INTRODUZIONE Il sorgere della bioetica come nuova riflessione A venticinque anni circa dalla comparsa nella letteratura del termine “bioetica” ad Rensselaer Potter 1 opera dell’oncologo Van è utile ripercorrere il cammino del movimento di idee che con questo nome ha avuto rapida e grande fortuna. Mi sembra opportuno, quindi, fornire anzitutto un panorama storico-culturale di questa riflessione sottolineando alcune opere di particolare rilievo e alcuni sviluppi istituzionali, (centri, comitati e insegnamenti accademici), che esprimano i più significativi sviluppi e una sufficiente ricognizione dei problemi. E’ da tutti riconosciuto che la bioetica, nel senso proprio 1 Nel 1970 compare il suo articolo, Bioethics, The science of survival, pubblicato sulla rivista << Perspectives in Biology and Medicine>>. (Pubblicazione scientifica) 1 del termine, nacque negli Stati Uniti, e non soltanto ad opera di Potter, che pure coniò il nome e le assegnò un certo significato. Introducendo il termine, egli sottolineò che la bioetica doveva costituire “una nuova disciplina che combinasse la conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani. Ho scelto la radice bio per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi viventi, ethics per rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani”2. Potter aveva individuato, infatti, il pericolo per la sopravvivenza dell’intero ecosistema nella spaccatura tra due ambiti di sapere, il sapere scientifico e il sapere umanistico. La netta distinzione tra i valori etici e i fatti biologici stava, secondo Potter, alla base di quel processo scientificotecnologico 2 indiscriminato che metteva in pericolo Potter, Bioethics Bridge to the future. P. 1. Englewood Cliffs (NJ) 1971. (libro di testo) 2 l’umanità e la stessa sopravvivenza della vita sulla terra. E’ per questo, appunto, che egli chiamerà bioetica la scienza della sopravvivenza, un nuovo sapere non più finalizzato soltanto a conoscere i fenomeni naturali e a dare loro una spiegazione, ma teso anche a scoprire il modo in cui si potevano usare saggiamente le conoscenze tecnico-scientifiche, così da favorire la sopravvivenza della specie umana e migliorare la qualità della vita delle generazioni future. Accanto a questo filone originario della bioetica, però, vi è un’altra corrente di pensiero che ci ha lasciato un’eredità che, oggi, di fatto, è diventata prevalente rispetto a quella di Potter, tanto che W.T. Reich parla di una genesi “bilocata” del termine bioetica3. In quegli stessi anni, infatti, si deve riconoscere il forte impulso dato da parte di un famoso ostetrico di origine olandese, Andrè Hellegers, impegnato in ricerche nel campo demografico e fondatore del Kennedy Institute of Ethics. 3 W.T. Reich, The Word “Bioethics”. The Struggle Over its Earliest Meanings. Kennedy Institute, 1994, (pubblicazione scientifica) 3 Egli considera la bioetica come maieutica, cioè come scienza capace di cogliere i valori attraverso il dialogo e il confronto tra la medicina, la filosofia e l’etica. Secondo Hellegers, quindi, oggetto di questo nuovo campo di studio, sono gli aspetti etici impliciti nella pratica clinica. Sicuramente è stato Hellegers ad introdurre per primo il termine bioetica nel mondo universitario, strutturando accademicamente questa disciplina e successivamente a inserirla nel campo delle scienze biomediche, della politica e dei mass-media. In seguito come si è detto sarà proprio la sua concezione di bioetica a prevalere: la bioetica sarà considerata dalla maggioranza degli studiosi come una disciplina specifica, capace di sintetizzare le conoscenze mediche e quelle etiche. Per rigore storico, tuttavia, c’è da rilevare che già qualche anno prima, e precisamente nel 1969, era sorto il famoso Hastings Center, ad opera del filosofo Daniel Callahan e dello psichiatra Willard Gaylin, con la preoccupazione di 4 studiare e formulare norme soprattutto nel campo della ricerca e della sperimentazione in ambito biomedico, senza che venisse ancora utilizzato il termine bioetica. Negli Stati Uniti, infatti, la discussione sui problemi etici della sperimentazione era già stata acuita, prima ancora che fossero annunciate le scoperte in ambito genetico, dalle denunce e dai processi in seguito ad alcuni clamorosi abusi in campo di sperimentazione sull’uomo. Nel 1963, ad esempio, al Jewish Chronic Disease Hospital di Brooklin erano state iniettate, nel corso di una sperimentazione, cellule tumorali in pazienti anziani, oltretutto senza il loro consenso. Nel periodo 1965-1971 al Willowbrook State Hospital di New York venne condotta una serie di studi sull’immunizzazione contro l’epatite virale, inoculando il virus in alcuni bambini handicappati ricoverati nell’ospedale. Questi esperimenti fecero ritornare il pensiero alla sperimentazione selvaggia praticata nei campi di 5 concentramento del periodo nazista4. Callahan e Gaylin avevano preso l’iniziativa di riunire scienziati, ricercatori e filosofi, per discutere su questi problemi. Tali riflessioni portarono, come si è detto, alla creazione di un ‘istituzione dedita sistematicamente allo studio della bioetica, l’Institute of Society, Ethics and the Life Sciences, con sede a Hastings on Hudson,( New York ), ben presto conosciuto con il nome di Hastings Center, e con l’obiettivo specifico di considerare gli aspetti etici, sociali e legali delle scienze medico-sanitarie. Oggi, il centro ha sede a Garrison, (N.Y.), e, di fatto, ha introdotto ampie tematiche mediche e medico-sociali nel dibattito bioetico ampliandone gli orizzonti e ha contribuito ad elaborare progetti didattici e linee-guida su vari problemi di bioetica speciale. Negli stessi anni, alla Georgetown University di Washington, (D.C.), giungeva, come si è detto, Hellegers 4 A.R. Jonsen – A.L. Jameton – A. Lynch, Medical ethics, history of north America in the twentieth century, in W.T. Reich (ed), Encyclopedia of Bioethics, New York 1978, pp 992-1001. (pubblicazione scientifica) 6 con il preciso intento di inaugurare, presso questa università, un programma di ricerca interdisciplinare di bioetica. Per questo scopo Hellegers invitò, nel 1968 e nel 1969, il teologo moralista protestante Paul Ramsey a tenere alcuni corsi presso la facoltà di Medicina della Georgetown University. Da questi corsi di morale vennero fuori due volumi, The patient as person e Fabricated man, entrambi del 1970, che ben si possono considerare le prime pubblicazioni che lanciarono la bioetica in America. Giusto in quel periodo, la famiglia Kennedy decideva di finanziare alcune ricerche sugli handicap mentali congeniti. Le implicazioni anche etiche di questa ricerca stimolarono Hellegers a presentare la proposta di fondare un istituto che si occupasse sia della fisiologia della riproduzione sia di bioetica. Nacque in questo modo, nel 1971, il The Joseph and Rose Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction 7 and Bioethics, cioè il primo centro che portava formalmente il nome di istituto di bioetica. Oggi il centro mantiene il nome di Kennedy Institute, ha sempre sede presso la Georgetown University e al suo interno ha sede il Center of Bioethics. Notevoli per numero e temi affrontati sono le pubblicazioni, una in particolare merita di essere ricordata: L’Encyclopedia of Bioethics, curata nel 1978 da W.T. Reich, unica nel suo genere. L’Enciclopedia, dopo la seconda edizione del 1995, ha visto la terza nel 2004, in cinque volumi, per un totale di 3000 pagine, contenenti 464 articoli presentati in ordine alfabetico e redatti da 437 autori. Un’altra importante attività del centro è stata l’attivazione di un servizio di informazione bibliografica online, Bioethicsline, appoggiato alla National Library of Medicine di Bethesda nel Maryland e distribuito mediante il sistema Medlars negli Stati Uniti e nel mondo. Altro pensatore, che va annoverato fra i padri della bioetica, è E.D. Pellegrino che fu direttore, per diversi anni, 8 del Center of Bioethics, (attualmente è direttore del Center for the Advanced Studies of Ethics, sempre presso la Georgetown University), e che, insieme con D.C. Thomasma, ha impostato i nuovi concetti sul rapporto medico-paziente.5 Dopo i primi due centri di studio degli Stati Uniti se ne sono diffusi tantissimi altri, collegati per lo più ad università o ad ospedali. Di seguito ne indichiamo solo alcuni, fra quelli che presentano una qualche specificità di impostazione. In America merita di essere ricordato il Pope John XXIII Center, che ha pubblicato diverse monografie; esso si muove su una prospettiva Magistero della istituzionale Chiesa di fedeltà al Cattolica. In Australia è nota l’attività del Center for Human Bioethics, presso la Monash University di Melbourne, diretto da P. Singer, del quale è ben nota l’impostazione di 5 soprattutto il volume E.D. Pellegrino – D.C.Thomasma, For the patient’s good. The restoration of beneficence in health care, New York 1988 (tr. It Per il bene del paziente. Tradizione e innovazione nell’etica medica, Cisinello Balsamo 1992). Gli stessi autori avevano precedentemente pubblicato A philosophical basis of medical practice. Toward a philosophy and ethics of the healing professions, New York 1981. (libro di testo) 9 estremo laicismo, che è anche condirettore della rivista Bioethics, organo ufficiale della International Association of Bioethics. Sempre in Australia operano due centri di bioetica d’ispirazione cattolica: The Thomas More Center ed il St. Vincent’s Bioethics Center. In Europa, nonostante si fossero da tempo sviluppati, nel vecchio continente, i più significativi sistemi filosoficomorali, che avevano ispirato per secoli la vita sociale, la bioetica ha fatto la comparsa anni dopo: il ritardo forse si può attribuire alla diversa strutturazione del sistema sanitario ed universitario rispetto agli Stati Uniti, alla forte presenza della deontologia professionale insegnata dai medici legali o alle difficoltà di organizzare un lavoro interdisciplinare data l’eccessiva specializzazione accademica.6 Nell’anno accademico 1975-76 furono istituiti in Spagna, presso la facoltà di Teologia, a San Cugat del Valles, (Barcellona), alcuni seminari di studio in vari campi della 6 Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Paolazzi Carlo – 2007, (libro di testo). 10 bioetica; da questi seminari nacque l’Instituto Borja de Bioética, diretto da un discepolo e collaboratore di Hellegers, Francisco Abel S.J.. Oltre questo centro, cui spetta il primato in Spagna per l’interesse e la ricerca in bioetica, si deve segnalare l’impegno di D. Gracia, direttore del Departamento de Medicina Preventiva Salud Publica, e Historia de la Ciencia presso la facoltà di Medicina dell’Università Complutense di Madrid. Di rilievo è la sua opera, “Fundamentos de bioética”, la quale muove da un esame storico-filosofico dell’evoluzione dei concetti etici in campo biomedico dalla scuola ippocratica fino ai giorni nostri e delinea quelli che sono stati, nell’evoluzione del pensiero filosofico, i fondamenti del giudizio etico in campo biomedico. Nel 1983 fu creato a Bruxelles, per iniziativa di alcuni professori dell’Università Cattolica di Lovanio, il Centre d’Etudes Bioéthiques: si tratta di un’associazione senza fini 11 di lucro affiliata all’Università di Lovanio.7 Altri centri di interesse bioetico esistono in Francia: ricordiamo soprattutto l’Institute National de la Santé et de la Recherche Médical, (INSERM), presso il quale è stato istituito il Centre de Documentation et d’Information en Ethiqué,(CDEI). Nei Paesi Bassi il primo istituto di bioetica, (Instituut voor Gezond-heidse-thiek), viene fondato a Maastricht nel 1985. In Inghilterra dal 1975 viene pubblicato il trimestrale “Journal of Medical Ethics”, a cura dell’Institute of Medical Ethics che ha sede ad Edimburgo e che si definisce un’organizzazione indipendente, non di parte. A Londra viene pubblicata la rivista “Ethics and Medicine”, ad opera del Centre for Bioethics and Public Policy, di orientamento ippocratico cristiano. Sempre a Londra, da segnalare l’attività del Linacre Centre for Health Care, fondato nel 1977, per il suo servizio alla comunità cattolica della Bretagna. In ambito europeo va segnalata l’opera di un autore 7 J.F. Malherbe, Pour une éthique de la médecine. Louvain 1990 (tr. It. Per un’etica della Medicina, Cinisello Balsamo 1989). (libro di testo) 12 tedesco, tuttavia residente ed operante in Palestina e NordAmerica, che ha contribuito in modo sostanziale al dibattito bioetico: si tratta di “Il principio responsabilità”, di H. Jonas, annoverabile fra i maggiori contributi dati alla disciplina; l’autore si muove su un terreno di partenza analogo a quello di Potter: egli prende in considerazione l’accresciuta possibilità della tecnologia, di cui esamina le eventuali minacce alla sopravvivenza dell’umanità. L’umanità ha l’obbligo di sopravvivere, questo è il comandamento prioritario secondo l’autore, da qui la necessità di fondare una nuova etica, che egli chiama “etica del futuro”, perché si deve fondare sull’esame delle conseguenze degli interventi umani sulla biosfera a carico delle generazioni future; il criterio guida per gli interventi biotecnologici dovrà essere quello dell’esclusione della catastrofe.8 E’ necessario spendere qualche parola anche per la situazione italiana. Il nostro centro di bioetica è sorto nel 1985, all’interno 8 H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung, Frankfurt a.M. 1979 (Tr. It. Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino 1990). (libro di testo) 13 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esso ha sede nella Facoltà di Medicina e Chirurgia A. Gemelli, in Roma, l’organo direttivo è costituito da un comitato composto dal Rettore e dal Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, (membri di diritto), e da altri 18 membri designati dal Rettore tra esperti medici, biologi, filosofi, giuristi, moralisti, teologi. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, (spesso abbreviato in CNB), è sorto nel 1990 ed è un organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La funzione del predisposizione CNB è di orientamento di strumenti ed atti, per la legislativi ed amministrativi, volti a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologica, per tutelare i diritti umani ed evitare gli abusi. Il CNB ha inoltre il compito di garantire una corretta informazione sugli aspetti problematici e sulle implicazioni dei trattamenti terapeutici, delle tecniche diagnostiche e dei progressi delle scienze biomediche. I pareri del CNB costituiscono spunti di approfondimento 14 tematico e di riflessione sui problemi di natura etica e giuridica che emergono con il progredire delle conoscenze nel campo delle scienze della vita. Appena creato, ha subito emanato un documento di bioetica riguardante il concetto di definizione di morte, nel 1991; in questo documento il Comitato stabiliva che la morte non era altro che la cessazione totale ed irreversibile di tutte le funzioni dell'intero organismo, in quanto incapace di mantenere autonomamente la propria unità funzionale.9 Nel 1992, accanto al Centro, è stato costituito, per decisione del Consiglio di Facoltà e del Senato accademico, l’Istituto di bioetica, il quale svolge la sua attività in ambito accademico, coordinando Perfezionamento corsi post-laurea, di oltre Dottorato a tutta e di l’attività didattica nel Corso di laurea in Medicina e Chirurgia e nei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie. L’istituto è diretto da un professore ordinario di bioetica e si avvale dell’attività di ricercatori e borsisti. 9 www.governo.it, (sito internet) 15 Il Centro di bioetica è rimasto operativo per l’attività di formazione sul territorio e negli ultimi anni ha contribuito alla creazione di diverse sedi consorziate in alcune regioni d’Italia, attraverso le quali coordina attività di formazione permanente con corsi residenziali rivolti al personale sanitario ed a quanti altri abbiano interessi diretti o indiretti in problemi di bioetica. Organo ufficiale del Centro è la rivista “Medicina e Morale” che pubblica bimestralmente articoli, note, commenti e recensioni bibliografiche sui vari aspetti della bioetica, della Deontologia e della morale medica. In Italia, già nel 1984 aveva avuto inizio l’attività del Centro di bioetica di Genova, caratterizzato dall’esigenza di non restringere l’attenzione alla sola vita umana, ma di includere nella riflessione tutto ciò che è vivente, quindi affrontando in modo approfondito anche questioni di bioetica ambientale e animalista.10 Altro importante polo di riflessione è quello collegato all’Istituto Scientifico Ospedale S. Raffaele di Milano, dove 10 S. Castignone (a cura di ), Etica ambientale, Atti della giornata di etica ambientalista. Napoli 1992. (pubblicazione scientifica) 16 esiste dal 1985 un Dipartimento di Medicina e Scienze umane, e dove si pubblica una rivista scientifica divulgativa “KOS”, ed una seconda a carattere etico-sanitario, “Sanare Infirmos”.11 Nel 1988 prende avvio il Progetto Etica e Medicina della Fondazione “Lanza” di Padova, che si prefigge un’ampia prospettiva di problemi etici posti dalla scienza e dalla società, ma soprattutto considera i filoni dell’etica in economia ed una ricognizione delle tendenze in bioetica.12 D’impostazione laica, nel senso di forte critica all’etica cattolica, è Politeia, centro per la ricerca e la formazione in politica e in etica, di Milano, (con sedi anche in altre città italiane). Anche questo centro ha sezioni di etica dell’economia, etica dell’ambiente e bioetica. La rivista edita dal centro porta il titolo di “Notizie di Politeia”, e raccoglie diversi contenuti di varia provenienza, 11 P. Cattorini, Profilo della scuola di medicina e scienze umane. Educare ad un’intenzione antropologica, “Sanare Infirmos”. 1988, 3, pp. 19-23. (pubblicazione scientifica) 12 Viafora ( a cura di ), Vent’anni di bioetica; Id., Fondamenti di bioetica, Milano 1989; Id., ( a cura di ), Centri di bioetica in Italia, Orientamenti a confronto, Padova 1993 (libro di testo) 17 pur riflettendo tuttavia l’impostazione analitica ed utilitarista e privilegiando l’individualismo metodologico che è a fondamento di tutto il lavoro di ricerca del gruppo. Altro punto di presenza caratterizzata è costituito dalla cattedra di Antropologia dell’Università di Firenze, in cui B. Chiarelli ha dato vita ad una rivista, “Problemi di bioetica”, e ad una Società, la Società italiana di Bioetica. Il punto di vista filosofico riflette l’impostazione biologistaevoluzionista.13 Altre iniziative sono sorte recentemente ad animare il panorama italiano, come il Centro di Bioetica nato all’interno dell’Istituto Internazionale per i Diritti dell’Uomo a Trieste o il Gruppo di attenzione sulle biotecnologie, (GAB), di Milano che, fondato nel 1988, si occupa di tecnologie biologiche, aspetti etici compresi. In Sicilia è stato aperto nel 1991 l’Istituto Siciliano di Bioetica, all’interno della facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto ha curato recentemente la pubblicazione di un 13 B. Chiarelli, Problemi di bioetica nella transizione fra il II e il III millennio, Firenze, 1990. (libro di testo) 18 Dizionario di bioetica. A Messina, nel 1992, è sorto il Laboratorio di Bioetica, affiliato all’Università pontificia Salesia. L’insegnamento accademico della bioetica in Italia è stato ben presto attivato in molte Università Pontificie, con una prospettiva soprattutto teologica. Notevole è il contributo offerto in ambito teologico da D. Tettamanzi.14 Nelle Università pubbliche la bioetica come disciplina è stata attivata dapprima come insegnamento libero richiesto da alcune Facoltà di Medicina e Chirurgia, (tra cui quella dell’Università Cattolica di Roma), successivamente è stata inserita nei raggruppamenti delle discipline per la partecipazione ai concorsi pubblici, (per professori universitari di prima e seconda fascia e per i ricercatori universitari), quindi nei settori scientifico-disciplinari degli insegnamenti universitari. Attualmente, la bioetica come disciplina, è collocata nei 14 D. Tettamanzi, Bioetica. Nuove frontiere per l’uomo. Casale Monferrato 2000; Id., Dizionario di Bioetica, Casale Monferrato 2002, (libro di testo). 19 settori F02X, (Storia della medicina), F22B, (Medicina legale) e M07C,(Filosofia morale). Nella facoltà di Medicina, in particolare, la bioetica si è integrata con gli insegnamenti della nuova Tabella XVIII che ha riordinato dall’anno accademico 1988-1989 il corso di laurea. Indubbiamente l’insegnamento universitario della bioetica, ha certamente contribuito a meglio definire questa disciplina e lo stesso si deve dire per l’istituzione dei comitati di bioetica, denominati anche “comitati etici”, i quali hanno dato un forte impulso alla riflessione bioetica. 