INTRODUZIONE
Il sorgere della bioetica come nuova
riflessione
A venticinque anni circa dalla comparsa nella letteratura
del termine “bioetica” ad
Rensselaer Potter
1
opera
dell’oncologo Van
è utile ripercorrere il cammino del
movimento di idee che con questo nome ha avuto rapida e
grande fortuna.
Mi sembra opportuno, quindi, fornire anzitutto un
panorama
storico-culturale
di
questa
riflessione
sottolineando alcune opere di particolare rilievo e alcuni
sviluppi istituzionali, (centri, comitati e insegnamenti
accademici), che esprimano i più significativi sviluppi e una
sufficiente ricognizione dei problemi.
E’ da tutti riconosciuto che la bioetica, nel senso proprio
1
Nel 1970 compare il suo articolo, Bioethics, The science of survival, pubblicato sulla
rivista << Perspectives in Biology and Medicine>>. (Pubblicazione scientifica)
1
del termine, nacque negli Stati Uniti, e non soltanto ad
opera di Potter, che pure coniò il nome e le assegnò un
certo significato.
Introducendo il termine, egli sottolineò che la bioetica
doveva costituire
“una nuova disciplina che combinasse
la conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei
valori umani.
Ho scelto la radice bio per rappresentare la conoscenza
biologica, la scienza dei sistemi viventi, ethics per
rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani”2.
Potter aveva individuato, infatti, il pericolo per la
sopravvivenza dell’intero ecosistema nella spaccatura tra
due ambiti di sapere, il sapere scientifico e il sapere
umanistico.
La netta distinzione tra i valori etici e i fatti biologici stava,
secondo Potter, alla base di quel processo scientificotecnologico
2
indiscriminato
che
metteva
in
pericolo
Potter, Bioethics Bridge to the future. P. 1. Englewood Cliffs (NJ) 1971. (libro di testo)
2
l’umanità e la stessa sopravvivenza della vita sulla terra.
E’ per questo, appunto, che egli chiamerà bioetica la
scienza della sopravvivenza, un nuovo sapere non più
finalizzato soltanto a conoscere i fenomeni naturali e a
dare loro una spiegazione, ma teso anche a scoprire il
modo in cui si potevano usare saggiamente le conoscenze
tecnico-scientifiche, così da favorire la sopravvivenza della
specie umana e migliorare la qualità della vita delle
generazioni future.
Accanto a questo filone originario della bioetica, però, vi è
un’altra corrente di pensiero che ci ha lasciato un’eredità
che, oggi, di fatto, è diventata prevalente rispetto a quella
di Potter, tanto che W.T. Reich parla di una genesi
“bilocata” del termine bioetica3.
In quegli stessi anni, infatti, si deve riconoscere il forte
impulso dato da parte di un famoso ostetrico di origine
olandese, Andrè Hellegers, impegnato in ricerche nel
campo demografico e fondatore del Kennedy Institute of
Ethics.
3
W.T. Reich, The Word “Bioethics”. The Struggle Over its Earliest Meanings. Kennedy
Institute, 1994, (pubblicazione scientifica)
3
Egli considera la bioetica come maieutica, cioè come
scienza capace di cogliere i valori attraverso il dialogo e il
confronto
tra
la
medicina,
la
filosofia
e
l’etica.
Secondo Hellegers, quindi, oggetto di questo nuovo campo
di studio, sono gli aspetti etici impliciti nella pratica
clinica.
Sicuramente è stato Hellegers ad introdurre per primo il
termine bioetica nel mondo universitario, strutturando
accademicamente questa disciplina e successivamente a
inserirla nel campo delle scienze biomediche, della politica
e dei mass-media.
In seguito come si è detto sarà proprio la sua concezione di
bioetica a prevalere: la bioetica sarà considerata dalla
maggioranza degli studiosi come una disciplina specifica,
capace di sintetizzare le conoscenze mediche e quelle
etiche.
Per rigore storico, tuttavia, c’è da rilevare che già qualche
anno prima, e precisamente nel 1969, era sorto il famoso
Hastings Center, ad opera del filosofo Daniel Callahan e
dello psichiatra Willard Gaylin, con la preoccupazione di
4
studiare e formulare norme soprattutto nel campo della
ricerca e della sperimentazione in ambito biomedico, senza
che venisse ancora utilizzato il termine bioetica.
Negli Stati Uniti, infatti, la discussione sui problemi etici
della sperimentazione era già stata acuita, prima ancora
che fossero annunciate le scoperte in ambito genetico,
dalle denunce e dai processi in seguito ad alcuni clamorosi
abusi
in
campo
di
sperimentazione
sull’uomo.
Nel 1963, ad esempio, al Jewish Chronic Disease Hospital di
Brooklin
erano
state
iniettate,
nel
corso
di
una
sperimentazione, cellule tumorali in pazienti anziani,
oltretutto senza il loro consenso.
Nel periodo 1965-1971 al Willowbrook State Hospital di
New
York
venne
condotta
una
serie
di
studi
sull’immunizzazione contro l’epatite virale, inoculando il
virus
in
alcuni
bambini
handicappati
ricoverati
nell’ospedale.
Questi esperimenti fecero ritornare il pensiero alla
sperimentazione
selvaggia
praticata
nei campi di
5
concentramento del periodo nazista4.
Callahan e Gaylin avevano preso l’iniziativa di riunire
scienziati, ricercatori e filosofi, per discutere su questi
problemi.
Tali riflessioni portarono, come si è detto, alla creazione di
un ‘istituzione dedita sistematicamente allo studio della
bioetica, l’Institute of Society, Ethics and the Life Sciences,
con sede a Hastings on Hudson,( New York ), ben presto
conosciuto con il nome di Hastings Center, e con
l’obiettivo specifico di considerare gli aspetti etici,
sociali
e
legali
delle
scienze
medico-sanitarie.
Oggi, il centro ha sede a Garrison, (N.Y.), e, di fatto, ha
introdotto ampie tematiche mediche e medico-sociali nel
dibattito
bioetico
ampliandone
gli
orizzonti
e
ha
contribuito ad elaborare progetti didattici e linee-guida su
vari problemi di bioetica speciale.
Negli
stessi
anni,
alla
Georgetown
University
di
Washington, (D.C.), giungeva, come si è detto, Hellegers
4
A.R. Jonsen – A.L. Jameton – A. Lynch, Medical ethics, history of north America in the
twentieth century, in W.T. Reich (ed), Encyclopedia of Bioethics, New York 1978, pp
992-1001. (pubblicazione scientifica)
6
con il preciso intento di inaugurare, presso questa
università, un programma di ricerca interdisciplinare di
bioetica.
Per questo scopo Hellegers invitò, nel 1968 e nel 1969, il
teologo moralista protestante Paul Ramsey a tenere alcuni
corsi presso la facoltà di Medicina della Georgetown
University.
Da questi corsi di morale vennero fuori due volumi, The
patient as person e Fabricated man, entrambi del 1970, che
ben si possono considerare le prime pubblicazioni che
lanciarono la bioetica in America.
Giusto in quel periodo, la famiglia Kennedy decideva di
finanziare
alcune
ricerche
sugli
handicap
mentali
congeniti.
Le implicazioni anche etiche di questa ricerca stimolarono
Hellegers a presentare la proposta di fondare un istituto
che si occupasse sia della fisiologia della riproduzione sia di
bioetica.
Nacque in questo modo, nel 1971, il The Joseph and Rose
Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction
7
and
Bioethics,
cioè
il
primo
centro
che
portava
formalmente il nome di istituto di bioetica.
Oggi il centro mantiene il nome di Kennedy Institute, ha
sempre sede presso la Georgetown University e al suo
interno ha sede il Center of Bioethics.
Notevoli
per
numero
e
temi
affrontati
sono
le
pubblicazioni, una in particolare merita di essere ricordata:
L’Encyclopedia of Bioethics, curata nel 1978 da W.T. Reich,
unica nel suo genere.
L’Enciclopedia, dopo la seconda edizione del 1995, ha visto
la terza nel 2004, in cinque volumi, per un totale di 3000
pagine, contenenti 464 articoli presentati in ordine
alfabetico e redatti da 437 autori.
Un’altra importante attività del centro è stata l’attivazione
di un servizio di informazione bibliografica online,
Bioethicsline, appoggiato alla National Library of Medicine
di Bethesda nel Maryland e distribuito mediante il sistema
Medlars negli Stati Uniti e nel mondo.
Altro pensatore, che va annoverato fra i padri della
bioetica, è E.D. Pellegrino che fu direttore, per diversi anni,
8
del Center of Bioethics, (attualmente è direttore del Center
for the Advanced Studies of Ethics, sempre presso la
Georgetown
University),
e
che,
insieme
con
D.C.
Thomasma, ha impostato i nuovi concetti sul rapporto
medico-paziente.5
Dopo i primi due centri di studio degli Stati Uniti se ne
sono diffusi tantissimi altri, collegati per lo più ad
università o ad ospedali.
Di seguito ne indichiamo solo alcuni, fra quelli che
presentano una qualche specificità di impostazione.
In America merita di essere ricordato il Pope John XXIII
Center, che
ha
pubblicato diverse monografie; esso si
muove su una prospettiva
Magistero
della
istituzionale
Chiesa
di
fedeltà al
Cattolica.
In Australia è nota l’attività del Center for Human
Bioethics, presso la Monash University di Melbourne,
diretto da P. Singer, del quale è ben nota l’impostazione di
5
soprattutto il volume E.D. Pellegrino – D.C.Thomasma, For the patient’s good. The
restoration of beneficence in health care, New York 1988 (tr. It Per il bene del paziente.
Tradizione e innovazione nell’etica medica, Cisinello Balsamo 1992). Gli stessi autori
avevano precedentemente pubblicato A philosophical basis of medical practice. Toward
a philosophy and ethics of the healing professions, New York 1981. (libro di testo)
9
estremo laicismo, che è anche condirettore della rivista
Bioethics, organo ufficiale della International Association
of Bioethics.
Sempre in Australia operano due centri di bioetica
d’ispirazione cattolica: The Thomas More Center ed il St.
Vincent’s Bioethics Center.
In Europa, nonostante si fossero da tempo sviluppati, nel
vecchio continente, i più significativi sistemi filosoficomorali, che avevano ispirato per secoli la vita sociale, la
bioetica ha fatto la comparsa anni dopo: il ritardo forse si
può attribuire alla diversa strutturazione del sistema
sanitario ed universitario rispetto agli Stati Uniti, alla forte
presenza della deontologia professionale insegnata dai
medici legali o alle difficoltà di organizzare un lavoro
interdisciplinare
data
l’eccessiva
specializzazione
accademica.6
Nell’anno accademico 1975-76 furono istituiti in Spagna,
presso la facoltà di Teologia, a San Cugat del Valles,
(Barcellona), alcuni seminari di studio in vari campi della
6
Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Paolazzi Carlo – 2007, (libro di testo).
10
bioetica; da questi seminari nacque l’Instituto Borja de
Bioética, diretto da un discepolo e collaboratore di
Hellegers, Francisco Abel S.J..
Oltre questo centro, cui spetta il primato in Spagna per
l’interesse e la ricerca in bioetica, si deve segnalare
l’impegno di D. Gracia, direttore del Departamento de
Medicina Preventiva Salud Publica, e Historia de la Ciencia
presso la facoltà di Medicina dell’Università Complutense
di Madrid.
Di rilievo è la sua opera, “Fundamentos de bioética”, la
quale muove da un esame storico-filosofico dell’evoluzione
dei concetti etici in campo biomedico dalla scuola
ippocratica fino ai giorni nostri e delinea quelli che sono
stati, nell’evoluzione del pensiero filosofico, i fondamenti
del giudizio etico in campo biomedico.
Nel 1983 fu creato a Bruxelles, per iniziativa di alcuni
professori dell’Università Cattolica di Lovanio, il Centre
d’Etudes Bioéthiques: si tratta di un’associazione senza fini
11
di lucro affiliata all’Università di Lovanio.7
Altri centri di interesse bioetico esistono in Francia:
ricordiamo soprattutto l’Institute National de la Santé et de
la Recherche Médical, (INSERM), presso il quale è stato
istituito il Centre de Documentation et d’Information en
Ethiqué,(CDEI).
Nei Paesi Bassi il primo istituto di bioetica, (Instituut voor
Gezond-heidse-thiek), viene fondato a Maastricht nel 1985.
In Inghilterra dal 1975 viene pubblicato il trimestrale
“Journal of Medical Ethics”, a cura dell’Institute of Medical
Ethics che ha sede ad Edimburgo e che si definisce
un’organizzazione
indipendente,
non
di
parte.
A Londra viene pubblicata la rivista “Ethics and Medicine”,
ad opera del Centre for Bioethics and Public Policy, di
orientamento ippocratico cristiano.
Sempre a Londra, da segnalare l’attività del Linacre Centre
for Health Care, fondato nel 1977, per il suo servizio alla
comunità cattolica della Bretagna.
In ambito europeo va segnalata l’opera di un autore
7
J.F. Malherbe, Pour une éthique de la médecine. Louvain 1990 (tr. It. Per un’etica della
Medicina, Cinisello Balsamo 1989). (libro di testo)
12
tedesco, tuttavia residente ed operante in Palestina e NordAmerica, che ha contribuito in modo sostanziale al
dibattito bioetico: si tratta di “Il principio responsabilità”,
di H. Jonas, annoverabile fra i maggiori contributi dati alla
disciplina; l’autore si muove su un terreno di partenza
analogo a quello di Potter: egli prende in considerazione
l’accresciuta possibilità della tecnologia, di cui esamina le
eventuali
minacce
alla
sopravvivenza
dell’umanità.
L’umanità ha l’obbligo di sopravvivere, questo è il
comandamento prioritario secondo l’autore, da qui la
necessità di fondare una nuova etica, che egli chiama “etica
del futuro”, perché si deve fondare sull’esame delle
conseguenze degli interventi umani sulla biosfera a carico
delle generazioni future; il criterio guida per gli interventi
biotecnologici dovrà essere quello dell’esclusione della
catastrofe.8
E’ necessario spendere qualche parola anche per la
situazione italiana.
Il nostro centro di bioetica è sorto nel 1985, all’interno
8
H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung, Frankfurt a.M. 1979 (Tr. It. Il principio
responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino 1990). (libro di testo)
13
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Esso ha sede nella Facoltà di Medicina e Chirurgia A.
Gemelli, in Roma, l’organo direttivo è costituito da un
comitato composto dal Rettore e dal Preside della Facoltà
di Medicina e Chirurgia, (membri di diritto), e da altri 18
membri designati dal Rettore tra esperti medici, biologi,
filosofi, giuristi, moralisti, teologi.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, (spesso abbreviato in
CNB), è sorto nel 1990 ed è un organo consultivo della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La
funzione
del
predisposizione
CNB
è
di
orientamento
di strumenti ed
atti,
per
la
legislativi ed
amministrativi, volti a definire i criteri da utilizzare nella
pratica medica e biologica, per tutelare i diritti umani ed
evitare gli
abusi.
Il CNB ha inoltre il compito di garantire una corretta
informazione sugli aspetti problematici e sulle implicazioni
dei trattamenti terapeutici, delle tecniche diagnostiche e
dei
progressi
delle
scienze
biomediche.
I pareri del CNB costituiscono spunti di approfondimento
14
tematico e di riflessione sui problemi di natura etica e
giuridica che emergono con il progredire delle conoscenze
nel campo delle scienze della vita.
Appena creato, ha subito emanato un documento di
bioetica riguardante il concetto di definizione di morte, nel
1991; in questo documento il Comitato stabiliva che la
morte non era altro che la cessazione totale ed irreversibile
di tutte le funzioni dell'intero organismo, in quanto
incapace di mantenere autonomamente la propria unità
funzionale.9
Nel 1992, accanto al Centro, è stato costituito, per decisione
del Consiglio di Facoltà e del Senato accademico, l’Istituto
di bioetica, il quale svolge la sua attività in ambito
accademico,
coordinando
Perfezionamento
corsi
post-laurea,
di
oltre
Dottorato
a
tutta
e
di
l’attività
didattica nel Corso di laurea in Medicina e Chirurgia e nei
Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie.
L’istituto è diretto da un professore ordinario di bioetica e
si avvale dell’attività di ricercatori e borsisti.
9
www.governo.it, (sito internet)
15
Il Centro di bioetica è rimasto operativo per l’attività di
formazione sul territorio e negli ultimi anni ha contribuito
alla creazione di diverse sedi consorziate in alcune regioni
d’Italia, attraverso le quali coordina attività di formazione
permanente con corsi residenziali rivolti al personale
sanitario ed a quanti altri abbiano interessi diretti o
indiretti in problemi di bioetica.
Organo ufficiale del Centro è la rivista “Medicina e Morale”
che pubblica bimestralmente articoli, note, commenti e
recensioni bibliografiche sui vari aspetti della bioetica,
della Deontologia e della morale medica.
In Italia, già nel 1984 aveva avuto inizio l’attività del Centro
di bioetica di Genova, caratterizzato dall’esigenza di non
restringere l’attenzione alla sola vita umana, ma di
includere nella riflessione tutto ciò che è vivente, quindi
affrontando in modo approfondito anche questioni di
bioetica ambientale e animalista.10
Altro importante polo di riflessione è quello collegato
all’Istituto Scientifico Ospedale S. Raffaele di Milano, dove
10
S. Castignone (a cura di ), Etica ambientale, Atti della giornata di etica ambientalista.
Napoli 1992. (pubblicazione scientifica)
16
esiste dal 1985 un Dipartimento di Medicina e Scienze
umane, e dove si pubblica una rivista scientifica divulgativa
“KOS”, ed una seconda a carattere etico-sanitario, “Sanare
Infirmos”.11
Nel 1988 prende avvio il Progetto Etica e Medicina della
Fondazione “Lanza” di Padova, che si prefigge un’ampia
prospettiva di problemi etici posti dalla scienza e dalla
società, ma soprattutto considera i filoni dell’etica in
economia ed una ricognizione delle tendenze in bioetica.12
D’impostazione laica, nel senso di forte critica all’etica
cattolica, è Politeia, centro per la ricerca e la formazione in
politica e in etica, di Milano, (con sedi anche in altre città
italiane).
Anche questo centro ha sezioni di etica dell’economia,
etica dell’ambiente e bioetica.
La rivista edita dal centro porta il titolo di “Notizie di
Politeia”, e raccoglie diversi contenuti di varia provenienza,
11
P. Cattorini, Profilo della scuola di medicina e scienze umane. Educare ad
un’intenzione antropologica, “Sanare Infirmos”. 1988, 3, pp. 19-23. (pubblicazione
scientifica)
12
Viafora ( a cura di ), Vent’anni di bioetica; Id., Fondamenti di bioetica, Milano 1989;
Id., ( a cura di ), Centri di bioetica in Italia, Orientamenti a confronto, Padova 1993
(libro di testo)
17
pur
riflettendo
tuttavia
l’impostazione
analitica
ed
utilitarista e privilegiando l’individualismo metodologico
che è a fondamento di tutto il lavoro di ricerca del gruppo.
Altro punto di presenza caratterizzata è costituito dalla
cattedra di Antropologia dell’Università di Firenze, in cui B.
Chiarelli ha dato vita ad una rivista, “Problemi di bioetica”,
e ad una Società, la Società italiana di Bioetica.
Il punto di vista filosofico riflette l’impostazione biologistaevoluzionista.13
Altre iniziative sono sorte recentemente ad animare il
panorama italiano, come il Centro di Bioetica nato
all’interno
dell’Istituto
Internazionale
per
i
Diritti
dell’Uomo a Trieste o il Gruppo di attenzione sulle
biotecnologie, (GAB), di Milano che, fondato nel 1988, si
occupa di tecnologie biologiche, aspetti etici compresi.
In Sicilia è stato aperto nel 1991 l’Istituto Siciliano di
Bioetica, all’interno della facoltà teologica di Sicilia,
l’Istituto ha curato recentemente la pubblicazione di un
13
B. Chiarelli, Problemi di bioetica nella transizione fra il II e il III millennio, Firenze,
1990. (libro di testo)
18
Dizionario di bioetica.
A Messina, nel 1992, è sorto il Laboratorio di Bioetica,
affiliato all’Università pontificia Salesia.
L’insegnamento accademico della bioetica in Italia è stato
ben presto attivato in molte Università Pontificie, con una
prospettiva soprattutto teologica.
Notevole è il contributo offerto in ambito teologico da D.
Tettamanzi.14
Nelle Università pubbliche la bioetica come disciplina è
stata attivata dapprima come insegnamento libero richiesto
da alcune Facoltà di Medicina e Chirurgia, (tra cui quella
dell’Università Cattolica di Roma), successivamente è stata
inserita nei raggruppamenti delle discipline per la
partecipazione
ai
concorsi
pubblici,
(per
professori
universitari di prima e seconda fascia e per i ricercatori
universitari), quindi nei settori scientifico-disciplinari degli
insegnamenti universitari.
Attualmente, la bioetica come disciplina, è collocata nei
14
D. Tettamanzi, Bioetica. Nuove frontiere per l’uomo. Casale Monferrato 2000; Id.,
Dizionario di Bioetica, Casale Monferrato 2002, (libro di testo).
19
settori F02X, (Storia della medicina), F22B, (Medicina
legale) e M07C,(Filosofia morale).
Nella facoltà di Medicina, in particolare, la bioetica si è
integrata con gli insegnamenti della nuova Tabella XVIII
che ha riordinato dall’anno accademico 1988-1989 il corso
di laurea.
Indubbiamente l’insegnamento universitario della bioetica,
ha certamente contribuito a meglio definire questa
disciplina e lo stesso si deve dire per l’istituzione dei
comitati di bioetica, denominati anche “comitati etici”, i
quali hanno dato un forte impulso alla riflessione bioetica.
