppare aggressività e violenza, con modalità non coerenti con la
situazione in atto, a volte impulsività o disinibizione e ridotto autocontrollo, con possibile alternanza
di crisi emotive. Sono stati rilevati, con modi diversificati, fenomeni d’inadeguatezza sociale, forme
di comportamento infantile, incapacità ad assumersi responsabilità o accettare critiche ed
1 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo; Docente di Sociologia, corso di
Laurea in Scienze Infermieristiche, sede di Bergamo - Università “Bicocca” Milano 2 http://www.traumacranico.net
195
egocentrismo. Tutte condizioni che pesano sulla relazione di coppia e sullo svolgimento dei ruoli
familiari di genitore, coniuge o fratello.
L’attività sessuale può assumere forme inappropriate, si registrano casi sia di incapacità, sia di
mancanza di dolcezza e amorevolezza fino a fenomeni di aggressività e violenza.
I problemi di personalità di alcuni pazienti possono essere così gravi da essere diagnosticati, sul
piano psichiatrico, con definizioni che rinviano al “disordine organico della personalità”.
In ogni caso, anche quello che appare clinicamente rientrante nell’area della “normalità”, fa
riscontrare, nell’esperienza soggettiva delle persone, una serie di difficoltà pesanti e spesso
insostenibili nei rapporti di coppia e nelle relazioni all’interno della famiglia.
Quando il trauma avviene in età giovanile o adolescenziale, talvolta si rileva un condizionamento
dello sviluppo, in altre parole è compromessa la capacità di maturare emozionalmente,
socialmente, e/o psicologicamente, mantenendo nel tempo atteggiamenti e comportamenti propri di
un bambino o di un adolescente.
La famiglia vive una serie di intensi accadimenti: dall’evento traumatico si passa alle successive
fasi di ricovero, intervento chirurgico, rianimazione, riabilitazione, ritorno a casa e cure domiciliari.
Questo susseguirsi di condizioni richiede, di conseguenza, rilevanti modificazioni e adattamenti
nello stile di vita dei componenti e dello stesso sistema relazionale familiare.
La presenza in famiglia di un soggetto con Trauma Cranio-Encefalico (TCE) crea quindi molteplici
stress, di ordine gestionale, assistenziale e organizzativo che sconvolgono i ritmi di vita precedenti,
i tempi di lavoro, di relazione, le dinamiche familiari e amicali.
Le donne sono quasi sempre le prime, se non le uniche, a essere coinvolte nel ruolo di care giver
che si aggiunge a quello sociale di mamma, moglie o sorella. Per il nucleo familiare interessato, il
conseguente impatto emotivo, materiale e assistenziale assume l’aspetto di un vero e proprio
trauma con il rischio di sviluppare stress post traumatico.
Oltre agli aspetti definibili “materiali” però si chiamano in causa gli aspetti psicologici ed emotivi con
le loro notevoli ripercussioni sulle relazioni intra ed extra-familiari e sulla propria identità.
Il cambiamento dello stile di vita, che la famiglia si trova a dover gestire, è altamente
destabilizzante, esso può comportare continue modificazioni: dell'immagine di sé, della
considerazione e valutazione che si era fino allora creata del soggetto traumatizzato, delle
aspettative nei suoi confronti, delle dinamiche di relazione interpersonali, dei rapporti di dipendenza
e delle prospettive temporali.
Questa destabilizzazione, probabilmente, costituisce il trauma maggiore e può diventare
intollerabile per i familiari, portarli a vissuti d'impotenza, di senso di colpa, di angoscia, di
depressione, di negazione del problema, numerosi sono i fenomeni di attacco di panico.
Spesso le persone che assistono, in particolare le mamme e le mogli, sono orientate ad assumere
nei confronti del traumatizzato atteggiamenti molto diversi e a volte contraddittori tra loro, che
vanno dal rifiuto all’iperprotezione. L’atteggiamento più diffuso, in ogni caso, resta la presa in carico
totale del proprio congiunto con assunzione di un compito che condiziona tutti gli aspetti della
propria vita.
196
Vi sono casi di disgregazione familiare e rottura dei rapporti di coppia, non solo quando persona
con trauma cranico è il marito ma anche se è coinvolto il figlio o il fratello.
Si riscontrano, inoltre, le conseguenze sociali in termini di difficoltà di reinserimento scolastico o
lavorativo per la persona con TCE e per il suo nucleo familiare. Esse portano a una richiesta di un
maggiore e diverso coinvolgimento del sistema del welfare locale, dei servizi sociali comunali e di
Ambito Territoriale. Non sempre i servizi sono riconosciuti come adeguati o preparati, anzi a volte
sono percepiti come del tutto assenti nell’offrire il sostegno necessario.
Tutto questo rende evidente, in modo particolare, la necessità indifferibile di pensare a interventi
complessi e prolungati nel tempo, modificati in funzione del bisogno specifico della persona con
cerebrolesioni, all’interno della sua dinamica familiare.
Ricerca qualitativa sulle persone che assistono congiunti con gravi cerebrolesioni
Per una riflessione sulle dinamiche familiari, in seguito ad un evento critico come quello del Trauma
Cranio-Encefalico, si è ritenuto più opportuno utilizzare l’approccio della Sociologia Qualitativa.
Le radici della distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa risalgono a paradigmi di
riferimento radicalmente differenti. La ricerca quantitativa, la più nota tra le tipologie di ricerca, è
quella che più ha affinato tecniche, modelli matematici, statistiche complesse, etc. Essa è
diventata, di fatto, lo strumento più diffuso per la ricerca orientata alla “verifica di ipotesi”.
Alla ricerca quantitativa potremmo attribuire due presupposti impliciti fondamentali:
a) la concezione che la realtà da conoscere sia meglio descritta dai fenomeni più diffusi, in altre
parole, i fatti sociali significativi sono quelli di maggiore frequenza perché descrivono meglio
come agiscono le persone;
b) i fatti devono essere registrati nel modo più oggettivo possibile facendo si che il ricercatore
non interagisca con i risultati della sua ricerca.
Uno dei problemi fondamentali della ricerca quantitativa è la misurazione dei fenomeni, sociali che,
in genere, sono frazionati operativamente in una serie di indici o indicatori empirici.
Alla ricerca quantitativa fanno riferimento alcune tecniche di indagine, tra cui: questionari,
censimenti, interviste strutturate.
La ricerca qualitativa ha invece altri presupposti impliciti e cioè:
a) se un fenomeno, un fatto sociale, è accaduto o vissuto da una persona, questo significa che è
possibile che anche altre persone possano vivere la stessa esperienza;
b) la ricerca sociologica non si pone su un piano diverso da quello dei suoi oggetti di ricerca, la
possibilità di mantenere una distanza oggettiva e neutrale dalle cose studiate è ritenuta inutile
o addirittura un’utopia, alcune volte dannosa.
197
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, accade che, proprio grazie al coinvolgimento, si possano
vedere e comprendere dimensioni dell’agire umano che altrimenti non sarebbero rilevate, compresi
i modi con cui le persone rielaborano soggettivamente la loro esperienza.
I sociologi qualitativi rivendicano due principi fondamentali: (Schwartz, Jacobs, 1987).
- l’indicalità: i risultati sono comprensibili solo in un certo contesto;
- la riflessività: i risultati appartengono all’oggetto a cui si riferiscono.
Alla ricerca qualitativa si associano altre tecniche, tra cui: l’etnometodologia, le interviste libere, le
storie di vita, l’analisi del contenuto…
Come è noto a chi fa ricerca sociale, queste distinzioni si realizzano in assoluto solo in teoria e
nessuna indagine è interamente collocabile in una sola tipologia (Boudon, 1970).
In ogni caso la ricerca proprio perché condotta con approccio sociologico ha l’obiettivo di trovare i
rapporti tra:
- le idee, individuando le rappresentazioni sociali, le ideologie, le opinioni e i valori che guidano
le persone avvicinate;
- le idee e i fatti, cercando di ricostituire i sistemi di azione, ovvero i modelli di riferimento e i
percorsi fatti dalle persone.
La comprensione del soggetto è dunque l’obiettivo dell’analisi qualitativa, essa mira alla
costruzione di classificazioni e di tipologie; la presentazione dei dati è di tipo narrativo-descrittivo.
L’ambito privilegiato dell’analisi qualitativa è la sfera del mondo della vita quotidiana; il ricercatore
cerca di entrare in contatto diretto con questo mondo e con i soggetti che ne fanno parte affidando
alla sua sensibilità sociologica la conduzione della ricerca; stabilire un’interazione diretta permette
di entrare in empatia con il soggetto studiato e cogliere i significati più profondi.
Le procedure che fanno capo alla ricerca qualitativa prese in considerazione per quest’indagine
sono state di conseguenza basate:
- sull’osservazione, considerata come analisi diretta degli eventi o dei comportamenti oggetto di
studio; nel caso della riflessione qui presentata sono state utilizzate come tecniche
l’osservazione partecipante, l’intervista discorsiva e il focus group;
- sull’interazione verbale fra ricercatore e soggetto di ricerca, tramite conversazioni, colloqui,
interviste aperte; nel nostro caso le persone coinvolte sono state avvicinate grazie alla
Associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo (AATC) e all’Associazione Disabili
Bergamaschi (ADB);
- sull’attivazione di risposte in seguito a stimoli preordinati, nel nostro caso si è usata una
traccia predisposta per accompagnare il percorso dialogico.
Bichi (2002) utilizza il termine "intervista biografica" per indicare tutte quelle tipologie d'intervista
che sono caratterizzate da bassa standardizzazione, bassa direttività e da una traccia altamente
strutturata ma non somministrata.
La traccia è, di fatto, una scheda che serve da guida al ricercatore durante le interviste che si
svolgono all'interno di una situazione sociale particolare, la cosiddetta situazione d'intervista.
198
Possiamo quindi individuare le fasi che caratterizzano la realizzazione di un'intervista biografica:
a) costruzione della traccia d’intervista;
b) costruzione del "campione" teorico – destinatari della intervista;
c) realizzazione delle interviste biografiche;
d) ascolto e trascrizione delle interviste;
e) analisi delle interviste;
f) costruzione del modello interpretativo e stesura del report finale.
Il Metodo
Schema di ricerca con i familiari di persone con Trauma Cranico
Approccio
Analisi qualitativa
Finalità dell’indagine
-
Individuare i significati soggettivi che i care givers
attribuiscono alle loro attività assistenziali, alle dinamiche
familiari in atto e ai contesti di vita
-
Descrivere il modo in cui le persone reagiscono all’evento
critico e ricostruiscono la loro dinamica relazionale
(attraverso il linguaggio e la conversazione)
Obiettivo specifico
Individuare i processi di definizione/ ridefinizione delle identità
dei care givers in seguito alle mutate condizioni relazionali
Metodi
Osservazione partecipante, intervista discorsiva, focus group
Note di metodo
La consapevolezza da parte del ricercatore di non essere
neutrale sia dal punto di vista teorico che da quello
metodologico.
Utilizzare l’osservazione partecipante, cioè “far parte di”, anche
se per un breve periodo, richiede, di fatto, un coinvolgimento e
determina la creazione di “legami”, con le persone, crea
esperienze emotive che condizionano inevitabilmente la lettura
dei fatti.
Si determina un’interdipendenza, una non separazione, tra
ricercatore e soggetto studiato.
Nello stesso tempo le tecniche qualitative come l’osservazione
partecipante e il focus group permettono di cogliere dimensioni
199
umane e relazionali che altrimenti sfuggirebbero nell’utilizzo di
tecniche quantitative più “oggettive”.
(In realtà le conclusioni di una ricerca sociale sono sempre in
qualche modo condizionate dai propri schemi impliciti e modelli
di riferimento).
Approccio interpretativo finalizzato alla ricerca del significato che
le persone danno della loro condizione, in modo da poter
comprendere l’esperienza soggettiva dei care givers.
Analisi dei dati
Analisi del contenuto e delle narrazioni, osservazione
dell’interazione, analisi del discorso e della conversazione.
Traccia dell’intervista/conversazione
Percorso dialogico su
Evento
L’arrivo della la notizia, le prime sensazioni, e la prima
rielaborazione dell’esperienza (come ho vissuto gli
eventi).
I primi giorni, le cure sanitarie
I vissuti personali, come si gestivano (vivevano) le
informazioni cliniche, cosa accadeva dentro di se nella
propria famiglia.
La riabilitazione i percorsi fatti
Il carico assistenziale e le ripercussioni emotive.
Le dimissioni: è ora?
Quale futuro ci si è rappresentati? (timori, speranze,
rassegnazione, solidarietà, solitudine…)
La dinamica familiare nei mesi seguenti
e nel medio lungo periodo
La trasformazione dell’Identità e le nuove relazioni
interpersonali.
La ridefinizione dei ruoli familiari di madre, moglie, figlio,
padre.
Il rapporto di coppia, crisi, rottura, ridefinizione.
La relazione genitoriale.
200
Il percorso dialogico è stato rivolto all’analisi dell’interazione sociale individuale, in base al
paradigma che la realtà sociale, ogni realtà sociale, viene interpretata dai soggetti che la vivono.
Secondo il metodo della comprensione proposto da Weber non è sufficiente individuare le relazioni
quantitative, ma è necessario immedesimarsi, rivivere, intendere (Verstehen): si cerca allora di
cogliere l’intenzionalità dell’agire umano, attraverso il senso soggettivo attribuito dall’individuo al
proprio comportamento.
Comprendere, allora, significa immedesimazione, capire il punto di vista dell’altro; il mondo dei fatti
diventa conoscibile attraverso il significato attributo dagli individui. Questo senza cadere
nell'individualismo soggettivista e nello psicologismo.
Nelle analisi delle micro dinamiche relazionali il mondo che si conosce è quello del significato
attribuito dagli individui, significato che varia fra gli individui a seconda delle loro esperienze e delle
culture di appartenenza.
Esiste una difficoltà della ricerca sociale di considerare la soggettività, essa è senza dubbio
determinata dal fatto che “le problematiche relative all'identità si fondano su dei processi sociali,
simbolici e psichici, collegati tra loro"3.
Si tenta continuamente di chiarire la questione che oppone la sostanzialità dell'identità ai processi
d'individualizzazione: la soggettività si struttura come uno spazio autonomo? O invece è fortemente
legata alle reti di relazione e in particolar modo al rapporto con l’altro?
Le ricerche in questo settore e l'interpenetrazione dei molteplici approcci che, nelle scienze umane
e sociali, esaminano l'emergenza del soggetto tra costruzione dell'identità e legami sociali, si
soffermano sull'analisi del linguaggio e della comunicazione come elementi fondamentali della
costituzione del sociale.
Il discorso, la narrazione, "sostituisce il vissuto", o meglio ridefinisce il vissuto e lo recupera in
nuove dimensioni, inducendoci a considerare come "la soggettività e l'identità diventano
linguaggio". Le donne intervistate hanno parlato più volte di un periodo vissuto in cui la parola era
repressa. Il dolore era inenarrabile, perché nessuno avrebbe potuto comprenderlo. Parlarne allora,
anche se a distanza di tempo e con persone che condividono almeno in parte questa esperienza,
diventa “liberatorio”, ma soprattutto crea legami di appartenenza, ricostruisce il vissuto doloroso in
una dimensione sopportabile, non più tragicamente distruttiva.
Situandoci in questa dislocazione metodologica e teorica, dal registro esistenziale al registro
narrativo, e considerando inoltre il linguaggio specificamente connesso alla socializzazione degli
3 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico,
Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano. In: http://www.analisiqualitativa.com/magma/0000/intervista.htm m@gm@. Rivista Elettronica Trimestrale di Scienze Umane e Sociali, ottobre/dicembre, 2002
201
individui, l’intervista permette un’interpretazione dei rapporti intersoggettivi solidamente strutturati
nel discorso4.
L'attenzione al linguaggio e ai processi di socializzazione e di integrazione nel gruppo, consente
inoltre di considerare il discorso e la sua interpretazione relativamente a persone fortemente
implicate in una relazione, nel caso della nostra ricerca fortemente compromessa e problematica.
Diversi studiosi ritengono che comunque l'apparato psichico, in quanto organizzazione di diversi
sistemi, ridefinisce i processi d'identificazione attraverso l'immagine e il discorso5.
L’attenzione alla centralità del soggetto fa emergere come le persone si confrontano con delle
istanze intermedie, mentre con le scienze quantitative abbiamo invece che la ricerca porta ad un
appiattimento delle differenze, spesso, nei valori “medi”, con la scomparsa della singolarità e
l'eliminazione delle particolarità, tutti sono uguali e tutto è globale.
Le interviste sono state rivolte ai soggetti selezionati secondo un piano di rilevazione, guidato
dall’intervistatore e sulla base di uno schema di interrogazione flessibile, non standardizzato e non
strutturato, se non minimamente.
Le caratteristiche dell’intervista qualitativa sono state:
- assenza di formalismo;
- spiegazione e comprensione dell’obiettivo dell’intervista (contesto della scoperta);
- assenza di campione rappresentativo (a differenza dell’intervista quantitativa che usa il
questionario);
- approccio centrato sul soggetto.
Si è quindi utilizzata l’intervista a testimoni privilegiati e il gruppo (focus group) è stato avvicinato
nel suo insieme; i soggetti sono state le Donne dell’Associazioni AATC di Bergamo (Associazione
Amici Traumatizzati Cranici) e ADB (Associazione Disabili Bergamaschi); esse hanno sviluppato
particolare esperienza sul campo, anche per l’impegno sociale e materiale nell’assistere le persone
coinvolte.
Il percorso dialogico
Il materiale utile per condurre questa ricerca è stato raccolto grazie agli incontri, avuti in riunioni, in
momenti informali e formali quando si è condotta per la vera è propria intervista.
E’ chiaro, quindi, che le informazioni che ho potuto raccogliere, in un’indagine di tipo qualitativo,
non sono state acquisite solo durante l’intervista ma in più occasioni, legate alle osservazioni, alle
4 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico,
Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano, op.cit.
5 Meltzer D. M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro
Scientifico, Torino, 1990 (1983)
202
sensazioni, ai colloqui, avuti negli incontri precedenti e che si sono avute nei mesi antecedenti la
stesura di questo contributo.
L’indagine comprende di conseguenza anche tutte quelle riflessioni stimolate dall’osservazione
partecipante e dai colloqui informali.
In questo tipo di indagine non esiste uno spazio per chi detiene un sapere diverso da quello delle
persone con cui si confronta.
Nello stesso tempo si ritiene che le persone non possano essere studiate come esseri isolati
essendo, al contrario, individui costantemente in relazione e in comunicazione, anche se
conflittuale, all’interno di un sistema culturale carico di simboli6.
Nel nostro caso i simboli sono le aspettative culturali del contesto di appartenenza sul ruolo di
madre e moglie. Il lavoro di cura è fondato, ancora oggi, su una certa concezione del femminile;
anche quando accade un evento di traumatico, il contesto sociale definisce un insieme di azioni di
accettazione o di denigrazione intorno alle persone.
L’apertura “formale” di questa fase della ricerca, è stato l’incontro in cui sono state raccolte,
registrandole, le riflessioni, i pareri e lo stesso racconto degli eventi accaduti; questo ha permesso
un confronto intenso con persone che hanno congiunti con trauma cranico.
Una parte rilevante delle interviste è stata fatta presso l'abitazione di una mamma, che ha ospitato
il gruppo per lo svolgimento della ricerca. La casa è attrezzata per poter meglio assistere il figlio: in
un grande spazio abitativo c'era da un lato la sezione cucina, al centro il letto assistito con il
ragazzo e d'altro lato la camera con il letto matrimoniale dei genitori, divisa da una struttura con
parete mobile. Mentre noi conducevamo la nostra conversazione, la sorella del ragazzo continuava
ad assisterlo, in particolare garantendogli l’igiene personale e imboccandolo poi per
l’alimentazione.
Le persone presenti, tutte donne, mamme o mogli di persone che avevano subito un trauma
cranico, più un marito, ormai si conoscevano da qualche tempo e avevano una certa confidenza tra
loro.
Avere in comune un'esperienza così forte sicuramente ha permesso di costruire legami, intendersi;
non è noto quanto del loro dolore sia stato già verbalizzato nelle loro interazioni precedenti, certo
ogni tanto nei racconti esso affiorava attraverso momenti intensi di commozione.
E’ probabile che la comprensione tra le persone sia favorita quando si condivide un dolore, in
questi casi le parole richiamano più facilmente emozioni e processi di empatia.
Ci si rispecchia nell'altro più facilmente, perché dentro di se si può pensare che l’altro mi capisce,
sa di cosa sto parlando, sono le mie stesse sofferenze e mi può comprendere. Lo stesso gruppo
delle donne intervistate riteneva che gli altri, il mondo esterno, non potranno mai capire come
stanno veramente le cose.
Si è partiti utilizzando la scheda-traccia dell’intervista, all'inizio chiedendo di raccontare come si era
6Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988)
203
saputo o era stato annunciato l'evento traumatico e/o l’incidente.
Quasi sempre le prime notizie sono già di per se sconvolgenti, anche se, in genere, nei momenti
iniziali si sentono parole abbastanza rassicuranti: “non preoccuparti” “il ragazzo sta bene” “lo hanno
portato al pronto soccorso subito”, ma è proprio lì che si inizia a raccogliere la drammaticità di ciò
che è accaduto, con le mamme che cominciano a sentir dentro qualcosa di strano, le prime
sensazioni che le cose non sarebbero state così semplici.
Frammenti di discorsi...
1 – mamma, incidente con motorino
2 – moglie, incidente sul lavoro
3 – moglie, incidente d’auto
4 – marito, (colpito da emorragia ischemica)
5 – moglie, emorragia ischemica
6 – mamma, incidente motorino
7 – mamma, incidente d’auto
8 – mamma, incidente con motorino
9 – sorella, incidente d’auto
I casi avvicinati riguardano quasi tutti esiti da incidenti stradali: per i più giovani, sul motorino o
anche a piedi, due erano i minorenni; tra gli adulti c’è stato un caso di emorragia cerebrale e uno di
incidente sul lavoro.
Come è arrivata la notizia
Quando accade l’incidente, la notizia arriva quasi sempre a telefono, a volte le parole sono: “Non si
preoccupi, un piccolo incidente”;“Gli ho parlato prima che andasse via con l’ambulanza”.
“Al telefono mi dicono abbiamo portato il figlio in ospedale”. (1- mamma)
Qualche volta è una persona di famiglia, altre il datore di lavoro.
204
Pensieri contrastanti, quando si tratta del figlio a volte vengono pensieri di rabbia, quasi di
rimprovero, verso l’inavvedutezza del ragazzo, ma nello stesso tempo sopravviene la paura.
“In genere uno si preoccupa quando il figlio esce di sera, non ci si aspetta che possono accadere
all’una del pomeriggio”. (1 - mamma)
“Mio marito è andato a lavorare, la notizia arriva da sua sorella, il datore di lavoro aveva un numero
vecchio di prima il matrimonio, è accaduto dodici anni fa, a 48 anni”. (2 - moglie)
“E’ stato un incidente sul lavoro a causa di un carico pendente, dopo il colpo si è perfino rialzato,
ma dopo gli si è aperto il cranio”. (2 - moglie)
“La notizia mi è venuta da mia suocera perché i vigili erano andati da lei”. (3 - moglie)
“Mi ricordo ancora la strada che ho percorso per andare in ospedale, ma in quel momento ancora
ho sempre sperato che si riprendesse, prima che passasse il momento tra la vita e la morte poi
avevo sempre la speranza che poteva recuperare sempre di più”. (3 - moglie)
“Per me è stata durissima però avevo la speranza che recuperava sempre un po’ di più”. (3 moglie)
“Mi hanno chiamata dal lavoro, mio marito aveva perso conoscenza, sono corsa all’ospedale e
sono arrivata prima io all’ospedale dell’ambulanza”. (5 - moglie)
“Quindi ero già li e il medico ha capito subito quello che era successo, era già in coma, intubato”. (5
- moglie)
“Mio figlio aveva 16 anni quando ha fatto l’incidente, sono venuti i suoi amici a darmi la notizia”. (6 mamma)
“Dentro di me qualcosa già saltava, mi avevano detto che parlava, quando sono andata al pronto
soccorso mi hanno detto che non potevo vederlo”. (6 - mamma)
“Non è stato un incidente è stata una ipertensione aggravata da farmaci inadatti. – la sua terapia
era stata abolita perché non era più idonea e lui non l’aveva saputo. Avrebbe dovuto cambiare
immediatamente la terapia. La lettera ha girato un mese prima di arrivare a casa, ed è arrivata
proprio il giorno in cui lui ha avuto l’ictus”. (5 - moglie)
“Il giorno dell’incidente aveva 16 anni , mi ha chiamato mio marito, io ero al lavoro”. (8 - mamma)
“Mi dicono tranquilla è caduto dalla moto ma nulla di grave” Sono arrivata tranquilla fino al luogo
dell’incidente, anche perché mio marito mi aveva rassicurato. Poi sono arrivata all’ospedale e
avevo strani sentori”. (8 - mamma)
“Mi hanno parlato per prima i vigili e mi hanno detto che la situazione era grave”. (8 mamma)
205
Il ricovero e le cure
“L’arrivo al pronto soccorso, si pensa di essere in un incubo, che si sta sognando, si passa il tempo
pensando alla gravità delle cose. Si ha lo shock quando lo si vede rapato a zero, con i fili, con i
primi macchinari. Le 72 ore per sciogliere la prognosi , o campa o muore”. (1 - mamma)
“I primi giorni si vive nell’incredulità, sembra impossibile che accada una cosa del genere, mio figlio
non ha mai più parlato. Dopo tre mesi è stato dimesso dall’Ospedale Maggiore, con informazioni
appena sufficienti”. (1 - mamma)
“Sentivamo di essere in buone mani ma passata la fase acuta, vista la gravità, nessuno lo voleva
per la riabilitazione. E’ li che abbiamo sentito l’abbandono, non ci credevano neanche i
medici…Verso la fine poche informazioni e mancata chiarezza di cosa dovevamo fare”. (1 mamma)
“Al pronto soccorso mi hanno detto solo stia seduta e aspetti… aspettavo” (2 – moglie).
