Settore Politiche Sociali e Salute I QUADERNI DI RISORSE DI SA BI LI TÀ LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO AR EA LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO PROVINCIA DI BERGAMO I QUADERNI DI RISORSE LA DISABILITA’ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO. Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita: dalle Consensus Conference alla programmazione socio-sanitaria sul territorio PROVINCIA DI BERGAMO Settore Politiche Sociali e Salute I QUADERNI DI RISORSE LA DISABILITA’ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO. Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita: dalle Consensus Conference alla programmazione socio-sanitaria sul territorio a cura di Silvano Gherardi, Michela Persico Gennaro Esposito, Albero Zucchi Si ringrazia per la collaborazione: Realizzazione: Provincia di Bergamo Settore Politiche Sociali e Salute Via Camozzi, 95 Passaggio Canonici Lateranensi 10 - Bergamo Tel. 035.387652 – Fax 035.387695 E-mail: [email protected] Sito Internet: www.provincia.bergamo.it Coordinamento editoriale e curatela: Silvano Gherardi, Michela Persico, Gennaro Esposito, Alberto Zucchi Si ringraziano per i preziosi contributi: Antonio De Tanti, Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini, Alberto Zucchi, Gennaro Esposito, Simona Colpani, Giovanni Melizza, Lorella Algeri, Maria Grazia Inzaghi, Cooperativa Progettazione, Fulvio De Nigris, Paola Dellera, Carlo Viganò Immagine di copertina: Dipinto di Antonio De Santis Presentazione Questa pubblicazione è, in ordine temporale, l’ultimo prodotto delle numerose iniziative del Tavolo Provinciale della grave cerebrolesione acquisita e trauma vertebromidollare e deve la sua nascita alla necessità ed al desiderio di rendere pubblici dati che, per tutti coloro che rivestono ruoli di programmazione sociale, sono indispensabili. I risultati ed i contenuti presentati sono stati resi possibili proprio grazie al Tavolo provinciale, costituitosi presso il Settore Politiche Sociali e Salute, che ha consentito ai suoi componenti di trovarsi, raccontarsi e condividere bisogni, conoscenze e strumenti differenti. Le associazioni familiari hanno raccontato, con la passionalità del vissuto, l’incertezza del futuro delle persone che, una volta dimesse dall’ospedale, sono tornate a vivere la loro “nuova vita” in famiglia. Il racconto, da parte di tanti associati, di mesi e di anni di solitudine senza sapere da chi farsi ascoltare, fa presupporre che tra le persone dimesse tante versino - insieme alle loro famiglie - ancora in condizione di grave bisogno e solitudine. I rappresentanti dell’ASL hanno dato la disponibilità ad accedere agli archivi interni per costruire un quadro epidemiologico delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite. La Cooperativa Progettazione ha partecipato ai lavori del Tavolo che ha evidenziato la necessità di conoscere quante persone effettivamente potrebbero avere bisogno di servizi perché, a fronte di questo dato, gli Enti locali potrebbero consapevolmente attivarsi. La stessa cooperazione potrebbe offrire personale qualificato in numero adeguato. Servizi costruiti e pensati specificamente per le persone con disabilità acquisita sono rari in provincia. Altrettanto rari sono professionisti che operano con persone con disabilità e che hanno tra le loro competenze una conoscenza degli specifici bisogni delle persone con disabilità acquisita. Il tavolo provinciale è stato il contesto di occasione che ha permesso a tutti questi interlocutori, come si diceva, di raccontarsi reciprocamente bisogni e risorse. La Provincia ha operato una regia affinché, in linea con le proprie finalità istituzionali, potesse favorire il rendere visibile e spronare ad una presa in carico di una problematica sociale tutt’ora poco considerata e presente se non per una ristretta cerchia di addetti al lavoro che, in realtà, per l’elevata competenza, hanno portato la nostra provincia ad essere uno dei fiori all’occhiello a livello nazionale e non solo. Crediamo che questo ultimo tassello possa raccontare l’alto valore professionale di tutti i componenti del Tavolo provinciale e delle Istituzioni bergamasche e contestualmente aggiungervi valore, perché questa pubblicazione è portatrice di un risultato unico in Italia che potrebbe divenire esempio per altre Provincie, Regioni od Ospedali. L’Assessore alle Politiche Sociali e Salute Domenico Belloli Il Presidente della Provincia Ettore Pirovano I Introduzione Questa pubblicazione è il frutto di un notevole impegno, profuso dagli Autori, in relazione ad un problema emergente nella società attuale. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite costituiscono infatti un tema di particolare rilevanza per l’intera popolazione. Il volume testimonia l’intensa collaborazione tra la Provincia di Bergamo, la cui sensibilità in questi ultimi anni si è tradotta in una forte e concreta azione verso questa problematica, e l’ASL di Bergamo, che con i propri professionisti ha supportato con soddisfazione questo percorso. Il quadro di transizione epidemiologica e demografica mostra un continuo innalzarsi dell’aspettativa di vita. Lo sviluppo di nuove conoscenze e avanzate tecnologie mediche consente sempre più il superamento delle fasi critiche in patologie drammaticamente acute verso un’evoluzione cronica. Assistiamo così al forte spostamento del bisogno di salute verso le malattie cronico-degenerative e le malattie stabilmente cronicizzate, con l’innesto di forte disabilità acquisita post-acuzie. Si determina tuttavia, come la nostra indagine epidemiologica sulla provincia di Bergamo ha dimostrato, rilevando ben 3300 pazienti all’anno colpiti da una GCA, un forte impatto, come carico di patologia, sull’intero sistema di welfare, per gli aspetti economici, ma soprattutto per quelli sociali e familiari. Il tema approfondito in questo volume rappresenta dunque quasi un paradigma delle complessità emergenti fra bisogno sanitario e bisogno sociale di paziente, care giver e famiglia. Le problematiche che insorgono a seguito di un evento drammatico come l’essere colpito da una GCA sono complesse e su differenti livelli. Sono problemi di tipo fisico, cognitivo ed emotivo, con i correlati personali, familiari e sociali. I servizi socio-sanitari con gli Ambiti Territoriali sono chiamati a sviluppare, in un percorso di rete, maggiore adeguatezza ed efficacia per garantire le crescenti richieste della popolazione, anche se non aiutano le difficoltà che stiamo vivendo, in questi anni, per la riduzione delle risorse disponibili. Dai contributi del lavoro presentato, emerge anche il vissuto di solitudine che le famiglie riportano; la costituzione di una rete più efficace tra i servizi esistenti diventa allora non solo importante, ma indispensabile. Si propongono per ciò, come temi focali di ordine strategico, l’integrazione degli elementi legati a complessità clinica, fragilità e disabilità e, inevitabilmente, a continuità assistenziale. L’esperienza di questa pubblicazione è dunque positivamente emblematica della possibilità di fondare una programmazione forte, volta all’integrazione dei percorsi, sulla base di metodologie solide e di evidenze scientifiche, congiuntamente alla capacità di lavorare insieme, nel rispetto delle specifiche competenze. Direttore Generale dell’ASL di Bergamo Mara Azzi II INDICE PRESENTAZIONE ……...........................................................................................................................…. I Domenico Belloli, Ettore Pirovano INTRODUZIONE ……...............................................................................................................................…. II Mara Azzi LA DISABILITÀ ACQUISITA DA GRAVI CEREBROLESIONI: UN QUADRO COMPLESSO ……....... p. 1 Antonio De Tanti LE GRAVI CEREBROLESIONI ………................................................................................................... p. 17 Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini EPIDEMIOLOGIA DELLE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO .. p. 41 Alberto Zucchi, Gennaro Esposito IL TAVOLO DELLA PROVINCIA SULLE GRAVI CEREBROLESIONI: UNO SPAZIO DI INTERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO ……................................................ p. 138 Simona Colpani, Silvano Gherardi NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DELLA CONTINUITÀ ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA ....................................................... p. 151 Giovanni Melizza, Lorella Algeri LA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA: DALLA CONSENSUS CONFERENCE DI SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI … p. 167 Maria Grazia Inzaghi, Lorella Algeri IDENTITÀ E DINAMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER E LA QUALITÀ DELLA VITA DELLA FAMIGLIA ………...................................................................................................................... p. 195 Gennaro Esposito ATTIVITÀ ED ESPERIENZE DI UNA COOPERATIVA SOCIALE. ASPETTI SOCIOLOGICI RELATIVI A PAZIENTE, FAMIGLIA E CARE GIVER: SUPPORTO, DINAMICHE DI QUALITÀ DI VITA, REINTEGRAZIONE SOCIALE E LAVORATIVA, RETI DI SUPPORTO FORMALI E INFORMALI …............................................................................................................ p. 231 Cooperativa Progettazione IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI PER USCIRE DAL COMA E RIENTRARE NELLA VITA .......................................................................................... p. 248 Fulvio De Nigris IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI .. p. 262 Paola Dellera LA DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’INTERAZIONE CON UNA TAPPARELLA… p. 267 Carlo Viganò CONCLUSIONI …….............................................................................................................................. p. 279 Francesco Locati LA DISABILITÀ ACQUISITA DA GRAVI CEREBROLESIONI: UN QUADRO COMPLESSO Antonio De Tanti1 Premessa Per «Grave Cerebrolesione Acquisita» (GCA) si intende una patologia cerebrale acuta che provoca stato di coma documentato da Glasgow Coma Scale (GCS) < 8 per una durata superiore alle 24 ore. Le GCA, sono principalmente rappresentate da traumi cranioencefalici (TCE), patologie cerebrovascolari (emorragiche o ischemiche) ed encefalopatie post-anossiche; nel loro insieme costituiscono una della più importanti cause di severa disabilità acquisita nel mondo occidentale, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano individuale, economico, della programmazione sanitaria, del potenziale impatto sulla società che è chiamata a riaccogliere queste persone, con le loro fragilità residue. Proprio la compromissione dello stato di coscienza costituisce nel contempo un indice di gravità, la causa di ulteriori danni secondari sia a livello cerebrale che a carico di tutto l’organismo e un indice di severità prognostica: quanto maggiore è il periodo di alterazione della coscienza, tanto più importante sarà il livello atteso di disabilità residua. I nostri pazienti sono quasi sempre persone con quadri clinici molto complessi in cui menomazioni di carattere sensori-motorio, cognitivo e comportamentale interagiscono tra di loro in modo tale che la disabilità finale risulta spesso superiore e più severa di quanto ci si potrebbe attendere dalla semplice somma delle singole componenti. Nella maggior parte dei casi devono affrontare una lunga storia di cura che parte dal luogo del primo soccorso, passa poi per i reparti di terapia intensiva, dove si gioca, per giorni e settimane, la scommessa tra la vita e la morte. Dopo un intervallo di tempo, che oscilla in Italia da poche settimane a uno, due mesi, i malati vengono trasferiti nei reparti di riabilitazione intensiva, spesso per un numero elevato di mesi, con il fine di acquisire la stabilizzazione delle condizioni generali, il recupero nell’autonomia delle funzioni vitali di base con la svezzamento da tutti i presidi invasivi, di perseguire il maggior ripristino intrinseco possibile delle funzioni compromesse e di raggiungere un livello di autonomia, almeno nelle attività di base della vita quotidiana, anche ricorrendo a tutte le strategie disponibili di recupero adattativo. A questo punto, se il livello di guarigione lo permette, inizia per molte persone una fase ancora più lunga e complicata, dedicata alla ricostruzione delle competenze più complesse, quelle che consentono il pieno recupero dell’individuo e il suo reinserimento nel contesto di vita familiare, 1 Fisiatra, Direttore Scientifico del Centro Card. Ferrari - Santo Stefano Riabilitazione Fontanellato (PR); Membro del Comitato Promotore della Conferenza Nazionale di Consenso e Coordinatore del Gruppo 2 della Conferenza 1 sociale e lavorativo nelle migliori condizioni di autonomia possibili e compatibili con le disabilità residue. A fronte di bisogni così articolati l’unica risposta efficace è quella di organizzare una filiera di cura strutturata a livello istituzionale, che consenta il passaggio programmato e tempestivo tra i vari setting di cura, liberando i familiari dall’onere di organizzare in autonomia (o meglio in solitudine) la successione delle fasi di riabilitazione. Tutti i nodi della rete di cura devono disporre di un team molto articolato di professionisti esperti, che condividono la filosofia riabilitativa di base e interagiscono in stretta collaborazione reciproca nella costruzione e realizzazione del progetto riabilitativo individuale, prodotto su misura, per e con il singolo paziente. Il team interprofessionale e multidisciplinare, deve conoscere in modo approfondito protocolli di cura basati sulle evidenze scientifiche ed essere in grado di tradurli in progetti riabilitativi individualizzati per il singolo paziente, realizzabili mediante programmi riabilitativi costantemente aggiornati in rapporto all’evoluzione clinica e alle caratteristiche del contesto ambientale in cui il soggetto sarà reinserito. La buona formalizzazione e la tempestività degli interventi riabilitativi costituiscono infatti, di per sé, una variabile significativa, predittiva di miglior recupero (Mac Kay, 1992). Sempre più nel team sono inclusi, come attori a pieno titolo, il paziente stesso e i suoi familiari di riferimento: entrambi sono chiamati a svolgere il doppio ruolo di essere oggetto di cura e attivi registi nella conduzione del progetto riabilitativo. La fragilità, che purtroppo caratterizza entrambi, non deve essere motivo per escluderli dal loro diritto di autodeterminazione, così come non può che essere loro il giudizio finale circa il grado di soddisfazione e di gradimento di quanto è stato fatto. In questo capitolo introduttivo cercheremo di delineare a grandi linee quali sono le dimensioni e le caratteristiche principali del fenomeno “Grave Cerebrolesione Acquisita”, quali le maggiori criticità a cui la ricerca biomedica non è ancora in grado di dare risposte esaustive con riferimento al tema principale che resta il problema del recupero della coscienza. Siamo fermamente convinti che in questo dominio del sapere la cultura medica e riabilitativa italiana abbia saputo fornire modelli teorici e operativi molto avanzati, solidamente fondati sui dati di evidenza quando disponibili, ampiamente condivisi dagli operatori coinvolti, mediante percorsi strutturati di ricerca del consenso, di formazione capillare dei membri dei team, di costante ricerca di momenti di confronto tra sanitari, operatori sociali, amministratori e programmatori della cosa pubblica, mondo del volontariato e dell’associazionismo. Siamo ora chiamati a dimostrare la nostra reale capacità di implementazione locale e di costante approfondimento di quanto è stato formalmente deciso e concordato nel corso delle tre Conferenze Nazionali di Consenso su TCE e GCA che sono state celebrate dal 2000 in poi nel nostro paese. Sappiamo che è questa la fase più delicata di ogni CC, poiché le conclusioni della Giuria non hanno, di per sé, valore vincolante ed è precisa responsabilità di tutti coloro che vi hanno partecipato, usare la propria autorevolezza e onestà intellettuale nel concorrere per farle recepire nel sistema di regole che governano l’organizzazione sanitaria e renderle pratica clinica quotidiana. A queste tematiche sono dedicati 2 gli approfondimenti contenuti nei capitoli che seguono, con particolare attenzione alla realtà del territorio della provincia di Bergamo che per la seconda volta ci ospita, dimostrando grande attenzione a tematiche così importanti. Epidemiologia delle GCA Per quanto concerne i TCE nei Paesi sviluppati, l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi che si verificano nella popolazione di una determinata area geografica in un certo periodo di tempo, è stimata in un range di 180-250 nuovi casi anno ogni 100.000 abitanti in studi su popolazioni nordamericane, canadesi e australiane, con una frequenza di gravi traumi stimata tra 6 e 17 su 100.000 individui (Bruns e Hauser, 2003). I dati europei non sono significativamente differenti (150-300 nuovi casi annui di ricoveri ogni 100.000 abitanti, con gravi traumi in 8,5 su 100.000 individui) (Masson et al, 2003). Relativamente all’Italia, ad oggi non esistono studi epidemiologici di incidenza dei traumi su tutto il territorio nazionale. I dati disponibili si riferiscono a uno studio population-based realizzato in Romagna (Servadei et al, 2002) da cui risulta una incidenza di 250/100.000 abitanti. I quadri più severi si sono verificati in 11/100.000 abitanti e di queste GCA solo 5-6/100.000 necessiteranno di programmi di riabilitazione intensiva. Nel TCE i soggetti di sesso maschile hanno una probabilità di subire un trauma nettamente superiore rispetto a quelli di sesso femminile, con un rapporto che oscilla da 3:1(Bruns e Hauser, 2003) a 2:1. Tale sproporzione è massima nella fascia di popolazione di età compresa fra 10-19 anni, la stessa in cui il TCE è la principale causa di morte nel mondo occidentale, e tende ad annullarsi nelle popolazioni di età più avanzata. Rispetto alle GCA non traumatiche, i dati epidemiologici risultano ancora più difficili da reperire. Per quanto riguarda le forme emorragiche, il valore attualmente atteso in Italia, in base ai principali studi epidemiologici disponibili, è di 43-58 nuovi casi di primo ictus emorragico per 100.000 abitanti all’anno (Di Carlo et al, 2003), di cui solo una percentuale minore risponde ai criteri di GCA. Non sono note stime di incidenza delle GCA di origine ischemica, che comprendono solo una piccola quota degli ictus ischemici, quali, per esempio le ischemie troncoencefaliche come la Locked-in Syndrome. Le GCA secondarie a encefalopatia anossica, prevalentemente dovuta ad arresto cardiaco ripreso mediante defibrillatore e manovre rianimatorie prolungate, sono in continuo aumento e costituiscono attualmente causa prevalente degli stati vegetativi persistenti a lungo termine e delle più severe disabilità residue. Elementi di particolare interesse per l’attuale trattazione sono deducibili dall’indagine condotta dal Gruppo Italiano per lo Studio delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite e Riabilitazione (GISCAR) (Zampolini et al, 2012), che ha analizzato i percorsi riabilitativi di un vasto campione di circa 2.600 GCA, reclutati in 52 centri del territorio nazionale nel biennio 2001-2003. Non si può parlare in questo caso di dati di incidenza in senso generale, quanto piuttosto di analisi della 3 sottopopolazione dei soggetti che accedono a percorsi riabilitativi nella rete italiana dei centri di alta specialità per le GCA. In anni più recenti è stato attivato, grazie ad un progetto finalizzato del Ministero della Salute, un registro nazionale per le GCA di cui, ad oggi, sono stati resi noti i dati di attività relativamente al periodo giugno 2008 – aprile 2011, con un totale di 1400 pazienti reclutati in 26 Centri riabilitativi, in fase di primo ricovero (De Tanti et al, 2011) Dal confronto tra i dati riportati nei due studi emergono informazioni di grande interesse circa l’evoluzione che si è venuta realizzando in Italia, nell’arco di 5-7 anni, rispetto alla composizione degli utenti che afferiscono ai nostri reparti. I dati più salienti del cambiamento in corso riguardano l’eziologia e l’età media dei pazienti. Come si puo’ osservare in Tab. 1, nel primo studio veniva documentata una prevalenza delle GCA di origine traumatica, mentre nel secondo prevalgono le forme non-traumatiche. Si documenta poi un progressivo aumento dell’età media dei pazienti, indipendentemente dalla causa del danno cerebrale, pur confermandosi in entrambi gli studi una prevalenza relativa delle persone più giovani tra i TCE. GISCAR Registro Naz. TCE 58% 44% nTCE 42% 56% TCE età 29 44 nTCE età 55 57 Tab. 1 Eziologia ed età media Le cause di questo cambiamento documentato dai due studi sono probabilmente molteplici e includono da un lato l’aumento generale dell’età media della popolazione italiana, con il conseguente aumento delle malattie cerebrovascolari e l’aumentato tasso di incidenza dei pazienti più gravi grazie alla maggior efficienza della rete sanitaria in toto; dall’altro lato sono in fase di riduzione i traumi cranici grazie alle massicce campagne di prevenzione degli infortuni. Ad esempio l’introduzione dell’obbligatorietà per il casco nei motoveicoli ha contribuito a ridurre la mortalità e la severità degli incidenti motociclistici, con riduzione del 66% dei ricoveri di motociclisti, in seguito a trauma cranico, presso il Trauma Center di Cesena (Servadei, 2003). Si può infine ipotizzare che l’aumentata disponibilità di posti letto dedicata alle GCA sul territorio nazionale abbia contribuito a ridurre il bias di selezione negativa nei confronti dei pazienti meno giovani e non traumatici, che fino a qualche anno fa trovavano maggior difficoltà di accesso ai nostro reparti. Come si vedrà in seguito il cambiamento nella composizione della popolazione di soggetti che con GCA che afferiscono ai reparti di riabilitazione intensiva ha delle conseguenze pratiche importanti sul piano della programmazione sanitaria e socio-assitenziale perché entrambi i fattori (età ed eziologia) sono prognosticamente significativi. In Tab. 2 sono riportate le percentuali delle diverse cause di TCE severo documentate nello studio GISCAR, da cui emerge che gli incidenti stradali restano in assoluto la causa principale di trauma cranico in Italia. 4 Eziologia trauma Incidente stradale Cadute Sport/tempo libero Altro Tentativi suicidi % 79.26 13.80 3.12 1.90 1.00 Violenza 0.89 Tab. 2 Studio GISCAR: causa di TCE Non sono attualmente disponibili informazioni precise sulla prevalenza delle GCA in Italia, ovvero sul numero di soggetti sopravvissuti con vario grado di disabilità e abitanti in una determinata area geografica nel momento della rilevazione dei dati. Nel Regno Unito si stima che la percentuale di sopravvissuti disabili a TCE sia di 100-150 per 100.000 abitanti. Tale percentuale viene invece stimata intorno a 54/100.000 in uno studio canadese di prevalenza (Pickett et al, 2001). Negli Stati Uniti i Centers for Disease Control (CDC) hanno calcolato che il 2% della intera popolazione vive con un qualche forma di disabilità secondaria a TCE. In uno studio, realizzato mediante interviste postali ai Medici di Medicina Generale di una regione del Belgio, le Fiandre, sono risultati 72 casi di soggetti disabili per TCE per 100.000 abitanti (Lannoo et al, 2004). I dati per le forme non traumatiche sono ancora meno conosciuti. Nel nostro paese si può stimare una prevalenza di un numero variabile tra 300 e 800 casi di GCA/100.000 abitanti ma solo una piccola parte di queste dovrebbero appartenere alla categoria dei “gravi-gravissimi”. Occorre però considerare il rischio di sottostimare il numero reale delle persone con grave disabilità per la possibilità che non si riesca ad intercettare tutti i casi esistenti, soprattutto se sono gestiti a domicilio, direttamente dal nucleo familiare di appartenenza. (Apolone et al, 2006). Il disturbo di coscienza La protratta alterazione dello stato di coscienza costituisce l’elemento caratterizzante e unificante tutte le forme di GCA, almeno nel loro decorso all’esordio: risulta quindi essenziale che tutto il team conosca gli elementi clinici distintivi delle diverse forme di deficit della coscienza, sia in grado di porre una corretta diagnosi differenziale con quadri clinici solo apparentemente simili e utilizzi la terminologia attualmente condivisa da tutta la comunità scientifica. In accordo con gli attuali criteri classificativi si riconoscono tre distinte condizioni di alterazione della coscienza in corso di GCA. 5 Classificazione e valutazione - - Il coma, è la condizione clinica caratterizzata da assenza di apertura degli occhi, mancanza di contenuti dimostrabili di coscienza e di produzione verbale comprensibile (GCS<8) (Jennet, 2002). La sopravvivenza per un periodo superiore a un mese è eccezionale nel coma non traumatico (Levy et al, 1981). Lo stato vegetativo (SV) è quella condizione caratterizzata da assenza di contenuti dimostrabili di coscienza di sé e dell’ambiente circostante, con conservazione delle funzioni autonomiche, con apertura degli occhi e presenza di ritmo sonno-veglia (Jennet, 1997). Lo stato di minima coscienza (SMC) è una alterazione severa della coscienza in cui siano però evidenziabili minimi ma definiti comportamenti che dimostrino coscienza di sé e dell’ambiente circostante (Giacino, 2002). Occorre porre sempre un’attenta diagnosi differenziale tra queste forme e quadri patologici in cui la gravità del deficit di attività motoria rende difficile l’esplorazione dello stato di coscienza (Mutismo Acinetico e Locked-in Syndrome. Nella Tab. 3 sono riportati i criteri neurocomportamentali distintivi di queste cinque condizioni cliniche (De Tanti, 2006). L’esame neurologico e l’applicazione periodica di scale di valutazione da parte dei componenti esperti del team riabilitativo multidisciplinare mantengono un ruolo prioritario nella diagnosi di disordini della coscienza Le scale maggiormente utilizzate sono la Disability Rating Scale (DRS) (Rappaport, 1982), la Levels of Cognitive Functioning (LCF) (Hagen, 1979), la Glasgow Outcome Scale (GOS) (Jennet, 1975) la Coma/Near Coma (CNC) (Rappaport, 1992) e la Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R) (Giacino, 2004; Lombardi, 2007). Schnakers (2009), del Coma Science Group di Liegi, ha portato l’attenzione sui limiti della valutazione clinica, trovando una percentuale di errore diagnostico di circa il 40% nei pazienti a cui era stata posta la diagnosi di SV. Proprio grazie all’applicazione sistematica della CRS-R è stato possibile ridurre sensibilmente il margine di errore rispetto alla definizione del disturbo di coscienza e molti pazienti che erano stati definiti erroneamente in SV sono stati riclassificati in SMC. Accanto alla valutazione clinica al letto del paziente e all’applicazione di scale strutturate di valutazione, vi sono indagini complementari rappresentate dalle tecniche di neuroimmagine e neurofisiologiche, che da una decina di anni sembrano evocare nuove possibilità di diagnosi differenziale e prognosi precoce rispetto ai dati clinici. La tematica è stata estesamente approfondita dal gruppo tecnico di lavoro 3 sulla “ridotta responsività” della terza Conferenza di Consenso di Salsomaggiore (Giuria 3°CC). Qui ci limitiamo a ricordare che, a differenza delle tecniche tradizionali di neuroradiologia che permettono di studiare l’anatomia del cervello, le nuove modalità di indagine consentono di studiare il “cervello in azione”, cioè di osservare le modificazioni delle regioni cerebrali a seconda del loro stato di attivazione. La fRMN (Risonanza Magnetica Funzionale) permette, attraverso le immagini, di evidenziare la risposta emodinamica, in relazione a specifiche modificazioni regionali del flusso cerebrale e del midollo spinale, ossia permette di mostrare le modificazioni dell’attività cerebrale, a cui corrisponde 6 un aumento del flusso sanguigno di una determinata area cerebrale, in rapporto all’esecuzione di compiti specifici, o comunque a sollecitazioni, a cui il paziente viene sottoposto durante l’esame. La PET (Positron Edmitting Topography) produce immagini tridimensionali o mappe dei processi funzionali che avvengono all’interno del cervello. L’applicazione di queste tecniche a pazienti con disordini di coscienza ha permesso di rivedere il concetto di abolizione di coscienza. La valutazione della percezione del dolore è stato l’approccio più rapido ed intuitivo per studiare la coscienza dei pazienti in SV. Già negli anni Novanta vengono riportate alcune segnalazioni che dimostrano che il dolore, in condizioni cerebrali fisiologiche, viene processato in multiple aree corticali e la sua percezione viene modulata da vie discendenti (Brooks, 2005). Laureys nel 2002, ha evidenziato che nei pazienti in stato vegetativo gli stimoli nocicettivi attivano la corteccia somatosensoriale primaria e il talamo, ma non le aree corticali e sottocorticali secondarie. La corteccia somatosensoriale secondaria, insulare bilaterale, parietale posteriore e cingolata anteriore non mostrano, invece, alcuna attivazione. Questo studio è stato condotto utilizzando la PET, che nei pazienti in SV ha dimostrato che vi è una riduzione del metabolismo cerebrale di oltre il 40%. Con la PET si valutava la risposta allo stimolo doloroso applicato al nervo mediano in 15 pazienti in SV ed in un gruppo corrispondente di controllo. Lo stimolo doloroso ha attivato, anche se minimamente, il talamo e la corteccia somatosensoriale primaria anche nei pazienti in SV; l’attivazione non si è poi diffusa alle aree corticali e sottocorticali secondarie. La risposta agli stimoli nocicettivi è solo distrettuale e non si diffonde attraverso le vie associative. Tale diffusione è necessaria perché la percezione diventi cosciente; ciò avviene grazie all’attivazione del circuito cortico-talamico ed aree associative corticali (Laureys, 2002). Ad analoghi risultati è giunto Kassubeck in uno studio su 7 pazienti anossici in SV (Kassubeck, 2003 in Schnakers, 2009). Al contrario Boly (2008), studiando pazienti in SMC ha documentato un’attivazione delle aree cerebrali non dissimile dalle risposte presentate dai controlli, a dimostrazione che in questi pazienti c’è un’attivazione delle aree associative, contrariamente ai pazienti in SV. Pertanto i pazienti in SMC possono provare coscienza di dolore e quindi meritano, a maggior ragione, di essere trattati con analgesici e, prima ancora, accuratamente indagati circa la presenza di sintomi sentinella di possibili stati dolorosi (De Tanti e Bertolino, 2012). Questi studi hanno dimostrato che esistono aree corticali in grado di esprimere frammenti di attività cerebrale nei pazienti con danno cerebrale acuto che pur sono ritenuti incoscienti, ma proprio la mancanza di attivazione di una vasta rete corticale che coinvolge le aree primarie e secondarie, corticali e sottocorticali non consente lo sviluppo di contenuti di coscienza. Le tecniche di neuroimmagine risultano, quindi, potenzialmente utili per migliorare le capacità diagnostiche, volte principalmente ad una corretta diagnosi differenziale fra pazienti in SV e SMC. 7 Di frequente le risposte fornite da questi pazienti, in corso di osservazione/valutazione clinica, sono ambigue; a volte è difficile discriminare fra un movimento riflesso e una risposta motoria spontanea, volontaria e ciò spiega l’alta percentuale di errori di inquadramento diagnostico. Vari studi hanno cercato di confrontare l’accuratezza diagnostica basata su osservazione clinica con quella fornita da esami strumentali evoluti. Il gruppo di Liegi ha condotto uno studio su 54 pazienti in SV e SMC (Monti, 2010). I ricercatori hanno utilizzato la fRMN ed una serie di test necessari per verificare il livello di coscienza. La fRMN è servita per documentare l’attivazione di determinate aree corticali durante l’esecuzione dei tests. Nella prima parte dell’esperimento ai pazienti è stato chiesto di immaginare di giocare a tennis o di camminare in un luogo noto, come per esempio la propria casa. L’applicazione di questi test coinvolgeva anche la sfera emotiva e cognitiva, in quanto il paziente dimostrava di capire il contenuto della richiesta che gli veniva fatta, di ricordare tale richiesta e di visualizzarla nella sua mente, cioè nel suo immaginario. Gli studiosi hanno verificato che 5 pazienti con diagnosi clinica di SV erano in grado di controllare volontariamente la loro attività cerebrale. Questi 5 pazienti erano rimasti vittima di trauma cranico. Nella seconda parte dell’esperimento si è voluto verificare se le attivazioni cerebrali ottenute nella prima parte del test potessero essere utilizzate dal paziente per comunicare una risposta di “si” o di “no”. In particolare uno di questi 5 pazienti, un ragazzo di 22 anni, precedentemente ritenuto in SV, è risultato molto reattivo ai test. Il paziente doveva immaginare di giocare a tennis nel caso volesse rispondere “si” alla domanda e di immaginare la sua abitazione se volesse rispondere “no”. Il paziente ha risposto a 5 domande su 6; ciò significa che era in grado di sentire, capire e riusciva ad immaginare sia di fare cose che di trovarsi in determinate situazioni, ma non poteva esprimersi mediante i normali canali comunicativi. Analogamente Owen (2006) descrisse il caso di un paziente considerato in SV che, sottoposto a fRMN, si è rivelato capace di rispondere mentalmente ad alcuni comandi che gli sono stati dati dagli esaminatori, dimostrando sia la presenza di attività corticale anche complessa (gli veniva chiesto di immaginare un’azione), sia la capacità di eseguire un ordine verbale e, pertanto, che il paziente non poteva, per definizione essere in SV. Anche questo lavoro dimostra l’utilità sperimentale delle tecniche di neuroimmagine come strumento efficace per comunicare con pazienti con disordini della coscienza. Tuttavia, tali metodi di indagine non sono, attualmente, proponibili su larga scala e, soprattutto, sono gravati da un numero elevato di problemi applicativi, che non consente di introdurli in uso clinico routinario (Owen, 2009, Coleman, 2009). Esiste poi ampia letteratura sull’uso di indagini neurofisiologiche (EEG, potenziali evocati somatosensoriali, potenziali evocati evento correlati) per indagare il livello di compromissione dello stato di coscienza e per ricercare indici prognostici precoci. Successivamente ai lavori della terza Conferenza Nazionale di Consenso di Salsomaggiore (Giuria 3a CC), alle cui conclusioni rimandiamo per l’analisi della letteratura esistente sul tema, è stato pubblicato un lavoro di Rosanova e coll (2012) che propongono l’utilizzo di uno stimolatore magnetico transcranico (TMS) associato ad un elettroencefalografo ad alta intensità come metodica diagnostica eseguibile al letto 8 del paziente per valutare la connettività corticale di soggetti non in grado di comunicare e con alterazione della coscienza. Gli autori sono partiti dal presupposto teorico e sperimentale che l’attività cosciente debba essere sostenuta dalla connessione rapida ed efficace di multiple aree corticali specializzate. I primi risultati presentati dagli autori sono interessanti, perché mostrano che nei soggetti in SV la TMS evoca solo risposte locali che testimoniano l’interruzione di network corticali complessi, analogamente a quanto accade in soggetti anestetizzati. Al contrario nei soggetti in SMC la TMS evoca risposte complesse che progressivamente si diffondono ad aree corticali lontane ipsi e contro laterali, analoghe a quelle documentate in soggetti sani di controllo o con Locked-in Syndrome. Al di là della possibile funzione di supporto strumentale alla diagnosi clinica, resta però ancora da dimostrare se la metodica presentata da Rosadini sia in grado di fornire elementi prognostici utili in anticipo rispetto alla clinica. Dall’analisi attenta anche della letteratura più recente viene confermata la conclusione riportata dalla giuria della Conferenza di Salsomaggiore che, ad oggi, il goal standard nella valutazione del disturbo di coscienza dei pazienti con GCA resta una accurata valutazione clinica svolta da personale specificamente addestrato, che si avvale di scale strutturate come la CRS-R. Si raccomandata che il giudizio finale non si basi su un'unica valutazione, ma su una osservazione longitudinale, meglio se eseguita da diversi operatori, così da poter cogliere la miglior prestazione possibile di pazienti che sono, per loro natura, soggetti a grandi oscillazioni, anche circadiane, del loro livello di “responsività”. Un’accurata intervista ai familiari del paziente, e il loro possibile coinvolgimento nell’analisi delle risposte comportamentali dei propri cari, può costituire un utile strumento aggiuntivo per cogliere, ad esempio, variazioni legate a stimoli con diversa valenza sul piano emotivo personale (De Tanti e Bertolino, 2012). E’ possibile promuovere il recupero della coscienza? Per favorire la ripresa del contatto con l'ambiente dei pazienti in coma/SV molti autori hanno sostenuto l'utilità di programmi riabilitativi di stimolazione sensoriale. Un tale approccio riabilitativo sarebbe supportato sia dalla dimostrazione che la deprivazione sensoriale produce negli animali perdita di funzione neurologica, come pensavano i primi autori che le hanno proposte (Le Winn e Dimancescu, 1978), sia dalle teorie sulla plasticità sinaptica (Albensi e Janigro, 2003). È necessario sottolineare però che, secondo la teoria sulla plasticità neuronale, non tutti gli stimoli sensoriali sono per propria natura positivi rispetto alla produzione di legami sinaptici stabili. Una parte delle critiche ai programmi di stimolazione sensoriale, intesi come somministrazione intensiva e contemporanea di stimoli a massima intensità applicati in successione sui recettori sensoriali (Doman et al, 1993), sono state incentrate proprio sul rischio che stimolazioni intense, prolungate e indiscriminate producano in fase iniziale un temporaneo incremento del livello di attivazione (arousal) che, di per sé, non è in grado di suscitare o incrementare possibilità di esperienza cosciente; il prolungarsi di tale stimolazione porta poi rapidamente a fenomeni di «abitudine» (o «assuefazione») psicologica al rumore di fondo (noise habituation) con corrispondente calo della capacità di elaborazione delle informazioni (Wood, 1991) Passando dal 9 piano dei modelli teorici a quello della ricerca scientifica, dalle conclusioni di una revisione sistematica della letteratura sull'efficacia delle stimolazione sensoriali per favorire il risveglio dal coma (Lombardi et al, 2002) emerge che non esiste evidenza a supporto della efficacia, ma neppure di controindicazioni, circa l’uso di programmi di stimolazione multisensoriale in pazienti in coma o SV. E’ attualmente in corso una nuova ricerca Cochrane per verificare se nel decennio trascorso dal lavoro precedente siano emersi nuovi dati significativi sul tema. Allo stato attuale delle conoscenze riteniamo che il compito del team riabilitativo, in questo ambito, sia quello di esprimere adeguata competenza nel saper cogliere e amplificare i primi segni di contatto intenzionale del paziente, rappresentati spesso da reazioni neurovegetative a stimoli emotivamente significativi e da iniziale capacità di fissazione e inseguimento visivo dell’esaminatore. Per ottenere questo risultato occorre organizzare un setting strutturato di osservazione e trattamento in cui il paziente sia posto nelle condizioni più favorevoli: in assenza di complicanze cliniche disturbanti, dopo aver contrastato e rimosso qualunque spina irritativa algogena, in postura confortevole, in condizioni di veglia e a riposo, in ambiente privo di stimoli interferenti, cercando di ridurre al minimo possibile l’effetto potenzialmente negativo di farmaci ad azione sedativa. Esiste poi una ampia letteratura sull’utilizzo di farmaci per promuovere il recupero della coscienza. Rimandando al lavoro del gruppo tecnico 3 della CC di Salsomaggiore per una analisi dettagliata dei limiti metodologici dei lavori pubblicati su questo tema fino al 2010, in questa sede ci preme ricordare come vari autori sostengano che la dopamina svolga un ruolo centrale sulla vigilanza, l’attenzione, la concentrazione, la velocità di esecuzione motoria, le abilità visuospaziali e linguistiche, la motivazione, le funzioni esecutive e sul tono dell’umore. I principali farmaci in grado di influenzare primariamente i sistemi dopaminergici sono l’amantadina, gli agonisti dopaminergici e L-dopa (Krimchansky B., et al. 2004). L’amantadina è quello che ha riscosso più successo (Patrik et al, 2003): essa agisce presinapticamente sia facilitando il rilascio della dopamina dai terminali sinaptici, sia bloccandone il reuptake incrementandone così i valori a livello sinaptico. In un lavoro di recente pubblicazione Giacino (2012) ha dimostrato un miglioramento, misurato mediante la Disability Rating Scale (DRS), di un gruppo di soggetti TCE trattati per quattro settimane con amantadina in fase precoce (4-16 settimane dal trauma) e confrontato ai soggetti trattati con placebo. Il miglioramento ottenuto andava però annullandosi a distanza di due settimane dalla sospensione del trattamento stesso e, a 6 settimane dall’inizio dello studio i due gruppi di pazienti non differivano più per punteggio alla DRS . Come si può capire anche dalle conclusioni di quest’ultimo e interessante lavoro, ancora molta ricerca deve essere sviluppata, prima di poter affermare con certezza che esistono farmaci in grado di garantire un effetto terapeutico duraturo nel promuovere recupero di coscienza in soggetti con esiti di GCA. Ciò non toglie che si possa, sul piano clinico, continuare a provare l’efficacia dei farmaci più promettenti, quali l’amantadina, nella consapevolezza però che si agisce su base empirica e utilizzando sempre farmaci of-label, ovvero al di fuori dalle indicazioni ufficialmente riconosciute. 10 Coscienza Sonno/ Attività motoria Sensibilità Comunicazione Veglia Coma Assente Assente Assente Assente Assente Stato Vegetativo (SV) Assente Presente Apertura spontanea degli occhi Movimenti riflessi/afinalistici Reazione di allerta a stimoli uditivi/visivi Assente Presente Localizzazione di stimoli nocicettivi Possibile toccare, raggiungere e tenere oggetti in modo corretto rispetto a dimensione/forma Esecuzione di ordini incostante Localizzazione della provenienza dei suoni Fissazione e inseguimento visivo conservati Produzione verbale incomprensibile (occasionali vocalizzi) Comunicazione gestuale inconsistente Presente Minimo grado di movimento e di esecuzione di ordini, dipendente dalla natura ed intensità dello stimolo Inseguimento visivo conservato Minimo grado di comunicazione verbale, dipendente dalla natura ed intensità della stimolazione Presente Quadriplegia Conservati i movimenti di verticalità degli occhi e di chiusura delle palpebre a comando Conservata Afonia/Anartria Comunicazione possibile per mezzo di movimenti oculari e apertura/chiusura palpebrale Stato di Minima Coscienza (SMC) Mutismo acinetico MA Loked-in Syndrome LYS Parziale Parziale Presente Tab. 3 Segni clinici associati agli alterati stati di coscienza. [modificato da De Tanti, 2012] Fattori prognostici e aspettative di vita Rispetto al rischio di decesso in seguito a GCA, tutti gli autori concordano sul fatto che c’è una prima fase precoce con probabilità di decesso per i pazienti con TCE, tra il 51 e il 19% (Dance et al, 1994) Dopo tale periodo le probabilità che il decesso avvenga in fase tardiva tendono a ridursi di quattro-cinque volte rispetto al periodo precedente (Jennet, 2002). Tuttavia, i dati attuali sulla mortalità in fase «tardiva» sono poco affidabili, vista l’assenza di follow up a lungo termine e il dato che le moderne tecnologie di nursing favoriscono la buona gestione a lungo termine e quindi progressivamente aumentano le aspettative di sopravvivenza anche dei più gravi. Rispetto alla prognosi dello SV, la Multy-Society Task Force (1994) ha prodotto un’esaustiva e autorevole revisione della letteratura esistente nel mondo anglosassone, riportando i dati di circa 754 casi di soggetti risultanti in SV a un mese da un insulto acuto (traumatico o non). Rispetto alla sottopopolazione dei soggetti di origine traumatica e di età adulta, la Task Force ha calcolato che la probabilità di outcome a un anno per i soggetti in SV da un mese comporta una percentuale del 11 15% di permanenza in SV; viene stimata intorno al 52% la possibilità di recupero della coscienza, che si accompagna a buon recupero di indipendenza solo nel 24% dei casi. La prognosi si fa progressivamente più severa con il trascorrere dei mesi: dopo tre mesi di SV aumenta il rischio di persistere in SV (30%) Le previsioni sono ancora più critiche per uno SV perdurante a sei mesi, con 52% di probabilità di rimanere in SV a un anno. Dalla disamina della letteratura si deve concludere che, con l’eccezione della cerebropatia anossica, in cui l’assenza bilaterale dei potenziali evocati somatosensoriali e l’assenza di reattività pupillare costituiscono indice prognostico negativo precoce (Robinson, 2003, Log, 2003, Zandbergen, 2006) non sono ad oggi disponibili indagini strumentali o indici prognostici attendibili, soprattutto in fase precoce, in grado di predire quale sarà l’outcome dei nostri pazienti (Giuria CC di Modena, 2001). Fatta questa premessa, secondo vari autori si può ritenere la prognosi di recupero migliore: 1) nei casi a eziologia traumatica rispetto a quelli di natura vascolare e anossica (MSTF, 1994); 2) per minor gravità iniziale del coma, misurato con la Glasgow Coma Scale (GCS), in particolare il sub-item motorio (Lee, 2010); 3) minor intervallo di tempo evento/ricovero riabilitativo; maggiore è il livello funzionale al ricovero (DRS) e l’entità del cambiamento funzionale (delta DRS) nelle prime 2 settimane di ricovero (White, 2005), migliore sarà la prognosi di recupero favorevole; 4) nei casi in cui vi sia stata una minor durata del periodo di non responsività (coma e SV) e di (PTA); 5) nei casi di pazienti in MCS rispetto a quelli in SV (Giacino, 2006, Taylor, 2007); 6) nei soggetti di età inferiore rispetto ai più anziani, con un’età cut-off intorno ai 40-45 anni, con l’eccezione dei primi anni di vita. I dati che abbiamo appena riportato ci impongono alcune considerazioni conclusive: a) il progressivo aumento dell’età media dei nostri pazienti e la prevalenza delle GCA non traumatiche sono due elementi indicativi di una maggior complessità clinico-assistenziale e di una peggior prognosi di recupero dei pazienti che accedono nei reparti di riabilitazione intensiva, con tutte le conseguenze organizzative, economiche e sociali che ne derivano, anche quelle a lungo termine, tanto che risulta in aumento il numero di persone con grave/gravissima disabilità residua che necessitano di accoglienza in strutture extraospedaliere ad alta valenza assistenziale, non potendo essere riaccolti a domicilio; b) la conferma del fatto che non disponiamo di indici prognostici precoci in grado di fornirci una previsione attendibile delle possibilità di recupero del singolo paziente conferma, anche sul piano etico, la raccomandazione della Giuria della prima Conferenza di Consenso di Modena, nel 2000, secondo cui occorre garantire a tutti i pazienti con GCA, salvo poche controindicazioni maggiori, almeno una prima fase di ricovero in strutture riabilitative di alta specialità, per evitare che la decisione di una prognosi precoce troppo negativa e una altrettanto prematura sospensione di terapie si traduca in una profezia negativa che si autoavvera. 12 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Albensi B.C., Janigro D., Traumatic brain injury and its effects on synaptic plasticity, 2003. 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Indicazioni e prassi per operatori e familiari, Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 124-138 Di Carlo A., Baldereschi M., Gandolfo C., Candelise L., Ghetti A., Maggi S., Scafato E., Carbonin P., Amaducci L., Inzitari D., Group I.W., Stroke in an elderly population: incidence and impact on survival and daily function. The Italian Longitudinal Study on Aging, 2003. In: Cerebrovasc Dis.; 16, pp.141-150 Doman G., Wilkinson R., Dimancescu M.D., Pelligra R., The effect of intense multisensory stimulation on coma arousal and recovery, 1993. In: Neuropsychological Rehabilitation; 3(2), pp. 203-212 13 Giacino J.T., Diagnostic and prognostic assessment pf patients in the vegetative state and minimally conscious states, 2004. In: L’Arco di Giano; Supplemento al n 39, pp. 71-75 Giacino J.Y. et al., The minimally conscious state. Definition and diagnostic criteria, 2002. 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L’inquadramento nosologico delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite è caratterizzato da una comune gravità delle fasi iniziali (stato di coma) ma presenta una evoluzione tale da dar luogo a una molteplicità di sindromi. Nella maggior parte dei casi, infatti, permangono sequele che rendono necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni e disabilità presenti e difficoltà di reinserimento famigliare, sociale, scolastico e lavorativo. Sono tutti aspetti che spesso provocano importanti cambiamenti dello stile e della qualità della vita sia del soggetto che del nucleo famigliare. Per questo è importante comprendere i bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone affette da Gravi Cerebrolesioni Acquisite e delle loro famiglie sia nella fase acuta, sia in fase post-acuta e soprattutto nella fase degli esiti. Le principali associazioni e società scientifiche italiane interessate alla riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite hanno affrontato questi problemi promuovendo diverse “Consensus Conference”. La scelta della procedura della Consensus Conference indica il riconoscimento che un problema, così complesso e significativo per la vita di molte persone, debba essere affrontato con un approccio multidisciplinare, interprofessionale, sistematico, metodologicamente rigoroso e radicato nei progressi scientifici più recenti. La Consensus Conference ha, infatti, lo scopo di produrre raccomandazioni “attraverso un processo formale di accordo tra diverse figure rispetto a questioni sanitarie particolarmente controverse e complesse, favorendo la scelta di orientamenti il più possibile uniformi nella pratica clinica, nell’ottica di fornire ai pazienti la migliore qualità di cura in rapporto alle risorse disponibili”. Il lavoro degli esperti focalizzato sulle domande critiche identificate dai comitati scientifici promotori delle Consensus e attraverso l’analisi della letteratura scientifica ha portato alla stesura di revisioni sistematiche secondo gli standards della Evidence-Based Medicine (EBM). Riguardo all’Evidence-Based Medicine, va ricordato che si tratta di un approccio alla pratica clinica in cui le decisioni derivano dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo coscienzioso, 1 Neurologo, Responsabile dell’Unità operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale, Casa di cura “Quarenghi”, San Pellegrino Terme (BG); Presidente della Rete (Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite) 2 Medico, Casa di cura “Quarenghi”, San Pellegrino Terme (BG) 17 esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del paziente. La multidisciplinarietà è stata ricercata coinvolgendo nei lavori i rappresentanti di tutte quelle professionalità e funzioni che, in diversi momenti, possono essere implicati nella riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite. Punti di riferimento importanti sono stati i risultati della Conferenza Nazionale di Consenso su “Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio-encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati”, svoltasi a Modena nel 2000 e della Conferenza di Consenso su “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da Grave Cerebrolesione Acquisita e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera”, svoltasi a Verona nel 2005. Altra importante Consensus Conference è stata quella sulla riabilitazione neuropsicologica della persona adulta svoltasi a Siena nel febbraio 2010 (La riabilitazione neuropsicologica della persona adulta). Ultima in ordine di tempo la terza Conferenza Nazionale di Consenso su “Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi Cerebrolesioni Acquisite” tenutasi a Salsomaggiore nel novembre 2010. Da questi incontri sono scaturite delle indicazioni e raccomandazioni di massima da seguire per le diverse tematiche che possono coinvolgere le persone affette da Gravi Cerebrolesioni Acquisite, i sanitari ed i famigliari. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite rappresentano un problema di notevole rilevanza sanitaria e sociale nelle società moderne. Va considerata l’elevata incidenza e prevalenza, specialmente tra adulti e giovani in piena età scolastica o lavorativa. Inoltre, la numerosità e complessità delle conseguenze di tipo senso-motorio, comportamentale e cognitivo, sono spesso disabilitanti nella vita quotidiana. Importanti sono anche le ripercussioni emotive e materiali che vanno a gravare sul sistema famigliare della persona colpita. Le conseguenze sociali, in termini di difficoltà di reinserimento famigliare, scolastico o lavorativo, richiedono la necessità di un elevato impegno di risorse, in ambito sociale e sanitario, con interventi complessi e prolungati nel tempo, che spesso devono essere modulati e diversificati in funzione degli specifici bisogni della persona cerebrolesa e del suo nucleo famigliare. Quest’ultimo aspetto, soprattutto, costituisce un compito estremamente impegnativo sul piano tecnico-professionale, organizzativo e relazionale. Vorremmo segnalare la grande importanza delle conferenze di consenso e della elaborazione di linee guida che, magari lentamente e con molta difficoltà, alla fine ci auguriamo diventino operative e traccino davvero la strada del percorso di questi pazienti. Questo manuale vuol avere la funzione di informare, con parole facilmente comprensibili, gli operatori di sanità e desidera approfondire i principali temi che riguardano la cura, l’assistenza e la riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite. Gli stessi pazienti ed i loro familiari possono trovare in questo testo informazioni aggiornate ed esaurienti su questi temi. 18 1a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati Modena, 20-21 giugno 2000 Sintesi delle principali raccomandazioni x Per avviare una corretta programmazione dei servizi e definite il livello di assistenza più appropriato alle diverse fasi della malattia, è urgente migliorare le conoscenze epidemiologiche sulle Gravi Cerebrolesioni Acquisite. x Pur non esistendo prove scientifiche di buona qualità circa la efficacia di trattamenti precoci e/o intensivi, la Giuria raccomanda che, in fase acuta, l’intervento riabilitativo sia attivato precocemente allo scopo di prevenire i danni secondari, minimizzare le menomazioni e facilitare la ripresa di contatto con l’ambiente. x Sulla base dell’analisi delle prove scientifiche disponibili la Giuria ritiene che l’uso delle tecniche di stimolazione multisensoriale intensiva e i programmi di regolazione sensoriale non debbano essere raccomandanti. x A giudizio della Giuria devono essere considerati interventi minimi essenziali per il paziente con Grave Cerebrolesione Acquisita: a)variazioni periodiche di posture nell’arco della giornata e mobilizzazione passiva pluriarticolare; b)monitoraggio strutturato della responsività e strutturazione di un ambiente favorevole al manifestarsi delle prime capacità di comunicazione; c) interventi di riabilitazione respiratoria mirati al drenaggio bronchiale e all’insegnamento delle tecniche di svezzamento progressivo dalla respirazione controllata a quella assistita e autonoma; d) omogeneizzazione all’interno del team che ha in carico il paziente, del tipo di informazione da fornire alla famiglia e dei supporti psicologici e logistici. x La Giuria ha ritenuto utile definire precisi criteri di trasferibilità da strutture di terapia intensiva e neurochirurgia a strutture riabilitative suddividendoli in “criteri di sufficiente stabilizzazione medica” e “criteri di sufficiente stabilizzazione neurochirurgica” (assenza di instabilità cardiocircolatoria, respiro autonomo e stabilità metabolica, assenza di insufficienza d’organo, di stato settico, di problemi chirurgici). La Giuria si è altresì trovata concorde nel raccomandare che la presenza di cannula tracheostomica, di catetere venoso centrale, di sondino nasogastrico o gastrostomia (PEG) (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy) e di crisi epilettiche non ancora completamente controllate dalla terapia non devono essere considerati criteri di controindicazione al trasferimento. x La Giuria raccomanda che per quanto riguarda la identificazione dei percorsi dei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita vengano considerate tre tipologie distinte definite in base al 19 grado di responsività, alle condizioni medico internistiche, al tipo e grado delle complicanze nonché alla stima delle possibilità di recupero (vedi figure 1-2-3-4). x La Giuria raccomanda che la problematica della informazione e del coinvolgimento della famiglia del paziente con Grave Cerebrolesione Acquisita venga assunto come elemento centrale di una buona qualità della assistenza e che le équipe si attrezzino in modo strutturato perché la informazione e la presa in carico diventi un elemento costante nelle diverse fasi della assistenza a questi pazienti. x Pur in assenza di dati empirici relativi alla efficacia di differenti modelli organizzativi, la Giuria raccomanda come riferimento il modello “a reti integrate con livelli di responsabilità differenziati” basati su livelli principali e decentrati sia per le Unità Operative per Acuti (UOA) che per le Unità Operative di Medicina Riabilitativa (UOMR) (vedi figura 5). x La Giuria ritiene urgente segnalare ai responsabili delle Aziende Sanitarie ed alle Autorità Sanitarie Regionali la necessità di promuovere momenti di valutazione e monitoraggio degli interventi mirati a migliorare la conoscenza delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite. x La Giuria raccomanda ai promotori della Conferenza di consenso di indentificare le modalità più efficaci perché le raccomandazioni emerse da essa vengano discusse e, se condivise, implementate dalle Aziende Sanitarie Locali e dalle Autorità Regionali competenti. 2 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera Verona, giugno 2005 Definizione, epidemiologia e bisogni informativi Considerando le criticità che sono state descritte, relative alla conoscenza delle dimensioni del fenomeno, la Giuria ritiene che tre approcci di studio, con un livello di fattibilità diverso e crescente, dovrebbero essere condotti per migliorare le conoscenze epidemiologiche. x Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili. In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico DRG (Diagnosis Releated Groups) potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri 20 rilevanti, per poi tracciarne la successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative amministrative. x Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, che consenta di identificare con maggior precisione questa categoria di casi. x Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che permettono di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravità/complessità e di fabbisogno riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine. Evoluzione, pianificazione, realizzazione ed efficacia dei modelli di intervento riabilitativo x La Giuria raccomanda di evitare la separazione temporale delle fasi degli interventi riabilitativi sanitari da quelli socio-assistenziali: interventi a valenza sociale ed assistenziale devono essere effettuati fin dalla fase acuta, e svilupparsi in misura progressivamente maggiore nelle fasi successive (post acuta precoce e tardiva, degli esiti); e, d’altra parte, interventi a valenza sanitaria, che sono prevalenti nella fase acuta e post-acuta, possono essere necessari anche nelle fasi tardive della presa in carico. x Oltre al superamento della divisione temporale fra interventi a valenza sanitaria e sociale, è necessario perseguire la integrazione fra i due livelli di intervento. x E’ raccomandabile una organizzazione in rete di tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita dopo la fase di ospedalizzazione, ed uno stretto raccordo fra tale rete di servizi e le strutture ospedaliere di riabilitazione. x E’ opportuna la conduzione di studi di outcome (effectivenss) su ampie casistiche che siano rappresentative della popolazione di interesse. x Data la numerosità dei fattori che influiscono sul profilo di bisogno riabilitativo ed assistenziale nella fase post-ospedaliera, la Giuria ritiene opportuno che la valutazione delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e dei fattori ambientali che condizionano la loro salute, sia multidimensionale, inter-professionale, ed effettuata con il coinvolgimento attivo della persona o della famiglia. Nella valutazione del profilo di bisogno , è necessario tener conto in egual modo dei fattori clinici e di quelli personali (individuali) e ambientali. x Nel pianificare gli interventi riabilitativi ed assistenziali per la persona con Grave Cerebrolesione Acquisita e la sua famiglia, è necessario perseguire il criterio della 21 personalizzazione degli interventi. Tale personalizzazione non va intesa come un semplice processo di selezione fra le diverse opzioni di intervento disponibili, in funzione delle singole aree di bisogno, ma anche nella loro coordinazione ed integrazione. La Giuria ritiene necessario che per garantire tale integrazione sia necessario assicurare una funzione di case-management a supporto di ogni persona e nucleo famigliare. x Ogni intervento dovrebbe essere basato su conoscenze condivise dalla comunità scientifica. x Ogni intervento dovrebbe essere basato su una valutazione effettuata da operatori competenti, con la partecipazione del paziente quando possibile e della famiglia, e dovrebbe definire obiettivi, tempi e modalità di effettuazione. x Ogni intervento sanitario, riabilitativo, assistenziale, dovrebbe essere integrato in un progetto di presa in carico individuale, pianificato e condotto attraverso una funzione di “case management” personalizzato. x E’ necessario, anche al fine di non alimentare aspettative non realistiche, che il paziente e la famiglia siano adeguatamente informati sulle finalità degli interventi, in particolare su quale sia la reale finalità: - terapeutica, intesa come azione volta a modificare positivamente una alterazione strutturale, funzionale, o una limitazione di attività e partecipazione; - assistenziale intesa come azione volta a mantenere una determinata condizione di alterazione strutturale, funzionale o una limitazione di attività e partecipazione; - educativa, intesa come azione volta a trasmettere conoscenze e competenze utili a gestire una determinata condizione di alterazione strutturale, funzionale o una limitazione di attività e partecipazione. Classificazione delle strutture e dei servizi, nella fase post-ospedaliera e modelli organizzativi generali e locali x E’ necessaria una revisione ed armonizzazione delle denominazioni dei servizi e delle strutture in modo da rendere più agevole lo scambio di informazioni ed il confronto fra realtà diverse. x E’ opportuno favorire la costituzione di registri ed osservatori locali che possano rilevare le necessità in ambito assistenziale e sociale. x E’ opportuno favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti, cui possano accedere le persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e le loro famiglie, operatori professionali e del volontariato amministratori, associazioni coinvolte in queste problematiche attraverso lo sviluppo di banche dati sui servizi a livello locale e nazionale. x E’ necessario dare ulteriore sviluppo alla integrazione socio-sanitaria attraverso la creazione di reali percorsi di rete attivati fin dalle prime fasi riabilitative, sulla base di criteri generali 22 condivisi a livello nazionale, e adattati a livello locale, e che prevedano investimenti economici congruenti a tutti i livelli d’intervento. x E’ opportuno sostenere la domiciliazione attraverso programmi di supporto alla persona che prevedano interventi finanziari specifici, peraltro già attuati in alcune Regioni. x E’ opportuno sviluppare programmi assistenziali individualizzati con standards minimi garantiti per i pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita, fissati in funzione dei diversi livelli di disabilità secondo le varie scale di misurazione adottabili. x E’ necessario incentivare la creazione di servizi non residenziali dedicati con programmi di supporto specifico in grado di sollevare la famiglia garantendo attività mirate al reinserimento sociale. Percorsi di riqualificazione professionale x Si raccomanda di perseguire una maggiore integrazione e coordinamento fra i servizi che intervengono nelle diverse tappe del processo di reinserimento (team riabilitativi ospedalieri e territoriali), commissioni di valutazione, servizi per l’inserimento lavorativo, servizi handicap, ecc). x E’ opportuno perseguire una migliore ed univoca specificazione dei ruoli rivestiti dai diversi operatori nel processo di reinserimento, nonché l’adozione di una terminologia comune e condivisa. x Il processo di reinserimento professionale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita deve essere personalizzato ed adattato alle specifiche situazioni e necessità; è quindi necessario garantire flessibilità nei tempi di accesso ai diversi servizi e tutoraggio individuale. x La possibilità di un percorso di riqualificazione /reinserimento professionale andrebbe valutata precocemente, fin dalla fase riabilitativa ospedaliera; è raccomandabile che i team riabilitativi che operano nella fase intensiva intraospedaliera stabiliscano relazioni stabili con i servizi che operano nell’ambito del reinserimento lavorativo e professionale. x Va posta maggior attenzione alle relazioni fra servizi per il reinserimento professionale ed il mondo delle aziende , promuovendo specifiche azioni di informazione e consulenza. x E’ necessario sviluppare la rete delle strutture transizionali extraospedaliere specificatamente dedicate alle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (centri per attività occupazionali senza scopi lavorativi; strutture di preparazione ai tirocini lavorativi, strutture per il lavoro protetto a tipo delle cooperative). 23 Famiglie ed associazioni x Per garantire la continuità dell’intero percorso riabilitativo del paziente, in particolare nella fase post-ospedaliera, è necessario che i Dipartimenti di Riabilitazione e le Unità Operative di riabilitazione intensiva si “raccordino “ strettamente con le strutture/servizi territoriali del proprio bacino d’utenza, elaborando protocolli condivisi (anche con le famiglie) di definizione di percorsi assistenziali specifici per ogni tipologia di esito. x L’informazione/coinvolgimento della famiglia rimane il cardine di buon processo assistenziale: il nucleo famigliare e, quando possibile il paziente, devono essere informati, addestrati e coinvolti nelle varie opzioni di scelta del percorso post ospedaliero. x E’ necessario da parte delle Regioni, un potenziamento delle strutture di assistenza/riabilitazione a lungo termine, basata sui dati epidemiologi locali, per alleviare il carico dei famigliari nelle situazioni di maggior gravità degli esiti. In particolare: -strutture degenziali specializzate per i casi gravi in cui il rientro a domicilio dopo la fase ospedaliera non sia sostenibile; – strutture di riabilitazione sociale come “Centri Diurni” per pazienti definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie ma con gravi esiti motori e/o cognitivi cronicizzati, in cui operatori specificamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria assistenza e le adeguate stimolazioni; – strutture di sollievo temporanee per dare le possibilità ai famigliari di recuperare energie e mantenere la qualità di vita del nucleo famigliare. x E’ indispensabile garantire una funzione di “case management” con la individuazione di una o più figure con funzione di coordinatore/i formato e informato (es. assistente sociale, assistente sanitario ecc) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il percorso riabilitativo da seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche nella fase post-acuta, e nel coadiuvare il disbrigo delle varie incombenze di tipo amministrativo e giuridico e nel mantenere i collegamenti e la integrazione fra i diversi servizi coinvolti. x Si sollecita da parte delle istituzioni un maggior sostegno sociale alle famiglie attraverso l’applicazione di misure di politica assistenziale e sanitaria quali: - facilitazioni per il tempestivo riconoscimento d’invalidità e relativa indennità di accompagnamento fin dalla fase acuta; - deducibilità fiscale di tutte le spese sostenute per l’assistenza del paziente a domicilio; - applicazione diffusa delle normative sulla Assistenza Domiciliare Integrata; riconoscimento di aiuti economici per le famiglie a basso reddito o che si trovino in particolari situazioni di disagio. x E’ fondamentale l’acquisizione di dati attraverso l’implementazione di studi di survey su una più ampia popolazione di pazienti/nuclei famigliari/caregiver e di associazioni, basati sia sulla 24 rilevazione di informazioni (report) come opinioni, preferenze ecc. sia sulla valutazione diretta (rating) di aspetti riguardanti outcomes soggettivi come la soddisfazione e la qualità di vita. x E’ auspicabile una maggior collaborazione e integrazione tra le diverse associazioni. Normativa e welfare x E’ necessario sviluppare azioni di omogeneizzazione ed armonizzazione della nomenclatura utilizzata nella valutazione, nella pianificazione e nello sviluppo degli interventi riabilitativi svolti da tutte le figure professionali ed istituzioni che a vario titolo sono coinvolti nei percorsi assistenziali e riabilitativi delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali azioni sono necessarie in modo particolare nell’ambito delle attività a carattere sociosanitario o sociale. x E’ necessario sviluppare azioni di armonizzazione nella interpretazione delle normative. x E’ necessario sviluppare azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra le diverse istituzioni. x E’ necessario aggiornare la attuale normativa in tema di prescrizione, autorizzazione e fornitura di ausili. x E’ necessario definire l’assetto normativo relativo alle risorse destinate alle persone non autosufficienti. x E’ necessario sperimentare modalità innovative indirizzate alla tutela delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita, anche attraverso forme di partnership fra soggetti pubblici e privati e forme di previdenza integrativa. Informazione x Attività strutturate di informazione e supporto alle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e alle loro famiglie debbono essere inserite nel progetto di presa in carico individuale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita nella fase successiva alla ospedalizzazione. x E’ necessario promuovere attività di informazione strutturate, consistenti in raccolta, elaborazione e diffusione di informazioni, fruibili da tutti i soggetti (persone ed istituzioni) coinvolti nella presa in carico delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali attività dovrebbero essere sviluppate e gestite sia a livello centrale che a livello locale. 