20
Il problema della definizione
L’itinerario storico retrospettivo e recente della bioetica
ricordato, rivela un ampio spettro di problemi affrontati, di
contenuti e di criteri evocati: dalla prima impostazione a
prevalente interesse bioecologico, (Potter, Jonas), che pone
in crisi il concetto ottocentesco di progresso “benefico”, la
bioetica si arricchisce, grazie alla produzione dei vari
Centri statunitensi ed europei, di nuove riflessioni eticofilosofiche sui problemi vecchi e nuovi della medicina, della
demografia e della ricerca sperimentale sull’uomo e
sull’animale; pone l’accento sul rapporto tra vita umana e
vita animale e, infine, si confronta con gli apporti dell’etica
medica classica delle varie dottrine religiose e con i diritti
dell’uomo.
Di qui sorge il problema anzitutto di una definizione della
bioetica, problema che a tutt’oggi non appare scontato.
C’è chi configura la bioetica come un movimento di idee
storicamente mutanti; chi la considera piuttosto una
metodologia di confronto interdisciplinare tra scienze
21
biomediche e scienze umane; chi riconduce la riflessione
bioetica ad un’articolazione della filosofia morale e chi
ritiene ormai che questa riflessione possa essere definita
come una disciplina autonoma, con un suo ruolo non
identificabile con la deontologia né con la medicina legale
o i diritti dell’uomo, anche se con queste discipline non
può non avere una connessione e dei punti di confronto, né
può essere considerata una sezione della più antica etica
medica.15
Da questo excursus, risulta che siamo di fronte ad un
panorama certamente molto vasto ma d’altro canto
discretamente caratterizzato.
Perciò è chiaro che sotto la denominazione di bioetica
venga a ricomprendersi anche l’etica medica propriamente
detta:
non quindi la bioetica come parte aggiuntiva
dell’etica medica, ma al contrario la bioetica, come etica
che concerne gli interventi sulla vita, viene intesa nel senso
estensivo, a ricomprendere anche gli interventi sulla vita e
sulla salute dell’uomo.
15
A. Bompiani, Bioetica in Italia. Lineamenti e tendenze, Bologna 1992, (libro di testo).
22
Come già richiamato in precedenza, Potter nel 197116, oltre
ad aver coniato il termine, aveva in qualche modo definito
la
nuova
disciplina
come
la
“combinazione
della
conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei
valori umani”: egli considerava la bioetica come la scienza
della sopravvivenza.
Reich dà due diverse definizioni di bioetica in occasione
delle tre edizioni successive della “Encyclopedia of
Bioethics”.
In quella del 1978 definiva la bioetica “lo studio sistematico
della condotta umana, nell’ambito delle scienze della vita e
della salute, esaminata alla luce dei valori e dei principi
morali”.17
La definizione presenta due possibili equivoci: questo
studio sistematico riguarda come di fatto operano gli
uomini o come dovrebbero agire?18
Inoltre quel riferimento a principi e valori morali non è una
indicazione troppo generica, quando è proprio sul
16
Potter, Bioethics. Bridge to the future.
Reich (ed.), Encyclopedia of Bioethics, 1978, I, p. XIX.(libro di testo).
18
A. Pessina, Bioetica, l’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano, 1999, (libro di
testo).
17
23
disaccordo tra principi e valori che oggi verte gran parte
del dibattito bioetico?
Il riferimento ai principi contenuto nella definizione di
bioetica si colloca proprio nella concezione più ristretta di
bioetica che nasce come evoluzione e aggiornamento
dell’etica medica.
Nell’edizione del 1995, ripresa poi nel 2004, Reich dà alla
definizione di bioetica una maggiore ampiezza, e recita:
“Bioetica è un termine composto derivato dalle parole
greche bios (vita) e ethike (etica).
Essa può essere definita come lo studio sistematico delle
dimensioni morali inclusa la visione morale, le decisioni, la
condotta, e le politiche delle scienze della vita e della cura
della salute, usando diverse metodologie etiche in un
quadro interdisciplinare”.19
In questa nuova definizione scompaiono principi e valori
per lasciare il posto ad un pluralismo etico, almeno di tipo
metodologico, utilizzando la dimensione morale al plurale
e allargando il discorso anche alla sfera politica.
19
Reich W.T., Encyclopedia of Bioethics 1995, (libro di testo).
24
Va rilevato che in questa definizione egli recupera in parte
la concezione originaria di bioetica globale proposta da
Potter; Reich stesso, infatti, precisa che “resta confermata
la visione ampia con cui il neologismo è stato proposto, più
di venti anni fa.
A differenza di quanti concepiscono la bioetica in senso
riduttivo – in pratica, l’etica medica ampliata quanto basta
per includere l’etica della ricerca biomedica – noi abbiamo
esteso la bioetica fino ad includere i problemi sociali,
ambientali e globali della salute e delle scienze della vita.
L’ambito della bioetica si estende perciò oltre quello
dell’etica biomedica.”20
Nella definizione del 1995, quindi, l’oggetto materiale della
bioetica viene allargato a tutte le dimensioni morali, le
quali includono le condotte sociali e le decisioni politiche,
la definizione appare più completa ed inoltre la bioetica
non è più esaminata alla luce di valori e di principi morali,
bensì “attraverso una varietà di metodologie etiche”.
Con questa affermazione Reich vuole eliminare l’equivoco
20
S. Spinsanti, Incontro con Warren Reich, “L’Arco di Giano”, 1995, 7, p. 219, (libro di
testo).
25
generatosi negli anni precedenti e fondamentalmente vuole
aprire la porta al pluralismo etico.
Questa apertura è indubbiamente molto importante, pur
nascondendo il facile rischio di incorrere in un relativismo
etico, infatti di fronte ad un problema etico, mentre in un
primo momento è opportuno partire dall’esame dei diversi
punti di vista è necessario, all’atto di prendere decisioni,
verificare la validità delle argomentazioni fornite dalle
diverse impostazioni.
Dunque la validità della scelta va sempre argomentata
razionalmente e solo così si può evitare di cadere nel
relativismo etico che sarebbe la fine della bioetica stessa.
Ad Erice, nel febbraio del 1991, in un Convegno
internazionale, un gruppo di studio ha elaborato un
documento, detto appunto documento di Erice, nel quale è
stato considerato l’oggetto della bioetica ed il rapporto tra
quest’ultima con la deontologia e la medicina legale, in
questo
documento
che
si
rifà
ai
contenuti
della
Encyclopedia of Bioethics del 1978, la competenza della
bioetica viene riconosciuta in questi quattro ambiti:
26
· problemi etici delle professioni sanitarie;
· problemi etici emergenti nell’ambito delle ricerche
sull’uomo anche se non direttamente terapeutiche;
· problemi
(nazionali
sociali
ed
occupazionale
connessi alle
internazionali),
ed
alle
politiche
politiche
alla
di
sanitarie,
medicina
pianificazione
famigliare e controllo demografico;
· problemi relativi all’intervento sulla vita degli altri esseri
viventi, (piante, micro-organismi ed animali), e in
generale ciò che si riferisce all’equilibrio dell’ecosistema.
I paradigmi bioetici che per valenza storica e consistenza
teorica mantengono un ruolo privilegiato nella letteratura
specialistica possono essere ridotti, non senza qualche
inevitabile parzialità e semplificazione, a quattro: il
modello principialista, il modello utilitarista, il modello
libertario-procedurale e il modello personalista.
27
a) Modello etico principialista (“etica dei principi”).
L’origine di questo paradigma deriva da un importante
libro pubblicato nel 1979 da Tom L. Beauchamp e James F.
Childress, intitolato Principi di etica biomedica .21
Secondo questi autori, per poter affrontare con sguardo
lucido e imparziale un problema etico in ambito medico–
sanitario, è necessario affidarsi ad uno schema di
riferimento, (framework), costituito da quattro principi che
gli autori ricavano dalla tradizione filosofica antica e
moderna:
- Principio del rispetto dell’autonomia, secondo cui le
azioni autonome del
soggetto non dovrebbero essere
sottoposte a vincoli e controlli altrui.
- Principio di non maleficenza, secondo cui è vincolante
arrecare il minor danno possibile al paziente, (in
conformità con l’ippocratico “non nocere”).
21
T.L. Beauchamp, J.F. Childress, Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze, 1999
(tit. originale Principles of Biomedical Ethics), (libro di testo).
28
- Principio di benevolenza, secondo cui è vincolante
cercare di giovare quanto più possibile alla vita e alla salute
della persona.
- Principio di giustizia, secondo cui occorre distribuire
equamente le risorse mediche in rapporto a tutti coloro che
ne hanno diritto.
Il punto teorico fondamentale di questo paradigma
consiste nel fatto che tutti i principi sono validi prima facie,
non c’è una gerarchia prestabilita.
Per poter essere concretamente utilizzati nella prassi
biomedica occorre applicare a questi principi due metodi: il
metodo della “specificazione”, mediante il quale dalla loro
astrattezza vengono “tradotti” nei contesti concreti, e il
metodo del “bilanciamento”, mediante il quale i principi
devono essere di volta in volta “bilanciati” in modo da
capire qual è quello effettivo e dominante sugli altri.
b) Modello etico utilitarista
La tesi fondamentale di questo paradigma è che è
eticamente plausibile quell’azione che massimizza il
29
benessere e minimizza il malessere, (il dolore), del maggior
numero dei soggetti coinvolti in una decisione.
Nelle versioni più aggiornate si parla di massimizzare “gli
interessi” o “le preferenze”, per evitare un eccessiva
connotazione edonistica al termine benessere.
La logica caratterizzante questo paradigma è quella
consequenzialista: non esistono azioni in se stesse
intrinsecamente buone o cattive, (al contrario di quanto
affermato dalle etiche deontologiche), la moralità o
l’immoralità delle azioni dipendono totalmente dalle loro
conseguenze, che devono tendere a “massimizzare il
benessere del maggior numero”.
E’ questo il modello oggi più in voga, tanto che gran parte
dell’opinione pubblica, influenzata anche dai mass-media,
forse senza saperlo tende a ragionare in questi termini.
Il metodo consequenzialista, efficientista, tipico di questo
paradigma bioetico, ha il merito di sembrare, almeno in
apparenza, razionale, duttile, teso a salvaguardare il
maggior bene possibile.
30
In realtà, va notato subito che, se coerentemente applicato,
questo metodo porta a conseguenze eticamente discutibili
anche per il senso comune.
Per esempio, proviamo a porci alcune domande da
manuale in campo etico: è giusto fare esperimenti nocivi o
anche letali su un uomo per salvare le generazioni future?
ü clonare una persona per ottenere degli organi e così
curarne molte altre?
ü uccidere un innocente per salvarne cento?
Ebbene, un utilitarista coerente non può che rispondere in
maniera affermativa a tutte queste domande, e laddove il
suo senso morale di base non glielo permettesse è costretto
ad apportare qualche modifica, più o meno sostanziale, alla
sua teoria.
Spingendo poi il discorso più in profondità, due critiche si
possono rivolgere a questo modello:
- in primo luogo si presta attenzione soltanto alla
dimensione quantitativa delle decisioni etiche e non alla
dimensione qualitativa.
In realtà, nelle nostre decisioni più importanti entra
31
sempre in gioco una dimensione qualitativa, esistenziale,
irriducibile all’aspetto puramente quantitativo.
Per fare un esempio: nella drammatica scelta di una donna
tentata dall’aborto, ha senso parlare soltanto di “calcolo” in
termini di costi o benefici?
Non è più ragionevole affidarsi per questa scelta a criteri
che trascendano la logica utilitarista?
- In secondo luogo, i soggetti coinvolti nelle decisioni sono
soltanto le persone intese in senso riduzionista e
funzionalista, una accezione di significato secondo con cui
non tutti gli individui sono persone, ma soltanto quelli che
manifestano
esterne,
alcune
come
funzioni,
alcune
caratteristiche
l’esercizio
della
razionalità,
dell’autocoscienza, del dominio di sé, del senso morale…
In questa prospettiva, dunque, non vengono presi in
considerazione gli “interessi” di embrioni, infanti, malati in
stato vegetativo persistente, portatori di handicap, ecc…
32
c) Modello etico libertario e procedurale.
Si tratta del modello basato sulla teoria del filosofo H.
Tristram Engelhardt Jr. esposta nel suo celebre Manuale di
bioetica, la cui prima edizione risale al 198622.
L’autore parte da una descrizione sociologica delle nostre
società multiculturali e postmoderne: esse sono costituite
da un insanabile “politeismo di valori”, cioè da una serie di
comunità, ognuna delle quali avente il proprio culto e i
propri riferimenti morali, estranee le une dalle altre per
visioni del mondo radicalmente diverse.
Le
varie
comunità
morali,
dice
Engelhardt,
con
un’espressione provocatoria divenuta assai celebre, vivono
tra loro come stranieri morali.
Il punto di partenza di Engelhardt è quindi radicalmente
scettico: per le questioni bioetiche non è possibile avvalersi
di una razionalità unica e ugualmente condivisa da tutti gli
uomini.
22
H. Tristram Engelhardt Jr., Manuale di Bioetica, Il Saggiatore, Milano, 1986 (tit.
originale The Foundation of Bioethics), (libro di testo).
33
Così, per evitare che i conflitti etici degenerino in violenza,
la soluzione di Engelhardt è quella di una bioetica
puramente formale, procedurale: ogni comunità seguirà i
propri criteri etici, in piena autonomia, (= principio del
permesso), lasciando che le altre seguano il loro, senza
cercare l’impresa, (impossibile), di trovare punti di accordo
comuni.
La soluzione qui proposta può sembrare elegantemente
tollerante, in linea con un sano realismo civile attento al
profilo multiculturale delle nostre moderne società.
In realtà, da un punto di vista prettamente teorico, una
bioetica così intesa è di tipo minimalista, si presta ad un
puro “lasciar fare” privo di contenuti sostanziali, e
mancando di un criterio di discernimento si mostra di fatto
sterile nel risolvere i dilemmi morali.
Inoltre, anche nella prospettiva di Engelhardt, gli unici
soggetti che hanno il diritto di scegliere in totale
autonomia non sono tutti gli esseri umani, ma soltanto le
persone intese in senso funzionalista.
34
Su questo punto le parole di Engelhardt sono chiarissime e
inequivocabili, parole che esprimono una delle tesi più
controverse
e
discusse
nel
dibattito
bioetico
“"Non tutti gli esseri umani sono persone. Non
tutti gli
contemporaneo:
esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di
concepire la possibilità di biasimare e lodare. [...] Tali
entità sono membri della specie umana ma non hanno
status , in sé e per sé, nella comunità morale".
d) Modello personalista.
Il punto teorico di maggior rilievo di quest’ultimo
paradigma, e che lo differenzia da quelli fin’ora esaminati, è
di avere un riferimento assoluto come punto di partenza
imprescindibile per ogni ragionamento morale.
Questo punto di riferimento è naturalmente la persona
umana, una realtà materiale e spirituale da considerarsi
sempre un fine e mai un mezzo, dotata di un suo valore
intangibile e indisponibile, avente una sua propria dignità
35
fondata sull’ essere, non sul fare che mantiene dal suo
concepimento fino alla sua fine naturale23.
Questa linea filosofica, pur essendo quella pienamente
abbracciata dalla Chiesa Cattolica, in linea di principio può
essere sostenuta anche su un piano puramente filosofico–
razionale.
Per esempio, partendo da un quadro teorico come quello
appena
tracciato,
antiabortiste
e
è
possibile
antieutanasiche
sostenere
anche
non
posizioni
essendo
credenti; naturalmente chi accoglie anche una prospettiva
di fede potrà arricchire la sua posizione con i riferimenti
alla sacralità della vita che abbondano nella Bibbia e nella
tradizione cristiana.
Caratteristica imprescindibile di questo paradigma è poi
l’utilizzo del termine persona con una connotazione
sostanzialista, ontologicamente fondata, in base alla quale
ogni individuo è persona per il fatto stesso che c’è, che
23
Elio Sgreccia, nel suo Manuale, articola la prospettiva bioetica personalista in quattro
principi: il principio della difesa della vita fisica, il principio terapeutico o della totalità,
il principio della libertà e responsabilità, il principio di socialità e di sussidiarietà.
36
esiste,
e
non
per
le
prestazioni
funzionali
che
eventualmente riesca a fornire.
Per esprimere al meglio lo spirito del personalismo
ontologico può essere utile rileggere queste limpide righe
del filosofo Romano Guardini: “L’uomo non è intangibile
per il fatto che vive.
Di tale diritto sarebbe titolare anche un animale, in quanto
esso pure si trova a vivere.
La vita dell’uomo rimane inviolabile perché egli è una
persona.
L’essere personale non è un dato di natura psicologica ma
esistenziale: fondamentalmente non dipende né dall’età, né
dalla condizione psicologica, né dai doni di natura di cui il
soggetto è provvisto.
La personalità può rimanere sotto la soglia della coscienza,
come quando dorme,
tuttavia essa permane e ad essa
bisogna fare riferimento.
La personalità può essere non ancora sviluppata come
quando si è bambini, tuttavia essa pretende il rispetto
morale.
37
E’ addirittura possibile che la personalità in generale non
emerga negli atti, in quanto mancano i presupposti psicofisici,
come
accade
nei
malati
di
mente.
E infine la personalità può anche rimanere nascosta come
nell’embrione; ma essa è data fin dall’inizio in lui e ha i suoi
diritti.
E’ questa personalità a dare agli uomini la loro dignità.
Essa li distingue dalle cose e li rende soggetti.”24
A conclusione del discorso un’ultima riflessione ispirata al
pensiero del filosofo Adriano Pessina, che in maniera
efficace e suggestiva definisce la bioetica come un esercizio
della coscienza critica della civiltà tecnologica25.
Tutti noi uomini del XXI secolo, volenti o nolenti, ci
troviamo a vivere in un mondo ridisegnato dal progetto
della scienza e della tecnica, di fronte al quale possiamo
rimanere passivi e indifferenti, oppure prendere posizione
attiva.
24
Romano Guardini, I diritti del nascituro, pubblicato in “Studi Cattolici”,
Maggio/Giugno 1974, (pubblicazione scientifica).
25
A Pessina, Bioetica. L’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano, 1999, 4142,(libro di testo).
38
Fare bioetica significa accettare criticamente questo fatto,
sviluppare
una
coscienza
vigile
e
una
ragione
correttamente formata, in modo da non perdere mai di
vista la distinzione tra ciò che è tecnicamente possibile e
ciò che è eticamente lecito.
Robert Oppenheimer, il fisico che aveva diretto il progetto
Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica,
in un celebre discorso del 1947 pronunciò le seguenti
parole: “I fisici hanno conosciuto il peccato, ed è una
conoscenza che rimarrà in loro per sempre”.
Se è vero che la civiltà delle tecno-scienze corre ormai il
rischio di vivere nel peccato, sta a noi, attraverso l’utilizzo
critico della nostra ragione, lavorare per cercare di
redimere la scienza e la tecnica e volgerle verso il vero bene
dell’essere umano.
39
Rapporto infermiere-paziente: motivazione e
comunicazione
Riflettendo sulle questioni etiche relative all’operato
dell’infermiere ci si chiede, innanzitutto, perché una
persona arrivi a decidere di intraprendere tale professione
e quali possano essere le motivazioni consce e inconsce alla
base di tale scelta.
La motivazione può essere intesa come quell’insieme di
fattori che sono alla base di ogni atto e di ogni scelta fatti
dalla persona e che hanno il compito di sostenerla fino al
raggiungimento dell’obiettivo prefissato.26
Essa si mostra, anzi, come il fattore che spinge la persona
alla soddisfazione di un bisogno; appare subito evidente,
per quanto detto, che la motivazione potrà appartenere ad
ambiti e settori molto diversificati, alcune motivazioni
sono:
· semplici
· banali
26
Carpineta S., La comunicazione infermiere paziente, La Nuova Italia Scientifica,
Roma, 1993, (libro di testo).
40
e corrispondono, sostanzialmente, ai bisogni primari.
Un significativo esempio è rappresentato da quello che può
accadere all’emergere di un bisogno come la fame: i
comportamenti, le decisioni e le azioni tese alla risoluzione
del bisogno saranno sostenute da una motivazione tanto
più forte e determinata quanto più marcato sarà il bisogno
stesso.27
Altre motivazioni appartengono, poi, a sfere diverse e ad
ambiti anche molto lontani tra loro che possono, di volta in
volta, entrare in gioco:
· fattori sociali
· fattori economici
· fattori culturali
· fattori di ruolo
· fattori di status.
Ma le motivazioni che più frequentemente sono all’origine
dei comportamenti umani sono, ovviamente, quelle di
natura psicologica anche se, altrettanto ovviamente, non
27
Rheinberg F., Psicologia della motivazione, Il Mulino, 2003,(libro di testo).
41
sono sempre facilmente individuabili o immediatamente
percepibili.
Per una loro comprensione bisogna far riferimento a
modelli teorici che ne danno spiegazioni molto diverse e
che partono concettualmente da presupposti e punti di
vista anche divergenti.28
La teoria psicodinamica considera la motivazione come
prodotto dell’inconscio ed individua nelle pulsioni29 gli
agenti che la possono attivare e farle da supporto.
Altre
concezioni
teoriche
pongono
maggiormente
l’attenzione sulla motivazione come prodotto della crescita
dell’individuo attraverso l’apprendimento o come funzione
conscia e controllabile dall’intelletto.
Dopo tale analisi di tipo teorico, è fondamentale, allora,
chiedersi quali possano essere considerate le principali
motivazioni che spingono un giovane ad intraprendere la
professione infermieristica.