“C’è stato un consulto medic…poi sono usciti. Dopo ore è uscito il medico, mi ha fatto vedere tutte
le carte , mi ha spiegato tutto, mi ha fatto entrare in una stanza e mi ha detto che non so se lo
rivede. All’ospedale sono molto duri”. (2 - moglie)
“L’ho visto sul lettino coperto, non aveva ferite visibili”. (2 - moglie)
“Mi hanno dato le sue cose e detto che lo portavano in sala operatoria e mi hanno detto aspetti che
“arriverà un medico per farle firmare l’espianto”. (2 – moglie)
“Il mio pensiero era che avevo due figli di 7 e 10 anni a casa, …non avevamo mai neanche parlato
di queste cose,…. espianto non espianto”. (2 - moglie)
“La speranza che si sbagliavano non mi veniva neanche.. Mi avevano detto che era entrato
materiale nel cranio, pezzi di casco, di osso, olio minerale… e che gli avrebbero lavato il cervello.
Poi invece è uscito ed è andato in sala rianimazione e dopo 20 giorni ha cominciato ad aprire gli
occhi”. (2 - moglie)
“Mi hanno detto signora si aspetti di avere un vegetale”. (2 - moglie)
“Allora gli ho detto ma se io gli registro le parole dei bambini per farle ascoltare per stimolarlo…, mi
hanno risposto signora guardi che: <Non siamo in un film> ma se vuole…
Allora l’ho fatto e per giorni gli facevo sentire la voce dei bambini, poi era in coma farmacologico
per il dolore che poteva avere allora, non si sa se non sente per i farmaci o per la sue ferite.
Allora gli ho fatto sentire le voci dei bimbi e lui si è scosso e un giorno è scattato e ha alzato la
testa dal cuscino. Allora i medici sono corsi tutti e l’hanno sedato perché è era molto agitato”. (2 moglie)
206
“C’era sempre la speranza che migliorasse”. (3 - moglie)
“Ha fatto mesi di coma vigile, poi per un anno ripeteva solo l’Ave Maria, poi ha cominciato a
leggere e a parlare un po’ anche se con molte difficoltà. Nell’esprimere le sue opinioni ha
ovviamente delle difficoltà”. (3 - moglie)
“Da come loro mi avevano detto, che non si sapeva come si sarebbe svegliato questa per me è
una grande conquista”. (3 - moglie)
“In quel momento è uscito tutto intubato, ho seguito l’ambulanza allora con mia figlia, abbiamo
seguito l’ambulanza fino a Bergamo e ancora non me lo lasciavano vedere”. (6 – mamma)
“Poi sono entrata era tutto nudo, era freddo, gli usciva sangue dalle orecchie e dal naso, pieno di
tubi mi sentivo morire. Dalle otto di sera è entrato in sala operatoria a mezzanotte, e mi hanno
detto che non sapevano se usciva vivo”. (6 – mamma)
“Mio marito è arrivato subito..., il curato della parrocchia con i ragazzi hanno fatto passare la voce,
io non vivevo in quei momenti”. (6 – mamma).
“Poi è uscito dalla sala operatoria è andato in rianimazione e il medico mi ha detto signora guardi
non so se arriverà al mattino”. (6 - mamma)
“Non sapevo più se a parlare o urlare, non sapevo cosa fare, mi hanno detto di andare a casa”. (6 mamma)
“Alle otto del mattino mi chiamano dall’ospedale e mi hanno detto che dovevano rioperarlo. Il
cervello gli stava esplodendo e dovevano rioperarlo. E’ stato più il danno per questo che per
l’incidente”. (6 – mamma)
“E’ rimasto cieco per tanto tempo poi ha ripreso, è rimasto cieco per un occhio. L’hanno tenuto in
come farmacologico per qualche giorno”. (6 - mamma)
“Ogni tanto o faceva dei movimenti o riapriva gli occhi, allora speravo che si stesse risvegliando
invece mi dicevano che erano solo dei movimenti involontari”. (6 - mamma)
“Poi lo hanno operato alle altre fratture che aveva alle gambe e poi ha cominciato la riabilitazione”.
(6 – mamma)
“Quando l’ho visto cieco, ho perso le speranze che recuperava, poi lui non parlava e cominciava a
piangere”. (6 – mamma)
“Mi hanno accompagnato in una stanzina, mi hanno offerto qualcosa … dopo gli hanno fatto una
risonanza e lo hanno portato di sopra verso le otto, mi pare, sono entrati in sala operatoria e dopo
mi hanno detto non sappiamo se sopravvive. Io ho chiamato la mia famiglia, è arrivato mio fratello,
è andato a prendere i ragazzi a casa, che non sapevano niente. Poi ho chiamato i fratelli di mio
marito”. (5 - moglie)
207
“E’ stato ricoverato per 26 giorni in terapia intensiva in coma, poi si è risvegliato. Quando lo hanno
dimesso mi hanno detto esattamente quello che avrebbe avuto. I problemi di memoria, etc.,
l’autonomia personale è fortemente condizionata”. (5 - moglie)
“Il primo intervento è stato rene e milza, poi è entrato in coma durante l’intervento. Invece poi mi
dissero che in chirurgia non c’era posto, c’erano stati incidenti in autostrada. Poi una persona
anziana è stata spostata , col consenso dei parenti, per dare soccorso a mio figlio”. (8 - mamma)
“Cominciarono a dire che se sopravvive rimarrà vegetale, ero li io e mio marito, mi parlarono di
espianto”. (8 - mamma)
“Io e mio marito eravamo in silenzio, non sono mai riuscita a condividere, io ho voluto sempre dire
che mi davano fastidio le persone che mi stavano vicino”. (8 – mamma)
“Poi ci hanno detto che probabilmente non sarebbe uscito dalla sala operatoria”. (8 - mamma)
“Poi è uscito alle 3 e mezzo di notte ed è stato in coma diversi mesi”. (8 - mamma)
“I primi mesi era anche sotto dialisi, poi abbiamo fatto il percorso di rianimazione a Mozzo, ha
cominciato a riconoscermi”. (8 - mamma)
“Quando sono andato dal medico a dirgli che mio figlio si stava risvegliando, il medico mi ha preso
per matta, che aveva fatto tutti i test proprio qualche minuto prima, poi in rianimazione si stava solo
un quarto d’ora e ti mandavano via. Molti medici non ascoltano mai i familiari”. (8 - mamma)
Dopo le dimissioni
“Nove anni fa ci hanno ridato un figlio e dimesso come se avesse avuto una appendicite, gli devo
dire grazie perché sono stati bravissimi, ma al momento della dimissione mi hanno detto questo è
vostro figlio, queste le medicine che sta prendendo. E poi niente”. (1 - mamma)
“Poi ha avuto le prime crisi epilettiche, tre mesi dopo l’incidente”. (1 - mamma)
“Avevo un ragazzo autonomo che si confidava, era un giovane adulto e poi mi ritrovo un figlio che
non comunica. Ho un rapporto come tra una mamma e un neonato solo che lui è un adulto”. (1 mamma)
“Il primo anno vivevamo praticamente intorno all’ospedale e per l’ospedale, poi portato a casa
sembrava che potevamo riposarci perché non dovevamo stare di notte, correre tutti i giorni, andare
e venire. Portarlo a casa ci ha alleggerito anche se l’assistenza è 24 ore su 24, ma in ospedale
non potevamo riposare”. (1 - mamma)
“Il contesto familiare è stato un po’ rilassato, i primi tempi ti vengono a trovare, poi gli zii mollano,
gli unici che in genere non mollano sono i nonni... Mio marito invece è figlio unico”. (1 - mamma)
208
“I nonni reggono un po’ di più ma se prima si fermavano anche per la cena ora cercano di andare
via prima”. (1 - mamma)
“La vita quotidiana con un figlio, in realtà lui ora dopo tanti anni non è il problema maggiore ma il
minore, restano un peso gli aspetti logistici, i giudici tutelari, le pratiche, fare le spese”. (1 mamma)
“Era rimasto però 4 mesi muto. Ora dopo anni è afasico ma parla, anche se con difficoltà, ha
ripreso a camminare con tutte e due la gambe, ha una emiparesi sulla destra e non muove la
mano”. (2 - moglie)
“Lui ha sviluppato autonomie, a casa ha cominciato a camminare, ha ricominciato a scrivere con la
sinistra e così a mangiare, ma la maggioranza dei medici non sapeva cosa dirmi”. (2 - moglie)
“Avevo dei bimbi attaccatissimi al padre e lui lo era per i figli.” (2 - moglie)
“Ho fatto tutto il percorso e un po’ l’avevo già davanti in quanto infermiera, lui ha recuperato
sempre un po’ di più anche se non deambula ed è molto dipendente, cammina solo accompagnato
ma non va da solo in bagno, non ce la fa, ha difficoltà nel mangiare e nella relazione“. (3 - moglie)
“Capisce tutto, legge, fa i conti più veloce di me, ma ha problemi comportamentali facciamo
moltissime passeggiate ma non in contesti con tanta gente, rumore, se incontriamo qualcuno non
ci sta, si mette a urlare… Non vuol stare più in mezzo alla gente, se c’è rumore etc. se qualcuno
parla con me comincia a urlare”. (3 - moglie)
“Fino a 4 anni fa l’ho gestito da sola poi sono crollata, anch’io e ho dovuto prendere una badante
che mi dia una mano. Ora con questa badante mi permetto di uscire da sola, di andare al cinema,
in piscina, etc.”. (3 - moglie)
“C’è stato un momento, adesso un po’ meno, che si è reso conto anche lui della mia presenza e
ora se mi dovesse succedere qualcosa anche lui adesso dice cosa faccio io, ora sa che ha bisogno
della mia presenza”. (3 - moglie)
“Poi ha avuto reazioni aggressive, mi tormentava le mani, dopo tanto tempo ha ricominciato a
vedere”. (6 - mamma)
“Ora ha recuperato va a lavorare, in piscina, il problema è che ora è un bambinone, ha trent’anni
ma ti abbraccia, gioca etc. se deve andare da qualche parte vuole essere accompagnato”. (6 mamma)
“Lui ha un carattere pacifico, gentile, era un una persona con lavoro importante, un lavoro in cui
doveva sapere mediare e questa cosa gli è rimasta, andiamo a cinema, a teatro, etc.”. (5 - moglie)
“E’ vero che a volte non trova neanche il bagno di casa però in un po’ di anni ha recuperato molta
autonomia”. (5 - moglie)
209
“Bisogna ricordargli di far la barba, la fa e poi esce, hai lavato i denti? li lava ed esce, fai la doccia e
la fa, una cosa alla volta. Ora si veste da solo”. (5 - moglie)
“Mio figlio si è ristabilito abbastanza bene, ora ha 30 anni, lavora ma amici niente. E’ stato investito
da un motorino. All’inizio avevano detto speranze poche”. (6 - mamma)
“Il problema adesso è che non ha veri amici e frequenta cattive compagnie, ho forti timori per lui. E
vuol fare tutto quello che faceva prima, vuole compagnia ma si fida troppo degli amici, alcuni
vivono, di fatto, alle sue spalle. Sono orientata a fare delle denunce per proteggerlo. Ci sono delle
persone che temiamo”. (7 - mamma)
“Lui ora ce l’ha su con la psichiatria, anche se negli ultimi tempi si sta ricredendo. Infatti vogliamo
tornare a parlare con la assistente sociale della psichiatria dei problemi che sta vivendo”. (7 mamma)
“Non mi ha mai toccato ma a volte mi minaccia, quando ha quegli scatti mi fa paura, rientra spesso
la notte tardi, ho intenzione di mettere le sbarre a porte e finestre”. (7 - mamma)
“Poi man mano che si va avanti diventano aggressivi, quando è uscito faceva le prove con le mani
e spappolava le mani a tutti stingendole troppo, ancora oggi ogni tanto si mozzica la mano anche
se non sopporta il dolore e ha paura a tagliarsi le unghie”. (8 - mamma)
“E rimasto sette mesi in terapia intensiva, non sopporta il dolore, anche per curare i denti abbiamo
dovuto portarlo in ospedale”. (8 - mamma)
“Ha recuperato e la sua memoria ha ripreso abbastanza, ama la musica, la storia, lavora”. (8 mamma)
“Si è sempre in ansia e si ha paura che possa succede qualcosa, anche se non ha avuto crisi
epilettiche ho sempre paura che accadano, si tende sempre a proteggerli perché si vedono
indifesi”. C’è questa protezione continua”. (8 - mamma)
“Quando è stato dimesso dall’ospedale, era tutto una piaga, pannolini: poi ha recuperato, io
lavoravo e sono rientrata a lavorare part time”. (8 - mamma)
“Ormai ha recuperato, guida, però se deve cambiare la ruota non ci riesce, non potrà mai vivere da
solo, non sa cambiarsi il catetere, ma cognitivamente è adeguato”. (9 - sorella)
“…Va con gli amici, al cinema etc.”. (9 - sorella)
“Esiste anche un problema legato a dove abita la gente. Mentre i corsi di nuoto, hanno avuto molto
più successo, sono anche occasione di socializzare e incontrarsi, far passare informazioni in via
informale”. (9 - sorella).
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Il legame familiare e di coppia
Dopo le dimissioni ci sono stati i contrasti dopo tutto quello che avevo fatto per lui: “Mi ha anche
detto che lui ha lottato per i figli e che se fosse stato con me non l’avrebbe fatto, visto che io avrei
potuto rifarmi la vita”. (2 - moglie)
“Questo mi ha scatenato una forte depressione, in parte ho recuperato ma solo perché ho
imparato a gestire questa cosa con mio marito”. (2 - moglie)
“La dinamica non è più tra marito e moglie ma tra mamma e figlio, abbiamo comunque problemi
sulla sfera affettiva e sessuale e dobbiamo gestirla per non fargliela pesare”. (2 - moglie).
“Ci sto per dovere? Per amore”. (2 - moglie)
“Rimane il vecchio legame affettuoso, la promessa che hai fatto, nel bene e nel male nella malattia
e nella salute”. (2 - moglie)
“Si pensa che i figli abbiano bisogno che questo legame venga in qualche modo mantenuto”. (2 moglie)
“Avendo dei figli devi sempre farli vedere che il papà c’è e non ha perso tutte le qualità; i figli hanno
già avuto una batosta di questo genere e allora si pensa di non aggiungere le altre”. (2 - moglie)
“Cerchiamo di mantenere una parvenza di famiglia”. (2 - moglie)
“Nel legame con le persone si sacrificano certe dimensioni personali per mantenere il legame
familiare”. (2 - moglie)
“Questo lo fa soprattutto la donna e lo fa soprattutto per i figli, non faccio niente se questo può
portare anche una piccola sofferenza ai figli”. (2 - moglie)
I figli sono sempre un po’ conservatori, cambiano, loro crescono ma quasi pretendono che la
coppia genitoriale non si muova da li. E’ come se dicessero: non fate troppi litigi, non troppi
battibecchi e cercate di stare buoni.
“La donna è più forte, ha più senso del dovere verso il marito e figli, si carica anche di più
sofferenza perché è più forte”. (2 - moglie)
“Secondo me le donne sono la famiglia, veniamo anche da un’altra generazione”. (8 - mamma)
Basta la spiegazione “che le donne sono più forti”? E’ sufficiente questa dimensione?
“Forse le donne tra venti anni non faranno più questo, allora non saranno più così forti? Le più
giovani piantano più facilmente il marito. Come per il divorzio le più giovani lo fanno più facilmente
di quelle meno giovani”. (8 - mamma)
211
“Nel mio caso, per me, è stato amore, io avevo 34 anni e lui 39, eravamo sposati da dodici anni,
non ho neanche figli, il mio primo istinto non è riuscire ad abbandonare mio marito perché mi
sentivo forse persa io senza di lui, era più forte questo amore”. (3 - moglie)
“Forse il pensiero di fuga può venire dopo ma per me era solo amore, non c’era neanche il legame
dei figli”. (3 - moglie)
“Questo viene dopo con gli anni”. (8 - mamma)
“Abbandonandolo mi sarei sentita persa nella mia identità di donna e di persona”. (3 - moglie)
“Prima lavoravo poi ho smesso e ho cominciato a dedicarmi principalmente a lui”. (3 - moglie)
Io sono quel che sono, donna, madre e moglie e ho costruito la mia identità che è anche la mia
forza. In questo mio percorso, nella mia esperienza di vita, anche se non facile, ho cominciato ad
assumere questi compiti man mano, perché sappiamo che non è così leggero il ruolo di una donna
nella famiglia, anche se non c’è un trauma, con i suoi compiti da affrontare, i figli da assistere, la
casa, etc.
Poi c’è un evento forte che fa saltare tutto il mio equilibrio, rischio di perdermi, vado in depressione,
però devo cercare di diventare ancora più forte. Io per riuscire a reggere, per tenere devo
aumentare la mia forza, prendere parte delle mie dimensioni e accantonarle, per poter resistere, è
anche per questo che non me ne vado via, non mollo per reggere come identità.
Ma chi sono io se non accetto questo peso, che sarà di me e della mia identità se fuggo da questa
responsabilità?
Probabilmente perché questa mia storia personale mi ha portato a questa forza, è la mia identità,
quindi se io rompo perché solo dico basta, perché sono stanca o perché ho trovato un’occasione
di fuga, un’avventura, sarebbe come mettere in crisi non solo la mia relazione ma l’immagine che
ho di me stessa: chi sono io se non faccio questa cosa, come mi considereranno? Come mi
rapporterò? Chi sarò se pianto tutti in asso e cambio vita?
“Ovviamente la vita di coppia non c’è più, ma ti arriva un macigno sulla testa e o ti butti dal ponte o
resisti”. (3 - moglie)
Quando c’è stata una fase del distacco?
“Dopo il risveglio c’è stata una fase di parolacce di aggressività, cose pesanti”. (3 - moglie)
Le prime reazioni aggressive sono legate al trauma, all’inizio non sono pienamente consapevoli, e
solo dopo vengono reiterate con consapevolezza.
“Ora mi dice anche che non siamo riusciti ad avere dei figli e li vorrebbe, anche con l’adozione e
non si rende conto che non ci sono le condizioni”. (3 - moglie)
212
“E’ molto dura, l’ansia c’è, anche la paura , cosa faccio? Mi costerebbe più fatica a costruirmi
un'altra vita, come donna, come relazioni umane, con le cose da fare cerco di ritagliarmi degli
spazi, di continuare la mia vita. Anche per questo ho cercato una badante”. (3 - moglie)
“Io lo faccio perché mi sento ancora in grado di accudirlo. C’è anche un senso di affetto di sicuro,
un legame, un coinvolgimento, siamo stati sposati, siamo una coppia”. (5 - moglie)
“Quando ci si sposa si recita una formula in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, non
credo per niente che sia una cosa banale questa formula. Noi ce la sentiamo, non è una cosa
banale. Anche se la situazione chiede molto sacrificio”. (5 - moglie)
“Io penso che dipende dal tuo rapporto come persona, se non hai un buon rapporto non credo che
possa durare. Certo se non avessimo avuto un buon rapporto non so cosa sarebbe successo”. (5 moglie)
“I figli hanno cambiato atteggiamento anche loro. La figura del papà non è più riconosciuta, con
l’età è diventato cosi”. (5 - moglie)
“Ora sono più grandi e aiutano molto nel condurre, il supporto di qualcuno aiuta, si è un po’ tutti
stanchi”. (5 - moglie)
“Il ripetersi continuo e quotidiano delle cose che ti logora, ti porta ad un logoramento interno, che ti
porta a non conoscere la figura paterna, capisci che quello che ti sta accadendo non è giusto, non
hai una figura su cui puoi contare. I miei figli poi hanno cominciato a vedere uno a pari di loro... e
non si intravede un miglioramento”. (5 - moglie)
“Se si guarda indietro qualcosa è cambiato ma i figli sono più diretti non mediano sempre come gli
adulti che hanno tante cose che si accumulano”. (5 - moglie)
Ci troviamo di fronte a questioni nuove, il trauma cranico sta portando fenomeni nuovi che prima
non c’erano.
“Mio marito lo tratta di più da adulto ma la cosa mi fa arrabbiare . Io non posso mai discutere con
mio marito, perché mio figlio ha paura, dice qualcosa nervosamente e poi se ne va”. (8 - mamma)
“Padre e figlio escono insieme qualche volta, ma è mio figlio che ora non vuole, quando lo invitiamo
a uscire è lui che preferisce star a casa da solo invece di venire con noi”. (8 - mamma)
“La coppia, all’inizio avevo tanta rabbia perché pensavo che mio marito non avesse sofferto,
egoisticamente credevo che lui non avesse sofferto così tanto, come avevo sofferto io come
mamma”. (8 - mamma)
“Pensiamo che la nostra storia di sofferenza non la possa vivere nessuno, che il nostro vissuto, sia
il vissuto più atroce di tutti gli altri”. (8 - mamma)
213
“Si rompe qualcosa anche all’interno della coppia non c’è più il legame come prima e non c’è più
quella serenità”. (8 - mamma)
“…Va bene così però non e più come prima”. (8 - mamma)
“In vacanza si va pochissime volte, si vive un po’ separati, dopo 35 anni abbiamo un buonissimo
rapporto però”. (8 - mamma)
“Si vive insieme ma in solitudine”. (8 - mamma)
Era meglio che tu non c’eri più è un pensiero e una frase gridata con rabbia, nei momenti di
tensione.
Si rilevano aspetti diversi nel caso di trauma da lesione midollare, questo spesso fa seguire una
rottura dei legami esistenti, partner, amici, etc. ma con la stessa frequenza si rileva un recupero
delle relazioni con la formazione di una nuova coppia e la frequentazione di nuovi amici.
“Nel caso delle lesioni midollari però c’è quasi sempre la ricostruzione di altri legami validi e
duraturi”. (9 - sorella)
“Le ragazze sono poche, alcune non avevano relazioni prima…”. (9 - sorella)
“Per una ragazza di 20 anni che rimane traumatizzata, accade regolarmente che trova un legame
stabile dopo”. (9 - sorella)
“Quelle sposate sono rimaste sposate e hanno avuto dei figli dopo l’incidente…”. (9 - sorella).
Gli amici, gli altri parenti, il contesto di vita
“Gli amici sono venuti i primi due tre anni a trovarlo, magari si incontravano qui prima di andare da
qualche parte, poi eravamo stanchi noi stessi. Lui non interagisce, poi noi eravamo stanchi e i loro
modi allegri e vocianti… e poi piano piano non sono più venuti”. (1 - mamma)
“Noi abbiamo avuto tantissimo aiuto nel periodo dell’ospedale dalla sua famiglia, i suoi fratelli, che
ci hanno aiutato il primo anno, ma dopo che è stato dimesso, anche tenerlo qualche ora nel
pomeriggio, loro sono crollati e io ho dovuto stare a casa dal lavoro”. (3 - moglie)
“I rapporti ho cercato di tenerli buoni ma io non posso pretendere niente, i fratelli hanno anche una
loro famiglia, ora qualche volta ci vediamo ma i rapporti sono di cortesia”. (3 - moglie)
“I primi mesi c’è qualche amico, ma poi non si è trovato più nessuno, c’è chi si è sposato, che ha i
figli”. (3 - moglie)
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“Anche mio marito andava a sciare, faceva la settimana bianca gli hanno detto di riprendere, ma
solo per aumentare la sua autostima, lui prima camminava in montagna anche con gli amici, si
allevavano in palestra come presciistica”. (2 - moglie)
“Ho provato a farlo frequentare, per qualche gita, lo portavo in palestra, ma hanno sempre chiesto
anche la mia presenza, portalo io e stare li, perché avevano paura che si sentisse male, ecc...”. (2 moglie)
“Tu cerchi anche di staccare un attimo ma loro non hanno mai voluto portarlo con se da solo”. (2 moglie)
“Questa cosa fa anche molto male e stiamo parlando di adulti”…. “Vedere gli amici andar via,
venivano la sera qua,. poi non si sono più visti”. Qualcuno che incontri fa anche finta di non vederti,
di guardare da un’altra parte”. “Sembra che io abbia la lebbra, girano e vanno via”. (confermano un
po’ tutte mamme e mogli)
“Gli amici non si fidano a portarlo in giro perché temono che abbiano bisogno di qualcosa. Sono
passati i tempi ma la disabilità da fastidio, la gente non vuole averci a che fare”. (6 - mamma)
“Mi dà fastidio quando sei al centro commerciale e ci sono le persone che ti servono che ti
sorridono e poi ti vedono passare e stanno zitti e tu vai avanti”. (5 - moglie)
“Mi hanno detto una volta per strada: <se tuo figlio è handicappato tienitelo a casa>...”. (6 mamma)
“I bambini chiedono ma gli adulti sono “feroci…”
Lo sguardo è sempre uno specchio e il diverso fa sempre, in qualche modo paura, noi stessi prima
degli incidenti non avremmo mai immaginato che mondo c’era dietro gli sguardi delle persone,
verso i disabili che incontravamo.
