Le politiche e gli strumenti di conciliazione dei tempi.
Esperienze e modelli organizzativi nel settore pubblico,
privato e privato sociale
di Riccardo Prandini e Nadia Tarroni
1. Introduzione. La complessità organizzativa della politiche di conciliazione in un welfare societario plurale
Il mercato del lavoro italiano ed europeo, così come le relazioni familiari, sono in una fase di
profondo mutamento. La società che si affaccia al terzo millennio non sembra più fondarsi su quella
complementarietà ordinata di «amore e lavoro» che gran parte delle scienze sociali e della psicologia avevano indicato come le due grandi «energie» simboliche della modernità [Smelser e Erickson
1983]. Oggi la relazione tra vita familiare e vita professionale entra in un nuovo periodo di «turbolenza», di innovazione, in un solo termine di morfogenesi. La vecchia strutturazione industriale,
fordista e salariale del lavoro, basata su una regolamentazione collettiva stringente e chiaramente
«chiusa» nei suoi confini lavoristici – con un orario preciso, con contratti a tempo indeterminato,
ecc. – sta uscendo dall’orizzonte delle società occidentali [Castel 1995; Donati 2001]: pure la forma
familiare nucleare composta dal male breadwinner, dalla moglie dedita alla cure della casa e dei figli, non rappresenta più la maggioranza delle situazioni. L’entrata massiccia delle donne nel mercato del lavoro, le trasformazioni delle relazioni intergenerazionali, la nuova cultura del lavoro e
dell’identità di gender sia maschile che femminile, stanno completamente ridisegnando il quadro
delle relazioni tra famiglia e lavoro. Una rappresentazione molto popolare della relazione vede il lavoro assorbire tutto il tempo a disposizione degli individui, frammentare i loro percorsi individuali e
di coppia, rendere quasi impossibile la formazione di una famiglia che, in ogni caso, vede il suo benessere sempre più dipendere dal mercato del lavoro: in termini semplici sempre più sono necessari
due stipendi, due carriere, due auto-realizzazioni, o almeno questo appare alle identità maschili e
femminili di inizio millennio. Per questi e molti altri motivi oggi si osserva una difficoltà nella relazione stessa. Il problema de famiglia «e» lavoro, si trasforma sempre più spesso in quello famiglia
«o» lavoro. Ma anche quando ciò non accade la relazione si fa difficile da sostenere per tutti gli attori del «gioco»: per le donne (madri), gli uomini (padri), i figli, i datori di lavoro, le rappresentanze
del lavoro, l’amministrazione pubblica. Sembra quasi che nessuna nuova «configurazione virtuosa»
sia possibile e che ognuno di questi protagonisti abbia solo qualcosa da perdere.
Ecco spiegato uno dei motivi del nuovo interesse per gli strumenti e le politiche di conciliazione
dei tempi, interesse che percorre tutta l’Europa e sembra diventare «il» nuovo problema [Commission Européenne 1998, Instituto de la Mujer 2002]. Con l’espressione «politiche di conciliazione
dei tempi» ci si riferisce a tutte quelle azioni e misure messe in atto da diversi attori (ancora da specificare) al fine di armonizzare ed equilibrare i tempi di vita familiare con i tempi di vita lavorativa
e viceversa. Va sottolineato che, sebbene questa dizione sconti ancora un certo pregiudizio individualistico tipicamente moderno, la conciliazione è sempre relativa alle esigenze emergenti dalle
«relazioni» tra coniugi, genitori e figli, da un lato, e quelle emergenti nel mondo del lavoro,
Anche se l’intero saggio è frutto di una riflessione comune, Riccardo Prandini ha scritto i paragrafi 1, 4, 5, 6 e Nadia Tarroni i paragrafi 2 e 3.
dall’altro. Una «buona» conciliazione si darà pertanto laddove i tempi dell’una (la famiglia) e quelli
dell’altro (il lavoro) verranno configurati in modo tale da permettere alle relazioni in gioco uno
sviluppo ordinato a una realizzazione umana integrale (che necessita di entrambe le componenti). È
inoltre ormai ampiamente condiviso che la questione non riguardi unicamente la sfera familiare, in
special modo solo le donne, né riguardi soltanto la sfera dei lavoratori e dell’impresa. Si tratta invece di un problema che coinvolge la società nel suo complesso, istituzioni politiche comprese [Piazza
2000]. Sino ad oggi gli strumenti della conciliazione sono stati derivati dall’asse stato-mercato, cioè
dalla legislazione da un lato e dalla contrattazioni privata o collettiva dall’altro. Ciò non significa
che in futuro anche altri attori, quali le organizzazioni di Terzo settore e le associazioni di famiglie,
non contribuiranno allo sviluppo di configurazioni societarie più complesse e innovative. Lo spettro
delle possibilità, come si evince dallo schema Agil (fig. 12.1), sono molteplici e ancora tutte da
esplorare. Non è qui possibile, per questioni di spazio, delineare tutto il ventaglio di possibilità a disposizione degli attori, anche perché si tratta di un campo in continua evoluzione e dove la creatività istituzionale è imprevedibile. In tal senso riprendiamo soltanto l’elaborazione dello schema
Agil, dove sono evidenziate le diverse configurazioni possibili di welfare societario, applicabili anche alle politiche di conciliazione dei tempi.
G
Sistema politico
1
Rappresentanze
sindacali
Attori del territorio
3
Amministrazione pubblica
Enti pubblici
2
4
9
A
Sistema economico (mercato)
I
Terzo settore
Aziende for profit
Organizzazioni di
privato sociale
11
12
10
8
Associazioni
imprenditoriali
e di categoria
5
L
Famiglie e reti prima7
rie
6
Associazioni
familiari
FIG. 12.1. Le possibili configurazioni di politiche di conciliazione nel welfare societario plurale.
Fonte: Donati [2002, 273-301]; rielaborazione di Prandini.
Come si può osservare nella figura 12.1, molte sono le configurazioni possibili relative alle politiche di conciliazione. L’asse stato-mercato, con il possibile intervento delle associazioni imprenditoriali, di categoria e delle rappresentanze sindacali, rappresenta solo una possibilità, specificata
dalle frecce 1 e 2 (iniziative che, rispettivamente, partono dallo stato o che partono dal mercato). La
figura mostra altre dieci possibilità che in realtà potrebbero essere addirittura aumentate perché sono possibili configurazioni che, ad esempio, implicano l’intervento l’amministrazione pubblica, il
mercato e il terzo settore (come ogni altra ulteriore combinazione). Ciò che va sottolineato è che lo
sviluppo legislativo non sempre riesce a tenere il passo della morfogenesi sociale: spesso, anzi, interviene in modo tale da rendere questo «gioco combinatorio» altamente costoso se non impossibile.
Oggi invece una buona legislazione dovrebbe lasciare aperte il numero maggiore di possibilità, poiché la conciliazione dei tempi è realmente un problema di relazioni tra attori i più diversi.
Dal punto di vista legislativo, che non rappresenta il focus delle nostre analisi, ci preme solo ricordare la progressiva tendenza da parte del legislatore a promuovere forme di finanziamento delle
politiche di conciliazione, a partire dalla legge 10 aprile 1991 n. 125 (Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro) e dalla legge 8 marzo 2000 n. 53 (comunemente conosciuta come legge sui congedi parentali) come modificata dal d. lgs n. 151 del 26 marzo 2001; a ciò
si deve aggiungere un’ulteriore opportunità costituita dal Fondo sociale europeo per la promozione
presso le aziende di forme di flessibilità del lavoro a favore della conciliazione tra famiglia e lavoro
e un altro riferimento legislativo costituito dalla legge 14 febbraio 2003 (cosiddetta Legge Biagi),
promotrice di nuove tutele e opportunità contrattuali finalizzate alla migliore adattabilità reciproca
tra lavoratori e impresa (art. 4) [Allamprese 2003; Garofalo 2002]. La legge 53/2000, contenente
Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, rappresenta una svolta culturale molto rilevante
perché è indice di una consapevolezza emergente del problema della conciliazione dei tempi. Attraverso l’art. 9, la suddetta legge, che si propone come finalità generale la promozione di un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione attraverso una pluralità di strumenti
(art. 1), si occupa delle misure a sostegno della flessibilità di orario (alle quali si darà ampio spazio
nel saggio) al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa
volte a conciliare tempo di vita e di lavoro [Piazza et al. 1999]. A tal fine è previsto un finanziamento, attraverso il Fondo per l’occupazione, alle imprese che applichino accordi contrattuali che
prevedono azioni positive per la flessibilità, cioè soluzioni organizzative che favoriscono l’accesso
e il rientro dei genitori (ed in particolare delle madri) nel mercato del lavoro, tutelando contemporaneamente il tempo e le attività di cura familiare.
Per quanto riguarda le possibilità di azioni conciliative che le aziende e il territorio hanno oggi a
disposizione [Bombelli e Cuomo 2003], rimandiamo sinteticamente alla lettura della tabella 12.1.
Come si potrà osservare si tratta di un insieme veramente molto ampio di azioni che, se realizzate,
agevolerebbero di molto la relazione famiglia-lavoro.
TAB. 12.1. Strumenti di conciliazione a disposizione delle aziende e del territorio
1) MISURE CHE RIDUCONO O ARTICOLANO DIVERSAMENTE IL TEMPO DI LAVORO:
part-time; job sharing; elasticità giornaliera in entrata e in uscita; esenzione dai turni (diurno/notturno); flessibilità su
base annua e banca delle ore; turni flessibili, scivolati, orari insoliti; telelavoro o lavoro a distanza; aspettative e permessi; congedi di maternità e parentali (estensione rispetto alle leggi).
2) MISURE DI SUPPORTO (SERVIZI) CHE LIBERANO TEMPO PER LA CURA DEI MEMBRI DELLA
FAMIGLIA:
asili-nido; nursery; scuole materne; locali per ragazzi/circoli; vacanze, colonie estive per ragazzi e famiglie; mense
aperte, catering, lavanderie, altri servizi interni; spacci e facilitazioni di acquisti/servizi; counselling per la conciliazione, per problemi familiari; assistenza per anziani non auto-suficienti.
3) MISURE PER SUPPORTARE IL RIENTRO DALLA MATERNITA’/PATERNITA’, PER CREARE UNA
DIVERSA CULTURA DELLA CONCILIAZIONE, PER NON PENALIZZARE LE CARRIERE, MA AL
CONTRARIO VALORIZZARE LE COMPETENZE:
supporto, formazione e aggiornamento al rientro da un congedo; mentoring sulle carriere in relazione alle responsabilità
di cura; creazione di una figura, all’interno della direzione del personale, di coordinatore di conciliazione lavorofamiglia; informazione dell’azienda nei confronti di chi è in congedo.
4) MISURE CHE CONSENTANO LA SOSTITUZIONE DEL TITOLARE D’IMPRESA O DEL LAVORATORE
AUTONOMO CHE BENEFICI DEL PERIODO DI ASTENSIONE OBBLIGATORIA O DEI CONGEDI
PARENTALI CON ALTRO IMPRENDITORE O LAVORATORE AUTONOMO.
5) MISURE PER APPOGGIARE FINANZIARIAMENTE I/LE DIPENDENTI:
integrazione all’indennità di maternità e congedo parentale; indennità per nascite, per i figli handicappati, sostegno dei
costi dei servizi (asilo nido, scuola materna, baby-sitter, assistenza per anziani e handicappati); borse di studio, stage
aziendali per i figli; prestiti, muti, anticipazioni Tfr; abitazione, affitti agevolati, indennità trasloco.
6) MISURE DI CONCILIAZIONE DEL TERRITORIO:
al governo locale, Comune, Provincia e Regione, spetta il compito di gettare ponti tra il sistema delle aziende e quello
dei servizi, degli orari e dei trasporti; promozione di progetti integrati tra vari soggetti; azioni di promozione di pari opportunità; tavoli di concertazione; supporto alla contrattazione in materia; orari della pubblica amministrazione; banche
dei tempi; fondo per l’armonizzazione dei tempi per le città.
La nostra analisi sulle politiche di conciliazione si soffermerà soltanto su alcuni casi tra i tanti
possibili. Ne abbiamo scelti alcuni che riteniamo abbastanza interessanti da essere posti
all’attenzione del lettore. Innanzitutto tratteremo del progetto «In famiglia a tempo pieno» di Bologna, «Genitori a Modena», «Part-Time» di Ferrara e «In famiglia a tempo parziale» di Bologna. Sono quattro esempi di sospensione temporanea e parziale del lavoro progettati da amministrazioni
comunali a testimonianza che il settore pubblico è, in un certo senso, uno dei traini delle possibili
politiche di conciliazione. Seguirà una breve presentazione del cosiddetto modello «Tagesmütter»
realizzato dalla Provincia autonoma di Bolzano in collaborazione con il terzo settore locale. Si passa poi all’analisi di un progetto-azione finalizzato alla informazione delle donne e delle aziende sui
temi della conciliazione, reso operativo da una Associazione temporanea di scopo costituita da associazioni di terzo settore, organismi di ricerca e mondo delle imprese. Conclude il capitolo l’analisi
di una politica integrata di conciliazione e pari opportunità realizzata da una grande azienda italiana,
la Bracco Spa di Milano. Il tentativo è quello di mostrare come la conciliazione dei tempi oggi non
riguardi tanto i vari sottosistemi della società presi singolarmente (amministrazione pubblica, mondo delle imprese, associazionismo, famiglie, ecc.), quanto le loro possibili relazioni. Si tratta di un
caso molto felice che ci permette di comprendere come oggi i problemi nascano e possano essere
risolti solo al livello delle relazioni e delle reti «istituzionali» che attraverso esse si condensano entro un welfare societario plurale. In ultimo sottolineiamo che, non a caso, quasi tutti gli interventi
riguardano la conciliazione dei tempi lavorativi con quella fase temporale della famiglia che implica
l’accudimento dei figli piccoli. Si tratta certamente di uno dei momenti «cruciali» sia della relazione
familiare sia di quella lavorativa.
