DAL 13 AL 26 MARZO IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY PAG.13 Tecnologie ECONOMIA E INNOVAZIONE Un giro d’Italia a spiegare agli imprenditori come si vince la competizione sui mercati globali «Imprese, l’innovazione vi conviene» L’appello di Pistorio: «La qualità totale non è un costo ma un moltiplicatore di ricavi La spesa pubblica in R&S è ancora troppo scarsa: va portata al 3% del Pil» Gildo Campesato L’hanno chiamato il “globetrotter dell’innovazione”: definizione azzeccata. Da quando è andato in pensione “operativa” da STMicroelectronics, il vicepresidente di Confindustria per innovazione e ricerca Pasquale Pistorio corre come prima e forse più di prima. Su e giù per l’Italia a convincere gli imprenditori, grandi e piccoli, ma soprattutto quelli più piccoli, che investire in innovazione conviene: “Uno studio ha mostrato che con un euro investito nel miglioramento di efficienza nelle aziende manifatturiere attraverso la cultura della qualità totale si è avuto un ritorno, a regime, di circa 20 euro”. A spiegare che innovando si diventa più competitivi, si migliorano i prodotti, si qualificano i processi, si pongono le basi per reggere alla concorrenza internazionale, compresa quella che viene dai Paesi a basso costo di manodopera. Il suo ruolo al vertice di Confindustria lo ha preso molto seriamente. Ha già partecipato a incontri con le aziende, ha dato vita a seminari e workshop che hanno coinvolto 2.000 persone (“Ma il nostro obiettivo è di raggiungere almeno 10.000 fra imprenditori e manager”), ha messo in campo un portale dedicato e, per non dimenticare la vecchia ma insostituibile carta, ha fatto stampare migliaia di opuscoli, vere e proprie guide per le imprese che vogliono tenersi al passo: “É il toolkit dell’innovazione, una vera e propria cassetta degli attrezzi in cui il piccolo imprenditore può trovare informazioni ed idee su specifiche proposte di innovazione”, spiega. Il tutto nasce da un progetto ambizioso, battezzato con l’acronimo “IxI=I³”. Imprese per l’Innovazione, le cui esperienze si potenziano reciprocamente. Una iniziativa di sensibilizzazione e informazione capillari sui temi della gestione dell’innovazione e delle soluzioni organizzative più opportune per rafforzare la capacità competitiva delle nostre aziende. Abbiamo incontrato Pistorio a Roma in occasione della seconda giornata dell’Innovazione. Milletrecento persone in sala ad ascoltare storie Innovare a 360° «C’è l’innovazione di prodotto e dei processi produttivi. Ma c’è anche quella dei processi operativi» di successo, opinioni, relazioni: “Un successone. A Parma, quando a metà novembre 2004 abbiamo organizzato il primo evento di questo tipo, eravamo in mille”. Ing. Pistorio, lei magari riempie le sale, ma le imprese italiane non paiono particolarmente di euro, contro i 47,6 miliardi della Francia e i 57 miliardi della Germania. Nel 2003 la nostra spesa pubblica in R&S è stata poco più della metà di quella francese, poco più del 40% di quella tedesca. Tutto questo lo paghiamo in termini di minor crescita e di minor competitività, delle imprese innovative. E quando pensano alle tecnologie, sembrano spesso pensare in termini di recupero costi piuttosto che di crescita. Non è più così. Le imprese stanno cambiando, come ho avuto modo di verificare in questi mesi e come mostra il successo dei nostri tour sull’innovazione. Si punta certamente a tagliare i costi perché si recupera efficienza, ma così si pongono anche le basi della crescita perché innovando si allarga il mercato, si migliorano i processi e, soprattutto, si risponde meglio al cliente. É il circolo virtuoso dell’innovazione. Le imprese italiane possono vincere la sfida delle economie emergenti, possono crescere. Si può fare: purché si metta l’innovazione al centro della strategia aziendale. Nel nostro giro d’Italia abbiamo incontrato centinaia di imprese, molte anche di piccole dimensioni, che stanno ideando nuovi prodotti e stanno entrando nei