“Dopo 6 anni un po’ di amici si sono persi anche se c’è un gruppetto che viene sempre a prenderlo
lui è di buona compagni,. gli piacciono le barzellette”. (5 - moglie)
“Abbiamo qualche amico che ci viene a trovare, organizziamo la pizzata insieme, ma si tende a
stare in casa, sul divano, ma senza parlare, come ai tempi di un incidente. (8 - mamma)
“Il contesto anziché essere facilitante è castrante, se mia mamma che lo assiste tutto il giorno va
al cinema riceve le critiche di essere una che trascura il proprio figlio.” (9 - sorella)
“Il vissuto soggettivo è sentirsi in colpa, quando trovi uno spazio per te”. (9 - sorella)
“L’esigenza difensiva distruttiva è quella che fa emarginare il diverso in un astratto tentativo che se
allontano te allontano anche la paura che la stessa cosa possa succedermi”. (9 - sorella)
215
E’ come se mettere in atto azioni di emarginazione, di critica, costituisca un ulteriore atto per
distanziare l’altro, per allontanare da se quella esperienza. E’ irrazionale, ma è come se si
cercasse una colpa, un motivo per spiegare perché quella cosa sia successa. Se l’altro ha delle
“colpe” per cui è stato “punito” allora quella stessa cosa a me non succederà…Sembra che ci sia
un bisogno disperato di differenziare l’esperienza del trauma dalla propria: quella famiglia doveva
avere qualche colpa, per cui le è successo questa cosa. Allora allontanando la famiglia colpita mi
illudo di tener lontano anche l’esperienza traumatica.
Si fa fatica a pensare, invece, che le malattie, gli incidenti e il trauma hanno una distribuzione
probabilistica, casuale, non così prevedibile, queste cose possono accadere a chiunque (salvo le
condotte rischiose come il guidare ubriachi, non osservare il codice della strada o le regole della
sicurezza sul lavoro).
Abbiamo bisogno di etichettare e di emarginare, devo definire l’altro come diverso da me per
difendermi da meccanismi di identificazione che altrimenti mi creerebbero angoscia.
“La concezione pietistica richiede che devi fare un sacrificio totale e se la mamma si prende uno
spazio per se, anche minimo è vista male come se dovesse vivere una vita di eterno dolore”. (9 sorella)
Quale rielaborazione del trauma?
“Se avessi immaginato questo forse non avrei lottato tanto per la vita di mio figlio”. (8 - mamma)
“Il peso è così alto che non so se avrei lottato tanto”, c’è una mamma che dice “invidio le persone
che portano i fiori al cimitero”.
“Per i religiosi la vita è davanti a tutto ma.. era meglio se andava peggio”.
“Fa male solo a pensarlo ma se parli con una persona che ha avuto un lutto pensa che noi siamo
fortunate, noi invece pensiamo che chi ha perso un figlio sia stato protetto dal Signore”. (8 mamma)
“Io non sono d’accordo con l’eutanasia, assolutamente, e non farei mai niente per far morire mio
figlio, ma quando sarà e verrà la morte naturale io penso che ringrazierò il Signore”. (1 - mamma)
“Quando era successa la storia di Manuela Englaro mi faceva una rabbia vedere tutti quei preti che
dicevano la vita deve essere vissuta, ma loro che ne sanno cosa significa assistere una persona?
Quanti pannoloni hai cambiato nella tua vita?”. (8 - mamma)
“E’ pesante portare avanti un ragazzo per 16 - 17 anni, io non voglio sminuire la sofferenza di chi
ha perso un figlio…. Io ho vissuto il dramma dell’incidente, sto vivendo il dramma della vita e dovrò
vivere il dramma della morte, io penso che una mamma che ha avuto un lutto subito salta almeno
un dramma”. (1 - mamma)
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Una donna che conosciamo ha avuto tutte e due le esperienze: un figlio morto in strada a 14 anni,
portato a casa già morto, e una figlia più grande, di 18 anni, dopo due anni di stato vegetativo è
morta anche lei. Una mamma molto religiosa, ha provato le due esperienze dello stato vegetativo e
della morte istantanea, aveva detto all’inizio “perché mio figlio non mi ha salutata prima di andar
via?” ma dopo ha detto anche che “questo è il figlio che mi ha voluto più bene perché mi ha
risparmiato questa sofferenza”.
Chi ha vissuto queste cose e ha perso un figlio in giovane età porta sempre una lacerazione anche
a distanza degli anni. Ma noi crediamo che “non si soffre tanto con la morte ma con la vita”.
“Certo ognuno ha sempre una lacerazione, ma noi il dolore lo viviamo tutti i giorni invece il lutto, la
morte, il funerale, tu ti rendi conto che sono momenti, mentre noi il lutto lo viviamo tutti i giorni, è
un lutto perenne, sempre presente. Poi c’è il confronto del prima col dopo, poi incontri i suoi amici
che sono sposati, hanno la morosa…” (il gruppo).
Un lutto mai rielaborato e un lutto che rinnovi tutti i giorni prima del lutto vero e proprio.
“Abbiamo mentalmente fatto il funerale ai nostri figli e mariti”. (il gruppo)
Da una parte c’è un lutto, il funerale, la liturgia etc., che serve per staccare, per rielaborare e
reggere al dolore. Voi state comunque pensando che prima o poi ci sarà il distacco, e se non
accade, se il figlio o il coniuge vi sopravvive?
“Non ci pensiamo molto, ma lasceremo una bella eredità”. (il gruppo)
“Mio figlio non sarebbe in grado di gestirsi da solo. Qualcuno potrebbe farcela qualche giorno da
solo, non certamente tutta la vita.”
“Ma non un mese o più restare da solo, anche solo per prendere le pastiglie…..anche quando esce
con gli amici poi riporta a casa tutte le pastiglie”
“Anche con la loro credulità sarebbero capaci di comprare e firmare ogni qualsiasi cosa dai
venditori che vanno porta a porta o da chi propone loro dei contratti in strada.” (enciclopedie,
abbonamenti televisivi, telefonici etc.)
“Anche ad andare a lavoro, ci andrebbe ma ci arriverebbe ore dopo, con comodo, fermandosi a
parlare con ognuno che incontra.”
“Io ho detto ai miei figli di non occuparsi né del loro padre né della loro mamma, non mi hanno
ancora detto niente, loro hanno taciuto”. (5 - moglie)
“Non sono mai riuscita a condividere, c’era così tanto dolore… rimani un pochino interdetta.
Secondo me non se ne parla per non ferire l’altro e l’altro lo fa per non ferire te”. (8 - mamma)
“Si sta lì in silenzio,. cosa si pensa realmente non si dice…, e non si ha il coraggio neanche di
chiedere al marito”. (8 - mamma)
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“Il fatto dell’accettazione dopo l’incidente, ho fatto fatica ad accettare il mio figlio, era un figlio nuovo
da riamare.” ho fatto proprio tanta fatica a riamare il mio figliolo”. (8 - mamma)
“Io non mi ricordo più di mio figlio, faccio fatica a pensare come era da bambino, ho fatto anche
tanto lavoro su me stessa”. (8 - mamma)
“Ho anche le cassette della sua infanzia , all’asilo cantava”. (8 - mamma)
“Io non ho neanche le cassette e mi dispiace”. (1 - mamma)
Ricordare come era prima è una sofferenza… Si rivede quello che si è perso e la cosa fa molto
male…
“Io invece mi ricordo dei giorni belli del passato”. (3 - moglie)
C’è una differenza nel rapporto con la memoria: per essere moglie ho bisogno di qualcosa da
recuperare, ricordare; il periodo del nostro innamoramento mi serve per avere la forza per
resistere. Per il figlio invece il legame è preesistente e non ho bisogno del ricordo per resistere, il
mio legame con lui è tutto interno.
Con il marito è necessario ricordare, anche se richiamare alla memoria è sofferenza, perché è
proprio il ricordo che permette di reggere.
Con il figlio, invece, il legame va oltre il ricordo e in questo caso ricordare è solo sofferenza e non
serve per avere più forza.
“Io scrivevo dei diari e li ho riscoperti: ho degli scritti sul dolore che quasi mi piaceva piacere
vivere, altrimenti non mi sentivo nessuno”. (8 - mamma)
“Se non avevo rabbia o dolore ero morta mi sentivo morta. Il dolore mi faceva andare avanti”. (8 mamma)
“Il dolore mi faceva sentire viva”. (8 - mamma)
“Avevo gli attacchi di panico, depressione, tanto caldo, sudorazioni…”.(8 - mamma)
“La notte tengo sempre la luce attesa, ho paura se non ho chiaro dove mi trovo”. (8 - mamma)
“Perfino in macchina avevo impressione che il sedile mi stringeva, anche quando sembrava tutto
normale”. (8 - mamma)
“Io allungavo la strada anche di molti chilometri, ma dovevo avere vie di uscita, andavo per strade
alternative in caso di colonna.” ad ogni coda cambiavo direzione.” .…“ è solo ultimamente che ho
ricominciato a usare l’ascensore”.
“Ho passato 20 giorni sdraiata sul divano”, non riuscivo a fare niente”. (8 - mamma)
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(molte persone hanno avuto questi vissuti).
“Si sono fatte esperienze di gruppo di auto aiuto, però non hanno funzionato, le persone non hanno
avuto ricambio”. (9 - sorella)
Il sistema del welfare è chiamato ad offrire una assistenza diversa, che possa continuare negli
spazi esterni alle strutture sanitarie, questo non toglierà il dolore del trauma e il lavoro per la sua
ridefinizione però, di sicuro, offrirebbe un forte contributo per evitare di perdersi, perché c’è un
sostegno generale.
Non vai in angoscia nel dire come farò, perché percepisci che c’è una rete. Non vai in angoscia
perché ti sembra una esperienza unica, al contrario senti che ci sono molte altre persone che
hanno fatto esperienze simili e ti ritrovi.
E’ evidente che nel sistema di welfare attuale si fa fatica ad immaginare la disponibilità di risorse
sufficienti per accompagnare le persone nel post-trauma, che avvicinino anche forme non
strettamente sanitarie; però il ruolo dell’associazionismo va considerato come formidabile.
L’associazione aiuta? Come ne usciamo?
A volte è per primo il gruppo che aiuta a uscirne.
“Per me questa associazione è stata un punto di riferimento, parliamo la stessa lingua. Ma se parlo
con una amica mi accorgo che non può capirmi e non vede la gravità della cosa”. (8 - mamma)
“Ci sono poi tutti i problemi del rapporto con i medici, quando hanno qualcosa, anche se non
c’entrano col trauma, non capiscono cosa può vivere la persona con trauma, non interpretano i
sintomi in modo giusto, anche perché i ragazzi non si sanno spiegare, non ascoltano i familiari. Poi
bisogna restar loro vicini in reparto tutto il tempo altrimenti non ci stanno e si possono far male”.
“Passiamo dei momenti allucinanti quando qualcuno di noi viene ricoverato”.
Come se ne esce da queste cose? Resistendo, facendo gruppo.
“Io viaggio spesso… tutti i giorni , guardo Alle falde del Kilimangiaro, così vado in Polinesia, ai
Caraibi…vogliamo andar un paio di giorni in una beauty farm?”. (1 - mamma)
“No, io ho un pessimo rapporto col mio corpo”.
“Vorrei andare al mare tre giorni, senza dover lavorare, stirare, cucinare”.
“Io vorrei andare di inverno così non vedo nessuno coi culi in aria”. (8 - mamma)
“Io sto bene da sola”.
“Mi piacerebbe tornare a tanti anni fa quando avevo i bimbi piccoli, uno da andare a prendere da
scuola, uno andava a calcio”.
“Erano i momenti più belli di una vita e non lo si sapeva”.
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“Io vedo soluzioni solo personali, fai una buona analisi e ne esci”.
Concetti chiave
9 Caduta dei legami della famiglia allargata dopo qualche anno.
9 Timore di perdere il proprio di equilibrio.
9 Sofferenza nel legame di coppia, anche nel caso in cui sono i figli ad aver avuto un TCE.
9 Senso di colpa che accompagna la ridefinizione della propria identità.
9 Tentativo di ritagliarsi spazi personali.
9 Fa molto male il senso di abbandono.
9 Alcuni degli amici e dei parenti non si sono più fatti vedere, mai più visti.
9 Far finta di non veder o guardare dall’altra parte (nel caso di amici o parenti).
9 Ma anche lo sguardo che dà fastidio (nel caso di sconosciuti).
9 Nel rapporto con i figli, il padre è il fratellino piccolo da curare, proteggere e guardare.
9 Stanno meglio le persone che portano i fiori al cimitero per i propri figli.
9 Non si è d’accordo con l’eutanasia. Ma la morte è una liberazione.
9 Il lutto lo si vive tutto il giorno, perché il figlio non è più quello che avevi prima.
9 Più di una persona ha citato la formula del matrimonio: “nella buona e nella cattiva sorte, nella
ricchezza e nella povertà, nella malattia e nella salute, finché morte non ci separi.” Questa
formula è una cosa che ricordano quasi tutte, resta questo obbligo morale dentro di se’
9 C’è un patto che va mantenuto.
Una riflessione sui discorsi: la ridefinizione delle identità
Per quanto riguarda la dinamica familiare è importante ribadire che le conversazioni confermano
come il trauma subito da un congiunto abbia avuto sempre una forte ripercussione sulla dinamica
familiare.
Esso è capace di sconvolgere tutti gli schemi e tutte le relazioni.
Una mamma ha detto: “Ho dovuto innamorarmi di nuovo di mio figlio, perché quello uscito
dall’ospedale non era più il mio bambino”.
In genere gli interventi delle persone avvicinate hanno espresso opinioni molto simili e coerenti tra
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loro, anche per quanto riguarda i rapporti con i coniugi.
Le differenze verbalizzate sono minime e comunque all’interno di un dialogo condiviso.
Una cosa rilevante è che il rapporto tra coniugi viene spesso compromesso non solo quando una
persona con trauma è il marito ma anche quando è il loro figlio.
Quello che invece appare divergente riguarda l’atteggiamento in merito ai ricordi del passato.
Le mogli tendono a rifarsi al passato, esprimono il bisogno di ricordare i momenti più belli dalla loro
vita, questo è una azione molto dolorosa, però, in qualche modo, da la forza di continuare; dal
passato si attinge un po’ di energia che permette di portare avanti il rapporto.
Si resta insieme al marito e si resiste nell’estenuante lavoro di cura, anche grazie al ricordo dei
giorni felici, dei momenti in cui si era innamorati. Perfino nel dolore di qualcosa che si è perso si
trova la radice del proprio legame e, quindi, la forza di continuare.
Per quanto riguarda le mamme invece, ricordare l’infanzia dei figli e un atto troppo doloroso.
Alcune mamme hanno riferito che loro non riuscivano più a ricordare l’infanzia dei figli, come se
avessero dimenticato tutto. Difficilmente riaffiorava alla mente il periodo di quando li assistevano
da piccoli, quando andavano all'asilo, quando cantavano; non riuscivano a ricordarsi quasi più
niente.
Certo le mogli non hanno altro legame che la propria storia di coppia, il periodo dei primi anni
dell’innamoramento è quello più rilevante per la costruzione di questo legame.
Il vissuto di una mamma, invece, è molto diverso: il legame con i figli, con tutto quello che ne
discende, è preesistente la loro infanzia. Non hanno bisogno di ricordarsi dei giorni più felici per
sentirsi legate, e per certi versi obbligate, alla cura dei figli.
Il ricordo in questo caso è solo un dolore, non aiuta, non aggiunge forza, è estraneo al senso del
dovere.
Il lavoro di cura è quasi sempre verbalizzato come dovere profondo, non solo come atto d'amore,
anche se l’amore vissuto costituisce un collante necessario al legame coniugale. Il coniuge, dopo il
trauma, è un altro, è una persona diversa ormai e non è più quello di cui ci si era innamorate.
Questo perché il trauma lo ha profondamente cambiato, spesso reso aggressivo e a volte molto
infantile, ma anche perché, quando la persona colpita è il figlio, il dolore diversamente vissuto ha
cominciato ad aprire un solco tra i coniugi.
Fin da quelle lunghe attese fuori dalla sala operatoria, quando non si riusciva dire una parola, e
non si sapeva che fare, si è cominciato a tracciare un spaccatura tra due solitudini
I due modi di sentire dolore, la paura della perdita del figlio, l’assenza di parole che possano
contenere tutto, la mancanza di momenti o spazi da vivere da soli, per il carico di lavoro che
sopravviene, fa costruire barriere e separazioni.
Così quando i figli sono in rianimazione e poi quando tornano a casa, i coniugi sentono di
differenziarsi sempre di più; forse ci si da una mano nel lavoro di assistenza, nella pulizia e
nell’igiene personale, ma le emozioni viaggiano su piani differenti.
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Vivere difformemente il dolore, vivere una solitudine con angoscia, porta i coniugi ad allontanarsi,
piano piano e a volte irrimediabilmente; dove ancora la coppia resiste, si convive mantenendo
profondi solchi nella relazione.
E’ stato chiesto cos'è che porta a resistere, quando non ci si sente più legate al marito; cosa dà la
forza di continuare il rapporto, molti hanno risposto richiamando il patto matrimoniale “nella buona
e cattiva sorte, nella malattia e nella salute…”.
Ma è proprio questo senso del dovere che tiene uniti? Il vincolo sacro del matrimonio? O forse,
ormai, è la mia stessa identità che si è costruita fortemente nel rapporto con il partner?
E cosa sono io se rompo questo legame? Dove mi rispecchio se non nel rapporto con lui?
L'identità è sempre una dimensione relazionale, quindi il mio sé non è immune dai cambiamenti
della persona che mi è vicino.
La formazione della personalità, in effetti, non può’ essere semplificata in una pura relazione tra sé
e sé, dal corpo alle caratteristiche psichiche individuali. Essa si elabora necessariamente nelle
relazioni con gli altri, nei processi interpersonali, in interazioni e comunicazioni, nel gioco di
assunzione di ruoli e di rappresentazioni7.
“La personalità di un individuo è uguale alla somma delle sue esperienze di vita, che possono
averla segnata in vario modo: producendo modificazioni strutturali, alterando le tendenze
dinamiche o provocando spostamenti nei principi economici o nei ricordi...”8.
L’individuo, quindi, non è comprensibile al di fuori del sistema nel quale agisce e il processo di
individuazione non si raggiunge da soli, una persona si individua anche perché gli altri lo
consentono. La persona non è un’identità astratta, fluttuante nel vuoto sociale, ma è sempre un
attore sociale ancorato saldamente ad appartenenze etniche, relazionali, di piccolo gruppo che gli
danno una dimensione storica e culturale ben precisa. Proprio per questo agiscono più
profondamente di quando si possa credere l’ambiente di appartenenza, gli amici, la comunità
locale. Nelle interviste emerge la presenza di questo contesto, così pressante e nello stesso tempo
così assente e poco collaborante.
Nel caso delle persone con TCE, quindi, non è solo la personalità dell’interessato a essere
sottoposta a un processo di rielaborazione, ma tutta la sua famiglia, in un successione dinamica
che coinvolge le relazioni con la madre, dei coniugi tra loro e con gli eventuali altri figli o fratelli.
Attraverso un gioco complesso di regolazioni tra l’io, gli altri, i “noi” e le istituzioni, la formazione
della personalità, si attiva, di fatto, in un costante sforzo di divisione e ripersonalizzazione, di lotta
contro le separazioni interiori e le alienazioni esogene9.
7 Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988),
p.41
8 Meltzer D., Harris M., Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro
Scientifico Torino,1990 (1983), p. 15
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Scatta un processo conflittuale in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, il sentimento
d’identità e le rappresentazioni di sé, dall’altro lato, le spinte all’abbandono e all’annullamento di
sé, a cui si è sottoposti dalla situazione stressante.
Ma forse per la personalità e per le nostre identità non è mai possibile pensare ad uno stato o un
punto di arrivo definitivo, come accade del resto nella vita ordinaria, ma dobbiamo ritenere
esistente un sistema dinamico e sempre in fase di riassetto: una famiglia drammaticamente colpita
ancora di più è chiamata a rideterminarsi sotto l’azione delle emozioni e dei sentimenti suscitati dal
nuovo ruolo di cura.
Nei processi di costruzione dell’identità e quindi nei meccanismi di identificazione, che permettono
di chiedersi: chi sono io? che senso ha la mia vita? la fase costruttiva è proprio quella che permette
di incrementare il senso di unità del sé interiorizzando le qualità, le competenze e le capacità
affettive delle persone che ci circondano.
Se l’altro diventa così profondamente fragile, diverso da quello che conoscevo ed amavo, così
profondamente bisognoso di cure, allora il rapporto con lui non crea solo una crisi di relazione ma
determina anche l’impossibilità di fare mie le sue qualità, di apprezzare le sue abilità e le sua
affettività, di conseguenza sono costretto a ridefinire la mia stessa identità personale.
Salta il progetto di vita, che si era immaginato insieme all’altro, vanno in crisi le definizioni delle
esperienze vissute e quelle immaginate per il futuro da trascorrere insieme.
Per le donne che assistono, si registra una dedizione sacrificale nell’impegnarsi
incondizionatamente, e senza poter esigere contraccambio, nell’assistenza del congiunto; ma
questa dedizione può essere pericolosa per l’io della donna, che molte volte paga con la
depressione tale disponibilità.
La trasformazione e il condizionamento della vita quotidiana è altissimo e la sofferenza psicologica
si unisce ad un senso di profonda solitudine.
Quale progetto è ora possibile fare per mio figlio? Per mio marito?
Cosa dovrà abbandonare il proprio congiunto della sua vita, dello studio, del lavoro? E quanto
dovrà farlo essa stessa? Un rischio che si corre è quello della iperprotezione, un ritorno ad un ruolo
di eterna puerpera che deve proteggere e non può allontanarsi dal bimbo che ha attaccato al seno.
Questo accade soprattutto quando si determina l’assenza di un valido dialogo e di una piena
condivisione della sofferenza a livello familiare, a tutto questo le madri reagiscono con una
iperattenzione del figlio, trascurando le altre dimensioni della vita relazionale.
Il vincolo sociale, compreso quello che lega genitori e figli è per sua stessa natura essenzialmente
conservatore, anche quando le esigenze e gli stessi obiettivi dichiarati del gruppo richiedono forti
cambiamenti. Questo è dovuto al fatto che il gruppo oppone quasi sempre resistenza alle idee
nuove; apportare modifiche o revisioni di una certa visione del mondo è sempre difficile, perché
può mettere in discussione il legame del gruppo familiare e costituire un potenziale attacco alle
singole identità.
9
Tap P., op. cit.
223
Per le madri è come se si verificasse la scomparsa del figlio precedente, un lutto che include la
sparizione delle componenti immaginate per il possibile futuro che il ragazzo stava per
intraprendere; per esse quindi è necessaria una forma di rielaborazione della separazione che è
carica di angoscia. Il proprio figlio non maturerà pienamente verso una fase adulta e anche lei non
potrà più crescere ed emanciparsi dal suo ruolo di nutrice.
La fase depressiva potrebbe essere legata proprio al riassetto, oserei dire fisiologico, della sua
relazione con il congiunto.
Ma la differenza tra l’amato di prima e la persona che si ha ora davanti è incolmabile, il confronto è
drammatico e colmo di sofferenza. Avviene il predominio del dolore, a volte è un vero e proprio
panico.
“Le sofferenze psichiche, generalmente denominate angosce, vengono affrontate per lo meno a
partire dalla nascita… essa può venir ridistribuita tanto nel mondo interno che in quello esterno,….
“Poiché all’interno di ogni gruppo sociale la sofferenza può essere trasmessa da un individuo
all’altro…”10.
Facendo nostro l’insegnamento di Meltzer possiamo ricordare come il funzionamento dinamico
della personalità ha soprattutto lo scopo di modificare la sofferenza psichica, entro limiti che
consentano l’assimilazione delle esperienze emotive. I livelli di funzionamento delle persone, sono
da ritenersi estremamente variabili da un individuo all’altro, essi vengono per di più influenzati dalle
condizioni fisiche e psichiche del momento.
Le operazioni che le persone mettono in atto, allo scopo di modulare, modificare o evitare la
sofferenza psichica, possono essere molto diverse, altrettanto diverso è il modo con cui queste si
inseriscono in ciò che chiamiamo personalità, o struttura di carattere. La modulazione della
sofferenza viene ottenuta soprattutto tramite processi mentali, che permettono di capire le azioni, e
producono i cambiamenti positivi per un miglior adattamento al mondo esterno, o ancora attraverso
un miglior <equipaggiamento > degli oggetti interni, che aiutano a rafforzare la personalità11.
“Noi riteniamo che le fantasie inconsce costituiscono il motore primo del pensiero e dell’azione e
che pertanto la modulazione della sofferenza psichica debba passare attraverso l’azione del
significato dell’esperienza nella fantasia e attraverso la creazione di pensieri onirici che danno
forma attiva alle rappresentazioni simboliche…Le principali tecniche utilizzate per modulare la
sofferenza psichica sono la fantasia, il pensiero, il pensiero verbale e la comunicazione,..., è il
pensiero con la sua descrizione interiore, che precede la comunicazione con gli altri, è probabile
che il pensiero verbale sia strettamente collegato alla coscienza, se si considera questa facoltà nel
senso platonico, suggerito da Freud, cioè <come organo di senso per la percezione di qualità
psichiche>12.
10Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 17
11 Meltzer D., Harris M., op. cit.
12Meltzer D., Harris M., op. cit., p.19
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Una mamma ha riferito che alla fine aspettava che arrivasse il dolore, perché anche se era molto
forte, almeno si accorgeva di vivere, altrimenti non sapeva chi era.
Non si riesce neanche più a fantasticare di una possibile guarigione e un ritorno alla normalità.
Proprio per questo a volte è necessario un lungo lavoro psicologico, per elaborare la perdita e
accettare l’inatteso.
I rapporti con l’esterno possono ridimensionarsi enormemente, forse ristringersi alle persone che
“possono capire il problema” perché l’hanno vissuto.
“…Si può capire come le persone vengono indotte a riunirsi in gruppi od organizzazioni sociali di
vario tipo per due diversi motivi: perché spinti da necessità di trovare dei compagni con cui andare
alla ricerca della verità, allo scopo di modulare la sofferenza psichica,...,nel tentativo di modificare
la sofferenza o di evitarla”13.
Non ci sono schemi o modelli educativi che possono fare da riferimento e facili da adottare, ogni
esperienza, ogni persona nello stesso tempo è unica e ogni caso reagisce in un modo non
prevedibile.
Bisogna mettere in atto dei meccanismi di difesa ma si è chiamati anche a raggiungere un
adeguato livello di accettazione della condizione del proprio figlio o marito.