20 Il problema della definizione L’itinerario storico retrospettivo e recente della bioetica ricordato, rivela un ampio spettro di problemi affrontati, di contenuti e di criteri evocati: dalla prima impostazione a prevalente interesse bioecologico, (Potter, Jonas), che pone in crisi il concetto ottocentesco di progresso “benefico”, la bioetica si arricchisce, grazie alla produzione dei vari Centri statunitensi ed europei, di nuove riflessioni eticofilosofiche sui problemi vecchi e nuovi della medicina, della demografia e della ricerca sperimentale sull’uomo e sull’animale; pone l’accento sul rapporto tra vita umana e vita animale e, infine, si confronta con gli apporti dell’etica medica classica delle varie dottrine religiose e con i diritti dell’uomo. Di qui sorge il problema anzitutto di una definizione della bioetica, problema che a tutt’oggi non appare scontato. C’è chi configura la bioetica come un movimento di idee storicamente mutanti; chi la considera piuttosto una metodologia di confronto interdisciplinare tra scienze 21 biomediche e scienze umane; chi riconduce la riflessione bioetica ad un’articolazione della filosofia morale e chi ritiene ormai che questa riflessione possa essere definita come una disciplina autonoma, con un suo ruolo non identificabile con la deontologia né con la medicina legale o i diritti dell’uomo, anche se con queste discipline non può non avere una connessione e dei punti di confronto, né può essere considerata una sezione della più antica etica medica.15 Da questo excursus, risulta che siamo di fronte ad un panorama certamente molto vasto ma d’altro canto discretamente caratterizzato. Perciò è chiaro che sotto la denominazione di bioetica venga a ricomprendersi anche l’etica medica propriamente detta: non quindi la bioetica come parte aggiuntiva dell’etica medica, ma al contrario la bioetica, come etica che concerne gli interventi sulla vita, viene intesa nel senso estensivo, a ricomprendere anche gli interventi sulla vita e sulla salute dell’uomo. 15 A. Bompiani, Bioetica in Italia. Lineamenti e tendenze, Bologna 1992, (libro di testo). 22 Come già richiamato in precedenza, Potter nel 197116, oltre ad aver coniato il termine, aveva in qualche modo definito la nuova disciplina come la “combinazione della conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani”: egli considerava la bioetica come la scienza della sopravvivenza. Reich dà due diverse definizioni di bioetica in occasione delle tre edizioni successive della “Encyclopedia of Bioethics”. In quella del 1978 definiva la bioetica “lo studio sistematico della condotta umana, nell’ambito delle scienze della vita e della salute, esaminata alla luce dei valori e dei principi morali”.17 La definizione presenta due possibili equivoci: questo studio sistematico riguarda come di fatto operano gli uomini o come dovrebbero agire?18 Inoltre quel riferimento a principi e valori morali non è una indicazione troppo generica, quando è proprio sul 16 Potter, Bioethics. Bridge to the future. Reich (ed.), Encyclopedia of Bioethics, 1978, I, p. XIX.(libro di testo). 18 A. Pessina, Bioetica, l’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano, 1999, (libro di testo). 17 23 disaccordo tra principi e valori che oggi verte gran parte del dibattito bioetico? Il riferimento ai principi contenuto nella definizione di bioetica si colloca proprio nella concezione più ristretta di bioetica che nasce come evoluzione e aggiornamento dell’etica medica. Nell’edizione del 1995, ripresa poi nel 2004, Reich dà alla definizione di bioetica una maggiore ampiezza, e recita: “Bioetica è un termine composto derivato dalle parole greche bios (vita) e ethike (etica). Essa può essere definita come lo studio sistematico delle dimensioni morali inclusa la visione morale, le decisioni, la condotta, e le politiche delle scienze della vita e della cura della salute, usando diverse metodologie etiche in un quadro interdisciplinare”.19 In questa nuova definizione scompaiono principi e valori per lasciare il posto ad un pluralismo etico, almeno di tipo metodologico, utilizzando la dimensione morale al plurale e allargando il discorso anche alla sfera politica. 19 Reich W.T., Encyclopedia of Bioethics 1995, (libro di testo). 24 Va rilevato che in questa definizione egli recupera in parte la concezione originaria di bioetica globale proposta da Potter; Reich stesso, infatti, precisa che “resta confermata la visione ampia con cui il neologismo è stato proposto, più di venti anni fa. A differenza di quanti concepiscono la bioetica in senso riduttivo – in pratica, l’etica medica ampliata quanto basta per includere l’etica della ricerca biomedica – noi abbiamo esteso la bioetica fino ad includere i problemi sociali, ambientali e globali della salute e delle scienze della vita. L’ambito della bioetica si estende perciò oltre quello dell’etica biomedica.”20 Nella definizione del 1995, quindi, l’oggetto materiale della bioetica viene allargato a tutte le dimensioni morali, le quali includono le condotte sociali e le decisioni politiche, la definizione appare più completa ed inoltre la bioetica non è più esaminata alla luce di valori e di principi morali, bensì “attraverso una varietà di metodologie etiche”. Con questa affermazione Reich vuole eliminare l’equivoco 20 S. Spinsanti, Incontro con Warren Reich, “L’Arco di Giano”, 1995, 7, p. 219, (libro di testo). 25 generatosi negli anni precedenti e fondamentalmente vuole aprire la porta al pluralismo etico. Questa apertura è indubbiamente molto importante, pur nascondendo il facile rischio di incorrere in un relativismo etico, infatti di fronte ad un problema etico, mentre in un primo momento è opportuno partire dall’esame dei diversi punti di vista è necessario, all’atto di prendere decisioni, verificare la validità delle argomentazioni fornite dalle diverse impostazioni. Dunque la validità della scelta va sempre argomentata razionalmente e solo così si può evitare di cadere nel relativismo etico che sarebbe la fine della bioetica stessa. Ad Erice, nel febbraio del 1991, in un Convegno internazionale, un gruppo di studio ha elaborato un documento, detto appunto documento di Erice, nel quale è stato considerato l’oggetto della bioetica ed il rapporto tra quest’ultima con la deontologia e la medicina legale, in questo documento che si rifà ai contenuti della Encyclopedia of Bioethics del 1978, la competenza della bioetica viene riconosciuta in questi quattro ambiti: 26 · problemi etici delle professioni sanitarie; · problemi etici emergenti nell’ambito delle ricerche sull’uomo anche se non direttamente terapeutiche; · problemi (nazionali sociali ed occupazionale connessi alle internazionali), ed alle politiche politiche alla di sanitarie, medicina pianificazione famigliare e controllo demografico; · problemi relativi all’intervento sulla vita degli altri esseri viventi, (piante, micro-organismi ed animali), e in generale ciò che si riferisce all’equilibrio dell’ecosistema. I paradigmi bioetici che per valenza storica e consistenza teorica mantengono un ruolo privilegiato nella letteratura specialistica possono essere ridotti, non senza qualche inevitabile parzialità e semplificazione, a quattro: il modello principialista, il modello utilitarista, il modello libertario-procedurale e il modello personalista. 27 a) Modello etico principialista (“etica dei principi”). L’origine di questo paradigma deriva da un importante libro pubblicato nel 1979 da Tom L. Beauchamp e James F. Childress, intitolato Principi di etica biomedica .21 Secondo questi autori, per poter affrontare con sguardo lucido e imparziale un problema etico in ambito medico– sanitario, è necessario affidarsi ad uno schema di riferimento, (framework), costituito da quattro principi che gli autori ricavano dalla tradizione filosofica antica e moderna: - Principio del rispetto dell’autonomia, secondo cui le azioni autonome del soggetto non dovrebbero essere sottoposte a vincoli e controlli altrui. - Principio di non maleficenza, secondo cui è vincolante arrecare il minor danno possibile al paziente, (in conformità con l’ippocratico “non nocere”). 21 T.L. Beauchamp, J.F. Childress, Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze, 1999 (tit. originale Principles of Biomedical Ethics), (libro di testo). 28 - Principio di benevolenza, secondo cui è vincolante cercare di giovare quanto più possibile alla vita e alla salute della persona. - Principio di giustizia, secondo cui occorre distribuire equamente le risorse mediche in rapporto a tutti coloro che ne hanno diritto. Il punto teorico fondamentale di questo paradigma consiste nel fatto che tutti i principi sono validi prima facie, non c’è una gerarchia prestabilita. Per poter essere concretamente utilizzati nella prassi biomedica occorre applicare a questi principi due metodi: il metodo della “specificazione”, mediante il quale dalla loro astrattezza vengono “tradotti” nei contesti concreti, e il metodo del “bilanciamento”, mediante il quale i principi devono essere di volta in volta “bilanciati” in modo da capire qual è quello effettivo e dominante sugli altri. b) Modello etico utilitarista La tesi fondamentale di questo paradigma è che è eticamente plausibile quell’azione che massimizza il 29 benessere e minimizza il malessere, (il dolore), del maggior numero dei soggetti coinvolti in una decisione. Nelle versioni più aggiornate si parla di massimizzare “gli interessi” o “le preferenze”, per evitare un eccessiva connotazione edonistica al termine benessere. La logica caratterizzante questo paradigma è quella consequenzialista: non esistono azioni in se stesse intrinsecamente buone o cattive, (al contrario di quanto affermato dalle etiche deontologiche), la moralità o l’immoralità delle azioni dipendono totalmente dalle loro conseguenze, che devono tendere a “massimizzare il benessere del maggior numero”. E’ questo il modello oggi più in voga, tanto che gran parte dell’opinione pubblica, influenzata anche dai mass-media, forse senza saperlo tende a ragionare in questi termini. Il metodo consequenzialista, efficientista, tipico di questo paradigma bioetico, ha il merito di sembrare, almeno in apparenza, razionale, duttile, teso a salvaguardare il maggior bene possibile. 30 In realtà, va notato subito che, se coerentemente applicato, questo metodo porta a conseguenze eticamente discutibili anche per il senso comune. Per esempio, proviamo a porci alcune domande da manuale in campo etico: è giusto fare esperimenti nocivi o anche letali su un uomo per salvare le generazioni future? ü clonare una persona per ottenere degli organi e così curarne molte altre? ü uccidere un innocente per salvarne cento? Ebbene, un utilitarista coerente non può che rispondere in maniera affermativa a tutte queste domande, e laddove il suo senso morale di base non glielo permettesse è costretto ad apportare qualche modifica, più o meno sostanziale, alla sua teoria. Spingendo poi il discorso più in profondità, due critiche si possono rivolgere a questo modello: - in primo luogo si presta attenzione soltanto alla dimensione quantitativa delle decisioni etiche e non alla dimensione qualitativa. In realtà, nelle nostre decisioni più importanti entra 31 sempre in gioco una dimensione qualitativa, esistenziale, irriducibile all’aspetto puramente quantitativo. Per fare un esempio: nella drammatica scelta di una donna tentata dall’aborto, ha senso parlare soltanto di “calcolo” in termini di costi o benefici? Non è più ragionevole affidarsi per questa scelta a criteri che trascendano la logica utilitarista? - In secondo luogo, i soggetti coinvolti nelle decisioni sono soltanto le persone intese in senso riduzionista e funzionalista, una accezione di significato secondo con cui non tutti gli individui sono persone, ma soltanto quelli che manifestano esterne, alcune come funzioni, alcune caratteristiche l’esercizio della razionalità, dell’autocoscienza, del dominio di sé, del senso morale… In questa prospettiva, dunque, non vengono presi in considerazione gli “interessi” di embrioni, infanti, malati in stato vegetativo persistente, portatori di handicap, ecc… 32 c) Modello etico libertario e procedurale. Si tratta del modello basato sulla teoria del filosofo H. Tristram Engelhardt Jr. esposta nel suo celebre Manuale di bioetica, la cui prima edizione risale al 198622. L’autore parte da una descrizione sociologica delle nostre società multiculturali e postmoderne: esse sono costituite da un insanabile “politeismo di valori”, cioè da una serie di comunità, ognuna delle quali avente il proprio culto e i propri riferimenti morali, estranee le une dalle altre per visioni del mondo radicalmente diverse. Le varie comunità morali, dice Engelhardt, con un’espressione provocatoria divenuta assai celebre, vivono tra loro come stranieri morali. Il punto di partenza di Engelhardt è quindi radicalmente scettico: per le questioni bioetiche non è possibile avvalersi di una razionalità unica e ugualmente condivisa da tutti gli uomini. 22 H. Tristram Engelhardt Jr., Manuale di Bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1986 (tit. originale The Foundation of Bioethics), (libro di testo). 33 Così, per evitare che i conflitti etici degenerino in violenza, la soluzione di Engelhardt è quella di una bioetica puramente formale, procedurale: ogni comunità seguirà i propri criteri etici, in piena autonomia, (= principio del permesso), lasciando che le altre seguano il loro, senza cercare l’impresa, (impossibile), di trovare punti di accordo comuni. La soluzione qui proposta può sembrare elegantemente tollerante, in linea con un sano realismo civile attento al profilo multiculturale delle nostre moderne società. In realtà, da un punto di vista prettamente teorico, una bioetica così intesa è di tipo minimalista, si presta ad un puro “lasciar fare” privo di contenuti sostanziali, e mancando di un criterio di discernimento si mostra di fatto sterile nel risolvere i dilemmi morali. Inoltre, anche nella prospettiva di Engelhardt, gli unici soggetti che hanno il diritto di scegliere in totale autonomia non sono tutti gli esseri umani, ma soltanto le persone intese in senso funzionalista. 34 Su questo punto le parole di Engelhardt sono chiarissime e inequivocabili, parole che esprimono una delle tesi più controverse e discusse nel dibattito bioetico “"Non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli contemporaneo: esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. [...] Tali entità sono membri della specie umana ma non hanno status , in sé e per sé, nella comunità morale". d) Modello personalista. Il punto teorico di maggior rilievo di quest’ultimo paradigma, e che lo differenzia da quelli fin’ora esaminati, è di avere un riferimento assoluto come punto di partenza imprescindibile per ogni ragionamento morale. Questo punto di riferimento è naturalmente la persona umana, una realtà materiale e spirituale da considerarsi sempre un fine e mai un mezzo, dotata di un suo valore intangibile e indisponibile, avente una sua propria dignità 35 fondata sull’ essere, non sul fare che mantiene dal suo concepimento fino alla sua fine naturale23. Questa linea filosofica, pur essendo quella pienamente abbracciata dalla Chiesa Cattolica, in linea di principio può essere sostenuta anche su un piano puramente filosofico– razionale. Per esempio, partendo da un quadro teorico come quello appena tracciato, antiabortiste e è possibile antieutanasiche sostenere anche non posizioni essendo credenti; naturalmente chi accoglie anche una prospettiva di fede potrà arricchire la sua posizione con i riferimenti alla sacralità della vita che abbondano nella Bibbia e nella tradizione cristiana. Caratteristica imprescindibile di questo paradigma è poi l’utilizzo del termine persona con una connotazione sostanzialista, ontologicamente fondata, in base alla quale ogni individuo è persona per il fatto stesso che c’è, che 23 Elio Sgreccia, nel suo Manuale, articola la prospettiva bioetica personalista in quattro principi: il principio della difesa della vita fisica, il principio terapeutico o della totalità, il principio della libertà e responsabilità, il principio di socialità e di sussidiarietà. 36 esiste, e non per le prestazioni funzionali che eventualmente riesca a fornire. Per esprimere al meglio lo spirito del personalismo ontologico può essere utile rileggere queste limpide righe del filosofo Romano Guardini: “L’uomo non è intangibile per il fatto che vive. Di tale diritto sarebbe titolare anche un animale, in quanto esso pure si trova a vivere. La vita dell’uomo rimane inviolabile perché egli è una persona. L’essere personale non è un dato di natura psicologica ma esistenziale: fondamentalmente non dipende né dall’età, né dalla condizione psicologica, né dai doni di natura di cui il soggetto è provvisto. La personalità può rimanere sotto la soglia della coscienza, come quando dorme, tuttavia essa permane e ad essa bisogna fare riferimento. La personalità può essere non ancora sviluppata come quando si è bambini, tuttavia essa pretende il rispetto morale. 37 E’ addirittura possibile che la personalità in generale non emerga negli atti, in quanto mancano i presupposti psicofisici, come accade nei malati di mente. E infine la personalità può anche rimanere nascosta come nell’embrione; ma essa è data fin dall’inizio in lui e ha i suoi diritti. E’ questa personalità a dare agli uomini la loro dignità. Essa li distingue dalle cose e li rende soggetti.”24 A conclusione del discorso un’ultima riflessione ispirata al pensiero del filosofo Adriano Pessina, che in maniera efficace e suggestiva definisce la bioetica come un esercizio della coscienza critica della civiltà tecnologica25. Tutti noi uomini del XXI secolo, volenti o nolenti, ci troviamo a vivere in un mondo ridisegnato dal progetto della scienza e della tecnica, di fronte al quale possiamo rimanere passivi e indifferenti, oppure prendere posizione attiva. 24 Romano Guardini, I diritti del nascituro, pubblicato in “Studi Cattolici”, Maggio/Giugno 1974, (pubblicazione scientifica). 25 A Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano, 1999, 4142,(libro di testo). 38 Fare bioetica significa accettare criticamente questo fatto, sviluppare una coscienza vigile e una ragione correttamente formata, in modo da non perdere mai di vista la distinzione tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente lecito. Robert Oppenheimer, il fisico che aveva diretto il progetto Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica, in un celebre discorso del 1947 pronunciò le seguenti parole: “I fisici hanno conosciuto il peccato, ed è una conoscenza che rimarrà in loro per sempre”. Se è vero che la civiltà delle tecno-scienze corre ormai il rischio di vivere nel peccato, sta a noi, attraverso l’utilizzo critico della nostra ragione, lavorare per cercare di redimere la scienza e la tecnica e volgerle verso il vero bene dell’essere umano. 39 Rapporto infermiere-paziente: motivazione e comunicazione Riflettendo sulle questioni etiche relative all’operato dell’infermiere ci si chiede, innanzitutto, perché una persona arrivi a decidere di intraprendere tale professione e quali possano essere le motivazioni consce e inconsce alla base di tale scelta. La motivazione può essere intesa come quell’insieme di fattori che sono alla base di ogni atto e di ogni scelta fatti dalla persona e che hanno il compito di sostenerla fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.26 Essa si mostra, anzi, come il fattore che spinge la persona alla soddisfazione di un bisogno; appare subito evidente, per quanto detto, che la motivazione potrà appartenere ad ambiti e settori molto diversificati, alcune motivazioni sono: · semplici · banali 26 Carpineta S., La comunicazione infermiere paziente, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993, (libro di testo). 40 e corrispondono, sostanzialmente, ai bisogni primari. Un significativo esempio è rappresentato da quello che può accadere all’emergere di un bisogno come la fame: i comportamenti, le decisioni e le azioni tese alla risoluzione del bisogno saranno sostenute da una motivazione tanto più forte e determinata quanto più marcato sarà il bisogno stesso.27 Altre motivazioni appartengono, poi, a sfere diverse e ad ambiti anche molto lontani tra loro che possono, di volta in volta, entrare in gioco: · fattori sociali · fattori economici · fattori culturali · fattori di ruolo · fattori di status. Ma le motivazioni che più frequentemente sono all’origine dei comportamenti umani sono, ovviamente, quelle di natura psicologica anche se, altrettanto ovviamente, non 27 Rheinberg F., Psicologia della motivazione, Il Mulino, 2003,(libro di testo). 41 sono sempre facilmente individuabili o immediatamente percepibili. Per una loro comprensione bisogna far riferimento a modelli teorici che ne danno spiegazioni molto diverse e che partono concettualmente da presupposti e punti di vista anche divergenti.28 La teoria psicodinamica considera la motivazione come prodotto dell’inconscio ed individua nelle pulsioni29 gli agenti che la possono attivare e farle da supporto. Altre concezioni teoriche pongono maggiormente l’attenzione sulla motivazione come prodotto della crescita dell’individuo attraverso l’apprendimento o come funzione conscia e controllabile dall’intelletto. Dopo tale analisi di tipo teorico, è fondamentale, allora, chiedersi quali possano essere considerate le principali motivazioni che spingono un giovane ad intraprendere la professione infermieristica. Quelle legate alla sicurezza economica ed alla facilità di 28 29 Maslow A.H., Motivazione e personalità, Armando Editore, 1992, (libro di testo). S. Freud, Introduzione alla Psicoanalisi, 1976, (libro di testo). 