ALUNNI III A
DUE AUTORI A CONFRONTO
Scarano e Verga
A.S. 2014/2015
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Noi alunni della III A della Scuola Secondaria di I grado, Ciavatta M.
Gabriela, Consilvio Sofia, Fochitto Aurora, Mariano Mario, Stinziani
Olga, abbiamo preso visione della critica di Nicola Scarano alle
novelle verghiane, rielaborandola, cercando di trovare affinità e/o
contrasti tra la visione realistica dello scrittore siciliano e quella più
spirituale di quello molisano.
Abbiamo evidenziato come entrambi hanno prodotto letterariamente
paesaggi, quadri e personaggi tipici dei loro ambienti nativi,
riproducendone realisticamente dettagli e particolarità che hanno reso
tali figure vive e quasi presenti agli occhi dei lettori. Inoltre, la
conoscenza dei luoghi di ambientazione delle novelle di Scarano, ci ha
coinvolto emotivamente, facendoci quasi immergere nelle situazioni
descritte non in una visione esterna di esse, come spettatori , ma come
personaggi stessi delle vicende narrate.
Il nostro prodotto finale è un resoconto scritto delle riflessioni critiche
di Scarano alle novelle contenute nelle raccolte verghiane:
- Primavera e altri racconti ( X)
- Vita dei Campi ( La lupa; Nedda; Jeli il pastore; Rosso
Malpelo; L’amante di gramigna; Cavalleria rusticana)
- Novelle Rusticane ( Malaria; Storia dell’asino di San Giuseppe;
Gli orfani; I galantuomini; Pane nero)
- Per le Vie ( Via crucis; Il bastione di Monforte; L’ultima
giornata; Per le vie)
- Vagabondaggio ( Quelli del colera; Vagabondaggio; Il maestro
dei ragazzi; Un processo; Il segno d’amore; L’agonia di un
villaggio; Nanni Volpe)
- Don Candeloro e C. ( Don Candeloro e C.; Le marionette
parlanti; Papa Sisto; L’opera del Divino Amore; Il peccato di
Donna Santa; La serata della Diva; Il tramonto di Venere)
- Racconti e bozzetti ( I dintorni di Milano ).
Ci siamo, inoltre, anche noi impegnati a riflettere sulle Novelle “
Sant’Anna “, “La Natività di Maria” contenute in Cronache paesane e
su Don Liborio, opere di Nicola Scarano, certamente non con
l’ambizione di produrne una critica letterariamente valida, ma ,
semplicemente, delle nostre impressioni dopo una lettura attenta di
racconti che prima non conoscevamo, di un autore che, ora, “
sentiamo “ particolarmente vicino.
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DON LIBORIO
Personaggi:
- Don Nazario ( prete )
- Don Paolino ( Il professore )
- Totonno ( fratello di Don Paolino )
- Sandrino ( suo figlio )
- Don Gaetano
- Donna Rachele
- Tullietta ( nipote adottata )
- Don Liborio ( prete morto )
- Lo stagnaio
- Concetta la contadina
Luoghi:
- Colle rotondo
- Montagna di Casole
- Porta Borea
- Cattedrale
- Convento dei cappuccini
- Piazza Fontana ( Righetto )
La novella “Don Liborio” di Nicola Scarano è un dialogo filosoficoreligioso tra un prete ed un professore sul significato dell’amore di
Dio e la sofferenza dell’uomo. Si evince dai ragionamenti fatti dai due
personaggi che l’amore di Dio, creatore dell’uomo e di tutto, è rivolto
ugualmente ad ogni sua creatura sia essa giusta o non, come l’amore
di un padre verso tutti i suoi figli. Ma perché sia amore degno, deve
essere inteso come piacere e non come obbligo.
Dio ama gli uomini e la Grazia divina salverà anche chi non si mostra
molto credente purchè ami, poiché chi ama è più vicino a Dio di chi
crede e non ama.
Per Scarano la sofferenza dell’uomo trova un riscatto nell’amore di
Dio che la allevia.