L’accettazione non è mai “completa” e quasi sempre ambivalente.
Essa richiede l’accettazione dell’altro per quello che è, affrontare con realismo la condizione che si
vive, senza negarlo ma senza farsene trascinare. Cercando di valorizzare i progressi, l’aumento
delle autonomie, quando ci sono, ma anche costruendo spazi per la propria autonomia e la cura di
se.
Il tema della maternità “ferita” e della moglie “devota” deve uscire fuori dalle figure retoriche e va
affrontato in modo più maturo dalla stessa rete di relazioni in cui si vive.
Possono essere diversi i motivi che rendono difficile il dialogo in una coppia (il poco tempo, la
perdita della tenerezza, la stanchezza, la pigrizia, ..), nello stesso tempo un figlio disabile è fonte di
importanti discussioni tra i coniugi.
Il trauma che colpisce un figlio colpisce anche la sua famiglia, obbliga i genitori a prendere
decisioni sulla vita del congiunto che possono causare incomprensioni e queste a loro volta
impediscono di entrare in sintonia, provocano squilibri nella valutazione delle migliori strade da
intraprendere per il percorso che il figlio deve compiere..
“Dal momento che il fattore centrale è quello della emotività e dal momento che questa è o sembra
essere, un fenomeno trasferibile, la domanda cruciale che determina il passaggio tra due diverse
posizioni sarà sempre: < chi si assumerà la sofferenza? >”14.
Possiamo dire che la risposta più diffusa a questo tipo di domanda è : la donna.
In diverse indagini è emerso come la presenza di un figlio disabile, indipendentemente dal tipo di
limitazioni a cui è costretto, sottoponga ad un continuo logoramento la vita coniugale, anche se non
13 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 21 14 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 27
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mancano casi in cui questa si rafforza permettendo lo sviluppo di nuove sensibilità e attenzioni
reciproche…
"La coppia (...) è un campo mentale virtuale caratterizzato dalla sovrapposizione del mandato
culturale della progettazione di una nuova generazione capace di gestire il senso del mondo e dello
scorrere della vita come esperienza soggettuale e sociale. ….. La coppia non è definibile né dai
ruoli né dalle funzioni, ma dall'essere consapevole cerniera tra due universi mentali: il
transgenerazionale nel passato e il transgenerazionale nel futuro"15.
In conclusione a queste brevi riflessioni non possiamo che ricordare come la sofferenza psichica
rappresenti in ogni caso il fattore ultimo, indistruttibile e irriducibile a ulteriori suddivisioni. E’ con
questa sofferenza che le persone coinvolte continuano a fare i conti. La capacità di tollerarla
coincide con la possibilità reggere alle nuove responsabilità e rappresenta un elemento essenziale
nel sistema di relazioni in cui si è inseriti. Nessuna dimensione adulta potrà realizzarsi in pieno se
tenta di sfuggire a questa esigenza.
Possiamo dire che assistere e servire significa essenzialmente condividere la sofferenza dell’altro,
con l’obiettivo di ridurla entro limiti tollerabili; quando questo riesce si riduce anche la propria
sofferenza entro un livello con cui si può convivere.
Il senso di responsabilità e la resistenza alla fuga coincidono con la propria difesa dalla angoscia,
anzi sono dei veri e propri strumenti per tutelarsi e, quindi, per proteggere la propria identità.
Come aiutare le famiglie?
I servizi disponibili sono pochi e privi di una reale integrazione, mentre i bisogni espressi dalle
persone con GCA includono quelli dell’educazione, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, del
lavoro, dell’abitazione e non solo quelli della salute .
I bisogni della famiglia con una persona con questo tipo di problema cambiano nel tempo, mentre
nello stesso intervallo temporale appaiono statici e inadeguati i servizi sociali tradizionali.
Tra le difficoltà che vivono le famiglie nel loro approccio con i servizi si possono individuare svariate
dimensioni tra cui sono segnalate: la mancanza di coordinamento, i costi economici, gli
atteggiamenti degli operatori professionali, il linguaggio specialistico, il tempo e le energie richieste
e, non ultimo, lo stigma.
Un atteggiamento sociale predominante, che in parte influenza l’agire degli operatori, è quello di
considerare le persone che accedono ai servizi come “diverse”.
Questo stigma influenza non poco gli atteggiamenti degli individui, talvolta è così forte che le
famiglie non osano rivolgersi ai servizi, ma costringono il soggetto disabile a vivere in casa. Un
15 Pontalti C., Le invarianti psichiche nella coppia progettuale. In: Melchiorre V. (a cura di), Maschio-Femmina: nuovi
padri e nuove madri, CISF, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1992, pp. 85-87
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buon operatore professionale dovrebbe considerare le potenzialità delle persone, ascoltando,
rispettando e rivalutando le questioni che gli vengono rivolte.
Come aiutare la famiglia di una persona con Trauma Cranico?
Si dovrebbero prendere in considerazione alcune necessarie strategie, per impostare gli interventi
socio-sanitari e garantire un adeguato progetto di vita alla persona e un sufficiente supporto alla
sua famiglia.
Il mondo dei servizi però è ancora molto lontano da questa consapevolezza; tra gli elementi di
principale attenzione si segnalano le seguenti necessità:
Il sostegno precoce: le conoscenze attuali ci permettono di identificare il rischio di una
forte disabilità molto tempestivamente, ma dobbiamo tenere presente che il nucleo familiare ha
bisogno di tempo per prendere coscienza della reale situazione del congiunto e spesso ha delle
resistenze. È opportuno che si aiuti individuando una figura di riferimento stabile che aiuti a far
superare i vari momenti critici. Tale sostegno permetterebbe alla famiglia traumatizzata, ma non
ancora logorata dall’handicap, di organizzarsi in modo adeguato. Tutto questo per garantire la
qualità delle relazioni e per permettere un percorso assistenziale il più adeguato possibile.
L’aiuto domiciliare: forse costituisce l’area di intervento più critica su cui si deve
intervenire. E necessario rivedere e potenziare le attività domiciliari, sia di tipo assistenziale, sia
sanitarie, per far fronte alla crescita dei nuovi bisogni di cui le persone con trauma sono
portatrici.
La necessità dei servizi professionali: in molti casi la famiglia, per poter soddisfare i propri
bisogni, si deve rivolgere a servizi professionali ove le preoccupazioni e i problemi concreti
possano essere risolti con l’aiuto di operatori competenti. Una esigenza che riguarda tutte le
persone con handicap, ancora aperta nel sistema dei servizi socio-sanitari, è quella relativa alla
necessita di individuare un case manager per l’accompagnamento nel progetto di vita della
persona.
Il sostegno ai genitori e ai coniugi: è un lavoro molto faticoso e consiste nell’affrontare
con i genitori e/o coniugi della modalità di porsi nei confronti della persona con trauma cranico.
Il sostegno può esser di tipo psicologico e nella forma del gruppo di auto aiuto. Tali momenti
possono permettere la scoperta di nuove modalità di porsi, di creare un legame di fiducia con
gli operatori e di diminuire sia il vissuto di solitudine, sia la dipendenza dei genitori nei
confronti degli esperti.
L’approccio psicoterapico: si è rilevato come in molte persone che assistono insorgano
problemi di carattere funzionale, con la nascita di dinamiche che non aiutano una normale
interazione del nucleo familiare. Di fronte a tale sofferenza psicologica può essere necessario
un intervento terapeutico, che non tutte le famiglie richiedono, ma che dovrebbe essere
previsto.
227
L’aiuto organizzativo: accanto ad un sostegno psicologico, occorre garantire un aiuto più
direttamente organizzativo. La persona con disabilità impone di riorganizzare la vita di tutti i
giorni e in questo i genitori devono essere supportati da un operatore che sappia considerare i
bisogni di ogni membro della famiglia. Si tratta di attivare una rete di supporto sulla base di una
conoscenza diretta della famiglia e non basandosi su modelli teorici di funzionamento.
L’aiuto nei momenti critici: i genitori, nello svolgimento di compiti di cura così gravosi, vivono
come ulteriore peso il superamento di situazioni più ordinarie (un’influenza, un ricovero, un
esame clinico di un altro figlio, …). Un ulteriore problema è che difficilmente si riesce ad
interrompere il compito di cura per prendersi un periodo di vacanza, indispensabile per una
necessaria ricarica. Per favorire questo vanno previsti quindi attività di sollievo, sia diurno sia
residenziale, per i periodi più critici.
La promozione della vita sociale: come si è rilevato la vita sociale della famiglia viene
fortemente limitata dalla presenza di una persona con trauma cranico. I pregiudizi si diffondono
e le azioni di esclusione e marginalizzazione si rilevano anche all’interno della cerchia degli
amici e dei familiari. A volte sono di tale rilevanza che impediscono la partecipazione e la
possibilità relazionarsi con gli altri.
Vanno, quindi, strutturati momenti di partecipazione e di coinvolgimento sociale che si
contrappongono ai meccanismi di esclusione.
Le garanzie per il futuro: con l’invecchiare i genitori sentono sempre con maggior peso
l’angoscia di quanto potrà accadere al figlio, dopo che loro con ci saranno più. Saranno
necessarie, in misura sempre crescenti, forme di residenzialità, sia in comunità sia in abitazioni
“protette”.
L’importanza del lavoro di rete: la famiglia, il supporto relazionale, i servizi sociali
Il primo aiuto alle famiglie è costituito dalla forza di ogni singolo componente anche se non è
semplice riconoscere le risorse nascoste in ogni individuo.
Ci sono altre persone (amici, parenti) che probabilmente possono offrire un valido supporto, anche
se le esperienze rilevate per queste modalità di aiuto, fanno registrare la presenza di sostegni
parziali, temporanei, spesso limitati alle prime fasi dell’emergenza.
Tutte le persone con cui si viene a contatto, anche se non fanno parte della famiglia, potrebbero
formare una rete di supporto sociale. Molti studi mostrano i numerosi benefici che il supporto
sociale porta alle persone con funzioni di care givers: una riduzione dello stress, un miglioramento
del benessere emotivo e una diminuzione dei problemi fisici.
I soli operatori dei diversi servizi a sostegno delle famiglie, non possono ritenersi sufficienti e
spesso non sono neanche adeguati sul piano professionale per il supporto alle famiglie.
228
Il panorama esistente nella rete dei servizi sociali non è certamente confortante, frammentazione,
personale precario e attenzione su altre priorità sono riportati come parte integrante dell’esperienza
delle donne avvicinate in questa indagine, esse esprimono soprattutto un vissuto di solitudine,
scoraggiamento, se non di abbandono.
Entrare in contatto con molte persone permette la formazione spontanea dei gruppi di supporto fra
famiglie con problemi simili, in essi si condividono le proprie sofferenze e si scambia ogni tipo di
informazione.
Sviluppare e mantenere una rete sociale non è però un obiettivo così semplice. Le reti in genere
partono solo in condizioni di reciprocità.
Occorre che amici, vicini e parenti vengano aiutati ad individuare nel nucleo familiare interessato le
potenzialità di cui dispone, affinché possano essere rivalutate e sostenute al meglio. Prima però di
ottenere questi supporti è necessario che la famiglia riesca a riconoscere i suoi punti di forza,
anche perché, molte volte, essa stessa tende, consapevolmente o meno, ad autoescludersi, a
cercare di chiudersi in se stessa e a far tutto da sola.
Nella ricerca si è rilevato che la capacità di superare i momenti di sofferenza è legata sia alla
possibilità di recuperare una serie di “energie interne”, a volte tramite complessi processi di
rielaborazione, sia alla disponibilità di risorse da recuperare, dall’intero nucleo familiare, fino alla
famiglia allargata e al contesto relazionale.
Una volta condivisa la necessità di una rete di supporto sociale, è evidente che esistono ancora
altri ostacoli che si possono incontrare. Le reti amicali qualitativamente valide hanno bisogno di
impegno costante, che necessitano di tempi lunghi.
Un’ulteriore problematicità è costituita dallo stigma, che le famiglie temono nel momento in cui si
inseriscono in una rete di supporto. Tale stigma può aumentare man mano che gli anni passano e
si rileva fino in fondo quando una completa “guarigione” risulta, di fatto, quasi impossibile,
portando la famiglia ad un maggiore isolamento. Accade anche che l’aprirsi a persone esterne al
nucleo possa essere visto come perdita di intimità.
Gli stessi operatori spesso se ne dimenticano, entrando, a volte, con una certa invadenza se non
impudenza nella vita privata ed emozionale delle persone. Del resto è anche essenziale fornire ai
genitori gli strumenti utili per potenziare la loro capacità di rapportarsi con i servizi, dal momento
che abilità contrattuali e atteggiamenti di fiducia possono riflettersi in modo complementare sulle
risposte degli operatori. 16
Un altro aspetto importante, infine, riguarda il ruolo che dovrebbero assumere le strutture sanitarie
al momento della prima comunicazione di danni permanenti e di disabilità; la nostra ricerca ha
rilevato un riconoscimento dei livelli di competenza e di professionalità, soprattutto per gli aspetti
clinici e terapeutici, ma anche elementi di disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle
informazioni ricevute al momento delle dimissioni.
16 Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Tesi: Corso di laurea in Psicologia dello
Sviluppo e dell’Educazione, Università di Padova, a.a. 2007/2008
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ATTIVITÀ ED ESPERIENZE DI UNA COOPERATIVA SOCIALE.
ASPETTI SOCIOLOGICI RELATIVI A PAZIENTE, FAMIGLIA E
CARE GIVER: SUPPORTO, DINAMICHE DI QUALITÀ DI VITA,
REINTEGRAZIONE SOCIALE E LAVORATIVA, RETI DI SUPPORTO
FORMALI E INFORMALI
Cooperativa Progettazione
Il privato sociale in risposta ai bisogni
Progettazione Cooperativa Sociale nasce nel 1999, da numerose esperienze di corsi di
formazione del Fondo Sociale Europeo, legati all’inserimento lavorativo di persone con
trauma cranio encefalico.
Il progetto si prefiggeva di delineare un percorso possibile finalizzato alla costituzione di un
nucleo operativo permanente sul territorio della provincia di Bergamo, nucleo che, in stretta
collaborazione con strutture riabilitative del territorio, potesse intervenire nella riabilitazione
psico-sociale di soggetti con esiti di grave Trauma Cranio-Encefalico (TCE).
Il pensiero di promuovere la nascita di un simile servizio trovava le sue radici:
x nell'esigenza di rispondere ai bisogni di un sempre crescente numero di popolazione: il
TCE era, allora come oggi, una delle maggiori cause di disabilità acquisita. Inoltre, il
peso sociale ed economico di queste disabilità avevano ed hanno una notevole
rilevanza, a causa della lunga aspettativa di vita di questi giovani pazienti e delle gravi
ripercussioni che si hanno sui vari componenti del nucleo familiare;
x nella consapevolezza, confermata dalla letteratura in materia, di quanto, anche in
presenza di iniziali disabilità gravi e gravissime da TCE, un intervento riabilitativo
precoce e globale potesse consentire importanti evoluzioni del quadro clinico,
contribuendo a contenere gli esiti inabilitanti futuri. Per intervento riabilitativo globale si
è da sempre inteso non solo quello relativo alla riabilitazione fisica, ma l’integrazione di
questo con interventi psicologici, mirati al recupero cognitivo del soggetto, ed educativi,
finalizzati a stimolare un percorso di “riapprendimento” di competenze;
x nell'imprescindibilità di un intervento a favore dell'integrazione di tali soggetti nella
società, tramite la costruzione di una rete con le risorse del territorio, che consentisse
un rientro in famiglia del congiunto ed il recupero di una qualità di vita sostenibile;
x nella disponibilità, su linee generali, dell’Azienda Sanitaria Locale di Bergamo di
sostenere la progettualità ritenendola congruente con le indicazioni espresse dalla
Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione.
231
I Servizi riabilitativi e di reinserimento sociale attivi
Progettazione Cooperativa Sociale oggi risponde operativamente ai bisogni di riabilitazione
e reinserimento sociale, con un insieme d’interventi educativi, sociali e psicologici, compositi
ed articolati, che hanno come base fondante il Progetto Educativo Individualizzato relativo
ad ogni ospite/utente dei servizi proposti.
Le azioni e gli interventi sono a carattere modulare nella frequenza, nel tempo e nelle
attività e trovano la loro realizzazione presso il Centro Diurno, il Laboratorio Ergoterapico, il
Centro Residenziale e, più in generale, sul territorio.
Centro Diurno accreditato
Collocato in una palazzina autonoma, sita a Pedrengo in Via Moroni n. 6, accoglie servizi
accreditati dalla Regione Lombardia (CDD, CSE, SFA) per persone a disabilità acquisita in
seguito a GCA. La scelta di accreditarsi sia per il CDD, che il CSE e lo SFA nasce
dall’esigenza di rispondere a bisogni che non sempre riguardano aspetti educativoassistenziale, ma anche socializzanti, di potenziamento delle autonomie e di reinserimento
familiare, sociale e/o lavorativo. Inoltre le persone prese in carico durante la permanenza al
Centro svolgono attività socio-riabilitative che favoriscono un recupero delle abilità residue
tali da favorire il passaggio da un servizio ad alto carico assistenziale (CDD) ad un servizio
più territoriale che prevede lo sviluppo di autonomie (CSE e SFA) ed in seguito
l’accompagnamento ad un reinserimento lavorativo.
I servizi proposti oltre a promuovere l’attivazione di un percorso ponte tra l’ospedalizzazione
e il reinserimento sociale offrendo spazi di sollievo alla famiglia, permettono alla persona di
“sperimentarsi” e riaffrontare, con il sostegno psicologico e in un contesto di gruppo, le
attività della vita quotidiana favorendo il rientro nella società. Alla base delle attività sono
previsti interventi educativi individuali e di gruppo, finalizzati alla creazione di momenti di
socializzazione, di sperimentazione di attività riferite all’immagine di sé e di rinforzo delle
competenze residue.
La tipologia del piccolo gruppo è determinata dall’esigenza di simulare un contesto con
dimensioni non troppo distanti dall’ambito familiare e consentire l’uso di uno spazio in tutto
simile ad un normale alloggio. La metodologia utilizzata, ispirata ai principi del cooperativelearning, comporta sia la predisposizione di momenti di confronto strutturati in gruppo, sia la
creazione di un clima cooperativo trasversale alle attività.
Centro Residenziale
La struttura si configura in una RSD (Residenza Sanitaria Disabili) situata a Serina
(Bergamo) e risponde alle caratteristiche definite dalla Regione Lombardia attraverso il DGR
232
7 aprile 12620 del 7/4/2003, per persone con disabilità acquisita grave o gravissima, con età
compresa fra i 18 e 65 anni che presentino compromissioni di natura fisica, psichica,
cognitivo e/o comportamentale in seguito ad un evento traumatico.
Il servizio dispone di 15 posti letto, ed è aperto 24 ore al giorno tutto l'anno. Oltre al Servizio
Residenziale classico, sono attivi progetti sperimentali legati alla continuità assistenziale, al
sollievo (per fine settimana o periodi più lunghi) e a percorsi di accompagnamento
all’autonomia abitativa.
La RSD è in rete con le strutture ospedaliere di riabilitazione della Provincia di Bergamo e
della Regione Lombardia. Entra nel sistema dei servizi socio-sanitari per persone con GCA
gestiti da Progettazione Cooperativa Sociale. Utilizza la rete del terzo settore per progettare
percorsi post RDS, attraverso l’utilizzo di servizi a supporto della domiciliarità, appartamenti
protetti e residenzialità autonoma.
Progetti territoriali
Si realizzano nel contesto di vita familiare e/o sul territorio di residenza. In base ai bisogni
della persona e agli obiettivi prefissati nel progetto individualizzato i percorsi si differenziano
in:
x assistenza domiciliare finalizzata al sostegno e alla cura della persona nel suo
ambiente naturale di vita;
x assistenza educativa domiciliare che comprende tutte le normali attività di vita
quotidiana realizzate nell’ambito familiare e sociale della persona al fine di recuperare
le potenzialità, d’individuare le strategie utili a compensare i deficit per favorire lo
sviluppo e/o il potenziamento delle autonomie;
x percorsi di socializzazione dove vengono sviluppate o rafforzate le abilità
comunicative e comportamentali al fine di ri-costruire relazioni significative e il reinserimento sociale. Si cerca inoltre di accompagnare la persona a diventare
protagonista di un processo decisionale dove vengano valorizzate le proprie
competenze ed interessi;
x percorsi occupazionali presso il laboratorio ergoterapico della Cooperativa o
strutture del territorio di residenza (biblioteche, Enti Comunali, attività commerciali,…)
che permettono alla persona di sperimentare le proprie competenze lavorative in un
contesto protetto.
233
Laboratorio ergoterapico e Cooperativa LaB
E’ un servizio a bassa protezione specifico per persone con disabilità acquisita in seguito a
GCA. Obiettivo principale è l’acquisizione e il potenziamento di prerequisiti di abilità utili
all’inserimento lavorativo: capacità produttiva, collaborazione, autonomia operativa,
organizzazione e gestione dei tempi e spazi, riconoscimento dei ruoli/gerarchie e
mantenimento di un comportamento adeguato in contesti sociali allargati. Prevede
collaborazioni con Cooperative di tipo B ed Aziende che forniscono il lavoro (per lo più di
assemblaggio).
Il laboratorio ergoterapico è collegato ai servizi gestiti dalla Cooperativa LaB che promuove
percorsi d’inserimento lavorativo per persone con disabilità acquisita in seguito a Grave
Cerebrolesione Acquisita.
Contatti:
Sito: www.cooperativaprogettazione.it
e-mail: [email protected]
234
Dall’individuazione dei bisogni alla creazione di un progetto di vita
I dati riportati fanno riferimento alle persone e alle famiglie che hanno usufruito e/o
usufruiscono dei servizi di Riabilitazione sociale della Cooperativa Progettazione.
Si fa riferimento al periodo dal 2004 al 2011 per un totale di 127 persone; viene aggiunta
un’indicazione specifica sulle persone attualmente in carico (45 – dato aggiornato a marzo
2012).
Genere
17 femmine e 110 maschi
Età dell’evento invalidante
sino a 20 anni
dai 20 ai 30
da 30 a 50
da 50 in poi
20
60
34
13
non terminato l’obbligo
Terminato l’obbligo
Diploma
Laurea
4
66
45
12
Scolarità
Tipo lesione
Attualmente in carico
(45 persone)
Periodo complessivo
15
4
5
7
5
6
1
2
0
75
4
4
17
9
9
1
6
2
TCE Incidente stradale
TCE incidente domestico/sportivo
TCE lavorativo
Ischemia Cerebrale
Emorragia Cerebrale
Anossia Ipossia
Tumore cerebrale
Tentato suicidio
Altro
235
Percentuale d’invalidità e tipologia di pensione percepita
Attualmente in carico
(45 persone)
Periodo complessivo
0
4
2
17
22
0
24
11
30
62
Attualmente in carico
(45 persone)
Periodo complessivo
0
0
0
0
0
26
11
8
2
0
0
0
0
77
36
12
Nessuna
Invalidità minore o uguale a 75%
Invalidità maggiore 75%
Invalidità al 100%
Invalidità al 100% con accomp.
Nessuna
Anzianità/vecchiaia
Sociale
Tipologia speciale
Reversibilità
Invalidità
2 o più tipologie di pensione
Rendita INAIL
I dati rilevati negli anni fanno emergere questi aspetti:
x le persone giungono sempre più ai servizi di riabilitazione sociale senza essere in
possesso di un certificato d’invalidità e soprattutto senza aver mai preso contatto con
l’assistente sociale del proprio comune di residenza. Questo accade anche dopo anni
che si è conclusa la fase post-acuta in regime ospedaliero e dopo che i familiari hanno
avuto accesso a diversi servizi sanitari ed assistenziali;
x nell’ultimo anno, in seguito alle revisioni d’invalidità, è aumentato notevolmente il
numero di persone a cui è stata tolta la pensione di accompagnamento. Le motivazioni
messe in luce dalle diverse commissioni riguardano il fatto che le persone prese in
esame non hanno importanti limitazioni nella deambulazione e riescono, inoltre, ad
alimentarsi e a vestirsi autonomamente. Questi dati mettono in evidenza come
l’attenzione è sempre più centrata sugli aspetti motori e sulle autonomie funzionali e
non sugli aspetti cognitivi-comportamentali che di fatto limitano notevolmente lo
svolgimento delle attività della vita quotidiana in una persona con GCA su di un piano
strumentale, relazionale e sociale.
236
Stato di convivenza
Attualmente in carico
(45 persone)
Periodo complessivo
Situazione
pre-trauma
Situazione
post-trauma
Situazione
pre-trauma
Situazione
post-trauma
Solo
Con badante
Con coniuge/convivente
Con coniuge e figli
Con figli
Con 1 genitore
Con 2 genitori
12
0
9
7
0
4
5
0
2
7
5
0
7
13
40
0
22
13
1
2
26
1
1
17
11
0
14
53
Con genitori e fratelli
8
6
24
23
Con Parente
0
1
0
4
In struttura
0
4
0
2
Le gravi cerebrolesioni acquisite rappresentano una delle cause principali di disabilità fisica,
cognitiva e psicologica, determinando profondi cambiamenti nello stile di vita della persona
che ne è affetta, e comportano gravi “perturbazioni” all’interno del nucleo famigliare.
Anche dal punto di vista economico i costi dei servizi di riabilitazione sociale si aggravano
sul soggetto e sulla stessa struttura societaria. Le serie condizioni cliniche di queste
persone, per il numero e la complessità degli elementi disabilitanti presenti di tipo
sensomotorio, comportamentale, cognitivo richiedono rapide e funzionali risposte sia sul
versante sanitario (risorse strutturali, tecnologie e competenze mediche di alto livello), che
sociale (ad esempio per le difficoltà di reinserimento scolastico o lavorativo) e psicologico (le
variabili psicologiche non sono dipendenti in modo diretto e sistematico dalle situazioni
patologiche).