2. Le politiche di conciliazione nell’orizzonte del welfare municipale. La sospensione temporanea e
parziale del lavoro
2.1. Il progetto «In famiglia a tempo pieno» di Bologna
Con il «Progetto a sostegno delle libere scelte educative da parte dei genitori: in famiglia a tempo pieno», nel luglio 2003 l’amministrazione comunale di Bologna decideva di proseguire
l’esperienza avviata sei anni prima, e perciò già sufficientemente consolidata, di «Un anno in Famiglia». Fin dalle origini, l’intervento, si distingueva per il fatto di perseguire simultaneamente due finalità: la prima, generale, mirava ad ampliare il panorama delle opportunità di scelta dei genitori, in
merito alla gestione dei tempi e delle modalità di cura dei figli, soprattutto nel loro primo anno di
vita; la seconda, specifica, intendeva rispondere alle difficoltà di accesso di molti genitori bolognesi
al sistema dei servizi, specialmente di quelli per l’infanzia (nidi). Complessivamente, tali obiettivi si
ponevano nella direzione più ampia della costituzione di un sistema integrato di opportunità a sostegno delle famiglie differenziate secondo le diverse esigenze1.
L’allegato A della delibera di Giunta P.G. n. 216228/2003, esecutiva a partire dal 23/12/2003,
definisce i criteri di accesso e le modalità organizzative e gestionali dell’intervento. Il progetto «In
famiglia a tempo pieno» prevede un contributo mensile di 360,00 euro per le famiglie, residenti nel
comune di Bologna (da intendersi «bambini residenti a Bologna con almeno un genitore»), in cui i
genitori, entro il primo anno di vita del proprio figlio e subito dopo l’aspettativa obbligatoria, decidono di usufruire dell’astensione facoltativa dal lavoro ai sensi del Testo unico sui congedi parentali
d.lgs. n. 151 del 26/03/2001, per un periodo continuativo di almeno tre mesi e fino a sei mesi.
L’assegno può aumentare fino a 465,00 euro per le famiglie monogenitoriali, in caso di parti gemellari e di utilizzo complementare dell’astensione temporanea dal lavoro da parte di entrambi i genitori (in quest’ultimo caso, il padre è tenuto ad assentarsi dal lavoro per almeno due mesi).
L’astensione facoltativa dal lavoro può essere richiesta dai nuclei familiari con attestazione Isee
inferiore a 18.000,00 euro e previa accettazione da parte del datore di lavoro, ai sensi della legge
53/2000 «Legge per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città», a condizione che:
– al momento della richiesta il bambino non abbia compiuto tre mesi di vita (salvo per i bambini con handicap, per le famiglie affidatarie o adottive e per le famiglie con problemi di salute debitamente documentati);
– i genitori rinuncino all’inserimento del figlio ad un nido d’infanzia comunale nel caso di accoglimento della richiesta dell’astensione facoltativa dal lavoro (se il figlio viene ammesso alla
scuola dell’infanzia, la famiglia beneficiaria dovrà rinunciare al contributo).
Se le domande, complessivamente, eccedono la disponibilità finanziaria, viene riconosciuta una
priorità alle famiglie con figli che presentano un handicap psico-fisico certificato, alle famiglie segnalate dal servizio genitorialità e infanzia, ai casi di parti gemellari e alle famiglie che scelgono un
periodo di astensione facoltativa più lungo. Successivamente le graduatorie vengono definite in base all’ordine crescente del valore Isee.
La tabella 12.2 presenta la distribuzione delle domande di contributo accolte e presentate
nell’ambito del progetto «Un anno in famiglia» (denominato dal luglio 2003 «In famiglia a tempo
pieno») dall’inizio della sua attivazione e fino al 30 giugno 2004. La tabella presenta anche, per
ogni anno, le percentuali di richiedenti (ovvero la percentuale di richiedenti rispetto i bambini nati
vivi e residenti nel comune di Bologna) e le percentuali di accoglimento (cioè le domande accolte
rispetto quelle presentate).
TAB. 12.2. Distribuzione delle richieste di contributo dal 1998 al 30 giugno 2004
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Fino al 30 giugno 2004
Totale
1
Nati vivi residenti
Domande
presentate
% di richiedenti
Domande
accolte
% di accoglimento
2.524
2.702
2.834
2.773
2.911
2.863
1.430
18.037
303
332
331
288
397
352
208
2.211
12
12,3
11,7
10,4
13,6
12,3
14,5
12,3
104
127
248
285
202
289
192
1.447
34,3
38,2
74,9
99
50,9
82,1
92,3
66,4
Per la sintesi degli atti che hanno accompagnato lo sviluppo dei contenuti del progetto, si confronti De Pasquale
[2004].
Osservando le frequenze assolute e quelle percentuali della tabella 2, si possono avanzare due
generi di considerazioni:
– dall’analisi delle frequenze assolute non emergono trend particolari; anzi, se si considerano
le domande di contributo presentate e accolte dal 1998 al 2003 (periodo per il quale si dispone di
dati annui completi), e se si eccettuano i dati più discostanti dal valore mediano, emerge un quadro
relativamente compatto;
– dall’analisi dei valori percentuali si delineano, invece, due scenari molto diversi fra loro: le
percentuali di accoglimento delle domande di contributo sono estremamente eterogenee; oscillano
tra il 99% del 2001 e il 34,3% del 1998. Le percentuali di richiedenti rispetto il totale dei bambini
nati vivi e residenti a Bologna, invece, si aggirano tutte attorno alla stessa media (12% circa) senza
grandi scostamenti o eccezioni.
Il quadro di sintesi appena delineato indica che i genitori hanno accolto con grande favore
l’opportunità di sospendere temporaneamente l’attività professionale durante il primo anno di vita
del proprio figlio. Ciò si deduce sia dalla tendenziale omogeneità della distribuzione delle domande
presentate lungo l’intero periodo, sia da fatto che, per oltre il 12% dei nuovi nati fra il 1998 e il 30
giugno 2004 è stata presentata, da parte dei genitori, richiesta di partecipazione al progetto.
Le tabelle 12.3 e 12.4 presentano i dati, differenziati per bimestre, relativi alle richieste presentate, accolte e liquidate, e la spesa erogata, nell’ultimo anno di realizzazione del progetto.
TAB. 12.3. Domande accolte e contributi erogati nell’ambito del progetto «In famiglia a tempo pieno», nel secondo
semestre 2003, per bimestre
II semestre 2003
Domande presentate
Domande
accolte
Domande
liquidate
Contributo
erogato
62
61
61
184
57
54
60
171
57
54
60
171
euro 92.820,00
euro 89.685,00
euro 95.362,50
euro 277.867,50
Luglio/agosto
Settembre/ottobre
Novembre/dicembre
Totale
TAB. 12.4. Domande accolte e contributi erogati nell’ambito del progetto «In famiglia a tempo pieno», nel primo semestre 2004, per bimestre
I semestre 2004
Gennaio/febbraio
Marzo/aprile
Maggio/giugno*
Totale
Domande presentate
Domande
accolte
Domande
liquidate
Contributo
erogato
70
70
68
208
64
61
63
192
51
73
67
191
euro 99.930,00
euro 104.730,00
euro 104.640,00
euro 309.300,00
ª I dati relativi al numero di domande accolte e liquidate nei mesi di maggio e giugno 2004 non sono da considerarsi
definitivi, perchè al momento della stesura del presente saggio la verifica dei requisiti dei richiedenti era ancora aperta a
possibili variazioni.
L’impegno di spesa per questo progetto nel 2003 ammontava a 662.500,00 euro e nel 2004 a
600.000,00 euro; la spesa effettivamente sostenuta nel 2003 è stata di 604.733,67 euro, e nel primo
semestre del 2004 di 309.300,00 euro. Diversamente dal progetto «In famiglia a tempo parziale»,
per il quale si rinvia più avanti, in questo caso non si sono verificati squilibri nel rapporto fra
l’importo complessivo dei contributi erogati e la spesa stanziata per il progetto, tali da impedire di
soddisfare completamente le richieste aventi diritto (in ogni bimestre del 2003 sono state liquidate il
100% delle richieste di contributo accolte – cfr. tab. 12.3); dove questo non si è verificato, la soluzione è stata trovata nell’attuazione di meccanismi di compensazione tra un periodo e l’altro (evidente, per esempio, nel passaggio dal bimestre marzo/aprile al bimestre maggio/giugno 2004 – cfr.
tab. 12.4).
Per concludere, ritengo utile richiamare sinteticamente alcuni dati emersi da una recente ricerca
realizzata da A. De Pasquale e A. Vultaggio per il Centro studi e documentazione sulla famiglia del
comune di Bologna [Donati 2004] su un campione casuale di 219 famiglie che tra gennaio 1998 e
dicembre 2002 hanno presentato domanda di contributo. Il campione è stato selezionato fra le domande presentate ed è suddiviso equamente fra richiedenti le cui richieste sono state accolte e successivamente liquidate (112) e famiglie che invece non hanno ottenuto il contributo (107). Della
citata ricerca è bene sottolineare in particolare che dei genitori intervistati, soltanto 7 (il 3%
dell’intero campione) avevano scelto di usufruire del congedo con alternanza, mentre nel restante
93% dei casi la scelta è stata esclusiva, della madre.
L’integrazione dei dati di tipo strutturale ricavati dall’analisi delle richieste di contributo con i
dati di tipo qualitativo raccolti tramite questionario e interviste semi-strutturate (rispettivamente su
un campione di 60 e 7 famiglie beneficiarie) da Salvatore Busciolano, ha permesso di avanzare alcune riflessioni conclusive.
Attraverso l’analisi qualitativa dei dati sono stati approfonditi alcuni aspetti legati alla scelta
dell’astensione temporanea dal lavoro, come ad esempio l’impatto dell’esperienza sulla relazione
genitore-figlio e sulla relazione coniugale, l’incidenza del contributo economico sulla scelta del
congedo e le strategie messe in atto dal genitore beneficiario del contributo al suo rientro al lavoro.
In sintesi, si è rilevato un elevato livello di soddisfazione da parte dei genitori in merito alla possibilità di trascorrere più tempo con i propri figli. Gli effetti positivi di tale esperienza sono stati avvertiti non solo rispetto la relazione genitore-figlio, ma rispetto anche la relazione di coppia, andando a migliorare la «condivisione della cura del bambino». Anche in questo caso, come si potrà osservare nel successivo (Modena), il tempo «liberato» è stato utilizzato soprattutto in ambito familiare. La maggior parte dei soggetti intervistati ha dichiarato di aver trascorso il tempo a propria disposizione prevalentemente «da solo con il bambino», e in misura nettamente inferiore «con altre
mamme e bambini» o «in ludoteche, parchi, servizi integrativi».
Passando ad esaminare quanto la possibilità di ricevere un contributo integrativo del reddito durante il periodo di astensione dal lavoro abbia influito sull’effettivo abbandono temporaneo
dell’attività professionale da parte dei genitori, emerge che poco più della metà dei soggetti intervistati (54%) avrebbe comunque preso una decisione in quel senso, mentre nel 46% dei casi ciò non
sarebbe avvenuto (e quindi il rientro al lavoro sarebbe coinciso con il termine del congedo obbligatorio). Questa variabile ripartisce il campione in due cluster quasi equivalenti a livello numerico e
ciò è indice di una differenziazione di esigenze e stili educativi familiari (sarebbe perciò interessante approfondire più analiticamente le motivazioni che hanno indotto i genitori a prendere questo
tipo di decisione). Tuttavia, le informazioni disponibili evidenziano che il campione intervistato è
rappresentativo di due tipi di esigenze specifiche che non necessariamente si escludono a vicenda,
ma che tuttavia esprimono priorità differenti nelle famiglie intervistate: da un lato, la parte più ampia di genitori decide di appropriarsi in modo completo e incondizionato di quella risorsa irripetibile
che è il tempo, soprattutto quando questo significa utilizzare quella risorsa assieme ai propri figli;
dall’altro lato, invece, per una quota consistente di genitori, la stessa scelta si è rivelata essere fortemente dipendente anche da motivazioni di tipo economico (a tal proposito si ricorda che possedere un reddito familiare annuo pari a un valore Isee non superiore a 18.000,00 euro, costituisce requisito necessario per fruire del contributo previsto dal progetto). È quindi molto importante non dimenticare quanto il bilancio economico influisca sulle scelte genitoriali in relazione ai compiti di
cura familiare e in termini di equità, perchè proprio le condizioni economiche spesso sono
l’ostacolo più grande all’opportunità di poter usufruire dei vantaggi legati alla sospensione del lavoro durante il primo anno di vita dei figli.
Dopo il rientro al lavoro, i soggetti intervistati non hanno espresso preoccupazioni particolari nei
confronti del problema della conciliazione tra famiglia e lavoro, dichiarando di aver ri-organizzato
il proprio tempo libero a scapito del «tempo per sé» e di «cura della casa», ma non di quello dedicato al bambino, e di aver optato a favore del rientro parziale al lavoro piuttosto che del nido,
dell’attività di cura entro la rete familiare o dell’inserimento dei figli ai servizi per l’infanzia.
I dati sinteticamente presentanti, sebbene limitatamente rappresentativi della popolazione complessiva, ci invitano a riflettere su alcune questioni emerse anche rispetto il progetto «Genitori a
Modena», che affronteremo più avanti (cfr. prossimo paragrafo) in una prospettiva comparativa In
sintesi, tali aspetti sono:
– lo squilibrio nella ripartizione delle responsabilità di cura tra uomini e donne;
– l’incidenza del contributo (ovvero delle condizioni economiche familiari) sulla decisione di
sospendere temporaneamente l’attività lavorativa;
– l’impatto dell’esperienza sulla relazionalità familiare.
2.2 Il progetto «Genitori a Modena»
Nel settembre 2000 il comune di Modena ha attivato il progetto a sostegno della genitorialità denominato «Genitori a Modena: un assegno per il primo anno di vita del proprio figlio», altrove noto
come «Un anno in famiglia», prevedendo l’erogazione di un contributo mensile dell’importo massimo di 362,00 euro per massimo venti famiglie. Ogni anno il progetto comunale prevede tre bandi
assegnatari ognuno di venti contributi (per un totale di 60 famiglie beneficiarie l’anno).