Verga è distante da questa visione della vita spirituale dell’uomo
poichè la sua sofferenza non trova alcun riscatto, poiché Dio è
sostituito dalla legge inesorabile del destino che fissa i ruoli e il
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percorso di ogni individuo, che non può essere cambiato, anzi, se
l’uomo tenta di farlo, viene sopraffatto.
L’uomo verghiano è un vinto dalla vita e non trova salvezza.
L’uomo in Scarano è salvato dall’amore di Dio.
Ma i due scrittori sono accomunati da una visione della società che per
essere tale deve includere individui che svolgano ognuno il proprio
ruolo perché funzioni, come in un corpo ogni componente deve
svolgere il proprio compito nel migliore dei modi con senso del
dovere, vivendo i due scrittori in un periodo in cui i valori religiosi,
sociali e patriottici, propri del Romanticismo, cominciavano a venir
meno.
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Catania, 19 febbraio 1916
Preg. Sig. Professore,
Il Suo Don Liborio dice bene delle cose giuste e belle. La ringrazio di
avermelo fatto conoscere e me Le professo con stima ed ossequio.
Obb.mo
G. Verga
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26 LUGLIO-SANT’ANNA
Il paesaggio che si presenta è simile a quello della novella
verghiana “ Malaria ”.
Il sole,chiamato da Scarano “ Stellone ”, arde e invade pianure e
colline, facendo essiccare tutto intorno. Ma, come sempre,
l’invocazione al Divino, al soprannaturale, che ha leggi proprie,
fa sì che tutti i raccolti, dal granone alle viti, si salvino con il
sopraggiungere dell’acqua per intercessione della Madonna di
Maiella. Giacondino il romito è il tramite tra l’umano e il
Divino; uomo solitario, semplice e devotissimo, ottiene sempre
le Grazie richieste. Organizza l’uscita in processione della
Madonna in orario preciso e significativo, e, quindi, ottiene
prima della festività dell’8 Settembre la Grazia; il cielo si
rannuvola, scoppiano lampi e tuoni e la pioggia, da prima
rappresa in gradine scende e inonda tutto il territorio fino a
ingrossare le acqua del Trigno e dei suoi poveri affluenti,
facendo la gioia anche dei pescatori che possono, così, pescare
il pesce per loro e anche rivenderlo.
Dio e la Madonna, non abbandonano mai i loro figli.
E’ la morale di Scarano che incontriamo ancora una volta nelle
sue narrazioni.
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8 SETTEMBRE-NATIVITA’ DI MARIA
La festa di Maiella è descritta nei minimi dettagli, ne è rilevata
l’importanza e sottolineata la devozione per la Madonna. Ma, dopo il
momento della sacralità del rito cristiano, Scarano, come Verga
quando descrive le festa religiose (es. la Madonna di Valverde, Il
Mistero ecc..), focalizza il rituale pagano della festa: un paese intero
che si prepara e s si sposta per trascorrere un’intera giornata tra amici
e conoscenti.
C’è in questa novella una nota malinconica e attraversata da un sottile
lirismo: quel sentimento nascosto e negato di un uomo considerato da
tutti “ grande e grosso “ e perciò indenne da ogni sorta di sentimento,
Prudenzio, che preferiva non andare alla festa e ripercorrere col
pensiero le vicende amorose della sua gioventù. Anche per Scarano
l’amore “ è roba da giovani “ che con il tempo lascia il posto ad altri
pensieri e viene sopito dal duro lavoro che trasforma oltre la vita la
fisicità dei personaggi. Donna Rachele era stata una bella donna, per
esempio e aveva sposato lo zio Donato, bell’uomo anche lui. Ora
erano diventati solo una moglie e un marito brontoloni che non
perdevano occasione di beccarsi. I bei pensieri dei tempi che furono
erano messi da parte e volutamente dimenticati. Ma dell’umanità
anche Scarano finisce col mettere in evidenza, come Verga, l’aspetto
più “ brutale ” ; l’uomo da sempre mostra il lato peggiore e anche
questa festa tanto attesa durante l’anno, tanto sacra per tutti, si
trasforma in tragedia per l’accoltellamento di un uomo ubriaco da
parte di un altro altrettanto ubriaco per futili motivi. “E’ il sacrificio
degli antichi pagani” che si rinnova rinnovando l’uccisione di pecore e
castrati, afferma Francisco che torna da Maiella e racconta l’accaduto.