25 Ricerca x Ogni intervento (di ricerca, valutazione e cura) dovrebbe essere basato su una attenta valutazione delle conoscenze disponibili e condivise dalla comunità scientifica. Questo implica una attività Evidence Based Medicine (EBM) prospetticamente implementata da Istituzioni o Gruppi in grado di sostenerla nel tempo. x E’ necessario sviluppare azioni che favoriscano la omogeneizzazione ed armonizzazione della nomenclatura utilizzata, con particolare attenzione alle attività in ambito socio-sanitario e sociale. x E’ opportuno un utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili nei vari data-base. Questo implica un censimento dei dati a disposizione e un tentativo di creare un data-base unico ed integrato. x E’ opportuno sviluppare nuovi sistemi classificativi standardizzati, basati sulle informazioni già disponibili nella SDO (Scheda Dimissione Ospedaliera), che ottimizzino le capacità di identificare e classificare al meglio il caso (nuovi DRG (Diagnosis-Releated-Groups) che permettano nuove aggregazioni diagnostiche o stratificazioni in funzione della severità). x E’ opportuno individuare un set minimo di nuove informazioni da includere nella SDO (Scheda di Dimissione Ospedaliera) per migliorare la capacità classificativa. x E’ raccomandabile la creazione di registri locali, regionali o nazionali che condividano un core di strumenti classificativi comuni, orientati a rilevare le necessità in ambito assistenziale e sociale. x E’ raccomandabile la conduzione di surveys (valutazioni cross-sectional di campioni rappresentativi della popolazione di interesse) (caregivers, pazienti, famigliari, decisori) al fine di raccogliere informazioni e valutazioni su aspetti rilevanti della Grave Cerebrolesione Acquisita. x E’ raccomandabile la conduzione si studi prospettici di outcome (effectiveness) su ampie casistiche, che siano rappresentative della popolazione di interesse, descritte con strumenti standardizzati, e con periodicità e durata di valutazione appropriati alle modificazioni dello status della situazione e della persona. 26 3 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi Cerebrolesioni Acquisite Salsomaggiore Terme, novembre 2010 Gestione delle menomazioni parossistiche intese come crisi neurovegetative La Giuria raccomanda che: x sia adottata una nomenclatura univoca della sindrome, in linea con le indicazioni della letteratura più recente (Iperattività Simpatica Parossistica), anche al fine di non ingenerare confusione con sindromi disautonomiche di altra origine (secondarie ad es. a mielopatie, neuropatie periferiche, malattie degenerative); x una specifica segnalazione di episodi di iperattività simpatica parossistica, e della loro frequenza , sia contenuta nella lettera di dimissione dal reparto per acuti; x sia posta particolare attenzione ai soggetti a rischio (in età giovanile, con lesione anossia, o traumatica con danno assonale diffuso, con Levels of Cognitive Functioning <4 (LCF <4); x venga indagata, in presenza di sintomi di iperattività simpatica parossistica, ogni possibile causa scatenante potenzialmente prevenibile o curabile; x si renda disponibile un ambiente adeguato (maternage/nursing accurato e guidato e minimizzazione di fattori ambientali eccessivi quali rumore, temperatura etc); x si ricorra alla terapia farmacologica in caso di parossismi frequenti e non altrimenti controllabili, con betabloccanti non selettivi eventualmente sostituiti da (o in associazione con) clonidina, benzodiazepine, oppiacei, baclofen. Gestione delle problematiche neuroendocrinologiche x Nei traumi cranici gravi e nell’ESA (Emorragia Sub Aracnoidea) è raccomandata l’esecuzione di uno screening ormonale basale, a 3 mesi ea a 6 mesi dall’evento acuto. x Il panel di esami consigliato dovrebbe comprendere cortisolo sierico (mattino-sera), cortisolo libero urinario delle 24 h. fT3, fT4, TSH, IGF-1, FSH, LH, Testosterone nel maschio e 17 Beta-estradiolo nella femmina, prolattina, osmolarità plasmatica e natremia. x In particolare sono raccomandati la diagnosi precoce e il trattamento dei deficit di ormone antidiuretico, di ormoni tiroidei e di cortisolo. 27 x Nel caso di iposodiemia deve essere differenziato il deficit di ormoni surrenalici da altre condizioni (SIADH) (Syndrome of Inappropriate Antidiuretic Hormone Secretion). x La diagnosi e la terapia dei deficit ormonali, in particolare del deficit di GH (ormone della crescita), dovrebbe essere sempre concordata con gli specialisti endocrinologi. x In caso di trauma cranico grave o Emorragia Subaracnoidea (ES), nella lettera di dimissione dall’Unità Gravi Cerebrolesioni (UGC) dovrebbe essere consigliato un controllo degli ormoni ipofisari a distanza di un anno dall’evento acuto. Valutazione e gestione della nutrizione x La Giuria raccomanda che venga eseguita un’accurata valutazione dello stato nutrizionale nei soggetti reduci da grave lesione cerebrale (in particolare Trauma Cranio Encefalico (TCE) grave con GCS (Glasgow Coma Scale) <8) e prolungato periodo di degenza in UTI (Unità Terapia Intensiva). x E’ raccomandata la consulenza dell’esperto di nutrizione clinica nei casi di malnutrizione proteico-calorica severa (calo ponderale superiore al 20% del peso abituale o del 40% rispetto al peso ideale, BMI (Body Mass Index) <16. x Nell’adulto con Grave Cerebrolesione Acquisita è raccomandato un fabbisogno calorico pari a 25-30 Kcal/Kg di peso attuale/die, con 1.2 – 1.8 gr/Kg/die di proteine, se tollerati. x Si raccomanda allestimento di PEG (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy) quando si preveda che la Nutrizione Enterale (N.E.) debba durare più di 30 giorni. x Si raccomanda il monitoraggio del residuo gastrico e delle possibili intolleranze e complicazioni metaboliche o meccaniche della Nutrizione Enterale (N.E.). x Si raccomanda il passare a modalità di somministrazione ciclica e a boli prima possibile, salvo controindicazioni (intolleranza, instabilità clinica, inalazione etc). x E’ raccomandato il monitoraggio settimanale del peso. x Prima della reintroduzione dell’alimentazione per os è raccomandata una valutazione formale della funzione deglutitoria. Valutazione e gestione della deglutizione x La Giuria raccomanda un’accurata valutazione della deglutizione in tutti i pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita, anche con LCF (Levels of Cognitive Functioning) <4. 28 x Si raccomanda che la valutazione della deglutizione “bedside” e con blue dye test sia eseguita con medico o da un logopedista esperto. x E’ raccomandato un approfondimento diagnostico con FEES (Fiberoptic Endoscopic Evalutation of Swallowing) e/o Videofluorografia soprattutto nei casi di sospetta aspirazione silente. La FEES è preferibile in soggetti scarsamente collaboranti. x Si raccomanda di iniziare il training della deglutizione solo in presenza di un adeguato livello di vigilanza (LCF 4 o superiore). x Si raccomanda che il trattamento della disfagia sia eseguito da un logopedista esperto in disfagia, anche con l’impiego di appropriate strategie compensatorie. x Nel training della deglutizione di pazienti portatori di tracheostomia si raccomanda, in assenza di controindicazioni, l’uso della valvola fonatoria. x E’ indispensabile fornire precocemente informazioni ai familiari sul timing di svezzamento per minimizzare i rischi di alimentazioni improprie. Valutazione e gestione della ventilazione/respirazione La Giuria raccomanda: x che le pressioni di aspirazione siano mantenute al livello più basso efficace, e comunque non superiori (a sondino occluso) a 150-200 mmHg; x che la cannula tracheale venga sostituita (a meno che non si tratti di modelli “long-life) almeno ogni 30 giorni; x il ricorso di routine all’umidificazione passiva (“naso artificiale”), ritenendo tale metodica maggiormente compatibile con il setting riabilitativo, riservando l’umidificazione attiva riscaldata a casi selezionati ed assicurando in ogni caso un’adeguata umidificazione ambientale; x che la cannula non venga mantenuta cuffiata, soprattutto in pazienti non costantemente monitorati; x che si proceda alla decannulazione in soggetti con adeguato livello di coscienza, dopo valutazione clinica della tolleranza alla chiusura della cannula (per periodi progressivamente più lunghi fino ad almeno 48 ore consecutive) e quando siano rispettati i seguenti criteri: saturazione di O2>92% in aria ambiente, sufficiente efficacia della tosse con riduzione e/o capacità di autogestione delle secrezioni, assenza di infezioni e Rx torace negativa, efficacia almeno parziale della deglutizione, assenza di ostruzione delle vie aeree superiori, soddisfacenti condizioni di nutrizione. 29 E sottolinea: x come la decannulazione sia possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza, dopo aver verificato la presenza di una ragionevole efficacia tosse e della deglutizione automatica; x che venga eseguita, prima della decannulazione, una valutazione fibrobroncoscopica per valutare in maniera accurata la regione sovraglottica ed il piano glottico, e per escludere la presenza di stenosi tracheale, granulomi ostruenti e tracheomalacia. Modalità cliniche e strumentali per la diagnosi e la prognosi di stato vegetativo e stato di coscienza minima La Giuria raccomanda: x di valutare e trattare i fattori clinici potenzialmente interferenti con il recupero della responsività (idrocefalo, sepsi, stato di male non convulsivo, dolore, spasticità, sindromi parkinsoniane); x che i pazienti con disturbo prolungato della coscienza vengano esaminati periodicamente da un medico esperto e da team multidisciplinare; x che nella valutazione della responsività (in particolare nel passaggio tra SV (Stato Vegetativo) e SMC (Stato di Minima Coscienza) si tenga conto del parere dei familiari e di osservazioni relative alla variazione dei parametri vegetativi in loro presenza; x che ai pazienti classificabili nelle categorie SV (Stato Vegetativo) e SMC (Stato di Minima Coscienza) vengano somministrate in modo seriale e da valutatori esperti scale comportamentali validate. In particolare viene indicato l’uso della CRS-Revised. (Coma Recovery Scale Revised); x la valutazione neurofisiologica seriata PESS (Potenziali Evocati Somato Sensitivi) e ERP (Evocated-Related-Rotential) in particolare in collaborazione con gli specialisti della neurofisiologia clinica; x che, nella comunicazione con i familiari, sia considerata la difficoltà interpretativa dei risultati degli esami; x che l’outcome dei pazienti con disturbo prolungato di coscienza venga monitorato con followup periodici (6-12-24 mesi); x altresì un raccordo con gli esperti della fase acuta al fine di contribuire alla definizione degli elementi prognosticamente più sensibili. In particolare si sottolinea l’utilità di protocolli condivisi per le indagini neurofisiologiche sviluppate longitudinalmente. 30 Facilitazione riabilitativa e farmacologica per la ripresa di contatto con l’ambiente La Giuria raccomanda: x prima di utilizzare farmaci attivanti, di valutare l’interferenza negativa sul recupero della coscienza della terapia in atto (antiepilettica, antispastica, antidolorifica…); x in particolare di evitare l’uso profilattico di farmaci anticonvulsivanti in assenza di definita epilessia; x di considerare giustificato il ricorso all’amantadina quale farmaco di prima scelta per favorire il recupero della vigilanza, pur tenendo conto dei potenziali rischi epilettogeni; x di ritenere che l’impiego di altre metodiche non farmacologiche necessiti di prove di efficacia sostenute da studi clinici consistenti; x di ritenere giustificata, ancorchè regolamentata, l’integrazione dei familiari nel processo di stimolazione dei pazienti. Complicanze neurochirurgiche e idrocefalo La Giuria raccomanda che: x ogni paziente trasferito in unità di riabilitazione post-acuta dopo craniectomia/cranioplastica, deve essere attentamente monitorato per il possibile sviluppo di complicanze precoci e tardive; x per ogni paziente con craniectomia trasferito in Riabilitazione post-acuta, dovrebbe essere concordato prima possibile col neurochirurgo il timing della cranioplastica che non dovrebbe comunque eccedere le 12 settimane dopo la craniectomia; x dopo la cranioplastica è indicata una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) cerebrale e il monitoraggio clinico e radiologico; x ogni paziente che presenti arresto o rallentamento del recupero o deterioramento neurologico e/o cognitivo dovrebbe essere sottoposto a indagini per escludere idrocefalo. x Per la non rara presenza di idrocefalo a bassa pressione, la Giuria ritiene preferibile l’adozione di shunts con valvola programmabile. 31 Menomazioni e disabilità’ sensomotorie e metodologie di trattamento riabilitativo La Giuria raccomanda: x che data la complessità e varietà della patologia, è necessario adottare dei sistemi di misurazione univoci che possano essere utilizzati su gran parte dei pazienti; x la necessità individuare quali sistemi di valutazione utilizzare, anche rispetto alla fase del percorso riabilitativo in cui si trova il paziente; x che mentre per le menomazioni motorie vi sono già scale che permettono di effettuare un’adeguata valutazione, bisogna trovare gli strumenti per la misurazione delle menomazioni sensoriali e delle funzioni; x che il trattamento riabilitativo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite risulta più efficace, particolarmente nei giovani adulti, quando iniziato più precocemente, in degenze ospedaliere dedicare e quando è seguito da una équipe multidisciplinare; x un aumento dell’intensità del trattamento, quando possibile, risulta idoneo per un recupero funzionale precoce; x l’utilizzo di training robotizzati non è stato ancora sufficientemente studiato nelle Gravi Cerebrolesioni Acquisite, tuttavia l’impiego di queste metodiche è risultato efficace nei pazienti con ictus. Tossina botulinica La Giuria raccomanda: x la riduzione della spasticità modifica in maniera significativa la posturale, quando possibile, la deambulazione, in soggetti con esiti di Grave Cerebrolesione Acquisita; x il trattamento riabilitativo da solo non è in grado di controllare soddisfacente la spasticità; x i farmaci somministrati per via sistemica sono utili particolarmente nelle persone che hanno una spasticità lieve; x che nella grave spasticità generalizzata, trova indicazione l’utilizzo del Baclofen per via intratecale. x che la tossina botulinica è indicata nelle spasticità focali; 32 x che alcune volte è indispensabile utilizzare ortesi, cast e splinting, per stabilizzare la riduzione della spasticità; l’utilizzo degli stessi, accompagnato da un training riabilitativo, migliora l’effetto decontratturante della tossina. Prevenzione complicanze secondarie x Non vi sono prove convincenti sull’efficacia dei vari farmaci proposti, pertanto il loro utilizzo ha un significato prevalentemente sintomatico. x Nelle fasi iniziali delle POA (ParaOsteoArtropatia) va presa in considerazione la sintomatologia algica. x Il trattamento chirurgico, in alcuni casi, è indispensabile e risolutivo, resta incerto il ruolo della radioterapia Valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo-comportamentali La Giuria raccomanda: x che vengano individuati quanto più precocemente possibile i disturbi comportamentali, attraverso l’osservazione sistematica e con l’ausilio di scale appropriate; x che sia preso in considerazione un intervento farmacologico con beta-bloccanti ove sia opportuno attenuare l’intensità di episodi di agitazione per rendere il paziente più gestibile (anche se meno efficiente dal punto di vista cognitivo); x di programmare quanto più precocemente possibile una valutazione della PTA (Post Traumatic Amnesia); x di utilizzare in modo sistematico scale che monitorino una PTA anterograda e retrograda; x di utilizzare modificazioni ambientali e ausili esterni passivi per favorire l’orientamento spaziotemporale e la memoria prospettica; x di monitorare con attenzione l’evoluzione del paziente per evidenziare la risoluzione della PTA e valutare l’opportunità di iniziare in modo tempestivo un trattamento neuropsicologico specifico; x di individuare quanto più precocemente possibile disturbi della consapevolezza di malattia (sia di tipo anosognosico che di negazione). 33 Metodologia e organizzazione dei percorsi assistenziali La Giuria raccomanda: x di implementare modelli organizzativi che si basino sul concetto di “reti integrate di servizi” in grado di seguire l’intero percorso del paziente dalla fase acuta al rientro sul territorio Tale organizzazione può ottimizzare l’utilizzo delle risorse garantendo l’appropriato utilizzo di posti letto nel territorio; x di concentrare nelle strutture specializzate il più alto livello di expertise possibile; x di garantire un’efficiente gestione del passaggio dalla fase acuta alla fase riabilitativa precoce attraverso il governo e integrazione della rete dei servizi per l’emergenza, per acuti e della riabilitazione; x la presa in carico multiprofessionale ed elaborazione di un Progetto Riabilitativo Personalizzato condiviso con il paziente e la famiglia; x l’implementazione di un processo strutturato e integrato nell’assistenza di informazione e coinvolgimento del paziente e della famiglia/caregiver; x l’approccio EBM (Evidence Based Medicine) da parte di tutti gli operatori del team con scelta di interventi orientati a criteri di efficacia riconosciuta e di essenzialità; x l’adozione, in tutte le fasi del percorso assistenziale, di indicatori di esito e di processo monitorati in modo continuativo almeno su base annuale; x la formazione continua di tutti gli operatori, privilegiando la formazione sul campo con particolare riguardo alle competenze relazionali; promozione di specifici percorsi formativi per gli infermieri, finalizzati a fornire conoscenze cliniche avanzate e capacità che permettano di garantire adeguate prestazioni di nursing riabilitativo; x l’implementazione sull’intero territorio nazionale di registri che condividano un core di in indicatori comuni orientati a rilevare i bisogni in ambito assistenziale e sociale e gli esiti. Modalita’ di informazione ed integrazione dei famigliari e caregiver nel percorso riabilitativo del paziente La Giuria raccomanda: x di garantire l’informazione/formazione del paziente (quando possibile) e della famiglia/caregiver relative alle condizioni cliniche, alla prognosi riabilitativa, alle attività strutturate e integrate nell’assistenza; 34 x che l’attività informativa deve essere attuata da tutti gli operatori sanitari con coerenza rispetto alle valutazioni e obiettivi condivisi e deve avere caratteristiche di continuità, chiarezza ed onestà; x che compatibilmente con le modalità organizzative proprie di ogni reparto, si raccomanda l’introduzione della figura del case-manager, come punto di riferimento della famiglia durante le varie fasi del processo/percorso riabilitativo; x di prevedere attività formative specifiche per tutti gli operatori sui temi della comunicazione e sulle modalità più appropriate per dare le informazioni e per fronteggiare i conflitti e burnout; x di attuare forme di coinvolgimento attivo dei famigliari e caregiver, attraverso modalità strutturate che si basino sui principi della TPE (Educazione Terapeutica al paziente), finalizzate a migliorare la valorizzazione del loro punto di vista nella gestione quotidiana e le loro capacità di autogestione della disabilità del paziente a lungo termine; x di garantire durante tutto i percorso di riabilitazione un supporto specifico alla famiglia e ai caregiver, mettendo a disposizione le figure dello psicologo e dell’assistente sociale con ruoli definiti all’interno del team; x di garantire un’organizzazione flessibile degli orari di visita e delle modalità assistenziali del reparto, che permetta ai famigliari e caregiver una reale possibilità di stare accanto al paziente e di effettuare i training necessari; x una maggior integrazione tra le diverse associazioni e la loro presenza attiva nei reparti di riabilitazione come punto di riferimento per le famiglie. 35 PERCORSO ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON TCE, CON STIME DEL FABBISOGNO BASATE SUI DATI EPIDEMIOLOGICI ATTUALMENTE DISPONIBILI Pazienti con TCE nella intera popolazione: da 600 a 4000 ogni 100.000 abitanti/anno Decessi extraospedalieri per TCE :11-12/100.000ab./anno Pazienti che arrivano al Pronto Soccorso per TCE: 400-800/100.000 ab./anno Pazienti ricoverati per TCE: dai 100 ai 300/100.000 ab./anno Pazienti ricoverati in RianimazioneNeurochirurgia: 22/100.000 ab./anno Decessi in fase acuta: 7-8/100.000ab./anno Necessità di trattamento riabilitativo in regime di ricovero dopo la fase acuta: 3-5/100.000 ab.anno SV persistente per oltre 6 mesi: 1-2/100.000ab./anno Pazienti con Good recovery o Moderate Disability all’uscita dalla fase acuta: Dopo la fase riab.intensiva: GOOD RECOVERY 1-2/100.000ab./anno MODERATE DISABILITY Fig. 1 36 CLASSE I do ve Servizi ambulatoriali o Day Hospital Obiettivi y y y y pazienti Good Recovery or Moderate Disability DRS <= 6 Basso rischio di instabilità clinica Non necessità di assistenza nelle 24 ore x Completamento della stabilizzazione clinica x Valutazione e trattamento delle menomazioni residue (fisiche, cognitive, comportamentali) x Recupero delle autonomie nelle AVQ “semplici” e “complesse” x Facilitazione del reinserimento sociale scolastico e lavorativo (integrazione con strutture di riabilitazione sociale) x Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-givers Fig 2 37 CLASSE II do ve Riabilitazione intensiva Obiettivi y y y y pazienti Moderate or Severe Disability DRS <= 21 Rischio di instabilità clinica Necessità di assistenza nelle 24 ore x Completamento della stabilizzazione clinica x Recupero autonomia nelle funzioni vitali di base x Contenimento dei danni e prevenzione delle complicanze secondarie x Valutazione e trattamento menomazioni residue x Recupero delle autonomie nelle AVQ “semplici” e “complesse” x Facilitazione del reinserimento sociale scolastico e lavorativo (integrazione con strutture di riabilitazione sociale) x Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-givers Fig. 3 38 CLASSE III do ve Strutture di riabilitazione intensiva Obiettivi y Vegetative state or minimally Conscious patients y DRS > 21 y LCF < 3 pazienti x Completamento della stabilizzazione clinica x Valutazione longitudinale della responsività e facilitazioni al contatto con l’ambiente x Assistenza medico specialistica infermieristica dedicata 24 ore x Recupero delle autonomie possibili (respiratorie, nutrizionali ecc) x Prevenzione-Gestione delle complicanze x Informazione, supporto ed educazione terapeutica ai famigliari e care-givers Fig 4 39 CLASSE III PAZIENTI Vegetative state or minimally conscious DRS > 21 LCF < 3 Permanenza in strutture di riabilitazione intensiva fino al completamento dei programmi non erogabili in modalità extra ospedaliere SI dove Recupero responsività < 6 mesi SI Strutture sanitarie di lungodegenza o riabilitazione estensiva Necessità di NO assistenza sanitaria continua Riabilitazione intensiva NO Fig 5 40 Domicilio con supporti Strutture residenziali EPIDEMIOLOGIA DELLE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO NEL PERIODO 2006-2011 Alberto Zucchi1 e Gennaro Esposito2 Introduzione Per “Grave Cerebrolesione Acquisita” (GCLA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma o ad altre cause (anossia cerebrale, emorragia/ischemia cerebrale), tale da determinare una condizione di coma di durata non inferiore alle 24 ore, e menomazioni sensomotorie, cognitive o comportamentali permanenti, tali da comportare disabilità. Da questa condizione vengono escluse le situazioni di danno cerebrale congenito o ad insorgenza perinatale, o a carattere degenerativoprogressivo. Il termine GCLA è spesso intercambiabile con la forma abbreviata GCA. Nell’ambito delle GCA si impone una distinzione, applicata anche in questo lavoro, in base alla origine eziologica. Si riconoscono pertanto GCA di origine traumatica (grave trauma cranioencefalico) e non traumatica (a loro volta suddivise in vascolare emorragica, ischemica, ipossicoanossica). La definizione proposta implica la presenza di condizioni immediatamente correlate al danno cerebrale (coma), di esiti a distanza (menomazioni multiple) e di esiti funzionali (disabilità). Tale definizione comporta alcune difficoltà tassonomiche, che hanno importanti conseguenze sulle stime di frequenza ed impatto del fenomeno a livello di popolazione. Infatti una corretta identificazione e descrizione richiede dati che derivano da fonti diverse (ricoveri in unità per acuti, o presso strutture di riabilitazione od altre strutture) relativi a momenti diversi (fase acuta, post-acuta e degli esiti) e derivate dalla applicazione di strumenti valutativi e classificativi diversi. In prima istanza si considera accettabile, secondo le esperienze riscontrate in letteratura, fondare un’iniziale stima valutativa sull’analisi delle SDO. La patologia da GCA (Traumatica e Non Traumatica) produce esiti di notevole impatto sociale, sia per il tipo di disabilità conseguente (cognitiva, neuromotoria, comportamentale), sia perché tra le fasce di età più colpite appare rilevante quella dei giovani adulti, in particolare per le lesioni da Trauma Cranio Encefalico (TCE). Ciò implica dunque quindi estese compromissioni di ruolo e di produttività sociale. Numerosi studi evidenziano che, tra coloro che subiscono una GCA, la maggior parte presenta conseguenze moderate sul piano neuromotorio, ma associate a gravi esiti sul piano cognitivo e comportamentale, tali da produrre la perdita del ruolo lavorativo. 1 Epidemiologo, Responsabile dell’Osservatorio Socio Sanitario – Direzione Sociale, ASL di Bergamo 2 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo 41 Rilevare prevalenza ed incidenza delle GCA, individuarne le cause più frequenti, qualificare il tipo e l'entità delle disabilità conseguenti, sono quindi azioni utili per valutare più correttamente le necessità terapeutico riabilitative e permettere la formulazione di interventi più efficaci in ambito sanitario e sociale. Gli studi epidemiologici condotti sulle GCA nella letteratura nazionale non sono molti, e talora restituiscono poche informazioni circa gravità, incidenza, prevalenza e la valutazione dei fattori di rischio. Si può tuttavia stimare che ogni anno in Italia (dati della 3.a Consensus Conference sulle GCA) vi siano almeno 10-15 nuovi casi anno/100.000 abitanti di GCA che rispondono ai criteri sopra esposti. Sulla base dei dati preliminari derivati da progetti di ricerca prospettici su base nazionale e regionale, si può affermare che vi sia una tendenza ad un progressivo aumento di incidenza delle GCA di origine non traumatica. In termini di prevalenza, si può ipotizzare che un numero di persone compreso fra i 300 e 800/100.000 abitanti presenti una GCA; questa stima suggerisce un numero di almeno 150.000 casi nel nostro paese; ciò corrisponde ad un numero di casi attesi in provincia di Bergamo tra 3200 e 8000. Per quanto riguarda le GCA a maggiore impatto disabilitante (stati vegetativi protratti) in Italia si può ritenere che vi siano circa 6 casi/100.000, che corrispondono a circa 3000 casi complessivi in Italia, e a 60 casi attesi in provincia di Bergamo. Per quanto concerne, in specifico, lo studio epidemiologico dei TCE, una valutazione epidemiologica condotta negli USA (Kraus J.F., Sorenson S.B., 1994) indica una stima di incidenza del TCE pari a circa 200 casi su 100.000 abitanti l'anno; la mortalità sarebbe tra 14 e 30 casi per 100.000 abitanti l'anno e le fasce di età a maggior rischio sono indicate tra i 15 e i 24 anni e dopo i 65 anni; il rapporto maschi/femmine è tra 2.0 e 2.8 a 1 per i maschi. Si rileva inoltre una forte correlazione con l'uso di alcool ed una maggiore incidenza nelle classi socioeconomiche più basse. La causa più frequente è rappresentata da incidenti con mezzi di trasporto (correlati ad eccesso di velocità, abuso di alcolici, mancato uso del casco e delle cinture di sicurezza), e dalle cadute accidentali più frequenti nei bambini e negli anziani. In accordo con i criteri di gravità della GCS, le prevalenze dei traumi cranici si suddivisono in lievi (80%), moderati (10%), gravi (10%) (Kraus J.F. et al. The incidence of acute brain injuries and serious impairment in a defined population. Am. Epidemiol. 119:186-201, 1984). Relativamente agli esiti, il 10% dei traumi lievi, il 60% dei traumi moderati ed il 100% dei traumi gravi presentano sequele permanenti. Il costo per ciascun paziente nel corso della vita, si aggira tra i 73.000 e i 93.000 dollari nelle forme lievi e moderate ed intorno ai 350.000 dollari nelle forme gravi (Max W. et al.: Head injuries: Cost and consequences. Journal of head trauma rehabilitation 6: 76-91, 1991). In Italia, alcuni studi (Servadei et al, 1988; Study Group of Head Brain Injuries of the Italian Society for Neurosurgery, 1996) hanno stimato che ogni anno circa 300-400 persone su 100.000 abitanti subiscano un ricovero per trauma cranico; nel 66% di tali casi il trauma è dovuto a incidente stradale. Dati ISTAT relativi al periodo 1969-1990 rilevano che il 70% dei decessi nell'età compresa tra i 15 e i 19 anni è dovuto a incidenti automobilistici ed il TCE è responsabile di tali 42 decessi nel 65% dei casi. E’ interessante notare come tali tassi risultino in notevole decremento dall’introduzione obbligatoria dell’uso del casco in motocicletta e delle cinture di sicurezza sugli autoveicoli. Finalità Questo studio si propone di effettuare un rilevamento epidemiologico retrospettivo delle GCA in provincia di Bergamo, relativamente al periodo 2006-2011, utilizzando le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) prodotte dalle strutture di degenza e inviate alla Regione Lombardia attraverso l’apposito flusso di rendicontazione. Tramite le informazioni così derivate è stato possibile definire un archivio di pazienti univocamente identificati, sulla cui base costruire tutte le valutazioni epidemiologiche susseguenti, anche attraverso successivi record-linkage con altre fonti dati (ad es., riabilitazione, mortalità, etc.). Per i limiti intrinseci alle analisi retrospettive, i dati raccolti sono volti ad una ragionevole stima, e non ad una valutazione precisa quale potrebbe essere, ad esempio, quella derivante da un formale Registro di Patologia; essi tuttavia consentono di ricavare informazioni utili alla pianificazione dei percorsi di cura in questo settore, contribuendo a favorire la progettazione e la realizzazione della rete dei servizi in modo adeguato al fabbisogno. Materiali e metodi L’analisi è stata condotta sulle SDO relative al periodo 2006-2011, relative ad assistiti della provincia di Bergamo con ricovero presso una struttura pubblica o privata accreditata in Regione Lombardia, con lo scopo di determinare il numero di soggetti con una diagnosi di GCA. Per la costruzione dei tassi di popolazione si è utilizzato, come denominatore, il dato ufficiale ISTAT dei residenti in provincia di Bergamo al 31/12 dei relativi anni. L’identificazione univoca dei pazienti è avvenuta tramite l’utilizzo congiunto dei campi ‘Codice Fiscale’ e ‘Data di nascita’. Sono stati considerati, e conseguentemente classificati nei gruppi sopra descritti, i seguenti codici di diagnosi ICD-9-CM: TCE x x da 800 a 804 compreso (fratture del cranio) da 850 a 854 compreso (traumatismi intracranici esclusa frattura del cranio) GCA Emorragiche/Anossiche x x 348.1 (anossia cerebrale) 430 (emorragia subaracnoidea) 43 x 431 (emorragia cerebrale) x 432 (ematoma subdurale/emorragia intracerebrale/emorragia intracranica NS) GCA Ischemiche x x 433 (Infarto cerebrale) 434 (Trombosi/Embolie Cerebrali) I codici considerati sono quelli che identificano le patologie compatibili con la definizione di GCA riportata più sopra e condivisa nella Consensus Conference citata. Come condiviso in sede di Tavolo di lavoro provinciale, e secondo le indicazioni di molti lavori italiani riportati in bibliografia, sono state incluse tutte le SDO che riportavano i codici diagnostici individuati, sia in diagnosi principale sia in diagnosi secondaria. Sono state escluse alcune cause di danno cerebrale (da etiologia infettiva, ad es.) che possono, per caratteristiche cliniche, assimilarsi alle categorie di danno valutate in questa indagine. Sono stati considerati, per la fase descrittiva finalizzata alla produzione dell’indicatore di prevalenza, anche i pazienti deceduti durante il ricovero. Attraverso il codice fiscale di ogni paziente si è “purificato” il campione dai ricoveri ripetuti. Le mappe di patologia a livello prvinciale, basate sulla prevalenza comunale, sono state analizzate, per la ricerca di cluster (cfr. capitolo “Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di GCA ed analisi dei cluster”) atrraverso la metodologia Spatial Scan Statistic. Per poter contestualizzare a livello regionale i dati dell’ASL di Bergamo, si è infine prodotta un’analisi specifica, utilizzando un’identica metodologia di classificazione dei casi, attraverso lo strumento ALEE-AO (Atlante Lombardo Epidemiologico ed Economico dell'Attività Ospedaliera v. 5.1). In questo caso, l’analisi è stata effettuata sul quinquennio 2005-2009, per la relativa disponibilità dei dati al momento dell’analisi. Le mappe di patologia prodotte in questo modo presentano la prevalenza di ricovero per singoli pazienti (depurandola cioè dai ricoveri ripetuti), attraverso indicatori kernel, su base comunale. I denominatori sono costituiti dalle relative componenti per sesso della popolazione regionale lombarda nei medesimi anni in studio. Gli indicatori kernel sono una tecnica atta a rappresentare una distribuzione di eventi “puntiformi” (eg, singoli tassi comunali) trasformata in superficie continua di rischio di patologia, permettendo così di far emergere un’eventuale componente di clustering territoriale (cfr. capitolo specifico). Risultati Nel periodo 2006-2011 si sono identificati 19.969 soggetti univoci che abbiano avuto almeno un ricovero con una delle diagnosi sopra descritte; la media annua di soggetti è pari a 3.328, con un trend in modico decremento (per le relative stime di prevalenza si veda il capitolo “Analisi di popolazione e territoriale”. La tabella 1.0 mostra come il peso complessivo dei ricoveri per GCA, sul totale dei ricoveri annui degli assistiti bergamaschi, sia pressoché costantemente pari al 2,1%. La 44 distribuzione per genere (tab. 1.1) vede una sostanziale prevalenza quantitativa del genere maschile (58% vs 42%). Il rapporto medio annuo M:F è pari ad 1,38. Tale distribuzione è identica, sostanzialmente, in tutti gli anni considerati. Tab. 1.0 GCA su totale ricoveri Anno GCA Totale 2006 N.casi 193186 % casi riga 97,9% N.casi 4108 % casi riga 2,1% N.casi 197294 % casi riga 100,0% 2007 180419 97,8% 4077 2,2% 184496 100,0% 2008 179169 97,9% 3921 2,1% 183090 100,0% 2009 176938 97,9% 3723 2,1% 180661 100,0% 2010 166090 97,8% 3688 2,2% 169778 100,0% 2011 162898 97,8% 3715 2,2% 166613 100,0% Totale 1058700 97,9% 23232 2,1% 1081932 100,0% Tab. 1.1 N. soggetti ricoverati da GCA per anno e genere Anno Altri ricoveri 2006 Genere Maschi % casi N.casi riga 2154 57,4% Femmine N.casi 1596 % casi riga 42,6% Totale % casi N.casi riga 3750 100,0% 2007 2116 59,2% 1457 40,8% 3573 100,0% 2008 1936 57,4% 1438 42,6% 3374 100,0% 2009 1836 58,3% 1314 41,7% 3150 100,0% 2010 1796 58,3% 1284 41,7% 3080 100,0% 2011 1747 57,4% 1295 42,6% 3042 100,0% Totale 11585 58,0% 8384 42,0% 19969 100,0% Il rispettivo numero di ricoveri è presentato nella tabella 1.2. 45 Tab. 1.2 N. ricoveri per anno e genere Anno Genere Maschi Femmine Totale 2006 N.casi 2382 % casi riga 58,0% N.casi 1726 % casi riga 42,0% N.casi 4108 % casi riga 100,0% 2007 2417 59,3% 1660 40,7% 4077 100,0% 2008 2279 58,1% 1642 41,9% 3921 100,0% 2009 2211 59,4% 1512 40,6% 3723 100,0% 2010 2168 58,8% 1520 41,2% 3688 100,0% 2011 2175 58,5% 1540 41,5% 3715 100,0% Totale 13632 58,7% 9600 41,3% 23232 100,0% Vi sono dunque, determinati da un evento legato a GCA, 3.328 ricoverati/anno che producono 3.872 ricoveri/anno. Il rapporto medio annuo ricoveri/ricoverati è complessivamente pari a 1,10 (1,18 nei maschi, 1,15 nelle femmine). Le tabelle successive evidenziano il numero di ricoveri e di ricoverati per le singole GCA e per il genere. Si evidenzia la costante preminenza di eventi legati al genere maschile. Tab.1.3 Ricoveri TCE per anno Anno 2006 Genere Maschi Femmine N.casi % casi riga 1033 66,6% Totale N.casi % casi riga 517 33,4% N.casi % casi riga 1550 100,0% 2007 1039 66,5% 524 33,5% 1563 100,0% 2008 921 63,2% 537 36,8% 1458 100,0% 2009 910 64,8% 494 35,2% 1404 100,0% 2010 822 65,0% 443 35,0% 1265 100,0% 2011 811 64,4% 448 35,6% 1259 100,0% Totale 5536 65,1% 2963 34,9% 8499 100,0% 46 Tab.1.4 Ricoveri GCA Emorragiche/ Anossiche Anno Maschi Femmine Totale 2006 N.casi 306 % casi riga 53,3% N.casi 268 % casi riga 46,7% 2007 277 51,6% 260 48,4% 537 100,0% 2008 294 52,6% 265 47,4% 559 100,0% 2009 326 54,7% 270 45,3% 596 100,0% 2010 317 51,2% 302 48,8% 619 100,0% 2011 345 55,1% 281 44,9% 626 100,0% 1865 53,1% 1646 46,9% 3511 100,0% Total Tab.1.5 Ricoveri GCA Ischemiche Anno Genere N.casi % casi riga 574 100,0% Genere Maschi Femmine Totale 2006 N.casi 1043 % casi riga 52,6% N.casi 941 % casi riga 47,4% N.casi % casi riga 1984 100,0% 2007 1101 55,7% 876 44,3% 1977 100,0% 2008 1064 55,9% 840 44,1% 1904 100,0% 2009 975 56,6% 748 43,4% 1723 100,0% 2010 1029 57,0% 775 43,0% 1804 100,0% 2011 1019 55,7% 811 44,3% 1830 100,0% Totale 6231 55,5% 4991 44,5% 11222 100,0% Le tabelle che seguono mostrano la distribuzione, sul periodo, dei ricoverati per le differenti specifiche tipologie di GCA, in totale, per genere e singolo anno. 47 Tab.1.6 Ricoverati TCE Anno Maschi Femmine % casi N.casi riga 484 33,8% Totale N.casi % casi riga 1433 100,0% 2006 N.casi 949 % casi riga 66,2% 2007 938 66,1% 480 33,9% 1418 100,0% 2008 816 62,7% 485 37,3% 1301 100,0% 2009 805 64,7% 440 35,3% 1245 100,0% 2010 714 64,2% 398 35,8% 1112 100,0% 2011 693 63,4% 400 36,6% 1093 100,0% Totale 4915 64,7% 2687 35,3% 7602 100,0% Tab.1.7 Ricoverati GCA Emorragiche/ Anossiche Anno Genere Genere Maschi Femmine % casi N.casi riga 218 45,6% Totale N.casi % casi riga 478 100,0% 2006 N.casi 260 % casi riga 54,4% 2007 231 52,4% 210 47,6% 441 100,0% 2008 217 49,3% 223 50,7% 440 100,0% 2009 238 52,0% 220 48,0% 458 100,0% 2010 220 48,7% 232 51,3% 452 100,0% 2011 231 51,6% 217 48,4% 448 100,0% Totale 1397 51,4% 1320 48,6% 2717 100,0% 48 Genere Tab.1.8 Ricoverati GCA Ischemiche Anno 2006 Maschi Femmine N.casi % casi riga 945 51,4% Totale 894 % casi riga 48,6% N.casi N.casi % casi riga 1839 100,0% 2007 947 55,3% 767 44,7% 1714 100,0% 2008 903 55,3% 730 44,7% 1633 100,0% 2009 793 54,8% 654 45,2% 1447 100,0% 2010 862 56,9% 654 43,1% 1516 100,0% 2011 823 54,8% 678 45,2% 1501 100,0% Totale 5273 54,6% 4377 45,4% 9650 100,0% Distribuzione per tipologia di GCA, genere e anno Le tabelle (2.x) che seguono mostrano il peso percentuale, totale ed entro genere, dei singoli tipi di GCA sul totale delle GCA. E’ evidente il rilievo quantitativo delle forme ischemiche (48%), seguito dai TCE (38%). Interessante come nei maschi il peso dei TCE salga fino al 42,4%, mentre nelle femmine aumenti lo sbilanciamento delle forme ischemiche, che pesano per il 52%. Genere Tab. 2.0 Soggetti ricoverati per tipo GCA e genere Maschi Femmine Totale % casi % casi % casi colonn colonn colonn N.casi a N.casi a N.casi a Tipo di TCE 4915 42,4% 2687 32,0% 7602 38,1% GCA: GCA 1397 12,1% 1320 15,7% 2717 13,6% 5273 45,5% 4377 52,2% 9650 48,3% Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale 11585 100,0% 49 8384 100,0% 19969 100,0% Queste proporzioni si mantengono simili durante tutti i 6 anni di osservazione (cfr tabelle successive). Interessante tuttavia notare (tab. 2.1 e grafico 1) come, in termini di casi assoluti, si mostri chiaramente nei 6 anni di osservazione una discreta diminuzione per TCE e GCA ischemiche (TCE in particolare nei maschi), a fronte di una sostanziale stabilità per le GCA emorragiche. Tab. 2.1 Soggetti ricoverati per tipo GCA, anno e generetotale Anno TCE GCA Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale 2006 N.casi 1433 % casi riga 38,2% N.casi 478 % casi riga 12,7% N.casi 1839 % casi riga 49,0% % casi riga N.casi 3750 100,0% 2007 1418 39,7% 441 12,3% 1714 48,0% 3573 100,0% 2008 1301 38,6% 440 13,0% 1633 48,4% 3374 100,0% 2009 1245 39,5% 458 14,5% 1447 45,9% 3150 100,0% 2010 1112 36,1% 452 14,7% 1516 49,2% 3080 100,0% 2011 1093 35,9% 448 14,7% 1501 49,3% 3042 100,0% Totale 7602 38,1% 2717 13,6% 9650 48,3% 19969 100,0% 50 Graf. 1 Trend casi 2006-2011 per tipologia GCA e genere Tab. 2.2 Soggetti ricoverati per tipo GCA, anno e genereMaschi TCE Anno 2006 % casi N.casi riga 949 44,1% 2007 Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale N.casi 260 % casi riga 12,1% % casi N.casi riga 945 43,9% % casi riga N.casi 2154 100,0% 938 44,3% 231 10,9% 947 44,8% 2116 100,0% 2008 816 42,1% 217 11,2% 903 46,6% 1936 100,0% 2009 805 43,8% 238 13,0% 793 43,2% 1836 100,0% 2010 714 39,8% 220 12,2% 862 48,0% 1796 100,0% 2011 693 39,7% 231 13,2% 823 47,1% 1747 100,0% Totale 4915 42,4% 1397 12,1% 5273 45,5% 11585 100,0% 51 Tab. 2.3 Soggetti ricoverati per tipo GCA, anno e genereFemmine TCE Anno 2006 % casi N.casi riga 484 30,3% 2007 Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale N.casi 218 % casi riga 13,7% % casi N.casi riga 894 56,0% % casi riga N.casi 1596 100,0% 480 32,9% 210 14,4% 767 52,6% 1457 100,0% 2008 485 33,7% 223 15,5% 730 50,8% 1438 100,0% 2009 440 33,5% 220 16,7% 654 49,8% 1314 100,0% 2010 398 31,0% 232 18,1% 654 50,9% 1284 100,0% 2011 400 30,9% 217 16,8% 678 52,4% 1295 100,0% Totale 2687 32,0% 1320 15,7% 4377 52,2% 8384 100,0% Distribuzione per età e tipologia di GCA La distribuzione complessiva per classi di età (tab.3) vede la chiara prevalenza complessiva dei pazienti di età superiore a 70 anni; ciò è determinato dalla numerosità importante delle GCA di origine non traumatica. Analizzando le singole tipologie è impressionante verificare come nei TCE il 33,4% dei casi sia determinato da pazienti sotto i 24 anni, ed addirittura più del 50% sia entro i 45 anni. Un nuovo picco si ripresenta poi negli ultra settantenni. GCA emorragiche ed ischemiche, come atteso, sono invece eventi sostanzialmente rari prima dei 35-40 anni, in quanto chiaramente correlati all’aumento dell’età stessa. Si veda anche il grafico 2 al proposito. 52 Tab. 3 Tipologia GCA per classi di età e genere 0-17 Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche TCE % casi colonna N.casi 1699 22,3% N.casi 44 % casi colonna 1,6% % casi colonna N.casi 10 ,1% Totale % casi colonna N.casi 1753 8,8% 18-24 841 11,1% 20 ,7% 13 ,1% 874 4,4% 25-34 842 11,1% 61 2,2% 61 ,6% 964 4,8% 35-45 795 10,5% 151 5,6% 198 2,1% 1144 5,7% 46-59 844 11,1% 386 14,2% 820 8,5% 2050 10,3% 60-69 620 8,2% 493 18,1% 1830 19,0% 2943 14,7% 70+ 1961 25,8% 1562 57,5% 6718 69,6% 10241 51,3% Totale 7602 100,0% 2717 100,0% 9650 100,0% 19969 100,0% Il grafico 2, a seguire, evidenzia la differente tipologia di distribuzione delle singole classificazioni di GCA rispetto alle età. Si noti, come detto, l’evidente correlazione tra GCA ischemiche ed aumento dell’età, così come i due picchi di età contrapposti per i TCE: in età giovanissima ed in età avanzata. 53 Graf.2 Dist. Per classi età e tipologia GCA Se effettuiamo una valutazione comparativa tra i gruppi di patologie (grafico 2), emerge una diversa tipologia di distribuzione. Infatti, mentre il rischio di trauma cranico è prevalente per gli uomini per quasi tutto l’arco della vita, con un chiarissimo picco in età giovanile-adulta, in età senile il rischio diventa prevalente per il sesso femminile. Tale inversione potrebbe essere correlabile alla maggiore longevità del sesso femminile, ma anche altri fattori potrebbero essere chiamati in causa, come per esempio l’abbattimento per il sesso maschile del rischio lavorativo, o la diminuzione all’uso dell’auto, mentre continuerebbe costante il rischio per le donne di incidente domestico. Per quanto concerne il rischio da ricovero per GCA emorragiche, si evidenzia una sostanziale identità distributiva tra i generi, mentre per le GCA ischemiche il rischio è costantemente più elevato per gli uomini fino ai 75 anni, quando prevale in ambito femminile. Anche in questo caso la spiegazione più plausibile riporta alla maggior longevità femminile. I grafici 3-5 dettagliano l’andamento delle singole tipologie di GCA come singole classi di età nell’arco dei sei anni di osservazione. 54 Grafico n.3 TCE-Distr. Freq. per età e anni di osservazione Il grafico 3 mostra la distribuzione dei casi di TCE per classi di età e anni di osservazione. Interessante notare come vi siano trend in decremento per quasi tutte le classi di età (particolarmente importante la riduzione della classe 0-17), con l’eccezione dell’aumento per classi over 60 –con incremento particolarmente significativo per gli over 70. 55 Grafico n.4 GCA emorragiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione Nel grafico 4 riscontriamo un aumento costante solo nella classe over 70, a fronte di andamenti sostanzialmente stabili nelle altre età. 56 Grafico n.5 GCA ischemiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione Nel grafico 5 riscontriamo sostanziali stabilità in quasi tutte le classi di età, con l’eccezione di un trend in modesta diminuzione per l’età 60-69; la classe di età over 70 presenta un andamento complessivamente decrescente, ma caratterizzato da una netta ripresa negli ultimi tre anni. Come indicatori sintetici, riscontriamo che l’età media dei soggetti identificati è di 57 anni per gli uomini e di 68 anni per le donne (61 complessivamente). Le rispettive età mediane sono 65, 76 e 70 (tab.4). Vi sono, come già accennato, rilevanti differenze tra le diverse patologie: il TCE, in particolare, riguarda maggiormente le classi giovanili (in particolare nei maschi), mentre le GCA ischemiche sono più frequenti nelle persone di età elevata. 57 Tab.4 Età-Indicatori di sintesi per genere e tipologia di GCA Genere Maschi Femmine Deviazione Media Mediana standard Totale Deviazione Media Mediana standard Deviazione Media Mediana standard TCE 39 34 25 52 62 31 44 40 28 GCA 66 70 17 71 76 17 68 73 17 71 72 11 76 79 12 73 75 12 57 65 24 68 76 23 61 70 24 Emorragiche GCA Ischemiche Totale La distribuzione di dettaglio per gruppo di patologia e classi di età, nel sessennio, è presentata nelle tabelle che seguono. Tab.5 Distr. freq. classi età e genere – TCE Classi di età Genere Femmine Maschi Totale N.casi 1126 % casi colonna 22,9% N.casi 573 % casi colonna 21,3% N.casi 1699 % casi colonna 22,3% 18-24 684 13,9% 157 5,8% 841 11,1% 25-34 675 13,7% 167 6,2% 842 11,1% 35-45 618 12,6% 177 6,6% 795 10,5% 46-59 603 12,3% 241 9,0% 844 11,1% 60-69 401 8,2% 219 8,2% 620 8,2% 70+ 808 16,4% 1153 42,9% 1961 25,8% 4915 100,0% 2687 100,0% 7602 100,0% 0-17 Totale 58 Tab.6 Distr. freq. classi età e genere – GCA Emorragiche/Anossiche Maschi Femmine Totale N.casi 31 % casi colonna 2,2% N.casi 13 % casi colonna 1,0% N.casi 44 % casi colonna 1,6% 18-24 12 ,9% 8 ,6% 20 ,7% 25-34 33 2,4% 28 2,1% 61 2,2% 35-45 82 5,9% 69 5,2% 151 5,6% 46-59 234 16,8% 152 11,5% 386 14,2% 60-69 287 20,5% 206 15,6% 493 18,1% 70+ 718 51,4% 844 63,9% 1562 57,5% 1397 100,0% 1320 100,0% 2717 100,0% Classi di età 0-17 Totale Tab.7 Distr. freq. classi età e genere – GCA Ischemiche Classi di età Genere Genere Maschi Femmine 0-17 % casi colonna 5 ,1% 18-24 6 25-34 Totale 5 % casi colonna ,1% 10 % casi colonna ,1% ,1% 7 ,2% 13 ,1% 31 ,6% 30 ,7% 61 ,6% 35-45 120 2,3% 78 1,8% 198 2,1% 46-59 605 11,5% 215 4,9% 820 8,5% 60-69 1272 24,1% 558 12,7% 1830 19,0% 70+ 3234 61,3% 3484 79,6% 6718 69,6% Totale 5273 100,0% 4377 100,0% 9650 100,0% N.casi 59 N.casi N.casi Tipologia dimissioni Relativamente alla tipologia di dimissione riscontrata nei soggetti alla fine del ricovero incidente (il primo ricovero per ogni paziente univocamente tracciato), le tab.8.x mostrano le distribuzioni riscontrate per i singoli gruppi di GCA. Le valutazioni sul percorso “riabilitazione”, ovviamente connesse anche alla tipologia di dimissione, saranno effettuate nel capitolo specifico. Tab. 8.1 Tipo di GCA: TCE - Tipo dimissione n. casi % casi colonna 1-ordinaria al domicilio del paziente 6383 84,0% 2-volontaria (su decisione paziente) 184 2,4% 3-trasferimento a altro istituto ricovero cura, 279 3,7% 202 2,7% 95 1,2% 1 ,0% 296 3,9% 149 2,0% 13 ,2% 7602 100,0% pubbl. o privato 4-deceduto 5-dim ordinaria presso RSA 6-dim a domicilio paziente con attivazione H domiciliare 7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero (dh-ord-riab) 8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 9-dim ord. con attivazione di ADI Totale La dimissione ordinaria risulta di gran lunga prevalente nei TCE. Il 2,7% dei casi decede in sede di ricovero. Nelle TCE, l’elevata quantità di dimissioni ordinarie è rappresentativa di quei ricoveri in cui il trauma è stato presumibilmente di entità lieve (questo dato è corroborato anche dalla media di giornate di degenza per gruppo GCA presentato nella tab. 11, nonché dal basso numero di deceduti intra-ricovero). 60 Tab. 8.2 Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - Tipo dimissione n. casi % casi colonna 1-ordinaria al domicilio del paziente 1025 37,7% 2-volontaria (su decisione paziente) 26 1,0% 290 10,7% 725 26,7% 59 2,2% 1 ,0% 360 13,2% 216 7,9% 15 ,6% 2717 100,0% 3-trasferimento a altro istituto ricovero cura, pubbl. o privato 4-deceduto 5-dim ordinaria presso RSA 6-dim a domicilio paziente con attivazione H domiciliare 7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero (dh-ord-riab) 8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 9-dim ord. con attivazione di ADI Totale Per le GCA emorragiche, la dimissione ordinaria risulta prevalente (37,7%), ma su dimensioni molto differenti dai TCE e dalle GCA ischemiche; più di un paziente su quattro (26,7%) decede in sede di ricovero, e molto rilevante è la quantità di coloro che vengono trasferiti per altro ricovero o per terapia riabilitativa. 61 Tab. 8.3 Tipo di GCA: Ischemiche - Tipo dimissione n. casi % casi colonna 1-ordinaria al domicilio del paziente 6874 71,2% 2-volontaria (su decisione paziente) 59 ,6% 396 4,1% 4-deceduto 683 7,1% 5-dim ordinaria presso RSA 135 1,4% 1 ,0% 666 6,9% 764 7,9% 72 ,7% 9650 100,0% 3-trasferimento a altro istituto ricovero cura, pubbl. o privato 6-dim a domicilio paziente con attivazione H domiciliare 7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero (dh-ord-riab) 8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 9-dim ord. con attivazione di ADI Totale Nelle GCA ischemiche decede il 7% dei pazienti durante il ricovero, mentre il 71% esce con dimissioni ordinarie. 62 Tab. 8.4 Tipo di GCA: tutte - Tipo dimissione n.casi % casi colonna 1-ordinaria al domicilio del paziente 14282 71,5% 2-volontaria (su decisione paziente) 269 1,3% 3-trasferimento a altro istituto ricovero cura, 965 4,8% 1610 8,1% 289 1,4% 3 ,0% 1322 6,6% 1129 5,7% 100 ,5% 19969 100,0% pubbl. o privato 4-deceduto 5-dim ordinaria presso RSA 6-dim a domicilio paziente con attivazione H domiciliare 7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero (dh-ord-riab) 8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 9-dim ord. con attivazione di ADI Totale La tabella 8.4 descrive le modalità di dimissione per tutte le GCA. Per quanto sia meno rilevante rispetto alla valutazione che nasce dalle singole GCA, è interessante notare come, a fronte del 71,5% di pazienti che esce con dimissione ordinaria a domicilio, vi sia una quota pari a 8,0% di decessi intra-ospedalieri (tra cui prevale il 26,7% dei decessi per il gruppo delle GCA emorragiche) ed un 12% che viene indirizzato su un percorso di terapia riabilitativa (regime 7 sommato a regime 8). In realtà tale dato merita un approfondimento a parte, per la complessità di tracciatura all’interno dei vari flussi dei dimessi in riabilitazione. Durata dei ricoveri La tabella che segue presenta alcune statistiche di sintesi sulla durata dei ricoveri (sono esclusi dal calcolo i ricoveri in regime di day-hospital). 63 Tab.9 Statistiche descrittive n.giornate di degenza per GCA n. giorni degenza Deviazione Media standard Percentile 25 Mediana Percentile 75 TCE 7,1 13,6 2 4 8 GCA 14,9 16,7 4 11 19 GCA Ischemiche 9,8 8,3 4 8 12 Totale 9,5 12,2 3 6 12 Emorragiche/Anossiche E’ molto evidente, dalle statistiche presentate, come gran parte dei ricoveri (12 giorni come 75esimo percentile) tenda a risolversi nelle prime due settimane (con l’eccezione delle GCA emorragiche); il 50% si risolve entro 6 giorni. Il grafico successivo (Graf. 6) mostra la media delle giornate di degenza per sesso e classi di età. Vi è una tendenza all’aumento della durata di ricovero con l’età del paziente, con picco intorno ai 40-45, e successivo decremento per le età più avanzate. 64 Graf. 6 – GCA complessive-giornate di degenza: distribuzione della media per sesso e classi di età Il grafico 7 evidenzia un andamento sovrapponibile per TCE e GCA Ischemiche (con l’area sottesa alla curva comunque prevalente nell’arco della prima settimana), mentre per le GCA emorragiche la distribuzione è maggiormente “spalmata” su un arco temporale più ampio, sia pur su livelli quantitativi, come numerosità di casi, sempre più marginale. 65 Graf. 7 distr. freq. gg degenza per gruppo GCA Altre variabili di interesse Nelle tabelle 12.x sono rappresentate le afferenze dei ricoveri per territorio. Il 91% complessivo è avvenuto presso strutture localizzate nel territorio dell’ASL di Bergamo. Quote sostanzialmente identiche si riscontrano nelle analisi per singola GCA che seguono. 66 Tab. 12.1 Tipo di GCA: Totale - ASL di localizzazione della struttura di ricovero ASL A01 PROV. BERGAMO N.casi % casi colonna 21161 91,1% A02 PROV. BRESCIA 723 3,1% A08 MILANO 492 2,1% A05 PROV. LECCO 247 1,1% A15 VALCAMONICA-SEBINO 186 ,8% A11 PROV. MONZA E BRIANZA 114 ,5% A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO) 77 ,3% A03 PROV. COMO 60 ,3% A04 PROV. CREMONA 54 ,2% A12 PROV. PAVIA 36 ,2% A13 PROV. SONDRIO 27 ,1% A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO) 27 ,1% A14 PROV. VARESE 12 ,1% A06 PROV. LODI 6 ,0% A07 PROV. MANTOVA 5 ,0% Dato mancante 5 ,0% 23232 100,0% Totale 67 Tab. 12.2 Tipo di GCA: TCE - ASL di localizzazione della struttura di ricovero ASL A01 PROV. BERGAMO N.casi % casi colonna 7606 89,5% 355 4,2% A08 MILANO 94 1,1% A05 PROV. LECCO 95 1,1% 116 1,4% A11 PROV. MONZA E BRIANZA 63 ,7% A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO) 38 ,4% A03 PROV. COMO 25 ,3% A04 PROV. CREMONA 40 ,5% A12 PROV. PAVIA 17 ,2% A13 PROV. SONDRIO 20 ,2% A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO) 11 ,1% A14 PROV. VARESE 11 ,1% A06 PROV. LODI 4 ,0% A07 PROV. MANTOVA 3 ,0% Dato mancante 1 ,0% 8499 100,0% A02 PROV. BRESCIA A15 VALCAMONICA-SEBINO Totale 68 Tab. 12.3 Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - ASL di localizzazione della struttura di ricovero ASL A01 PROV. BERGAMO N.casi % casi colonna 3197 91,1% 118 3,4% A08 MILANO 70 2,0% A05 PROV. LECCO 62 1,8% A15 VALCAMONICA-SEBINO 17 ,5% A11 PROV. MONZA E BRIANZA 9 ,3% A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO) 4 ,1% 13 ,4% A04 PROV. CREMONA 5 ,1% A12 PROV. PAVIA 9 ,3% A13 PROV. SONDRIO 3 ,1% A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO) 2 ,1% A14 PROV. VARESE 0 ,0% A06 PROV. LODI 0 ,0% A07 PROV. MANTOVA 0 ,0% Dato mancante 2 ,1% 3511 100,0% A02 PROV. BRESCIA A03 PROV. COMO Totale 69 Tab. 12.4 Tipo di GCA: Ischemiche - ASL di localizzazione della struttura di ricovero ASL A01 PROV. BERGAMO N.casi % casi colonna 10358 92,3% A02 PROV. BRESCIA 250 2,2% A08 MILANO 328 2,9% A05 PROV. LECCO 90 ,8% A15 VALCAMONICA-SEBINO 53 ,5% A11 PROV. MONZA E BRIANZA 42 ,4% A10 MILANO PR. 2 (MELEGNANO) 35 ,3% A03 PROV. COMO 22 ,2% 9 ,1% 10 ,1% 4 ,0% 14 ,1% A14 PROV. VARESE 1 ,0% A06 PROV. LODI 2 ,0% A07 PROV. MANTOVA 2 ,0% Dato mancante 2 ,0% 11222 100,0% A04 PROV. CREMONA A12 PROV. PAVIA A13 PROV. SONDRIO A09 MILANO PR. 1 (LEGNANO) Totale Le tab. 13.x presentano la distribuzione dei pazienti per tipologia di struttura presso cui il ricovero è avvenuto. E’ chiaro come, sulla base della gravità e, sovente, della subitaneità dell’accadimento delle patologie di cui stiamo trattando, vi sia una distribuzione che conduce il paziente in prima istanza verso una struttura di AO (68,0%), probabilmente per una presenza più frequente del PS. Ciò si riscontra particolarmente nel caso dei TCE (76%) e delle GCA emorragiche (74%). 70 Tab. 13.1 Tipo di GCA: Totale –distr. freq. per tipologia struttura di ricovero Tipologia Struttura di A.O. N.casi 15770 67,9% 6762 29,1% IRCCS Privato 366 1,6% Struttura di A.S.L. 186 ,8% IRCCS Pubblico 77 ,3% Ospedale Classificato 63 ,3% Dato mancante 5 ,0% Casa di Cura non Accreditata 3 ,0% 23232 100,0% Casa di Cura Accreditata Totale Tab. 13.2 Tipo di GCA: TCE –distr. freq. per tipologia struttura di ricovero Tipologia % casi colonna N.casi % casi colonna Struttura di A.O. 6473 76,2% Casa di Cura Accreditata 1820 21,4% 32 ,4% 116 1,4% IRCCS Pubblico 29 ,3% Ospedale Classificato 28 ,3% Dato mancante 1 ,0% Casa di Cura non Accreditata 0 ,0% 8499 100,0% IRCCS Privato Struttura di A.S.L. Totale 71 Tab. 13.3 Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche –distr. freq. per tipologia struttura di ricovero Tipologia N.casi Struttura di A.O. 2588 73,7% 805 22,9% IRCCS Privato 60 1,7% Struttura di A.S.L. 17 ,5% IRCCS Pubblico 16 ,5% Ospedale Classificato 23 ,7% Dato mancante 2 ,1% Casa di Cura non Accreditata 0 ,0% 3511 100,0% Casa di Cura Accreditata Totale Tab. 13.4 Tipo di GCA: Ischemiche –distr. freq. per tipologia struttura di ricovero Tipologia % casi colonna N.casi % casi colonna Struttura di A.O. 6709 59,8% Casa di Cura Accreditata 4137 36,9% 274 2,4% Struttura di A.S.L. 53 ,5% IRCCS Pubblico 32 ,3% Ospedale Classificato 12 ,1% Dato mancante 2 ,0% Casa di Cura non Accreditata 3 ,0% 11222 100,0% IRCCS Privato Totale 72 Modalità di accesso al ricovero Le tabelle 14.x descrivono, complessivamente e per singola GCA, le modalità di accesso al ricovero. Le modalità prevalenti sono quelle in regime di urgenza o tramite Pronto Soccorso, come prevedibile in particolare per TCE e GCA emorragiche. Le altre modalità fanno riferimento soprattutto ai trasferimenti, interni o verso altro istituto o regime (ad esempio, riabilitazione). Tab. 14.1 Tipo di GCA: Totale -modalità di accesso N.casi 01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118) 02-inviato da medico di base 03-ricovero programmato da stesso istituto di cura 04-trasferito da Osp. Pubblico 09-Altro 05-trasferito da struttura privata accreditata 07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist. 06-trasferito da struttura privata non accreditata Dato mancante Totale 73 8806 5094 % casi colonna 44,1% 25,5% 2305 1961 11,5% 9,8% 1108 360 278 43 5,5% 1,8% 1,4% ,2% 10 ,1% 4 19969 ,0% 100,0% Tab. 14.2 Tipo di GCA: TCE -modalità di accesso N.casi 01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118) 03-ricovero programmato da stesso istituto di cura 04-trasferito da Osp. Pubblico 09-Altro 02-inviato da medico di base 05-trasferito da struttura privata accreditata 07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist. 06-trasferito da struttura privata non accreditata Dato mancante Totale Tab. 14.3 Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche modalità di accesso 3950 2142 % casi colonna 52,0% 28,2% 773 10,2% 428 114 112 62 12 5,6% 1,5% 1,5% ,8% ,2% 5 ,1% 4 7602 ,1% 100,0% 1373 724 % casi colonna 50,5% 26,6% 255 129 9,4% 4,7% 126 50 47 8 4,6% 1,8% 1,7% ,3% 5 ,2% 0 2717 ,0% 100,0% N.casi 01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118) 04-trasferito da Osp. Pubblico 03-ricovero programmato da stesso istituto di cura 02-inviato da medico di base 09-Altro 05-trasferito da struttura privata accreditata 07-trasferito da altro regime (DH-RicOrdRiab-LD) entro Ist. 06-trasferito da struttura privata non accreditata Dato mancante Totale 74 Tab. 14.4 Tipo di GCA: Ischemiche -modalità di accesso N.casi 01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118) 02-inviato da medico di base 03-ricovero programmato da stesso istituto di cura 04-trasferito da Osp. Pubblico 09-Altro 05-trasferito da struttura privata accreditata 07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-Riab-LD) entro Ist. 06-trasferito da struttura privata non accreditata Dato mancante Totale 3483 2228 2067 1059 % casi colonna 36,1% 23,1% 21,4% 11,0% 425 196 169 23 4,4% 2,0% 1,8% ,2% 0 0 9650 ,0% ,0% 100,0% Descrizione evento traumatico (tce) Le tab. 15.x mostrano, per i pazienti con diagnosi di TCE, la modalità di accadimento dell’evento traumatico che ha dato luogo al ricovero, dettagliando quindi le distribuzioni di frequenza per genere e per classi di età. Nonostante vi sia una quota elevata di descrizioni mancanti o non definite, rispetto agli items, alcuni elementi sono evidenziabili: chiara prevalenza delle cause per traffico e sul lavoro nei maschi, così come accadimenti in ambiente domestico per le donne; si veda anche il grafico a seguire ed il relativo commento di dettaglio (grafico n. 8). Tab. 15.1 TCE-descrizione evento traumatico altro N.casi 3481 % casi colonna 45,8% da traffico 1821 24,0% in ambiente domestico 1364 17,9% sul lavoro 452 5,9% violenza altrui 266 3,5% Dato mancante 205 2,7% 13 0,2% 7602 100,0% autolesione o tentato suicidio Totale 75 Tab. 15.1 TCE-descrizione evento traumatico per genere Genere Maschi N.casi Femmine % casi colonna N.casi % casi colonna Altro-non noto 2277 46,3% 1204 44,8% da traffico 1294 26,3% 527 19,6% in ambiente domestico 597 12,1% 767 28,5% sul lavoro 408 8,3% 44 1,6% violenza altrui 231 4,7% 35 1,3% 99 2,0% 106 3,9% 9 ,2% 4 ,1% 4915 100,0% 2687 100,0% Dato mancante autolesione o tentato suicidio Totale Tab. 15.2 TCE-descrizione evento traumatico per età e genere - Sul lavoro Classi di età 0-17 18-24 25-34 35-45 46-59 60-69 70+ Totale Genere Maschi N.casi 21 50 74 101 141 18 3 408 % casi colonna 5,1% 12,3% 18,1% 24,8% 34,6% 4,4% ,7% 100,0% 76 Femmine N.casi 7 4 8 12 12 1 0 44 % casi colonna 15,9% 9,1% 18,2% 27,3% 27,3% 2,3% ,0% 100,0% Tab. 15.2 TCE-descrizione evento traumatico per età e genere - In ambiente domestico Classi di età 0-17 18-24 25-34 35-45 46-59 60-69 70+ Totale Tab. 15.4 TCE-descrizione evento traumatico per età e genere - Da violenza altrui Classi di età N.casi 0-17 18-24 25-34 35-45 46-59 60-69 70+ Totale Tab. 15.3 TCE-descrizione evento traumatico per età e genere - Da traffico Classi di età Genere Maschi 0-17 18-24 25-34 35-45 46-59 60-69 70+ Totale 210 17 18 37 57 75 183 597 Femmine % casi colonna 35,2% 2,8% 3,0% 6,2% 9,5% 12,6% 30,7% 100,0% N.casi 184 12 18 26 43 60 424 767 % casi colonna 24,0% 1,6% 2,3% 3,4% 5,6% 7,8% 55,3% 100,0% Genere Maschi N.casi 241 218 223 218 156 94 144 1294 Femmine % casi colonna 18,6% 16,8% 17,2% 16,8% 12,1% 7,3% 11,1% 100,0% N.casi 95 93 57 68 79 46 89 527 % casi colonna 18,0% 17,6% 10,8% 12,9% 15,0% 8,7% 16,9% 100,0% Genere Maschi N.casi 27 65 66 41 17 11 4 231 % casi colonna 11,7% 28,1% 28,6% 17,7% 7,4% 4,8% 1,7% 100,0% 77 Femmine N.casi 0 4 6 9 8 4 4 35 % casi colonna ,0% 11,4% 17,1% 25,7% 22,9% 11,4% 11,4% 100,0% Il successivo graf. 8 mostra come, con l'età, variino anche le cause di traumatismo. I traumi da incidente stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente rilevante nell’età compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le femmine. Nell'età infantile e nell'età senile risultano prevalenti gli infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini in età compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste evidenze appaiono importanti in un’ottica di pianificazione di interventi di prevenzione. Graf.8 Distr. Freq. tipologia traumatismi per età e sesso 78 Descrizione soggetti per condizione lavorativa Le tabelle successive (tab. 16.x) mostrano la distribuzione dei soggetti per condizione lavorativa per le GCA in totale e per singola tipologia, nei due generi; il dato rilevato è relativo al primo ricovero in assoluto dei soggetti nell’arco dell’intero sessennio. I dati relativi alla condizione lavorativa sono coerenti con quanto ci si attenderebbe sulla base della distribuzione per età già presentata. Di particolare interesse, per i TCE (tab. 16.2), la notazione che per gli uomini la prevalenza maggiore si riscontri nelle categorie “operai/salariati agricoli”, “bambini/studenti” e “pensionati/invalidi”, identificando nuovamente gli incidenti stradali, gli infortuni lavorativi e gli incidenti domestici come momenti critici su cui intervenire come prevenzione primaria. Genere 16.1 GCA totali- condizione lavorativa al momento del primo ricovero Maschi Femmine % casi % casi colonna N Totale colonna N % casi colonna N 1-Imprenditore/Dirigente 318 2,8% 31 ,4% 349 1,8% 2-Impiegato/Insegnante 312 2,7% 221 2,6% 533 2,7% 3-Artigiano/Coltivatore 486 4,2% 66 ,8% 552 2,8% 1827 15,9% 371 4,4% 2198 11,1% 18 ,2% 13 ,2% 31 ,2% 10 ,1% 1151 13,8% 1161 5,8% 6535 56,7% 5572 66,6% 12107 60,9% 683 5,9% 289 3,5% 972 4,9% 1337 11,6% 649 7,8% 1986 10,0% 11526 100,0% 8363 100,0% 19889 100,0% diretto 4-Operaio/Salariato agricolo 5-Altra condizione lavorativa 6-Casalinga 7-Pensionato/Invalido 8-Disoccupato/in cerca di prima occup. 9-Studenti/Scolari/Bambini Totale 79 Genere 16.2 TCE - condizione lavorativa al momento del primo ricovero Maschi Femmine % casi colonna N Totale % casi colonna N % casi colonna N 1-Imprenditore/Dirigente 127 2,6% 12 ,4% 139 1,8% 2-Impiegato/Insegnante 192 3,9% 124 4,6% 316 4,2% 3-Artigiano/Coltivatore diretto 258 5,3% 33 1,2% 291 3,9% 4-Operaio/Salariato agricolo 1376 28,2% 238 8,9% 1614 21,4% 5-Altra condizione lavorativa 14 ,3% 6 ,2% 20 ,3% 1 ,0% 312 11,6% 313 4,1% 1195 24,5% 1200 44,8% 2395 31,7% 418 8,6% 134 5,0% 552 7,3% 9-Studenti/Scolari/Bambini 1291 26,5% 621 23,2% 1912 25,3% Totale 4872 100,0% 2680 100,0% 7552 100,0% 6-Casalinga 7-Pensionato/Invalido/Inabile 8-Disoccupato/in cerca di prima occup. 80 16.3 GCA Emorragiche/Anossiche condizione lavorativa al momento del primo ricovero Genere Maschi Femmine % casi colonna N Totale % casi colonna N % casi colonna N 1-Imprenditore/Dirigente 42 3,0% 7 ,5% 49 1,8% 2-Impiegato/Insegnante 34 2,4% 43 3,3% 77 2,8% 3-Artigiano/Coltivatore diretto 52 3,7% 12 ,9% 64 2,4% 4-Operaio/Salariato agricolo 152 10,9% 57 4,3% 209 7,7% 5-Altra condizione lavorativa 0 ,0% 3 ,2% 3 ,1% 6-Casalinga 2 ,1% 211 16,0% 213 7,9% 989 71,2% 896 68,1% 1885 69,7% 84 6,0% 68 5,2% 152 5,6% 35 2,5% 18 1,4% 53 2,0% 1390 100,0% 1315 100,0% 2705 100,0% 7-Pensionato/Invalido/Inabile 8-Disoccupato/in cerca di prima occup. 9-Studenti/Scolari/Bambini Totale 81 Genere 16.4 GCA Ischemiche condizione lavorativa al momento del primo ricovero Maschi Femmine % casi colonna N Totale % casi colonna N % casi colonna N 1-Imprenditore/Dirigente 149 2,8% 12 ,3% 161 1,7% 2-Impiegato/Insegnante 86 1,6% 54 1,2% 140 1,5% 3-Artigiano/Coltivatore diretto 176 3,3% 21 ,5% 197 2,0% 4-Operaio/Salariato agricolo 299 5,7% 76 1,7% 375 3,9% 5-Altra condizione lavorativa 4 ,1% 4 ,1% 8 ,1% 6-Casalinga 7 ,1% 628 14,4% 635 6,6% 4351 82,7% 3476 79,6% 7827 81,3% 181 3,4% 87 2,0% 268 2,8% 11 ,2% 10 ,2% 21 ,2% 5264 100,0% 4368 100,0% 9632 100,0% 7-Pensionato/Invalido/Inabile 8-Disoccupato/in cerca di prima occup. 