La famiglia rappresenta, dunque, un luogo di mediazione tra bisogni e relazioni sociali e
riproduce un microsistema (dove la totalità è diversa dalla somma delle parti) in evoluzione ;
possiede capacità di coping (adattamento organizzato) e si trova a dover affrontare eventi
stressanti che comportano un processo di riorganizzazione di compiti evolutivi, di ruoli e di
crisi di transizione (ne sono un esempio le nascite, le uscite dei figli dal contesto domestico,
i lutti, il pensionamento, la diminuzione dei ruoli sociali, i conflitti relativi ai temi
dell’autonomia e della dipendenza).
L’attenzione al contesto familiare deve dunque prendere in considerazione:
x la presenza di possibili differenze nella cura riconducibili al sesso del familiare
impegnato in essa (differenze tra uomini e donne);
237
x
le differenze nella cura riconducibili al ruolo che il paziente riveste, ossia figli, mariti,
mogli, padri e madri;
x la presenza di familiari che si trovano ancora in una fase esistenziale generativa;
x l’esistenza del mutamento della cura a seconda del tempo trascorso dalla storia clinica
del paziente.
I macro-obiettivi diventano, dunque, quelli di:
x ridisegnare insieme ai familiari un percorso di cura che sia sostenibile dalla famiglia dal
punto di vista organizzativo, lavorativo ed emotivo.
x riconoscere il bisogno dei familiari di trovare nuove modalità di comunicazione e
relazione con il paziente. Ad esempio, la condizione di alcune situazioni cliniche molto
gravi impone ai familiari di elaborare la perdita del paziente, del suo ruolo simbolico e
della relazione che li legava a lui, ma al tempo stesso la dimensione della cura ha
bisogno di una matrice relazionale sulla quale appoggiarsi.
Rete d’aiuto
Amici conoscenti
Assistente familiare privata
Familiari conviventi
Familiari non conviventi
Vicini di casa
Volontari
Altro
Attualmente in carico
(45 persone)
Periodo complessivo
6
3
30
13
0
0
0
16
6
116
37
1
4
0
Per quanto concerne la rete di aiuto si rendono necessarie alcune considerazioni sulla
figura del caregiver. Infatti, la diade paziente-caregiver rappresenta un punto fondamentale
ed un importante supporto per gli atti terapeutici e la loro evoluzione. In particolare,
l’attenzione al ruolo familiare ricoperto da questa figura e il tempo trascorso dalla data
dell’evento traumatico del proprio caro, rappresentano indubbiamente due variabili decisive
nelle diverse modalità con cui i familiari si accostano alla cura di queste persone e al modo
in cui sono “accessibili” ed eventualmente disponibili ad un lavoro di sostegno.
L’età del caregiver risulta essere un dato di fondamentale importanza, in quanto consente di
capire in quale fase del ciclo di vita egli rientra.
Anche “il tempo della malattia” sembra avere un’enorme influenza nell’elaborazione e
nell’auto-percezione “dell’essere caregiver”. Infatti, il lungo percorso che deve affrontare
questa figura quando si deve occupare di un soggetto colpito da GCA, mette in discussione
238
il senso della cura in uno dei suoi significati più remoti legati al contesto familiare, dove da
sempre l’assistenza di ciascun membro assume l’immagine di reciprocità.
Molte ricerche, d’altra parte, hanno individuato in alcuni caregivers e nel sistema familiare
stesso forme di isolamento sociale, disturbi psicosomatici, sensazione di perdita di una
parte di sé. Questi elementi continuano ad essere presenti anche quando subentra la
possibilità di delega della cura o di parte di essa. Sono, inoltre, emersi sentimenti di
ambivalenza tra speranza e rassegnazione, un’ambivalenza anche rispetto all’adeguatezza
dei luoghi e degli operatori del sistema di cura e la presenza di una forte componente
depressiva e ansiosa che permane nel tempo.
D’altra parte le gravi cerebrolesioni hanno un tempo di cura infinito a cui segue una continua
ricerca di organizzazione e riorganizzazione più o meno stabile della propria esistenza.
Classificazione ICF e percorsi di reinserimento sociale
Il progetto fa parte di una iniziativa avviata nel 2009 grazie, anche, al contributo dalla
Fondazione della Comunità Bergamasca. Il Progetto del 2009 ed i suoi successivi sviluppi
hanno consentito una importantissima sperimentazione, individuata come “buona prassi” nel
“Documento di programmazione 2011 dell’Area Anziani e Disabili” dell’ASL di Bergamo.
Su questa base si è continuato a sviluppare, diffondere ed attivare, l’utilizzo della
classificazione ICF nelle attività riabilitative. Oggi, supportati dei numerosi Corsi di
formazione sul tema, si utilizzano materiali divulgativi sull’ICF, schede semplificate per un
primo approccio all’utilizzo e riferimenti teorici”.
Lo scopo generale è quello di attivare sempre maggiori sperimanazioni nell’utilizzare un
linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle
componenti della salute, della riabilitazione e degli stati ad essa correlati. Infatti, il Progetto
ICF opera affiche i Servizi del territorio di discipline e settori diversi (clinico, sociale, ma
anche statistico, ricerca, ecc) utilizzino in maniera integrata questa classificazione.
L’ICF si pone come strumento indispensabile per una migliore comprensione delle diverse
forme di disabilità e di salute. Si tratta di una valutazione che tiene conto non solo dei fattori
biologici di base dell’individuo, delle sue caratteristiche sensoriali, motorie e delle sue
capacità comunicative e comportamentali, ma anche delle diversità culturali, sociali e
linguistiche. Con l’ICF si rimanda dunque al concetto di persona nella sua globalità e si
abbandona la teoria che la riabilitazione si esaurisca esclusivamente in un modello e in una
dimensione di stampo prettamente “medico-organicista”.
Questo Modello è fatto proprio dalla Cooperativa Progettazione che lo riconosce come
fondamentale per tutta la filiera riabilitativa.
239
Reciprocità unidirezionale o bidirezionale: tra capacità di adattamento
individuale e partecipazione all’ambiente
Da gennaio 2011 presso i servizi di Riabilitazione sociale di Cooperativa Progettazione
viene utilizzato lo strumento “MAYO-Portland Adaptability Inventory (MPAI-4) quale
strumento per:
x valutazione e monitoraggio delle abilità, limitazioni, potenzialità e bisogni di una
persona con GCA e della propria rete familiare e sociale;
x identificazione dei programmi riabilitativi più idonei e monitoraggio degli obiettivi
prefissati.
Di seguito vengono riportati i valori di sintesi relativi a Indice di Abilità, Indice di Adattamento
e Indice di partecipazione di 45 persone prese in carico.
Indicazione indice di gravità:
- grave: problema che interferisce con le attività oltre il 75% delle volte;
- moderato grave: problema moderato che interferisce con le attività nel 25-75% delle
volte;
- lieve-moderato: interferisce con le attività nel 5-24% delle volte;
- lieve: problema che non interferisce con le attività; possono essere necessari ausili o
medicamenti.
Indice di Abilità
Grave
5
Moderato Grave
11
Lieve-moderato
17
Lieve
12
Mobilità, uso delle mani
Vista, udito, abilità visuo-spaziali
Articolazione della parola
Attenzione/concentrazione, memoria
Archivio nuove informazioni
Soluzione di nuovi problemi
Capogiri
240
Indice di Adattamento
Grave
9
Moderato Grave
18
Lieve Moderato
10
Lieve
8
Ansia, depressione
Irritabilità-collera-aggressività
Dolore/ mal di testa, sensibilità a lievi sintomi
Fatica
Interazioni sociali inappropriate
Rapporti con familiari, contatti sociali
Iniziativa
Passatempi/attività ricreative e del tempo libero
Indice di Partecipazione
Grave
15
Moderato Grave
11
Lieve Moderato
6
Lieve
13
Iniziativa
Contatti sociali
Passatempi/attività ricreative e del tempo libero
Cura della propria persona
Abitazione
Uso dei mezzi di trasporto
Attività lavorativa retribuita o altre occupazioni
Gestione del denaro e finanze
L’Indice di Partecipazione rappresenta una misura di particolare utilità ai fini di uno degli
obiettivi ultimi della riabilitazione: la presenza partecipe ed attiva di un soggetto sul piano
sociale. Infatti, i dati riportati mettono in evidenza che uno dei principali ostacoli di una
persona con GCA è l’integrazione sociale che risulta essere strettamente correlata alle
caratteristiche sociali e fisiche dell’ambiente.
Tra settembre 2011 e febbraio 2012, presso il Centro Diurno di Cooperativa Progettazione,
è stata svolta una ricerca rivolta a persone con danno cerebrale traumatico (TBI_fase degli
esiti) che ha avuto come obiettivo d’indagine il ruolo che l’ambiente di vita personale e
sociale assume nella definizione della narrazione soggettiva e nella costruzione del senso di
autostima di una persona con GCA.
Attraverso la tecnica del focus group ideata per soggetti con trauma cranico sono emersi dei
dati, messi poi in relazione con la classificazione ICF (Classificazione Internazionale del
Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).
I dati conclusivi indicano come gli utenti che hanno partecipato al focus group mantenevano
un’immagine ambigua e discordante nel concetto di ambiente, inteso nella sua doppia
connotazione di barriera e/o risorsa. Infatti, descrivano lo stesso in termini di ricchezza,
quando esso veniva identificato come risorsa esterna al proprio Sé. Al contrario, la
241
dimensione ambientale percepita nella sua connotazione di limite coincideva, nella loro
narrazione, solo in una dimensione autocentrata, dove gli aspetti di restrizione e blocco
all’ambiente erano rappresentati da loro stessi con le conseguenze oggettive che il trauma
aveva riportato a livello di menomazione cognitiva e motoria.
Esiti degli interventi
In carico
Inserito in
altra
struttura
Rientrato a
scuola o in
formazione
Inserito al
lavoro
Rientro in
famiglia
Non
terminato
percorso*
Non preso in
carico
45
18
8
49
8
36
3
Inserimento in altra struttura:
i servizi socio-riabilitativi erogati coprono un’area territoriale molto vasta (estesa non solo
nella provincia di Bergamo, ma anche quelle limitrofe) e questo porta la rete familiare a
scegliere un servizio sociale per persone con disabilità congenita e, quindi, meno idoneo
più vicino al Comune di Residenza.
Rientrato a scuola o in formazione:
il numero risulta irrilevante perché le persone che giungono ai nostri servizi hanno già
terminato le scuole dell’obbligo e la metà di essi hanno comunque conseguito un titolo
superiore (45/127 diplomati, 12/127 laureati). Il tema dell’istruzione non risulta essere tra
gli obiettivi principali all’interno del nuovo progetto di vita di una persona con GCA. Un
dato oggettivo si riferisce anche ai corsi professionali che vengono proposti dai vari Enti
formativi che non assicurano un inserimento lavorativo.
Inserito al lavoro:
per quanto riguarda il tema del reinserimento lavorativo si rimanda al paragrafo
successivo in cui viene riportata una ricerca di follow-up effettuata da Cooperativa
Progettazione nel 2007 “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”.
Rientro in famiglia:
solitamente rientrano in famiglia senza l’attivazione di un progetto lavorativo o territoriale
le persone che appartengono ad una fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni. Per
queste persone l’obiettivo ultimo dei percorsi socio-riabilitativi è quello di raggiungere il
più alto livello d’autonomia nelle attività strumentali di base.
Non terminato il percorso:
242
il motivo principale per cui vi è stata l’interruzione del percorso socio-riabilitativo è legata
all’onere economico dell’intervento che spesso grava quasi totalmente sull’economia
familiare.
Non preso in carico:
il dato si riferisce a quelle persone che in seguito ad una GCA necessitano di un livello
assistenziale e sanitario molto elevato (presenza di tracheotomia, PEG, …).
Bisogni che richiedono un’attenzione particolare
Sessualità
La letteratura specifica in Italia sulla grave disabilità acquisita e la sessualità risulta
pressoché nulla, sebbene anche recenti contributi delle neuroscienze e della psicobiologia
hanno apportato ulteriori importanti contributi allo studio del rapporto mente-corpo ed al
ruolo delle sensazioni corporee e delle emozioni nella costruzione del senso di sé.
Infatti, il tema dell’affettività e sessualità nelle persone con GCA rimane un bisogno
importante, che spesso viene manifestato da molti utenti esplicitamente sia attraverso la
verbalizzazione diretta che indiretta.
Va tenuto in considerazione che eventi traumatici così significativi richiedono per molto
tempo interventi riabilitativi ed educativi che riguardano innanzitutto il recupero di funzioni di
base e di una minima autonomia, ma un’educazione all’affettività ed alla sessualità non è
per questo un intervento disgiunto.
Nel 2011 attraverso “Bando L.23” dell’Asl di Bergamo Cooperativa Progettazione ha attivato
una “Proposta formativa relativa all’educazione e gestione dell’affettività e sessualità in
persone con disabilità acquisita”. Obiettivo dell’intervento è stato innanzitutto offrire uno
spazio d’ascolto e di parola riguardo ad una sfera tanto delicata com’è quella della
sessualità con persone con GCA; in secondo luogo quella di apportare informazioni e
contribuiti teorici in merito alla sessualità secondo il modello dei cinque cerchi di Willy Pasini
e ancora accogliere la voce dei protagonisti: le paure i desideri, le convinzioni attinenti tale
tematica in un’ottica di “ricerca sul campo” qualitativa.
Dal percorso è emerso che la non accettazione e di conseguenza la non elaborazione del
trauma in relazione con la dimensione sessuale merita grande attenzione ed obbliga a
profonde riflessioni per i seguenti motivi:
x di per sé rappresenta un fattore antagonista rispetto alla possibilità di vivere anche con
i propri limiti la sessualità poiché quest’ultima si fonda innanzitutto sullo “star bene
nella propria pelle”;
x il trauma non elaborato anche sugli aspetti che coincidono con la propria sessualità
trova in sé elementi colpevolizzanti e depressivi;
243
x
vi è il rischio che la persona stessa e chi le sta a fianco mettano in campo azioni
educative che non rispondono a tale esigenza;
x la non accettazione di sé e la difficoltà a ritrovare una propria identità all’interno delle
discontinuità causata dal trauma coinvolge innanzitutto il corpo ed inevitabilmente ha
ripercussioni nel piano dell’autostima e delle relazioni interpersonali.
Altro dato rilevante è legato al fatto di come l’identità maschile si fondi su quegli aspetti di
autonomia e competenze lavorative (spesso invece compromessi) e che queste rimandano
ad una dimensione di “virilità” prerequisito per una vita sessuale più appagante.
Le riflessioni conclusive legate al percorso di formazione mettono in evidenza come con
questa tipologia di utenti sia fondamentale dar spazio alla dimensione della sfera sessuale
non tanto o almeno non solo sul piano dei comportamenti adeguati o disfunzionali, ma
nell’ottica di rendere esplicito l’implicito. Indipendentemente dalla possibilità di vivere una
vita sessuale attiva e dentro una relazione è importante riconoscere comunque il diritto alla
sessualità anche nella grave disabilità. Ciò significa tener conto della persona nella sua
globalità e nella sua corporeità attingendo al concetto di corpo non solo come organismo da
sanare ma come “leib” (termine tedesco) come corpo che vive, sente, prova emozioni, il
piacere ed è costantemente in relazione a sé ed al mondo esterno.
Per chi lavora a fianco di persone così gravemente colpite ed ai loro familiari il compito di
custodire un “atteggiamento erotico” verso la vita, lontano da agiti o negazioni di sorta e che
si traduce in una fiducia nel cambiamento, nel rispetto e valorizzazione delle diverse
soggettività, nel piacere di conoscere e del conoscersi, nell’educare ed educarsi alla
bellezza.
Continuità assistenziale
Da quanto riportato dalle Linee Guida Sanitarie, la continuità assistenziale rappresenta a
tutti gli effetti di un processo dove, individuati i bisogni del paziente, viene prestata
assistenza continuativa da un livello di cura ad un altro. Questo comporta un’estensione non
interrotta nel tempo degli obiettivi assistenziali attraverso una circolarità di svolgimento degli
interventi fra i diversi livelli e ambiti di erogazione delle cure e dell’assistenza.
In particolare, dopo una lunga degenza in ospedale il problema del “rientro a casa” è fonte
di ansia e di estrema preoccupazione per il contesto familiare. Spesso al momento della
dimissione ospedaliera la gestione organizzativa familiare e la struttura abitativa non sono
adeguate alla situazione clinica della persona con GCA.
Per rendere meno faticoso questo passaggio diviene necessario attivare un processo di
continuità assistenziale che si muova su queste tre dimensioni:
x Informativa: relativa allo scambio di informazioni tra operatori sanitari, sociali e rete
territoriale.
x Relazionale: relativa al rapporto tra operatori dei diversi servizi e contesto familiare e
persona con GCA.
244
x
Gestionale: relativa alla sequenza tempestiva e logicamente ordinata degli interventi. A
questo proposito a partite da febbraio 2012 è stato attivato da Cooperativa
Progettazione un Servizio Residenziale che risponde ai bisogni di continuità
assistenziale. Nello specifico vengono offerti dei periodi di accoglienza per garantire ai
familiari ed al coniuge di conciliare i nuovi compiti assistenziali con i tempi di vita e per
favorire la sistemazione e l’adeguamento dell’abitazione.
Re-inseirmento lavorativo
In merito a questa tematica Cooperativa Progettazione nel 2007 ha realizzato una ricercastudio dal titolo “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”.
Il progetto ha permesso di conoscere la complessità che i soggetti con disabilità acquisita
portano nel mondo del lavoro, favorendo la costruzione di buone prassi che possono essere
d'aiuto nell'integrazione lavorativa e nell'acquisizione del ruolo di lavoratore.
Come è emerso dall’esito di questa indagine e confermato dalla letteratura scientifica,
realizzare percorsi individualizzati considerando le potenzialità e le criticità della disabilità e
in particolare della disabilità acquisita, permette di calibrare interventi mirati mettendo in
prima linea la persona, la famiglia e l'azienda. In particolare nella disabilità acquisita si
evidenzia la necessità di prestare attenzione alle variabili emotive e motivazionali, oltre che
cognitive, in relazione al faticoso percorso di ricostruzione della propria identità che queste
persone si trovano a dover affrontare, in una situazione di estrema vulnerabilità agli
insuccessi e al riconoscimento dei nuovi limiti.
La ricerca-studio si è focalizzata sulla stesura di un profilo d'orientamento, cercando
d'integrare le conoscenze teoriche acquisite dai documenti raccolti e il sapere derivante
dall'esperienza della Cooperativa Progettazione. Il confronto con altri Centri ha permesso di
arricchire sia con riferimenti teorici che con esperienze dirette le procedure e gli strumenti di
valutazione delle abilità residue e di formulare un insieme di strumenti per la valutazione
delle variabili (anche emotive e motivazionali, alla luce della loro particolare importanza
nella disabilità acquisita) che sono risultate significative nel reinserimento lavorativo. Questo
nell’ottica di permettere alla persona di fruire di un percorso di riabilitazione che lavori sul
riconoscimento dei limiti, ma anche delle risorse ancora disponibili, per recuperare un senso
di autoefficacia e sviluppare strategie di compensazione e adattamento, trasferibili al mondo
esterno, sociale e lavorativo, e alle sue richieste.
Si è evidenziata infine la necessità del lavoro di rete come metodologia operativa
nell’inserimento lavorativo, alla luce dell’importanza di accompagnare e sostenere i soggetti
con disabilità acquisita nel lento e graduale riappropriarsi di un’identità lavorativa e sociale,
determinante per una buona qualità di vita.
245
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247
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI
PER USCIRE DAL COMA E RIENTRARE NELLA VITA
Fulvio De Nigris1
Tutti coloro che hanno un familiare colpito da una grave cerebrolesione acquisita si trovano in una
situazione difficile da affrontare. La loro vita viene completamente stravolta da problemi di diversa
natura: Emozionali, Sociali, Economici, Burocratici.
Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” realizzato dal Ministero della Salute e
che ho avuto l’onore di coordinare, per la prima volta, un gruppo di oltre 30 associazioni laiche,
cattoliche e di tutte le religioni, appartenenti ai principali coordinamenti italiani (La Rete –
Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, FNATC –
Federazione Nazionale Associazioni Traumi Cranici, Vi.Ve – Vita Vegetativa) hanno espresso il
loro punto di vista associativo sui percorsi che devono tutelare i bisogni delle famiglie.
Le associazioni in tutti questi anni hanno dimostrato di essere propositive, di interpretare un ruolo
importante nella rappresentazione di familiari ed i temi espressi in questo libro rappresentano
riflessioni e domande su obiettivi non ancora raggiunti. Sono problematiche che rimandano alla
necessità di predisporre un’indagine/studio per identificare: la popolazione, il livello di assistenza
(sanitaria e sociale) prima e dopo le dimissioni, le strutture preposte all’assistenza, le condizioni di
vita di queste persone e delle rispettive famiglie, le implicazioni burocratiche, gli strumenti sanitari e
sociali di supporto.
In questo “Libro bianco”, si è cercato di fotografare la situazione esistente, elaborando al tempo
stesso il vissuto personale nei confronti del sistema socio-sanitario, sia per poter indicare alle
autorità competenti i migliori percorsi e le pratiche più efficaci da mettere in atto che per informare
l’opinione pubblica e mettere a disposizione direttamente il proprio punto di vista.
Un libro bianco dunque per comprendere la realtà delle persone in stato vegetativo e d minima
coscienza. Perché le persone con cerebrolesioni meritano risposte di sistema e prestazioni che
rispondano a livelli essenziali di assistenza, rappresentando una delle componenti importanti della
non autosufficienza sulla quale è determinante, anche per quanto riguarda i pazienti con esiti di
coma e stato vegetativo, avere voce in capitolo.
1 Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma – Gli amici di Luca onlus; Componente LA RETE (associazioni riunite
per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite); Membro dell’“Osservatorio nazionale sulla condizione delle
persone con disabilità”; Membro dell’“Osservatorio nazionale sul volontariato”
248
La Carta di San Pellegrino
Le associazioni dei familiari riunite nei coordinamenti nazionali La RETE- Associazioni Riunite per il
Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e FNATC - Federazione Nazionale
Associazioni Trauma Cranico, operanti nel "Seminario permanente sugli stati vegetativi" del
Ministero della Salute, al fine di tutelare la dignità, la libertà e i diritti delle persone in stato
vegetativo e minima coscienza, le condizioni di grave disabilità acquisite, in sintonia con gli
operatori sanitari in un percorso di alleanza terapeutica, concordano i seguenti punti:
1) Nessuna discriminazione deve essere attuata in base alle condizioni di età, salute fisica e/o
mentale.
2) Le persone che non hanno la capacità di decidere devono essere tutelate e protette.
3) Qualsiasi intervento medico o assistenziale deve essere un aiuto alla vita.
4) La tutela del paziente deve prevalere su ogni altro interesse.
5) L'alimentazione e la idratazione sono atti dovuti.
6) Il paziente ha diritto alle migliori cure mediche e riabilitative.
7) La ricerca clinica e scientifica sugli stati vegetativi e di minima coscienza deve essere
promossa e sostenuta.
8) La famiglia ha diritto ad una sistematica informazione corretta, comprensibile e completa e
deve avere libera scelta del posto di cura.
9) La famiglia ha il diritto di essere tutelata ed assistita nel percorso di cura e di disabilità.
10) Le associazioni devono essere riconosciute a supporto e in rappresentanza delle famiglie
come risorsa qualificata, durante tutto il percorso.
San Pellegrino Terme, 5 aprile 2009
249
Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” sono riportate in un capitolo specifico
buone pratiche a livello nazionale. Da “Casa Palazzolo” presso la Clinica Quarenghi in
collaborazione con l’associazione “Genesis” di San Pellegrino Terme, a “Villa Elena” a Pegli con
l’associazione “Rinascita e Vita” di Genova, a “Casa Dago” con l’associazione Arco 92 di Roma, a
“Casa Iride” con l’associazione Risveglio di Roma e tante altre.
Una di queste eccellenze, un modello di riferimento a livello nazionale, è la Casa dei Risvegli Luca
De Nigris dell’Azienda Usl di Bologna che ne persegue gli obiettivi con l’associazione “Gli amici di
Luca onlus”.
Casa dei Risvegli Luca De Nigris - modello assistenziale
La particolarità di questa struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna che ne condivide gli obiettivi
in convenzione di intenti con l’associazione Gli amici di Luca (per attività di assistenza, formazione,
sostegno e reinserimento sociale) è nell'intersezione tra diversi progetti sulla persona che
comprendono: il contesto ambientale, la riabilitazione, l'integrazione e l'inclusione sociale. E’ un
lavoro in sintonia, in alleanza terapeutica. L’associazione raccoglie fondi anche per la ricerca
espletata dal Centro Studi per la Ricerca sul Coma. Recentemente è stato donato uno “stimolatore
cerebrale” all’Azienda Usl di Bologna.
Ormai è riconosciuto che il “coma” è una sintomatologia della famiglia e come tale è tutto l'ambito
familiare, la rete amicale e affettiva che deve esserne coinvolta. Questo vuol dire affrontare il tema
in maniera multidisciplinare, da vari punti di vista, tenendo conto che il fattore ambientale è molto
importante. Bisogna dire che l'incontro tra chi “sa di coma” e chi “vive il coma” diventa molto
significativo. Il sapere e il vivere sono due competenze che a volte si incontrano, spesso si
scontrano. Il sapere, la teoria, prescinde dall'esperienza privata, ma in questo particolare ambito,
come anche in altri, viene arricchita dall'esperienza personale. C'è una competenza della famiglia,
che viene riconosciuta anche dalla comunità europea, è la competenza affettiva,
dell'accompagnamento, il sapere dettato dal punto di vista, dalla formazione personale e da altro
ancora.