E Don Felice gli fa eco rispondendo: ” E noi, uomini. Questo è il
progresso” .
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Le novelle di Verga sia per affinità di materia e anche per
valore,dimostrano parentela più o meno intima con i romanzi
dell’autore. Sono create in momenti varie situazioni psicologiche
diverse, però la rappresentazione dell’elemento oggettivo assorbe
variamente e diversamente l’elemento soggettivo del quale varia
anche lo stile. Le novelle del Verga ritraggono la realtà in tre maniere
diverse. L’una è quella in cui la vita reale è ritratta con immediatezza,
con obiettività, con sobrietà rapida e balenante. L’altro modo è quello
per il quale la realtà è guardata e colta attraverso l’elemento
soggettivo, prepotente. Il terzo mondo, che non è il migliore dei tre è
quello per il quale il novelliere mescola e plasma elementi reali,
elementi soggettivi ed elementi attinti alla letteratura romanzesca o
romantica.
I.
È un quadro di verità singolare, nel quale la realtà balza viva dinanzi e
fa sentire come l’avessi vista tu stesso; c’è nella novella Nedda
un’onda di poesia che ti trasporta e vince, di poesia giovanile che ti fa
ripensare subito alla Capinera. È il dramma della miseria e i suoi
personaggi sono dell’infima categoria; esso attinge non so quali
proporzioni grandiose dal proiettare che fa la sua luce fosca sulla
grande classe umana che stenta e dolora. Lo spettacolo del piacere che
si converte in dolore è dato ai lettori della classe dirigente e potente
perché redimano dalla schiavitù i loro simili lasciati o anzi costretti a
vivere come bruti e a sentire il dolore e le privazioni come uomini.
Leggendo X, sembrano che sono pagine di diario, in cui si narri
un’avventura amorosa; e si leggono divorandole, perché si è rapiti da
quel pennelleggiare felice che ritrae i fantasmi giovanili nei quali la
realtà è velata di idealità. A un certo punto quando si crede che debba
calare il sipario in un modo più naturale e vero, si vede l’avventura
concludersi in un modo degno di una novella romantica. Il Verga è un
idealista. Il desiderio dell’obietto gli mette in moto l’immaginazione
che tutto colora e sublima; ma quando il desiderio è presso ad essere
soddisfatto la realtà trasfigurata d’un tratto si frange. Ecco il poeta. Il
Verga è un poeta ed è artista; le sue pagine legano le anime,
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comunque si chiamino quelle pagine, diario o bozzetto. C’è che la
novella ha quella chiusa che odora di romanticismo e che pare una
coda. Ma le pagine veramente vive per l’arte sono quelle che paiono
pagine di diario. La cavalleria rusticana è, direbbe il Carducci, un
portento. Io nei miei poveri panni dico che i personaggi sono vivi.
Sembra che lo scrittore abbia in mano la bacchetta magica e che al suo
tocco la realtà si dipinga all’occhio nella sua verità cruda e nuda.
II.