42 trovare un impiego non sono motivazioni sufficienti a spiegare una tale scelta; infatti, a queste caratteristiche: · positive · invoglianti corrispondono anche: · la difficoltà · l’impegno che, da una parte, questa professione implica30 e, dall’altra, la constatazione che, in genere, la scelta di una professione non è quasi mai determinata primariamente dal fattore economico soprattutto quando la scelta viene fatta in età adolescenziale. Se in passato la figura dell’infermiere era, innanzitutto, quella di una persona che si dedicava al prossimo e che poteva, addirittura, fare del proprio mestiere una vocazione oggi: · la preparazione professionale 30 AA. VV., Guida all'esercizio della professione di infermiere, C.G. edizioni medicoscientifiche, Torino, 2002, (libro di testo). 43 · l’alto livello tecnico raggiunto · l’impegno di studio necessario fanno dell’infermiere un professionista: · specifico · specializzato.31 Il discorso della professione infermieristica come momento di aiuto al prossimo non deve, comunque, essere sottovalutato dovrà, però, essere ricondotto alla sua giusta dimensione di scelta matura e consapevole. Altri aspetti, che possono rappresentare una buona motivazione a questa scelta, sono rappresentati: · dal dinamismo presente nella professione infermieristica · dal rifiuto di professioni troppo sedentarie e poco attive e coinvolgenti · dalla ricerca di un lavoro emotivamente coinvolgente ed in cui le gratificazioni siano immediate.32 31 Barni M., La Deontologia e l'Etica Professionale oggi, Notizie di Politeia 5 (16), 17, 1989, (pubblicazione scientifica). 32 Dimonte V., Da servente a infermiere, Cespi editore, Torino 1998, (libro di testo). 44 Recuperando, poi, la dimensione più psicologica della motivazione si potrebbe individuare di questa un altro aspetto, che è opportuno citare più come esempio e spunto di riflessione che non come paradigma di quanto realmente accade: la possibile presenza di vissuti, ovviamente inconsci, legati al sogno dell’uomo di poter essere un giorno immortale. Questo insieme di osservazioni proposte permetterà di valutare cosa ci potrà essere alla base della scelta professionale fatta, ovviamente nel senso di stimolare una riflessione e non certo con la pretesa di dare una risposta a tali interrogativi. E proprio con l’intenzione di stimolare la riflessione diviene importante considerare una ulteriore faccia di questa polimorfa medaglia: oltre al perché della scelta è opportuno valutare il come; se la scelta, cioè, riposa su un determinato tipo di motivazione, cosa ne è di questa motivazione, come si trasforma o cosa ne rimane? Come essa si ripercuote sul modo di lavorare e, conseguentemente, sul modo di rapportarsi e comunicare 45 con il paziente? Prima di tutto, è allora, fondamentale considerare la posizione e l’atteggiamento che ognuno avrà nei confronti della malattia.33 Per alcune persone sarà necessario combatterla, sconfiggerla e distruggerla mentre altri avranno bisogno, soprattutto, di: · accudire il malato · prendersi cura della sua persona · essergli vicino. Questi atteggiamenti così diversi e, addirittura, opposti, per certi versi, caratterizzano anche una possibile spinta motivazionale che porta, poi, ad intraprendere una scelta, in quanto la professione infermieristica permetterà, nelle aspettative che la sottendono, di realizzarsi attraverso la soddisfazione di queste intime necessità permettendo alla persona di “essere” sul lavoro “padre” o “madre”. 33 Kuhse H., Prendersi cura non basta: riflessioni sull'etica infermieristica, in Bioetica, 2, 1994, (libro di testo). 46 L’esperienza comune conferma, di certo, questa affermazione per cui l’infermiere a volte sarà: · direttivo · molto tecnico · apparentemente freddo ma anche: · accogliente · molto attento ai bisogni della persona · protettivo · a volte, permissivo.34 Inevitabilmente, tutto ciò si ripercuoterà anche sui livelli di comunicazione e sulla qualità della stessa. Per alcuni pazienti, la comunicazione sarà più semplice ed immediata con l’infermiere “madre”, che fornisce un “nido” protettivo ed accogliente all’interno del quale la loro malattia possa essere: · considerata 34 Pellegrino E.D., Thomasma D.C., Per il bene del paziente: tradizione e innovazione nell'etica medica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992, (libro di testo). 47 · curata. Altri, invece, avranno maggiore facilità di relazione con infermieri più energici ed in questo secondo caso la comunicazione apparirà immediatamente come determinata da un rapporto verticale e di marcata diseguaglianza. 35 Uno degli aspetti più interessanti del rapporto tra infermiere e paziente è la distanza che esiste tra i due o, in altre parole, il grado di coinvolgimento che esiste in questo rapporto.36 La distanza che si viene a creare sarà determinata da come è strutturata la personalità dell’infermiere e da come è strutturata quella del paziente ma, soprattutto, dipende dalla risultante dell’incontro di questi due soggetti, cioè, dalla relazione che si instaura fra i due. L’infermiere ha, in genere, proprio per il ruolo che ricopre, una funzione determinante sotto questo aspetto: egli, 35 Reich W.T., Curare e prendersi cura - nuovi orizzonti dell'etica infermieristica, in l'Arco di Giano, n.10, 1996, (pubblicazione scientifica). 36 Ricci Bitti E., Zani B., La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna, 1983, (libro di testo). 48 infatti, detta le prime regole con il paziente e, quindi, imposta le basi della relazione. Si potrebbe pensare all’infermiere ed al paziente come a due sfere, rappresentanti la globalità dell’individuo o, per meglio dire, i loro due sé. Così, le due sfere si avvicinano: la sfera sé - infermiere entra in contatto con la sfera sé - paziente e · la forma, · la dimensione, · la qualità, · il contenuto, di queste due sfere, determinano la distanza che le divide.37 Il fattore iniziale che può determinare una modalità di distanza piuttosto che un’altra è rappresentato dalla sfera – infermiere; quindi, dal suo sé e dalla sua necessità di rimanere ben differenziato o, al contrario, identificato con il sé del paziente. I motivi per cui viene scelta la differenziazione, 37 Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, (libro di testo). 49 l’allontanamento o, addirittura, il rifiuto del malato possono essere numerosissimi tanto che fornire una classificazione sarebbe impossibile. Allo stesso modo, molti sono i motivi che possono generare una situazione di identificazione con il paziente ed il suo mondo. La distanza dal paziente potrebbe essere determinata da aspetti patologici dell’infermiere: una troppo marcata identificazione o un insistente rifiuto del rapporto con il malato possono, in effetti, rappresentare un segnale di incapacità alla comunicazione che avrà come primo effetto quello dello stabilirsi di una comunicazione disturbata. In questo caso, il rapporto sarà dominato dall’incapacità di avere un rapporto stesso, con tutte le conseguenze di Un ciò e altro con l’evidente aspetto necessità potrebbe essere di intervenire. definito come pedagogico – maturativo; il sé si struttura nel bambino attraverso il raggiungimento e superamento di progressive tappe scandite dall’identificazione e successivo abbandono e superamento di modelli: 50 · comportamentali · psicologici · cognitivi… Nell’adulto è possibile che un sé ancora poco strutturato possa ancora andare alla ricerca di modelli con i quali identificarsi; nella pratica infermieristica è, quindi, possibile assistere allo stabilirsi di relazioni fortemente dipendenti o di troppo marcata identificazione con il paziente dietro la quale è possibile intravedere questa mancanza di sicurezza in se stessi, sicurezza che viene, dunque, ricercata nell’altro o nel proprio ruolo professionale. Non è raro sentir dire che la professione di infermiere è stata scelta per le soddisfazioni che può apportare; chi più chi meno, tutti abbiamo una immagine del professionista della sanità come di una persona spesso gratificata dalle soddisfazioni che derivano dal salvare una vita o alleviare le sofferenze. Iniziata la pratica professionale si devono, invece, fare i conti con realtà ben diverse: le persone curate non sempre 51 guariscono, il dolore e la sofferenza non possono essere sempre risolti con gli strumenti in nostro possesso, l’aiuto che viene offerto non sempre è riconosciuto ed apprezzato. Il vissuto di frustrazione dell’infermiere rischia, perciò, di inquinare: · il suo modo di essere; · il suo lavoro; · i suoi rapporti. Esiste una correlazione strettissima tra le soddisfazioni che si traggono dall’esercizio della professione e la crescita motivazionale e, visto che la motivazione è alla base di come si lavora, ogni atto del proprio operare ne risentirà inevitabilmente. Il rischio maggiore che si verifica quando le frustrazioni emergono sul lavoro è che a farne le spese sia, poi, il paziente, questo può accadere in maniera molto semplice quando la quota di disagio è tale da venire a modificare il rapporto tra infermiere e paziente. La comunicazione diventerà, in tal caso, stabilmente 52 disturbata da questo fattore che, tra l’altro, innescherà risposte di ritorno dello segno.38 stesso Una persona che entra per la prima volta in ospedale affronta una realtà sconosciuta e la situazione affrontata sovraccarica il malato di notevoli tensioni che vengono ad aggiungersi alle ansie ed ai timori suscitati dal suo stato di salute. È difficile rassicurare una persona per quel che riguarda la sua malattia o, quanto meno, questo necessita di tempi oltremodo lunghi. Tuttavia, starle vicino e rassicurarla al momento dell’ingresso in ospedale permette di creare quel clima di intesa, empatia successivamente; che favorirà l’infermiere la relazione anche che avrà accolto positivamente un paziente diventerà per lui, nel corso del ricovero, un appoggio affidabile e sicuro.39 Anche le più elaborate manovre tecniche sono meglio accettate se capite e giustificate, ma sarà anche opportuno 38 Balint M., Medico, paziente e malattia, Feltrinelli, Milano, 1988, (libro di testo). Wilson - Barnett J., Stress, malattia, ospedale, Il pensiero scientifico, Roma, 1991, (libro di testo). 39 53 fare una scelta sulle cose da riferire o spiegare al paziente al fine di non subissarlo con troppe informazioni. Anche i familiari avranno molte richieste e dubbi, un atteggiamento comprensivo e di supporto permetterà loro di orientarsi anche negli aspetti più semplici e banali:40 Se il momento dell’ingresso e dell’accettazione in ospedale rappresenta per il paziente un’esperienza importante per i risvolti traumatici che può avere, non da meno l’incontro con la realtà che sarà la sua, forse anche per un lungo periodo, è un fatto da non sottovalutare. L’accettazione è l’impatto con la realtà ospedaliera nel suo insieme, mentre l’ingresso nel reparto mette il paziente a contatto con la quotidianità dell’ospedalizzazione e l’insieme di abitudini che la regolano e che lui non conosce. L’entrata nel reparto viene, di solito, curata molto poco dagli operatori in quanto considerata un episodio solo formale e di transizione, un momento di passaggio dalla vita privata della persona, a quel momento in cui 40 Del Corno F., Lang M., La relazione con il paziente, Franco Angeli, Milano, 1989, (libro di testo). 54 accertamenti, esami e visite mediche si succederanno. Ma il reparto di degenza sarà, a volte anche per un periodo lungo, la “casa” del paziente ed è opportuno che questa nuova dimora venga conosciuta ed accettata dal suo nuovo abitante. Il passaggio dall’accettazione al reparto dovrebbe, conseguentemente, essere ben curato dal personale infermieristico.41 L’operatore non accompagnatore deve del essere paziente; semplicemente deve, un innanzitutto, presentarsi e permettere al paziente di capire esattamente qual è la funzione della persona che gli è davanti, dare un’idea di come il lavoro è distribuito tra i vari turni, iniziare a dare spiegazioni sulle piccole regole del reparto, sugli orari, sull’autonomia di cui il paziente può godere. Senza che questa fase diventi troppo didattica e noiosa, sarà opportuno motivare il paziente e dare costantemente una spiegazione del perché le cose funzionano in questo 41 Cannella B., Cavaglià P., Tartaglia F., L'infermiere e il suo paziente. Il contributo del modello psicoanalitico alla comprensione della relazione d'aiuto, Il Segnalibro, 1994, (libro di testo). 55 modo, tanto da permettergli di comprendere le esigenze del servizio e collaborarvi.42 L’infermiere non solo si trova a stabilire una relazione con il paziente di cui si sta prendendo cura ma diviene, molto spesso, il tramite o il filtro di tutte le istanze emotive e delle informazioni tecniche che devono passare tra familiari e paziente, nonché tra questi e i medici. Le prime fasi del ricovero sono, inoltre, spesso caratterizzate dall’impossibilità per i familiari di avere contatti diretti con il loro caro, sarà bene che l’infermiere possa fare, in questo caso, da ponte tra gli uni e l’altro. Se, da una parte, permettere a malato e familiari di ricreare, anche se in maniera minima, un’atmosfera che ricordi il proprio ambiente è una prassi sicuramente positiva si dovranno sempre limitare atteggiamenti e comportamenti troppo: · invasivi · dannosi su altri piani. 42 Carnevale A., D'Ovidio C., La professione di infermiere. Aspetti giuridici, medico legali, etico-deontologici, Piccin-Nuova Libraria, 2005, (libro di testo). 56 Consentire ai parenti, ad esempio, di trascorrere il maggior tempo possibile con il degente può essere di notevole aiuto per lui ma questa possibilità deve essere commisurata a tutte le altre necessità del contesto.43 In caso, infine, di paziente morente l’infermiere deve considerare l’ipotesi di lavorare costantemente, oltre che per il paziente stesso, anche nei confronti dei familiari. L’accettazione della sofferenza del proprio caro, nonché della sua morte, possono essere meglio tollerate, in quei momenti, da un familiare che veda il proprio dolore condiviso con piena franchezza e partecipazione, proprio da quelle persone che, più di altre, sono state accanto al malato e che, più di altre, lo hanno aiutato. Non allontanare i familiari, e non negare loro il diritto di essere vicini al proprio caro sembrano essere, insomma, più che delle opportunità tecniche delle irrinunciabili esigenze umane.44 L’epoca moderna si muove all’insegna dell’autonomia di 43 Fabbri C., Montalti M., L'infermiere, Maggioli Editore, 2008, (libro di testo). Cellerino R., Il rapporto infermiere-paziente in oncologia, Franco Angeli, 1996, (libro di testo). 44 57 scelta da parte del malato/cittadino e con la mediazione della bioetica per cui: la buona medicina è quel trattamento che rispetta il malato nei suoi valori e nell’autonomia delle sue scelte; l’ideale medico è un’autorità democraticamente condivisa; il buon paziente è colui che partecipa mediante il consenso informato; il buon rapporto diventa un contratto di prestazione d’opera tra professionista e utente; il buon infermiere deve essere un facilitatore della comunicazione a beneficio di un paziente autonomo. L’infermiere, in questo moderno contesto, può fare molto, sia dal punto di vista conoscitivo sia da quello emotivo, per raggiungere l’ obiettivo della giusta soddisfazione degli utenti, che rimanda alla responsabilità per i risultati e cioè, offrire servizi giusti, nel modo a che tutti coloro ne e nei tempi giusti, hanno diritto. Ma si può senz’altro affermare, utilizzando queste bellissime parole, che: “L’infermiere può e deve lasciare l’ 58 ultima parola all’amore, ragione ultima che forse induce a essere responsabili per qualcun altro.”45 45 Sandro Spinanti, atti del convegno “Infermiere e Bioetica”, Pavia 2005. 59 Fasi dello sviluppo morale Lo sviluppo del giudizio e della condotta, sono stati oggetto di numerosi approfondimenti, in ambito educativo, condotti secondo prospettive differenti. Alcuni hanno posto l’accento sui fattori esteriori, di natura socio-culturale, norme Altri etiche hanno componenti inducenti e condotte rivolto intrinseche all’assunzione moralmente l’attenzione dello di accettabili. soprattutto sviluppo alle individuale, sottolineando la stretta connessione fra le tappe della maturazione mentale e le fasi della crescita morale. Uno dei primi psicologi che si occupò di questo problema fu Jean Piaget che nei primi suoi scritti si focalizzò specificatamente sulla morale dei bambini, studiando il modo in cui i bambini giocano per capire il loro concetto di bene e di male. Basandosi sull'osservazione delle regole dei giochi e su interviste riguardanti azioni come rubare o mentire, Piaget 60 scoprì che anche la moralità può considerarsi un processo evolutivo.46 Gli studi di Piaget furono sviluppati successivamente da Lawrence Kohlberg, (1958), che elaborò una teoria dello sviluppo della qualità morale basata su 6 stadi. Il metodo utilizzato si basò su interviste a 72 bambini di 10, 13 e 16 anni di ceto medio e basso, e sulla lettura di una storia la cui interpretazione morale può essere controversa. “Heinz ruba la medicina In Europa una donna era vicina alla morte per una rara forma di cancro. C'era una medicina che i dottori ritenevano potesse curarla: era una forma di radio che il farmacista aveva recentemente scoperto. La medicina era costosa da preparare ed inoltre il farmacista caricava 10 volte il costo di preparazione. Egli pagava 200$ per il radio e chiedeva 2000$ per una piccola dose di medicina. Il marito della donna malata, Heinz, andò in giro a chiedere 46 J. Piajet, lo sviluppo morale del fanciullo,1932 (libro di testo). 61 in prestito denaro, ma raccolse soltanto 1000$, metà del costo. Recatosi dal farmacista gli disse che sua moglie stava morendo e gli chiese di pagare meno la medicina o di dare la differenza successivamente. Ma il farmacista disse: No, io ho scoperto la medicina e ho intenzione di guadagnarci.. Così Heinz si disperò e rubò la medicina. Avrebbe dovuto farlo?”.47 Lawrence Kohlberg, pur riconoscendo l’importanza dei fattori “estrinseci”, socio-culturali e situazionali, ritiene che lo sviluppo morale come quello cognitivo, (strettamente correlati), manifestano in ogni individuo componenti “intrinseche”, con uno specifico ritmo evolutivo che percorre una sequenza di passaggi obbligati. A suo parere, l’azione e il giudizio morale sono frutto di un processo di maturazione, poiché è presente in essi una dimensione cognitiva osservabile e descrivibile nei termini di un processo evolutivo intrinseco dello sviluppo 47 Renata Viganò Psicologia ed educazione in L. Kohlberg: un’etica per la società Quadrio Avistarchi Assunto 1998, (libro di testo). 62 individuale, favorito da sollecitazioni educative, (reperibili nell’ambiente educativo, in senso ampio), ma non completamente determinato da esse, ( nel senso del meccanicismo azione-reazione, o stimolo-risposta). Lo studioso dello sviluppo morale dedica, quindi, particolare importanza alle “ragioni” addotte dal soggetto a sostegno di una specifica azione. Esse costituiscono un indice attendibile del livello di maturità morale, riconducibile a stadi di sviluppo morale espressi in termini di strutture cognitive, modi di pensare e di giudicare. Dopo vari aggiustamenti delle sue indagini, a cui ha lavorato per 30 anni circa, (dal 1958 al 1987 anno della sua morte), Kohlberg è giunto a darne una certa sistematicità schematica: essa configura tre livelli di organizzazione del ragionamento morale, ciascuno dei quali prevede due stadi. Il livello 1 o Preconvenzionale è tipico degli individui di 4-10 anni. Il soggetto è sensibile alle regole culturali indicanti ciò che è bene e ciò che è male. 63 Egli, tuttavia, interpreta le definizioni di bene e male nei termini delle conseguenze, (punizioni, premi, scambi di favore), oppure in riferimento al potere e quindi alla superiorità di chi enuncia la regola. Il livello 2 o Convenzionale è diffuso tra molti adolescenti e adulti. In essi è dominante il conformismo nei riguardi degli stereotipi morali presenti nella famiglia, nella società e nel gruppo di appartenenza. Rispondere alle attese dei genitori o dei coetanei costituisce un valore in sé, al di là delle conseguenze. Tuttavia a questo livello non vi è solo un banale conformismo, bensì anche lealtà, sostegno attivo o giustificazioni convinte. Il livello 3 o Postconvenzionale è raggiunto solo da pochi adulti, è contraddistinto dalla tensione ai valori e ai principi morali assoluti e universali, il soggetto acquisisce autonomia negli ideali etici, indipendenza di giudizio e un sentimento di giustizia interiore e universale. 