9-Studenti/Scolari/Bambini Totale 82 Descrizione Reparto Accettazione e Dimissione Le distribuzioni di frequenza relative al reparto di accettazione e dimissione dei pazienti sono naturalmente determinate dalla situazione in essere: il momento iniziale, l’andamento del ricovero rispetto al caso specifico (trasferimenti interni, trasferimenti ad altre strutture meglio attrezzate, etc.), le diverse modalità di dimissione, i casi in cui si rendano necessari ricoveri successivi al primo ricovero post-evento per la stabilizzazione di situazioni particolari. Reparto Accettazione Tab. 17.1 Tipo di GCA: TCE N 32-NEUROLOGIA 39-PEDIATRIA 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA 30-NEUROCHIRURGIA 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA ALTRI REPARTI Totale 83 1651 1145 990 % casi colonna 19,4% 13,5% 11,6% 781 773 9,2% 9,1% 727 655 8,6% 7,7% 627 7,4% 558 422 170 8499 6,6% 5,0% 2,0% 100,0% Tab. 17.2 Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche N 32-NEUROLOGIA 30-NEUROCHIRURGIA 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 75-NEURO-RIABILITAZIONE 60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA ALTRI REPARTI Totale Tab. 17.3 Tipo di GCA: GCA Ischemiche 1124 739 670 % casi colonna 32,0% 21,0% 19,1% 597 17,0% 225 22 19 6,4% ,6% ,5% 115 3511 3,3% 100,0% N 32-NEUROLOGIA 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 14-CHIRURGIA VASCOLARE 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 08-CARDIOLOGIA 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 30-NEUROCHIRURGIA 60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA ALTRI REPARTI Totale 84 % casi colonna 4647 3118 41,4% 27,8% 2350 349 20,9% 3,1% 326 75 2,9% ,7% 69 47 31 ,6% ,4% ,3% 210 11222 1,9% 100,0% Tab. 17.4 Tipo di GCA: Totale N 32-NEUROLOGIA 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 14-CHIRURGIA VASCOLARE 30-NEUROCHIRURGIA 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 39-PEDIATRIA 38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA 10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA ALTRI REPARTI Totale % casi colonna 7422 4342 31,9% 18,7% 2351 1513 1400 10,1% 6,5% 6,0% 1356 5,8% 1158 788 781 716 1405 23232 5,0% 3,4% 3,4% 3,1% 6,0% 100,0% Reparto Dimissione Tab. 17.5 Tipo di GCA: TCE N % casi colonna 32-NEUROLOGIA 1720 20,2% 39-PEDIATRIA 1182 13,9% 30-NEUROCHIRURGIA 1000 11,8% 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 973 11,4% 10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 805 9,5% 38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA 775 9,1% 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 636 7,5% 36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA 600 7,1% 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 422 5,0% 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 202 2,4% ALTRI REPARTI Totale 85 184 2,2% 8499 100,0% Tab. 17.6 Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche N 1175 % casi colonna 33,5% 30-NEUROCHIRURGIA 963 27,4% 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 584 16,6% 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 419 11,9% 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 225 6,4% 75-NEURO-RIABILITAZIONE 22 ,6% 60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA 19 ,5% 08-CARDIOLOGIA 15 ,4% 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 13 ,4% ALTRI REPARTI 76 2,2% 3511 100,0% 32-NEUROLOGIA 4755 % casi colonna 42,4% 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 3044 27,1% 14-CHIRURGIA VASCOLARE 32-NEUROLOGIA Totale Tab. 17.7 Tipo di GCA: GCA Ischemiche N 2404 21,4% 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 332 3,0% 08-CARDIOLOGIA 332 3,0% 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 69 ,6% 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 63 ,6% 30-NEUROCHIRURGIA 40 ,4% 60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA 31 ,3% 152 1,4% 11222 100,0% ALTRI REPARTI Totale 86 Tab. 17.8 Tipo di GCA: Totale 32-NEUROLOGIA N 7650 % casi colonna 32,9% 26-MEDICINA GENERALE (NON ALTRIMENTI SPECIFICATA) 4264 18,4% 14-CHIRURGIA VASCOLARE 2406 10,4% 30-NEUROCHIRURGIA 2003 8,6% 09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA CHIRURGIA URGENZA) 1318 5,7% 39-PEDIATRIA 1198 5,2% 10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 805 3,5% 38-OTORINOLARINGOIATRIA, AUDIOLOGIA 783 3,4% 56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 716 3,1% 49-TERAPIA INTENSIVA, ANESTESIA E RIANIMAZIONE 684 2,9% ALTRI REPARTI Totale 1405 6,0% 23232 100,0% I decessi L’analisi dei decessi connessi ad una GCA è di notevole rilevanza, soprattutto se si consideri che, in particolare per i TCE, è riconosciuto un peso decisivo come causa di morte nelle classi di età; La lesione traumatica rappresenta infatti la prima causa di morte e di invalidità nell’infante e nei giovani adulti (15-45 anni). I decessi intra-ospedalieri in fase acuta In questo paragrafo si descrivono i decessi avvenuti in sede di ricovero. La tabella 18.1 descrive, in termini assoluti e percentuali, i decessi dichiarati come “tipo di dimissione” avvenuti in sede di ricovero (numerosità 1837, pari a 7,9%). La tab. 18.2 mostra come l’87,6% di questi decessi (numerosità pari a 1610) sia avvenuto durante il ricovero incidente, mentre la tabella 18.3 evidenzia una sostanziale continuità nel trend delle quote percentuali di decessi tra il ricovero incidente e gli eventuali ricoveri successivi nel corso dei sei anni analizzati. La tab. 18.4, che analizza la distribuzione per classi di età, pone in luce come il fenomeno del decesso durante un ricovero ripetuto sia, almeno in parte, correlabile all’avanzare dell’età, mentre il 87 decesso intra-ospedaliero durante il ricovero incidente (primo ricovero), sia pur nell’ambito di valori costantemente elevati, è in qualche misura prevalente nelle classi di età giovani-adulte. La tabella 18.5 descrive le quote di decessi intra-ospedalieri relativamente ai tre diversi gruppi di GCA: il livello di decesso più elevato è presente nei ricoveri per GCA Emorragiche/Anossiche (23%). Tab. 18.1 Decesso in sede di ricovero Frequenza 21395 Percentuale 92,1 decesso 1837 7,9 Totale 23232 100,0 Non deceduto Tab. 18.2 Decesso in sede di ricovero –confronto ricoveri incidenti ed eventuali ricoveri successivi Ricovero ripetuto decesso no si % casi N colonna Totale % casi colonna N % casi N colonna 3036 14,2% 227 12,4% 3263 14,0% Ricovero incidente 18359 85,8% 1610 87,6% 19969 86,0% Totale 21395 100,0% 1837 100,0% 23232 100,0% 88 Tab. 18.3 Decesso in sede di ricovero –confronto ricoveri incidenti ed eventuali ricoveri successivi per anno di dimissione Anno Decesso durante: Ricovero ripetuto Ricovero incidente Totale % casi N % casi riga N riga N % casi riga 2006 27 9,1% 269 90,9% 296 100,0% 2007 32 10,8% 264 89,2% 296 100,0% 2008 39 12,1% 284 87,9% 323 100,0% 2009 29 8,9% 298 91,1% 327 100,0% 2010 45 15,6% 243 84,4% 288 100,0% 2011 55 17,9% 252 82,1% 307 100,0% Totale 227 12,4% 1610 87,6% 1837 100,0% Tab. 18.4 Decesso in sede di ricovero –confronto ricoveri incidenti ed eventuali ricoveri successivi per classi di età Classi di età 0-17 Decesso durante: Ricovero ripetuto N Ricovero incidente % casi riga N % casi riga Totale N % casi riga 0 ,0% 6 100,0% 6 100,0% 18-24 1 9,1% 10 90,9% 11 100,0% 25-34 1 5,0% 19 95,0% 20 100,0% 35-45 3 7,7% 36 92,3% 39 100,0% 46-59 20 14,1% 122 85,9% 142 100,0% 60-69 34 16,0% 179 84,0% 213 100,0% 70+ 168 11,9% 1238 88,1% 1406 100,0% Totale 227 12,4% 1610 87,6% 1837 100,0% 89 Tab. 18.5 Decesso in sede di ricovero –confronto tipologia GCA Tipo di GCA: Decesso intra-ospedaliero no N si % casi riga N % casi riga TCE 8245 97,0% 254 3,0% GCA 2702 77,0% 809 23,0% GCA Ischemiche 10448 93,1% 774 6,9% Totale 21395 92,1% 1837 7,9% Emorragiche/Anossiche I decessi nei ricoveri incidenti Nelle tabelle 18.6, 18.7, 18.8 e 18.9 sono presentati i dati relativi ai decessi intra-ospedalieri, per i 1610 soggetti incidenti, nei tre gruppi, rispetto alle classi di età e per genere. Tab. 18.6 GCA totali Decesso in sede di ricovero incidente– confronto per genere e classi di età Classi di età Genere Maschi Femmine Totale 6 % casi colonna ,4% ,2% 10 ,6% 5 ,6% 19 1,2% 3,0% 12 1,5% 36 2,2% 82 10,1% 40 5,0% 122 7,6% 60-69 112 13,9% 67 8,4% 179 11,1% 70+ 563 69,7% 675 84,2% 1238 76,9% Totale 808 100,0% 802 100,0% 1610 100,0% 1 % casi colonna ,1% 1,0% 2 14 1,7% 35-45 24 46-59 0-17 5 % casi colonna ,6% 18-24 8 25-34 N N 90 N Tab. 18.7 TCE Decesso in sede di ricovero incidente– confronto tipologia GCA per genere e classi di età Classi di età Maschi Femmine Totale 5 % casi colonna 2,5% ,0% 5 2,5% 2 2,7% 11 5,4% 5,5% 1 1,4% 8 4,0% 20 15,6% 2 2,7% 22 10,9% 60-69 19 14,8% 6 8,1% 25 12,4% 70+ 64 50,0% 62 83,8% 126 62,4% 128 100,0% 74 100,0% 202 100,0% 1 % casi colonna 1,4% 3,9% 0 9 7,0% 35-45 7 46-59 0-17 4 % casi colonna 3,1% 18-24 5 25-34 Totale Tab. 18.8 GCA Emorragiche/Anossiche Decesso in sede di ricovero incidente – confronto tipologia GCA per genere e classi di età Classi di età Genere N N N Genere Maschi Femmine Totale 1 % casi colonna ,1% ,6% 5 ,7% 3 ,9% 8 1,1% 4,0% 11 3,2% 26 3,6% 47 12,4% 28 8,1% 75 10,3% 60 15,8% 40 11,6% 100 13,8% 70+ 248 65,4% 262 75,7% 510 70,3% Totale 379 100,0% 346 100,0% 725 100,0% 0 % casi colonna ,0% ,8% 2 5 1,3% 35-45 15 46-59 60-69 0-17 1 % casi colonna ,3% 18-24 3 25-34 N 91 N N Tab. 18.9 Genere GCA Ischemiche Decesso in sede di ricovero incidente – confronto tipologia GCA per genere e classi di età Classi di età Maschi Femmine 0-17 0 % casi colonna ,0% 18-24 0 25-34 Totale 0 % casi colonna ,0% 0 % casi colonna ,0% ,0% 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0% 35-45 2 ,7% 0 ,0% 2 ,3% 46-59 15 5,0% 10 2,6% 25 3,7% 60-69 33 11,0% 21 5,5% 54 7,9% 70+ 251 83,4% 351 91,9% 602 88,1% Totale 301 100,0% 382 100,0% 683 100,0% N N N I decessi in fase post-ricovero Una seconda modalità di analisi dei decessi è relativa alla valutazione complessiva della mortalità dei soggetti anche extra ricovero, definendo come parametro di interesse l’intervallo temporale (in giorni) trascorso tra la data del ricovero incidente e l’eventuale decesso. Lo scopo di questo paragrafo è sostanzialmente descrittivo, non essendo disponibili, nei dati di routine, un singolo indice o un insieme di elementi che possano fungere da fattori prognostici predittivi di mortalità a distanza. Alla conclusione del periodo di identificazione dei soggetti, ricostruita l’esistenza in vita dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2011 attraverso il match dei soggetti con la fonte dati “Anagrafe Assistiti Regionale”, si può vedere dalla tabella 19.1 come il 20,5% sia deceduto. La tabella 19.2 descrive il medesimo parametro per le singole GCA. Le GCA Emorragiche/Anossiche, come previsto, costituiscono la causa in cui la mortalità è maggiore. Nelle tab. 19.3-19.6 sono presentati questi dati per età e genere, sia totali, sia per tipologia di GCA. 92 Tab. 19.1 Decessi sui soggetti singolarmente identificati Frequenza Vivi Percentuale 15871 79,5 4098 20,5 19969 100,0 Deceduti Totale flag decesso Tab. 19.2 Decessi sui soggetti identificati per tipo di GCA Tipo di GCA: vivo N deceduto % casi riga N % casi riga TCE 6960 91,6% 642 8,4% GCA 1607 59,1% 1110 40,9% 7304 75,7% 2346 24,3% 15871 79,5% 4098 20,5% Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale Tab. 19.3 Decessi sui soggetti identificati per età e genere Genere Maschi Femmine % casi colonna 8 ,4% N % casi N colonna 1 ,0% Totale N % casi colonna 9 ,2% Classi 0-17 di età 18-24 9 ,4% 25-34 23 1,1% 7 ,3% 30 ,7% 35-45 36 1,8% 20 1,0% 56 1,4% 46-59 153 7,6% 63 3,0% 216 5,3% 60-69 299 14,9% 143 6,8% 442 10,8% 70+ 1477 73,7% 1856 88,7% 3333 81,3% Totale 2005 100,0% 93 3 ,1% 2093 100,0% 12 ,3% 4098 100,0% Tab. 19.4 TCE Decessi sui soggetti identificati per tipo GCA, età e genere Genere Maschi Femmine % casi colonna 5 1,5% N N % casi colonna 1 ,3% Totale N % casi colonna 6 ,9% Classi 0-17 di età 18-24 6 1,8% 0 ,0% 6 ,9% 25-34 18 5,3% 4 1,3% 22 3,4% 35-45 12 3,5% 3 1,0% 15 2,3% 46-59 39 11,5% 4 1,3% 43 6,7% 60-69 44 12,9% 15 5,0% 59 9,2% 70+ 216 63,5% 275 91,1% 491 76,5% Totale 340 100,0% Tab. 19.5 GCA Emorragiche/Anossiche Decessi sui soggetti identificati per tipo GCA, età e genere 302 100,0% 642 100,0% Genere Maschi N Femmine % casi colonna 3 ,5% N % casi colonna 0 ,0% Totale N % casi colonna 3 ,3% Classi 0-17 di età 18-24 3 ,5% 3 ,6% 6 ,5% 25-34 5 ,9% 3 ,6% 8 ,7% 35-45 18 3,1% 14 2,6% 32 2,9% 46-59 66 11,5% 42 7,8% 108 9,7% 60-69 104 18,2% 61 11,4% 165 14,9% 70+ 374 65,3% 414 77,1% 788 71,0% Totale 573 100,0% 94 537 100,0% 1110 100,0% Tab. 19.6 GCA Ischemiche Decessi sui soggetti identificati per tipo GCA, età e genere Genere Maschi Femmine % casi colonna 0 ,0% N N % casi colonna 0 ,0% Totale N % casi colonna 0 ,0% Classi 0-17 di età 18-24 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0% 25-34 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0% 35-45 6 ,5% 3 ,2% 9 ,4% 46-59 48 4,4% 17 1,4% 65 2,8% 60-69 151 13,8% 67 5,3% 218 9,3% 70+ 887 81,2% 1167 93,1% 2054 87,6% Totale 1092 100,0% 1254 100,0% 2346 100,0% Le tabelle 19.7 e 19.8 sintetizzano l’andamento della mortalità per cut-off temporali dei pazienti identificati come deceduti, a partire dalla mortalità intra-ricovero fino alla mortalità oltre l’anno successivo alla data di primo ricovero. Si sottolinea l’elevatissima quota di decessi entro le prime due settimane (già evidenziata dall’analisi dei decessi entro ricovero) per le GCA Emorragiche (62,4%). In generale, la quota maggiore di decessi avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per crescere ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente. Il dato si stabilizza, con incrementi contenuti, entro il primo anno. Una valutazione più dettagliata è presentata nel paragrafo successivo. 95 Tab. 19.7 Andamento cumulativo decessi sui soggetti identificati per tipo GCA per cut-off temporali decesso entro 2 settimane decesso da 2 sett a 1 mese decesso entro 2 mesi decesso entro 6 mesi decesso da 6 mesi a 1 anno decesso da 1 a 2 anni decesso oltre 2 anni Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche TCE Tempo decesso 615 % cum casi colonna 26,20% 70,40% 800 34,10% 844 941 997 76,00% 84,70% 89,70% 1004 1391 1629 42,80% 59,30% 69,40% 1050 1110 94,50% 99,90% 1960 2346 83,50% 100,00% N 187 % cum casi colonna 29,10% 232 36,10% 782 275 365 434 42,80% 56,80% 67,50% 533 642 82,90% 99,90% % cum casi N colonna 693 62,40% Tab. 19.8 Andamento cumulativo decessi sui soggetti identificati per per cut-off temporali GCA Ischemiche vivo N deceduto % casi N colonna 0 0,0% vivi N 15871 % casi colonna 100,0% decesso entro 2 settimane 14376 90,6% 1495 9,4% decesso da 2 sett a 1 mese 14057 88,6% 319 11,4% decesso entro 2 mesi 13748 86,6% 309 13,4% decesso entro 6 mesi 13174 83,0% 574 17,0% decesso da 6 mesi a 1 anno 12811 80,7% 363 19,3% decesso da 1 a 2 anni 12328 77,7% 483 22,3% decesso oltre 2 anni 11773 74,2% 555 25,8% Totale 15871 100,0% 4098 100,0% Analisi della sopravvivenza: differenza tra GCA Le evidenti differenze negli andamenti della mortalità tra i gruppi di GCA meritano un approfondimento, sia pur limitato, come già accennato, dall’impossibilità attuale di effettuare analisi sui fattori prognostici non già presenti nei tracciati record standard utilizzati in questo studio. Si è così effettuata un’analisi di sopravvivenza il modello di Cox per rischi proporzionali (per verificare eventuali differenze significative tra le tre tipologie di GCA) e attraverso il metodo di Kaplan-Meier 96 (per il confronto delle sopravvivenze generali per genere e per classi di età). Il tempo massimo di osservazione è pari a 72 mesi. Analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA Per l’analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA si è utilizzato un modello di Cox per rischi proporzionali, poiché tale modello permette di valutare la significatività di eventuali differenze di sopravvivenza tra i parametri in studio, al netto di possibili effetti di confondimento determinati da altri fattori (in particolare, sulla base dei dati già presentati nei paragrafi precedenti, è ragionevole attendersi un impatto importante dell’età e della gravità di presentazione del paziente al ricovero incidente post-evento). Al fine di includere nel modello di regressione finale solo i predittori significativi, si è fatto uso di una procedura backward di massima verosimiglianza. La sopravvivenza maggiore (al termine dei 72 mesi di osservazione) è stata quella relativa ai casi di TCE: 67 mesi come media. 59 mesi, invece, il relativo dato per i casi di GCA ischemica. La mortalità maggiore si osserva nei casi di CGA emorragica/anossica: la sopravvivenza media è infatti pari a 49 mesi, ma già esplorando il grafico 1, che mostra la distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per i tre tipi di GCA, si nota come solo il 25% dei pazienti sia ancora in vita a 3 mesi dalla data indice. Le uniche covariate significative si sono rivelate essere età (come ci si attendeva, aumentando l’età aumenta il rischio di decesso) e genere (in parte inatteso: vi è rischio aumentato, statisticamente significativo, nel genere femminile; ciò potrebbe essere parzialmente determinato dal peso importante dei decessi femminili nelle GCA di tipo emorragico e di tipo ischemico). Non sembra rivestire significato particolare sulle probabiltà di sopravvivenza, invece, la durata della degenza del ricovero incidente (coerentemente, per certi versi, con l’evidenza già citata del fatto che uno dei momenti in cui si addensano i decessi sono le prime due settimane dall’evento indice). La tabella 20.1, infatti, mostra una quantità di giornate di degenza maggiore per il TCE (12,6 vs 6,6) e per le GCA Ischemiche (11.97 vs 9,04), mentre è esattamente l’opposto per le GCA emorragiche (10.6 vs 17.8). Tab. 20.1 Media giornate di degenza per Tipo di GCA e stato in vita Stato in vita vivo deceduto Totale Media Media Media TCE GCA Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale 97 6,64 12,61 7,14 17,85 10,61 14,90 9,04 11,97 9,75 8,88 11,70 9,46 Tab. 20.2a Variabile di stratificazione: tipo di GCA Evento TCE Troncati (a.) Percentuale troncati 642 6960 91,6% GCA Emorragiche/Anossiche 1110 1607 59,1% GCA Ischemiche 2346 7304 75,7% 4098 15871 79,5% Totale a. Troncati (censored): sono i casi vivi al termine del periodo di osservazione o persi al follow up Mediaa Tab. 20.2b Media sopravvivenza in Intervallo di confidenza 95% a (limitata al tempo massimo di mesi osservazione se caso troncato) per tipo GCA Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore TCE 66,92 ,189 66,551 67,293 GCA Emorragiche/Anossiche 48,72 ,554 47,635 49,807 GCA Ischemiche 58,52 ,249 58,031 59,006 Globale 60,11 ,167 59,785 60,440 98 G.1 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per tipo GCA (72 mesi di osservazione) Analisi di sopravvivenza per genere Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per genere. Nel grafico si vede molto chiaramente come già in periodo molto precoce le femmine (linea tratteggiata) presentino una probabilità inferiore di sopravvivenza nei confronti dei maschi (linea continua). Tale differenza è statisticamente significativa (p< 0,0001; test log-rank di Mantel-Cox). 99 Tab. 20.3 Troncati Riepilogo dell'elaborazione dei casi per Genere Maschi N totale Maschi 9580 82,7% 8384 2093 6291 75,0% 19969 4098 15871 79,5% flag decesso vivo N Totale deceduto Totale 9580 2005 11585 82,7% 17,3% 100,0% 6291 2093 8384 % entro Genere 75,0% 25,0% 100,0% N 15871 4098 19969 % entro Genere 79,5% 20,5% 100,0% % entro Genere Femmine Percentuale 2005 Tab. 20.4 Variabile di stratificazione: genere Genere N 11585 Femmine Globale N. di eventi N Tab. 20.5 Media Intervallo di confidenza 95% sopravvivenza in mesia (limitata al tempo massimo di osservazione se caso troncato) - Genere Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore Maschi 61,06 ,228 60,611 61,504 Femmine 56,13 ,309 55,521 56,731 Globale 58,98 ,186 58,623 59,351 100 Tab. 20.6 Test per l'uguaglianza delle distribuzioni di sopravvivenza per i diversi livelli di Genere. Chi-quadrato Log Rank (Mantel-Cox) 175,806 df Sig 1 ,0001 G.2 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per genere (72 mesi di osservazione) Analisi di sopravvivenza per classi di età Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per classi di età. Nel grafico si vede come vi siano forti differenze tra le classi d’età più avanzata e le altre; la prima rilevante discontinuità è a partire dalla classe 46-59, per proseguire linearmente con probabilità sempre decrescenti di sopravvivenza rispetto fino alla classe over 70. Anche in questo caso le differenze di sopravvivenza media sono statisticamente significative (p<0,0001; test log-rank di Mantel-Cox). 101 Tab. 20.7 Troncati Riepilogo dell'elaborazione dei casi per classi di età N totale N. di eventi N Percentuale 0-17 1753 9 1744 99,5% 18-24 874 12 862 98,6% 25-34 964 30 934 96,9% 35-45 1144 56 1088 95,1% 46-59 2050 216 1834 89,5% 60-69 2943 442 2501 85,0% 70+ 10241 3333 6908 67,5% Globale 19969 4098 15871 79,5% Tab. 20.8 Media Intervallo di confidenza 95% sopravvivenza in mesia (limitata al tempo massimo di osservazione se caso troncato) -Classi di età Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore 0-17 71,66 ,116 71,429 71,884 18-24 71,06 ,271 70,530 71,592 25-34 69,99 ,368 69,267 70,710 35-45 68,67 ,438 67,814 69,531 46-59 64,94 ,459 64,044 65,844 60-69 62,78 ,418 61,958 63,596 70+ 51,39 ,302 50,797 51,981 Globale 58,99 ,186 58,623 59,351 102 Tab. 20.9 Test per l'uguaglianza delle distribuzioni di sopravvivenza per i diversi livelli di Classi di età Log Rank (Mantel-Cox) Chi-quadrato df Sig 2006,15 6 ,0001 G.3 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per classi di età (72 mesi di osservazione) La riabilitazione in regime di ricovero I caratteri distintivi del problema di riabilitazione del TCE sono riassunti nel documento della Giuria della Consensus Conference a titolo “Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranioencefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi 103 appropriati - Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni” (Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa, 15(1), 29-42, 2001). Viene in particolare utilizzata una definizione di Trauma Cranio Encefalico (TCE) utile sul piano riabilitativo, in quanto sottolinea le possibili sequele disabilitanti del trauma e le sue conseguenze sociali, ripresa dalla National Head Injury Foundation: “Il trauma cranio encefalico è un danno cerebrale di natura non degenerativa né congenita, ma causato da una forza esterna. Tale danno può determinare una diminuzione od una alterazione del livello di coscienza, e menomazioni a livello cognitivo, emotivo, fisico. Tali menomazioni possono essere temporanee o permanenti e determinare disabilità parziale o completa e/o difficoltà di adattamento psicosociale”. Il percorso del TCE viene di norma suddiviso in diverse fasi temporali, che, unitamente alle categorie del modello ICIDH (classificazione delle conseguenze degli eventi morbosi della Organizzazione Mondiale della Sanità nelle dimensioni principali di: Danno, Menomazione, Disabilità ed Handicap) costituiscono una utile griglia di riferimento per la pianificazione e la realizzazione degli interventi riabilitativi (vedi tabella 19). Le tre fasi principali sono la fase acuta (o rianimatoria, e/o neurochirurgica), la fase post-acuta (o riabilitativa) e la fase degli esiti. Nell'ambito della fase post-acuta, o riabilitativa, è possibile fare una ulteriore distinzione fra fase post-acuta precoce, assimilabile alla fase denominata “acute rehabilitation” della letteratura anglosassone, e fase post-acuta tardiva. Di regola, nella fase postacuta precoce gli interventi sono svolti in regime di ricovero, in strutture di riabilitazione intensiva, come le strutture di riabilitazione di III livello (Unità di alta specialità riabilitativa per le Gravi Cerebrolesioni) o le strutture di riabilitazione di II livello (De Tanti A., Gatta G., Emanuel C., Actis M.V, et al. La Riabilitazione della Grave Cerebrolesione. Conferenza di Consensus. Documento del Gruppo di Lavoro Medico, Modena, 2000 (www.simfer.it). 104 Tabella 21.1 Percorso riabilitativo del Trauma Cranio-Encefalico nelle diverse fasi temporali. FASE DIMENSIONE DI MAGGIORE INTERESSE DURATA STRUTTURE OVE SI EFFETTUANO GLI INTERVENTI ACUTA Dal momento del trauma fino alla risoluzione delle problematiche rianimatorie e neurochirurgiche DANNO x Da alcune ore ad alcune x settimane x MENOMAZIONE Dalla stabilizzazione delle funzioni vitali al raggiungimento del massimo livello di autonomia primaria x MENOMAZIONE Da alcune settimane ad alcuni mesi (ABILITA’) x POST-ACUTA O RIABILITATIVA x 105 x Supporto agli interventi rianimatori e neurochirurgici nella prevenzione del danno secondario x Minimizzazione delle menomazioni x Facilitazione della ripresa di contatto ambientale x Trattamento delle menomazioni x Minimizzazione della disabilità residua x Attività di Vita Quotidiana Primarie x Informazione e addestramento alla gestione delle problematiche disabilitanti x Minimizzazione della disabilità Rianimazione Neurochirurgia Unità per acuti POST-ACUTA O RIABILITATIVA 1. PRECOCE FINALITA’ PRINCIPALI DEGLI INTERVENTI RIABILITATIVI Unità di Riabilitazione Intensiva (specializzata e non) Unità di Riabilitazione Estensiva Unità di Riabilitazione 2. TARDIVA Dal livello di autonomia primaria al raggiungimento del massimo livello di autonomia secondaria (MENOMAZIONE) Intensiva (specializzata) Da alcuni a vari mesi ABILITA’ x Unità di Riabilitazione Estensiva residua x Attività di Vita Quotidiana Secondarie x Informazione e addestramento alla gestione delle problematiche disabilitanti Alla luce di queste definizioni, è opportuno definire quali siano le fonti dati routinariamente interrogabili dall’ASL (in Regione Lombardia) per costruire un quadro statistico su questo tema (tabella 21.2). Tab. 21.2 Fonti dati ASL rispetto alla fase FASE ACUTA POST-ACUTA O RIABILITATIVA 1. PRECOCE POST-ACUTA O RIABILITATIVA 2. TARDIVA STRUTTURE OVE SI EFFETTUANO GLI INTERVENTI Rianimazione Neurochirurgia Unità per acuti Unità di Riabilitazione Intensiva (specializzata e non) Unità di Riabilitazione Estensiva Unità di Riabilitazione Intensiva (specializzata e non) Unità di Riabilitazione Estensiva FONTE DATI ASL Archivio SDO Archivio SDO Archivio SDO-FAM Archivio RIA-FAM Archivio SDO Archivio SDO-FAM Archivio RIA-FAM La terza fase sopra definita, legata agli esiti (outcome), richiede, al momento, l’implementazione di studi ad hoc, non essendo tracciabile da nessun tipo di archivio routinario. Nella nostra osservazione, limitata alla fase di ricovero, sono stati individuati 1137 pazienti, pari al 5,7% complessivo, avviati, post-dimissione, verso un percorso riabilitativo (tab. 21.3). Ciò corrisponde ad un tasso di 21 per 100.000 abitanti/anno. 106 La tab. 21.4 mostra la distribuzione per genere (4,9% nei maschi rispetto a 6,8% nelle femmine), mentre la successiva tab. 21.5 descrive la distribuzione per classi di età (la distribuzione per età di questi soggetti è rappresentata anche nel grafico 4). In tabella 21.6 viene definita la distribuzione per gruppo di GCA. Tab. 21.3 Freq. soggetti in riabilitazione post-dimissione Frequenza Altro tipo di dimissione Dimissione in riabilitazione Totale Tab. 21.4 Freq. dimissione soggetti in riabilitazione per genere Genere Maschi Femmine Totale Percentuale 18832 94,3 1137 5,7 19969 100,0 Dimissione in Altro tipo dimissione N riabilitazione % casi riga N Totale % casi riga N % casi riga 11015 95,1% 570 4,9% 11585 100,0% 7817 93,2% 567 6,8% 8384 100,0% 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0% 107 Tab. 21.6 Freq. dimissione soggetti in riabilitazione per classi di età Altro tipo Dimissione in dimissione riabilitazione % casi N riga Totale % casi N riga % casi N riga Classi di 0-17 1745 99,5% 8 ,5% 1753 100,0% età 18-24 864 98,9% 10 1,1% 874 100,0% 25-34 941 97,6% 23 2,4% 964 100,0% 35-45 1109 96,9% 35 3,1% 1144 100,0% 46-59 1945 94,9% 105 5,1% 2050 100,0% 60-69 2799 95,1% 144 4,9% 2943 100,0% 70+ 9429 92,1% 812 7,9% 10241 100,0% 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0% Totale Tab. 21.5 Freq. dimissione soggetti incidenti in riabilitazione per tipo GCA Altro tipo Dimissione in dimissione riabilitazione % casi Totale % casi N riga TCE 7448 98,0% 154 2,0% 7602 100,0% GCA Emorragiche 2501 92,1% 216 7,9% 2717 100,0% GCA Ischemiche 8883 92,1% 767 7,9% 9650 100,0% 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0% Totale 108 riga % casi N N riga Graf. 4 Distr. Freq. per età e gruppo GCA dei pazienti inviati in riabilitazione E’ del tutto evidente come il percorso riabilitativo, nella sua interezza, non si possa e non si debba esaurire in questa prima analisi descrittiva. Per poter valutare adeguatamente questo tema, tuttavia, sarà opportuno disporre di dati individuali, anche raccolti ad hoc, e non esclusivamente derivanti dai database amministrativi. GCA e accessi al Pronto Soccorso L’evento acuto che determina l’inizio del percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo, conduce pressochè sempre il paziente ad un accesso al Pronto Soccorso. La tabella che segue mostra, per l’anno 2010, utilizzato a titolo di esempio, la dimensione quantitativa degli accessi ai Pronto Soccorso delle strutture in provincia di Bergamo (fonte dati: flusso di cortesia PS –Dipartimento PAC ASL di Bergamo). Il dato è dunque, in qualche misura, 109 sottostimato rispetto al dato reale, in quanto mancano le informazioni sugli assistiti dell’ASL di Bergamo aventi avuto accesso ai PS extra-provincia. n. accessi Tab.22 Tasso accesso 100.000 abitanti) (per N. accessi e tassi accesso a PS per tipo GCA –anno 2010 3938 TCE 428 GCA Emorragiche/Anossiche 213 GCA Ischemiche Totale 4579 358,4 39,0 19,4 416,8 Analisi di popolazione e analisi territoriale L’applicazione dei dati alla popolazione dei residenti in provincia di Bergamo ha portato alla definizione dei principali indicatori epidemiologici di popolazione per le GCA totali e per i tre gruppi distinti. Il calcolo delle stime di sopravvivenza alle coorti dei casi incidenti annui ha permesso inoltre di produrre i rapporti di prevalenza (gli indicatori sono per 100.000 residenti). Le tabelle che seguono presentano quindi i tassi di incidenza e di ricovero negli anni in osservazione (e le relative medie annue) e, infine, il rapporto di prevalenza puntuale al 31/12/2011. Il grafico 5 evidenzia una sostanziale diminuzione dei tassi di incidenza complessiva nel sessennio osservato. Tale trend in decremento appare discretamente importante nelle GCA Ischemiche e nei TCE, mentre si configura un trend sostanzialmente stabile nelle GCA Emorragiche. Tab. 23.1 GCA COMPLESSIVE Anno 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Media annua Prevalenza a fine 2011 Tasso Incidenza Tasso ricovero 393,2 384,8 364,5 342,4 335,7 334,4 359,2 358,9 337,2 313,7 289,7 280,3 273,8 308,9 1428,8 110 Tab. 23.2 TCE Anno 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Media annua Prevalenza a fine 2011 Tasso Incidenza Tasso ricovero 148,4 147,5 135,6 129,1 115,1 113,3 131,5 137,2 133,8 121,0 114,5 101,2 98,4 117,7 626,8 Tab. 23.3 GCA Emorragiche/Anossiche Anno 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Media annua Prevalenza a fine 2011 Tasso Incidenza Tasso ricovero 54,9 50,7 52,0 54,8 56,3 56,3 54,2 45,7 41,6 40,9 42,1 41,1 40,3 42,0 144,5 Tab. 23.4 GCA Ischemiche Anno 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Media annua Prevalenza a fine 2011 Tasso Incidenza Tasso ricovero 189,9 186,6 177,0 158,5 164,2 164,7 173,5 176,0 161,8 151,8 133,1 138,0 135,1 149,3 657,5 111 400,0 Incidenza TCE (x 100.000/anno) Incidenza GCA Emorr (x 100.000/anno) Incidenza GCA Ischem (x 100.000/anno) Incidenza GCA totale/anno (x 100.000) 350,0 300,0 250,0 200,0 150,0 100,0 50,0 0,0 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Grafico 5. Trend temporale tassi incidenza GCA complessive e singole tipologie Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di gca ed analisi dei cluster La sorveglianza “spaziale” nasce con lo scopo ultimo di ottenere un’informazione sintetica ed efficiente in base ai dati provenienti dagli indicatori statistici più adeguati rispetto al fenomeno in studio e dalla prossimità geografica, producendo mappe relative a qualunque evento di natura sanitaria, come la mortalità o i ricoveri o altro, purchè “georeferenziabile” (Kulldorff M, William FA, Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998; 8(9): 1377-1380). L’interpretazione dei dati geografici (al di là di problemi tecnici quali il tipo di statistiche da utilizzarsi e le loro proprietà, la definizione delle aree, la scala, lo schema colorimetrico, etc.), coinvolge la definizione di almeno tre problematiche: x La casualità o meno nella differenza dei tassi rilevati in aree diverse. x La definizione di aree ad alto o basso rischio. 112 x L’esistenza o meno di aggregati anomali di casi di patologia (“detection of cluster”) o viceversa di un certo pattern che esprima la tendenza ad una aggregazione spaziale particolare (“clustering”). E’ dunque apparso interessante procedere, sulla distribuzione territoriale dei casi, ad una valutazione più approfondita della possibile aggregazione (cluster) dei casi stessi. “Cluster”: nell’accezione ormai comunemente accettata in ambito epidemiologico, indica un’aggregazione inusuale di casi di patologie relativamente poco comuni (Last, 1988). Le caratteristiche iniziali di un cluster sono generalmente individuate dalla seguente lista: x è presente un evento sanitario “definibile”; x sono presenti (di solito) almeno due casi del suddetto evento; x è presente (o è percepita come tale da chi sospetta il cluster, in inglese definito “informant”) una vicinanza dei casi rispetto all’area spaziale e/o ad un periodo temporale; x si sospetta una potenziale esposizione, ed una presunta correlazione tra l’esposizione e l’evento; x la situazione è di solito inusuale o inaspettata; x l’“informant” o la comunità interessata richiedono spiegazioni sull’evento sanitario. Tre tipologie di cluster sono generalmente riportate: x cluster temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo definito di tempo; x cluster spaziali (“hot spots”) – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un’area definita; x cluster spazio-temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo definito di tempo, in una certa area definita. L’investigazione di un sospetto cluster, in particolare di eventi relativi a patologie cronicodegenerative o più genericamente non trasmissibili, quali patologie oncologiche o malformazioni congenite, è sempre un processo complesso, che richiede un uso intenso di risorse, un’accurata pianificazione ed un’attenta valutazione sia della metodologia da applicarsi che della gestione dei risultati ottenuti. Particolarmente delicato è il trattare l’argomento rispetto al pubblico ed ai media. Il processo di investigazione di un cluster si dovrebbe sviluppare in almeno quattro fasi: 1. Valutazione preliminare di un presunto cluster. 2. Verifica del/dei caso/casi indice e delle relative sospette esposizioni . 3. Individuazione completa dei casi (Full Case Ascertainment). 4. Studio di sorveglianza o studio di epidemiologia analitica. Ogni fase presuppone la raccolta e la validazione di dati sempre più specifici, ma ovviamente i confini tra queste fasi sono relativi alla situazione locale in termini di esperienza e risorse disponibili. In teoria, ogni passaggio da una fase alla successiva presuppone la stesura di un 113 rapporto che giustifichi sia la scelta di procedere, che quella di non procedere oltre. Tale rapporto non dovrebbe avere come destinatario solo la Direzione strategica dell’area di sanità pubblica cui è stato affidato il presunto problema, ma anche la comunità ed altri eventuali soggetti interessati. La sequenza di fasi deve seguire i principi basilari della ricerca in epidemiologia: x x x x x x x x stabilire l’esistenza del problema; confermare l’omogeneità degli eventi; raccogliere e validare i dati relativi all’evento; caratterizzare gli eventi rispetto a fattori di tipo; valutare patterns e trends; formulare un’ipotesi; verificare l’ipotesi; scrivere un rapporto, sottoporlo alla critica tra pari, comunicarne i risultati. Metodologia utilizzata nell’analisi spaziale delle GCA Spatial Scan Statistic (SSS) Le analisi sono state effettuate mediante il metodo Spatial Scan Statistic (SSS) di Kulldorf (Kulldorff M, William FA, Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998; 8(9): 1377-1380.; Kulldorff, M. 1999. Spatial scan statistics: models, calculations, and applications, in Scan Statistics and Applications. Glaz, J & Balakrishnan (eds.), Birkhauser, Boston, pp.303-322), con le seguenti specificità: Obiettivo: individuazione delle aree ad alto tasso, i.e. cluster spaziali “puri” In questa analisi si utilizza come area minima spaziale il territorio areale di residenza del caso; il numero di casi in ogni area si assume distribuito secondo una distribuzione di Poisson. L'ipotesi nulla sottende che il numero di casi attesi in ogni area sia proporzionale alla massa di anni-persona dell'area stessa. La SSS sovrappone una finestra circolare alla mappa dell’area in studio (fig. I). La finestra si posiziona a turno su ognuno dei possibili centroidi dell'area in studio. Per ogni centroide, il raggio della finestra varia in continuo come dimensione da 0 ad un limite superiore (posto in questo caso al 50% della popolazione complessiva). Il metodo crea così un numero infinito di differenti cerchi geografici, con differenti aree all'interno, e su ognuno calcola un rapporto osservati/attesi. 114 L'ipotesi alternativa per ogni finestra è che il tasso sia estremamente elevato rispetto all'esterno della finestra stessa. Sotto l'assunto di Poisson, l'ipotesi viene testata con un Likelihood Ratio test (LR). La funzione di verosimiglianza per ogni finestra è la seguente: dove N è il n° tot. di casi dell'area, e n e il n° di casi della finestra. Il valore di log likelihood ratio (LLR) richiesto per la significatività di un sospetto cluster è stato rispettivamente posto a: x per p=0.01: LLR=9.79; x per p=0.05: LLR=7.52. Fig. 1 Spatial Scan statistic – esempio di movimento della finestra circolare 115 Analisi dei cluster: risultati Le mappe che seguono presentano i rapporti di prevalenza (x 1.000 residenti) delle GCA in base alla residenza comunale del paziente. In sequenza sono rappresentate le le tre tipologie di GCA. Lo schema di presentazione prevede la mappa complessiva e le due relative mappe per sesso. La scala colorimetrica rappresenta le classi di aggregazione dei tassi standardizzati per età in quintili di distribuzione. Le mappe dedicate all’individuazione della presenza di eventuali cluster sono così caratterizzate: Cluster spaziali: pattern grafico a graticcio, con linee bianche su fondo nero, posizionati sulle aree comunali incluse nel cluster (Most Likely Cluster-cluster primario); ove esistessero cluster secondari (Secondary Cluster), i pattern grafici sono di tipo griglia trasversale a linee bianche su fondo grigio. Il termine Most Likely Cluster indica la presenza di un’area in cui l’aggregazione inusuale di casi, sottoposta a formale test statistico, raggiunge il livello previsto di significatività statistica. In altri termini, questo è il cluster riscontrato che, in base al valore del test statistico formale, minimizza il rischio di un’occorrenza fortuita, casuale di casi. Il termine Secondary Cluster indica un territorio circoscritto in cui vi sono evidenze di aggregazione inusuale di casi, ma senza che il test scan statistic raggiunga un livello di significatività statistica paragonabile al Most Likely Cluster. Nell’ambito della presentazione della mappa complessiva, inoltre, qualora vi siano evidenze di cluster possibili o statisticamente certi, sono posti in calce gli output di descrizione, in sequenza, della scan statistic relativi all’analisi in oggetto: Location-ID –rappresenta l’identificativo dell’area mediante il codice dell’area secondo la classificazione del Comune-; coordinate/raggio; arco temporale (Time frame); popolazione dell’area inclusa nel cluster; n. casi osservati e n. casi attesi; n. casi annui per 100.000 residenti; rischio relativo overall dell’area inclusa nel cluster rispetto all’intera città; valore del test Log likelihood ratio e rango del test di Montecarlo; valore di probabilità p del cluster osservato. 116 Mappa 1 TCE totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale 117 TCE TOTALI Si riscontrano un cluster principale, localizzato nei Comuni del nord-est della Valle Brembana, ed un cluster secondario nei Comuni di Zogno, Ubiale, Sedrina. MOST LIKELY CLUSTER 1.Location IDs included.: 16164, 16227, 16014, 16166, 16151, 16165, 16092, 16191, 16061, 16090, 16136, 16121, 16125, 16145, 16190, 16229, 16039, 16048 Coordinates / radius..: (2.547222 N, 1.362778 E) / 27.79 km Population............: 21444 Number of cases.......: 187 Expected cases........: 121.86 Annual cases / 100000.: 145.4 Observed / expected...: 1.53 Relative risk.........: 1.55 Log likelihood ratio..: 15.225684 P-value...............: 0.000065 SECONDARY CLUSTERS 2.Location IDs included.: 16221, 16196, 16246 Coordinates / radius..: (2.146667 N, 1.366944 E) / 3.95 km Population............: 16486 Number of cases.......: 151 Expected cases........: 93.68 Annual cases / 100000.: 152.7 Observed / expected...: 1.61 Relative risk.........: 1.62 Log likelihood ratio..: 14.983320 P-value...............: 0.000081 118 Mappa 2 TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale MASCHI 119 Mappa 3 TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale FEMMINE 120 Mappa 4 GCA Emorragiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale GCE EMORRAGICHE TOTALI Si riscontra un cluster principale, localizzato in quattro Comuni del nord-est della Valle Brembana (Taleggio, Vedeseta, Camerata Cornello, Blello). 121 MOST LIKELY CLUSTER 1.Location IDs included.: 16210, 16027, 16230, 16048 Coordinates / radius..: (2.278056 N, 1.285556 E) / 5.19 km Population............: 2040 Number of cases.......: 14 Expected cases........: 4.14 Annual cases / 100000.: 114.4 Observed / expected...: 3.38 Relative risk.........: 3.39 Log likelihood ratio..: 7.205923 P-value...............: 0.089 122 Mappa 5 GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale MASCHI 123 Mappa 6 GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale FEMMINE 124 Mappa 7 GCA Ischemiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale GCA ISCHEMICHE TOTALI Si riscontra un grande cluster (probabilmente somma di più cluster locali sovrapposti) che ingloba buona parte del nord della provincia di Bergamo, comprendendo pressochè per intero le valli Brembana e Seriana. Un cluster secondario comprende invece tre comuni del distretto della Bassa Bergamasca (Caravaggio, Misano, Casirate). 125 MOST LIKELY CLUSTER 1.Location IDs included.: 16184, 16158, 16175, 16012, 16121, 16100, 16168, 16125, 16145, 16080, 16070, 16060, 16163, 16147, 16111, 16199, 16116, 16173, 16247, 16234, 16179, 16004, 16118, 16146, 16148, 16227, 16035, 16164, 16201, 16110, 16225, 16197, 16092, 16236, 16107, 16136, 16191, 16144, 16071, 16241, 16151, 16067, 16166, 16169, 16077, 16244, 16014, 16025, 16249, 16190, 16205, 16039, 16069, 16165, 16178, 16048, 16055, 16216, 16108, 16160, 16124, 16099, 16008, 16239, 16214 Coordinates / radius..: (2.476111 N, 1.636111 E) / 44.48 km Population............: 238187 Number of cases.......: 2034 Expected cases........: 1718.15 Annual cases / 100000.: 142.4 Observed / expected...: 1.18 Relative risk.........: 1.23 Log likelihood ratio..: 33.773432 P-value...............: 0.0000000000029 SECONDARY CLUSTERS 2.Location IDs included.: 16135, 16059, 16053 Coordinates / radius..: (1.713889 N, 1.230000 E) / 8.16 km Population............: 28008 Number of cases.......: 256 Expected cases........: 202.04 Annual cases / 100000.: 152.4 Observed / expected...: 1.27 Relative risk.........: 1.27 Log likelihood ratio..: 6.793714 P-value...............: 0.034 126 Mappa 8 GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale MASCHI 127 Mappa 9 GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale FEMMINE 128 La tabella 24.1 mostra la distribuzione dei casi di GCA per ambito. Tipo di GCA: Tab. 24.1 distr. Freq. GCA per Ambito e tipo GCA (2006-2011) TCE GCA GCA Emorragiche/An. Ischemiche % casi colonn N a % casi colonna N N Totale % casi % casi colonn colonn a N a 01-Bergamo 835 11,0% 443 16,3% 1556 16,1% 2834 14,2% 02-Dalmine 805 10,6% 313 11,5% 1148 11,9% 2266 11,3% 03-Seriate 457 6,0% 133 4,9% 553 5,7% 1143 5,7% 04-Grumello 294 3,9% 104 3,8% 360 3,7% 758 3,8% 05-Valle Cavallina 358 4,7% 140 5,2% 404 4,2% 902 4,5% 06-Monte Bronzone- 241 3,2% 63 2,3% 265 2,7% 569 2,8% 07-Alto Sebino 292 3,8% 86 3,2% 227 2,4% 605 3,0% 08-Valle Seriana 680 8,9% 269 9,9% 1130 11,7% 2079 10,4% 09-Valle Seriana Sup 339 4,5% 115 4,2% 465 4,8% 919 4,6% 10-Valle Brembana 483 6,4% 147 5,4% 451 4,7% 1081 5,4% 11-Valle Imagna e 336 4,4% 147 5,4% 441 4,6% 924 4,6% 12-Isola Bergamasca 922 12,1% 308 11,3% 1022 10,6% 2252 11,3% 13-Treviglio 974 12,8% 268 9,9% 1008 10,4% 2250 11,3% 14-Romano di 586 7,7% 181 6,7% 6,4% 1387 6,9% 7602 100,0% 2717 Basso Sebino e Val di Scalve Villa Almè 620 Lombardia Totale 129 100,0% 9650 100,0% 19969 100,0% Analisi delle GCA su base regionale (ricoveri quinquennio 2005-2009) Le due mappe e la tabella che seguono contestualizzano il fenomeno GCA su base regionale, attraverso l’utilizzo del sistema ALEE-AO (cfr. materiali e metodi). La provincia di Bergamo risulta sostanzialmente in linea con la prevalenza ospedaliera media regionale. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia di Bergamo, in buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, come risultanti di livelli di prevalenza particolarmente elevati. Mappa 13 GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel MASCHI (anni 2005-2009) 130 Mappa 14 GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel FEMMINE (anni 2005-2009) 131 Numero di osservati per ASL-2005-2009 ASL DI APPARTENENZA 301 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI BERGAMO 302 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI BRESCIA 303 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI COMO 304 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI CREMONA 305 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI LECCO 306 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI LODI 307 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI MANTOVA 308 - A.S.L. DELLA CITTA DI MILANO 309 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI MILANO 1 310 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI MILANO 2 311 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI MILANO 3 312 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI PAVIA 313 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI SONDRIO 314 - A.S.L. DELLA PROVINCIA DI VARESE 315 - ASL DELLA VALCAMONICASEBINO Totale NUMERO NUMERO NUMERO Prevalenza Prevalenza Prevalenza OSSERVATI OSSERVATI OSSERVATI annua (x annua (x annua (x - maschi - femmine - totale 1000) - M 1000) - F 1000) - Tot 6.366 4.611 10.977 2,50 1,78 2,14 7.045 5.353 12.398 2,65 1,96 2,30 3.511 2.804 6.315 2,55 1,94 2,24 2.634 2.004 4.638 3,11 2,26 2,67 1.973 1.588 3.561 2,49 1,93 2,20 1.673 1.291 2.964 3,12 2,33 2,72 2.870 2.426 5.296 3,00 2,41 2,70 8.799 7.535 16.334 2,86 2,19 2,51 6.139 4.512 10.651 2,61 1,85 2,22 3.483 2.430 5.913 2,64 1,78 2,20 7.122 5.342 12.464 2,78 2,00 2,38 4.000 3.136 7.136 3,23 2,37 2,78 1.348 972 2.320 3,07 2,12 2,59 4.967 4.015 8.982 2,42 1,85 2,12 596 403 999 2,45 1,62 2,03 62.526 48.422 110.948 2,72 2,00 2,35 132 Conclusioni Anche se la nostra valutazione è, per certi versi, da considerarsi preliminare, in quanto effettuata solo attraverso l’utilizzo di dati di routine, si sono comunque evidenziate alcune peculiarità territoriali, che puntualizzano molte diversificazioni dalle casistiche note in letteratura anche in elementi di rilievo, come il quoziente uomini/donne, le cause di traumatismo (concentrate fondamentalmente in traumi della strada, incidenti domestici ed infortuni sul lavoro), oltre ad una differenziazione in base all'età del soggetto. Le principali evidenze emerse sono le seguenti: 1. Dimensione del fenomeno in generale a. Il fenomeno GCA è di particolare rilevanza quantitativa in provincia di Bergamo, in quanto il “Burden of Disease” indotto da circa 3300 pazienti all’anno è certamente da valutare approfonditamente per l’impatto sul sistema sanitario, sul sistema riabilitativo e sulle famiglie, oltre che sul paziente stesso. b. Una quota pari ad 8% dei ricoverati decede entro la durata del ricovero stesso (ma con un livello di decesso pari al 23% nei ricoveri per GCA Emorragiche/Anossiche). In generale, la quota maggiore di decessi avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per crescere ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente. c. La sopravvivenza long-term varia maggiore (al termine dei 72 mesi casi di TCE: 67 mesi come media. GCA ischemica. La sopravvivenza emorragica/anossica, in cui più dall’evento. in misura ampia; la sopravvivenza di osservazione) è quella relativa ai 59 mesi, invece, il dato per i casi di minore si osserva nei casi di CGA dell’80% decede entro sei mesi d. Il 6% dei ricoverati viene indirizzato ad un percorso riabilitativo dopo la dimissione dalla struttura per acuti; questo dato tuttavia può arrivare al 12%, se si considerino anche i trasferimenti interni. Per la complessità della tematica, appare tuttavia opportuno un successivo approfondimento ad hoc. e. Le cause dei traumatismi sono differenti con le età. I traumi da incidente stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente rilevante nell’età compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le femmine. Nell'età infantile e nell'età senile risultano prevalenti gli infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini 133 in età compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste evidenze appaiono importanti in un’ottica di pianificazione di interventi di prevenzione. f. 2. Vi sono alcune aree peculiari, nella provincia di Bergamo, in cui la concentrazione dei casi è al di là del puro effetto stocastico (cluster); su tali aree appare opportuno approfondire le evidenze, per sviluppare progetti di tipo preventivo. Dimensione del fenomeno ASL BG vs Regione Lombardia a. L’ASL di Bergamo si presenta, per i cinque anni analizzati nel confronto, sostanzialmente in linea con i tassi medi regionali b. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia di Bergamo, in buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, con livelli di prevalenza particolarmente elevati. In termini di sviluppo della ricerca, sia a livello regionale, sia di ASL, è opportuno riprendere le raccomandazioni emergenti dalla citata 3.a Consensus Conference: tre approcci di studio, con un livello di fattibilità diverso e crescente, che dovrebbero essere condotti per migliorare le conoscenze epidemiologiche. 1) Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili. In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico DRG potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri rilevanti, per poi tracciarne la successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative amministrative. 2) Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella scheda di dimissione ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, quali i punteggi di alcune scale (DRS, Glasgow Coma Scale, etc.) o l’esistenza di alcuni fattori prognostici importanti (PEG, Tracheostomia, etc.), che consentano di identificare con maggior precisione questa categoria di casi. 3) Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che permettano di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravita/complessità e di fabbisogno riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine. Ciò faciliterebbe, inoltre, la conduzione di 134 survey sulle popolazioni di interesse (pazienti, familiari, caregiver), la raccolta di informazioni su aspetti rilevanti della presa in carico riabilitativa, nonché la conduzione di studi prospettici di outcome (effectiveness) su ampie casistiche, per valutare le modificazioni nel tempo dello stato di salute e di qualità di vita delle persone con GCA. Questa necessità è rivolta soprattutto all'ottimizzazione dell'outcome del paziente con TCE, laddove cioè si può agire in termini di riduzione della disabilità. A tal proposito, la programmazione sanitaria deve essere incentrata sull'appropriatezza recettiva e sulla qualità di intervento delle strutture e dei percorsi assistenziali implicati nelle fasi successive all'emergenza. L’evoluzione epidemiologica e demografica e lo sviluppo di nuove tecnologie, che consentono il superamento di fasi critiche di patologie ad evoluzione cronica con disabilità acquisita, determinano infatti la crescita del problema delle criticità post-acuzie. Una migliore conoscenza del fenomeno, fondata su dati più ampi e più solidi, può consentire una migliore pianificazione sanitaria e sociale per far fronte a questo tipo di patologia che rischia di assumere le dimensioni di una vera e propria emergenza (22.000 ricoveri per GCA all’anno in Lombardia, 3700 in provincia di Bergamo). 135 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Alexander F.E., Cuzick J., Methods for the assessment of disease clusters; in “Geographical and environmental epidemiology: methods for small-area studies”. In: Elliott P., Cuzick J., English D., Stern R., WHO Europe, Oxford University Press, 1992 Bernardinelli L., Clayton D., Montomoli C., Bayesian estimates of disease maps: how important are priors?, 1995. 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Davis, Philadelphia, 1981 Kraus J.F., Epidemiology of head injury. In: Cooper P.R., Head Injury 2nd ed., William Wilkins, Baltimore, 1987 Kraus J.F. et al., The incidence of acute brain injuries and serious impairment in a defined population, 1984. In: Am. Epidemiol; 119, pp. 186-201 136 Kulldorff M., William F.A., Feuer E.J., Miller B.A., Key C.R., Evaluating cluster alarms. A space-time scan statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico, 1998. In: American Journal of Public Health; 8(9), pp. 1377-1380 Kulldorff M., Spatial scan statistics: models, calculations, and applications, 1999. In: Scan Statistics and Applications, Glaz, J & Balakrishnan ed., Birkhauser, Boston, pp.303-322 Max W. et al., Head injuries. Cost and consequences, 1991. In: Journal of head trauma rehabilitation; 6, pp. 76-91 Servadei F. et al., A perspective clinical and epidemiological study of head injuries in northern Italy, 1999. 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In: International Journal of Rehabiitation Medicine; 8, pp. 129-137 Zucchi A., Casazza C., La mortalità oncologica in provincia di Bergamo. Applicazione di nuove tecniche di epidemiologia geografica, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2000 Zucchi A., ASL provincia di Bergamo, Atlante dei ricoveri 1997-2001. Il ricovero come modello di analisi della domanda e dell’offerta, ASL di Bergamo, Bergamo, 2002 137 IL TAVOLO DELLA PROVINCIA SULLE GRAVI CEREBROLESIONI: UNO SPAZIO DI INTERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO Simona Colpani1 e Silvano Gherardi2 Il “Tavolo Provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e vertebromidollare”, costituitosi nel 2003/2004 presso l’allora Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo, ha l’obiettivo di favorire, in un luogo estraneo ai contesti già connotati in modo significativo, un dialogo tra soggetti che, per motivi diversi, sono stati coinvolti dallo stesso avvenimento: l’evento traumatico generatore di grave disabilità. La Provincia, nelle sue attività sul territorio, non è deputata né alla cura, né alla riabilitazione, ma si impegna per il raggiungimento dell’integrazione sociale. Inoltre, fra i suoi obiettivi programmatici, vi sono la formazione e la promozione di buone prassi. Il coordinamento territoriale, permette di leggere i bisogni che emergono nelle fasi di passaggio da un luogo ad un altro, da un percorso tipo quello medico ad uno come quello sociale. Abbiamo la fortuna di avere sul territorio provinciale professionisti validi e riconosciuti a livello nazionale. Tra questi, quelli che hanno fatto parte di gruppi di lavoro della Consensus Conference, partecipano al Tavolo Provinciale. Abbiamo, anche, la fortuna di avere genitori che si sono attivati e associati, ed abbiamo cooperative che hanno maturato competenze specifiche a fronte di investimenti di pensiero, di riflessione, di conoscenza. Sicuramente ognuno dei membri del Tavolo, tra i quali anche rappresentanti delle famiglie, ha una conoscenza approfondita del “proprio pezzo”, del proprio compito, delle piccole azioni che fanno la differenza qualitativa e che solo tra “addetti ai lavori” sono visibili e riconoscibili: i medici, per la capacità diagnostica e di cura; la cooperazione, per tutto ciò che attiene la quotidianità del dopo le dimissioni, incluso il sostegno ai familiari, e per l’integrazione sociale; le famiglie, per la conoscenza dell’individuo, per la dimensione di cura e per la dimensione della speranza che consente di intuire al di là del percepibile. Dall’esterno si vede sempre solo una parte del lavoro dell’altro. La specializzazione ha creato competenze rilevanti e pregevoli il cui punto debole, lo sappiamo tutti, è la frammentazione. Il Tavolo è nato con lo scopo di offrire un luogo in cui i “frammenti” potessero, per un attimo, provare a guardarsi reciprocamente, anche affrontando il nodo problematico della zona cerniera tra sociale e sanitario, quella terra di tutti e di nessuno nella quale consuetudini, saperi e linguaggi diversi dovrebbero comprendersi per dialogare ma, spesso, non si conoscono neppure. Dal proprio osservatorio ognuno è convinto di fare tutto e di farlo correttamente. Non solo, spesso si vedono con chiarezza quali sono le mancanze e i possibili spazi di miglioramento d’azione degli 1 Psicopedagogista, Coordinatrice del “Tavolo provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e vertebromidollare” per la Provincia di Bergamo – Settore Politiche Sociali e Salute 2 Dirigente del Settore Politiche Sociali e Salute della Provincia di Bergamo 138 altri soggetti della rete. Ci sono stati momenti in cui una parte affermava con sicurezza di aggiungere, allo svolgimento del proprio compito, azioni ed attenzioni che dall’altra parte non erano assolutamente percepite, anzi venivano lamentate come fortemente mancanti. Solo provando a guardare ciò che facciamo da altre prospettive possiamo riflettere uscendo da una logica autoreferenziale per cogliere spazi di miglioramento, passaggi particolari da presidiare con attenzione e che ci riguardano. L’esperienza del Tavolo prosegue con continuità e presenza costante da parte di tutti i partecipanti. Crediamo che questo dato possa essere letto come una conferma del bisogno da una parte e dall’altra della validità della proposta. La scelta dei membri La scelta dei componenti del Tavolo provinciale tra differenti Enti e strutture di riferimento è stata effettuata tenendo conto del percorso che la persona segue a partire dall’evento traumatico. I medici A partecipare al Tavolo sono stati invitati i medici delle tre strutture di riferimento a livello provinciale in materia di riabilitazione delle persone con disabilità acquisita: l’Unità di Riabilitazione di Mozzo che aveva3 maturato alcune attenzioni innovative per la riabilitazione soprattutto motoria; la Clinica Quarenghi di San Pellegrino Terme che si caratterizza per una forte attenzione al tema della riabilitazione cognitiva; il Centro Don Orione di Bergamo che si occupa dell’accoglienza degli “Stati vegetativi” o dei minimo responsivi. Queste non sono le uniche tre strutture che si occupano di trauma cranico o di lesioni vertebromidollari sul territorio provinciale, ma chiamare tutte le strutture ospedaliere che si occupano di questi soggetti avrebbe significato sovrapporsi a situazioni già esistenti e dare un taglio sanitario alla composizione del Tavolo che ha preferito invece una connotazione prettamente sociale. Nonostante questo, la presenza della componente medica, quindi del versante sanitario per definizione, è stata ed è un tassello indispensabile per affrontare le problematiche connesse alla disabilità acquisita in termini di continuità, di “progetto di vita”, senza separazioni teoriche/tecniche tra un prima e un dopo. Quando le conseguenze del trauma sono severe, la presenza del medico diventa una costante. Non sempre i medici di famiglia sanno o possono dare risposta ai bisogni specifici di queste situazioni. Le strutture che in qualche modo hanno “ridato” o “consentito nuovamente” la vita restano presenti per mesi, a volte per anni, in modo forte nella vita delle famiglie. Il ritorno a casa porta infatti con sé, in una certa misura, il 3 L’utilizzo del verbo all’imperfetto è dovuto al fatto che al tempo della costituzione del Tavolo gli ospedali avevano alcune caratteristiche proprie. In parte queste sono rimaste ma il dialogo costante ha sicuramente favorito una circolazione delle competenze. Ne è un esempio la figura della neuropsicologa che ora appartiene alle equipe sia del centro di riabilitazione di Mozzo che della Clinica Quarenghi 139 trauma della separazione ed il rapporto con l’ospedale si connota di sentimenti contrastanti. Questo è stato uno dei temi affrontati dal Tavolo che ha portato a produrre alcuni strumenti dedicati che sono stati sperimentati con l’obiettivo di introdurre quelle buone prassi che, nella loro semplicità, riescono a cambiare la qualità della vita delle persone. I familiari La presenza delle persone toccate quotidianamente, emotivamente ed affettivamente dal trauma con conseguenza invalidante, porta con sé la Domanda4 con la maiuscola, quella concreta e reale, quella vera, quella non mediata dalle teorie e dai saperi, quella raccontata a volte in modo improprio o nascosta dietro ad altre domande, ma l’unica non eludibile. Seguendo il motto del movimento per la Vita Indipendente “Nulla su di noi senza di noi”, l’ideale sarebbe stato avere al Tavolo i soggetti direttamente interessati. Se è stato possibile un confronto diretto con le persone con disabilità acquisita da trauma vertebromidollare, non è stato – e non è – altrettanto possibile avere come interlocutori persone con disabilità cognitiva a causa delle caratteristiche proprie del trauma cranico. Sono i loro familiari, genitori, fratelli, mariti o mogli, figli, ad essere coinvolti direttamente e quotidianamente. La voce delle persone con disabilità acquisita è rappresentata ed espressa dalle associazioni. Sul territorio provinciale però, a differenza di quanto accade per le disabilità congenite, non ci sono sufficienti realtà associative a sostegno dei numerosi soggetti con disabilità acquisita. Quando il Tavolo si è costituito, esistevano solo due associazioni di familiari di persone con disabilità acquisita da trauma cranico ed una per persone con disabilità acquisita da trauma vertebromidollari. Tutte e tre facevano capo alle strutture sanitarie che, in ordine temporale, si erano occupate per ultime – o che ancora si stavano occupando – dei propri cari. Le associazioni erano: l’Associazione Amici Traumatizzati Cranici (AATC) e l’Associazione Disabili Bergamaschi (ADB) collegate alla Unità di riabilitazione di Mozzo, e l’Associazione Genesis collegata alla Clinica Quarenghi. Solo negli ultimi tempi si sono aggiunte due ulteriori associazioni delle quali una costituita da familiari di persone con disabilità acquisita da trauma cranico e l’altra da familiari di persone in stato vegetativo. La Provincia ha ritenuto che fosse fondamentale la presenza al Tavolo di un rappresentante di ciascuna di queste realtà. La scelta è stata motivata anche dalla storia delle associazioni familiari per persone con disabilità maturata in provincia e sostenuta in primis anche dal Settore Politiche sociali e salute della Provincia di Bergamo. Infatti, come traguardo importante di un lungo percorso di informazione e formazione tenuto dalla Provincia per le associazioni familiari di persone con disabilità, queste ultime hanno costituito il Coordinamento Bergamasco per l’Integrazione (CBI), coordinamento delle associazioni familiari a livello provinciale. Al CBI aderiscono associazioni di familiari di persone sia con disabilità congenita che con disabilità 4 Consapevoli della distinzione tra bisogno e domanda, abbiamo preferito qui utilizzare il termine “domanda” perché è ciò che i familiari portano al Tavolo. Non sempre la domanda racconta dei bisogni e di tutti i bisogni. Sta agli altri componenti accogliere le domande leggendo anche i bisogni sottesi, quelli negati come quelli enfatizzati 140 acquisita. Quello è sembrato essere il luogo migliore di confronto e di dialogo tra associazioni familiari, oltre che di passaggio d’informazioni relativo agli oggetti discussi e alle proposte elaborate dal Tavolo. I Comuni e gli Assistenti sociali Dopo il periodo di ricovero dell’assistito in ospedale, le famiglie, con il loro fardello di preoccupazioni e d’impegni quotidiani di assistenza, devono affrontare il ritorno a casa5. A questo punto sono due gli interlocutori importanti: il medico di famiglia e l’assistente sociale del Comune di riferimento o, eventualmente, dell’Ambito Territoriale d’appartenenza. Per la realizzazione dell’opuscolo informativo “Sostenere Percorsi dentro e fuori casa” è stato realizzato, all’interno del Tavolo, un sottogruppo di lavoro al quale sono stati invitati tutti gli Ambiti Territoriali e che ha visto la partecipazione di una rappresentanza di assistenti sociali dell’Ambito di Romano di Lombardia e di Seriate. La presenza delle assistenti sociali è sfociata nella partecipazione dell’assessore ai Servizi sociali del Comune di Seriate al Convegno provinciale del 2007 ed in una più matura consapevolezza, almeno da parte di un gruppo di essi, di un bisogno formativo ed informativo. Gli assistenti sociali non sono percepiti come un riferimento dalla maggior parte delle famiglie aventi un caro con disabilità acquisita. Ciò deriva da un problema culturale del nostro territorio legato in parte alla fatica/vergogna nel chiedere aiuto, e in parte al fatto che sono pochi gli assistenti sociali che conoscono gli aspetti normativi e legislativi in materia di disabilità acquisite ai quali fare riferimento. L’affermazione precedente non ha alcuna intenzione di essere giudicante: le competenze richieste ad un assistente sociale comunale ricomprendono situazioni riguardanti i minori, gli anziani, la disabilità congenita (minori e anziani con disabilità), le situazioni di fragilità sociale, etc. L’elenco è lungo e le competenze, per mantenersi tali, hanno bisogno di essere esercitate ed aggiornate. Avendo poco tempo a disposizione, ci s’impone di operare delle scelte, e la quantità di persone con un problema simile con le quali si entra in contatto segna “il valore di merito”. Gli assistenti sociali quindi, pur essendo un tassello importantissimo nella cerniera tra sociale e sanitario, non sono stati mai presenti al Tavolo.6 È stato invece invitato un membro del Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci. 5 Sono purtroppo escluse dal ritorno a casa le situazioni di stato vegetativo, che nella maggioranza dei casi passano dall’ospedale a strutture dedicate, come ad esempio il don Orione 6 Il problema va ben oltre quello della rappresentanza al Tavolo. È effettivamente impossibile essere competenti rispetto a situazioni che magari nella propria carriera lavorativa non verranno mai affrontate o, al limite, affrontate per un numero molto circoscritto di situazioni. A questo proposito la Consensus Conference di Verona del 2005 ha proposto di istituire la figura del Case manager specializzato in disabilità acquisita. “La giuria ritiene necessario adottare comunque una funzione di case manager che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente sanitario e sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto dopo la fase ospedaliera”. Si veda: A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie. Individuazione dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009 141 La cooperazione sociale Oggi, con forme diverse, le attività rivolte alle persone con disabilità - dall’assistenza scolastica alla direzione di strutture residenziali - sono gestite, per la quasi totalità, da cooperative. L’unica cooperativa riconosciuta sul territorio provinciale con una competenza specifica è la Cooperativa Progettazione. Oltretutto, alla data della prima convocazione del Tavolo, la cooperativa collaborava già, con iniziative interne alla struttura, con il centro di riabilitazione di Mozzo ed aveva attivato presso sedi proprie progetti diurni diversificati7 di sostegno alle famiglie e iniziative sperimentali di residenzialità etc. Le esperienze e le competenze specifiche maturate erano patrimonio quasi esclusivo di questa cooperativa e di un’altra cooperativa ad essa collegata, la Paul Wittgenstein. Uno tra i valori del lavoro delle cooperative sociali consiste nella territorialità. I progetti di socializzazione, realizzati nei territori di residenza delle persone con disabilità, consentono di costruire una nuova appartenenza, oltre alla possibilità che si attivino reti di sostegno spontanee o legate alle associazioni di volontariato8. Per questo motivo molte delle persone con disabilità acquisita non usufruiscono delle competenze tecniche di una cooperativa specializzata (sempre che ne conoscano l’esistenza), ma si appoggiano alle proposte che offrono i servizi sociali del territorio ove risiedono. Negli anni questo ha portato a chiedere la presenza al Tavolo, oltre che della cooperativa Progettazione, di un rappresentante di Confcooperative – Federsolidarietà. La valorizzazione di competenze specifiche in seno a Confcooperative ha portato alla maturazione di consapevolezza di bisogni formativi e alla progettazione e realizzazione di percorsi formativi dedicati condivisi. L’ASL È l’altro Ente istituzionale, insieme alla Provincia, che opera sul territorio con particolare attenzione e competenze. Tra queste la programmazione, il controllo, la possibilità di accedere ai dati sanitari, la conoscenza diretta di tutte le strutture sia sanitarie che sociali: l’essere soggetto proponente e coordinatore di altri tavoli di lavoro su tematiche simili, ha reso la sua presenza non solo utile, ma anche insostituibile e preziosa. La Pubblicazione nasce con la priorità di rendere pubblico il lavoro del Tavolo Provinciale. Grazie alla disponibilità dell’ASL di Bergamo nel mettere a disposizione il proprio epidemiologo (senza il quale questo lavoro non sarebbe stato possibile perché è colui che concretamente ha cercato ed elaborato i dati), si è realizzato il primo atlante epidemiologico delle 7 I progetti diurni possono coprire una vasta gamma di bisogni: da quello più prettamente riabilitativo, a quello lavorativo o socio-occupazionale, a quello sociale 8 Il valore dei progetti a valenza territoriale richiederebbe ben altri spazi e ben altre parole, ma non crediamo sia questo il luogo per un approfondimento. Era però indispensabile citare questa caratteristica perché di fatto, al di là delle teorie, ci sono molte persone con disabilità acquisita che frequentano i servizi territoriali che non hanno specializzazioni specifiche traendone beneficio e dichiarando apprezzamento e soddisfazione per le proposte 142 persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) in provincia di Bergamo. Questo risultato ci rende particolarmente orgogliosi – e di questo siamo riconoscenti all’ASL ed al suo epidemiologo dott. Alberto Zucchi – perché siamo riusciti a realizzare la prima tra le raccomandazioni della prima Conferenza Nazionale di Consenso, ovvero la conoscenza dei dati epidemiologici. Infatti gli unici dati sui quali sino ad ora era stato possibile lavorare – a livello nazionale - erano quelli della Regione Emilia Romagna. Mariangela Taricco ci ricordò, durante il Convengo del 2007, che tra le questioni di prioritaria importanza - e su cui lavorò il suo gruppo di lavoro - vi è proprio la “conoscenza dei dati epidemiologici con particolare riguardo alla prevalenza dei differenti esiti a lungo termine delle cerebrolesioni e all’analisi dell’offerta di servizi esistenti.”