Quelle legate alla sicurezza economica ed alla facilità di
28
29
Maslow A.H., Motivazione e personalità, Armando Editore, 1992, (libro di testo).
S. Freud, Introduzione alla Psicoanalisi, 1976, (libro di testo).
42
trovare un impiego non sono motivazioni sufficienti a
spiegare una tale scelta; infatti, a queste caratteristiche:
· positive
· invoglianti
corrispondono anche:
· la difficoltà
· l’impegno
che, da una parte, questa professione implica30 e, dall’altra,
la constatazione che, in genere, la scelta di una professione
non è quasi mai determinata primariamente dal fattore
economico soprattutto quando la scelta viene fatta in età
adolescenziale.
Se in passato la figura dell’infermiere era, innanzitutto,
quella di una persona che si dedicava al prossimo e che
poteva, addirittura, fare del proprio mestiere una vocazione
oggi:
· la preparazione professionale
30
AA. VV., Guida all'esercizio della professione di infermiere, C.G. edizioni medicoscientifiche, Torino, 2002, (libro di testo).
43
· l’alto livello tecnico raggiunto
· l’impegno di studio necessario
fanno dell’infermiere un professionista:
· specifico
· specializzato.31
Il discorso della professione infermieristica come momento
di aiuto al prossimo non deve, comunque, essere
sottovalutato dovrà, però, essere ricondotto alla sua giusta
dimensione di scelta matura e consapevole.
Altri aspetti, che possono rappresentare una buona
motivazione a questa scelta, sono rappresentati:
· dal dinamismo presente nella professione infermieristica
· dal rifiuto di professioni troppo sedentarie e poco attive
e coinvolgenti
· dalla ricerca di un lavoro emotivamente coinvolgente ed
in cui le gratificazioni siano immediate.32
31
Barni M., La Deontologia e l'Etica Professionale oggi, Notizie di Politeia 5 (16), 17, 1989,
(pubblicazione scientifica).
32
Dimonte V., Da servente a infermiere, Cespi editore, Torino 1998, (libro di testo).
44
Recuperando, poi, la dimensione più psicologica della
motivazione si potrebbe individuare di questa un altro
aspetto, che è opportuno citare più come esempio e spunto
di riflessione che non come paradigma di quanto realmente
accade: la possibile presenza di vissuti, ovviamente
inconsci, legati al sogno dell’uomo di poter essere un
giorno immortale.
Questo insieme di osservazioni proposte permetterà di
valutare cosa ci potrà essere alla base della scelta
professionale fatta, ovviamente nel senso di stimolare una
riflessione e non certo con la pretesa di dare una risposta a
tali interrogativi.
E proprio con l’intenzione di stimolare la riflessione
diviene importante considerare una ulteriore faccia di
questa polimorfa medaglia: oltre al perché della scelta è
opportuno valutare il come; se la scelta, cioè, riposa su un
determinato tipo di motivazione, cosa ne è di questa
motivazione, come si trasforma o cosa ne rimane?
Come essa si ripercuote sul modo di lavorare e,
conseguentemente, sul modo di rapportarsi e comunicare
45
con il paziente?
Prima di tutto, è allora, fondamentale considerare la
posizione e l’atteggiamento che ognuno avrà nei confronti
della malattia.33
Per
alcune
persone
sarà
necessario
combatterla,
sconfiggerla e distruggerla mentre altri avranno bisogno,
soprattutto, di:
· accudire il malato
· prendersi cura della sua persona
· essergli vicino.
Questi atteggiamenti così diversi e, addirittura, opposti,
per certi versi, caratterizzano anche una possibile spinta
motivazionale che porta, poi, ad intraprendere una scelta,
in quanto la professione infermieristica permetterà, nelle
aspettative che la sottendono, di realizzarsi attraverso la
soddisfazione di queste intime necessità permettendo alla
persona di “essere” sul lavoro “padre” o “madre”.
33
Kuhse H., Prendersi cura non basta: riflessioni sull'etica infermieristica, in Bioetica, 2,
1994, (libro di testo).
46
L’esperienza
comune
conferma,
di
certo,
questa
affermazione per cui l’infermiere a volte sarà:
· direttivo
· molto tecnico
· apparentemente freddo
ma anche:
· accogliente
· molto attento ai bisogni della persona
· protettivo
· a volte, permissivo.34
Inevitabilmente, tutto ciò si ripercuoterà anche sui livelli di
comunicazione e sulla qualità della stessa.
Per alcuni pazienti, la comunicazione sarà più semplice ed
immediata con l’infermiere “madre”, che fornisce un “nido”
protettivo ed accogliente all’interno del quale la loro
malattia possa essere:
· considerata
34
Pellegrino E.D., Thomasma D.C., Per il bene del paziente: tradizione e innovazione
nell'etica medica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992, (libro di testo).
47
· curata.
Altri, invece, avranno maggiore facilità di relazione con
infermieri più energici ed in questo secondo caso la
comunicazione
apparirà
immediatamente
come
determinata da un rapporto verticale e di marcata
diseguaglianza. 35
Uno degli aspetti più interessanti del rapporto tra
infermiere e paziente è la distanza che esiste tra i due o, in
altre parole, il grado di coinvolgimento che esiste in questo
rapporto.36
La distanza che si viene a creare sarà determinata da come
è strutturata la personalità dell’infermiere e da come è
strutturata quella del paziente ma, soprattutto, dipende
dalla risultante dell’incontro di questi due soggetti, cioè,
dalla relazione che si instaura fra i due.
L’infermiere ha, in genere, proprio per il ruolo che ricopre,
una funzione determinante sotto questo aspetto:
egli,
35
Reich W.T., Curare e prendersi cura - nuovi orizzonti dell'etica infermieristica, in l'Arco
di Giano, n.10, 1996, (pubblicazione scientifica).
36
Ricci Bitti E., Zani B., La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna,
1983, (libro di testo).
48
infatti,
detta le prime regole con il paziente e, quindi,
imposta le basi della relazione.
Si potrebbe pensare all’infermiere ed al paziente come a
due sfere, rappresentanti la globalità dell’individuo o, per
meglio dire, i loro due sé.
Così, le due sfere si avvicinano: la sfera sé - infermiere entra
in contatto con la sfera sé - paziente e
· la forma,
· la dimensione,
· la qualità,
· il contenuto,
di queste due sfere, determinano la distanza che le divide.37
Il fattore iniziale che può determinare una modalità di
distanza piuttosto che un’altra è rappresentato dalla sfera –
infermiere; quindi, dal suo sé e dalla sua necessità di
rimanere ben differenziato o, al contrario, identificato con
il sé del paziente.
I
motivi
per
cui
viene
scelta
la
differenziazione,
37
Beavin J. H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma,
1971, (libro di testo).
49
l’allontanamento o, addirittura, il rifiuto del malato
possono essere numerosissimi tanto che fornire una
classificazione sarebbe impossibile.
Allo stesso modo, molti sono i motivi che possono generare
una situazione di identificazione con il paziente ed il suo
mondo.
La distanza dal paziente potrebbe essere determinata da
aspetti patologici dell’infermiere: una troppo marcata
identificazione o un insistente rifiuto del rapporto con il
malato possono, in effetti, rappresentare un segnale di
incapacità alla comunicazione che avrà come primo effetto
quello dello stabilirsi di una comunicazione disturbata.
In questo caso, il rapporto sarà dominato dall’incapacità di
avere un rapporto stesso, con tutte le conseguenze
di
Un
ciò
e
altro
con
l’evidente
aspetto
necessità
potrebbe
essere
di
intervenire.
definito
come
pedagogico – maturativo; il sé si struttura nel bambino
attraverso il raggiungimento e superamento di progressive
tappe scandite dall’identificazione e successivo abbandono
e superamento di modelli:
50
· comportamentali
· psicologici
· cognitivi…
Nell’adulto è possibile che un sé ancora poco strutturato
possa ancora andare alla ricerca di modelli con i quali
identificarsi;
nella
pratica
infermieristica
è,
quindi,
possibile assistere allo stabilirsi di relazioni fortemente
dipendenti o di troppo marcata identificazione con il
paziente dietro la quale è possibile intravedere questa
mancanza di sicurezza in se stessi, sicurezza che viene,
dunque,
ricercata
nell’altro
o
nel
proprio
ruolo
professionale.
Non è raro sentir dire che la professione di infermiere è
stata scelta per le soddisfazioni che può apportare; chi più
chi meno, tutti abbiamo una immagine del professionista
della sanità come di una persona spesso gratificata dalle
soddisfazioni che derivano dal salvare una vita o alleviare le
sofferenze.
Iniziata la pratica professionale si devono, invece, fare i
conti con realtà ben diverse: le persone curate non sempre
51
guariscono, il dolore e la sofferenza non possono essere
sempre risolti con gli strumenti in nostro possesso, l’aiuto
che viene offerto non sempre è riconosciuto ed apprezzato.
Il vissuto di frustrazione dell’infermiere rischia, perciò, di
inquinare:
· il suo modo di essere;
· il suo lavoro;
· i suoi rapporti.
Esiste una correlazione strettissima tra le soddisfazioni che
si traggono dall’esercizio della professione e la crescita
motivazionale e, visto che la motivazione è alla base di
come si lavora, ogni atto del proprio operare ne risentirà
inevitabilmente.
Il rischio maggiore che si verifica quando le frustrazioni
emergono sul lavoro è che a farne le spese sia, poi, il
paziente, questo può accadere in maniera molto semplice
quando la quota di disagio è tale da venire a modificare il
rapporto tra infermiere e paziente.
La comunicazione diventerà, in tal caso, stabilmente
52
disturbata da questo fattore che, tra l’altro, innescherà
risposte
di
ritorno
dello
segno.38
stesso
Una persona che entra per la prima volta in ospedale
affronta una realtà sconosciuta e la situazione affrontata
sovraccarica il malato di notevoli tensioni che vengono ad
aggiungersi alle ansie ed ai timori suscitati dal suo stato di
salute.
È difficile rassicurare una persona per quel che riguarda la
sua malattia o, quanto meno, questo necessita di tempi
oltremodo lunghi.
Tuttavia,
starle
vicino
e
rassicurarla
al
momento
dell’ingresso in ospedale permette di creare quel clima di
intesa,
empatia
successivamente;
che
favorirà
l’infermiere
la
relazione
anche
che
avrà
accolto
positivamente un paziente diventerà per lui, nel corso del
ricovero,
un
appoggio
affidabile
e
sicuro.39
Anche le più elaborate manovre tecniche sono meglio
accettate se capite e giustificate, ma sarà anche opportuno
38
Balint M., Medico, paziente e malattia, Feltrinelli, Milano, 1988, (libro di testo).
Wilson - Barnett J., Stress, malattia, ospedale, Il pensiero scientifico, Roma, 1991,
(libro di testo).
39
53
fare una scelta sulle cose da riferire o spiegare al paziente al
fine di non subissarlo con troppe informazioni.
Anche i familiari avranno molte richieste e dubbi, un
atteggiamento comprensivo e di supporto permetterà loro
di orientarsi anche negli aspetti più semplici e banali:40
Se il momento dell’ingresso e dell’accettazione in ospedale
rappresenta per il paziente un’esperienza importante per i
risvolti traumatici che può avere, non da meno l’incontro
con la realtà che sarà la sua, forse anche per un lungo
periodo, è un fatto da non sottovalutare.
L’accettazione è l’impatto con la realtà ospedaliera nel suo
insieme, mentre l’ingresso nel reparto mette il paziente a
contatto con la quotidianità dell’ospedalizzazione e
l’insieme di abitudini che la regolano e che lui non
conosce.
L’entrata nel reparto viene, di solito, curata molto poco
dagli operatori in quanto considerata
un episodio solo
formale e di transizione, un momento di passaggio dalla
vita privata della persona, a quel momento in cui
40
Del Corno F., Lang M., La relazione con il paziente, Franco Angeli, Milano, 1989, (libro
di testo).
54
accertamenti, esami e visite mediche si succederanno.
Ma il reparto di degenza sarà, a volte anche per un periodo
lungo, la “casa” del paziente ed è opportuno che questa
nuova dimora venga conosciuta ed accettata dal suo nuovo
abitante.
Il
passaggio
dall’accettazione
al
reparto
dovrebbe,
conseguentemente, essere ben curato dal personale
infermieristico.41
L’operatore
non
accompagnatore
deve
del
essere
paziente;
semplicemente
deve,
un
innanzitutto,
presentarsi e permettere al paziente di capire esattamente
qual è la funzione della persona che gli è davanti, dare
un’idea di come il lavoro è distribuito tra i vari turni,
iniziare a dare spiegazioni sulle piccole regole del reparto,
sugli orari, sull’autonomia di cui il paziente può godere.
Senza che questa fase diventi troppo didattica e noiosa,
sarà opportuno motivare il paziente e dare costantemente
una spiegazione del perché le cose funzionano in questo
41
Cannella B., Cavaglià P., Tartaglia F., L'infermiere e il suo paziente. Il contributo del
modello psicoanalitico alla comprensione della relazione d'aiuto, Il Segnalibro, 1994,
(libro di testo).
55
modo, tanto da permettergli di comprendere le esigenze
del servizio e collaborarvi.42
L’infermiere non solo si trova a stabilire una relazione con
il paziente di cui si sta prendendo cura ma diviene, molto
spesso, il tramite o il filtro di tutte le istanze emotive e
delle informazioni tecniche che devono passare tra
familiari e paziente, nonché tra questi e i medici.
Le
prime
fasi
del
ricovero
sono,
inoltre,
spesso
caratterizzate dall’impossibilità per i familiari di avere
contatti diretti con il loro caro, sarà bene che l’infermiere
possa fare, in questo caso, da ponte tra gli uni e l’altro.
Se, da una parte, permettere a malato e familiari di ricreare,
anche se in maniera minima, un’atmosfera che ricordi il
proprio ambiente è una prassi sicuramente positiva si
dovranno sempre limitare atteggiamenti e comportamenti
troppo:
· invasivi
· dannosi su altri piani.
42
Carnevale A., D'Ovidio C., La professione di infermiere. Aspetti giuridici, medico
legali, etico-deontologici, Piccin-Nuova Libraria, 2005, (libro di testo).
56
Consentire ai parenti, ad esempio, di trascorrere il maggior
tempo possibile con il degente può essere di notevole aiuto
per lui ma questa possibilità deve essere commisurata a
tutte
le
altre
necessità
del
contesto.43
In caso, infine, di paziente morente l’infermiere deve
considerare l’ipotesi di lavorare costantemente, oltre che
per il paziente stesso, anche nei confronti dei familiari.
L’accettazione della sofferenza del proprio caro, nonché
della sua morte, possono essere meglio tollerate, in quei
momenti, da un familiare che veda il proprio dolore
condiviso con piena franchezza e partecipazione, proprio
da quelle persone che, più di altre, sono state accanto al
malato e che, più di altre, lo hanno aiutato.
Non allontanare i familiari, e non negare loro il diritto di
essere vicini al proprio caro sembrano essere, insomma, più
che delle opportunità tecniche delle irrinunciabili esigenze
umane.44
L’epoca moderna si muove all’insegna dell’autonomia di
43
Fabbri C., Montalti M., L'infermiere, Maggioli Editore, 2008, (libro di testo).
Cellerino R., Il rapporto infermiere-paziente in oncologia, Franco Angeli, 1996, (libro di
testo).
44
57
scelta da parte del malato/cittadino e con la mediazione
della bioetica per cui:
la buona medicina è quel trattamento che rispetta il malato
nei suoi valori e nell’autonomia delle sue scelte;
l’ideale medico è un’autorità democraticamente condivisa;
il buon paziente è colui che partecipa mediante il consenso
informato;
il buon rapporto diventa un contratto di prestazione
d’opera tra
professionista
e
utente;
il buon infermiere deve essere un facilitatore della
comunicazione a beneficio di un paziente autonomo.
L’infermiere, in questo moderno contesto, può fare molto,
sia dal punto di vista conoscitivo sia da quello emotivo, per
raggiungere l’ obiettivo della giusta soddisfazione degli
utenti, che rimanda alla responsabilità per i risultati e cioè,
offrire servizi giusti,
nel modo
a
che
tutti
coloro
ne
e nei tempi giusti,
hanno
diritto.
Ma si può senz’altro affermare, utilizzando queste
bellissime parole, che: “L’infermiere può e deve lasciare l’
58
ultima parola all’amore, ragione ultima che forse induce a
essere responsabili per qualcun altro.”45
45
Sandro Spinanti, atti del convegno “Infermiere e Bioetica”, Pavia 2005.
59
Fasi dello sviluppo morale
Lo sviluppo del giudizio e della condotta, sono stati oggetto
di numerosi approfondimenti, in ambito educativo,
condotti secondo prospettive differenti.
Alcuni hanno posto l’accento sui fattori esteriori, di natura
socio-culturale,
norme
Altri
etiche
hanno
componenti
inducenti
e
condotte
rivolto
intrinseche
all’assunzione
moralmente
l’attenzione
dello
di
accettabili.
soprattutto
sviluppo
alle
individuale,
sottolineando la stretta connessione fra le tappe della
maturazione mentale e le fasi della crescita morale.
Uno dei primi psicologi che si occupò di questo problema
fu Jean Piaget che nei primi suoi scritti si focalizzò
specificatamente sulla morale dei bambini, studiando il
modo in cui i bambini giocano per capire il loro concetto di
bene e di male.
Basandosi sull'osservazione delle regole dei giochi e su
interviste riguardanti azioni come rubare o mentire, Piaget
60
scoprì che anche la moralità può considerarsi un processo
evolutivo.46
Gli studi di Piaget furono sviluppati successivamente da
Lawrence Kohlberg, (1958), che elaborò una teoria dello
sviluppo della qualità morale basata su 6 stadi.
Il metodo utilizzato si basò su interviste a 72 bambini di 10,
13 e 16 anni di ceto medio e basso, e sulla lettura di una
storia la cui interpretazione morale può essere controversa.
“Heinz ruba la medicina
In Europa una donna era vicina alla morte per una rara
forma di cancro. C'era una medicina che i dottori
ritenevano potesse curarla: era una forma di radio che il
farmacista aveva recentemente scoperto. La medicina era
costosa da preparare ed inoltre il farmacista caricava 10
volte il costo di preparazione. Egli pagava 200$ per il radio
e chiedeva 2000$ per una piccola dose di medicina. Il
marito della donna malata, Heinz, andò in giro a chiedere
46
J. Piajet, lo sviluppo morale del fanciullo,1932 (libro di testo).
61
in prestito denaro, ma raccolse soltanto 1000$, metà del
costo. Recatosi dal farmacista gli disse che sua moglie stava
morendo e gli chiese di pagare meno la medicina o di dare
la differenza successivamente. Ma il farmacista disse: No, io
ho scoperto la medicina e ho intenzione di guadagnarci..
Così Heinz si disperò e rubò la medicina. Avrebbe dovuto
farlo?”.47
Lawrence Kohlberg, pur riconoscendo l’importanza dei
fattori “estrinseci”, socio-culturali e situazionali, ritiene che
lo sviluppo morale come quello cognitivo, (strettamente
correlati), manifestano in ogni individuo componenti
“intrinseche”, con uno specifico ritmo evolutivo che
percorre una sequenza di passaggi obbligati.
A suo parere, l’azione e il giudizio morale sono frutto di un
processo di maturazione, poiché è presente in essi una
dimensione cognitiva osservabile e descrivibile nei termini
di un processo evolutivo intrinseco dello sviluppo
47
Renata Viganò Psicologia ed educazione in L. Kohlberg: un’etica per la società
Quadrio Avistarchi Assunto 1998, (libro di testo).
62
individuale, favorito da sollecitazioni educative, (reperibili
nell’ambiente educativo, in senso ampio), ma non
completamente determinato da esse, ( nel senso del
meccanicismo azione-reazione, o stimolo-risposta).
Lo
studioso dello
sviluppo
morale
dedica,
quindi,
particolare importanza alle “ragioni” addotte dal soggetto a
sostegno di una specifica azione.
Esse costituiscono un indice attendibile del livello di
maturità morale, riconducibile a stadi di sviluppo morale
espressi in termini di strutture cognitive, modi di pensare e
di giudicare.
Dopo vari aggiustamenti delle sue indagini, a cui ha
lavorato per 30 anni circa, (dal 1958 al 1987 anno della sua
morte), Kohlberg è giunto a darne una certa sistematicità
schematica: essa configura tre livelli di organizzazione del
ragionamento morale, ciascuno dei quali prevede due stadi.
Il livello 1 o Preconvenzionale è tipico degli individui di
4-10 anni.
Il soggetto è sensibile alle regole culturali indicanti ciò che
è bene e ciò che è male.
63
Egli, tuttavia, interpreta le definizioni di bene e male nei
termini delle conseguenze, (punizioni, premi, scambi di
favore), oppure in riferimento al potere e quindi alla
superiorità di chi enuncia la regola.
Il livello 2 o Convenzionale è diffuso tra molti adolescenti
e adulti.
In essi è dominante il conformismo nei riguardi degli
stereotipi morali presenti nella famiglia, nella società e nel
gruppo di appartenenza.
Rispondere alle attese dei genitori o dei coetanei
costituisce un valore in sé, al di là delle conseguenze.
Tuttavia a questo livello non vi è solo un banale
conformismo, bensì anche lealtà, sostegno attivo o
giustificazioni convinte.
Il livello 3 o Postconvenzionale è raggiunto solo da pochi
adulti, è contraddistinto dalla tensione ai valori e ai
principi morali assoluti e universali, il soggetto acquisisce
autonomia negli ideali etici, indipendenza di giudizio e un
sentimento di giustizia interiore e universale.