Il contributo mensile viene riconosciuto alle famiglie, residenti nel comune di Modena, in cui il
bambino o la bambina per il/la quale viene richiesto sia nato/a da non oltre due mesi dall’apertura
del bando oppure atteso con data presunta fino a due mesi dal suddetto termine, e almeno un genitore sia in condizione di occupazione e disposto ad astenersi temporaneamente dal lavoro per tutto il
periodo di erogazione del contributo.
L’assegnazione del contributo è vincolata inoltre all’indicatore di situazione economica familiare
(Isee) e alla rinuncia dei genitori all’inserimento del proprio figlio al primo anno dei servizi educativi comunali, convenzionati o privati.
Alle famiglie che dimostrino di averne i requisiti, viene erogato un assegno mensile fino al rientro al lavoro del genitore richiedente, comunque non oltre il compimento del primo anno di età del
figlio.
Di seguito verranno presentati alcuni risultati di un’indagine, commissionata dal comune di Modena alla società di consulenza «Aretes» tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004, sulle famiglie modenesi che hanno beneficiato del contributo previsto dal progetto, al fine di comprendere, a partire
dalla valutazione complessiva che gli stessi utenti hanno espresso al riguardo, gli elementi di forza e
di debolezza dell’intervento .
Prima di descrivere i risultati delle interviste, effettuate telefonicamente per mezzo di questionari, è necessario accennare ad alcuni dati generali riguardanti il numero di contributi assegnati (sul
totale dei richiedenti) secondo la tipologia familiare (tab. 12.5), il numero di figli del nucleo familiare (tab. 12.6) e la fascia Isee (tab. 12.7). I dati sono differenziati per richiedenti e beneficiari del
contributo nei tre anni di realizzazione del progetto (settembre 2000-settembre 2003).
TAB. 12.5. Numero di beneficiari del contributo (sul totale dei richiedenti) secondo la tipologia del nucleo familiare
I Anno
Richiedenti Beneficiari
II Anno
Richiedenti Beneficiari
III Annoª
Richiedenti Beneficiari
Nuclei familiari con almeno un
genitore lavoratore autonomo o
libero professionista
32
10
10
4
19
11
Nuclei monogenitoriali
13
3
9
9
16
11
Nuclei con un genitore disoccupato
3
0
1
0
0
0
Nuclei con entrambi i genitori
dipendenti
118
49
102
47
118
58
Nuclei in cui la richiedente è dipendente pubblico
22
10
12
9
18
10
Totale
166
62
122
60
153
80
ª I dati del terzo anno comprendono anche quelli relativi al bando di settembre 2003.
TAB. 12.6. Numero di beneficiari del contributo (sul totale dei richiedenti) secondo il numero dei figli del nucleo familiare
I Anno
Richiedenti Beneficiari
1 Figlio
2 Figli
3 Figli
Oltre 3 figli
Totale
93
56
13
4
166
24
24
11
3
62
II Anno
Richiedenti Beneficiari
75
34
11
2
122
33
18
7
2
60
III Anno
Richiedenti Beneficiari
80
56
13
4
153
32
35
10
3
80
TAB. 12.7. Numero di beneficiari del contributo (sul totale dei richiedenti) seconda la fascia Isee
I Anno
Richiedenti Beneficiari
Meno di 5.000
Da 5.001 a 10.000
Da 10.001 a 13.000
Da 13.001 a 15.000
Oltre 15.001
Totale
11
57
46
37
15
166
6
19
19
15
3
62
II Anno
Richiedenti Beneficiari
17
39
33
20
13
122
9
18
13
11
9
60
III Anno
Richiedenti Beneficiari
31
50
30
15
27
153
14
31
19
7
9
80
In sintesi, osservando le frequenze assolute, emerge che le famiglie che hanno richiesto il contributo mensile previsto dal progetto «Genitori a Modena» sono in prevalenza famiglie con uno o due
figli, famiglie in cui entrambi i genitori lavorano come dipendenti, e famiglie che rientrano nelle fasce Isee intermedie. La percentuale di liquidazione delle domande di contributo (ovvero la percentuale di erogazioni rispetto le richieste pervenute) è aumentata per i nuclei familiari con almeno un
genitore lavoratore autonomo o libero professionista, e per i nuclei con entrambi i genitori dipendenti, per le famiglie con due figli, e per le famiglie che rientrano nella seconda fascia Isee (5.00110.000 euro), mentre è calata per le famiglie con reddito pari a un valore Isee inferiore a 5.000 euro.
Passando ad esaminare alcuni dati d’opinione in merito all’esperienza vissuta dalle intervistate
(le richiedeste di contributo, fino ad ora, sono state presentate solo da donne), emerge che la valutazione dell’esperienza da parte delle mamme che hanno ottenuto l’assegno mensile nel corso del
primo anno di vita del figlio, risulta complessivamente positiva (solo 7 su 137 esprimono un giudizio negativo – cfr. tab. 12.8), anche se quasi una su cinque ritiene che il valore monetario
dell’assegno sia inadeguato (insufficiente o del tutto insufficiente), mentre è appena sufficiente per
il 51,1% (tab. 12.9). A questo bisogna aggiungere che per il 38% di loro la scelta della temporanea
astensione dal lavoro si è accompagnata ad un peggioramento del bilancio familiare (tab. 12.10).
TAB. 12.8. Distribuzione delle frequenze assolute e percentuali delle risposte alla domanda «Da 1 a 10 come giudica
l’esperienza dell’assegno mensile per il primo anno di vita?»
Valori Assoluti (N)
Valori Percentuali (%)
Giudizi negativi (1-5)
Giudizi positivi (6-10)
7
130
5,1
94,9
Totale (Media = 8,74)
137
100,0
TAB. 12.9. Distribuzione delle frequenze assolute e percentuali delle risposte alla domanda «In base alla sua esperienza, come giudica l’ammontare dell’assegno?»
N
%
Adeguato
Appena sufficiente
Insufficiente
Del tutto insufficiente
42
70
22
3
30,7
51,1
16,1
2,1
Totale
137
100,0
TAB. 12.10. Distribuzione delle frequenze assolute e percentuali delle risposte alla domanda «Durante il periodo in
cui ha utilizzato l’assegno mensile (rispetto ad oggi), per i seguenti aspetti la sua situazione era»
N
Condizione economica
Rapporti con gli amici
Tempo per sé
Migliore
%
32
24
60
23,4
17,5
43,8
Uguale
N
%
51
107
49
37,2
78,1
35,8
Peggiore
N
%
52
3
27
38,0
2,2
19,7
Non Risponde
N
%
1
3
1
1,5
2,2
0,7
Se i dati delle tabelle 12.8 e 12.9 vengono letti unitamente alle valutazioni che le intervistate
hanno dato rispetto il raggiungimento di certi obiettivi legati alla possibilità di trascorrere più tempo
in famiglia, come «migliorare la relazione padre-figlio» (punteggio medio di 7,50, rispetto una scala
di valutazione 0-10), «dedicare più tempo al figlio» (9,22), «migliorare le relazioni con gli altri
componenti della famiglia» (8,26), «arricchire l’esperienza personale di madre» (9,08), si deduce
che i benefici che le famiglie ritengono di avere ottenuto da questa esperienza sono soprattutto soggettivo-espressivi e di tipo relazionale, in particolare di sostegno alla relazionalità familiare. Anzi, si
potrebbe supporre che proprio questo rappresenti uno dei fattori preponderanti che fanno
dell’esperienza «Genitori a Modena», complessivamente, un’esperienza valutata positivamente dagli stessi utenti.
Al momento della ricerca, 25 donne su 137 percepivano ancora l’assegno mensile, e delle 112
restanti, 85 avevano ripreso il lavoro.
Le donne che non avevano ripreso il lavoro (27 complessivamente, quasi una su quattro) hanno
valutato più positivamente delle altre il raggiungimento del miglioramento della relazione padrefiglio e delle relazioni con altri componenti della famiglia, e l’arricchimento dell’esperienza personale di maternità, mentre le donne rientrate al lavoro hanno dichiarato, rispetto le altre, di aver raggiunto meglio l’obiettivo «dedicare più tempo al figlio».
Confrontando il periodo in cui percepivano il contributo mensile con il periodo successivo, le
intervistate già rientrate al lavoro hanno dichiarato, rispetto la variabile «tempo per sé», di aver migliorato la propria condizione nel 44,7% dei casi, di averla peggiorata nel 23,5% e di non aver percepito nessuna variazione nel restante 31,8% dei casi. Più della metà delle donne che non hanno ripreso il lavoro, invece, ritengono di non aver modificato la propria situazione rispetto questa variabile (55,6%), di averla peggiorata nel 14,9% dei casi e di averla migliorata nel restante 29,6% dei
casi. Confrontando i due campioni, si assiste quindi ad una lievitazione della classe intermedia
(«uguale») per le intervistate che, terminato il periodo di astensione dal lavoro, hanno deciso di non
riprendere l’attività lavorativa.
Per comprendere se il contributo mensile è andato davvero a sostenere la scelta di sospendere
l’attività professionale durante il primo anno di vita del figlio, è stato chiesto alle intervistate se, anche in assenza dell’assegno, avrebbero comunque preso una decisione in quel senso. Il 58,4% di loro ha risposto negativamente, con una lieve preponderanza di donne che in seguito hanno deciso di
riprendere l’attività professionale (cfr. tab. 12.11). Si può quindi concludere che per oltre la metà
dei casi, l’assegno ha influenzato la scelta di allontanarsi temporaneamente dal lavoro, sostenendola.
TAB. 12.11. Risposte alla domanda «Senza l’assegno mensile avrebbe lasciato temporaneamente il lavoro?»
Intervistate che hanno
Intervistate che non
ripreso il lavoro
hanno ripreso il lavoro
(%)
(%)
Medie
%
N
Sì
No
38,8
61,2
44,4
55,6
41,6
58,4
57
80
Totale
100,0
100,0
100,0
137
L’ultima parte della ricerca consiste in un approfondimento sulle donne che, al momento della
ricerca, non ricevevano più l’assegno mensile ed erano già rientrate al lavoro (complessivamente
85).
Di queste, la maggioranza ha dichiarato che la propria azienda è riuscita a trovare una soluzione
alla temporanea assenza dal lavoro, garantendone la continuità (69,4%); il 9,4% del campione ritiene invece che la propria azienda l’abbia fatto solo in parte, o per nulla (21,2%). Secondo le intervistate, le aziende sono state carenti soprattutto a livello informativo, in particolare rispetto le novità
legate alla maternità: 56 donne su 85 (65,9%) non hanno ricevuto alcuna informazione, il 5,9% è
stato informato in modo insufficiente, il 2,3% in modo scarso mentre il restante 25,9% del campione ha ottenuto delucidazioni esaustive. A questo si deve aggiungere la sostanziale continuità delle
condizioni di lavoro e delle mansioni svolte prima e dopo il periodo di sospensione dell’attività professionale (il 78,9% continua a svolgere la stessa mansione, il 77,6% rimane nello stesso ufficio, nel
71,8% dei casi non è stato fatto nulla a livello formativo per agevolare il rientro lavorativo della di-
pendente madre, per oltre la metà delle intervistate anche i rapporti con i colleghi sono rimasti invariati). Tuttavia non si possono non evidenziare alcuni dati ambivalenti e comunque contrastanti rispetto questa tendenza, come il caso di due licenziamenti e due dimissioni successivi al periodo di
astensione dal lavoro o come il caso di 14 intervistate (il 16,5% del campione) che dichiarano di
aver vissuto, al rientro al lavoro, un peggioramento dei rapporti con i colleghi.
Infine, alla domanda (cui hanno risposto solo le 112 donne che non percepivano più l’assegno
mensile) se avessero ripetuto, alla luce di quanto successo, la scelta di sospendere temporaneamente
il lavoro, 104 (pari al 92,8% del campione complessivo) hanno risposto affermativamente, 3 (2,7%)
negativamente e 5 (4,5%), indecise, hanno optato a favore dell’item «non saprei». Le motivazioni
riportate dalle tre intervistate che hanno risposto negativamente sono legate, in un caso,
all’abbandono del lavoro per motivi di inconciliabilità dell’orario lavorativo con gli impegni di cura
familiare e, in due casi, alla rinuncia all’asilo.
A partire dai risultati presentati in questo paragrafo, che sostanzialmente confermano alcune tendenza già emerse dalla precedente analisi sul progetto «In famiglia a tempo pieno» di Bologna, concluderò con alcune osservazioni generali di sintesi:
1) la bassa partecipazione dei padri (nulla nel caso di Modena) ai progetti è indice dello squilibrio nella suddivisione delle responsabilità di cura familiare all’interno della famiglia. Il fatto che
gli uomini continuino a manifestare grandi difficoltà nell’avvalersi dei vantaggi che la legge riconosce loro come padri, si inserisce in un contesto in cui, sebbene il divario fra i generi si stia fortemente riducendo in molti campi (si pensi per esempio all’aumento – sebbene non ancora totalmente
compiuto – dei tassi di occupazione femminile, o l’eccezionale progresso delle donne nel campo
dell’istruzione), persistono ancora enormi differenze (in termini di opportunità di carriera, di occupazione e di disoccupazione, di retribuzione, di settori occupazionale, ecc.). Ciò significa che sia il
mercato del lavoro sia la società nel suo complesso esprimono ancora grandi incertezze nella capacità di adattarsi a queste nuove condizioni;
2) le condizioni economiche (di breve e lungo periodo) delle famiglie incidono fortemente
sulla decisione dei genitori di sospendere temporaneamente l’attività lavorativa dopo la nascita di
un figlio;
3) le esperienze presentate hanno dimostrato di essere capaci di agire sulla relazionalità familiare. La grande partecipazione con cui le famiglie hanno reagito a questa proposta comunale, è il
segnale di un bisogno, quello di vivere appieno la genitorialità (maternità/paternità) che qui ha trovato risposta nella difesa del tempo della relazione e nel riconoscimento di questo diritto anche alle
famiglie con basso reddito.