. Il Tavolo provinciale costituitosi inizialmente era composta da: - Ospedali Riuniti di Bergamo - Unità di Medicina Fisica e Riabilitazione presidio di Mozzo: Ivo Ghislandi, Gianni Melizza; - Clinica Quarenghi - Unità Operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale: G. Pietro Salvi; - Centro Don Orione: Giovanni Battista Guizzetti; - Cooperativa Sociale Progettazione: Giancarla Panizza; - Associazione Genesis; Associazione Amici Traumatizzati Cranici: Stefano Pelliccioli; - Associazione Disabili Bergamaschi: Alberto Bacchini; - ASL provincia di Bergamo: Gennaro Esposito e Alberto Zucchi; - Provincia di Bergamo: Silvano Gherardi, dirigente del Settore e Simona Colpani, consulente. A distanza di alcuni anni, la partecipazione al Tavolo dei membri degli Enti rappresentati ha visto la conferma sostanziale della composizione precedente con l’aggiunta di: - Confcooperative – Federsolidarietà: Omar Piazza; - Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci. Le questioni guida nella scelta delle diverse iniziative Un evento traumatico, tale da determinare una disabilità acquisita, coinvolge la persona che riporta il trauma direttamente e i familiari stretti, modifica i rapporti tra nucleo familiare e famiglie di origine, inficia rapporti di amicizia, richiede cambiamenti lavorativi, stravolge progetti di vita. Questo vale nel caso in cui la disabilità acquisita sia “solo” di tipo motorio, sia nel caso in cui coinvolga anche aspetti cognitivi. Questo non significa che tutte le disabilità siano uguali e che il loro impatto possa essere sovrapponibile. Un ventenne allettato e che non ricorda nulla non è paragonabile ad un cinquantenne che ha perso l’uso delle gambe, ma che ha mantenuto tutte le competenze cognitive; eppure, per entrambi, la vita cambia radicalmente. Gli eventi della vita ci cambiano. Cambiano il nostro carattere, le nostre motivazioni, il nostro ordine valoriale. Una persona che ha subito un trauma vertebromidollare può diventare completamente 143 diversa rispetto a ciò che era prima, e chi sta con lei può non riconoscerla più come il compagno che ha sposato, come il figlio che ha cresciuto. Certo, in termini oggettivi e scientifici, la gravità di una lesione vertebromidollare non è paragonabile a quella di un trauma cranico grave. L’ho sentito dire tante volte dai familiari. È un’affermazione per certi aspetti vera ma, se si seguono questi ragionamenti, il rischio è di finire a fare una guerra tra poveri. Qual è il dolore che pesa di più? Sì, non è negabile che una disabilità cognitiva, oltre che motoria, sia peggio della “sola” disabilità motoria, ma non credo che per questo se a noi dovesse capitare una disabilità motoria, la prenderemmo positivamente perché “è meno grave di altre disabilità”. La quantità di barriere architettoniche esistenti è tale che, per noi che camminiamo, è difficile rendersene conto. Sono innumerevoli le situazioni nelle quali è presente l’ascensore ma per raggiungerlo c’è un piccolo gradino, così piccolo che chi ha le gambe funzionanti non lo avverte neppure. Oppure di un negozio che ha abbattuto le barriere architettoniche ma il marciapiede su cui insiste l’ingresso non ha lo scivolo o lo stesso è stato realizzato male, oppure una sala per convegni che è completamente accessibile tranne che per il palco accessibile solo attraverso le scale. Le persone con disabilità da trauma vertebromidollare possono avere capacità cognitive intatte, ma sperimentare che è per loro è impossibile utilizzarle è un’esperienza simile ad un lutto, ritrovarsi con un corpo che non consente loro di essere e di riconoscersi per ciò che erano è estremamente difficile. Avere come oggetto di riflessione le persone con disabilità acquisita da trauma sia vertebromidollare che cerebrale ha significato, in questi anni, mantenere alta l’attenzione sulle conseguenze sociali dell’evento traumatico. Questo ha favorito un dialogo tra le stesse associazioni di familiari, dialogo che all’inizio della storia del Tavolo non era per nulla scontato. Ci sono stati momenti di forte scontro tra i diversi punti di vista. Da parte dei diversi attori ci sono state situazioni nelle quali ognuno voleva che gli altri riconoscessero la bontà del proprio lavoro evidenziando al contempo le fragilità e le mancanze delle altre parti. Durante i primi anni, a fianco degli incontri ufficiali, spesso ci sono stati incontri chiesti dai singoli partecipanti perché, fuori del luogo di confronto, potessero raccontare la loro verità su di sé e sugli altri. Di fronte ad interessi forti - e nulla è forte come la vita e la sopravvivenza dignitosa propria e/o di un familiare - erano presenti posizioni molto lontane. Trincerati in posizione difensiva, vi erano incomprensioni reciproche, occlusioni al dialogo e al reciproco ascolto. Una delle questioni centrali nel lavoro del Tavolo è stata dunque il favorire un riconoscimento ed una visibilizzazione delle problematiche, tra le quali quelle personali e familiari, ma anche quelle organizzative ed economiche, senza eludere quelle di politica dei servizi. Le scelte operative hanno seguito due linee guida: l’attenzione al bisogno personale e l’attenzione sul piano nazionale. La presenza dei genitori, ma anche della cooperazione sociale, ricollocava puntualmente il Tavolo nel bisogno di concretezza; la presenza dei medici che, oltre al lavoro quotidiano, facevano e fanno parte di gruppi di lavoro nazionale, rinviava a collocarsi dentro scenari di scelte organizzate e condivise tra strutture e gruppi di lavoro nazionali. 144 La “Guida al ritorno a casa”, per citare un esempio, è stata pensata a partire dal bisogno espresso dai familiari che lamentavano di aver vissuto le dimissioni come un salto nel vuoto, nel buio. La sua costruzione ha tenuto conto del bisogno di continuità assistenziale dell’individuo e della necessità di sostenere la famiglia oltre che sollecitarla a chiedere aiuto ai servizi sociali territoriali per uscire da una frequente forma di isolamento e schiacciamento sul piano medico–riabilitativo. Contestualmente, la consegna dello strumento avrebbe sollecitato i servizi sociali territoriali a conoscere la presenza di un bisogno e a farsi carico della questione spesso non presente con una domanda. Nella costruzione ci si è avvalsi di spunti e guide di altri documenti presenti e sperimentati fuori regione in centri di eccellenza9. Ogni investimento va commisurato con l’entità del bisogno e l’entità del bisogno è fatta di “individualità” e di quantità. La progettazione sociale, la programmazione dei servizi, non possono prescindere dai numeri, ovvero dal sapere quante persone necessitano di un certo tipo di intervento. Chi ha l’onere di scegliere quale percentuale, dei soldi a disposizione, distribuire tra le fasce di bisogno deve basarsi sulla quantità e sulla gravità delle situazioni. Una questione che, accanto alle riflessioni e alle progettualità inerenti la Guida al ritorno a casa, al sollievo, alla Conferenze di Consenso, è sempre stata presente è quella del numero di persone con disabilità acquisita presenti sul territorio. L’espressione spesso usata in testi scientifici e articoli divulgativi, per riferire delle disabilità acquisite, è quella di “epidemia silenziosa” perché è una popolazione in continuo aumento. Come verbalizzò con chiarezza il dr. Giambattista Guizzetti nella sua relazione al Convegno che la Provincia organizzò a Bergamo nel 2007, molte delle situazioni di stato vegetativo accolte dal Centro Don Orione sono il frutto avvelenato della grande tecnologia medica che ha dato dei risultati straordinari, che ha contribuito a salvare un’enorme quantità di vite umane e a migliorare la qualità di queste vite, ma che forse a volte sconfina nell'accanimento o in quella che si chiama medicina difensiva. Le stesse innovazioni della tecnologia e dei saperi in medicina che producono i frutti avvelenati, salvano molte vite che un tempo erano destinate a non farcela. Questo si traduce per qualcuno nel poter riprendere la vita di sempre, per altri ad iniziare a fare i conti con una disabilità. Una stima grossolana portata dai medici ai primi Tavoli di lavoro raccontava di circa 40 soggetti l’anno che, a fronte di evento traumatico, riportavano gravi conseguenze invalidanti. Ogni anno, dunque, la popolazione delle persone con disabilità acquisita incrementa il proprio numero. Nel corso degli anni, Questa consapevolezza ha sollecitato il Tavolo a trovare una modalità per capire quante persone con disabilità acquisita sono presenti sul territorio provinciale, come vivono, quali sono le conseguenze socioeconomiche, di quale tipologia di servizi hanno usufruito o se ne hanno usufruito, di quale necessita, quanti sono sopravvissuti e quanti hanno avuto altri ricoveri, magari in altri ospedali, per patologie conseguenti la disabilità. Le risposte a queste domande potrebbero raccontarci dei costi economici, personali o relazionali che un evento invalidante comporta al di là di quelli quantificabili in un tempo a breve e medio termine. 9 Soprattutto il "Diario di Bordo", elaborato dall’Unità Gravi Cerebrolesioni e l’Unità di Medicina Riabilitativa del Dipartimento di Neuroscienze/Riabilitazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, pensato inizialmente per familiari ed i pazienti ricoverati. La Guida se ne discosta in parte perché l’idea era di fornire anche, quando valutato opportuno dai medici, il “Diario di Bordo” 145 La dimensione quantitativa, a cui l’indagine coordinata dal dr. Alberto Zucchi ha iniziato a dare risposta, necessita di criteri di lettura per tradursi, senza tradire, in comprensione dei bisogni presenti, indipendentemente dalle domande tanto urlate quanto taciute. Il rischio delle indagini epidemiologiche è che le persone si traducano in numeri. Come scrisse E. Lussu nel romanzo “Un anno sull’altipiano”: “un soldato morto al confine è una tragedia, mille soldati morti sono una statistica”. Non dobbiamo cadere nel rischio di trasformare l’analisi epidemiologica in statistica cruda. La sua collocazione all’interno del lavoro del Tavolo ha favorito una lettura del materiale a partire dalle motivazioni che avevano ingaggiato la ricerca. Ora abbiamo a disposizione un materiale che nei prossimi mesi potremo analizzare anche alla luce delle richieste esplicitate, come già è stato sottolineato, dalle Conferenze di Consenso nazionali. Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa La prima azione compiuta dal Tavolo è stata produrre un sintetico documento condiviso da tutti i membri e firmato dalle reciproche istituzioni di riferimento nel gennaio 2005 dal titolo “Osservazioni sulla situazione presente in provincia di Bergamo e prime ipotesi di lavoro”, con la finalità di fare un quadro delle realtà esistenti sul territorio provinciale e delineare ipotesi di lavoro in relazione ai bisogni individuati. Quel primo documento ha aperto la strada ad una serie di riflessioni ed iniziative alcune delle quali pensate appositamente per le persone con disabilità acquisita ed altre per la disabilità congenita. Un primo esempio è la pubblicazione "Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa". A fronte di iniziative volte a sensibilizzare e sostenere progetti di sollievo per famiglie di persone con disabilità, ci si è chiesti se anche i bisogni delle famiglie delle persone con disabilità acquisita fossero sovrapponibili a quelli della disabilità congenita. Molto brevemente, la riflessione che è stata fatta è che per la disabilità congenita ha senso parlare di sollievo solo in relazione alla famiglia, per la disabilità acquisita invece il bisogno di sollievo è si della famiglia, ma a volte anche della persona che ha acquisito la disabilità: tornare in un mondo nel quale tutti ti conoscono e riconoscono per il tuo aspetto fisico attendendosi che anche “il resto” sia “riconoscibile”, può rendere molto difficile trovare ed esprimere quella che per alcuni è una identità radicalmente nuova. In altre parole, il mondo attorno ti riconosce e continua a chiederti di essere “quello di prima”, mentre tu hai bisogno di tempi e di spazi per sperimentarti in una dimensione che non conosci, non immagini e che deve essere scoperta. In termini di linee guida condivise a livello provinciale, le considerazioni a cui si giunse con quella ricerca fu che, relativamente alla disabilità congenita, aveva senso parlare di sollievo alla famiglia, mentre per le situazioni con disabilità acquisita poteva essere corretto pensare, oltre che a progetti di sollievo per la famiglia, anche a progetti di sollievo per le persone con disabilità. Da queste riflessioni, con il velo di quell’ironia che a volte aiuta a suggerire dei pensieri senza legittimarsi ad esprimerli compiutamente, ci si è chiesti se anche alcune delle persone con disabilità congenita non potessero aver bisogno saltuariamente di un …. “sollievo dalla famiglia”! 146 “Guida al ritorno a casa” Nei primi mesi del 2006 è stata avviata una nuova fase di lavoro: la raccolta e l'analisi dei documenti ufficiali e delle esperienze significative a livello nazionale tra le quali il documento conclusivo della Commissione tecnico scientifica (istituita con Decreto Ministeriale del 12 settembre 2005) "Stato vegetativo e stato di minima coscienza” - datato Roma 14 dicembre 2005 - e i temi della Conferenza Nazionale di consenso conclusasi a Verona nel 2005. Questi approfondimenti e il "Diario di Bordo” - curato dall'Unità Operativa di alta specialità per la riabilitazione delle gravi cerebrolesioni dell'Azienda Ospedaliera Universitaria "Sant'Anna” di Ferrara - sono alla base del "Progetto dimissioni” all'interno del quale è stata predisposta la “Guida per il ritorno a casa”. La Guida ha avuto una prima fase di sperimentazione, avvenuta con la collaborazione dell’Unita di Riabilitazione di Mozzo e con la Clinica Quarenghi, che ha consentito di apportare alcune migliorie. È così stata redatta la nuova “Guida al ritorno a casa”. Il dato che è stato assunto, nel tentativo di affrontarlo, è quello legato alla percezione di una frattura tra il dentro - l'ospedale, la fase acuta - e la realtà esterna, "il mondo”, frattura riconducibile in parte ai diversi linguaggi, riferimenti ed obiettivi che differenziano il contesto sanitario da quello sociale. L'obiettivo è che ci sia uniformità sul territorio provinciale rispetto allo strumento adottato ma, soprattutto, che sia le informazioni contenute che la terminologia utilizzata siano comprensibili e fruibili anche da parte di familiari, assistenti sociali, insegnanti ed educatori. La costruzione dello strumento è stata peraltro assolutamente in linea con quanto prescritto dalla seconda Conferenza Nazionale di Consenso. Riporto uno stralcio della relazione del dr. Antonio De Tanti perché tematizza esattamente gli obiettivi della Guida: “Ecco allora la prima raccomandazione della giuria che dice che, vista la numerosità dei fattori che influenzano il profilo del bisogno, è opportuno che la valutazione dei soggetti sia multidimensionale, interprofessionale e con il coinvolgimento attivo della persona e della sua famiglia. Altro elemento di complessità è la variabile temporale. Sicuramente, a questo punto, occorre adottare una prospettiva dinamica che superi i concetti di cronico, di stabile, perché assolutamente insufficienti e fuorvianti nella ricerca della meta, che deve essere continuamente perseguita, del migliorare, dell’aiutare la persona a integrarsi, a partecipare di più. Quindi la raccomandazione della giuria è che la valutazione dei bisogni riabilitativi e assistenziali debba essere prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con frequenza, adeguata alle possibili modificazioni della persona e dell'ambiente in cui essa abita. Perché anche l'ambiente cambia: pensiamo solo al problema del dopo di noi, le famiglie dei nostri pazienti che invecchiano e quindi cambia totalmente il panorama in cui dobbiamo inserire il nostro intervento”10. Cambiare le routine ed introdurre nuove prassi è difficile per tutti. La Guida voleva essere uno strumento che consentisse di tradurre le indicazioni mediche in parole riconducibili ad azioni concrete, che potesse costituire una sorta di promemoria scritto delle parole dette in stanze che 10 In: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009 147 trasudano lacrime e sofferenze in tal quantità da rendere offuscato l’ascolto. Al tempo stesso l’indicazione di recarsi con la Guida dall’assistente sociale offriva alla famiglia un motivo per contattare i servizi limitando al minimo la fatica di dover dire dei propri dolori. Le assistenti sociali dal canto loro, avrebbero saputo che sul loro territorio c’era una persona con un bisogno assistenziale da tenere monitorato. L’aver introdotto una parte dedicata alle annotazioni della famiglia, così come richiesto dalla Conferenza di Consenso, significava legittimare la famiglia a dire dei bisogni e delle speranze, delle fatiche e dei dolori come dei progressi perché la situazione non venisse letta come cronica, ma in evoluzione. Le annotazioni della famiglia avrebbero favorito una valutazione “prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con frequenza”, oltre che costituire materiale utile per una lettura in follow up utile ad esempio per affiancare un’indagine epidemiologica con alcune più riflessioni qualitative. Il bisogno di una continuità e di una guida è stato sottolineato anche dalla sollecitazione, venuta sempre dalla Conferenza di Consenso, di identificare un professionista con la “funzione di case manager11 che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente sanitario e sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto dopo la fase ospedaliera”12. Nonostante il progetto rispondesse alle linee guida identificate dalla Conferenza di Consenso senza chiedere il forte investimento economico presente invece nell’istituzione del Case Manager, le strutture che collaborano con il Tavolo hanno fatto fatica ad assumere lo strumento costruito ad hoc che di fatto è ancora in attesa di venire valorizzato adeguatamente. “Sostenere percorsi dentro e fuori casa” Sempre nell'ambito del “Progetto dimissioni” si è lavorato per predisporre un breve opuscolo informativo, “Sostenere percorsi dentro e fuori casa” da destinarsi ai familiari, agli assistenti sociali del territorio, ma anche alla gente che per diversi motivi ha avuto occasione di incontrare persone con disabilità acquisita, con l’obiettivo di favorire un riconoscimento e una visibilizzazione di problematiche personali e familiari, che spesso sfociano in solitudini ed isolamenti. Molte volte di fronte a questi problemi si assiste a dei ritiri o a dei percorsi di solitudine centrati quasi unicamente sulle dimensioni tecniche e riabilitative. A nostro avviso, i motivi sono principalmente due: il primo è il noto e documentato desiderio di “aggiustare” ciò che si è rotto; il secondo è dovuto alla facilità nel frequentare luoghi conosciuti, che non guardano con occhi indaganti o giudicanti perché lì “si è tutti così” e tutti più o meno tutti sanno com’è, perché chi pratica quei posti ha già guardato tutto, è stato 11 La figura del Case manager è peraltro oggetto di studio oggi da parte della Regione e delle ASL anche per quanto attiene la disabilità congenita 12 A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie. Individuazione dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009 148 costretto a guardare per conoscere e quindi ora non ha più nulla da voler guardare. Far girare questo opuscolo ha significato iniziare a provare a scalfire l’omertà e la paura nel dire, perché questi temi arrivino ad essere sempre più legittimati e se ne possa parlare senza vergogna e senza comportamenti di ritiro. Convegno organizzato dalla Provincia e presentazione degli Atti dello stesso Con il duplice obiettivo di sensibilizzare il territorio e di proseguire nel percorso di radicamento delle scelte quotidiane in un indirizzo di orizzonte nazionale nel novembre del 2007 è stato organizzato il convegno “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario”. La finalità era quella di portare a Bergamo i contenuti della Conferenza Nazionale di Consenso svoltasi a Verona nel 2005. Coerentemente con le finalità del Tavolo sono stati invitati, tra gli altri, i coordinatori dei due gruppi di lavoro che più specificamente avevano affrontato tematiche sociali o sociosanitarie: Mariangela Taricco che aveva coordinato il gruppo di lavoro avente per oggetto “Qualità di vita , autodeterminazione, ruolo della famiglia” e Antonio De Tanti per l’oggetto “Analisi dei profili di bisogno, sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie. Individuazione dei percorsi di presa in carico”. Giambattista Guizzetti ha portato le linee guida della conferenza di Roma sugli stati vegetativi e Pietro Salvi ha contestualizzato gli interventi riportando la storia delle Conferenze di Consenso. Il pomeriggio è stato tutto dedicato alla dimensione locale, ovvero a come e quali delle teorie e delle indicazioni esposte la mattina erano state accolte dall’operatività attivata nella nostra provincia. Non ci dilunghiamo sul racconto dei contenuti perché una pubblicazione, curata e presentata dalla Provincia nel 2009, ha reso disponibili gli Atti di quella giornata. Iniziative formative All’interno di progetti di formazione e di sensibilizzazione ci sono state due diverse iniziative. Un’altra iniziativa, che rispetto al convegno ha coinvolto un numero ridotto di persone, ma che ha rappresentato una prima apertura verso un tema mai preso in considerazione, neppure a livello nazionale, è stato quello di un’ iniziativa per siblings13 resa possibile grazie all’impegno della Provincia. Infatti, un significativo gruppo di fratelli o sorelle di persone con disabilità acquisita compilò un questionario elaborato dal settore Politiche Sociali e Salute della Provincia e diffuso attraverso le associazioni di genitori ed i servizi; questo ha consentito di organizzare alcuni incontri dedicati a loro. La differenza tra questo gruppo e quelli dei siblings con disabilità congenita è stata forte, ma 13 Il termine inglese consente di indicare, con una sola parola, i fratelli e le sorelle di persone con disabilità 149 per le considerazioni specifiche rinviamo ai Report pubblicati sul sito della Provincia. Il dato che sinteticamente può essere riportato è quello della presenza, molto di più che negli altri gruppi, della componente della rabbia. La seconda iniziativa, costruita con Confcooperative e con un ruolo forte della cooperativa Progettazione, è stato un percorso di formazione dedicato agli operatori. La Conferenza Nazionale di Consenso chiedeva servizi dedicati per le persone con disabilità acquisita, ma i numeri presenti sui territori non riescono a permettere la sostenibilità di iniziative di questo genere, così le persone con disabilità acquisita frequentano i centri nati per le persone con disabilità congenita, a meno che non si tratti di un percorso individuale. Piuttosto che sollecitare le cooperative della provincia all’ideazione di strutture e proposte dedicate che non avrebbe trovato alcuna risposta soprattutto in questi tempi di scarsità di risorse, si è pensato di costruire una proposta formativa indirizzata alle cooperative che si occupano di disabilità congenita per intercettare tutti quegli operatori che hanno in carico, tra i loro utenti, anche persone con disabilità acquisita. Il primo obiettivo è stato sicuramente quello di iniziare a dare loro alcune indicazioni specifiche relative alle caratteristiche che differenziano questa tipologia di disabilità da altre. La speranza è che, in futuro, la consapevolezza dei bisogni specifici, ma anche il raccordo con comuni confinanti, possa far nascere alcune iniziative dislocate sull’intero territorio provinciale senza la caratteristica dell’offerta a macchia di leopardo che un po’ ci contraddistingue. Un’aspirazione più teorica, invece, è che i bisogni specifici delle persone con disabilità acquisita provochino una rilettura delle progettualità consolidate dedicate alle disabilità congenite perché si ritiene che ciò possa essere vantaggioso per entrambi: da un lato convogliare e valorizzare esperienze e reti consolidate, dall’altro interrogarsi sui significati e su possibili modalità complementari. Prospettive di lavoro Sarebbe utile incrociare i dati dell’indagine epistemologica con la Mappatura Provinciale che racconta di quali sono le persone conosciute o/e in carico ai servizi sociali. Quante delle persone che dovrebbero essere sul territorio sono note? Quante di queste godono di offerte di servizi? Quali sono i bisogni accolti e quali quelli che non hanno ancora trovato spazio? Certamente, se ci sarà una divergenza tra quello che dovrebbe essere e ciò che per il territorio è, servirà attivarsi per capire quali sono le cause e quali le modalità per superarle. Un’analisi congiunta dei dati raccolti ci potrà raccontare la dimensione del bisogno e quanto questo è coerente con la domanda consapevole ed esplicitata. Tra le proposte formative in cantiere vi è una giornata di formazione alle assistenti sociali. Quello che è certo è la volontà della Provincia, Settore Politiche Sociali e Salute, nel volere continuare l’esperienza di collaborazione con gli Enti che partecipano al Tavolo al fine di garantire alle persone con disabilità acquisita prospettive di una vita migliore e di qualità. 150 NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DELLA CONTINUITÀ ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA Giovanni Melizza1 e Lorella Algeri2 Nella provincia di Bergamo risiedono oltre un 1.000.000 persone. La rilevanza epidemiologica presentata impone la necessità di offrire interventi sanitari e sociali che possano rispondere ai bisogni di salute dei pazienti e delle loro famiglie poichè la Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) è la causa più frequente di disabilità nella fascia di età relativa alla popolazione attiva. Uno dei bisogni è certamente il recupero dell’autonomia possibile che si realizza con il contributo della riabilitazione sia sanitaria che sociale. Attualmente gli interventi in ambito sanitario ed in quello sociale sono orientati al modello bio-psico-sociale, che pone al centro del sistema il cittadino disabile e il suo contesto familiare nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni orientando conseguentemente tutte le attività rispetto a tale priorità e verificandone i risultati. Affrontare gli aspetti legati alla riabilitazione delle persone con disabilità acquisita significa innanzitutto averne una visione globale che a partire dalla valutazione del dato oggettivo (la menomazione) vanno al di là di questo e toccano il vissuto di ogni singolo soggetto nel suo peculiare contesto, chiamando in causa non solo singoli campi di specializzazione, ma l’insieme delle strutture e dei servizi dedicati. In questo contesto il termine riabilitazione indica un processo di soluzione dei problemi nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, sia mediante attività sanitarie di riabilitazione (interventi valutativi, diagnostici, terapeutici finalizzati a contenere o minimizzare la disabilità) sia mediante attività di riabilitazione sociale (azioni e interventi finalizzati a garantire al disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative indipendentemente dalla gravità delle menomazioni e delle disabilità al fine di contenere la condizione di handicap). Analogo approccio globale ed integrato è adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato una classificazione del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Anche in questa classificazione è prospettato il modello bio-psico-sociale della disabilità che si basa sull’integrazione del modello medico (che tradizionalmente vede la disabilità come problema personale, causato da malattie, traumi o altre condizioni di salute che necessitano di assistenza medica individuale) con il modello sociale (che vede la disabilità principalmente in termini di limitazione alla piena integrazione degli individui nella società, e non come attributo di un individuo, ma piuttosto come un insieme complesso di condizioni, sia personali che sociali). In altri termini secondo il modello bio-psico-sociale la disabilità 1Fisiatra, Responsabile U.S.C. Medicina fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo 2 Psicologa, U.S.S.D. Psicologia Clinica - U.S.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo 151 è il risultato di una complessa relazione tra l’individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo stesso, secondo una visione complessiva a livello biologico, individuale e sociale; tale modello mette in evidenza come ciascun soggetto disponga di abilità e/o disabilità solo in rapporto con l’ambiente in cui interagisce. In questo senso non si parla più di “handicap” inteso come situazione di svantaggio, ma di “partecipazione sociale” intendendo il livello di coinvolgimento di un individuo nelle situazioni di vita. In questo quadro lo scopo dell'intervento riabilitativo è “guadagnare salute”, in un'ottica che vede la persona con disabilità e limitazione della partecipazione non più come “malato”, ma come “persona avente diritti” (conferenza di Madrid del 2002, anno europeo della persona con disabilità). Quindi compito dell'intervento riabilitativo è definire la “persona”, per poi realizzare tutti gli interventi sanitari necessari a far raggiungere alla persona stessa, nell'ottica del reale empowerment, le condizioni di massimo livello possibile di funzionamento e partecipazione, in relazione alla propria volontà ed al contesto. Il “percorso assistenziale integrato” è il riferimento complessivo che rende sinergiche le componenti sanitarie e non sanitarie dell'intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) rappresenta lo strumento specifico, sintetico ed organico per tutto ciò, unico per ciascuna persona, definito dal medico specialista in medicina fisica e riabilitazione in condivisione con gli altri professionisti coinvolti nel team riabilitativo. Elementi essenziali sono sempre rappresentati da una buona informazione e dalla partecipazione consapevole ed attiva alle scelte ed agli interventi da parte della persona che ne è al centro, della famiglia e del suo contesto di vita. Gli interventi derivanti dal progetto riabilitativo, incentrati sui diversi problemi rilevati, necessitano di una valutazione sistematica della performance e della definizione di obiettivi ed indicatori di processo, al fine della verifica del raggiungimento del risultato atteso. II PRI, applicando i parametri di menomazione, limitazione di attività e restrizione di partecipazione sociale elencati nella International Classification of Function (ICF), definisce la prognosi, le aspettative e le priorità del paziente e dei suoi familiari; viene condiviso con il paziente, quando possibile, con la famiglia ed i caregiver, definisce le caratteristiche di congruità ed appropriatezza dei diversi interventi, nonché la conclusione della presa in cura sanitaria in relazione agli esiti raggiunti (Piano di indirizzo per la riabilitazione. Ministero della Salute 2011). Il grafico sottostante rappresenta l’andamento temporale del bisogno riabilitativo di tipo sanitario e di tipo sociale: la linea tratteggiata indica il bisogno di tipo sanitario, la linea continua il bisogno di tipo sociale. 152 E’ evidente come ad una maggiore partecipazione sanitaria nelle fase acuta del danno, si inseriscano precocemente e progressivamente le necessità di interventi sociali che diventano preponderanti nella fase degli esiti. Come costruire allora un percorso che possa prevedere l’integrazione delle necessità sanitarie e di quelle sociali ovvero una rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con GCA? Le indicazioni delle Linee Guida Nazionali del trattamento del trauma cranico minore e severo, le tre Conferenze di Consenso sulla Grave Cerebrolesione Acquisita, la Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica della persona adulta e le Linee Guida del Ministero della Salute relative alla riabilitazione, permettono di delineare un percorso socio-sanitario integrato che prevede compiti e caratteristiche della struttura sanitaria riabilitativa. Nella fase acuta, la gestione dell’emergenza viene realizzata attraverso l’attivazione dei Dipartimenti di Emergenza (DEA). Il DEA di 2° livello è fornito di Centro Traumi Alta Specializzazione (CTS) e di riabilitazione per costruire da subito un percorso sanitario e sociale integrato nelle prime fasi al fine di facilitare la comunicazione e l’informazione con i parenti sulla situazione clinica, gli esiti e delineare una possibile prognosi. Tale organizzazione facilita il contatto con i servizi sociali, l’individuazione di strutture riabilitative di riferimento dopo l’emergenza, migliora gli indici di sopravvivenza. L’attivazione della riabilitazione in tale ambito porta più facilmente a prevenire danni terziari, minimizzare le menomazioni, facilitare la ripresa di contatto. L’attuazione di pratiche di fisioterapia respiratoria, controllo posture, monitoraggio della responsività e rapido passaggio in degenza riabilitativa consente inoltre un miglioramento della prognosi ed una riduzione dei giorni di degenza (1° Conferenza di Consenso sulle GCA, Linee Guida Nazionali di riferimento per il trattamento del trauma cranico minore e severo, riferimenti normativi accordo Stato Regioni del 04.04.2002 e Accordo Stato Regioni del 29.04.2004, Conferenza Stato Regioni del 03.02.2005). Viene stabilita la classificazione dei pazienti in tre livelli 153 di gravità che consente di meglio definire l’allocazione in ambito riabilitativo (1° Conferenza di Consenso sulle GCA): x soggetti con disabilità di grado lieve o moderata secondo la Glasgow Outcome Scale (GOS) – Disability Rating Scale (DRS) 6; x soggetti con disabilità moderata o grave secondo la GOS – Level Cognitive Functional (LCF) 3 e DRS 21; x soggetti in stato vegetativo e o minima responsività secondo la GOS – LCF 3 e DRS > 22. Il passaggio alla riabilitazione può essere preceduto da una collocazione temporanea in unità subintensive ad alta valenza riabilitativa, affiancata alla rianimazione. In ambito riabilitativo l’intervento si realizza con la formulazione di un progetto riabilitativo personalizzato (orientato all’individuo) con programmi specifici, attuato da figure professionali diverse inserite in team e che lavorano insieme in modo interprofessionale, cioè per obiettivi comuni in base all’ outcome globale e funzionale, ma anche multiprofessionale multidisciplinare (3° Conferenza di Consenso GCA). In tale progetto riabilitativo vengono identificate le seguenti figure professionali: fisiatra, infermiere, fisioterapista, terapista occupazionale, neuropsicologo, logopedista, psicologo clinico, assistente sociale (1° e 3° Conferenza di Consenso GCA). E’ necessario che la Riabilitazione sia dotata anche di un progetto riabilitativo di struttura quali spazi adeguati, arredamento, organizzazione del lavoro e delle modalità operative orientato alla protezione ed alla stimolazione delle capacità funzionali e relazionali dei malati. La struttura riabilitativa deve essere in grado di fornire delle garanzie di base, la possibilità di seguire pazienti anche in stato vegetativo (SV) con cannula tracheale, bisogno di ossigenoterapia anche in continuo, alimentati con Gastrostomia Percutanea Endoscopica (PEG), dotati di catetere venoso centrale (1° Conferenza di Consenso GCA). Deve altresì essere in grado di gestire un numero consistente di pazienti ogni anno (si parla di numero non inferiore a 30 gravi cerebrolesioni annue), deve inoltre avere il supporto di molte specialità e la possibilità di effettuare indagini strumentali con facilità. (Neurochirurgia, Neurologia, Otorinolaringoiatria, Oculistica, Neuroradiologia , Neurofisiopatologia, Dietologia, Gastroenterologia, Ortopedia, etc.). La struttura riabilitativa deve anche essere in grado di affrontare le comuni problematiche e complicanze legate alla grave cerebrolesione quali: crisi neurovegetative; problematiche neuroendocrine; gestione della ventilazione della respirazione; autonomia respiratoria, nutrizionale e sfinterica con svezzamento dai presidi; fornire adeguato apporto nutrizionale; valutare e gestire la deglutizione; monitoraggio dello stato vegetativo e della responsività; facilitazione riabilitativa e farmacologica alla ripresa di contatto; controllo dei possibili rischi legati all’insorgenza dell’idrocefalo; gestione delle menomazioni e disabilità sensomotorie compresa la spasticità; valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo- comportamentali (1°e 3° Conferenza di Consenso GCA, 1° Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica). La struttura riabilitativa deve poi occuparsi della realizzazione di un piano di dimissione strutturato, formulato tempestivamente, condiviso con il paziente e i familiari e con il coinvolgimento delle 154 strutture e operatori del territorio, per garantire la continuità assistenziale e il processo di reintegro (1° e 3° Conferenza di Consenso GCA). Viene raccomandata un’organizzazione in rete con tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con GCA dopo la fase della ospedalizzazione, con uno stretto raccordo fra tale rete di servizi e le strutture ospedaliere di riabilitazione. Tale integrazione diviene fondamentale perché una delle caratteristiche di questa patologia é la facile modificazione nel tempo del profilo di bisogno della persona con GCA e della sua famiglia. Occorre quindi adottare una prospettiva dinamica nelle valutazioni, pianificazioni e realizzazione degli interventi derivata dai fattori clinici, personali ed ambientali. La necessità di personalizzare gli interventi non va intesa solo come possibile scelta tra opzioni possibili in funzione dei bisogni, ma anche la loro coordinazione ed integrazione. Ne consegue la necessità di assicurare una funzione di case management a supporto di ogni persona e nucleo familiare. Si raccomanda che i trattamenti vengano attuati da operatori competenti e che venga fornita al paziente ed ai familiari una completa informazione rispetto ai risultati attesi ( 2° Conferenza di Consenso GCA). Vengono fornite indicazioni alla diffusione delle informazioni dei servizi esistenti ed i programmi di supporto alla persona per facilitare la domiciliazione tramite interventi finanziari specifici. Si devono realizzare percorsi che facilitino nel complesso la formazione lavorativa, l’inserimento al lavoro con tirocini, il tutoraggio o percorsi presso strutture a lavoro protetto come ad esempio le cooperative di tipo B (2° Conferenza Consenso GCA). Vengono fornite alle regioni indicazioni per: - l’attivazione di strutture degenziali specializzate qualora non sia possibile il rientro al domicilio al termine della fase ospedaliera; - l’attivazione di strutture di riabilitazione sociale identificate come Centri Diurni per pazienti definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi cronicizzati in cui operatori specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria assistenza e le adeguate stimolazioni; - l’attivazione di strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei familiari. Viene segnalata la necessità della funzione del case management con la individuazione di una o più figure con funzione di coordinatore formato e informato (assistente sociale, assistente sanitario, etc.) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il percorso riabilitativo da seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche nella fase post acuta, nel coadiuvare il disbrigo di pratiche amministrative e giuridiche e nel mantenere i collegamenti e le integrazioni fra i diversi servizi coinvolti. Si sollecitano inoltre le istituzioni a fornire maggior sostegno sociale alle famiglie per le pratiche di invalidità, di attivazione dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), di deducibilità fiscale ed eventuali riconoscimenti economici. Nelle conferenze di consenso la normativa nazionale per le GCA appare sufficientemente esaustiva, ma vengono parimenti evidenziate disomogenee applicazioni ed interpretazioni nelle 155 diverse realtà regionali e locali delle normative, insufficiente raccordo fra le diverse agenzie, strutture ed istituzioni coinvolte nell’applicazione delle normative. Vengono pertanto suggerite lo sviluppo di azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra le diverse istituzioni. E’ necessario inoltre sperimentare modalità innovative anche attraverso partnership fra soggetti pubblici e privati (2° Conferenza di Consenso GCA). Date tali indicazioni, è possibile con la normativa attuale costruire questo percorso? La creazione di un percorso sanitario per le GCA trova supporto legislativo nella seguente legislazione: - La legge 595 /85 “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988” definisce, all’art. 5, i presidi e i servizi di alta specialità come le attività che richiedono particolare impegno di qualificazione,mezzi, attrezzature e personale specificatamente qualificato e, all’art 8 viene individuato il progetto-obiettivo “ la prevenzione degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali”. - Nel Decreto Ministeriale della Sanità del 29.01.1992 sono riconosciuti nelle attività di alta specialità della riabilitazione due tipologie di presidi neuroriabilitativi “riabilitazione delle para e tetraplegie acute e del coma apallico” e la “riabilitazione dei cerebrolesi” definite come strutture riabilitative di terzo livello o presidi di alta specialità. Tale decreto pone delle indicazioni alla dotazione obbligatoria di servizi e delle funzioni erogabili per ogni tipologia di strutture di alta specialità. Definisce la tipologia di pazienti ammessi e prevede la realizzazione di: 1) unità per para e tetraplegie e del coma apallico; 2) unità per la riabilitazione dei cerebrolesi, destinati al trattamento delle gravi cerebrolesioni prevalentemente post traumatiche caratterizzate da un periodo protratto di coma GCS < 8. In tale presidio non sono di norma trattati gli esiti di ictus (stroke ed altre cerebropatie degenerative). Il bacino d’utenza effettivo deve essere compreso tra 6 e 9 milioni per le cerebropatie e tra 14 e 17 milioni per para e tetraplegie e coma apallici. Dati oggettivamente poco consoni all’entità epidemiologica ed alla fattiva possibilità di rieducare con il coinvolgimento dei familiari e l’ attivazione dei percorsi sociali. - La legge finanziaria 1996 (legge 549 del 28.12.1995) introduce nell’organizzazione interna degli ospedali il modello dipartimentale al fine di consentire ai servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo di risorse finanziarie. - Per gli aspetti economici il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 prevedeva per l’alta specialità riabilitativa “l’analisi di consumo di risorse e costi associati ai diversi tipi di intervento, per consentire valutazioni sistematiche, anche al fine di pervenire ad una tariffazione per livelli e per tipologie di intervento”. - Nelle linee guida del Ministero della Sanità per le attività di Riabilitazione del 1998 (Conferenza Stato Regioni e Prov. Aut. del 07.05.1998 pubblicato sulla Gazzetta serie generale n° 124 del 30.05.1998, viene ampliata l’offerta per l’alta specialità riabilitativa con la possibilità di istituire: 1) unità spinali per le lesioni midollari; 2) unità per le gravi 156 cerebrolesioni; 3) unità per le disabilità gravi in età evolutiva; 4) le unità per la rieducazione delle turbe neuropsicologiche acquisite. Tali linee guida individuano “l’unità operativa per le gravi cerebrolesioni acquisite ed i gravi traumi cranio encefalici alla presa in carico di pazienti affetti da esiti di grave cerebrolesione acquisita (di origine traumatica o di altra natura) e/o caratterizzata nell’evoluzione clinica da un periodo di coma più o meno protratto (GCS < 8) e dal coesistere di gravi menomazioni comportamentali che determinano disabilità multiple e complesse e che necessitano di interventi valutativi e terapeutici non realizzabili presso le altre strutture che erogano interventi di riabilitazione intensiva”. L’alta specialità riabilitativa deve dotarsi di un’area sub intensiva ad alta valenza di recupero e rieducazione funzionale e deve coordinare il proprio intervento con i servizi di riabilitazione estensiva o intermedia o intensiva con i quali dovrà raccordarsi per il ritorno in tempi adeguati del disabile nel proprio territorio garantendo il completamento del percorso riabilitativo. E’ bene evidenziare che l’alta specialità riabilitativa con le Linee Guida del 1998 si arricchisce della creazione della Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite da realizzarsi all’interno di un presidio ospedaliero dove siano presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e riabilitazione, neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato e numericamente adeguato. Sempre le Linee Guida del 1998 per la riabilitazione quantificano le attività svolte in riabilitazione intensiva in tre ore giornaliere omnicomprensive (infermiere, medico, terapista, logopedista, etc.) con progetti e programmi contenuti in 120 giorni da realizzarsi in presidi ospedalieri plurispecialistici e monospecialistici ove siano già presenti funzioni di ricovero e cura ad alta intensità diagnostica ed assistenziale o nei quali si sia costituita una specifica unità operativa, in grado di garantire la presa in carico multicomprensiva di individui di tutte le età. Le attività di riabilitazione ospedaliera sono prevalentemente effettuate nelle Unità di Recupero e Riabilitazione Funzionale e di Alta Specialità in particolare neuro riabilitativa. Le Linee Guida del 1998 non pongono l’obbligo ma forniscono solo indirizzi tecnico-organizzativi, non prescrittivi, ferma restando l’autonomia delle regioni nel definire i contenuti e le procedure di accreditamento, nonché la loro allocazione sul territorio in coerenza con la programmazione regionale e nazionale. Altro limite è che non forniscono indicazioni su come realizzare un’integrazione con il sociale. - Il Piano sanitario Nazionale 1998-2000 richiama l’attenzione alla continuità terapeutica e descrive l’assistenza riabilitativa corrispondente a strutture e servizi a diversi livelli (distrettuale, sotto-distrettuale e multizonale) e con diversa modalità di organizzazione dell’offerta (ospedaliera, extraospedaliera, di natura residenziale, semiresidenziale). - In relazione alla valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e comportamentali la prima Conferenza di Consenso “Riabilitazione neuropsicologica della persona adulta” svoltasi a Siena nel febbraio 2010, individua come figura elettiva per la valutazione e riabilitazione neuropsicologica lo specialista in neuropsicologia e conferma che il modello delineato dalle Linee Guida ministeriali sulla riabilitazione, che prevede l’esistenza 157 di unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di strutture specialistiche ospedaliere, risponde all’esigenza di presa in carico globale del paziente in modo coerente con il modello bio-psico-sociale in riabilitazione. - Le recenti Linee Guida 2011 accordo Stato Regioni 10.02.2011, il Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione-, il Ministero della Salute introducono ufficialmente il modello bio-psico-sociale (ICF) “che pone al centro al centro il cittadino con disabilità e la sua famiglia nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni e che conseguentemente orienta tutte le attività a tale priorità verificandone i risultati. Lo strumento principale per concretizzare questa impostazione unitaria è il percorso assistenziale integrato basato sulla valutazione multidimensionale e sociale”. - Il percorso assistenziale integrato è il riferimento complessivo che rende sinergiche le componenti sanitarie e non sanitarie dell’intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto Riabilitativo Individuale rappresenta lo strumento specifico sintetico ed organico per tutto ciò. Il documento segnala l’importanza di un governo clinico dei diversi professionisti coinvolti che richiede cultura, strumenti, metodi, organizzazione e modalità di remunerazione specifiche non mutuabili da quelle della fase acuta; introduce il concetto di “persona ad alta complessità” (PAC) necessitante di una collocazione riabilitativa adeguata; delinea un percorso riabilitativo unico per il paziente e conferma le necessità di un progetto di struttura; richiama la necessità di un dipartimento di riabilitazione che garantisce la clinical governance del percorso garantendo la continuità ospedale territorio sul piano riabilitativo. Viene riconfermata la suddivisione tra Riabilitazione Intensiva e Riabilitazione Intensiva ad Alta Specializzazione (secondo L.G. 1998) e fa risultare in 19 su 21 regioni e province autonome, la presenza delle Unità per Gravi Cerebrolesioni (UGC) e in 6 su 21 le Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite (URNA).Tali dati sono peraltro non rilevabili. Viene comunque evidenziato tra i punti deboli dalla situazione attuale che la continuità assistenziale è ottenuta attraverso la somma di molteplici interventi singoli non realizzando una completa e precoce presa in carico globale della persona. Il documento ha molte valenze positive ma fornisce informazioni solo nell’ambito del percorso riabilitativo medico mentre non spiega come integrare il percorso sociale, né richiama l’utilità del case management. Le Regioni hanno preso atto dei modelli teorici di riferimento, delle indicazioni scientifiche e delle normative ministeriali per decretare l’attuazione di procedure organizzative del percorso integrato riabilitativo al fine di fornire a tutti i soggetti pari opportunità di cura, ma hanno costituito modelli diversi di risposta al bisogno di un percorso integrato socio-sanitario e secondo i riferimenti ICF. Nell’attuazione delle norme, il modello meglio definito è il Modello Gracer dell’Assessorato Politiche alla Salute della Regione Emilia Romagna denominato “Il percorso Assistenziale Integrato nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase acuta e post acuta.” (Progetto di ricerca finalizzata 2005 Ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99). In tale documento oltre agli aspetti epidemiologici e la possibile evoluzione clinica, vengono fatte proprie le indicazioni del modello ICF-OMS e del progetto europeo Elios II per l’integrazione sociale dei disabili ed i riferimenti delle 158 conferenze di consenso in materia. Vengono individuate le figure professionali indispensabili al progetto riabilitativo, delineati i fabbisogni ed i percorsi integrati tra le varie riabilitazioni (intensive ed estensive). Tra le indicazioni il modello propone un ponte al collegamento con le strutture sociali, richiama l’importanza del case management e l’attivazione, alla dimissione ospedaliera, della Unità di Valutazione Multiprofessionale della Disabiltà (UVMD) della AUSL di riferimento nel caso di Stati vegetativi, Minima Responsività e grave disabilità. Un altro esempio di modello di rete attuato, realizzato su scala provinciale, è quello che è stato istituito a Treviso dopo una preventiva indagine sui bisogni di un territorio di 410.000 abitanti. L’emergenza viene gestita dall’Ospedale di Treviso come centro DEA di 2° livello, accanto alla terapia intensiva sono stati attivati 5 letti ad alta valenza riabilitativa e ciò ha consentito la riduzione del consumo di 2 posti letto di rianimazione con contenimento della spesa sanitaria. Il passaggio in riabilitazione avviene con il ricovero all’Ospedale Riabilitativo di Alta Specialità con 20 posti letto dedicati per le GCA (Ospedale di Motta di Livenza). Vi è poi alla dimissione da questa unità un invio, secondo i bisogni del percorso riabilitativo, a strutture che offrono il trattamento riabilitativo distribuite nella provincia avvalendosi anche di strutture private accreditate. La rete è collegata con i servizi sociali territoriali. Viene garantita la gestione unitaria del percorso di cura attraverso procedure e sistemi di comunicazione condivisi. I servizi che vengono offerti riguardano pertanto tutte le fasi della presa in carico riabilitativa della persona con GCA e delle loro famiglie: fase acuta rianimatoria, fase riabilitativa intraospedaliera, ambulatoriale, territoriale. I punti di forza organizzativi sono la creazione nel 2009 di un Dipartimento Funzionale Interaziendale di Riabilitazione e la gestione dell’Ospedale di Treviso è realizzata direttamente dalla USSL locale. Le indicazioni del gruppo di lavoro ministeriale del 2011 danno forse troppo per scontato l’esistenza di una rete integrata effettiva per le gravi cerebrolesioni tanto che esso sollecita la formazione di unità per lesioni midollari, per patologie cardiache e respiratorie ed inoltre non fornisce più alcun riferimento sulla utilità e presenza delle unità di per la riabilitazione dei disturbi neuropsicologici acquisiti (URNA). Quello appena illustrato è il panorama delle normative nazionali ed alcuni esempi su dove e come siano stati attivati dei percorsi di rete per le gravi cerebrolesioni. Per vedere lo stato del nostro territorio dobbiamo riferirci però alla normativa della Regione Lombardia qui di seguito riportata: - Il DGR n.7 /19883 del 16.12.2004 ha ridefinito l’organizzazione della riabilitazione in ambito regionale. Ha posto come obiettivo la creazione di un modello di percorso integrato e continuo suddiviso in: sanitario, socio- sanitario e socio assistenziale. In tale ambito la riabilitazione veniva suddivisa in: specialistica (codice 56 e 75), generale geriatrica (codice 60) e di mantenimento (non per stati vegetativi). Nella riabilitazione specialistica vengono garantiti 160 minuti di assistenza, per la riabilitazione generale geriatrica 120 minuti. Vengono considerate come necessarie le seguenti figure professionali: medico, terapista della riabilitazione, logopedista, terapista occupazionale, educatore, ortottista, podologo, tecnico della riabilitazione psichiatrica. 159 - Nel DDG 12376/05 viene attuata una valutazione delle attività di degenza in area riabilitativa, già accreditate nel sopracitato decreto, classificando gli interventi riabilitativi per DRG, sistema basato su raggruppamenti omogenei di diagnosi, su informazioni ricavate dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) e con remunerazione con tariffe predeterminate. La classificazione diagnostica è attuata secondo la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD CM). La tariffa remunerativa è stabilita in base alle giornate di degenza. Esiste un limite temporale di degenza oltre al quale vi è un importante riduzione della remunerazione giornaliera. - Viene introdotta negli anni successivi una normativa regionale a parte per gli stati vegetativi inviati in strutture assistenziali residenziali o che vengono accolti dai parenti al domicilio: in tal caso la regione eroga un contributo extra con voucher mensile (Deliberazione della Giunta n° IX/2633 del 06.12.2011 Regione Lombardia e DGR n 2124/2011). Questo crea gravi disparità con le persone in condizione di minima responsività che hanno lo stesso tipo di bisogno assistenziale (vedi anche profilo dei bisogni secondo ICF) senza un adeguato sostegno. La scelta della Regione Lombardia di individuare un percorso nel settore della “riabilitazione specialistica” ha varie conseguenze con aspetti di vantaggio e di criticità per la creazione di una rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con GCA. Tra i vantaggi possiamo individuare i seguenti punti: - aumenta teoricamente la possibilità sul territorio di trovare una risposta in ambito riabilitativo in senso “intensivo” anche vicino al domicilio, facilitando così i familiari e la comunicazione con le istituzioni locali; - consente anche a chi ha una GCS > 8 di poter accedere a strutture con requisiti omogenei di accreditamento, anche perché non è scontato che avere una GCS > 8 non produca grave disabilità meritevole di un intenso impegno riabilitativo; - permette il superamento dei 120 giorni di riferimento per il trattamento per le patologie meritevoli di un intervento “intensivo” secondo le Linee Guida Ministeriali 1998. Tra gli aspetti critici possiamo evidenziare: - i compiti devoluti dalle Linee Guida Ministeriali alle strutture con Codice 75 non sono realizzati (attività di raccordo con la riabilitazione estensiva, addestramento formalizzato ai parenti per l’assistenza domiciliare per alimentazione e assistenza respiratoria, problematiche cognitive e del comportamento, assistenza ortesica, attività di consulenza); - vengono ridotti i minuti di assistenza minima da 180 minuti delle linee guida relative alla riabilitazione intensiva a 160 minuti die (quando è noto che l’impegno organizzativo e professionale di norma rende insufficienti i 180 minuti. E’ possibile erogare alta specialità con tali parametri?). Si può arrivare al paradosso che possono essere riconosciuti nella assistenza degli stati vegetativi presso le RSA e RSD anche 2200 minuti alla settimana nei 160 soggetti classificati in classe A secondo DGR 19.12.2007, n. VIII /6220 e Circolare 28.01.2008, n.2 della regione Lombardia Direzione Generale famiglia e Solidarietà; - non vengono richieste figure professionali indispensabili per la gestione di queste patologie quali neuropsicologi e psicologi per la valutazione e riabilitazione degli aspetti cognitivi, comportamentali e l’eventuale supporto psicologico ai pazienti e ai familiari, né vengono attivate le URNA che affianchino le strutture riabilitative. Peraltro l’assenza dei neuropsicologi nel team riabilitativo difficilmente si concilia con un moderno concetto, almeno sul piano funzionale se non normativo, di alta specialità riabilitativa; - vi è il rischio documentabile della disparità che si può realizzare tra strutture accreditate pubbliche bloccate nelle assunzioni del personale e quelle private che possono scegliere le figure professionali da assumere in funzione dei bisogni, anche se le strutture pubbliche sono mediamente le più coinvolte nella fase acuta e post acuta, perché le strutture di emergenza si trovano più facilmente in tali ambiti (DEA di 2° livello); - non vengono richieste caratteristiche di accreditamento che siano relative alla riabilitazione di struttura o all’organizzazione interna per la gestione di questa patologia così complessa, né vengono richieste specifiche attività di integrazione con il territorio; - non viene ad ora introdotto in concreto il concetto di Persona ad Alta Complessità (PAC) previsto dal Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Ministero della Salute 2011; - non viene perseguita la creazione di una rete integrata di servizi in ambito riabilitativo; - nel piano Socio Sanitario 2007-2009 viene indicato come obiettivo il superamento della distinzione, all’interno delle reti di riabilitazione, tra assistenza ospedaliera ed extraospedaliera, perché tale suddivisone non è più ritenuta fondata “né sul piano assistenziale né su quello organizzativo”. Lo stesso piano pone anche l’obiettivo imprescindibile di realizzare “l’integrazione della riabilitazione dei settori sanitario e sociosanitario e la necessità di creare un modello di percorso integrato e continuo sanitario, socio sanitario e sociale, ove i servizi di riabilitazione si modulano alle differenti condizioni di fragilità di pazienti” con gli obiettivi tra gli altri di “monitorare l’implementazione della riabilitazione di mantenimento per il reinserimento e la riabilitazione generale geriatrica in ciclo diurno continuo, governare la complementarietà dell’intervento riabilitativo, la sua appropriatezza ed i suoi costi”; - non vengono incentivate nonostante quanto sopra riportato, sul piano remunerativo, le strutture che meglio si organizzano nella gestione della riabilitazione delle gravi cerebrolesioni. Dato rilevato anche dal Ministero della Salute è che “un limite è rappresentato dai regimi di rendicontazione e tariffazione differenti che non sono basate sul reale utilizzo delle risorse assegnate, ma che si basano solo su codici di malattia”; - non viene proposta l’adozione di un case management sanitario come di seguito definito: “Il case management rappresenta una metodologia di gestione dell’assistenza sanitaria che 161 utilizza un processo di miglioramento dell’efficacia ed efficienza dell’assistenza, basandosi sulla logica del coordinamento delle risorse da utilizzare per trattare la specifica patologia di un paziente e coinvolgendo le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario in cui si trova” (Mazzucchi, 2011); - non vengono concentrati i pazienti nelle strutture specializzate al più alto livello di expertise possibile (3° Conferenza di Consenso GCA) impedendo di fatto di mettere tutti i cittadini nelle stesse possibilità paritarie di cura; - non ultimo, il modello scelto dalla Regione Lombardia che suddivide il ruolo di erogatore dei servizi, cioè le strutture accreditate, da quello del controllore ASL limita, in assenza di obiettivi comuni e di una regia, la realizzazione di un percorso socio-sanitario unitario delle GCA; - non vengono recepite a livello normativo le indicazioni del modello bio-psico-sociale ICF in ambito sanitario, mentre il suo utilizzo in ambito sociale viene introdotto, almeno nelle intenzioni, con il Piano d’Azione Regionale per le persone con disabilità 2010 -2020; - le Linee Guida Ministeriali del 1998 prevedono la creazione della Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite come unità di bacini sovra regionali. Tale indicazione pare alquanto inopportuna rispetto all’entità epidemiologica presentata ed inoltre non permette la fattiva possibilità di rieducare con il coinvolgimento dei familiari, l’attivazione dei percorsi sociali ed il reinserimento lavorativo, modello ICF, nella realtà territoriale del paziente. La criticità maggiore è data dalla loro quasi totale assenza dopo quattordici anni dall’emissione delle Linee Guida e soprattutto nella struttura pubblica. Vi sono alcune realizzazioni di URNA solo in alcune regioni (Veneto) e all’interno di strutture private convenzionate e IRCSS. Tali unità sono previste all’interno di un presidio ospedaliero dove fossero presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e riabilitazione, neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica con posti letto o in neurologia o in medicina fisica e riabilitazione e devono essere dotate di personale specificatamente addestrato,qualificato e numericamente adeguato. Anche la conferenza di consenso di Siena 2010 conferma che “il modello delineato dalle linee guida ministeriali sulla riabilitazione, che prevede l’esistenza di unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di strutture specialistiche ospedaliere, risponde all’esigenza di presa in carico globale del paziente in modo coerente con il modello bio-psico-sociale in riabilitazione. La giuria ritiene inoltre opportuno che a tali centri ospedalieri siano affiancati strutture ambulatoriali territoriali, dove sia possibile effettuare una riabilitazione cognitiva particolarmente indicata per disturbi neuropsicologici selettivi e meno gravi”. Ma, oltre alla non esistenza delle Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite, anche i centri ambulatoriali sul territorio sono pressoché inesistenti, soprattutto nelle nostre aree. Questo comporta che la struttura di degenza si accolli per lungo tempo, anche per anni, la riabilitazione cognitiva e comportamentale del paziente e, con la scarsità di risorse disponibili, ciò comporta una riduzione dell’intervento 162 riabilitativo e la scarsissima possibilità di rapporti di continuità assistenziale con le strutture sociali territoriali. In relazione poi ai disturbi comportamentali, qualora come spesso accade, ci sia la necessità di un supporto farmacologico, esiste una grave criticità nella presa in carico di questi pazienti perché la patologia che determina il disturbo comportamentale è organica e pertanto i Centri Psico-Sociali (CPS) di competenza territoriale spesso non hanno risorse e disponibilità. La conferenza di consenso di Siena 2010 individua come “figura elettiva per la valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e comportamentali lo specialista neuropsicologo”. La realtà a tutt’oggi è ben diversa: la riabilitazione neuropsicologica è prevalentemente fornita da altre figure professionali (logopediste e terapisti della riabilitazione); dove poi esistono psicologi con formazione neuropsicologica la loro posizione contrattuale è quanto mai precaria e tale da non poter garantire una continuità del servizio. E’ dunque opportuno porre alcune domande: è possibile istituire la figura del case management in ambito sociale in tempi rapidi in considerazione del fatto che è già previsto dal Piano d’Azione Regionale 2010-2020 per le persone con disabilità ? Può la soluzione dei voucher (rimborsi regionali) consentire un’adeguata gestione delle problematiche socio-sanitarie della GCA in assenza di strutture che non abbiano valenza sanitaria e che non hanno la vocazione verso questa patologia? Nella realtà del territorio lombardo non appaiono sufficientemente presenti: x strutture degenziali specializzate in cui non sia sostenibile il rientro al domicilio al termine della fase ospedaliera, ad esempio residenze socio- sanitarie (RSD) orientate alla disabilità; x strutture di riabilitazione sociale come Centri Diurni per pazienti definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi cronicizzati in cui operatori specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria assistenza e le adeguate stimolazioni; x strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei familiari. Alcune norme più recenti possono forse offrire l’occasione per creare una rete efficiente. Il Piano Socio Sanitario della Regione Lombardia 2010–2014 ha come sottotitolo “Programmazione sanitaria e socio sanitaria, reti di patologia e piani di sviluppo” e recita “Far crescere il benessere sociale e promuovere la salute: sanità d’avanguardia per garantire la salute: dalla cura al prendersi cura”. Fornisce indicazioni per la realizzazione di “reti di patologia” che rappresenta un “ modello di integrazione all’offerta in grado di coniugare esigenze di specializzazione delle strutture sanitarie e socio sanitarie, diffusione sul territorio di centri di eccellenza e di tecnologie ad elevato standard, sostenibilità economica, fabbisogni della collettività e dei professionisti che operano in ambito sanitario e sociale”. Si conferma che “la risposta al bisogno di unitarietà del processo di cura, si realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati multidisciplinari e di continuità delle cure, che garantiscono la centralità del paziente” e in questa ottica “la rete di patologia rappresenta la 163 naturale risposta a queste esigenze, in grado di garantire la continuità delle cure, l’individuazione e l’intercettazione della domanda di salute con presa in carico globale del paziente ed il governo dei percorsi sanitari, socio sanitari e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di sostenibilità economica”. Il prendersi cura si realizza nell’evitare “vuoti” assistenziali che possono ripercuotersi in modo negativo sul sistema con ricorsi inappropriati ai servizi. Per questo in ambito di interventi di sollievo e pronto intervento sociale viene incentivata la comunicazione e l’integrazione della rete con accompagnamento dei pazienti e delle famiglie da un nodo all’altro della rete, promuovendo modalità uniformi di accesso ai servizi attraverso il collegamento e la collaborazione tra i servizi territoriali delle ASL e dei comuni. In relazione alle reti di patologia per ora non è prevista alcuna rete per le gravi cerebrolesioni acquisite. Nel complesso la percezione è che a livello regionale non sia compresa la rilevanza epidemiologica e clinica e quindi la diretta ricaduta sul sistema sanitario e l’impatto sul sociale che la grave cerebrolesione acquisita comporta. Come costruire allora una rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con GCA nell’ambito della provincia di Bergamo? La proposta potrebbe essere quella di costituire anche da noi un Dipartimento funzionale interaziendale che possa fungere da regia alla creazione di una gestione unitaria dei percorsi di cura. Il dipartimento riabilitativo è per altro lo strumento ritenuto indispensabile per la clinical governance dal Piano di Indirizzo per la Riabilitazione del Ministero della Salute del Febbraio 2011 che ha evidenziato, come anche in ambito nazionale, che “la continuità assistenziale è perseguita, ma non sempre ottenuta, attraverso la concatenazione di diversi interventi singoli, senza realizzare una completa e precoce presa in carico globale della persona”. La Regione, dal suo canto, alla luce dei dati epidemiologici, dovrà favorire la creazione di una rete di patologia per le GCA al fine di orientare investimenti adeguati che consentano anche l’istituzione di centri ambulatoriali per il proseguimento della riabilitazione soprattutto dei disturbi cognitivi ed emotivo-comportamentali, causa delle principali disabilità di questa patologia. 164 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV., Atti della 1a Conferenza Nazionale di Consenso “Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati”, Modena, 2000 AA.VV., Atti della 2a Conferenza Nazionale di Consenso “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità ad grave cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie nella fase post-ospedaliera”, Verona, 2005 AA.VV., Atti della 3a Conferenza Nazionale di Consenso “Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite”, Salsomaggiore Terme, 2010 AA.VV., Atti della Conferenza Nazionale di Consenso “La riabilitazione neuropsicologica dell’adulto”, Siena, 2010 AA.VV., Atti del Convegno “Le gravi cerebrolesioni acquisite: i problemi aperti” 30.03.2012, Fondazione Don Gnocchi, Rovato (Bs) AA.VV., Il percorso Assistenziale Integrato nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase acuta e post acuta, Progetto di ricerca finalizzata 2005 ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99 AA.VV, Trattamento del Trauma Cranico minore e severo. Linee Guida nazionali di riferimento, Roma Basaglia N., Trattato di Medicina Riabilitativa. Medicina fisica e riabilitazione, Idelson-Gnocchi, 2000 Basaglia N., Progettare la riabilitazione, Edi-Ermes, 2002 Engel G.L.,The need a new medical model:a challenge for biomedicine. Science, 1977;196: 129136 Mazzucchi A., La riabilitazione delle gravi cerebrolesioni acquisite. Percorsi sanitario assistenziali problematiche gestionali evidenza dei risultati, Giunti Organizzazioni Speciali, 2011 OMS, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute, Erickson, 2001 Vallar G., Cantagallo A., Cappa S.F., Zoccolotti P., La riabilitazione Neuropsicologica. Un’analisi basata sul metodo evidence based medicine, Springer, 2011 165 RIFERIMENTI NORMATIVI Circolare n. 2 del 28.01.2008, - Direzione Generale famiglia e Solidarietà, Indicazione in ordine alla applicazione DGR n. 8/6220 del 19.12.2007, Regione Lombardia Decreto Direttore Generale n. 12376/05 del 05.08.05, Regione Lombardia Decreto Ministero della Sanità del 29.01.1992 DGR n. VII/1988 del 16.12.2004, Regione Lombardia DGR n. VIII/6220 del 19.12.2007, Determinazione in ordine alla assistenza di persone in stato vegetativo nelle strutture di competenza - Direzione Generale Famiglia e Solidarietà e Sociale (Finanziamento a carico del Fondo Sanitario- Regione Lombardia) Deliberazione della Giunta n. IX/2633 del 6.12.2011, Regione Lombardia Linee guida del Ministero dalla Sanità per le attività di riabilitazione, Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30.05.1998 Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione, Ministero della Salute, febbraio 2011 Piano Socio Sanitario 2007-2009 della Regione Lombardia Piano Socio Sanitario 2010-2014 della Regione Lombardia 166 LA RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA: DALLA CONSENSUS CONFERENCE DI SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI Maria Grazia Inzaghi1 e Lorella Algeri2 La riabilitazione neuropsicologica è un processo terapeutico per migliorare la capacità di un soggetto con danno cerebrale nell’elaborare ed usare le informazioni e per permettere un migliore funzionamento nella vita di tutti i giorni (Wilson, 2003a; Sohlberg e Mateer, 1989). Si pone l’obiettivo di eliminare, ridurre o evitare l’aggravarsi di deficit causati da una compromissione cerebrale. Negli ultimi anni sempre più numerose ricerche condotte dagli psicologi hanno messo in luce quali effetti produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. I riabilitatori hanno quindi compreso che un progetto riabilitativo non può più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse di natura motoria e sensoriale. Se le conoscenze di base dei riabilitatori in ambito neuropsicologico si limitavano a constatare la presenza dei disturbi del linguaggio (in caso di cerebrolesione sinistra), ora è sempre più evidente la necessità di acquisire conoscenze relative ad altre funzioni (attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che possono influire negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono di modificare le condotte da attuare, le modalità di interazione col paziente e la pianificazione stessa degli 'esercizi'. I deficit delle funzioni cognitive inoltre presentano una ripercussione negativa anche sulle attività della vita quotidiana e possono determinare notevoli difficoltà in riferimento al reinserimento familiare, sociale e lavorativo. La richiesta di riabilitazione neuropsicologica deriva oltre che da una maggiore consapevolezza dell’importanza degli aspetti cognitivi nel raggiungimento dell’autonomia, nella vita di relazione, nella vita sociale, anche dal numero crescente di soggetti interessati a causa dall’aumento della sopravvivenza dopo grave lesione cerebrale, dal miglioramento nelle terapie di alcune malattie neurologiche e dall’invecchiamento della popolazione. Negli ultimi anni, a fronte dello sviluppo di numerose procedure riabilitative e alla conduzione di studi ed esperienze di rilievo nel campo della riabilitazione neuropsicologica, in ambito scientifico e clinico è stata avvertita l’esigenza della definizione di linee guida relative alle evidenze di efficacia per gli interventi. 