64 Il livello 1, preconvenzionale si divide in due stadi: moralità eteronoma: evitare d’infrangere regole che prevedono punizioni, obbedienza fine a se stessa, evitare danni fisici a persone e cose, per le conseguenze negative a cui potrebbe andare incontro; l’individuo agisce in modo giusto per evitare la punizione, non considera l’esistenza di interessi altrui diversi dai propri, il modo di vedere è prettamente egocentrico. Individualismo, scopo strumentale e scambio: essere consapevoli che ciascuno persegue i propri interessi personali e che questi possono essere contrastanti, in tal senso il giusto è ciò che è corretto, uno scambio equo, un contratto, un accordo. Il livello 2 o convenzionale si divide in due stadi: aspettative interpersonali reciproche, relazioni e conformità interpersonale: vivere secondo le attese di chi ci è vicino o secondo ciò che la gente si attende da noi, fiducia, lealtà e rispetto reciproco; essere consapevoli dell’esistenza di accordi, sentimenti superiori al proprio 65 interesse personale, non considerare ancora una prospettiva sistemica generalizzata; sistema sociale e coscienza: compiere i doveri su cui si è convenuto, le leggi devono essere rispettate salvo casi estremi; far funzionare l’istituzione come un tutto, facile confusione tra la fiducia nelle regole e nell’autorità, considerare le relazioni individuali in termini di posizioni nel sistema. Il livello 3 o postconvenzionale si divide in due stadi: contratto sociale o utilità e diritti individuali: essere consapevoli che le persone hanno un’ampia varietà di valori e di opinioni e che la maggior parte di essi sono relativi al proprio gruppo, alcuni valori non relativi come il diritto alla vita e alla libertà devono essere rispettati in tutti i gruppi; senso di obbligazione alla legge in virtù del contratto sociale stipulato, senso di impegno contrattuale, liberamente assunto verso la famiglia, gli amici e gli impegni di lavoro; distinguere tra i valori morali e legali e riconoscere che a volte possono entrare in conflitto; 66 principi etici universali: seguire principi etici autonomamente scelti, agire in accordo con questi principi ogni volta che la legge li viola, in quanto essi sono principi assoluti, criteri universali di giustizia: l’uguaglianza dei diritti umani ed il rispetto per la dignità degli esseri umani come individui, agire giustamente perché si crede nella validità dei principi morali universali e per l’impegno preso verso quest’ultimi. Per Kohlberg, lo sviluppo e l’educazione morale sono strettamente legati alla formazione sociale, civile e legale e viceversa. Di qui l’importanza dell’idea di giustizia, verso cui una corretta disposizione non può essere il risultato di una mera trasmissione di norme e convinzioni condivise dalla maggioranza, ma una autentica maturazione nel corso di interazioni specifiche su temi morali, civili e affini. Ogni soggetto umano è, a parere di Kohlberg, un “filosofo morale”.48 48 L. Kohlberg,Essays on Moral Development, vol. I The Philosophy of Moral Development, Harper e Row, San Francisco 1981, (libro di testo). 67 La formazione morale per Kohlberg va intesa, non come trasmissione di contenuti etici prestabiliti, ma come stimolazione del naturale sviluppo del giudizio morale verso la maturità. La natura dell’educazione morale, per Kohlberg, è trasversale ai contenuti essenziali della cultura in generale, scientifici o umanistico-filosofici, e il bisogno di insegnamento/ apprendimento, sviluppo ed elaborazione di principi di moralità e giustizia nella scuola contemporanea, può essere benissimo paragonato a quello di un qualunque altro insegnamento obbligatorio. Kohlberg ritiene, addirittura, che la misura del progresso di una società è data dal grado di maturità morale da essa mostrato. L’infermiere è un agente morale tenuto, quindi, ad operare scelte e a prendere decisioni che coinvolgono principi e valori umani quotidianamente, appare chiaro come ciò sia possibile soltanto raggiungendo un elevato livello di maturità morale. 68 Profilo dell’individuo eticamente maturo secondo Kohlberg: rispetta la dignità umana ü rispetta il valore ed i diritti di tutte le persone, ü agisce con onestà, ü sostiene l’uguaglianza umana, ü rispetta la libertà di coscienza, ü dialoga con persone aventi modi di vedere differenti dal proprio, ü condanna i pregiudizi; ha cura della felicità degli altri ü è consapevole del carattere complesso dei rapporti umani, ü s’interessa dei problemi del proprio paese, ü combatte per la giustizia sociale, ü aiuta volentieri gli altri, ü attraverso l’impegno per gli altri e la solidarietà raggiunge la maturità morale; 69 integra gli interessi individuali con le responsabilità sociali ü partecipa alla vita della comunità, ü sostiene l’equa distribuzione dei diritti e dei doveri, ü manifesta atteggiamenti di rispetto per sé e per gli altri, ü è fedele agli impegni assunti, ü sviluppa la stima di sé attraverso il rapporto con gli altri; manifesta integrità personale ü affronta con impegno i compiti assunti, ü cerca di essere coerente con i principi etici, ü accetta i sacrifici implicati dall’impegno morale personale, ü sa quando accettare le convinzioni altrui e quando opporsi ad esse, ü assume la responsabilità delle scelte compiute; 70 riflette sulle scelte morali ü valuta i problemi etici implicati in una situazione, ü applica i principi morali, ( ad esempio la regola aurea), quando formula un ragionamento morale, ü considera le conseguenze delle decisioni, ü si sforza di comprendere i problemi morali riguardanti la società e l’umanità intera; vuole risolvere in modo pacifico i conflitti ü indica soluzioni eque dei conflitti personali e sociali, ü evita l’aggressione fisica e verbale, ü ascolta con attenzione gli altri, ü incoraggia gli altri ad esprimere le loro convinzioni, ü s’impegna per attuare la pace. 71 Diritti e doveri del malato, impegno dell’infermiere Carta dei Diritti e dei Doveri L’articolato che segue costituisce l’integrazione dei principi contenuti nei documenti elaborati alla luce di norme di diritto internazionale: ü Art. 25 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”- Artt. 11 e 13 della “Carta sociale europea, 1961”. ü Art. 12 della “Convenzione internazionale dell’ONU sui Diritti economici, sociali e culturali”, 1966. ü Risoluzione n. 23 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 1970, che trova piena corrispondenza nei principi della Carta Costituzionale (artt. 2-3-32). ü ‘Carta dei diritti del paziente”, approvata nel 1973 dalla American Hospital Association. ü ‘Carta dei diritti del malato”, adottata dalla CEE in Lussemburgo dal 6 al 9 maggio 1979. ü “Carta dei 33 diritti del cittadino”, redatta nella prima sessione pubblica per i diritti del malato, in Roma il 29 giugno 1980. 72 I diritti: · Il paziente ha il diritto di essere assistito e curato con premura ed attenzione, nel rispetto della dignità umana e delle proprie convinzioni filosofiche e religiose. · Il paziente ha il diritto di essere sempre individuato con il proprio nome e cognome e non col numero del letto o peggio ancora col nome della propria malattia e che venga usato il Lei se interpellato. · Il paziente ha diritto ad ottenere dalla struttura sanitaria informazioni relative alle prestazioni dalla stessa erogate e alle relative modalità di accesso. Egli deve poter identificare immediatamente il personale sanitario che lo cura. · Il paziente ha diritto di ottenere dal sanitario che lo cura informazioni complete e comprensibili circa la diagnosi della malattia, la terapia proposta e la relativa prognosi. · Il paziente, salvo i casi di urgenza, nei quali il ritardo possa comportare pericolo per la sua salute, ha diritto di ricevere le notizie che gli permettono di esprimere un 73 consenso prima di essere sottoposto a terapie o interventi o trattamenti di tipo diagnostico che comportino rischi o disagi. Se il sanitario ritiene inopportuno fornire informazioni dirette al paziente le può fornire ai familiari o a coloro che esercitano la potestà tutoria, salvo che il paziente in precedenza non abbia già espresso il suo diniego in proposito. · Il paziente ha il diritto ad essere informato sulla possibilità di indagini e trattamenti alternativi, anche se eseguibili in altre strutture. Ove il paziente non sia in grado di determinarsi autonomamente, (minore, stato comatoso, ecc.), le stesse informazioni dovranno essere fornite alle persone di cui sopra. · Il paziente ha il diritto di ottenere che i dati relativi alla malattia e ogni altra circostanza che lo riguardi, rimangano segreti. · Il paziente ha il diritto di proporre e inoltrare reclami che devono essere sollecitamente esaminati, ed essere tempestivamente informato sull'esito degli stessi. 74 I doveri: · Il cittadino quando malato accede in una struttura sanitaria del S.S.N. è invitato ad avere un comportamento responsabile in ogni momento, nel rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri ammalati, con la volontà di collaborare con il personale medico, infermieristico, tecnico e con la direzione della sede sanitaria in cui si trova. · L'accesso in ospedale o in un'altra struttura sanitaria esprime da parte del cittadino-paziente un rapporto di fiducia e di rispetto verso il personale sanitario, presupposto indispensabile per l'impostazione di un corretto programma terapeutico ed assistenziale. · E' un dovere di ogni paziente informare tempestivamente i sanitari sulla propria volontà di rinunciare, secondo la propria volontà, a particolari cure e prestazioni sanitarie programmate affinché possano essere evitati sprechi di tempi e risorse. 75 · Il cittadino è tenuto al rispetto degli ambienti, delle attrezzature e degli arredi che si trovano all'interno della struttura ospedaliera, ritenendo gli stessi patrimonio di tutti e quindi anche propri. · Chiunque si trovi in una struttura sanitaria del S.S.N è chiamato al rispetto dei regolamenti interni, in particolare degli orari previsti per le visite dei parenti e conoscenti, al fine di permettere lo svolgimento dell'attività sanitaria programmata e favorire la quiete e il riposo degli altri pazienti. Per motivi igienico-sanitari e per il rispetto degli altri degenti presenti nella stanza, è indispensabile evitare l'affollamento intorno al letto. · Ai minori di dodici anni è vietato fare visita agli ammalati in reparto, per motivi di prevenzione igienicosanitaria nei loro confronti, a meno che non prevalgano situazioni di particolare risvolto emotivo, che vanno fatte presenti al personale sanitario. · In situazioni all'ammalato, di al particolare di fuori necessità, dell'orario le visite prestabilito, dovranno essere autorizzate con permesso scritto 76 rilasciato dal Direttore di Unità Operativa o da una persona da lui delegata. In tal caso il familiare deve cercare di favorire la massima collaborazione con tutti gli operatori sanitari, ma comunque lo stesso non potrà mai essere o ritenersi un sostituto di nessuno di loro. · E' doveroso rispettare il riposo sia diurno che notturno degli altri degenti; è necessario evitare quindi qualsiasi comportamento che possa creare situazioni di disturbo o disagio agli altri degenti, (rumori, luci accese, radioline con volume alto,...). Per coloro che desiderano svolgere eventuali attività ricreative sono disponibili le sale soggiorno presenti all'interno dei vari reparti e possibilmente usare gli spazi per questo predisposti presenti in reparto. · In ospedale come in tutti gli ambienti pubblici è vietato fumare. · I pazienti e loro familiari per spostarsi all'interno della struttura ospedaliera utilizzeranno i percorsi (ascensori e accessi) a loro riservati. 77 · L'Ospedale informa l'utente sulla propria organizzazione sanitaria tramite appositi opuscoli che il paziente ha il dovere di leggere. 78 Patto infermiere-cittadino 12 maggio 1996 Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a: PRESENTARMI al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa posso fare per te. SAPERE chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e cognome. FARMI riconoscere attraverso la divisa e il cartellino di riconoscimento. DARTI risposte chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli organi competenti. FORNIRTI informazioni utili a rendere più agevole il tuo contatto con l’insieme dei servizi sanitari. GARANTIRTI le migliori condizioni igienico-ambientali. 79 FAVORIRTI nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari. RISPETTARE il tuo tempo e le tue abitudini. AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado di farlo da solo. INDIVIDUARE i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con te, proporti le possibili soluzioni, operare insieme per risolvere i problemi. INSEGNARTI quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il tuo stato di salute nel rispetto delle tue scelte e stile di vita. GARANTIRTI competenza, abilità e umanità nello svolgimento delle tue prestazioni assistenziali. RISPETTARE la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti la riservatezza. 80 ASCOLTARTI con attenzione e disponibilità quando hai bisogno. STARTI vicino quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano. PROMUOVERE e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali infermieristiche all’ interno dell’organizzazione. SEGNALARE agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e disagi. Nello svolgimento dell'operato professionale del personale sanitario risulta di particolare rilevanza l'osservazione del patto infermiere-cittadino49 allo scopo di: l permettere al cittadino di avvertire la professionalità di coloro che si prendono cura del suo benessere psicofisico l favorire le relazioni tra utente e personale sanitario l dare modo ai professionisti del settore sanitario di avere una serie di regole da osservare e condividere nel rispetto: 49 Stilato il 12 maggio 1996 Federazione Nazionale IPASVI 81 1. dei propri compiti 2. del proprio ruolo 3. del proprio codice deontologico. Tale patto corrisponde, non a caso, ad una serie di: l azioni l atti finalizzati alla regolarizzazione del rapporto professionale che si instaura tra il personale sanitario e gli utenti nelle persone dei: l pazienti l familiari l colleghi...50 Nello specifico, attraverso il patto infermiere-cittadino, il primo elemento della diade si impegna a: l presentarsi durante il primo incontro con il paziente l spiegare al paziente la sua figura professionale l motivare al paziente quali sono le sue funzioni e le cose in cui può essergli di aiuto 50 Carpineta S., La comunicazione infermiere paziente, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993. (libro di testo). 82 l scoprire chi è il paziente di cui deve prendersi cura l identificare e riconoscere il paziente chiamandolo per: 1. cognome 2. nome51 l permettere al paziente di riconoscerlo attraverso elementi fondamentali quali possono essere, ad esempio: 1. il cartellino di riconoscimento 2. la divisa l fornire al paziente risposte: 1. comprensibili 2. chiare 3. esaustive 4. esaurienti 5. efficaci 6. semplici l indirizzare, eventualmente, il paziente: 1. alle persone 2. alle strutture 51 AA. VV., Guida all'esercizio della professione di infermiere, C.G. edizioni medico-scientifiche, Torino, 2002, (libro di testo). 83 competenti in caso non rientri nelle sue attività la risposta ad una esigenza dello stesso52 l fornire al paziente utili informazioni per facilitare il suo rapporto con i servizi sanitari presenti ed attivi sul territorio di riferimento l assicurare al paziente le migliori condizioni di tipo: 1. ambientale 2. igienico 3. relazionale l sostenere il paziente nello svolgimento delle sue relazioni: 1. familiari 2. sociali l saper rispettare il paziente condividendo: 1. i suoi tempi 2. le sue abitudini 3. le sue modalità 4. le sue aspettative 52 Barni M., La Deontologia e l'Etica Professionale oggi, Notizie di Politeia 5 (16), 17, 1989, (Rivista Scientifica). 84 5. i suoi bisogni 6. le sue paure 7. le sue ansie53 l sostenere il paziente nel processo di: 1. accettazione 2. presa di coscienza 3. svolgimento della propria condizione in maniera: 1. sana 2. equilibrata 3. dignitosa l supportare il paziente nelle attività di vita quotidiana quali, ad esempio: 1. lavarsi 2. vestirsi 3. cambiarsi 4. mangiare 5. dormire 53 Fry S. T., Johnstone M. J., Etica per la pratica infermieristica. Una guida per prendere decisioni etiche, CEA, 2004, (libro di testo). 85 6. muoversi 7. camminare l individuare i settori in cui il paziente necessita di assistenza l condividere i bisogni assistenziali del paziente l capire quali possono essere le possibili soluzioni per aiutare il paziente a fronteggiare le sue esigenze l agire in sinergia ed a sostegno del paziente nella risoluzione dei suoi problemi l proporre al paziente gli atteggiamenti più: 1. consoni 2. adatti per ottimizzare il suo stato di salute rispettando, al contempo: 1. il suo stile di vita 2. le sue scelte l assicurare al paziente che le attività assistenziali verranno svolte con: 1. discrezione 86 2. rispetto della dignità della persona54 3. rispetto della privacy 4. abilità 5. competenza 6. serietà 7. affidabilità 8. umanità 9. professionalità 10. riservatezza l rispettare il paziente anche: 1. nelle sue insicurezze 2. nella sua dignità umana l garantire un ascolto: 1. attivo 2. attento 3. partecipativo 4. accogliente 5. disponibile 54 Dimonte V., Da servente a infermiere, Cespi editore, Torino 1998, (libro di testo). 87 al paziente quando ne avrà bisogno l fornire un supporto: 1. affettivo 2. morale 3. psicologico55 al paziente nei possibili momenti di: 1. paura 2. incertezza 3. sofferenza 4. sconforto 5. diffidenza l garantire la: 1. promozione 2. partecipazione ad iniziative finalizzate al miglioramento delle risposte assistenziali all'interno dell'organizzazione in cui si trova ad operare 55 Kuhse H., Prendersi cura non basta: riflessioni sull'etica infermieristica, in Bioetica, 2, 1994, (pubblicazione scientifica). 88 l fornire le: 1. eventuali 2. necessarie segnalazioni 1. agli enti 2. alle figure competenti e deputate alla risoluzione di situazioni che potrebbero arrecare: 1. danno 2. disagio al paziente ed al suo stato di benessere. Il patto descritto vuole far sì, in definitiva, che l'infermiere possa essere preparato a proporsi come una figura capace di confrontarsi con gli altri professionisti del mondo sanitario: l senza passare in secondo piano l rappresentando un indiscutibile e valido alleato nella costruzione di una nuova fase del sistema sanitario. Una figura, insomma: 89 l responsabile l competente nella cura del paziente e con un ruolo fondamentale nei servizi offerti dal territorio.56 Per ottenere ciò l'infermiere non deve operare in modelli: l ripetitivi l basati sullo svolgimento di compiti l che limitano i propri poteri decisionali l che non potenziano i percorsi di assistenza agli utenti l che non si impegnino a trovare innovative soluzioni per mantenere alti i livelli assistenziali l che non abbiano la volontà di mettere in gioco competenze di tipo: 1. gestionale 2. specialistico 56 Reich W.T., Curare e prendersi cura - nuovi orizzonti dell'etica infermieristica, in l'Arco di Giano, n.10, 1996, (pubblicazione scientifica). 90 acquisite con nuovi percorsi formativi l che non definiscano in maniera: 1. coerente 2. appropriata il ruolo dell'infermiere l che non riconoscano nel servizio alla persona il più: 1. autentico 2. reale 3. originale 4. profondo significato dell'agire infermieristico l che non potenzino i valori: 1. dell'alleanza 2. della solidarietà da parte dell'infermiere nei confronti: 1. degli utenti 91 2. delle loro famiglie57 l che non concepisca l'assistenza infermieristica come servizio: 1. alla persona 2. alla collettività l che non realizzi interventi assistenziali di natura: 1. educativa 2. relazionale 3. tecnica l che non porti rispetto per i valori fondamentali: 1. della dignità individuale 2. della libertà 3. della salute 4. della vita.58 57 Pellegrino E.D., Thomasma D.C., Per il bene del paziente: tradizione e innovazione nell'etica medica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992, (libro di testo). 58 Avallone F., La formazione psicosociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1989, (pubblicazione scientifica). 92 La professione sanitaria e la relazione di aiuto Dai principi e dalle modalità operative che emergono dal patto infermiere-cittadino sopra descritto si evince come la professione sanitaria, in generale e quella infermieristica, più nello specifico, possano: l correttamente l esaustivamente rientrare in quelle che vengono definite le “professioni di aiuto”. Esistono, in effetti, esperti che forniscono aiuto per professione in svariati ambiti disciplinari quali, ad esempio: l assistenziale l educativo l riabilitativo l sanitario l sociale. 