Nella tabella 12.12 vengono riassunti brevemente i caratteri distintivi del progetto «Genitori a
Modena» e del progetto «In famiglia a tempo pieno» di Bologna.
TAB. 12.12. Sintesi delle principali caratteristiche dei progetti di sospensione facoltativa e temporanea dell’attività
lavorativa nei comuni di Bologna e Modena
Caratteri distintivi del progetto Il progetto «Un anno in famiglia» (deno- Il progetto «Genitori a Modena»
minato dal luglio 2003 «In famiglia a di Modena
tempo pieno») di Bologna
Periodo di attivazione
Novembre 1997
Settembre 2000
Soggetti richiedenti
Genitori, padre e/o madre
Genitore, madre o padre
Importo del contributo
360,00 euro mensili. L’importo può au- Massimo 362,00 euro mensili.
mentare fino a 465,00 euro per le famiglie
monogenitoriali, in caso di parti gemellari
e
di
utilizzo
complementare
dell’astensione temporanea dal lavoro da
parte di entrambi i genitori.
Durata dell’astensione dal la- Da un minimo di tre fino a sei mesi.
voro
Fino all’età di un anno del figlio.
Modalità di erogazione del In un’unica soluzione ogni mese.
contributo
In un’unica soluzione ogni mese.
Modalità di fruizione del pe- – in modo continuativo;
In modo continuativo ed esclusivo (l’altro
riodo di astensione dal lavoro – in modo esclusivo, per la madre o per genitore deve svolgere attività lavorativa
il padre, o in modo complementare tra retribuita o essere disoccupato da non oltre
madre e padre.
6 mesi, ma aver lavorato per almeno 18
mesi negli ultimi 3 anni).
Condizioni di fruibilità del – risiedere nel comune di Bologna;
contributo
– usufruire dell’astensione temporanea
dal lavoro entro il primo anno di vita del
figlio, subito dopo l’aspettativa obbligatoria, per tutto il periodo di erogazione del
contributo;
– avere un reddito annuale pari a un valore Isee non superiore 18.000,00 euro.
– avere il consenso del datore di lavoro;
– rinunciare all’inserimento del figlio al
nido d’infanzia durante il periodo in cui si
percepisce il contributo;
– età del figlio, al momento della richiesta, non superiore ai tre mesi, salvo che in
casi particolari.
Presentazione della domanda – domanda di integrazione economica,
entro il terzo mese di vita del figlio;
– attestazione Isee;
– autorizzazione del datore di lavoro, o
autodichiarazione del periodo di astensione dal lavoro per i lavoratori autonomi, in
caso di ottenimento del contributo.
– risiedere nel comune di Modena;
– usufruire dell’astensione temporanea
dal lavoro entro il primo anno di vita del
figlio, per tutto il periodo di erogazione del
contributo;
– avere un indicatore di situazione economica non superiore a certi limiti;
– rinunciare all’inserimento del figlio al
primo anno dei servizi educativi comunali,
convenzionati o privati;
– età del figlio non superiore a due mesi
alla data di apertura del bando oppure atteso con data presunta fino a due mesi dal
suddetto termine.
–
–
domanda di integrazione economica;
attestazione Isee.
2.3. Il progetto «Part-Time» di Ferrara: un caso di politica realizzata mediante un accordo tra il
comune, l’amministrazione provinciale, le organizzazioni sindacali e le associazioni imprenditoriali di categoria.
Il progetto che si descriverà nelle prossime pagine può essere annoverato, a titolo esemplificativo, fra gli interventi di politica familiare di welfare municipale che, nell’ambito della conciliazione
famiglia-lavoro, è trasversale alle politiche familiari del settore privato, essendo effetto della sinergia d’azione e di co-responsabilità di una molteplicità di soggetti diversi. L’intervento infatti, pur
nascendo nel settore politico-amministrativo di governo locale, necessita, ai fini della sua realizzazione complessiva, anche della partecipazione di altri soggetti non istituzionali, i quali tutelando
interessi particolari concorrono a sostenere le scelte di ri-organizzazione dei tempi delle famiglie
che transitano in quella nuova fase del ciclo di vita familiare connotata dall’ingresso di un nuovo
piccolo membro.
Il 6 novembre 2002 il comune di Ferrara, l’Amministrazione provinciale di Ferrara, le Organizzazioni sindacali (Cgl-Cisl-Uil) e le Associazioni imprenditoriali di categoria (Unione industriali,
Associazione piccole e medie industrie, Cna, Confartigianato, Associazione commercianti, Confesercenti, Associazione provinciale coltivatori diretti, Upa, Lega cooperative e Confcooperative)
hanno sottoscritto un accordo per promuovere il sostegno della maternità e della paternità attraverso
un progetto che accompagna i genitori nella scelta di ridurre il proprio orario lavorativo nel corso
dei primi anni di vita dei loro figli.
Tale iniziativa, denominata «progetto part-time» prevede un impegno congiunto da parte dei
suddetti soggetti, differenziato secondo le diverse competenze, rispettivamente amministrative e di
rappresentanza. In particolare, l’Assessorato alle politiche familiari, con il sostegno
dell’amministrazione provinciale, si è occupato della promozione dell’accordo; l’Ufficio politiche
familiari – Centri per le famiglie – del processo di implementazione, della divulgazione
dell’iniziativa fra i genitori e del finanziamento del progetto attraverso fondi a carico del bilancio
comunale; infine, l’impegno delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di categoria è stato
prevalentemente di tipo informativo, orientato, nel caso specifico, al sostegno «delle scelte di riorganizzazione dell’orario di lavoro nella direzione del part-time», e, più in generale, alla promozione
di azioni capaci di favorire la conciliazione famiglia-lavoro.
Il progetto prevede l’erogazione di un contributo economico, a integrazione del reddito del genitore, madre e padre, lavoratore dipendente e residente nel comune di Ferrara, che sceglie di lavorare a tempo parziale durante il secondo e il terzo anno di vita del figlio. L’erogazione del contributo, da realizzarsi in una o più soluzioni ex post rispetto l’utilizzo del part-time e a condizione che
la famiglia possieda un reddito pari a un valore Isee non superiore a 18.000 euro annui, avviene secondo le seguenti modalità:
– per un periodo di 6 mesi il contributo erogato è pari a 1.000,00 euro;
– per periodi più lunghi il contributo aumenta proporzionalmente fino a 2.000,00 euro nel caso
di utilizzo del part-time per una durata massima di 12 mesi;
– nel caso in cui entrambi i genitori scelgano la riduzione dell’orario di lavoro, da utilizzare
con alternanza (per un periodo minimo di tre mesi) e nel caso di utilizzo del part-time con una riduzione dell’orario di lavoro pari o superiore al 50% dell’orario di lavoro a tempo pieno, il contributo
aumenta del 50%, variando da 1.500,00 a 3.000,00 euro, a seconda della durata complessiva
dell’utilizzo dell’orario parziale (i due aumenti non sono cumulabili).
Le modalità di fruizione del part-time sono diverse, rispetto il soggetto richiedente e rispetto la
modalità attraverso la quale i genitori intendono utilizzare l’orario lavorativo ridotto, vale a dire:
1. in modo esclusivo, per la madre o per il padre, per un periodo che varia dai 6 ai 12 mesi o in
modo complementare tra madre e padre, per un periodo di 12 mesi;
2. in modo continuativo o frazionato, ma nella richiesta di contributo al comune la famiglia
deve dichiarare come intende procedere nella programmazione del part-time.
Il progetto prevede inoltre un contributo per i datori di lavoro del settore privato, le cui aziende
risiedano nel territorio provinciale di Ferrara, che autorizzano un proprio dipendente all’orario di
lavoro part-time, per ragioni familiari, nel corso del secondo e terzo anno di vita del proprio figlio.
Il contributo, erogato in un’unica soluzione, successivamente all’entrata in part-time del dipendente,
varia fra 500,00 e 1.000,00 euro, proporzionalmente alla durata del periodo dell’orario di lavoro ridotto (da 6 a 12 mesi).
Le famiglie richiedenti l’integrazione economica dovranno presentare, unitamente alla domanda
e alla dichiarazione sostitutiva delle condizioni economiche del proprio nucleo familiare, anche
l’autorizzazione del datore di lavoro alla riduzione dell’orario da tempo pieno a part-time.
Le aziende invece dovranno presentare, unitamente alla richiesta di contributo, una dichiarazione
della concessione, al proprio dipendente, della riduzione dell’orario lavorativo.
Passando ad esaminare la distribuzione delle domande di part-time nei due anni di sperimentazione del progetto (01/07/2002-30/06/2004 – tab. 12.13) si può notare un calo consistente (di circa
il 50%) delle domande presentate, e di quelle accolte e liquidate, nel passaggio dal primo al secondo
semestre di attivazione del progetto ed una riduzione, del 70% circa, nel passaggio dal secondo al
terzo. Tale flessione risulta particolarmente evidente se si confrontano i dati della prima e
dell’ultima colonna della tabella 12.13: si passa da 45 domande presentate dai genitori, di cui 40 accolte e liquidate, e 17 domande dei datori di lavoro nel primo semestre di sperimentazione del progetto, a 7 domande presentate dai genitori, di cui 6 accolte e liquidate, e 4 dai datori di lavoro, tre
semestri dopo. Questo decremento deve essere imputato, per quanto concerne i primi due semestri,
alla disposizione transitoria (punto 7) della delibera della Giunta che ha dato avvio alla sperimenta-
zione del progetto, la quale ammetteva alla richiesta di contributo non solo i genitori aventi diritto a
partire dal 1° luglio 2002, ma anche quelli che, nei tre anni precedenti l’attivazione del progetto,
erano entrati in part-time, con figli nati dopo il 1° luglio 1999, avendo maturato le condizioni necessarie per accedervi.
TAB. 12.13. Domande di contributo presentate e accolte nei 2 anni di sperimentazione del progetto «part-time»
Domande
Presentate
Accolte e liquidate
Datori di lavoro
II Semestre 2002
01/07/02-31/12/02
I Semestre 2003
01/01/03-30/06/03
II Semestre 2003
01/06/03-31/12/03
I Semestre 2004
01/01/04-30/06/04
45
40
17
22
20
2
6
6
4
7
6
4
La tabella 12.14 mostra la distribuzione delle domande alle quali è seguita l’erogazione del contributo, differenziata secondo il genitore richiedente. Fin dall’inizio della sperimentazione del progetto, le richieste di contributo legate alla riduzione dell’orario lavorativo da parte dei padri sono
state esigue: se si considerano complessivamente i due anni di sperimentazione, sul totale di domande presentate (80), solo 3 (pari al 3,75% del totale) sono state effettuate dai padri. Questo è un
dato importante, non solo perché conferma quanto già chiaramente emerso dai casi precedenti (Bologna e Modena), ma anche perché soddisfa solo limitatamente una delle finalità che la stessa amministrazione comunale si proponeva con il presente progetto («favorire una programmazione familiare che veda direttamente coinvolti madre e padre»).
TAB. 12.14. Domande di contributo comunale presentate da madri e padri nei 2 anni di sperimentazione del progetto
«part-time»
Domande presentate
dai genitori
II Semestre 2002
01/07/02-31/12/02
I Semestre 2003
01/01/03-30/06/03
II Semestre 2003
01/01/03-30/06/03
I Semestre 2004
01/01/04-30/06/04
Madri
Padri
38
2
20
0
6
0
6
1
Totale
40
20
6
7
È necessario sottolineare, infatti, che, se da un lato l’opportunità data ai genitori di scegliere il
part-time al rientro dal lavoro, dopo aver usufruito dei congedi parentali previsti dalla legge, si è rivelata decisamente consapevole e radicale (tutte le domande presentate nell’ultimo anno avevano
come oggetto una richiesta di riduzione dell’orario di lavoro superiore al 70%), dall’altro questa
scelta si è dimostrata essere prettamente femminile, almeno nel contesto ferrarese, e almeno quando
i figli sono ancora molto piccoli. Tutto questo ci impone di ritornare alla questione della conciliazione famiglia-lavoro, come problema che certamente si ripercuote sulla famiglia nel suo complesso, ma che, nell’immaginario post-moderno dominante, riguarda soprattutto le madri lavoratrici.
2.4. Il progetto «In famiglia a tempo parziale» di Bologna
Il «Progetto a sostegno delle libere scelte educative da parte dei genitori: in famiglia a tempo
parziale», è stato avviato, in fase di sperimentazione, nel secondo semestre del 2003 (01/07-31/12)
come intervento integrativo rispetto il progetto «In famiglia a tempo pieno». Promuovendo una
nuova opportunità di conciliazione dei tempi di vita professionale con i tempi di vita familiare, esso
va a perfezionare il sistema delle iniziative a sostegno della genitorialità e delle responsabilità familiari.
Con la delibera P.G. n. 216228, esecutiva a partire dal 23/12/2003, la Giunta decide di dare prosecuzione nell’anno 2004 all’intervento sperimentale (avviato nel periodo luglio-dicembre 2003)
approvato con la deliberazione P.G. n. 90776/2003 esecutiva dal 09/06/2003. La nuova delibera,
che valuta positivamente il precedente semestre di sperimentazione, e conferma il progetto «In famiglia a tempo parziale» per il 2004 come intervento consolidato, procede alla definizione dei criteri di accesso e delle modalità organizzative e gestionali del progetto a integrazione e sostituzione di
quelli definiti nel precedente regolamento.
Il progetto prevede un contributo economico mensile ad integrazione del reddito del genitore,
madre e/o padre, lavoratore dipendente, atipico (collaborazioni coordinate e continuative) o autonomo, residente nel comune di Bologna, che decide, entro il terzo anno di vita del figlio, di svolgere
la propria occupazione ad orario ridotto.
La delibera P.G. n. 216228/2003, rispetto la precedente, mantiene invariate le finalità, l’importo
del contributo (260,00 euro mensili), il criterio di ammissione all’integrazione economica (valore
Isee dei nuclei familiari non superiore a 18.000 euro annui) e la modalità di erogazione del contributo (unica soluzione successiva all’approvazione della domanda da parte dell’Amministrazione
comunale).