mercati emergenti. Se si guarda a quel che investe l’Italia in innovazione, alle macropolitiche economiche, il quadro non è così confortante. É vero. Tra il 1980 e il 2002 le risorse trasferite dallo Stato alle imprese per sostenere gli investimenti in R&S non hanno raggiunto i 14 miliardi PASQUALE PISTORIO Lasciata la guida operativa di StMicroelectronics si è dato la missione di diffondere fra le imprese italiane la cultura dell’innovazione ma anche del sistema Paese. Una lezione da tenere a mente per la prossima legislatura. Propongo di portare la spesa pubblica in R&S almeno al 2% del Pil entro il 2010 e al 3% entro il 2013, va completata la diffusione della banda larga, va fatto un grande investimento di innovazione nella scuola, la domanda pubblica deve diventare un formidabile driver di investimenti in nuove tecnologie e nuovi prodotti come avviene in altri Paesi, bisogna investire nella mobilità delle conoscenze favorendo il trasferimento tecnologico dai centri di ricerca pubblici alle imprese, l’innovazione può essere la leva per lo sviluppo del Mezzogiorno. E poi ci vogliono politiche strutturali e fiscali per favorire l’aggregazione delle imprese, la modernizzazione del sistema finanziario favorendo la disponibilità di capitali di rischio. É un profondo cambiamento anche culturale cui dobbiamo puntare. Nel frattempo le imprese italiane devono aspettare? No, devono capire che concetti come “qualità totale” o “lean production” sono alla portata di tutti così come lo sono mercati come l’India o la Cina. Il fattore tempo è decisivo. Le imprese italiane non possono aspettare i tempi della politica: hanno la responsabilità di agire. Cosa che stanno facendo egregiamente, del resto. Lei parla spesso di innovazione a 360°. Ci spiega il significato della formula? I primi 180° sono la ricerca e l’innovazione di prodotto e dei processi produttivi; i secondi 180° sono l’innovazione dei processi operativi che si fonda su quattro pilastri: uso innovativo delle tecnologie informatiche, internazionalizzazione, qualità totale, efficienza energetica e sviluppo sostenibile. Quale innovazione secondo lei è prioritaria? Entrambe, perché entrambe concorrono a determinare la competitività di un’azienda. Tengo a sottolineare l’aspetto della multidimensionalità. L’innovazione è innanzitutto un atteggiamento culturale cui le sfide della competitività globale chiamano tutte le imprese, grandi, medie, piccole ma anche piccolissime. L’ICT è una tecnologia di relazioni, di comunicazioni. Che vantaggi possono dare alle imprese gli investimenti in information and communication technology? L’utilizzo delle tecnologie ICT è da un lato fonte di efficienza, ma soprattutto è una fonte di innovazione perché consente all’impresa una miglior conoscenza e gestione dei processi interni, ma anche qualifica le relazioni con clienti e fornitori. Le tecnologie ICT cambiano il modo come imprese, istituzioni, individui interagiscono. Esse vanno estese. La banda larga si sta diffondendo, ma vanno incrementati anche strumenti come i personal computer: nelle famiglie, nelle scuole, nella PA, nelle imprese. Le imprese devono fare tesoro di queste tecnologie non solo per fare la gestione della contabilità o dei magazzini; devono servirsene per posizionarsi in un contesto globale, aprirsi al mondo, migliorare i loro processi produttivi, raggiungere i clienti. Le tecnologie dell’ICT «Sono fonte di efficienza aziendale, ma soprattutto consentono di migliorare processi interni e dialogo coi clienti» Computer più formazione, così cresce l’e-banking Ricerca AICA-SDA Bocconi sul ritorno degli investimenti in informatica nel settore bancario italiano Crescerà il commercio on-line, aumenterà il consumo multimediale, milioni di consumatori e lavoratori staranno attaccati alla posta elettronica, ma il pilastro della domanda di informatica è sempre lei: la banca. Con percentuali che non sono cambiate di molto da vent’anni a questa parte. Poco meno di un quarto della