FRANCESCO CARLO BIANCA
IPOTESI
di
NUOVA COSTITUZIONE
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Profilo dell’Autore
Francesco Carlo BIANCA è nato a Catania il 26 Settembre 1926; si è laureato a pieni voti in
quella Città nel 1948, con una tesi in Diritto Penale sulla “Personalità del delinquente sotto il
profilo della volontà e del libero arbitrio”.
Procuratore legale in Roma e, successivamente, funzionario della Intendenza di Finanza di
Torino e, poi, in Roma presso il Ministero delle Finanze.
Conseguita l’abilitazione per l’insegnamento delle materie giuridiche ed economiche e vinta la
relativa cattedra, ha svolto attività di docente e di avvocato.
Sulla Rivista “Tributi” del Ministero delle Finanze (n.69-1971) ha pubblicato un “Contributo
alla riforma del contenzioso tributario “ e, sulla stessa Rivista (n.90-1973), “Attualità di un
problema: la notifica indiretta ed il diritto di difesa”. Ha pubblicato una “Manuale di diritto
tributario” (Janusa ed. 1978); nel settembre del 1978, in un Convegno indetto a Viareggio dai
Comitati di Azione per la Giustizia ha trattato della “Evasione fiscale: tecnica e sanzioni. (ed.
Boccia- Salerno – 1982).
Contenuto dell’Ipotesi
In questa “Ipotesi di Nuova Costituzione, redatta in 178 articoli, singolarmente commentati,
che è possibile scaricare a titolo gratuito, l’Autore prospetta un nuovo assetto degli Organi
costituzionali dello Stato, mediante una forma di “democrazia partecipativa” e conseguente
ridimensionamento di quella “elettiva”; una sensibile riduzione dei componenti le Assemblee,
politiche e amministrative; una diversa strutturazione del Senato delle Regioni, con distinte
competenze rispetto a quelle della Camera dei Deputati, con funzioni di comparazione tra le
Regioni dei servizi sotto il profilo dell’efficienza e della economicità e conseguente
superamento del problema del federalismo fiscale, mediante l’attribuzione diretta di quote di
tributi erariali, accertati e riscossi nel territorio di ciascuna Regione; la istituzione di un
“Capo della Opposizione e di un Governo Ombra”; un Presidente della Repubblica da
eleggere tra quelle Personalità che, al di fuori dalla politica militante, abbiano acquistato
meriti tra la Comunità Nazionale per avere dato lustro alla Patria nel campo umanistico,
scientifico, letterario e artistico; un Primo Ministro direttamente responsabile della politica
del Governo, con poteri di nomina e di revoca dei Ministri; un assetto burocratico della
Pubblica amministrazione in cui il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, stessesse le funzioni
di giudici speciali svolgano, rispettivamente, il primo funzioni di Alta Dirigenza e il secondo di
Supremo Organo di Controllo, preventivo e successivo nonché di legittimità e di merito, sugli
atti che comportino spese a carico del bilancio dello Stato e degli Enti Locali; la unificazione
della giurisdizione e la netta separazione del ruolo dei magistrati da quello dei pubblici
ministeri, con la immissione nei vari gradi di giurisdizione di giudici e pubblici ministeri
“laici”, reclutati tra gli avvocati ed i dottori commercialisti; nuovi compiti di consulenza,
assistenza e rappresentanza in giudizio della Avvocatura dello Stato; nuova configurazione
delle competenze delle Regioni, con eliminazione degli Statuti speciali; istituzione delle Città
Metropolitane e soppressione delle Province; fusione o unione dei Comuni con popolazione
residente al di sotto dei quaranta mila abitanti; nuova composizione della Corte
Costituzionale, con la individuazione dei suoi membri su base regionale.
Solo una radicale revisione delle strutture politiche, amministrative e giudiziarie, affidata ad
una Assembra Costituente, potrà realizzare l’ammodernamento dello Stato ed avviare un
processo di risanamento, morale e finanziario, che porti gradualmente il debito pubblico nei
limiti di parametri fisiologicamente accettabili.
Pareri in proposito a mezzo E-mail : francesco. carlo. b @alice. it ; oppure via fax al n.
06.5374730
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F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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PREMESSA
Ancora nell’anno 2008, la situazione politica-istituzionale continua ad aggravarsi e risulta evidente
che le mancate vaste riforme, proclamate solo al vento, stanno condannando il nostro Paese ad un
immobilismo che avvelena i rapporti interni ed internazionali, aggravato com’è da un debito
pubblico ormai a livello siderale, al punto che non è più sufficiente il prodotto interno lordo di un
intero anno per eliminarlo.
La spesa pubblica aumenta, alimentata dai privilegi che allignano a livello nazionale, regionale,
provinciale, comunale, fino ai municipi (sono oggi foraggiati dallo Stato ben quarantacinque partiti:
spesso gruppuscoli a livello addirittura unipersonale o a carattere strettamente familiare!).
In una persistente situazione del genere, si profila una nuova tangentopoli che la parte sana del
Paese non potrebbe sopportare a causa delle devastanti conseguenze di ordine sociale, peraltro già
in atto.
La rara, libera stampa che si fa carico del disagio in cui versa la Comunità Nazionale, non riesce a
smuovere la casta politica dalla posizione in cui si è posta anche se, con encomiabile sforzo
editoriale, invita i cittadini a riflettere sulla presente fase di stallo che, per le incertezze ideologiche
e la carenza di senso morale, non pare presenti sbocchi risolutivi verso un radicale, nuovo assetto
dello Stato.
In definitiva, manca una sincera volontà costituente, idonea a risvegliare nella Comunità Nazionale
quel senso di dignità e idealità morali che la Nazione Italiana merita.
Sulla base di tali presupposti, l’Ipotesi prospetta, a tutti i livelli, statali e locali, un nuovo assetto
degli Organi costituzionali dello Stato, mediante la valorizzazione di una forma di “democrazia
partecipativa” e conseguente ridimensionamento di quella “elettiva”; una sensibile riduzione dei
componenti le Assemblee politiche e amministrative; una diversa strutturazione del Senato delle
Regioni, con distinte competenze rispetto a quelle della Camera dei Deputati, con funzioni di
comparazione tra le Regioni dei servizi sotto il profilo della efficienza e della economicità e
conseguente superamento del problema del federalismo fiscale mediante l’attribuzione diretta di
quote di tributi erariali, accertati e riscossi nel territorio di ciascuna Regione; la istituzione di un
“Capo della Opposizione”; un Presidente della Repubblica da eleggere tra quelle Personalità che, al
di fuori dalla politica militante, abbiano acquistato meriti presso la Comunità Nazionale per avere
dato lustro alla Patria nel campo umanistico, scientifico, letterario e artistico; un Primo Ministro
direttamente responsabile della politica del Governo, con poteri di nomina e di revoca dei Ministri;
un assetto burocratico della Pubblica amministrazione in cui il Consiglio di Stato e la Corte dei
Conti, dimesse le funzioni di giudici speciali svolgano, rispettivamente, il primo funzioni di Alta
Dirigenza e il secondo di Supremo Organo di controllo, preventivo e successivo, di legittimità e di
merito, sugli atti che comportino spese a carico dei bilanci dello Stato e degli Enti Locali; la
unificazione della giurisdizione e la netta separazione del ruolo dei magistrati da quello dei pubblici
ministeri con la immissione nei vari gradi di giurisdizione di giudici e pubblici ministeri “laici”,
reclutati tra gli avvocati ed i dottori commercialisti; nuovi compiti di consulenza, assistenza e
rappresentanza in giudizio dell’Avvocatura dello Stato; nuova configurazione delle competenze
delle Regioni, con eliminazione degli Statuti speciali; istituzione delle Città Metropolitane e
soppressione delle Province; fusione o unione dei Comuni con popolazione residente al di sotto dei
quaranta mila abitanti; nuova composizione della Corte Costituzionale, con la individuazione dei
suoi membri su base regionale.
Il raggiungimento di tali obiettivi, affidato ad una Assemblea Costituente, si presenta ormai
indispensabile per realizzare la modernizzazione dello Stato e avviare un nuovo e più leale rapporto
tra la Comunità Nazionale e gli apparati politici e burocratici dello Stato e un processo di
risanamento, morale e finanziario, che porti gradualmente il debito pubblico nei limiti di parametri
fisiologicamente accettabili.
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La formulazione di nuove norme costituzionali comporta, quindi, non solo la revisione della
Seconda ma anche della Prima Parte della Costituzione in cui affermare la centralità della Persona
nell’ambito della organizzazione politico-sociale che tenda a promuovere, con metodo associativo
paritario, l’affermazione e l’espansione dei diritti naturali, inalienabili e inviolabili, degli esseri
umani, preesistenti a qualsiasi aggregazione sociale e politica e la Famiglia, quale nucleo
associativo naturale, formata dall’unione di un uomo e di una donna, fondata sull’affetto coniugale,
nella differente coordinazione dell’impegno, teso al fine di una equilibrata convivenza, riconosciuta
dallo Stato mediante il vincolo del matrimonio con cui viene sancita l’uguaglianza morale e
giuridica dei coniugi.
E’ da questi corollari che il Titolo Primo dell’Ipotesi fa discendere i diritti della Persona, quale
Singolo e quale Entità immersa nella Comunità, da estendere allo straniero, quale essere umano, ed
il diritto, per chiunque, di professare liberamente la propria fede religiosa, purché non in contrasto
con l’ordinamento giuridico dello Stato o con riti contrari agli usi ed ai costumi della Comunità
Nazionale.
Il Titolo Secondo tratta dei diritti e dei doveri delle Persone e dei Cittadini: la inviolabilità della
libertà personale e del domicilio; la segretezza della corrispondenza; il diritto di circolare e
soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale; il diritto di libera riunione; il
diritto di associazione.
Nell’ambito dei diritti civili è compreso quello della manifestazione del proprio pensiero, in
qualsiasi campo della conoscenza, con ogni mezzo tecnico disponibile, ma sempre nel rispetto dei
diritti altrui e del buon costume; tenendo conto, comunque, che anche nel corso di procedimenti
penali, civili o amministrativi, con scritti, commenti orali, supporti audiovisivi e con qualsiasi altro
mezzo di comunicazione, non è lecito ledere il rispetto della persona umana e degli Enti, tanto da
pregiudicarne l’onorabilità e il decoro o da violarne l’intimità e la segretezza.
Al diritto, per chiunque, di agire in giudizio a difesa dei propri diritti e interessi legittimi, si
aggiunge quello di far valere gli interessi diffusi e collettivi; confermati, poi, i principi che nessuno
può essere distolto dal giudice naturale, precostituito per legge, e che la responsabilità penale è
personale, l’Ipotesi rimanda alla legge ordinaria la disciplina delle modalità e delle condizioni
perché durante il procedimento giudiziario non siano pregiudicati in modo irreparabile la
onorabilità, il decoro e la tutela dell’immagine dell’imputato.
Il Titolo Terzo tratta del contenuto etico dell’attività economica, esercitata dai protagonisti della
produzione dei beni e dei servizi, fondato sul diritto e sull’equità, ai fini di un pacifico e armonico
sviluppo, materiale e morale, della Comunità. Nel contenuto etico dell’attività economica rientra la
cura e l’elevazione professionale dei lavoratori, il loro diritto a vedersi riconosciuta una retribuzione
proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad
assicurare a sé ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa; la equiparazione della donna
lavoratrice al lavoratore, con l’assicurazione delle particolari tutele che possano permetterle
l’adempimento delle sue funzioni nella famiglia e i suoi naturali compiti di madre; il diritto per i
lavoratori a che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia.
Nell’ambito della tutela dei lavoratori, assumono particolare importanza le organizzazioni sindacali,
a condizione che si proceda alla loro registrazione ed al deposito degli Statuti, che sanciscano un
ordinamento interno a base democratica; è assicurato il diritto di sciopero nell’ambito delle leggi
che lo regolano.
Libera è l’iniziativa privata, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; è riconosciuta la funzione sociale
della cooperazione a carattere di mutualità, senza fini di speculazione; così come è assicurata la
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tutela e lo sviluppo dell’artigianato. Particolare importanza riveste il diritto del lavoratore a
collaborare alla gestione dell’azienda, ai fini della sua elevazione economica e sociale, nei limiti e
nei modi stabiliti dalla legge e in armonia con le esigenze della produzione; ed il diritto alla tutela
del risparmio in tutte le sue forme, nonché il controllo dell’esercizio del credito.
Completa la Prima Parte dell’Ipotesi il Titolo Quarto, dedicato ai rapporti politici: i cittadini sono
liberi di costituirsi, con organizzazione democratica, in qualsiasi forma associativa, politica, sociale
o culturale, per orientare le scelte dello Stato; ma tali aggregazioni per essere ammesse alle
competizioni elettorali devono possedere da almeno un anno, rispetto alla data di apertura dei
comizi elettorali, la personalità giuridica di diritto privato.
Inoltre, gli strumenti di democrazia diretta vengono dotati di uno strumento referendario, specifico,
per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di atti aventi valore di legge, relativi a
tutti gli aspetti, diretti ed indiretti, del trattamento economico e previdenziale dei componenti gli
organi rappresentativi, politici e amministrativi, così da costituire un freno agli indecorosi privilegi
accumulati dalla consorteria politica con procedure autoreferenziali, in totale dispregio della
conclamata uguaglianza sociale.
E’ stabilito: che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità
contributiva; che il sistema tributario và informato a criteri di progressività; che il prelievo fiscale,
operato da tutti gli Enti impositori (Stato, Regioni, Comuni), tranne casi eccezionali, dovuti a
calamità naturali o avvenimenti internazionali di grave pericolo per la Comunità, non possa
superare il trenta per cento dell’ammontare del reddito netto, tassabile, delle persone fisiche e
giuridiche; mentre i profitti derivanti da attività speculative vanno assoggettate ad imposte speciali,
con relative aliquote determinate dalla legge; l’imposizione indiretta sui consumi deve
salvaguardare i beni vitali dell’esistenza. Al fine, poi, di rendere intelligibile il sistema di
imposizione, non sono ammesse sovrimposte o addizionali su qualsiasi tipo di tributo, mentre le
quote di contribuzione obbligatoria per i servizi essenziali e di solidarietà non devono superare il
loro costo.
Il Titolo Quinto, che apre la Seconda Parte della Ipotesi, fissa a quattrocento il numero dei deputati
elettivi, di cui dieci della Circoscrizione estero, mentre il Senato delle Regioni risulterebbe
composto da duecentosessanta membri, dei quali solo cento di estrazione elettiva, mentre i restanti
centosessanta, non rieleggibili, realizzerebbero il principio democratico di “rappresentanza
partecipativa”, risultando questi scelti, rispettivamente: 1) quattro per ciascuno dei Consigli
Regionali delle Università, tra i titolari di cattedra o professori associati nelle materie umanistiche o
scientifiche, nativi o residenti nella Regione da non meno di due anni; 2) quattro per ciascuno dei
Consigli Regionali degli Ordini o Associazioni professionali, tra professionisti di chiara fama con
anzianità di effettivo esercizio non inferiore a quindici anni, nativi o residenti nella Regione da non
meno di due anni.
Sono previsti casi di ineleggibilità e di incompatibilità all’esercizio della funzione di parlamentare,
precisando che per alcune categorie di persone non è ammessa la eleggibilità se non dopo trascorsi
cinque anni dalla effettiva cessazione della loro attività pubblica; mentre è prevista la decadenza, ex
lege, dei parlamentari chiamati ad occupare cariche di governo.
Viene esplicitamente dichiarato non eleggibile chi risulta condannato in via definitiva per delitto
doloso ad una pena non inferiore ai due anni di reclusione.
Per motivi di evidente moralità democratica, è prevista la decadenza dalla funzione parlamentare
degli eletti che abbandonano il gruppo a cui si erano iscritti all’inizio della legislatura ed il divieto
di surroga personale nei seggi resisi vacanti nel corso della legislatura.
Al fine, poi, di evitare quella estrema confusione di voci, che ormai da decenni fanno del
Parlamento una petulante Babele senza alcun costrutto, l’Ipotesi istituzionalizza la figura del Capo
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dell’Opposizione e gli conferisce particolari diritti di rappresentanza, unitamente ai membri del suo
“Gabinetto”.
Sono esposte le possibili soluzioni idonee ad evitare la corsa all’accumulo di privilegi di cui si è
dotata la consorteria politica con il pieno ritorno all’epoca feudale ove vassalli, valvassini e
valvassori, nobili ed ecclesiastici “tosavano” la plebe con sadica prevaricazione. A ciò soccorre la
normativa costituzionale che prevede la omogeneità del trattamento economico e previdenziale dei
parlamentari, da approvarsi in seduta comune delle due Camere; inoltre, l’emolumento deve essere
onnicomprensivo e non cumulabile con altro derivante da rapporto di lavoro dipendente; e per
realizzare un maggiore controllo, al termine di ciascuna sessione di legislatura (cioè ogni anno), le
Camere devono rendere pubbliche le erogazioni effettuate a favore dei parlamentari ed un completo
riepilogo delle agevolazioni e franchigie di cui ciascuno di costoro gode a motivo dell’esercizio
dell’attività politica; agevolazioni e franchigie che devono comunque cessare decorsi tre mesi dalla
fine del mandato.
Nell’ambito della funzione legislativa bicamerale, è prevista la costituzione di un Comitato Unico
Camera-Senato competente a unificare, in sede redigente, i disegni e le proposte di legge non
approvate nello stesso testo da ambedue le Camere; e qualora il testo, come unificato, non dovesse
ottenere l’approvazione del Senato, la Camera dei deputati sarebbe legittimata a legiferare in via
autonoma sulla materia oggetto del testo.
Il Comitato è anche competente ad esaminare la richiesta di autorizzazione a procedere presentata
dal Pubblico Ministero nei confronti del Primo Ministro e dei Ministri, anche se cessati dalla
carica, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni.
Sempre in materia di attività legislativa, viene delineato un “bicameralismo differenziato”, con
l’attribuzione di competenze esclusive alla Camera dei deputati nelle materie che investano gli
interessi, interni ed internazionali, dello Stato, ed al Senato della Regioni, nelle materie che
investano interessi delle Comunità locali; mentre si realizza un “bicameralismo perfetto”, mediante
attività collettiva o addirittura in seduta comune, per quelle materie in cui esista un interesse
comune oppure che possa paventarsi un conflitto tra lo Stato e gli Enti locali.
E’ evidente che trattandosi di una Ipotesi, lo schema di attribuzione delle competenze ha valore
puramente indicativo.
Nella struttura costituzionale ipotizzata, il Presidente della Repubblica assume il profilo di guida
morale e per tale motivo sarebbe opportuno che il Parlamento lo scegliesse tra le Personalità
eminenti della Nazione, al di fuori della politica militante, la cui durata in carica è fissata in sei
anni, al termine dei quali non è prevista la sua rielezione, né l’assunzione della carica di senatore a
vita.
Secondo l’Ipotesi, il Presidente della Repubblica convoca il designato Primo Ministro, prende atto
del suo programma, quale indirizzo politico dello Stato e direttiva generale a fondamento della
azione coordinata tra il Governo e la maggioranza che lo sostiene; raccoglie il suo giuramento di
fedeltà alla Costituzione ed alle leggi dello Stato e lo immette nell’esercizio delle funzioni (dopo
aver raccolto anche il giuramento dei membri del Governo), quindi, invita il Primo Ministro a
rendere noto il suo programma alle Camere, in seduta comune, entro dieci giorni dalla investitura .
Naturalmente, i poteri del Presidente della Repubblica comprendono quello di scioglimento della
Camera dei deputati, nei casi contemplati dall’Ipotesi, tenendo presente che, per la particolare
configurazione del Senato delle Regioni, questo non è soggetto a scioglimento.
Il potere esecutivo è incentrato sulla figura del Primo Ministro, non più primus inter pares ma Capo
del Governo con poteri di nomina e di revoca dei propri Ministri, non più fiduciari dei partiti di
maggioranza; egli è chiamato a rispondere direttamente alla Comunità Nazionale dalla quale ha
ottenuto l’investitura, sulla base dell’indirizzo politico delineato nel programma esposto agli
elettori.
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Le funzioni di Primo Ministro possono essere esercitate solo per due mandati, anche non
consecutivi; viene costituzionalizzato il numero minimo e massimo dei membri del Governo, onde
porre fine allo sconcio di Gabinetti pletorici (siamo già arrivati ad esecutivi composti da ben 102
membri), e l’obbligo di rendere noto, in dettaglio, il costo annuale della compagine governativa.
L’attività del Primo Ministro è, comunque, sottoposta al controllo della Camera dei deputati
mediante il sistema delle mozioni di fiducia o di sfiducia.
Nel tentativo di arginare, per quanto possibile, lo sfaldamento, in atto da qualche decennio, della
organizzazione amministrativa della Comunità Nazionale, l’Ipotesi propone sull’argomento una
vera e propria rivoluzione copernicana.
Il Consiglio di Stato, abbandonata la funzione speciale giurisdizionale, aggiunge alle antiche
funzioni di Organo di consulenza generale, giuridico-amministrativa quella tecnico-scientifica, nei
confronti del Governo e degli Enti Pubblici, anche economici, centrali e periferici, e degli Enti
locali, politici ed economici, con esercizio delle funzioni in piena autonomia rispetto agli organi
politici e munito delle prerogative di cui godono i magistrati.
Per questo motivo, eliminata la nomina governativa, i Consiglieri di Stato vengono reclutati tutti per
concorso, riservato a particolari categorie di funzionari dello Stato, ai docenti universitari ed ai
professionisti, con la sola riserva di un quarto dei posti disponibili ai membri eletti dal Parlamento
tra Personalità eminenti della cultura umanistica e scientifica.
Inoltre, i singoli consiglieri di Stato, in assoluta autonomia, morale ed intellettuale, assumono le
funzioni di alta dirigenza nei Ministeri, come Capi di Gabinetto e responsabili degli Uffici
Legislativi, nonché consulenti dell’organo politico nella formulazione dei progetti di massima,
svolgendo da cerniera tra lo stesso e gli organi burocratici, per la messa a punto dei progetti
esecutivi del programma governativo. Una siffatta organizzazione dovrebbe togliere ogni
giustificazione di ricorso a consulenze esterne.
In conclusione, le nuove e più moderne funzioni del Consiglio di Stato, dovrebbero garantire una
più oculata amministrazione delle risorse economiche e finanziarie della Comunità Nazionale, una
semplificazione dei procedimenti amministrativi, a tutela dei diritti e degli interessi, anche semplici,
dei cittadini.
Dovrebbe quindi finire, per quanto possibile, l’amministrazione (pubblica) dei partiti, con una più
accentuata separazione tra l’azione di governo, che deve arrestarsi nella ideazione e nella
formulazione dei “progetti di massima” e l’azione amministrativa che va esercitata dall’apparato
amministrativo per la realizzazione dei “progetti esecutivi”.
Anche l’accesso agli impieghi presso la Pubblica Amministrazione è previsto mediante concorso,
salvo i casi stabiliti dalla legge; i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Comunità
Nazionale e Locale, con il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, i pubblici ministeri,
i militari di carriera in servizio effettivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti
diplomatici e consolari.
Dal principio che i beni ed il denaro pubblico hanno una intrinseca sacralità laica, perché derivano
dal lavoro dei contribuenti, discende l’obbligo morale di una loro corretta amministrazione da parte
di coloro che, direttamente o indirettamente, li gestiscono.
Purtroppo, si constata come la maggior parte degli amministratori politici, centrali e locali, tende a
utilizzare le risorse pubbliche come se fosse “cosa propria”.
Nell’ambito, quindi, della Organizzazione Amministrativa della Comunità Nazionale anche la Corte
dei Conti è chiamata ad un compito di “salute pubblica”, specialmente negli attuali frangenti di
grave dissesto economico e finanziario.
La Corte dei Conti, anch’essa privata della funzione giurisdizionale, è definita dall’Ipotesi il
Supremo Organo di controllo, preventivo e successivo nonché di legittimità e di merito, nelle
materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalle legge, ai fini del rispetto degli equilibri
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di bilancio da parte delle Amministrazioni pubbliche, statali e locali, e di tutti gli altri Enti, i quali,
anche in forma associativa, civile o commerciale, amministrano beni o denaro pubblico; per
svolgere tale compito la Corte dei Conti è dotata di competenza conoscitiva, deliberativa, cautelare,
interdittiva e sanzionatoria, relativamente agli aspetti finanziari del bilancio dello Stato, nonché
della amministrazione del patrimonio pubblico, dell’attività contrattuale, del sistema dei controlli e
della responsabilità degli amministratori pubblici. E tali competenze, secondo l’Ipotesi, vanno
estese nei confronti degli Enti sottoposti a controllo anche in relazione al patto di stabilità interna e
ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
I consiglieri della Corte dei Conti godono delle medesime prerogative di autonomia e di
indipendenza conferite ai magistrati; allo stesso modo è disciplinato il procedimento di
reclutamento dei suoi membri, con la sola riserva di nomina da parte del Parlamento di un quarto
dei posti disponibili.
Unum ius, una jurisdictio. Da decenni si discute, ma senza alcun costrutto, della eliminazione delle
giurisdizioni speciali.