Rimangono invariati anche i casi ai quali viene riconosciuto il diritto di accesso all’erogazione
del contributo:
– riduzione dell’orario di lavoro pari o superiore al 50% dell’orario di lavoro a tempo pieno;
– alternanza dei genitori, per almeno tre mesi, nell’uso della riduzione dell’orario di lavoro;
– nuclei monogenitoriali;
– parti gemellari.
Il contributo scende a 160,00 euro mensili per chi decide a favore del part-time, ma con un orario
lavorativo superiore al 50% dell’orario a tempo pieno (la riduzione dell’orario di lavoro non dovrà
comunque essere inferiore al 25% del tempo pieno).
Per entrambi gli importi, l’erogazione del contributo economico è incompatibile con
l’opportunità di inserimento del/la bambino/a nella scuola dell’infanzia.
Anche in questo caso, come in quello precedente, sono due le modalità di fruizione del part-time
secondo il soggetto richiedente, quella esclusiva e quella complementare. Tuttavia, diversamente
dal progetto «Part-time» di Ferrara, la prima modalità è prevista per il genitore (padre o madre) che
utilizza il part-time per un periodo che va da uno a dodici mesi; la seconda nei casi in cui entrambi
concordino autonomamente, in relazione alle rispettive condizioni lavorative, la riduzione
dell’orario di lavoro.
Al fine di consentire ai genitori la massima modularità nell’organizzazione dei tempi, utile alla
conciliazione famiglia-lavoro, il part-time può essere richiesto anche per periodi brevi, fino al minimo di un mese continuativo.
L’unica differenza fra l’ultima delibera della Giunta in ordine temporale (dicembre 2003) e la
precedente, sta nell’aver eliminato, fra i criteri di priorità nell’accettazione delle domande, le famiglie monogenitoriali, mentre è stata confermata la precedenza degli altri casi (famiglie con figli che
presentano un handicap certificato dal servizio Usl competente, famiglie segnalate dal servizio genitorialità e infanzia, famiglie con almeno tre figli e i casi di parti gemellari). Oltre a ciò è stata aggiunta una voce che riporta le domande alle quali non è stato riconosciuto il contributo, alle graduatorie successive, fino al compimento del nono mese di vita del figlio.
La tabella 12.15 mostra la distribuzione (in valori assoluti) delle richieste di contributo presentate, accolte e liquidate; la tabella 12.16 le percentuali di accoglimento (ovvero il numero di domande accolte rispetto quelle presentate) e di liquidazione (il numero di domande che hanno otte-
nuto il contributo, rispetto le domande accolte), nei primi due semestri di realizzazione del progetto
(per i dati dettagliati per bimestre, si cfr. le tab. 12.17 e 12.18). Osservando i dati emerge che:
1. nella fase di sperimentazione (semestre luglio-dicembre 2003) su 97 domande accolte (delle
150 presentate) sono stati erogati 64 contributi (66%); nella fase di consolidamento (gennaio-giugno
2004) delle 57 domande accolte, su un totale di 62 domande presentate, 23 (40%) hanno ottenuto il
contributo previsto. La transizione dal primo al secondo semestre di attivazione del progetto è stata
caratterizzata quindi da una riduzione delle erogazioni pari al 26%;
2. la percentuale di accoglimento delle richieste è aumentata, nel passaggio dal primo al secondo semestre, dal 61% al 92%;
3. nella fase di consolidamento del progetto le richieste presentate sono state meno della metà
rispetto quelle presentate nel semestre precedente (si cfr le frequenze assolute della tab. 12.15).
TAB. 12.15. Domande accolte e contributi erogati nei primi due semestri del progetto «In famiglia a tempo parziale»
Fase di sperimentazione
01/07/03-31/12/03
Fase di consolidamento
01/01/04-30/06/04
150
97
64
62
57
23
143.320,00 euro
su un impegno di spesa
di 87.500,00 euro
58.560,00 euro
su un impegno di spesa
di 100.000,00 euro
Domande presentate
Domande accolte
Domande liquidate
Totale contributi da erogare rispetto la spesa stanziata
TAB. 12.16. Percentuali di accoglimento e di liquidazione nei primi due semestri del progetto «In famiglia a tempo
parziale»
Fase di sperimentazione
01/07/03-31/12/03
Fase di consolidamento
01/01/04-30/06/04
% di accoglimento (domande accolte rispetto quelle presentate)
61
92
% di liquidazione (domande liquidate rispetto quelle accolte)
66
40
TAB. 12.17. Domande accolte e contributi erogati nel primo semestre (di sperimentazione), per bimestre
Fase di sperimentazione
(II semestre 2003)
Domande
presentate
Domande
accolte
Domande
liquidate
Contributo
erogato
Luglio/agosto
Settembre/ottobre
Novembre/dicembre
6
74
70
4
47
46
4
23
37
euro 11.280,00
euro 50.780,00
euro 81.260,00
Totale
150
97
64
euro143.320,00
TAB. 12.18. Domande accolte e contributi erogati nel secondo semestre (di consolidamento), per bimestre
Fase di consolidamento
(I semestre 2004)
Domande presentate
Domande
accolte
Domande
liquidate
Contributo
erogato
Gennaio/febbraio
Marzo/aprile
Maggio/giugno
26
16
20
24
16
17
7
7
9
euro 14.800,00
euro 16.640,00
euro 27.120,00
Totale
62
57
23
euro 58.560,00
In breve, alla consistente riduzione delle domande presentate è seguito un incremento della percentuale di accoglimento (si noti tuttavia l’abbassamento delle frequenze assolute delle domande
accolte nell’ultimo semestre), ma anche una ulteriore riduzione, rispetto il semestre precedente (rilevante sia in termini percentuali sia in termini assoluti) delle erogazioni.
Uno dei principali motivi che hanno determinato questa situazione deve essere ricercato nella
relazione tra il numero di richieste accolte e la spesa stanziata per questo progetto, che, evidentemente, fin dall’inizio della sua attivazione ha riscontrato fra le famiglie bolognesi un favore consistente, quanto inatteso. Ciò ha generato una lista di attesa, fin dal settembre 2003, di genitori aventi
diritto al contributo, per i quali tuttavia non si è ancora proceduto alla liquidazione.
A questo si deve aggiungere che, a differenza del progetto «In famiglia a tempo pieno» che prevede il termine per la presentazione della domanda entro il terzo mese di vita del figlio, il progetto
«In famiglia a tempo parziale», all’atto dell’istituzione, prevedeva la possibilità di presentare richiesta a tutti coloro che ne avessero maturato il diritto nei tre anni precedenti (si veda a tal proposito
anche il caso di Ferrara, dove tuttavia la spesa stanziata fu sufficiente a soddisfare il numero di richieste accolte).
Nella tabella 12.19 vengono riassunti brevemente i caratteri distintivi del progetto «Part-time» di
Ferrara e del progetto «In famiglia a tempo parziale» di Bologna.
TAB. 12.19. Sintesi delle principali caratteristiche dei progetti di sospensione parziale e temporanea dell’attività lavorativa nei Comuni di Ferrara e Bologna
Caratteri distintivi del progetto
Il progetto «Part time» di Ferrara
Il progetto «In famiglia a tempo parziale»
di Bologna
Anno di avvio
Secondo semestre 2002.
Secondo semestre 2003.
Soggetti richiedenti
– Genitori, madre e/o padre.
– Datori di lavoro.
Genitori, madre e/o padre.
Importo del contributo
– Per i genitori: da 1.000,00 a 2.000,00 Da 160,00 a 260,00 euro mensili
euro con possibilità di incremento fino a
3.000,00 euro una tantum.
– Per i datori di lavoro: da 500,00 a
1.000,00 euro una tantum.
Durata Part-Time
Da 6 a 12 mesi.
Da 1 a 12 mesi.
Modalità di erogazione del
contributo
Per i genitori: in una o più soluzioni, ex
post rispetto l’utilizzo del part-time.
– 1.000,00 euro per un part-time della
durata di 6 mesi;
– per periodi più lunghi (fino a 12 mesi)
il contributo aumenta proporzionalmente
In un’unica soluzione, successivamente
all’approvazione della domanda da parte
dell’Amministrazione Comunale.
– 260,00 euro in caso di riduzione
dell’orario di lavoro pari o superiore al
50% dell’orario di lavoro a tempo pieno,
fino a 2.000,00 euro;
– in caso di riduzione dell’orario di lavoro pari o superiore al 50% dell’orario a
tempo pieno o di alternanza fra i genitori
(per un periodo minimo di tre mesi), il
contributo aumenta del 50%, variando da
1.500,00 a 3.000,00 euro.
Per i datori di lavoro: in un’unica soluzione successivamente all’entrata in parttime del dipendente.
Modalità di fruizione
alternanza dei genitori (per almeno tre mesi) nell’uso della riduzione dell’orario di
lavoro, nuclei monogenitoriali, parti gemellari;
– 160,00 euro in caso di riduzione
dell’orario di lavoro inferiore al 50%
dell’orario di lavoro a tempo pieno.
– in modo esclusivo, per la madre o per – in modo esclusivo , per la madre o per
il padre, o in modo complementare tra il padre, o in modo complementare tra mamadre e padre;
dre e padre;
– in modo continuativo o frazionato.
– per periodi brevi, fino al minimo di 1
mese continuativo.
Condizioni di fruibilità del Per i genitori:
part-time
– essere lavoratore dipendente;
– risiedere nel comune di Ferrara;
– scegliere il part-time durante il secondo-terzo anno del figlio per almeno 6 mesi in modo esclusivo e 3 mesi in modo
complementare, motivato da esigenze familiari;
– avere un reddito familiare annuale non
superiore a 18.000,00 euro.
Per i datori di lavoro:
– appartenere al settore privato;
– risiedere nel territorio provinciale di
Ferrara;
– aver autorizzato un proprio dipendente
all’orario di lavoro parziale.
– Essere lavoratore dipendente, atipico
(co.co.co) o autonomo;
– risiedere nel comune di Bologna;
– ridurre l’orario di lavoro entro il terzo
anno del figlio, per un periodo di almeno 1
mese continuativo;
– ridurre l’orario di lavoro di almeno il
25% rispetto il tempo pieno;
– avere un reddito familiare annuale non
superiore a 18.000,00 euro;
– aver rinunciato all’inserimento del figlio nella scuola dell’infanzia.
E’ riconosciuta una priorità alle famiglie
con: figli con handicap, segnalazione del
servizio genitorialità e infanzia, almeno tre
figli e parti gemellari.
Presentazione della domanda
– domanda di integrazione economica;
– attestazione Isee;
– autorizzazione del datore di lavoro o
autocertificazione per i lavoratori autonomi o assimilati ai lavoratori dipendenti.
Per i genitori:
– domanda di integrazione economica;
– attestazione Isee;
– autorizzazione del datore di lavoro.
Per i datori di lavoro:
– domanda di contributo;
– dichiarazione attestante la concessione
del part-time al dipendente.
3. Il modello Tagesmütter della Provincia di Bolzano: un caso di politica realizzata da una Provincia autonoma e il sistema del Terzo settore
Il servizio di assistenza domiciliare all’infanzia – Tagesmütter promosso nel 1996 dalla Provincia Autonoma di Bolzano rappresenta una risposta concreta e innovativa alle esigenze di conciliazione dei tempi professionali e di cura familiare delle famiglie e, in particolare, delle madri che,
sempre più numerose, decidono di rientrare nel mondo del lavoro dopo la maternità. Le sue radici
possono essere ritrovate nella più antica modalità di cura dei bambini e delle bambine, in particolare
nei primi anni di vita: quella realizzata dalla rete familiare-parentale in casa. Il servizio domiciliare
all’infanzia ha trovato ampia diffusione, prima che in Italia, in molti paesi europei, con grandi differenze da paese e paese, anche a livello terminologico, a dimostrazione della volontà di attribuire a
questa attività un preciso statuto professionale. È possibile, tuttavia, individuare alcuni elementi tra-
sversali alle diverse esperienze: innanzitutto, il servizio sfrutta le risorse presenti sul territorio per
ampliare l’offerta di servizi per l’infanzia; in secondo, luogo fornisce alle donne e in particolare alle
madri, l’opportunità di crearsi un’occupazione remunerata senza rinunciare alla cura quotidiana dei
propri figli.
Nella Provincia di Bolzano questa idea fu formalizzata in un primo progetto nel 1992 e ufficializzata successivamente con l’emanazione da parte della Giunta della legge provinciale n. 8/1996
approvata dal Consiglio il 9 aprile 1996 al fine di ampliare le possibilità offerte alle famiglie
nell’ambito dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (bimbi in età compresa tra 0 e 3 anni)
e resa esecutiva con il Dpgp 30 dicembre 1997 n. 40, entrato in vigore il 4 marzo 1998.
Le Tagesmütter garantiscono assistenza ai bambini di età compresa fra i 0 e i 3 anni, presso la
propria abitazione, la quale deve rispettare determinati parametri di superficie minima e standard
igienico-ambientali sottoposti periodicamente alla verifica delle istituzioni competenti; ogni assistente può accogliere contemporaneamente, compresi eventualmente i propri figli se di età inferiore
ai dieci anni, massimo sei bambini.
Il servizio di assistenza domiciliare all’infanzia, che, in base al secondo comma dell’articolo 2
del Dpgp n. 40/1997, si pone in rapporto di alternatività e di complementarietà con il servizio degli
asili nido, nell’ambito dell’aiuto e del sostegno alla famiglia, è finanziato dalla Giunta provinciale
ed erogato, su tutto il territorio, da istituzioni private senza scopo di lucro (cooperative sociali e associazioni), le quali si occupano di promuovere e organizzare il servizio, mediare i rapporti fra operatrici e famiglie-utenti, coordinare e controllare l’operato delle assistenti domiciliari e provvedere,
in collaborazione con l’ente pubblico – Provincia (Ripartizione servizio sociale e Ripartizione formazione professionale), alla loro formazione e aggiornamento professionale.