1 Psicologa, Responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia, Casa di Cura Quarenghi, S. Pellegrino Terme, Bergamo; Presidente SPAN, Società degli Psicologi dell’Area Neuropsicologica 2 Psicologa, USSD Psicologia Clinica,USC Medicina Fisica e Riabilitazione Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo 167 Tra i lavori di rilievo relativi alla revisione delle evidenze disponibili in letteratura per l’efficacia della riabilitazione neuropsicologica e la valutazione della qualità dei singoli studi, si collocano le raccomandazioni per la pratica clinica del gruppo coordinato da Cicerone (Cicerone et al,2000; 2005) e le linee guida della Task Force della European Federation of Neurological Societies (Cappa et al, 2003;2005). Alcune Società Scientifiche italiane (Associazione Italiana di Psicologia, AIP; Gruppo Interprofessionale di Riabilitazione in Neuropsicologia, GIRN; Società Italiana di Neurologia, SIN; Società Italiana di Neuropsicologia, SINP; Società di riabilitazione Neurologica, SIRN, Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, SIMFER; Società degli Psicologi nell’Area della Neuropsicologia, SPAN) nel 2007 hanno iniziato una collaborazione per reperire non solo le evidenze di efficacia della riabilitazione neuropsicologica ma anche le implicazioni sociali, gli aspetti organizzativi, normativi e formativi. L’analisi della letteratura è stata condotta seguendo il modello proposto dal gruppo SPREAD: una procedura avanzata di Evidence Based Medicine che considera come ‘gold standard’ il Trial Clinico Randomizzato (RCT) e come livello più avanzato di evidenza la metaanalisi. Dopo 3 anni di lavoro, i documenti redatti sono stati illustrati nella Conferenza di Consenso a Siena, nel 2010 e successivamente ad un aggiornamento dei dati derivante dall’analisi della letteratura sino al 2010, pubblicati in lingua italiana (Vallar et al, 2012) e inglese (Ladavas et al, 2011). Di seguito vengono presentate le conclusioni emerse dai diversi gruppi di lavoro presentati nella Conferenza di Consenso di Siena. I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive (P. Zoccolotti, M. De Luca, C. Guariglia, P. Ianes, L. Trojano) I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive determinano un impatto significativo nella vita di relazione del paziente, in particolare sulle prospettive di reintegro nel mondo del lavoro. I disturbi della sfera attentiva si manifestano con l’incapacità di filtrare e selezionare adeguatamente dall’ambiente l’informazione che deve essere elaborata dal cervello. I disordini disesecutivi si esprimono con difficoltà di pianificazione delle attività quotidiane, ridotta efficienza della memoria prospettica e deficit nella selezione e nel controllo delle azioni appropriate in funzione del contesto. Nel lavoro le due funzioni sono state considerate separatamente Trattamento dei disordini dell’attenzione Le conclusioni delle precedenti review (Cicerone et al. 2000; 2005 Cappa et al. (2003 e 2005) sono relativamente simili. Secondo Cicerone et al. (2000) le prove sostengono l’efficacia di un training specifico dell’attenzione nella fase post-acuta della malattia e suggeriscono questa forma d’intervento come Practice guideline. Nella fase acuta, invece, a causa di una non chiara 168 separazione tra recupero spontaneo e recupero indotto dal trattamento, secondo Cicerone et al. (2000) non vi sono prove convincenti che un intervento specifico dei disturbi dell’attenzione sia indicato. La conclusione che il training dell’attenzione sia più efficace quando si utilizzano compiti complessi con una valenza funzionale (compiti strategici) piuttosto che compiti attenzionali di base (come tempi di reazione a stimoli semplici o vigilanza) è condivisa dalle due review di Cappa et al. (2003, 2005). Nella loro sintesi successiva, Cicerone et al. (2005) sottolineano la maggiore efficacia di interventi di tipo strategico e propongono un modello di intervento basato più sullo sviluppo di strategie per compensare i deficit cognitivi residui (“strategy training”) che sul tentativo di recuperare la funzione danneggiata (“restitution training”).Nel presente lavoro sono stati revisionati 15 lavori originali pubblicati dal 2000 al 2007 (tra cui una revisione, una meta-analisi e 2 case report). In generale, la maggior parte degli studi sostiene la validità degli interventi, pur riconoscendone alcuni limiti metodologici; in alcuni casi, infatti, nonostante l’esito efficace, l'attendibilità dello studio è minata da debolezze metodologiche diverse (assenza di gruppo di controllo, possibile effetto della pratica, utilizzo di compiti “trained” per valutare l'outcome, effetto aspecifico del trattamento, effetto non significativamente diverso rispetto all'effetto di un intervento di controllo, etc.). Raccomandazioni: Coerentemente con gli esiti delle review di Cappa et al. (2003, 2005) e Cicerone et al. (2000, 2005), in generale, si può concludere che i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla riabilitazione delle capacità attentive si dimostrano efficaci soprattutto nei casi in cui il trattamento è stato adattato al profilo neuropsicologico e soprattutto attenzionale del paziente e quando il metodo è basato su strategie piuttosto che sull’addestramento a compiti o abilità specifici. Permane l’esigenza di un maggior numero di studi con trial clinico randomizzato e con valutazione del mantenimento a lungo termine degli effetti dell’intervento. Inoltre, essendo la casistica composta per la maggior parte da pazienti con trauma cranico, l’estensione di questi trattamenti ad altre tipologie di pazienti deve ancora essere supportata da ulteriori verifiche. L’efficacia é più chiara nel caso di pazienti con una sintomatologia relativamente stabile o post-acuta. In sintesi, le evidenze disponibili indicano che trattamenti mirati producono una riduzione apprezzabile dei disturbi. Rispetto agli standard SPREAD questi interventi nel loro complesso sono codificabili con una raccomandazione di grado A. Risultati quindi positivi, ma con i limiti metodologici precedentemente descritti; tra questi, la scarsità di follow-up e la possibile non specificità dell’effetto del trattamento sono i più rilevanti. Trattamento dei disordini disesecutivi acquisiti Quasi tutti gli studi revisionati sono stati rivolti alla riabilitazione dei pazienti con esiti di trauma cranico. In tutti gli studi sono stati evidenziati risultati favorevoli statisticamente significativi, ma nella gran parte di essi manca una verifica nel tempo della stabilizzazione degli effetti ottenuti. Non è possibile un’analisi comparativa o cumulativa dei diversi studi, in quanto essi differiscono molto per obiettivi, metodologia, tipo di trattamento e misure utilizzate per verificarne l’efficacia. Gli elementi scaturiti dalla revisione bibliografica si sovrappongono in gran parte a quelli evidenziati 169 nelle due recenti revisioni sistematiche sull’argomento (Cicerone et al., 2005; Geusgen et al., 2007). Attualmente sono disponibili almeno alcuni studi randomizzati e controllati a favore di un’efficacia significativa di alcuni trattamenti riabilitativi per le funzioni esecutive. Poiché quasi tutti gli studi , sono stati rivolti a pazienti con esiti di trauma cranico, le principali conclusioni che si possono trarre riguardano questo tipo di pazienti. In sintesi: - i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla riabilitazione delle capacità di pianificazione delle attività quotidiane sembrano godere di un grado di evidenze sufficiente a definirli come raccomandati in presenza di disturbi disesecutivi; - i trattamenti mirati a riabilitare specifiche attività, pur nel contesto generale del recupero di abilità di pianificazione, hanno finora ricevuto dimostrazioni di efficacia non rigorosamente controllate; - l’utilizzo di computer nel contesto della riabilitazione dei disturbi disesecutivi non sembra generare uno specifico vantaggio. Come per i disturbi attenzionali, vi sono alcuni limiti: per esempio, la scarsa casistica (casi singoli o piccolissimi gruppi), l’esiguità dei dati sulla generalizzazione dei risultati al contesto quotidiano e la scarsezza delle verifiche della stabilizzazione nel tempo dei risultati ottenuti. Inoltre, è ancora da dimostrare l’eventuale efficacia dei trattamenti riabilitativi in caso di eziologie diverse dal trauma cranico. Raccomandazioni Purtroppo allo stato attuale non è possibile suggerire raccomandazioni basate su evidenze convergenti. Pertanto, le raccomandazioni proponibili sono fondate su singoli studi ben controllati. Sulla base di uno studio randomizzato e controllato si può assegnare una raccomandazione di grado A al training per l’utilizzo di un’agenda-organizzatore di attività, con lo scopo di migliorare la capacità di pianificare le attività quotidiane in pazienti con trauma cranico o con lesione cerebrale ischemica; tale trattamento garantirebbe una generalizzazione alle attività quotidiane almeno fino a due mesi, ma sono necessarie ulteriori verifiche empiriche. Un livello inferiore di raccomandazione (B) può essere assegnato ai due trattamenti dimostratisi efficaci in studi con livello di evidenza 1+ . Combinando questi studi, sebbene condotti con metodi diversi, si suggerisce che il trattamento dei deficit di pianificazione in pazienti con traumi cranici sia da considerare efficace. Le evidenze raccolte dagli altri studi, sebbene incoraggianti, non indicano che specifici trattamenti possano essere considerati efficaci rispetto agli standard SPREAD. 170 L’eminattenzione spaziale unilaterale o neglect (E. Làdavas, A. Berti, N. Beschin, G. Bottini, L. Magnotti, A. Serino) Il neglect, è un disturbo neuropsicologico conseguente a lesione cerebrale caratterizzato dall’incapacità di percepire, elaborare e rispondere a stimoli presentati nell’emispazio contro lesionale. Il neglect è un fenomeno molto comune in fase acuta, con un’incidenza riportata fra il 40 e 80 % dei pazienti colpiti da ictus. Solitamente, si verifica un recupero spontaneo della sintomatologia nel corso dei primi tre mesi dall’evento morboso; tuttavia il deficit persiste in maniera cronica in circa un terzo dei pazienti. Negli ultimi 20 anni circa sono stati tentati diversi approcci per riabilitare il neglect. Alcuni si basano su esercizi volti ad insegnare esplicitamente al paziente ad orientarsi attivamente ed esplorare l’emicampo negletto. In questo caso si parla di strategie top-down , implementate attraverso metodi visuo-esplorativi. Altri approcci si basano su forme di stimolazione sensoriale e motoria volti ad indurre un orientamento implicito verso il lato negletto (strategie bottom-up). Ciò può essere ottenuto attraverso diversi metodi, quali: l’Adattamento Prismatico, il Nistagmo Optocinetico, la Stimolazione Calorica Vestibolare, la Stimolazione Elettrica Transcutanea, il Feedback e l’Eye pathching. Infine, sono stati sperimentati anche alcuni trattamenti farmacologici. x Trattamento visuo immaginativo: Grado di raccomandazione A Il trattamento dell’eminattenzione con metodi visuo-esplorativi si è dimostrato efficace nel recupero del neglect, come riportato da diversi studi, che prevedono gruppi di controllo e randomizzazione dei soggetti. Dai diversi studi considerati si evince che il trattamento deve prevedere diversi tipi di attività, proposte per un periodo sufficientemente lungo (dalle 4 alle 8 settimane) e con una frequenza giornaliera (5 sedute a settimana). L’associazione del training visuo-esplorativo con altre metodiche di stimolazione sensoriale non sembra apportare ulteriori benefici significativi. Raccomandazioni: si sente la necessità di studi che valutino l’efficacia a lungo termine del trattamento mediante valutazioni follow up a tre, sei mesi ed un anno. x Trattamento di Adattamento Prismatico (AP): Grado di raccomandazione B E’ una procedura di rapida somministrazione, non invasiva ed efficace per la riabilitazione delle capacità visuo-spaziali La ripetizione del trattamento per un arco di tempo di due settimane è in grado di indurre un recupero a lungo termine, mostrato fino a 6 mesi. L’AP ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Raccomandazioni: Per ottenere il grado A i lavori necessitano di un adeguato gruppo di controllo, selezionato in maniera randomizzata rispetto al gruppo sperimentale. x Nistagmo optocinetico: Grado di raccomandazione C E’ una procedura di rapida somministrazione e non invasiva; la tecnica non è attualmente da considerarsi efficace per la riabilitazione. x Stimolazione calorica vestibolare (SET): Grado di raccomandazione B 171 Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia di questo approccio nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la rilevanza clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il reinserimento del paziente nel contesto ecologico. x Stimolazione elettrica transcutanea : Grado di raccomandazione B Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia della SET nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la rilevanza clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il reinserimento del paziente nel contesto ecologico. x Eye Patch e trattamento farmacologico Non essendo stato riportato un chiaro miglioramento del neglect , risultano non consigliati. In sintesi, fra i metodi di riabilitazione del neglect, i trattamenti Visuo-esplorativi hanno ricevuto il maggior supporto sperimentale, anche se al momento mancano valutazioni accurate a lungo termine soprattutto riguardo alla generalizzazione dei risultati alle attività della vita quotidiana. L’Adattamento Prismatico si è mostrato uno strumento di rapida somministrazione, non invasiva ed efficace, che ha mostrato effetti positivi a lungo termine. Tuttavia manca una dimostrazione certa dell’efficacia derivante da studi RCT. La Stimolazione Calorica Vestibolare e la Stimolazione Elettrica Transcutanea si sono dimostrati interventi efficaci in singole sedute sperimentali, senza tuttavia mostrare una reale applicabilità in ambito clinico-riabilitativo. Gli studi sperimentali effettuati sui metodi del Nistagmo Optocinetico e dell’Eye Patch non hanno mostrato benefici significativi stabili, mentre i risultati ottenuti mediante il metodo del Feedback sono rimasti sempre limitati al contesto ed al compito sperimentale utilizzato durante il trattamento, senza generalizzazione ad altri indici. Infine gli interventi farmacologici non si sono dimostrati efficaci. I disturbi di campo visivo sono deficit sensoriali elementari conseguenti a una lesione acquisita post-chiasmatica, e si manifestano come perdita o alterazione del campo visivo in una porzione dell’emispazio controlesionale che corrisponde retinotopicamente all’area danneggiata. Gli interventi riabilitativi attualmente in uso sono volti a ridurre le conseguenze disabilitanti del disturbo, che coinvolgono lo scanning visivo, la ricerca spaziale, la lettura e gli spostamenti nello spazio. I trattamenti sviluppati fino ad oggi sono riconducibili a tre principali approcci: restituivo, compensativo, e di adattamento mediante ausili ottici. L’approccio restituivo, rappresentato dalla Vision Restoration Therapy, è sostenuto da almeno tre studi randomizzati-controllati-doppio cieco che ne hanno documentato gli effetti positivi. Nonostante il rigore metodologico adottato, le evidenze a sostegno di tale tecnica non risultano sufficientemente convincenti e la genuinità dell’effetto restituivo è stata messa in dubbio da studi che hanno impiegato più rigorosi sistemi di controllo dei movimenti oculari . Di conseguenza, l’approccio restituivo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Gli interventi di tipo compensativo risultano meno rigorosi sul piano metodologico: mancano studi controllatirandomizzati-doppio cieco, i pazienti reclutati sono spesso eterogenei in termini di tempo dalla 172 lesione, la cecità del valutatore non è quasi mai specificato. Tuttavia, gli interventi compensativi hanno ottenuto maggiori evidenze di successo per i seguenti motivi: i benefici osservati sono consistenti, clinicamente rilevanti, e in alcuni casi supportati da misure dirette degli effetti indotti sul sistema oculomotore ; l’effect size è testato con analisi statistiche di tipo parametrico;la trasferibilità dei benefici è generalmente valutata con prove non direttamente impiegate nella fase di training ; il mantenimento dell’outcome è stato quasi sempre valutato in follow-up da 1 a 12 mesi. Complessivamente, l’approccio compensativo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. L’impiego di ausili ottici richiede una più chiara definizione degli effetti di tali sistemi per una serie di limitazioni che hanno caratterizzato gli studi presentati: non sono presenti condizioni di controllo adeguate; gli effetti osservati sui pazienti sono eterogenei e i lavori si presentano come case series piuttosto che studi di coorte; la valutazione dei benefici funzionali nella vita quotidiana è di tipo aneddotico, affidata prevalentemente a report soggettivi; il follow up, laddove presente, è limitato ad un numero insufficiente di casi. Nonostante sia riportato uno studio di classe II sull’uso dei prismi in soggetti con emianopsia (Rossi et al., 1990), la presenza di effetti collaterali disturbanti non consente di stabilire un grado di raccomandazione per questo intervento. Sia i training restitutivi che quelli compensativi ottengono un grado di raccomandazione di tipo B. Tuttavia, la possibilità di applicare metodi compensativi è preferibile rispetto ai metodi restitutivi, sia per qualità metodologica degli studi analizzati (l’efficacia è stata replicata da gruppi di studio differenti) che per il loro significato clinico (maggior numero di pazienti idonei al training, minore durata del training, maggiore effect size, trasferibilità degli effetti ad altri test, mantenimento a lungo termine). All’interno dei metodi compensativi, si rileva una pari efficacia delle tecniche bottom-up (Bolognini et al., 2005) e top-down (Zihl, 1995) nel recupero e mantenimento delle abilità di esplorazione e ricerca visiva. Al momento mancano trial clinici di confronto tra le due tecniche nello stesso gruppo di pazienti. Per quanto riguarda il recupero della dislessia da emianopsia, ottiene la più alta evidenza il metodo optocinetico (Spitzyna et al. 2007). L’utilizzo degli ausili ottici non ottiene al momento alcuna raccomandazione anche per la presenza di significativi effetti collaterali negativi. L’aprassia dell’arto superiore (R. I. Rumiati, M. Maini, A. Cantagallo) L’aprassia è un disturbo primitivo dell'attività motoria che insorge durante l'esecuzione di un movimento finalizzato, avviato intenzionalmente per compiere un'azione o un gesto, sulla scorta di uno scopo. Il disturbo aprassico può manifestarsi in assenza di: deficit di input, o deficit di output, deficit di orientamento spaziale, deficit di schema corporeo, o inerzia frontale. Secondo una classificazione clinica ancora oggi largamente in uso, le principali forme di aprassia sono l’ideomotoria (deficit di produzione di gesti su imitazione e su comando verbale) e l’ideativa (deficit d’uso di oggetti). I trattamenti cognitivi presi in esame fanno riferimento esclusivamente all’aprassia dell’arto superiore, sia essa ideomotoria (di imitazione) o ideativa (di utilizzo). 173 Dai lavori analizzati emerge un’estrema variabilità nel trattamento del disturbo aprassico. Sono stati identificati due approcci “restitutivo” e “compensativo”, che però non sono stati applicati in modo uniforme. Ciascun gruppo di ricerca propone il proprio metodo, che, però, è spesso descritto in modo sommario e quindi non riproducibile. Spesso, inoltre, i criteri di scelta delle azioni da trattare sono lasciati alla valutazione del singolo terapista, senza indicazioni di base o linee guida da seguire. Quasi tutti gli studi testimoniano un beneficio del trattamento che si manifesta in una riduzione degli errori ai test di aprassia standard, nel miglioramento nelle attività della vita quotidiana (ADL), nella generalizzazione del trattamento alle azioni non trattate. In alcuni lavori non è possibile fissare il grado di raccomandazione in quanto il disegno sperimentale non consente di dimostrare l’efficacia o l’inadeguatezza del trattamento utilizzato. Prendendo in considerazione gli studi nell’insieme, il grado di raccomandazione per il trattamento dell’aprassia dell’arto superiore è stato fissato a C. I trial riabilitativi più efficaci sono quelli che hanno fatto ricorso a un metodo riabilitativo ispirato a modelli teorici della funzione oggetto di trattamento. Questi studi sono anche quelli che hanno seguito il metodo più corretto, quelli cioè che hanno utilizzato un gruppo sperimentale e uno di controllo, con assegnazione randomizzata ai due gruppi dei soggetti, che hanno valutato i pazienti con test standardizzati prima e dopo il trattamento, e che hanno spiegato esattamente in che cosa consista il trattamento. Questi risultati positivi possono essere ottenuti solo se questi progetti sono pensati, disegnati e realizzati da personale specializzato. I deficit della memoria (G. A. Carlesimo, F. Piras, C. Incoccia, E. Borella) I disturbi della memoria dichiarativa, cioè di quella componente della memoria implicata nella rievocazione consapevole di informazioni precedentemente acquisite , si rendono responsabili nella vita di tutti i giorni della ridotta abilità sia ad apprendere nuove informazioni (amnesia anterograda) che a ricordare informazioni apprese prima dell’insorgenza dell’evento patologico responsabile del deficit mnesico (amnesia retrograda). Il deficit di memoria può riguardare tanto eventi autobiografici (deficit della memoria episodica) che informazioni di carattere più generale (ad es., culturale o linguistico) non strettamente autobiografici (deficit della memoria semantica). I disturbi della memoria dichiarativa possono inoltre interferire con l’accurata realizzazione, al momento opportuno, di intenzioni precedentemente formulate (deficit della memoria prospettica). Il danno selettivo delle strutture che formano il network neuronale responsabile dei processi di memoria dichiarativa produce rari quadri di amnesia pura (cioè senza la simultanea presenza di altri deficit cognitivi). Molto più frequentemente, i deficit della memoria dichiarativa si osservano nel contesto di una compromissione più diffusa delle funzioni cognitive, sia come esito stabilizzato di pregressi eventi cerebrolesivi (es., traumatismi cranio-encefalici, stroke ischemici o emorragici, sofferenza diffusa dell’encefalo su base ipossica o infiammatoria) che come componente di un deterioramento progressivo delle funzioni cognitive nelle sindromi demenziali su base degenerativa 174 (es., malattia di Alzheimer) o vascolare. Gli approcci alla riabilitazione dei deficit della memoria dichiarativa si sono prevalentemente concentrati sui disturbi di tipo anterogrado e prospettico e possono essere raggruppati in tre categorie. a) Metodiche finalizzate al rafforzamento delle capacità residue di apprendimento: tecniche per migliorare la qualità di codifica delle informazioni in entrata . Nei pazienti con deficit di memoria stabilizzati ci sono sufficienti evidenze per esprimere una forza di raccomandazione di tipo B relativamente alla riabilitazione dei compiti di memoria oggetto specifico del training. Relativamente alla permanenza a distanza di tempo del miglioramento ottenuto alle prestazioni ai test, le evidenze sono scarse. Le evidenze circa l’efficacia della riabilitazione per migliorare in questi stessi soggetti l’esecuzione di compiti di memoria non oggetto specifico del training sono contraddittorie e sostanzialmente inconcludenti. Non sussistono infine evidenze sperimentali sull’efficacia di questo tipo di riabilitazione nel migliorare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana in questi pazienti. Non sussistono evidenze sperimentali per raccomandare questo tipo di riabilitazione della memoria in pazienti con sindrome demenziale. Mancano, infine, evidenze sperimentali per preferire trattamenti di breve o di lunga durata, a bassa o alta intensità, individuali o di gruppo. b) Addestramento all'uso di ausili esterni, concepiti come una sorta di "protesi cognitive", per ovviare alla ridotta funzionalità dei processi di memoria fisiologici (utilizzo di apparecchi elettronici, diari, agende, ecc). Ci sono evidenze sufficienti per esprimere una forza di raccomandazione di tipo A all’utilizzo del NeuroPage (ausilio esterno passivo) per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti con esiti stabilizzati di danno cerebrale. Ci sono inoltre evidenze per esprimere una forza di raccomandazione di tipo B all’utilizzo di memory aids di tipo attivo, sempre in pazienti con esiti stabilizzati di danno cerebrale, alla riabilitazione, mediante ausili esterni, di pazienti con deficit organici della memoria. E’ infine possibile esprimere una raccomandazione di tipo D all’utilizzo di ausili esterni passivi per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti con danno cerebrale evolutivo su base degenerativa (malattia di Alzheimer). Infine, nonostante pochi studi conducano follow-up a sei o più mesi, emerge un mantenimento dell’utilizzo dell’ausilio esterno attivo (notebook) a lungo termine. c) Metodiche finalizzate all'insegnamento di informazioni e/o procedure utili per l'effettuazione di specifici compiti (domain-specific knowledge). L’efficacia delle metodiche che consentono l’acquisizione di informazioni specifiche utili alla vita di tutti i giorni non sembra allo stato attuale essere supportata da forti evidenze sperimentali. 175 I disturbi del linguaggio e del calcolo: afasie, alessie, agrafie, acalulia (A. Basso, S. Cattaneo, L. Girelli, C. Luzzatti, A. Miozzo, L. Modena, A. Monti) Il termine “afasia” si riferisce alla perdita, più o meno completa, della capacità di usare il linguaggio conseguente alla lesione delle aree cerebrali, generalmente localizzate nella metà sinistra del cervello, che presiedono alla nostra capacità di parlare, capire, leggere e scrivere; i termini “dislessia” e “disgrafia” sottolineano i disturbi della lettura o della scrittura. Il termine “acalculia”, infine, si riferisce a specifici disturbi nella elaborazione dei numeri e del calcolo che raramente si trovano isolati essendo quasi sempre associati a disturbi afasici. Tutti i lavori condotti su gruppi hanno dimostrato, in gruppi eterogenei di soggetti afasici, che la rieducazione è efficace e va consigliata, purché non sia di breve durata. Infatti la differenza tra soggetti rieducati e soggetti non rieducati non è risultata significativa quando i trattamenti sono stati brevi. In base ai lavori considerati e al loro livello di evidenza, il grado di raccomandazione è B. Vi sono inoltre delle indicazioni che l’effetto del trattamento riabilitativo non varia anche se iniziato a diversi anni di distanza dall’evento morboso (entro 7 anni). Segue l’elenco dei disturbi trattati e il grado di raccomandazione: x produzione di parole: C x ripetizione: D x produzione di frasi: C x comprensione di frasi: C x lettura: C x scrittura: C x trattamenti con PC: D x disturbi del calcolo: D Il livello di evidenza è buono (B) per quanto riguarda il trattamento non meglio specificato di gruppi di soggetti afasici. Da notare che in tutti i lavori “negativi” il trattamento è significativamente più breve che nei lavori “positivi” Non è invece possibile raggiungere alti livelli di evidenza e gradi di raccomandazione della tabella SPREAD quando si considerano trattamenti specifici per disturbi specifici, a causa dell’assenza di RCT. Tuttavia gli autori ritengono che per valutare l’efficacia del trattamento dei disturbi afasici gli RCT non siano lo strumento più adatto. Questi infatti richiedono, per esempio, la non-sostanziale dipendenza della resa dell’intervento dalla “competenza” dell’operatore mentre risulta ovvio che nel trattamento logopedico la relazione tra soggetto afasico e terapeuta è di vitale importanza. Inoltre, “afasia”, come già detto, è un termine che copre disturbi molto eterogenei. Mentre è relativamente facile fare dei gruppi di soggetti “afasici”, è estremamente difficile fare gruppi di soggetti che presentino lo stesso disturbo funzionale, tanto da poter essere analizzati insieme. Agli studi su gruppi di “afasici” si sono sostituiti nel tempo gli studi su casi singoli con specifici disturbi funzionali, trattati con motivati interventi mirati. In sintesi il grado delle raccomandazioni per i disturbi afasici 176 del linguaggio è apparentemente piuttosto basso perché da molti anni il problema dell’efficacia del trattamento viene affrontato con lo studio di casi singoli e non viene più applicato il disegno RCT su gruppi di soggetti. Questo, nell’ambito degli studi afasiologici, è stato considerato un notevole passo avanti perché lo studio del caso singolo permette di identificare chiaramente il disturbo studiato e il trattamento messo in atto. L’aprassia dell’articolazione (apraxia of speech) (C. Luzzatti) L’aprassia dell’articolazione (AA) è un deficit della programmazione motoria articolatoria che consegue a una lesione unilaterale, solitamente dell’emisfero sinistro, che non consegue a paresi dei muscoli che controllano l’esecuzione dei movimenti necessari alla realizzazione dei suoni del linguaggio. In passato, il disturbo è stato descritto con il termine anartria e disintegrazione fonetica. L’AA è uno dei sintomi che solitamente caratterizzano l’afasia di Broca. Tuttavia, il deficit può comparire anche in forma pura. I pazienti affetti da AA controllano con fatica la programmazione dei movimenti articolatori bucco-faringo-laringei dando l’impressione di una lotta per la realizzazione delle sequenze sonore desiderate. Il meccanismo principale che sottostà al disturbo aprassico articolatorio è una perdita dell’abilità programmare (cioè di integrare spazialmente e temporalmente) l’azione dei muscoli che intervengono nella produzione dei suoni del linguaggio. A differenza della disartria, l’AA è un disturbo della programmazione motoria che coinvolge i soli movimenti che permettono la realizzazione sonora del linguaggio, lasciando generalmente intatte la abilità motorie elementari non articolatorie del distretto bucco-linguo-facciale (non paresi buccofacciale) e occasionalmente intatte quelle motorie complesse (il deficit può occasionalmente dissociare dall’aprassia aprassia bucco-facciale). Le tecniche utilizzate per trattare l’AA possono essere distinti in 4 categorie principali in relazione al focus del trattamento: 1) tecniche che intervengono sulla cinematica articolatoria; 2) tecniche che intervengono sul ritmo; 3) tecniche che mirano alla facilitazione e riorganizzazione intersistemica; 4) tecniche di comunicazione alternativa e aumentativa (CAA). Nessuno degli studi selezionati corrisponde ai criteri di un trial randomizzato caso-controllo. Data l’assenza di studi di gruppo, i criteri SPREAD per la verifica dell’adeguatezza metodologica paiono inadeguati per un giudizio sull’efficacia del trattamento dell’AA. D’altra parte, la variabilità di manifestazioni del deficit articolatorio (gravità del deficit stesso, gravità del deficit afasico eventualmente associato), rende difficile la definizione di uno specifico piano di trattamento da somministrare in modo standard per ogni soggetto. In sintesi il trattamento mirato dei deficit articolatori è dimostrato migliorare le abilità di produzione in soggetti affetti da AA cronica di entità media e grave. L’efficacia pare dipendere dall’intensità del trattamento svolto e pare generalizzare anche a materiale non trattato, ma con caratteristiche simili 177 a quelle del materiale in trattamento, e mantenere la propria efficacia a lungo termine alla sospensione del percorso riabilitativo. Tuttavia, poiché la totalità degli studi descritti riporta trattamenti di casi singoli, non è possibile trarre conclusioni sulla generalizzabilità dell’efficacia del trattamento tra soggetti: gli studi non specificano in generale i criteri di inclusione ed esclusione dei pazienti e non riportano eventuali casi di drop-out e delle relative motivazioni. Per tali ragioni nessun lavoro è stato classificato di livello 1, corrispondente ad un randomized clinical standard (RCT). A causa di questa mancanza è possibile assegnare un grado di raccomandazione di livello B. Inoltre, gli effetti del trattamento sono stati mostrati sulle prestazioni ai test neurolinguistici, ma manca una valutazione appropriata dell’efficacia dei benefici ottenuti sul recupero della disabilità del paziente nella vita quotidiana. Il trauma cranio-encefalico lieve o mederato (A.Cantagallo, A. Di Santantonio, G. Mancini, R. Keim, F. Stablum, A. Vestri) La distinzione fra trauma cranio-encefalico (TCE) lieve, moderato e grave utilizzata è quella generalmente adottata sia a livello clinico che in letteratura. La gravità del trauma è definita in relazione alle condizioni del paziente nella fase acuta: livello di profondità del coma, misurato con la scala Glasgow Coma Scale (GCS), durata del coma, durata della fase di Amnesia PostTraumatica o APT. Le ricerche esaminate comprendono, in genere, gruppi misti. In particolare, non è stato reperito nessun articolo che trattasse esclusivamente pazienti con TCE moderato: questo viene sempre presentato insieme al TCE grave proprio per la somiglianza clinica e prognostica. Dall’analisi della letteratura sono stati individuati il livello di efficacia ed il grado di evidenza dei diversi programmi riabilitativi: 1) Gli studi di efficacia dei Programmi Riabilitativi Neuropsicologici riguardano sia approcci riabilitativi ad ampio spettro (programmi integrati che prevedono interventi di training cognitivo "diretto", insegnamento di tecniche di compensazione e di strategie, interventi psicoterapeutici e/o cognitivo-comportamentali, fisioterapia e terapia occupazionale, trattamento neurosensoriale ed interventi farmacologici) che programmi più specificatamente mirati a riabilitare la singola componente cognitiva deficitaria (la memoria di lavoro, ad esempio). Il grado di raccomandazione degli studi sui Programmi Riabilitativi Neuropsicologici sono presentati separatamente a seconda del gruppo di pazienti esaminati: TCE lievi B , TCE misti con lievi B, TCE misti moderato-gravi B. 2) Programmi Riabilitativi delle Abilità Sociali. Le social skills non sono definite in modo univoco e in base ai lavori analizzati, comprendono aspetti legati ad indipendenza nelle situazioni di vita quotidiana fino a consapevolezza e autostima, considerati importanti per regolare il comportamento rispetto ai contesti di vita quotidiana. L’azione combinata tra l’intervento sulle abilità di vita quotidiana studiate e concordate con il paziente, e il lavoro metacognitivo sulla consapevolezza con la gestione degli aspetti comportamentali sembra avere effetti sulle 178 capacità di indipendenza. Tuttavia vi è un solo studio controllato, non randomizzato. Inoltre, tale studio non riporta aspetti tecnici specifici di ambito neuropsicologico, ma cita interventi di metacognizione, sulla consapevolezza e sul problem solving senza entrare nel merito delle tecniche utilizzate. Dove citate, le tecniche sono diverse da uno studio all’altro. Questi approcci hanno in comune il fatto di essere basati sull’attenzione al feedback, alla graduale diminuzione dei prompt esterni e all’acquisizione di maggiore consapevolezza, ma non vi sono prove sul fatto che siano questi aspetti in particolare a migliorare l’indipendenza nei contesti sociali. Buona è l’attenzione generale di questi lavori alle attività di vita quotidiana, scarso invece il riferimento a modelli di funzionamento dei processi cognitivi. Grado di raccomandazione D. 3) Interventi di Psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale dopo un trauma cranico lieve possono diminuire il rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress e sembra anche utile per il trattamento dell'insonnia. Grado di raccomandazione B. 4) Gli studi sull'outcome della Riabilitazione Neuropsicologica Olistica dimostrano senza eccezione un effetto positivo, sia subito dopo la conclusione del programma che nel follow-up fino a tre anni. Anche il numero dei pazienti trattati è abbastanza alto (range 18-113 casi trattati). Quattro degli studi analizzati hanno anche un gruppo di controllo, paragonabile con il gruppo sperimentale per gravità del trauma e fattori demografici. Infine, per definizione, tali programmi riguardano direttamente la ricaduta nelle ADL, pertanto la valutazione di questo aspetto è sempre presente. Grado di raccomandazione B. 5) Nessuna delle pubblicazioni sulla Riabilitazione Sociale e Lavoro ha un gruppo di controllo, tutti si limitano a un pre-post design e le statistiche a volte sono soltanto descrittive. Grado di raccomandazione D. 6) Emerge dai lavori analizzati l’utilità dei Programmi educativi nei pazienti con TCE lieve o moderato e per i loro familiari nel ridurre o prevenire i sintomi, non necessariamente nel migliorare le funzioni neuropsicologiche: essi dovrebbero essere precoci, semplici, precisi e magari forniti in modalità scritta, disponibili su richiesta del paziente. Grado di raccomandazione D. 179 Gli interventi in ambito neuropsicologico nelle gravi cerebrolesione acquisite con stato di coscienza alterata (M. G. Inzaghi, M. Sozzi, J. Conforti, F. Lombardi) Per ‘grave cerebrolesione acquisita’ (GCA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranio encefalico o ad altre cause tale da determinare una condizione di coma, più o meno protratto con Glascow Coma Scale iniziale 8, associato a menomazioni sensitivo-motorie, cognitive o comportamentali, che comportano una disabilità severa. Tutti i pazienti con grave cerebrolesione acquisita presentano disturbi della coscienza. Lungo il cammino verso il recupero della coscienza sono individuabili tre condizioni: Coma, Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza. Scopo del lavoro è analizzare la letteratura riguardante le procedure di monitorizzazione e valutazione dello stato di coscienza e i trattamenti riabilitativi mirati ad ottenere significative modificazioni dello stato di coscienza rispetto al recupero spontaneo . Per gli strumenti di valutazione la ricerca è stata condotta dal 1981 (anno di pubblicazione del lavoro di Jennet & Teasdale, sulla definizione di coma) al 2007. Le scale di valutazione reperite, sono state suddivise in quattro gruppi: - Al primo gruppo appartengono le scale “descrittive” cioè caratterizzate da criteri tassonomici da applicare all’osservazione clinica del paziente; esse si rilevano strumenti vantaggiosi per la facilità e la rapidità di somministrazione tuttavia si dimostrano poco sensibili ai cambiamenti minimi dello stato di coscienza e non sono in grado di evidenziare le sottili modificazioni del quadro nel passaggio tra i vari stati di coscienza alterata a causa di un’eccessiva ampiezza delle categorie di punteggio. - Al secondo gruppo e ai successivi appartengono le scale che implicano la somministrazione di stimolazioni e l’analisi delle risposte. Nel secondo gruppo sono comprese le scale pubblicate prima del contributo teorico e delle definizioni fornite dal gruppo di Aspen (2002), pertanto non consentono di diagnosticare il passaggio da SV a SMC e da SMC a stato di coscienza. Tuttavia il punteggio globale ottenibile da queste può fornire indicazioni sullo stato di coscienza in termini di miglioramenti o regressioni. Il limite di queste scale risiede nel fatto di non prendere in considerazione la presenza di eventuali deficit cognitivi e sensoriali frequentemente presenti nelle gravi cerebrolesioni acquisite. Da questo punto di vista l’analisi del punteggio globale potrebbe essere inficiata dalla presenza di un deficit cognitivo o sensoriale che comporterebbe una sottostima dello stato di coscienza e di conseguenza condurrebbe ad una misdiagnosi. - Nel terzo gruppo è presente l’unica scala che tiene conto delle raccomandazioni dell’Aspen Workgroup, la JFK Coma Recovery Scale-R (Giacino et al., 2004). - Al quarto gruppo appartiene l’unica scala reperita, Preliminary Neuropsychological Battery (PNB), somministrabile ai pazienti già responsivi ma che per la loro gravità ancora non sono valutabili con test psicometrici strutturati. 180 Un approccio valutativo diverso, ma molto accurato, per valutare lo stato di coscienza è quello proposto da Whyte, basato sul principio del disegno sperimentale sul singolo soggetto. Tuttavia questa modalità presenta il limite di non consentire confronti tra i vari pazienti poiché non è possibile generalizzare i risultati ottenuti. In sintesi dall’analisi delle caratteristiche delle scale di valutazione reperite emerge che molte contengono indicatori clinici che possono avere utilità prognostica esclusivamente nella fase acuta (es i riflessi corneali, la reattività pupillare, le risposte oculo motorie, l’apertura spontanea degli occhi), mentre altre scale, che potrebbero essere meglio applicate per esaminare l’evoluzione nel tempo, non consentono di classificare adeguatamente i pazienti e altre ancora si rivelano utili solo per valutare i pazienti già responsivi ma ancora non valutabili con test psicometrici strutturati. In considerazione delle limitazioni presenti nella totalità delle scale esaminate nessuno strumento si rivela del tutto adeguato per valutare pazienti con disturbi di alterata coscienza. Tuttavia è indispensabile che il Neuropsicologo esegua osservazioni e valutazioni periodiche che, tenendo conto delle raccomandazioni del gruppo di lavoro di Aspen e dei numerosi elementi che possono ostacolare la rilevazione/comprensione delle richieste e l’elaborazione/esecuzione delle risposte, consentano di cogliere i segnali di significativi cambiamenti del livello di coscienza. Per una più attenta monitorizzazione è auspicabile il coinvolgimento di tutte le persone che si accostano al soggetto. Per il trattamento riabilitativo la ricerca è stata ristretta al periodo 2002-2007 poiché i lavori precedenti utilizzavano modalità di classificazione dei pazienti non del tutto compatibili con i criteri a tutt’oggi ritenuti più adeguati, individuati dall’Aspen Workgroup (2002.) È disponibile una revisione Cochrane (Lombardi et al, 2002) dei lavori pubblicati dal 1966 al 2002 sull'efficacia delle stimolazione sensoriali nei soggetti in coma o in SV; le conclusioni indicano che non vi sono evidenze attendibili a supporto dell’efficacia dei programmi di stimolazione sensoriale nei pazienti in coma e SV. Dalla nostra revisione dei dati di letteratura solo 2 articoli corrispondevano ai criteri stabiliti. Pur essendo successivi ai lavori dell’Aspen Workgroup, presentano un set di dati raccolti ed elaborati in epoca precedente pertanto i miglioramenti sono considerati con scale che prevedono intervalli eccessivamente ampi (GCS) o punteggi globali (WNSSP) che potrebbero non evidenziare sottili modificazioni dello stato di alterata coscienza. Sono ancora molto scarse quindi le evidenze scientifiche in grado di dimostrare l’efficacia di specifici interventi di riabilitazione e il confronto tra differenti approcci, in grado di dimostrare i vantaggi di un metodo sull’altro, non ha portato a conclusioni condivisibili. I miglioramenti nelle alterazioni dello stato di coscienza dovrebbero essere dimostrati sia nelle modificazioni dello stato di veglia che in quelli di contenuto, identificati con i processi superiori. Pertanto anche gli studi dovrebbero fornire indicatori di miglioramento sia dello stato di attivazione che dei processi cognitivi; questi ultimi tuttavia non sono ancora adeguatamente considerati né nei criteri di inclusione né nei protocolli sperimentali o nei risultati; infatti nel primo lavoro considerato gli autori paiono consapevoli della carenza dell’analisi e auspicano per i futuri lavori l’utilizzo di misure più complesse in grado di valutare anche le funzioni cognitive; il secondo lavoro, invece, 181 che si pone come obiettivo l’incremento nell’utilizzo di una competenza comunicativa, non fornisce indicazioni sulle prestazioni nell’area cognitiva, non indica quali pazienti avrebbero potuto avere un deficit afasico nemmeno riportando il lato della lesione cerebrale e la lateralità manuale. Allo stato attuale non sono dunque reperibili in letteratura evidenze a supporto di programmi riabilitativi in grado di suscitare la coscienza o accelerare il passaggio tra i vari stati in modo significativo rispetto all’andamento del recupero spontaneo. I disturbi del comportamento (R. Cattelani, M. Zettin, P. Zoccolotti) La letteratura corrente classifica i disordini emotivo-comportamentali conseguenti a GCA in due categorie principali, a seconda delle caratteristiche cliniche prevalenti: a) internalizing behaviour, ovvero, comportamenti passivi, difettuali/insufficienti nelle loro varie manifestazioni, indicativi di ridotto dinamismo e di carente attitudine proattiva; b) externalizing behaviour, ovvero, eccessi comportamentali da discontrollo di azioni, pensieri ed emozioni, e condotte disorganizzate, inopportune e inappropriate alle circostanze per i modi con cui si manifestano I trattamenti delle sequele emotivo-comportamentali scaturiti da questa revisione bibliografica possono essere classificati in due categorie principali: 1. Modelli teorici comportamentisti/cognitivisti Identificano tecniche e procedure di modificazione di specifici comportamenti disadattivi ispirate dai principi del condizionamento “classico” ed “operante”, mediante rigoroso monitoraggio delle caratteristiche ambientali, accurate analisi della relazione stimolo-risposta e rigorosa selezione delle procedure. Dall’analisi dei lavori emergono: grado di Raccomandazione C e D rispettivamente. Complessivamente considerati, gli interventi di modificazione di specifici comportamenti-problema non sono supportati da livelli di evidenza e di efficacia sufficienti/accettabili. La trentennale esperienza nell’applicazione clinica di tecniche e procedure ispirate ai modelli comportamentisti e cognitivisti suggerisce che questi interventi possono essere efficaci per soddisfare esigenze cliniche specifiche nel trattamento di casi singoli, mentre resta da dimostrare la loro efficacia in termini di generalizzazione/mantenimento dei risultati e, soprattutto, di integrazione delle abilità cognitive-comportamentali-affettive-psicosociali. 2. Approcci olistici-integrati Si tratta di programmi basati sul presupposto secondo cui qualsiasi ipotesi di riabilitazione deve considerare la complessità delle caratteristiche umane e i vari ambiti in cui si realizza l’esistenza delle persone. Grado di Raccomandazione B e D . I tipi di intervento riabilitativo 182 considerati rappresentano approcci terapeutici integrati/globali, sostanzialmente comparabili in termini di obiettivi generali (reinserimento lavorativo-formativo, adattamento psicosociale ed emotivo). L’unica variante può essere riconosciuta nella modalità di “strutturazione” del contesto clinico e nella rigorosità del “contratto” terapeutico che risultano più accentuate o meglio delineate nel “MORP”(Milieu-Oriented Rehabilitation Program) i cui obiettivi generali riguardano la produttività, l’adattamento psicosociale e l’adattamento emotivo del paziente mediante il recupero “integrato” delle componenti cognitive, comportamentali, psicosociali ed affettive. Nonostante tali minime differenze, i livelli di evidenza/efficacia emersi dalla revisione bibliografica avvalorano l’approccio più rigoroso e strutturato previsto dal MORP. In sintesi, l’eterogeneità/complessità dei quadri clinici dei disordini emotivo-comportamentali conseguenti a GCA, le oggettive difficoltà di controllo di tutte le variabili, le multiformi necessità psicosociali di ogni singolo “caso”, nonché le inevitabili questioni di etica sanitaria-assistenziale, rendono sostanzialmente improponibili rigorosi protocolli sperimentali (trials randomizzati, controllati e in ‘doppio cieco’) e programmi terapeutici rigidamente strutturati a livello di scelte tecniche e strategico-procedurali. Le lacune metodologiche riscontrate nella letteratura esaminata e la variabilità dei protocolli applicati nei singoli studi rendono difficilmente confrontabili i risultati di ciascuna ricerca. Le principali debolezze degli studi revisionati riguardano la limitata numerosità delle casistiche, la prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial non randomizzati .i criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici casocontrollo, la limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della vita quotidiana, la marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni (per es., per caratteristiche anagrafiche, gravità del disturbo, distanza dall’esordio, tecniche, obiettivi e durata dell’intervento, strumenti di misura dell’outcome). Le criticità emerse dai gruppi di lavoro Nella quasi totalità dei gruppi di lavoro si sono fatte considerazioni circa la problematicità di reperire in letteratura lavori accettabili secondo il modello SPREAD e quindi di poter esprimere giudizi dell’efficacia dei trattamenti riabilitativi in ambito neuropsicologico secondo le procedure della Evidence Based Medicine. Molti autori hanno espresso dubbi sulla possibilità di realizzare studi RCT ritenendoli strumenti non adatti per la ricerca dell’efficacia della riabilitazione neuropsicologica e prediligendo invece lo studio sul singolo soggetto. E’ emersa una serie di problemi specifici, che vanno tenuti in adeguata considerazione nella lettura dei risultati della revisione: - Cecità di chi eroga il trattamento e di chi lo riceve. La relazione tra paziente e terapeuta è di vitale importanza e solo un riabilitatore pienamente consapevole della natura e della tipologia di intervento è in grado di rendere più efficace il suo operato. - Standardizzazione dei trattamenti. Mentre la standardizzazione è facilmente realizzabile nell’ambito della sperimentazione farmacologica, è estremamente difficile da ottenere in un 183 ambito in cui la peculiarità dell’interazione riabilitativa dipende strettamente dalle specifiche caratteristiche di ogni singolo paziente. - Omogeneità dei pazienti. Considerando l’estrema complessità dei processi mentali, le differenze nell’organizzazione cerebrale di ogni individuo, la multifattorietà dei quadri sindromici e l’estrema variabilità degli effetti di ogni lesione cerebrale è impossibile che i pazienti possano essere considerati omogenei circa la presenza e la gravità di un disturbo neuropsicologico oggetto di riabilitazione. Diventa quindi estremamente difficile se non impossibile creare dei gruppi di pazienti che presentino lo stesso disturbo funzionale tanto da poter essere analizzati in modo omogeneo. - Il trattamento placebo del gruppo di controllo. Diversamente dagli studi sulla sperimentazione farmacologica, in ambito neuropsicologico è problematico individuare i compiti da proporre ai soggetti del gruppo di controllo. Basti pensare all’attenzione: quale attività può essere svolta senza che l’attenzione sia implicata? Per quanto riguarda l’adeguatezza metodologica degli studi presi in considerazione, si sono riscontrati diversi problemi relativamente sia alla selezione e descrizione qualitativa dei pazienti oggetto degli studi che all’impostazione del disegno sperimentale ,rendendo così difficilmente confrontabili i risultati di ciascuna ricerca. Le principali “debolezze” degli studi revisionati sono sintetizzate di seguito: a) Limitata numerosità delle casistiche. b) Prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial non randomizzati , con criteri di inclusione/esclusione non chiaramente o per nulla definiti. c) Criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici caso-controllo. d) Marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni di soggetti in termini di criteri di inclusione/esclusione, quali: - caratteristiche anagrafiche dei soggetti; - eziologia dell’evento cerebrolesivo; - gravità clinica dei comportamenti-target e del quadro cognitivo-comportamentale complessivo, nonché dei deficit sensitivo-motori eventualmente associati; - intervallo temporale tra evento patologico e inizio del trattamento. e) Estrema eterogeneità di tecniche/procedure/protocolli utilizzati, caratteristiche del setting riabilitativo, obiettivi e durata dell’intervento terapeutico, frequenza/intensità dei trattamenti: scarsa descrizione degli interventi, tecniche di intervento non paragonabili, diversa durata del trattamento,diverso numero di sedute (1-2 al dì, 3-5 alla settimana), nessuna attività del gruppo di controllo, possibile effetto pratica, qualifica e competenza dell’operatore non specificata, ecc. f) Differenti parametri e strumenti di misura dell’outcome. g) Mancato controllo dei possibili effetti interferenti di terapie farmacologiche eventualmente associate. 184 h) Limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della vita quotidiana. i) Valutazioni fatte sulla media dei dati dei gruppi Trattati e Controlli senza specificazione della percentuale dei soggetti che hanno beneficiato. j) Scarso o assente follow up. Aspetti normativi sull’attività di riabilitazione in Italia (A. Salvia, A. Cantagallo, A.Vestri, M.G. Inzaghi S.Paolucci) Un ulteriore gruppo di lavoro si è occupato dell’ analisi e della revisione dell’assetto normativo esistente nel nostro paese in relazione alla erogazione delle attività di riabilitazione neuropsicologica. Dall’analisi della normativa riguardante le attività di riabilitazione, si evince una quasi totale assenza di indicazioni circa l’organizzazione di servizi o unità per la riabilitazione neuropsicologica. Gli aspetti che risultano più problematici riguardano la costituzione e l’organizzazione di servizi e l’identificazione di quali figure professionali siano più appropriate. Servizi o Unità di Riabilitazione Neuropsicologica La normativa nazionale sull’alta specialità (Legge 595/85,codice75) (1) prevedeva che il Ministero della Sanità avrebbe fissato i requisiti minimi di personale, attrezzature, posti letto e le caratteristiche di professionalità richieste, tuttavia nei successivi provvedimenti legislativi mentre si ritrovano i requisiti delle strutture e delle attrezzature (DM 29/01/1992, allegato B)(2), non vi è alcuna indicazione riguardo alla qualificazione del personale operante presso le unità di riabilitazione. Pur specificando che tali strutture sono deputate al trattamento di pazienti affetti da gravi traumatismi cranio encefalici e altre gravi cerebrolesioni acquisite con gravi menomazioni fisiche, cognitive e comportamentali non stabilisce quali figure professionali debbano occuparsi dei diversi ambiti della riabilitazione. Anche quando la normativa sulla riabilitazione intensiva (codice 56; DM 13/09/88) (4) definisce gli standard del personale, si trova la dicitura generica di “personale di riabilitazione” senza alcun ulteriore chiarimento. Il DPR 14/01/1997 (4) definisce gli standard per la riabilitazione intensiva: i requisiti minimi delle strutture sanitarie. Sono descritti nei particolari i requisiti minimi strutturali, impiantistici e tecnologici, mentre per quelli organizzativi solo un accenno aspecifico: ”la dotazione organica del personale addetto deve essere rapportata al volume delle attività”, anche in questo caso sembra che l’attenzione sia focalizzata sulla numerosità degli operatori piuttosto che sulla professionalità specifica richiesta per i diversi progetti di riabilitazione. Quando si affronta il tema della durata complessiva quotidiana del trattamento riabilitativo (Linee Guida del Ministero della Sanità 1998, punto b) (5) di disabilità importanti che richiedono un elevato impegno, e si identificano orientativamente 3 ore giornaliere di terapia specifica, la riabilitazione 185 neuropsicologica non è neppure menzionata tra le attività riabilitative erogabili, poiché si fa riferimento esclusivamente al personale sanitario della riabilitazione quale “fisioterapista, logopedista, terapista occupazionale, educatore professionale e infermiere, in quegli atti finalizzati al miglioramento delle ADL- Attività della vita quotidiana” L’unico riferimento normativo alla riabilitazione neuropsicologica si trova nelle Linee Guida sulla Riabilitazione del 1998 (5) che prevede la costituzione di specifiche Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite. Stabilisce che debba essere attivata all’interno di un presidio ospedaliero in cui siano disponibili attività specialistiche di neurologia, medicina fisica e riabilitativa, neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e che non sia dotata di posti letto poiché in caso di necessità possono essere utilizzati posti letto di altre unità. Prevede sia dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato, numericamente adeguato (senza ulteriore specificazione) comprendente: fisiatri, neurologi, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, infermieri, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricità, terapisti occupazionali, operatori tecnici di assistenza, educatori professionali, assistenti sociali. L’attività prevista è quella di consulenza e valutazione finalizzata ad approfondimento diagnostico relativo a menomazioni e disabilità neuropsicologiche rare e complesse, a formulazione del progetto riabilitativo e del programma terapeutico, ecc. Ad oggi sul territorio nazionale sono presenti solo pochi esempi di tale Unità Figure professionali L’analisi dei profili professionali delle figure che a tutt’oggi si trovano frequentemente nelle strutture che erogano prestazioni di riabilitazione neuropsicologica per adulti, indica la necessità di provvedimenti che chiariscano meglio le diverse competenze e le mansioni che tale figure possono svolgere. In alcuni profili si trovano accenni ad interventi sugli aspetti cognitivi: x x x Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “svolge in via autonoma o in collaborazione con altre figure sanitarie interventi di cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita o acquisita”. Logopedista (decreto 742/94)(7): “svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica”. Terapista Occupazionale (decreto 136/97)(8): “opera nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti affetti da malattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità temporanee che permanenti”. Tuttavia un’analisi degli strumenti di intervento previsti per ciascuna figura, chiarisce meglio le specifiche mansioni: 186 x x x Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali”. Logopedista (decreto 742/94)(7): “terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della comunicazione e del linguaggio verbali e non verbali”. Terapista Occupazionale (decreto 136/97) (8): “attività espressive, manuali, rappresentative, ludiche, della vita quotidiana”. Come emerge dall’analisi dei relativi decreti, gli strumenti cognitivi (per es. tecniche di potenziamento del sistema attenzionale, mnesico, comportamentale ecc) non sono menzionati tra i loro strumenti di intervento; pertanto non si comprende come tali figure professionali possano praticare la riabilitazione neuropsicologica di deficit cognitivi, senza poter far ricorso a quegli strumenti che, come si evince dai contributi emersi nel contesto della Conferenza di Consenso, si sono dimostrati utili nel recupero funzionale delle varie funzioni cognitive lese in seguito ad uno specifico danno cerebrale. L’unico riferimento normativo riguardante la riabilitazione neuropsicologica è contenuto nel Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca 24 Luglio 2006 (9), relativo agli ordinamenti didattici di specializzazione di area psicologica, il cui accesso è consentito ai soli psicologi, nel quale si definisce che “Lo specialista in Neuropsicologia deve aver maturato conoscenze teoriche, scientifiche e professionali nel campo dei disordini cognitivi ed emotivo motivazionali associati a lesioni o disfunzioni del sistema nervoso nelle varie epoche di vita (sviluppo, età adulta ed anziana), con particolare riguardo alla diagnostica comportamentale mediante test psicometrici, alla riabilitazione cognitiva e comportamentale, al monitoraggio dell’evoluzione temporale di tali deficit, e ad aspetti subspecialistici interdisciplinari quali la psicologia forense”. Un ulteriore aspetto problematico riguarda la valutazione neuropsicologica. Nessuna delle figure professionali sopra citate è abilitata a svolgere attività finalizzate alla diagnosi dei disturbi cognitivi e comportamentali, che invece rientra nelle mansioni previste per la figura dello psicologo, come indicato nel decreto 24 Luglio 2006 (9): “identificare i deficit cognitivi ed emotivo-motivazionali determinati da lesioni o disfunzioni cerebrali (deficit del linguaggio, afasia e disordini della lettura e della scrittura; deficit della percezione visiva e spaziale, agnosia e negligenza spaziale unilaterale; deficit della memoria, amnesia; deficit dell'attenzione e della programmazione e realizzazione del comportamento motorio e dell'azione complessa), valutare i predetti deficit mediante test psicometrici, interviste e questionari; analizzare risultati quantitativi degli accertamenti mediante tecniche statistiche descrittive ed inferenziali e utilizzando le tecnologie informatiche”. In sintesi gli aspetti della riabilitazione neuropsicologica che necessitano di interventi normativi sono: x riconoscere l’importanza della valutazione e riabilitazione neuropsicologica come uno degli aspetti fondamentali nel recupero dopo una cerebrolesione; x definire l’organizzazione delle strutture, Unità o Servizi, deputate all’erogazione delle prestazioni di valutazione e riabilitazione neuropsicologica, sia quelle che necessitano di posti letto per i gravi cerebrolesi che hanno una importante compromissione anche motoria, che quelle ambulatoriali cui possono afferire soggetti cerebrolesi senza deficit di moto; 187 x x x x definire le modalità e i criteri di accesso a tali strutture, sia per soggetti che hanno concomitanti deficit motori che per coloro che presentano solo deficit in ambito neuropsicologico; definire le figure deputate alla valutazione e alla riabilitazione neuropsicologica; definire la numerosità degli operatori necessari per la valutazione e la riabilitazione neuropsicologica in relazione alla popolazione residente sul territorio; definire la durata delle prestazioni erogate in ambito neuropsicologico, soprattutto per quelle in regime ambulatoriale. Riferimenti normativi 1. Legge n. 595 del 23 ottobre 1985, “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 260 del 5 novembre 1985 2. Decreto Ministro della Sanità del 29 gennaio 1992, “Elenco delle alte specialità e fissazione dei requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 26 del 1 febbraio 1992 3. Decreto Ministro della Sanità del 13 settembre 1988, “Determinazione degli standards del personale ospedaliero”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 225 del 24 settembre 1988 4. D.P.R. del 14 gennaio 1997, “Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private”, Supplemento Ordinario n. 37 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 42 del 20 febbraio 1997 5. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Provvedimento 7 maggio 1998, “Linee-guida del Ministro della Sanità per le attività di riabilitazione”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 124 del 30 maggio 1998 6. Decreto n. 741 del 14 settembre 1994, “Profilo Professionale del Fisioterapista”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995 7. Decreto Ministeriale n. 742 del 14 settembre 1994, “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del logopedista”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995 8. Decreto Ministero Sanità n. 136 del 17 gennaio 1997, “Regolamento concernente la individuazione della figura e relativo profilo professionale del terapista occupazionale”, 188 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 119 del 24 maggio 1997 9. Decreto Ministero dell’Università e della Ricerca 24 luglio 2006 “Riassetto delle scuole di specializzazione di area psicologica”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 246 del 21 Ottobre 2006 La situazione della provincia di Bergamo Ancora non vi è una normativa che consenta a tutti i soggetti cerebrolesi di potersi sottoporre ad adeguata valutazione e, ove ve ne sia necessità, ad una specifica riabilitazione in ambito neuropsicologico. Non vi sono direttive regionali che richiedano la presenza del neuropsicologo nelle strutture dedicate alla riabilitazione. Tulle le strutture ricevono gli stessi compensi per ogni giornata di ricovero di un cerebroleso, ma solo poche hanno scelto di investire fondi per garantire la presenza costante del neuropsicologo: le più sensibili alle problematiche dei pazienti, le più attente alla globalità della persona, le più informate e aggiornate sulle implicazioni negative dei deficit cognitivo/comportamentali sulla vita dei soggetti cerebrolesi. È pur vero che ogni soggetto potrebbe scegliere in quale struttura ricoverarsi, ma non è diffusa la conoscenza specifica di tutto ciò che è necessario per una ‘buona riabilitazione’. Solitamente si sceglie la struttura più vicina al luogo di residenza, oppure quella che per prima offre un posto letto, così si è costretti ad affidarsi alle cure di un determinato centro, nella speranza che ogni luogo sia uguale all’altro. Il grafico 1 illustra la situazione delle 17 strutture della provincia di Bergamo, dedicate alla riabilitazione specialistica, come rilevata da un’indagine condotta nel mese di Marzo 2012: - In 5 strutture è presente uno psicologo-neuropsicologo, a tempo prolungato, inserito nel lavoro di équipe riabilitativa per la programmazione del progetto terapeutico. - In 7 strutture è presente: 9 “al bisogno”, ma non viene specificato né per quante ore, né se la presenza è regolare; 9 “2 ore settimanali” oppure “svolge attività in tutti i reparti”. Tale presenza è assolutamente insufficiente: solo la valutazione neuropsicologica di un paziente cerebroleso necessita di un periodo da 4 a 8 ore, a cui si aggiunge lo studio della documentazione, la correzione dei punteggi, la stesura della relazione, i colloqui con i familiari, quelli con il team riabilitativo, l’implementazione di progetti riabilitativi specifici, ecc ecc.; 9 “presente in reparto di neurologia”, senza accesso sistematico ai degenti di riabilitazione. - 5 strutture non hanno uno psicologo con formazione neuropsicologica. Nel grafico 2 sono riportati i dati relativi ai posti letto dedicati alla riabilitazione specialistica (N° 666), suddivisi in base alla presenza di un neuropsicologo : - per un numero adeguato di ore; - per un tempo solo parziale, insufficiente per risponde in modo adeguato alle esigenze; 189 - se il neuropsicologo non è presente. I dati emersi dalla Conferenza di Consenso sulla riabilitazione neuropsicologica confermano l’importanza di un trattamento strutturato, ben calibrato sulle peculiari difficoltà che emergono solo dopo un’attenta valutazione neuropsicologica. Nel grafico 3 è illustrato il numero di posti letto in cui i pazienti ricoverati possono essere adeguatamente seguiti anche per questo aspetto cruciale (281 posti letto) e quello delle strutture che non prevedono il trattamento o si affidano esclusivamente all’attività isolata di logopedisti e fisioterapiste senza una pianificazione e una monitorizzazione che derivi dalla valutazione neuropsicologica (385 posti letto). In molti studi è emerso che il miglioramento in ambito neuropsicologico dipende dalla frequenza dei trattamenti (almeno 4 sedute settimanali di 1 ora) e dalla durata, ben oltre i 6 mesi di degenza massimi consentiti. Pertanto per ottimizzare gli interventi ed ottenere il miglior recupero è necessario garantire la prosecuzione delle cure dopo la dimissione. Nel grafico 4 è mostrata la situazione in provincia di Bergamo: solo 5 strutture garantiscono ai pazienti la possibilità di accessi ambulatoriali mentre 2 offrono solo trattamenti per logopedia. Conclusioni Le ricerche condotte dagli psicologi e da altri studiosi hanno messo in luce quali effetti devastanti produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. Si è quindi reso sempre più evidente che un progetto riabilitativo non possa più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse di natura motoria e sensoriale, ma risulta essenziale l’intervento di uno psicologo con adeguata formazione. Mediante una valutazione neuropsicologica acquisisce conoscenze relative ad altre funzioni (linguaggio, attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che influiscono negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono un’attenta considerazione al fine si implementare un programma di riabilitazione più efficace. In molte patologie vi è un rapporto diretto tra la presenza/gravità del deficit e le conseguenze che ne derivano: maggior tempo di permanenza nelle strutture sanitarie per il percorso di riabilitazione, minor recupero funzionale, minor percentuale di rientro a domicilio del paziente. La valutazione neuropsicologica di tutti i soggetti cerebrolesi e in particolare di tutti i soggetti postcomatosi, si pone quindi come una necessità per poter meglio pianificare un adeguato progetto di riabilitazione globale e in molti casi può suggerire percorsi riabilitativi specifici per ridurre le influenze negative che i deficit hanno sulle potenzialità di recupero e di reinserimento sociolavorativo. Ogni struttura che si prende cura di soggetti cerebrolesi, dalla fase più precoce quando il soggetto si trova ancora in stato vegetativo fino al reinserimento socio-lavorativo, deve avvalersi di uno psicologo che indaghi le problematiche in ambito cognitivo-comportamentale-relazionale, verifichi le potenzialità di recupero residuo e pianifichi il percorso di riabilitazione più idoneo. Tale intervento 190 consentirà di programmare meglio l’allocazione delle risorse necessarie a sostenere tutto il percorso di cura e assistenza, verificare l’efficacia dei progetti riabilitativi intrapresi e garantire una percorso di cura più attento ai bisogni del soggetto cerebroleso e del suo contesto familiare e sociale. Dall’analisi della situazione attuale della provincia di Bergamo scaturiscono le seguenti necessità: - sensibilizzare la popolazione sul diritto di poter accedere a specifiche valutazioni e trattamenti neuropsicologici adeguati: personale specificatamente formato, frequenza quotidiana dei trattamenti, durata del trattamento di 60 minuti, prolungamento del trattamento fino a quando vi sono margini di recupero, ecc; - sensibilizzare le strutture ad investire fondi per poter migliorare la qualità del servizio offerto, mostrando anche i vantaggi che si possono ottenere da una adeguata valutazione e riabilitazione in ambito neuropsicologico, sia nella gestione dei pazienti cerebrolesi in reparto che nel trattamento motorio; - sensibilizzare le istituzioni perché modifichino i criteri di accreditamento delle strutture, inserendo la figura del neuropsicologo, specificando la numerosità delle ore lavorative del personale specificatamente dedicato anche alla riabilitazione neuropsicologica, e definendo gli standard degli interventi. 