64
Il livello 1, preconvenzionale si divide in due stadi:
moralità eteronoma: evitare d’infrangere regole che
prevedono punizioni,
obbedienza fine a se stessa, evitare
danni fisici a persone e cose, per le conseguenze negative a
cui potrebbe andare incontro; l’individuo agisce in modo
giusto per evitare la punizione, non considera l’esistenza di
interessi altrui diversi dai propri, il modo di vedere è
prettamente egocentrico.
Individualismo, scopo strumentale e scambio: essere
consapevoli che ciascuno persegue i propri interessi
personali e che questi possono essere contrastanti, in tal
senso il giusto è ciò che è corretto, uno scambio equo, un
contratto, un accordo.
Il livello 2 o convenzionale si divide in due stadi:
aspettative interpersonali reciproche, relazioni e
conformità interpersonale: vivere secondo le attese di
chi ci è vicino o secondo ciò che la gente si attende da noi,
fiducia, lealtà e rispetto reciproco; essere consapevoli
dell’esistenza di accordi, sentimenti superiori al proprio
65
interesse
personale,
non
considerare
ancora
una
prospettiva sistemica generalizzata;
sistema sociale e coscienza: compiere i doveri su cui si è
convenuto, le leggi devono essere rispettate salvo casi
estremi; far funzionare l’istituzione come un tutto, facile
confusione tra la fiducia nelle regole e nell’autorità,
considerare le relazioni individuali in termini di posizioni
nel sistema.
Il livello 3 o postconvenzionale si divide in due stadi:
contratto sociale o utilità e diritti individuali: essere
consapevoli che le persone hanno un’ampia varietà di
valori e di opinioni e che la maggior parte di essi sono
relativi al proprio gruppo, alcuni valori non relativi come il
diritto alla vita e alla libertà devono essere rispettati in tutti
i gruppi; senso di obbligazione alla legge in virtù del
contratto sociale stipulato, senso di impegno contrattuale,
liberamente assunto verso la famiglia, gli amici e gli
impegni di lavoro; distinguere tra i valori morali e legali e
riconoscere che a volte possono entrare in conflitto;
66
principi
etici
universali:
seguire
principi
etici
autonomamente scelti, agire in accordo con questi principi
ogni volta che la legge li viola, in quanto essi sono principi
assoluti, criteri universali di giustizia: l’uguaglianza dei
diritti umani ed il rispetto per la dignità degli esseri umani
come individui, agire giustamente perché si crede nella
validità dei principi morali universali e per l’impegno preso
verso quest’ultimi.
Per Kohlberg, lo sviluppo e l’educazione morale sono
strettamente legati alla formazione sociale, civile e legale e
viceversa.
Di qui l’importanza dell’idea di giustizia, verso cui una
corretta disposizione non può essere il risultato di una
mera trasmissione di norme e convinzioni condivise dalla
maggioranza, ma una autentica maturazione nel corso di
interazioni specifiche su temi morali, civili e affini.
Ogni soggetto umano è, a parere di Kohlberg, un “filosofo
morale”.48
48
L. Kohlberg,Essays on Moral Development, vol. I The Philosophy of Moral
Development, Harper e Row, San Francisco 1981, (libro di testo).
67
La formazione morale per Kohlberg va intesa, non come
trasmissione di contenuti etici prestabiliti, ma come
stimolazione del naturale sviluppo del giudizio morale
verso la maturità.
La natura dell’educazione morale, per Kohlberg, è
trasversale ai contenuti essenziali della cultura in generale,
scientifici
o
umanistico-filosofici,
e
il
bisogno
di
insegnamento/ apprendimento, sviluppo ed elaborazione
di
principi
di
moralità
e
giustizia
nella
scuola
contemporanea, può essere benissimo paragonato a quello
di un qualunque altro insegnamento obbligatorio.
Kohlberg ritiene, addirittura, che la misura del progresso di
una società è data dal grado di maturità morale da essa
mostrato.
L’infermiere è un agente morale tenuto, quindi, ad operare
scelte e a prendere decisioni che coinvolgono principi e
valori umani quotidianamente, appare chiaro come ciò sia
possibile soltanto raggiungendo un elevato livello di
maturità morale.
68
Profilo
dell’individuo
eticamente
maturo
secondo
Kohlberg:
rispetta la dignità umana
ü rispetta il valore ed i diritti di tutte le persone,
ü agisce con onestà,
ü sostiene l’uguaglianza umana,
ü rispetta la libertà di coscienza,
ü dialoga con persone aventi modi di vedere differenti dal
proprio,
ü condanna i pregiudizi;
ha cura della felicità degli altri
ü è consapevole del carattere complesso dei rapporti
umani,
ü s’interessa dei problemi del proprio paese,
ü combatte per la giustizia sociale,
ü aiuta volentieri gli altri,
ü attraverso l’impegno per gli altri e la solidarietà
raggiunge la maturità morale;
69
integra
gli
interessi
individuali
con
le
responsabilità sociali
ü partecipa alla vita della comunità,
ü sostiene l’equa distribuzione dei diritti e dei
doveri,
ü manifesta atteggiamenti di rispetto per sé e per
gli altri,
ü è fedele agli impegni assunti,
ü sviluppa la stima di sé attraverso il rapporto
con gli altri;
manifesta integrità personale
ü affronta con impegno i compiti assunti,
ü cerca di essere coerente con i principi etici,
ü accetta i sacrifici implicati dall’impegno morale
personale,
ü sa quando accettare le convinzioni altrui e
quando opporsi ad esse,
ü assume la responsabilità delle scelte compiute;
70
riflette sulle scelte morali
ü valuta i problemi etici implicati in una
situazione,
ü applica i principi morali, ( ad esempio la regola
aurea),
quando
formula un
ragionamento
morale,
ü considera le conseguenze delle decisioni,
ü si sforza di comprendere i problemi morali
riguardanti la società e l’umanità intera;
vuole risolvere in modo pacifico i conflitti
ü indica soluzioni eque dei conflitti personali e
sociali,
ü evita l’aggressione fisica e verbale,
ü ascolta con attenzione gli altri,
ü incoraggia
gli
altri
ad
esprimere
le
loro
convinzioni,
ü s’impegna per attuare la pace.
71
Diritti e doveri del malato, impegno
dell’infermiere
Carta dei Diritti e dei Doveri
L’articolato che segue costituisce l’integrazione dei principi
contenuti nei documenti elaborati alla luce di norme di
diritto internazionale:
ü Art. 25 della “Dichiarazione universale dei diritti
dell’Uomo”- Artt. 11 e 13 della “Carta sociale europea, 1961”.
ü Art. 12 della “Convenzione internazionale dell’ONU sui
Diritti economici, sociali e culturali”, 1966.
ü Risoluzione n. 23 dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità, 1970, che trova piena corrispondenza nei principi
della Carta Costituzionale (artt. 2-3-32).
ü ‘Carta dei diritti del paziente”, approvata nel 1973 dalla
American Hospital Association.
ü ‘Carta dei diritti del malato”, adottata dalla CEE in
Lussemburgo dal 6 al 9 maggio 1979.
ü “Carta dei 33 diritti del cittadino”, redatta nella prima
sessione pubblica per i diritti del malato, in Roma il 29
giugno 1980.
72
I diritti:
·
Il paziente ha il diritto di essere assistito e curato con
premura ed attenzione, nel rispetto della dignità umana
e delle proprie convinzioni filosofiche e religiose.
·
Il paziente ha il diritto di essere sempre individuato con
il proprio nome e cognome e non col numero del letto o
peggio ancora col nome della propria malattia e che
venga usato il Lei se interpellato.
·
Il paziente ha diritto ad ottenere dalla struttura sanitaria
informazioni relative alle prestazioni dalla stessa erogate
e alle relative modalità di accesso. Egli deve poter
identificare immediatamente il personale sanitario che lo
cura.
·
Il paziente ha diritto di ottenere dal sanitario che lo cura
informazioni complete e comprensibili circa la diagnosi
della malattia, la terapia proposta e la relativa prognosi.
·
Il paziente, salvo i casi di urgenza, nei quali il ritardo
possa comportare pericolo per la sua salute, ha diritto di
ricevere le notizie che gli permettono di esprimere un
73
consenso prima di essere sottoposto a terapie o
interventi o trattamenti di tipo diagnostico che
comportino rischi o disagi. Se il sanitario ritiene
inopportuno fornire informazioni dirette al paziente le
può fornire ai familiari o a coloro che esercitano la
potestà tutoria, salvo che il paziente in precedenza non
abbia già espresso il suo diniego in proposito.
·
Il paziente ha il diritto ad essere informato sulla
possibilità di indagini e trattamenti alternativi, anche se
eseguibili in altre strutture. Ove il paziente non sia in
grado di determinarsi autonomamente, (minore, stato
comatoso, ecc.), le stesse informazioni dovranno essere
fornite alle persone di cui sopra.
·
Il paziente ha il diritto di ottenere che i dati relativi alla
malattia e ogni altra circostanza che lo riguardi,
rimangano segreti.
·
Il paziente ha il diritto di proporre e inoltrare reclami
che devono essere sollecitamente esaminati, ed essere
tempestivamente informato sull'esito degli stessi.
74
I doveri:
·
Il cittadino quando malato accede in una struttura
sanitaria
del
S.S.N.
è
invitato
ad
avere
un
comportamento responsabile in ogni momento, nel
rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri
ammalati, con la volontà di collaborare con il personale
medico, infermieristico, tecnico e con la direzione della
sede sanitaria in cui si trova.
·
L'accesso in ospedale o in un'altra struttura sanitaria
esprime da parte del cittadino-paziente un rapporto di
fiducia e di rispetto verso il personale sanitario,
presupposto indispensabile per l'impostazione di un
corretto programma terapeutico ed assistenziale.
·
E'
un
dovere
di
ogni
paziente
informare
tempestivamente i sanitari sulla propria volontà di
rinunciare, secondo la propria volontà, a particolari cure
e prestazioni sanitarie programmate affinché possano
essere evitati sprechi di tempi e risorse.
75
·
Il cittadino è tenuto al rispetto degli ambienti, delle
attrezzature e degli arredi che si trovano all'interno della
struttura ospedaliera, ritenendo gli stessi patrimonio di
tutti e quindi anche propri.
·
Chiunque si trovi in una struttura sanitaria del S.S.N è
chiamato al
rispetto
dei
regolamenti
interni,
in
particolare degli orari previsti per le visite dei parenti e
conoscenti, al fine di permettere lo svolgimento
dell'attività sanitaria programmata e favorire la quiete e
il riposo degli altri pazienti. Per motivi igienico-sanitari e
per il rispetto degli altri degenti presenti nella stanza, è
indispensabile evitare l'affollamento intorno al letto.
·
Ai minori di dodici anni è vietato fare visita agli
ammalati in reparto, per motivi di prevenzione igienicosanitaria nei loro confronti, a meno che non prevalgano
situazioni di particolare risvolto emotivo, che vanno
fatte presenti al personale sanitario.
·
In
situazioni
all'ammalato,
di
al
particolare
di
fuori
necessità,
dell'orario
le
visite
prestabilito,
dovranno essere autorizzate con permesso scritto
76
rilasciato dal Direttore di Unità Operativa o da una
persona da lui delegata. In tal caso il familiare deve
cercare di favorire la massima collaborazione con tutti
gli operatori sanitari, ma comunque lo stesso non potrà
mai essere o ritenersi un sostituto di nessuno di loro.
·
E' doveroso rispettare il riposo sia diurno che notturno
degli altri degenti; è necessario evitare quindi qualsiasi
comportamento che possa creare situazioni di disturbo o
disagio agli altri degenti, (rumori, luci accese, radioline
con volume alto,...). Per coloro che desiderano svolgere
eventuali attività ricreative sono disponibili le sale
soggiorno
presenti
all'interno
dei
vari
reparti
e
possibilmente usare gli spazi per questo predisposti
presenti in reparto.
·
In ospedale come in tutti gli ambienti pubblici è vietato
fumare.
·
I pazienti e loro familiari per spostarsi all'interno della
struttura ospedaliera utilizzeranno i percorsi (ascensori e
accessi) a loro riservati.
77
·
L'Ospedale informa l'utente sulla propria organizzazione
sanitaria tramite appositi opuscoli che il paziente ha il
dovere di leggere.
78
Patto infermiere-cittadino
12 maggio 1996
Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:
PRESENTARMI al nostro primo incontro, spiegarti chi
sono e cosa posso fare per te.
SAPERE chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e
cognome.
FARMI riconoscere attraverso la divisa e il cartellino di
riconoscimento.
DARTI risposte chiare e comprensibili o indirizzarti alle
persone e agli organi competenti.
FORNIRTI informazioni utili a rendere più agevole il tuo
contatto con l’insieme dei servizi sanitari.
GARANTIRTI le migliori condizioni igienico-ambientali.
79
FAVORIRTI nel mantenere le tue relazioni sociali e
familiari.
RISPETTARE il tuo tempo e le tue abitudini.
AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la
tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di
mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in
grado di farlo da solo.
INDIVIDUARE i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con
te, proporti le possibili soluzioni, operare insieme per
risolvere i problemi.
INSEGNARTI quali sono i comportamenti più adeguati per
ottimizzare il tuo stato di salute nel rispetto delle tue scelte
e stile di vita.
GARANTIRTI competenza, abilità e umanità nello
svolgimento delle tue prestazioni assistenziali.
RISPETTARE la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti
la riservatezza.
80
ASCOLTARTI con attenzione e disponibilità quando hai
bisogno.
STARTI vicino quando soffri, quando hai paura, quando la
medicina e la tecnica non bastano.
PROMUOVERE e partecipare ad iniziative atte a migliorare
le risposte assistenziali infermieristiche all’ interno
dell’organizzazione.
SEGNALARE agli organi e figure competenti le situazioni
che ti possono causare danni e disagi.
Nello svolgimento dell'operato professionale del personale
sanitario risulta di particolare rilevanza l'osservazione del
patto infermiere-cittadino49 allo scopo di:
l permettere al cittadino di avvertire la professionalità di
coloro che si prendono cura del suo benessere psicofisico
l favorire le relazioni tra utente e personale sanitario
l dare modo ai professionisti del settore sanitario di avere
una serie di regole da osservare e condividere nel rispetto:
49
Stilato il 12 maggio 1996 Federazione Nazionale IPASVI
81
1. dei propri compiti
2. del proprio ruolo
3. del proprio codice deontologico.
Tale patto corrisponde, non a caso, ad una serie di:
l azioni
l atti
finalizzati alla regolarizzazione del rapporto professionale
che si instaura tra il personale sanitario e gli utenti nelle
persone dei:
l pazienti
l familiari
l colleghi...50
Nello specifico, attraverso il patto infermiere-cittadino, il
primo elemento della diade si impegna a:
l presentarsi durante il primo incontro con il paziente
l spiegare al paziente la sua figura professionale
l motivare al paziente quali sono le sue funzioni e le cose
in cui può essergli di aiuto
50
Carpineta S., La comunicazione infermiere paziente, La Nuova Italia
Scientifica, Roma, 1993. (libro di testo).
82
l scoprire chi è il paziente di cui deve prendersi cura
l identificare e riconoscere il paziente chiamandolo per:
1. cognome
2. nome51
l permettere
al paziente
di riconoscerlo attraverso
elementi fondamentali quali possono essere, ad esempio:
1. il cartellino di riconoscimento
2. la divisa
l fornire al paziente risposte:
1. comprensibili
2. chiare
3. esaustive
4. esaurienti
5. efficaci
6. semplici
l indirizzare, eventualmente, il paziente:
1. alle persone
2. alle strutture
51
AA. VV., Guida all'esercizio della professione di infermiere, C.G. edizioni
medico-scientifiche, Torino, 2002, (libro di testo).
83
competenti in caso non rientri nelle sue attività la risposta
ad una esigenza dello stesso52
l fornire al paziente utili informazioni per facilitare il suo
rapporto con i servizi sanitari presenti ed attivi sul
territorio di riferimento
l assicurare al paziente le migliori condizioni di tipo:
1. ambientale
2. igienico
3. relazionale
l sostenere il paziente nello svolgimento delle sue
relazioni:
1. familiari
2. sociali
l saper rispettare il paziente condividendo:
1. i suoi tempi
2. le sue abitudini
3. le sue modalità
4. le sue aspettative
52
Barni M., La Deontologia e l'Etica Professionale oggi, Notizie di Politeia
5 (16), 17, 1989, (Rivista Scientifica).
84
5. i suoi bisogni
6. le sue paure
7. le sue ansie53
l
sostenere il paziente nel processo di:
1. accettazione
2. presa di coscienza
3. svolgimento
della propria condizione in maniera:
1. sana
2. equilibrata
3. dignitosa
l supportare il paziente nelle attività di vita quotidiana
quali, ad esempio:
1. lavarsi
2. vestirsi
3. cambiarsi
4. mangiare
5. dormire
53
Fry S. T., Johnstone M. J., Etica per la pratica infermieristica. Una guida
per prendere decisioni etiche, CEA, 2004, (libro di testo).
85
6. muoversi
7. camminare
l individuare i settori in cui il paziente necessita di
assistenza
l condividere i bisogni assistenziali del paziente
l capire quali possono essere le possibili soluzioni per
aiutare il paziente a fronteggiare le sue esigenze
l agire in sinergia ed a sostegno del paziente nella
risoluzione dei suoi problemi
l proporre al paziente gli atteggiamenti più:
1. consoni
2. adatti
per ottimizzare il suo stato di salute rispettando, al contempo:
1. il suo stile di vita
2. le sue scelte
l assicurare al paziente che le attività assistenziali
verranno svolte con:
1. discrezione
86
2. rispetto della dignità della persona54
3. rispetto della privacy
4. abilità
5. competenza
6. serietà
7. affidabilità
8. umanità
9. professionalità
10. riservatezza
l rispettare il paziente anche:
1. nelle sue insicurezze
2. nella sua dignità umana
l garantire un ascolto:
1. attivo
2. attento
3. partecipativo
4. accogliente
5. disponibile
54
Dimonte V., Da servente a infermiere, Cespi editore, Torino 1998, (libro
di testo).
87
al paziente quando ne avrà bisogno
l fornire un supporto:
1. affettivo
2. morale
3. psicologico55
al paziente nei possibili momenti di:
1. paura
2. incertezza
3. sofferenza
4. sconforto
5. diffidenza
l garantire la:
1. promozione
2. partecipazione
ad iniziative finalizzate al miglioramento delle risposte
assistenziali all'interno dell'organizzazione in cui si trova
ad operare
55
Kuhse H., Prendersi cura non basta: riflessioni sull'etica infermieristica,
in Bioetica, 2, 1994, (pubblicazione scientifica).
88
l fornire le:
1. eventuali
2. necessarie
segnalazioni
1. agli enti
2. alle figure
competenti e deputate alla risoluzione di situazioni che
potrebbero arrecare:
1. danno
2. disagio
al
paziente
ed
al
suo
stato
di
benessere.
Il patto descritto vuole far sì, in definitiva, che l'infermiere
possa essere preparato a proporsi come una figura capace
di confrontarsi con gli altri professionisti del mondo
sanitario:
l senza passare in secondo piano
l rappresentando un indiscutibile e valido alleato nella
costruzione di una nuova fase del sistema sanitario.
Una figura, insomma:
89
l responsabile
l competente
nella cura del paziente e con un ruolo fondamentale nei
servizi offerti dal territorio.56
Per ottenere ciò l'infermiere non deve operare in modelli:
l ripetitivi
l basati sullo svolgimento di compiti
l che limitano i propri poteri decisionali
l che non potenziano i percorsi di assistenza agli utenti
l che non si impegnino a trovare innovative soluzioni per
mantenere alti i livelli assistenziali
l che non abbiano la volontà di mettere in gioco
competenze di tipo:
1. gestionale
2. specialistico
56
Reich W.T., Curare e prendersi cura - nuovi orizzonti dell'etica
infermieristica, in l'Arco di Giano, n.10, 1996, (pubblicazione scientifica).
90
acquisite con nuovi percorsi formativi
l che non definiscano in maniera:
1. coerente
2. appropriata
il ruolo dell'infermiere
l che non riconoscano nel servizio alla persona il più:
1. autentico
2. reale
3. originale
4. profondo
significato dell'agire infermieristico
l che non potenzino i valori:
1. dell'alleanza
2. della solidarietà
da parte dell'infermiere nei confronti:
1. degli utenti
91
2. delle loro famiglie57
l che non concepisca l'assistenza infermieristica come
servizio:
1. alla persona
2. alla collettività
l che non realizzi interventi assistenziali di natura:
1. educativa
2. relazionale
3. tecnica
l che non porti rispetto per i valori fondamentali:
1. della dignità individuale
2. della libertà
3. della salute
4. della vita.58
57
Pellegrino E.D., Thomasma D.C., Per il bene del paziente: tradizione e
innovazione nell'etica medica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992,
(libro di testo).
58
Avallone F., La formazione psicosociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1989, (pubblicazione scientifica).
92
La professione sanitaria e la relazione di aiuto
Dai principi e dalle modalità operative che emergono dal
patto infermiere-cittadino sopra descritto si evince come la
professione sanitaria, in generale e quella infermieristica,
più nello specifico, possano:
l correttamente
l esaustivamente
rientrare in quelle che vengono definite le “professioni di
aiuto”.
Esistono, in effetti, esperti che forniscono aiuto per
professione
in svariati ambiti disciplinari quali, ad
esempio:
l
assistenziale
l
educativo
l
riabilitativo
l
sanitario
l
sociale.
93
In particolare, in quello sanitario è possibile far rientrare gli
infermieri, appunto, insieme ad ulteriori professionisti del
settore quali, ad esempio:
· educatori
· medici
· operatori sanitari
· operatori sociali
· terapisti
· psichiatri
· psicologi59
In una relazione di aiuto professionale esiste:
l
un soggetto che necessita di aiuto
l
un soggetto che può fornire aiuto.