Il pastore Jeli è tutto un fiume di poesia che si porta seco una storia
cantata in ritmo di nenia: passano con esso le immagini della bellezza
e della tristezza, ci senti l’eco e i richiami che l’anima ha nelle cose e
le cose hanno nell’anima, con una fusione e un’armonia tale da
produrre l’effetto come di una grande dipintura musicale. Mentre il
Verga figura in azione Jeli il pastore, dipinge altresì la realtà che
circonda il suo piccolo eroe, quella realtà siciliana ove sembra che
l’anima del mondo più si esprima e palpiti, la realtà che si riflette nella
piccola anima del piccolo eroe e che le dà il contenuto e il carattere. Il
Verga cui vede in immagine intera l’uomo e la natura, il di dentro e il
di fuori, la materia e lo spirito. Suppongo che il divino naturalismo di
Rousseau possa aver avuto la sua parte di efficacia sul Verga. Si
ricorda Jeli senza vederlo anzitutto là, accanto al suo “stellato”
precipitato. Forse non si crederà in tutto conforme al vero, quella
rassegnazione di Jeli a divenir becco e a star agli ordini della
moglie,chè fanciullo, egli ben altro prometteva quanto ai rapporti
coniugali. E forse quello scatto così felino all’ultimo può parer
determinato da studio di contrasti e di drammaticità. La creazione
poetica è un sogno in cui la realtà viene riplasmata secondo lo stile e
la natura del genio e in tal lavoro conservare sempre i limiti del
verosimile parebbe dover essere una cosa facile ed è invece una cosa
assai difficile. Dopo Jeli il pastore ecco Rosso Malpelo. Qui siamo
ancora al dramma della miseria , dello sfruttamento dell’abbrutimento
umano. In questa dipintura della miseria e dell’ abbrutimento umano,
la mano del Verga va disinvolta e rapida. Egli empie di luminarie
celesti notturne senza luna, il buio sotterraneo della cava, l’orrore
della morte laggiù ove l’uomo caccia l’altr’uomo, lo strido della
civetta che è la musica di quella festa. E quando la realtà è più nuda , e
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il colpo che la ritrae par più dato con indifferenza e con cinismo,
allora più l’ anima si lacera,si sente l’anima del poeta che piange in
silenzio e le cose imprecano,maledicono,gridano. Il Verga, offre
all’uomo lo spettacolo dell’orrore umano perché se ne ritragga e
vergogni.
III.
Un gran quadro è Malaria, disegnato a tratti larghi,triste,che dispiega
davanti e occupa lo spirito. Pennellate piene sempre, figurano,si
incalzano,si determinano avvivando quello che prima è presentato più
genericamente o per incidenza. Stupendo quadro di arte, ma triste
quadro di vita umana. Meraviglioso questo bozzetto di cui è dipinta la
natura che per uccidere partorisce e nutre: un quadro degno di una
grande pinacoteca. Gli Orfani è un bozzetto dei più sobri e più
densi,dove però non manca nulla perché si vedano compiutamente la
scena e le scenette della vita paesana. La morale è: il morto giace con
quel che segue. Questa novella mi ricorda un personaggio del mio
paese schernito dal parroco perché non riusciva ad inanellare la terza o
la quarta moglie. Egli si difese dicendo:”Gnò parroco, queste non so
cose che si fanno tutte le domeniche” intendendo che gli sarebbe
piaciuto spedire al Padre Eterno una ogni sabato e portarne al pagliaio
una ogni domenica. Storia dell’asino di San Giuseppe , la storia di un
asino ,di tanti asini,che non è solo storia di asini, ma di uomini:uomini
consunti dalla malaria,stremati dal lavoro e dalla miseria,pervertiti e
induriti dall’istinto della conservazione propria a danno
dell’altrui:”Mors tua vita mea”. La storia comincia in una fiera e
finisce su per una salita: quel puledro della fiera che non sta mai
fermo e fruga le poppe di tutte l’asine che vede, sulla salita muore di
lavoro e di fame. Leggendo gli orfani mi ero fermato a guardare
l’asino di comare Angela, il quale muore con le quattro zampe in aria
nel cortiletto ove compare Meno adocchia la terza moglie. Mi era
fermato, ma ero poi passato senza pensarci più tanto. Qui mi fermo
agli asini e ci penso a lungo; perché questa si può dire una asineide, e
non una asinaggine. Verga è poeta perché è pittore; ed è pittore perché
gli asini li ha guardati non come li guardano i miei occhi, ma con gli
occhi di chi cogli asini e ci fa all’amore, e ci perde il tempo come
l’amante sotto la finestra della bella; e ne osserva pelo e colore se
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abbassano le orecchie o le rizzano,e quando trotterellano e quando non
ne possono più. E non perde d’occhio gli altri esseri che sono attorno
all’asino; e studia i monti dei cuori onde piovono sull’asino pedate e
legnate o pianto e compassione. È una storia dell’uomo questa,
dell’uomo che stenta e dell’asino che si logora con lui e per lui, e in
presenza di queste avventure asinine e umane.