Finora, tutti i tentativi di riforma sono stati bocciati, a causa della pavidità della consorteria politica
di fronte all’ostinata resistenza della magistratura, con gravissimo danno alla funzionalità della
giustizia e aggravio di spese per il bilancio dello Stato.
Perciò il Titolo Settimo, dedicato alla Organizzazione Giudiziale della Comunità Nazionale,
introduce il concetto di unicità della funzione giurisdizionale, autonoma ed indipendente rispetto al
potere politico; articolata in settori e sezioni delle varie branche del diritto, senza giudici
straordinari o speciali, con l’eccezione dei tribunali militari che, comunque, possono operare solo in
tempo di guerra e con giurisdizione limitata ai reati militari commessi da appartenenti alle forze
armate.
L’Ipotesi innova in ordine al sistema di reclutamento dei magistrati, i quali entrano in magistratura
con la qualifica di giudice popolare (Tribunale Popolare), mediante concorso per titoli e colloquio,
con valutazione delle effettive capacità ed attitudini alla funzione, a cui possono essere ammessi i
laureati in giurisprudenza e in economia e commercio.
L’accesso alle funzioni di giudice di Tribunale Ordinario e di Corte d’Appello avviene pure
mediante concorso per titoli e colloquio, a cui partecipano i giudici con anzianità di effettivo
servizio nella rispettiva funzione di giudice popolare e di giudice di tribunale, rispettivamente di
cinque e dieci anni; mentre il venti per cento dei posti disponibili negli organici resta riservato agli
avvocati e dottori commercialisti, con anzianità di esercizio nella professione non inferiore,
rispettivamente a cinque e dieci anni.
I giudici di Corte d’Appello, con anzianità di effettivo servizio nella funzione non inferiore a cinque
anni, possono concorrere alla funzione di Consiglieri presso la Corte di Cassazione; con la sola
riserva di un quarto dei posti disponibili demandata al Parlamento in seduta comune tra giuristi di
chiara fama, al di fuori della politica militante, ordinari di materia giuridiche ed economiche, titolari
di cattedra nelle Università statali e Libere.
Con la immissione di elementi laici nei vari gradi di giurisdizione si tende ad evitare che la
magistratura possa costituirsi in “casta chiusa”.
Ai giudici è vietata la partecipazione alle competizioni elettorali se non siano trascorsi cinque anni
dalla effettiva cessazione dal rapporto di lavoro.
Ai tradizionali membri di diritto che compongono il Consiglio Nazionale della Magistratura, si
aggiunge il Ministro di Giustizia, con facoltà di intervenire con proposte e richieste, ma senza
diritto di voto deliberativo.
Il Consiglio è integrato da venti membri eletti dal Parlamento in seduta comune con le modalità
contemplate dalla Ipotesi, mentre ventiquattro componenti sono eletti tra i giudici popolari di
Tribunale e di Corted’Appello, in numero di otto per ciascun grado di giurisdizione.
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La funzione requirente risulta nettamente separata da quella giudicante; i pubblici ministeri non
appartengono all’ordine giudiziario, anche se godono delle medesime prerogative di indipendenza e
di analogo sistema di reclutamento: ne discende che i pubblici ministeri hanno un loro Consiglio
Nazionale presieduto dal Presidente della Repubblica o dal suo Vice, a cui partecipano il ministro di
Giustizia, con facoltà di avanzare proposte e richieste e con diritto di voto deliberativo, il
Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, venti membri eletti dal Parlamento in seduta
comune e altri ventiquattro eletti tra i pubblici ministeri, popolari, di Tribunale e di Corte
d’Appello, in numero di otto per ciascun grado di giurisdizione.
Da sottolineare che l’attuazione delle priorità di politica criminale, indicate dal Parlamento a tutela
della Comunità Nazionale, è demandata al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e,
tramite questo, ai Procuratori Generali presso le Corti d’Appello e, quindi, ai Procuratori della
Repubblica presso i Tribunali, i quali ultimi attuano tali priorità tenendo anche conto delle
indicazioni formulate dai rispettivi Consigli Regionali delle Autonomie locali.
Anche l’Avvocatura dello Stato partecipa a questo processo di organizzazione giudiziale della
Comunità Nazionale con la piena appropriazione delle funzioni di rappresentanza e difesa in
giudizio, di assistenza e consulenza, giudiziale ed extragiudiziale, delle Amministrazioni dello
Stato, anche se costituite in forma di società civili e commerciali.
A richiesta, le medesime prestazioni professionali possono essere esercitate a favore di tutte le altre
amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, anche se costituite in forma di società civile o
commerciale; resta fermo il principio del reclutamento degli avvocati mediante concorso pubblico a
cui possono accedere i laureati in giurisprudenza o in economia e commercio.
In una visione unitaria della Nazione Italiana, Il Titolo Ottavo affronta il problema della
organizzazione politico-amministrativa delle Comunità Locali.
In ordine di grandezza, le Entità locali dovrebbero essere: le Regioni, con la unificazione di quelle a
Statuto speciale con quelle a Statuto ordinario, le Città Metropolitane, i Comuni, le Comunità
montane e le Comunità Isolane o di Arcipelago; nell’ambito delle Comunità locali troverebbero
riconoscimento i cittadini, singoli o riuniti in formazioni sociali, per lo svolgimento di attività di
interesse generale.
L’Ipotesi prevede la soppressione delle Province, quali entità politico-amministrative, e la fusione o
quanto meno la riunione dei Comuni con popolazione inferiore ai quarantamila abitanti: si consideri
che degli 8103 esistenti (!) solo 636 hanno una popolazione superiore ai 15.000 abitanti ed in questo
stesso gruppo appena 12 superano i 250.000 abitanti; dei restanti 7467, con popolazione inferiore ai
15.000 abitanti, ben 2000 hanno una popolazione di appena 1000 abitanti.
Per uno Stato in perenne dissesto, la soppressione delle Province e l’accorpamento dei piccoli
Comuni porterebbe ad una sensibile riduzione delle spese e ad uno snellimento e semplificazione
dell’attività amministrativa.
I principi base su cui poggia lo Stato a vocazione regionale sono contenuti nei concetti di
sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza ed economicità, tenendo conto che la funzione
amministrativa e la gestione dei servizi di competenza regionale “vanno” attribuite ai Comuni ed
alle altre realtà associative locali, secondo le esigenze di prossimità, con esclusione di ogni
duplicazione e con la individuazione delle relative responsabilità.
L’esercizio dell’autonomia finanziaria permette alla Regione di quantificare l’ammontare delle
risorse derivanti dalla propria imposizione fiscale e dai proventi dei tributi statali, accertati e
riscossi nel territorio regionale, nella misura del cinquanta per cento meno l’importo deliberato,
anno per anno, dal Parlamento in seduta comune da destinare al soddisfacimento delle esigenze
indivisibili della Comunità Nazionale quali: i servizi del debito pubblico; calamità naturali ed
esigenze connesse alla sicurezza del Paese; interventi diretti a favorire un equilibrato sviluppo
economico e sociale nel territorio nazionale, individuati dallo stesso Parlamento; fondo perequativo
“a destinazione vincolata”.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
9
In ogni caso, la Regione non può superare il limite complessivo del prelievo fiscale nazionale
fissato al trenta per cento dell’imponibile netto, tassabile delle persone fisiche e giuridiche.
Tenuto conto delle risorse finanziarie disponibili, con un criterio che potrebbe definirsi di
federalismo fiscale a cascata, la Regione, in sede di Consiglio Regionale delle Autonomie Locali,
composto da membri locali, dovrebbe concordare, di anno in anno, gli obiettivi generali della
programmazione economico-sociale e territoriale.
I principi della organizzazione politico-amministrativa delle Regioni sono formulati in analogia a
quelli che regolano gli organi costituzionali, statali. Si evidenzia: l’esercizio dell’elettorato, attivo e
passivo, riservato ai nativi e ai residenti con anzianità anagrafica non inferiore a due anni; il numero
dei consiglieri regionali non superiore a quaranta; la composizione dei gruppi consiliari con un
numero di membri elettivi non inferiore a cinque; il numero delle commissioni permanenti
dell’Assemblea regionale non superiore a otto; il numero dei componenti la Giunta Regionale non
superiore a otto, oltre al Presidente, non più rieleggibile dopo due mandati.
Del Consiglio regionale delle Autonomie locali farebbero parte: il Presidente della Giunta
Regionale, i Sindaci delle Città Metropolitane istituite nel territorio, i Sindaci dei Comuni e i
Presidenti delle Unioni di Comuni con popolazione non inferiore ai quaranta mila abitanti, i
rappresentanti delle Unità Montane e Isolane o di Arcipelago istituiti nel territorio; nove
rappresentanti dei settori produttivi regionali dell’agricoltura, dell’industria e del commercio,
designati in numero di tre per ciascun settore dalle rispettive organizzazioni di categoria; dieci
rappresentanti della cultura umanistica e scientifica, designati dalle Università Regionali, statali e
libere, tra i titolari di cattedra e professori associati, al di fuori della politica militante e cinque
rappresentanti degli Ordini o Associazioni professionali della Regione, con anzianità di effettivo
esercizio nella Regione non inferiore a cinque anni.
Secondo l’Ipotesi, il Consiglio dovrebbe costituire l’elemento motore della politica regionale,
destinato anche ad influire sulle vicende nazionali, essendo deputato a designare un docente
universitario quale membro della Corte Costituzionale, tre membri della Regione da includere
nell’elenco dei nominativi da cui estrarre a sorte i membri laici destinati ad integrare le Giunte per
le elezioni di ciascuna Camera; a formulare le indicazioni di politica criminale da comunicare alle
Procure Generali presso le Corti d’Appello ed alle Procure della Repubblica presso i Tribunali che
operano nel territorio regionale; a sottoporre all’Assemblea Regionale un elenco di quindici esperti
in materia di contabilità pubblica tra cui scegliere i cinque membri del Comitato Regionale di
controllo contabile.
Il Comitato Regionale di controllo contabile è un Organo della Regione che, in completa
indipendenza, deve assicurare la corretta gestione del patrimonio e delle finanze dell’Ente.
E’ costituito da un Presidente e da quattro Consiglieri, scelti dall’Assemblea Regionale tra i
quindici nominativi indicati dal Consiglio Regionale delle Autonomie locali, esperti in materia di
contabilità pubblica, laureati in giurisprudenza o in economia e commercio.
Il Comitato Regionale di controllo contabile agisce in stretta sintonia con la Sezione Regionale della
Corte dei Conti, assicurando in tal modo il controllo preventivo e successivo sulla legittimità e sul
merito delle singole spese e della amministrazione del patrimonio regionale.
E’ un organo eminentemente tecnico i cui membri, non rieleggibili, sono al di fuori dalla politica
militante.
La necessità di istituire le Città Metropolitane, prevista fin dal 1990, rafforzerebbe la giustificazione
per la soppressione delle Province.
La normativa prevista dall’Ipotesi, in ordine ai suoi organi di governo ed all’assetto burocraticoamministrativo si conforma a quella della Regioni, con particolare attenzione agli organi di
raccordo tra la Città Metropolitana e le Comunità locali da questa assorbite.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
10
Il Comune, ente territoriale necessario, è il soggetto primario della aggregazione locale a carattere
storico-etnografico; rappresenta le aspirazioni morali e gli interessi materiali della propria
Comunità, di cui ne promuove lo sviluppo.
E’ stata già delineata la necessità della fusione o, quanto meno, della unione dei Comuni al di sotto
dei quaranta mila abitanti e sottolineato l’obbligo delle Regioni di organizzare la propria azione
amministrativa e la gestione dei propri servizi a mezzo degli Enti Minori, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, economicità, oltre a quello di prossimità, in relazione
alla estensione del loro territorio, alla consistenza numerica dei residenti e alle loro capacità
tecnico-organizzative e finanziarie.
Come per gli Enti maggiori, anche per i Comuni, l’Ipotesi pone alcune norme a salvaguardia delle
iniziative demagogiche della consorteria politica: è stato così ridefinito il numero dei membri del
Consiglio comunale, che può oscillare tra un massimo di 35 membri per i Comuni con popolazione
superiore ai settecentomila abitanti ad un minimo di 7 membri per quelli al di sotto dei
venticinquemila abitanti; per conseguenza, il numero dei componenti la Giunta non può essere
superiore ad un terzo dei consiglieri, mentre i gruppi consiliari non possono formarsi con un numero
di membri inferiore a quattro; il sindaco non è rileggibile dopo due mandati.
Il Titolo Nono chiude l’Ipotesi delineando le garanzie costituzionali, le quali comprendono la Corte
Costituzionale e la revisione delle norme costituzionali e ordinarie.
Và sottolineata la composizione della Corte: quaranta giudici, al di fuori dalla politica militante,
scelti, uno per ogni Regione, dai rispettivi Consigli Regionali delle autonomie locali tra i docenti,
titolari di cattedra o associati, in materie giuridiche ed economiche, nativi o residenti nella Regioni
da almeno due anni; e uno per ogni Regione, dai rispettivi Ordini o Associazioni professionali tra
gli avvocati e dottori commercialisti, con anzianità non inferiore a venti anni di esercizio
professionale, nativi o residenti da almeno due anni nella Regione.
L’Ipotesi statuisce pure che le decisioni della Corte vadano pubblicate con le eventuali opinioni in
dissenso.
In materia di referendum costituzionali la loro ammissibilità è subordinata al raggiungimento di un
milione di sottoscrittori.
Per ultimo, l’articolo 188 afferma la immutabilità della forma repubblicana dello Stato Italiano.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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INDICE
PARTE PRIMA
PRINCIPI FONDAMENTALI
TITOLO PRIMO
LA PERSONALITA’ NELLA COMUNITA’-STATO
TITOLO SECONDO
RAPPORTI CIVILI
DIRITTI E DOVERI DELLE PERSONE
TITOLO TERZO
CONTENUTO ETICO DELL’ATTIVITA’ ECONOMICA
DIRITTI E DOVERI DI SOLIDARIETA’ SOCIALE ED ECONOMICA
TITOLO QUARTO
RAPPORTI POLITICI
DIRITTI E DOVERI
PARTE SECONDA
ORGANIZZAZIONE DELLO STATO
TITOLO QUINTO
ORGANIZZAZIONE POLITICA DELLA COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO PRIMO
IL PARLAMENTO
SEZIONE I
COMPOSIZIONE DELLE CAMERE
SEZIONE II
INIZIATIVA LEGISLATIVA
FORMAZIONE DELLE LEGGI
SEZIONE III
ATTIVITA ESCLUSIVA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
SEZIONE IV
ATTIVITA BICAMERALE DEL PARLAMENTO
SEZIONE V
IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE
SEZIONE VI
ATTIVITA’ ESCLUSIVA DEL SENATO DELLE REGIONI
CAPO SECONDO
IL PRESIDENTE della REPUBBLICA
SEZIONE I
ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
SEZIONE II
FUNZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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CAPO TERZO
Il GOVERNO DELLA REPUBBLICA
SEZIONE I
PRIMO MINISTRO - CONSIGLIO DEI MINISTRI
SEZIONE II
FUNZIONI E POTERI DEL PRIMO MINISTRO
SEZIONE III
RESPONSABILITA’
DEL
PRIMO MINISTRO E DEI MINISTRI
TITOLO SESTO
ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
DELLA
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO I
Il CONSIGLIO DI STATO
CAPO II
I PUBBLICI UFFICI
CAPO III
LA CORTE dei CONTI
TITOLO SETTIMO
ORGANIZZAZIONE GIUDIZIALE
DELLA
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO I
LA MAGISTRATURA
SEZIONE PRIMA
IL GIUDICE
SEZIONE SECONDA
LA GIURISDIZIONE
CAPO II
Il PUBBLICO MINISTERO
CAPO III
L’AVVOCATURA dello STATO
TITOLO OTTAVO
CAPO I
SEZIONE PRIMA
LE COMUNITA’ LOCALI
LA REGIONE
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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SEZIONE SECONDA
ORGANIZZAZIONE
POLITICO-AMMNISTRATIVA
SEZIONE TERZA
COMPETENZE LEGISLATIVE DELLA REGIONE
SEZIONE QUARTA
ORGANI DI RACCORDO ISTITUZIONALE
IL CONSIGLIO REGIONALE DELLE AUTONOMIE LOCALI
COMITATO REGIONALE DI CONTROLLO CONTABILE
CAPO II
LE AREE METROPOLITANE
LE CITTA METROPOLITANE
CAPO III
IL COMUNE
GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI
RIMOZIONE DEGLI ORGANI DI GOVERNO LOCALE
TITOLO NONO
CAPO I
LA CORTE COSTITUZIONALE
CAPO II
REVISIONE DELLE NORME COSTITUZIONALI
E
ORDINARIE
PROCEDURE REFERENDARIE
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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NORME COSTITUZIONALI
A Rosanna, mia moglie,
senza parole.
F. Carlo
Honeste vivere
Neminem laedere
Unicuique suum tribuere
PARTE PRIMA
PRINCIPI FONDAMENTALI
TITOLO PRIMO
LA PERSONALITA’NELLA COMUNITA’-STATO
ART. 1
L’Italia è costituita da una Comunità liberamente organizzata allo scopo di promuovere, con
metodo associativo paritario, l’affermazione e l’espansione dei diritti naturali degli esseri
umani, inalienabili, inviolabili e preesistenti a qualsiasi aggregazione sociale e politica.
La dignità di essere umano si rende concreta nel riconoscimento della Personalità in cui si
assommano tutti i diritti e i doveri dell’uomo, sia come singolo sia come elemento di aggregati
sociali e politici.
I diritti della Personalità trovano il loro limite, invalicabile, nel pari diritto dell’altrui
Personalità.
ART. 2
L’Italia, quale Comunità Umana, è organizzata politicamente in Stato Repubblicano,
democratico, unitario e territorialmente indivisibile.
La sovranità dello Stato risiede nella Comunità statuale che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione.
Capitale d’Italia è la Città di Roma.
La bandiera della Repubblica Italiana è il tricolore: verde, bianco e rosso a tre bande verticali
di uguale dimensione.
ART. 3
I cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizione
personale, hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge.
Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del
nome.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.
Alle minoranze linguistiche è assicurata la tutela dello Stato.
Tutti i cittadini sono tenuti all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
sociale ed economica.
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
ART. 4
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto individuale e nell’interesse della
Collettività; garantisce cure gratuite ai non abbienti.
Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge, la quale in nessun caso può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Art. 5
La famiglia, nucleo associativo naturale, si forma con l’unione di un uomo e una donna,
fondata sull’affetto coniugale, nella differente coordinazione dell’impegno teso al fine di una
equilibrata convivenza, riconosciuta dallo Stato mediante il vincolo del matrimonio con cui
viene sancita l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Art. 6
E’ compito primario della famiglia creare un ambiente affettivo idoneo per un equilibrato
sviluppo psico-fisico della prole, assicurare il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei
figli.
I diritti e i doveri dei figli legittimi si estendono anche ai figli naturali, per i quali è ammessa
la ricerca dei rapporti di filiazione, secondo la legge.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a sostituirli al fine di assicurare ai minori
ogni possibile tutela a mezzo di istituzioni pubbliche e private.
Art. 7
La legge, nell’interesse dei minori, favorisce con aiuti economici ed altre provvidenze la
formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi.
Inoltre, protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari allo
scopo.
ART. 8
Le manifestazioni dell’arte, della cultura, umanistica e scientifica, in tutte le espressioni di
ricerca e applicazioni tecniche, sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La diffusione della cultura costituisce compito primario della Repubblica che la promuove e
l’assicura in collaborazione autonoma con l’attività privata, individuale o associata, per
l’arricchimento della persona e del patrimonio della Nazione.
La legge stabilisce limiti alla ricerca ai soli fini della salvaguardia della libertà, della dignità,
e dei diritti della persona e nell’interesse generale, anche con riguardo alla tutela dei valori
biologici, culturali ed estetici del territorio e dell’ambiente.
ART. 9
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli
ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve
assicurare loro piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello
degli alunni delle scuole statali.
La legge stabilisce le modalità per l’ammissione ai vari ordini e gradi di istruzione, per la
conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, le università e le accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti
autonomi, nei limiti stabiliti dalla legge.
ART. 10
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione è obbligatoria e gratuita fino agli anni stabiliti dalla legge.
La Repubblica rende effettivo il raggiungimento dei gradi più alti dell’istruzione ai capaci ed
ai meritevoli, anche se privi di mezzi, con borse di studio, assegni ed altre provvidenze da
attribuire per concorso.
ART. 11
La Repubblica, nell’affermare l’unità e la indivisibilità della dimensione comunitaria statuale,
riconosce le realtà comunitarie territoriali, comunali e regionali, ne promuove la costituzione
in Enti Autonomi e ne favorisce lo sviluppo al fine della soddisfazione dei loro peculiari
interessi; nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, adegua la propria
legislazione alle esigenze di autonomia e decentramento di tali realtà associative, locali.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Art. 12
Allo straniero, quale essere umano, sono riconosciuti tutti i diritti della personalità.
La sua condizione giuridica è regolata dalla legge in conformità alle norme comunitarie e ai
trattati internazionali.
Allo straniero, al quale sia impedito nel proprio Paese l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, è riconosciuto il diritto di asilo, secondo le
condizioni stabilite dalla Legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.
Lo straniero è tenuto all’adempimento dei doveri che derivano dalla sua permanenza nel
territorio italiano ed al rispetto delle Leggi e dei Regolamenti in vigore.
Art. 13
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto comunitario e alle norme
di diritto internazionale, generalmente riconosciute.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizione di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo.
Art. 14
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne il culto in privato o in pubblico,
purché non in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato e non si tratti di riti contrari
agli usi ed ai costumi della Comunità Nazionale.
I rapporti tra le confessioni religiose e lo Stato sono regolati dalla legge, in base ad intese con
le relative rappresentanze.
Il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di un’associazione od istituzione non
possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
Art. 15
Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modificazioni dei patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale.
TITOLO SECONDO
DIRITTI CIVILI
DIRITTI E DOVERI DELLE PERSONE
ART. 16
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di
pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro
quarantotto ore all’autorità giudiziaria e se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E’ punita ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a restrizione di libertà.
La legge stabilisce i limiti minimi e massimi della carcerazione preventiva.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 17
Il domicilio è inviolabile; non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri se non
nei casi e modi stabiliti dalla legge, secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà
personale.
Gli accertamenti e le ispezioni, per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici
e fiscali, sono regolati da leggi speciali.
ART. 18
Le libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono
inviolabili; la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dall’autorità
giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge.
ART. 19
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di
sicurezza; nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli
obblighi di legge.
ART. 20
I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle
soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica.
ART. 21
I cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini non vietati
dalla legge penale.
Tutte le associazioni hanno l’obbligo di comunicare ai competenti uffici la loro costituzione e
di depositare il loro statuto.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi
politici, mediante organizzazioni di carattere militare.
ART. 22
Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero, senza autorizzazione o censura e in
qualsiasi campo della conoscenza, con ogni mezzo tecnico disponibile, nel rispetto dei diritti
altrui e del buon costume.
Non è lecito in alcun caso, anche nel corso di procedimenti penali, civili o amministrativi, con
scritti, commenti orali, supporti audiovisivi e con qualsiasi altro mezzo di comunicazione,
ledere il rispetto della persona umana e degli Enti, tanto da pregiudicarne l’onorabilità o il
decoro e da violarne l’intimità e la segretezza.
La legge stabilisce i provvedimenti adeguati a prevenire o reprimere tali violazioni e le
sanzioni di natura penale, civile e amministrativa nei confronti dei responsabili.
La legge assicura il pluralismo dell’informazione ed impedisce il costituirsi di posizioni
dominanti nel campo dell’editoria.
ART. 23
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad
ogni grado di giurisdizione.
La legge determina la misura minima da corrispondere alle vittime degli errori giudiziari per
ogni giorno di detenzione ingiustamente subita; rimane impregiudicata la richiesta del
maggior danno nella competente sede giudiziaria.
ART. 24
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale, precostituito per legge.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
ART. 25
L’estradizione del cittadino può essere consentita solo se espressamente prevista dalle
convenzioni internazionali; in nessun caso può essere ammessa per reati politici.
ART. 26
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
La legge stabilisce le modalità e le condizioni perché durante il procedimento giudiziario non
siano pregiudicati in modo irreparabile la onorabilità, il decoro e la tutela dell’immagine
dell’imputato.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
ART. 27
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici devono esercitare i loro compiti nel
rispetto della legalità, dell’efficienza, della imparzialità e della competenza del loro ufficio,
assicurandone il buon andamento e l’economicità.
Essi sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti
compiuti in violazione di diritti e interessi legittimi; in tali casi la responsabilità si estende allo
Stato ed agli Enti pubblici.
TITOLO III
CONTENUTO ETICO DELLA ATTIVITA’ ECONOMICA
ART. 28
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Il contenuto etico dell’attività economica, esercitata dai protagonisti nella produzione di beni
e servizi e nella distribuzione del reddito, fondato sul diritto e sull’equità, è finalizzato al
pacifico e armonico sviluppo, materiale e morale, della Comunità.