93 In particolare, in quello sanitario è possibile far rientrare gli infermieri, appunto, insieme ad ulteriori professionisti del settore quali, ad esempio: · educatori · medici · operatori sanitari · operatori sociali · terapisti · psichiatri · psicologi59 In una relazione di aiuto professionale esiste: l un soggetto che necessita di aiuto l un soggetto che può fornire aiuto. Alla prima impressione può, certamente, sembrare una relazione di tipo asimmetrico ma, al contempo, è importante sottolineare che esiste una relazione di scambio tra i due soggetti coinvolti ed impareranno l'uno dall'altro 59 Menoni E., Sirigatti S., Stefanile C., Aspetti psicologici della formazione infermieristica. Iscrizione, frequenza, abbandono, burnout, "Ti con Erre: Ricerche, studi, progetti" n. 14, Regione Toscana, 1988, (pubblicazione scientifica). 94 nella costruzione di un progetto comune. All'interno di tale relazione colui che gestisce l'aiuto deve impegnarsi, innanzitutto, ad attivare: l le capacità l le predisposizioni l le potenzialità di colui che chiede aiuto stimolandone il processo di empowerment. Tuttavia, la relazione di aiuto potrebbe presentarsi come fonte di: l dubbi l dilemmi l danni l stress dovuti, prima di tutto, al conflitto tra: l rispettare: 1. le proprie credenze 2. i propri valori l rispettare: 95 1. le credenze dell'utente 2. i valori dell'utente. per superare il quale l'operatore che fornisce aiuto dovrebbe mettere in atto gli elementi di: l imparzialità l razionalità l conoscenza empirica l rispetto della dignità altrui. Ulteriore fonte di conflitto potrebbe essere, altresì: l la consapevolezza di non riuscire a rispondere a tutte le esigenze dell'utente l il senso di impotenza l la limitatezza delle risorse strumentali a disposizione l l'organizzazione inadeguata dei servizi da erogare l l'ambiguità delle richieste da parte dell'utenza l lo stato di stress: 1. fisico 2. psicologico 96 da parte dell'operatore che, in casi estremi, può portare al deterioramento delle relazioni interpersonali con le persone in carico e che si concretizza nella sindrome che viene definita di “burnout”. Tale sindrome si verifica in risposta ad una situazione percepita, ormai, dall'operatore come intollerabile poiché non trova più corrispondenza tra: l richieste dell'utente l risorse a sua disposizione di tipo: 1. organizzativo 2. personale.60 Nell'operatore sanitario della società contemporanea, insomma, sono il contesto: l lavorativo l sociale quelli maggiormente in grado di mettere in atto risposte di stress sotto il profilo: l comportamentale 60 Ambrosini G., Barni S., Frontini L. (a cura di), Oncostress l'operatore - il paziente, Ed. Seiser, Trento, 1995, (libro di testo). 97 l fisiopatologico61 ed i sintomi che vanno a sostanziare la sindrome di burnout sono facilmente stimolati e motivati da fattori quali: l condizioni dell'ambiente di lavoro l fatica fisica l ruolo professionale l relazioni di tipo lavorativo l gestione del proprio lavoro l burocratizzazione delle attività svolte. Tra le modalità: l organizzative l operative finalizzate allo sviluppo di strumenti per la: l prevenzione l gestione della sindrome di burnout negli operatori sanitari è possibile riscontrare: 61 Sundeen S. J., L’interazione infermiere-paziente, Ambrosiana, Milano, 1981, (libro di testo). 98 l progetti di formazione permanente l programmazione di gruppi di supporto finalizzati alla realizzazione di spazi di discussione riferiti a: 1. casi complicati da gestire 2. scelte di tipo terapeutico 3. problemi relazionali con colleghi: Ø della propria equipe Ø di una equipe diversa.62 Variabile fondamentale risulta essere, infine, quella del clima da intendersi come spazio caratterizzato da: l un reciproco scambio63 l supporto l ascolto l assenza di giudizio. 62 Cherniss C., La sindrome del burn-out. Lo stress lavorativo degli operatori dei servizi socio sanitari, CST Centro Scientifico, Torino, 1986, (libro di testo). 63 Del Corno F., Lang M., La relazione con il paziente, Franco Angeli, Milano, 1989, (libro di testo). 99 Il concetto di codice deontologico La Sociologia che ha studiato le professioni in termini di caratteristiche peculiari, modalità di nascita e di sviluppo ha individuato fra le diverse caratteristiche che contraddistinguono una attività professionale la presenza di un codice etico o meglio di una deontologia professionale. La deontologia professionale è l'espressione dell'etica professionale in quanto traduce in norme le istanze morali, specialmente in relazione ai destinatari delle prestazioni e dell'attività professionale. In realtà i rapporti fra etica e deontologia sono più complessi. La deontologia presuppone una visione etica e una condivisione di valori del gruppo di professionisti che la esprime. Tra le “ragioni” dell'esistenza dei Codici Deontologici ritroviamo: 100 - espressione pubblica delle regole di autodeterminazione degli appartenenti ad una professione; - espressione pubblica del senso della professione; -asimmetria della relazione tra professionista e cliente/utente, che richiede un equilibrio. - tutela della professione e di coloro a cui si rivolge. Quindi identificazione, appartenenza, visibilità delle professioni, strumento di magistratura interna alle professioni stesse, contrappeso nella asimmetria. Nell’ esercizio della loro attività gli infermieri hanno sempre dovuto affrontare dei problemi morali. Nella prima metà del Novecento l’etica infermieristica comincia ad assumere un carattere scientifico poiché la si ritiene una componente essenziale della formazione. Infatti le si dedicano articoli di rivista, capitoli di libri o interi libri. Una delle fonti alle quali ci si ispira , comune all’etica medica, è rappresentata dal giuramento di Ippocrate; 101 inoltre si fa spesso riferimento a valori derivanti dalla religione. I testi di questo periodo sono redatti principalmente da religiosi e medici. I temi trattati sono il più delle volte i doveri della lealtà e dell’obbedienza verso il medico; alcune opere mettono in evidenza il dovere, che l’operatore ha verso se stesso, di essere più perfetto possibile nel corpo, nello spirito, nella volontà al fine di poter fornire una buona assistenza.64 Negli ultimi decenni l’approccio a questa tematica mira: - Da un lato per l’etica professionale, a definire i problemi morali più importanti che l’infermiere incontra nella sua attività e i principi a cui si dovrebbe ispirare per tentarne una soluzione. I principi sono contenuti nel Codice Deontologico, fonte importante per la professione infermieristica alla stessa stregua del Profilo Professionale e della Formazione, un modello di comportamento che può guidare a compiere scelte etiche nell’azione e sviluppare un vero senso di 64 Infermiere a Pavia, Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia, Anno XV n. 1/2006. 102 responsabilità. Si può infatti affermare che la deontologia è espressione dell’etica professionale in quanto traduce in norme le istanze morali, specialmente in relazione ai destinatari delle prestazioni e dell’attività professionale. La deontologia consiste in un insieme di regole di autodisciplina e di comportamento che valgono per i membri di una determinata professione, su deliberazione di quest’ultima. Sono dunque gli stessi professionisti a darsi le regole del proprio agire professionale. I principi sono anche presenti nel Patto InfermiereCittadino, patto sta ad indicare quel rapporto tra operatori sanitari e fruitori delle cure che meglio corrisponde alla cultura ed alla sensibilità del nostro tempo. Tutta la deontologia professionale sanitaria, si confronta con altre istanze, il diritto, la morale, l’etica, la bioetica richiamando la coscienza individuale e la coscienza professionale a fondamento della responsabilità e dell’impegno del professionista. 103 - Dall’altro per la bioetica, a fornire metodi e strumenti a tutti i professionisti della salute e, per certi aspetti, a ogni uomo, affinché possano formarsi un giudizio etico su questioni inerenti la vita e la sua qualità. Fra i principi morali da tenere presente nel lavoro infermieristico spicca oggi per importanza, la centralità della persona nella presa delle decisioni che riguardano il suo benessere e che presentano una componente morale. L’odierna cultura professionale vede nell’infermiere un agente morale, cioè una persona che fa scelte di natura etica, perché il suo agire è condizionato, ma non determinato, dalle richieste dell’assistito, dall’organizzazione del lavoro, dai comportamenti e dalle richieste degli altri operatori sanitari, dall’integrazione con essi. L’ampiezza del suo campo decisionale e delle relative responsabilità, varia a seconda dell’autonomia che gli è attribuita nelle diverse realtà: ma il principio è riconosciuto ovunque. 104 La ragione generale per la quale l’infermiere è un agente morale sta nella natura professionale del suo lavoro. La formazione etico-morale costituisce la premessa indispensabile per comprendere ed aderire ad un codice di deontologia professionale con il quale un professionista della salute, quale è un infermiere, salvaguardando la dignità della persona assistita, salvaguarda la sua dignità professionale. E’ nella responsabilità etica che si matura la consapevolezza di far corrispondere l’agire nel lavoro con le esigenze più profonde del nursing e del servizio sanitario. Ogni professionista dovrebbe chiedersi quale sia il suo livello di sviluppo morale e quanto intenda crescere in questo senso, sapendo che la qualità delle proprie decisioni etiche sarà diversa a seconda di quanto è andato avanti il suo processo di maturazione. L’eticità è un attributo della professionalità, se è assente anche l’attività sarà spenta e indesiderata con pesanti 105 ricadute in termini di demotivazione e deresponsabilizzazione, disinteresse e progressivo distacco. Prendere una decisione, fare delle scelte in senso eticomorale nelle circostanze concrete che ripresentano nei servizi sanitari non è il frutto di una intuizione o dell’esperienza ma, comporta un processo, che consiste in una applicazione del metodo problem-solving. 65 Un processo che incomincia con il riconoscimento di un problema di natura morale e il tentativo di risoluzione. Le fasi di questo processo sono: 1) identificazione del problema morale, 2) identificazione e utilizzo delle risorse delle persone coinvolte, 3) applicazione al caso dei principi dell’etica, 4) determinazione degli obiettivi della scelta di una azione mirante alla soluzione del problema, 5) valutazione dei risultati ottenuti e del processo messo in atto. 65 Manara D.F., Eguaglianza, diseguaglianza, differenza: le sfide dell’alterità all’assistenza infermieristica, in Tolleranza: limite o virtù. Per un’etica della professione, atti del Convegno A.N.I.N., Milano, 1996. 106 La prima fase è certamente la più ardua, sarebbe auspicabile una certa flessibilità di pensiero quando si deve necessariamente categorizzare il problema. Incertezza morale, disagio morale e dilemma etico sono tre situazioni possibili su cui occorre un’attenta riflessione. Il Codice Deontologico in questo processo è da ritenere lo strumento per eccellenza senza escludere come guida a scelte etiche, la coscienza professionale e le leggi che regolano l’esercizio professionale e tutelano i diritti delle persone.66 Qualunque sia la scelta operata dall’infermiere deve avere i requisiti dell’utilità e della evitabilità di un danno per l’assistito. E’ importante soprattutto nella seconda fase saper prendere in considerazione la persona assistita in primis ed eventualmente familiare o altre persone significative, quali risorse attive da utilizzare convenientemente per la risoluzione del problema morale. 66 Federazione Nazionale I.P.A.S.V.I. 107 Infine, la valutazione dei risultati chiede il confronto con l’équipe e/o un qualsiasi consesso organizzato ad hoc per la formazione permanente. All’agire etico di una persona contribuiscono anche l’impegno personale animato da un desiderio autentico per il conseguimento di risultati morali; la capacità poi di rispondere in modo appropriato ed efficace a problemi di natura morale richiede lo sviluppo di: ü Sensibilità Morale: implica la consapevolezza di aspetti della situazione che influiscono sul benessere sociale e personale. Richiede riflessione critica, intuizione, conoscenze morali. Implica l’interpretazione dei comportamenti verbali e non verbali di una persona, l’identificazione dei suoi desideri e bisogni. E’ influenzata dalla educazione ricevuta, dalla formazione intellettuale, dall’esperienza di vita. ü Ragionamento Morale: rappresenta l’atto o il processo di trarre conclusioni logiche di fatti o segni; la capacità di stabilire il che cosa fare. 108 Si tratta di un processo cognitivo che può essere ispirato da intuito ed emozione. ü Motivazione Morale: riguarda il desiderio e l’interesse autentici a conseguire buoni risultati morali. Implica un elevato senso di responsabilità morale e integrità morale. Implica coerenza tra pensiero e azione. ü Carattere Morale consiste nella perseveranza, nella fermezza delle proprie convinzioni e nel coraggio che permettono di attuare un piano di azione morale. Il primo compito nell’accingersi a prendere decisioni etiche è quello di considerare il complesso dei valori posseduti sia dall’infermiere, (il professionista), sia dalla persona assistita da cui sono entrambi influenzati e che condizioneranno inevitabilmente le loro azioni. Nel momento in cui alcuni valori entrano in conflitto con altri, l’infermiere deve essere in grado di rispettare quelli altrui, soppesandoli in relazione ai diritti dei pazienti e ai propri doveri professionali. 109 L’agire nell’ambito sanitario sebbene sia obbligato ed anche garantito dalle norme legislative, non presuppone che tutto ciò che è legale sia legittimo. E’ possibile infatti, immaginare situazioni in cui un certo intervento, diagnostico/terapeutico o di ricerca, sia in accordo con le leggi esistenti, ma contrasti con il giudizio morale del professionista sanitario generando così conflitti tra medici e infermieri soprattutto, questo è un dato storico se pensiamo all’epoca del nazismo, ai manicomi e a tutt’oggi rispetto a tanti dilemmi etici in medicina: aborto, eutanasia, trapianti d’organo sperimentazione, contenzione fisica e farmacologia, terapia elettroconvulsivante. In ambito psichiatrico restano aperte, (perché poco considerate e discusse, forse anche a causa di una mentalità e opinione di massa prevalente intrise al pregiudizio culturale che rappresenta un pericolo per i diritti dell’uomo), gravi questioni etiche e morali, (veri e propri abusi a vari livelli dell’agire cosiddetto terapeutico), che ledono a tutt’oggi i diritti umani delle persone malate. 110 Mettersi contro la legge comporta sanzioni, seguire la propria coscienza spesso richiede un alto prezzo, che non tutti sono disposti a pagare. Anche se tutti facessimo riferimento alle stesse regole ed agli stessi valori, esistono libertà e spazi di interpretazione relativi alla singola situazione e all’incontro di due mondi diversi, che rendono diverso l’agire quotidiano del professionista anche in situazioni apparentemente simili. Il Prof. Spinsanti, in virtù di quanto appena trascritto, dice che “nell’assistenza la pianificazione standard serve proprio come guida per guidare i comportamenti che vanno modulati sul singolo paziente”.67 L’etica clinica è dunque un esercizio particolare della razionalità umana. Quella che deve essere esercitata nel contesto di un sapere incerto e deve tener conto contemporaneamente della norma e delle eccezioni, dei principi e delle circostanze, di ciò che è formalmente corretto e di ciò che in una situazione concreta risulta bene o male minore. 67 Spinsanti Sandro, Bioetica e Nursing: Pensare riflettere e agire, McGraw Hill 2001, (libro di testo). 111 Non si conosce bene se non facendo, si tratta di elaborare le proprie analisi e giungere a conclusioni argomentate, quindi Spinsanti propone una griglia per l’analisi di situazioni cliniche che non trascuri le dimensioni essenziali. Oltre al processo di evoluzione professionale e alle disposizioni legislative relative al sistema sanitario, il Codice Deontologico rappresenta una coordinata fondamentale che può orientare l’attività di assistenza infermieristica in maniera tecnicamente avanzata, da ma risultare anche non solo consapevole, responsabile, etica. Va ricordato che, mentre nel 1965 il Codice Internazionale di Etica dell’infermiera all’art. 7 dichiarava che : “L’infermiera è tenuta ad eseguire gli ordini del medico in maniera intelligente e leale” , nel 1973 il Codice del Consiglio Internazionale delle infermiere indicò un cambiamento di rotta nel ruolo attribuito alle infermiere: la “responsabilità primaria” non è più nei confronti dei medici, ma dei pazienti e cioè “di coloro che hanno bisogno 112 della cura dell’infermiera” richiamando allo stesso tempo ad una azione “collaborativa con coloro che lavorano insieme a lei “. Questa nuova prospettiva ha tra l'altro portato, in tempi diversi, all’adeguamento dei codici deontologici nei vari paesi e nel nostro Paese, prima nel 1977 poi nel 1999, infine nel 2009. Così la centralità dell’assistito è ora costantemente ribadita, per esempio,nei punti relativi a: i rapporti con la persona, informazione, il pluralismo etico, il consenso agli atti sanitari, l’autonomia e l’autodeterminazione dei pazienti, i dolori e i sintomi, il limite alle cure, il ruolo dei famigliari, il lavoro di équipe. Il Codice è un insieme convenuto di regole e aspettative per orientare la pratica della professione, con la funzione anche di promuovere e mantenere gli standard etici di condotta professionale, (Johnstone, 1999). Rappresenta da sempre un modello nel campo dei doveri professionali ma ora, dopo la nuova normativa della 113 professione infermieristica, è anche un discorso sulla responsabilità. In particolare la legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”, (che ha abolito il mansionario), all’art. 1 si precisa, infatti, che “..il campo proprio di rappresentato attività dai e di responsabilità contenuti degli sanitarie specifici è codici deontologici”. Questo contribuisce a rendere il Codice Deontologico sempre più uno strumento reale e un riferimento concreto per la professione. Nei vari articoli del codice del ‘99 ben otto volte si fa riferimento alla responsabilità assistenziale dell’infermiere, sette volte all’attività, cinque volte alla necessaria competenza. Un codice però non sostituisce la legge, (che regola i comportamenti di ogni cittadino), o l’etica, (che regola i comportamenti dell’uomo). Rappresenta invece: 114 - una guida per affrontare alcune situazioni cliniche più problematiche, …...ma non è un ricettario…né un mansionario! Esistono infatti alcuni fattori che non possono rendere standardizzabile l’assistenza e che sono inoltre motivo di complessità, come per esempio le caratteristiche dei singoli pazienti e le loro patologie, la crescente complessità degli atti sanitari, la molteplicità dei ruoli professionali, le caratteristiche delle strutture, le politiche sanitarie etc - uno strumento per far crescere i professionisti e stimolare il confronto e la riflessione, oltre che spunto alla produzione di altri documenti all’interno di aree assistenziali specifiche. Contribuisce inoltre a chiarire l’identità del gruppo di professionisti. Sono principi guida sottesi al codice deontologico: - l’autonomia: rispetto per l’autodeterminazione del paziente e coinvolgimento del paziente nelle decisioni che lo riguardano; 115 - la beneficialità: orientamento al bene del paziente secondo i suoi valori e il suo interesse; - la non maleficialità: evitare ciò che nuoce o danneggia il paziente; - la giustizia-equità: opporsi a discriminazioni e ingiustizie e promuovere un’equa distribuzione delle, (limitate), risorse. Come già detto, il codice ha una rilevanza giuridica che assume grande importanza nelle eventuali circostanze di conflitti con gli assistiti, e con le dinamiche di contrasto che possono svilupparsi. Negli ultimi tempi molte sentenze hanno tenuto conto dei contenuti dei codici deontologici delle varie Professioni Sanitarie: e un avvocato di parte lesa cerca, naturalmente, di ragionare nei termini più convenienti agli assistiti. Quando tutti i codici, compreso quello degli Infermieri, indicano chiaramente che il Professionista ‘…è tenuto a rispettarlo…’ e che tutti i codici contengono queste indicazioni chiare: • tutela della vita e della salute, 116 • rispetto della dignità, dell’autonomia, della libertà e dei diritti umani, • negazione delle discriminazioni, diventa ovvio che il non conoscere tutti i contenuti è qualcosa di controproducente, di non molto accorto, di auto-lesionistico per il professionista stesso. 