spesa informatica italiana – 4,4 miliardi di euro su un totale di 19,2 miliardi nel 2004 – continua ad essere generata dal settore del credito, senza contare le decine di migliaia di addetti, oltre all’indotto, impegnati a far funzionare le applicazioni esistenti e, in parte minore, per lo sviluppo di nuovi prodotti e accompagnare la diversificazione dei canali distributivi. La domanda inevitabile è: ma quale ritorno hanno le banche da questo dispendio di capitale e risorse? E che cosa succede se all’alta intensità di ‘cervelli elettronici”, cioè di tecnologie, si affianca un’alta densità di cervelli umani? Per rispondere a questa domanda, l’AICA – l’Associazione Italiana di Calcolo Automatico – insieme con la SDA dell’Università Bocconi e con la collaborazione dell’ABI hanno condotto per due anni una ricerca volta proprio a misurare l’impatto delle competenze digitali nel settore bancario italiano. Una ricerca presentata proprio nell’ateneo milanese e che, se lascia ancora aperti molti interrogativi di fondo, contribuisce a una apprezzabile presentazione di un settore alle prese con lo sviluppo dei nuovi servizi, a cominciare dall’e-banking, che ormai ha conquistato il 90 % degli istituti e il 15% dei correntisti. Competenze Il pubblico va considerato un co-produttore dei nuovi servizi digitali Dallo studio – presentato dal suo coordinatore Franco Camussone (SDA) e da Elena Sala (AICA) – emerge la realtà di un mondo, quello bancario italiano, allineato quanto a dotazioni (più di un computer a persona), con le medie europee e con una competenza informatica di base diffusa. Che cosa ci si può aspettare dunque? Test della ricerca hanno indicato come, con corsi specifici nei principali pacchetti applicativi, la produttività – già buona – del personale possa crescere ancora, anche sopra il 20%. Ma la produttività nel districarsi tra gli applicativi di Office, posto che si parte già da un livello apprezzabile, non sembra l’argomento destinato a ‘fare la differenza’. Anzi, anche in questo settore dobbiamo chiederci se e quanto “Does IT Matter”, ricorda Alberto Contessa, responsabile dei sistemi informativi di Bankitalia. Insomma, a dispetto degli ingenti investimenti del settore, è ancora da dimostrare con evidenza scientifica la relazione tra spesa informatica e ritorno economico. Piuttosto, ha osservato il CIO di Bankitalia, “altri indicatori econometrici indicano come la formazione in generale sia il tipo di investimento con maggiore ritorno, visto che un anno di istruzione in più si traduce in un incremento del valore generato di 9 punti percentuali”. Ecco allora l’opportunità anche di una crescita di competenze che coinvolga le banche ma anche i clienti, per superare le remore all’accesso ai nuovi servizi on-line, “anche perché il pubblico va considerato come un co-produttore dei nuovi servizi digitali”. E proprio ai nuovi servizi occorre guardare – invita Domenico Applicazioni Promuovendo corsi specifici la produttività del personale può crescere ancora del 20% Santececca, direttore centrale ABI – osservando che negli ultimi due anni il peso si sta spostando dall’IT come elemento di razionalizzazione e gestione all’IT come leva per nuovi prodotti e servizi. Controcorrente è Romano De Carlo, il responsabile dei sistemi Informativi di Banca Intesa (una struttura con più di un migliaio di addetti informatici, alcune centinaia di risorse esterne, un budget di circa 700 milioni di euro l’anno): “L’informatica? trattiamola come un costo e consideriamo le tecnologie come una commodity per raggiungere gli obiettivi aziendali e organizzativi”. Ma ecco proprio qui il sasso nello stagno: “La formazione? Se ci riferiamo ai tecnici, ai professionisti del settore, è quasi sparita, perché non c’è nelle scuole e non ci sono più le grandi aziende a formare il personale specializzato. La controprova: per trovare uno specialista da due anni e mezzo dobbiamo contare su personale che viene dai laboratori Usa”. Sandro Frigerio