ART. 29
La Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Il lavoratore subordinato ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità ed alla
quantità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia
un’esistenza libera e dignitosa.
La prestazione lavorativa giornaliera è stabilita dalla legge e deve svolgersi in ambienti e con
mezzi idonei a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del lavoratore.
Il riposto settimanale e le ferie annuali, retribuite, sono irrinunciabili.
ART. 30
La Repubblica promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi di legge nell’interesse generale, e tutela
il lavoro italiano all’estero.
ART. 31
La donna lavoratrice, a parità di lavoro, ha gli stessi diritti e la stessa retribuzione del
lavoratore.
Alla donna lavoratrice vanno assicurate particolari tutele per permetterle l’adempimento
delle sue funzioni nella famiglia ed i suoi naturali compiti di madre.
ART. 32
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
19
La legge tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garanzie ed assicura ad essi, a parità
di lavoro, il diritto alla pari retribuzione.
ART. 33
I lavoratori hanno diritto a che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze
di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
ART. 34
Ogni cittadino, inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere, ha diritto al
mantenimento ed all’assistenza sociale.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati
dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.
ART. 35
L’organizzazione sindacale è libera.
I sindacati hanno l’obbligo di registrazione presso gli uffici locali o centrali, secondo le norme
di legge. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica di diritto privato; possono stipulare contratti
collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per i loro iscritti.
ART. 36
Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
ART. 37
L’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o
in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
ART. 38
La proprietà è pubblica o privata.
I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che determina i modi di acquisto,
di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a
tutti.
La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, nei casi
preveduti dalla legge e salvo indennizzo.
La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello
Stato sull’eredità.
ART. 39
Ai fini di utilità generale, la legge può attribuire originariamente o trasferire, mediante
espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad Enti pubblici o a Comunità di lavoratori o di
utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici
essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio che abbiano carattere di preminente
interesse nazionale.
ART. 40
Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la
legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione
secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la
trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la
media proprietà.
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
20
ART. 41
La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e
senza fini di speculazione, ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e con
gli opportuni controlli ne assicura il carattere e le finalità.
ART. 42
La legge provvede alla tutela ed allo sviluppo dell’artigianato.
ART. 43
Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della
produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle
aziende, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
ART. 44
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e
controlla l’esercizio del credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà
diretta coltivatrice ed al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi
produttivi del Paese.
TITOLO IV
RAPPORTI POLITICI
DIRITTI E DOVERI
Art. 45
La sovranità popolare si manifesta nel diritto di eleggere i propri rappresentanti nelle
Assemblee politiche, centrali e locali, e di esprimere la propria volontà in tutte le altre forme
contemplate dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
La legge costituzionale determina l’età dei cittadini per la partecipazione, attiva e passiva, alla
formazione degli Organi elettivi, politici e amministrativi, dello Stato e degli Enti Locali.
Il diritto di voto, personale e inderogabile, è uguale per tutti i cittadini e non può essere
limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di
indegnità morale indicati della legge.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti
all’estero e ne assicura l’effettività; a tal fine è istituita una Circoscrizione Estero per
l’elezione dei membri della Camera, alla quale sono assegnati seggi secondo criteri e nel
numero stabiliti da norma costituzionale.
Art. 46
I cittadini sono liberi di costituirsi, con organizzazione democratica, in qualsiasi forma
associativa per orientare la politica dello Stato, unitamente alle altre realtà sociali e culturali.
I gruppi politici acquistano la personalità giuridica di diritto privato con la registrazione
presso la Corte d’Appello della Città Capoluogo di Regione; se intendono operare in ambito
nazionale, devono depositare i documenti di costituzione anche presso la Suprema Corte di
Cassazione.
Per partecipare alle competizioni elettorali, il gruppo politico deve risultare registrato da
almeno un anno rispetto alla data fissata per l’apertura dei seggi elettorali.
I gruppi politici possono accettare contributi solo da persone fisiche, con esplicita esclusione
di persone giuridiche, pubbliche o private.
La legge disciplina le modalità con cui vanno pubblicizzati i finanziamenti o altri mezzi di
qualsiasi genere pervenuti nella disponibilità del gruppo politico e il loro impiego; stabilisce le
relative sanzioni in caso di comportamenti illeciti da parte dei responsabili.
Art. 47
Qualsiasi cittadino può indirizzare petizioni al Parlamento al fine di suggerire provvedimenti
legislativi o di esporre necessità ritenute utili per la Comunità.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
21
Cinquantamila elettori possono esercitare l’iniziativa legislativa mediante un progetto redatto
in articoli.
Un milione di elettori possono chiedere referendum popolare per l’abrogazione, totale o
parziale, di norme costituzionali.
Settecentomila elettori possono chiedere l’indizione di referendum popolare per deliberare
l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge.
Cinquecentomila elettori possono chiedere l’indizione di referendum popolare per deliberare
l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di atti aventi valore di legge, relativi a tutti gli
aspetti, diretti o indiretti, del trattamento economico e previdenziale dei componenti le
assemblee elettive.
Le proposte di referendum sono approvate se hanno partecipato alla votazione la
maggioranza degli aventi diritto e se è stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi.
Non è ammessa iniziativa legislativa né referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di
amnistia e di indulto, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.
ART. 48
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Tranne casi eccezionali, dovuti a calamità naturali o avvenimenti di grave pericolo per la
Comunità, il prelievo fiscale complessivo operato da tutti gli Enti impositori non può superare
il trenta per cento dell’ammontare del reddito netto, tassabile delle persone fisiche e delle
persone giuridiche
I profitti derivanti da attività puramente speculative vanno assoggettate ad imposte speciali
con relative aliquote determinate dalla legge.
L’imposizione indiretta sui consumi deve salvaguardare i beni vitali dell’esistenza.
Non sono ammesse sovrimposte o addizionali su qualsiasi tipo di imposizione fiscale.
Le quote di contribuzione obbligatoria per i servizi essenziali e di solidarietà non devono
superare il loro costo.
All’obbligo di tutti di concorrere alle spese pubbliche è correlato il dovere degli Enti
impositori di una oculata gestione delle risorse disponibili.
Art. 49
Tutti hanno il dovere di osservare la Costituzione, l’ordinamento giuridico della Repubblica
Italiana e la sue leggi; i cittadini hanno anche l’obbligo di esserne fedeli.
Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere alle carriere burocratiche ed alle cariche elettive
in condizione di eguaglianza e di pari opportunità tra donne e uomini, secondo le loro
attitudini e le capacità stabilite dalla legge.
La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici ed alle cariche elettive, parificare ai cittadini
gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, burocratiche o elettive, hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
La legge stabilisce le cause di ineleggibilità e di incompatibilità per l’accesso alla cariche
elettive.
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha il diritto di disporre del tempo necessario per
il loro adempimento e di conservare il posto di lavoro.
ART. 50
La difesa della Patria è dovere giuridico e morale.
Il servizio militare è obbligatorio, nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge; il suo adempimento
non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, ne l’esercizio dei suoi diritti politici.
Le forze armate sono costituite al fine di salvaguardare la sovranità della Comunità Nazionale
e l’integrità del territorio dello Stato; possono essere impegnate in azioni di polizia militare al
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
22
solo fine del mantenimento della pace nell’ambito di una polizia internazionale per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo.
La legge regola i fondamenti della Organizzazione militare in conformità ai principi
democratici della Costituzione, nel rispetto della dignità e del pluralismo culturale dei
cittadini
TITOLO QUINTO
ORGANIZZAZIONE POLITICA
della
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO PRIMO
IL PARLAMENTO
SEZIONE I
COMPOSIZIONE DELLE CAMERE
ART. 51
Il Parlamento si compone della Camera dei Deputati e del Senato delle Regioni; esercita la
potestà legislativa e le altre funzioni ad esso demandate nell’osservanza delle norme
fondamentali, unificanti, della Costituzione nonché dell’ordinamento comunitario e degli
obblighi internazionali.
ART. 52
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto ed è composta da quattrocento
membri, dieci dei quali eletti nella Circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti i candidati che nel giorno delle elezioni abbiano compiuto
ventuno anni di età. La candidatura di ciascun eleggibile è ammessa per una sola
Circoscrizione elettorale.
Sono elettori i cittadini che nel giorno delle elezioni abbiano compiuto diciotto anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le Circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla
Circoscrizione estero, si effettua dividendo per trecento il numero degli abitanti della
Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione e distribuendo i
seggi in proporzione alla popolazione di ciascuna Circoscrizione, sulla base dei quozienti
interi e dei più alti resti.
ART. 53
Il Senato delle Regioni è composto da duecentosessanta membri.
Il diritto di elettorato, attivo e passivo, si acquista rispettivamente all’età diciotto e di ventuno
anni, compiuti nel giorno di apertura dei seggi elettorali.
L’esercizio dell’elettorato, attivo e passivo, può essere esercitato dai nati nella Regione e dai
residenti con anzianità anagrafica non inferiore a due anni.
I seggi vanno suddivisi nel seguente modo:
1) cento, da attribuire a suffragio universale e diretto, la cui ripartizione tra le Regioni va
effettuata in proporzione alla popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento, e sulla base
dei quozienti interi o dei più alti resti. Nessuna Regione può avere un numero di senatori
inferiore a cinque; il Molise ne ha due e la Valle d’Aosta \ Vallée d’Aoste ne ha uno;
2) ottanta in ragione di quattro per ciascuna Regione, da attribuire a titolari di cattedra o
professori associati nelle materie umanistiche e scientifiche, scelti dai Consigli Regionali delle
Università statali o libere;
3) ottanta, in ragione di quattro per ciascuna Regione, da attribuire a professionisti di chiara
fama, con anzianità di effettivo esercizio non inferiore a quindici anni, scelti dai Consigli
Regionali degli Ordini e Associazione professionali.
I senatori di cui ai numeri 2), 3), non sono rieleggibili.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 54
Ciascuna Camera è eletta per cinque anni; al suo termine si scioglie di diritto ed i suoi
membri decadono dal mandato.
Il rinnovo di ciascuna Camera deve avvenire entro settanta giorni dal suo scioglimento e la
sua prima riunione deve avvenire entro venti giorni dalle elezioni; fino alla prima riunione
rimangono prorogati i poteri della precedente.
Solo in caso di guerra, con legge emanata dalle Camere in seduta comune, può essere
prorogata la durata di quelle in carica; in tal caso, può essere prorogata anche la durata delle
Assemblee regionali e dei Consigli delle Province Autonome.
ART. 55
Ciascuna Camera si riunisce di diritto il primo giorno non festivo di Febbraio e di Ottobre.
In via straordinaria, ciascuna Camera può essere convocata per iniziativa del proprio
Presidente o di un terzo dei propri componenti o del Presidente della Repubblica.
Quando una Camera si riunisce un via straordinaria anche l’altra Camera è convocata di
diritto.
Le sedute delle Assemblee parlamentari sono pubbliche; tuttavia, ciascuna Camera può
deliberare di riunirsi in seduta segreta.
ART. 56
Ciascuna Assemblea elegge il proprio Presidente e l’Ufficio di Presidenza con la maggioranza
dei due terzi dei suoi componenti e dopo il terzo scrutinio con la maggioranza dei tre quinti.
Il Regolamento del Senato, per ciascun anno della legislatura, assicura l’avvicendamento dei
rappresentanti delle Regioni nell’Ufficio di Presidenza.
La Regione Trentino-Alto Adige\ SudTirol esprime il proprio Ufficio Unico di Presidenza con
la partecipazione dei rappresentanti delle Province di Trento e Bolzano.
ART. 57
Le Camere adottano il proprio regolamento a maggioranza dei due terzi dei rispettivi
componenti e dopo il terzo scrutinio a maggioranza dei tre quinti.
Le deliberazioni della Camera dei deputati e del Senato delle Regioni non sono valide se non è
presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei
presenti, salvo che la Costituzione preveda una maggioranza speciale.
Le deliberazioni del Senato non sono, altresì, valide se non sono presenti senatori espressi da
almeno un terzo delle Regioni.
ART. 58
Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere.
Nessun può appartenere contemporaneamente al Parlamento della Repubblica ed al
Parlamento Europeo.
La funzione di membro di una delle due Camere è incompatibile con qualsiasi attività
lavorativa, pubblica o privata, che resta sospesa fino al termine del mandato parlamentare.
I deputati e i senatori che assumono cariche governative decadono dalla funzione di membri
delle rispettive Camere.
Non sono eleggibili, fino ai cinque anni successivi alla effettiva cessazione delle loro funzioni e
del rapporto di lavoro:
1) i giudici della Corte Costituzionale;
2) i magistrati anche non togati e i promotori dell’azione penale;
3) le alte cariche dell’Amministrazione burocratica statale e regionale;
4) i difensori del Popolo;
5) gli alti gradi della gerarchia militare e i dipendenti dei Corpi di sicurezza e di polizia e degli
altri Corpi militarizzati.
Non è eleggibile chi è stato condannato in via definitiva per delitto doloso ad un pena non
inferiore a due anni di reclusione.
La legge stabilisce le altre cause ostative alla funzione di deputato e di senatore.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 59
I parlamentari, prima di entrare nell’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento di
esercitare il loro mandato nell’interesse della Comunità Nazionale e della Repubblica.
Ogni parlamentare rappresenta la Comunità Nazionale e la Repubblica ed esercita le proprie
funzioni senza vincolo di mandato.
I deputati e i senatori elettivi decadono dall’ufficio se abbandonano il gruppo parlamentare al
quale si erano iscritti all’inizio della legislatura.
Non è ammessa surroga personale nel seggio resosi vacante per dimissioni del parlamentare.
ART. 60
Le Camere, entro novanta giorni dalla costituzione delle rispettive Giunte per le elezioni,
devono deliberare, per appello nominale a maggioranza assoluta dei propri componenti, sulla
regolarità delle operazioni elettorali e a scrutinio segreto, ai fini della convalida della
proclamazione di ciascuno degli eletti, previo esame dei loro titoli di ammissione e della
assenza di cause ostative alla elezione.
Ai fini della formulazione delle proposte, la composizione di ciascuna Giunta va integrata da
quindici cittadini-elettori, estratti a sorte da un elenco di sessanta, indicati in numero di tre
per ogni Consiglio Regionale delle Autonomie locali, scelti al di fuori della politica militante.
Avverso il risultato delle delibere è ammesso ricorso davanti alla Corte Costituzionale nel
termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione; in assenza di delibera, il termine decorre
dal novantesimo giorno di costituzione delle Giunte.
ART. 61
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e
dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può
essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti
privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una
sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia colto nell’atto di commettere un delitto per il
quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazione,
in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni o sequestri di corrispondenza.
ART. 62
Il regolamento della Camera dei deputati garantisce le prerogative del Primo Ministro e della
maggioranza; predispone le norme per la elezione del Capo della Opposizione da parte dei
deputati non collegati alla maggioranza governativa.
Il Capo dell’Opposizione, nei casi in cui il Primo Ministro o un suo delegato prenda la parola
nelle Assemblee parlamentari, ha il diritto di intervenire, di persona o a mezzo di delegato,
utilizzando lo stesso tempo di questi per la esposizione delle proprie argomentazioni.
I regolamenti delle Camere disciplinano anche la partecipazione ai lavori parlamentari dei
componenti del Governo di Opposizione, ove questo sia stato costituito.
Il Presidente della Repubblica, d’intesa con il Primo Ministro, in caso di emergenza interna o
internazionale, convoca il Capo dell’Opposizione per le necessarie consultazioni.
Nelle differenti posizioni, il Primo Ministro ed il Capo della Opposizione svolgono la loro
azione politica con comportamenti costruttivi e leale confronto, indirizzandola verso ideali di
collaborazione tra tutte le realtà sociali, nell’interesse della Comunità Nazionale.
ART. 63
I membri del Governo hanno diritto e, se richiesti, l’obbligo di assistere alle sedute di ciascuna
Assemblea dei due rami del Parlamento.
Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedano.
I regolamenti parlamentari stabiliscono i casi nei quali il Governo deve essere comunque
rappresentato dal Primo Ministro o dal Ministro competente.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 64
I Presidenti delle Giunte Regionali e dei Consigli regionali devono essere sentiti, a loro
richiesta, dal Senato delle Regioni, secondo le norme del suo regolamento.
ART. 65
I membri delle Camere ricevono un identico trattamento economico e previdenziale,
comunque qualificato, con legge approvata in seduta comune del Parlamento; tale
trattamento, onnicomprensivo, non può essere cumulato con alcun altro derivante da
rapporto di lavoro, a tempo determinato o indeterminato, retribuito da qualsiasi Ente,
pubblico o privato.
I parlamentari hanno diritto di conservare il loro posto di lavoro e di usufruire degli
avanzamenti di carriera ma solo per anzianità. Inoltre, hanno il diritto di scegliere tra il
trattamento economico di parlamentare e quello dell’abituale attività lavorativa; l’opzione è
ammessa anche nel corso della legislatura, ma senza alcuna efficacia retroattiva.
Al termine di ogni sessione di legislatura, le Camere devono rendere pubbliche tutte le
erogazioni che, a qualsiasi titolo o causa, direttamente o indirettamente, siano state effettuate
a favore di ciascun parlamentare e un completo riepilogo di tutte le agevolazioni e franchigie
di cui gode a motivo dell’esercizio dell’attività politica.
Nessun aumento delle retribuzioni, tranne il cinquanta per cento dell’indice del costo della
vita, come determinato dall’ISTAT per le famiglie di operai e di impiegati, può essere
deliberato a favore dei parlamentari se il debito dello Stato è superiore al trenta per cento del
prodotto interno lordo.
La normativa previdenziale dei parlamentari deve essere conforme a quella dei lavoratori
dipendenti.
Le agevolazioni e le franchigie di qualsiasi natura e genere, dirette e indirette, di cui
usufruisce il parlamentare hanno termine decorsi tre mesi dalla cessazione della carica,
indipendentemente dai motivi che l’hanno determinata.
Al termine di ciascuna sessione di legislatura i Presidenti delle rispettive Camere devono
rendere pubblico il costo complessivo dei loro Organi legislativi con l’analisi analitica delle
singole spese.
SEZIONE II
IINIZIATIVA LEGISLATIVA
FORMAZIONE DELLE LEGGI
ART. 66
La Costituzione e le leggi costituzionali attribuiscono alla Camera dei deputati le competenze
da esercitare in sede unicamerale e quelle da esercitare in sede bicamerale o in seduta comune
con il Senato delle Regioni.
La Camera dei deputati, in sede unicamerale, si riserva la potestà legislativa nelle questioni di
interesse nazionale, in quanto necessarie a salvaguardare l’unità giuridica ed economica del
Paese.
La Camera dei deputati e il Senato delle Regioni esercitano la funzione legislativa e le altre
funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, nel rispetto dei principi
di leale collaborazione, complementarietà e sussidiarietà tra lo Stato e gli Enti Locali.
Su richiesta delle Regioni, d’intesa con il Governo, con legge bicamerale, possono essere
delegate alle Regioni competenze legislative, nonché l’assunzione diretta di servizi o
l’esecuzione di opere di competenza dello Stato.
ART. 67
L’iniziativa legislativa è esercitata dal Governo, da ciascun parlamentare, dalle Regioni e
dagli Organi o Enti ai quali sia conferita da leggi costituzionali.
I cittadini esercitano l’iniziativa legislativa secondo le modalità previste dal secondo comma
dell’articolo quarantasette della Costituzione.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 68
Dopo la presentazione, le proposte, i disegni di legge e gli altri atti che richiedano attività
deliberativa assembleare sono esaminati da una Commissione e poi dall’Assemblea stessa che
le approva articolo per articolo e con votazione finale.
I regolamenti delle Camere stabiliscono procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei
quali il Governo ne dichiari l’urgenza.
Su richiesta del Governo, sono iscritti all’ordine del giorno e votati in tempi certi, secondo le
norme dei Regolamenti di ciascuna Camera, i disegni di legge di iniziativa governativa o le
proposte di legge di iniziativa parlamentare fatti propri dal Governo. Inoltre, il Governo può
chiedere che, decorso il termine convenuto, il testo proposto o fatto proprio venga approvato,
articolo per articolo e con votazione finale.
I regolamenti delle Camere stabiliscono, altresì, le modalità di iscrizione all’ordine del giorno
di proposte o iniziative presentate dalla Opposizione, determinandone i tempi di esame.
Gli stessi regolamenti stabiliscono modalità e termini entro cui vanno esaminate le proposte di
legge di iniziativa popolare.
I regolamenti possono stabilire, altresì, in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei
disegni o proposte di legge o gli altri atti che richiedano attività deliberative possano, invece,
essere deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la
proporzione dei gruppi parlamentari; in tali casi, fino al momento dell’approvazione
definitiva, i testi possono essere rimessi all’Assemblea se un decimo dei suoi componenti o un
quinto dei componenti della Commissione o il Governo richiedano che la loro discussione e
votazione avvenga con procedura ordinaria, diretta, oppure che siano posti a votazione finale
con solo dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle
Commissioni.
La procedura ordinaria di esame e approvazione diretta è sempre adottata per i disegni o
proposte di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelle di delegazione legislativa,
di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione dei bilanci e dei
consuntivi e negli altri casi previsti dalla Costituzione o da leggi costituzionali.
I disegni o proposte di legge di competenza unicamerale vanno sempre trasmessi all’altra
Camera, la quale ha facoltà di esprimere il proprio parere sul loro contenuto.
Le proposte di legge di iniziativa popolare vanno presentate alla Camera dei deputati; le
proposte di legge di iniziativa regionale vanno presentate al Senato delle Regioni.
ART. 69
La legge è promulgata dal Presidente della Repubblica entro un mese dalla sua approvazione.
La legge è promulgata nel tempo da essa stessa stabilito, se ne è stata dichiarata l’urgenza a
maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea deliberante.
Il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato, prima di promulgare una legge può
chiedere una nuova deliberazione.
Se la legge viene approvata nuovamente, deve essere promulgata.
La legge promulgata dal Presidente della Repubblica viene subito pubblicata ed entra in
vigore il quindicesimo giorno successivo dalla data della sua pubblicazione, salvo che essa
stessa stabilisca un termine diverso.
ART. 70
L’esercizio della funzione legislativa ordinaria non può essere delegato al Governo se non con
determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti
definiti.
Il Governo può chiedere delega legislativa per interi settori di materie che hanno costituito
oggetto del programma elettorale per la realizzazione del quale ha ottenuto il consenso
maggioritario degli elettori.
Il Governo non può, senza delegazione della Camera dei deputati, emanare decreti che
abbiano valore di legge ordinaria.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
27
Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la propria
responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli
alla Camera dei deputati che, se sciolta, viene appositamente convocata e si riunisce entro
cinque giorni.
I decreti perdono la loro efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta
giorni dalla loro pubblicazione.
I decreti non convertiti possono essere reiterati solo dopo un anno dalla loro prima
presentazione.
La Camera dei deputati può tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei
decreti non convertiti.
ART. 71
I referendum popolari per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto
avente valore di legge, sono disciplinati dai commi terzo, quarto e quinto dell’articolo
quarantasette della Costituzione.
ART. 72
E’ costituito il Comitato Unico Camera-Senato, formato da venti deputati, e venti senatori,
per unificare, in sede redigente e nei modi e termini previsti da un proprio regolamento, i
disegni, le proposte di legge e gli atti che richiedano attività deliberativa bicamerale non
approvate nello stesso testo da ambedue le Camere.
Tuttavia, le norme in esame possono essere approvate in via definitiva dalla Camera dei
deputati, qualora il Comitato, nel termine di tre mesi, non riesca a redigere un testo unificato
o se il testo unificato non venga approvato dal Senato delle Regioni entro un mese dalla data
del suo ricevimento.
Contro le deliberazioni adottate dalla sola Camera in via definitiva è ammesso ricorso alla
Corte Costituzionale da parte dei soggetti interessati.
Il Comitato è anche competente ad esaminare le richieste di autorizzazione a procedere
presentate dal Pubblico Ministero nei confronti del Primo Ministro e dei Ministri, anche se
cessati dalla carica, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni.
ART. 73
Le Camere, congiuntamente o disgiuntamente, possono disporre inchieste su qualsiasi materia
di interesse pubblico, nazionale o regionale.
A tale scopo, la Commissione d’inchiesta, unicamerale o bicamerale, deve essere composta in
modo da rispecchiare la proporzione tra i vari gruppi parlamentari.
La Commissione d’inchiesta procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse
limitazioni dell’autorità giudiziaria.