IV.
“Se il teatro e la novella, col descrivere la vita qual è,compiono una
missione umanitaria, io ho fatto la mia parte in pro degli umili e dei
diseredati da un pezzo, senza bisogno di predicare l’odio e di negar la
patria in nome dell’umanità”. Così il Verga nella prefazioncella al Dal
mio al tuo, del 1906. L’avrebbero potuto ripetere a coro, assai prima
che l’autore ce lo dicesse. Pane nero è dei bozzetti più celebri di
Verga. Ora che l’ho riletto, m’è parso che esso potrebbe darsi come
libro di testo ai giovani del Liceo. Si impara l’arte e la morale. È un
dramma umile; ma non meno commovente, minor interesse di quei
drammi grandi. Verga può fornire al pittore una inesauribile copia di
soggetti, l’uno più superbo dell’altro. Il pittore non avrebbe da
inventare nulla, e gli basterebbe tradurre sulla tela le pennellate dello
scrittore. Il bozzetto è tutto una documentazione di fatti che hanno
valori di storia e aspettano chi ne faccia l’inventario statistico. Ogni
espressione o parola è un pensiero o un gesto, una figura o un
sentimento. C’è la varietà, il rigoglio, la ricchezza della natura
vivente. Questo bozzetto manca di unità e risulta di frammenti: è la
storia di don Piddu con intromissione di due altre piccole storie, quella
di don Marco e quello di don Marcantono, un altro galantuomo
caduto. Queste due altre storie sono come due cunei in quella di don
Piddu e fra Giuseppe. Sennonché nel bozzetto l’un dei cunei fa un
vedere assai più bello della storia principale per via di quel fuoco
dell’Etna che si mangia la vigna di don Marco. Quel fuoco divoratore
e livellatore dei galantuomini e della povera gente, che dipinge il
Verga con stile grecamente semplice e potentemente espressivo.
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V.
Papa Sisto ci introduce nel monastero degli uomini e L’Opera del
divino amore in quello delle femmine.
Sono scene abbozzate a larghi tratti, figure schematiche a mano libera,
con un gran movimento e incalzare di fatti che sembra di correre in un
treno lampo. Si leggono con piacere , come quelle cose che non hanno
bisogno di commento e sono piene di significato e ci fanno sfilare il
mondo sotto gli occhi con tutte le sue sozzure. Ma si ha anche
l’impressione che le cose descritte siano troppe, che la verità
drammatica non si concreti compiutamente, e che si proceda a sbalzi.
E’ di stile diverso dagli altri che può anche stancare quando il lettore
non proceda di pari passo con quella narrazione incalzante di
avvenimenti, che ammassa vizi e virtù in un solo individuo con il
risultato di avere scenette costituenti intrigo da commedia dell’arte.
Ma anche in questo stà la grandezza dello scrittore Verga.
Don Candeloro e C. e Le marionette parlanti sono due bozzetti che si
compongono di fatto in una storia sola in cui il Verga ha fermato lo
sguardo su una categoria di diseredati che stentano e dolorano ma che
ha contemplato sorridendo, onde la figurazione è piena di comicità e
di umorismo; e spicca vagamente nella produzione verghiana, ove di
solito c’è mestizia e l’umorismo è rotto o soffocato da una possente e
triste serietà. Don Candeloro è una creazione poetica anch’esso in cui
la realtà è figurata con l’animazione di questa vena comica limpida,
piena la quale si apre in un momento di gaiezza. Don Candeloro è un
uomo fatto senza risparmio, ha pose di cavaliere di cappa e spada, e
innamora Grazia, la figlia del bottegaio, con i duetti d’amore dei
cavalieri e delle dame dell’andante cavalleria. Ma il bottegaio non ha
voluto sapere di quel matrimonio e per dispetto si rimarita, e Grazia di
qua e la seconda moglie del bottegaio di là figliano che è un piacere.