È opportuno soffermarsi brevemente sull’importanza della formazione delle Tagesmütter, le
quali, nello svolgimento di un ruolo non esclusivamente educativo e di cura, possono lasciare «tracce» indelebili nella vita e nello sviluppo dei bambini: la novità non sta tanto nelle caratteristiche del
percorso formativo delle operatrici (simile alla generalità delle iniziative professionali nel campo
dell’assistenza all’infanzia), ma nell’aver individuato un profilo professionale che, non solo ha delineato una serie di implicazioni professionalizzanti, ma è divenuto garanzia di qualità e di sicurezza
del servizio stesso. Una formazione specifica, teorico-pratica, che comprende studi di psicologia,
pedagogia e comunicazione, ma anche di servizi sociali, diritto del lavoro e di famiglia, imprenditoria e organizzazione del lavoro, cooperazione e marketing aziendale, cucina, informatica, economia
domestica, sicurezza nell’ambiente di lavoro e domestico. Il percorso formativo si conclude con un
tirocinio pratico, finalizzato all’osservazione diretta e alla conoscenza del contesto istituzionale, del
territorio e dei comportamenti adeguati ai principi deontologici della professione. Insomma, un lungo itinerario di formazione che garantisce l’acquisizione di competenze specifiche e professionalità.
Il Dpgp n. 40/97 definisce i requisiti che le operatrici devono possedere affinché possano esercitare la professione. Essi sono:
– il conseguimento del diploma di qualifica al termine del corso di formazione specifico, della durata non inferiore a complessive 250 ore, oppure il possesso di un diploma di maestra d’asilo o di
assistente all’infanzia;
– età non inferiore ai diciotto anni e non superiore ai sessant’anni;
– possesso del certificato di abitabilità rilasciato dal comune o del relativo certificato sostitutivo
rilasciato dall'ufficio igiene pubblica dell'azienda speciale unità sanitaria locale competente per territorio;
– disponibilità di un'abitazione le cui caratteristiche corrispondano agli standard in materia di
igiene e sanità di cui agli articoli 1 e 2 del decreto del Presidente della giunta provinciale n. 22/97.
Oltre alle citate garanzie rispetto la figura delle operatrici e il luogo di esercizio del servizio, il
modello «Tagesmütter» offre flessibilità negli orari e personalizzazione del servizio. Infatti, la famiglia non solo può accordarsi direttamente con la Tagesmutter circa la durata e le modalità di frequenza del servizio da parte del bambino (tramite l’intermediazione della cooperativa sociale o
dell’associazione, nella persona della coordinatrice), ma può avvalersi di un servizio disponibile e
capace di avvicinarsi il più possibile alle esigenze particolari di ogni piccolo assistito.
Come si è già detto, la scelta del legislatore è stata quella di lasciare al privato sociale la realizzazione del servizio. All’ente pubblico spetta, oltre il compito di sovrintendere all’intero servizio,
attraverso l’Ufficio famiglia donna e gioventù – Ripartizione servizi sociali, e al suo monitoraggio,
il sostegno economico, sia dell’offerta («La Provincia autonoma di Bolzano è autorizzata ad assegnare contributi finanziari alle spese di gestione delle istituzioni private senza scopo di lucro o delle
cooperative di servizi sociali, che promuovano ed organizzino sul piano tecnico-assistenziale e amministrativo l'assistenza domiciliare per l'infanzia» – art. 1, comma 2, L.P. n.8/96), sia della domanda («La Provincia autonoma di Bolzano prevede sussidi economici a sostegno delle famiglie a basso
reddito utenti dell'assistenza domiciliare all'infanzia» – art. 1. comma 3, stessa legge). Contribuendo
a creare un panorama più vario e differenziato di servizi di assistenza all’infanzia, accessibile a tutti
secondo le diverse esigenze, l’ente pubblico-Provincia di Bolzano è riuscito a incrementare effettivamente le opportunità di scelta delle famiglie con figli in età 0-3 anni.
Il favore che il modello Tagesmütter ha incontrato fra le famiglie, fin dalla sua prima esecuzione,
è dimostrato dai dati relativi ai bambini che hanno frequentato il servizio, alle operatrici attive e alle
ore di servizio svolte (cfr. tab. 20), tutti in progressivo aumento.
TAB. 12.20. Dati relativi ai bambini utenti del servizio, alle Tagesmütter attive e alle ore di servizio svolte dal 1998 al
2003
Anno 1998
Anno 1999
Anno 2000
Anno 2001
Anno 2002
Anno 2003
Tagesmütter
iscritte nell’elenco
Tagesmütter
«operative»
Bambini/
utenti
Ore di servizio
svolte
155
210
170
176
179
212
60
85
99
105
123
146
200
342
432
584
656
775
n.p.
70.000
144.355
206.700
250.000
288.010
4. Le politiche di conciliazione nel terzo settore: un progetto di informazione e azione realizzato
da una Associazione temporanea di scopo
In questo paragrafo ci occupiamo di una «rete organizzativa» ancora diversa, afferente al mondo
del Terzo settore, della ricerca e delle imprese: si tratta del progetto «Facilitare la conciliazione tra
lavoro e famiglia per le lavoratrici madri. Un progetto sperimentale in Brianza» (progetto n.
158264) finanziato dalla regione Lombardia con il Fondo sociale europeo tra le «Azioni di sistema
per lo sviluppo femminile al mercato del lavoro» (Bando misura E1).
La ricerca-azione ha previsto la sperimentazione di attività di formazione, ricerca, orientamento
e consulenza indirizzate ad aziende, lavoratrici madri, famiglie e operatori del territorio. Il progetto
è stato avviato a metà novembre 2003 ed è terminato il 30 settembre, con un momento pubblico di
presentazione dei principali risultati, e con l’obiettivo prioritario di sperimentare modelli di accompagnamento all’impresa e alla lavoratrice che facilitino l’individuazione di modelli condivisi di
flessibilità in uno dei passaggi critici del percorso lavorativo della lavoratrice madre, il rientro al
posto di lavoro dopo l’interruzione per maternità. L’attenzione alla riproducibilità dell’esperienza è
dovuta al fatto che la tematica obiettivo del progetto, la diffusione della conoscenza della nuova (e
non) normativa di lavoro e l’accompagnamento della donna che ritorna al lavoro dopo la maternità,
sono tali da suscitare interesse e attenzione in altre aree del territorio nazionale.
La rilevanza del progetto sta, oltre che nei suoi contenuti, nella forma organizzativa che ha sperimentato. Un forma a «rete» costituita da soggetti del terzo settore, della ricerca e dell’impresa. Il
progetto è stato infatti realizzato da una Associazione Temporanea di Scopo (Ats), costituita da
istituzioni appartenenti a distinti ambiti. Sul versante aziendale, la presenza di Union Camere, università Bocconi e Cdo Brianza, hanno garantito un’approfondita conoscenza delle problematiche
interne al contesto lavorativo; sul versante familiare, il Felceaf (rete di consultori familiari cui aderiscono 40 unità operative in Lombardia, e tre in territorio brianzolo), il Cofelb (rete di 19 associazioni familiari operanti e presenti in modo capillare su tutto il territorio regionale) hanno assicurato
una competenza «diretta» rispetto alle problematiche familiari e ai bisogni delle famiglie. La presenza di St. Paul international, società che si occupa di strategie comunicative per conto del Gruppo
Periodici San Paolo, in stretto contatto con il Cisf (Centro internazionale studi famiglia), ha garantito le necessarie competenze comunicative, rispetto a un progetto di intervento che si configura con
forti caratteristiche di innovazione.
La ricerca-azione ha tratto origine dalle innumerevoli indagini economico-sociali che sottolineano il dissidio tra cura del tempo familiare e attività lavorativa soprattutto per le donne. In specifico
si occupa della fase di rientro sul posto di lavoro quando le donne, al termine del periodo di assenza,
devono affrontare oltre alla cura dei figli neonati anche le pesanti difficoltà della ripresa lavorativa.
In particolare, dai dati raccolti dalle associazioni di categoria si evince che i periodi di maggiore
complessità gestionale per la lavoratrice madre sono due: il primo coincide con la neonatalità del
bambino, ampiamente tutelata dalla legge (astensione facoltativa e congedo parentale); il secondo
coincide con la prima infanzia del bambino, tutelata però in modo meno specifico ed efficace. Alcuni strumenti normativi sono già predisposti dal legislatore per venire incontro alla lavoratrice al
momento della ripresa lavorativa.
Tuttavia, dalle analisi effettuate da università e centri di ricerca, risulta che gli strumenti esistenti
non sono utilizzati in modo efficace. Vi è una assenza totale di meccanismi che consentano in concreto, da un lato, una più effettiva flessibilità-gradualità nei meccanismi di allontanamentoreingresso nella vita lavorativa e dall’altro, il mantenimento delle possibilità di carriera al rientro
dalla maternità.
Grande ruolo ricopre in tutto ciò sia l’ignoranza di queste opportunità, sia una informazione non
sempre adeguata e puntuale sulle stesse. La scarsa flessibilità offerta dal part-time, gli orari di lavoro rigidi e l’elevato monte ore, sono alcuni tra gli elementi che inducono perciò molte lavoratrici a
dover scegliere, con una «alternativa secca», tra l’attività familiare e quella lavorativa.
A partire da queste riflessioni di sfondo, il progetto è stato articolato in una serie di azioni di ricerca e di momenti di formazione, tra i quali:
– la ridefinizione del fabbisogno e del problema a livello territoriale;
– l’attivazione del Servizio di consulenza-accompagnamento alle imprese;
– l’attivazione del Servizio di informazione-orientamento-accompagnamento per le lavoratrici
madri;
– supporti formativi per gli operatori;
– la valutazione dei modelli operativi e costruzione di modelli riproducibili;
– la realizzazione di un sito dedicato.
Le attività più rilevanti della ricerca-azione si sono concentrate su modalità di attivazione di servizi di consulenza, in particolare:
1. l’attivazione di un servizio di consulenza per le imprese finalizzato a promuovere la conoscenza degli strumenti normativi riguardanti le forme di lavoro che meglio si adattano a favorire il
rientro al lavoro delle donne dopo la maternità. Il servizio è stato realizzato per permettere:
– la realizzazione di uno strumento normativo-procedurale di sintesi delle diverse modalità
ipotizzabili per accompagnare il rientro della lavoratrice madre (opuscolo con modulistica);
– l’attivazione di un servizio con operatori a tempo parziale finanziati dal progetto, presso
realtà associative/di categoria operanti sul territorio.
Lo strumento normativo-procedurale è stato realizzato dal Sidef-sindacato delle famiglie (ente
delegato). Gli operatori di consulenza per le imprese sono stati gestiti e coordinati da Cdo Brianza e
Cofelb.
2. L’attivazione di un servizio di consulenza per le donne e le famiglie è stato finalizzato a
promuovere la conoscenza degli strumenti normativi riguardanti le forme di lavoro che meglio si
adattano a favorirne il rientro al lavoro dopo la maternità. Il servizio ha riguardato:
– l’attivazione di un servizio di informazione e orientamento (operatori a tempo parziale, finanziati dal progetto) alle lavoratrici e alle famiglie, in collaborazione con i servizi socio sanitari,
presso i consultori familiari, attraverso incontri pubblici a livello comunale;
– interventi di orientamento-informazione sullo stesso tema, all’interno dei percorsi di preparazione al parto, spazi di ascolto personale per donne e coppie;
– la lettura del territorio e realizzazione di strumenti informativi a livello comunale o intercomunale (mappa dei servizi di cura e assistenza per la primissima e prima infanzia).
Gli operatori di informazione/orientamento per le lavoratrici madri e le famiglie sono stati gestiti
e coordinati da Felceaf.
Il percorso formativo (svolto tra dicembre 2003 e gennaio 2004) è stato rivolto agli operatori che
avrebbero svolto le attività di informazione, orientamento e consulenza alle imprese e alle lavoratrici madri (12 persone, 6 per le imprese e 6 per le lavoratrici) e ha fornito utili strumenti per poter dare informazioni in ambito aziendale, nelle relazioni con le lavoratrici madri e con le famiglie. Si sono effettuate lezioni frontali ed esercitazioni pratiche, in particolare simulazioni.
A partire dal mese di febbraio 2004, al termine dell'attività di formazione, il gruppo di lavoro,
composto da 6 operatori, ha sviluppato una serie di azioni informative, promuovendo la conoscenza
del progetto presso le aziende e con l’obiettivo di raccogliere indicazioni su bisogni concreti delle
imprese.
Sono stati inoltre predisposti due strumenti operativi:
– un questionario informativo da inviare alle circa 1.000 aziende iscritte alla associazione
Cdo, con lo scopo di raccogliere informazioni, qualitative e quantitative;
– un documento, ad uso interno, che raccoglie gli aspetti normativi legati alle opportunità di
cui le aziende potrebbero usufruire con particolare attenzione alle forme di flessibilità.
È stata inoltre avviata una puntuale attività di recall telefonico e personale, rivolta a circa 300
aziende con più di 16 addetti.
A partire dal mese di febbraio 2004, al termine dell'attività di formazione, il gruppo di lavoro,
composto da 6 operatori, in collaborazione con i dirigenti dei consultori interessati, ha sviluppato un
approfondimento della formazione ricevuta con nuovo materiale, discussioni in gruppo e schematizzazioni, in vista dell'applicazione pratica di quanto appreso alla specifica attività prevista dal progetto. Particolare attenzione è stata dedicata alla preparazione delle interviste ai singoli e alle famiglie; in contemporanea si è svolta opera di sensibilizzazione presso i consultori interessati. Gli incontri di orientamento-informazione-accompagnamento con donne e famiglie sono stati di norma
realizzati da una coppia di operatori: un laureato in psicologia e un laureato in giurisprudenza.