SEZIONE III
ATTIVITA’ ESCLUSIVA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Art. 74
La Camera dei deputati esercita potestà legislativa, esclusiva, e le altre funzioni ad essa
demandate dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali, in materia di:
a) politica estera, rapporti internazionali, rapporti con l’Unione Europea;
b) diritto di asilo; condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’unione
Europea ;
c) cittadinanza; stato civile; anagrafi;
d) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
e) organi costituzionali ed istituzionali dello Stato e relative leggi elettorali: elezione
membri del Parlamento Europeo;
f) referendum statali;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli Enti pubblici
nazionali;
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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h) organi di governo e funzioni fondamentali della Città di Roma, Capitale d’Italia, e
relativa legge elettorale;
i) difesa e forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni, esplosivi;
j) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia locale con compiti
amministrativi e di prevenzione;
k) giurisdizione e relative norme processuali; ordinamento giudiziario e dell’Ufficio del
Pubblico Ministero;
l) poste e telecomunicazioni;
m) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
n) istruzione: norme e programmi generali di ogni ordine e grado; università;
ordinamento delle professioni; ricerca scientifica e tecnologica; tutela delle opere
dell’ingegno;
i) moneta; sistema valutario; tutela del risparmio e dei mercati finanziari; tutela della
concorrenza;
o) sistema tributario e contabile dello Stato; sistema di riscossione dei tributi erariali
regionali e comunali; perequazione delle risorse finanziarie;
p) sistema economico-finanziario e bancario, ai fini della valutazione della loro efficienza
ed economicità, nell’interesse della Comunità Nazionale e dei risparmiatori; sostegno
all’innovazione per i settori produttivi;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) commercio con l’estero;
s) pesi, misure, determinazione del tempo; coordinamento informativo, statistico e
informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale, e locale; brevetti e opere
dell’ingegno;
t) trattamenti sanitari; tutela della salute; controllo delle sostanze alimentari;
u) tutela e sicurezza del lavoro;
v) tutela dei beni culturali;
w) ordinamento sportivo;
x) previdenza sociale;
y) attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale di diritti costituzionalmente
garantiti; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili, sociali e sanitari che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
z) ordinamento e disciplina dei mezzi di comunicazione di massa;
Il Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni e dei Comuni e delle altre Entità locali a
causa di inadempienze da cui possano derivare pericolo per l’incolumità e la sicurezza
pubblica.
Art. 75
Le leggi di amnistia e di indulto vanno presentate alla Camera dei deputati e sono deliberate
con procedura ordinaria, diretta, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, in ogni
loro articolo e con votazione complessiva finale.
La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la sua applicazione.
L’amnistia e l’indulto non possono essere applicati ai reati commessi successivamente alla
data di presentazione del relativo disegno o proposta di legge; il progetto di clemenza
decaduto non può essere riproposto prima di due anni.
ART. 76
La Camera dei deputati autorizza con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di
natura politica, o prevedono arbitrati, o regolamenti giudiziari, oppure importano variazioni
del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Art. 77
La Camera dei deputati approva ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo presentati dal
Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non
superiori complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi o nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.
SEZIONE IV
ATTIVITA’ BICAMERALE DEL PARLAMENTO
ART. 78
La funzione legislativa e le ulteriori funzioni della Camera dei deputati e del Senato delle
Regioni vengono esercitate collettivamente, secondo i rispettivi regolamenti, nelle seguenti
materie:
a) legge elettorale; organi di governo; composizione, funzioni fondamentali e durata degli
organi elettivi degli Enti locali;
b) modificazione territoriale delle Regioni e delle Entità locali: creazione, fusione, unione e
scorporo; istituzione delle Città Metropolitane;
c) scioglimento dei Consigli regionali, degli Enti Locali e gestione commissariale;
d) partecipazione delle Regioni alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi
comunitari, alla loro attuazione ed esecuzione; partecipazione alla promozione internazionale
del sistema economico e produttivo del Paese;
e) designazione dei rappresentanti delle Regioni che partecipano ai lavori della Comunità
Europea;
f) accordi delle Regioni nelle materie di loro competenza con le Regioni della Comunità
Europea e con Regioni di Stati esteri;
g) ripartizione del fondo perequativo nazionale tra le Regioni;
h) esame risorse autonome degli Enti territoriali locali: istituzione di tributi regionali e
comunali;
i) individuazione dell’interesse nazionale nei disegni di legge approvate dai Consigli regionali
e dalle Assemblee delle Province autonome;
l) deliberazioni relative alle richieste di attribuzione di competenze o di funzioni statali da
parte delle Regioni, dotate di capacità organizzativa e finanziaria, idonee ad assumerle anche
in concorso con lo Stato e con gli altri Enti Territoriali;
m) esame dei disegni di legge regionali ai fini dell’autorizzazione all’esercizio di attività
economiche e finanziarie da parte delle Regioni e degli Enti Locali, anche a mezzo di Enti
Autonomi o Cooperative o Società civili;
n) istruzione e formazione professionale;
o) tutela e disciplina delle acque;
p) grandi reti strategiche di trasporto terrestre, marittimo ed aereo di interesse nazionale e
relative norme di sicurezza;
q) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
r) protezione civile;
ART. 79
Le proposte di legge sono poste all’ordine del giorno di ciascuna Camera nei termini stabiliti
dai rispettivi regolamenti, ma con priorità per quelle coordinate tra più Regioni e Province
Autonome.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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SEZIONE V
IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE
ART. 80
Il Parlamento in seduta comune si riunisce nei soli casi stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi
costituzionali.
Le deliberazioni dei Parlamento in seduta comune sono valide se è presente la maggioranza
dei suoi componenti e se adottate dalla maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione o le
leggi costituzionali prevedano una maggioranza speciale.
Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di Presidenza è
quello della Camera dei deputati e le deliberazioni vengono adottate con il Regolamento di
questa.
ART. 81
Il Parlamento in seduta Comune:
1) approva, modifica o abroga le norme contenute nella Costituzione e nelle leggi
costituzionali;
2) prende atto dell’indirizzo politico del Governo e del suo programma;
3) delibera lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari;
4) in seguito alla deliberazione dello stato di guerra, può prorogare le Camere, le Assemblee
regionali e i Consigli delle Province autonome;
5) elegge il Presidente della Repubblica;
6) mette in stato di accusa il Presidente della Repubblica e i Ministri;
7) determina l’assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica, nel rispetto dei principi
stabiliti dall’articolo 65 della Costituzione;
8) determina il trattamento economico e previdenziale dei membri delle Camere, nel rispetto
dell’ articolo 65 della Costituzione;
9) determina il trattamento economico e previdenziale del Primo ministro, dei ministri e dei
vice-ministri, nel rispetto dell’articolo 65 della Costituzione;
10) attribuisce la dotazione materiale e finanziaria al Capo dell’Opposizione, nel rispetto
dell’articolo 65 della Costituzione;
11) compila, a scadenza novennale, un elenco di trenta cittadini, eleggibili a senatori, da cui
estrarre a sorte le sedici persone che, in funzione di giudici aggregati alla Corte
Costituzionale, partecipano ai giudizi di accusa intentati contro il Presidente della Repubblica
ed i Ministri;
12) elegge venti membri del Consiglio Nazionale della Magistratura, scelti tra cittadini di
chiara fama, titolari di cattedra nelle Università Statali o Libere, ordinari di materie
giuridiche ed economiche, nonché tra gli avvocati e dottori commercialisti abilitati al
patrocinio presso le Supreme Corti da almeno sette anni, al di fuori della politica militante. I
membri elettivi durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili; finché esercitano la
funzione, non possono essere iscritti negli albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche;
13) elegge il Promotore di giustizia presso il Consiglio Nazionale della Magistratura per
l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei giudici, scelto tra giuristi di chiara fama,
titolari di cattedra nelle Università Statali o Libere, ordinari di materie giuridiche ed
economiche, nonché tra gli avvocati e dottori commercialisti abilitati al patrocinio presso le
Supreme Corti da almeno sette anni, al di fuori della politica militante. Il promotore di
giustizia dura in carica quattro anni e non è rieleggibile; finché esercita la funzione, non può
essere iscritto in albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche.;
14) elegge venti membri del Consiglio Nazionale dei Pubblici Ministeri, scelti tra giuristi di
chiara fama, titolari di cattedra nelle Università Statali o Libere, ordinari di materie
giuridiche ed economiche, nonché tra gli avvocati e dottori commercialisti abilitati al
patrocinio presso le Supreme Corti da almeno sette anni, al di fuori della politica militante. I
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
31
membri elettivi durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili; finché esercitano la
funzione, non possono essere iscritti negli albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche;
15) elegge il Promotore di giustizia presso il Consiglio Nazionale dei Pubblici ministeri per
l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei pubblici ministeri, scelto tra giuristi di
chiara fama, titolari di cattedra nelle Università Statali o Libere, ordinari di materie
giuridiche ed economiche, nonché tra gli avvocati e dottori commercialisti abilitati al
patrocinio presso le Supreme Corti da almeno sette anni, al di fuori della politica militante. Il
promotore di giustizia dura in carica quattro anni e non è rieleggibile; finché esercita la
funzione, non può essere iscritto in albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche;
16) determina le priorità di politica criminale a cui devono uniformarsi gli Uffici del Pubblico
Ministero;
17) elegge un quarto dei giudici tra i posti disponibili nell’organico della Corte di Cassazione,
scelti tra giuristi di chiara fama, titolari di cattedra nelle Università Statali o Libere, ordinari
di materie giuridiche ed economiche, al di fuori della politica militante;
18) elegge un quarto dei pubblici ministeri disponibili nell’ organico della Procura generale
della Corte di Cassazione, scelti tra giuristi di chiara fama, titolari di cattedra nelle Università
Statali o Libere, ordinari di materie giuridiche ed economiche, nonché tra gli avvocati e
dottori commercialisti abilitati al patrocinio della Suprema Corte da almeno sette anni, al di
fuori della politica militante;
19) elegge un quarto dei posti disponibili nell’organico dei Consiglieri di Stato, tutti al di
fuori dalla politica militante, scelti tra i liberi professionisti iscritti nei rispettivi Albi con
anzianità di effettivo esercizio non inferiore a dieci anni; tra i docenti universitari, con
qualifica non inferiore a professore associato, con anzianità di effettivo esercizio della docenza
non inferiore a cinque anni; tra i funzionari direttivi delle Amministrazioni dello Stato e degli
Enti Pubblici, tecnici ed economici, con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia o
equiparata con anzianità di almeno cinque anni di effettivo servizio nella funzione; tra i
magistrati con anzianità di almeno cinque anni di effettivo servizio nella funzione di giudice di
Tribunale; tra i pubblici ministeri con anzianità di almeno cinque anni di effettivo servizio
nella funzione requirente presso il Tribunale.
20) elegge un quarto dei posti disponibili nell’organico dei Consiglieri della Corte dei Conti,
tutti al di fuori dalla politica militante, scelti tra gli avvocati e dottori commercialisti con
anzianità di effettivo esercizio della professione non inferiore a dieci anni; i docenti
universitari, con qualifica non inferiore a professore associato nelle cattedre di diritto e di
economia politica, con anzianità di effettivo esercizio della docenza non inferiore a cinque
anni; i funzionari direttivi delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici, anche
economici, con qualifica non inferiore a dirigente di prima fascia o equiparata con anzianità
di effettivo servizio nella funzione amministrativa o contabile; i magistrati con anzianità di
effettivo servizio nella funzione di giudice di Tribunale; i pubblici ministeri con anzianità di
almeno cinque anni di effettivo servizio nella funzione requirente di Tribunale.
SEZIONE VI
ATTIVITA’ ESCLUSIVA DEL SENATO DELLE REGIONI
ART. 82
Il Senato delle Regioni favorisce e promuove le scelte politiche e gli obiettivi generali della
programmazione socio-economica e territoriale delle Regioni, dei Comuni e degli altri Enti o
Associazioni locali, rappresentative delle rispettive Comunità.
Il Senato favorisce e promuove l’intesa politico-organizzativa tra le Regioni per la
condivisione della identità unificante della Comunità Nazionale.
ART. 83
Per il raggiungimento dei fini indicati nell’articolo 82, il Senato esercita l’esame delle leggi e
degli atti a contenuto normativo deliberati dalle Regioni nell’ambito delle loro competenze.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
32
Qualora il Senato ritenga che le leggi o gli atti a contenuto normativo siano in contrasto con le
finalità indicate dall’articolo 82 della Costituzione, può sospenderne la pubblicazione per un
nuovo riesame.
La legge o l’atto normativo sottoposto al riesame può essere pubblicato qualora l’Assemblea
regionale lo riapprovi a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, salvo il ricorso del
Governo alla Corte Costituzionale.
ART. 84
Il Senato delle Regioni, con poteri preventivi, propositivi e interdittivi, ha competenza
esclusiva nelle seguenti funzioni:
a) pareri in ordine alle modificazioni territoriali delle Regioni e delle Entità locali: creazione,
fusione, unione e scorporo; istituzione delle Città metropolitane; referendum regionali;
b) pareri comparativi tra le varie Entità locali in ordine alla composizione degli organi di
governo, funzioni fondamentali e durata degli organi elettivi;
c) esame e pareri in ordine alla istituzione di Agenzie regionali, di Enti pubblici dipendenti, di
società regionali e di altri Enti organizzati in forma societaria civile a partecipazione
regionale, in comparazione con le altre Regioni;
d) parere in ordine alla organizzazione amministrativa o gestione di servizi pubblici associati
tra Comuni;
e) esame di legittimità e di merito delle leggi e degli atti a contenuto normativo approvati dalla
Regione sotto il profilo della armonizzazione con le leggi dello Stato e con gli interessi della
Comunità regionale e nazionale; referendum regionali;
f) esame comparativo del trattamento economico e previdenziale e di ogni altra erogazione di
qualsiasi natura, corrisposti ai membri degli organi assembleari e di governo, nel quadro delle
previsioni contemplate dal quarto, quinto e sesto comma dell’articolo 165 della Costituzione;
g) esame e parere sulla organizzazione amministrativa-burocratica degli Enti locali, sotto il
profilo della consistenza numerica e la ripartizione del personale, di ogni ordine e grado, in
comparazione con gli altri Enti locali, ai fini della valutazione della economicità ed efficienza
di servizi prestati alle Comunità locali;
h) esame delle richieste di istituzione o di modifica dei tributi propri degli Enti locali ;
i) esami e parere sulla richiesta di accensione di mutui per spese di investimento;
l) esame dei bilanci preventivi e consuntivi delle Regioni e dei provvedimenti a contenuto
normativo, con osservazioni sulla legittimità e sul merito del loro contenuto;
m) esame dei programmi nei settori delle sanità, dell’istruzione e della polizia amministrativa
in comparazione con le altre Regioni, anche sotto il profilo della economicità della spesa e
delle ragioni che ne determinano le differenze;
n) esame della capacità organizzativa, amministrativa, tecnica e finanziaria delle Regioni che
intendano richiedere l’attribuzione di funzioni di competenze statali;
o) pareri sulla organizzazione e sulle attività culturali, artistiche, artigianali e sportive
indirizzate alla valorizzazione delle Regioni;
p) pareri sulla istituzione di organismi regionali per l’assistenza all’infanzia abbandonata, agli
indigenti, alle opere di assistenza e beneficenza;
q) pareri sulla organizzazione di fiere e mercati a carattere regionale;
r) pareri sulla richiesta di assunzione di funzioni e attività di competenza orizzontale avanzate
da cittadini nell’ambito regionale;
s) pareri in ordine ai rapporti diretti delle Regioni con Stati o Regioni estere;
t) esame dei disegni di legge regionale ai fini dell’autorizzazione all’esercizio di attività
economiche e finanziarie, anche a mezzo di Enti autonomi o Cooperative o Società civili, senza
scopo di lucro.
u) esame delle relazioni annuali delle Regioni sull’attività svolta e sugli obiettivi conseguiti.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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CAPO SECONDO
IL PRESIDENTE della REPUBBLICA
ELEZIONE del PRESIDENTE
SEZIONE I
ART. 85
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato, rappresenta l’Unità della Nazione, di cui
garantisce l’indipendenza e l’integrità territoriale.
ART. 86
Può essere eletto Presidente della Repubblica, ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta
anni di età, che goda dei diritti civili e politici e che abbia acquistato meriti tra la Comunità
Nazionale per aver dato lustro alla Patria nel campo umanistico, scientifico, letterario o
artistico.
ART. 87
Il Presidente della Repubblica è eletto per sei anni e non è rieleggibile.
L’Ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.
Trenta giorni prima della scadenza del mandato, il Presidente della Camera dei deputati
convoca il Parlamento in seduta comune e i rappresentanti delle Regioni per la elezione del
nuovo Presidente.
Partecipano alla elezione:
a) tutti i membri del Parlamento nazionale;
b) i Presidenti delle Giunte Regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano;
c) tre delegati per ciascuno dei Consigli Regionali – due in rappresentanza della maggioranza
ed uno dell’opposizione-; la Valle d’Aosta\Valée d’Aoste ha un solo delegato.
Presiede l’Assemblea il Presidente della Camera dei Deputati.
Se la Camera dei deputati è sciolta o manca meno di tre mesi alla cessazione di una o di
ambedue le Camere, la elezione ha luogo entro quindici giorni dallo loro composizione.
Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.
ART. 88
L’elezione del Presidente della Repubblica si effettuata a scrutinio segreto e a maggioranza
dei due terzi dell’Assemblea; nel quarto e quinto scrutinio è richiesta la maggioranza dei tre
quinti e dopo il sesto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti
l’Assemblea.
ART. 89
Prima di assumere le sue funzioni, dinnanzi al Parlamento a Camere riunite, il Presidente
della Repubblica presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di tutela dei valori
fondamentali, unificanti, contemplati dalla Costituzione.
ART. 90
Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono
esercitate dal Presidente del Senato.
In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica,
accertate secondo le modalità fissate dalla legge, il Presidente della Camera dei deputati
indice la elezione del nuovo Presidente entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto
per la ricomposizione delle Camere nella ipotesi di cui al quinto comma dell’articolo
ottantasette.
SEZIONE II
FUNZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
ART. 91
Il Presidente della Repubblica indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima
riunione.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
34
Sulla base del risultato delle elezioni, nomina il Primo ministro, dopo aver preso atto del suo
programma, quale indirizzo politico dello Stato e direttiva generale, a fondamento dell’azione
coordinata del Governo e della maggioranza che lo sostiene.
Il Presidente della Repubblica, raccolto il giuramento di fedeltà alla Costituzione prestato dal
Primo Ministro e dai suoi Ministri, lo immette nell’esercizio delle sue funzioni e lo invita a
presentarsi, entro dieci giorni dalla nomina, alle Camere in seduta comune, per rendere noto
il programma del suo Governo.
ART. 92
Il Presidente della Repubblica:
1) promulga le leggi ed emana i decreti aventi forza di legge e i regolamenti;
2) indice i referendum popolari nei casi previsti dalla Costituzione;
3) convoca, in via straordinaria, le Camere ex articolo 55 della Costituzione;
4) convoca, d’intesa con il Primo ministro, il Capo dell’Opposizione nei casi previsti dal
quarto comma dell’articolo 62 della Costituzione;
5) nomina, nei casi indicati dalla legge e sentito il Primo ministro, i funzionari dello Stato;
6) accredita e riceve i rappresentanti diplomatici;
7) ratifica i trattati internazionali previa, quando occorra, l’autorizzazione della Camera dei
deputati;
8) ha il comando delle Forze Armate e presiede il Consiglio Supremo di difesa, costituito
secondo la legge;
9) dichiara lo stato di guerra deliberato dal Parlamento in seduta Comune;
10) presiede il Consiglio Superiore della Magistratura e nomina il Vice-Presidente, da lui
scelto tra le Personalità eminenti del Foro Nazionale, al di fuori della politica militante;
11) presiede il Consiglio Nazionale dei Pubblici Ministeri e nomina il Vice-Presidente, da lui
scelto tra le Personalità eminenti del Foro Nazionale, al di fuori della politica militante;
12) può concede grazia con atto personale;
13) conferisce le onorificenze della Repubblica.
ART. 93
Il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati e indice le
elezioni nei seguenti casi:
a) su richiesta del Primo Ministro;
b) in caso di morte del Primo Ministro o di impedimento permanente, accertato secondo le
modalità fissate dalla legge;
c) in caso di dimissioni del Primo Ministro;
Il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento della Camera dei deputati
qualora, entro i venti giorni successivi agli eventi contemplati nelle lettere a), b) e c), venga
presentata e approvata, per appello nominale, una mozione con cui i membri della
maggioranza espressa dal Corpo elettorale, in numero non inferiore alla metà più uno dei
componenti della Camera, approvi una mozione con la quale dichiari di voler proseguire
nell’attuazione del programma e designi un nuovo Primo ministro.
In tale caso, il Presidente della Repubblica nomina il nuovo Primo ministro, con le modalità
previste dall’ultimo comma dell’articolo 91.
ART. 94
Il Presidente della Repubblica può inviare messaggi alle Camere; invia messaggi alla
Comunità Nazionale, quando ritiene che sia in pericolo l’unità e l’ordinamento giuridico dello
Stato.
ART. 95
Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal Ministro
proponente, che ne assume la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri atti indicati della legge, sono controfirmati
anche dal Primo Ministro.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
35
Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue
funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; in tali casi è messo
in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Gli atti propri del Presidente della Repubblica, specificati nella Costituzione o nelle leggi
costituzionali, non richiedono la controfirma dei membri del Governo e vengono assunti a
insindacabile giudizio e sotto la responsabilità del Presidente della Repubblica.
ART. 96
Il trattamento economico e previdenziale del Presidente della Repubblica è soggetto alla
disciplina prevista dall’articolo 65 della Costituzione.
La Presidenza della Repubblica rende noto per ciascun anno il bilancio preventivo e
consuntivo, con l’analisi analitica delle singole spese.
CAPO TERZO
Il GOVERNO DELLA REPUBBLICA
SEZIONE I
PRIMO MINISTRO – CONSIGLIO DEI MINISTRI
ART. 97
Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro e dai Ministri che, insieme,
costituiscono il Consiglio dei Ministri.
Le funzioni di Primo Ministro possono essere esercitate per due soli mandati.
ART. 98
La legge disciplina l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e determina le
attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri.
Il numero dei Ministri non può essere inferiore a dieci né superiore a quindici, compresi i
Vice-Presidenti del Consiglio e i Ministri senza portafoglio.
ART. 99
La candidatura alla carica di primo Ministro avviene mediante collegamento con i singoli
candidati ovvero con una o più liste di candidati alla elezione della Camera dei deputati,
secondo le norme di legge intese a favorire la costituzione di una maggioranza governativa.
Il candidato alla carica di Primo Ministro deve rendere noto il proprio programma politico e
indicare la compagine ministeriale, specificando i titoli in base ai quali ritiene che i suoi
componenti possano aspirare alla investitura.
ART. 100
Entro dieci giorni dal giuramento prestato davanti al Presidente della Repubblica e dalla
osservanza degli adempimenti contemplati nell’articolo novantuno della Costituzione, il
Primo Ministro illustra al Parlamento, in seduta comune, l’indirizzo politico dello Stato e
presenta i suoi Ministri.
SEZIONE II
FUNZIONI, POTERI, RESPONSABILITA’
DEL
PRIMO MINISTRO E DEI MINISTRI
ART. 101
Il Primo Ministro determina la politica generale del Governo e ne è responsabile; garantisce
l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo dello Stato, dirigendo, promuovendo e
coordinando l’attività dei Ministri.
Il Primo Ministro nomina e revoca i Ministri, dandone comunicazione al Presidente della
Repubblica ed ai Presidenti delle Camere. Il Primo ministro può nominare un Vice-Ministro
per ciascun Ministero.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
36
I Ministri sono responsabili, collegialmente, degli atti del Consiglio dei Ministri e,
individualmente, degli atti dei loro Ministeri.
Il Primo Ministro ed i Ministri, anche se cessati dalla loro carica, per i reati commessi
nell’esercizio delle loro funzioni sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa
autorizzazione del Comitato Unico, Camera-Senato, nella composizione prevista dall’articolo
72 della Costituzione.
ART. 102
Ogni anno il Primo ministro presenta alla Camera dei deputati una relazione concernente
l’attività svolta dal Governo per la realizzazione del proprio programma e una relazione sulla
situazione economica del Paese.
Il Primo ministro trasmette, altresì, alla Camera un prospetto di tutte le erogazioni che, a
qualsiasi titolo o causa, direttamente o indirettamente, siano state effettuate a favore di
ciascun membro del Governo e dei Vice-Ministri, nonché un completo riepilogo di tutte le
agevolazioni e le franchigie di cui essi godono a motivo dell’esercizio dell’attività ministeriale.
Al termine del mandato governativo, il trattamento economico e previdenziale dei membri del
Governo e dei vice-ministri, nonché le agevolazioni e franchigie, sono soggette alla disciplina
prevista dall’articolo 65 della Costituzione.
ART. 103
Le mozioni di fiducia o di sfiducia nei confronti dell’azione politica del Primo Ministro non
possono essere discusse prima di tre giorni dalla presentazione; l’approvazione deve avvenire
per appello nominale e per essere valide devono risultare sostenute da un numero di membri
della coalizione governativa non inferiore alla metà più uno dei componenti la Camera dei
deputati.
Se la mozione di sfiducia ottiene il consenso della maggioranza dell’Assemblea, con le
modalità sopra specificate, il Primo Ministro si dimette ed il Presidente della Repubblica,
decretato lo scioglimento della Camera, indice le elezioni.