Miseria di qua e miseria di là; e per giunta Don Candeloro si vede
abbandonato dal pubblico che preferisce andare alle opere dove vede
le donnine belle in gonnellino spumante e volante, e alle farse di
Pulcinella. Un disgraziato alla maniera del Goldoni. Ma Don
Candeloro la fa breve, mette tutto in un carro e va a Napoli dove
cominciano per lui le avventure: questo cavaliere in ritardo che non
voleva neanche mettere in discussione che la donna potesse mettere in
mostra al pubblico quello che al pubblico piace vedere, finisce per dire
alla moglie di far vedere le gambe. Ma succede di peggio: una delle
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sue figliole, Violante, si innamora di un figlio di Nessuno raccattato
sulla via, con cui duetta di amore , Martino, e se ne innamora. I due se
ne vanno per il mondo vagabondi in cerca di pane e divertendo il
pubblico nelle piazze. E Violante si lascia prendere all’amo dai
regalucci di un merciaio il quale avuto il suo, li pianta e poi Martino
che pianta lei, la quale deposto il portato, cade nelle braccia paterne
più grandi di quelle di Domineddio. Ci ricade anche Martino, il quale
è riammesso a patto che dormisse diviso dalla giovane sino alla
benedizione e alla legittimazione del matrimonio.
Don Candeloro è un soggetto non siciliano che però destò la simpatia
dell’autore tanto da farne un dramma umoristico ricco e scintillante.
Insieme a Paggio Fernando e La Vocazione di Suor Agnese e altre
novelle rappresentano un gruppetto che si distacca dalla maniera
abituale del Verga per questa vena di umorismo scoppiettante che
certo non sminuisce l’arte dello scrittore.
VI.
Il maestro de’ ragazzi,della raccolta Vagabondaggio,è un genere
diverso. E’ l’ intermedio tra il genere della Capinera e il romanzo
galante. E’ una bella storia poetica. Vi è figurato ciò che l’anima
sogna e che nell’urto col reale si rompe. Il significato della favola è
che sotto a tutto vive eterno e regna l’amore;e chi non se lo gode col
senso e realmente,lo sogna e si illude di goderlo,e nella illusione lo
gode davvero,sino a che non va a cozzare con la materialità brutta
dell’esistenza spaziale e resistente. Amore,che se non sfoga in
uno,corre a sfogar in un altro modo;ed è geloso anche se rassegnato,e
bolle anche se chiuso ermeticamente nella pentola. La tisi è il quinto
elemento del mondo verghiano. La sorella del maestro è una tisica:la
quale muore dopo aver amato prima un poeta romanziere
donchisciottesco e poi a un certo modo e senza peccato
inconsciamente e chiusamente il fratello. Lui come lei son dei begli
originali,figure che vivono d’aria,fuori del mondo,e chiappano mosche
invece di piacere e si credono quello che non è;e se ne accorgono
quando vanno a toccare,e dopo aver toccato ricadono nello stato di
sogno.
Il bastione di Monforte. Lo immagino come un piumino morbido e
profumato che passando lieve lieve sulla faccia dello spirito lo prenda
seco,e poi con un gesto miracoloso lo confonda con le cose no,ma con
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le loro emanazioni,con la loro essenza spirituale,con il loro significato
ideale. E’ prosa poetica una specie di sinfonia in cui tutto prende
qualità e carattere dallo strumento fatato che è l’anima del poeta.
Via Crucis è la solita storia delle ragazze che si lasciano trarre all’amo
coi regali. Finisce il primo e viene il secondo amore,e poi il terzo,e poi
non si contano. C’è la mamma che perdona o,se ha fatto ciò che la
figlia fa,vede e tace. C’è il fratello che pensa all’onore,e va per sonare
ed è sonato. Ma più che una storia,specie nelle seconda parte è un
sommario, la favola di un romanzo. Sono colti e dipinti con verità
certi momenti,in cui lo spirito si crea una felicità,la quale fa come la
bolla di sapone che si riduce subito a una gocciola:specialmente il
momento in cui la donna è vinta:momento a cui poi si associano certi
ricordi e certe immagini con singolare e intima tenacità. Un’altra
specie di Via Crucis è Artisti da strapazzo,ove abbiamo una valanga di
avventure,morti,fughe,matrimoni,che par un bullettino tachigrafico di
tutto ciò che la grazia di Dio fa piovere sul mondo.