Alla fine di questo articolato e complesso lavoro di ricerca e di progettazione, i risultati emersi
sono di grande interesse e sono stati presentati in un Convegno a Milano il 20 Novembre 2004. Tra
questi ne vogliamo sottolineare almeno tre:
a) la centralità del territorio. Da tutte le azioni di ricerca e di consulenza è emerso un «minimo
comun denominatore»: il riferimento al territorio, inteso sia nell’accezione più elementare come il
luogo in cui si vive, sia nell’accezione «complessa» di contesto socio–culturale nel quale si collocano la donna, la sua famiglia, le imprese, i servizi, e al cui interno vanno affrontati e risolti anche i
dilemmi e le difficoltà della conciliazione tra famiglia e lavoro;
b) la dimensione familiare. Di fondamentale importanza è stata la consapevolezza emersa durante tutto il progetto di dover spostare il baricentro del discorso sulla conciliazione, dalla donna –
intesa come individuo – alla famiglia – intesa come sistema di relazioni: occorre ri-posizionare la
famiglia come soggetto centrale che, nella sua unitarietà, agisce e patisce il rapporto con il lavoro.
Occorre infatti ricordare che l’obiettivo della conciliazione famiglia-lavoro è la «promozione del
benessere familiare»; solo in tal modo da un lato si supera la subordinazione della famiglia al lavoro
(si evita una flessibilità solo «a misura di impresa»), dall’altro si riconosce che la famiglia è real-
mente ambito decisivo nel qualificare la vita e il benessere delle persone e delle comunità locali. Insieme a ciò sono emersi i «nervi scoperti» per quanto riguarda i servizi (non) offerti alla famiglia; la
ricerca ha evidenziato la mancanza, o comunque l’insufficienza, di strutture per la prima infanzia o
per la cura di genitori anziani e di una politica dei tempi, soprattutto nelle grandi città, dove spesso
per spostarsi da casa in ufficio occorrono ore ed ore;
c) nel mondo dell’impresa. La ricerca svolta sulle imprese in Brianza, ha evidenziato che
all’interno delle imprese non è ancora concreta, nella pratica delle scelte organizzative, la pari opportunità tra uomini e donne in ambito lavorativo, mentre rimane ancora presente una penalizzazione della presenza delle donne al lavoro, troppo contesa, agli occhi di molti datori di lavoro, tra carichi familiari e impegno professionale. In molti contesti aziendali il lavoro è ancora organizzato secondo un modello di «controllo» dei dipendenti, anziché di valorizzazione delle risorse umane; così
viene premiata la «presenza sul posto di lavoro», anziché la capacità di perseguimento di obiettivi
aziendali. Anche per questo il part-time viene penalizzato, e considerato spesso alla stregua di un
«privilegio ghettizzante»: dopo la maternità solo il 12% delle donne che lavorano full-time lascia il
lavoro, contro il 70% delle donne che lavorano con un contratto di part-time;
In sintesi, da questa ricerca-azione sembra emergere una forte affermazione retorica dell’utilità e
della bontà del lavoro femminile, che non trova ancora sufficienti strumenti organizzativi per tradursi in reale prassi aziendale, se non in alcuni contesti, per la sensibilità di un datore di lavoro o
per la particolare configurazione dei processi produttivi. La recente riforma del lavoro ha introdotto
elementi che possono incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma il vero problema, secondo quanto riscontrato nel progetto, è un problema di cultura. Il problema è convincere
le aziende che la donna non è solo un potenziale costo e una seccatura se va in maternità, ma costituisce un «capitale umano» di qualità, una vera e propria risorsa per l’impresa, sul quale conviene –
anche economicamente – investire. Ancora una volta, una sfida di informazione e formazione che
va affrontata sul territorio, modulando gli interventi a seconda delle diverse realtà imprenditoriali.
5. Le politiche di conciliazione nelle aziende private for profit: il caso della Bracco S.p.a.
L’azienda Bracco Spa di Milano nasce nel 1927 come società di distribuzione di prodotti farmaceutici con 17 dipendenti. Nei suoi 75 anni di vita diventa una dei gruppi più importanti al mondo
nel settore della diagnostica medica per immagini. In particolare si specializza nella realizzazione di
mezzi per contrasto e apparecchiature mediche, ma anche in aree terapeutiche strategiche come la
gastroenterologia, la neurologia, l’endocrinologia e le patologie cardiovascolari attraverso la produzione di farmaci da prescrizione. Si tratta di una azienda «in movimento» largamente globalizzata e
presente in 115 paesi con centri di ricerca e di sviluppo in tutto il mondo.
La peculiarità di questa grande e importante impresa è la sua cultura aziendale basata su una
cultura dei valori che sottolinea la passione per la ricerca e l’innovazione continue, l’importanza
delle risorse umane come fattore chiave per lo sviluppo e la rilevanza delle relazioni con la comunità e con l’ambiente in cui l’azienda vive.
Per quanto riguarda le risorse umane, la Bracco ha come obiettivo un sistema equo all’interno
dell’azienda in linea con il mercato del lavoro, un sistema continuo di programmi di formazione,
una particolare attenzione ai giovani cui sono destinati specifici piani di sviluppo professionale, una
politica di scambi culturali tra giovani manager. A sostegno di questo sforzo per le risorse umane il
gruppo cita il basso turnover del personale.
Rispetto alla cultura, Bracco collabora con importanti enti, come il Teatro alla Scala di Milano;
istituisce borse di studio per giovani musicisti; è impegnata in numerosi progetti di recupero architettonico, tra i quali il progetto «Fontanevive», finalizzato al recupero di fontane monumentali nella
città di Genova, Varese, Napoli, Roma e Palermo.
Per quanto riguarda l’impegno per l’ambiente Bracco è stata una delle prime imprese che realizzarono un impianto di depurazione a Milano. Anche oggi il Gruppo dispone di strutture per studia-
re, gestire e controllare il processo ecologico e l’impatto ambientale delle sue attività. Per ogni processo produttivo viene realizzato un «bilancio materiali» finalizzato a conoscere quanti scarti vengono immessi nell’ambiente. Ogni anno viene poi redatto il «Bilancio ambientale».
Infine, rispetto alle relazioni con la comunità, Bracco sviluppa attività di solidarietà e di filantropia. Rappresenta l’Italia nell’ambito dell’iniziativa Csr (Corporate Social Responsability) Europe,
una rete di imprese la cui missione è incoraggiare altre aziende a intervenire nel sociale sostenendo i
loro progetti volti a favorire la crescita dell’occupazione e a prevenire l’immigrazione. Bracco partecipa a Sodalitas, associazione per lo sviluppo dell’imprenditoria nel sociale costituita per iniziativa di Assolambarda. Particolare attenzione è poi dedicata ai problemi dei bambini e dei giovani, per
esempio mediante borse di studio nel campo della formazione scientifica.
Parte rilevante di questa cultura d’impresa è quella centrata sulle pari opportunità tra uomo e
donna. Oggi in Bracco il 40% dell’organico è donna (soprattutto in campi poco consueti quali quelli
tecnico-scientifici, tradizionalmente ad appannaggio degli uomini) come il 25% del management e
più del 30% dei quadri intermedi. Un principio fondamentale del Gruppo è proprio la conciliazione,
l’equilibrio, la complementarietà, tra vita familiare e vita professionale. Le risorse umane, e in particolare le donne, non sono perciò concepite come un costo, bensì come una risorsa peculiare da
mettere nelle migliori condizioni di benessere psico-fisico. Alla Bracco si pensa che ogni donna, per
poter meglio realizzarsi, debba essere a suo agio sia all’interno della sua famiglia sia nel lavoro.
Le attività che riguardano la conciliazione famiglia-lavoro, seguono il corso di vita individuale
della donna: preparazione al parto, ripresa del lavoro, gestione ed accudimento dei figli, cura degli
anziani e distacco dalla vita professionale. Vediamo in modo più analitico di cosa si tratta. Abbiamo
selezionato dodici attività che ci sembrano rivelare bene l’eccellenza del «caso» Bracco:
1) iniziative di conciliazione del percorso professionale e di vita che affiancano programmi
formativi, di sviluppo e orari flessibili. In particolare, nel momento che rischia di divenire più discriminante per la carriera femminile, la maternità, le donne hanno la possibilità di essere accompagnate, in una prospettiva di qualità della vita, nella ricerca di un nuovo equilibrio, dove lavoro e privato siano più compatibili. Un’assistente sociale è disponibile affinché, le donne che lo desiderano,
possano trovare anche in azienda un punto di riferimento per condividere il loro stato d’animo, richiedere informazioni, proiettarsi nel nuovo ruolo di madre con più serenità;
2) per un anno intero dopo la maternità, una donna può utilizzare il part-time di quattro o sei
ore, orari più flessibili e personalizzati;
3) rientro nel lavoro nella stessa posizione lasciata durante la maternità;
4) a tutte le donne in maternità viene inviata a casa periodicamente un’informativa che riguarda
i principali fatti organizzativi, i comunicati al personale, il giornale aziendale;
5) ogni anno sono messe a disposizione gratuitamente per i figli dei dipendenti (ragazzi tra i 6 e
i 16 anni di età) un percorso ricreativo guidato in località marine e montane;
6) in collaborazione con le rappresentanze sindacali, Bracco ha avviato attraverso il proprio
servizio sanitario, un programma di medicina preventiva articolato in pacchetti differenti per sesso e
per età;
7) possibilità di accesso facilitato a tutti i dipendenti e ai loro familiari al Centro Diagnostico
Italiano per effettuare accertamenti medici a tariffe agevolate;
8) programmi innovativi per fronteggiare l’emergenza legata a una patologia grave che colpisce improvvisamente gli anziani in famiglia. Si tratta di 14 giorni di assistenza medica, infermieristica, socio-sanitaria, completamente gratuita;
9) assistente sociale presente in azienda per tre giorni alla settimana, al fine di offrire consulenza al personale su temi diversi. Il servizio rappresenta anche un punto di ascolto e di supporto per
affrontare il disagio legato a problemi familiari relazionali e di salute;
10) accompagnamento al pensionamento dal punto di vista amministrativo e burocratico, ma anche sostegno nel momento cruciale del cambiamento;
11) affiancamento e assistenza ai familiari dei propri dipendenti deceduti, assicurando orientamento e sostegno economico ai ragazzi affinché completino gli studi, anche a livello universitario;
12) ai dipendenti viene offerta una mezza giornata di ferie in più per chi vuole sperimentare
l’attività di volontariato.
Quest’ultima esperienza presentata, rappresenta un caso veramente esemplare, di welfare aziendale, dove è l’impresa stessa che elaborando una cultura di responsabilità sociale «produce» benessere per i suoi dipendenti. Si tratta di una cultura d’impresa non ancora molto sviluppata nel nostro
Paese e che senz’altro risente positivamente dell’orizzonte internazionale dell’azienda esaminata.
6. Conclusioni: la molteplicità di prospettive di conciliazione in un welfare societario plurale.
Il tema della conciliazione dei tempi familiari e lavorativi è ampio e complesso. Come anticipato
nell’introduzione esso concerne la ricerca e la realizzazione di una sinergia positiva tra responsabilità familiari e professionali. L’obiettivo sarebbe quello di realizzare una «temporalizzazione» dei
tempi di vita relazionali, capace di permettere il rispetto dei bisogni della famiglia e della professione. La riflessione sull’argomento ha condotto ad una prima delimitazione del campo di osservazione, ovvero la selezione di quegli interventi di conciliazione volti principalmente a sostenere la famiglia nell’adempimento della sua funzione educativa e di cura subito dopo la nascita di un figlio,
quando il complesso intreccio di ruoli e identità si complica. Questo in effetti sembra uno dei momenti più delicati e importanti nella vita di una famiglia, ma anche nella vita professionale dei genitori. Successivamente abbiamo proceduto alla selezione di alcuni casi, significativi sebbene non
esaustivi, capaci di rappresentare modalità differenti di realizzazione di politica familiare di conciliazione, ovvero configurazioni generatrici di un link tra famiglia e altre istituzioni sociali (nel caso
specifico, pubbliche, private e di privato sociale).
Il panorama complessivo emerso dall’analisi è denso di luci e ombre. Da un alto, infatti, si è riscontrata una grande richiesta di partecipazione da parte delle famiglie con figli in età infantile, ai
progetti che favoriscono la riorganizzare del tempo di lavoro in relazione alle esigenze di cura familiare (questo è il caso per esempio delle varie misure di riduzione o di sospensione temporanea
dell’attività lavorativa, sia di iniziativa pubblica, sia di iniziativa privata). Lo stesso apprezzamento
è stato manifestato anche rispetto quei servizi che soddisfano la ricerca di flessibilità e di personalizzazione e che vanno ad incrementare le opportunità (libertà) di scelta delle famiglie arricchendo
l’offerta di servizi, e superando l’appannaggio in questo ambito di stato-e-mercato (cooperative sociali di tagesmütter). Molto interessante è apparso anche il lavoro brianzolo sulle attività di formazione, orientamento e consulenza indirizzate ai soggetti variamente coinvolti nella questione della
conciliazione tra famiglia e lavoro. Infine, il caso della Bracco S.p.a. di Milano è stato presentato,
nel paragrafo dedicato agli interventi di conciliazione dei tempi praticati dalle aziende private for
profit, come un esempio di eccellenza di impegno sociale nei confronti dell’essere umano in quanto
tale e delle sue relazioni; impegno che nel tempo si è trasformato in una vera e propria cultura
d’impresa. In controtendenza rispetto molte altre esperienze aziendali, questo caso mette in luce la
necessità di sostenere il welfare market, cioè la cultura di responsabilità familiare e generazionale
realizzata dalle imprese, incoraggiando l’utilizzo degli strumenti che già esistono, ma che spesso
sono poco utilizzati se non sconosciuti.
Come si è detto, nel corso dell’analisi sono emersi anche alcuni aspetti problematici: fra questi
certamente la difficoltà della famiglia di ridefinire in modo realmente paritario la divisione del lavoro di cura fra uomo e donna. I divari di genere sono legati però anche alle disuguaglianze strutturali
del mercato del lavoro. Fin quando il part-time, così come altre forme di articolazione dell’orario di
lavoro, saranno considerate soluzioni confezionate su misura solo per le donne, fin quando le donne
guadagneranno meno degli uomini e fin quando il mercato del lavoro riserverà alle donne i lavori
considerati meno strategici e meno pagati, saranno sempre le donne a utilizzare le varie opportunità
che facilitano la conciliazione, come il part-time, la sospensione dell’attività lavorativa, i congedi,
ecc.