Non è ammessa la questione di fiducia sulle leggi costituzionali e di revisione della
Costituzione.
TITOLO SESTO
ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
DELLA
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO I
IL CONSIGLIO DI STATO
ART. 104
Il Consiglio di Stato è l’Organo di consulenza generale, giuridico-amministrativa e tecnicoscientifica, del Governo, degli Enti pubblici, anche economici, centrali e periferici, e degli Enti
locali, politici ed economici.
La competenza del Consiglio di Stato viene esercitata in piena autonomia da ogni potere.
I Consiglieri di Stato godono delle stesse prerogative e sono soggetti alle stesse cause ostative
di eleggibilità dei giudici.
ART. 105
Concorrono alla nomina di consiglieri di Stato i liberi professionisti, iscritti nei rispettivi Albi
con anzianità di effettivo servizio non inferiore a dieci anni; i funzionari direttivi delle
amministrazioni dello Stato e degli Enti Pubblici, anche economici, con qualifica non inferiore
a dirigente di prima fascia o equiparati e con anzianità di almeno cinque anni di effettivo
servizio nella funzione; i docenti universitari, con qualifica non inferiore a professore
associato; i magistrati con anzianità di almeno cinque anni di effettivo servizio nella qualifica
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
37
di giudice di Tribunale; i pubblici ministeri con anzianità di cinque anni di effettivo servizio
nella funzione requirente presso il Tribunale.
La legge detta le ulteriori norme per le modalità di reclutamento dei consiglieri, per la
consistenza dell’organico e per l’organizzazione, centrale e periferica, degli uffici, riservando
un quarto dei posti disponibili ai membri eletti dal Parlamento, a norma del n. 19 dell’articolo
81 della Costituzione.
ART. 106
Il Consiglio di Stato è governato da un Presidente e cinque consiglieri eletti dall’assemblea
generale a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti.
Il Presidente ed il Consiglio di Presidenza durano in carica quattro anni e non sono
rieleggibili.
ART. 107
I consiglieri di Stato, senza vincolo di subordinazione, assumono funzioni di consulenti
giuridici, amministrativi, tecnico-scientifici e di collaborazione, attiva e diretta, degli organi
politici, anche economici, centrali e periferici, e degli Enti locali, politici ed economici.
ART. 108
Il Presidente del Consiglio di Stato invia ogni anno al Presidente della Repubblica, ai
Presidenti delle Camere ed al Primo ministro una relazione, informativa e propositiva, sul
rispetto dei criteri indicati dal secondo comma dell’articolo 111 della Costituzione da parte
delle Pubbliche Amministrazioni.
CAPO II
I PUBBLICI UFFICI
ART. 109
Agli impieghi nelle Pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge.
La legge organizza i pubblici uffici nello esclusivo interesse della Comunità Nazionale.
I servizi prestati dalle Amministrazioni pubbliche vanno improntati a criteri di efficienza,
efficacia, economicità e finalizzati al rispetto della imparzialità, della ragionevolezza e della
trasparenza.
ART. 110
I pubblici uffici hanno l’obbligo di motivare le decisioni adottate, previo interpello delle
persone interessate ai provvedimenti.
Ogni persona ha il diritto di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi
interessi dei terzi e del segreto professionale.
ART. 111
Nell’ordinamento dei pubblici uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e
le responsabilità dei dipendenti, i quali, in solido con le amministrazioni di appartenenza,
rispondono degli atti compiuti in violazione dei diritti e degli interessi, secondo quanto
previsto dall’articolo 27 della Costituzione.
ART. 112
I pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Comunità Nazionale e delle Comunità
Locali; se sono membri del Parlamento o rivestano qualsiasi altra carica elettiva, politica o
sindacale, possono conseguire promozioni solo per anzianità.
Ai magistrati, ai pubblici ministeri, ai militari di carriera in servizio effettivo, ai funzionari ed
agenti di polizia, ai rappresentanti diplomatici e consolari, è vietata la iscrizione a qualsiasi
organizzazione politica.
La legge può individuare altre categorie di dipendenti dello Stato a cui va vietata la iscrizione
alle organizzazioni politiche.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
38
CAPO III
La CORTE DEI CONTI
ART. 113
La Corte dei Conti è il supremo organo di controllo nelle materie di contabilità pubblica e
nelle altre specificate dalla legge, ai fini del rispetto degli equilibri di bilancio da parte delle
Amministrazioni pubbliche, statali e locali, e di tutti gli altri Enti i quali, anche in forma
associativa, civile o commerciale, amministrano beni e denaro pubblico.
ART. 114
La Corte dei Conti è dotata di competenza conoscitiva, consultiva, deliberativa, cautelare,
interdittiva e sanzionatoria, relativamente agli aspetti finanziari del bilancio dello Stato,
nonché dell’amministrazione del patrimonio pubblico, dell’attività contrattuale, del sistema
dei controlli e della responsabilità degli amministratori pubblici.
Tali competenze si esplicano anche nei confronti degli Enti sottoposti al controllo, in relazione
al patto di stabilità interna e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Unione
Europea.
La competenza della Corte si estende altresì ad ogni altro soggetto, pubblico o privato, che
amministri beni o denaro pubblico.
ART. 115
La competenza della Corte dei Conti viene esercitata in piena autonomia e indipendenza da
ogni potere.
I consiglieri della Corte godono delle stesse prerogative e sono soggetti alle cause ostative di
eleggibilità dei giudici.
ART. l16
Concorrono alla nomina a consiglieri della Corte dei Conti i liberi professionisti, avvocati e
commercialisti, iscritti nei rispettivi Albi con anzianità di effettivo esercizio non inferiore a
dieci anni; i professori universitari con qualifica non inferiore a professore associato docenti
nelle materie di diritto, economia politica e contabilità di Stato; i funzionari amministrativi
con qualifica direttiva nelle amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici, anche
economici, non inferiore a dirigente di prima fascia o equiparati e con anzianità di almeno
cinque anni di effettivo servizio nella funzione; i magistrati ordinari con anzianità di almeno
cinque anni di effettivo servizio nella funzione; i pubblici ministeri con anzianità di almeno
cinque anni di effettivo servizio nella funzione requirente presso il Tribunale.
La legge detta le ulteriori norme per le modalità di reclutamento dei consiglieri, per la
consistenza dell’organico e per l’organizzazione, centrale e periferica, degli uffici, riservando
un quarto dei posti disponibili ai membri eletti dal Parlamento, a norma del n. 20 dell’articolo
81 della Costituzione.
ART. 117
La Corte è governata da un Presidente e da cinque consiglieri eletti dall’Assemblea Generale
a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti.
Il Presidente e i membri del Consiglio di Presidenza durano in carica quattro anni e non sono
rieleggibili.
ART. 118
Il Presidente della Corte dei Conti invia ogni anno al Presidente della Repubblica, alle
Camere ed al Primo ministro una relazione, espositiva e propositiva, relativa al rispetto delle
norme di contabilità pubblica osservate dallo Stato, dagli Enti pubblici, centrali e locali, e da
ogni altro soggetto che, direttamente o indirettamente, amministra beni o denaro pubblico.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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TITOLO SETTIMO
ORGANIZZAZIONE GIUDIZIALE
DELLA
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO I
LA MAGISTRATURA
SEZIONE PRIMA
I GIUDICI
ART. 119
La giustizia è amministrata in nome del Popolo.
La funzione giurisdizionale è unitaria, autonoma ed indipendente da ogni potere.
La giurisdizione unica può articolarsi in settori e sezioni delle varie branche del diritto.
Non possono istituirsi giudici straordinari o speciali.
I tribunali militari possono essere costituirsi solo in tempo di guerra ed hanno giurisdizione
limitatamente ai reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate; il relativo
procedimento deve svolgersi comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona.
ART. 120
La giurisdizione è esercitata da giudici popolari e da giudici ordinari, laureati in
giurisprudenza o in economia e commercio in corsi universitari della durata minima di
quattro anni.
Il reclutamento dei giudici, nei limiti dei posti disponibili nei vari gradi della giurisdizione, ha
luogo mediante concorso, per titoli e colloquio, e con una valutazione delle effettive capacità,
tecniche e attitudinali, dei concorrenti.
ART. 121
I giudici dopo cinque anni di effettivo servizio nel rispettivo grado di giurisdizione, possono
concorrere per il passaggio al grado superiore.
Il venti per cento dei posti disponibili negli organici dei Tribunali ordinari e della Corte
d’Appello vanno attribuiti, per titoli e colloquio, agli avvocati e dottori commercialisti con
anzianità di effettivo esercizio nella professione non inferiore rispettivamente a cinque e dieci
anni.
Un quarto dei posti disponibili nell’organico della Corte di Cassazione va attribuito ai
membri eletti dal Parlamento, a norma del n. 17 dell’articolo 81 della Costituzione.
ART. 122
I giudici si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni.
Nell’amministrazione della giustizia i giudici si attengono ai principi di responsabilità,
correttezza, riservatezza e imparzialità.
L’ufficio di giudice è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico o professione,
comprese le attività arbitrali o di controllo e il distacco presso altre pubbliche
amministrazioni, con esclusione del Ministero della Giustizia.
Se non sono trascorsi cinque anni dalla data di effettiva cessazione dalla funzione, i giudici
non possono partecipare alle competizioni elettorali a norma del quinto comma, n. 2
dell’articolo 58 della Costituzione.
ART. 123
La legge disciplina i periodi di permanenza dei giudici nell’Ufficio, negli incarichi dirigenziali
e nella sede, la cui durata non può superare i sette anni.
Il Primo Presidente ed i Presidenti, titolari di ciascuna branca delle discipline giuridiche, sono
eletti, a maggioranza semplice, dall’Assemblea dei Consiglieri di Corte di Cassazione;
l’incarico è quadriennale e non rinnovabile.
Per il periodo di permanenza stabilito dalla legge i giudici sono inamovibili; non possono
essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non con il loro
consenso oppure per decisione della sezione disciplinare del Consiglio Nazionale della
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Magistratura, adottata per i motivi stabiliti dall’ordinamento giudiziario e con le garanzie del
contraddittorio.
ART. 124
Il Consiglio Nazionale della Magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica o dal
Vice-Presidente da Lui scelto tra le Personalità eminenti del Foro Nazionale, estranei alla
politica militante.
Il Ministro per la Giustizia partecipa alle sedute del Consiglio senza diritto di voto ma con
facoltà di intervenire con proposte e richieste.
Sono membri di diritto il Primo Presidente e i Presidenti di Cassazione, titolari della direzione
di ciascuna branca delle discipline giuridiche.
Fanno parte del Consiglio venti membri eletti dal Parlamento in seduta Comune, a norma del
n. 12 dell’articolo 81 della Costituzione.
Sono membri elettivi del Consiglio otto giudici per ciascun grado di giurisdizione con
mandato non rinnovabile.
Il Consiglio si rinnova con scadenza quadriennale.
ART. 125
Il Consiglio, a sezioni riunite, esercita le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni ed
il tirocinio dei giudici popolari ed ordinari.
Una sezione svolge le funzioni amministrative relative alle assegnazioni ed ai trasferimenti di
sede, alle promozioni ed all’aggiornamento professionale dei giudici.
La legge disciplina le ulteriori competenze del Consiglio Nazionale della Magistratura.
ART. 126
I Consiglio Nazionale della Magistratura, quando ne venga fatta richiesta dal Ministro per la
Giustizia, può esprimere pareri sui disegni di legge di iniziativa del Governo prima delle loro
presentazione in Parlamento, limitatamente agli aspetti tecnici e con esclusione di quelli
politici.
ART. 127
L’azione disciplinare è obbligatoria.
La sezione disciplinare è composta da un Presidente e da due giudici per ciascun grado di
giurisdizione, scelti in seno al Consiglio a sezioni riunite.
L’azione disciplinare è promossa d’ufficio dal Promotore di giustizia previsto dal n. 13
dell’articolo 81 della Costituzione, ovvero su richiesta del Ministro della Giustizia, del Primo
Presidente della Corte di Cassazione, dei dirigenti i Consigli giudiziari distrettuali e i dirigenti
degli Uffici o in seguito a denuncia circostanziata.
La legge disciplina l’organizzazione dell’Ufficio del promotore di giustizia, ai fini dell’attività
ispettiva, propedeutica all’azione disciplinare.
La legge disciplina le modalità relative allo svolgimento del procedimento, assicurandone il
contraddittorio, in piena parità tra il promotore e l’incolpato.
Avverso i provvedimenti adottati dalla Sezione disciplinare è sempre ammesso ricorso alle
Sezioni Unite della Cassazione.
ART. 128
Il Primo Presidente della Corte di Cassazione trasmette ogni anno al Presidente della
Repubblica, alle Camere, al Primo Ministro ed al Ministro per la Giustizia una relazione,
informativa e propositiva, su ogni aspetto normativo e organizzativo della giustizia.
ART. 129
Il Ministro per la Giustizia provvede alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia, promuove la formazione propedeutica all’esercizio delle professioni
giudiziarie, degli avvocati e dei dottori commercialisti; esercita la funzione ispettiva sul
corretto funzionamento degli uffici giudiziari, anche ai fini della richiesta della promozione
dell’azione disciplinare contemplata dal terzo comma dell’articolo 127 della Costituzione.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ART. 130
Il Ministro per la Giustizia riferisce ogni anno al Parlamento sulla Stato della Giustizia,
sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine.
ART. 131
A norma della lettera k) dell’articolo 74 della Costituzione, la Camera dei deputati ha
competenza esclusiva sulla giurisdizione, sulle relative norme processuali e sulla disciplina
dell’ordinamento giudiziario.
SEZIONE SECONDA
LA GIURISDIZIONE
ART. 132
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge e ispirato ai principi
dell’oralità, della concentrazione e della immediatezza.
Il processo deve svolgersi in contraddittorio davanti ad un giudice terzo e imparziale, in
condizioni di parità tra le parti e in un tempo ragionevole che possa assicurare la tutela,
morale e materiale, dei beni dedotti in giudizio.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati in fatto ed in diritto.
E’ assicurato il doppio grado di giudizio e nei casi previsti dalla legge il ricorso per cassazione.
La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il
diritto di agire e di difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
ART. 133
Nei confronti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale,
anche cautelare, dei diritti e degli interessi legittimi, davanti ai giudici popolari ed ordinari,
senza alcuna esclusione o limitazione dei mezzi di impugnazione o per determinate categorie
di atti.
La legge determina le modalità di annullamento degli atti della pubblica amministrazione e le
modalità di reintegrazione e di risarcimento.
ART. 134
Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale.
Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in
leggi che disciplinano in modo organico l’intera materia cui si riferiscono.
Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto dalla legge come reato se questo non ha
determinato una concreta offensività.
Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.
Nel procedimento penale l’indagato deve essere informato, nel più breve tempo e nel modo
più esauriente possibile, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; deve poter
disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa; deve avere la facoltà
di interrogare, personalmente o a mezzo del proprio difensore, le persone che lo hanno
accusato; deve avere la facoltà di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua
difesa nelle stesse condizioni di quelle dell’ accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova
a suo favore; qualora occorra, deve essere assistito gratuitamente da un interprete che
comprenda la sua lingua madre.
La legge assicura che la custodia cautelare in carcere sia eseguita in appositi istituti.
Avverso i provvedimenti restrittivi della libertà personale è sempre ammesso ricorso per
cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze
emesse dai tribunali militari.
La legge stabilisce le modalità con cui l’Autorità giudiziaria può disporre direttamente della
polizia giudiziaria.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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CAPO II
IL PUBBLICO MINISTERO
ART. 135
La funzione requirente è esercitata dai pubblici ministeri, popolari ed ordinari, laureati in
giurisprudenza o in economia e commercio in corsi universitari della durata minima di
quattro anni.
ART. 136
Il reclutamento dei pubblici ministeri, nei limiti dei posti disponibili nell’organico dei vari
gradi di giurisdizione, ha luogo mediante concorso, per titoli e colloquio, e con valutazione
delle effettive capacità tecniche ed attitudinali dei concorrenti.
I pubblici ministeri, dopo cinque anni di effettivo servizio nel rispettivo grado di giurisdizione,
possono concorrere per il passaggio al grado superiore.
Il venti per cento dei posti disponibili nell’organico dei vari gradi delle Procure sono
attribuiti, per titoli e colloquio, agli avvocati e dottori commercialisti con anzianità di effettivo
esercizio della professione non inferiore, rispettivamente, a cinque, dieci anni e quindici anni.
Il venti per cento dei posti disponibili nell’organico della funzione requirente presso la Corte
di Cassazione è attribuito ai membri eletti dal Parlamento, a norma del n. 14 dell’articolo 81
della Costituzione.
ART. 137
L’attuazione delle priorità di politica criminale a tutela della Comunità Nazionale, indicate
dal Parlamento a norma del n. 16 dell’articolo 81 della Costituzione, è demandata al
Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.
Le Procure generali presso le Corti d’Appello e le Procure della Repubblica presso i
Tribunali, attuano le priorità di politica criminale tenendo anche conto delle indicazioni
formulate dal rispettivo Consiglio delle Autonomie locali, a norma dell’articolo 164 della
Costituzione.
ART. 138
I dirigenti degli Uffici della Procura della Repubblica presso ogni grado di giurisdizione,
direttamente o a mezzo di sostituti da essi delegati, esercitano l’azione penale d’ufficio o su
richiesta degli interessati.
Nell’espletamento delle proprie funzioni la Procura dispone direttamente della polizia
giudiziaria, secondo le modalità stabilite dalla legge.
ART. 139
Nell’esercizio dell’azione penale, ogni pubblico ministero si attiene ai principi di
responsabilità, correttezza e riservatezza, nonché di legalità e imparzialità.
Nell’attività indirizzata a verificare se sussistano o meno le condizioni per l’esercizio
dell’azione penale, il pubblico ministero ha l’obbligo di accertare e documentare anche i fatti
e le circostanze favorevoli all’indagato.
L’ufficio del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico o
professione, comprese le attività arbitrali o di controllo ed il distacco presso ministeri o altre
pubbliche amministrazioni.
Se non sono trascorsi cinque anni dalla data di effettiva cessazione dalle funzioni, il pubblico
ministero non può partecipare alle competizioni elettorali, a norma del n. 2 dell’articolo 58
della Costituzione.
ART. 140
La legge disciplina i periodi di permanenza nell’ufficio, negli incarichi dirigenziali e nella sede
dei pubblici ministeri, la cui durata non può superare i sette anni.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione è eletto, a maggioranza semplice,
dall’Assemblea dei Sostituti Procuratori Generali; l’incarico è quadriennale e non è
rinnovabile.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
43
Per il periodo di permanenza stabilito dalla legge, il pubblico ministero è inamovibile, non
può essere dispensato o sospeso dal servizio, né destinato ad altra sede o funzione se non con il
proprio consenso oppure per decisione della sezione disciplinare del Consiglio Nazionale del
Pubblico Ministero, adottata per i motivi stabiliti dalla legge e con le garanzie del
contraddittorio.
ART. 141
Il Consiglio Nazionale dei Pubblici Ministeri è presieduto dal Presidente della Repubblica o
dal Vice-Presidente da Lui scelto tra le Personalità eminenti del Foro Nazionale, estranei alla
politica militante.
Il Ministro per la Giustizia partecipa alle sedute del Consiglio con diritto di voto e facoltà di
intervenire con proposte e richieste.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione è membro di diritto.
Fanno parte del Consiglio venti membri eletti dal Parlamento in seduta comune a norma del
n. 14 dell’articolo 81 della Costituzione.
Sono membri elettivi del Consiglio otto pubblici ministeri per ciascun grado di giurisdizione.
Il Consiglio si rinnova con scadenza quadriennale.
ART. 142
Il Consiglio Nazionale dei pubblici ministeri, quando ne venga fatta richiesta dal Ministro per
la Giustizia, può esprimere pareri sui disegni di legge di iniziativa del Governo, prima della
loro presentazione in Parlamento, limitatamente agli aspetti tecnici e con esclusione di quelli
politici.
ART. 143
Il Consiglio, a sezioni riunite, esercita le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni ed
il tirocinio dei pubblici ministeri popolari e ordinari.
Una sezione svolge le funzioni amministrative relative alle assegnazioni, ai trasferimenti di
sede, alle promozioni ed all’aggiornamento professionale dei pubblici ministeri.
La legge organica disciplina le ulteriori competenze del Consiglio Nazionale dei pubblici
ministeri.
ART. 144
L’azione disciplinare è obbligatoria.
La sezione disciplinare è composta da un Presidente, e da due sostituti procuratori per
ciascun grado di giurisdizione, scelti in seno al Consiglio a sezioni riunite.
L’azione disciplinare è esercitata d’ufficio dal Promotore di giustizia previsto dal n. 15
dell’articolo 81 della Costituzione, ovvero su richiesta del Ministro per la giustizia o del
Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione o dai Presidenti dei Consigli delle
Procure distrettuali o i dirigenti degli Uffici di procura o in seguito a denuncia circostanziata.
La legge disciplina l’Ufficio del Promotore di giustizia ai fini dell’attività ispettiva,
propedeutica all’azione disciplinare.
La legge disciplina le modalità relative al procedimento, assicurandone il contraddittorio in
piena parità tra il procuratore e l’incolpato.
Avverso i provvedimenti adottati dalla Sezione disciplinare è sempre ammesso ricorso davanti
alla Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
ART. 145
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione trasmette ogni anno al Presidente della
Repubblica, ai Presidenti delle Camere, al Primo ministro ed al ministro per la Giustizia una
relazione, informativa e propositiva, su ogni aspetto normativo e organizzativo degli Uffici del
Pubblico Ministero.
ART. 146
Il Ministro per la Giustizia provvede alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi
relativi all’Ufficio del Pubblico Ministero, promuove la formazione propedeutica all’esercizio
della funzione requirente degli avvocati e dei dottori commercialisti; esercita la funzione
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici delle procure, anche ai fini della richiesta
della promozione dell’azione disciplinare contemplata dall’articolo 144 della Costituzione.
ART.147
A norma dell’articolo 74, lettera k), la Camera dei deputati ha competenza esclusiva
sull’ordinamento dell’Ufficio del Pubblico ministero.
CAPO III
L’AVVOCATURA DELLO STATO
ART. 148
L’Avvocatura dello Stato è l’Organo di rappresentanza e difesa in giudizio, di assistenza e
consulenza, giudiziale ed extragiudiziale, delle Amministrazioni statali anche se costituite in
forma di società civile o commerciale.
Le medesime prestazioni professionali possono essere esercitate, a richiesta, a favore di tutte
le altre amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, anche se costituite in forma di società
civile o commerciale.
ART. 149
La legge organica disciplina le modalità di reclutamento degli Avvocati dello Stato tra i
laureati in giurisprudenza ed economia e commercio in corsi universitari della durata non
inferiore a quattro anni.
ART. 150
L’Avvocatura dello Stato è costituita dall’Avvocatura Generale, con sede in Roma, e dalle
Avvocature distrettuali, con sede nel Capoluogo di ciascuna Regione.
Nella Circoscrizione della Corte d’Appello di Roma, le attribuzioni dell’Avvocatura
distrettuale sono esercitate dell’Avvocatura Generale.
ART. 151
L’Avvocato Generale dello Stato è nominato dal Primo Ministro tra i sostituti avvocati
generali.
Il Consiglio direttivo è costituito dall’Avvocato generale, che lo presiede, e dai sostituti
Avvocati generali.
L’Avvocato Generale dello Stato dirige gli Uffici Centrali, i sostituti Avvocati generali
dirigono gli Uffici distrettuali
ART. 152
L’Avvocato Generale dello Stato presenta ogni anno al Primo Ministro una relazione,
espositiva e propositiva, sullo stato del contenzioso degli Enti assistiti.
TITOLO OTTAVO
LE COMUNITA’ LOCALI
CAPO PRIMO
SEZIONE PRIMA
LE REGIONI
ART. 153
La Comunità Nazionale, costituita in Stato unitario, si ripartisce in Comunità Locali
denominate Regioni, Città Metropolitane e Comuni, secondo aggregazioni di carattere
storico-etnografico.
Sono Entità locali territoriali anche le Comunità Montane e le Comunità Isolane o di
Arcipelago.
Nell’ambito delle Comunità locali è riconosciuta la partecipazione dei cittadini, singoli o
riuniti in formazioni sociali, allo svolgimento di attività di interesse generale.
Roma, Capitale d’Italia, dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche
normativa, nei limiti e secondo le modalità stabilite dalla Camera dei deputati in sede di
attività legislativa esclusiva.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
45
ART. 154
Sono Regioni dello Stato Italiano: la Basilicata, l’Abruzzo, la Calabria, la Campania, l’EmiliaRomagna, il Friuli-Venezia Giulia, il Lazio, la Liguria, la Lombardia, le Marche, il Molise, la
Puglia, la Toscana, l’Umbria, il Veneto, la Sardegna, la Sicilia, la Valle d’Aosta/ Vallèe
d’Aoste, il Trentino-Alto Adige\SudTirol, il Veneto.
La Regione Trentino-Alto Adige\Sud Tirol à costituita dalle Province di Trento e Bolzano.