191 Valutazione NPS: presenza di Neuropsicologo nella Struttura 8 7 6 5 4 3 2 1 0 NO Dubbia/Insuffic Presente Grafico 1 Valutazione NPS: Posti Letto 666 presenza di Neuropsicologo 350 300 250 200 150 100 50 0 NO Dubbia/Insuffic Grafico 2 192 Presente Riabilitazione Neuropsicologica: Posti Letto 666 300 250 200 150 100 50 0 Nessuno Logo/Fisio senza neuropsic Trattam Strutturato Grafico 3 Strutture che offrono Riabilitazione Neuropsicologica Ambulatoriale 12 10 8 6 4 2 0 Nessuno solo logopedia Grafico 4 193 Trattam Strutturato RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Cappa S.F., Benke T., Clarke S., Rossi B., Stemmer B., Van Heugten C.M., EFNS Guidelines on cognitive rehabilitation: report of an EFNS Task Force, 2003. In: European Journal of Neurology; 10, pp. 11-23 Cappa S.F., Benke T., Clarke S., Rossi B., Stemmer B., Van Heugten C.M., Task Force on Cognitive Rehabilitation. EFNS guidelines on cognitive rehabilitation: report of an EFNS task force, 2005. In: European Journal of Neurology; Sep 12(9), pp.665-680 Cicerone K.D., Dahlberg C., Kalmar K. et al, Evidence-based cognitive rehabilitation: recommendations for clinical practice, 2000. In: Archives Physical Medicine Rehabilitation; 81, pp. 1596-1615 Cicerone K.D., Dahlberg C., Malec J.F., Langenbahn D.M., Felicetti T., Kneipp S., Ellmo W., Kalmar K., Giacino J.T., Harley J.P., Laatsch L., Morse P.A., Catanese J., Evidence-based cognitive rehabilitation: updated review of the literature from 1998 through 2002, 2005. In: Archives of Physical Medicine Rehabilitation; 86, pp. 1681-1692 Lombardi F., Taricco M., De Tanti A., Telaro E., Liberati A., Sensory stimulation of brain injured individuals in coma or vegetative state, 2002. In: Clinical Rehabilitation; 16, pp.465-473 Sohlberg M.M., Mateer C., Intoduction to Cognitive Rehabilitation: theory and practice, Guilford Press, New York, 1989 Vallar G., Cantagallo A., Cappa S., Zoccoletti P. (a cura di), La riabilitazione neuropsicologica, Sprinter-Verlag, Italia, 2012 Làdavas E., Paolucci S., Umiltà C., European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine, vol. 47, 2011 Wilson B.A., Neuropsychological rehabilitation: theory and practice. The Netherlands, Swets & Zeitlinger, 2003 194 IDENTITÀ E DINAMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER E LA QUALITÀ DI VITA DELLA FAMIGLIA Gennaro Esposito 1 Premessa In questo contributo sarà presentata una breve ricerca realizzata avvicinando alcune famiglie con un componente con esiti di grave trauma cranico. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, com’è confermato dalle riflessioni che accompagnano questo intervento, rappresentano un problema di estrema rilevanza che ancora oggi non riesce a ricevere un’adeguata attenzione, soprattutto per le sue fortissime implicazioni familiari e sociali, oltre che sanitarie. “Il Trauma Cranio-Encefalico è tra le più frequenti malattie disabilitanti dovute a danno del sistema nervoso, la sua incidenza è superiore a quella dell'emorragia cerebrale, in Europa Occidentale i ricoveri ospedalieri per Trauma Cranio-Encefalico sono un milione all'anno…. è, inoltre, tra le principali cause di morte in età giovanile-adulta” 2. Le ragioni che giustificano una particolare attenzione per questa categoria di trauma, sono diverse e, nell’esperienza che si presenta in questa ricerca, riguardano le numerose e gravi ripercussioni sull’identità delle persone coinvolte e sulle dinamiche familiari. I dati esposti in questo stesso volume, dimostrano ampiamente l’elevata incidenza e prevalenza di queste tipologie di danno, esse colpiscono ogni fascia d’età e condizione professionale, non escluso i più giovani, i bambini in età scolastica e gli adulti in piena attività lavorativa, anche se, statisticamente, per il trauma cranico si rileva una prevalenza di maschi in età lavorativa. La numerosità e la complessità degli esiti disabilitanti hanno, a loro volta, numerosi risvolti, spesso non gestibili né prevedibili nella loro intensità, sugli aspetti comportamentali, cognitivi ed emotivi della persona coinvolta. Tra i problemi di comportamento, molti dei quali ritrovati durante le interviste, si evidenzia in particolare la possibilità di sviluppare aggressività e violenza, con modalità non coerenti con la situazione in atto, a volte impulsività o disinibizione e ridotto autocontrollo, con possibile alternanza di crisi emotive. Sono stati rilevati, con modi diversificati, fenomeni d’inadeguatezza sociale, forme di comportamento infantile, incapacità ad assumersi responsabilità o accettare critiche ed 1 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo; Docente di Sociologia, corso di Laurea in Scienze Infermieristiche, sede di Bergamo - Università “Bicocca” Milano 2 http://www.traumacranico.net 195 egocentrismo. Tutte condizioni che pesano sulla relazione di coppia e sullo svolgimento dei ruoli familiari di genitore, coniuge o fratello. L’attività sessuale può assumere forme inappropriate, si registrano casi sia di incapacità, sia di mancanza di dolcezza e amorevolezza fino a fenomeni di aggressività e violenza. I problemi di personalità di alcuni pazienti possono essere così gravi da essere diagnosticati, sul piano psichiatrico, con definizioni che rinviano al “disordine organico della personalità”. In ogni caso, anche quello che appare clinicamente rientrante nell’area della “normalità”, fa riscontrare, nell’esperienza soggettiva delle persone, una serie di difficoltà pesanti e spesso insostenibili nei rapporti di coppia e nelle relazioni all’interno della famiglia. Quando il trauma avviene in età giovanile o adolescenziale, talvolta si rileva un condizionamento dello sviluppo, in altre parole è compromessa la capacità di maturare emozionalmente, socialmente, e/o psicologicamente, mantenendo nel tempo atteggiamenti e comportamenti propri di un bambino o di un adolescente. La famiglia vive una serie di intensi accadimenti: dall’evento traumatico si passa alle successive fasi di ricovero, intervento chirurgico, rianimazione, riabilitazione, ritorno a casa e cure domiciliari. Questo susseguirsi di condizioni richiede, di conseguenza, rilevanti modificazioni e adattamenti nello stile di vita dei componenti e dello stesso sistema relazionale familiare. La presenza in famiglia di un soggetto con Trauma Cranio-Encefalico (TCE) crea quindi molteplici stress, di ordine gestionale, assistenziale e organizzativo che sconvolgono i ritmi di vita precedenti, i tempi di lavoro, di relazione, le dinamiche familiari e amicali. Le donne sono quasi sempre le prime, se non le uniche, a essere coinvolte nel ruolo di care giver che si aggiunge a quello sociale di mamma, moglie o sorella. Per il nucleo familiare interessato, il conseguente impatto emotivo, materiale e assistenziale assume l’aspetto di un vero e proprio trauma con il rischio di sviluppare stress post traumatico. Oltre agli aspetti definibili “materiali” però si chiamano in causa gli aspetti psicologici ed emotivi con le loro notevoli ripercussioni sulle relazioni intra ed extra-familiari e sulla propria identità. Il cambiamento dello stile di vita, che la famiglia si trova a dover gestire, è altamente destabilizzante, esso può comportare continue modificazioni: dell'immagine di sé, della considerazione e valutazione che si era fino allora creata del soggetto traumatizzato, delle aspettative nei suoi confronti, delle dinamiche di relazione interpersonali, dei rapporti di dipendenza e delle prospettive temporali. Questa destabilizzazione, probabilmente, costituisce il trauma maggiore e può diventare intollerabile per i familiari, portarli a vissuti d'impotenza, di senso di colpa, di angoscia, di depressione, di negazione del problema, numerosi sono i fenomeni di attacco di panico. Spesso le persone che assistono, in particolare le mamme e le mogli, sono orientate ad assumere nei confronti del traumatizzato atteggiamenti molto diversi e a volte contraddittori tra loro, che vanno dal rifiuto all’iperprotezione. L’atteggiamento più diffuso, in ogni caso, resta la presa in carico totale del proprio congiunto con assunzione di un compito che condiziona tutti gli aspetti della propria vita. 196 Vi sono casi di disgregazione familiare e rottura dei rapporti di coppia, non solo quando persona con trauma cranico è il marito ma anche se è coinvolto il figlio o il fratello. Si riscontrano, inoltre, le conseguenze sociali in termini di difficoltà di reinserimento scolastico o lavorativo per la persona con TCE e per il suo nucleo familiare. Esse portano a una richiesta di un maggiore e diverso coinvolgimento del sistema del welfare locale, dei servizi sociali comunali e di Ambito Territoriale. Non sempre i servizi sono riconosciuti come adeguati o preparati, anzi a volte sono percepiti come del tutto assenti nell’offrire il sostegno necessario. Tutto questo rende evidente, in modo particolare, la necessità indifferibile di pensare a interventi complessi e prolungati nel tempo, modificati in funzione del bisogno specifico della persona con cerebrolesioni, all’interno della sua dinamica familiare. Ricerca qualitativa sulle persone che assistono congiunti con gravi cerebrolesioni Per una riflessione sulle dinamiche familiari, in seguito ad un evento critico come quello del Trauma Cranio-Encefalico, si è ritenuto più opportuno utilizzare l’approccio della Sociologia Qualitativa. Le radici della distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa risalgono a paradigmi di riferimento radicalmente differenti. La ricerca quantitativa, la più nota tra le tipologie di ricerca, è quella che più ha affinato tecniche, modelli matematici, statistiche complesse, etc. Essa è diventata, di fatto, lo strumento più diffuso per la ricerca orientata alla “verifica di ipotesi”. Alla ricerca quantitativa potremmo attribuire due presupposti impliciti fondamentali: a) la concezione che la realtà da conoscere sia meglio descritta dai fenomeni più diffusi, in altre parole, i fatti sociali significativi sono quelli di maggiore frequenza perché descrivono meglio come agiscono le persone; b) i fatti devono essere registrati nel modo più oggettivo possibile facendo si che il ricercatore non interagisca con i risultati della sua ricerca. Uno dei problemi fondamentali della ricerca quantitativa è la misurazione dei fenomeni, sociali che, in genere, sono frazionati operativamente in una serie di indici o indicatori empirici. Alla ricerca quantitativa fanno riferimento alcune tecniche di indagine, tra cui: questionari, censimenti, interviste strutturate. La ricerca qualitativa ha invece altri presupposti impliciti e cioè: a) se un fenomeno, un fatto sociale, è accaduto o vissuto da una persona, questo significa che è possibile che anche altre persone possano vivere la stessa esperienza; b) la ricerca sociologica non si pone su un piano diverso da quello dei suoi oggetti di ricerca, la possibilità di mantenere una distanza oggettiva e neutrale dalle cose studiate è ritenuta inutile o addirittura un’utopia, alcune volte dannosa. 197 Per quanto riguarda quest’ultimo punto, accade che, proprio grazie al coinvolgimento, si possano vedere e comprendere dimensioni dell’agire umano che altrimenti non sarebbero rilevate, compresi i modi con cui le persone rielaborano soggettivamente la loro esperienza. I sociologi qualitativi rivendicano due principi fondamentali: (Schwartz, Jacobs, 1987). - l’indicalità: i risultati sono comprensibili solo in un certo contesto; - la riflessività: i risultati appartengono all’oggetto a cui si riferiscono. Alla ricerca qualitativa si associano altre tecniche, tra cui: l’etnometodologia, le interviste libere, le storie di vita, l’analisi del contenuto… Come è noto a chi fa ricerca sociale, queste distinzioni si realizzano in assoluto solo in teoria e nessuna indagine è interamente collocabile in una sola tipologia (Boudon, 1970). In ogni caso la ricerca proprio perché condotta con approccio sociologico ha l’obiettivo di trovare i rapporti tra: - le idee, individuando le rappresentazioni sociali, le ideologie, le opinioni e i valori che guidano le persone avvicinate; - le idee e i fatti, cercando di ricostituire i sistemi di azione, ovvero i modelli di riferimento e i percorsi fatti dalle persone. La comprensione del soggetto è dunque l’obiettivo dell’analisi qualitativa, essa mira alla costruzione di classificazioni e di tipologie; la presentazione dei dati è di tipo narrativo-descrittivo. L’ambito privilegiato dell’analisi qualitativa è la sfera del mondo della vita quotidiana; il ricercatore cerca di entrare in contatto diretto con questo mondo e con i soggetti che ne fanno parte affidando alla sua sensibilità sociologica la conduzione della ricerca; stabilire un’interazione diretta permette di entrare in empatia con il soggetto studiato e cogliere i significati più profondi. Le procedure che fanno capo alla ricerca qualitativa prese in considerazione per quest’indagine sono state di conseguenza basate: - sull’osservazione, considerata come analisi diretta degli eventi o dei comportamenti oggetto di studio; nel caso della riflessione qui presentata sono state utilizzate come tecniche l’osservazione partecipante, l’intervista discorsiva e il focus group; - sull’interazione verbale fra ricercatore e soggetto di ricerca, tramite conversazioni, colloqui, interviste aperte; nel nostro caso le persone coinvolte sono state avvicinate grazie alla Associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo (AATC) e all’Associazione Disabili Bergamaschi (ADB); - sull’attivazione di risposte in seguito a stimoli preordinati, nel nostro caso si è usata una traccia predisposta per accompagnare il percorso dialogico. Bichi (2002) utilizza il termine "intervista biografica" per indicare tutte quelle tipologie d'intervista che sono caratterizzate da bassa standardizzazione, bassa direttività e da una traccia altamente strutturata ma non somministrata. La traccia è, di fatto, una scheda che serve da guida al ricercatore durante le interviste che si svolgono all'interno di una situazione sociale particolare, la cosiddetta situazione d'intervista. 198 Possiamo quindi individuare le fasi che caratterizzano la realizzazione di un'intervista biografica: a) costruzione della traccia d’intervista; b) costruzione del "campione" teorico – destinatari della intervista; c) realizzazione delle interviste biografiche; d) ascolto e trascrizione delle interviste; e) analisi delle interviste; f) costruzione del modello interpretativo e stesura del report finale. Il Metodo Schema di ricerca con i familiari di persone con Trauma Cranico Approccio Analisi qualitativa Finalità dell’indagine - Individuare i significati soggettivi che i care givers attribuiscono alle loro attività assistenziali, alle dinamiche familiari in atto e ai contesti di vita - Descrivere il modo in cui le persone reagiscono all’evento critico e ricostruiscono la loro dinamica relazionale (attraverso il linguaggio e la conversazione) Obiettivo specifico Individuare i processi di definizione/ ridefinizione delle identità dei care givers in seguito alle mutate condizioni relazionali Metodi Osservazione partecipante, intervista discorsiva, focus group Note di metodo La consapevolezza da parte del ricercatore di non essere neutrale sia dal punto di vista teorico che da quello metodologico. Utilizzare l’osservazione partecipante, cioè “far parte di”, anche se per un breve periodo, richiede, di fatto, un coinvolgimento e determina la creazione di “legami”, con le persone, crea esperienze emotive che condizionano inevitabilmente la lettura dei fatti. Si determina un’interdipendenza, una non separazione, tra ricercatore e soggetto studiato. Nello stesso tempo le tecniche qualitative come l’osservazione partecipante e il focus group permettono di cogliere dimensioni 199 umane e relazionali che altrimenti sfuggirebbero nell’utilizzo di tecniche quantitative più “oggettive”. (In realtà le conclusioni di una ricerca sociale sono sempre in qualche modo condizionate dai propri schemi impliciti e modelli di riferimento). Approccio interpretativo finalizzato alla ricerca del significato che le persone danno della loro condizione, in modo da poter comprendere l’esperienza soggettiva dei care givers. Analisi dei dati Analisi del contenuto e delle narrazioni, osservazione dell’interazione, analisi del discorso e della conversazione. Traccia dell’intervista/conversazione Percorso dialogico su Evento L’arrivo della la notizia, le prime sensazioni, e la prima rielaborazione dell’esperienza (come ho vissuto gli eventi). I primi giorni, le cure sanitarie I vissuti personali, come si gestivano (vivevano) le informazioni cliniche, cosa accadeva dentro di se nella propria famiglia. La riabilitazione i percorsi fatti Il carico assistenziale e le ripercussioni emotive. Le dimissioni: è ora? Quale futuro ci si è rappresentati? (timori, speranze, rassegnazione, solidarietà, solitudine…) La dinamica familiare nei mesi seguenti e nel medio lungo periodo La trasformazione dell’Identità e le nuove relazioni interpersonali. La ridefinizione dei ruoli familiari di madre, moglie, figlio, padre. Il rapporto di coppia, crisi, rottura, ridefinizione. La relazione genitoriale. 200 Il percorso dialogico è stato rivolto all’analisi dell’interazione sociale individuale, in base al paradigma che la realtà sociale, ogni realtà sociale, viene interpretata dai soggetti che la vivono. Secondo il metodo della comprensione proposto da Weber non è sufficiente individuare le relazioni quantitative, ma è necessario immedesimarsi, rivivere, intendere (Verstehen): si cerca allora di cogliere l’intenzionalità dell’agire umano, attraverso il senso soggettivo attribuito dall’individuo al proprio comportamento. Comprendere, allora, significa immedesimazione, capire il punto di vista dell’altro; il mondo dei fatti diventa conoscibile attraverso il significato attributo dagli individui. Questo senza cadere nell'individualismo soggettivista e nello psicologismo. Nelle analisi delle micro dinamiche relazionali il mondo che si conosce è quello del significato attribuito dagli individui, significato che varia fra gli individui a seconda delle loro esperienze e delle culture di appartenenza. Esiste una difficoltà della ricerca sociale di considerare la soggettività, essa è senza dubbio determinata dal fatto che “le problematiche relative all'identità si fondano su dei processi sociali, simbolici e psichici, collegati tra loro"3. Si tenta continuamente di chiarire la questione che oppone la sostanzialità dell'identità ai processi d'individualizzazione: la soggettività si struttura come uno spazio autonomo? O invece è fortemente legata alle reti di relazione e in particolar modo al rapporto con l’altro? Le ricerche in questo settore e l'interpenetrazione dei molteplici approcci che, nelle scienze umane e sociali, esaminano l'emergenza del soggetto tra costruzione dell'identità e legami sociali, si soffermano sull'analisi del linguaggio e della comunicazione come elementi fondamentali della costituzione del sociale. Il discorso, la narrazione, "sostituisce il vissuto", o meglio ridefinisce il vissuto e lo recupera in nuove dimensioni, inducendoci a considerare come "la soggettività e l'identità diventano linguaggio". Le donne intervistate hanno parlato più volte di un periodo vissuto in cui la parola era repressa. Il dolore era inenarrabile, perché nessuno avrebbe potuto comprenderlo. Parlarne allora, anche se a distanza di tempo e con persone che condividono almeno in parte questa esperienza, diventa “liberatorio”, ma soprattutto crea legami di appartenenza, ricostruisce il vissuto doloroso in una dimensione sopportabile, non più tragicamente distruttiva. Situandoci in questa dislocazione metodologica e teorica, dal registro esistenziale al registro narrativo, e considerando inoltre il linguaggio specificamente connesso alla socializzazione degli 3 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico, Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano. In: http://www.analisiqualitativa.com/magma/0000/intervista.htm m@gm@. Rivista Elettronica Trimestrale di Scienze Umane e Sociali, ottobre/dicembre, 2002 201 individui, l’intervista permette un’interpretazione dei rapporti intersoggettivi solidamente strutturati nel discorso4. L'attenzione al linguaggio e ai processi di socializzazione e di integrazione nel gruppo, consente inoltre di considerare il discorso e la sua interpretazione relativamente a persone fortemente implicate in una relazione, nel caso della nostra ricerca fortemente compromessa e problematica. Diversi studiosi ritengono che comunque l'apparato psichico, in quanto organizzazione di diversi sistemi, ridefinisce i processi d'identificazione attraverso l'immagine e il discorso5. L’attenzione alla centralità del soggetto fa emergere come le persone si confrontano con delle istanze intermedie, mentre con le scienze quantitative abbiamo invece che la ricerca porta ad un appiattimento delle differenze, spesso, nei valori “medi”, con la scomparsa della singolarità e l'eliminazione delle particolarità, tutti sono uguali e tutto è globale. Le interviste sono state rivolte ai soggetti selezionati secondo un piano di rilevazione, guidato dall’intervistatore e sulla base di uno schema di interrogazione flessibile, non standardizzato e non strutturato, se non minimamente. Le caratteristiche dell’intervista qualitativa sono state: - assenza di formalismo; - spiegazione e comprensione dell’obiettivo dell’intervista (contesto della scoperta); - assenza di campione rappresentativo (a differenza dell’intervista quantitativa che usa il questionario); - approccio centrato sul soggetto. Si è quindi utilizzata l’intervista a testimoni privilegiati e il gruppo (focus group) è stato avvicinato nel suo insieme; i soggetti sono state le Donne dell’Associazioni AATC di Bergamo (Associazione Amici Traumatizzati Cranici) e ADB (Associazione Disabili Bergamaschi); esse hanno sviluppato particolare esperienza sul campo, anche per l’impegno sociale e materiale nell’assistere le persone coinvolte. Il percorso dialogico Il materiale utile per condurre questa ricerca è stato raccolto grazie agli incontri, avuti in riunioni, in momenti informali e formali quando si è condotta per la vera è propria intervista. E’ chiaro, quindi, che le informazioni che ho potuto raccogliere, in un’indagine di tipo qualitativo, non sono state acquisite solo durante l’intervista ma in più occasioni, legate alle osservazioni, alle 4 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico, Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano, op.cit. 5 Meltzer D. M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro Scientifico, Torino, 1990 (1983) 202 sensazioni, ai colloqui, avuti negli incontri precedenti e che si sono avute nei mesi antecedenti la stesura di questo contributo. L’indagine comprende di conseguenza anche tutte quelle riflessioni stimolate dall’osservazione partecipante e dai colloqui informali. In questo tipo di indagine non esiste uno spazio per chi detiene un sapere diverso da quello delle persone con cui si confronta. Nello stesso tempo si ritiene che le persone non possano essere studiate come esseri isolati essendo, al contrario, individui costantemente in relazione e in comunicazione, anche se conflittuale, all’interno di un sistema culturale carico di simboli6. Nel nostro caso i simboli sono le aspettative culturali del contesto di appartenenza sul ruolo di madre e moglie. Il lavoro di cura è fondato, ancora oggi, su una certa concezione del femminile; anche quando accade un evento di traumatico, il contesto sociale definisce un insieme di azioni di accettazione o di denigrazione intorno alle persone. L’apertura “formale” di questa fase della ricerca, è stato l’incontro in cui sono state raccolte, registrandole, le riflessioni, i pareri e lo stesso racconto degli eventi accaduti; questo ha permesso un confronto intenso con persone che hanno congiunti con trauma cranico. Una parte rilevante delle interviste è stata fatta presso l'abitazione di una mamma, che ha ospitato il gruppo per lo svolgimento della ricerca. La casa è attrezzata per poter meglio assistere il figlio: in un grande spazio abitativo c'era da un lato la sezione cucina, al centro il letto assistito con il ragazzo e d'altro lato la camera con il letto matrimoniale dei genitori, divisa da una struttura con parete mobile. Mentre noi conducevamo la nostra conversazione, la sorella del ragazzo continuava ad assisterlo, in particolare garantendogli l’igiene personale e imboccandolo poi per l’alimentazione. Le persone presenti, tutte donne, mamme o mogli di persone che avevano subito un trauma cranico, più un marito, ormai si conoscevano da qualche tempo e avevano una certa confidenza tra loro. Avere in comune un'esperienza così forte sicuramente ha permesso di costruire legami, intendersi; non è noto quanto del loro dolore sia stato già verbalizzato nelle loro interazioni precedenti, certo ogni tanto nei racconti esso affiorava attraverso momenti intensi di commozione. E’ probabile che la comprensione tra le persone sia favorita quando si condivide un dolore, in questi casi le parole richiamano più facilmente emozioni e processi di empatia. Ci si rispecchia nell'altro più facilmente, perché dentro di se si può pensare che l’altro mi capisce, sa di cosa sto parlando, sono le mie stesse sofferenze e mi può comprendere. Lo stesso gruppo delle donne intervistate riteneva che gli altri, il mondo esterno, non potranno mai capire come stanno veramente le cose. Si è partiti utilizzando la scheda-traccia dell’intervista, all'inizio chiedendo di raccontare come si era 6Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988) 203 saputo o era stato annunciato l'evento traumatico e/o l’incidente. Quasi sempre le prime notizie sono già di per se sconvolgenti, anche se, in genere, nei momenti iniziali si sentono parole abbastanza rassicuranti: “non preoccuparti” “il ragazzo sta bene” “lo hanno portato al pronto soccorso subito”, ma è proprio lì che si inizia a raccogliere la drammaticità di ciò che è accaduto, con le mamme che cominciano a sentir dentro qualcosa di strano, le prime sensazioni che le cose non sarebbero state così semplici. Frammenti di discorsi... 1 – mamma, incidente con motorino 2 – moglie, incidente sul lavoro 3 – moglie, incidente d’auto 4 – marito, (colpito da emorragia ischemica) 5 – moglie, emorragia ischemica 6 – mamma, incidente motorino 7 – mamma, incidente d’auto 8 – mamma, incidente con motorino 9 – sorella, incidente d’auto I casi avvicinati riguardano quasi tutti esiti da incidenti stradali: per i più giovani, sul motorino o anche a piedi, due erano i minorenni; tra gli adulti c’è stato un caso di emorragia cerebrale e uno di incidente sul lavoro. Come è arrivata la notizia Quando accade l’incidente, la notizia arriva quasi sempre a telefono, a volte le parole sono: “Non si preoccupi, un piccolo incidente”;“Gli ho parlato prima che andasse via con l’ambulanza”. “Al telefono mi dicono abbiamo portato il figlio in ospedale”. (1- mamma) Qualche volta è una persona di famiglia, altre il datore di lavoro. 204 Pensieri contrastanti, quando si tratta del figlio a volte vengono pensieri di rabbia, quasi di rimprovero, verso l’inavvedutezza del ragazzo, ma nello stesso tempo sopravviene la paura. “In genere uno si preoccupa quando il figlio esce di sera, non ci si aspetta che possono accadere all’una del pomeriggio”. (1 - mamma) “Mio marito è andato a lavorare, la notizia arriva da sua sorella, il datore di lavoro aveva un numero vecchio di prima il matrimonio, è accaduto dodici anni fa, a 48 anni”. (2 - moglie) “E’ stato un incidente sul lavoro a causa di un carico pendente, dopo il colpo si è perfino rialzato, ma dopo gli si è aperto il cranio”. (2 - moglie) “La notizia mi è venuta da mia suocera perché i vigili erano andati da lei”. (3 - moglie) “Mi ricordo ancora la strada che ho percorso per andare in ospedale, ma in quel momento ancora ho sempre sperato che si riprendesse, prima che passasse il momento tra la vita e la morte poi avevo sempre la speranza che poteva recuperare sempre di più”. (3 - moglie) “Per me è stata durissima però avevo la speranza che recuperava sempre un po’ di più”. (3 moglie) “Mi hanno chiamata dal lavoro, mio marito aveva perso conoscenza, sono corsa all’ospedale e sono arrivata prima io all’ospedale dell’ambulanza”. (5 - moglie) “Quindi ero già li e il medico ha capito subito quello che era successo, era già in coma, intubato”. (5 - moglie) “Mio figlio aveva 16 anni quando ha fatto l’incidente, sono venuti i suoi amici a darmi la notizia”. (6 mamma) “Dentro di me qualcosa già saltava, mi avevano detto che parlava, quando sono andata al pronto soccorso mi hanno detto che non potevo vederlo”. (6 - mamma) “Non è stato un incidente è stata una ipertensione aggravata da farmaci inadatti. – la sua terapia era stata abolita perché non era più idonea e lui non l’aveva saputo. Avrebbe dovuto cambiare immediatamente la terapia. La lettera ha girato un mese prima di arrivare a casa, ed è arrivata proprio il giorno in cui lui ha avuto l’ictus”. (5 - moglie) “Il giorno dell’incidente aveva 16 anni , mi ha chiamato mio marito, io ero al lavoro”. (8 - mamma) “Mi dicono tranquilla è caduto dalla moto ma nulla di grave” Sono arrivata tranquilla fino al luogo dell’incidente, anche perché mio marito mi aveva rassicurato. Poi sono arrivata all’ospedale e avevo strani sentori”. (8 - mamma) “Mi hanno parlato per prima i vigili e mi hanno detto che la situazione era grave”. (8 mamma) 205 Il ricovero e le cure “L’arrivo al pronto soccorso, si pensa di essere in un incubo, che si sta sognando, si passa il tempo pensando alla gravità delle cose. Si ha lo shock quando lo si vede rapato a zero, con i fili, con i primi macchinari. Le 72 ore per sciogliere la prognosi , o campa o muore”. (1 - mamma) “I primi giorni si vive nell’incredulità, sembra impossibile che accada una cosa del genere, mio figlio non ha mai più parlato. Dopo tre mesi è stato dimesso dall’Ospedale Maggiore, con informazioni appena sufficienti”. (1 - mamma) “Sentivamo di essere in buone mani ma passata la fase acuta, vista la gravità, nessuno lo voleva per la riabilitazione. E’ li che abbiamo sentito l’abbandono, non ci credevano neanche i medici…Verso la fine poche informazioni e mancata chiarezza di cosa dovevamo fare”. (1 mamma) “Al pronto soccorso mi hanno detto solo stia seduta e aspetti… aspettavo” (2 – moglie). “C’è stato un consulto medic…poi sono usciti. Dopo ore è uscito il medico, mi ha fatto vedere tutte le carte , mi ha spiegato tutto, mi ha fatto entrare in una stanza e mi ha detto che non so se lo rivede. All’ospedale sono molto duri”. (2 - moglie) “L’ho visto sul lettino coperto, non aveva ferite visibili”. (2 - moglie) “Mi hanno dato le sue cose e detto che lo portavano in sala operatoria e mi hanno detto aspetti che “arriverà un medico per farle firmare l’espianto”. (2 – moglie) “Il mio pensiero era che avevo due figli di 7 e 10 anni a casa, …non avevamo mai neanche parlato di queste cose,…. espianto non espianto”. (2 - moglie) “La speranza che si sbagliavano non mi veniva neanche.. Mi avevano detto che era entrato materiale nel cranio, pezzi di casco, di osso, olio minerale… e che gli avrebbero lavato il cervello. Poi invece è uscito ed è andato in sala rianimazione e dopo 20 giorni ha cominciato ad aprire gli occhi”. (2 - moglie) “Mi hanno detto signora si aspetti di avere un vegetale”. (2 - moglie) “Allora gli ho detto ma se io gli registro le parole dei bambini per farle ascoltare per stimolarlo…, mi hanno risposto signora guardi che: <Non siamo in un film> ma se vuole… Allora l’ho fatto e per giorni gli facevo sentire la voce dei bambini, poi era in coma farmacologico per il dolore che poteva avere allora, non si sa se non sente per i farmaci o per la sue ferite. Allora gli ho fatto sentire le voci dei bimbi e lui si è scosso e un giorno è scattato e ha alzato la testa dal cuscino. Allora i medici sono corsi tutti e l’hanno sedato perché è era molto agitato”. (2 moglie) 206 “C’era sempre la speranza che migliorasse”. (3 - moglie) “Ha fatto mesi di coma vigile, poi per un anno ripeteva solo l’Ave Maria, poi ha cominciato a leggere e a parlare un po’ anche se con molte difficoltà. Nell’esprimere le sue opinioni ha ovviamente delle difficoltà”. (3 - moglie) “Da come loro mi avevano detto, che non si sapeva come si sarebbe svegliato questa per me è una grande conquista”. (3 - moglie) “In quel momento è uscito tutto intubato, ho seguito l’ambulanza allora con mia figlia, abbiamo seguito l’ambulanza fino a Bergamo e ancora non me lo lasciavano vedere”. (6 – mamma) “Poi sono entrata era tutto nudo, era freddo, gli usciva sangue dalle orecchie e dal naso, pieno di tubi mi sentivo morire. Dalle otto di sera è entrato in sala operatoria a mezzanotte, e mi hanno detto che non sapevano se usciva vivo”. (6 – mamma) “Mio marito è arrivato subito..., il curato della parrocchia con i ragazzi hanno fatto passare la voce, io non vivevo in quei momenti”. (6 – mamma). “Poi è uscito dalla sala operatoria è andato in rianimazione e il medico mi ha detto signora guardi non so se arriverà al mattino”. (6 - mamma) “Non sapevo più se a parlare o urlare, non sapevo cosa fare, mi hanno detto di andare a casa”. (6 mamma) “Alle otto del mattino mi chiamano dall’ospedale e mi hanno detto che dovevano rioperarlo. Il cervello gli stava esplodendo e dovevano rioperarlo. E’ stato più il danno per questo che per l’incidente”. (6 – mamma) “E’ rimasto cieco per tanto tempo poi ha ripreso, è rimasto cieco per un occhio. L’hanno tenuto in come farmacologico per qualche giorno”. (6 - mamma) “Ogni tanto o faceva dei movimenti o riapriva gli occhi, allora speravo che si stesse risvegliando invece mi dicevano che erano solo dei movimenti involontari”. (6 - mamma) “Poi lo hanno operato alle altre fratture che aveva alle gambe e poi ha cominciato la riabilitazione”. (6 – mamma) “Quando l’ho visto cieco, ho perso le speranze che recuperava, poi lui non parlava e cominciava a piangere”. (6 – mamma) “Mi hanno accompagnato in una stanzina, mi hanno offerto qualcosa … dopo gli hanno fatto una risonanza e lo hanno portato di sopra verso le otto, mi pare, sono entrati in sala operatoria e dopo mi hanno detto non sappiamo se sopravvive. Io ho chiamato la mia famiglia, è arrivato mio fratello, è andato a prendere i ragazzi a casa, che non sapevano niente. Poi ho chiamato i fratelli di mio marito”. (5 - moglie) 207 “E’ stato ricoverato per 26 giorni in terapia intensiva in coma, poi si è risvegliato. Quando lo hanno dimesso mi hanno detto esattamente quello che avrebbe avuto. I problemi di memoria, etc., l’autonomia personale è fortemente condizionata”. (5 - moglie) “Il primo intervento è stato rene e milza, poi è entrato in coma durante l’intervento. Invece poi mi dissero che in chirurgia non c’era posto, c’erano stati incidenti in autostrada. Poi una persona anziana è stata spostata , col consenso dei parenti, per dare soccorso a mio figlio”. (8 - mamma) “Cominciarono a dire che se sopravvive rimarrà vegetale, ero li io e mio marito, mi parlarono di espianto”. (8 - mamma) “Io e mio marito eravamo in silenzio, non sono mai riuscita a condividere, io ho voluto sempre dire che mi davano fastidio le persone che mi stavano vicino”. (8 – mamma) “Poi ci hanno detto che probabilmente non sarebbe uscito dalla sala operatoria”. (8 - mamma) “Poi è uscito alle 3 e mezzo di notte ed è stato in coma diversi mesi”. (8 - mamma) “I primi mesi era anche sotto dialisi, poi abbiamo fatto il percorso di rianimazione a Mozzo, ha cominciato a riconoscermi”. (8 - mamma) “Quando sono andato dal medico a dirgli che mio figlio si stava risvegliando, il medico mi ha preso per matta, che aveva fatto tutti i test proprio qualche minuto prima, poi in rianimazione si stava solo un quarto d’ora e ti mandavano via. Molti medici non ascoltano mai i familiari”. (8 - mamma) Dopo le dimissioni “Nove anni fa ci hanno ridato un figlio e dimesso come se avesse avuto una appendicite, gli devo dire grazie perché sono stati bravissimi, ma al momento della dimissione mi hanno detto questo è vostro figlio, queste le medicine che sta prendendo. E poi niente”. (1 - mamma) “Poi ha avuto le prime crisi epilettiche, tre mesi dopo l’incidente”. (1 - mamma) “Avevo un ragazzo autonomo che si confidava, era un giovane adulto e poi mi ritrovo un figlio che non comunica. Ho un rapporto come tra una mamma e un neonato solo che lui è un adulto”. (1 mamma) “Il primo anno vivevamo praticamente intorno all’ospedale e per l’ospedale, poi portato a casa sembrava che potevamo riposarci perché non dovevamo stare di notte, correre tutti i giorni, andare e venire. Portarlo a casa ci ha alleggerito anche se l’assistenza è 24 ore su 24, ma in ospedale non potevamo riposare”. (1 - mamma) “Il contesto familiare è stato un po’ rilassato, i primi tempi ti vengono a trovare, poi gli zii mollano, gli unici che in genere non mollano sono i nonni... Mio marito invece è figlio unico”. (1 - mamma) 208 “I nonni reggono un po’ di più ma se prima si fermavano anche per la cena ora cercano di andare via prima”. (1 - mamma) “La vita quotidiana con un figlio, in realtà lui ora dopo tanti anni non è il problema maggiore ma il minore, restano un peso gli aspetti logistici, i giudici tutelari, le pratiche, fare le spese”. (1 mamma) “Era rimasto però 4 mesi muto. Ora dopo anni è afasico ma parla, anche se con difficoltà, ha ripreso a camminare con tutte e due la gambe, ha una emiparesi sulla destra e non muove la mano”. (2 - moglie) “Lui ha sviluppato autonomie, a casa ha cominciato a camminare, ha ricominciato a scrivere con la sinistra e così a mangiare, ma la maggioranza dei medici non sapeva cosa dirmi”. (2 - moglie) “Avevo dei bimbi attaccatissimi al padre e lui lo era per i figli.” (2 - moglie) “Ho fatto tutto il percorso e un po’ l’avevo già davanti in quanto infermiera, lui ha recuperato sempre un po’ di più anche se non deambula ed è molto dipendente, cammina solo accompagnato ma non va da solo in bagno, non ce la fa, ha difficoltà nel mangiare e nella relazione“. (3 - moglie) “Capisce tutto, legge, fa i conti più veloce di me, ma ha problemi comportamentali facciamo moltissime passeggiate ma non in contesti con tanta gente, rumore, se incontriamo qualcuno non ci sta, si mette a urlare… Non vuol stare più in mezzo alla gente, se c’è rumore etc. se qualcuno parla con me comincia a urlare”. (3 - moglie) “Fino a 4 anni fa l’ho gestito da sola poi sono crollata, anch’io e ho dovuto prendere una badante che mi dia una mano. Ora con questa badante mi permetto di uscire da sola, di andare al cinema, in piscina, etc.”. (3 - moglie) “C’è stato un momento, adesso un po’ meno, che si è reso conto anche lui della mia presenza e ora se mi dovesse succedere qualcosa anche lui adesso dice cosa faccio io, ora sa che ha bisogno della mia presenza”. (3 - moglie) “Poi ha avuto reazioni aggressive, mi tormentava le mani, dopo tanto tempo ha ricominciato a vedere”. (6 - mamma) “Ora ha recuperato va a lavorare, in piscina, il problema è che ora è un bambinone, ha trent’anni ma ti abbraccia, gioca etc. se deve andare da qualche parte vuole essere accompagnato”. (6 mamma) “Lui ha un carattere pacifico, gentile, era un una persona con lavoro importante, un lavoro in cui doveva sapere mediare e questa cosa gli è rimasta, andiamo a cinema, a teatro, etc.”. (5 - moglie) “E’ vero che a volte non trova neanche il bagno di casa però in un po’ di anni ha recuperato molta autonomia”. (5 - moglie) 209 “Bisogna ricordargli di far la barba, la fa e poi esce, hai lavato i denti? li lava ed esce, fai la doccia e la fa, una cosa alla volta. Ora si veste da solo”. (5 - moglie) “Mio figlio si è ristabilito abbastanza bene, ora ha 30 anni, lavora ma amici niente. E’ stato investito da un motorino. All’inizio avevano detto speranze poche”. (6 - mamma) “Il problema adesso è che non ha veri amici e frequenta cattive compagnie, ho forti timori per lui. E vuol fare tutto quello che faceva prima, vuole compagnia ma si fida troppo degli amici, alcuni vivono, di fatto, alle sue spalle. Sono orientata a fare delle denunce per proteggerlo. Ci sono delle persone che temiamo”. (7 - mamma) “Lui ora ce l’ha su con la psichiatria, anche se negli ultimi tempi si sta ricredendo. Infatti vogliamo tornare a parlare con la assistente sociale della psichiatria dei problemi che sta vivendo”. (7 mamma) “Non mi ha mai toccato ma a volte mi minaccia, quando ha quegli scatti mi fa paura, rientra spesso la notte tardi, ho intenzione di mettere le sbarre a porte e finestre”. (7 - mamma) “Poi man mano che si va avanti diventano aggressivi, quando è uscito faceva le prove con le mani e spappolava le mani a tutti stingendole troppo, ancora oggi ogni tanto si mozzica la mano anche se non sopporta il dolore e ha paura a tagliarsi le unghie”. (8 - mamma) “E rimasto sette mesi in terapia intensiva, non sopporta il dolore, anche per curare i denti abbiamo dovuto portarlo in ospedale”. (8 - mamma) “Ha recuperato e la sua memoria ha ripreso abbastanza, ama la musica, la storia, lavora”. (8 mamma) “Si è sempre in ansia e si ha paura che possa succede qualcosa, anche se non ha avuto crisi epilettiche ho sempre paura che accadano, si tende sempre a proteggerli perché si vedono indifesi”. C’è questa protezione continua”. (8 - mamma) “Quando è stato dimesso dall’ospedale, era tutto una piaga, pannolini: poi ha recuperato, io lavoravo e sono rientrata a lavorare part time”. (8 - mamma) “Ormai ha recuperato, guida, però se deve cambiare la ruota non ci riesce, non potrà mai vivere da solo, non sa cambiarsi il catetere, ma cognitivamente è adeguato”. (9 - sorella) “…Va con gli amici, al cinema etc.”. (9 - sorella) “Esiste anche un problema legato a dove abita la gente. Mentre i corsi di nuoto, hanno avuto molto più successo, sono anche occasione di socializzare e incontrarsi, far passare informazioni in via informale”. (9 - sorella). 210 Il legame familiare e di coppia Dopo le dimissioni ci sono stati i contrasti dopo tutto quello che avevo fatto per lui: “Mi ha anche detto che lui ha lottato per i figli e che se fosse stato con me non l’avrebbe fatto, visto che io avrei potuto rifarmi la vita”. (2 - moglie) “Questo mi ha scatenato una forte depressione, in parte ho recuperato ma solo perché ho imparato a gestire questa cosa con mio marito”. (2 - moglie) “La dinamica non è più tra marito e moglie ma tra mamma e figlio, abbiamo comunque problemi sulla sfera affettiva e sessuale e dobbiamo gestirla per non fargliela pesare”. (2 - moglie). “Ci sto per dovere? Per amore”. (2 - moglie) “Rimane il vecchio legame affettuoso, la promessa che hai fatto, nel bene e nel male nella malattia e nella salute”. (2 - moglie) “Si pensa che i figli abbiano bisogno che questo legame venga in qualche modo mantenuto”. (2 moglie) “Avendo dei figli devi sempre farli vedere che il papà c’è e non ha perso tutte le qualità; i figli hanno già avuto una batosta di questo genere e allora si pensa di non aggiungere le altre”. (2 - moglie) “Cerchiamo di mantenere una parvenza di famiglia”. (2 - moglie) “Nel legame con le persone si sacrificano certe dimensioni personali per mantenere il legame familiare”. (2 - moglie) “Questo lo fa soprattutto la donna e lo fa soprattutto per i figli, non faccio niente se questo può portare anche una piccola sofferenza ai figli”. (2 - moglie) I figli sono sempre un po’ conservatori, cambiano, loro crescono ma quasi pretendono che la coppia genitoriale non si muova da li. E’ come se dicessero: non fate troppi litigi, non troppi battibecchi e cercate di stare buoni. “La donna è più forte, ha più senso del dovere verso il marito e figli, si carica anche di più sofferenza perché è più forte”. (2 - moglie) “Secondo me le donne sono la famiglia, veniamo anche da un’altra generazione”. (8 - mamma) Basta la spiegazione “che le donne sono più forti”? E’ sufficiente questa dimensione? “Forse le donne tra venti anni non faranno più questo, allora non saranno più così forti? Le più giovani piantano più facilmente il marito. Come per il divorzio le più giovani lo fanno più facilmente di quelle meno giovani”. (8 - mamma) 211 “Nel mio caso, per me, è stato amore, io avevo 34 anni e lui 39, eravamo sposati da dodici anni, non ho neanche figli, il mio primo istinto non è riuscire ad abbandonare mio marito perché mi sentivo forse persa io senza di lui, era più forte questo amore”. (3 - moglie) “Forse il pensiero di fuga può venire dopo ma per me era solo amore, non c’era neanche il legame dei figli”. (3 - moglie) “Questo viene dopo con gli anni”. (8 - mamma) “Abbandonandolo mi sarei sentita persa nella mia identità di donna e di persona”. (3 - moglie) “Prima lavoravo poi ho smesso e ho cominciato a dedicarmi principalmente a lui”. (3 - moglie) Io sono quel che sono, donna, madre e moglie e ho costruito la mia identità che è anche la mia forza. In questo mio percorso, nella mia esperienza di vita, anche se non facile, ho cominciato ad assumere questi compiti man mano, perché sappiamo che non è così leggero il ruolo di una donna nella famiglia, anche se non c’è un trauma, con i suoi compiti da affrontare, i figli da assistere, la casa, etc. Poi c’è un evento forte che fa saltare tutto il mio equilibrio, rischio di perdermi, vado in depressione, però devo cercare di diventare ancora più forte. Io per riuscire a reggere, per tenere devo aumentare la mia forza, prendere parte delle mie dimensioni e accantonarle, per poter resistere, è anche per questo che non me ne vado via, non mollo per reggere come identità. Ma chi sono io se non accetto questo peso, che sarà di me e della mia identità se fuggo da questa responsabilità? Probabilmente perché questa mia storia personale mi ha portato a questa forza, è la mia identità, quindi se io rompo perché solo dico basta, perché sono stanca o perché ho trovato un’occasione di fuga, un’avventura, sarebbe come mettere in crisi non solo la mia relazione ma l’immagine che ho di me stessa: chi sono io se non faccio questa cosa, come mi considereranno? Come mi rapporterò? Chi sarò se pianto tutti in asso e cambio vita? “Ovviamente la vita di coppia non c’è più, ma ti arriva un macigno sulla testa e o ti butti dal ponte o resisti”. (3 - moglie) Quando c’è stata una fase del distacco? “Dopo il risveglio c’è stata una fase di parolacce di aggressività, cose pesanti”. (3 - moglie) Le prime reazioni aggressive sono legate al trauma, all’inizio non sono pienamente consapevoli, e solo dopo vengono reiterate con consapevolezza. “Ora mi dice anche che non siamo riusciti ad avere dei figli e li vorrebbe, anche con l’adozione e non si rende conto che non ci sono le condizioni”. (3 - moglie) 212 “E’ molto dura, l’ansia c’è, anche la paura , cosa faccio? Mi costerebbe più fatica a costruirmi un'altra vita, come donna, come relazioni umane, con le cose da fare cerco di ritagliarmi degli spazi, di continuare la mia vita. Anche per questo ho cercato una badante”. (3 - moglie) “Io lo faccio perché mi sento ancora in grado di accudirlo. C’è anche un senso di affetto di sicuro, un legame, un coinvolgimento, siamo stati sposati, siamo una coppia”. (5 - moglie) “Quando ci si sposa si recita una formula in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, non credo per niente che sia una cosa banale questa formula. Noi ce la sentiamo, non è una cosa banale. Anche se la situazione chiede molto sacrificio”. (5 - moglie) “Io penso che dipende dal tuo rapporto come persona, se non hai un buon rapporto non credo che possa durare. Certo se non avessimo avuto un buon rapporto non so cosa sarebbe successo”. (5 moglie) “I figli hanno cambiato atteggiamento anche loro. La figura del papà non è più riconosciuta, con l’età è diventato cosi”. (5 - moglie) “Ora sono più grandi e aiutano molto nel condurre, il supporto di qualcuno aiuta, si è un po’ tutti stanchi”. (5 - moglie) “Il ripetersi continuo e quotidiano delle cose che ti logora, ti porta ad un logoramento interno, che ti porta a non conoscere la figura paterna, capisci che quello che ti sta accadendo non è giusto, non hai una figura su cui puoi contare. I miei figli poi hanno cominciato a vedere uno a pari di loro... e non si intravede un miglioramento”. (5 - moglie) “Se si guarda indietro qualcosa è cambiato ma i figli sono più diretti non mediano sempre come gli adulti che hanno tante cose che si accumulano”. (5 - moglie) Ci troviamo di fronte a questioni nuove, il trauma cranico sta portando fenomeni nuovi che prima non c’erano. “Mio marito lo tratta di più da adulto ma la cosa mi fa arrabbiare . Io non posso mai discutere con mio marito, perché mio figlio ha paura, dice qualcosa nervosamente e poi se ne va”. (8 - mamma) “Padre e figlio escono insieme qualche volta, ma è mio figlio che ora non vuole, quando lo invitiamo a uscire è lui che preferisce star a casa da solo invece di venire con noi”. (8 - mamma) “La coppia, all’inizio avevo tanta rabbia perché pensavo che mio marito non avesse sofferto, egoisticamente credevo che lui non avesse sofferto così tanto, come avevo sofferto io come mamma”. (8 - mamma) “Pensiamo che la nostra storia di sofferenza non la possa vivere nessuno, che il nostro vissuto, sia il vissuto più atroce di tutti gli altri”. (8 - mamma) 213 “Si rompe qualcosa anche all’interno della coppia non c’è più il legame come prima e non c’è più quella serenità”. (8 - mamma) “…Va bene così però non e più come prima”. (8 - mamma) “In vacanza si va pochissime volte, si vive un po’ separati, dopo 35 anni abbiamo un buonissimo rapporto però”. (8 - mamma) “Si vive insieme ma in solitudine”. (8 - mamma) Era meglio che tu non c’eri più è un pensiero e una frase gridata con rabbia, nei momenti di tensione. Si rilevano aspetti diversi nel caso di trauma da lesione midollare, questo spesso fa seguire una rottura dei legami esistenti, partner, amici, etc. ma con la stessa frequenza si rileva un recupero delle relazioni con la formazione di una nuova coppia e la frequentazione di nuovi amici. “Nel caso delle lesioni midollari però c’è quasi sempre la ricostruzione di altri legami validi e duraturi”. (9 - sorella) “Le ragazze sono poche, alcune non avevano relazioni prima…”. (9 - sorella) “Per una ragazza di 20 anni che rimane traumatizzata, accade regolarmente che trova un legame stabile dopo”. (9 - sorella) “Quelle sposate sono rimaste sposate e hanno avuto dei figli dopo l’incidente…”. (9 - sorella). Gli amici, gli altri parenti, il contesto di vita “Gli amici sono venuti i primi due tre anni a trovarlo, magari si incontravano qui prima di andare da qualche parte, poi eravamo stanchi noi stessi. Lui non interagisce, poi noi eravamo stanchi e i loro modi allegri e vocianti… e poi piano piano non sono più venuti”. (1 - mamma) “Noi abbiamo avuto tantissimo aiuto nel periodo dell’ospedale dalla sua famiglia, i suoi fratelli, che ci hanno aiutato il primo anno, ma dopo che è stato dimesso, anche tenerlo qualche ora nel pomeriggio, loro sono crollati e io ho dovuto stare a casa dal lavoro”. (3 - moglie) “I rapporti ho cercato di tenerli buoni ma io non posso pretendere niente, i fratelli hanno anche una loro famiglia, ora qualche volta ci vediamo ma i rapporti sono di cortesia”. (3 - moglie) “I primi mesi c’è qualche amico, ma poi non si è trovato più nessuno, c’è chi si è sposato, che ha i figli”. (3 - moglie) 214 “Anche mio marito andava a sciare, faceva la settimana bianca gli hanno detto di riprendere, ma solo per aumentare la sua autostima, lui prima camminava in montagna anche con gli amici, si allevavano in palestra come presciistica”. (2 - moglie) “Ho provato a farlo frequentare, per qualche gita, lo portavo in palestra, ma hanno sempre chiesto anche la mia presenza, portalo io e stare li, perché avevano paura che si sentisse male, ecc...”. (2 moglie) “Tu cerchi anche di staccare un attimo ma loro non hanno mai voluto portarlo con se da solo”. (2 moglie) “Questa cosa fa anche molto male e stiamo parlando di adulti”…. “Vedere gli amici andar via, venivano la sera qua,. poi non si sono più visti”. Qualcuno che incontri fa anche finta di non vederti, di guardare da un’altra parte”. “Sembra che io abbia la lebbra, girano e vanno via”. (confermano un po’ tutte mamme e mogli) “Gli amici non si fidano a portarlo in giro perché temono che abbiano bisogno di qualcosa. Sono passati i tempi ma la disabilità da fastidio, la gente non vuole averci a che fare”. (6 - mamma) “Mi dà fastidio quando sei al centro commerciale e ci sono le persone che ti servono che ti sorridono e poi ti vedono passare e stanno zitti e tu vai avanti”. (5 - moglie) “Mi hanno detto una volta per strada: <se tuo figlio è handicappato tienitelo a casa>...”. (6 mamma) “I bambini chiedono ma gli adulti sono “feroci…” Lo sguardo è sempre uno specchio e il diverso fa sempre, in qualche modo paura, noi stessi prima degli incidenti non avremmo mai immaginato che mondo c’era dietro gli sguardi delle persone, verso i disabili che incontravamo. “Dopo 6 anni un po’ di amici si sono persi anche se c’è un gruppetto che viene sempre a prenderlo lui è di buona compagni,. gli piacciono le barzellette”. (5 - moglie) “Abbiamo qualche amico che ci viene a trovare, organizziamo la pizzata insieme, ma si tende a stare in casa, sul divano, ma senza parlare, come ai tempi di un incidente. (8 - mamma) “Il contesto anziché essere facilitante è castrante, se mia mamma che lo assiste tutto il giorno va al cinema riceve le critiche di essere una che trascura il proprio figlio.” (9 - sorella) “Il vissuto soggettivo è sentirsi in colpa, quando trovi uno spazio per te”. (9 - sorella) “L’esigenza difensiva distruttiva è quella che fa emarginare il diverso in un astratto tentativo che se allontano te allontano anche la paura che la stessa cosa possa succedermi”. (9 - sorella) 215 E’ come se mettere in atto azioni di emarginazione, di critica, costituisca un ulteriore atto per distanziare l’altro, per allontanare da se quella esperienza. E’ irrazionale, ma è come se si cercasse una colpa, un motivo per spiegare perché quella cosa sia successa. Se l’altro ha delle “colpe” per cui è stato “punito” allora quella stessa cosa a me non succederà…Sembra che ci sia un bisogno disperato di differenziare l’esperienza del trauma dalla propria: quella famiglia doveva avere qualche colpa, per cui le è successo questa cosa. Allora allontanando la famiglia colpita mi illudo di tener lontano anche l’esperienza traumatica. Si fa fatica a pensare, invece, che le malattie, gli incidenti e il trauma hanno una distribuzione probabilistica, casuale, non così prevedibile, queste cose possono accadere a chiunque (salvo le condotte rischiose come il guidare ubriachi, non osservare il codice della strada o le regole della sicurezza sul lavoro). Abbiamo bisogno di etichettare e di emarginare, devo definire l’altro come diverso da me per difendermi da meccanismi di identificazione che altrimenti mi creerebbero angoscia. “La concezione pietistica richiede che devi fare un sacrificio totale e se la mamma si prende uno spazio per se, anche minimo è vista male come se dovesse vivere una vita di eterno dolore”. (9 sorella) Quale rielaborazione del trauma? “Se avessi immaginato questo forse non avrei lottato tanto per la vita di mio figlio”. (8 - mamma) “Il peso è così alto che non so se avrei lottato tanto”, c’è una mamma che dice “invidio le persone che portano i fiori al cimitero”. “Per i religiosi la vita è davanti a tutto ma.. era meglio se andava peggio”. “Fa male solo a pensarlo ma se parli con una persona che ha avuto un lutto pensa che noi siamo fortunate, noi invece pensiamo che chi ha perso un figlio sia stato protetto dal Signore”. (8 mamma) “Io non sono d’accordo con l’eutanasia, assolutamente, e non farei mai niente per far morire mio figlio, ma quando sarà e verrà la morte naturale io penso che ringrazierò il Signore”. (1 - mamma) “Quando era successa la storia di Manuela Englaro mi faceva una rabbia vedere tutti quei preti che dicevano la vita deve essere vissuta, ma loro che ne sanno cosa significa assistere una persona? Quanti pannoloni hai cambiato nella tua vita?”. (8 - mamma) “E’ pesante portare avanti un ragazzo per 16 - 17 anni, io non voglio sminuire la sofferenza di chi ha perso un figlio…. Io ho vissuto il dramma dell’incidente, sto vivendo il dramma della vita e dovrò vivere il dramma della morte, io penso che una mamma che ha avuto un lutto subito salta almeno un dramma”. (1 - mamma) 216 Una donna che conosciamo ha avuto tutte e due le esperienze: un figlio morto in strada a 14 anni, portato a casa già morto, e una figlia più grande, di 18 anni, dopo due anni di stato vegetativo è morta anche lei. Una mamma molto religiosa, ha provato le due esperienze dello stato vegetativo e della morte istantanea, aveva detto all’inizio “perché mio figlio non mi ha salutata prima di andar via?” ma dopo ha detto anche che “questo è il figlio che mi ha voluto più bene perché mi ha risparmiato questa sofferenza”. Chi ha vissuto queste cose e ha perso un figlio in giovane età porta sempre una lacerazione anche a distanza degli anni. Ma noi crediamo che “non si soffre tanto con la morte ma con la vita”. “Certo ognuno ha sempre una lacerazione, ma noi il dolore lo viviamo tutti i giorni invece il lutto, la morte, il funerale, tu ti rendi conto che sono momenti, mentre noi il lutto lo viviamo tutti i giorni, è un lutto perenne, sempre presente. Poi c’è il confronto del prima col dopo, poi incontri i suoi amici che sono sposati, hanno la morosa…” (il gruppo). Un lutto mai rielaborato e un lutto che rinnovi tutti i giorni prima del lutto vero e proprio. “Abbiamo mentalmente fatto il funerale ai nostri figli e mariti”. (il gruppo) Da una parte c’è un lutto, il funerale, la liturgia etc., che serve per staccare, per rielaborare e reggere al dolore. Voi state comunque pensando che prima o poi ci sarà il distacco, e se non accade, se il figlio o il coniuge vi sopravvive? “Non ci pensiamo molto, ma lasceremo una bella eredità”. (il gruppo) “Mio figlio non sarebbe in grado di gestirsi da solo. Qualcuno potrebbe farcela qualche giorno da solo, non certamente tutta la vita.” “Ma non un mese o più restare da solo, anche solo per prendere le pastiglie…..anche quando esce con gli amici poi riporta a casa tutte le pastiglie” “Anche con la loro credulità sarebbero capaci di comprare e firmare ogni qualsiasi cosa dai venditori che vanno porta a porta o da chi propone loro dei contratti in strada.” (enciclopedie, abbonamenti televisivi, telefonici etc.) “Anche ad andare a lavoro, ci andrebbe ma ci arriverebbe ore dopo, con comodo, fermandosi a parlare con ognuno che incontra.” “Io ho detto ai miei figli di non occuparsi né del loro padre né della loro mamma, non mi hanno ancora detto niente, loro hanno taciuto”. (5 - moglie) “Non sono mai riuscita a condividere, c’era così tanto dolore… rimani un pochino interdetta. Secondo me non se ne parla per non ferire l’altro e l’altro lo fa per non ferire te”. (8 - mamma) “Si sta lì in silenzio,. cosa si pensa realmente non si dice…, e non si ha il coraggio neanche di chiedere al marito”. (8 - mamma) 217 “Il fatto dell’accettazione dopo l’incidente, ho fatto fatica ad accettare il mio figlio, era un figlio nuovo da riamare.” ho fatto proprio tanta fatica a riamare il mio figliolo”. (8 - mamma) “Io non mi ricordo più di mio figlio, faccio fatica a pensare come era da bambino, ho fatto anche tanto lavoro su me stessa”. (8 - mamma) “Ho anche le cassette della sua infanzia , all’asilo cantava”. (8 - mamma) “Io non ho neanche le cassette e mi dispiace”. (1 - mamma) Ricordare come era prima è una sofferenza… Si rivede quello che si è perso e la cosa fa molto male… “Io invece mi ricordo dei giorni belli del passato”. (3 - moglie) C’è una differenza nel rapporto con la memoria: per essere moglie ho bisogno di qualcosa da recuperare, ricordare; il periodo del nostro innamoramento mi serve per avere la forza per resistere. Per il figlio invece il legame è preesistente e non ho bisogno del ricordo per resistere, il mio legame con lui è tutto interno. Con il marito è necessario ricordare, anche se richiamare alla memoria è sofferenza, perché è proprio il ricordo che permette di reggere. Con il figlio, invece, il legame va oltre il ricordo e in questo caso ricordare è solo sofferenza e non serve per avere più forza. “Io scrivevo dei diari e li ho riscoperti: ho degli scritti sul dolore che quasi mi piaceva piacere vivere, altrimenti non mi sentivo nessuno”. (8 - mamma) “Se non avevo rabbia o dolore ero morta mi sentivo morta. Il dolore mi faceva andare avanti”. (8 mamma) “Il dolore mi faceva sentire viva”. (8 - mamma) “Avevo gli attacchi di panico, depressione, tanto caldo, sudorazioni…”.(8 - mamma) “La notte tengo sempre la luce attesa, ho paura se non ho chiaro dove mi trovo”. (8 - mamma) “Perfino in macchina avevo impressione che il sedile mi stringeva, anche quando sembrava tutto normale”. (8 - mamma) “Io allungavo la strada anche di molti chilometri, ma dovevo avere vie di uscita, andavo per strade alternative in caso di colonna.” ad ogni coda cambiavo direzione.” .…“ è solo ultimamente che ho ricominciato a usare l’ascensore”. “Ho passato 20 giorni sdraiata sul divano”, non riuscivo a fare niente”. (8 - mamma) 218 (molte persone hanno avuto questi vissuti). “Si sono fatte esperienze di gruppo di auto aiuto, però non hanno funzionato, le persone non hanno avuto ricambio”. (9 - sorella) Il sistema del welfare è chiamato ad offrire una assistenza diversa, che possa continuare negli spazi esterni alle strutture sanitarie, questo non toglierà il dolore del trauma e il lavoro per la sua ridefinizione però, di sicuro, offrirebbe un forte contributo per evitare di perdersi, perché c’è un sostegno generale. Non vai in angoscia nel dire come farò, perché percepisci che c’è una rete. Non vai in angoscia perché ti sembra una esperienza unica, al contrario senti che ci sono molte altre persone che hanno fatto esperienze simili e ti ritrovi. E’ evidente che nel sistema di welfare attuale si fa fatica ad immaginare la disponibilità di risorse sufficienti per accompagnare le persone nel post-trauma, che avvicinino anche forme non strettamente sanitarie; però il ruolo dell’associazionismo va considerato come formidabile. L’associazione aiuta? Come ne usciamo? A volte è per primo il gruppo che aiuta a uscirne. “Per me questa associazione è stata un punto di riferimento, parliamo la stessa lingua. Ma se parlo con una amica mi accorgo che non può capirmi e non vede la gravità della cosa”. (8 - mamma) “Ci sono poi tutti i problemi del rapporto con i medici, quando hanno qualcosa, anche se non c’entrano col trauma, non capiscono cosa può vivere la persona con trauma, non interpretano i sintomi in modo giusto, anche perché i ragazzi non si sanno spiegare, non ascoltano i familiari. Poi bisogna restar loro vicini in reparto tutto il tempo altrimenti non ci stanno e si possono far male”. “Passiamo dei momenti allucinanti quando qualcuno di noi viene ricoverato”. Come se ne esce da queste cose? Resistendo, facendo gruppo. “Io viaggio spesso… tutti i giorni , guardo Alle falde del Kilimangiaro, così vado in Polinesia, ai Caraibi…vogliamo andar un paio di giorni in una beauty farm?”. (1 - mamma) “No, io ho un pessimo rapporto col mio corpo”. “Vorrei andare al mare tre giorni, senza dover lavorare, stirare, cucinare”. “Io vorrei andare di inverno così non vedo nessuno coi culi in aria”. (8 - mamma) “Io sto bene da sola”. “Mi piacerebbe tornare a tanti anni fa quando avevo i bimbi piccoli, uno da andare a prendere da scuola, uno andava a calcio”. “Erano i momenti più belli di una vita e non lo si sapeva”. 219 “Io vedo soluzioni solo personali, fai una buona analisi e ne esci”. Concetti chiave 9 Caduta dei legami della famiglia allargata dopo qualche anno. 9 Timore di perdere il proprio di equilibrio. 9 Sofferenza nel legame di coppia, anche nel caso in cui sono i figli ad aver avuto un TCE. 9 Senso di colpa che accompagna la ridefinizione della propria identità. 9 Tentativo di ritagliarsi spazi personali. 9 Fa molto male il senso di abbandono. 9 Alcuni degli amici e dei parenti non si sono più fatti vedere, mai più visti. 9 Far finta di non veder o guardare dall’altra parte (nel caso di amici o parenti). 9 Ma anche lo sguardo che dà fastidio (nel caso di sconosciuti). 9 Nel rapporto con i figli, il padre è il fratellino piccolo da curare, proteggere e guardare. 9 Stanno meglio le persone che portano i fiori al cimitero per i propri figli. 9 Non si è d’accordo con l’eutanasia. Ma la morte è una liberazione. 9 Il lutto lo si vive tutto il giorno, perché il figlio non è più quello che avevi prima. 9 Più di una persona ha citato la formula del matrimonio: “nella buona e nella cattiva sorte, nella ricchezza e nella povertà, nella malattia e nella salute, finché morte non ci separi.” Questa formula è una cosa che ricordano quasi tutte, resta questo obbligo morale dentro di se’ 9 C’è un patto che va mantenuto. Una riflessione sui discorsi: la ridefinizione delle identità Per quanto riguarda la dinamica familiare è importante ribadire che le conversazioni confermano come il trauma subito da un congiunto abbia avuto sempre una forte ripercussione sulla dinamica familiare. Esso è capace di sconvolgere tutti gli schemi e tutte le relazioni. Una mamma ha detto: “Ho dovuto innamorarmi di nuovo di mio figlio, perché quello uscito dall’ospedale non era più il mio bambino”. In genere gli interventi delle persone avvicinate hanno espresso opinioni molto simili e coerenti tra 220 loro, anche per quanto riguarda i rapporti con i coniugi. Le differenze verbalizzate sono minime e comunque all’interno di un dialogo condiviso. Una cosa rilevante è che il rapporto tra coniugi viene spesso compromesso non solo quando una persona con trauma è il marito ma anche quando è il loro figlio. Quello che invece appare divergente riguarda l’atteggiamento in merito ai ricordi del passato. Le mogli tendono a rifarsi al passato, esprimono il bisogno di ricordare i momenti più belli dalla loro vita, questo è una azione molto dolorosa, però, in qualche modo, da la forza di continuare; dal passato si attinge un po’ di energia che permette di portare avanti il rapporto. Si resta insieme al marito e si resiste nell’estenuante lavoro di cura, anche grazie al ricordo dei giorni felici, dei momenti in cui si era innamorati. Perfino nel dolore di qualcosa che si è perso si trova la radice del proprio legame e, quindi, la forza di continuare. Per quanto riguarda le mamme invece, ricordare l’infanzia dei figli e un atto troppo doloroso. Alcune mamme hanno riferito che loro non riuscivano più a ricordare l’infanzia dei figli, come se avessero dimenticato tutto. Difficilmente riaffiorava alla mente il periodo di quando li assistevano da piccoli, quando andavano all'asilo, quando cantavano; non riuscivano a ricordarsi quasi più niente. Certo le mogli non hanno altro legame che la propria storia di coppia, il periodo dei primi anni dell’innamoramento è quello più rilevante per la costruzione di questo legame. Il vissuto di una mamma, invece, è molto diverso: il legame con i figli, con tutto quello che ne discende, è preesistente la loro infanzia. Non hanno bisogno di ricordarsi dei giorni più felici per sentirsi legate, e per certi versi obbligate, alla cura dei figli. Il ricordo in questo caso è solo un dolore, non aiuta, non aggiunge forza, è estraneo al senso del dovere. Il lavoro di cura è quasi sempre verbalizzato come dovere profondo, non solo come atto d'amore, anche se l’amore vissuto costituisce un collante necessario al legame coniugale. Il coniuge, dopo il trauma, è un altro, è una persona diversa ormai e non è più quello di cui ci si era innamorate. Questo perché il trauma lo ha profondamente cambiato, spesso reso aggressivo e a volte molto infantile, ma anche perché, quando la persona colpita è il figlio, il dolore diversamente vissuto ha cominciato ad aprire un solco tra i coniugi. Fin da quelle lunghe attese fuori dalla sala operatoria, quando non si riusciva dire una parola, e non si sapeva che fare, si è cominciato a tracciare un spaccatura tra due solitudini I due modi di sentire dolore, la paura della perdita del figlio, l’assenza di parole che possano contenere tutto, la mancanza di momenti o spazi da vivere da soli, per il carico di lavoro che sopravviene, fa costruire barriere e separazioni. Così quando i figli sono in rianimazione e poi quando tornano a casa, i coniugi sentono di differenziarsi sempre di più; forse ci si da una mano nel lavoro di assistenza, nella pulizia e nell’igiene personale, ma le emozioni viaggiano su piani differenti. 221 Vivere difformemente il dolore, vivere una solitudine con angoscia, porta i coniugi ad allontanarsi, piano piano e a volte irrimediabilmente; dove ancora la coppia resiste, si convive mantenendo profondi solchi nella relazione. E’ stato chiesto cos'è che porta a resistere, quando non ci si sente più legate al marito; cosa dà la forza di continuare il rapporto, molti hanno risposto richiamando il patto matrimoniale “nella buona e cattiva sorte, nella malattia e nella salute…”. Ma è proprio questo senso del dovere che tiene uniti? Il vincolo sacro del matrimonio? O forse, ormai, è la mia stessa identità che si è costruita fortemente nel rapporto con il partner? E cosa sono io se rompo questo legame? Dove mi rispecchio se non nel rapporto con lui? L'identità è sempre una dimensione relazionale, quindi il mio sé non è immune dai cambiamenti della persona che mi è vicino. La formazione della personalità, in effetti, non può’ essere semplificata in una pura relazione tra sé e sé, dal corpo alle caratteristiche psichiche individuali. Essa si elabora necessariamente nelle relazioni con gli altri, nei processi interpersonali, in interazioni e comunicazioni, nel gioco di assunzione di ruoli e di rappresentazioni7. “La personalità di un individuo è uguale alla somma delle sue esperienze di vita, che possono averla segnata in vario modo: producendo modificazioni strutturali, alterando le tendenze dinamiche o provocando spostamenti nei principi economici o nei ricordi...”8. L’individuo, quindi, non è comprensibile al di fuori del sistema nel quale agisce e il processo di individuazione non si raggiunge da soli, una persona si individua anche perché gli altri lo consentono. La persona non è un’identità astratta, fluttuante nel vuoto sociale, ma è sempre un attore sociale ancorato saldamente ad appartenenze etniche, relazionali, di piccolo gruppo che gli danno una dimensione storica e culturale ben precisa. Proprio per questo agiscono più profondamente di quando si possa credere l’ambiente di appartenenza, gli amici, la comunità locale. Nelle interviste emerge la presenza di questo contesto, così pressante e nello stesso tempo così assente e poco collaborante. Nel caso delle persone con TCE, quindi, non è solo la personalità dell’interessato a essere sottoposta a un processo di rielaborazione, ma tutta la sua famiglia, in un successione dinamica che coinvolge le relazioni con la madre, dei coniugi tra loro e con gli eventuali altri figli o fratelli. Attraverso un gioco complesso di regolazioni tra l’io, gli altri, i “noi” e le istituzioni, la formazione della personalità, si attiva, di fatto, in un costante sforzo di divisione e ripersonalizzazione, di lotta contro le separazioni interiori e le alienazioni esogene9. 