117 Responsabilità e deontologia professionale dell’Infermiere Nel nuovo contesto di riconosciuta autonomia della professione, l’infermiere è chiamato ad essere sempre meno un semplice esecutore e sempre più un professionista, in grado di assumersi la responsabilità della presa in carico della persona assistita, nonché dell’organizzazione del lavoro, dell’utilizzo delle risorse, dell’applicazione dei protocolli terapeutici, della gestione delle relazioni fra gli altri operatori, del rispetto e della tutela dei diritti del cliente, della qualità del servizio erogato. La responsabilità professionale costituisce, quindi, per la professione infermieristica un tema di grande attualità e di estrema complessità: esso condensa in sé una serie di obblighi giuridici, etici e deontologici tra i quali non è sempre facile tracciare i confini. Per meglio comprendere l’articolazione interna al concetto 118 di responsabilità professionale, potrebbe essere utile tentare una distinzione fra le diverse dimensioni in esso implicite. Di fatto, il richiamarsi alla responsabilità quale nuova parola d’ordine della professione infermieristica mette in gioco diverse accezioni della responsabilità professionale, delle quali è importante riconoscere il significato, pur senza volere forzatamente separare o disgiungere ciò che nella pratica dell’agire professionale spesso non presenta soluzioni di continuità. Nella tradizione italiana della deontologia, il concetto di responsabilità ha una connotazione fortemente giuridica: il termine responsabilità professionale è correlato al rispondere di condotte non adeguate, allo scopo di sanzionare tali condotte ed elaborare le esperienze negative in modo da trarne insegnamento per analoghe situazioni che dovessero ripetersi. In qualità di membri di una professione sanitaria, gli infermieri sono chiamati ad assumersi la responsabilità del proprio agire, rispondendo delle implicazioni giuridiche 119 che tale responsabilità comporta in ambito civile, penale e disciplinare. Tuttavia, soprattutto a seguito dei grandi cambiamenti che hanno interessato la professione infermieristica italiana nel corso degli ultimi dieci anni, la responsabilità professionale assume una connotazione ulteriore e differente rispetto a quella giuridica. L’accezione tradizionale del vecchio concetto di responsabilità professionale è andata incontro ad un inevitabile mutamento, abbandonando il quasi esclusivo approccio giuridico: ne sono una riprova la normativa degli anni Novanta, che per la prima volta introduce la responsabilità per i risultati anziché per i comportamenti conformi, alla quale fa seguito l’emanazione dei profili professionali e l’abrogazione del mansionario, nonché lo sviluppo dei Codici Deontologici per molte professioni. Allo scopo di esemplificare il significato specifico di questa dimensione della responsabilità professionale, si pensi alla possibilità di distinguere l’agire del singolo individuo dall’agire del singolo professionista: se l’individuo risponde 120 delle sue azioni alla propria coscienza individuale, il professionista risponde dei suoi comportamenti alla propria coscienza professionale, non esattamente sovrapponibile alla prima. La differenza, sicuramente artificiosa rispetto alla realtà dell’agire quotidiano, non deve però essere sottovalutata, soprattutto in sede formativa: si ritiene infatti che per un pieno sviluppo del senso di responsabilità del professionista la consapevolezza dei propri valori di persona ed il confronto con quelli che pone la professione debbano essere sviluppati sin dai primi momenti della formazione dello studente, per essere poi successivamente riflettuti e mantenuti dal professionista. Da questo punto di vista, il Codice Deontologico dell’infermiere, rappresenta un punto di riferimento importante. Il processo di cambiamento e di sviluppo origina all’interno di un quadro normativo e socioculturale di riferimento che ha influenzato i concetti di responsabilità professionale e, conseguentemente, l’evoluzione della professione 121 infermieristica rispetto a tale tematica. Diventa allora opportuno delineare i principali passaggi storici, esterni ed interni alla professione infermieristica, rispetto al concetto Convenzionalmente, per di definire responsabilità. il concetto di responsabilità si fa riferimento al campo giuridico. Responsabilità deriva dal latino “rispondere” e, infatti in ambito giuridico la responsabilità concerne l’obbligo di rispondere di un’azione illecita. Tradizionalmente la responsabilità è suddivisa in tre ambiti: La responsabilità penale: l’obbligo di rispondere per azioni che costituiscono un reato. La responsabilità civile: l’obbligo di risarcire un danno ingiustamente causato. La responsabilità disciplinare che diventa, per i liberi professionisti, una responsabilità ordinistico- disciplinare: ad essa si riferiscono gli obblighi contrattuali e di comportamento professionale. 122 In questi ultimi anni, stiamo assistendo ad un cambio radicale di lettura e di interpretazione dei fenomeni legati alla responsabilità professionale. Le motivazioni sono da ascrivere ad un maggior livello culturale dei cittadini e alla maggior diffusione attraverso i mass media delle conoscenze mediche e sanitarie, (fenomeno che ha comportato una crescente attenzione alle forme di tutela e di auto-tutela dell’assistito nei confronti dell’autorità professionale degli operatori sanitari), alla progressiva identificazione dell’obbligazione di mezzi con quella di risultati, che comporta, per il professionista della salute, una responsabilità sia per le modalità con cui opera, sia per gli effettivi esiti della sua azione; al ruolo delle società scientifiche che, attraverso la diffusione di protocolli e linee guida, rendono l’attività professionale meno libera e più uniforme. Stiamo passando, essenzialmente, dall’essere chiamati a rispondere di colpa generica all’essere chiamati a rispondere di colpa specifica. Assumiamo dunque queste caratteristiche dell’evoluzione 123 della responsabilità professionale e approfondiamo il radicale mutamento che i cambiamenti normativi nella formazione e determinato per Possiamo nell’esercizio gli professionale hanno Infermieri.68 considerare idealmente, come elemento originario di tale processo, l’abrogazione del DPR 225/74 attraverso la legge 42/99. Il DPR 225/74 prevedeva una serie di compiti infermieristici, perciò la responsabilità dell’infermiere era limitata esclusivamente alla realizzazione dell’atto, le logiche gerarchiche di responsabilità interne ai servizi sanitari erano ben delineate e la nostra giurisprudenza non ha mai assegnato responsabilità in capo all’esecutore, (si ricordi che l’infermiere professionale professione sanitaria apparteneva ad una definita “ausiliaria”). A fronte di tutto ciò si aggiungeva il problema che buona parte dell’attività effettivamente svolta dall’infermiere non trovava collocazione all’interno del regolamento. 68 Mangiacavalli B., La nuova dimensione della responsabilità professionale infermieristica in: “Nursing oggi”, Lauri editore, Milano, n.3, anno VII, lug/sett 2002, (pubblicazione scientifica). 124 Pertanto la giurisprudenza vietava all’infermiere ciò che non era espressamente vincolando soprattutto previsto enormemente all’esterno della dal l’esercizio struttura mansionario, professionale, ospedaliera o sanitaria. Delineare le nuove dimensioni dell’attuale responsabilità infermieristica significa tentare un’analisi integrata dell’evoluzione normativa, deontologica e professionale.69 Tale analisi offre la possibilità di individuare alcune caratteristiche innovative che costituiscono la rinnovata responsabilità infermieristica. La responsabilità clinico-assistenziale viene determinata peculiarmente dalla Legge 42/99, la cui approvazione ha dato valore e risalto al D.M. 14 settembre 1994, n.739, “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere”. 69 Gabrielli M., La Responsabilità professionale, in “Guida all’esercizio della professione di infermiere”, C.G.edizioni medico-scientifiche, Torino, 2002, cap 2, sez II, pp 117-135, (libro di testo). 125 Il secondo comma dell’art.1 della Legge 42/99 recita, infatti: “….dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n.225, ad eccezione delle disposizioni del titolo V, (infermiere generico)….. Il campo di attività e responsabilità delle professioni sanitarie….è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”. Gli elementi del Profilo professionale indispensabili per identificare una responsabilità infermieristica possono essere evidenziati nel seguente modo: 126 - il comma 1 dell’art. 1 fornisce una definizione di infermiere ed affida a tale professionista una responsabilità totale per quanto riguarda l’assistenza generale infermieristica. Questo significa assumere la responsabilità dell’intero processo assistenziale, (comma 2 e 3), dalla raccolta dei dati all’identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica alla pianificazione, gestione e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico, (si tratta, quindi, del processo messo in atto dall’infermiere come risposta ad un bisogno specifico), in secondo luogo la norma sancisce l’utilizzo di una metodologia scientifica e valida quale il processo di assistenza infermieristica che indirettamente documentazione comporta l’implementazione infermieristica, di necessaria una per documentare concretamente e storicamente le prestazioni infermieristiche. Si tratta di una responsabilità che assume non solo una mera valenza amministrativa, ma anche legale come atto pubblico; 127 - sempre il comma 3 dell’art.1 contempla le attività svolte dall’infermiere che, in collaborazione con altre professioni, contribuiscono al risultato di salute: la partecipazione all’identificazione dei bisogni di salute, la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutica, l’azione sia individuale sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali. Le espressioni e i termini utilizzati sono già significativi nel delimitare una responsabilità condivisa con altre professioni, dove ognuno risponde per il proprio ambito peculiare. Altro elemento rilevante contenuto in questo comma è la legittimazione degli ambiti di esercizio dell’infermiere: finalmente l’infermiere abbandona l’esercizio istituzionalizzato, dove, di fatto, le responsabilità erano trasferite a qualcun altro; l’infermiere che esercita sul territorio, a domicilio o in regime di libera professione opera, alla luce della legge 42/99, con le medesime responsabilità di chi è in servizio all’interno di una struttura sanitaria. 128 L’assegnazione della responsabilità dell’assistenza infermieristica all’infermiere comporta giuridicamente due concetti: l’autonomia professionale e la scientificità dell’assistenza infermieristica. Partendo da questo presupposto irrinunciabile, affrontiamo ora l’analisi dell’attività infermieristica dal punto di vista giuridico e disciplinare. La legge 42/99 rimanda al Codice deontologico, al Profilo professionale e all’ordinamento didattico l’individuazione del campo proprio, quindi esclusivo, di autonomia e responsabilità dell’assistenza infermieristica. Se all’interno del Profilo si ricercano degli elementi utili per delineare il campo esclusivo, troviamo al punto 1.3 che l’infermiere: ü identifica i bisogni di assistenza infermieristica; ü pianifica l’intervento infermieristico; ü gestisce l’intervento infermieristico; ü valuta l’intervento infermieristico; ü garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico- terapeutiche; 129 ü agisce sia individualmente, sia in collaborazione con altri operatori sanitari e sociali; ü si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto, (il che significa sostanzialmente attribuire attività ad altri operatori). La Responsabilità gestionale-organizzativa: nell’estate del 2000 è promulgato uno dei provvedimenti normativi più attesi dalla professione infermieristica: la legge 251 istitutiva della Dirigenza. Tale documento si inserisce a pieno titolo nell’attuale contesto professionale poiché rafforza e legittima l’autonomia e la responsabilità infermieristica, non solo a livello clinico-assistenziale, ma anche a livello gestionaleorganizzativo e formativo. Il comma 1 dell’art. 1 prevede infatti, che gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli 130 specifici Codici deontologici e utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza. Come si evince chiaramente, il filo conduttore del rinnovato esercizio infermieristico è un comportamento orientato dal Profilo professionale, dal Codice deontologico e dall’Ordinamento didattico. Continuando nell’analisi del testo normativo, il comma 3 dell’art. 1 prevede che il ministero della salute emani linee guida per l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni e la revisione dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di assistenza personalizzata. Attribuire la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica significa delineare, nelle aziende sanitarie una linea gerarchica e funzionale chiara di tutti gli infermieri: il Dirigente Infermieristico viene infatti chiamato a governare tutti i processi organizzativi della funzione infermieristica e quindi a governare i 131 professionisti sanitari che realizzano tali processi, cioè gli infermieri. 132 MATERIALI E METODI Ricerca, strumenti e campione Viene spontaneo domandarsi quale sia lo stimolo che porta alla realizzazione di una ricerca sull’etica infermieristica. Partendo dall’analisi del Codice Deontologico, soffermandosi con attenzione sugli art.li 4 e 5: “L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona” e “Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l’esercizio della professione infermieristica” Appare palese come tutta l’attività dell’infermiere sia circondata un da “intenso alone bioetico”, questo l’infermiere lo sa bene, ma quanto sono salde le conoscenze etiche dell’infermiere? 133 O meglio la preparazione di base è sufficiente a garantire la capacità di analisi dei dilemmi etici quotidiani durante tutto l’arco della vita lavorativa? Questo è lo scopo di questa ricerca: verificare se il bisogno di formazione e apprendimento in termini bioetici è suscettibile di variazione, inducendo nel professionista una riflessione, attraverso la lettura di casi clinici rilevanti per il loro intenso contenuto bioetico. Scendendo nel dettaglio, questa ricerca si suddivide in tre fasi, fondamentali: 1. consegna del primo questionario al campione; 2. consegna del materiale informativo al campione: casi clinici da leggere e alcune brevi definizioni; 3. consegna del secondo questionario al campione. Lo scopo di ogni fase può essere così brevemente descritto: 1. analisi della percezione della questione bioetica da parte degli infermieri, della loro consapevolezza o meno di possedere strumenti atti all’analisi dei dilemmi, della loro conoscenza dei principi fondamentali della bioetica; 134 2. indurre nel professionista infermiere una riflessione in termini bioetici, presentando all’infermiere la lettura di casi clinici caratterizzati da un intenso contenuto bioetico, fornire all’infermiere la definizione dei principi fondamentali della bioetica; 3. valutare l’eventuale variazione nelle risposte fornite dall’infermiere prima della lettura rispetto a quelle fornite dopo la lettura. Una ricerca di tipo applicato nasce dall’esigenza di migliorare la situazione del contesto operativo in cui lavora l’infermiere. Questa ricerca è stata effettuata su una parte dell’universo e per questo è una ricerca campionaria. Il campione è significativo, cioè rappresenta tutte le caratteristiche dell’universo di cui fa parte. L’indagine è stata condotta su un campione di 98 infermieri: 50 infermieri dello Stabilimento ospedaliero di Fivizzano, 28 infermieri del C.d.L.S. Scienze infermieristiche, 20 infermieri reclutati tramite Internet. 135 Per condurre la ricerca è stato somministrato un primo questionario composto da 11 domande chiuse a risposta multipla, in seguito è stato somministrato al campione del materiale da leggere, e al termine un secondo questionario identico al primo tranne che per una domanda. Le modalità di indagine scelte, presuppongono la possibilità del campione di essere reperito più volte e in tempi diversi, la disponibilità degli infermieri in questione nel rivolgere la propria attenzione alla lettura dei casi sottoposti e l’attenta riflessione nel rispondere a domande che in prima istanza possono sembrare alquanto banali. 136 Presentazione dei risultati Analizzando i risultati dei questionari, si sottolinea l’alta percentuale di astensione: 98 questionari consegnati 50 ritirati, una responsività quindi del 51%; i motivi di una così alta astensione possono essere ricondotti fondamentalmente a: ü scarso interesse per la ricerca; ü scarso interesse per l’argomento; ü scarse conoscenze; ü mancanza di tempo per la lettura dei casi e la compilazione del questionario. Entrando nel merito delle risposte fornite, si procede con un’analisi per singola domanda, confrontando le risposte date prima della lettura dei casi clinici con quelle fornite dopo la lettura. 137 Primo questionario Prima domanda Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi etici e deontologici da quelli di altra natura? Mai 0, quasi mai 0, talvolta 17; 34%, quasi sempre 26; 52%, sempre 7; 14% Fig.1 0% 0% 14% 34% mai quasi mai talvolta 52% quasi sempre sempre 138 Secondo questionario Prima domanda mai 0, quasi mai 0, talvolta 29; 58%, quasi sempre 20; 40%, sempre 1; 2% Fig.2 2% 0% 0% 40% mai 58% quasi mai talvolta quasi sempre sempre La variazione fra le risposte fornite “prima” e quelle fornite “dopo”, non è così marcata, questo è dovuto proprio alla qualità della domanda, abbiamo comunque generato un “ragionevole dubbio”, in precedenza traspariva una certa sicurezza, ora abbiamo di fronte una situazione di minore sicurezza, l’interrogativo che si pone il professionista è: sarò davvero in grado di riconoscere i problemi etici e deontologici? 139 Primo questionario Seconda domanda Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o la conseguenza di questa? Lo scopo 0, la conseguenza 5; 10%, entrambe 42; 84%, non so 3; 6% Fig.3 0% 6% 10% lo scopo la conseguenza 84% entrambe non so 140 Secondo questionario Seconda domanda Lo scopo 0, la conseguenza 8; 16%, entrambe 42; 84%, non so 0 Fig.4 0% 0% 16% lo scopo la conseguenza 84% entrambe non so A questa domanda non c’erano da aspettarsi variazioni significative. 141 Primo questionario Terza domanda Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene? Mai 0, quasi mai 0, talvolta 2; 4%, quasi sempre 24; 48%, sempre 24; 48% Fig.5 0% 0% 4% 48% 48% mai quasi mai talvolta quasi sempre sempre 142 Secondo questionario Terza domanda Mai 0, quasi mai 0, talvolta 18; 36%, quasi sempre 29; 58%, sempre 3; 6% Fig.6 0% 0% 6% 36% mai quasi mai 58% talvolta quasi sempre sempre Anche in questo caso si registra un aumento di insicurezza, analizzando le risposte, dopo la lettura dei casi, l’infermiere non è più tanto sicuro del significato del concetto di “bene”. 143 Primo questionario Quarta domanda Il principio di agire per il bene del paziente o benevolenza è sufficiente per orientare le scelte professionali? Mai 0, quasi mai 0, talvolta 26; 52%, quasi sempre 17; 34%, sempre 7; 14% Fig.7 0% 0% 14% 52% 34% mai quasi mai talvolta quasi sempre sempre 144 Secondo questionario Quarta domanda Mai 2; 4%, quasi mai 15; 30%, talvolta 14; 28%, quasi sempre 14; 28%, sempre 5; 10% Fig.8 10% 4% 30% 28% mai quasi mai talvolta 28% quasi sempre sempre In questo caso la variazione è notevole, questo implica il fatto che il professionista non avesse le idee molto chiare sul significato di benevolenza, ad una tale variazione corrisponde una forte richiesta di formazione. 145 Primo questionario Quinta domanda Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio di giustizia? Mai 0, quasi mai 12; 24%, talvolta 26; 52%, quasi sempre 9 ; 18%, sempre 3; 6% Fig.9 0% 6% 18% 24% mai quasi mai talvolta 52% quasi sempre sempre 146 Secondo questionario Quinta domanda Mai 0, quasi mai 15; 30%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 6; 12%, sempre 0 Fig.10 0% 0% 12% 30% mai quasi mai 58% talvolta quasi sempre sempre In questo caso si registra una leggera diminuzione di sicurezza. 147 Primo questionario Sesta domanda Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologico? Mai 2; 4%, quasi mai 10; 20%, talvolta 26; 52%, quasi sempre 10; 20%, sempre 2; 4% Fig.11 4% 4% 20% 20% mai quasi mai talvolta 52% quasi sempre sempre 148 Secondo questionario Sesta domanda Mai 0, quasi mai 6; 12%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 6; 12%, sempre 9; 18% Fig.12 0% 18% 12% 12% mai quasi mai 58% talvolta quasi sempre sempre Da questa variazione si registra un aumento della consapevolezza del proprio agire professionale, semplicemente dopo la lettura di alcuni casi clinici, il risultato è notevole. 149 Primo questionario Settima domanda Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per prevenire una sofferenza reale o prevedibile? Mai 0, quasi mai 0, talvolta 26; 52%, quasi sempre 22; 44%, sempre 2; 4% Fig.13 0% 4% 0% mai 44% 52% quasi mai talvolta quasi sempre sempre 150 Secondo questionario Settima domanda Mai 0, quasi mai 4; 8%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 17; 34%, sempre 0 Fig.14 0% 0% 8% 34% mai quasi mai 58% talvolta quasi sempre sempre La variazione è minima e non significativa. 