VII.
Il Verga pittore dei drammi siciliani perde del suo valore quando cerca
soggetti pei quali ha da ricorrere alla nutrizione artificiale. La
differenza si osserva subito. Vien meno la pienezza vivente
dell’azione. La ragione prima e vera non può esser altra che del
mondo siciliano, il Verga è esperto a meraviglia. Come osservatore
egli certo entrando in altri ambienti ne assimila molti elementi e ha
potuto perciò far opere che per essi elementi e per le virtù sue di
scrittore, sono pregevoli e dilettevoli; ma la sua grandezza è là, ove
l’Etna nevoso leva il suo pennacchio e la sua bocca ruttando dipinge
di acceso sangue i suoi fianchi candidi. Là c’è tutto: realtà e identità,
vita e poesia dell’isola. Il Verga non è di Milano, e non è vissuto a
Milano tanto e in modo da conoscerla pienamente, da farsi milanese in
tutto e per tutto; ed ecco perchè a Milano alla sua arte il terreno
manca. Nei bozzetti milanesi neppure si manifesta o si esprime quel
profondo sentimento di umanità cosi come abbiamo visto altrove.
Abbiamo però nella stessa raccolta milanese L’ ultima giornata di un
operaio che muove da lontano e viene a Milano a cercar lavoro. Non
lo trova; e, affamato,dopo un mese si adagia supino col collo su una
rotaia e il treno gli usa compassione togliendolo alla miseria e
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all’angoscia. È un grido che riempie lo spirito e lo fa tremare e lo
commuove meglio assai di quello che non facciamo i comizi e le
dimostrazioni e le ribellioni proletarie. Il bozzetto non è solo opera
d’arte,ma è opera di morale sublime;è il più bello della raccolta
intitolata Per le vie,il più bello perché l’artista era pieno della sua
ispirazione.
VIII.
I Drammi Ignoti è il primo dei Drammi Intimi della Edizione
Sommaruga e fu ristampato nella raccolta Ricordi del Capitano d’Arce
col titolo Drammi Intimi Amore e tisi: non amore della madre vedova
Anna e della figlia Bice per un marchese Danei. Bice ammalata non si
sa di che; il di che lo dice il medico che le sta tastando il polso quando
si ode la scampanellata del marchese. La madre sacrifica l’amore suo
a quello della figlia, e la maternità trionfa. Sposano e sono felici.
Questo bozzetto è una cosa concepita davvero squisitamente,una cosa
di castigatezza aristocratica infinita che si legge con voluttà e con
certo tremore.
Ma in questa figurazione della vita di salotto o della grande città che
il Verga fa, tentando e ritentando, provando e riprovando, per quanto
egli studi, assimili, rielabori, ha sempre qualche velo o lacuna o
eccesso o difetto, che sottrae alla sua interezza e alla sua
immediatezza, alla verità e alla vivezza, le quali di solito sono piene
nella figurazione della vita della sua isola natia. Ma il Verga l’ha sotto
i piedi un’altra terra promessa a lui e proprio sua; e se non ne diviene
padrone assoluto della terra promessa ad altri e l’occupi solo
militarmente, non è un gran male; ed egli stesso ne può e deve
accontentare. Le conquiste vere non si fanno senza preparazione e
potere di assimilazione.
Il Boccaccio per primo diede in Italia l’esempio della novella studiata
dal vero e colta nell’atto della vita. Ora il Verga si rituffa nella vita e
la riproduce nei suoi bozzetti con un vigore di verità e una pienezza e
un rilievo drammatico singolari; e , nobile, alta anima, dà ad essi un
significato altamente civile e umano, invitando i ricchi e i potenti a
volgere il loro sguardo sui diseredati, i malati, i deboli,i delinquenti
che la natura non fa tali e sono fatti tali da quei delinquenti che non
vanno in galera.
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Opuscolo su Verga e Scarano