7 Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988), p.41 8 Meltzer D., Harris M., Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro Scientifico Torino,1990 (1983), p. 15 222 Scatta un processo conflittuale in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, il sentimento d’identità e le rappresentazioni di sé, dall’altro lato, le spinte all’abbandono e all’annullamento di sé, a cui si è sottoposti dalla situazione stressante. Ma forse per la personalità e per le nostre identità non è mai possibile pensare ad uno stato o un punto di arrivo definitivo, come accade del resto nella vita ordinaria, ma dobbiamo ritenere esistente un sistema dinamico e sempre in fase di riassetto: una famiglia drammaticamente colpita ancora di più è chiamata a rideterminarsi sotto l’azione delle emozioni e dei sentimenti suscitati dal nuovo ruolo di cura. Nei processi di costruzione dell’identità e quindi nei meccanismi di identificazione, che permettono di chiedersi: chi sono io? che senso ha la mia vita? la fase costruttiva è proprio quella che permette di incrementare il senso di unità del sé interiorizzando le qualità, le competenze e le capacità affettive delle persone che ci circondano. Se l’altro diventa così profondamente fragile, diverso da quello che conoscevo ed amavo, così profondamente bisognoso di cure, allora il rapporto con lui non crea solo una crisi di relazione ma determina anche l’impossibilità di fare mie le sue qualità, di apprezzare le sue abilità e le sua affettività, di conseguenza sono costretto a ridefinire la mia stessa identità personale. Salta il progetto di vita, che si era immaginato insieme all’altro, vanno in crisi le definizioni delle esperienze vissute e quelle immaginate per il futuro da trascorrere insieme. Per le donne che assistono, si registra una dedizione sacrificale nell’impegnarsi incondizionatamente, e senza poter esigere contraccambio, nell’assistenza del congiunto; ma questa dedizione può essere pericolosa per l’io della donna, che molte volte paga con la depressione tale disponibilità. La trasformazione e il condizionamento della vita quotidiana è altissimo e la sofferenza psicologica si unisce ad un senso di profonda solitudine. Quale progetto è ora possibile fare per mio figlio? Per mio marito? Cosa dovrà abbandonare il proprio congiunto della sua vita, dello studio, del lavoro? E quanto dovrà farlo essa stessa? Un rischio che si corre è quello della iperprotezione, un ritorno ad un ruolo di eterna puerpera che deve proteggere e non può allontanarsi dal bimbo che ha attaccato al seno. Questo accade soprattutto quando si determina l’assenza di un valido dialogo e di una piena condivisione della sofferenza a livello familiare, a tutto questo le madri reagiscono con una iperattenzione del figlio, trascurando le altre dimensioni della vita relazionale. Il vincolo sociale, compreso quello che lega genitori e figli è per sua stessa natura essenzialmente conservatore, anche quando le esigenze e gli stessi obiettivi dichiarati del gruppo richiedono forti cambiamenti. Questo è dovuto al fatto che il gruppo oppone quasi sempre resistenza alle idee nuove; apportare modifiche o revisioni di una certa visione del mondo è sempre difficile, perché può mettere in discussione il legame del gruppo familiare e costituire un potenziale attacco alle singole identità. 9 Tap P., op. cit. 223 Per le madri è come se si verificasse la scomparsa del figlio precedente, un lutto che include la sparizione delle componenti immaginate per il possibile futuro che il ragazzo stava per intraprendere; per esse quindi è necessaria una forma di rielaborazione della separazione che è carica di angoscia. Il proprio figlio non maturerà pienamente verso una fase adulta e anche lei non potrà più crescere ed emanciparsi dal suo ruolo di nutrice. La fase depressiva potrebbe essere legata proprio al riassetto, oserei dire fisiologico, della sua relazione con il congiunto. Ma la differenza tra l’amato di prima e la persona che si ha ora davanti è incolmabile, il confronto è drammatico e colmo di sofferenza. Avviene il predominio del dolore, a volte è un vero e proprio panico. “Le sofferenze psichiche, generalmente denominate angosce, vengono affrontate per lo meno a partire dalla nascita… essa può venir ridistribuita tanto nel mondo interno che in quello esterno,…. “Poiché all’interno di ogni gruppo sociale la sofferenza può essere trasmessa da un individuo all’altro…”10. Facendo nostro l’insegnamento di Meltzer possiamo ricordare come il funzionamento dinamico della personalità ha soprattutto lo scopo di modificare la sofferenza psichica, entro limiti che consentano l’assimilazione delle esperienze emotive. I livelli di funzionamento delle persone, sono da ritenersi estremamente variabili da un individuo all’altro, essi vengono per di più influenzati dalle condizioni fisiche e psichiche del momento. Le operazioni che le persone mettono in atto, allo scopo di modulare, modificare o evitare la sofferenza psichica, possono essere molto diverse, altrettanto diverso è il modo con cui queste si inseriscono in ciò che chiamiamo personalità, o struttura di carattere. La modulazione della sofferenza viene ottenuta soprattutto tramite processi mentali, che permettono di capire le azioni, e producono i cambiamenti positivi per un miglior adattamento al mondo esterno, o ancora attraverso un miglior <equipaggiamento > degli oggetti interni, che aiutano a rafforzare la personalità11. “Noi riteniamo che le fantasie inconsce costituiscono il motore primo del pensiero e dell’azione e che pertanto la modulazione della sofferenza psichica debba passare attraverso l’azione del significato dell’esperienza nella fantasia e attraverso la creazione di pensieri onirici che danno forma attiva alle rappresentazioni simboliche…Le principali tecniche utilizzate per modulare la sofferenza psichica sono la fantasia, il pensiero, il pensiero verbale e la comunicazione,..., è il pensiero con la sua descrizione interiore, che precede la comunicazione con gli altri, è probabile che il pensiero verbale sia strettamente collegato alla coscienza, se si considera questa facoltà nel senso platonico, suggerito da Freud, cioè <come organo di senso per la percezione di qualità psichiche>12. 10Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 17 11 Meltzer D., Harris M., op. cit. 12Meltzer D., Harris M., op. cit., p.19 224 Una mamma ha riferito che alla fine aspettava che arrivasse il dolore, perché anche se era molto forte, almeno si accorgeva di vivere, altrimenti non sapeva chi era. Non si riesce neanche più a fantasticare di una possibile guarigione e un ritorno alla normalità. Proprio per questo a volte è necessario un lungo lavoro psicologico, per elaborare la perdita e accettare l’inatteso. I rapporti con l’esterno possono ridimensionarsi enormemente, forse ristringersi alle persone che “possono capire il problema” perché l’hanno vissuto. “…Si può capire come le persone vengono indotte a riunirsi in gruppi od organizzazioni sociali di vario tipo per due diversi motivi: perché spinti da necessità di trovare dei compagni con cui andare alla ricerca della verità, allo scopo di modulare la sofferenza psichica,...,nel tentativo di modificare la sofferenza o di evitarla”13. Non ci sono schemi o modelli educativi che possono fare da riferimento e facili da adottare, ogni esperienza, ogni persona nello stesso tempo è unica e ogni caso reagisce in un modo non prevedibile. Bisogna mettere in atto dei meccanismi di difesa ma si è chiamati anche a raggiungere un adeguato livello di accettazione della condizione del proprio figlio o marito. L’accettazione non è mai “completa” e quasi sempre ambivalente. Essa richiede l’accettazione dell’altro per quello che è, affrontare con realismo la condizione che si vive, senza negarlo ma senza farsene trascinare. Cercando di valorizzare i progressi, l’aumento delle autonomie, quando ci sono, ma anche costruendo spazi per la propria autonomia e la cura di se. Il tema della maternità “ferita” e della moglie “devota” deve uscire fuori dalle figure retoriche e va affrontato in modo più maturo dalla stessa rete di relazioni in cui si vive. Possono essere diversi i motivi che rendono difficile il dialogo in una coppia (il poco tempo, la perdita della tenerezza, la stanchezza, la pigrizia, ..), nello stesso tempo un figlio disabile è fonte di importanti discussioni tra i coniugi. Il trauma che colpisce un figlio colpisce anche la sua famiglia, obbliga i genitori a prendere decisioni sulla vita del congiunto che possono causare incomprensioni e queste a loro volta impediscono di entrare in sintonia, provocano squilibri nella valutazione delle migliori strade da intraprendere per il percorso che il figlio deve compiere.. “Dal momento che il fattore centrale è quello della emotività e dal momento che questa è o sembra essere, un fenomeno trasferibile, la domanda cruciale che determina il passaggio tra due diverse posizioni sarà sempre: < chi si assumerà la sofferenza? >”14. Possiamo dire che la risposta più diffusa a questo tipo di domanda è : la donna. In diverse indagini è emerso come la presenza di un figlio disabile, indipendentemente dal tipo di limitazioni a cui è costretto, sottoponga ad un continuo logoramento la vita coniugale, anche se non 13 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 21 14 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 27 225 mancano casi in cui questa si rafforza permettendo lo sviluppo di nuove sensibilità e attenzioni reciproche… "La coppia (...) è un campo mentale virtuale caratterizzato dalla sovrapposizione del mandato culturale della progettazione di una nuova generazione capace di gestire il senso del mondo e dello scorrere della vita come esperienza soggettuale e sociale. ….. La coppia non è definibile né dai ruoli né dalle funzioni, ma dall'essere consapevole cerniera tra due universi mentali: il transgenerazionale nel passato e il transgenerazionale nel futuro"15. In conclusione a queste brevi riflessioni non possiamo che ricordare come la sofferenza psichica rappresenti in ogni caso il fattore ultimo, indistruttibile e irriducibile a ulteriori suddivisioni. E’ con questa sofferenza che le persone coinvolte continuano a fare i conti. La capacità di tollerarla coincide con la possibilità reggere alle nuove responsabilità e rappresenta un elemento essenziale nel sistema di relazioni in cui si è inseriti. Nessuna dimensione adulta potrà realizzarsi in pieno se tenta di sfuggire a questa esigenza. Possiamo dire che assistere e servire significa essenzialmente condividere la sofferenza dell’altro, con l’obiettivo di ridurla entro limiti tollerabili; quando questo riesce si riduce anche la propria sofferenza entro un livello con cui si può convivere. Il senso di responsabilità e la resistenza alla fuga coincidono con la propria difesa dalla angoscia, anzi sono dei veri e propri strumenti per tutelarsi e, quindi, per proteggere la propria identità. Come aiutare le famiglie? I servizi disponibili sono pochi e privi di una reale integrazione, mentre i bisogni espressi dalle persone con GCA includono quelli dell’educazione, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, del lavoro, dell’abitazione e non solo quelli della salute . I bisogni della famiglia con una persona con questo tipo di problema cambiano nel tempo, mentre nello stesso intervallo temporale appaiono statici e inadeguati i servizi sociali tradizionali. Tra le difficoltà che vivono le famiglie nel loro approccio con i servizi si possono individuare svariate dimensioni tra cui sono segnalate: la mancanza di coordinamento, i costi economici, gli atteggiamenti degli operatori professionali, il linguaggio specialistico, il tempo e le energie richieste e, non ultimo, lo stigma. Un atteggiamento sociale predominante, che in parte influenza l’agire degli operatori, è quello di considerare le persone che accedono ai servizi come “diverse”. Questo stigma influenza non poco gli atteggiamenti degli individui, talvolta è così forte che le famiglie non osano rivolgersi ai servizi, ma costringono il soggetto disabile a vivere in casa. Un 15 Pontalti C., Le invarianti psichiche nella coppia progettuale. In: Melchiorre V. (a cura di), Maschio-Femmina: nuovi padri e nuove madri, CISF, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1992, pp. 85-87 226 buon operatore professionale dovrebbe considerare le potenzialità delle persone, ascoltando, rispettando e rivalutando le questioni che gli vengono rivolte. Come aiutare la famiglia di una persona con Trauma Cranico? Si dovrebbero prendere in considerazione alcune necessarie strategie, per impostare gli interventi socio-sanitari e garantire un adeguato progetto di vita alla persona e un sufficiente supporto alla sua famiglia. Il mondo dei servizi però è ancora molto lontano da questa consapevolezza; tra gli elementi di principale attenzione si segnalano le seguenti necessità: Il sostegno precoce: le conoscenze attuali ci permettono di identificare il rischio di una forte disabilità molto tempestivamente, ma dobbiamo tenere presente che il nucleo familiare ha bisogno di tempo per prendere coscienza della reale situazione del congiunto e spesso ha delle resistenze. È opportuno che si aiuti individuando una figura di riferimento stabile che aiuti a far superare i vari momenti critici. Tale sostegno permetterebbe alla famiglia traumatizzata, ma non ancora logorata dall’handicap, di organizzarsi in modo adeguato. Tutto questo per garantire la qualità delle relazioni e per permettere un percorso assistenziale il più adeguato possibile. L’aiuto domiciliare: forse costituisce l’area di intervento più critica su cui si deve intervenire. E necessario rivedere e potenziare le attività domiciliari, sia di tipo assistenziale, sia sanitarie, per far fronte alla crescita dei nuovi bisogni di cui le persone con trauma sono portatrici. La necessità dei servizi professionali: in molti casi la famiglia, per poter soddisfare i propri bisogni, si deve rivolgere a servizi professionali ove le preoccupazioni e i problemi concreti possano essere risolti con l’aiuto di operatori competenti. Una esigenza che riguarda tutte le persone con handicap, ancora aperta nel sistema dei servizi socio-sanitari, è quella relativa alla necessita di individuare un case manager per l’accompagnamento nel progetto di vita della persona. Il sostegno ai genitori e ai coniugi: è un lavoro molto faticoso e consiste nell’affrontare con i genitori e/o coniugi della modalità di porsi nei confronti della persona con trauma cranico. Il sostegno può esser di tipo psicologico e nella forma del gruppo di auto aiuto. Tali momenti possono permettere la scoperta di nuove modalità di porsi, di creare un legame di fiducia con gli operatori e di diminuire sia il vissuto di solitudine, sia la dipendenza dei genitori nei confronti degli esperti. L’approccio psicoterapico: si è rilevato come in molte persone che assistono insorgano problemi di carattere funzionale, con la nascita di dinamiche che non aiutano una normale interazione del nucleo familiare. Di fronte a tale sofferenza psicologica può essere necessario un intervento terapeutico, che non tutte le famiglie richiedono, ma che dovrebbe essere previsto. 227 L’aiuto organizzativo: accanto ad un sostegno psicologico, occorre garantire un aiuto più direttamente organizzativo. La persona con disabilità impone di riorganizzare la vita di tutti i giorni e in questo i genitori devono essere supportati da un operatore che sappia considerare i bisogni di ogni membro della famiglia. Si tratta di attivare una rete di supporto sulla base di una conoscenza diretta della famiglia e non basandosi su modelli teorici di funzionamento. L’aiuto nei momenti critici: i genitori, nello svolgimento di compiti di cura così gravosi, vivono come ulteriore peso il superamento di situazioni più ordinarie (un’influenza, un ricovero, un esame clinico di un altro figlio, …). Un ulteriore problema è che difficilmente si riesce ad interrompere il compito di cura per prendersi un periodo di vacanza, indispensabile per una necessaria ricarica. Per favorire questo vanno previsti quindi attività di sollievo, sia diurno sia residenziale, per i periodi più critici. La promozione della vita sociale: come si è rilevato la vita sociale della famiglia viene fortemente limitata dalla presenza di una persona con trauma cranico. I pregiudizi si diffondono e le azioni di esclusione e marginalizzazione si rilevano anche all’interno della cerchia degli amici e dei familiari. A volte sono di tale rilevanza che impediscono la partecipazione e la possibilità relazionarsi con gli altri. Vanno, quindi, strutturati momenti di partecipazione e di coinvolgimento sociale che si contrappongono ai meccanismi di esclusione. Le garanzie per il futuro: con l’invecchiare i genitori sentono sempre con maggior peso l’angoscia di quanto potrà accadere al figlio, dopo che loro con ci saranno più. Saranno necessarie, in misura sempre crescenti, forme di residenzialità, sia in comunità sia in abitazioni “protette”. L’importanza del lavoro di rete: la famiglia, il supporto relazionale, i servizi sociali Il primo aiuto alle famiglie è costituito dalla forza di ogni singolo componente anche se non è semplice riconoscere le risorse nascoste in ogni individuo. Ci sono altre persone (amici, parenti) che probabilmente possono offrire un valido supporto, anche se le esperienze rilevate per queste modalità di aiuto, fanno registrare la presenza di sostegni parziali, temporanei, spesso limitati alle prime fasi dell’emergenza. Tutte le persone con cui si viene a contatto, anche se non fanno parte della famiglia, potrebbero formare una rete di supporto sociale. Molti studi mostrano i numerosi benefici che il supporto sociale porta alle persone con funzioni di care givers: una riduzione dello stress, un miglioramento del benessere emotivo e una diminuzione dei problemi fisici. I soli operatori dei diversi servizi a sostegno delle famiglie, non possono ritenersi sufficienti e spesso non sono neanche adeguati sul piano professionale per il supporto alle famiglie. 228 Il panorama esistente nella rete dei servizi sociali non è certamente confortante, frammentazione, personale precario e attenzione su altre priorità sono riportati come parte integrante dell’esperienza delle donne avvicinate in questa indagine, esse esprimono soprattutto un vissuto di solitudine, scoraggiamento, se non di abbandono. Entrare in contatto con molte persone permette la formazione spontanea dei gruppi di supporto fra famiglie con problemi simili, in essi si condividono le proprie sofferenze e si scambia ogni tipo di informazione. Sviluppare e mantenere una rete sociale non è però un obiettivo così semplice. Le reti in genere partono solo in condizioni di reciprocità. Occorre che amici, vicini e parenti vengano aiutati ad individuare nel nucleo familiare interessato le potenzialità di cui dispone, affinché possano essere rivalutate e sostenute al meglio. Prima però di ottenere questi supporti è necessario che la famiglia riesca a riconoscere i suoi punti di forza, anche perché, molte volte, essa stessa tende, consapevolmente o meno, ad autoescludersi, a cercare di chiudersi in se stessa e a far tutto da sola. Nella ricerca si è rilevato che la capacità di superare i momenti di sofferenza è legata sia alla possibilità di recuperare una serie di “energie interne”, a volte tramite complessi processi di rielaborazione, sia alla disponibilità di risorse da recuperare, dall’intero nucleo familiare, fino alla famiglia allargata e al contesto relazionale. Una volta condivisa la necessità di una rete di supporto sociale, è evidente che esistono ancora altri ostacoli che si possono incontrare. Le reti amicali qualitativamente valide hanno bisogno di impegno costante, che necessitano di tempi lunghi. Un’ulteriore problematicità è costituita dallo stigma, che le famiglie temono nel momento in cui si inseriscono in una rete di supporto. Tale stigma può aumentare man mano che gli anni passano e si rileva fino in fondo quando una completa “guarigione” risulta, di fatto, quasi impossibile, portando la famiglia ad un maggiore isolamento. Accade anche che l’aprirsi a persone esterne al nucleo possa essere visto come perdita di intimità. Gli stessi operatori spesso se ne dimenticano, entrando, a volte, con una certa invadenza se non impudenza nella vita privata ed emozionale delle persone. Del resto è anche essenziale fornire ai genitori gli strumenti utili per potenziare la loro capacità di rapportarsi con i servizi, dal momento che abilità contrattuali e atteggiamenti di fiducia possono riflettersi in modo complementare sulle risposte degli operatori. 16 Un altro aspetto importante, infine, riguarda il ruolo che dovrebbero assumere le strutture sanitarie al momento della prima comunicazione di danni permanenti e di disabilità; la nostra ricerca ha rilevato un riconoscimento dei livelli di competenza e di professionalità, soprattutto per gli aspetti clinici e terapeutici, ma anche elementi di disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle informazioni ricevute al momento delle dimissioni. 16 Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Tesi: Corso di laurea in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Università di Padova, a.a. 2007/2008 229 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV., La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009 Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Tesi: Corso di laurea in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Università di Padova, a.a. 2007/2008 Bailey K. D., Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1991 Bichi R., La società raccontata, Franco Angeli, Milano, 2000 Bichi R., L’intervista biografica, Vita e Pensiero, Milano, 2002 Boudon R., Metodologia della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1970 (1969) Cipriani R.(a cura di), La metodologia delle storie di vita. Dall'autobiografia alla "Life History", Euroma, Roma, 1995 De Baskey H., Il trauma cranico, aspetti medici, cognitivi e sociali. Guida per la famiglia, Calub. Ospedale S. Cuore Don Calabria di Negrar (VR), 1995 Demazière D., Dubar C., Dentro le storie. Analizzare le interviste biografiche, Cortina, Milano, 2000 Macioti M. I. 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Il progetto si prefiggeva di delineare un percorso possibile finalizzato alla costituzione di un nucleo operativo permanente sul territorio della provincia di Bergamo, nucleo che, in stretta collaborazione con strutture riabilitative del territorio, potesse intervenire nella riabilitazione psico-sociale di soggetti con esiti di grave Trauma Cranio-Encefalico (TCE). Il pensiero di promuovere la nascita di un simile servizio trovava le sue radici: x nell'esigenza di rispondere ai bisogni di un sempre crescente numero di popolazione: il TCE era, allora come oggi, una delle maggiori cause di disabilità acquisita. Inoltre, il peso sociale ed economico di queste disabilità avevano ed hanno una notevole rilevanza, a causa della lunga aspettativa di vita di questi giovani pazienti e delle gravi ripercussioni che si hanno sui vari componenti del nucleo familiare; x nella consapevolezza, confermata dalla letteratura in materia, di quanto, anche in presenza di iniziali disabilità gravi e gravissime da TCE, un intervento riabilitativo precoce e globale potesse consentire importanti evoluzioni del quadro clinico, contribuendo a contenere gli esiti inabilitanti futuri. Per intervento riabilitativo globale si è da sempre inteso non solo quello relativo alla riabilitazione fisica, ma l’integrazione di questo con interventi psicologici, mirati al recupero cognitivo del soggetto, ed educativi, finalizzati a stimolare un percorso di “riapprendimento” di competenze; x nell'imprescindibilità di un intervento a favore dell'integrazione di tali soggetti nella società, tramite la costruzione di una rete con le risorse del territorio, che consentisse un rientro in famiglia del congiunto ed il recupero di una qualità di vita sostenibile; x nella disponibilità, su linee generali, dell’Azienda Sanitaria Locale di Bergamo di sostenere la progettualità ritenendola congruente con le indicazioni espresse dalla Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione. 231 I Servizi riabilitativi e di reinserimento sociale attivi Progettazione Cooperativa Sociale oggi risponde operativamente ai bisogni di riabilitazione e reinserimento sociale, con un insieme d’interventi educativi, sociali e psicologici, compositi ed articolati, che hanno come base fondante il Progetto Educativo Individualizzato relativo ad ogni ospite/utente dei servizi proposti. Le azioni e gli interventi sono a carattere modulare nella frequenza, nel tempo e nelle attività e trovano la loro realizzazione presso il Centro Diurno, il Laboratorio Ergoterapico, il Centro Residenziale e, più in generale, sul territorio. Centro Diurno accreditato Collocato in una palazzina autonoma, sita a Pedrengo in Via Moroni n. 6, accoglie servizi accreditati dalla Regione Lombardia (CDD, CSE, SFA) per persone a disabilità acquisita in seguito a GCA. La scelta di accreditarsi sia per il CDD, che il CSE e lo SFA nasce dall’esigenza di rispondere a bisogni che non sempre riguardano aspetti educativoassistenziale, ma anche socializzanti, di potenziamento delle autonomie e di reinserimento familiare, sociale e/o lavorativo. Inoltre le persone prese in carico durante la permanenza al Centro svolgono attività socio-riabilitative che favoriscono un recupero delle abilità residue tali da favorire il passaggio da un servizio ad alto carico assistenziale (CDD) ad un servizio più territoriale che prevede lo sviluppo di autonomie (CSE e SFA) ed in seguito l’accompagnamento ad un reinserimento lavorativo. I servizi proposti oltre a promuovere l’attivazione di un percorso ponte tra l’ospedalizzazione e il reinserimento sociale offrendo spazi di sollievo alla famiglia, permettono alla persona di “sperimentarsi” e riaffrontare, con il sostegno psicologico e in un contesto di gruppo, le attività della vita quotidiana favorendo il rientro nella società. Alla base delle attività sono previsti interventi educativi individuali e di gruppo, finalizzati alla creazione di momenti di socializzazione, di sperimentazione di attività riferite all’immagine di sé e di rinforzo delle competenze residue. La tipologia del piccolo gruppo è determinata dall’esigenza di simulare un contesto con dimensioni non troppo distanti dall’ambito familiare e consentire l’uso di uno spazio in tutto simile ad un normale alloggio. La metodologia utilizzata, ispirata ai principi del cooperativelearning, comporta sia la predisposizione di momenti di confronto strutturati in gruppo, sia la creazione di un clima cooperativo trasversale alle attività. Centro Residenziale La struttura si configura in una RSD (Residenza Sanitaria Disabili) situata a Serina (Bergamo) e risponde alle caratteristiche definite dalla Regione Lombardia attraverso il DGR 232 7 aprile 12620 del 7/4/2003, per persone con disabilità acquisita grave o gravissima, con età compresa fra i 18 e 65 anni che presentino compromissioni di natura fisica, psichica, cognitivo e/o comportamentale in seguito ad un evento traumatico. Il servizio dispone di 15 posti letto, ed è aperto 24 ore al giorno tutto l'anno. Oltre al Servizio Residenziale classico, sono attivi progetti sperimentali legati alla continuità assistenziale, al sollievo (per fine settimana o periodi più lunghi) e a percorsi di accompagnamento all’autonomia abitativa. La RSD è in rete con le strutture ospedaliere di riabilitazione della Provincia di Bergamo e della Regione Lombardia. Entra nel sistema dei servizi socio-sanitari per persone con GCA gestiti da Progettazione Cooperativa Sociale. Utilizza la rete del terzo settore per progettare percorsi post RDS, attraverso l’utilizzo di servizi a supporto della domiciliarità, appartamenti protetti e residenzialità autonoma. Progetti territoriali Si realizzano nel contesto di vita familiare e/o sul territorio di residenza. In base ai bisogni della persona e agli obiettivi prefissati nel progetto individualizzato i percorsi si differenziano in: x assistenza domiciliare finalizzata al sostegno e alla cura della persona nel suo ambiente naturale di vita; x assistenza educativa domiciliare che comprende tutte le normali attività di vita quotidiana realizzate nell’ambito familiare e sociale della persona al fine di recuperare le potenzialità, d’individuare le strategie utili a compensare i deficit per favorire lo sviluppo e/o il potenziamento delle autonomie; x percorsi di socializzazione dove vengono sviluppate o rafforzate le abilità comunicative e comportamentali al fine di ri-costruire relazioni significative e il reinserimento sociale. Si cerca inoltre di accompagnare la persona a diventare protagonista di un processo decisionale dove vengano valorizzate le proprie competenze ed interessi; x percorsi occupazionali presso il laboratorio ergoterapico della Cooperativa o strutture del territorio di residenza (biblioteche, Enti Comunali, attività commerciali,…) che permettono alla persona di sperimentare le proprie competenze lavorative in un contesto protetto. 233 Laboratorio ergoterapico e Cooperativa LaB E’ un servizio a bassa protezione specifico per persone con disabilità acquisita in seguito a GCA. Obiettivo principale è l’acquisizione e il potenziamento di prerequisiti di abilità utili all’inserimento lavorativo: capacità produttiva, collaborazione, autonomia operativa, organizzazione e gestione dei tempi e spazi, riconoscimento dei ruoli/gerarchie e mantenimento di un comportamento adeguato in contesti sociali allargati. Prevede collaborazioni con Cooperative di tipo B ed Aziende che forniscono il lavoro (per lo più di assemblaggio). Il laboratorio ergoterapico è collegato ai servizi gestiti dalla Cooperativa LaB che promuove percorsi d’inserimento lavorativo per persone con disabilità acquisita in seguito a Grave Cerebrolesione Acquisita. Contatti: Sito: www.cooperativaprogettazione.it e-mail: [email protected] 234 Dall’individuazione dei bisogni alla creazione di un progetto di vita I dati riportati fanno riferimento alle persone e alle famiglie che hanno usufruito e/o usufruiscono dei servizi di Riabilitazione sociale della Cooperativa Progettazione. Si fa riferimento al periodo dal 2004 al 2011 per un totale di 127 persone; viene aggiunta un’indicazione specifica sulle persone attualmente in carico (45 – dato aggiornato a marzo 2012). Genere 17 femmine e 110 maschi Età dell’evento invalidante sino a 20 anni dai 20 ai 30 da 30 a 50 da 50 in poi 20 60 34 13 non terminato l’obbligo Terminato l’obbligo Diploma Laurea 4 66 45 12 Scolarità Tipo lesione Attualmente in carico (45 persone) Periodo complessivo 15 4 5 7 5 6 1 2 0 75 4 4 17 9 9 1 6 2 TCE Incidente stradale TCE incidente domestico/sportivo TCE lavorativo Ischemia Cerebrale Emorragia Cerebrale Anossia Ipossia Tumore cerebrale Tentato suicidio Altro 235 Percentuale d’invalidità e tipologia di pensione percepita Attualmente in carico (45 persone) Periodo complessivo 0 4 2 17 22 0 24 11 30 62 Attualmente in carico (45 persone) Periodo complessivo 0 0 0 0 0 26 11 8 2 0 0 0 0 77 36 12 Nessuna Invalidità minore o uguale a 75% Invalidità maggiore 75% Invalidità al 100% Invalidità al 100% con accomp. Nessuna Anzianità/vecchiaia Sociale Tipologia speciale Reversibilità Invalidità 2 o più tipologie di pensione Rendita INAIL I dati rilevati negli anni fanno emergere questi aspetti: x le persone giungono sempre più ai servizi di riabilitazione sociale senza essere in possesso di un certificato d’invalidità e soprattutto senza aver mai preso contatto con l’assistente sociale del proprio comune di residenza. Questo accade anche dopo anni che si è conclusa la fase post-acuta in regime ospedaliero e dopo che i familiari hanno avuto accesso a diversi servizi sanitari ed assistenziali; x nell’ultimo anno, in seguito alle revisioni d’invalidità, è aumentato notevolmente il numero di persone a cui è stata tolta la pensione di accompagnamento. Le motivazioni messe in luce dalle diverse commissioni riguardano il fatto che le persone prese in esame non hanno importanti limitazioni nella deambulazione e riescono, inoltre, ad alimentarsi e a vestirsi autonomamente. Questi dati mettono in evidenza come l’attenzione è sempre più centrata sugli aspetti motori e sulle autonomie funzionali e non sugli aspetti cognitivi-comportamentali che di fatto limitano notevolmente lo svolgimento delle attività della vita quotidiana in una persona con GCA su di un piano strumentale, relazionale e sociale. 236 Stato di convivenza Attualmente in carico (45 persone) Periodo complessivo Situazione pre-trauma Situazione post-trauma Situazione pre-trauma Situazione post-trauma Solo Con badante Con coniuge/convivente Con coniuge e figli Con figli Con 1 genitore Con 2 genitori 12 0 9 7 0 4 5 0 2 7 5 0 7 13 40 0 22 13 1 2 26 1 1 17 11 0 14 53 Con genitori e fratelli 8 6 24 23 Con Parente 0 1 0 4 In struttura 0 4 0 2 Le gravi cerebrolesioni acquisite rappresentano una delle cause principali di disabilità fisica, cognitiva e psicologica, determinando profondi cambiamenti nello stile di vita della persona che ne è affetta, e comportano gravi “perturbazioni” all’interno del nucleo famigliare. Anche dal punto di vista economico i costi dei servizi di riabilitazione sociale si aggravano sul soggetto e sulla stessa struttura societaria. Le serie condizioni cliniche di queste persone, per il numero e la complessità degli elementi disabilitanti presenti di tipo sensomotorio, comportamentale, cognitivo richiedono rapide e funzionali risposte sia sul versante sanitario (risorse strutturali, tecnologie e competenze mediche di alto livello), che sociale (ad esempio per le difficoltà di reinserimento scolastico o lavorativo) e psicologico (le variabili psicologiche non sono dipendenti in modo diretto e sistematico dalle situazioni patologiche). La famiglia rappresenta, dunque, un luogo di mediazione tra bisogni e relazioni sociali e riproduce un microsistema (dove la totalità è diversa dalla somma delle parti) in evoluzione ; possiede capacità di coping (adattamento organizzato) e si trova a dover affrontare eventi stressanti che comportano un processo di riorganizzazione di compiti evolutivi, di ruoli e di crisi di transizione (ne sono un esempio le nascite, le uscite dei figli dal contesto domestico, i lutti, il pensionamento, la diminuzione dei ruoli sociali, i conflitti relativi ai temi dell’autonomia e della dipendenza). L’attenzione al contesto familiare deve dunque prendere in considerazione: x la presenza di possibili differenze nella cura riconducibili al sesso del familiare impegnato in essa (differenze tra uomini e donne); 237 x le differenze nella cura riconducibili al ruolo che il paziente riveste, ossia figli, mariti, mogli, padri e madri; x la presenza di familiari che si trovano ancora in una fase esistenziale generativa; x l’esistenza del mutamento della cura a seconda del tempo trascorso dalla storia clinica del paziente. I macro-obiettivi diventano, dunque, quelli di: x ridisegnare insieme ai familiari un percorso di cura che sia sostenibile dalla famiglia dal punto di vista organizzativo, lavorativo ed emotivo. x riconoscere il bisogno dei familiari di trovare nuove modalità di comunicazione e relazione con il paziente. Ad esempio, la condizione di alcune situazioni cliniche molto gravi impone ai familiari di elaborare la perdita del paziente, del suo ruolo simbolico e della relazione che li legava a lui, ma al tempo stesso la dimensione della cura ha bisogno di una matrice relazionale sulla quale appoggiarsi. Rete d’aiuto Amici conoscenti Assistente familiare privata Familiari conviventi Familiari non conviventi Vicini di casa Volontari Altro Attualmente in carico (45 persone) Periodo complessivo 6 3 30 13 0 0 0 16 6 116 37 1 4 0 Per quanto concerne la rete di aiuto si rendono necessarie alcune considerazioni sulla figura del caregiver. Infatti, la diade paziente-caregiver rappresenta un punto fondamentale ed un importante supporto per gli atti terapeutici e la loro evoluzione. In particolare, l’attenzione al ruolo familiare ricoperto da questa figura e il tempo trascorso dalla data dell’evento traumatico del proprio caro, rappresentano indubbiamente due variabili decisive nelle diverse modalità con cui i familiari si accostano alla cura di queste persone e al modo in cui sono “accessibili” ed eventualmente disponibili ad un lavoro di sostegno. L’età del caregiver risulta essere un dato di fondamentale importanza, in quanto consente di capire in quale fase del ciclo di vita egli rientra. Anche “il tempo della malattia” sembra avere un’enorme influenza nell’elaborazione e nell’auto-percezione “dell’essere caregiver”. Infatti, il lungo percorso che deve affrontare questa figura quando si deve occupare di un soggetto colpito da GCA, mette in discussione 238 il senso della cura in uno dei suoi significati più remoti legati al contesto familiare, dove da sempre l’assistenza di ciascun membro assume l’immagine di reciprocità. Molte ricerche, d’altra parte, hanno individuato in alcuni caregivers e nel sistema familiare stesso forme di isolamento sociale, disturbi psicosomatici, sensazione di perdita di una parte di sé. Questi elementi continuano ad essere presenti anche quando subentra la possibilità di delega della cura o di parte di essa. Sono, inoltre, emersi sentimenti di ambivalenza tra speranza e rassegnazione, un’ambivalenza anche rispetto all’adeguatezza dei luoghi e degli operatori del sistema di cura e la presenza di una forte componente depressiva e ansiosa che permane nel tempo. D’altra parte le gravi cerebrolesioni hanno un tempo di cura infinito a cui segue una continua ricerca di organizzazione e riorganizzazione più o meno stabile della propria esistenza. Classificazione ICF e percorsi di reinserimento sociale Il progetto fa parte di una iniziativa avviata nel 2009 grazie, anche, al contributo dalla Fondazione della Comunità Bergamasca. Il Progetto del 2009 ed i suoi successivi sviluppi hanno consentito una importantissima sperimentazione, individuata come “buona prassi” nel “Documento di programmazione 2011 dell’Area Anziani e Disabili” dell’ASL di Bergamo. Su questa base si è continuato a sviluppare, diffondere ed attivare, l’utilizzo della classificazione ICF nelle attività riabilitative. Oggi, supportati dei numerosi Corsi di formazione sul tema, si utilizzano materiali divulgativi sull’ICF, schede semplificate per un primo approccio all’utilizzo e riferimenti teorici”. Lo scopo generale è quello di attivare sempre maggiori sperimanazioni nell’utilizzare un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle componenti della salute, della riabilitazione e degli stati ad essa correlati. Infatti, il Progetto ICF opera affiche i Servizi del territorio di discipline e settori diversi (clinico, sociale, ma anche statistico, ricerca, ecc) utilizzino in maniera integrata questa classificazione. L’ICF si pone come strumento indispensabile per una migliore comprensione delle diverse forme di disabilità e di salute. Si tratta di una valutazione che tiene conto non solo dei fattori biologici di base dell’individuo, delle sue caratteristiche sensoriali, motorie e delle sue capacità comunicative e comportamentali, ma anche delle diversità culturali, sociali e linguistiche. Con l’ICF si rimanda dunque al concetto di persona nella sua globalità e si abbandona la teoria che la riabilitazione si esaurisca esclusivamente in un modello e in una dimensione di stampo prettamente “medico-organicista”. Questo Modello è fatto proprio dalla Cooperativa Progettazione che lo riconosce come fondamentale per tutta la filiera riabilitativa. 239 Reciprocità unidirezionale o bidirezionale: tra capacità di adattamento individuale e partecipazione all’ambiente Da gennaio 2011 presso i servizi di Riabilitazione sociale di Cooperativa Progettazione viene utilizzato lo strumento “MAYO-Portland Adaptability Inventory (MPAI-4) quale strumento per: x valutazione e monitoraggio delle abilità, limitazioni, potenzialità e bisogni di una persona con GCA e della propria rete familiare e sociale; x identificazione dei programmi riabilitativi più idonei e monitoraggio degli obiettivi prefissati. Di seguito vengono riportati i valori di sintesi relativi a Indice di Abilità, Indice di Adattamento e Indice di partecipazione di 45 persone prese in carico. Indicazione indice di gravità: - grave: problema che interferisce con le attività oltre il 75% delle volte; - moderato grave: problema moderato che interferisce con le attività nel 25-75% delle volte; - lieve-moderato: interferisce con le attività nel 5-24% delle volte; - lieve: problema che non interferisce con le attività; possono essere necessari ausili o medicamenti. Indice di Abilità Grave 5 Moderato Grave 11 Lieve-moderato 17 Lieve 12 Mobilità, uso delle mani Vista, udito, abilità visuo-spaziali Articolazione della parola Attenzione/concentrazione, memoria Archivio nuove informazioni Soluzione di nuovi problemi Capogiri 240 Indice di Adattamento Grave 9 Moderato Grave 18 Lieve Moderato 10 Lieve 8 Ansia, depressione Irritabilità-collera-aggressività Dolore/ mal di testa, sensibilità a lievi sintomi Fatica Interazioni sociali inappropriate Rapporti con familiari, contatti sociali Iniziativa Passatempi/attività ricreative e del tempo libero Indice di Partecipazione Grave 15 Moderato Grave 11 Lieve Moderato 6 Lieve 13 Iniziativa Contatti sociali Passatempi/attività ricreative e del tempo libero Cura della propria persona Abitazione Uso dei mezzi di trasporto Attività lavorativa retribuita o altre occupazioni Gestione del denaro e finanze L’Indice di Partecipazione rappresenta una misura di particolare utilità ai fini di uno degli obiettivi ultimi della riabilitazione: la presenza partecipe ed attiva di un soggetto sul piano sociale. Infatti, i dati riportati mettono in evidenza che uno dei principali ostacoli di una persona con GCA è l’integrazione sociale che risulta essere strettamente correlata alle caratteristiche sociali e fisiche dell’ambiente. Tra settembre 2011 e febbraio 2012, presso il Centro Diurno di Cooperativa Progettazione, è stata svolta una ricerca rivolta a persone con danno cerebrale traumatico (TBI_fase degli esiti) che ha avuto come obiettivo d’indagine il ruolo che l’ambiente di vita personale e sociale assume nella definizione della narrazione soggettiva e nella costruzione del senso di autostima di una persona con GCA. Attraverso la tecnica del focus group ideata per soggetti con trauma cranico sono emersi dei dati, messi poi in relazione con la classificazione ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). I dati conclusivi indicano come gli utenti che hanno partecipato al focus group mantenevano un’immagine ambigua e discordante nel concetto di ambiente, inteso nella sua doppia connotazione di barriera e/o risorsa. Infatti, descrivano lo stesso in termini di ricchezza, quando esso veniva identificato come risorsa esterna al proprio Sé. Al contrario, la 241 dimensione ambientale percepita nella sua connotazione di limite coincideva, nella loro narrazione, solo in una dimensione autocentrata, dove gli aspetti di restrizione e blocco all’ambiente erano rappresentati da loro stessi con le conseguenze oggettive che il trauma aveva riportato a livello di menomazione cognitiva e motoria. Esiti degli interventi In carico Inserito in altra struttura Rientrato a scuola o in formazione Inserito al lavoro Rientro in famiglia Non terminato percorso* Non preso in carico 45 18 8 49 8 36 3 Inserimento in altra struttura: i servizi socio-riabilitativi erogati coprono un’area territoriale molto vasta (estesa non solo nella provincia di Bergamo, ma anche quelle limitrofe) e questo porta la rete familiare a scegliere un servizio sociale per persone con disabilità congenita e, quindi, meno idoneo più vicino al Comune di Residenza. Rientrato a scuola o in formazione: il numero risulta irrilevante perché le persone che giungono ai nostri servizi hanno già terminato le scuole dell’obbligo e la metà di essi hanno comunque conseguito un titolo superiore (45/127 diplomati, 12/127 laureati). Il tema dell’istruzione non risulta essere tra gli obiettivi principali all’interno del nuovo progetto di vita di una persona con GCA. Un dato oggettivo si riferisce anche ai corsi professionali che vengono proposti dai vari Enti formativi che non assicurano un inserimento lavorativo. Inserito al lavoro: per quanto riguarda il tema del reinserimento lavorativo si rimanda al paragrafo successivo in cui viene riportata una ricerca di follow-up effettuata da Cooperativa Progettazione nel 2007 “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”. Rientro in famiglia: solitamente rientrano in famiglia senza l’attivazione di un progetto lavorativo o territoriale le persone che appartengono ad una fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni. Per queste persone l’obiettivo ultimo dei percorsi socio-riabilitativi è quello di raggiungere il più alto livello d’autonomia nelle attività strumentali di base. Non terminato il percorso: 242 il motivo principale per cui vi è stata l’interruzione del percorso socio-riabilitativo è legata all’onere economico dell’intervento che spesso grava quasi totalmente sull’economia familiare. Non preso in carico: il dato si riferisce a quelle persone che in seguito ad una GCA necessitano di un livello assistenziale e sanitario molto elevato (presenza di tracheotomia, PEG, …). Bisogni che richiedono un’attenzione particolare Sessualità La letteratura specifica in Italia sulla grave disabilità acquisita e la sessualità risulta pressoché nulla, sebbene anche recenti contributi delle neuroscienze e della psicobiologia hanno apportato ulteriori importanti contributi allo studio del rapporto mente-corpo ed al ruolo delle sensazioni corporee e delle emozioni nella costruzione del senso di sé. Infatti, il tema dell’affettività e sessualità nelle persone con GCA rimane un bisogno importante, che spesso viene manifestato da molti utenti esplicitamente sia attraverso la verbalizzazione diretta che indiretta. Va tenuto in considerazione che eventi traumatici così significativi richiedono per molto tempo interventi riabilitativi ed educativi che riguardano innanzitutto il recupero di funzioni di base e di una minima autonomia, ma un’educazione all’affettività ed alla sessualità non è per questo un intervento disgiunto. Nel 2011 attraverso “Bando L.23” dell’Asl di Bergamo Cooperativa Progettazione ha attivato una “Proposta formativa relativa all’educazione e gestione dell’affettività e sessualità in persone con disabilità acquisita”. Obiettivo dell’intervento è stato innanzitutto offrire uno spazio d’ascolto e di parola riguardo ad una sfera tanto delicata com’è quella della sessualità con persone con GCA; in secondo luogo quella di apportare informazioni e contribuiti teorici in merito alla sessualità secondo il modello dei cinque cerchi di Willy Pasini e ancora accogliere la voce dei protagonisti: le paure i desideri, le convinzioni attinenti tale tematica in un’ottica di “ricerca sul campo” qualitativa. Dal percorso è emerso che la non accettazione e di conseguenza la non elaborazione del trauma in relazione con la dimensione sessuale merita grande attenzione ed obbliga a profonde riflessioni per i seguenti motivi: x di per sé rappresenta un fattore antagonista rispetto alla possibilità di vivere anche con i propri limiti la sessualità poiché quest’ultima si fonda innanzitutto sullo “star bene nella propria pelle”; x il trauma non elaborato anche sugli aspetti che coincidono con la propria sessualità trova in sé elementi colpevolizzanti e depressivi; 243 x vi è il rischio che la persona stessa e chi le sta a fianco mettano in campo azioni educative che non rispondono a tale esigenza; x la non accettazione di sé e la difficoltà a ritrovare una propria identità all’interno delle discontinuità causata dal trauma coinvolge innanzitutto il corpo ed inevitabilmente ha ripercussioni nel piano dell’autostima e delle relazioni interpersonali. Altro dato rilevante è legato al fatto di come l’identità maschile si fondi su quegli aspetti di autonomia e competenze lavorative (spesso invece compromessi) e che queste rimandano ad una dimensione di “virilità” prerequisito per una vita sessuale più appagante. Le riflessioni conclusive legate al percorso di formazione mettono in evidenza come con questa tipologia di utenti sia fondamentale dar spazio alla dimensione della sfera sessuale non tanto o almeno non solo sul piano dei comportamenti adeguati o disfunzionali, ma nell’ottica di rendere esplicito l’implicito. Indipendentemente dalla possibilità di vivere una vita sessuale attiva e dentro una relazione è importante riconoscere comunque il diritto alla sessualità anche nella grave disabilità. Ciò significa tener conto della persona nella sua globalità e nella sua corporeità attingendo al concetto di corpo non solo come organismo da sanare ma come “leib” (termine tedesco) come corpo che vive, sente, prova emozioni, il piacere ed è costantemente in relazione a sé ed al mondo esterno. Per chi lavora a fianco di persone così gravemente colpite ed ai loro familiari il compito di custodire un “atteggiamento erotico” verso la vita, lontano da agiti o negazioni di sorta e che si traduce in una fiducia nel cambiamento, nel rispetto e valorizzazione delle diverse soggettività, nel piacere di conoscere e del conoscersi, nell’educare ed educarsi alla bellezza. Continuità assistenziale Da quanto riportato dalle Linee Guida Sanitarie, la continuità assistenziale rappresenta a tutti gli effetti di un processo dove, individuati i bisogni del paziente, viene prestata assistenza continuativa da un livello di cura ad un altro. Questo comporta un’estensione non interrotta nel tempo degli obiettivi assistenziali attraverso una circolarità di svolgimento degli interventi fra i diversi livelli e ambiti di erogazione delle cure e dell’assistenza. In particolare, dopo una lunga degenza in ospedale il problema del “rientro a casa” è fonte di ansia e di estrema preoccupazione per il contesto familiare. Spesso al momento della dimissione ospedaliera la gestione organizzativa familiare e la struttura abitativa non sono adeguate alla situazione clinica della persona con GCA. Per rendere meno faticoso questo passaggio diviene necessario attivare un processo di continuità assistenziale che si muova su queste tre dimensioni: x Informativa: relativa allo scambio di informazioni tra operatori sanitari, sociali e rete territoriale. x Relazionale: relativa al rapporto tra operatori dei diversi servizi e contesto familiare e persona con GCA. 244 x Gestionale: relativa alla sequenza tempestiva e logicamente ordinata degli interventi. A questo proposito a partite da febbraio 2012 è stato attivato da Cooperativa Progettazione un Servizio Residenziale che risponde ai bisogni di continuità assistenziale. Nello specifico vengono offerti dei periodi di accoglienza per garantire ai familiari ed al coniuge di conciliare i nuovi compiti assistenziali con i tempi di vita e per favorire la sistemazione e l’adeguamento dell’abitazione. Re-inseirmento lavorativo In merito a questa tematica Cooperativa Progettazione nel 2007 ha realizzato una ricercastudio dal titolo “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”. Il progetto ha permesso di conoscere la complessità che i soggetti con disabilità acquisita portano nel mondo del lavoro, favorendo la costruzione di buone prassi che possono essere d'aiuto nell'integrazione lavorativa e nell'acquisizione del ruolo di lavoratore. Come è emerso dall’esito di questa indagine e confermato dalla letteratura scientifica, realizzare percorsi individualizzati considerando le potenzialità e le criticità della disabilità e in particolare della disabilità acquisita, permette di calibrare interventi mirati mettendo in prima linea la persona, la famiglia e l'azienda. In particolare nella disabilità acquisita si evidenzia la necessità di prestare attenzione alle variabili emotive e motivazionali, oltre che cognitive, in relazione al faticoso percorso di ricostruzione della propria identità che queste persone si trovano a dover affrontare, in una situazione di estrema vulnerabilità agli insuccessi e al riconoscimento dei nuovi limiti. La ricerca-studio si è focalizzata sulla stesura di un profilo d'orientamento, cercando d'integrare le conoscenze teoriche acquisite dai documenti raccolti e il sapere derivante dall'esperienza della Cooperativa Progettazione. Il confronto con altri Centri ha permesso di arricchire sia con riferimenti teorici che con esperienze dirette le procedure e gli strumenti di valutazione delle abilità residue e di formulare un insieme di strumenti per la valutazione delle variabili (anche emotive e motivazionali, alla luce della loro particolare importanza nella disabilità acquisita) che sono risultate significative nel reinserimento lavorativo. Questo nell’ottica di permettere alla persona di fruire di un percorso di riabilitazione che lavori sul riconoscimento dei limiti, ma anche delle risorse ancora disponibili, per recuperare un senso di autoefficacia e sviluppare strategie di compensazione e adattamento, trasferibili al mondo esterno, sociale e lavorativo, e alle sue richieste. Si è evidenziata infine la necessità del lavoro di rete come metodologia operativa nell’inserimento lavorativo, alla luce dell’importanza di accompagnare e sostenere i soggetti con disabilità acquisita nel lento e graduale riappropriarsi di un’identità lavorativa e sociale, determinante per una buona qualità di vita. 245 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Boldrini P., Basaglia N., GRACER (Gravi Cerebrolesioni Emilia Romagna), Un progetto di rete integrata regionale di strutture, presidi e servizi riabilitativi per le persone affette da gravi cerebrolesioni acquisite, 2002. In: Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa; 16, pp. 61-77 Apolone G., Boldrini P., Avesani R., De Tanti A., Fogar P., Gambini M.G., Taricco M., 2a Conferenza nazionale di consenso bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da grave cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase postospedaliera, 2007. 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In Brain Injury; vol. 16, n. 12, pp. 1039-1050 246 Pasini W., Crepault C., Galimberti U., L’immaginario sessuale, Raffaello Cortina, Milano 1998 Pistarini C., Aiachini B., Coenen M., Pisoni C. Funzionamento e disabilità nel trauma cranico: la prospettiva paziente italiano nello sviluppo di set di base ICF, 2011; 33, pp. 23-24; 23332345, Epub 2011, Apr 18 Romano M.D., Family response to traumatic head injury, 1974. In: Scandinavian Journal of Rehabilitation Medicine; 6, pp. 1-5 Scabini E., Cigoli V. (1991), L’identità organizzativa della famiglia. In: Identità adulte e relazioni familiari. Studi interdisciplinari sulla famiglia; n. 10, Vita e Pensiero, Milano, pp. 63-104 Scabini E., Psicologia sociale della famiglia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995 Sinnakaruppan I., Downey B., Morrison S., Head injury and family carers: a pilot study to investigate and innovative community-based educational program for family carers and patients, 2005. 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In: Brain injury; 21(11), pp. 11191130 247 IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI PER USCIRE DAL COMA E RIENTRARE NELLA VITA Fulvio De Nigris1 Tutti coloro che hanno un familiare colpito da una grave cerebrolesione acquisita si trovano in una situazione difficile da affrontare. La loro vita viene completamente stravolta da problemi di diversa natura: Emozionali, Sociali, Economici, Burocratici. Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” realizzato dal Ministero della Salute e che ho avuto l’onore di coordinare, per la prima volta, un gruppo di oltre 30 associazioni laiche, cattoliche e di tutte le religioni, appartenenti ai principali coordinamenti italiani (La Rete – Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, FNATC – Federazione Nazionale Associazioni Traumi Cranici, Vi.Ve – Vita Vegetativa) hanno espresso il loro punto di vista associativo sui percorsi che devono tutelare i bisogni delle famiglie. Le associazioni in tutti questi anni hanno dimostrato di essere propositive, di interpretare un ruolo importante nella rappresentazione di familiari ed i temi espressi in questo libro rappresentano riflessioni e domande su obiettivi non ancora raggiunti. Sono problematiche che rimandano alla necessità di predisporre un’indagine/studio per identificare: la popolazione, il livello di assistenza (sanitaria e sociale) prima e dopo le dimissioni, le strutture preposte all’assistenza, le condizioni di vita di queste persone e delle rispettive famiglie, le implicazioni burocratiche, gli strumenti sanitari e sociali di supporto. In questo “Libro bianco”, si è cercato di fotografare la situazione esistente, elaborando al tempo stesso il vissuto personale nei confronti del sistema socio-sanitario, sia per poter indicare alle autorità competenti i migliori percorsi e le pratiche più efficaci da mettere in atto che per informare l’opinione pubblica e mettere a disposizione direttamente il proprio punto di vista. Un libro bianco dunque per comprendere la realtà delle persone in stato vegetativo e d minima coscienza. Perché le persone con cerebrolesioni meritano risposte di sistema e prestazioni che rispondano a livelli essenziali di assistenza, rappresentando una delle componenti importanti della non autosufficienza sulla quale è determinante, anche per quanto riguarda i pazienti con esiti di coma e stato vegetativo, avere voce in capitolo. 1 Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma – Gli amici di Luca onlus; Componente LA RETE (associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite); Membro dell’“Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità”; Membro dell’“Osservatorio nazionale sul volontariato” 248 La Carta di San Pellegrino Le associazioni dei familiari riunite nei coordinamenti nazionali La RETE- Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e FNATC - Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico, operanti nel "Seminario permanente sugli stati vegetativi" del Ministero della Salute, al fine di tutelare la dignità, la libertà e i diritti delle persone in stato vegetativo e minima coscienza, le condizioni di grave disabilità acquisite, in sintonia con gli operatori sanitari in un percorso di alleanza terapeutica, concordano i seguenti punti: 1) Nessuna discriminazione deve essere attuata in base alle condizioni di età, salute fisica e/o mentale. 2) Le persone che non hanno la capacità di decidere devono essere tutelate e protette. 3) Qualsiasi intervento medico o assistenziale deve essere un aiuto alla vita. 4) La tutela del paziente deve prevalere su ogni altro interesse. 5) L'alimentazione e la idratazione sono atti dovuti. 6) Il paziente ha diritto alle migliori cure mediche e riabilitative. 7) La ricerca clinica e scientifica sugli stati vegetativi e di minima coscienza deve essere promossa e sostenuta. 8) La famiglia ha diritto ad una sistematica informazione corretta, comprensibile e completa e deve avere libera scelta del posto di cura. 9) La famiglia ha il diritto di essere tutelata ed assistita nel percorso di cura e di disabilità. 10) Le associazioni devono essere riconosciute a supporto e in rappresentanza delle famiglie come risorsa qualificata, durante tutto il percorso. San Pellegrino Terme, 5 aprile 2009 249 Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” sono riportate in un capitolo specifico buone pratiche a livello nazionale. Da “Casa Palazzolo” presso la Clinica Quarenghi in collaborazione con l’associazione “Genesis” di San Pellegrino Terme, a “Villa Elena” a Pegli con l’associazione “Rinascita e Vita” di Genova, a “Casa Dago” con l’associazione Arco 92 di Roma, a “Casa Iride” con l’associazione Risveglio di Roma e tante altre. Una di queste eccellenze, un modello di riferimento a livello nazionale, è la Casa dei Risvegli Luca De Nigris dell’Azienda Usl di Bologna che ne persegue gli obiettivi con l’associazione “Gli amici di Luca onlus”. Casa dei Risvegli Luca De Nigris - modello assistenziale La particolarità di questa struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna che ne condivide gli obiettivi in convenzione di intenti con l’associazione Gli amici di Luca (per attività di assistenza, formazione, sostegno e reinserimento sociale) è nell'intersezione tra diversi progetti sulla persona che comprendono: il contesto ambientale, la riabilitazione, l'integrazione e l'inclusione sociale. E’ un lavoro in sintonia, in alleanza terapeutica. L’associazione raccoglie fondi anche per la ricerca espletata dal Centro Studi per la Ricerca sul Coma. Recentemente è stato donato uno “stimolatore cerebrale” all’Azienda Usl di Bologna. Ormai è riconosciuto che il “coma” è una sintomatologia della famiglia e come tale è tutto l'ambito familiare, la rete amicale e affettiva che deve esserne coinvolta. Questo vuol dire affrontare il tema in maniera multidisciplinare, da vari punti di vista, tenendo conto che il fattore ambientale è molto importante. Bisogna dire che l'incontro tra chi “sa di coma” e chi “vive il coma” diventa molto significativo. Il sapere e il vivere sono due competenze che a volte si incontrano, spesso si scontrano. Il sapere, la teoria, prescinde dall'esperienza privata, ma in questo particolare ambito, come anche in altri, viene arricchita dall'esperienza personale. C'è una competenza della famiglia, che viene riconosciuta anche dalla comunità europea, è la competenza affettiva, dell'accompagnamento, il sapere dettato dal punto di vista, dalla formazione personale e da altro ancora. E’ un mondo che qui non è chiuso, ma si apre con la famiglia, con il volontariato, con chi sa di sociale per tentare 'impresa più difficile, quella del ritorno. Per ritornare c'è bisogno di un team multidisciplinare la comunicazione l'investimento anche economico. C'è il desidero di fornire un buon, ottimo grado di autosufficienza. Sapendo che la famiglia potrà traghettare queste persone fuori dalla struttura, nel mondo sociale, possibilmente al domicilio dove si continuerà quella battaglia che un centro di eccellenza non può compiere da solo. La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è un Centro di riabilitazione post-acuta di livello ospedaliero appositamente progettato per soggetti gravemente disabili completamente non autosufficienti e richiedenti trattamenti riabilitativi continuativi, nell’ambito di un percorso integrato di assistenza e riabilitazione. La struttura, attiva dal Marzo 2005, è un nodo del percorso Bolognese per le gravi o 250 gravissima lesioni acquisite che, nel territorio coperto dalla Azienda USL di Bologna, assiste circa 200 persone all’anno fra le quali almeno 40 necessitano di assistenza protratta. Come tale, è una struttura riabilitativa per pazienti con GCA, specializzata per le condizioni a bassa responsività protratta (SV e MCS) e per le gravissime disabilità “slow to recover”. Negli ultimi anni si è imposta in modo sempre più evidente l’attenzione al problema dei percorsi di assistenza per i pazienti con esiti di grave e gravissima cerebrolesione acquisita. Emerge ormai un ampio consenso sul fatto che sono necessari percorsi di qualità specificamente dedicati, caratterizzati da competenze tecnico professionali specializzate, e che, dopo la rianimazione e/o neurochirurgia, deve essere garantito un accesso tempestivo alla riabilitazione. E’ dimostrato dalla nostra esperienza che la fase di riabilitazione postacuta sia più efficace per il paziente e per la sua famiglia se condotta all’interno di aree ospedaliere meno caratterizzate dal punto di vista dei modelli ambientali ed organizzativi tipici dell’ospedale per acuti ma più riconducibili al funzionamento di un domicilio o di una piccola comunità. Dal 2005 ad oggi oltre 130 ospiti la maggior parte uomini (età media 36 anni). L’80% è tornato al domicilio “risvegliato”, dando il giusto significato a questa parola, al suo grado di autosufficienza, con i segni più o meno gravi di disabilità. Durante questo lungo percorso la presa in carico dei familiari è un elemento prioritario quanto la stessa gestione clinica e riabilitativa del paziente, al fine di consentire una efficace restituzione al domicilio al termine della fase riabilitativa. Questa ipotesi è il cuore del progetto sperimentale della Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna. Nel nome “Casa dei Risvegli” la parola “casa” evoca un modello di ecologia sociale diverso dai contesti ospedalieri tradizionali ed il plurale “risvegli” nella metafora di questa parola evoca una molteplicità di soggetti potenzialmente coinvolti in un necessario processo di cambiamento e conquista di consapevolezza: dalla persona alla sua famiglia e fino alla rete delle relazioni attorno ad essa. Nell’ambito del progetto di sperimentazione assistenziale e nell’accreditamento della Regione Emilia Romagna recentemente raggiunto è equiparata ad una struttura ad alta specialità neuroriabilitativa (codice di disciplina 75, posti letto 10). La Casa dei Risvegli Luca De Nigris persegue esplicitamente l’obiettivo di fornire alle famiglie aiuto e formazione specifica con un approccio strutturato. interagire con loro vuol dire fare una buona accoglienza ai genitori, ai figli, ai parenti, al care giver, il che significa che la struttura considera di non doversi prendere cura soltanto del paziente ma anche del suo ambito familiare che ha forti interessi nei suoi confronti, interessi inalienabili e che possiamo definire “curanti”. La permanenza dei familiari accanto all’assistito si allontana da una degenza intesa come “tempo passivo”, ma bensì prevede un lavoro sulla relazione, sull’identità, sui ritmi, sulla percezione e sul comportamento con un apprendimento operativo nella quotidianità per far maturare nella famiglia anche solo un po’ più di consapevolezza della sua centralità e un po’ più di abilità concrete di gestione della vita. 251 Il volontariato è un’altra risorsa della struttura. La motivazione che muove verso l’azione volontaria rappresenta il motore che permette ad un’associazione di volontariato di esistere e crescere, poiché attiva a livello individuale e sociale quel processo che amplifica il coinvolgimento e la partecipazione della società civile. La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è inoltre il luogo della vita e delle arti. Il coinvolgimento dei familiari e del loro contesto socio-relazionale attiva momenti artistico – socio -culturali, con lo scopo di riorganizzare i tempi della quotidianità mediante attività educative, ricreative e culturali con momenti di musica, arte, scrittura, lettura, spettacoli teatrali. La dimissione dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris non significa conclusione del progetto riabilitativo e assistenziale. La riabilitazione e le attività di cura possono proseguire a domicilio come altra fase del percorso riabilitativo, in base alle necessità e alle disabilità residue. Le persone provenienti da altre regioni rientrano al loro domicilio nel territorio di residenza assicurando, per quanto possibile, i percorsi della continuità terapeutica. Per tutti i pazienti dimessi dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris viene inoltre assicurata una continuità di contatto, relazione ed aiuto alla famiglia da parte della Associazione Gli amici di Luca anche attraverso il numero verde Comaiuto (800998067). I bisogni di una persona che permane in stato vegetativo (SV) L'approccio assistenziale e riabilitativo di queste persone è un problema di grande rilevanza medica e sociale, poiché la loro aspettativa di vita è in progressivo aumento in tutti i paesi industrializzati. L’attesa di vita si attesta tra l’uno e i cinque anni, con casi, abbiamo visto non così rari, che superano i dieci e più anni. Trascorsi i primi mesi dopo l’evento acuto tra la terapia intensiva e il successivo ricovero in un centro di riabilitazione, perseguendo l’obiettivo del miglior recupero possibile, il paziente, pur con gravissima disabilità, ha concluso il suo percorso e può quindi essere dimesso. Ma come dimettere una persona così fragile? Verso quale soluzione indirizzarla? La scelta fra il rientro al proprio domicilio o l’inserimento in una struttura residenziale rappresenta un’alternativa difficilissima per la famiglia (ma anche per l’équipe che lo ha avuto in cura) e non solo per le implicazioni emotive e psicologiche di un tale cambiamento. Si tratta infatti di una scelta condizionata da numerosi fattori tra cui le condizioni cliniche del paziente stesso, le risorse emotive e fisiche della famiglia, le disponibilità sul territorio di strutture atte all’accoglienza o di servizi domiciliari cui appoggiarsi. Se in passato, quando i casi di pazienti in queste condizioni erano estremamente rari e avevano un’aspettativa di vita molto più modesta, l’unica alternativa al momento della dimissione era il rientro al proprio domicilio, oggi non è necessariamente così. Sempre più frequentemente ci troviamo di fronte a persone le cui condizioni sono tali da non poter essere gestite al domicilio, o 252 che non hanno un nucleo familiare in grado di riaccoglierli a casa (famiglie mono-parentali, genitori anziani…). Fattori sociali, culturali, ambientali, ma anche strettamente clinici impongono. C’è dunque la necessità di prevedere alternative al domicilio, ricoveri ad libitum in strutture adeguate all’accoglienza. Da una indagine conoscitiva di un gruppo di lavoro della Conferenza di Consenso di Verona 2005, è emerso che nel territorio nazionale esiste una notevole disomogeneità per quanto riguarda le strutture residenziali post-ospedaliere tra le varie Regioni Italiane. Disomogeneità che riguarda sia la programmazione di unità dedicate con un numero di posti letto in linea con le osservazioni epidemiologiche, sia l’esistenza e l’impiego di linee guida regionali per la definizione e la standardizzazione degli approcci assistenziali. Secondo alcuni dati disponibili l’incidenza annua in Italia si aggira sui 1.500 casi adulti. Per quanto riguarda la prevalenza, la stima è ancora più difficile perché mancano informazioni certe sulla sopravvivenza. Orientativamente uno studio Ministeriale riteneva che la prevalenza potesse essere di 6.000 casi, con una tendenza all’aumento. Si evidenzia quindi un primo dato significativo: la disponibilità di posti letto in strutture residenziali è attualmente inferiore alle necessità stimate e, soprattutto, la disomogenea distribuzione di tali posti sul territorio nazionale è tale da costringere molte famiglie alla scelta obbligata di un ricovero lontano dalla propria area territoriale o di un forzoso rientro al domicilio. La sfida della residenzialità La tradizione e l’esperienza italiana nell’assistenza extra-ospedaliera affondano le proprie radici nelle istituzioni storiche degli ospizi dove tradizionalmente trovavano ricovero e assistenza le persone anziane o senza famiglia. L’evoluzione di queste strutture, sulla spinta soprattutto dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti dell’organizzazione della società, le ha portate negli ultimi anni a una crescente diffusione e a una professionalizzazione sempre maggiore. All’impegno strettamente assistenziale si è andata aggiungendo una competenza professionale sanitaria crescente in grado di rispondere alle sempre più frequenti richieste di una utenza anziana con pluripatologia. La specificità per l’assistenza all’anziano è stata, e in molti casi è ancora, l’elemento caratterizzante di queste strutture, che però negli anni si sono trovate sempre più spesso pressate da richieste di ricoveri che, per quella che era la loro tradizione, potrebbero definirsi impropri. Tra questi anche la sempre più comune richiesta di inserire, in un luogo nato per gli anziani, persone in SV o di SMC, indipendentemente dall’età. Partendo dall’esperienza derivata dal ricovero di singoli casi, molte strutture sono andate gradatamente costruendosi una competenza nella gestione anche di questi pazienti. Parallelamente le istituzioni locali hanno iniziato a contrattualizzare con delibere ad hoc la loro gestione in termini di spesa, minutaggio del personale richiesto, indicazioni di professionalità coinvolte. 