151 Primo questionario Ottava domanda Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni etico-deontologiche? Mai 0, quasi mai 12; 24%, talvolta 17; 34%, quasi sempre 17; 34%, sempre 4; 8% Fig.15 0% 8% 24% 34% mai quasi mai 34% talvolta quasi sempre sempre 152 Secondo questionario Ottava domanda Mai 0, quasi mai 18; 36%, talvolta 24; 48%, quasi sempre 8; 16% sempre 0 Fig.16 0% 0% 16% 36% mai quasi mai talvolta 48% quasi sempre sempre Il risultato è notevole, la tendenza si è invertita, da una certa sicurezza, si passa ad un’insicurezza manifesta. 153 Primo questionario Nona domanda Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo decisionale? Mai 0, quasi mai 7; 14%, talvolta 14; 28%, quasi sempre 19; 38%, sempre 10; 20% Fig.17 0% 20% 14% 28% mai quasi mai 38% talvolta quasi sempre sempre 154 Secondo questionario Nona domanda Mai 3; 6%, quasi mai 3; 6%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 9; 18%, sempre 6; 12% Fig.18 12% 6% 6% 18% mai quasi mai 58% talvolta quasi sempre sempre Nella risposta del secondo questionario appare il mai e scendono i valori del sempre e del quasi sempre, si genera quindi insicurezza. 155 Primo questionario Decima domanda Quante volte hai cercato nel Codice Deontologico la risposta alle questioni etiche più urgenti? Mai 8; 16%, quasi mai 19; 38%, talvolta 19; 38%, quasi sempre 4; 8%, sempre 0 Fig.19 0% 8% 16% 38% mai quasi mai 38% talvolta quasi sempre sempre 156 Secondo questionario Decima domanda Quante volte pensi cercherai nel Codice Deontologico la risposta alle questioni etiche più urgenti? Mai 8; 16%, quasi mai 14; 28%, talvolta 18; 36%, quasi sempre 10; 20%, sempre 0 Fig.20 0% 20% 16% mai 28% 36% quasi mai talvolta quasi sempre sempre In base alla variazione registrata nella risposta data al secondo questionario si rileva un aumentato bisogno, da parte del professionista, di utilizzare strumenti diversi dalla propria coscienza nel processo decisionale. 157 Primo questionario Undicesima domanda Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in materia di etica e/o deontologia professionale? Mai 0, quasi mai 2; 4%, talvolta 10; 20%, quasi sempre 12; 24%, sempre 26; 52% Fig.21 0% 4% 20% mai 52% quasi mai 24% talvolta quasi sempre sempre 158 Secondo questionario Undicesima domanda Mai 0, quasi mai 0, talvolta 6; 12%, quasi sempre 12; 24%, sempre 32; 64% Fig.22 0% 0% 12% 24% 64% mai quasi mai talvolta quasi sempre sempre Appare chiaro che il professionista chiede formazione in modo maggiore dopo la lettura dei casi clinici. 159 DISCUSSIONI E CONCLUSIONI L’etica è alla base dell’operato dell’infermiere, ogni gesto, ogni pensiero, ogni azione deve essere valutato con la consapevolezza dei principi fondamentali della bioetica. Lo scopo della mia ricerca è stato quello di dimostrare che la percezione della questione bioetica, da parte del professionista infermiere, è suscettibile di variazione quando egli si trova davanti a veri e propri dilemmi etici. Ad una variazione in tal senso corrisponde una richiesta di formazione e/o approfondimento in termini bioetici. Dalla ricerca effettuata si evince chiaramente un bisogno di formazione e apprendimento del campione preso in esame, visto che il campione rappresenta l’universo, si può affermare che l’infermiere necessita di formazione continua in bioetica, disciplina dalla quale non si può prescindere nell’esercizio della professione infermieristica. Idealmente la dimensione della responsabilità formativa costituisce il canovaccio su cui si inseriscono le altre 160 dimensioni della responsabilità. Infatti, è nel momento formativo che si plasma la forma mentis dell’infermiere allo scopo di costruire una chiara identità e consapevolezza infermieristica e, soprattutto di sviluppare una piena padronanza dei processi decisionali rispetto al campo proprio di attività. Ciò significa, in sostanza, che la formazione, oltre a far acquisire le conoscenze teoriche, la competenza professionale e l’abilità pratica, deve far acquisire il metodo di ragionamento per discriminare nei dilemmi etici, tra modalità diverse di comportamento, e sulla base di una precisa metodologia di analisi, quale il comportamento finalizzato al bene dell’utente. Il processo di riflessione e’ lontano da ritenersi concluso. Senza entrare nel relativismo, l’etica non è una disciplina dalle risposte sicure, ma è la capacità di farci delle domande. E’ chiaro dai dati emersi dall’indagine, che l’infermiere di fronte a questioni etiche urgenti, mette in dubbio le proprie conoscenze, la propria consapevolezza, gli 161 strumenti usati fino a quel momento, in altre parole inizia a porsi delle domande. Lo sforzo a cui tutti si è chiamati è quello di rispettare la persona e di ricercare la verità in ogni circostanza ciascuno nel tempo e nel luogo in cui si trova a vivere e a operare. Credo di aver raggiunto lo scopo del mio lavoro di ricerca, il bisogno di approfondimento dei temi della bioetica è necessario per ciascun infermiere, è sufficiente trovarsi di fronte ad un particolare caso clinico per mettere in discussione gli strumenti e le conoscenze posseduti. Solitamente, intraprendendo un discorso, una discussione inerente la bioetica, molti professionisti appaiono per nulla interessati, affermando in modo convinto che sia sufficiente il buonsenso e la propria coscienza per affrontare qualsiasi problema. E’ proprio questa convinzione che ho cercato di sradicare all’interno del campione che ha preso parte alla mia ricerca, inducendo una riflessione con la lettura di casi clinici, credo di aver messo il professionista in una 162 posizione difficile, quella della scelta: “ come mi sarei comportato io?” Ed è a questo punto che l’infermiere sente la necessità di approfondire le proprie conoscenze sulla bioetica, per avere a disposizione strumenti diversi dal proprio buon senso e dalla propria coscienza che non sono per nulla sufficienti ad aiutarci nelle scelte riguardanti i nostri pazienti. Vedo il mio lavoro come un punto di partenza per altre discussioni, sarebbe interessante verificare il punto di vista dei pazienti, basandomi sulla “Carta dei diritti del paziente”, mi piacerebbe somministrare un questionario ad un campione di pazienti per verificare se questi diritti sono rispettati e tutelati dal personale sanitario. 163 BIBLIOGRAFIA 1. 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Guido Traversa Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e Docenti Infermieri Gaetano Romigi, Alessandro Stievano e Laura Sabatino, 27/04/2004. 172 76.77. Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante Dirigente (IDD) Piera Bergomi – Docente di antropologia e Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica dell’Università degli studi di Brescia. 173 ALLEGATI CASI CLINICI Caso 170 “Quando il caso crea giurisprudenza” Descrizione del caso:C’era una volta un famoso chirurgo, C.M., il quale operava in un altrettanto famoso Ospedale di Firenze. Un giorno si rivolge a lui una signora, la quale era affetta da polipi intestinali recidivanti; era stata già operata per ben 2 volte a causa dello stesso problema ed aveva da subito manifestato l’intenzione di non volersi sottoporre ad altro intervento chirurgico, specie se demolitivo. La costituzione di un ano preternaturale non l’avrebbe sopportata…meglio morire!! Il chirurgo la rassicura e la informa che le avrebbe rimosso i polipi per via endoscopica…”stia tranquilla!” le disse. L’intervento chirurgico è eseguito secondo scienza e coscienza, ma contrariamente alla volontà della malata e alle rassicurazioni dello stesso chirurgo, la signora subisce una asportazione colorettale e il confezionamento di un ano preternaturale. Ci sono inoltre serie complicanze postoperatorie che costringono l’equipe ad un re-intervento quasi immediato in urgenza a seguito del quale la paziente muore. 70 Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in Bioetica per infermieri dell’Istituto Giano con il patrocinio della cattedra di Igiene dell’Università di Tor Vergata (a.a. 2002/2003) 174 Scatta conseguentemente la denuncia dei familiari per trasgressione della volontà della malata, ma il chirurgo si difende inizialmente sostenendo che, in scienza e coscienza, per quel caso clinico, secondo i manuali e secondo l’esperienza clinica, era previsto solo quell’iter terapeutico. L’opinione dei giudici, relativamente al caso su descritto, si basa essenzialmente su tre domande: 1) se la paziente non fosse stata operata, sarebbe morta? Risposta: no 2) tra l’atto medico e il decesso esiste legame? Risposta: si 3) la morte è stata intenzionale? Risposta: no La conclusione dei giudici PRETERINTENZIONALE pertanto è: OMICIDIO Tale sentenza è emessa dalla Corte d’Assise di Firenze nel 1990 ( sentenza definitiva in Cassazione nel 1992) adducendo come motivazioni: • negazione del “diritto al rifiuto delle cure” anche se da ciò possano derivare estreme conseguenze • impossibilità trattamenti di opporsi all’imposizione coattiva dei • “mancato esercizio di volontà dell’avente diritto” Le conseguenze di questo fatto vanno ben oltre le sentenze dei giudici ed hanno eco e risonanza nella classe medica, tant’è che nel 1995 cambia lo stesso Codice Deontologico dei medici. Negli anni successivi si assiste ad un incremento notevole di denunce e richieste di risarcimenti materiali e morali dei cittadini verso i medici, non solo per imperizia, imprudenza o negligenza, ma soprattutto per mancate autorizzazioni o assenti informazioni. 175 Si passa da 0,6 sentenze/anno tra il ’50 e il’90 a ben 3,9 sentenze/anno tra il ’91 e il 2000 !! (cfr. dati del CED della Corte di Cassazione). Caso 271 “A proposito di etica economica ed organizzativa” Descrizione del caso: La piccola B ha 10 anni ed è affetta da leucemia mieloide. Viene trattata con chemioterapici e sottoposta successivamente a trapianto di midollo nell’Ospedale “X”. Dopo circa un anno dall’intervento presenta una grave ricaduta e viene ricoverata nell’ospedale “y”. Le due equipe si consultano e il risultato è: l’esperienza clinica e le statistiche dicono che a una ricaduta post-trapianto sopravvive, in genere, solo un paziente su 40. Sarebbe possibile un reintervento di trapianto di midollo ma un nuovo trattamento ed un nuovo trapianto costerebbero ben 210 milioni di vecchie lire. I medici del secondo Ospedale, pertanto, non danno l’assenso ad un nuovo intervento di trapianto di midollo giustificandosi così: “meglio otto settimane di pace che una via crucis dall’esito improbabile” Il padre però si rivolge ai giudici i quali in primo grado gli danno ragione; in secondo grado, invece, la Corte cancella la determinazione precedente e avvalla la decisione dell’equipe medica dell’Ospedale. 71 S.Spinsanti , Le ragioni della bioetica Ed. Cidas, Roma, 1999 - pag 45 …leggendo i giornali, (libro di testo). 176 Il caso esplode immediatamente: la stampa e i media accendono i riflettori sulla questione aprendo un dibattito; si oppongono due correnti di pensiero, una sostenuta dall’autorità sanitaria, (prevalentemente su base economica), e l’altra della gente comune e dell’opinione pubblica in genere, (prevalentemente basata sui sentimenti). A questo punto compare un anonimo donatore-benefattore grazie al quale la piccola B viene operata in gran segreto in una clinica privata. Analisi del caso: Gli attori di questo caso etico sono molti: 1. La piccola B. di 10 anni 2. Il padre e la madre della piccola B. 3. I medici del 1° Ospedale 4. I medici del 2° Ospedale 5. L’autorità giudiziaria 6. L’autorità sanitaria 7. L’opinione pubblica 8. L’anonimo donatore Tutti esprimono il loro pensiero in merito alla questione, sulla base di diverse aspettative e/o prospettive, ma nessuno si pone la vera domanda, e cioè: chi può e deve veramente decidere in questo caso ? Inoltre gli aspetti etici che occorrerebbe esplorare sono: -il comportamento “obbligato”; -il comportamento “eticamente giustificabile” secondo i principi di non malevolenza, di giustizia, di benevolenza, di autonomia. 1. Nel dilemma etico si deve perseguire il bene collettivo o quello individuale? 177 2. Quale deve essere la migliore allocazione delle risorse dei contribuenti? 3. Chi decide la cura? Solo il padre, entrambi i genitori, i medici del 2° ospedale in maniera indipendente o dopo aver consultato l’equipe del 1° ospedale, i giudici a cui si sono rivolti i genitori, l’autorità sanitaria, i contribuenti, tutti insieme. 4. …..e fra tanti l’opinione della piccola B cosa conta ? 5. Il trattamento quali benefici effettivi porta ? e a fronte di questi quali eventuali sofferenze, disturbi o addirittura danni ? 6. Esistono alternative? Se sì, vengono illustrate ai genitori? Caso 372 “Un americana a Roma” Descrizione del caso: La storia si svolge nel 1989 a Roma dove la corrispondente americana di “Newseek”, residente in zona Trastevere, ricovera d’urgenza tramite P.S. il proprio figlio di alcuni mesi al vicino Ospedale Fatebenefratelli. Il motivo che porta a tale ricovero urgente sono le gravi difficoltà respiratorie del piccolo e tale situazione richiede un primo trattamento salvavita presso il P.S. stesso. Da lì poi, valutata la gravità delle condizioni cliniche, viene trasferito in Terapia intensiva pediatrica. 72 Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in Bioetica per infermieri dell’Istituto Giano con il patrocinio della cattedra di Igiene dell’Università di Tor Vergata (a.a. 2002/2003). 178 Nel reparto di Terapia intensiva permane una settimana, durante la quale tra alti e bassi, riprese e ricadute, il caso è brillantemente inquadrato e risolto; la diagnosi fu quella di una virosi polmonare acuta aggravata dall’uso indiscriminato di antibiotici nel periodo pre-ricovero. Il piccolo viene dimesso in buone condizioni con grande gioia della mamma e non vi saranno in seguito altri episodi. La giornalista, paradossalmente non informata sull’esistenza in Italia di un SSN che, differentemente dagli USA, copre totalmente le spese in questi casi, indipendentemente se il cittadino è italiano o straniero, ricco o povero economicamente, si presenta allo sportello dell’Ospedale per pagare il “conto”.Le viene spiegato che, poichè il figlio è passato per il P.S. ed è stato ricoverato urgentemente in una Unità di cure intensive, le prestazioni sanitarie sono gratuite. Con grande meraviglia per la giornalista si chiude una storia di buona sanità…..almeno apparentemente! Perché almeno apparentemente? Perché qualche giorno dopo sulla rivista “Newseek” appare un articolo sul funzionamento della Sanità in Italia che cambia radicalmente i termini della questione ribaltandoli dalla “semplice” (si fa per dire) efficienza nel risolvere i casi clinici e dalla gratuità delle cure, alla Qualità intrinseca e percepita dall’utente relativa alla accoglienza, alle comunicazioni/informazioni, alle relazione con il personale sanitario, all’accesso alle strutture. In sostanza la giornalista nel raccontare con enfasi il suo caso personale poneva l’accento su un altro aspetto della vicenda vissuto sulla propria pelle. Durante quella settimana di ricovero ella aveva ricevuto pochissime informazioni per lo più generiche, sulle condizioni del figlio, non aveva potuto abbracciarlo perché l’accesso alla Terapia intensiva era consentito solo dall’esterno e per pochi minuti, la relazione col personale sanitario era stata fugace e confusionaria poiché legata alla disponibilità del medico o degli infermieri in turno quasi sempre occupati in tante altre faccende e quasi mai disponibili al colloquio; a ciò si aggiunga che aveva visto il Primario una sola volta nell’arco della settimana e che le notizie ricevute non erano neanche omogenee a quelle fornite dal resto dell’equipe. 179 La giornalista nell’articolo sottolineava come questo clima non fosse vissuto solo da lei, ma da quasi tutti i genitori dei neonati lì ricoverati. Ella termina il suo racconto asserendo che, nonostante il caso fosse stato risolto e non avesse sborsato nulla economicamente, aveva passato, a causa di quel “clima”, la peggior settimana della sua vita, immersa nell’ansia, nella preoccupazione, nella solitudine e nell’emarginazione, senza poter neanche sfiorare il figlio e in assenza di informazioni o, peggio ancora, in presenza di informazioni disomogenee, in una struttura peraltro fredda, senza punti di riferimento e determinata al solo raggiungimento del risultato clinico, assolutamente deficitaria nel comprendere le esigenze e i bisogni dei genitori. Caso 473 “La volontà del paziente va sempre rispettata?” Descrizione del caso Il sig. Rossi è un uomo di 75 anni affetto da epatite cronica da HCV; il decorso della malattia, alternando periodi di discreta salute con episodi sempre più frequenti di encefalopatia epatica, lo ha costretto a frequenti ricoveri in ospedale dove presto instaura rapporti stretti e confidenziali con il personale infermieristico. Con il tempo le sue condizioni peggiorano: appare sempre più affaticato e sofferente. 73 Atti del seminario di Bioetica: “Strumenti e metodi in bioetica. Paradigmi teorici e dilemmi etici. Discussione di casi clinici”, cattedra di Bioetica del prof. Guido Traversa Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e Docenti Infermieri Gaetano Romigi, Alessandro Stievano e Laura Sabatino, 27/04/2004. 180 In uno degli ultimi ricoveri confida a due infermieri di essere stanco di questi continui ricoveri e di questa malattia che lo fa stare così male; infatti afferma: “non ho speranze di guarire, né di migliorare le mie condizioni e vivere serenamente il tempo che mi è rimasto, ormai sono vecchio e stanco di soffrire, che senso ha continuare a curarmi? Non voglio prolungare questa sofferenza, preferisco morire!” Nonostante le rassicurazioni degli infermieri ribadisce più volte e ripetutamente lo stesso concetto.sig. Rossi torna a casa: qui inizia a non assumere più le terapie e non rispetta la dieta alimentare prescrittagli dai medici; le sue condizioni fisiche sono sempre più scadenti e ben presto necessita un nuovo ricovero. In ospedale appare sempre più confuso e disorientato: rifiuta ogni terapia, con la sola eccezione degli antidolorifici; viene sottoposto a nuove indagini diagnostiche, tra cui una ecografia epatica. Dalle indagini si evidenziano alcuni noduli epatici e dopo un breve consulto con i figli l’équipe medica propone un intervento di alcoolizzazione epatica. Il sig. Rossi rifiuta nuovamente le cure proposte con veemenza e rabbia; il personale medico tenta nuovamente ed invano di convincerlo. I figli, sempre più preoccupati, tentano, con insistenza, di convincere i medici a intervenire; sono fermamente convinti, come del resto i medici, che il padre rifiuta le terapie e l’intervento a causa del disorientamento e della confusione generati dallo stato avanzato della malattia Discussione in equipe: Durante una riunione in reparto un medico espone il caso del sig. Rossi ed afferma: “non possiamo continuare ad assecondarlo, è evidente che questo suo comportamento è solo l’effetto dell’encefalopatia epatica; se si rendesse conto della gravità del suo stato, sicuramente non rifiuterebbe la terapia e l’intervento” Interviene un infermiere: “…è vero il sig. Rossi è confuso, ma sa bene a cosa va incontro. 181 Non molto tempo fa ha confidato a me e ad altri colleghi di considerare inutili le cure e di non volerle proseguire. Allora non era assolutamente confuso! Credo che dovremmo rispettare la sua volontà…” Il medico ribatte: “in questo modo potremmo incorrere a denunce da parte dei familiari! Come operatori sanitari dobbiamo cercare di fare il bene del paziente, soprattutto ora che non è in grado di decidere. Del resto con le sue affermazioni il paziente ha espresso dubbi e stanchezza verso la terapia e non verso altri tipi di intervento.” Dopo questo confronto l’équipe decide di parlare nuovamente con i figli per rimandare ogni decisione al giorno dopo. Alcune riflessioni etiche ed interrogativi: 1. Occorre proseguire oppure no le cure in presenza di una volontà così determinata da parte del paziente ? 2. Qual è il migliore interesse per il sig. Rossi ? 3. Il consenso può essere concesso dai figli ? 4. Quanto la decisione di proseguire le cure è dettata dalle implicazioni legali che questa scelta può determinare ? 182 Caso 574 “Quando la privacy viola l’integrità di altri Descrizione del caso: La sig.ra Maria ha 38 anni, è sieropositiva da cinque anni, con un passato di tossicodipendenza. Attualmente ha una vita serena, un lavoro un nuovo compagno. Da qualche tempo ha iniziato ad assumere i farmaci antiretrovirali per la cura dell’HIV ad insaputa del suo compagno Più volte i medici le consigliano di far eseguire il test dell’HIV al compagno, ma Maria rifiuta ripetutamente questo consiglio. L’équipe medica richiede l’intervento di uno psicologo e nonostante ciò Maria rimane sulla sua posizione. Nonostante le difficoltà che vive in casa continua ad assumere la terapia prescritta. Dopo qualche mese Maria confida al proprio medico di aspettare un bambino. E’ felice per questa notizia e per il proprio compagno che desidera diventare padre da diverso tempo. Maria viene seguita per tutto il periodo della gravidanza e le vengono proposti i protocolli terapeutici per evitare che il bimbo si contagi al momento della nascita o successivamente. Con l’occasione le viene proposto nuovamente di parlare con il compagno, ma questa rifiuta con determinazione e più volte. In diverse occasioni ella afferma : “ non ho alcuna intenzione di parlare con lui, sono sicura che mi lascerebbe. Non capirebbe il mio passato e avrebbe paura di questa situazione. Al bambino non succederà nulla” 74 Atti del seminario di Bioetica: “Strumenti e metodi in bioetica. Paradigmi teorici e dilemmi etici. Discussione di casi clinici”, cattedra di Bioetica del prof. Guido Traversa Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e Docenti Infermieri Gaetano Romigi, Alessandro Stievano e Laura Sabatino, 27/04/2004. 