Alla prima impressione può, certamente, sembrare una
relazione di tipo asimmetrico ma, al contempo, è
importante sottolineare che esiste una relazione di scambio
tra i due soggetti coinvolti ed impareranno l'uno dall'altro
59
Menoni E., Sirigatti S., Stefanile C., Aspetti psicologici della formazione
infermieristica. Iscrizione, frequenza, abbandono, burnout, "Ti con Erre:
Ricerche, studi, progetti" n. 14, Regione Toscana, 1988, (pubblicazione
scientifica).
94
nella costruzione di un progetto comune.
All'interno di tale relazione colui che gestisce l'aiuto deve
impegnarsi, innanzitutto, ad attivare:
l
le capacità
l
le predisposizioni
l
le potenzialità
di colui che chiede aiuto stimolandone il processo di
empowerment.
Tuttavia, la relazione di aiuto potrebbe presentarsi come
fonte di:
l
dubbi
l
dilemmi
l
danni
l
stress
dovuti, prima di tutto, al conflitto tra:
l
rispettare:
1. le proprie credenze
2. i propri valori
l
rispettare:
95
1. le credenze dell'utente
2. i valori dell'utente.
per superare il quale l'operatore che fornisce aiuto
dovrebbe mettere in atto gli elementi di:
l
imparzialità
l
razionalità
l
conoscenza empirica
l
rispetto della dignità altrui.
Ulteriore fonte di conflitto potrebbe essere, altresì:
l
la consapevolezza di non riuscire a rispondere a tutte le
esigenze dell'utente
l
il senso di impotenza
l
la limitatezza delle risorse strumentali a disposizione
l
l'organizzazione inadeguata dei servizi da erogare
l
l'ambiguità delle richieste da parte dell'utenza
l
lo stato di stress:
1. fisico
2. psicologico
96
da parte dell'operatore che, in casi estremi, può portare al
deterioramento delle relazioni interpersonali con le
persone in carico e che si concretizza nella sindrome che
viene definita di “burnout”.
Tale sindrome si verifica in risposta ad una situazione
percepita, ormai, dall'operatore come intollerabile poiché
non trova più corrispondenza tra:
l
richieste dell'utente
l
risorse a sua disposizione di tipo:
1. organizzativo
2. personale.60
Nell'operatore sanitario della società contemporanea,
insomma, sono il contesto:
l
lavorativo
l
sociale
quelli maggiormente in grado di mettere in atto risposte di
stress sotto il profilo:
l
comportamentale
60
Ambrosini G., Barni S., Frontini L. (a cura di), Oncostress l'operatore - il
paziente, Ed. Seiser, Trento, 1995, (libro di testo).
97
l
fisiopatologico61
ed i sintomi che vanno a sostanziare la sindrome di
burnout sono facilmente stimolati e motivati da fattori
quali:
l
condizioni dell'ambiente di lavoro
l
fatica fisica
l
ruolo professionale
l
relazioni di tipo lavorativo
l
gestione del proprio lavoro
l
burocratizzazione delle attività svolte.
Tra le modalità:
l
organizzative
l
operative
finalizzate allo sviluppo di strumenti per la:
l
prevenzione
l
gestione
della sindrome di burnout negli operatori sanitari è
possibile riscontrare:
61
Sundeen S. J., L’interazione infermiere-paziente, Ambrosiana, Milano,
1981, (libro di testo).
98
l
progetti di formazione permanente
l
programmazione di gruppi di supporto finalizzati alla
realizzazione di spazi di discussione riferiti a:
1. casi complicati da gestire
2. scelte di tipo terapeutico
3. problemi relazionali con colleghi:
Ø
della propria equipe
Ø
di una equipe diversa.62
Variabile fondamentale risulta essere, infine, quella del
clima da intendersi come spazio caratterizzato da:
l
un reciproco scambio63
l
supporto
l
ascolto
l
assenza di giudizio.
62
Cherniss C., La sindrome del burn-out. Lo stress lavorativo degli
operatori dei servizi socio sanitari, CST Centro Scientifico, Torino, 1986, (libro di
testo).
63
Del Corno F., Lang M., La relazione con il paziente, Franco Angeli,
Milano, 1989, (libro di testo).
99
Il concetto di codice deontologico
La Sociologia che ha studiato le professioni in termini di
caratteristiche peculiari, modalità di nascita e di sviluppo
ha
individuato
fra
le
diverse
caratteristiche
che
contraddistinguono una attività professionale la presenza
di un codice etico o meglio di una deontologia
professionale.
La deontologia professionale è l'espressione dell'etica
professionale in quanto traduce in norme le istanze morali,
specialmente in relazione ai destinatari delle prestazioni e
dell'attività professionale.
In realtà i rapporti fra etica e deontologia sono più
complessi.
La deontologia presuppone una visione etica e una
condivisione di valori del gruppo di professionisti che la
esprime.
Tra le “ragioni” dell'esistenza dei Codici Deontologici
ritroviamo:
100
- espressione pubblica delle regole di autodeterminazione
degli appartenenti ad una professione;
- espressione pubblica del senso della professione;
-asimmetria
della
relazione
tra
professionista
e
cliente/utente, che richiede
un equilibrio.
- tutela della professione e di coloro a cui si rivolge.
Quindi identificazione, appartenenza, visibilità delle
professioni, strumento di magistratura interna alle
professioni stesse, contrappeso nella asimmetria.
Nell’ esercizio della loro attività gli infermieri hanno
sempre dovuto affrontare dei problemi morali.
Nella prima metà del Novecento l’etica infermieristica
comincia ad assumere un carattere scientifico poiché la si
ritiene una componente essenziale della formazione.
Infatti le si dedicano articoli di rivista, capitoli di libri o
interi libri.
Una delle fonti alle quali ci si ispira , comune all’etica
medica, è rappresentata dal giuramento di Ippocrate;
101
inoltre si fa spesso riferimento a valori derivanti dalla
religione.
I testi di questo periodo sono redatti principalmente da
religiosi e medici.
I temi trattati sono il più delle volte i doveri della lealtà e
dell’obbedienza verso il medico; alcune opere mettono in
evidenza il dovere, che l’operatore ha verso se stesso, di
essere più perfetto possibile nel corpo, nello spirito, nella
volontà al fine di poter fornire una buona assistenza.64
Negli ultimi decenni l’approccio a questa tematica mira:
- Da un lato per l’etica professionale, a definire i problemi
morali più importanti che l’infermiere incontra nella sua
attività e i principi a cui si dovrebbe ispirare per tentarne
una soluzione.
I principi sono contenuti nel Codice Deontologico, fonte
importante per la professione infermieristica alla stessa
stregua del Profilo Professionale e della Formazione, un
modello di comportamento che può guidare a compiere
scelte etiche nell’azione e sviluppare un vero senso di
64
Infermiere a Pavia, Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia, Anno XV n.
1/2006.
102
responsabilità.
Si può infatti affermare che la deontologia è espressione
dell’etica professionale in quanto traduce in norme le
istanze morali, specialmente in relazione ai destinatari
delle
prestazioni
e
dell’attività
professionale.
La deontologia consiste in un insieme di regole di
autodisciplina e di comportamento che valgono per i
membri di una determinata professione, su deliberazione
di quest’ultima.
Sono dunque gli stessi professionisti a darsi le regole del
proprio agire professionale.
I principi sono anche presenti nel Patto InfermiereCittadino, patto sta ad indicare quel rapporto tra operatori
sanitari e fruitori delle cure che meglio corrisponde alla
cultura ed alla sensibilità del nostro tempo.
Tutta la deontologia professionale sanitaria, si confronta
con altre istanze, il diritto, la morale, l’etica, la bioetica
richiamando la coscienza individuale e la coscienza
professionale
a
fondamento
della
responsabilità
e
dell’impegno del professionista.
103
- Dall’altro per la bioetica, a fornire metodi e strumenti a
tutti i professionisti della salute e, per certi aspetti, a ogni
uomo, affinché possano formarsi un giudizio etico su
questioni inerenti la vita e la sua qualità.
Fra i principi morali da tenere presente nel lavoro
infermieristico spicca oggi per importanza, la centralità
della persona nella presa delle decisioni che riguardano il
suo benessere e che presentano una componente morale.
L’odierna cultura professionale vede nell’infermiere un
agente morale, cioè una persona che fa scelte di natura
etica, perché il suo agire è condizionato, ma non
determinato,
dalle
richieste
dell’assistito,
dall’organizzazione del lavoro, dai comportamenti e dalle
richieste degli altri operatori sanitari, dall’integrazione con
essi.
L’ampiezza del suo campo decisionale e delle relative
responsabilità, varia a seconda dell’autonomia che gli è
attribuita nelle diverse realtà: ma il principio è riconosciuto
ovunque.
104
La ragione generale per la quale l’infermiere è un agente
morale sta nella natura professionale del suo lavoro.
La formazione etico-morale costituisce
la
premessa
indispensabile per comprendere ed aderire ad un codice di
deontologia professionale con il quale un professionista
della salute, quale è un infermiere, salvaguardando la
dignità della persona assistita, salvaguarda la sua dignità
professionale.
E’
nella
responsabilità
etica
che
si
matura
la
consapevolezza di far corrispondere l’agire nel lavoro con
le esigenze più profonde del nursing e del servizio
sanitario.
Ogni professionista dovrebbe chiedersi quale sia il suo
livello di sviluppo morale e quanto intenda crescere in
questo senso, sapendo che la qualità delle proprie decisioni
etiche sarà diversa a seconda di quanto è andato avanti il
suo processo di maturazione.
L’eticità è un attributo della professionalità, se è assente
anche l’attività sarà spenta e indesiderata con pesanti
105
ricadute
in
termini
di
demotivazione
e
deresponsabilizzazione, disinteresse e progressivo distacco.
Prendere una decisione, fare delle scelte in senso eticomorale nelle circostanze concrete che ripresentano nei
servizi sanitari non è il frutto di una intuizione o
dell’esperienza ma, comporta un processo, che consiste in
una applicazione del metodo problem-solving. 65
Un processo che incomincia con il riconoscimento di un
problema di natura morale e il tentativo di risoluzione.
Le fasi di questo processo sono:
1) identificazione del problema morale,
2) identificazione e utilizzo delle risorse delle persone
coinvolte,
3) applicazione al caso dei principi dell’etica,
4) determinazione degli obiettivi della scelta di una azione
mirante alla soluzione del problema,
5) valutazione dei risultati ottenuti e del processo messo in
atto.
65
Manara D.F., Eguaglianza, diseguaglianza, differenza: le sfide dell’alterità
all’assistenza infermieristica, in Tolleranza: limite o virtù. Per un’etica della professione,
atti del Convegno A.N.I.N., Milano, 1996.
106
La prima fase è certamente la più ardua, sarebbe
auspicabile una certa flessibilità di pensiero quando si deve
necessariamente categorizzare il problema.
Incertezza morale, disagio morale e dilemma etico sono tre
situazioni possibili su cui occorre un’attenta riflessione.
Il Codice Deontologico in questo processo è da ritenere lo
strumento per eccellenza senza escludere come guida a
scelte etiche, la coscienza professionale e le leggi che
regolano l’esercizio professionale e tutelano i diritti delle
persone.66
Qualunque sia la scelta operata dall’infermiere deve avere i
requisiti dell’utilità e della evitabilità di un danno per
l’assistito.
E’ importante soprattutto nella seconda fase saper
prendere in considerazione la persona assistita in primis ed
eventualmente familiare o altre persone significative, quali
risorse attive da utilizzare convenientemente per la
risoluzione del problema morale.
66
Federazione Nazionale I.P.A.S.V.I.
107
Infine, la valutazione dei risultati chiede il confronto con
l’équipe e/o un qualsiasi consesso organizzato ad hoc per la
formazione permanente.
All’agire etico di una persona contribuiscono anche
l’impegno personale animato da un desiderio autentico per
il conseguimento di risultati morali;
la capacità poi di rispondere in modo appropriato ed
efficace a problemi di natura morale richiede lo sviluppo di:
ü Sensibilità Morale: implica la consapevolezza di aspetti
della situazione che influiscono sul benessere sociale e
personale.
Richiede riflessione critica, intuizione, conoscenze morali.
Implica l’interpretazione dei comportamenti verbali e non
verbali di una persona, l’identificazione dei suoi desideri e
bisogni.
E’ influenzata dalla educazione ricevuta, dalla formazione
intellettuale, dall’esperienza di vita.
ü Ragionamento Morale: rappresenta l’atto o il processo di
trarre conclusioni logiche di fatti o segni; la capacità di
stabilire il che cosa fare.
108
Si tratta di un processo cognitivo che può essere ispirato da
intuito ed emozione.
ü Motivazione Morale: riguarda il desiderio e l’interesse
autentici a conseguire buoni risultati morali.
Implica un elevato senso di responsabilità morale e
integrità morale. Implica coerenza tra pensiero e azione.
ü Carattere Morale consiste nella perseveranza, nella
fermezza delle proprie convinzioni e nel coraggio che
permettono di attuare un piano di azione morale.
Il primo compito nell’accingersi a prendere decisioni etiche
è quello di considerare il complesso dei valori posseduti sia
dall’infermiere, (il professionista), sia dalla persona assistita
da cui sono entrambi influenzati e che condizioneranno
inevitabilmente le loro azioni.
Nel momento in cui alcuni valori entrano in conflitto con
altri, l’infermiere deve essere in grado di rispettare quelli
altrui, soppesandoli in relazione ai diritti dei pazienti e ai
propri doveri professionali.
109
L’agire nell’ambito sanitario sebbene sia obbligato ed
anche garantito dalle norme legislative, non presuppone
che tutto ciò che è legale sia legittimo.
E’ possibile infatti, immaginare situazioni in cui un certo
intervento, diagnostico/terapeutico o di ricerca, sia in
accordo con le leggi esistenti, ma contrasti con il giudizio
morale del professionista sanitario generando così conflitti
tra medici e infermieri soprattutto, questo è un dato storico
se pensiamo all’epoca del nazismo, ai manicomi e a
tutt’oggi rispetto a tanti dilemmi etici in medicina: aborto,
eutanasia, trapianti d’organo sperimentazione, contenzione
fisica e farmacologia, terapia elettroconvulsivante.
In ambito psichiatrico restano aperte, (perché poco
considerate e discusse, forse anche a causa di una mentalità
e opinione di massa prevalente intrise al pregiudizio
culturale che rappresenta un pericolo per i diritti
dell’uomo), gravi questioni etiche e morali, (veri e propri
abusi a vari livelli dell’agire cosiddetto terapeutico), che
ledono a tutt’oggi i diritti umani delle persone malate.
110
Mettersi contro la legge comporta sanzioni, seguire la
propria coscienza spesso richiede un alto prezzo, che non
tutti sono disposti a pagare.
Anche se tutti facessimo riferimento alle stesse regole ed
agli stessi valori, esistono libertà e spazi di interpretazione
relativi alla singola situazione e all’incontro di due mondi
diversi, che rendono diverso l’agire quotidiano del
professionista anche in situazioni apparentemente simili.
Il Prof. Spinsanti, in virtù di quanto appena trascritto, dice
che “nell’assistenza la pianificazione standard serve proprio
come guida per guidare i comportamenti che vanno
modulati sul singolo paziente”.67
L’etica clinica è dunque un esercizio particolare della
razionalità umana.
Quella che deve essere esercitata nel contesto di un sapere
incerto e deve tener conto contemporaneamente della
norma e delle eccezioni, dei principi e delle circostanze, di
ciò che è formalmente corretto e di ciò che in una
situazione concreta risulta bene o male minore.
67
Spinsanti Sandro, Bioetica e Nursing: Pensare riflettere e agire, McGraw Hill 2001,
(libro di testo).
111
Non si conosce bene se non facendo, si tratta di elaborare
le proprie analisi e giungere a conclusioni argomentate,
quindi Spinsanti propone una griglia per l’analisi di
situazioni cliniche
che
non
trascuri le
dimensioni
essenziali.
Oltre al processo di evoluzione professionale e alle
disposizioni legislative relative al sistema sanitario, il
Codice
Deontologico
rappresenta
una
coordinata
fondamentale che può orientare l’attività di assistenza
infermieristica
in
maniera
tecnicamente
avanzata,
da
ma
risultare
anche
non
solo
consapevole,
responsabile, etica.
Va ricordato che, mentre nel 1965 il Codice Internazionale
di Etica
dell’infermiera
all’art.
7
dichiarava
che
:
“L’infermiera è tenuta ad eseguire gli ordini del medico in
maniera intelligente e leale” , nel 1973 il Codice del
Consiglio Internazionale
delle
infermiere
indicò un
cambiamento di rotta nel ruolo attribuito alle infermiere: la
“responsabilità primaria” non è più nei confronti dei
medici, ma dei pazienti e cioè “di coloro che hanno bisogno
112
della cura dell’infermiera” richiamando allo stesso tempo
ad una azione “collaborativa con coloro che lavorano
insieme a lei “.
Questa nuova prospettiva ha tra l'altro portato, in tempi
diversi, all’adeguamento dei codici deontologici nei vari
paesi e nel nostro Paese, prima nel 1977 poi nel 1999, infine
nel 2009.
Così la centralità dell’assistito è ora costantemente ribadita,
per esempio,nei punti relativi a: i rapporti con la persona,
informazione, il pluralismo etico, il consenso agli atti
sanitari, l’autonomia e l’autodeterminazione dei pazienti, i
dolori e i sintomi, il limite alle cure, il ruolo dei famigliari,
il lavoro di équipe.
Il Codice è un insieme convenuto di regole e aspettative
per orientare la pratica della professione, con la funzione
anche di promuovere e mantenere gli standard etici di
condotta professionale, (Johnstone, 1999).
Rappresenta da sempre un modello nel campo dei doveri
professionali ma ora, dopo la nuova normativa della
113
professione infermieristica, è anche un discorso sulla
responsabilità.
In particolare la legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni
in materia di professioni sanitarie”, (che ha abolito il
mansionario), all’art. 1 si precisa, infatti, che “..il campo
proprio
di
rappresentato
attività
dai
e
di
responsabilità
contenuti
degli
sanitarie
specifici
è
codici
deontologici”.
Questo contribuisce a rendere il Codice Deontologico
sempre più uno strumento reale e un riferimento concreto
per la professione.
Nei vari articoli del codice del ‘99 ben otto volte si fa
riferimento alla responsabilità assistenziale dell’infermiere,
sette
volte
all’attività,
cinque
volte
alla
necessaria
competenza.
Un codice però non sostituisce la legge, (che regola i
comportamenti di ogni cittadino), o l’etica, (che regola i
comportamenti dell’uomo).
Rappresenta invece:
114
- una guida per affrontare alcune situazioni cliniche più
problematiche,
…...ma
non
è
un
ricettario…né
un
mansionario!
Esistono infatti alcuni fattori che non possono rendere
standardizzabile l’assistenza e che sono inoltre motivo di
complessità, come per esempio le caratteristiche dei singoli
pazienti e le loro patologie, la crescente complessità degli
atti sanitari, la molteplicità dei ruoli professionali, le
caratteristiche delle strutture, le politiche sanitarie etc
- uno strumento per far crescere i professionisti e stimolare
il confronto e la riflessione, oltre che spunto alla
produzione
di
altri
documenti
all’interno
di
aree
assistenziali specifiche.
Contribuisce inoltre a chiarire l’identità del gruppo di
professionisti.
Sono principi guida sottesi al codice deontologico:
- l’autonomia: rispetto per l’autodeterminazione del
paziente e coinvolgimento
del paziente nelle decisioni
che lo riguardano;
115
- la beneficialità: orientamento al bene del paziente
secondo i suoi valori e il suo interesse;
- la non maleficialità: evitare ciò che nuoce o danneggia il
paziente;
- la giustizia-equità: opporsi a discriminazioni e ingiustizie
e promuovere un’equa distribuzione delle, (limitate),
risorse.
Come già detto, il codice ha una rilevanza giuridica che
assume grande importanza nelle eventuali circostanze di
conflitti con gli assistiti, e con le dinamiche di contrasto
che possono svilupparsi.
Negli ultimi tempi molte sentenze hanno tenuto conto dei
contenuti dei codici deontologici delle varie Professioni
Sanitarie: e un avvocato di parte lesa cerca, naturalmente,
di ragionare nei termini più convenienti agli assistiti.
Quando tutti i codici, compreso quello degli Infermieri,
indicano chiaramente che il Professionista ‘…è tenuto a
rispettarlo…’ e che tutti i codici contengono queste
indicazioni chiare:
• tutela della vita e della salute,
116
• rispetto della dignità, dell’autonomia, della libertà e
dei diritti umani,
• negazione delle discriminazioni,
diventa ovvio che il non conoscere tutti i contenuti è
qualcosa di controproducente, di non molto accorto, di
auto-lesionistico per il professionista stesso.
117
Responsabilità e deontologia professionale
dell’Infermiere
Nel nuovo contesto di riconosciuta autonomia della
professione, l’infermiere è chiamato ad essere sempre
meno
un
semplice
esecutore
e
sempre
più
un
professionista, in grado di assumersi la responsabilità della
presa
in
carico
della
persona
assistita,
nonché
dell’organizzazione del lavoro, dell’utilizzo delle risorse,
dell’applicazione dei protocolli terapeutici, della gestione
delle relazioni fra gli altri operatori, del rispetto e della
tutela dei diritti del cliente, della qualità del servizio
erogato.
La responsabilità professionale costituisce, quindi, per la
professione infermieristica un tema di grande attualità e di
estrema complessità: esso condensa in sé una serie di
obblighi giuridici, etici e deontologici tra i quali non è
sempre facile tracciare i confini.