253 L’acquisizione di competenze e capacità critica negli anni ha portato alcuni gestori alla scelta di costituire nuclei omogenei di pazienti al fine di ottimizzare le ricorse necessarie per la loro quotidianità. Permangono ancora casi, non rari, di strutture che, pur rimanendo principalmente dedicate all’accoglienza di ospiti anziani, accettano di ricoverare anche solo un paziente in SV al fine di favorire la famiglia con una prossimità territoriale a discapito di una maggior professionalità. Attualmente le persone in SV o di SMC in Italia sono quindi accolte anche in strutture per anziani quali le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), dove si ricoverano genericamente pazienti over 65 e in strutture dedicate all’handicap quali le Residenze Sanitarie per Disabili (RSD) e dove l’utenza è generalmente rappresentata da disabili psichici o fisici di varia portata. In altri casi ancora possono essere accolti in strutture di riabilitazione generale e geriatrica senza vincoli temporali per la durata del ricovero. Tale varietà di alternative tende a generare, più che un ampio ventaglio di opportunità per la famiglia, una caotica confusione e una parcellizzazione sul territorio di questi pazienti contribuendo ulteriormente alla difficoltà di un monitoraggio nel tempo dell’evoluzione delle loro condizioni e alla difficoltà da parte degli enti competenti di attuare adeguate verifiche impostando standard di qualità più omogenei sul territorio nazionale. Qualunque sia la natura originaria della struttura di accoglienza territoriale, per anziani o per disabili, è importante che sia ben chiara all’équipe la specificità di questi ospiti. Accogliere una persona in SV o SMC pone la struttura di fronte alla necessità di riflettere sulla complessità dei loro bisogni sanitari e assistenziali, ma non solo. La criticità di questi reparti si articola su più fronti: Una persona in SV è portatore di bisogni sanitari: si tratta infatti di persone le cui condizioni cliniche sono generalmente stabilizzate, ma la cui fragilità le pone sempre a rischio di ricadute o complicanze. Ai bisogni sanitari si aggiungono quelli di natura più strettamente assistenziali, che rappresentano la maggior parte delle necessità delle persone in SV. Essere lavati e vestiti tutti i giorni, alzati dal letto e posturati in carrozzina, essere accompagnati fuori dalla propria stanza per poter variare ambiente e quindi colori, suoni, odori rappresenta una necessità che permette di garantire un benessere fisico e una dignità della persona stessa. La famiglia del paziente è l’altro elemento di cui la struttura deve farsi carico. Portatore di un bisogno insaziabile di essere ascoltato, informato, accompagnato, il nucleo familiare, a volte costituito da un'unica persona rimasta tenacemente accanto al paziente, a volte da un gruppo poco coeso sul modo di vivere la realtà vegetativa ma granitico nelle richieste di qualità della cura e dell’assistenza, deve essere accolto e debitamente formato. Il rischio altrimenti è di una contrapposizione che non giova né al paziente né agli operatori. Una struttura residenziale socio-sanitaria deve tenere in considerazione e saper gestire anche i cambiamenti dei suoi ospiti. Cambiamenti che vanno nelle direzioni opposte del peggioramento della condizione clinica, un peggioramento dettato dall’invecchiamento del paziente stesso, ma anche cambiamenti intesi come miglioramento delle condizioni cliniche, con un’attesa di vita che si allunga. Non sono così rari i casi di SV cronici in cui dopo anni, si riscontrano lievi, ma significativi cambiamenti delle capacità di reagire all’ambiente e agli stimoli presentati. In questi casi non si può 254 parlare di veri e propri risvegli, anche se qualche caso aneddotico è riportato in letteratura, ma più comunemente di modificazioni che determinano capacità di reazione maggiori agli stimoli esterni e che assumono un’importanza enorme per i familiari e gli operatori che vi si dedicano quotidianamente. Una sopravvivenza in continua crescita e un aumento dell’aspettativa di vita creano i presupposti per un impegno sempre maggiore nell’organizzare risposte adeguate ed economicamente sostenibili per accompagnare il paziente e la sua famiglia negli anni a venire. Tornare a casa: ma quale casa? “La possibilità che una persona torni a domicilio dipende dalla condizione sociale della famiglia e dalla disponibilità dei familiari a partecipare al lavoro di cura. Accompagnare la famiglia, formarla e renderla partecipe è un lavoro che accomuna associazioni, operatori sanitari, non sanitari e volontari”. Nel documento della Conferenza di Consenso di Verona del 2005 – che affronta con molta attenzione la problematica dei bisogni riabilitativi e assistenziali delle persone con disabilità da grave cerebrolesione acquisita e delle loro famiglie nella fase post-ospedaliera – le Associazioni dei familiari esprimono in maniera chiara il disagio vissuto dalla famiglia nel percorso del dopo ospedale: “A tutt'oggi – scrivono – il reinserimento socio-familiare delle persone con esiti gravi o gravissimi costituisce l'ennesimo momento di ‘crisi’ per la famiglia poiché quasi sempre si trova all'improvviso privata del sostegno di un'équipe medica competente e sprovvista di mezzi per affrontare la complessità e la gravità del compito”. Il documento descrive anche, in maniera convincente, lo stravolgimento della loro vita lavorativa e di relazione proprio in un momento in cui maggiore è la necessità di un sostegno psicologico ed economico: “E' inevitabile che almeno uno dei membri della famiglia debba dedicare la maggior parte del proprio tempo e delle proprie energie al lavoro di assistenza ed è costretto a rinunciare a qualsiasi attività professionale, di svago e inerente il tempo libero. I parenti prossimi, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, col passare del tempo, diradano le loro visite, gli atteggiamenti di interessamento e di solidarietà dimostrati nelle fasi acute si riducono e, quindi, i legami si allentano fino a rompersi definitivamente”. E’ evidente l’urgente necessità di istituire ufficialmente un’adeguata pianificazione della gestione di tale condizione di gravissima disabilità con definizione di linee guida per organizzare e agevolare un’appropriata “domiciliazione” che possa essere inquadrata come “protetta” o in modalità di accoglienza transitoria che sia finalizzata a preparare la famiglia alla domiciliazione del congiunto ed alleviarla in periodi di “sollievo”. L’impegno quotidiano nell’assistere una persona in SV è rilevante sul piano sia fisico che psicologico. Da un conto di massima e da esperienze condotte sul campo, si può dire che l’incremento economico mensile delle spese che una famiglia deve sostenere si aggira intorno ai 3.000–3.500 euro. 255 Per questo, forti anche del dibattito aperto all’interno dell’”Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità” abbiamo promosso il progetto della prima “Conferenza nazionale di consenso delle associazioni” che abbiamo messo in campo come coordinamento “La RETE” con la collaborazione degli altri coordinamenti con i patrocini, tra gli altri, della FIASO e FNOMCeO. In questa iniziativa cercheremo di rispondere alla domanda: “QUALI I FATTORI DI QUALITA’CONDIVISI NELL’ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI?”. E’ una domanda alla quale cercheremo di rispondere con incontri che, oltre al convegno di Bergamo, avrà appuntamenti già calendarizzati ad Exposanità (maggio 2012), San Pellegrino (giugno 2012) alla “Giornata nazionale dei risvegli” (ottobre 2012) e sulla quale stanno riflettendo gruppi di lavoro che analizzano temi quali: 1) i diritti delle persone con disabilita’- tutela giuridica e normativa; 2) 2)il ruolo delle associazioni che rappresentano i familiari; 3) standard di qualità nelle strutture di accoglienza; 4) possibile standar di qualità nel rientro a domicilio; 5) corretta comunicazione tra sanitari e familiari. Un problema di comunicazione e sensibilizzazione La persona in SV può comunicare? A quest’ultima domanda abbiamo, come associazioni, avanzato alcune risposte. La persona in SV può sviluppare un suo protocollo di comunicazione non verbale, elementare ed essenziale e affinarlo nel tempo. Non possiamo sapere se questa è una comunicazione intenzionale, ma sta di fatto che sono tante le persone in SV che spesso riescono a far capire il loro stato di serenità, di disagio, o di sofferenza con l’espressione degli occhi, della bocca, del viso, con la postura, il respiro, l’aumento dei battiti del cuore. Io sono testimone di quel “Sento che ci sei” che è un’affermazione, una convinzione dei familiari che convivono con una persona in SV o di minima coscienza. La persona in SV è quindi potenzialmente in grado di manifestare emozioni semplici e può accadere che, nell’arco della giornata, apra alcune “finestre” e riesca a stabilire, seppur in forma minima e quasi impercettibile, un contatto con l’ambiente e/o le persone che la circondano. Una cosa è certa: occorre che ci sia la presenza di qualcuno disponibile ad andare loro incontro imparando il loro linguaggio, senza pretendere che “tornino” da noi comunicando con la nostra forma convenzionale. Man mano che passa il tempo, i familiari imparano sempre di più a interpretare ogni forma espressiva della persona in SV che vive insieme con loro. Ma oggi la disabilità sembra essere uscita dal panorama della comunicazione. Come si comunica all’esterno il coma? Dove finisce il diritto di cronaca e cominciano la privacy, il rispetto. Il silenzio del dolore? Sono domande che ci siamo posti molte volte e che per la“Giornata dei risvegli” del 7 ottobre del 2005, ha fatto nascere con l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, la Rete Italiane Città Sane, l’Azienda Usl di Bologna, l’Università di Bologna ed il Segretariato Sociale della Rai la 256 carta “Comunicare il coma” (www.comunicareilcoma.it) una dichiarazione d’intenti che comprende norme sulla redazione e diffusione di notizie sul coma e sulla malattia in generale. 257 258 La carta “Comunicare il coma” dovrebbe sì tutelare i soggetti deboli (come la “Carta dei doveri del giornalista” e la “Carta di Treviso”) ma dovrebbe cercare di ampliare il concetto di normalità come oggi acquisito e perseguito nell’ottica dell’indirizzo espresso in strutture di cura come la Casa dei Risvegli Luca De Nigris. La carta è stata diffusa in tutti i Comuni aderenti alla Rete Italiana Città Sana, a tutte le redazioni. Sono stati promossi momenti di riflessione e discussione. Si è cercato di far capire che, oltre ai risvegli miracolosi, oltre alla malasanità, esiste una notiziabilità più diffusa, più quotidiana, del coma e dello stato vegetativo. E’ quel percorso che le famiglie vivono spesso in solitudine, con grandi difficoltà. Dove emerge la voglia di farsi ascoltare, di essere rappresentati, per raccontare la loro “normalità”: E’ questo lo scoglio ancora arduo da superare. Le associazioni perseguono questi obiettivi attraverso iniziative dedicate. La “Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma” testimonial Alessandro Bergonzoni, la "Giornata nazionale sui traumi cranici”, la “Giornata nazionale sugli stati vegetativi”. Attraverso convegni scientifici, spettacoli teatrali, appuntamenti pubblici e campagne di comunicazione si cerca di far riflettere attorno al coma e promuovere una nuova alleanza terapeutica tra strutture sanitarie, famiglie e associazioni. Conclusioni Quando la vita incontra la malattia genera migliaia di persone che imparano a convivere con la malattia. E' una convivenza fatta di emozioni e di praticità. E' fatta di tanti sentimenti diversi e a volte contrapposti. E' fatta anche di disagio, dolore, a volte disperazione. E' fatta di speranza. E' fatta di coraggio di vivere, organizzando i momenti pratici che aiutano la persona in difficoltà e la sua famiglia a vivere. Chi vive queste situazioni sa di cosa parlo. La famiglia a volte si chiude come un bozzolo d'amore che protegge, e proteggendo spesso non permette ad altri di entrare. Le reti amicali, le associazioni, la società ha questo compito, quello di aprire, di non ghettizzare di far sì che i luoghi dove si convive con la malattia siano i posti che sono più uguali agli altri luoghi della comunità. Dove non ci sono tutte differenze, ma queste e uguaglianze come negli altri posti. C'è un proverbio africano che dice :“Per educare un bambino non bastano due genitori, ci vuole tutto il villaggio”. Adattandolo alle nostre tematiche potremmo dire: “Per riabilitare (aiutare, accompagnare) un paziente in coma e stato vegetativo non basta la famiglia, ci vuole l'intera comunità”. Questa comunità molto spesso ha difficoltà a riunirsi ed agire intorno a questo specifico problema. Ma come associazioni siamo impegnate in alcune significative proposte affinché: - le Regioni riconoscano lo Stato Vegetativo e di minima coscienza come uno degli elementi della rete delle gravi cerebrolesioni quale problematica rilevante del territorio nazionale. Con conseguente immediata applicazione delle “Linee guida sugli stati vegetativi e di minima coscienza” ratificate dalla conferenza Stato/Regioni compresa l’indicazione che vede la 259 consultazione delle associazioni di riferimento. L’applicazione di queste linee guida renderebbe omogeneo lo standard di assistenza su tutto il territorio nazionale; - si mettano insieme i dati per uno studio epidemiologico complessivo delle persone in Sv e minima coscienza. Si parla di 3.000-3.500 persone in queste condizioni, ma si tratta di una stima, servirebbe un vero e proprio studio sistematico. Da un recente progetto di ricerca tracciato dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano sugli stati vegetativi e di minima coscienza, finanziato dal Ministero della Salute, si attesta il profilo del paziente tipo: Il 59% sono uomini, hanno in media 55 anni, nel 54,8% dei casi sono sposati e vivono in questa condizione mediamente da 5 anni; - si istituisca una legge sugli stati vegetativi e si istituisca un fondo ad hoc per sostenere le famiglie, la domiciliarità dei pazienti e la ricerca scientifica; - si condivida la creazione di una rete di luoghi di “sollievo” e di lungo assistenza nel territorio nazionale; con la possibilità di promuovere nei Piani Regolatori la costruzione di “condomini solidali” con l’integrazione di nuclei familiari al cui interno ci sono persone in stato vegetativo e di minima coscienza; - si istituiscano in ogni territorio regionale le SUAP (Speciali Unità di Accoglienza Permanente che in teoria dovrebbero specializzarsi su questo tipo di pazienti e che oggi si contano, a livello nazionale, sulle dita di una mano; - si sostenga la diffusione del percorso domiciliare del progetto speciale “COMAIUTO” per il sostegno alle persone con esiti di coma e le loro famiglie. Un progetto che l’associazione “Gli amici di Luca onlus” ha attivato come sperimentazione grazie ai fondi raccolti dall’associazione “Trenta ore per la vita”. Le cittadinanze onorarie in questi ultimi tempi consegnate dal Comune di Bologna a Cristina Magrini, in stato vegetativo da oltre 30 anni e dal Comune di Pavia a Max Tressoli, ragazzo risvegliatosi dopo 10 anni, sono segni di grande civiltà e di democrazia. Ma bisogna sempre dimostrare una eccezionalità per essere riconosciuti. E purtroppo, non basta che Simona Atzori, splendida danzatrice disabile, vada in prima serata al festival di Sanremo per sdoganare la disabilità. La disabilità si accetta quando diventa normalità. Quando le uguaglianze sono riconosciute e non più marginalizzate. A questo servono le associazioni: a vigilare, ad essere sentinelle, a rendere visibili percorsi invisibili. E ad aspettare il momento in cui, senza alcun pericolo per le famiglie, potranno fare tranquillamente un passo indietro. 260 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI De Nigris F (coordinatore), Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Il punto di vista delle associazioni, Ministero della Salute, Roma, 2010 De Nigris F., Sento che ci sei:dal silenzio del coma alla scoperta della vita, Bur Rizzoli, (collana “I libri della speranza” diretta da Davide Rondoni), Milano, 2011, Piperno P., Casa dei Risvegli Luca De Nigris: modello assistenziale. In: Documenti Azienda Usl di Bologna, Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004 Vaccari M., Percorso familiare e sostegno del volontariato, In: Documenti Azienda Usl di Bologna, Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004 261 IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI Paola Dellera1 Per GCA s’intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranioencefalico o ad altre cause (anossia cerebrale, emorragia, etc.etc.) tale da determinare una condizione di coma, e menomazioni sensomotorie, cognitive-comportamentali, che comportano disabilità grave. La persona con GCA, seppur curata e riabilitata con tutta la professionalità che i vari centri di riferimento offrono, viene restituita alla famiglia e alla società come una persona fragile. Un’analisi dei bisogni ha imposto una riflessione sull’individuazione di setting appropriati nelle varie fasi (fase acuta, fase riabilitativa e fase degli esiti) cercando di evidenziare le problematiche più salienti e le risposte alle necessità dei pazienti e dei familiari. I diversi momenti che interessano l’assistenza delle persone con GCA - quello clinico, quello riabilitativo e quello del reinserimento sociale - coinvolgono un insieme di strutture e di funzioni differenti. La ricchezza d’interventi, anche molto qualificati, che hanno il vantaggio di offrire prestazioni specialistiche di elevata qualità può, però, talvolta tradursi in un’eccessiva frammentazione del problema, a causa dell’assenza di collegamenti tra i vari soggetti coinvolti nelle diverse fasi del percorso riabilitativo. E’ pertanto fondamentale la costruzione di una rete di continuità assistenziale che coinvolga lo specialista ospedaliero, le risorse sanitarie territoriali riabilitative di competenza, le associazioni e le famiglie. Riflettendo sulla nostra esperienza ci siamo accorte che non di rado Comune servizio educativo, servizi riabilitativi non dialogano tra di loro: manca un lavoro di rete con i soggetti di cui si occupano i servizi. A volte paradossalmente, è la famiglia che fa il famoso lavoro di rete, è l’utente che mette in relazione organizzazioni diverse presenti sullo stesso territorio. Non va però dimenticato che per la famiglia questo è un compito particolarmente pesante soprattutto nella fase di passaggio da un servizio ad un altro. Siamo ancora nella logica del bisogno invece di lavorare sulla mappa delle relazioni che aiutano il disabile e la sua famiglia a rimanere in contatto con le persone e la società per essere aiutati a costruire condizioni di vita migliori. Sempre di più in questi anni è emerso il bisogno di lavorare con le istituzioni locali per favorire la “continuità terapeutica” che corrisponde alla necessità di costruire servizi sul territorio per favorire la continuità dell’assistenza dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera senza dover disgregare la famiglia sia sul lato affettivo che economico. A causa della mancanza di tali sevizi spesso le 1 Presidente dell’ A.A.T.C. – Associazione Amici Traumatizzati Cranici, Bergamo 262 famiglie in questi anni hanno cercato risposte, non sempre idonee, in strutture quasi sempre private fuori dalla Lombardia con gravi costi per la famiglia, nella speranza di riportare il proprio caro alla completa guarigione. Partendo dal percorso assistenziale – riabilitativo effettuato da ogni singolo paziente si ritiene importante valutare i bisogni specifici dei soggetti con GCA e dei loro familiari e la reale risposta che viene data dall’offerta socio-sanitaria. Occorre valutare il grado di reinserimento sociale e lavorativo, in quanto questo aspetto gioca un ruolo notevole nel recupero del soggetto e della propria famiglia, nonché le eventuali situazioni di disabilità nello svolgimento della normale vita quotidiana derivanti sia da deficit motori che cognitivo – comportamentali. Concentrandoci inoltre sulla fase degli esiti, risulta fondamentale chiedersi quale sia il reale livello di offerta e di utilizzo, da parte dei pazienti dimessi dalle strutture riabilitative e mediche per controlli periodici necessari considerata la disabilità permanente. Riteniamo necessario che i pazienti possano accedere, dopo le dimissioni dalla struttura riabilitativa, a servizi ambulatoriali che garantiscano interventi adeguati e individualizzati grazie alla presenza di un‘equipe medico specialistica in grado di fornire una risposta competente alle varie necessità (es. psichiatra che abbia competenze per patologia organica, fisiatra, neuropsicologo, psicologo, neurologo etc). Un’altra delle necessità emerse dalle famiglie è quella di essere accolte e accompagnate dentro le scelte delicate che devono affrontare per i loro cari. Non è sufficiente elargire solo aiuti di tipo economico che risultano a volte ridicoli e offensivi per la dignità di una persona che si trova in uno stato di fragilità. Le famiglie sentono il bisogno di entrare più attivamente nei progetti pensati e valutati per i loro familiari, con l’idea di una condivisione che parta dal concetto di corresponsabilità. Si auspicano inoltre incontri tematici organizzati con le famiglie, incontri di formazione, di orientamento e di informazione per diffondere la conoscenza dei servizi, delle opportunità, delle risorse e delle normative. E’ necessario inoltre costruire un percorso di accompagnamento della persona con disabilità acquisita e della sua famiglia tale da costruire occasione di integrazione sociale, di inclusione, che come familiari auspichiamo sempre sia al più alto livello possibile. Queste riflessioni nascono dal desiderio, di cui l’Associazione si fa portavoce, di superare le resistenze poste dalla disabilità e valorizzare le capacità residue del soggetto andando ad incidere il più possibile sul miglioramento della qualità di vita. Le famiglie hanno quindi la necessità di essere supportate nel loro lavoro di cura. Hanno bisogno di uscire dall’isolamento, devono avere l’opportunità di condividere le loro esperienze, di riconoscere le risorse dei loro familiari, di sentire l’unione come forza per favorire la difesa dei diritti e la presa in carico della persona a livello bio-psico-sociale. Anche alla famiglia quindi vanno prestate particolari attenzioni in quanto sono i coprotagonisti, insieme al paziente, di un percorso di riabilitazione che può durare, nei casi più seri, anche tutta la 263 vita. A partire da ciò che in questi anni abbiamo vissuto personalmente abbiamo deciso di fare questa breve introduzione per mettere in risalto i bisogni dei pazienti e dei loro familiari per arrivare a descrivere come le Associazioni presenti a livello locale ed in particolare la nostra Associazione tentino di dare una risposta necessaria, seppur parziale, ad alcune di queste necessità. Le Associazioni presenti al Tavolo della Grave Cerebrolesione Acquisita ella Provincia di Bergamo che negli anni hanno avuto un ruolo chiave nell’individuazione di strategie e strumenti per rispondere ai bisogni dei pazienti disabili e dei loro familiari sono: - Associazione Disabili Bergamaschi - ADB di Bergamo; - Associazione Genesis di San Pellegrino Terme; - Associazione Amici Traumatizzati Cranici - AATC di Bergamo. L’associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo Nasce nel 2001 perché uno dei principali bisogni emersi nell’assistere un caro traumatizzato, è quello di aver vicino qualcuno con cui condividere l’ansia, l’angoscia, i dubbi e le perplessità. La nostra Associazione nasce dalla voglia di trovare serenità oltre che un aiuto tangibile, nella convinzione che i sentimenti siano l’unico e vero patrimonio che possediamo. I servizi che l’AATC offre sono i seguenti: - Dal 2009 siamo presenti presso l’USC di Medicina Fisica e Riabilitazione degli OORR con uno Sportello INFO-POINT per essere in contatto con le famiglie dei degenti. Durante questi anni abbiamo avuto modo di essere testimoni della fatica dei familiari legata alle incertezze del rientro a casa del paziente, della difficoltà dei familiari nell’accettazione del cambiamento, del dolore della famiglia che non trova condivisione e vive in solitudine il problema. Emergono anche problematiche di natura economica per la perdita del lavoro di un coniuge (spesso è la donna che rinuncia alla vita lavorativa per dedicarsi interamente all’accudimento del proprio congiunto). La domanda più difficile che ci viene rivolta è la seguente: “Chi si prenderà cura del nostro caro quando l’età o una malattia non ti permetterà più di continuare ad assisterlo?”. E’ il problema del “dopo di noi”. “Chi se ne prenderà carico? L’Ente Pubblico o Ente Privato?”. Ed ancora: “Può bastare una pensione d’invalidità di € 260,00 mensili dato che l’assegno di accompagnamento non viene elargito nel caso in cui la persona deambula?”. Queste sono le domande che spesso ci sentiamo fare sperimentando l’impotenza del non avere risposte da dare né a loro né a noi. - E’ presente al Tavolo della disabilità dell’ASL di Bergamo in qualità di Rappresentante del Forum delle Associazioni per essere portavoce diretto delle necessità delle persone con disabilità adulta e dei loro familiari. - In base alla disponibilità dei volontari, organizza vacanze estive e/o invernali in villaggi attrezzati per offrire sollievo alle famiglie. Quest’anno abbiamo proposto una nuova tipologia 264 di vacanza per fornire un’esperienza di autogestione della quotidianità con la presenza di un volontario sul territorio con funzione di supervisione. - Organizza corsi di acquaticità. Il corso che l’Associazione propone è organizzato da volontari e da istruttori che, nel rispetto di ogni persona, propongono un nuovo approccio con l’acqua con l’obiettivo di offrire l’occasione ai ragazzi di vivere una nuova esperienza, inoltre, in questo modo, si permette alle famiglie di potersi dedicare del tempo per sé. - Dai genitori è emersa la difficoltà di dare un senso alle giornate dei ragazzi con GCA che hanno a disposizione molte ore libere. Tre anni fa è nata la necessità di inventare qualcosa di positivo e gratificante. Una mamma nostra associata, ha messo a disposizione circa 600 mq. di terreno coltivabile. E così è nato, dal motto “Riseminiamoci la vita”, l’orto, un’attività che ha lo scopo di terapia occupazionale e di confronto con i ragazzi, un luogo d’incontro e confronto tra i genitori, un posto per stare insieme. La gestione dell’orto per opera dei volontari dell’AATC potrebbe diventare parte integrante del percorso riabilitativo dei pazienti colpiti da Grave Cerebrolesione. - Sostiene gli Ospedali Riuniti di Bergamo nella realizzazione di progetti rivolti ai bisogni psicologici del nucleo familiare del paziente in cura presso dell’USC Medicina Fisica e Riabilitativa. - L’USC Medicina Fisica e Riabilitativa, grazie alla collaborazione con l’USSD di Psicologia Clinica, ha sempre offerto un servizio di supporto psicologico ai pazienti e ai loro familiari. Dal 2009 grazie ai contributi dell’AATC, ha potuto potenziare tale servizio. In particolare, sono stati finanziati due progetti volti al sostegno dei bisogni psicologici dei pazienti e dei loro familiari e finalizzati alla promozione della salute e del benessere dei soggetti in cura, dei loro familiari e degli operatori sanitari. Il progetto “Sostegno psicologico ai pazienti con celebrolesione acquisita e ai loro familiari” prevede la presenza in reparto di una psicologa a disposizione dei pazienti e dei familiari con esiti. L’intervento psicologico prevede una prima fase di consultazione psicologica, svolta mediante colloqui clinici, a cui fa seguito, qualora ritenuto necessario l’avvio di percorsi individuali di supporto psicologico. Accanto a questa attività, a partire dal mese di maggio 2011 si è attivato il Progetto: “Prendersi cura di chi si prende cura. Gruppo di sostegno psicologico a tempo determinato rivolto ai familiari di pazienti con grave cerebro lesione acquisita ”concluso nel mese di marzo 2012. Il gruppo si è proposto un intento terapeutico in quanto ha offerto ai familiari uno spazio protetto in cui sentirsi riconosciuti e legittimati nelle proprie fatiche e sofferenze, connesse al delicato processo di presa di consapevolezza delle menomazioni e delle disabilità del proprio congiunto. Il gruppo è stato inoltre il luogo in cui si sono attivati, attraverso il confronto tra le diverse esperienze personali, processi di apprendimento interpersonale e processi creativi/riparativi che hanno permesso ai familiari di accedere a nuove strategie di adattamento alla nuova condizione di vita. L’obiettivo principale è stato quello di favorire la riorganizzazione della propria quotidianità in relazione ad una migliore 265 qualità di vita che tenga conto degli esiti del trauma e delle modificazioni dell’esistenza che in misura diversa si impongono a tutti i membri del nucleo familiare. I progetti sopracitati sono stati realizzati grazie alla partecipazione a bandi indetti dalla Fondazione della Comunità Bergamasca e dalla Provincia di Bergamo. Ci sembra opportuno sottolineare che l’Associazione non ha il ruolo di sopperire alle carenze dell’Ospedale, ma di creare progetti innovativi che producono servizi che, se danno buoni risultati dovrebbero essere fatti propri dalla struttura per far si che l’Associazione possa portare avanti altri progetti. Inoltre non risulta possibile da parte dell’Associazione ripresentare lo stesso progetto per annualità successive in quanto sono sempre richiesti aspetti di innovazione. Ipotesi di futuri progetti dell’Associazione In collaborazione con L’Associazione Disabili Bergamaschi (presente sia sul Tavolo delle GCA della Provincia sia nella struttura di Mozzo) sono stati presentati e sono in attesa di finanziamento due progetti in favore delle persone con disabilità acquisita: - “Il Terapista Occupazionale nel progetto multidisciplinare per la riabilitazione dei pazienti con GCA presso USC di Medicina Fisica e Riabilitazione”. L’inserimento del terapista occupazionale all’interno dell’equipe riabilitativa è finalizzata a riportare la persona ad un’autonomia che le consenta di reinserirsi nel suo ambiente socio familiare anche se con modalità diverse da quelle in atto prima dell’evento traumatico. - “Possibilità espressive” - Sviluppo di laboratori di teatro per la cura delle persone con lesione midollare e GCA loro familiari e operatori durante la degenza presso l’USC di Medicina Fisica e Riabilitazione. Conclusioni La nostra relazione ha cercato di mettere in evidenza le criticità, i bisogni e le difficoltà che sperimentano le persone con GCA e i familiari che se ne prendono cura con l’obiettivo di mettere in risalto gli aspetti che spesso non emergono e che rimangono celati all’interno di ogni nucleo familiare. Come Associazione ci auguriamo di poter dare continuità alle attività avviate e di poter collaborare in modo integrato con le Istituzioni presenti sul nostro territorio. 266 LA DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’INTERAZIONE CON UNA TAPPARELLA… Carlo Viganò1 Parlare di domotica oggi non è così facile, anche perché la congiuntura attuale, seria e pressante a causa di una crisi economica dirompente e disgregatrice, comporta di doversi misurare con sempre più limitate risorse che non prevedono il ricorso ad ausili, non ritenuti essenziali, e tendono ad assicurare, quando ci riescono, il solo soddisfacimento di bisogni primari. Quando mi confronto con la gente che incontro tutti i giorni, senza frequentare il variegato mondo dei cosiddetti “soliti introdotti”, in genere mi ritrovo sempre ad un livello di conoscenza che implica di dover partire, in una dissertazione sulla domotica, con l’ABC, quasi che la parola stessa, la definizione di domotica (dal neologismo francese “domotique”, a sua volta derivante dall’unione della parola greca “domos”o latina “domus” e “informatique”, ossia letteralmente casa informatica o, nell’accezione, automatica), già da sola, incominci a ingenerare una sorta di meccanismo di autodifesa nelle persone cui viene esternata. In certi casi, poi, l’utilizzo di queste che possiamo definire “tecnologie atte alla gestione coordinata, integrata e computerizzata degli impianti tecnologici (climatizzazione, distribuzione acqua, gas ed energia, impianti di sicurezza), delle reti informatiche e delle reti di comunicazione, allo scopo di ottimizzare la flessibilità di gestione, il comfort, la sicurezza, il risparmio energetico degli immobili e per migliorare la qualità dell'abitare all'interno di una casa” è ancora visto come appannaggio di una certa classe sociale, ancor più inarrivabile in momenti in cui già riuscire a far quadrare il proprio risicato bilancio domestico, arrivando senza patemi all’ultima settimana del mese, può essere definito una conquista “epocale”. Non si vuole oltretutto qui inneggiare a quella che un caro amico, che da anni si interessa di domotica, chiama tecnologia da “villopoli”, a quegli effetti speciali che, posti in atto con il semplice sfioramento di un touch screen di ultima generazione posto all’ingresso della propria casa, servono esclusivamente a innalzare e gratificare il proprio ego per il raggiungimento di un certo livello sociale, dove la disponibilità di certe tecnologie viene quasi considerata un trofeo da ostentare, per suscitare “oh” di stupore ed ammirazione da parte di amici o di conoscenti che si sottopongono alla preprogrammata visita guidata della nuova casa, sollecitati ed ammansiti da un insieme di “bombardamenti sensoriali” predisposti in uno “scenario” che cambia, tramite giochi di luce, suoni ovattati, sensazioni “epidermiche“ di caldo e di freddo all’interno di un percorso tra le mura negli ambienti di un’abitazione, fino ad arrivare magari al clou dell’home theater, dove la massima 1 Ingegnere, Esperto di Domotica per la disabilità 267 aspirazione è quella ad ottenere “sensazioni uditive e visive il più possibile fedeli a quelle percepite in un teatro o in una sala cinematografica”… Io, in effetti, non assurgendomi né al ruolo di esperto conoscitore, né alla visione così spesso contrabbandata di “guru” depositario delle ultime novità tecnologiche, a volte poi accompagnato da lingua lunga (e naso altrettanto), autoreferenziale in maniera che giudico sempre smodata, forse perché mi sento quantomeno persona che si ritiene “informata dei fatti”, vorrei solo cercare di spiegare quello che è possibile concepire di supporto alla nostra usuale vita domestica, quando fattori, anche momentanei e passeggeri, ci impediscono di interagire in modo “normale” (ma, oserei dire, rinforzando il concetto, in maniera quasi automatica) con le cose che ci circondano nell’ambito della nostra scontata vita domestica. A volte, per le vicissitudini della vita, ci troviamo proiettati in situazioni e accadimenti con cui, a mente sgombra e con ragionamenti razionali, avremmo tutti volentieri fatto a meno di confrontarci… La vita riserva sorprese inaspettate (anche se, in ogni caso, prevedibili, riscontrabili e verificabili solo guardandosi un po’ di più attorno) che ci scombussolano, a volte, un tran-tran quotidiano che ci appartiene, forse non esaltante e soddisfacente, ma comunque nostro e, per come lo intendiamo, governabile e gestibile con tutte le risorse a nostra disposizione, fisiche, intellettuali, economiche, ecc… Quando ci si trova catapultati in momenti a noi sconosciuti di malessere “diffuso” (anche perché mai verificato per diretta esperienza), tutte le nostre sicurezze vengono in qualche modo meno, sconquassate dalla presenza di fattori che la normale esperienza di vita vissuta si rifiuta a volte di riconoscere come propri. Senza addentrarci in complessi meccanismi psichici e psicologici (della cui conoscenza, ovviamente, non ci sentiamo padroni e su cui, pertanto, a questo livello sorvoliamo, ma che devono essere ovviamente e comunque tenuti sempre in debito conto, da coloro che sono preposti per aiutarci a gestirli), senza negare che tali meccanismi intervengono a aggrovigliare ancor più il bandolo della matassa di una situazione che sembra a prima vista irrisolvibile, già qualsiasi movimento naturale, appreso e testato nel corso di anni convissuti con il nostro corpo in maniera a volte anche disordinata e pretenziosa, sembra diventare impraticabile, pervasi come siamo dal senso di sconforto che si è insinuato in noi. Ci ritroviamo con una parte di noi quasi relegata sotto una cappa ovattata che, dall’esterno possiamo a volte valutare, anche con freddezza e razionalità, ma non gestire perché qualcosa nelle “comunicazioni” si è interrotto, non riuscendo più a promuovere quelle interazioni naturali tra cervello e corpo (e viceversa) che ci sono state proprie fino a poco prima, che ci hanno magari accompagnato per anni senza essere considerate un plus incredibile della nostra vita, che sono state solo considerate magari degli automatismi naturali. Alzarsi, lavarsi, vestirsi, allacciarsi le scarpe, camminare, correre, sedersi, riposare, mangiare, bere, (e, in alcune operazioni, viceversa), è un elenco sicuramente non esaustivo ma già numericamente esteso del complesso intersecarsi di azioni che pervadono la nostra vita di tutti i giorni: di altre cose, per finto pudore o ritrosia normalmente non si parla ( in particolare in forma 268 esplicita, ma sono sicuramente conosciute dalla totalità di tutti noi), senza minimamente dimenticarsi di quanto va poi a interfacciarsi con sfere più prettamente intellettive, psichiche, sentimentali… Già qui iniziamo ad ampliare la nostra sfera di interazione, magari coinvolgendo anche altre persone (lavorare, conoscersi, amare), andando ad interagire anche con altre cose (guidare, utilizzare un pc, un telefonino, usare un aspirapolvere, cucinare…) A volte il confrontarci con queste “ordinarie” azioni diventa problematico, vuoi per una malattia, vuoi per il sopraggiungere di un trauma, che può essere solo fisico (ad esempio, anche nel caso di trauma cranico encefalico, tra le modificazioni indotte, oltre a quelle dello stato di coscienza, cognitive, sociali, comportamentali e sensoriali, ci sono anche quelle motorie), vuoi (e questo è ancor più traumatico, a volte, in particolare per determinate persone) quando ciò deriva dall’ordine naturale delle cose che prevede che anche il nostro corpo sia stato progettato a tempo e, lo dice la parola stessa, il tempo è tiranno! Tutti invecchiamo e, pur con gli accorgimenti da poter porre in atto, naturali o meno, dobbiamo arrivare a confrontarci con un corpo, con meccanismi e impianti che non riescono più a seguirci e sopportare le nostre “nefandezze”, i nostri “fuori giri”, come abituati in precedenza… Le considerazioni che accompagnano tali “rivelazioni” sono un po’ come la scoperta dell’acqua calda: “una volta si che….” – “e già, il recupero non è più quello di una volta!” – “ma che ti credi? di avere ancora vent’anni?” – “stai pretendendo un po’ troppo dal tuo fisico!“. Ora, considerando che le statistiche confermano che, nonostante tutti gli sforzi che, anche inconsapevolmente, facciamo per contrastare la tendenza (volendoci a volte anche un po’ di male), l’aspettativa di vita tende ad aumentare, ci ritroveremo tutti, prima o poi, a confrontarci con una limitata operatività del nostro corpo, non magari così drastica e tragica come quella imposta da un trauma od una patologia, ma lo stesso invalidante e limitante nel nostro normale modo di vivere. Senza confrontarci con l’approccio con il mondo esterno, in caso di presenza già solo di piccole difficoltà motorie, “muoverci” negli ambiti ristretti del nostro mondo domestico può diventare estremamente difficoltoso: una semplice infiammazione all’articolazione della spalla (che può degenerare in artrosi), ad esempio, può inibire molte delle normali interazioni con alcuni dei componenti della nostra casa. Abbassare una tapparella può diventare un ostacolo insormontabile, anche se magari la mia spalla è in perfette condizioni, ma sono obbligato a viaggiare per casa su una sedia a rotelle, per cui le mie nuove “dimensioni di ingombro” non mi consentono di aggirare il divano dietro il quale è posizionata la finestra con il suo meccanismo di movimentazione della tapparella stessa (il cintino). Anche altre cose mi risultano impossibili: magari sono ad una altezza (sempre causata dalla carrozzina) che non mi permette di controllare neppure quanto visualizzato sul video di un normale impianto videocitofonico, oppure il riarmo del mio quadro elettrico generale della casa è stato posizionato all’interno di uno stretto armadio (perché, “esteticamente”, stava bene così!), o qualsiasi altra normale operazione di governo della casa mi è preclusa da altre “infermità”. 269 Tante quotidianità in effetti diventano non più così banali, tante operazioni normalmente eseguite si scontrano con disabilità che non ci permettono di usufruire della normalità con cui avevamo concepito e progettato la nostra casa. Cosa fare? Beh… innanzitutto cercare di guarire!!! E già qui una folta schiera di risorse, dal punto medico, chirurgico, psicologico, riabilitativo, ecc.. è disponibile per riacquistare il senso della propria mobilità, per riuscire a superare un’impasse temporanea. A volte, però, non sempre è possibile un normale rientro, nella consueta routine quotidiana, senza strascichi. Già superare il problema psicologico di confrontarsi con qualcosa di sconosciuto è di per se stesso un trauma da superare con difficoltà, figuriamoci poi se una normalissima operazione di tutti i giorni ci è preclusa per la nuova condizione fisica con cui siamo costretti a misurarci. Non vogliamo entrare nuovamente in un campo che non è nelle nostre corde professionali, ma la conoscenza con molti “traumatizzati” ci ha reso quanto meno consapevoli della difficoltà di gestione di una nuova situazione, senza la possibilità di controlli che ci erano propri in precedenza. L’autostima è destinata a scontrarsi con piccole situazioni quotidiane che comunque vanno ad intaccare la propria consapevolezza di gestirsi autonomamente. Sosteniamo che l’interazione con le persone sia sempre il processo primario auspicabile, anche nel caso di sopraggiunta invalidità: la famiglia, gli amici, le conoscenze, il volontariato di persone che prima non sapevamo neppure esistessero, il rientro nel proprio mondo lavorativo, la riscoperta delle proprie precedenti aspirazioni (magari prima un po’ trascurate), possono essere molle da sfruttare per il recupero. Però poi mi devo sempre confrontare con la tapparella! Quando mia moglie o mia mamma non ci sono, perché sono a fare la spesa, quando mio figlio è a scuola, quando la badante è uscita (perché ovviamente non posso rinchiuderla anche lei in casa), quando ho voglia di fare entrare un po’ più di luce nella mia stanza, non potendomi spostare dalla posizione lettizzata a cui sono costretto (senza per questo dover costringere ad intervenire un membro della mia famiglia, se presente), quando sono seduto sul divano a guardare la televisione o a leggere un libro e quel raggio di sole bastardo mi colpisce proprio gli occhi… Beh, la domotica non ci aiuta solo a confrontarci e a risolvere il problema sorto con la tapparella: basterebbe la progettazione preventiva di un’automazione elettrica del movimento del serramento tapparella, con la disponibilità di un telecomando sotto mano… Ma non è solo con “quella tapparella” che dobbiamo confrontarci, nella nostra attuale situazione di “pazienti”, impazienti di districarci tra nuove e sconosciute difficoltà. E finalmente parliamo di domotica, ossia della possibilità di gestire i vari aspetti dell’impiantistica e delle attrezzature di una casa con una nuova modalità di integrazione, sia dal punto di vista del comando, sia dal punto di vista dell’automazione di una serie di operazioni, complementari le une alle altre: ecco, questa è in sintesi la facoltà concessa, la novità trascinante rispetto al nostro preesistente modo di interagire. Invece di accendere o spegnere la luce, agendo meccanicamente su di un interruttore, posso ovviamente prevedere di farlo ancora con la stessa modalità, posso predisporre un sensore che al 270 mio passaggio accenda la luce, lo posso fare a distanza, seduto comodamente sul divano, lo posso fare dall’esterno della mia abitazione, dall’ufficio con la predisposizione attuata tramite un telefonino… Posso, a distanza, attuare tutta una serie di cose, legate o disgiunte dall’accensione della luce, alquanto banale: alzare di un paio di gradi il riscaldamento, perché sto rientrando… predisporre alla chiusura “tutte” le tapparelle, perché sta per scoppiare un temporale e non voglio, che ne so, che i vetri di sporchino… fintare una presenza in casa, con accensioni e spegnimenti in vari locali, come deterrente alle incursioni di qualche ladruncolo, ovviamente predisponendo anche l’entrata in funzione di un impianto antifurto, perché al momento della mia uscita di casa, dovendo rientrare subito, non avevo pensato fosse il caso di inserirlo e, invece, sono costretto (non sempre a malincuore, però) a restarmene fuori più a lungo… Parliamo pertanto di quello che è concepibile, mediante un impianto domotico, ottenere all’interno della propria abitazione, con un particolare riguardo alle persone che subiscono momentanee o durature variazioni delle proprie possibilità di interazione con il mondo circostante. Proviamo ad ipotizzare la genesi di un progetto. Deve tutto partire presupponendo di poter trovare soluzioni per favorire l’autonomia e la sicurezza di una persona, analizzando, in collaborazione con la stessa, i suoi famigliari ed il progettista degli interni, la possibilità di utilizzo della domotica, possibilmente in forma completamente integrata, potendo così offrire funzioni utili sempre più articolate ed innovative. La conoscenza della tecnologia serve per scegliere funzioni adeguate, mettendo al centro la persona: è necessario pertanto un cammino di conoscenza da parte del system integrator (il cui compito è quello di far dialogare impianti diversi tra di loro, per creare una nuova struttura funzionale, e di trovare la soluzione di gestione degli stessi, in presenza di situazioni particolari), prima ancora del progettista dell’impianto, con il committente, portatore di caratteristiche ed esigenze personali, valutandone come utente finale i desideri, le capacità di comprendere e di relazionarsi con le tecnologie e le esigenze pratiche, le abitudini di vita quotidiana e le modalità di abitare la casa, anche in rapporto al contesto ambientale, ai vincoli tecnico impiantistici e alle disponibilità economiche. In casi particolari di disabilità accentuata l’attenzione all’utente nella progettazione del sistema domotico deve essere ancora maggiore e più accurata, per capire meglio i bisogni, le difficoltà e le abilità residue, valutando il contesto familiare e considerando le possibilità di cambiamento futuro, ritenendo pertanto utile chiedere il supporto di professionisti del mondo sociosanitario che già lo seguono e lavorando in equipe multidisciplinare con il progettista e direttore dei lavori (nel caso di nuova casa o ristrutturazione dell’esistente). Il primo progetto che ne scaturisce parte dalle scelte iniziali di architettura del sistema (standard di comunicazione o protocollo – sistema di cablaggio) ed arriva alla definizione di funzioni di primo livello (quelle semplici, dirette: azionando un comando, ad esempio un pulsante, accendo una luce – con un altro comando apro una porta) in modo da dare all’utente ed ai suoi conviventi la possibilità di un comando diretto per le singole funzioni, e di funzioni di secondo livello (più articolate, proprie dei sistemi domotici, dove ad esempio comandi e sensori interagiscono fra loro, 271 anche mediante programmazione a schemi logici, per definire un effetto output che può azionare uno o più dispositivi). Senza addentrarci in complesse discussioni sugli standard di comunicazione e i sistemi di cablaggio, proviamo ad addentrarci negli aspetti funzionali di un progetto domotico, senza avanzare pretese di essere completi ed esaustivi con quanto permesso dalla moderna tecnologia. Nei vari locali di un’abitazione occorre individuare le esigenze legate all’utilizzo degli stessi, da cui far scaturire un’elencazione di apparecchiature elettriche (e non), necessarie per l’espletamento di funzioni elementari elettriche e di funzioni più complesse, gestite dall’impianto. x Riarmo automatico in seguito di black-out energetici: l’installazione nel quadro elettrico di un dispositivo "Auto-Restart” in grado di riattivare automaticamente i contattori differenziali, scattati in seguito ad esempio di black-out energetico imprevisto dovuto a condizioni atmosferiche avverse, può garantire l’operatività degli elettrodomestici in uso, dell’impianto luci, del computer e delle funzionalità domotiche, anche senza raggiungere, magari a fatica, la postazione del quadro elettrico per effettuare il riarmo manuale. x Gestione dei carichi elettrici: un dispositivo può permettere in automatico la gestione dei carichi e di staccare i carichi non prioritari, in modo da prevenire superamenti di soglie previste dal contratto di fornitura, garantendo la prevenzione dello sgancio dell’interruttore generale. Inoltre, tramite la programmazione dell’impianto domotico, possono essere assegnate priorità di funzionamento e/o tempistiche che possono abbassare la potenza installata o permettere l’utilizzo di determinati impianti o attrezzature solo in orari di più basso costo energetico, con diminuzione dei costi di approvvigionamento energia. x Dotazione di UPS: l’installazione di un gruppo di continuità, opportunamente dimensionato, garantisce nel caso di back-out energetici, per una durata limitata, l’operatività di apparecchiature elettriche “salva-vita” e di funzionalità domotiche considerate prioritarie. x Interfacce di comando: l’impianto domotico standard non è diverso da quanto individuato nei passi precedenti, ma deve solo diventare “fruibile”, cambiando solo la modalità di interazione. Oltre alla normale pulsanteria, devono essere previsti in combinazione dispositivi che permettano, in funzione delle abilità residue dell’utente, di comandare il sistema domotico. Tra gli altri si ricordano: la normale tastiera di un PC se, tramite opportuni accorgimenti, l’utente è in grado di utilizzarla - touch screen - telecomandi “domotici” (ne sono stati ideati di semplici, con tasti grandi o con possibilità di personalizzazione mediante icone riconducibili alle funzioni - sono disponibili applicazioni che trasformano in telecomando telefonini e smartphone, ma anche lettori di musica digitale evoluti e dotati di ampio schermo e connessione wi-fi –alcuni sistemi di comando della movimentazione di una carrozzina, tipo joystick, possono essere riconosciuti ed interfacciati) – altri sistemi più complessi che possono adattarsi a persone con difficoltà motorie gravi e sono attivabili tramite sensori esterni legati ai movimenti che il soggetto è in grado di fare, come il movimento della mano o della testa, delle dita e perfino delle palpebre, oppure dispositivi di controllo vocale (dotati di 272 funzioni di feedback che, con la ripetizione del messaggio, permettono la correzione di eventuali errori di interpretazione). Non dimentichiamo, nelle ricerche eseguite nel contesto dell'ingegneria biomedica e della neuroingegneria, il ruolo svolto dalle BCI (Brain-computer interface - letteralmente "interfaccia cervello-computer" o interfacce neurali), nella direzione di sistemi di supporto funzionale e ausilio per persone con disabilità, che operano con il riconoscimento delle onde cerebrali, ovvero onde elettromagnetiche che si formano nel nostro cervello per permettere ai neuroni di comunicare. Ma qui, pur non essendo nella fantascienza, siamo ancora un po’ nel campo di possibilità futuristiche… % Comfort – Luci: viene prevista la gestione delle apparecchiature illuminanti, interne ed esterne, tramite pulsanti e/o interfacce particolari di comando, sensori e programmazione che interagiscono tramite il sistema domotico, ottenendo l’accensione e lo spegnimento delle luci in maniera manuale od automatica (con possibilità, in alcuni ambienti, di regolare manualmente e automaticamente l’accensione delle luci tramite dimmer, per regolare l’intensità luminosa). Può essere prevista la realizzazione di “scenari” luminosi (ad esempio lo spegnimento di tutte le luci quando si deve uscire di casa, oppure l’automatismo di alcune luci nella fase notturna, legate ai sensori di presenza, ad esempio nei corridoi, ecc.). % Comfort – Riscaldamento e condizionamento: la buona gestione del microclima è in grado di migliorare il comfort degli abitanti della casa. In particolare ad alcune forme di disabilità sono associati problemi di termoregolazione corporea e/o problematiche respiratorie. Al sistema domotico è demandato, tramite l’analisi dei valori registrati da sonde di temperatura nei locali, il mantenimento delle condizioni richieste, con possibilità di regolazione del microclima all’interno di scenari. Con remotizzatore GSM o tramite Internet è possibile attivare e regolare il microclima dell’abitazione da remoto. % Automazione – Cancelli esterni carrai e/o pedonali: l’automazione è anche in questo caso gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’accesso all’utente disabile, in forma completamente autonoma. In tali casi anche la movimentazione di cancelli pedonali può essere prevista in maniera motorizzata. Al sistema domotico è demandato anche l’interfacciamento con il sistema videocitofonico, per permettere all’utente l’apertura dei cancelli esterni autonomamente, verificata l’identità dei visitatori. % Automazione – Portoncini d’ingresso: gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’accesso all’utente disabile, in forma completamente autonoma. In tal caso anche la movimentazione dei portoncini d’ingresso è prevista in maniera motorizzata. Collegabile a scenari automatici. % Automazione – Porte interne: è gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’accesso all’utente, in forma completamente autonoma, a tutti gli ambienti della casa. È 273 prevista, in alcuni casi, la motorizzazione delle porte e dei serramenti ed è gestibile anche da scenari automatici. x Automazione – Finestre, porte-finestre, oscuramenti: è gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’apertura, chiusura e regolazione all’utente, in forma completamente autonoma, in tutti gli ambienti della casa. È prevista, in alcuni casi, la motorizzazione degli stessi ed è gestibile anche da scenari automatici. x Automazione – Letto motorizzato (se presente): si deve prevedere di interfacciare all’impianto domotico la centralina dedicata alle movimentazioni del letto, con un comando vocale (od analogo comando di cui ci sia piena possibilità di uso da parte dell’utente disabile) per ogni comando disponibile sulla pulsantiera manuale in dotazione. Viene così consentito di variare la posizione di decubito, indipendentemente dalla presenza di famigliari/badanti, anche e soprattutto durante le ore notturne. x Comunicazione – Videocitofonia: il videocitofono deve essere anche gestito dal sistema domotico, per cui l’utente disabile può, anche lettizzato, essere avvisato della chiamata dall’esterno e verificare l’identità dei visitatori, sugli ulteriori sistemi di visualizzazione collegati all’impianto domotico (TV, smartphone, ecc.), operando gli opportuni comandi di apertura. x Comunicazione – Telefonia: l’installazione di sistemi particolari di comunicazione (tipo VOIP), oltre all’interfacciamento con le linea di telefonia fissa, può permettere all’utente, anche se lettizzato, di video comunicare con l’esterno (esempio, con il proprio medico, famigliari assenti e/o lontani, conoscenti). L’eventuale presenza di cablaggio strutturato permette l’interfacciamento con eventuali apparecchiature/apparati destinati alla telemedicina. x Sicurezza ambientale – Allarmi tecnici: sono previsti allarmi per il controllo automatico delle anomalie della casa (sensori allagamento - sensori fuga di gas – sensori antincendio). x Sicurezza ambientale – Antintrusione: l’impianto antintrusione esterno/interno, integrato con impianto di videosorveglianza, in quanto interfacciato con sistema domotico, è gestibile con le normali interfacce di comando ed è verificabile anche da remoto. x Sicurezza della persona – Sensori di rilevamento presenza: utilizzabili dall’impianto domotico per consentire automazioni in genere (aperture di porte al passaggio, accensione di luci), nonché per il controllo delle intrusioni e la verifica di situazioni di allarme (abbinati a sensori di movimento, a timer, a sistemi di ascolto ambientale, possono rilevare la situazione di una persona, caduta per un malore o uno svenimento, o che non si è alzata dal letto entro un determinato orario, la mattina, ed inviare opportune segnalazioni d’allarme, anche telefoniche o tramite sms, a famigliari o centri di ascolto preposti). x Sicurezza della persona – Videosorveglianza interna: l’impianto di videosorveglianza interna, interfacciato con sistema domotico, permette un controllo dei locali dove non si è presenti, 274 anche da remoto, ed è impiegabile anche per la videocomunicazione e per il controllo dall’esterno da parte di famigliari, ecc... x Sicurezza della persona – Automazione chiamate di emergenza: è possibile integrare nel sistema domotico la programmazione di un combinatore telefonico per consentire la trasmissione e la ricezione automatica di messaggi SMS, nonché l’automazione di chiamate di emergenza su eventi critici. Arrivati a questo punto, consapevoli della propria limitatezza e lungi dall’aver definito una elencazione completa di caratteristiche usufruibili in un impianto domotico, dobbiamo anche mettere in risalto altre peculiarità che derivano in cascata quali, fondamentalmente: risparmio di energia, semplificazione nella progettazione, installazione, manutenzione e utilizzo della tecnologia, riduzione dei costi di gestione. Se poi le soluzioni tecnologiche adottate per la realizzazione di un sistema domotico sono caratterizzate da peculiarità d'uso proprie dei normali oggetti domestici, quali semplicità, stabilità di funzionamento, affidabilità, basso costo, automazione e semplificazione di ripetitive azioni quotidiane, allora lo scopo è stato raggiunto, ricordando che non tutta la progettazione deve essere attuata in tempi stretti, bensì la possibilità di step by step (di scalabilità di esecuzione dell’impianto) consente di implementare le prestazioni previste nel tempo, poco alla volta, partendo da quelle ritenute essenziali, con ovvia rateizzazione dei costi totali. La domotica è un po’ tutta qui, niente di particolarmente difficile da “ intendere e volere”. Al centro, comunque, è necessario mettere sempre la persona, facendo in modo di costruire quel rapporto di conoscenza, di fiducia e di amicizia che permette di riuscire a calarsi nelle difficoltà e possibilità concesse al singolo per riuscire a farlo interfacciare con il sistema e così utilizzare tutte le tecnologie disponibili. Il futuro I numeri della disabilità sono impressionanti (anche solo facendo riferimento a statistiche ormai datate). L’ulteriore preoccupazione nasce dalla aumentata aspettativa di vita: STIAMO INVECCHIANDO e, se saremo fortunati, col progredire dell’età, diventeremo però tutti un po’ disabili… Se è pur vero che siamo tutti felici di invecchiare senza problemi, è anche vero che purtroppo il nostro corpo, come una normale vettura o organo meccanico, è soggetto ad usura più o meno pronunciata. Le conseguenze derivanti dall’impossibilità di svolgere autonomamente attività che hanno da sempre costituito la quotidianità di un individuo condizionano la vita di una persona e, generalmente dell’intera famiglia, non solo dal punto di vista economico. Da tali condizioni di vita, infatti, può derivare una profonda perdita di autostima, che alle già gravi problematiche legate alla 275 fisicità aggiunge turbe psicologiche e stati depressivi, rendendo così più lungo e complesso il processo riabilitativo, ove possibile. E questo vale sia per il disabile che per l’anziano. Il problema x Oltre noi, dopo di noi… Per chi disabile lo è già (o lo è diventato), fin quando c’è la famiglia che fa da supporto, limitando quelle che sono le carenze dell’assistenza pubblica e/o volontaristica, “problemi non ce ne sono” – lo dico ovviamente tra virgolette, in quanto dietro l’angolo ci sono tutte le normali preoccupazioni di qualsiasi buon padre di famiglia (l’aspetto affettivo, economico, ecc.). x Le scelte del settore pubblico, orientato al sociale Richiamo quello che è emerso ultimamente durante i vari seminari e convegni a cui ho partecipato o i contatti con le istituzioni pubbliche, ma anche le fondazioni, gli istituti autonomi per la costruzione di edilizia residenziale, le imprese private. Non è più così facile ipotizzare il supporto pubblico nelle RSA o nei luoghi predisposti all’uopo (sempre più costosi ed economicamente insostenibili). I numeri in aumento delle persone da assistere non lo permetteranno. x Il volontariato Non riusciremo a far tutto con il volontariato (sempre più disponibile in numero ma, ahimè, a sua volta sempre più anziano), occorre ridimensionare i tempi e la frequenza di copertura degli intervalli dedicati alle persone con disabilità: meno tempo a disposizione di ognuno, nel totale del tempo riuscire a visitare più persone. Occorre fin d’ora prevedere altre possibilità, che si ritiene possano essere messe a disposizione delle persone che, per un motivo o per l’altro, devono confrontarsi con handicap motori di vario genere: già in altri paesi europei si punta (oltre noi e dopo di noi, ma anche per noi) sulla microresidenzialità assistita, su appartamenti protetti o destinati alla realizzazione di interventi di sollievo, dove l’ausilio tecnologico è sfruttato a fondo. La sfida Da noi questo ancora non avviene: come al solito non si riesce a guardare al di là del proprio naso… Se questo non è un paese per vecchi, si sta però avviando a divenire un paese di vecchi…. Ma quando ci decideremo ad incominciare a valutare attentamente quello che ci aspetta, appena dietro l’angolo? 276 Noi, voi, le vostre associazioni, tutti insieme dobbiamo fare in modo di sfruttare a nostro favore quanto la tecnologia ci offre e che tutto ciò (che noi dobbiamo ben conoscere) venga il più in fretta possibile utilizzato da chi gestisce, in parte, il nostro futuro. Dovremmo fare in modo che la predisposizione dell’utilizzo della tecnologia (intesa come progettazione e realizzazione di canalizzazioni, vani tecnici, scatole di derivazione e incassi finali - in pratica la struttura fisica di base del sistema domotico), nel corso della costruzione delle nuove case, diventi obbligatoria, permettendo in un secondo tempo, anche a distanza di anni, di agire sull’impianto senza elevati costi di intervento. Non possiamo negare che ultimamente qualcosa si è mosso: per quanto riguarda la certificazione degli impianti elettrici, da settembre dell’anno scorso è entrata in vigore la Variante V3 della Norma Italiana CEI 64-8 ”Impianti elettrici….”, dove sono riportate importanti novità. In particolare, nell’allegato A, il livello prestazionale 3, oltre alle dotazioni previste, considera l’esecuzione dell’impianto con integrazione domotica e, per essere considerato domotico, deve gestire come minimo quattro delle seguenti funzioni: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) anti intrusione; controllo carichi; gestione comando luci; gestione temperatura (se non è prevista una gestione separata ); gestione scenari (tapparelle, ecc,); controllo remoto; sistema diffusione sonora; rilevazione incendio (UNI 9795) se non è prevista gestione separata; sistema antiallagamento e/o rilevazione gas. La Dichiarazione di Conformità alla Norma 64-8 rilasciata dall’installatore al proprietario dell’unità immobiliare dovrà segnalare anche il livello prestazionale e di fruibilità dell’impianto e, evidentemente, come nel caso della certificazione energetica, il valore commerciale dell’unità immobiliare aumenterà all’aumentare del livello prestazionale dichiarato. Ma ciò non basta… Esistono leggi statali e regionali per il superamento delle barriere architettoniche e la dotazione di ausili tecnologici che non sono a conoscenza di tutti, ancorché limitate nella dotazione di fondi: devono essere comunque sempre sfruttate nella loro completezza. Sto parlando di tecnologia, a volte di alta tecnologia, scoperta quotidianamente con stupore e meraviglia, anche attraverso le nuove metodologie di ricerca disponibili tramite il web, e poi, periodicamente, come membro della commissione barriere architettoniche dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bergamo (attiva nel campo della formazione per il superamento delle barriere architettoniche previsto da leggi statali e regionali), a distanza di anni dall’approvazione delle leggi inerenti, mi trovo a dovermi confrontare con casi in cui le più basilari norme di progettazione e realizzazione non vengono tenute in conto (ancora su elementari componenti architettoniche, quali dislivelli, gradini, scivoli!), con interpretazioni stiracchiate che tengono solo conto di sfruttamento massimo di superfici e volumetrie. 277 Rimango ancora sorpreso, incredulo, deluso, tutto questo con buona pace dell’interazione con una tapparella… Anche il mio piccolo contributo vuole essere una goccia… 278 Conclusioni I contributi presentati in questo volume credo che possano pienamente confermare l’esigenza di promuovere una approfondita riflessione sulle GCA. Esse rappresentano una delle maggiori cause di disabilità acquisita e, come si evince dai dati epidemiologici presentati, il peso sanitario, sociale ed economico di queste disabilità ha una notevole rilevanza sia, come nel caso dei TCE, per la giovane età della maggioranza dei pazienti, sia per le gravi ripercussioni che si hanno sui componenti del nucleo familiare. L’approccio di intervento deve necessariamente essere di rete, nel senso di équipe multiprofessionali che dialogano con un linguaggio comune e condiviso, ma anche di organizzazione integrata tra ospedale e territorio, nelle varie componenti che, come emerge dai numerosi ed interessanti contributi di questo lavoro, devono contribuire al raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per il paziente colpito da GCA. L’ASL di Bergamo è chiamata a rispondere ai bisogni sempre più complessi, espressi da una parte della popolazione, che richiedono, da un lato, un intervento riabilitativo precoce e globale mirato al recupero cognitivo del soggetto, dall’altro un progetto di integrazione che preveda la costruzione di una rete con le risorse del territorio. Un ulteriore aspetto importante riguarda anche il ruolo che dovrebbero assumere le strutture sanitarie al momento della prima comunicazione alla famiglia della presenza di una danno permanente. I diversi interventi hanno infatti fatto emergere la disponibilità di elevati livelli di competenza e professionalità, soprattutto per gli aspetti clinici, ma anche elementi di disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle informazioni ricevute al momento delle dimissioni. La 2° Conferenza Nazionale di Consenso di Verona, già nel Giugno 2005, ribadiva la necessità di favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti e dare ulteriore sviluppo alla integrazione socio-sanitaria. Era ritenuto altresì opportuno sostenere i servizi domiciliari attraverso programmi di supporto alla persona e sviluppare programmi assistenziali individualizzati con standard minimi garantiti. La stessa Conferenza invitava le Regioni a un potenziamento delle strutture basato sui dati epidemiologi locali. Oggi possiamo affermare che è su queste linee che l’ASL di Bergamo si sta muovendo, rilanciando il proprio ruolo programmatorio e di accompagnamento dei servizi e cercando di potenziare il più possibile, come da indicazioni regionali, la domiciliarità e i progetti integrati. L’azione di regia e di sviluppo di risposte adeguate, da parte dell’ASL di Bergamo, è sostenuta anche attraverso la costituzione di un Osservatorio socio-sanitario con la funzione di analizzare ed integrare dati sanitari e socio-sanitari. Tra gli elementi fondanti si è sviluppata una Anagrafe della Disabilità, di cui la ricerca epidemiologica presentata in questo volume è uno dei primi e più importanti risultati. Il Direttore Sociale dell’Asl di Bergamo Francesco Locati 279 Finito di stampare nel mese di Giugno 2012 da Presservice 80 s.r.l. - Seriate (BG) Settore Politiche Sociali e Salute I QUADERNI DI RISORSE DI SA BI LI TÀ LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO AR EA LA DISABILITÀ DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN PROVINCIA DI BERGAMO PROVINCIA DI BERGAMO