A seguito di richiesta formulata da tanti Consigli Comunali che rappresentino i due terzi
delle Comunità interessate e sottoposta al giudizio referendario delle medesime Comunità,
con legge emanata dal Parlamento, ai sensi della lett. b) dell’articolo 78 della Costituzione, si
può disporre la creazione di nuove Regioni con popolazione residente non inferiore a tre
milioni di abitanti.
SEZIONE SECONDA
ORGANIZZAZIONE POLITICO-AMMINISTRATIVA
ART. 155
La Regione è un Ente autonomo con propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla
Costituzione, dalle leggi costituzionali e dalle leggi ordinarie dello Stato.
La Regione esercita la potestà legislativa nelle materie ad essa riservate e nelle ulteriori
materie conferite dallo Stato, nel rispetto delle norme costituzionali, nonché dai vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
L’autonomia della Regione si manifesta altresì nella determinazione della forma di governo.
La Regione esercita la potestà regolamentare nelle materie di propria competenza e su quelle
di legislazione dello Stato ad essa delegate, nel rispetto della potestà regolamentare attribuita
agli Enti locali minori.
ART. 156
In applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza ed
economicità, le funzioni amministrative e la gestione dei servizi di competenza della Regione
vanno attribuite ai Comuni ed alle altre realtà associative locali, secondo le esigenze di
prossimità, con esclusione di ogni duplicazione e con la individuazione delle relative
responsabilità.
La ripartizione delle funzioni amministrative e la gestione dei servizi tra i diversi livelli di
governo locale deve avvenire in relazione al ruolo che gli Enti sono tenuti a svolgere nei limiti
di compatibilità dettati dalla consistenza numerica della popolazione residente, dalle
dimensioni, dalle caratteristiche del territorio e dalle capacità tecnico-finanziarie delle
medesime. L’attribuzione agli Enti locali delle funzioni amministrative o della gestione dei
servizi comporta il trasferimento del personale e delle risorse, finanziarie e strumentali,
necessarie per il loro esercizio al fine di assicurare la massima efficienza ed economicità delle
risorse impegnate.
La Regione, nelle materie di propria competenza legislativa, può riservarsi le funzioni
amministrative e la gestione dei servizi al fine di garantirne l’esercizio unitario, per una
efficace tutela degli interessi della Comunità regionale.
La Regione esercita, altresì, le funzioni amministrative e la gestione dei servizi di competenza
dello Stato ad essa attribuite.
Qualora gli Enti locali non dovessero svolgere la funzioni loro attribuite, lo Stato o la Regione
potranno esercitare il potere sostitutivo, con le modalità stabilite dalla legge.
Inoltre, il Governo può sostituirsi agli organi dei governi locali, nel caso in cui dalle loro
inadempienze possa derivare pericolo per l’incolumità e sicurezza pubblica.
ART. 157
La Regione ha autonomia finanziaria di entrata e di spesa; stabilisce tributi ed entrate
proprie nelle forme e nei limiti delineati dalle leggi costituzionali e dalle altre norme emanate
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
46
dal Parlamento, nel rispetto dei principi di coordinamento tra la finanza regionale e la finanza
statale, nel quadro del sistema tributario nazionale.
La Regione determina l’ammontare delle risorse derivanti dalla imposizione fiscale e dalle
altre fonti a mezzo della legge finanziaria regionale, curando di non superare il limite
complessivo della pressione fiscale, secondo i criteri enunciati dall’articolo 48 della
Costituzione.
La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo i principi enunciati dalla legge dello
Stato.
ART. 158
La Regione dispone del cinquanta per cento delle entrate erariali, accertate e riscosse nel suo
territorio, diminuite dell’importo deliberato, anno per anno, dal Parlamento per essere
destinato a soddisfare le esigenze indivisibili della Comunità Nazionale relative a: 1) servizi
del debito pubblico; 2) calamità naturali ed esigenze connesse alla sicurezza del Paese; 3)
interventi diretti a favorire un equilibrato sviluppo economico e sociale nel territorio
nazionale, individuati dello stesso Parlamento; 4) fondo perequativo.
L’ammontare del fondo perequativo e i criteri generali di distribuzione sono definiti per un
periodo pluriennale, secondo parametri uniformi ed oggettivamente determinabili e
comparabili.
Lo Stato, a norma dell’articolo 78 della Costituzione, previo esame delle reali necessità, tese
ad assicurare l’ordinario svolgimento delle funzioni primarie e la erogazione dei servizi a
livelli medi di adeguatezza, in condizioni di massima efficienza ed economicità, effettua a
favore della Regione, con vincolo di destinazione, i relativi trasferimenti di risorse finanziarie
quantificati dalla legge bicamerale.
ART. 159
Tenuto conto delle risorse finanziarie derivanti dai tributi, dalle entrate proprie, da quelle di
origine statale erariale e dal fondo perequativo con destinazione vincolata, la Regione
concorda con gli Enti locali, tramite il Consiglio delle Autonomie locali, gli obiettivi generali
della programmazione economico-sociale e territoriale.
ART. 160
Il ricorso all’indebitamento da parte della Regione è ammesso solo per il finanziamento di
spese di investimento, previo esame delle relative proposte da parte del Consiglio delle
Autonomie locali ed il parere espresso dal Senato, ai sensi della lettera i) dell’articolo 84 della
Costituzione.
Rimane esclusa ogni garanzia dello Stato per le obbligazioni assunte dalla Regione, la quale ne
risponde direttamente con il proprio patrimonio disponibile.
SEZIONE SECONDA
ORGANIZZAZIONE POLITICO AMMINISTRATIVA
ART. 161
Nell’ambito delle leggi emanate dal Parlamento ai sensi della lett. a) dell’articolo 78 della
Costituzione, delle leggi costituzionali e delle leggi ordinarie statuali, la legge elettorale
regionale comprende i seguenti principi:
a) il diritto di elettorato, attivo e passivo, si acquista rispettivamente all’età di diciotto e di
ventuno anni, compiuti nel giorno di apertura dei seggi elettorali;
b) l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo, può essere esercitato dai nati nella Regione e dai
residenti con anzianità anagrafica non inferiore a due anni;
c) la uniformità delle cause di incandidabilità, di ineleggibilità e di incompatibilità, secondo i
principi enunciati dall’articolo 58 della Costituzione;
d) il termine di sessanta giorni dalla costituzione della Giunta per le Elezioni per deliberare,
per appello nominale e a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea regionale, sulla
regolarità delle operazioni elettorali e sui risultati, ai fini della convalida della proclamazione
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
47
di ciascun eletto, previo esame dei titoli di ammissione e delle cause ostative alla elezione; il
termine di sessanta giorni per impugnare la delibera o, in mancanza di questa, dalla data di
costituzione della Giunta per le elezioni.
Lo Statuto comprende:
a) la forma di governo della Regione, e i relativi rapporti fra l’Assemblea regionale, il
Governo regionale ed il Presidente della Regione;
b) il numero di consiglieri regionali non superiore a quaranta; la consistenza numerica dei
gruppi consiliari non inferiore a dieci membri; il numero delle Commissioni permanenti
interne al Consiglio non superiore a otto; il numero dei componenti la Giunta Regionale non
superiore a otto, oltre al Presidente, il quale può ricoprire la carica solo per due mandati;
c) la decadenza dall’ufficio del consigliere che abbandona il gruppo consiliare al quale si era
iscritto all’inizio della legislatura ed il divieto di surroga personale nel seggio resosi vacante;
d) i casi di scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale;
e) la netta distinzione delle funzioni politiche da quelle dirigenziali, che vanno affidate ad un
Segretario Generale, scelto tra i Consiglieri di Stato;
f) l’integrale utilizzazione del personale, assunto secondo le modalità di legge e munito di
idoneo titolo di studio, in relazione alle funzioni ed alle attività da svolgere, come risulta dalle
piante organiche sottoposte al parere del Senato delle Regioni, ai sensi della lettera d),
dell’articolo 84 della Costituzione;
g) la conformità del trattamento economico e previdenziale dei consiglieri e dei componenti la
Giunta regionale a tutte le norme contenute nell’articolo 65 della Costituzione;
E, inoltre, a cura del Presidente della Giunta Regionale deve essere pure compilato e reso
pubblico l’elenco di tutte le Aziende, a conduzione diretta o sotto qualsiasi altra forma,
pubblica o privata, in cui vengono impegnate risorse finanziarie della Regione, specificando il
loro stato patrimoniale e finanziario e gli emolumenti corrisposti ai dirigenti, sotto qualsiasi
forma, diretta e indiretta.
Nell’ambito dell’esercizio della rappresentatività partecipativa, i residenti nella Regione
possono indirizzare petizioni all’Assemblea regionale, al fine di suggerire provvedimenti
legislativi o di esporre necessità ritenute utili alla comunità regionale.
Ventimila elettori possono esercitare l’iniziativa legislativa mediante un progetto redatto in
articoli.
Cinquantamila elettori possono chiedere l’indizione di referendum popolari per deliberare
l’abrogazione, totale o parziale, di una legge regionale o di un atto avente valore di legge.
Ventimila elettori possono chiedere l’indizione di referendum popolare per deliberare
l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge relativi a tutti
gli aspetti, diretti ed indiretti, del trattamento economico e previdenziale dei componenti gli
organi elettivi regionali.
Le proposte di referendum sono approvate se hanno partecipato alla votazione la
maggioranza degli elettori e se è stata raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
Non è ammessa iniziativa legislativa né referendum per le leggi in materia tributarie o di
bilancio.
I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei
voti dati nell’esercizio o a causa delle loro funzioni.
La durata della legislatura è fissata in cinque anni.
ART. 162
La Regione, acquisito il preventivo concerto delle Comunità Locali in sede di Consiglio
Regionale delle Autonomie locali, successivamente confermato dall’esito referendario,
acquisito il parere del Senato, ai sensi della lett. a) dell’articolo 84, promuove davanti al
Parlamento, ai sensi della lett. b) dell’articolo 78, il riordino territoriale mediante:
a) la fusione dei Comuni con popolazione inferiore a venticinquemila abitanti, e la
individuazione dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni amministrative e della gestione dei
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
48
servizi, anche sotto il profilo della adeguatezza e della economicità; curando di salvaguardare
la loro denominazione storica e istituendo municipi intercomunali;
b) la istituzione di nuovi Comuni ;
c) la istituzione di Comunità Montane e Comunità isolane o di Arcipelago;
d) la modificazione delle circoscrizioni territoriali degli Enti locali.
SEZIONE TERZA
COMPETENZE LEGISLATIVE
ART. 163
Nel proprio ambito territoriale e nel rispetto delle leggi dello Stato, delle norme comunitarie e
internazionali, la Regione esercita le funzioni legislative e le altre funzioni ad essa demandate
nelle seguenti materie:
1) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e previsione delle calamità;
2) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
3) acque minerali e termali ;
4) cave e torbiere;
5) pesca nelle acque interne;
6) agricoltura e foreste;
7) caccia; protezione della flora e della fauna; parchi e riserve;
8) rilevamento, disciplina e controllo delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
9) navigazione e porti lacuali, turistici e commerciali;
10) viabilità e trasporti di interesse regionale;
11) urbanistica di interesse regionale;
12) turismo e industria alberghiera;
14) valorizzazione dei beni culturali regionali; musei e biblioteche di interesse regionale;
15) servizio sanitario; assistenza e organizzazione sanitaria;
16) servizi sanitari e igiene e profilassi pubblica attribuiti dalla legislazione statale;
17) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ;
18) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla
formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale;
19) artigianato ; istruzione artigianale e formazione professionale;
20) assistenza tecnico-amministrativa ai Comuni per la raccolta ed elaborazione dati a fini
statistici e tributari;
21) collaborazione all’attività di accertamento dei tributi erariali, secondo quanto stabilito
dalle norme statuali.
La Regione emana norme regolamentari nelle materie di propria competenza ed in quelle ad
essa delegate dallo Stato.
La Regione, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 66 e previo parere del Senato delle
Regioni, ai sensi della lettera g) dell’articolo 84 della Costituzione, può chiedere delega per
l’esercizio di ulteriori competenze legislative e per l’assunzione diretta ed esecuzione di opere
di competenza dello Stato.
La Regione, di concerto con il Consiglio Regionale delle Autonomie locali, procede alla
ripartizione tra le Entità locali della quota del trenta per cento del gettito complessivo delle
entrate erariali ad essa attribuite, a norma dell’articolo 158 della Costituzione, sulla base del
prelievo erariale operato nel territorio, tenendo conto del luogo di produzione del reddito.
La Regione non può istituire dazi di qualsiasi genere, né adottare provvedimenti che
ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle merci, né limitare
l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
Il Governo può sostituirsi agli organi dei governi locali, nel caso in cui dalle loro
inadempienze possa derivare pericolo per l’incolumità e sicurezza pubblica, oppure nel caso
di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, ovvero
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
49
quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e, in particolare, la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, a prescindere
dai confini territoriali dei governi locali.
A giudicare dei conflitti di attribuzione tra il Governo e gli Enti locali è competente la Corte
Costituzionale.
SEZIONE QUARTA
ORGANI DI RACCORDO ISTITUZIONALE
Il CONSIGLIO REGIONALE DELLE AUTONOMIE LOCALI
IL COMITATO REGIONALE DI CONTROLLO CONTABILE
ART. 164
Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali è un organo rappresentativo, di raccordo
istituzionale e di consultazione, ai fini della concertazione tra gli Enti locali.
I membri di diritto del Consiglio sono: il Presidente della Regione, che lo presiede, i Sindaci
delle Città Metropolitane istituite nel territorio regionale, i Sindaci dei Comuni e i Presidenti
delle Unioni di Comuni con popolazione non inferiore a quarantamila abitanti, i
rappresentanti delle Comunità Montane e Isolane o di Arcipelago, istituiti nel territorio
regionale.
Fanno parte, altresì, del Consiglio: nove rappresentanti dei settori produttivi regionali
dell’agricoltura, dell’artigianato, dell’industria e del commercio, designati in numero di tre
per ciascun settore, dalle rispettive organizzazioni di categoria; dieci rappresentanti della
cultura umanistica e scientifica, designati dalle Università regionali, statali e libere, tra i
titolari di cattedra e professori associati, al di fuori della politica militante, con anzianità di
residenza nella Regine non inferiore a cinque anni; cinque rappresentanti degli Ordini o
Associazioni professionali della Regione con anzianità di effettivo esercizio nella Regione non
inferiore a cinque anni.
Il trattamento contributivo e previdenziale, comunque denominato, corrisposto ai membri del
Consiglio Regionale delle Autonomie locali, si uniforma alle norme previste per i membri
delle cariche politiche elettive, in quanto compatibili.
I membri del Consiglio Regionale delle Autonomie locali decadono alla fine della legislatura
regionale; quelli designati dai settori produttivi, dalle Università e dagli Ordini o Associazioni
professionali non sono rieleggibili.
Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali stabilisce il proprio funzionamento in piena
autonomia, nel rispetto dello Statuto, della legge regionale e del regolamento dei lavori del
Consiglio regionale.
La legge regionale prevede le forme di raccordo tra il Consiglio Regionale delle autonomie
locali e gli organi regionali, i termini per la trasmissione degli atti e l’acquisizione dei pareri,
nonché la struttura organizzativa di supporto e le risorse per l’espletamento delle funzioni.
Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali:
1) designa un docente universitario in materie giuridiche o economiche, titolare di cattedra o
associato, nativo o residente nella Regione da almeno due anni, quale membro della Corte
Costituzionale, estraneo alla politica militante;
2) designa i tre rappresentanti della Regione da includere nell’elenco dei sessanta nominativi
da cui estrarre a sorte i quindici giudici laici che integrano le Giunte per le elezioni di
ciascuna Camera, estranei alla politica militante, ai sensi del 2° comma dell’articolo 60 della
Costituzione;
3) formula le indicazioni di politica criminale da indirizzare alla Procura della Repubblica
presso la Corte d’Appello e il Tribunale nell’ambito del territorio regionale;
4) sottopone all’Assemblea regionale un elenco di quindici esperti in materia di contabilità
pubblica, quattro laureati in giurisprudenza e quattro in economia e commercio, tra cui
scegliere, in seduta segreta, i cinque membri del Comitato regionale di controllo contabile,
estranei alla politica militante;
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
50
5) esprime pareri sulle proposte di legge regionale di revisione dello Statuto, di conferimento
di funzioni agli Enti locali o di modifica del riparto di competenze tra Regione ed Enti locali,
nonché sulle proposte di legge regionale di approvazione dei bilanci di previsione, di legge
finanziaria regionale, sul documento di programmazione economico-finanziaria regionale e
sugli strumenti di programmazione generale socio-economica e di pianificazione generale
territoriale della Regione;
6) esprime, altresì, pareri su ogni altra questione ad esso demandata dallo Statuto e dalla
legge regionale o su richiesta del Consiglio o della Giunta regionale, nei confronti dei quali
può, anche autonomamente, formulare proposte.
L’Assemblea regionale, nelle deliberazioni di propria competenza, tiene conto del parere
espresso dal Consiglio Regionale delle Autonomie locali. Qualora, per le leggi di conferimento
di funzioni agli Enti locali o di modifica di riparto di competenze tra Regione ed Enti locali, il
Consiglio Regionale delle autonomie locali dovesse esprimere parere negativo a maggioranza
dei due terzi, l’Assemblea regionale potrà procedere alla relativa approvazione solo a
maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali è organo di garanzia statutaria anche in ordine:
1) all’esame della proposta di fusione di una Regione con un’altra, ed alle ulteriori vicende di
modifiche territoriali della Regione e degli Enti locali;
2) alla verifica sull’ammissibilità dei referendum propositivi e dei referendum abrogativi di
leggi, regolamenti ed atti amministrativi generali della Regione;
3) alla pronuncia, prima della promulgazione, sulla conformità delle leggi regionali allo
Statuto;
4) alla proposte di regolamenti regionali;
5) alla interpretazione dello Statuto, anche in relazione ad eventuali conflitti di competenza
tra gli organi costituzionali della Regione e gli altri organi regionali previsti dallo Statuto.
Le pronunce relative ai numeri 2),3),4) possono essere richieste dal Presidente della Regione,
dal Presidente del Consiglio regionale, da un terzo dei componenti del Consiglio regionale e
dal Presidente del Consiglio Regionale delle Autonomie locali, in conseguenza della
deliberazione assunta dall’Assemblea regionale a maggioranza semplice.
La pronuncia relativa al numero 3) deve avvenire entro venti giorni dalla richiesta: se
negativa, il Presidente del Consiglio Regionale delle Autonomie locali ne da comunicazione al
Presidente dell’Assemblea regionale, affinché la legge venga sottoposta a nuova deliberazione;
la legge può essere approvata nel testo originario, senza tenere conto dei rilievi formulati, solo
a maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea regionale.
Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali esercita le ulteriori funzioni previste dallo
Statuto.
Art. 165
Il Comitato Regionale di Controllo, in completa indipendenza, vigila sulla corretta gestione
del patrimonio immobiliare della Regione, sul rispetto del bilancio regionale di previsione,
sulla adeguatezza e completezza della documentazione contabile, sulla regolarità degli
adempimenti fiscali e sul rendiconto generale regionale.
Il Comitato regionale di controllo contabile è costituito dal Presidente e quattro consiglieri,
scelti dall’Assemblea Regionale, in seduta segreta, tra quindici qualificati esperti in materia di
contabilità pubblica, laureati in giurisprudenza o in economia e commercio, indicati dal
Consiglio delle Autonomie locali, estranei alla politica militante.
Il Comitato regionale di controllo contabile attiva forme di collaborazione con la Sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti per il riscontro contabile di legittimità della
gestione del bilancio e del merito, sotto il profilo della opportunità e congruità della spesa;
può chiedere alla medesima Corte dei Conti pareri in materia di contabilità pubblica, in
conformità a quanto previsto dalla normativa vigente.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
51
Il Comitato regionale di controllo contabile esamina le relazioni che la Sezione regionale di
controllo della Corte dei Conti invia al Consiglio Regionale e riferisce alle commissioni
permanenti competenti in materia.
Il Comitato Regionale di controllo esercita le ulteriori funzioni previste dallo Statuto della
Regione.
Il trattamento contributivo e previdenziale, comunque denominato, corrisposto ai membri del
Comitato regionale di controllo contabile si uniforma alle norme previste per i membri delle
cariche elettive, in quanto compatibili.
I componenti del Comitato Regionale di controllo contabile restano in carica per la durata
della legislatura e non sono rieleggibili.
CAPO SECONDO
LE AREE METROPOLITANE
LE CITTA’ METROPOLITANE
Art. 166
Sono considerate aree metropolitane le zone in ambito regionale che comprendono Comuni le
cui popolazioni residenti hanno rapporti di stretta integrazione, originati dalle attività
economiche, dai servizi essenziali della vita associativa, dai caratteri ambientali, dalle
relazione socio-culturali e dalle caratteristiche territoriali.
ART. 167
Possono costituirsi in Città Metropolitana, ad ordinamento differenziato, un Comune
Capoluogo e altri Comuni aventi le caratteristiche delineate nell’articolo 166 della
Costituzione.
La Città Metropolitana viene istituita con legge approvata dal Parlamento, ai sensi della lett.
a) dell’articolo 78 della Costituzione, su proposta dagli Enti locali e con il concerto del
Consiglio Regionale delle Autonomie locali, previo referendum delle popolazioni interessate.
La Città Metropolitana è un Ente autonomo con proprio Statuto, poteri e funzioni, secondo i
principi fissati dalla Costituzione e dalla legge istitutiva; è titolare di potestà regolamentare,
in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni ad essa
attribuite; è titolare di funzioni amministrative e di gestione di servizi propri e di quelle
conferite dalla legge.
ART. 168
La Città Metropolitana, nell’acquisire tutte le funzioni e le competenze specificate nella legge
istitutiva e nello Statuto, deve salvaguardare gli interessi e le identità originarie delle
Comunità locali, assicurare che nella composizione degli Organi di governo sia salvaguardata
la rappresentanza proporzionale delle rispettive popolazioni residenti, comprese le
minoranze, e realizzata l’efficienza amministrativa, nel rispetto dei principi di funzionalità ed
economicità.
Al referendum istitutivo della Città Metropolitana partecipano i membri delle Comunità
locali in possesso dei requisiti previsti dalle lett. a), b, c) del primo comma dell’articolo 161
della Costituzione.
Lo Statuto deve prevedere che nelle Comunità locali unificate vengano costituiti, su base
elettiva, Consigli Municipali composti da un numero di membri proporzionale alla
popolazione residente e, comunque, non superiore a quattro, più il Presidente, con funzioni di
raccordo tra le Municipalità, gli organi di governo e gli uffici amministrativi delle Città
Metropolitane.
Per le elezioni relative ai membri dell’Assemblea metropolitana ed agli organi di governo si
applicano le disposizioni contenute nell’articolo 161, in quanto compatibili.
Lo Statuto deve prevedere il numero di consiglieri dell’Assemblea metropolitana non
superiore a quaranta; la formazione di gruppi consiliari non inferiore a dieci membri; un
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
52
numero di commissioni permanenti non superiore a dieci; il numero dei componenti la Giunta
non superiore a dieci, oltre al Sindaco metropolitano.
I membri del governo metropolitano sono soggetti a tutte le disposizioni contenute nella legge
istitutiva, a quelle della legge elettorale e dello Statuto, come elencate nell’articolo 161.
Nell’esercizio dell’attività organizzativa del personale, il governo della Città metropolitana si
attiene a tutte le disposizioni contenute dall’articolo 161.
La Città Metropolitana è titolare di un proprio patrimonio; è dotata di autonomia finanziaria
di entrata e di spesa; ha capacità di istituire e applicare tributi; usufruisce di risorse proprie
di natura non tributaria; compartecipa al gettito dei tributi erariali; può usufruire del fondo
perequativo di cui alla lettera l) dell’articolo 78 della Costituzione.
La Città metropolitana, d’intesa con le Comunità locali che la compongono e con la Regione,
attua:
1) la pianificazione territoriale metropolitana;
2) reti infrastrutturali e servizi a rete;
3) piani di traffico intercomunali;
4) tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico;
5) interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica;
6) raccolta, distribuzione e depurazione delle acque;
7) smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
8) grande distribuzione commerciale;
9) attività culturali di interesse metropolitano;
CAPO TERZO
IL COMUNE
GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI
RIMOZIONE DEGLI ORGANI DI GOVERNO LOCALE
ART. 169
Il Comune, Ente territoriale necessario, è il soggetto primario rappresentativo delle
aggregazioni locali di carattere storico- etnografico; rappresenta le aspirazioni morali e gli
interessi materiali della propria Comunità, promuovendone ogni possibile sviluppo.
ART. 170
Il Comune è titolare di funzioni proprie e di quelle conferite con legge dello Stato o della
Regione, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza ed economicità,
precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona ed alle collettività locali, dello
assetto e utilizzazione del territorio, dello sviluppo economico, salvo quanto attribuito ad altri
soggetti dalla legge statale, bicamerale, o dalla Regione, secondo le loro rispettive competenze.
Il Comune, esercita la potestà regolamentare nelle materie di propria competenza ed in quelle
ad esso delegate dallo Stato o dalla Regione.