Per meglio comprendere l’articolazione interna al concetto
118
di responsabilità professionale, potrebbe essere utile
tentare una distinzione fra le diverse dimensioni in esso
implicite.
Di fatto, il richiamarsi alla responsabilità quale nuova
parola d’ordine della professione infermieristica mette in
gioco diverse accezioni della responsabilità professionale,
delle quali è importante riconoscere il significato, pur
senza volere forzatamente separare o disgiungere ciò che
nella pratica dell’agire professionale spesso non presenta
soluzioni di continuità.
Nella tradizione italiana della deontologia, il concetto di
responsabilità ha una connotazione fortemente giuridica: il
termine
responsabilità
professionale
è
correlato
al
rispondere di condotte non adeguate, allo scopo di
sanzionare tali condotte ed elaborare le esperienze
negative in modo da trarne insegnamento per analoghe
situazioni che dovessero ripetersi.
In qualità di membri di una professione sanitaria, gli
infermieri sono chiamati ad assumersi la responsabilità del
proprio agire, rispondendo delle implicazioni giuridiche
119
che tale responsabilità comporta in ambito civile, penale e
disciplinare.
Tuttavia, soprattutto a seguito dei grandi cambiamenti che
hanno interessato la professione infermieristica italiana nel
corso degli ultimi dieci anni, la responsabilità professionale
assume una connotazione ulteriore e differente rispetto a
quella giuridica.
L’accezione
tradizionale
del
vecchio
concetto
di
responsabilità professionale è andata incontro ad un
inevitabile mutamento, abbandonando il quasi esclusivo
approccio giuridico: ne sono una riprova la normativa degli
anni Novanta, che per la prima volta introduce la
responsabilità per i risultati anziché per i comportamenti
conformi, alla quale fa seguito l’emanazione dei profili
professionali e l’abrogazione del mansionario, nonché lo
sviluppo dei Codici Deontologici per molte professioni.
Allo scopo di esemplificare il significato specifico di questa
dimensione della responsabilità professionale, si pensi alla
possibilità di distinguere l’agire del singolo individuo
dall’agire del singolo professionista: se l’individuo risponde
120
delle sue azioni alla propria coscienza individuale, il
professionista risponde dei suoi comportamenti alla
propria
coscienza
professionale,
non
esattamente
sovrapponibile alla prima.
La differenza, sicuramente artificiosa rispetto alla realtà
dell’agire quotidiano, non deve però essere sottovalutata,
soprattutto in sede formativa: si ritiene infatti che per un
pieno
sviluppo
del
senso
di
responsabilità
del
professionista la consapevolezza dei propri valori di
persona ed il confronto con quelli che pone la professione
debbano essere sviluppati sin dai primi momenti della
formazione dello studente, per essere poi successivamente
riflettuti e mantenuti dal professionista.
Da questo punto di vista, il Codice Deontologico
dell’infermiere, rappresenta un punto di riferimento
importante.
Il processo di cambiamento e di sviluppo origina all’interno
di un quadro normativo e socioculturale di riferimento che
ha influenzato i concetti di responsabilità professionale e,
conseguentemente,
l’evoluzione
della
professione
121
infermieristica rispetto a tale tematica.
Diventa allora opportuno delineare i principali passaggi
storici, esterni ed interni alla professione infermieristica,
rispetto
al
concetto
Convenzionalmente,
per
di
definire
responsabilità.
il
concetto
di
responsabilità si fa riferimento al campo giuridico.
Responsabilità deriva dal latino “rispondere” e, infatti in
ambito giuridico la responsabilità concerne l’obbligo di
rispondere di un’azione illecita.
Tradizionalmente la responsabilità è suddivisa in tre
ambiti:
La responsabilità penale: l’obbligo di rispondere per
azioni che
costituiscono
un
reato.
La responsabilità civile: l’obbligo di risarcire un danno
ingiustamente
causato.
La responsabilità disciplinare che diventa, per i liberi
professionisti,
una
responsabilità
ordinistico-
disciplinare: ad essa si riferiscono gli obblighi contrattuali
e di
comportamento professionale.
122
In questi ultimi anni, stiamo assistendo ad un cambio
radicale di lettura e di interpretazione dei fenomeni legati
alla responsabilità professionale.
Le motivazioni sono da ascrivere ad un maggior livello
culturale dei cittadini e alla maggior diffusione attraverso i
mass media delle conoscenze mediche e sanitarie,
(fenomeno che ha comportato una crescente attenzione
alle forme di tutela e di auto-tutela dell’assistito nei
confronti
dell’autorità
professionale
degli
operatori
sanitari), alla progressiva identificazione dell’obbligazione
di mezzi con quella di risultati, che comporta, per il
professionista della salute, una responsabilità sia per le
modalità con cui opera, sia per gli effettivi esiti della sua
azione; al ruolo delle società scientifiche che, attraverso la
diffusione di protocolli e linee guida, rendono l’attività
professionale meno libera e più uniforme.
Stiamo passando, essenzialmente, dall’essere chiamati a
rispondere
di
colpa
generica
all’essere
chiamati
a
rispondere di colpa specifica.
Assumiamo dunque queste caratteristiche dell’evoluzione
123
della responsabilità professionale e approfondiamo il
radicale mutamento che i cambiamenti normativi nella
formazione
e
determinato per
Possiamo
nell’esercizio
gli
professionale
hanno
Infermieri.68
considerare
idealmente,
come
elemento
originario di tale processo, l’abrogazione del DPR 225/74
attraverso la legge 42/99.
Il
DPR
225/74
prevedeva
una
serie
di
compiti
infermieristici, perciò la responsabilità dell’infermiere era
limitata esclusivamente alla realizzazione dell’atto, le
logiche gerarchiche di responsabilità interne ai servizi
sanitari erano ben delineate e la nostra giurisprudenza non
ha mai assegnato responsabilità in capo all’esecutore, (si
ricordi che l’infermiere professionale
professione
sanitaria
apparteneva ad una
definita
“ausiliaria”).
A fronte di tutto ciò si aggiungeva il problema che buona
parte dell’attività effettivamente svolta dall’infermiere non
trovava collocazione all’interno del
regolamento.
68
Mangiacavalli B., La nuova dimensione della responsabilità professionale
infermieristica in: “Nursing oggi”,
Lauri editore, Milano, n.3, anno VII, lug/sett 2002, (pubblicazione scientifica).
124
Pertanto la giurisprudenza vietava all’infermiere ciò che
non
era
espressamente
vincolando
soprattutto
previsto
enormemente
all’esterno
della
dal
l’esercizio
struttura
mansionario,
professionale,
ospedaliera
o
sanitaria.
Delineare le nuove dimensioni dell’attuale responsabilità
infermieristica
significa
tentare
un’analisi
integrata
dell’evoluzione normativa, deontologica e professionale.69
Tale analisi offre la possibilità di individuare alcune
caratteristiche innovative che costituiscono la rinnovata
responsabilità infermieristica.
La
responsabilità
clinico-assistenziale
viene
determinata peculiarmente dalla Legge 42/99, la cui
approvazione ha dato valore e risalto al D.M. 14 settembre
1994, n.739, “Regolamento concernente l’individuazione
della
figura
e
del
relativo
profilo
professionale
dell’infermiere”.
69
Gabrielli M., La Responsabilità professionale, in “Guida all’esercizio della professione
di infermiere”,
C.G.edizioni medico-scientifiche, Torino, 2002, cap 2, sez II, pp 117-135, (libro di testo).
125
Il secondo comma dell’art.1 della Legge 42/99 recita, infatti:
“….dalla data di entrata in vigore della presente legge sono
abrogati il regolamento approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n.225, ad
eccezione delle disposizioni del titolo V, (infermiere
generico)…..
Il campo di attività e responsabilità delle professioni
sanitarie….è
determinato
dai
contenuti
dei
decreti
ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli
ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma
universitario e di formazione post-base nonché degli
specifici codici deontologici, fatte salve le competenze
previste per le professioni mediche e per le altre professioni
del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il
possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle
specifiche competenze professionali”.
Gli elementi del Profilo professionale indispensabili per
identificare una responsabilità infermieristica possono
essere evidenziati nel seguente modo:
126
- il comma 1 dell’art. 1 fornisce una definizione di
infermiere ed affida a
tale
professionista una
responsabilità totale per quanto riguarda l’assistenza
generale infermieristica.
Questo significa assumere la responsabilità dell’intero
processo assistenziale, (comma 2 e 3), dalla raccolta dei
dati
all’identificazione
dei
bisogni
di
assistenza
infermieristica alla pianificazione, gestione e valutazione
dell’intervento assistenziale infermieristico, (si tratta,
quindi, del processo messo in atto dall’infermiere come
risposta ad un bisogno specifico),
in secondo luogo la
norma sancisce l’utilizzo di una metodologia scientifica e
valida quale il processo di assistenza infermieristica che
indirettamente
documentazione
comporta
l’implementazione
infermieristica,
di
necessaria
una
per
documentare concretamente e storicamente le prestazioni
infermieristiche.
Si tratta di una responsabilità che assume non solo una
mera valenza amministrativa, ma anche legale come atto
pubblico;
127
- sempre il comma 3 dell’art.1 contempla le attività svolte
dall’infermiere che, in collaborazione con altre professioni,
contribuiscono al risultato di salute: la partecipazione
all’identificazione dei bisogni di salute, la corretta
applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutica,
l’azione sia individuale sia in collaborazione con gli altri
operatori sanitari e sociali.
Le espressioni e i termini utilizzati sono già significativi nel
delimitare
una
responsabilità
condivisa
con
altre
professioni, dove ognuno risponde per il proprio ambito
peculiare.
Altro elemento rilevante contenuto in questo comma è la
legittimazione degli ambiti di esercizio dell’infermiere:
finalmente
l’infermiere
abbandona
l’esercizio
istituzionalizzato, dove, di fatto, le responsabilità erano
trasferite a qualcun altro; l’infermiere che esercita sul
territorio, a domicilio o in regime di libera professione
opera, alla luce della legge 42/99, con le medesime
responsabilità di chi è in servizio all’interno di una
struttura sanitaria.
128
L’assegnazione
della
responsabilità
dell’assistenza
infermieristica all’infermiere comporta giuridicamente due
concetti: l’autonomia professionale
e la scientificità
dell’assistenza infermieristica.
Partendo da questo presupposto irrinunciabile, affrontiamo
ora l’analisi dell’attività infermieristica dal punto di vista
giuridico e disciplinare.
La legge 42/99 rimanda al Codice deontologico, al Profilo
professionale e all’ordinamento didattico l’individuazione
del campo proprio, quindi esclusivo, di autonomia e
responsabilità dell’assistenza infermieristica.
Se all’interno del Profilo si ricercano degli elementi utili per
delineare il campo esclusivo, troviamo al punto 1.3 che
l’infermiere:
ü identifica i bisogni di assistenza infermieristica;
ü pianifica l’intervento infermieristico;
ü gestisce l’intervento infermieristico;
ü valuta l’intervento infermieristico;
ü garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni
diagnostico- terapeutiche;
129
ü agisce sia individualmente, sia in collaborazione con
altri operatori sanitari e
sociali;
ü si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di
supporto, (il che significa sostanzialmente attribuire
attività ad altri operatori).
La Responsabilità gestionale-organizzativa: nell’estate
del 2000 è promulgato uno dei provvedimenti normativi
più attesi dalla professione infermieristica: la legge 251
istitutiva della Dirigenza.
Tale documento si inserisce a pieno titolo nell’attuale
contesto
professionale
poiché
rafforza
e
legittima
l’autonomia e la responsabilità infermieristica, non solo a
livello clinico-assistenziale, ma anche a livello gestionaleorganizzativo e formativo.
Il comma 1 dell’art. 1 prevede infatti, che gli operatori delle
professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche
svolgono con autonomia professionale attività dirette alla
prevenzione, cura e salvaguardia della salute individuale e
collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme
istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli
130
specifici Codici deontologici e utilizzando metodologie di
pianificazione per obiettivi dell’assistenza.
Come si evince chiaramente, il filo conduttore del
rinnovato esercizio infermieristico è un comportamento
orientato dal Profilo professionale, dal Codice deontologico
e dall’Ordinamento didattico.
Continuando nell’analisi del testo normativo, il comma 3
dell’art. 1 prevede che il ministero della salute emani linee
guida per l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della
diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza
infermieristica e delle connesse funzioni e la revisione
dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di
assistenza personalizzata.
Attribuire la diretta responsabilità e gestione delle attività
di assistenza infermieristica significa delineare, nelle
aziende sanitarie una linea gerarchica e funzionale chiara
di tutti gli infermieri: il Dirigente Infermieristico viene
infatti chiamato a governare tutti i processi organizzativi
della funzione infermieristica e quindi a governare i
131
professionisti sanitari che realizzano tali processi, cioè gli
infermieri.
132
MATERIALI E METODI
Ricerca, strumenti e campione
Viene spontaneo domandarsi quale sia lo stimolo che porta
alla realizzazione di una ricerca sull’etica infermieristica.
Partendo
dall’analisi
del
Codice
Deontologico,
soffermandosi con attenzione sugli art.li 4 e 5:
“L’infermiere presta assistenza secondo
principi di equità e giustizia,
tenendo conto dei valori etici, religiosi
e culturali, nonché del genere
e delle condizioni sociali della persona”
e
“Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo
e dei principi etici della professione
è condizione essenziale per
l’esercizio della professione infermieristica”
Appare palese
come tutta l’attività dell’infermiere sia
circondata
un
da
“intenso
alone
bioetico”,
questo
l’infermiere lo sa bene, ma quanto sono salde le conoscenze
etiche dell’infermiere?
133
O meglio la preparazione di base è sufficiente a garantire la
capacità di analisi dei dilemmi etici quotidiani durante
tutto l’arco della vita lavorativa?
Questo è lo scopo di questa ricerca: verificare se il bisogno
di formazione e apprendimento in termini bioetici è
suscettibile di variazione, inducendo nel professionista una
riflessione, attraverso la lettura di casi clinici rilevanti per il
loro intenso contenuto bioetico.
Scendendo nel dettaglio, questa ricerca si suddivide in tre
fasi, fondamentali:
1. consegna del primo questionario al campione;
2. consegna del materiale informativo al campione: casi
clinici da leggere e alcune brevi definizioni;
3. consegna del secondo questionario al campione.
Lo scopo di ogni fase può essere così brevemente descritto:
1. analisi della percezione della questione bioetica da
parte degli infermieri, della loro consapevolezza o
meno di possedere strumenti atti all’analisi dei
dilemmi,
della
loro
conoscenza
dei
principi
fondamentali della bioetica;
134
2. indurre nel professionista infermiere una riflessione
in termini bioetici, presentando all’infermiere la
lettura di casi clinici caratterizzati da un intenso
contenuto
bioetico,
fornire
all’infermiere
la
definizione dei principi fondamentali della bioetica;
3. valutare l’eventuale variazione nelle risposte fornite
dall’infermiere prima della lettura rispetto a quelle
fornite dopo la lettura.
Una ricerca di tipo applicato nasce dall’esigenza di
migliorare la situazione del contesto operativo in cui lavora
l’infermiere.
Questa ricerca è stata effettuata su una parte dell’universo
e per questo è una ricerca campionaria.
Il campione è significativo, cioè rappresenta tutte le
caratteristiche dell’universo di cui fa parte.
L’indagine è stata condotta su un campione di 98
infermieri: 50 infermieri dello Stabilimento ospedaliero di
Fivizzano,
28
infermieri
del
C.d.L.S.
Scienze
infermieristiche, 20 infermieri reclutati tramite Internet.
135
Per condurre la ricerca è stato somministrato un primo
questionario composto da 11 domande chiuse a risposta
multipla, in seguito è stato somministrato al campione del
materiale da leggere, e al termine un secondo questionario
identico al primo tranne che per una domanda.
Le
modalità
di
indagine
scelte,
presuppongono
la
possibilità del campione di essere reperito più volte e in
tempi diversi, la disponibilità degli infermieri in questione
nel rivolgere la propria attenzione alla lettura dei casi
sottoposti e l’attenta riflessione nel rispondere a domande
che in prima istanza possono sembrare alquanto banali.
136
Presentazione dei risultati
Analizzando i risultati dei questionari, si sottolinea l’alta
percentuale di astensione: 98 questionari consegnati 50
ritirati, una responsività quindi del 51%; i motivi di una così
alta
astensione
possono
essere
ricondotti
fondamentalmente a:
ü scarso interesse per la ricerca;
ü scarso interesse per l’argomento;
ü scarse conoscenze;
ü mancanza di tempo per la lettura dei casi e la
compilazione del questionario.
Entrando nel merito delle risposte fornite, si procede con
un’analisi per singola domanda, confrontando le risposte
date prima della lettura dei casi clinici con quelle fornite
dopo la lettura.
137
Primo questionario
Prima domanda
Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi etici e
deontologici da quelli di altra natura?
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 17; 34%, quasi sempre 26; 52%,
sempre 7; 14%
Fig.1
0% 0%
14%
34%
mai
quasi mai
talvolta
52%
quasi sempre
sempre
138
Secondo questionario
Prima domanda
mai 0, quasi mai 0, talvolta 29; 58%, quasi sempre 20; 40%,
sempre 1; 2%
Fig.2
2% 0% 0%
40%
mai
58%
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
La variazione fra le risposte fornite “prima” e quelle fornite
“dopo”, non è così marcata, questo è dovuto proprio alla
qualità della domanda, abbiamo comunque generato un
“ragionevole dubbio”, in precedenza traspariva una certa
sicurezza, ora abbiamo di fronte una situazione di minore
sicurezza, l’interrogativo che si pone il professionista è: sarò
davvero in grado di riconoscere i problemi etici e deontologici?
139
Primo questionario
Seconda domanda
Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o la
conseguenza di questa?
Lo scopo 0, la conseguenza 5; 10%, entrambe 42; 84%, non so
3; 6%
Fig.3
0%
6%
10%
lo scopo
la conseguenza
84%
entrambe
non so
140
Secondo questionario
Seconda domanda
Lo scopo 0, la conseguenza 8; 16%, entrambe 42; 84%,
non so 0
Fig.4
0% 0%
16%
lo scopo
la conseguenza
84%
entrambe
non so
A questa domanda non c’erano da aspettarsi variazioni
significative.
141
Primo questionario
Terza domanda
Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene?
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 2; 4%, quasi sempre 24; 48%,
sempre 24; 48%
Fig.5
0%
0% 4%
48%
48%
mai
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
142
Secondo questionario
Terza domanda
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 18; 36%, quasi sempre 29; 58%,
sempre 3; 6%
Fig.6
0% 0%
6%
36%
mai
quasi mai
58%
talvolta
quasi sempre
sempre
Anche in questo caso si registra un aumento di insicurezza,
analizzando le risposte, dopo la lettura dei casi, l’infermiere
non è più tanto sicuro del significato del concetto di “bene”.
143
Primo questionario
Quarta domanda
Il principio di agire per il bene del paziente o benevolenza è
sufficiente per orientare le scelte professionali?
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 26; 52%, quasi sempre 17; 34%,
sempre 7; 14%
Fig.7
0% 0%
14%
52%
34%
mai
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
144
Secondo questionario
Quarta domanda
Mai 2; 4%, quasi mai 15; 30%, talvolta 14; 28%,
quasi sempre 14; 28%, sempre 5; 10%
Fig.8
10%
4%
30%
28%
mai
quasi mai
talvolta
28%
quasi sempre
sempre
In questo caso la variazione è notevole, questo implica il fatto
che il professionista non avesse le idee molto chiare sul
significato di benevolenza, ad una tale variazione corrisponde
una forte richiesta di formazione.
145
Primo questionario
Quinta domanda
Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio di
giustizia?
Mai 0, quasi mai 12; 24%, talvolta 26; 52%,
quasi sempre 9 ; 18%, sempre 3; 6%
Fig.9
0%
6%
18%
24%
mai
quasi mai
talvolta
52%
quasi sempre
sempre
146
Secondo questionario
Quinta domanda
Mai 0, quasi mai 15; 30%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 6; 12%,
sempre 0
Fig.10
0% 0%
12%
30%
mai
quasi mai
58%
talvolta
quasi sempre
sempre
In questo caso si registra una leggera diminuzione di sicurezza.
147
Primo questionario
Sesta domanda
Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologico?
Mai 2; 4%, quasi mai 10; 20%, talvolta 26; 52%,
quasi sempre 10; 20%, sempre 2; 4%
Fig.11
4% 4%
20%
20%
mai
quasi mai
talvolta
52%
quasi sempre
sempre
148
Secondo questionario
Sesta domanda
Mai 0, quasi mai 6; 12%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 6; 12%,
sempre 9; 18%
Fig.12
0%
18%
12%
12%
mai
quasi mai
58%
talvolta
quasi sempre
sempre
Da questa variazione si registra un aumento della
consapevolezza del proprio agire professionale, semplicemente
dopo la lettura di alcuni casi clinici, il risultato è notevole.
149
Primo questionario
Settima domanda
Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per
prevenire una sofferenza reale o prevedibile?
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 26; 52%, quasi sempre 22; 44%,
sempre 2; 4%
Fig.13
0%
4% 0%
mai
44%
52%
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
150
Secondo questionario
Settima domanda
Mai 0, quasi mai 4; 8%, talvolta 29; 58%, quasi sempre 17; 34%,
sempre 0
Fig.14
0% 0%
8%
34%
mai
quasi mai
58%
talvolta
quasi sempre
sempre
La variazione è minima e non significativa.
151
Primo questionario
Ottava domanda
Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni
etico-deontologiche?