Da ciò si evince l’emergenza di politiche di conciliazione pensate ed attuate per intervenire sulle
relazioni, piuttosto che sui singoli individui (donne) e di nuove configurazioni societarie capaci di
affrontare efficacemente la complessità del problema. Occorre superare i modelli di politica familiare espressione di un assetto sociale basato sul compromesso fra stato e mercato (lib/lab) [Donati
2003], per promuovere lo sviluppo di servizi da parte del terzo settore e del sistema delle famiglie,
singole o associate, espressione di un’autonoma governance sociale, pur in costante relazione funzionale con gli altri sotto-sistemi della società. Affinché ciò possa accadere è necessaria una grande
«rivoluzione culturale» che veda nella famiglia in partner del mondo del lavoro e non un ostacolo.
In effetti ormai molte sono le possibilità di conciliazione, ma poche ancora le realizzazioni.
Per mostrare come tutto questo sia realizzabile concretamente, abbiamo riassunto nella tabella
12.21 alcune azioni praticabili che possono ispirare (orientare) gli addetti ai lavori nell’individuare
risposte efficaci rispetto alcune questioni problematiche concernenti la conciliazione dei tempi di
vita familiare con i tempi di vita lavorativa. Il messaggio che noi abbiamo ricavato da questa lettura
è che le esperienze più interessanti sono quelle che emergono dalla relazione fra gli attori.
TAB. 12. 21. Proposte concrete per la conciliazione dei tempi
Problema
Proposte praticabili
Assistenza ai bambini in situazioni eccezionali.
Ad es. in caso di malattia della persona normalmente
incaricata dell’assistenza o del bambino stesso; sorveglianza dei bambini in orario serale, in caso di commissioni urgenti da sbrigare o di partenza imminente dei
genitori.
– Accoglienza in una struttura di assistenza flessibile pubblica, privata o di
privato sociale;
– «piano di emergenza» interno delle aziende o comunque al luogo di lavoro
che preveda una riorganizzazione del lavoro nel caso venga a mancare
all’ultimo momento un collaboratore;
– maggiore flessibilità anche sul posto di lavoro del padre qualora questi
debba assentarsi per accudire un figlio;
– sfruttamento di tutte le possibilità tecnologiche per poter svolgere temporaneamente il proprio lavoro anche da casa (deviazioni delle chiamate telefoniche,
connessione ADSL, portatile, ecc.);
– servizio di assistenza a domicilio («baby-sitter d’emergenza», servizio baby-sitting), garantito per il totale territorio provinciale e con personale qualificato ed assolutamente affidabile;
– job-sharing e sharing per l’assistenza ai figli;
– parchi giochi sorvegliati per bambini per casi di «assenza breve» di uno dei
genitori (fino ad 1 ora), tipo «Casa del Bambino» a Bolzano.
Orari di apertura di scuole/asili e orari di lavoro.
Tempi stretti a causa dei rigidi orari di apertura di asili
e scuole in concomitanza con l’inflessibilità degli orari
di entrata al lavoro al mattino, a mezzogiorno, al pomeriggio, durante le vacanze.
– Strutture di assistenza ai bambini con orari flessibili (possibilità di poter
fare colazione con loro sul luogo, assistenza di pomeriggio e durante le ferie);
– adeguamento degli orari di apertura alle esigenze dei genitori;
– sorveglianza dei bambini in età scolare nelle ore pomeridiane con assistenza nello svolgimento dei compiti;
– unico centro di informazione volto a raccogliere le offerte di assistenza nei
mesi estivi;
– promozione del lavoro di gruppo sul posto di lavoro;
– orario flessibile, recuperi compensativi e facile applicazione del congedo
per malattia del figlio;
– spazi ed aree ricreative già previste nei piani edilizi (es. asili, scuole, zone
residenziali) adatte ad essere utilizzate per attività di assistenza flessibile
all’infanzia, ad es. dalle Tagesmütter (madri a giornata);
– creazione di strutture di assistenza in prossimità del luogo di lavoro (es.
asili nido all’interno di aziende, strutture di assistenza create in comune da
aziende), che permettano di trascorrere insieme ai bambini la pausa pranzo e
che limitano i tempi di percorrenza tra struttura di assistenza – luogo di lavoro;
– apertura non-stop dei negozi alimentari. Promozione di grossi centri commerciali («con angolo bambini»), dove si può acquistare tutto in una volta;
– creazione delle condizioni normative affinché per «assistenti domiciliari
all’infanzia» sia possibile accudire bambini tra 0 e 3 anni anche in strutture diverse dalla propria abitazione;
– possibilità di colazione presso l’«assistente domiciliare all’infanzia» già a
partire dalle ore 6.30.
TAB. 12. 21. (segue)
Problema
Proposte praticabili
Peso economico soprattutto per chi è da solo a crescere i figli e per le famiglie giovani.
I costi dell’assistenza esterna ai bambini in situazioni
eccezionali (es. durante le vacanze) sono molto elevati.
– Possibilità di proroga nella restituzione delle rate di ammortamento del
mutuo edilizio;
– sostegno alle donne che crescono da sole i propri figli qualora il padre non
provveda al loro mantenimento o provvisorio pre-finanziamento degli alimenti;
– promozione di un dibattito di base sulla ripartizione degli oneri tra persone
con e senza figli. Agevolazioni fiscali;
– sfruttamento delle competenze garantite costituzionalmente per attuare una
politica dei redditi a livello regionale a favore della famiglia;
– diritto al part time per genitori (come in Svezia o Germania) per via legale,
o, in ambito locale, tramite accordi tra sindacali, associazioni imprenditoriali e
le autorità pubbliche;
– partecipazione delle imprese ai costi delle assistenza dei bambini (basso
tasso di fluttuazione , meno assenze per malattia);
– per occupati part time con bambini fino ai 12 anni, trasferimento dei contributi sociali al reddito netto. Indirettamente si andrebbe a creare un assegno
famigliare, ma combinato con l’occupazione. Dal punto di Vista retributivo, il
part time diventerebbe più attraente addirittura del full fime;
– erogazione dell’assegno di cura (contributo della Provincia) per tutti i tipi
di assistenza ai figli (corsi feriali, asili privati nei mesi estivi). Innalzamento
della soglia d’età per l’ottenimento dell’assegno di cura dai 3 anni attuali ad
almeno 11.
Oltre all’assistenza ai bambini le donne necessitano
anche di servizi complementari per poter coniugare al
meglio lavoro e famiglia.
Mancanza di aiuto esterno (dover cucinare a pranzo è
considerato il primo fattore di stress)
– Estensione dell’assistenza anche all’ora di pranzo: le mense scolastiche
potrebbero essere utilizzate anche da altri bambini e non solo dagli scolari frequentanti la scuola in questione; le mense aziendali potrebbero venire aperte
anche ai figli dei dipendenti;
– servizio di mobilità da e per il luogo di custodia dei bambini;
– servizio di cucina, lavaggio e stiratura a pagamento o affidato a volontari.
Eventualmente sarebbe utile prendere in considerazione un incentivo per la
promozione di iniziative private in questi ambiti;
– «borse del tempo»;
– dare tempo alla famiglia. Non consegnare i bambini alla società dei servizi.
Non forzare l’iperattivismo aumentando ulteriormente il ritmo di vita e gli spostamenti territoriali.
Carenza di asili estivi e strutture per l’infanzia nelle
zone rurali.
Strutture di assistenza estiva concentrate nei centri urbani
– Ampliamento dell’assistenza estiva sfruttando strutture già esistenti (asili e
scuole). Assistenti dell’asilo e maestre dovrebbero essere a disposizione anche
in estate (30 giorni di ferie come altri lavoratori);
– incentivare la cooperazione tra comuni, associazioni turistiche, imprese
nell’allestimento di centri di assistenza estivi dove richiesti. E’ sufficiente un
piccolo numero (8) di bambini dai 3 ai 10 anni per comporre un gruppo;
– copertura dell’assistenza in tutte le aree, in particolare nei paesi e nei centri
minori. Offerta di centri genitori-bambini anche in aree decentrate. Forzare
l’informazione sulla possibilità di chiedere l’apertura degli asili e delle scuole
per tutto il giorno (già possibile se un numero sufficiente di genitori lo richiede);
– strutture di assistenza all’infanzia «itineranti» tra paesi vicini che possono
così offrire a settimane alterne possibilità di svago e centri di accoglienza per i
bambini;
– sostegno di iniziative come le colonie marine, in montagna ecc. Incentivazione di organizzazioni tipo «associazione cattolica» e «boy scout» per estendere l’offerta durante il periodo delle ferie estive. Family card per il trasporto
pubblico, piscine, manifestazioni culturali.
Difficoltà di reinserimento per le donne che mancano
da alcuni anni dal mondo del lavoro.
Il reinserimento avviene in maniera troppo brusca;
molte donne non sanno dove potersi informare
– Possibilità di un inserimento graduale nel mondo del lavoro;
– incentivi per le imprese che assumono donne che riprendono a lavorare.
Presso imprese private, forzare le possibilità di praticantato per donne che vogliono rientrare nel mondo lavorativo;
TAB. 12. 21. (segue)
Problema
Proposte praticabili
– istituzione di un consultorio a disposizione delle donne che si accingono a
riprendere il lavoro con corsi di orientamento professionale. Analisi di punti di
forza e debolezza, delle competenze, interessi. Pianificazione sistematica del
reinserimento nel mondo lavorativo, compresi formazione e training per il colloquio di presentazione;
– centro di informazione sulle varie possibilità di aggiornamento professionale. Giornate informative in cooperazione con istituzioni diversi (Ufficio lavoro, consulenza professionale, Ripartizione Sociale, Cciaa-Formazione ecc.),
volte a creare una maggiore trasparenza per quanto concerne a chi ci si deve
rivolgere per una determinata questione.
Limitate possibilità di riqualificazione o formazione
professionale per donne con bambini o rientrate dopo il
periodo di maternità.
Apprendistato possibile solo fino a 25 anni; le possibilità di perfezionamento professionale in seno
all’azienda sono vincolate ad un rapporto di lavoro fisso.
– Abolizione del limite massimo di età per il periodo di apprendistato, per
contratti di formazione e contratti di lavoro;
– estensione dell’aggiornamento professionale a tutte le tipologie del contratto di lavoro;
– corsi di formazione per adulti con servizio di assistenza alla prole;
– incentivare gli interessati a pianificare il rientro nel mondo lavorativo nel
lungo periodo (per esempio frequentando corsi serali, mentre l’altro partner si
prende cura dei bambini. Incentivare i genitori a ottenere un diploma scolastico
già durante la «pausa famigliare»);
– corsi a «moduli», per poter ottenere una qualifica nel lungo periodo. Al
momento l’ottenimento di una qualifica riconosciuta è legata ad un attività di
formazione molto dispendiosa di tempo.
Nel settore privato i modelli family-friendly trovano
difficile applicazione.
Pochi lavori a tempo parziale nel settore privato; le
donne a volte sono costrette a ripiegare su un altro lavoro per il quale non hanno la giusta qualifica.
– Incentivi economici per modelli lavorativi «a misura di famiglia» (riconoscimento alle aziende sensibili alle esigenze della famiglia, vantaggi fiscali per
chi dispone di strutture per la custodia dell’infanzia);
– incoraggiamento della disponibilità dei datori di lavoro nel settore privato
ad offrire sempre più modelli con orari di lavoro flessibili;
– adeguamento dei contratti collettivi del settore privato, per quanto riguarda
i congedi parentali, a quelli del settore pubblico;
– riduzione del costo del lavoro per il part time attraverso la riduzione dei
contributi sociali.
La funzione educativa dei genitori viene riconosciuta – Gli anni di assistenza all’infanzia dovrebbero essere riconosciuti come anni
insufficientemente.
assicurativi, nonostante ci siano ancora dei dettagli tecnici da discutere;
– regolarizzazione della posizione assicurativa dell’«assistente domiciliare
all’infanzia». Fino ad oggi l’«assistente domiciliare all’infanzia» non dispone
ancora di una piena assicurazione sociale, non ha diritto a ferie e malattia.
Sul lavoro le madri lavoratrici si trovano spesso di
fronte ad un muro di incomprensione.
Le madri che lavorano temono di venir giudicate negativamente sul posto di lavoro; vengono definite «madri
snaturate»; i colleghi di lavoro mostrano poca comprensione per le assenze a causa della malattia di un
figlio.
Sensibilizzazione delle imprese e dei colleghi di lavoro affinché facciano propria la politica di apertura alla famiglia:
– disponibilità a supplire ad eventuali assenze (ad es. con ore straordinarie),
quando sono sopravvenuti casi eccezionali;
– priorità dei lavoratori con bambini nella programmazione delle ferie;
– cura dei contatti con il datore di lavoro e con i colleghi durante il periodo di
maternità, ad es. partecipando ad attività di aggiornamento in azienda, almeno
per i primi 2 anni dell’assenza del dipendente;
– approfondimento della campagna di sensibilizzazione sul tema «famiglia e
lavoro» presso le aziende;
– giornate di formazione volte a rafforzare l’identità come «team».
Scarsa sensibilizzazione del partner e della società nel
suo insieme.
All’interno della coppia manca un’equa ripartizione dei
compiti; la cura dei bambini è gestita unicamente dalla
donna.
– Maggior coinvolgimento del partner nelle attività dei centri di assistenza
all’infanzia (es. incontri tra padri). Incentivare un maggior coinvolgimento del
partner nel lavoro familiare;
– maggior coinvolgimento degli uomini in questo ambito. Tuttora la ricerca
di servizi di assistenza per i bambini è un dominio femminile;
– educazione dei bambini già a scuola durante le lezioni (ad es. attraverso
giochi di società);
– in famiglia, sperimentare una moderna distribuzione dei ruoli (ad es. abituare anche i ragazzi ai lavori domestici).
Fonte: Perini http://www.donne-lavoro.bz.it/283v1166d1059.html-rielaborazione Prandini
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Le politiche e gli strumenti di conciliazione dei tempi