Il Comune svolge le proprie funzioni e realizza le proprie finalità anche attraverso le attività
che possono essere affidate alla autonoma iniziativa di privati cittadini o delle loro formazioni
sociali.
La Regione, con esclusione delle giustificate funzioni che attengono ad imprescindibili
esigenze di carattere unitario regionale, deve organizzare la propria azione amministrativa e
la gestione dei propri servizi a mezzo del Comune, tenendo conto anche del principio di
prossimità, in relazione alla dimensione del territorio, della consistenza numerica della
popolazione e della capacità tecnico-organizzativa e finanziaria.
ART. 171
Nel rispetto dei principi generali dettati dalla Costituzione e di democraticità,
rappresentatività e stabilità di governo, il Comune delibera il proprio Statuto a maggioranza
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
53
dei tre quinti dei componenti l’Assemblea consiliare e lo sottopone a nuova deliberazione, con
la medesima maggioranza, con un intervallo non inferiore a due mesi.
Lo Statuto, in armonia con le leggi dello Stato, stabilisce:
a) il diritto all’elettorato attivo e passivo rispettivamente all’età di diciotto e di ventuno anni,
compiuti nel giorno di apertura dei seggi elettorali;
b) l’esercizio dell’elettorato, attivo e passivo, ai candidati nati nella Regione e ai residenti con
anzianità anagrafica non inferiore ai due anni alla data di apertura dei seggi elettorali;
c) l’uniformità delle cause di ineleggibilità, di incompatibilità e di incandidabilità secondo i
principi enunciati dall’articolo 58 della Costituzione, nelle ipotesi ad essi riferibili;
d) il termine di sessanta giorni dalla costituzione della Giunta per le elezioni per deliberare,
per appello nominale a maggioranza dei componenti il Consiglio Comunale, sulla regolarità
delle operazioni elettorali e sui risultati, ai fini della validità della proclamazione degli eletti,
previo esame dei titoli di ammissione e delle cause ostative alla elezione; in sessanta giorni
dalla pubblicazione della delibera, il termine per l’impugnazione dei risultati e, in mancanza,
dalla data di costituzione della Giunta;
Lo Statuto, in armonia con le leggi dello Stato, definisce la composizione dei Consigli
comunali in:
1) 35 membri nei Comuni con popolazione superiore a settecentocinquantamila abitanti;
2) 30 membri nei Comuni con popolazione superiore a quattrocentocinquantamila abitanti;
3) 25 membri nei Comuni con popolazione superiore a trecentomila abitanti;
4) 10 membri nei Comuni con popolazione superiore a venticinquemila abitanti;
5) 7 membri negli altri Comuni;
I gruppi consiliari, ove formati, non possono costituirsi con un numero di aderenti inferiore a
quattro.
La composizione della Giunta comunale deve essere formata da un numero di assessori non
superiore ad un terzo dei consiglieri comunali, arrotondato per eccesso, oltre al Sindaco;
11) l’elezione alla carica di Sindaco limitatamente a due soli mandati.
I membri del governo comunale sono soggetti a tutte le disposizioni contenute nella legge
elettorale e nello Statuto, come elencate nell’articolo 172 della Costituzione.
Nell’esercizio dell’attività organizzativa del personale, il Governo comunale si attiene a tutte
le disposizioni contenute al riguardo dall’articolo 172.
Il Comune è dotato di un proprio patrimonio e di autonomia finanziaria di entrata e di spesa;
ha capacità di istituire e applicare tributi nel rispetto dei principi fissati dall’articolo 167 e
dalla lettera h dell’articolo 78; usufruisce di risorse proprie di natura non tributaria;
compartecipa al gettito dei tributi erariali, ai sensi del secondo comma dell’articolo 174, nel
quadro degli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale,
secondo quanto previsto dall’articolo 170 della Costituzione.
Il Comune cura in particolare:
1) il governo del territorio; politiche edilizie ed urbanistiche;
2) le circoscrizioni comunali;
3) la polizia amministrativa locale;
4) i trasporti urbani;
5) il turismo;
6) le politiche del lavoro;
7) i servizi sociali;
8) la tutela della salute;
9) le farmacie;
10) la salvaguardia dell’ambiente e del territorio;
11) la istruzione elementare e orientamento scolastico; gli asili nido;
12) le biblioteche e musei comunali; i municipi;
13) la disciplina del commercio nel territorio comunale;
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
54
14) i macelli e mercati;
14) la nettezza urbana;
15) le fognature.
Il Comune collabora con l’Agenzia delle Entrate ai fini dell’accertamento dei tributi, della
individuazione degli estimi catastali e della tenuta del Catasto dei terreni e dei fabbricati.
I Sindaci, quali ufficiali del Governo, sovrintendono:
1) alla tenuta dei registri di stato civile, di popolazione ed agli adempimenti loro demandati
dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;
2) alla emanazione degli atti loro attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e
sicurezza pubblica;
3) allo svolgimento, in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni loro
affidate dalla legge;
4) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico,
informandone il Prefetto;
5) alla adozione di atti contingibili ed urgenti, con provvedimenti motivati, nel rispetto dei
principi generali dell’ordinamento giuridico, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che
minacciano l’incolumità dei cittadini e, se necessario, richiedendo al Prefetto l’assistenza della
forza pubblica.
Per l’adozione delle ulteriori competenze in materia di adozione di provvedimenti contingibili
ed urgenti, i Sindaci fanno riferimento alle leggi dello Stato.
ART. 172
Gli Enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e
a promuovere lo sviluppo economico e civile delle Comunità interessate.
I servizi riservati in via esclusiva ai Comuni sono stabiliti dallo Stato.
Le forme e modalità di gestione dei servizi sono individuati dallo stesso Ente locale tra quelle
a rilevanza pubblica ed a rilevanza privata, scelti secondo criteri di massima efficienza ed
economicità.
L’esame della gestione dei servizi, sotto l’aspetto della loro efficienza e oculatezza, sono
demandati al Comitato Regionale di controllo contabile, il quale riferisce al Consiglio
Regionale delle Autonomie locali, all’Assemblea regionale ed al Presidente della Regione,
proponendo eventuali rimedi idonei ad assicurare l’equilibrio economico e funzionale del
servizio.
Resta salvo il controllo della Corte dei Conti sulla legittimità degli atti gestionali e sul merito
degli stessi atti, con individuazione delle responsabilità personali dei gestori.
ART. 173
Con decreto motivato del Presidente della Repubblica, su proposta del Parlamento, formulata
in sede di attività bicamerale, possono essere disposti lo scioglimento dei Consigli degli Enti
locali e la rimozione degli Organi di governo, in caso di atti contrari alla Costituzione e gravi
violazioni di legge.
Gli stessi provvedimenti possono essere adottati per ragioni di sicurezza nazionale.
TITOLO NONO
GARANZIE COSTITUZIONALI
SEZIONE PRIMA
CORTE COSTITUZIONALE
ART. 174
La Corte Costituzionale è l’organo giurisdizionale di garanzia della legalità costituzionale per
il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone, e della legittimità di revisione
della normativa costituzionale nei confronti dei poteri costituiti.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Per le esigenze funzionali dei propri procedimenti, la Corte è dotata di poteri di autotutela, di
autorganizzazione e di autonomia regolamentare.
ART. 175
La Corte Costituzionale è composta da quaranta giudici, tutti estranei alla politica militante,
eletti in numero di:
a) uno per ciascuno dei Consigli Regionali delle Autonomie Locali, tra i docenti universitari di
materie giuridiche ed economiche, titolari di cattedra o associati, nativi o residenti da almeno
due anni nella Regione,
b) uno per ciascuna Regione, dagli Ordini o Associazioni degli avvocati e dottori
commercialisti, tra i professionisti con anzianità non inferiore a venti anni di effettivo
esercizio, nativi o residenti da almeno due anni nella Regione.
L’ufficio di giudice della Corte Costituzione è incompatibile con qualsiasi altra carica, ufficio
o professione, ed in tutti gli altri casi indicati dalla legge.
Ciascun giudice resta in carica per sei anni dal giorno del suo giuramento; alla scadenza del
periodo cessa dalla carica e dalla funzione; non è rieleggibile e per i cinque anni successivi al
termine del mandato non può ricoprire cariche pubbliche elettive o di nomina governativa.
La Corte giudica delle cause ostative di eleggibilità dei propri membri, secondo le norme
dell’articolo 58 della Costituzione e delle cause di incompatibilità susseguenti alla cessazione
della carica e all’esercizio delle funzioni.
La funzione di Presidente è esercitata da un membro scelto dai componenti della Corte per
ciascun biennio e non è rieleggibile; nessun membro della Corte può assumere la carica di
Presidente nell’ultimo anno del suo mandato.
Il Presidente sceglie tra i giudici il Vice-Presidente.
Il trattamento economico e previdenziale dei giudici costituzionali, attribuito dal Parlamento
a norma del n. 11 dell’articolo 81, va informato alle disposizioni dell’articolo 65 della
Costituzione, in quanto compatibili.
ART. 176
La Corte Costituzionale giudica:
a) sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi ordinarie e degli atti,
aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
b) sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra
le Regioni;
c) sui ricorsi degli Enti locali nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 72 della
Costituzione;
d) sui ricorsi in materia di elezione del Presidente della Repubblica, a norma della
Costituzione;
e) sulla accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.
Nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica, la Corte è integrata da sedici
membri estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune, ai sensi del n.
11 dell’articolo 81 della Costituzione;
f) sui ricorsi in materia di elezione dei parlamentari, nei casi stabiliti dalla Costituzione, ai
sensi del 3° comma dell’articolo 60 della Costituzione;
g) sulla ammissibilità dei referendum abrogativi di leggi o atti aventi valore di legge e dei
referendum sulle proposte di iniziativa popolare;
h) sui ricorsi, per la tutela, nei confronti dei pubblici poteri, dei diritti fondamentali garantiti
dalla Costituzione, secondo condizioni, forme e termini di proponibilità stabiliti con legge
costituzionale;
i) in tutti gli altri casi stabiliti dalle leggi costituzionali.
La legge costituzionale stabilisce le condizioni, i limiti e le modalità di proposizione dei giudizi
di legittimità costituzionale delle leggi.
Per l’esercizio delle proprie attribuzioni, la Corte può organizzarsi in Sezioni.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
56
La Corte Costituzionale giudica con il quorum minimo di tredici giudici, oltre al voto del
Presidente che, in caso di parità, vale doppio.
Le decisioni della Corte sono pubblicate con le eventuali opinioni in dissenso.
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto
avente forza di legge, la loro efficacia cessa dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione, salvo che essa stessa non stabilisca un termine diverso, comunque non superiore ad
un anno.
La sentenza è comunicata alle Camere, al Governo ed alla Assemblee regionali interessate,
affinché, ove lo ritengano, provvedano nelle forme costituzionali.
Contro le decisioni della Corte non è ammessa alcuna impugnazione.
SEZIONE SECONDA
REVISIONE DELLE NORME COSTITUZIONALI E ORDINARIE
PROCEDURE REFERENDARIE
ART. 177
Le leggi costituzionali e quelle di revisione della Costituzione sono adottate dal Parlamento in
seduta comune, ai sensi del n. 1 dell’articolo 81 della Costituzione, con due successive
deliberazioni, ad intervallo non inferiore a tre mesi e sono approvate, in seconda
convocazione, a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti.
Tali leggi possono essere sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro
pubblicazione, ne facciano richiesta un milione di elettori, a norma del terzo comma
dell’articolo 47 della Costituzione.
Le leggi ordinarie e gli atti aventi valore di legge, approvati in sede bicamerale o unicamerale,
possono essere sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro
pubblicazione, ne facciano richiesta settecentomila elettori, a norme del quarto comma
dell’articolo 47 della Costituzione.
ART. 178
La forma repubblicana non è suscettibile di revisione costituzionale.
Rimangono ferme le disposizioni in ordine all’avocazione dei beni dei discendenti di Casa
Savoia.
I titoli nobiliari conferiti dalla ex monarchia non sono riconosciuti, mentre i predicati di quelli
conferiti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome.
L’Ordine Mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla
legge.
La consulta araldica è abrogata.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
57
CONSIDERAZIONI
SUI
PRINCIPI FONDAMENTALI
PARTE PRIMA
LA PERSONALITA’ NELLA COMUNITA’ STATO
1\2) Il primo dei principi fondamentali dell’Ipotesi proclama che l’Italia è costituita da una
Comunità liberamente organizzata allo scopo di promuovere, con metodo associativo paritario,
l’affermazione e l’espansione dei diritti naturali, inalienabili e inviolabili, degli esseri umani,
preesistenti a qualsiasi aggregazione sociale e politica.
La Comunità va intesa come organizzazione primigenia del fenomeno associativo, pervasa da un
sentimento, più o meno cosciente, di appartenere ad una medesima Nazionalità, evidenziata da un
“idem sentire” negli aspetti essenziali del modo di esistere e di convivere; Comunità-Nazione
consolidata nei secoli, così da formare un amalgama di generazioni passate, presenti e future,
aventi come comune patrimonio la lingua, la cultura, i costumi, la religione, il ricordo ed il culto
dei propri antenati e la “premura” di predisporre progetti per le generazioni future.
E se l’individuo nella Comunità è Persona, nel mondo giuridico acquista la “Personalità”,
attributiva della titolarità di diritti ma anche di doveri; perché anche i doveri sono “naturali”e si
concretizzano nell’obbligo della solidarietà, morale e politica, che la persona deve sentire verso i
propri simili ed in modo particolare verso i membri della Comunità di cui fa parte.
Dal binomio “diritti e doveri”, inscindibilmente fusi, scaturisce il ”senso dell’umano”, cioè della
ragionevolezza delle azioni, finalizzate ad uno scopo posto al di sopra del puro istinto animale.
La Comunità, con la presa di coscienza di sé, quale Popolo politicamente organizzato, afferma che
la “fonte” della volontà sovrana promana da se stessa e che va esercitata nelle forme e nei limiti
della Costituzione, alle cui norme fondamentali deve uniformarsi tutto l’Ordinamento giuridico.
La Comunità, in veste di Popolo, afferma di organizzarsi in Stato Repubblicano, democratico,
unitario e territorialmente indivisibile. Da ciò discende che il Popolo, nella espressione concreta di
un continuum della identità nazionale, costituisce un prius rispetto allo Stato stesso.
Il territorio (elemento materiale della Comunità-Stato), compreso il sottosuolo e l’aria sovrastante
i confini nazionali, costituisce lo spazio in cui si esercita la sovranità dello Stato (-usque ad
inferos, usque ad sidera– fino agli inferi, fino al cielo). In effetti, la sovranità si esercita fin dove è
ammissibile una qualche utilità, per cui cessa oltre certe profondità della terra, oltre certe
altitudini ed oltre certe distanze dal lido del mare.
Al Popolo, quale elemento personale, ed al territorio, quale elemento materiale, fa da collante
l’ordinamento giuridico dello Stato.
In tale articolo và individuata la Capitale dello Stato, che per motivi storici è Roma, e descritti i
segni distintivi della bandiera nazionale.
3) La dignità di essere umano, riconosciuta a “chiunque”, a maggior ragione và attribuita al
cittadino, in una ulteriore esplicazione del concetto di dignità e cioè “pari dignità sociale”, senza
alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, opinioni politiche e condizione
personale. Tali qualificazioni della personalità non costituiscono un numero chiuso e sono
suscettibili di espansione con l’evolversi della civiltà.
Lo Stato, strumento della Comunità politicamente organizzata, non può privare la persona umana
della capacità giuridica, cioè dell’attitudine naturale ad essere titolare di diritti e di doveri. La
privazione totale della capacità giuridica declasserebbe la persona a schiavo; la privazione
parziale della capacità giuridica sminuirebbe la sua dignità umana, violando il principio naturale
di uguaglianza, con la conseguenza che la persona potrebbe non godere più del diritto di proprietà
sulle cose; non potrebbe agire in giudizio per il riconoscimento dei propri diritti; non potrebbe
esercitare una qualsiasi attività economica; perderebbe il diritto di frequentare gli istituti di
istruzione pubblica; potrebbe essere costretto a portare segni visibili sulla persona, idonei ad
individuarlo come appartenente ad una razza o ad un determinato credo religioso.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
58
La Comunità non può nemmeno privare i suoi membri del diritto di cittadinanza, cioè del rapporto
di appartenenza alla Comunità di origine acquisita per diritto di sangue dai genitori appartenenti
alla Comunità (jus sanguinis) o per diritto di suolo, se nati nel territorio nazionale (jus soli).
Negare il diritto di cittadinanza significherebbe sradicare la persona dalle sue radici ereditarie e
territoriali declassandola ad apolide –essere senza Patria-, impedendogli di esercitare il diritto di
voto; di circolare liberamente nel territorio nazionale, di uscirne e di rientrarvi; di presentare
petizioni o promuovere referendum; di essere tutelato, all’estero, dalle rappresentanze
diplomatiche del proprio Paese.
La Comunità non può privare i suoi membri del diritto al nome patronimico, espresso nella lingua
di origine, né può alterarne la grafia e la fonetica, imponendone la traduzione nella lingua
ufficiale. E’ il caso degli aggregati minoritari, le minoranze linguistiche che nel contesto della
Comunità si distinguono per la peculiarità dei loro costumi, del loro modo di vivere, del rispetto di
certe tradizioni. Il riconoscimento della tutela delle minoranze costituisce un particolare aspetto
del principio di uguaglianza che assicura al cittadino minoritario, oltre al diritto di uguale
trattamento culturale rispetto agli altri cittadini e, quindi, di esprimersi nella lingua ufficiale
adottata dallo Stato nei suoi atti e nei suoi uffici, anche quello di utilizzarne la lingua ufficiale: in
altre parole, il cittadino appartenente ad una minoranza linguistica, nell’ambito del proprio
gruppo sociale e della circoscrizione amministrativa in cui è stanziato, ha diritto di esprimersi
nella propria lingua, scritta e orale, con l’obbligo anche per gli uffici pubblici di utilizzarla.
La Comunità, mediante l’organizzazione politica dello Stato, riconosce diritti ma richiama ai
doveri. Diritti e doveri, intimamente complementari, disegnano il profilo sociale della Personalità;
realizzano il principio solidaristico, perché riguardano l’esercizio dell’elettorato attivo con cui
vengono scelti dei candidati destinati ad occupare le varie cariche pubbliche elettive; l’esercizio
dell’elettorato passivo con cui si concorre ad occupare le cariche pubbliche; diritto di presentare
proposte di legge, diritto di indire referendum popolari; ma anche il dovere della difesa della
Patria; il dovere della fedeltà alla Repubblica; il rispetto delle altrui idee politiche; l’accettazione
convinta della solidarietà e della fraternità, cosicché l’esercizio del diritto personale (egoistico)
trovi spontaneamente il proprio limite nelle esigenze generali della collettività.
Diritti e doveri, elencati in modo non esaustivo, tendono a promuovere il passaggio dalla
uguaglianza formale all’uguaglianza sostanziale, cosicché ogni individuo possa essere messo in
grado di partecipare al benessere ed all’elevazione della Comunità.
Da tali presupposti nasce la necessità di amalgamare la forma di organizzazione liberale classica,
limitata a garantire solo il rispetto delle leggi, con la forma di organizzazione sociale interventista,
che tenga conto anche delle concrete esigenze economiche dei cittadini.
Le prestazioni personali e patrimoniali possono essere imposte solo per legge e, quindi, è il
Parlamento, diretta emanazione della volontà popolare, a decidere in proposito.
Le prestazioni personali si concretizzano in “obbligazioni di fare”, delle quali la più importante è
il servizio militare obbligatorio; in assenza del servizio obbligatorio, la leva è volontaria ed
acquista natura professionale. Naturalmente, in caso di guerra, può essere ripristinata la leva
obbligatoria, essendo la difesa della Patria uno degli obblighi morali e giuridici cui il cittadino non
può sottrarsi. Altre prestazioni personali sono: il lavoro civile obbligatorio in caso di guerra, la
mobilitazione civile, le prestazioni richieste dall’autorità in caso di epidemie e di tumulti; e,
nell’ambito di determinate attività professionali, le prestazioni richieste ai medici o l’obbligo di
difesa degli imputati a favore dei meno abbienti; l’obbligo di rendere testimonianza nei processi o
di svolgere l’ufficio di giudice popolare.
Per quanto riguarda le prestazioni patrimoniali (obbligazione di “dare”), per il momento basta
ricordare che i Parlamenti hanno avuto origine proprio dalla necessità di contenere le pretese
pecuniarie dello Stato, impersonato dal monarca assoluto.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
59
4) La salute influisce sull’idoneità delle prestazioni fisiche e mentali, favorisce la manifestazione
della personalità e quindi l’inserimento nell’ambiente naturale e sociale, perciò la Comunità la
tutela come fondamentale diritto individuale, nell’interesse della Comunità stessa.
Il riconoscimento esplicito di tale diritto, previsto anche dall’articolo trentacinque della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea, impegna lo Stato e gli altri Enti pubblici ad organizzare
strutture idonee al suo soddisfacimento.
Il diritto alla cura non comporta l’obbligo di curarsi, tranne il caso di malattie che potrebbero
propagarsi agli altri membri della comunità: si pensi alle vaccinazioni obbligatorie per la
prevenzione di malattie infettive e diffusive, oppure a provvedimenti di isolamento nei confronti di
persone colpite da malattie contagiose.
In tali casi, previsti solo con norme di legge, deve essere sempre garantito il rispetto della dignità
della persona.
In base all’articolo tre della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “Ogni individuo ha
il diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia, devono
essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le
modalità definite dalla legge; il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare quelle aventi come
scopo la selezione delle persone; il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti, in quanto tali,
una fonte di lucro; il divieto della clonazione riproduttiva degli essere umani”.
5\6) Parlare dell’individuo, della famiglia e della Comunità non comporta il riconoscimento della
priorità temporale di una delle tre entità sociali rispetto alla altre: quando la persona nasce è già
in relazione con i propri genitori e con la Comunità cui essi appartengono.
A differenza dell’animale il quale, privo di finalità cosciente, raggiunta in breve tempo
l’autosufficienza richiesta dalla natura per la sua sopravvivenza, si comporta ignorando ogni
regola morale, l’uomo ha bisogno di essere assistito ed educato per lungo tempo e pur vivendo
secondo natura, nel corso della propria vita progredisce nelle vie del pensiero. Avviene così che la
“compenetrazione” delle due entità, Comunità e Individuo, realizzino la loro sincronica
evoluzione.
Tale compenetrazione si realizza con l’insopprimibile supporto della famiglia che l’Ipotesi
definisce “nucleo associativo naturale”, cioè unione di esseri di sesso diverso, che stanno in un
rapporto di complementarietà diretta, biologica e morale (in senso volgarmente economico si
potrebbe dire che l’utilità di un singolo sesso non sarebbe completa senza il concorso dell’altro).
Da ciò discende che lo Stato, nel prendere atto della volontà di due esseri di sesso diverso di vivere
insieme, fa derivare dal vincolo matrimoniale ogni consequenziale effetto di legge.
“ Il reciproco, esclusivo possesso dei coniugi…è nella forma di estensione della individualità, che
verrebbe a mancare o si ridurrebbe notevolmente, ove il possesso fosse soltanto.. (occasionale)….
Si osserva che l’unione vera include nel suo concetto la fedeltà. La fedeltà è, perciò, un fattore di
ordine morale ed è tanto più avvertito come tale, quanto più integra è la volontà morale. …Il modus
vivendi, che, di volta in volta, si stabilisce, è quello che, supposta raggiunta l’armonia della società
coniugale, scaturisce dalla delineazione delle attività e delle funzioni che ciascun coniuge riserba
all’altro. Risulta, quindi, falso, oltre che pessimo consigliere della pace domestica, il criterio di
eguaglianza tra i coniugi. Mettere questi sullo stesso piano significa deformare la natura della
società coniugale, che, come quella di una qualsiasi società maggiore e più vasta, è fondata sulla
coordinazione e non sulla identificazione. L’identificazione implicherebbe la soppressione delle
caratteristiche proprie di ogni individualità, l’annullamento dell’alterità. Il che è non solo assurdo
ma, ogni qual volta viene tentato, causa di disordine, di offesa e di danno per tutti, poiché ognuno è
quel che è grazie alle sue peculiarità, alle sue distinte capacità, le quali sono in gran parte frutto di
sforzi compiuti o costituiscono la struttura e il genere della individualità e, pertanto, non possono
venire soppresse senza grave e talvolta fatale danno per la conservazione, oltre che per il progredire
della stessa”( “L’individuo, la società, la folla” di V. De Ruvo, Cedam, 1949,, pagg. 54 e 55,“ ).
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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L’uguaglianza, quindi, non significa identificazione “ per la contraddizion che nol consente”
direbbe l’Alighieri ma, al contrario, coordinazione di due entità che si protendono verso uno stesso
fine.