E’ un mondo che qui non è chiuso, ma si apre con la famiglia, con il volontariato, con chi sa di
sociale per tentare 'impresa più difficile, quella del ritorno. Per ritornare c'è bisogno di un team
multidisciplinare la comunicazione l'investimento anche economico. C'è il desidero di fornire un
buon, ottimo grado di autosufficienza. Sapendo che la famiglia potrà traghettare queste persone
fuori dalla struttura, nel mondo sociale, possibilmente al domicilio dove si continuerà quella
battaglia che un centro di eccellenza non può compiere da solo.
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è un Centro di riabilitazione post-acuta di livello ospedaliero
appositamente progettato per soggetti gravemente disabili completamente non autosufficienti e
richiedenti trattamenti riabilitativi continuativi, nell’ambito di un percorso integrato di assistenza e
riabilitazione. La struttura, attiva dal Marzo 2005, è un nodo del percorso Bolognese per le gravi o
250
gravissima lesioni acquisite che, nel territorio coperto dalla Azienda USL di Bologna, assiste circa
200 persone all’anno fra le quali almeno 40 necessitano di assistenza protratta. Come tale, è una
struttura riabilitativa per pazienti con GCA, specializzata per le condizioni a bassa responsività
protratta (SV e MCS) e per le gravissime disabilità “slow to recover”.
Negli ultimi anni si è imposta in modo sempre più evidente l’attenzione al problema dei percorsi di
assistenza per i pazienti con esiti di grave e gravissima cerebrolesione acquisita. Emerge ormai un
ampio consenso sul fatto che sono necessari percorsi di qualità specificamente dedicati,
caratterizzati da competenze tecnico professionali specializzate, e che, dopo la rianimazione e/o
neurochirurgia, deve essere garantito un accesso tempestivo alla riabilitazione.
E’ dimostrato dalla nostra esperienza che la fase di riabilitazione postacuta sia più efficace per il
paziente e per la sua famiglia se condotta all’interno di aree ospedaliere meno caratterizzate dal
punto di vista dei modelli ambientali ed organizzativi tipici dell’ospedale per acuti ma più
riconducibili al funzionamento di un domicilio o di una piccola comunità. Dal 2005 ad oggi oltre 130
ospiti la maggior parte uomini (età media 36 anni). L’80% è tornato al domicilio “risvegliato”, dando
il giusto significato a questa parola, al suo grado di autosufficienza, con i segni più o meno gravi di
disabilità. Durante questo lungo percorso la presa in carico dei familiari è un elemento prioritario
quanto la stessa gestione clinica e riabilitativa del paziente, al fine di consentire una efficace
restituzione al domicilio al termine della fase riabilitativa. Questa ipotesi è il cuore del progetto
sperimentale della Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna.
Nel nome “Casa dei Risvegli” la parola “casa” evoca un modello di ecologia sociale diverso dai
contesti ospedalieri tradizionali ed il plurale “risvegli” nella metafora di questa parola evoca una
molteplicità di soggetti potenzialmente coinvolti in un necessario processo di cambiamento e
conquista di consapevolezza: dalla persona alla sua famiglia e fino alla rete delle relazioni attorno
ad essa.
Nell’ambito del progetto di sperimentazione assistenziale e nell’accreditamento della Regione
Emilia Romagna recentemente raggiunto è equiparata ad una struttura ad alta specialità
neuroriabilitativa (codice di disciplina 75, posti letto 10).
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris persegue esplicitamente l’obiettivo di fornire alle famiglie aiuto
e formazione specifica con un approccio strutturato. interagire con loro vuol dire fare una buona
accoglienza ai genitori, ai figli, ai parenti, al care giver, il che significa che la struttura considera di
non doversi prendere cura soltanto del paziente ma anche del suo ambito familiare che ha forti
interessi nei suoi confronti, interessi inalienabili e che possiamo definire “curanti”. La permanenza
dei familiari accanto all’assistito si allontana da una degenza intesa come “tempo passivo”, ma
bensì prevede un lavoro sulla relazione, sull’identità, sui ritmi, sulla percezione e sul
comportamento con un apprendimento operativo nella quotidianità per far maturare nella famiglia
anche solo un po’ più di consapevolezza della sua centralità e un po’ più di abilità concrete di
gestione della vita.
251
Il volontariato è un’altra risorsa della struttura. La motivazione che muove verso l’azione volontaria
rappresenta il motore che permette ad un’associazione di volontariato di esistere e crescere,
poiché attiva a livello individuale e sociale quel processo che amplifica il coinvolgimento e la
partecipazione della società civile.
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è inoltre il luogo della vita e delle arti. Il coinvolgimento dei
familiari e del loro contesto socio-relazionale attiva momenti artistico – socio -culturali, con lo scopo
di riorganizzare i tempi della quotidianità mediante attività educative, ricreative e culturali con
momenti di musica, arte, scrittura, lettura, spettacoli teatrali.
La dimissione dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris non significa conclusione del progetto
riabilitativo e assistenziale. La riabilitazione e le attività di cura possono proseguire a domicilio
come altra fase del percorso riabilitativo, in base alle necessità e alle disabilità residue.
Le persone provenienti da altre regioni rientrano al loro domicilio nel territorio di residenza
assicurando, per quanto possibile, i percorsi della continuità terapeutica.
Per tutti i pazienti dimessi dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris viene inoltre assicurata una
continuità di contatto, relazione ed aiuto alla famiglia da parte della Associazione Gli amici di Luca
anche attraverso il numero verde Comaiuto (800998067).
I bisogni di una persona che permane in stato vegetativo (SV)
L'approccio assistenziale e riabilitativo di queste persone è un problema di grande rilevanza
medica e sociale, poiché la loro aspettativa di vita è in progressivo aumento in tutti i paesi
industrializzati. L’attesa di vita si attesta tra l’uno e i cinque anni, con casi, abbiamo visto non così
rari, che superano i dieci e più anni. Trascorsi i primi mesi dopo l’evento acuto tra la terapia
intensiva e il successivo ricovero in un centro di riabilitazione, perseguendo l’obiettivo del miglior
recupero possibile, il paziente, pur con gravissima disabilità, ha concluso il suo percorso e può
quindi essere dimesso.
Ma come dimettere una persona così fragile? Verso quale soluzione indirizzarla?
La scelta fra il rientro al proprio domicilio o l’inserimento in una struttura residenziale rappresenta
un’alternativa difficilissima per la famiglia (ma anche per l’équipe che lo ha avuto in cura) e non
solo per le implicazioni emotive e psicologiche di un tale cambiamento. Si tratta infatti di una scelta
condizionata da numerosi fattori tra cui le condizioni cliniche del paziente stesso, le risorse emotive
e fisiche della famiglia, le disponibilità sul territorio di strutture atte all’accoglienza o di servizi
domiciliari cui appoggiarsi.
Se in passato, quando i casi di pazienti in queste condizioni erano estremamente rari e avevano
un’aspettativa di vita molto più modesta, l’unica alternativa al momento della dimissione era il
rientro al proprio domicilio, oggi non è necessariamente così. Sempre più frequentemente ci
troviamo di fronte a persone le cui condizioni sono tali da non poter essere gestite al domicilio, o
252
che non hanno un nucleo familiare in grado di riaccoglierli a casa (famiglie mono-parentali, genitori
anziani…). Fattori sociali, culturali, ambientali, ma anche strettamente clinici impongono.
C’è dunque la necessità di prevedere alternative al domicilio, ricoveri ad libitum in strutture
adeguate all’accoglienza.
Da una indagine conoscitiva di un gruppo di lavoro della Conferenza di Consenso di Verona 2005,
è emerso che nel territorio nazionale esiste una notevole disomogeneità per quanto riguarda le
strutture residenziali post-ospedaliere tra le varie Regioni Italiane. Disomogeneità che riguarda sia
la programmazione di unità dedicate con un numero di posti letto in linea con le osservazioni
epidemiologiche, sia l’esistenza e l’impiego di linee guida regionali per la definizione e la
standardizzazione degli approcci assistenziali. Secondo alcuni dati disponibili l’incidenza annua in
Italia si aggira sui 1.500 casi adulti. Per quanto riguarda la prevalenza, la stima è ancora più difficile
perché mancano informazioni certe sulla sopravvivenza. Orientativamente uno studio Ministeriale
riteneva che la prevalenza potesse essere di 6.000 casi, con una tendenza all’aumento. Si
evidenzia quindi un primo dato significativo: la disponibilità di posti letto in strutture residenziali è
attualmente inferiore alle necessità stimate e, soprattutto, la disomogenea distribuzione di tali posti
sul territorio nazionale è tale da costringere molte famiglie alla scelta obbligata di un ricovero
lontano dalla propria area territoriale o di un forzoso rientro al domicilio.
La sfida della residenzialità
La tradizione e l’esperienza italiana nell’assistenza extra-ospedaliera affondano le proprie radici
nelle istituzioni storiche degli ospizi dove tradizionalmente trovavano ricovero e assistenza le
persone anziane o senza famiglia. L’evoluzione di queste strutture, sulla spinta soprattutto
dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti dell’organizzazione della società, le ha
portate negli ultimi anni a una crescente diffusione e a una professionalizzazione sempre
maggiore. All’impegno strettamente assistenziale si è andata aggiungendo una competenza
professionale sanitaria crescente in grado di rispondere alle sempre più frequenti richieste di una
utenza anziana con pluripatologia. La specificità per l’assistenza all’anziano è stata, e in molti casi
è ancora, l’elemento caratterizzante di queste strutture, che però negli anni si sono trovate sempre
più spesso pressate da richieste di ricoveri che, per quella che era la loro tradizione, potrebbero
definirsi impropri. Tra questi anche la sempre più comune richiesta di inserire, in un luogo nato per
gli anziani, persone in SV o di SMC, indipendentemente dall’età.
Partendo dall’esperienza derivata dal ricovero di singoli casi, molte strutture sono andate
gradatamente costruendosi una competenza nella gestione anche di questi pazienti.
Parallelamente le istituzioni locali hanno iniziato a contrattualizzare con delibere ad hoc la loro
gestione in termini di spesa, minutaggio del personale richiesto, indicazioni di professionalità
coinvolte.
253
L’acquisizione di competenze e capacità critica negli anni ha portato alcuni gestori alla scelta di
costituire nuclei omogenei di pazienti al fine di ottimizzare le ricorse necessarie per la loro
quotidianità. Permangono ancora casi, non rari, di strutture che, pur rimanendo principalmente
dedicate all’accoglienza di ospiti anziani, accettano di ricoverare anche solo un paziente in SV al
fine di favorire la famiglia con una prossimità territoriale a discapito di una maggior professionalità.
Attualmente le persone in SV o di SMC in Italia sono quindi accolte anche in strutture per anziani
quali le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), dove si ricoverano genericamente pazienti over
65 e in strutture dedicate all’handicap quali le Residenze Sanitarie per Disabili (RSD) e dove
l’utenza è generalmente rappresentata da disabili psichici o fisici di varia portata. In altri casi
ancora possono essere accolti in strutture di riabilitazione generale e geriatrica senza vincoli
temporali per la durata del ricovero. Tale varietà di alternative tende a generare, più che un ampio
ventaglio di opportunità per la famiglia, una caotica confusione e una parcellizzazione sul territorio
di questi pazienti contribuendo ulteriormente alla difficoltà di un monitoraggio nel tempo
dell’evoluzione delle loro condizioni e alla difficoltà da parte degli enti competenti di attuare
adeguate verifiche impostando standard di qualità più omogenei sul territorio nazionale.
Qualunque sia la natura originaria della struttura di accoglienza territoriale, per anziani o per
disabili, è importante che sia ben chiara all’équipe la specificità di questi ospiti. Accogliere una
persona in SV o SMC pone la struttura di fronte alla necessità di riflettere sulla complessità dei loro
bisogni sanitari e assistenziali, ma non solo. La criticità di questi reparti si articola su più fronti:
Una persona in SV è portatore di bisogni sanitari: si tratta infatti di persone le cui condizioni cliniche
sono generalmente stabilizzate, ma la cui fragilità le pone sempre a rischio di ricadute o
complicanze. Ai bisogni sanitari si aggiungono quelli di natura più strettamente assistenziali, che
rappresentano la maggior parte delle necessità delle persone in SV. Essere lavati e vestiti tutti i
giorni, alzati dal letto e posturati in carrozzina, essere accompagnati fuori dalla propria stanza per
poter variare ambiente e quindi colori, suoni, odori rappresenta una necessità che permette di
garantire un benessere fisico e una dignità della persona stessa.
La famiglia del paziente è l’altro elemento di cui la struttura deve farsi carico. Portatore di un
bisogno insaziabile di essere ascoltato, informato, accompagnato, il nucleo familiare, a volte
costituito da un'unica persona rimasta tenacemente accanto al paziente, a volte da un gruppo poco
coeso sul modo di vivere la realtà vegetativa ma granitico nelle richieste di qualità della cura e
dell’assistenza, deve essere accolto e debitamente formato. Il rischio altrimenti è di una
contrapposizione che non giova né al paziente né agli operatori.
Una struttura residenziale socio-sanitaria deve tenere in considerazione e saper gestire anche i
cambiamenti dei suoi ospiti. Cambiamenti che vanno nelle direzioni opposte del peggioramento
della condizione clinica, un peggioramento dettato dall’invecchiamento del paziente stesso, ma
anche cambiamenti intesi come miglioramento delle condizioni cliniche, con un’attesa di vita che si
allunga. Non sono così rari i casi di SV cronici in cui dopo anni, si riscontrano lievi, ma significativi
cambiamenti delle capacità di reagire all’ambiente e agli stimoli presentati. In questi casi non si può
254
parlare di veri e propri risvegli, anche se qualche caso aneddotico è riportato in letteratura, ma più
comunemente di modificazioni che determinano capacità di reazione maggiori agli stimoli esterni e
che assumono un’importanza enorme per i familiari e gli operatori che vi si dedicano
quotidianamente.
Una sopravvivenza in continua crescita e un aumento dell’aspettativa di vita creano i presupposti
per un impegno sempre maggiore nell’organizzare risposte adeguate ed economicamente
sostenibili per accompagnare il paziente e la sua famiglia negli anni a venire.
Tornare a casa: ma quale casa?
“La possibilità che una persona torni a domicilio dipende dalla condizione sociale della famiglia e
dalla disponibilità dei familiari a partecipare al lavoro di cura. Accompagnare la famiglia, formarla e
renderla partecipe è un lavoro che accomuna associazioni, operatori sanitari, non sanitari e
volontari”.
Nel documento della Conferenza di Consenso di Verona del 2005 – che affronta con molta
attenzione la problematica dei bisogni riabilitativi e assistenziali delle persone con disabilità da
grave cerebrolesione acquisita e delle loro famiglie nella fase post-ospedaliera – le Associazioni
dei familiari esprimono in maniera chiara il disagio vissuto dalla famiglia nel percorso del dopo
ospedale: “A tutt'oggi – scrivono – il reinserimento socio-familiare delle persone con esiti gravi o
gravissimi costituisce l'ennesimo momento di ‘crisi’ per la famiglia poiché quasi sempre si trova
all'improvviso privata del sostegno di un'équipe medica competente e sprovvista di mezzi per
affrontare la complessità e la gravità del compito”. Il documento descrive anche, in maniera
convincente, lo stravolgimento della loro vita lavorativa e di relazione proprio in un momento in cui
maggiore è la necessità di un sostegno psicologico ed economico: “E' inevitabile che almeno uno
dei membri della famiglia debba dedicare la maggior parte del proprio tempo e delle proprie
energie al lavoro di assistenza ed è costretto a rinunciare a qualsiasi attività professionale, di svago
e inerente il tempo libero. I parenti prossimi, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, col passare del
tempo, diradano le loro visite, gli atteggiamenti di interessamento e di solidarietà dimostrati nelle
fasi acute si riducono e, quindi, i legami si allentano fino a rompersi definitivamente”.
E’ evidente l’urgente necessità di istituire ufficialmente un’adeguata pianificazione della gestione di
tale condizione di gravissima disabilità con definizione di linee guida per organizzare e agevolare
un’appropriata “domiciliazione” che possa essere inquadrata come “protetta” o in modalità di
accoglienza transitoria che sia finalizzata a preparare la famiglia alla domiciliazione del congiunto
ed alleviarla in periodi di “sollievo”.
L’impegno quotidiano nell’assistere una persona in SV è rilevante sul piano sia fisico che
psicologico. Da un conto di massima e da esperienze condotte sul campo, si può dire che
l’incremento economico mensile delle spese che una famiglia deve sostenere si aggira intorno ai
3.000–3.500 euro.
255
Per questo, forti anche del dibattito aperto all’interno dell’”Osservatorio nazionale sulla condizione
delle persone con disabilità” abbiamo promosso il progetto della prima “Conferenza nazionale di
consenso delle associazioni” che abbiamo messo in campo come coordinamento “La RETE” con la
collaborazione degli altri coordinamenti con i patrocini, tra gli altri, della FIASO e FNOMCeO. In
questa iniziativa cercheremo di rispondere alla domanda:
“QUALI I FATTORI DI
QUALITA’CONDIVISI NELL’ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI?”. E’ una domanda alla quale
cercheremo di rispondere con incontri che, oltre al convegno di Bergamo, avrà appuntamenti già
calendarizzati ad Exposanità (maggio 2012), San Pellegrino (giugno 2012) alla “Giornata nazionale
dei risvegli” (ottobre 2012) e sulla quale stanno riflettendo gruppi di lavoro che analizzano temi
quali:
1) i diritti delle persone con disabilita’- tutela giuridica e normativa;
2) 2)il ruolo delle associazioni che rappresentano i familiari;
3) standard di qualità nelle strutture di accoglienza;
4) possibile standar di qualità nel rientro a domicilio;
5) corretta comunicazione tra sanitari e familiari.
Un problema di comunicazione e sensibilizzazione
La persona in SV può comunicare? A quest’ultima domanda abbiamo, come associazioni,
avanzato alcune risposte. La persona in SV può sviluppare un suo protocollo di comunicazione non
verbale, elementare ed essenziale e affinarlo nel tempo. Non possiamo sapere se questa è una
comunicazione intenzionale, ma sta di fatto che sono tante le persone in SV che spesso riescono a
far capire il loro stato di serenità, di disagio, o di sofferenza con l’espressione degli occhi, della
bocca, del viso, con la postura, il respiro, l’aumento dei battiti del cuore.
Io sono testimone di quel “Sento che ci sei” che è un’affermazione, una convinzione dei familiari
che convivono con una persona in SV o di minima coscienza.
La persona in SV è quindi potenzialmente in grado di manifestare emozioni semplici e può
accadere che, nell’arco della giornata, apra alcune “finestre” e riesca a stabilire, seppur in forma
minima e quasi impercettibile, un contatto con l’ambiente e/o le persone che la circondano.
Una cosa è certa: occorre che ci sia la presenza di qualcuno disponibile ad andare loro incontro
imparando il loro linguaggio, senza pretendere che “tornino” da noi comunicando con la nostra
forma convenzionale. Man mano che passa il tempo, i familiari imparano sempre di più a
interpretare ogni forma espressiva della persona in SV che vive insieme con loro.
Ma oggi la disabilità sembra essere uscita dal panorama della comunicazione. Come si comunica
all’esterno il coma? Dove finisce il diritto di cronaca e cominciano la privacy, il rispetto. Il silenzio
del dolore? Sono domande che ci siamo posti molte volte e che per la“Giornata dei risvegli” del 7
ottobre del 2005, ha fatto nascere con l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, la Rete Italiane
Città Sane, l’Azienda Usl di Bologna, l’Università di Bologna ed il Segretariato Sociale della Rai la
256
carta “Comunicare il coma” (www.comunicareilcoma.it) una dichiarazione d’intenti che comprende
norme sulla redazione e diffusione di notizie sul coma e sulla malattia in generale.
257
258
La carta “Comunicare il coma” dovrebbe sì tutelare i soggetti deboli (come la “Carta dei doveri del
giornalista” e la “Carta di Treviso”) ma dovrebbe cercare di ampliare il concetto di normalità come
oggi acquisito e perseguito nell’ottica dell’indirizzo espresso in strutture di cura come la Casa dei
Risvegli Luca De Nigris. La carta è stata diffusa in tutti i Comuni aderenti alla Rete Italiana Città
Sana, a tutte le redazioni. Sono stati promossi momenti di riflessione e discussione. Si è cercato di
far capire che, oltre ai risvegli miracolosi, oltre alla malasanità, esiste una notiziabilità più diffusa,
più quotidiana, del coma e dello stato vegetativo. E’ quel percorso che le famiglie vivono spesso in
solitudine, con grandi difficoltà. Dove emerge la voglia di farsi ascoltare, di essere rappresentati,
per raccontare la loro “normalità”: E’ questo lo scoglio ancora arduo da superare.
Le associazioni perseguono questi obiettivi attraverso iniziative dedicate. La “Giornata nazionale
dei risvegli per la ricerca sul coma” testimonial Alessandro Bergonzoni, la "Giornata nazionale sui
traumi cranici”, la “Giornata nazionale sugli stati vegetativi”. Attraverso convegni scientifici,
spettacoli teatrali, appuntamenti pubblici e campagne di comunicazione si cerca di far riflettere
attorno al coma e promuovere una nuova alleanza terapeutica tra strutture sanitarie, famiglie e
associazioni.
Conclusioni
Quando la vita incontra la malattia genera migliaia di persone che imparano a convivere con la
malattia. E' una convivenza fatta di emozioni e di praticità. E' fatta di tanti sentimenti diversi e a
volte contrapposti. E' fatta anche di disagio, dolore, a volte disperazione. E' fatta di speranza. E'
fatta di coraggio di vivere, organizzando i momenti pratici che aiutano la persona in difficoltà e la
sua famiglia a vivere. Chi vive queste situazioni sa di cosa parlo. La famiglia a volte si chiude come
un bozzolo d'amore che protegge, e proteggendo spesso non permette ad altri di entrare. Le reti
amicali, le associazioni, la società ha questo compito, quello di aprire, di non ghettizzare di far sì
che i luoghi dove si convive con la malattia siano i posti che sono più uguali agli altri luoghi della
comunità. Dove non ci sono tutte differenze, ma queste e uguaglianze come negli altri posti.
C'è un proverbio africano che dice :“Per educare un bambino non bastano due genitori, ci vuole
tutto il villaggio”. Adattandolo alle nostre tematiche potremmo dire: “Per riabilitare (aiutare,
accompagnare) un paziente in coma e stato vegetativo non basta la famiglia, ci vuole l'intera
comunità”. Questa comunità molto spesso ha difficoltà a riunirsi ed agire intorno a questo specifico
problema.
Ma come associazioni siamo impegnate in alcune significative proposte affinché:
-
le Regioni riconoscano lo Stato Vegetativo e di minima coscienza come uno degli elementi
della rete delle gravi cerebrolesioni quale problematica rilevante del territorio nazionale. Con
conseguente immediata applicazione delle “Linee guida sugli stati vegetativi e di minima
coscienza” ratificate dalla conferenza Stato/Regioni compresa l’indicazione che vede la
259
consultazione delle associazioni di riferimento. L’applicazione di queste linee guida
renderebbe omogeneo lo standard di assistenza su tutto il territorio nazionale;
-
si mettano insieme i dati per uno studio epidemiologico complessivo delle persone in Sv e
minima coscienza. Si parla di 3.000-3.500 persone in queste condizioni, ma si tratta di una
stima, servirebbe un vero e proprio studio sistematico. Da un recente progetto di ricerca
tracciato dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano sugli stati vegetativi e di minima
coscienza, finanziato dal Ministero della Salute, si attesta il profilo del paziente tipo: Il 59%
sono uomini, hanno in media 55 anni, nel 54,8% dei casi sono sposati e vivono in questa
condizione mediamente da 5 anni;
-
si istituisca una legge sugli stati vegetativi e si istituisca un fondo ad hoc per sostenere le
famiglie, la domiciliarità dei pazienti e la ricerca scientifica;
-
si condivida la creazione di una rete di luoghi di “sollievo” e di lungo assistenza nel territorio
nazionale; con la possibilità di promuovere nei Piani Regolatori la costruzione di “condomini
solidali” con l’integrazione di nuclei familiari al cui interno ci sono persone in stato vegetativo e
di minima coscienza;
-
si istituiscano in ogni territorio regionale le SUAP (Speciali Unità di Accoglienza Permanente
che in teoria dovrebbero specializzarsi su questo tipo di pazienti e che oggi si contano, a
livello nazionale, sulle dita di una mano;
-
si sostenga la diffusione del percorso domiciliare del progetto speciale “COMAIUTO” per il
sostegno alle persone con esiti di coma e le loro famiglie. Un progetto che l’associazione “Gli
amici di Luca onlus” ha attivato come sperimentazione grazie ai fondi raccolti
dall’associazione “Trenta ore per la vita”.
Le cittadinanze onorarie in questi ultimi tempi consegnate dal Comune di Bologna a Cristina
Magrini, in stato vegetativo da oltre 30 anni e dal Comune di Pavia a Max Tressoli, ragazzo
risvegliatosi dopo 10 anni, sono segni di grande civiltà e di democrazia.
Ma bisogna sempre dimostrare una eccezionalità per essere riconosciuti. E purtroppo, non basta
che Simona Atzori, splendida danzatrice disabile, vada in prima serata al festival di Sanremo per
sdoganare la disabilità.
La disabilità si accetta quando diventa normalità. Quando le uguaglianze sono riconosciute e non
più marginalizzate.
A questo servono le associazioni: a vigilare, ad essere sentinelle, a rendere visibili percorsi
invisibili.
E ad aspettare il momento in cui, senza alcun pericolo per le famiglie, potranno fare
tranquillamente un passo indietro.