Mai 0, quasi mai 12; 24%, talvolta 17; 34%, quasi sempre 17;
34%, sempre 4; 8%
Fig.15
0%
8%
24%
34%
mai
quasi mai
34%
talvolta
quasi sempre
sempre
152
Secondo questionario
Ottava domanda
Mai 0, quasi mai 18; 36%, talvolta 24; 48%, quasi sempre 8; 16%
sempre 0
Fig.16
0%
0%
16%
36%
mai
quasi mai
talvolta
48%
quasi sempre
sempre
Il risultato è notevole, la tendenza si è invertita, da una certa
sicurezza, si passa ad un’insicurezza manifesta.
153
Primo questionario
Nona domanda
Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo
decisionale?
Mai 0, quasi mai 7; 14%, talvolta 14; 28%, quasi sempre 19; 38%,
sempre 10; 20%
Fig.17
0%
20%
14%
28%
mai
quasi mai
38%
talvolta
quasi sempre
sempre
154
Secondo questionario
Nona domanda
Mai 3; 6%, quasi mai 3; 6%, talvolta 29; 58%,
quasi sempre 9; 18%, sempre 6; 12%
Fig.18
12%
6%
6%
18%
mai
quasi mai
58%
talvolta
quasi sempre
sempre
Nella risposta del secondo questionario appare il mai e
scendono i valori del sempre e del quasi sempre, si genera
quindi insicurezza.
155
Primo questionario
Decima domanda
Quante volte hai cercato nel Codice Deontologico la risposta
alle questioni etiche più urgenti?
Mai 8; 16%, quasi mai 19; 38%, talvolta 19; 38%,
quasi sempre 4; 8%, sempre 0
Fig.19
0%
8%
16%
38%
mai
quasi mai
38%
talvolta
quasi sempre
sempre
156
Secondo questionario
Decima domanda
Quante volte pensi cercherai nel Codice Deontologico la
risposta alle questioni etiche più urgenti?
Mai 8; 16%, quasi mai 14; 28%, talvolta 18; 36%,
quasi sempre 10; 20%, sempre 0
Fig.20
0%
20%
16%
mai
28%
36%
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
In base alla variazione registrata nella risposta data al secondo
questionario si rileva un aumentato bisogno, da parte del
professionista, di utilizzare strumenti diversi dalla propria
coscienza nel processo decisionale.
157
Primo questionario
Undicesima domanda
Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in
materia di etica e/o deontologia professionale?
Mai 0, quasi mai 2; 4%, talvolta 10; 20%, quasi sempre 12; 24%,
sempre 26; 52%
Fig.21
0%
4%
20%
mai
52%
quasi mai
24%
talvolta
quasi sempre
sempre
158
Secondo questionario
Undicesima domanda
Mai 0, quasi mai 0, talvolta 6; 12%, quasi sempre 12; 24%,
sempre 32; 64%
Fig.22
0%
0%
12%
24%
64%
mai
quasi mai
talvolta
quasi sempre
sempre
Appare chiaro che il professionista chiede formazione in modo
maggiore dopo la lettura dei casi clinici.
159
DISCUSSIONI E CONCLUSIONI
L’etica è alla base dell’operato dell’infermiere, ogni gesto,
ogni pensiero, ogni azione deve essere valutato con la
consapevolezza dei principi fondamentali della bioetica.
Lo scopo della mia ricerca è stato quello di dimostrare che
la percezione della questione bioetica, da parte del
professionista infermiere, è suscettibile di variazione
quando egli si trova davanti a veri e propri dilemmi etici.
Ad una variazione in tal senso corrisponde una richiesta di
formazione e/o approfondimento in termini bioetici.
Dalla ricerca effettuata si evince chiaramente un bisogno di
formazione e apprendimento del campione preso in esame,
visto che il campione rappresenta l’universo, si può
affermare che l’infermiere necessita di formazione continua
in bioetica, disciplina dalla quale non si può prescindere
nell’esercizio della professione infermieristica.
Idealmente la dimensione della responsabilità formativa
costituisce il canovaccio su cui si inseriscono le altre
160
dimensioni della responsabilità.
Infatti, è nel momento
formativo che si plasma la forma mentis dell’infermiere allo
scopo di costruire una chiara identità e consapevolezza
infermieristica e, soprattutto di sviluppare una piena
padronanza dei processi decisionali rispetto al campo
proprio di attività.
Ciò significa, in sostanza, che la formazione, oltre a far
acquisire
le
conoscenze
teoriche,
la
competenza
professionale e l’abilità pratica, deve far acquisire il metodo
di ragionamento per discriminare nei dilemmi etici, tra
modalità diverse di comportamento, e sulla base di una
precisa metodologia di analisi, quale il comportamento
finalizzato al bene dell’utente.
Il processo di riflessione e’ lontano da ritenersi concluso.
Senza entrare nel relativismo, l’etica non è una disciplina
dalle risposte sicure, ma è la capacità di farci delle
domande.
E’ chiaro dai dati emersi dall’indagine, che l’infermiere di
fronte a questioni etiche urgenti, mette in dubbio le
proprie
conoscenze,
la
propria
consapevolezza,
gli
161
strumenti usati fino a quel momento, in altre parole inizia
a porsi delle domande.
Lo sforzo a cui tutti si è chiamati è quello di rispettare la
persona e di ricercare la verità in ogni circostanza ciascuno
nel tempo e nel luogo in cui si trova a vivere e a operare.
Credo di aver raggiunto lo scopo del mio lavoro di ricerca,
il bisogno di approfondimento dei temi della bioetica è
necessario per ciascun infermiere, è sufficiente trovarsi di
fronte ad un particolare caso clinico per mettere in
discussione gli strumenti e le conoscenze posseduti.
Solitamente, intraprendendo un discorso, una discussione
inerente la bioetica, molti professionisti appaiono per nulla
interessati,
affermando
in
modo
convinto
che
sia
sufficiente il buonsenso e la propria coscienza per
affrontare qualsiasi problema.
E’ proprio questa convinzione che ho cercato di sradicare
all’interno del campione che ha preso parte alla mia
ricerca, inducendo una riflessione con la lettura di casi
clinici, credo di aver messo il professionista in una
162
posizione difficile, quella della scelta: “ come mi sarei
comportato io?”
Ed è a questo punto che l’infermiere sente la necessità di
approfondire le proprie conoscenze sulla bioetica, per
avere a disposizione strumenti diversi dal proprio buon
senso e dalla propria coscienza che non sono per nulla
sufficienti ad aiutarci nelle scelte riguardanti i nostri
pazienti.
Vedo il mio lavoro come un punto di partenza per altre
discussioni, sarebbe interessante verificare il punto di vista
dei pazienti, basandomi sulla “Carta dei diritti del
paziente”, mi piacerebbe somministrare un questionario ad
un campione di pazienti per verificare se questi diritti sono
rispettati e tutelati dal personale sanitario.
163
BIBLIOGRAFIA
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agire, McGraw Hill 2001, (libro di testo).
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responsabilità professionale infermieristica in: “Nursing
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Lauri editore, Milano, n.3, anno VII, lug/sett 2002,
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C.G.edizioni medico-scientifiche, Torino, 2002, cap 2, sez
II, pp 117-135, (libro di testo).
70.Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in
Bioetica per infermieri dell’Istituto Giano con il patrocinio
della cattedra di Igiene dell’Università di Tor Vergata (a.a.
2002/2003)
71. Spinsanti S. , Le ragioni della bioetica Ed. Cidas, Roma,
1999 - pag 45 …leggendo i giornali, (libro di testo).
72. 75 Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in
Bioetica per infermieri dell’Istituto Giano con il patrocinio
della cattedra di Igiene dell’Università di Tor Vergata (a.a.
2002/2003).
73. 74 Atti del seminario di Bioetica: “Strumenti e metodi in
bioetica. Paradigmi teorici e dilemmi etici. Discussione di
casi clinici”, cattedra di Bioetica del prof. Guido Traversa
Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e
Docenti Infermieri Gaetano Romigi, Alessandro Stievano e
Laura Sabatino, 27/04/2004.
172
76.77. Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante
Dirigente (IDD) Piera Bergomi – Docente di antropologia e
Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica
dell’Università degli studi di Brescia.
173
ALLEGATI
CASI CLINICI
Caso 170
“Quando il caso crea giurisprudenza”
Descrizione del caso:C’era una volta un famoso chirurgo, C.M.,
il quale operava in un altrettanto famoso Ospedale di Firenze.
Un giorno si rivolge a lui una signora, la quale era affetta da
polipi intestinali recidivanti; era stata già operata per ben 2
volte a causa dello stesso problema ed aveva da subito
manifestato l’intenzione di non volersi sottoporre ad altro
intervento chirurgico, specie se demolitivo.
La costituzione di un ano preternaturale non l’avrebbe
sopportata…meglio morire!!
Il chirurgo la rassicura e la informa che le avrebbe rimosso i
polipi per via endoscopica…”stia tranquilla!” le disse.
L’intervento chirurgico è eseguito secondo scienza e coscienza,
ma contrariamente alla volontà della malata e alle
rassicurazioni dello stesso chirurgo, la signora subisce una
asportazione colorettale e il confezionamento di un ano
preternaturale.
Ci sono
inoltre
serie
complicanze
postoperatorie che costringono l’equipe ad un re-intervento
quasi immediato in urgenza a seguito del quale la paziente
muore.
70
Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in Bioetica per infermieri
dell’Istituto Giano con il patrocinio della cattedra di Igiene dell’Università di Tor
Vergata (a.a. 2002/2003)
174
Scatta conseguentemente la denuncia dei familiari per
trasgressione della volontà della malata, ma il chirurgo si
difende inizialmente sostenendo che, in scienza e coscienza,
per quel caso clinico, secondo i manuali e secondo l’esperienza
clinica, era previsto solo quell’iter terapeutico.
L’opinione dei giudici, relativamente al caso su descritto, si
basa essenzialmente su tre domande:
1) se la paziente non fosse stata operata, sarebbe morta?
Risposta: no
2) tra l’atto medico e il decesso esiste legame?
Risposta: si
3) la morte è stata intenzionale?
Risposta: no
La conclusione dei giudici
PRETERINTENZIONALE
pertanto
è:
OMICIDIO
Tale sentenza è emessa dalla Corte d’Assise di Firenze nel 1990
( sentenza definitiva in Cassazione nel 1992) adducendo come
motivazioni:
• negazione del “diritto al rifiuto delle cure” anche se da ciò
possano derivare estreme conseguenze
• impossibilità
trattamenti
di
opporsi
all’imposizione
coattiva
dei
• “mancato esercizio di volontà dell’avente diritto”
Le conseguenze di questo fatto vanno ben oltre le sentenze dei
giudici ed hanno eco e risonanza nella classe medica, tant’è
che nel 1995 cambia lo stesso Codice Deontologico dei medici.
Negli anni successivi si assiste ad un incremento notevole di
denunce e richieste di risarcimenti materiali e morali dei
cittadini verso i medici, non solo per imperizia, imprudenza o
negligenza, ma soprattutto per mancate autorizzazioni o
assenti informazioni.
175
Si passa da 0,6 sentenze/anno tra il ’50 e il’90 a ben 3,9
sentenze/anno tra il ’91 e il 2000 !! (cfr. dati del CED della
Corte di Cassazione).
Caso 271
“A proposito di etica economica ed organizzativa”
Descrizione del caso:
La piccola B ha 10 anni ed è affetta da leucemia mieloide. Viene
trattata con chemioterapici e sottoposta successivamente a
trapianto di midollo nell’Ospedale “X”.
Dopo circa un anno dall’intervento presenta una grave
ricaduta e viene ricoverata nell’ospedale “y”.
Le due equipe si consultano e il risultato è: l’esperienza clinica
e le statistiche dicono che a una ricaduta post-trapianto
sopravvive, in genere, solo un paziente su 40. Sarebbe possibile
un reintervento di trapianto di midollo ma un nuovo
trattamento ed un nuovo trapianto costerebbero ben 210
milioni di vecchie lire.
I medici del secondo Ospedale, pertanto, non danno l’assenso
ad un nuovo intervento di trapianto di midollo giustificandosi
così: “meglio otto settimane di pace che una via crucis
dall’esito improbabile”
Il padre però si rivolge ai giudici i quali in primo grado gli
danno ragione; in secondo grado, invece, la Corte cancella la
determinazione precedente e avvalla la decisione dell’equipe
medica dell’Ospedale.
71
S.Spinsanti , Le ragioni della bioetica Ed. Cidas, Roma, 1999 - pag 45 …leggendo i
giornali, (libro di testo).
176
Il caso esplode immediatamente: la stampa e i media
accendono i riflettori sulla questione aprendo un dibattito; si
oppongono due correnti di pensiero, una sostenuta
dall’autorità sanitaria, (prevalentemente su base economica), e
l’altra della gente comune e dell’opinione pubblica in genere,
(prevalentemente basata sui sentimenti).
A questo punto compare un anonimo donatore-benefattore
grazie al quale la piccola B viene operata in gran segreto in una
clinica privata.
Analisi del caso:
Gli attori di questo caso etico sono molti:
1. La piccola B. di 10 anni
2. Il padre e la madre della piccola B.
3. I medici del 1° Ospedale
4. I medici del 2° Ospedale
5. L’autorità giudiziaria
6. L’autorità sanitaria
7. L’opinione pubblica
8. L’anonimo donatore
Tutti esprimono il loro pensiero in merito alla questione, sulla
base di diverse aspettative e/o prospettive, ma nessuno si pone
la vera domanda, e cioè: chi può e deve veramente decidere in
questo caso ?
Inoltre gli aspetti etici che occorrerebbe esplorare sono:
-il comportamento “obbligato”;
-il comportamento “eticamente giustificabile” secondo i principi
di non malevolenza, di giustizia, di benevolenza, di autonomia.
1. Nel dilemma etico si deve perseguire il bene collettivo o
quello individuale?
177
2. Quale deve essere la migliore allocazione delle risorse dei
contribuenti?
3. Chi decide la cura?
Solo il padre, entrambi i genitori, i medici del 2° ospedale in
maniera indipendente o dopo aver consultato l’equipe del 1°
ospedale, i giudici a cui si sono rivolti i genitori, l’autorità
sanitaria, i contribuenti, tutti insieme.
4. …..e fra tanti l’opinione della piccola B cosa conta ?
5. Il trattamento quali benefici effettivi porta ? e a fronte di
questi quali eventuali sofferenze, disturbi o addirittura danni ?
6. Esistono alternative? Se sì, vengono illustrate ai genitori?
Caso 372
“Un americana a Roma”
Descrizione del caso:
La storia si svolge nel 1989 a Roma dove la corrispondente
americana di “Newseek”,
residente in zona Trastevere, ricovera d’urgenza tramite P.S. il
proprio figlio di alcuni mesi al
vicino Ospedale
Fatebenefratelli. Il motivo che porta a tale ricovero urgente
sono le gravi difficoltà respiratorie del piccolo e tale situazione
richiede un primo trattamento salvavita presso il P.S. stesso.
Da lì poi, valutata la gravità delle condizioni cliniche, viene
trasferito in Terapia intensiva pediatrica.
72
Spinanti S., lezioni del corso di perfezionamento in Bioetica per infermieri
dell’Istituto Giano con il patrocinio della cattedra di Igiene dell’Università di Tor
Vergata (a.a. 2002/2003).
178
Nel reparto di Terapia intensiva permane una settimana,
durante la quale tra alti e bassi, riprese e ricadute, il caso è
brillantemente inquadrato e risolto; la diagnosi fu quella di
una virosi polmonare acuta aggravata dall’uso indiscriminato
di antibiotici nel periodo pre-ricovero. Il piccolo viene
dimesso in buone condizioni con grande gioia della mamma e
non vi saranno in seguito altri episodi.
La giornalista, paradossalmente non informata sull’esistenza in
Italia di un SSN che, differentemente dagli USA, copre
totalmente le spese in questi casi, indipendentemente se il
cittadino è italiano o straniero, ricco o povero
economicamente, si presenta allo sportello dell’Ospedale per
pagare il “conto”.Le viene spiegato che, poichè il figlio è
passato per il P.S. ed è stato ricoverato urgentemente in una
Unità di cure intensive, le prestazioni sanitarie sono gratuite.
Con grande meraviglia per la giornalista si chiude una storia di
buona sanità…..almeno apparentemente! Perché almeno
apparentemente? Perché qualche giorno dopo sulla rivista
“Newseek” appare un articolo sul funzionamento della Sanità
in Italia che cambia radicalmente i termini della questione
ribaltandoli dalla “semplice” (si fa per dire) efficienza nel
risolvere i casi clinici e dalla gratuità delle cure, alla Qualità
intrinseca e percepita dall’utente relativa alla accoglienza, alle
comunicazioni/informazioni, alle relazione con il personale
sanitario, all’accesso alle strutture. In sostanza la giornalista
nel raccontare con enfasi il suo caso personale poneva
l’accento su un altro aspetto della vicenda vissuto sulla propria
pelle. Durante quella settimana di ricovero ella aveva ricevuto
pochissime informazioni per lo più generiche, sulle condizioni
del figlio, non aveva potuto abbracciarlo perché l’accesso alla
Terapia intensiva era consentito solo dall’esterno e per pochi
minuti, la relazione col personale sanitario era stata fugace e
confusionaria poiché legata alla disponibilità del medico o
degli infermieri in turno quasi sempre occupati in tante altre
faccende e quasi mai disponibili al colloquio; a ciò si aggiunga
che aveva visto il Primario una sola volta nell’arco della
settimana e che le notizie ricevute non erano neanche
omogenee a quelle fornite dal resto dell’equipe.
179
La giornalista nell’articolo sottolineava come questo clima non
fosse vissuto solo da lei, ma da quasi tutti i genitori dei neonati
lì ricoverati.
Ella termina il suo racconto asserendo che, nonostante il caso
fosse stato risolto e non avesse sborsato nulla
economicamente, aveva passato, a causa di quel “clima”, la
peggior settimana della sua vita, immersa nell’ansia, nella
preoccupazione, nella solitudine e nell’emarginazione, senza
poter neanche sfiorare il figlio e in assenza di informazioni o,
peggio ancora, in presenza di informazioni disomogenee, in
una struttura peraltro fredda, senza punti di riferimento e
determinata al solo raggiungimento del risultato clinico,
assolutamente deficitaria nel comprendere le esigenze e i
bisogni dei genitori.
Caso 473
“La volontà del paziente va sempre rispettata?”
Descrizione del caso
Il sig. Rossi è un uomo di 75 anni affetto da epatite cronica da
HCV; il decorso della malattia, alternando periodi di discreta
salute con episodi sempre più frequenti di encefalopatia
epatica, lo ha costretto a frequenti ricoveri in ospedale dove
presto instaura rapporti stretti e confidenziali con il personale
infermieristico.
Con il tempo le sue condizioni peggiorano: appare sempre più
affaticato e sofferente.
73
Atti del seminario di Bioetica: “Strumenti e metodi in bioetica. Paradigmi teorici e
dilemmi etici. Discussione di casi clinici”, cattedra di Bioetica del prof. Guido Traversa
Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e Docenti Infermieri Gaetano Romigi,
Alessandro Stievano e Laura Sabatino, 27/04/2004.
180
In uno degli ultimi ricoveri confida a due infermieri di essere
stanco di questi continui ricoveri e di questa malattia che lo fa
stare così male; infatti afferma: “non ho speranze di guarire, né
di migliorare le mie condizioni e vivere serenamente il tempo che
mi è rimasto, ormai sono vecchio e stanco di soffrire, che senso
ha continuare a curarmi? Non voglio prolungare questa
sofferenza, preferisco morire!”
Nonostante le rassicurazioni degli infermieri ribadisce più
volte e ripetutamente lo stesso concetto.sig. Rossi torna a casa:
qui inizia a non assumere più le terapie e non rispetta la dieta
alimentare prescrittagli dai medici; le sue condizioni fisiche
sono sempre più scadenti e ben presto necessita un nuovo
ricovero. In ospedale appare sempre più confuso e
disorientato: rifiuta ogni terapia, con la sola eccezione degli
antidolorifici; viene sottoposto a nuove indagini diagnostiche,
tra cui una ecografia epatica. Dalle indagini si evidenziano
alcuni noduli epatici e dopo un breve
consulto con i figli l’équipe medica propone un intervento di
alcoolizzazione epatica. Il sig. Rossi rifiuta nuovamente le cure
proposte con veemenza e rabbia; il personale medico tenta
nuovamente ed invano di convincerlo. I figli, sempre più
preoccupati, tentano, con insistenza, di convincere i medici a
intervenire; sono fermamente convinti, come del resto i
medici, che il padre rifiuta le terapie e l’intervento a causa del
disorientamento e della confusione generati dallo stato
avanzato della malattia
Discussione in equipe:
Durante una riunione in reparto un medico espone il caso del
sig. Rossi ed afferma: “non possiamo continuare ad
assecondarlo, è evidente che questo suo comportamento è
solo l’effetto dell’encefalopatia epatica; se si rendesse
conto della gravità del suo stato, sicuramente non
rifiuterebbe la terapia e l’intervento”
Interviene un infermiere: “…è vero il sig. Rossi è confuso, ma
sa bene a cosa va incontro.
181
Non molto tempo fa ha confidato a me e ad altri colleghi
di considerare inutili le cure e di non volerle proseguire.
Allora non era assolutamente confuso! Credo che
dovremmo rispettare la sua volontà…”
Il medico ribatte: “in questo modo potremmo incorrere a
denunce da parte dei familiari!
Come operatori sanitari dobbiamo cercare di fare il bene
del paziente, soprattutto ora che non è in grado di
decidere. Del resto con le sue affermazioni il paziente ha
espresso dubbi e stanchezza verso la terapia e non verso
altri tipi di intervento.”
Dopo questo confronto l’équipe decide di parlare nuovamente
con i figli per rimandare ogni decisione al giorno dopo.