183 Nonostante il netto rifiuto, i medici provano a intervenire nuovamente anche con l’ausilio di una assistente sociale; organizzano anche un incontro con una neo-mamma sieropositiva che possa, con la sua esperienza, aiutarla, ma anche questa volta fallisce ogni tentativo. Al momento del parto vengono attuati tutti gli accorgimenti e i protocolli di prevenzione perché il bimbo nasca sano. Durante la breve permanenza al nido la bimbo viene alimentato con l’ausilio del latte artificiale. Al momento della dimissione i medici e l’assistente sociale ribadiscono a Maria tutte le raccomandazioni fornite precedentemente. Maria si è sempre mostrata affidabile e precisa nel curare se stessa; le danno un nuovo appuntamento in day hospital. Una volta a casa Maria inizia ad allattare il bambino con il latte artificiale, ma davanti alla curiosità insistente del compagno e dei propri familiari si sente in imbarazzo e inizia ad allattare il bimbo con il proprio latte. Di questo non informa i medici che la seguono. Dopo 8 mesi dalla nascita il bimbo viene sottoposto ai controlli di routine dai quali risulta essere positivo al test dell’HIV. Il test viene ripetuto e confermato. Solo davanti a questa notizia Maria confida ai sanitari di aver allattato il bimbo con il proprio latte. Alcune riflessioni etiche e interrogativi: 1. I medici o l’assistente sociale dovevano intervenire ? 2. È giusto preservare comunque la volontà della mamma nei confronti del bambino e del proprio compagno ? 3. Dovevano essere imposte le terapie post esposizione al bambino ? 4. Nei confronti del bimbo dove è il confine tra la tutela di Maria e quella del padre ? 184 Caso 675 “Il rifiuto di una cura efficace” Descrizione del caso: Teresa, una donna di 36 anni, senza precedenti patologici interessanti, ricorre al medico per disturbi intestinali e per perdite ematiche nelle feci. Dopo un accurato esame i medici le diagnosticano un “carcinoma del retto, stadio C di Dukes” La paziente chiede al medico di conoscere tutta la verità sul processo della malattia e sulle possibilità di cura. Il medico la informa sulla necessità di effettuare un’ampia resezione intestinale e sull’eventualità di provvedere ad una colostomia di scarico, che dovrà portare per un certo tempo, ma non le spiega che esiste una forte possibilità che debba portare un colostoma permanente per il resto dei suoi giorni. La paziente è sposata e negli ultimi anni ha condotto una vita che ritiene felice, dopo essersi riconciliata col marito da cui era stata separata per un certo periodo. Gode di una buona posizione economica, grazie ad una impresa familiare, su cui ha concentrato tutti i suoi sforzi. Ha due figli di 6 e 12 anni. Informata sull’andamento della malattia, dopo aver riflettuto alcuni giorni, rifiuta l’intervento, adducendo che porrebbe fine alla sua vita sociale, farebbe crollare il suo matrimonio dopo i problemi che aveva già avuto, e le impedirebbe di badare ai figli e all’impresa. Chiede anche che né il marito né i familiari siano informati della situazione, in quanto la decisione è solo sua. 75 Spinanti S., dispense del corso ecm di “Medical Humanities dell’Istituto Giano (a.a. 2003/2004) 185 Nell’anno e mezzo seguente, la paziente conduce una vita normale; ha dolori e rettorragie occasionali, ma non informa i suoi familiari e ricorre ad un guaritore che, a quanto le hanno detto, può risolvere il suo problema. Poi la salute della paziente comincia a deteriorarsi progressivamente con la comparsa di dolori forti. La malata rifiuta il ricovero in ospedale. Quindi comincia a soffrire di una forte insufficienza renale, accompagnata da uno stato di obnubilazione, motivo per cui i familiari decidono di ricoverarla in ospedale. L’equipe di guardia informa il marito della necessità di praticare una colostomia di scarico, dato che la paziente presenta un’occlusione intestinale. Il marito dà il consenso e l’operazione viene eseguita. Dopo l’intervento la malata riprese conoscenza e chiese al medico perché avesse effettuato l’intervento, quando era ben chiara la sua decisione. Successivamente, fu iniziato un trattamento combinato di radioterapia e chemioterapia, con scarsa fiducia dei risultati, dato lo stadio avanzato del processo morboso. Un mese dopo l’intervento, e mentre si trovava nel pieno ciclo chemioterapico, la paziente tornò a presentare sintomi di occlusione intestinale, nonostante la precedente colostomia, con importanti segni di deterioramento dello stato generale e di astrazione dall’ambiente. Fu compiuto un nuovo intervento, sempre con il consenso del marito. La paziente morì tre giorni dopo, senza aver ripreso conoscenza. Alcune riflessioni etiche e interrogativi 1. E’ rispettato il minimo morale ? 2. L’informazione dal medico alla paziente era completa ? 3. La paziente era realmente autonoma nelle sue scelte ? 4. Chemioterapia e radioterapia in quello stadio sono da considerarsi accanimento terapeutico ? 186 COMMENTI Il medico espone un’idea di fine di vita di tipo meramente biologico….mentre la paziente elabora la sua condizione secondo criteri diversi (sociali, familiari, esistenziali). In emergenza si assolve il medico poiché ha agito secondo scienza e coscienza (anche se è stato chiesto il consenso all’intervento al marito del tutto ininfluente !!) Attenzione al principio di non maleficità: costringere una persona a vivere in un certo modo facendo o non facendo…..….l’autonomia non è scontata (paziente in grado di intendere e volere) poiché eticamente la comunicazione, l’informazione, la relazione adeguate e complete permettono di elaborare una scelta veramente libera. Manca il sostegno psicologico alla malata. Mancano passaggi di continuità delle informazioni. …..si potrebbe scendere sotto il minimo morale! Caso 776 “Ai confini tra la vita e la morte” (sezione terapia intensiva neonatale43) caso A: Descrizione: Una donna alla 23° settimana di gestazione viene indirizzata presso un centro medico terziario poiché, sebbene la sua gravidanza proceda regolarmente, i test sierologici di routine mostrano i segni di un infezione virale primaria che sarà trasmessa al feto. 76 Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante Dirigente (IDD) Piera Bergomi – Docente di antropologia e Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica dell’Università degli studi di Brescia. 187 Sebbene la maggior parte dei bambini infetti siano asintomatici nel periodo neonatale, nel 5-10% si sviluppa una grave malattia multisistemica che coinvolge il cervello con microcefalia, necrosi periventricolare e calcificazioni. Data questa possibilità, i genitori richiedono l’interruzione della gravidanza. La gravidanza viene interrotta, ma, a causa del poco tempo disponibile, il test sierologico non viene ripetuto. Il feto nasce vivo, del peso di 770 gr. e Apgar 2-5; viene intubato e trasferito nella TIN dove è sottoposto a ventilazione meccanica, incannulazione dei vasi ombelicali con trasfusione di sangue e somministrazione di surfactante, solfato magnesio e antibiotici. I genitori si rifiutano di riconoscere il neonato. In terza giornata di vita le condizioni precipitano, viene iniziato il trattamento con Dopamina e diuretico e somministrati barbiturici. La ventilazione meccanica è difficoltosa e necessita di alti parametri respiratori. Il feto appare in stato comatoso, senza nessuna attività spontanea e reattività pupillare. Viene presa la decisione di non rianimarlo. In sesta giornata il bambino muore. Il test sierologico effettuato dopo la nascita non mostra segni di infezione virale perinatale. Lo staff medico prende la decisione di non comunicarlo ai genitori. “Ai confini tra la vita e la morte”(sezione pediatrica) Caso B Descrizione: Una bambina di tre mesi fu ricoverata presso la clinica pediatrica di un centro medico terziario per difficoltà nell’alimentazione e irritabilità. 188 Fino a quel momento la sua storia si era svolta senza eventi particolari: secondogenita, era nata a termine con peso normale e senza problemi perinatali. Durante l’esame obiettivo furono però rilevati segni di anormalità neurologica: lieve ipertono con riflesso di prensione palmare e ridotta attività spontanea. Fu posta diagnosi di una rara malattia metabolica incurabile del sistema nervoso che conduce a progressiva degenerazione neurologica e morte, prevalentemente prima dei due anni di vita. La diagnosi fu comunicata alla famiglia. Durante i mesi successivi apparvero ulteriori segni di malattia: vomito, regressione dello sviluppo psicomotorio, spasticità, atrofia ottica e ricorrenti episodi di insufficienza respiratoria che richiedevano la ventilazione manuale. Durante uno di questi episodi, a 11 mesi, la bambina fu ricoverata presso un ospedale locale, intubata e quindi trasferita in Terapia intensiva pediatrica di un centro terziario. La bambina fu ventilata meccanicamente per 8 mesi. La malattia progredì fino alla cecità, sordità, tetraparesi spastica con mancanza di contatti con l’ambiente circostante. Sviluppò anche fratture multiple ossee e infezioni. Fu ripetutamente rianimata per episodi di bradicardia , e reintubata quando necessario. Alla fine fu eseguita anche una tracheotomia. Mentre alcuni medici e la maggior parte delle infermiere erano scettici su questo tipo di approccio , la madre chiedeva insistentemente tutte le cure possibili. Passò la maggior parte dei giorni e delle notti con la bambina , comprandole costosi vestiti e giocattoli e diventando familiare con lo staff. 189 Il fratello più grande fu accudito dal padre che durante i mesi gradualmente riduceva la frequenza delle visite in ospedale. La madre era pienamente consapevole della prognosi: mentre parlava con l’equipe , di solito diceva di voler far sopravvivere la bambina almeno fino ai due anni di vita ; a volte si aspettava un miracolo. Malgrado la ventilazione meccanica la bambina morì a 19 mesi di età. Qualche mese più tardi, la madre tornò a visitare lo staff della terapia intensiva: sembrava star bene. Ringraziò tutti e disse quanto era stato importante per lei aver avuto del tempo per accettare la malattia della bambina e lasciarla morire. RIFLESSIONI ETICHE SUI CASI “A” e “B”: La domanda è “come poter essere d’aiuto a medici, infermieri, neonati e loro familiari che si trovano di fronte a problemi morali per la scelta di opzioni terapeutiche in casi drammatici? Si può ipotizzare, per esempio, un progetto di sostegno alle famiglie e agli operatori coinvolti: le figure professionali responsabili contribuiranno al cambiamento di tale atteggiamento attraverso un lavoro di equipe, finalizzato a fornire orientamenti etici relativi a situazioni operative della quotidianità con una base culturale e di pensiero comune. Non possiamo certo offrire solo una discussione di logica facendo nascere in loro quesiti ancor più evasivi, o nasconderci dietro il diritto dell’autonomia del paziente per giustificare l’eutanasia , o pensare al contenimento dei costi delle cure o infine immedesimarci nello stato di dolore fisico del neonato. Partendo dall’analisi dei due casi di cui sopra (“a” e “b”) si propone un percorso alternativo che non conduce all’approvazione dell’eutanasia o dell’accanimento terapeutico e neppure alla loro negazione, ma ad un orientamento educativo in vista di una corretta impostazione o dell’accanimento terapeutico e neppure alla loro negazione, ma ad un orientamento educativo in vista di una corretta 190 impostazione morale anche quando il processo decisionale deve essere formulato in contesti di emergenza. Gli interventi di educazione e di formazione del nucleo familiare dovranno mirare ad accompagnare e supportare le prime fasi di ospedalizzazione. Diventerà determinante la capacità di ridurre le tensioni tra i coniugi, che spesso tendono a rompere la civile convivenza, prevedendo eventuali stati depressivi. La disponibilità del counselling pedagogico e bioetica di riferimento dovrà risultare flessibile e non strutturata rigidamente affinché la famiglia e il personale sanitario, riconoscano il proprio ruolo attivo e non demandino all’esperto la capacità di rispondere ai loro problemi. L’intervento dovrà favorire tale cambiamento del soggetto. Questi valori sociali, mentre sono altamente esaltati nella nostra cultura non sono gli unici valori umani. Non sono così importanti da essere utilizzati come criteri per portare alla morte coloro che riescono a realizzarli soltanto in misura limitata. Caso 877 “…a proposito di sindrome di Down” Caso A Descrizione: Peter è un bambino di 12 anni con sindrome di Down e ha una lesione cardiaca congenita sin dalla nascita. Nessun intervento chirurgico era stato consigliato fino a che non fosse arrivato all’età di dodici anni. 77 Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante Dirigente (IDD) Piera Bergomi – Docente di antropologia e Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica dell’Università degli studi di Brescia 191 Il Q.I. di Peter si colloca a livello più alto del range comune alla sindrome di Down. Ora egli fa parte dei boy-scouts, pratica regolarmente sport e le sue prestazioni rientrano nella media. I suoi genitori negano ora il permesso all’intervento chirurgico che potrebbe allungare la normale durata di vita prevedibile con la sua malattia, sostenendo che, dopo la loro morte la qualità di vita del bambino potrebbe essere intollerabile. Caso B Descrizione: Viene sospettata la sindrome di Down per un neonato confermata poi dall’esame dei cromosomi. E’ Affetto, inoltre, da atresia duodenale per la quale è indicato un immediato intervento chirurgico. I genitori non acconsentono dichiarando che sarebbe meglio che il bambino morisse piuttosto che vivere da persona ritardata. RIFLESSIONI ETICHE: I due casi sopra ,“A” e “B”, dimostrano i pericoli di esprimere giudizi sulla qualità di vita. Nel caso a) il parere dei genitori prende in considerazione un futuro lontano e non riflette il relativo beneficio che Peter potrebbe avere nell’immediato considerando la sua limitazione. Il giudizio dei genitori di Peter non rispecchia fatti significativi della vita del loro figlio, e al tempo stesso ha implicazioni di grande rilievo e di un certo risultato per il bambino. Privato dell’intervento chirurgico raccomandato, Peter continuerà a vivere per qualche tempo e lentamente manifesterà i debilitanti effetti della grave insufficienza cardiaca e dell’ipertensione polmonare. Nel caso b) una generale predisposizione a svalutare l’intelligenza limitata, insieme al desiderio di realizzazione, di produttività e di indipendenza determinano il giudizio dei genitori. 192 Questi valori sociali, mentre sono altamente esaltati nella nostra cultura non sono gli unici valori umani. Non sono così importanti da essere utilizzati come criteri per portare alla morte coloro che riescono a realizzarli soltanto in misura limitata. 193 Lettera di presentazione ai colleghi Sono Katia Tomè, un’infermiera che lavora presso il Blocco operatorio dell’ospedale di Fivizzano. Sto per terminare il corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche e sto preparando la tesi per la conclusione del mio percorso, il titolo del mio elaborato finale è il seguente: “Questioni etiche nell’agire infermieristico”, per questo motivo caro collega ho bisogno del tuo aiuto. Si tratta di rispondere ad un questionario e di riflettere su casi clinici, che ti verranno sottoposti, rilevanti per il loro intenso contenuto bioetico, il tutto sarà ovviamente anonimo, l’unico mio scopo è quello di raccogliere dati di realtà sulla percezione del problema etico-deontologico e non quello di dare giudizi alle risposte date. GRAZIE. 194 PRIMO QUESTIONARIO 1. Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi etici e deontologici da quelli di altra natura? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 2. Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o la conseguenza di questa? LO SCOPO LA CONSEGUENZA ENTRAMBE NON SO 3. Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 4. Il principio di agire per il bene del paziente o benevolenza è sufficiente per orientare le scelte professionali? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 5. Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio di giustizia? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 6. Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologiche? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 7. Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per prevenire una sofferenza reale o prevedibile? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 195 8. Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni etico-deontologiche? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 9. Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo decisionale? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 10. Quante volte hai cercato nel Codice Deontologico la risposta alle questioni più urgenti? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 11. Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in materia di etica e/o deontologia professionale? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 196 Presentazione al secondo questionario Caro collega ora stai per entrare nel fulcro della questione, ho scelto per te dei casi clinici rilevanti per il loro intenso contenuto, ti pregherei di leggerli se non tutti almeno qualcuno, non vorrei peccare di presunzione ma sono sicura che li leggerai tutti con il fiato sospeso. Al termine della lettura ti chiedo di rispondere nuovamente al questionario iniziale, che troverai in nuova copia dentro questa busta, sono sicura che stavolta rifletterai parecchio prima di rispondere e le domande non ti sembreranno più così banali. In questo preambolo ti propongo alcune definizioni, che tu conosci, semplicemente per riportartele alla mente: Il principio di beneficenza o del bene maggiore; può sembrare ovvio, ma consiste nella ricerca dell’azione che procuri il bene maggiore, per quante più persone possibili; è il criterio ispiratore di tutta l’etica. Il problema è capire qual è il bene maggiore, è qui che entrano in gioco i valori. Il principio di non malevolenza o di male minore; purtroppo succede che qualsiasi atto si decida di fare, si hanno delle conseguenze negative. A questo punto è ovvio che l’agire etico sarà di ricercare la soluzione che arrechi minor male possibile. Il principio di autonomia del soggetto; Il paziente è il responsabile della propria vita,e le sue decisioni devono essere 197 rispettate. Il principio di equità o giustizia; è alla base dell’obbligo di trattare tutti gli utenti in modo giusto e uguale, ma ribadisce anche il fatto che le risorse sono limitate e quindi non sono disponibili per tutti, quindi giusta allocazione delle risorse. GRAZIE. 198 SECONDO QUESTIONARIO 1. Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi etici e deontologici da quelli di altra natura? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 2. Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o la conseguenza di questa? LO SCOPO LA CONSEGUENZA ENTRAMBE NON SO 3. Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 4. Il principio di agire per il bene del paziente o benevolenza è sufficiente per orientare le scelte professionali? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 5. Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio di giustizia? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 6. Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologiche? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 7. Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per prevenire una sofferenza reale o prevedibile? 199 MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 8. Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni etico-deontologiche? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 9. Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo decisionale? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 10. Quante volte pensi cercherai nel Codice Deontologico la risposta alle questioni etiche più urgenti? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 11. Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in materia di etica e/o deontologia professionale? MAI QUASI MAI TALVOLTA QUASI SEMPRE SEMPRE 200