260
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
De Nigris F (coordinatore), Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Il punto di vista
delle associazioni, Ministero della Salute, Roma, 2010
De Nigris F., Sento che ci sei:dal silenzio del coma alla scoperta della vita, Bur Rizzoli, (collana “I
libri della speranza” diretta da Davide Rondoni), Milano, 2011,
Piperno P., Casa dei Risvegli Luca De Nigris: modello assistenziale. In: Documenti Azienda Usl di
Bologna, Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004
Vaccari M., Percorso familiare e sostegno del volontariato, In: Documenti Azienda Usl di Bologna,
Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004
261
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI
Paola Dellera1
Per GCA s’intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranioencefalico o ad altre cause (anossia
cerebrale, emorragia, etc.etc.) tale da determinare una condizione di coma, e menomazioni
sensomotorie, cognitive-comportamentali, che comportano disabilità grave. La persona con GCA,
seppur curata e riabilitata con tutta la professionalità che i vari centri di riferimento offrono, viene
restituita alla famiglia e alla società come una persona fragile. Un’analisi dei bisogni ha imposto
una riflessione sull’individuazione di setting appropriati nelle varie fasi (fase acuta, fase riabilitativa
e fase degli esiti) cercando di evidenziare le problematiche più salienti e le risposte alle necessità
dei pazienti e dei familiari.
I diversi momenti che interessano l’assistenza delle persone con GCA - quello clinico, quello
riabilitativo e quello del reinserimento sociale - coinvolgono un insieme di strutture e di funzioni
differenti. La ricchezza d’interventi, anche molto qualificati, che hanno il vantaggio di offrire
prestazioni specialistiche di elevata qualità può, però, talvolta tradursi in un’eccessiva
frammentazione del problema, a causa dell’assenza di collegamenti tra i vari soggetti coinvolti nelle
diverse fasi del percorso riabilitativo. E’ pertanto fondamentale la costruzione di una rete di
continuità assistenziale che coinvolga lo specialista ospedaliero, le risorse sanitarie territoriali
riabilitative di competenza, le associazioni e le famiglie.
Riflettendo sulla nostra esperienza ci siamo accorte che non di rado Comune servizio educativo,
servizi riabilitativi non dialogano tra di loro: manca un lavoro di rete con i soggetti di cui si
occupano i servizi.
A volte paradossalmente, è la famiglia che fa il famoso lavoro di rete, è l’utente che mette in
relazione organizzazioni diverse presenti sullo stesso territorio. Non va però dimenticato che per la
famiglia questo è un compito particolarmente pesante soprattutto nella fase di passaggio da un
servizio ad un altro. Siamo ancora nella logica del bisogno invece di lavorare sulla mappa delle
relazioni che aiutano il disabile e la sua famiglia a rimanere in contatto con le persone e la società
per essere aiutati a costruire condizioni di vita migliori.
Sempre di più in questi anni è emerso il bisogno di lavorare con le istituzioni locali per favorire la
“continuità terapeutica” che corrisponde alla necessità di costruire servizi sul territorio per favorire
la continuità dell’assistenza dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera senza dover disgregare
la famiglia sia sul lato affettivo che economico. A causa della mancanza di tali sevizi spesso le
1 Presidente dell’ A.A.T.C. – Associazione Amici Traumatizzati Cranici, Bergamo
262
famiglie in questi anni hanno cercato risposte, non sempre idonee, in strutture quasi sempre private
fuori dalla Lombardia con gravi costi per la famiglia, nella speranza di riportare il proprio caro alla
completa guarigione.
Partendo dal percorso assistenziale – riabilitativo effettuato da ogni singolo paziente si ritiene
importante valutare i bisogni specifici dei soggetti con GCA e dei loro familiari e la reale
risposta che viene data dall’offerta socio-sanitaria. Occorre valutare il grado di reinserimento
sociale e lavorativo, in quanto questo aspetto gioca un ruolo notevole nel recupero del soggetto e
della propria famiglia, nonché le eventuali situazioni di disabilità nello svolgimento della normale
vita quotidiana derivanti sia da deficit motori che cognitivo – comportamentali.
Concentrandoci inoltre sulla fase degli esiti, risulta fondamentale chiedersi quale sia il reale livello
di offerta e di utilizzo, da parte dei pazienti dimessi dalle strutture riabilitative e mediche per
controlli periodici necessari considerata la disabilità permanente.
Riteniamo necessario che i pazienti possano accedere, dopo le dimissioni dalla struttura
riabilitativa, a servizi ambulatoriali che garantiscano interventi adeguati e individualizzati grazie alla
presenza di un‘equipe medico specialistica in grado di fornire una risposta competente alle varie
necessità (es. psichiatra che abbia competenze per patologia organica, fisiatra, neuropsicologo,
psicologo, neurologo etc).
Un’altra delle necessità emerse dalle famiglie è quella di essere accolte e accompagnate dentro le
scelte delicate che devono affrontare per i loro cari. Non è sufficiente elargire solo aiuti di tipo
economico che risultano a volte ridicoli e offensivi per la dignità di una persona che si trova in uno
stato di fragilità.
Le famiglie sentono il bisogno di entrare più attivamente nei progetti pensati e valutati per i loro
familiari, con l’idea di una condivisione che parta dal concetto di corresponsabilità. Si auspicano
inoltre incontri tematici organizzati con le famiglie, incontri di formazione, di orientamento e di
informazione per diffondere la conoscenza dei servizi, delle opportunità, delle risorse e delle
normative.
E’ necessario inoltre costruire un percorso di accompagnamento della persona con disabilità
acquisita e della sua famiglia tale da costruire occasione di integrazione sociale, di inclusione, che
come familiari auspichiamo sempre sia al più alto livello possibile.
Queste riflessioni nascono dal desiderio, di cui l’Associazione si fa portavoce, di superare le
resistenze poste dalla disabilità e valorizzare le capacità residue del soggetto andando ad incidere
il più possibile sul miglioramento della qualità di vita.
Le famiglie hanno quindi la necessità di essere supportate nel loro lavoro di cura. Hanno bisogno di
uscire dall’isolamento, devono avere l’opportunità di condividere le loro esperienze, di riconoscere
le risorse dei loro familiari, di sentire l’unione come forza per favorire la difesa dei diritti e la presa in
carico della persona a livello bio-psico-sociale.
Anche alla famiglia quindi vanno prestate particolari attenzioni in quanto sono i coprotagonisti,
insieme al paziente, di un percorso di riabilitazione che può durare, nei casi più seri, anche tutta la
263
vita. A partire da ciò che in questi anni abbiamo vissuto personalmente abbiamo deciso di fare
questa breve introduzione per mettere in risalto i bisogni dei pazienti e dei loro familiari per arrivare
a descrivere come le Associazioni presenti a livello locale ed in particolare la nostra Associazione
tentino di dare una risposta necessaria, seppur parziale, ad alcune di queste necessità.
Le Associazioni presenti al Tavolo della Grave Cerebrolesione Acquisita ella Provincia di Bergamo
che negli anni hanno avuto un ruolo chiave nell’individuazione di strategie e strumenti per
rispondere ai bisogni dei pazienti disabili e dei loro familiari sono:
- Associazione Disabili Bergamaschi - ADB di Bergamo;
- Associazione Genesis di San Pellegrino Terme;
- Associazione Amici Traumatizzati Cranici - AATC di Bergamo.
L’associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo
Nasce nel 2001 perché uno dei principali bisogni emersi nell’assistere un caro traumatizzato, è
quello di aver vicino qualcuno con cui condividere l’ansia, l’angoscia, i dubbi e le perplessità. La
nostra Associazione nasce dalla voglia di trovare serenità oltre che un aiuto tangibile, nella
convinzione che i sentimenti siano l’unico e vero patrimonio che possediamo.
I servizi che l’AATC offre sono i seguenti:
-
Dal 2009 siamo presenti presso l’USC di Medicina Fisica e Riabilitazione degli OORR con
uno Sportello INFO-POINT per essere in contatto con le famiglie dei degenti.
Durante questi anni abbiamo avuto modo di essere testimoni della fatica dei familiari legata
alle incertezze del rientro a casa del paziente, della difficoltà dei familiari nell’accettazione del
cambiamento, del dolore della famiglia che non trova condivisione e vive in solitudine il
problema. Emergono anche problematiche di natura economica per la perdita del lavoro di un
coniuge (spesso è la donna che rinuncia alla vita lavorativa per dedicarsi interamente
all’accudimento del proprio congiunto). La domanda più difficile che ci viene rivolta è la
seguente: “Chi si prenderà cura del nostro caro quando l’età o una malattia non ti permetterà
più di continuare ad assisterlo?”. E’ il problema del “dopo di noi”.
“Chi se ne prenderà carico? L’Ente Pubblico o Ente Privato?”.
Ed ancora: “Può bastare una pensione d’invalidità di € 260,00 mensili dato che l’assegno di
accompagnamento non viene elargito nel caso in cui la persona deambula?”.
Queste sono le domande che spesso ci sentiamo fare sperimentando l’impotenza del non
avere risposte da dare né a loro né a noi.
-
E’ presente al Tavolo della disabilità dell’ASL di Bergamo in qualità di Rappresentante del
Forum delle Associazioni per essere portavoce diretto delle necessità delle persone con
disabilità adulta e dei loro familiari.
-
In base alla disponibilità dei volontari, organizza vacanze estive e/o invernali in villaggi
attrezzati per offrire sollievo alle famiglie. Quest’anno abbiamo proposto una nuova tipologia
264
di vacanza per fornire un’esperienza di autogestione della quotidianità con la presenza di un
volontario sul territorio con funzione di supervisione.
-
Organizza corsi di acquaticità. Il corso che l’Associazione propone è organizzato da
volontari e da istruttori che, nel rispetto di ogni persona, propongono un nuovo approccio con
l’acqua con l’obiettivo di offrire l’occasione ai ragazzi di vivere una nuova esperienza, inoltre,
in questo modo, si permette alle famiglie di potersi dedicare del tempo per sé.
-
Dai genitori è emersa la difficoltà di dare un senso alle giornate dei ragazzi con GCA che
hanno a disposizione molte ore libere. Tre anni fa è nata la necessità di inventare qualcosa di
positivo e gratificante. Una mamma nostra associata, ha messo a disposizione circa 600 mq.
di terreno coltivabile. E così è nato, dal motto “Riseminiamoci la vita”, l’orto, un’attività che
ha lo scopo di terapia occupazionale e di confronto con i ragazzi, un luogo d’incontro e
confronto tra i genitori, un posto per stare insieme. La gestione dell’orto per opera dei
volontari dell’AATC potrebbe diventare parte integrante del percorso riabilitativo dei pazienti
colpiti da Grave Cerebrolesione.
-
Sostiene gli Ospedali Riuniti di Bergamo nella realizzazione di progetti rivolti ai bisogni
psicologici del nucleo familiare del paziente in cura presso dell’USC Medicina Fisica e
Riabilitativa.
-
L’USC Medicina Fisica e Riabilitativa, grazie alla collaborazione con l’USSD di Psicologia
Clinica, ha sempre offerto un servizio di supporto psicologico ai pazienti e ai loro familiari. Dal
2009 grazie ai contributi dell’AATC, ha potuto potenziare tale servizio. In particolare, sono
stati finanziati due progetti volti al sostegno dei bisogni psicologici dei pazienti e dei loro
familiari e finalizzati alla promozione della salute e del benessere dei soggetti in cura, dei loro
familiari e degli operatori sanitari. Il progetto “Sostegno psicologico ai pazienti con
celebrolesione acquisita e ai loro familiari” prevede la presenza in reparto di una
psicologa a disposizione dei pazienti e dei familiari con esiti. L’intervento psicologico prevede
una prima fase di consultazione psicologica, svolta mediante colloqui clinici, a cui fa seguito,
qualora ritenuto necessario l’avvio di percorsi individuali di supporto psicologico.
Accanto a questa attività, a partire dal mese di maggio 2011 si è attivato il Progetto:
“Prendersi cura di chi si prende cura. Gruppo di sostegno psicologico a tempo
determinato rivolto ai familiari di pazienti con grave cerebro lesione acquisita ”concluso
nel mese di marzo 2012. Il gruppo si è proposto un intento terapeutico in quanto ha offerto ai
familiari uno spazio protetto in cui sentirsi riconosciuti e legittimati nelle proprie fatiche e
sofferenze, connesse al delicato processo di presa di consapevolezza delle menomazioni e
delle disabilità del proprio congiunto. Il gruppo è stato inoltre il luogo in cui si sono attivati,
attraverso il confronto tra le diverse esperienze personali, processi di apprendimento
interpersonale e processi creativi/riparativi che hanno permesso ai familiari di accedere a
nuove strategie di adattamento alla nuova condizione di vita. L’obiettivo principale è stato
quello di favorire la riorganizzazione della propria quotidianità in relazione ad una migliore
265
qualità di vita che tenga conto degli esiti del trauma e delle modificazioni dell’esistenza che in
misura diversa si impongono a tutti i membri del nucleo familiare.
I progetti sopracitati sono stati realizzati grazie alla partecipazione a bandi indetti dalla
Fondazione della Comunità Bergamasca e dalla Provincia di Bergamo.
Ci sembra opportuno sottolineare che l’Associazione non ha il ruolo di sopperire alle carenze
dell’Ospedale, ma di creare progetti innovativi che producono servizi che, se danno buoni
risultati dovrebbero essere fatti propri dalla struttura per far si che l’Associazione possa
portare avanti altri progetti.
Inoltre non risulta possibile da parte dell’Associazione ripresentare lo stesso progetto per
annualità successive in quanto sono sempre richiesti aspetti di innovazione.
Ipotesi di futuri progetti dell’Associazione
In collaborazione con L’Associazione Disabili Bergamaschi (presente sia sul Tavolo delle GCA
della Provincia sia nella struttura di Mozzo) sono stati presentati e sono in attesa di finanziamento
due progetti in favore delle persone con disabilità acquisita:
-
“Il Terapista Occupazionale nel progetto multidisciplinare per la riabilitazione dei
pazienti con GCA presso USC di Medicina Fisica e Riabilitazione”. L’inserimento del
terapista occupazionale all’interno dell’equipe riabilitativa è finalizzata a riportare la persona
ad un’autonomia che le consenta di reinserirsi nel suo ambiente socio familiare anche se con
modalità diverse da quelle in atto prima dell’evento traumatico.
-
“Possibilità espressive” - Sviluppo di laboratori di teatro per la cura delle persone con
lesione midollare e GCA loro familiari e operatori durante la degenza presso l’USC di
Medicina Fisica e Riabilitazione.
Conclusioni
La nostra relazione ha cercato di mettere in evidenza le criticità, i bisogni e le difficoltà che
sperimentano le persone con GCA e i familiari che se ne prendono cura con l’obiettivo di mettere in
risalto gli aspetti che spesso non emergono e che rimangono celati all’interno di ogni nucleo
familiare. Come Associazione ci auguriamo di poter dare continuità alle attività avviate e di poter
collaborare in modo integrato con le Istituzioni presenti sul nostro territorio.
266
LA DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’INTERAZIONE
CON UNA TAPPARELLA…
Carlo Viganò1
Parlare di domotica oggi non è così facile, anche perché la congiuntura attuale, seria e pressante a
causa di una crisi economica dirompente e disgregatrice, comporta di doversi misurare con sempre
più limitate risorse che non prevedono il ricorso ad ausili, non ritenuti essenziali, e tendono ad
assicurare, quando ci riescono, il solo soddisfacimento di bisogni primari.
Quando mi confronto con la gente che incontro tutti i giorni, senza frequentare il variegato mondo
dei cosiddetti “soliti introdotti”, in genere mi ritrovo sempre ad un livello di conoscenza che implica
di dover partire, in una dissertazione sulla domotica, con l’ABC, quasi che la parola stessa, la
definizione di domotica (dal neologismo francese “domotique”, a sua volta derivante dall’unione
della parola greca “domos”o latina “domus” e “informatique”, ossia letteralmente casa informatica o,
nell’accezione, automatica), già da sola, incominci a ingenerare una sorta di meccanismo di
autodifesa nelle persone cui viene esternata.
In certi casi, poi, l’utilizzo di queste che possiamo definire “tecnologie atte alla gestione coordinata,
integrata e computerizzata degli impianti tecnologici (climatizzazione, distribuzione acqua, gas ed
energia, impianti di sicurezza), delle reti informatiche e delle reti di comunicazione, allo scopo di
ottimizzare la flessibilità di gestione, il comfort, la sicurezza, il risparmio energetico degli immobili e
per migliorare la qualità dell'abitare all'interno di una casa” è ancora visto come appannaggio di
una certa classe sociale, ancor più inarrivabile in momenti in cui già riuscire a far quadrare il
proprio risicato bilancio domestico, arrivando senza patemi all’ultima settimana del mese, può
essere definito una conquista “epocale”.
Non si vuole oltretutto qui inneggiare a quella che un caro amico, che da anni si interessa di
domotica, chiama tecnologia da “villopoli”, a quegli effetti speciali che, posti in atto con il semplice
sfioramento di un touch screen di ultima generazione posto all’ingresso della propria casa, servono
esclusivamente a innalzare e gratificare il proprio ego per il raggiungimento di un certo livello
sociale, dove la disponibilità di certe tecnologie viene quasi considerata un trofeo da ostentare, per
suscitare “oh” di stupore ed ammirazione da parte di amici o di conoscenti che si sottopongono alla
preprogrammata visita guidata della nuova casa, sollecitati ed ammansiti da un insieme di
“bombardamenti sensoriali” predisposti in uno “scenario” che cambia, tramite giochi di luce, suoni
ovattati, sensazioni “epidermiche“ di caldo e di freddo all’interno di un percorso tra le mura negli
ambienti di un’abitazione, fino ad arrivare magari al clou dell’home theater, dove la massima
1 Ingegnere, Esperto di Domotica per la disabilità
267
aspirazione è quella ad ottenere “sensazioni uditive e visive il più possibile fedeli a quelle percepite
in un teatro o in una sala cinematografica”…
Io, in effetti, non assurgendomi né al ruolo di esperto conoscitore, né alla visione così spesso
contrabbandata di “guru” depositario delle ultime novità tecnologiche, a volte poi accompagnato da
lingua lunga (e naso altrettanto), autoreferenziale in maniera che giudico sempre smodata, forse
perché mi sento quantomeno persona che si ritiene “informata dei fatti”, vorrei solo cercare di
spiegare quello che è possibile concepire di supporto alla nostra usuale vita domestica, quando
fattori, anche momentanei e passeggeri, ci impediscono di interagire in modo “normale” (ma, oserei
dire, rinforzando il concetto, in maniera quasi automatica) con le cose che ci circondano nell’ambito
della nostra scontata vita domestica.
A volte, per le vicissitudini della vita, ci troviamo proiettati in situazioni e accadimenti con cui, a
mente sgombra e con ragionamenti razionali, avremmo tutti volentieri fatto a meno di
confrontarci…
La vita riserva sorprese inaspettate (anche se, in ogni caso, prevedibili, riscontrabili e verificabili
solo guardandosi un po’ di più attorno) che ci scombussolano, a volte, un tran-tran quotidiano che
ci appartiene, forse non esaltante e soddisfacente, ma comunque nostro e, per come lo
intendiamo, governabile e gestibile con tutte le risorse a nostra disposizione, fisiche, intellettuali,
economiche, ecc…
Quando ci si trova catapultati in momenti a noi sconosciuti di malessere “diffuso” (anche perché
mai verificato per diretta esperienza), tutte le nostre sicurezze vengono in qualche modo meno,
sconquassate dalla presenza di fattori che la normale esperienza di vita vissuta si rifiuta a volte di
riconoscere come propri.
Senza addentrarci in complessi meccanismi psichici e psicologici (della cui conoscenza,
ovviamente, non ci sentiamo padroni e su cui, pertanto, a questo livello sorvoliamo, ma che devono
essere ovviamente e comunque tenuti sempre in debito conto, da coloro che sono preposti per
aiutarci a gestirli), senza negare che tali meccanismi intervengono a aggrovigliare ancor più il
bandolo della matassa di una situazione che sembra a prima vista irrisolvibile, già qualsiasi
movimento naturale, appreso e testato nel corso di anni convissuti con il nostro corpo in maniera a
volte anche disordinata e pretenziosa, sembra diventare impraticabile, pervasi come siamo dal
senso di sconforto che si è insinuato in noi.
Ci ritroviamo con una parte di noi quasi relegata sotto una cappa ovattata che, dall’esterno
possiamo a volte valutare, anche con freddezza e razionalità, ma non gestire perché qualcosa
nelle “comunicazioni” si è interrotto, non riuscendo più a promuovere quelle interazioni naturali tra
cervello e corpo (e viceversa) che ci sono state proprie fino a poco prima, che ci hanno magari
accompagnato per anni senza essere considerate un plus incredibile della nostra vita, che sono
state solo considerate magari degli automatismi naturali.
Alzarsi, lavarsi, vestirsi, allacciarsi le scarpe, camminare, correre, sedersi, riposare, mangiare,
bere, (e, in alcune operazioni, viceversa), è un elenco sicuramente non esaustivo ma già
numericamente esteso del complesso intersecarsi di azioni che pervadono la nostra vita di tutti i
giorni: di altre cose, per finto pudore o ritrosia normalmente non si parla ( in particolare in forma
268
esplicita, ma sono sicuramente conosciute dalla totalità di tutti noi), senza minimamente
dimenticarsi di quanto va poi a interfacciarsi con sfere più prettamente intellettive, psichiche,
sentimentali…
Già qui iniziamo ad ampliare la nostra sfera di interazione, magari coinvolgendo anche altre
persone (lavorare, conoscersi, amare), andando ad interagire anche con altre cose (guidare,
utilizzare un pc, un telefonino, usare un aspirapolvere, cucinare…)
A volte il confrontarci con queste “ordinarie” azioni diventa problematico, vuoi per una malattia, vuoi
per il sopraggiungere di un trauma, che può essere solo fisico (ad esempio, anche nel caso di
trauma cranico encefalico, tra le modificazioni indotte, oltre a quelle dello stato di coscienza,
cognitive, sociali, comportamentali e sensoriali, ci sono anche quelle motorie), vuoi (e questo è
ancor più traumatico, a volte, in particolare per determinate persone) quando ciò deriva dall’ordine
naturale delle cose che prevede che anche il nostro corpo sia stato progettato a tempo e, lo dice la
parola stessa, il tempo è tiranno!
Tutti invecchiamo e, pur con gli accorgimenti da poter porre in atto, naturali o meno, dobbiamo
arrivare a confrontarci con un corpo, con meccanismi e impianti che non riescono più a seguirci e
sopportare le nostre “nefandezze”, i nostri “fuori giri”, come abituati in precedenza…
Le considerazioni che accompagnano tali “rivelazioni” sono un po’ come la scoperta dell’acqua
calda: “una volta si che….” – “e già, il recupero non è più quello di una volta!” – “ma che ti credi? di
avere ancora vent’anni?” – “stai pretendendo un po’ troppo dal tuo fisico!“.
Ora, considerando che le statistiche confermano che, nonostante tutti gli sforzi che, anche
inconsapevolmente, facciamo per contrastare la tendenza (volendoci a volte anche un po’ di male),
l’aspettativa di vita tende ad aumentare, ci ritroveremo tutti, prima o poi, a confrontarci con una
limitata operatività del nostro corpo, non magari così drastica e tragica come quella imposta da un
trauma od una patologia, ma lo stesso invalidante e limitante nel nostro normale modo di vivere.
Senza confrontarci con l’approccio con il mondo esterno, in caso di presenza già solo di piccole
difficoltà motorie, “muoverci” negli ambiti ristretti del nostro mondo domestico può diventare
estremamente difficoltoso: una semplice infiammazione all’articolazione della spalla (che può
degenerare in artrosi), ad esempio, può inibire molte delle normali interazioni con alcuni dei
componenti della nostra casa.
Abbassare una tapparella può diventare un ostacolo insormontabile, anche se magari la mia spalla
è in perfette condizioni, ma sono obbligato a viaggiare per casa su una sedia a rotelle, per cui le
mie nuove “dimensioni di ingombro” non mi consentono di aggirare il divano dietro il quale è
posizionata la finestra con il suo meccanismo di movimentazione della tapparella stessa (il cintino).
Anche altre cose mi risultano impossibili: magari sono ad una altezza (sempre causata dalla
carrozzina) che non mi permette di controllare neppure quanto visualizzato sul video di un normale
impianto videocitofonico, oppure il riarmo del mio quadro elettrico generale della casa è stato
posizionato all’interno di uno stretto armadio (perché, “esteticamente”, stava bene così!), o
qualsiasi altra normale operazione di governo della casa mi è preclusa da altre “infermità”.
269
Tante quotidianità in effetti diventano non più così banali, tante operazioni normalmente eseguite si
scontrano con disabilità che non ci permettono di usufruire della normalità con cui avevamo
concepito e progettato la nostra casa.
Cosa fare? Beh… innanzitutto cercare di guarire!!! E già qui una folta schiera di risorse, dal punto
medico, chirurgico, psicologico, riabilitativo, ecc.. è disponibile per riacquistare il senso della
propria mobilità, per riuscire a superare un’impasse temporanea.
A volte, però, non sempre è possibile un normale rientro, nella consueta routine quotidiana, senza
strascichi.
Già superare il problema psicologico di confrontarsi con qualcosa di sconosciuto è di per se stesso
un trauma da superare con difficoltà, figuriamoci poi se una normalissima operazione di tutti i giorni
ci è preclusa per la nuova condizione fisica con cui siamo costretti a misurarci.
Non vogliamo entrare nuovamente in un campo che non è nelle nostre corde professionali, ma la
conoscenza con molti “traumatizzati” ci ha reso quanto meno consapevoli della difficoltà di gestione
di una nuova situazione, senza la possibilità di controlli che ci erano propri in precedenza.
L’autostima è destinata a scontrarsi con piccole situazioni quotidiane che comunque vanno ad
intaccare la propria consapevolezza di gestirsi autonomamente.
Sosteniamo che l’interazione con le persone sia sempre il processo primario auspicabile, anche nel
caso di sopraggiunta invalidità: la famiglia, gli amici, le conoscenze, il volontariato di persone che
prima non sapevamo neppure esistessero, il rientro nel proprio mondo lavorativo, la riscoperta
delle proprie precedenti aspirazioni (magari prima un po’ trascurate), possono essere molle da
sfruttare per il recupero.