Alcune riflessioni etiche ed interrogativi:
1. Occorre proseguire oppure no le cure in presenza di una
volontà così determinata da parte del paziente ?
2. Qual è il migliore interesse per il sig. Rossi ?
3. Il consenso può essere concesso dai figli ?
4. Quanto la decisione di proseguire le cure è dettata dalle
implicazioni legali che questa scelta può determinare ?
182
Caso 574
“Quando la privacy viola l’integrità di altri
Descrizione del caso:
La sig.ra Maria ha 38 anni, è sieropositiva da cinque anni, con
un passato di tossicodipendenza. Attualmente ha una vita
serena, un lavoro un nuovo compagno. Da qualche tempo ha
iniziato ad assumere i farmaci antiretrovirali per la cura
dell’HIV ad insaputa del suo compagno
Più volte i medici le consigliano di far eseguire il test dell’HIV
al compagno, ma Maria rifiuta
ripetutamente questo
consiglio. L’équipe medica richiede l’intervento di uno
psicologo e nonostante ciò Maria rimane sulla sua posizione.
Nonostante le difficoltà che vive in casa continua ad assumere
la terapia prescritta.
Dopo qualche mese Maria confida al proprio medico di
aspettare un bambino. E’ felice per questa notizia e per il
proprio compagno che desidera diventare padre da diverso
tempo.
Maria viene seguita per tutto il periodo della gravidanza e le
vengono proposti i protocolli terapeutici per evitare che il
bimbo si contagi al momento della nascita o successivamente.
Con l’occasione le viene proposto nuovamente di parlare con
il compagno, ma questa rifiuta con determinazione e più
volte.
In diverse occasioni ella afferma : “ non ho alcuna intenzione
di parlare con lui, sono sicura che mi lascerebbe. Non
capirebbe il mio passato e avrebbe paura di questa
situazione. Al bambino non succederà nulla”
74
Atti del seminario di Bioetica: “Strumenti e metodi in bioetica. Paradigmi teorici e
dilemmi etici. Discussione di casi clinici”, cattedra di Bioetica del prof. Guido Traversa
Università di Roma Tre, organizzato dai Dirigenti e Docenti Infermieri Gaetano Romigi,
Alessandro Stievano e Laura Sabatino, 27/04/2004.
183
Nonostante il netto rifiuto, i medici provano a intervenire
nuovamente anche con l’ausilio di una assistente sociale;
organizzano anche un incontro con una neo-mamma
sieropositiva che possa, con la sua esperienza, aiutarla, ma
anche questa volta fallisce ogni tentativo.
Al momento del parto vengono attuati tutti gli accorgimenti e
i protocolli di prevenzione perché il bimbo nasca sano.
Durante la breve permanenza al nido la bimbo viene
alimentato con l’ausilio del latte artificiale.
Al momento della dimissione i medici e l’assistente sociale
ribadiscono a Maria tutte le raccomandazioni fornite
precedentemente. Maria si è sempre mostrata affidabile e
precisa nel curare se stessa; le danno un nuovo appuntamento
in day hospital.
Una volta a casa Maria inizia ad allattare il bambino con il latte
artificiale, ma davanti alla curiosità insistente del compagno e
dei propri familiari si sente in imbarazzo e inizia ad allattare il
bimbo con il proprio latte. Di questo non informa i medici che
la seguono.
Dopo 8 mesi dalla nascita il bimbo viene sottoposto ai
controlli di routine dai quali risulta essere positivo al test
dell’HIV. Il test viene ripetuto e confermato. Solo davanti a
questa notizia Maria confida ai sanitari di aver allattato il
bimbo con il proprio latte.
Alcune riflessioni etiche e interrogativi:
1. I medici o l’assistente sociale dovevano intervenire ?
2. È giusto preservare comunque la volontà della mamma nei
confronti del bambino e del proprio compagno ?
3. Dovevano essere imposte le terapie post esposizione al
bambino ?
4. Nei confronti del bimbo dove è il confine tra la tutela di
Maria e quella del padre ?
184
Caso 675
“Il rifiuto di una cura efficace”
Descrizione del caso:
Teresa, una donna di 36 anni, senza precedenti patologici
interessanti, ricorre al medico per disturbi intestinali e per
perdite ematiche nelle feci. Dopo un accurato esame i medici
le diagnosticano un “carcinoma del retto, stadio C di Dukes”
La paziente chiede al medico di conoscere tutta la verità sul
processo della malattia e sulle possibilità di cura. Il medico la
informa sulla necessità di effettuare un’ampia resezione
intestinale e sull’eventualità di provvedere ad una colostomia
di scarico, che dovrà portare per un certo tempo, ma non le
spiega che esiste una forte possibilità che debba portare un
colostoma permanente per il resto dei suoi giorni.
La paziente è sposata e negli ultimi anni ha condotto una vita
che ritiene felice, dopo essersi riconciliata col marito da cui era
stata separata per un certo periodo. Gode di una buona
posizione economica, grazie ad una impresa familiare, su cui
ha concentrato tutti i suoi sforzi. Ha due figli di 6 e 12 anni.
Informata sull’andamento della malattia, dopo aver riflettuto
alcuni giorni, rifiuta l’intervento, adducendo che porrebbe fine
alla sua vita sociale, farebbe crollare il suo matrimonio dopo i
problemi che aveva già avuto, e le impedirebbe di badare ai
figli e all’impresa. Chiede anche che né il marito né i familiari
siano informati della situazione, in quanto la decisione è solo
sua.
75
Spinanti S., dispense del corso ecm di “Medical Humanities dell’Istituto Giano (a.a.
2003/2004)
185
Nell’anno e mezzo seguente, la paziente conduce una vita
normale; ha dolori e rettorragie occasionali, ma non informa i
suoi familiari e ricorre ad un guaritore che, a quanto le hanno
detto, può risolvere il suo problema. Poi la salute della
paziente comincia a deteriorarsi progressivamente con la
comparsa di dolori forti. La malata rifiuta il ricovero in
ospedale. Quindi comincia a soffrire di una forte insufficienza
renale, accompagnata da uno stato di obnubilazione, motivo
per cui i familiari decidono di ricoverarla in ospedale.
L’equipe di guardia informa il marito della necessità di
praticare una colostomia di scarico, dato che la paziente
presenta un’occlusione intestinale. Il marito dà il consenso e
l’operazione viene eseguita.
Dopo l’intervento la malata riprese conoscenza e chiese al
medico perché avesse effettuato l’intervento, quando era ben
chiara la sua decisione.
Successivamente, fu iniziato un trattamento combinato di
radioterapia e chemioterapia, con scarsa fiducia dei risultati,
dato lo stadio avanzato del processo morboso. Un mese dopo
l’intervento, e mentre si trovava nel pieno ciclo
chemioterapico, la paziente tornò a presentare sintomi di
occlusione intestinale, nonostante la precedente colostomia,
con importanti segni di deterioramento dello stato generale e
di astrazione dall’ambiente. Fu compiuto un nuovo intervento,
sempre con il consenso del marito. La paziente morì tre giorni
dopo, senza aver ripreso conoscenza.
Alcune riflessioni etiche e interrogativi
1. E’ rispettato il minimo morale ?
2. L’informazione dal medico alla paziente era completa ?
3. La paziente era realmente autonoma nelle sue scelte ?
4. Chemioterapia e radioterapia in quello stadio sono da
considerarsi accanimento terapeutico ?
186
COMMENTI
Il medico espone un’idea di fine di vita di tipo meramente
biologico….mentre la paziente elabora la sua condizione
secondo criteri diversi (sociali, familiari, esistenziali).
In emergenza si assolve il medico poiché ha agito secondo
scienza e coscienza (anche se è stato chiesto il consenso
all’intervento al marito del tutto ininfluente !!)
Attenzione al principio di non maleficità: costringere una
persona a vivere in un certo modo facendo o non
facendo…..….l’autonomia non è scontata (paziente in grado di
intendere e volere) poiché eticamente la comunicazione,
l’informazione, la relazione adeguate e complete permettono
di elaborare una scelta veramente libera.
Manca il sostegno psicologico alla malata.
Mancano passaggi di continuità delle informazioni.
…..si potrebbe scendere sotto il minimo morale!
Caso 776
“Ai confini tra la vita e la morte” (sezione terapia
intensiva neonatale43)
caso A:
Descrizione:
Una donna alla 23° settimana di gestazione viene indirizzata
presso un centro medico terziario poiché, sebbene la sua
gravidanza proceda regolarmente, i test sierologici di routine
mostrano i segni di un infezione virale primaria che sarà
trasmessa al feto.
76
Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante Dirigente (IDD) Piera Bergomi –
Docente di antropologia e Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica
dell’Università degli studi di Brescia.
187
Sebbene la maggior parte dei bambini infetti siano
asintomatici nel periodo neonatale, nel 5-10% si sviluppa una
grave malattia multisistemica che coinvolge il cervello con
microcefalia, necrosi periventricolare e calcificazioni.
Data questa possibilità, i genitori richiedono l’interruzione
della gravidanza.
La gravidanza viene interrotta, ma, a causa del poco tempo
disponibile, il test sierologico non viene ripetuto. Il feto nasce
vivo, del peso di 770 gr. e Apgar 2-5; viene intubato e trasferito
nella TIN dove è sottoposto a ventilazione meccanica,
incannulazione dei vasi ombelicali con trasfusione di sangue e
somministrazione di surfactante, solfato magnesio e
antibiotici.
I genitori si rifiutano di riconoscere il neonato.
In terza giornata di vita le condizioni precipitano, viene
iniziato il trattamento con Dopamina e diuretico e
somministrati barbiturici. La ventilazione meccanica è
difficoltosa e necessita di alti parametri respiratori. Il feto
appare in stato comatoso, senza nessuna attività spontanea e
reattività pupillare. Viene presa la decisione di non rianimarlo.
In sesta giornata il bambino muore. Il test sierologico
effettuato dopo la nascita non mostra segni di infezione virale
perinatale. Lo staff medico prende la decisione di non
comunicarlo ai genitori.
“Ai confini tra la vita e la morte”(sezione pediatrica)
Caso B
Descrizione:
Una bambina di tre mesi fu ricoverata presso la clinica
pediatrica di un centro medico terziario per difficoltà
nell’alimentazione e irritabilità.
188
Fino a quel momento la sua storia si era svolta senza eventi
particolari: secondogenita, era nata a termine con peso
normale e senza problemi perinatali.
Durante l’esame obiettivo furono però rilevati segni di
anormalità neurologica: lieve ipertono con riflesso di
prensione palmare e ridotta attività spontanea.
Fu posta diagnosi di una rara malattia metabolica incurabile
del sistema nervoso che conduce a progressiva degenerazione
neurologica e morte, prevalentemente prima dei due anni di
vita. La diagnosi fu comunicata alla famiglia.
Durante i mesi successivi apparvero ulteriori segni di malattia:
vomito, regressione dello sviluppo psicomotorio, spasticità,
atrofia ottica e ricorrenti episodi di insufficienza respiratoria
che richiedevano la ventilazione manuale.
Durante uno di questi episodi, a 11 mesi, la bambina fu
ricoverata presso un ospedale locale, intubata e quindi
trasferita in Terapia intensiva pediatrica di un centro terziario.
La bambina fu ventilata meccanicamente per 8 mesi. La
malattia progredì fino alla cecità, sordità, tetraparesi spastica
con mancanza di contatti con l’ambiente circostante. Sviluppò
anche fratture multiple ossee e infezioni.
Fu ripetutamente rianimata per episodi di bradicardia , e reintubata quando necessario. Alla fine fu eseguita anche una
tracheotomia.
Mentre alcuni medici e la maggior parte delle infermiere erano
scettici su questo tipo di approccio , la madre chiedeva
insistentemente tutte le cure possibili. Passò la maggior parte
dei giorni e delle notti con la bambina , comprandole costosi
vestiti e giocattoli e diventando familiare con lo staff.
189
Il fratello più grande fu accudito dal padre che durante i mesi
gradualmente riduceva la frequenza delle visite in ospedale. La
madre era pienamente consapevole della prognosi: mentre
parlava con l’equipe , di solito diceva di voler far sopravvivere
la bambina almeno fino ai due anni di vita ; a volte si aspettava
un miracolo.
Malgrado la ventilazione meccanica la bambina morì a 19 mesi
di età.
Qualche mese più tardi, la madre tornò a visitare lo staff della
terapia intensiva: sembrava star bene. Ringraziò tutti e disse
quanto era stato importante per lei aver avuto del tempo per
accettare la malattia della bambina e lasciarla morire.
RIFLESSIONI ETICHE SUI CASI “A” e “B”:
La domanda è “come poter essere d’aiuto a medici, infermieri,
neonati e loro familiari che si trovano di fronte a problemi
morali per la scelta di opzioni terapeutiche in casi drammatici?
Si può ipotizzare, per esempio, un progetto di sostegno alle
famiglie e agli operatori coinvolti:
le figure professionali responsabili contribuiranno al
cambiamento di tale atteggiamento attraverso un lavoro di
equipe, finalizzato a fornire orientamenti etici relativi a
situazioni operative della quotidianità con una base culturale e
di pensiero comune.
Non possiamo certo offrire solo una discussione di logica
facendo nascere in loro quesiti ancor più evasivi, o nasconderci
dietro il diritto dell’autonomia del paziente per giustificare
l’eutanasia , o pensare al contenimento dei costi delle cure o
infine immedesimarci nello stato di dolore fisico del neonato.
Partendo dall’analisi dei due casi di cui sopra (“a” e “b”) si
propone un percorso alternativo che non conduce
all’approvazione dell’eutanasia o dell’accanimento terapeutico
e neppure alla loro negazione, ma ad un orientamento
educativo in vista di una corretta impostazione o
dell’accanimento terapeutico e neppure alla loro negazione,
ma ad un orientamento educativo in vista di una corretta
190
impostazione morale anche quando il processo decisionale
deve essere formulato in contesti di emergenza.
Gli interventi di educazione e di formazione del nucleo
familiare dovranno mirare ad accompagnare e supportare le
prime fasi di ospedalizzazione. Diventerà determinante la
capacità di ridurre le tensioni tra i coniugi, che spesso tendono
a rompere la civile convivenza, prevedendo eventuali stati
depressivi. La disponibilità del counselling pedagogico e
bioetica di riferimento dovrà risultare flessibile e non
strutturata rigidamente affinché la famiglia e il personale
sanitario, riconoscano il proprio ruolo attivo e non demandino
all’esperto la capacità di rispondere ai loro problemi.
L’intervento dovrà favorire tale cambiamento del soggetto.
Questi valori sociali, mentre sono altamente esaltati nella
nostra cultura non sono gli unici valori umani. Non sono così
importanti da essere utilizzati come criteri per portare alla
morte coloro che riescono a realizzarli soltanto in misura
limitata.
Caso 877
“…a proposito di sindrome di Down”
Caso A
Descrizione:
Peter è un bambino di 12 anni con sindrome di Down e ha una
lesione cardiaca congenita sin dalla nascita. Nessun intervento
chirurgico era stato consigliato fino a che non fosse arrivato
all’età di dodici anni.
77
Per gentile concessione dell’Infermiera Insegnante Dirigente (IDD) Piera Bergomi –
Docente di antropologia e Infermieristica Pediatrica al corso di laurea in infermieristica
dell’Università degli studi di Brescia
191
Il Q.I. di Peter si colloca a livello più alto del range comune
alla sindrome di Down. Ora egli fa parte dei boy-scouts,
pratica regolarmente sport e le sue prestazioni rientrano nella
media. I suoi genitori negano ora il permesso all’intervento
chirurgico che potrebbe allungare la normale durata di vita
prevedibile con la sua malattia, sostenendo che, dopo la loro
morte la qualità di vita del bambino potrebbe essere
intollerabile.
Caso B
Descrizione:
Viene sospettata la sindrome di Down per un neonato
confermata poi dall’esame dei cromosomi. E’ Affetto, inoltre,
da atresia duodenale per la quale è indicato un immediato
intervento chirurgico. I genitori non acconsentono
dichiarando che sarebbe meglio che il bambino morisse
piuttosto che vivere da persona ritardata.
RIFLESSIONI ETICHE:
I due casi sopra ,“A” e “B”, dimostrano i pericoli di esprimere
giudizi sulla qualità di vita.
Nel caso a) il parere dei genitori prende in considerazione un
futuro lontano e non riflette il relativo beneficio che Peter
potrebbe avere nell’immediato considerando la sua
limitazione. Il giudizio dei genitori di Peter non rispecchia fatti
significativi della vita del loro figlio, e al tempo stesso ha
implicazioni di grande rilievo e di un certo risultato per il
bambino.
Privato dell’intervento chirurgico raccomandato, Peter
continuerà a vivere per qualche tempo e
lentamente
manifesterà i debilitanti effetti della grave insufficienza
cardiaca e dell’ipertensione polmonare.
Nel caso b) una generale predisposizione a svalutare
l’intelligenza limitata, insieme al desiderio di realizzazione, di
produttività e di indipendenza determinano il giudizio dei
genitori.
192
Questi valori sociali, mentre sono altamente esaltati nella
nostra cultura non sono gli unici valori umani. Non sono così
importanti da essere utilizzati come criteri per portare alla
morte coloro che riescono a realizzarli soltanto in misura
limitata.
193
Lettera di presentazione ai colleghi
Sono Katia Tomè, un’infermiera che lavora
presso il Blocco operatorio dell’ospedale di
Fivizzano.
Sto per terminare il corso di Laurea
Specialistica in Scienze Infermieristiche e
sto preparando la tesi per la conclusione del
mio percorso, il titolo del mio elaborato
finale è il seguente: “Questioni etiche
nell’agire infermieristico”,
per questo
motivo caro collega ho bisogno del tuo
aiuto.
Si tratta di rispondere ad un questionario e
di riflettere su casi clinici, che ti verranno
sottoposti, rilevanti per il loro intenso
contenuto bioetico, il tutto sarà ovviamente
anonimo, l’unico mio scopo è quello di
raccogliere dati di realtà sulla percezione
del problema etico-deontologico e non
quello di dare giudizi alle risposte date.
GRAZIE.
194
PRIMO QUESTIONARIO
1. Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi
etici e deontologici da quelli di altra natura?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
2. Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o
la conseguenza di questa?
LO SCOPO
LA CONSEGUENZA
ENTRAMBE
NON SO
3. Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE SEMPRE
4. Il principio di agire per il bene del paziente o
benevolenza è sufficiente per orientare le scelte
professionali?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
5. Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio
di giustizia?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
6. Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologiche?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
7. Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per
prevenire una sofferenza reale o prevedibile?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
195
8. Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni
etico-deontologiche? MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
9. Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo
decisionale?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
10. Quante volte hai cercato nel Codice Deontologico la
risposta alle questioni più urgenti?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
11. Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in
materia di etica e/o deontologia professionale?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
196
Presentazione al secondo questionario
Caro collega ora stai per entrare nel fulcro della
questione, ho scelto per te dei casi clinici
rilevanti per il loro intenso contenuto, ti
pregherei di leggerli se non tutti almeno
qualcuno, non vorrei peccare di presunzione ma
sono sicura che li leggerai tutti con il fiato
sospeso.
Al termine della lettura ti chiedo di rispondere
nuovamente al questionario iniziale, che troverai
in nuova copia dentro questa busta, sono sicura
che stavolta rifletterai parecchio prima di
rispondere e le domande non ti sembreranno più
così banali.
In questo preambolo ti propongo alcune
definizioni, che tu conosci, semplicemente per
riportartele alla mente:
Il principio di beneficenza o del bene maggiore; può
sembrare ovvio, ma consiste nella ricerca dell’azione che
procuri il bene maggiore, per quante più persone possibili; è il
criterio ispiratore di tutta l’etica. Il problema è capire qual è il
bene maggiore, è qui che entrano in gioco i valori.
Il principio di non malevolenza o di male minore; purtroppo
succede che qualsiasi atto si decida di fare, si hanno delle
conseguenze negative. A questo punto è ovvio che l’agire etico
sarà di ricercare la soluzione che arrechi minor male possibile.
Il principio di autonomia del soggetto; Il paziente è il
responsabile della propria vita,e le sue decisioni devono essere
197
rispettate.
Il principio di equità o giustizia; è alla base dell’obbligo di
trattare tutti gli utenti in modo giusto e uguale, ma ribadisce
anche il fatto che le risorse sono limitate e quindi non sono
disponibili per tutti, quindi giusta allocazione delle risorse.
GRAZIE.
198
SECONDO QUESTIONARIO
1. Nella tua attività quotidiana sai distinguere i problemi
etici e deontologici da quelli di altra natura?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
2. Ritieni che ciò che importa in una azione sia lo scopo o
la conseguenza di questa?
LO SCOPO
LA CONSEGUENZA
ENTRAMBE
NON SO
3. Quando prendi una decisione pensi a cosa è bene?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE SEMPRE
4. Il principio di agire per il bene del paziente o
benevolenza è sufficiente per orientare le scelte
professionali?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
5. Ritieni che nella realtà sia sempre rispettato il principio
di giustizia? MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
6. Ti trovi spesso a dover compiere scelte di tipo eticodeontologiche? MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
7. Riconosci nella tua quotidianità le modalità possibili per
prevenire una sofferenza reale o prevedibile?
199
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
8. Ti senti competente e autonomo nel prendere decisioni
etico-deontologiche? MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
9. Il Codice Deontologico è una guida efficace del processo
decisionale?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
10. Quante volte pensi cercherai nel Codice Deontologico la
risposta alle questioni etiche più urgenti?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
11. Ritieni importante frequentare corsi di aggiornamento in
materia di etica e/o deontologia professionale?
MAI
QUASI MAI
TALVOLTA
QUASI SEMPRE
SEMPRE
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