Però poi mi devo sempre confrontare con la tapparella! Quando mia moglie o mia mamma non ci
sono, perché sono a fare la spesa, quando mio figlio è a scuola, quando la badante è uscita
(perché ovviamente non posso rinchiuderla anche lei in casa), quando ho voglia di fare entrare un
po’ più di luce nella mia stanza, non potendomi spostare dalla posizione lettizzata a cui sono
costretto (senza per questo dover costringere ad intervenire un membro della mia famiglia, se
presente), quando sono seduto sul divano a guardare la televisione o a leggere un libro e quel
raggio di sole bastardo mi colpisce proprio gli occhi…
Beh, la domotica non ci aiuta solo a confrontarci e a risolvere il problema sorto con la tapparella:
basterebbe la progettazione preventiva di un’automazione elettrica del movimento del serramento
tapparella, con la disponibilità di un telecomando sotto mano…
Ma non è solo con “quella tapparella” che dobbiamo confrontarci, nella nostra attuale situazione di
“pazienti”, impazienti di districarci tra nuove e sconosciute difficoltà.
E finalmente parliamo di domotica, ossia della possibilità di gestire i vari aspetti dell’impiantistica e
delle attrezzature di una casa con una nuova modalità di integrazione, sia dal punto di vista del
comando, sia dal punto di vista dell’automazione di una serie di operazioni, complementari le une
alle altre: ecco, questa è in sintesi la facoltà concessa, la novità trascinante rispetto al nostro
preesistente modo di interagire.
Invece di accendere o spegnere la luce, agendo meccanicamente su di un interruttore, posso
ovviamente prevedere di farlo ancora con la stessa modalità, posso predisporre un sensore che al
270
mio passaggio accenda la luce, lo posso fare a distanza, seduto comodamente sul divano, lo
posso fare dall’esterno della mia abitazione, dall’ufficio con la predisposizione attuata tramite un
telefonino… Posso, a distanza, attuare tutta una serie di cose, legate o disgiunte dall’accensione
della luce, alquanto banale: alzare di un paio di gradi il riscaldamento, perché sto rientrando…
predisporre alla chiusura “tutte” le tapparelle, perché sta per scoppiare un temporale e non voglio,
che ne so, che i vetri di sporchino… fintare una presenza in casa, con accensioni e spegnimenti in
vari locali, come deterrente alle incursioni di qualche ladruncolo, ovviamente predisponendo anche
l’entrata in funzione di un impianto antifurto, perché al momento della mia uscita di casa, dovendo
rientrare subito, non avevo pensato fosse il caso di inserirlo e, invece, sono costretto (non sempre
a malincuore, però) a restarmene fuori più a lungo…
Parliamo pertanto di quello che è concepibile, mediante un impianto domotico, ottenere all’interno
della propria abitazione, con un particolare riguardo alle persone che subiscono momentanee o
durature variazioni delle proprie possibilità di interazione con il mondo circostante.
Proviamo ad ipotizzare la genesi di un progetto.
Deve tutto partire presupponendo di poter trovare soluzioni per favorire l’autonomia e la sicurezza
di una persona, analizzando, in collaborazione con la stessa, i suoi famigliari ed il progettista degli
interni, la possibilità di utilizzo della domotica, possibilmente in forma completamente integrata,
potendo così offrire funzioni utili sempre più articolate ed innovative.
La conoscenza della tecnologia serve per scegliere funzioni adeguate, mettendo al centro la
persona: è necessario pertanto un cammino di conoscenza da parte del system integrator (il cui
compito è quello di far dialogare impianti diversi tra di loro, per creare una nuova struttura
funzionale, e di trovare la soluzione di gestione degli stessi, in presenza di situazioni particolari),
prima ancora del progettista dell’impianto, con il committente, portatore di caratteristiche ed
esigenze personali, valutandone come utente finale i desideri, le capacità di comprendere e di
relazionarsi con le tecnologie e le esigenze pratiche, le abitudini di vita quotidiana e le modalità di
abitare la casa, anche in rapporto al contesto ambientale, ai vincoli tecnico impiantistici e alle
disponibilità economiche.
In casi particolari di disabilità accentuata l’attenzione all’utente nella progettazione del sistema
domotico deve essere ancora maggiore e più accurata, per capire meglio i bisogni, le difficoltà e le
abilità residue, valutando il contesto familiare e considerando le possibilità di cambiamento futuro,
ritenendo pertanto utile chiedere il supporto di professionisti del mondo sociosanitario che già lo
seguono e lavorando in equipe multidisciplinare con il progettista e direttore dei lavori (nel caso di
nuova casa o ristrutturazione dell’esistente).
Il primo progetto che ne scaturisce parte dalle scelte iniziali di architettura del sistema (standard di
comunicazione o protocollo – sistema di cablaggio) ed arriva alla definizione di funzioni di primo
livello (quelle semplici, dirette: azionando un comando, ad esempio un pulsante, accendo una luce
– con un altro comando apro una porta) in modo da dare all’utente ed ai suoi conviventi la
possibilità di un comando diretto per le singole funzioni, e di funzioni di secondo livello (più
articolate, proprie dei sistemi domotici, dove ad esempio comandi e sensori interagiscono fra loro,
271
anche mediante programmazione a schemi logici, per definire un effetto output che può azionare
uno o più dispositivi).
Senza addentrarci in complesse discussioni sugli standard di comunicazione e i sistemi di
cablaggio, proviamo ad addentrarci negli aspetti funzionali di un progetto domotico, senza
avanzare pretese di essere completi ed esaustivi con quanto permesso dalla moderna tecnologia.
Nei vari locali di un’abitazione occorre individuare le esigenze legate all’utilizzo degli stessi, da cui
far scaturire un’elencazione di apparecchiature elettriche (e non), necessarie per l’espletamento di
funzioni elementari elettriche e di funzioni più complesse, gestite dall’impianto.
x
Riarmo automatico in seguito di black-out energetici: l’installazione nel quadro elettrico di un
dispositivo "Auto-Restart” in grado di riattivare automaticamente i contattori differenziali,
scattati in seguito ad esempio di black-out energetico imprevisto dovuto a condizioni
atmosferiche avverse, può garantire l’operatività degli elettrodomestici in uso, dell’impianto
luci, del computer e delle funzionalità domotiche, anche senza raggiungere, magari a fatica, la
postazione del quadro elettrico per effettuare il riarmo manuale.
x
Gestione dei carichi elettrici: un dispositivo può permettere in automatico la gestione dei
carichi e di staccare i carichi non prioritari, in modo da prevenire superamenti di soglie
previste dal contratto di fornitura, garantendo la prevenzione dello sgancio dell’interruttore
generale. Inoltre, tramite la programmazione dell’impianto domotico, possono essere
assegnate priorità di funzionamento e/o tempistiche che possono abbassare la potenza
installata o permettere l’utilizzo di determinati impianti o attrezzature solo in orari di più basso
costo energetico, con diminuzione dei costi di approvvigionamento energia.
x
Dotazione di UPS: l’installazione di un gruppo di continuità, opportunamente dimensionato,
garantisce nel caso di back-out energetici, per una durata limitata, l’operatività di
apparecchiature elettriche “salva-vita” e di funzionalità domotiche considerate prioritarie.
x
Interfacce di comando: l’impianto domotico standard non è diverso da quanto individuato nei
passi precedenti, ma deve solo diventare “fruibile”, cambiando solo la modalità di interazione.
Oltre alla normale pulsanteria, devono essere previsti in combinazione dispositivi che
permettano, in funzione delle abilità residue dell’utente, di comandare il sistema domotico. Tra
gli altri si ricordano: la normale tastiera di un PC se, tramite opportuni accorgimenti, l’utente è
in grado di utilizzarla - touch screen - telecomandi “domotici” (ne sono stati ideati di semplici,
con tasti grandi o con possibilità di personalizzazione mediante icone riconducibili alle
funzioni - sono disponibili applicazioni che trasformano in telecomando telefonini e
smartphone, ma anche lettori di musica digitale evoluti e dotati di ampio schermo e
connessione wi-fi –alcuni sistemi di comando della movimentazione di una carrozzina, tipo
joystick, possono essere riconosciuti ed interfacciati) – altri sistemi più complessi che
possono adattarsi a persone con difficoltà motorie gravi e sono attivabili tramite sensori
esterni legati ai movimenti che il soggetto è in grado di fare, come il movimento della mano o
della testa, delle dita e perfino delle palpebre, oppure dispositivi di controllo vocale (dotati di
272
funzioni di feedback che, con la ripetizione del messaggio, permettono la correzione di
eventuali errori di interpretazione).
Non dimentichiamo, nelle ricerche eseguite nel contesto dell'ingegneria biomedica e della
neuroingegneria, il ruolo svolto dalle BCI (Brain-computer interface - letteralmente "interfaccia
cervello-computer" o interfacce neurali), nella direzione di sistemi di supporto funzionale e
ausilio per persone con disabilità, che operano con il riconoscimento delle onde cerebrali,
ovvero onde elettromagnetiche che si formano nel nostro cervello per permettere ai neuroni di
comunicare. Ma qui, pur non essendo nella fantascienza, siamo ancora un po’ nel campo di
possibilità futuristiche…
%
Comfort – Luci: viene prevista la gestione delle apparecchiature illuminanti, interne ed
esterne, tramite pulsanti e/o interfacce particolari di comando, sensori e programmazione che
interagiscono tramite il sistema domotico, ottenendo l’accensione e lo spegnimento delle luci
in maniera manuale od automatica (con possibilità, in alcuni ambienti, di regolare
manualmente e automaticamente l’accensione delle luci tramite dimmer, per regolare
l’intensità luminosa). Può essere prevista la realizzazione di “scenari” luminosi (ad esempio lo
spegnimento di tutte le luci quando si deve uscire di casa, oppure l’automatismo di alcune luci
nella fase notturna, legate ai sensori di presenza, ad esempio nei corridoi, ecc.).
%
Comfort – Riscaldamento e condizionamento: la buona gestione del microclima è in grado di
migliorare il comfort degli abitanti della casa. In particolare ad alcune forme di disabilità sono
associati problemi di termoregolazione corporea e/o problematiche respiratorie.
Al sistema domotico è demandato, tramite l’analisi dei valori registrati da sonde di temperatura nei
locali, il mantenimento delle condizioni richieste, con possibilità di regolazione del microclima
all’interno di scenari. Con remotizzatore GSM o tramite Internet è possibile attivare e regolare
il microclima dell’abitazione da remoto.
%
Automazione – Cancelli esterni carrai e/o pedonali: l’automazione è anche in questo caso
gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’accesso all’utente disabile, in
forma completamente autonoma. In tali casi anche la movimentazione di cancelli pedonali
può essere prevista in maniera motorizzata. Al sistema domotico è demandato anche
l’interfacciamento con il sistema videocitofonico, per permettere all’utente l’apertura dei
cancelli esterni autonomamente, verificata l’identità dei visitatori.
%
Automazione – Portoncini d’ingresso: gestita dall’impianto domotico, in quanto deve
permettere l’accesso all’utente disabile, in forma completamente autonoma. In tal caso anche
la movimentazione dei portoncini d’ingresso è prevista in maniera motorizzata. Collegabile a
scenari automatici.
%
Automazione – Porte interne: è gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere
l’accesso all’utente, in forma completamente autonoma, a tutti gli ambienti della casa. È
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prevista, in alcuni casi, la motorizzazione delle porte e dei serramenti ed è gestibile anche da
scenari automatici.
x
Automazione – Finestre, porte-finestre, oscuramenti: è gestita dall’impianto domotico, in
quanto deve permettere l’apertura, chiusura e regolazione all’utente, in forma completamente
autonoma, in tutti gli ambienti della casa. È prevista, in alcuni casi, la motorizzazione degli
stessi ed è gestibile anche da scenari automatici.
x
Automazione – Letto motorizzato (se presente): si deve prevedere di interfacciare all’impianto
domotico la centralina dedicata alle movimentazioni del letto, con un comando vocale (od
analogo comando di cui ci sia piena possibilità di uso da parte dell’utente disabile) per ogni
comando disponibile sulla pulsantiera manuale in dotazione. Viene così consentito di variare
la posizione di decubito, indipendentemente dalla presenza di famigliari/badanti, anche e
soprattutto durante le ore notturne.
x
Comunicazione – Videocitofonia: il videocitofono deve essere anche gestito dal sistema
domotico, per cui l’utente disabile può, anche lettizzato, essere avvisato della chiamata
dall’esterno e verificare l’identità dei visitatori, sugli ulteriori sistemi di visualizzazione
collegati all’impianto domotico (TV, smartphone, ecc.), operando gli opportuni comandi di
apertura.
x
Comunicazione – Telefonia: l’installazione di sistemi particolari di comunicazione (tipo VOIP),
oltre all’interfacciamento con le linea di telefonia fissa, può permettere all’utente, anche se
lettizzato, di video comunicare con l’esterno (esempio, con il proprio medico, famigliari assenti
e/o lontani, conoscenti). L’eventuale presenza di cablaggio strutturato permette
l’interfacciamento con eventuali apparecchiature/apparati destinati alla telemedicina.
x
Sicurezza ambientale – Allarmi tecnici: sono previsti allarmi per il controllo automatico delle
anomalie della casa (sensori allagamento - sensori fuga di gas – sensori antincendio).
x
Sicurezza ambientale – Antintrusione: l’impianto antintrusione esterno/interno, integrato con
impianto di videosorveglianza, in quanto interfacciato con sistema domotico, è gestibile con le
normali interfacce di comando ed è verificabile anche da remoto.
x
Sicurezza della persona – Sensori di rilevamento presenza: utilizzabili dall’impianto domotico
per consentire automazioni in genere (aperture di porte al passaggio, accensione di luci),
nonché per il controllo delle intrusioni e la verifica di situazioni di allarme (abbinati a sensori di
movimento, a timer, a sistemi di ascolto ambientale, possono rilevare la situazione di una
persona, caduta per un malore o uno svenimento, o che non si è alzata dal letto entro un
determinato orario, la mattina, ed inviare opportune segnalazioni d’allarme, anche telefoniche
o tramite sms, a famigliari o centri di ascolto preposti).
x
Sicurezza della persona – Videosorveglianza interna: l’impianto di videosorveglianza interna,
interfacciato con sistema domotico, permette un controllo dei locali dove non si è presenti,
274
anche da remoto, ed è impiegabile anche per la videocomunicazione e per il controllo
dall’esterno da parte di famigliari, ecc...
x
Sicurezza della persona – Automazione chiamate di emergenza: è possibile integrare nel
sistema domotico la programmazione di un combinatore telefonico per consentire la
trasmissione e la ricezione automatica di messaggi SMS, nonché l’automazione di chiamate
di emergenza su eventi critici.
Arrivati a questo punto, consapevoli della propria limitatezza e lungi dall’aver definito una
elencazione completa di caratteristiche usufruibili in un impianto domotico, dobbiamo anche
mettere in risalto altre peculiarità che derivano in cascata quali, fondamentalmente: risparmio di
energia, semplificazione nella progettazione, installazione, manutenzione e utilizzo della
tecnologia, riduzione dei costi di gestione.
Se poi le soluzioni tecnologiche adottate per la realizzazione di un sistema domotico sono
caratterizzate da peculiarità d'uso proprie dei normali oggetti domestici, quali semplicità, stabilità di
funzionamento, affidabilità, basso costo, automazione e semplificazione di ripetitive azioni
quotidiane, allora lo scopo è stato raggiunto, ricordando che non tutta la progettazione deve essere
attuata in tempi stretti, bensì la possibilità di step by step (di scalabilità di esecuzione dell’impianto)
consente di implementare le prestazioni previste nel tempo, poco alla volta, partendo da quelle
ritenute essenziali, con ovvia rateizzazione dei costi totali.
La domotica è un po’ tutta qui, niente di particolarmente difficile da “ intendere e volere”. Al centro,
comunque, è necessario mettere sempre la persona, facendo in modo di costruire quel rapporto di
conoscenza, di fiducia e di amicizia che permette di riuscire a calarsi nelle difficoltà e possibilità
concesse al singolo per riuscire a farlo interfacciare con il sistema e così utilizzare tutte le
tecnologie disponibili.
Il futuro
I numeri della disabilità sono impressionanti (anche solo facendo riferimento a statistiche ormai
datate). L’ulteriore preoccupazione nasce dalla aumentata aspettativa di vita: STIAMO
INVECCHIANDO e, se saremo fortunati, col progredire dell’età, diventeremo però tutti un po’
disabili…
Se è pur vero che siamo tutti felici di invecchiare senza problemi, è anche vero che purtroppo il
nostro corpo, come una normale vettura o organo meccanico, è soggetto ad usura più o meno
pronunciata.
Le conseguenze derivanti dall’impossibilità di svolgere autonomamente attività che hanno da
sempre costituito la quotidianità di un individuo condizionano la vita di una persona e,
generalmente dell’intera famiglia, non solo dal punto di vista economico. Da tali condizioni di vita,
infatti, può derivare una profonda perdita di autostima, che alle già gravi problematiche legate alla
275
fisicità aggiunge turbe psicologiche e stati depressivi, rendendo così più lungo e complesso il
processo riabilitativo, ove possibile. E questo vale sia per il disabile che per l’anziano.
Il problema
x
Oltre noi, dopo di noi…
Per chi disabile lo è già (o lo è diventato), fin quando c’è la famiglia che fa da supporto,
limitando quelle che sono le carenze dell’assistenza pubblica e/o volontaristica, “problemi non
ce ne sono” – lo dico ovviamente tra virgolette, in quanto dietro l’angolo ci sono tutte le
normali preoccupazioni di qualsiasi buon padre di famiglia (l’aspetto affettivo, economico,
ecc.).
x Le scelte del settore pubblico, orientato al sociale
Richiamo quello che è emerso ultimamente durante i vari seminari e convegni a cui ho
partecipato o i contatti con le istituzioni pubbliche, ma anche le fondazioni, gli istituti autonomi
per la costruzione di edilizia residenziale, le imprese private.
Non è più così facile ipotizzare il supporto pubblico nelle RSA o nei luoghi predisposti all’uopo
(sempre più costosi ed economicamente insostenibili). I numeri in aumento delle persone da
assistere non lo permetteranno.
x Il volontariato
Non riusciremo a far tutto con il volontariato (sempre più disponibile in numero ma, ahimè, a
sua volta sempre più anziano), occorre ridimensionare i tempi e la frequenza di copertura
degli intervalli dedicati alle persone con disabilità: meno tempo a disposizione di ognuno, nel
totale del tempo riuscire a visitare più persone.
Occorre fin d’ora prevedere altre possibilità, che si ritiene possano essere messe a disposizione
delle persone che, per un motivo o per l’altro, devono confrontarsi con handicap motori di vario
genere: già in altri paesi europei si punta (oltre noi e dopo di noi, ma anche per noi) sulla
microresidenzialità assistita, su appartamenti protetti o destinati alla realizzazione di interventi di
sollievo, dove l’ausilio tecnologico è sfruttato a fondo.
La sfida
Da noi questo ancora non avviene: come al solito non si riesce a guardare al di là del proprio
naso… Se questo non è un paese per vecchi, si sta però avviando a divenire un paese di vecchi….
Ma quando ci decideremo ad incominciare a valutare attentamente quello che ci aspetta, appena
dietro l’angolo?
276
Noi, voi, le vostre associazioni, tutti insieme dobbiamo fare in modo di sfruttare a nostro favore
quanto la tecnologia ci offre e che tutto ciò (che noi dobbiamo ben conoscere) venga il più in fretta
possibile utilizzato da chi gestisce, in parte, il nostro futuro. Dovremmo fare in modo che la
predisposizione dell’utilizzo della tecnologia (intesa come progettazione e realizzazione di
canalizzazioni, vani tecnici, scatole di derivazione e incassi finali - in pratica la struttura fisica di
base del sistema domotico), nel corso della costruzione delle nuove case, diventi obbligatoria,
permettendo in un secondo tempo, anche a distanza di anni, di agire sull’impianto senza elevati
costi di intervento.
Non possiamo negare che ultimamente qualcosa si è mosso: per quanto riguarda la certificazione
degli impianti elettrici, da settembre dell’anno scorso è entrata in vigore la Variante V3 della Norma
Italiana CEI 64-8 ”Impianti elettrici….”, dove sono riportate importanti novità. In particolare,
nell’allegato A, il livello prestazionale 3, oltre alle dotazioni previste, considera l’esecuzione
dell’impianto con integrazione domotica e, per essere considerato domotico, deve gestire come
minimo quattro delle seguenti funzioni:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
anti intrusione;
controllo carichi;
gestione comando luci;
gestione temperatura (se non è prevista una gestione separata );
gestione scenari (tapparelle, ecc,);
controllo remoto;
sistema diffusione sonora;
rilevazione incendio (UNI 9795) se non è prevista gestione separata;
sistema antiallagamento e/o rilevazione gas.
La Dichiarazione di Conformità alla Norma 64-8 rilasciata dall’installatore al proprietario dell’unità
immobiliare dovrà segnalare anche il livello prestazionale e di fruibilità dell’impianto e,
evidentemente, come nel caso della certificazione energetica, il valore commerciale dell’unità
immobiliare aumenterà all’aumentare del livello prestazionale dichiarato. Ma ciò non basta…
Esistono leggi statali e regionali per il superamento delle barriere architettoniche e la dotazione di
ausili tecnologici che non sono a conoscenza di tutti, ancorché limitate nella dotazione di fondi:
devono essere comunque sempre sfruttate nella loro completezza.
Sto parlando di tecnologia, a volte di alta tecnologia, scoperta quotidianamente con stupore e
meraviglia, anche attraverso le nuove metodologie di ricerca disponibili tramite il web, e poi,
periodicamente, come membro della commissione barriere architettoniche dell’Ordine degli
Ingegneri della Provincia di Bergamo (attiva nel campo della formazione per il superamento delle
barriere architettoniche previsto da leggi statali e regionali), a distanza di anni dall’approvazione
delle leggi inerenti, mi trovo a dovermi confrontare con casi in cui le più basilari norme di
progettazione e realizzazione non vengono tenute in conto (ancora su elementari componenti
architettoniche, quali dislivelli, gradini, scivoli!), con interpretazioni stiracchiate che tengono solo
conto di sfruttamento massimo di superfici e volumetrie.
277
Rimango ancora sorpreso, incredulo, deluso, tutto questo con buona pace dell’interazione con una
tapparella…
Anche il mio piccolo contributo vuole essere una goccia…
278
Conclusioni
I contributi presentati in questo volume credo che possano pienamente confermare l’esigenza di
promuovere una approfondita riflessione sulle GCA.
Esse rappresentano una delle maggiori cause di disabilità acquisita e, come si evince dai dati
epidemiologici presentati, il peso sanitario, sociale ed economico di queste disabilità ha una
notevole rilevanza sia, come nel caso dei TCE, per la giovane età della maggioranza dei pazienti,
sia per le gravi ripercussioni che si hanno sui componenti del nucleo familiare.
L’approccio di intervento deve necessariamente essere di rete, nel senso di équipe multiprofessionali che dialogano con un linguaggio comune e condiviso, ma anche di organizzazione
integrata tra ospedale e territorio, nelle varie componenti che, come emerge dai numerosi ed
interessanti contributi di questo lavoro, devono contribuire al raggiungimento della miglior qualità di
vita possibile per il paziente colpito da GCA.
L’ASL di Bergamo è chiamata a rispondere ai bisogni sempre più complessi, espressi da una parte
della popolazione, che richiedono, da un lato, un intervento riabilitativo precoce e globale
mirato al recupero cognitivo del soggetto, dall’altro un progetto di integrazione che preveda la
costruzione di una rete con le risorse del territorio.
Un ulteriore aspetto importante riguarda anche il ruolo che dovrebbero assumere le strutture
sanitarie al momento della prima comunicazione alla famiglia della presenza di una danno
permanente. I diversi interventi hanno infatti fatto emergere la disponibilità di elevati livelli di
competenza e professionalità, soprattutto per gli aspetti clinici, ma anche elementi di
disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle informazioni ricevute al momento delle
dimissioni. La 2° Conferenza Nazionale di Consenso di Verona, già nel Giugno 2005, ribadiva la
necessità di favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti e dare ulteriore
sviluppo alla integrazione socio-sanitaria. Era ritenuto altresì opportuno sostenere i servizi
domiciliari attraverso programmi di supporto alla persona e sviluppare programmi assistenziali
individualizzati con standard minimi garantiti. La stessa Conferenza invitava le Regioni a un
potenziamento delle strutture basato sui dati epidemiologi locali.
Oggi possiamo affermare che è su queste linee che l’ASL di Bergamo si sta muovendo, rilanciando
il proprio ruolo programmatorio e di accompagnamento dei servizi e cercando di potenziare il più
possibile, come da indicazioni regionali, la domiciliarità e i progetti integrati.
L’azione di regia e di sviluppo di risposte adeguate, da parte dell’ASL di Bergamo, è sostenuta
anche attraverso la costituzione di un Osservatorio socio-sanitario con la funzione di analizzare ed
integrare dati sanitari e socio-sanitari. Tra gli elementi fondanti si è sviluppata una Anagrafe della
Disabilità, di cui la ricerca epidemiologica presentata in questo volume è uno dei primi e più
importanti risultati.
Il Direttore Sociale dell’Asl di Bergamo
Francesco Locati
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Finito di stampare nel mese di Giugno 2012
da Presservice 80 s.r.l. - Seriate (BG)
Settore Politiche Sociali e Salute
I QUADERNI DI RISORSE
DI
SA
BI
LI
TÀ
LA DISABILITÀ
DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE
IN PROVINCIA DI BERGAMO
AR
EA
LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO
PROVINCIA DI BERGAMO
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la disabilità da gravi cerebrolesioni acquisite in provincia di bergamo