Perciò, nel rapporto matrimoniale la previsione del divorzio costituisce una dolorosissima rottura
che dilania moralmente e fisicamente i protagonisti e che, purtroppo, condanna i figli, innocenti, ad
un disorientamento affettivo, con incalcolabili ed imprevedibili conseguenze anche per la Comunità
di cui fanno parte: la disarmonia, infatti, si propaga nel corpo sociale, costretto, poi, a ricercare
dei rimedi, mai comunque idonei a sanare le ferite di una coscienza turbata.
Lo stesso dicasi nel caso dello snaturamento del significato del matrimonio, qualora a questo
venisse assimilata, sic et simpliciter, l’unione di due persone dello stesso sesso. Nessun ostracismo
nei confronti di coloro che, scoprendo di avere inclinazioni differenti dalle finalità naturali,
vogliano riversare la loro affettività verso creature dello stesso sesso; la Comunità prende atto
della loro realtà, nel rispetto del principio di libertà morale; ma, in presenza di tali, peculiari
situazioni, risulterebbe persino demagogico assimilare la disciplina del matrimonio ai rapporti
omosessuali mentre, invece, risponde ad un principio di giustizia assicurare giuridicamente a tali
coppie reciproche garanzie morali e materiali, atte a conferire loro stabilità emotiva e sicurezza
economica.
Nel concetto di figli sono accomunati, senza ulteriore distinzione, sia i legittimi che gli adottivi e i
figli riconosciuti, procreati al di fuori del matrimonio; per quanto riguarda i figli incestuosi, la
legge prevede la possibilità di ricerca della paternità e maternità naturale, se ciò risponde al loro
interesse.
Da quanto detto, risulterebbe normale l’assunzione di responsabilità dei genitori in ordine al
mantenimento, alla istruzione e all’educazione dei figli; purtroppo, le cronache rivelano una realtà
ben diversa per cui, anche per questo verso, i minori, ancora una volta, corrono il pericolo di
essere vittime di situazioni familiari sconcertanti, sia per contrasti tra i coniugi sia per
sopravvenute circostanze non dipendenti dalla volontà di questi ultimi. In tali casi, le legge può
provvedere alla sostituzione dei genitori al fine di assicurare ai minori ogni possibile tutela a
mezzo di istituzioni pubbliche o private.
Nell’ambito della famiglia i figli vantano dei diritti ma hanno anche dei doveri, quali quelli di
onorare i genitori e se necessario e possibile, soccorrerli in caso di necessità materiali o morali.
7) La legislazione a favore della famiglia risulta in Italia piuttosto carente, essendo insufficienti gli
aiuti economici e le altre provvidenze che lo Stato ha predisposto.
Per la protezione della maternità, la legge ha provveduto a disciplinare l’aborto, escludendo
l’interruzione della gravidanza come mezzo per il controllo delle nascite e nello stesso tempo, a
sostegno delle donne, ha istituito consultori familiari nell’ambito dei servizi sociali.
I diritti dell’infanzia, a cui la nostra legislazione si ispira, sono dettati nell’articolo ventiquattro
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che si riporta alla Convenzione dei diritti
del fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989, nell’ambito della Organizzazione delle
Nazioni Unite.
8) Le manifestazioni della Personalità trovano la più alta espressione nell’atto creativo, traduzione
concreta del pensiero astratto, quale risultato del tentativo di interpretazione del senso
dell’armonia universale, nei limiti della esperienza e della intuizione umana.
L’arte costituisce l’aspetto più nobile del patrimonio di una Comunità nazionale, possibilmente da
godere e condividere con le altre Comunità, in uno scambio che arricchisce ed eleva, in quanto
conduce al riconoscimento della comune origine.
Una Comunità, libera e civile, riconosce all’arte il diritto di manifestarsi senza alcuna censura,
affidando la sopravvivenza di un’opera: musicale, scultorea, pittorica, poetica, narrativa, alla
capacità dell’artista di “interessare”, senza mistificazioni, la sfera morale, sentimentale o
semplicemente estetica di chi ne fa oggetto di attenzione.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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L’atto creativo sfugge alle leggi mercantili, non ha finalità pratiche, induce all’esercizio della
riflessione e per tale fatto ottiene, per misteriose vie, di coinvolgere la coscienza.
Identiche considerazioni vanno fatte a proposito della scienza, quale attività di ricerca per la
comprensione dei fenomeni naturali e delle loro relazioni, al fine di una sempre più penetrante
conoscenza dell’universo in cui ci troviamo immersi.
La conoscenza è un’attività dello spirito che attraverso questa si evolve ed eleva. Nel campo
umanistico si definisce “civiltà”; nel campo scientifico “progresso”.
La Costituzione prende atto della libertà nell’attività artistica e culturale, umanistica e scientifica,
in tutte le espressioni di ricerca ed applicazioni tecniche, con la più completa autonomia privata,
individuale e associata: scuole, università, musei, biblioteche, pinacoteche, teatri, cinema,
televisione, circoli musicali e sportivi. Nello stesso tempo, proclama anche come compito proprio
la promozione della cultura, al fine dell’arricchimento della persona e del patrimonio della
Comunità nazionale.
Vi è, quindi, un concorso tra le attività pubbliche e private, che vanno indirizzate concordemente al
raggiungimento di un più elevato grado di civiltà, idoneo a meglio gestire il progresso.
Per quanto riguarda l’attività di ricerca scientifica, la Comunità, e per essa lo Stato, non può
permettere che questa violi i principi umanitari e la pari dignità delle persone; ciò significa, ad
esempio, che nel campo della medicina è proibito effettuare esperimenti sulle persone; che nel
campo delle ricerche tecnologiche è proibito sperimentare processi biologici, chimici e nucleari
che possano arrecare danno alle persone, alla natura, all’ambiente.
La competenza per la salvaguardia dei valori biologici, culturali ed estetici del territorio e
dell’ambiente và attribuita, in via generale, allo Stato onde sottrarre ad interessi locali, spesso
politicamente contingenti, l’assetto del territorio, il quale và considerato sempre un “unicum et
continuum” del territorio nazionale.
9\10) La cultura, umanistica e scientifica, è costituita da un complesso di cognizioni supportate da
un livello di formazione mentale che la persona acquisisce non solo con la frequentazione della
scuola ma anche con esperienze ed emozioni acquisite in altri ambienti, fisici ed intellettuali;
perciò è qualcosa di più della istruzione.
L’istruzione si qualifica pubblica se viene impartita da Enti pubblici, lo Stato, le Regioni, i Comuni,
oppure privata se viene impartita da Enti o persone private.
Nell’ambito dell’istruzione paritaria, per un elementare principio di uniformità, le nozioni
impartite nelle scuole private devono essere uguali a quelle impartite nelle scuole pubbliche;
soddisfatto questo principio, che si concretizza nell’obbligo dello svolgimento dei programmi
scolastici secondo i piani di studio statali, ogni istituto o scuola è libero di insegnare le altre
discipline, secondo il proprio orientamento, ma sempre nel rispetto dell’ordinamento giuridico e
del buon costume.
E’ ovvio che tra le discipline fondamentali va privilegiato lo studio della lingua, della storia e
della letteratura patria, quale strumento necessario, per prendere coscienza degli indistruttibili
legami che legano la Comunità-Popolo al suo passato; di fortificare moralmente la generazione
presente rendendola idonea a pianificare il futuro per le successive generazioni. Fra le materie
fondamentali meriterebbe un posto di rilievo anche lo studio della psicologia dell’individuo e della
folla per far conoscere agli studenti i meccanismi della mente ed il comportamento delle masse.
La scuola, nei suoi vari gradi e ordini, deve avere una finalità informativa e formativa, nel senso di
offrire ai giovani tutta una gamma di discipline che possano incentivarli a scoprire le loro
attitudini naturali, da coltivare e sviluppare al momento delle scelte professionali.
Per raggiungere tale obiettivo, è necessario disporre di un corpo docente ben selezionato e
motivato, in grado di trasmettere le nozioni didattiche in forma accessibile e chiara, mettendone
sempre in evidenza l’utilità pratica o concettuale, cosicché l’insegnamento non si concretizzi in un
semplice, meccanico travaso di aride nozioni: in sostanza, l’alunno deve essere posto in grado di
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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capire, ad esempio, a quali conclusioni pratiche, di ordine politico e sociale, porti un dato indirizzo
filosofico, oppure quale utilità applicativa ha una data formula matematica.
E’ da tenere presente che la complessità dell’attuale organizzazione sociale e la rapidità delle
innovazioni tecnologiche, rendono sempre più difficile raggiungere una completa preparazione in
qualsiasi branca del sapere, con una forte tendenza alla creazione di settori specialistici, spinti a
tali estremi da mettere in pericolo la visione d’insieme di una qualsiasi disciplina, anche nel settore
artigianale.
Alla scuola pubblica possono accedere tutti, italiani e stranieri. Per assicurare ai meno abbienti la
possibilità di continuare gli studi, sono previste borse di studio a favore degli alunni meritevoli.
Gli assegni alle famiglie consistono in integrazioni del salario del lavoratore, tenendo conto del
suo reddito annuale e del numero dei figli. Onde evitare ingiustizie, le borse di studio vanno
conferite per concorso, rispettando criteri oggettivi quali il reddito, il numero dei componenti la
famiglia, i meriti dello studente relativi al profitto scolastico, all’impegno ed al comportamento.
11) Le Regioni e, soprattutto, i Comuni, nell’ambito delle loro dimensioni territoriali, sono state
sempre realtà etniche e culturali di formazione addirittura anteriore allo Stato. Tale fatto rende
imprescindibile la loro costituzione in Enti territoriali, dotati di piena autonomia, nell’ambito delle
esigenze dei propri aggregati umani.
Lo Stato riconosce tali Enti, ne promuove la loro costituzione, ne favorisce lo sviluppo anche se va
osservato come per un gran numero di Comuni da tempo è venuta meno la ragione della loro
autonomia a causa del fenomeno dello spopolamento, tanto che oggi alcune migliaia risultano
costituiti da aggregati umani di appena un centinaio di residenti, la cui esiguità numerica rende
difficile e onerosa qualsiasi attività amministrativa; mentre sono venuti meno quelle caratteristiche
peculiari di “aggregati in sé”, a causa dello sviluppo tecnologico che ha annullato le distanze.
Tenuto conto del loro stato di abbandono e dello sparuto numero di residenti, sarebbe auspicabile
la loro fusione o, quanto meno, la loro unione l’unione con i Comuni limitrofi, come chiarito nel
commento all’articolo 169.
Per l’opposto motivo, si renderebbe auspicabile la fusione di quei Comuni i quali, a causa
dell’espandersi degli abitati si sono trovati ad avere una stretta contiguità territoriale (si pensi ai
Comuni di Giarre e di Riposto, divisi solamente dai binari della ferrovia Messina-Catania). Tale
tipo di fusione comporterebbe un ulteriore risparmio di risorse finanziarie, sia per i residenti sia
per gli Enti che sono chiamati a ripianarne i bilanci.
Invece, i grandi Comuni metropolitani abbisognano di una più accentuata autonomia normativa e
finanziaria, necessaria per l’efficiente svolgimento delle loro funzioni.
Considerazioni diverse auspicano la scomparsa delle Province, entità politico-amministrative di
cui si era assicurata la soppressione nel lontanissimo anno 1970, in occasione della istituzione
delle Regioni a Statuto ordinario. Il fatto che siano ancora tenute in vita per evidenti ragioni
partitico-clientelari non giova al Paese il quale, in definitiva, è chiamato a sostenerne il peso
economico.
12) Le norme generali di tutela del cittadino, vanno estese allo straniero, in forza del diritto
naturale di ordine universale: diritto di asilo e soggiorno, quando nella propria Patria gli sia
impedito di esercitare in concreto le libertà democratiche; diritto di non essere discriminato a
causa della differenza di razza, sesso, religione; diritto di potersi associare; di manifestazione dl
proprio pensiero; di partecipare alla vita politica.
La tutela dello straniero viene a cessare qualora questi si sia macchiato dei delitti di genocidio o
contro l’umanità o di atti di terrorismo contro uno Stato democratico, perché se in questo sono
tutelati i diritti della persona umana, non si vede per quale motivo ci si debba proporre
l’abbattimento di un Governo con la violenza quando lo stesso scopo potrebbe raggiungersi con
una azione di pacifico e democratico convincimento, mediante l’attività politica.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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13) L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto comunitario e di diritto
internazionale, generalmente riconosciute.
Il diritto internazionale è costituito da norme consuetudinarie, quindi non scritte, consolidatesi nel
tempo mediante la convinzione da parte degli Stati della necessità di rispettarle. Ma, oltre al diritto
internazionale consuetudinario, gli Stati per regolare i loro rapporti si avvalgono anche di trattati
o accordi bilaterali o multilaterali.
Lo Stato italiano si conforma alle norme di diritto internazionale, generalmente riconosciute,
tenendo, però, conto delle limitazioni derivanti dal diritto di asilo e del divieto di estradizione per i
motivi politici, come sopra delineati.
E’ in tale articolo che va collocata la solenne affermazione del ripudio della guerra, come
strumento di offesa alla libertà degli altri Popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali, di accettazione delle limitazioni alla propria sovranità, in condizioni di parità con
gli altri Stati, se ciò è necessario per la promozione di un ordinamento internazionale che assicuri
la pace e la giustizia tra le Nazioni.
14) L’articolo quattordici della Ipotesi sintetizza, per quanto possibile, il concetto di Civiltà nell
riconoscimento della immanente spiritualità nella persona umana del sentimento religioso e della
sua ricerca, cosciente o inconscia, del “primo motore”, come dice l’Alighieri.
Con il rispetto di tutte le manifestazioni religiose, lo Stato favorisce l’ancoraggio dei diritti naturali
ad una fonte eterna e trascendente, secondo l’interpretazione delle differenti confessioni.
E poiché gli umani concretizzano il desiderio di Dio non solo nella loro interiorità ma anche nella
forma esteriore della professione di fede, anche istituzionalizzata, lo Stato definisce i propri
rapporti con le varie confessioni religiose, riconoscendo loro il diritto di esercitarne il culto in
privato ed in pubblico.
Naturalmente, proprio per il principio di uguaglianza e rispetto della dignità umana, nessuna fede
religiosa, specialmente se di ispirazione teocratica-assolutista, può rivendicare nel territorio
italiano l’osservanza dei propri costumi, qualora questi siano in contrasto non solo con
l’ordinamento giuridico dello Stato ma anche con la morale e con gli usi e i costumi della
Comunità Nazionale.
In definitiva, con il riconoscimento di tutte le confessioni religiose (stato pluriconfessionale), lo
Stato evita l’errore, insito nel pensiero positivista ed in quello idealista, di porsi come “fonte” dei
diritti della persona che, in assenza del presupposto della trascendenza, si concretizzano in un
vuoto verbalismo, pericoloso nella traduzione pratica della organizzazione statuale.
Infatti, secondo il pensiero positivista non esistono “diritti naturali” preesistenti allo Stato; i diritti
sono creati dallo Stato con la conseguenza che solo esso ha il compito di qualificare le azioni come
giuste o ingiuste; non esistono diritti naturali di cui “prendere atto” e da tradurre in diritti positivi,
esistono solo quei diritti positivi riconosciuti dallo Stato (jus in civitate positum). Tale affermazione
produce un senso di grave insicurezza, proprio perché le differenti interpretazioni dei concetti di
giusto e di ingiusto che si susseguono nel tempo finiscono per negare l’esistenza di principi eterni e
di porre l’uomo in balia dello Stato, in una perenne precarietà morale.
Anche l’idealismo hegeliano, estrema conseguenza dell’individualismo giacobino, perviene
ugualmente ad una patente contraddizione: infatti, equiparando la libertà dell’individuo a quella
dello Stato, al punto tale da confondere le due Entità (persona e Stato), perviene all’aberrante
risultato di unificare le due volontà, le quali, a questo punto, vengono assommate e rappresentate
solo dallo Stato, con conseguente annichilimento della volontà individuale.
E’ evidente che sia nell’ uno che nell’altro caso viene negata la trascendenza della persona umana,
in forza della quale, invece, riportandosi le persone alla comune Origine e confondendosi con Essa,
realizzano la loro perfetta uguaglianza ( da tali considerazioni logiche si deduce il vuoto
verbalismo delle due correnti filosofiche).
Per estrema chiarezza, il pericolo di cui si discute consiste nel fatto che qualsiasi giustificazione
del giusto e dell’ingiusto proveniente dallo Stato esonera gli uomini da ogni autonoma
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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responsabilità morale e li trasforma in automi, marionette in mano al gruppo di potere che detiene
le leve dello Stato.
In tal modo l’uomo perde la propria personalità e quindi la propria umanità.
Ancorando, invece, i diritti naturali ad una fonte eterna, eterno diventa il diritto di libertà nelle sue
più ampie manifestazioni ed eterno diventa pure il dovere di solidarietà, cosicché nella normativa
costituzionale nessuno dei due aspetti, destinati ad informare l’organizzazione dello Stato, può
prevaricare sull’altro; e, infatti, tutte le manifestazioni della personalità, nel loro divenire, tendono
al riconoscimento del principio universale della medesima origine divina, fondamento della nostra
uguaglianza sul piano religioso, morale e giuridico.
Il fine ultimo dell’uomo è, quindi, l’acquisizione della conoscenza di tutti gli aspetti di tale
uguaglianza e la loro traduzione in comportamenti morali e giuridici, sociali ed economici.
15) Per evidenti ragioni storiche e culturali e per il fortissimo attaccamento della Nazione Italiana
alla Cristianità, è più che evidente la peculiarità del rapporto tra lo Stato Italiano e la Chiesa
Cattolica.
La Chiesa di Roma, proclamatrice dell’insegnamento di Gesù Cristo, è l’antesignana (se si
escludono i gravi sbandamenti nel corso dei secoli) dell’affermazione della dignità dell’essere
umano, per volere divino dotato della Personalità, quale scintilla (sia pure decaduta), proiezione
(sia pure sbiadita), di Dio in terra.
Pertanto, anche a prescindere dalle pratiche religiose e dalle manifestazioni di professione
cattolica, è di tutta evidenza il radicamento nella sfera morale degli italiani della dottrina del
Cristianesimo.
E’ per questo motivo che i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono da considerarsi
un fatto intimo più che tra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano tra la Chiesa e la Nazione
Italiana. Certamente un rapporto privilegiato, perché consolidato da vicende storiche ed umane
succedutosi nel corso dei secoli.
Vicende, tuttavia, che non riguardano solo la Nazione Italiana bensì tutta la “Nazione Europea”.
Infatti, la Chiesa, nel periodo che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.c.) alla
scoperta dell’America (1492), denominato Medio Evo, che ha interessato tutta l’Europa e non solo
l’Italia, ha evitato la dispersione della cultura classica, greca e romana, raccogliendo l’eredità
civile di Roma, impregnandola della dottrina del Cristianesimo e offrendola anche a quei popoli,
germani e slavi, prima considerati barbari dal mondo romano; i quali, una volta entrati a far parte
del mondo cristiano-romano, contribuirono anch’essi alla costruzione della nuova Europa.
E’ stato, quindi, un atto di miopia intellettuale non aver richiamato nella Costituzione Europea i
valori cristiani, che per secoli hanno illuminato i popoli europei e si sono irradiati in ogni angolo
del mondo.
Con tale scelta si è operato un impoverimento della organizzazione costitutiva europea ed offerto
un vantaggio alle religioni orientali; le quali, favorite dal vuoto spirituale e morale che si è creato
in Europa a causa di un insensato relativismo, non trovano più ostacoli al loro proselitismo
politico-religioso, spinto fino alla più deleteria concezione teocratica dello Stato.
Ma è stato ancor più un atto di miopia politica e di superba dimenticanza se si tiene conto che la
Nazione Europea non è stata costruita solo dai romani bensì da tutti i popoli che nel millennio
romano hanno concorso direttamente a reggere le sorti di quel mondo allora conosciuto: l’Europa.
Infatti, non si deve dimenticare che la grandezza di Roma non fu costruita solo dai romani:
imperatori di Roma furono anche uomini nati nelle Province come la Spagna (Traiano Marco
Ulpio, Publius Aelius Hadrianus, Marco Aurelio Antonino), la Gallia (Didio Giuliano, Marco
Aurelio Severo Antonino, denominato Caracalla), l’Africa (Massimo Marco Opilio, Settimio Severo
Lucino), solo per citarne alcuni.
Negare, quindi, le radici storiche della cristianità nel preambolo della Costituzione Europea è stato
un parricidio e una diminutio delle qualità morali delle singole Nazioni europee, ancora accecate
dal risentimento verso Roma, che loro ricordano come dominatrice, mentre dovrebbero percepirla
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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come culla della loro stessa civiltà, al cui sviluppo essi stessi hanno concorso e di cui sono eredi
legittimi per diritto di sangue.
La situazione morale e politica odierna, con le Nazioni europee ancora piene di rancore e di
diffidenza le une verso le altre, e che sembrano costrette ad una più stretta convivenza solo per
calcoli di basso tornaconto mercantilista, ci riporta all’invettiva di Dante nel Canto VI del
Purgatorio, versi 76-78, allorché il Poeta, disgustato ed amareggiato per le condizioni in cui
versava l’Italia, “mette a confronto la realtà politica della terra in preda all’anarchia, al disordine,
all’odio fra le fazioni, e il suo ideale teologico-politico di un impero universale, come condizione
della volontà di Dio.” – (La divina Commedia a cura di G. Giacalone, pag. 103, ed. Signorelli, Ed.
1978 – “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di
provincia ma bordello!”).
Ma l’invettiva, se proprio di invettiva si tratta e non invece di doloroso amore, non è rivolta tanto
alla sola Nazione Italiana quanto a tutta l’Europa, perché nella concezione universalistica di
Dante, tutte le Nazioni dovevano tornare a riunirsi in un unico Impero, di cui per molto tempo gli
imperatori tedeschi si considerarono continuatori ed eredi. “Si direbbe che per Dante l’esistenza di
un Impero forte, che pure supera le nazioni come unità distinte, sia condizione indispensabile
perché si possa coltivare un amore di patria effettivo e non municipale; e può in questo conciliarsi
l’apparente contraddizione fra l’amore per la patria così intesa e l’ideale di un impero universale” –
come sopra, Giacalone-.
In chiave moderna, l’interpretazione sulle condizioni dell’Italia e dell’Europa del duecento sono da
confrontare con le attuali condizioni in cui le singole Nazioni risultano divise tra loro ed al loro
stesso interno da rancori e gelosie che mettono a nudo le miserie morali ed intellettuali dei popoli
e dei loro governanti, ancora allo stato infantile e, perciò stesso, immersi in una anarchia morale,
intellettuale e politica.
E ciò costituisce un ulteriore suicidio morale, intellettuale e culturale, delle genti europee su cui
bisognerà seriamente riflettere ai fini della sopravvivenza politica di questo Continente.
DIRITTI E DOVERI DELLE PERSONE E DEI CITTADINI
16\22) Il Titolo Secondo disciplina i cosiddetti “diritti civili”, cioè quelle pretese che la Persona, a
livello individuale, rivendica nei confronti dell’apparato dello Stato.
Il Titolo si apre con la categorica affermazione che la libertà personale è inviolabile, garantita a
tutti i cittadini e che solo in casi eccezionali, di necessità e di urgenza, l’autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvedimenti provvisori di privazione o limitazione della libertà personale.
Questo potere provvisorio, conferito agli organi di polizia giudiziaria, è vincolato all’obbligo di
comunicazione, entro tempi brevissimi, all’autorità giudiziaria, la quale deve convalidarlo entro
termini pure brevissimi, pena la revoca tacita del provvedimento stesso, che in tal modo rimane
privo di qualsiasi efficacia fin dal momento della sua adozione.
Le garanzie costituzionali che presiedono al rispetto del domicilio sono uguali a quelle poste a
garanzia dell’integrità, fisica e morale, della persona. Il domicilio può definirsi il luogo in cui si
esplica l’attività riservata dell’essere umano; va inteso in senso ampio, quindi qualunque luogo
(auto, stanza di albergo) in cui sia possibile manifestare la propria personalità senza la presenza di
estranei.
Ma non basta, perché l’uomo sente anche la necessità del rispetto della propria riservatezza,
allorché si mette in diretta comunicazione con altri mediante la parola, lo scritto o qualsiasi altro
mezzo di trasmissione del proprio pensiero; in questo caso, la eventuale limitazione di tale diritto
costituzionale può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, a sua volta sottoposta
al rispetto delle norme di legge in materia.
E’riconosciuto ai cittadini il diritto di circolare - spostarsi liberamente in qualsiasi punto del
territorio della Repubblica - o di soggiornare – stabilirsi per un tempo non determinato in qualsiasi
luogo del territorio nazionale –; e tale diritto comprende quello di uscire e rientrare liberamente
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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nel territorio dello Stato (per effetto delle norme comunitarie, i cittadini dei paesi che fanno parte
della Comunità Europea godono anch’essi di tale diritto; esteso ai cittadini dei Paesi terzi, non
comunitari, che risiedano legalmente nel territorio di un Paese comunitario).
Il diritto di circolazione e soggiorno è sottoposto ad eccezione restrittiva, nei casi di tutela della
sanità e della sicurezza collettiva: perciò, se una persona è affetta da malattia contagiosa il suo
diritto di circolazione e di soggiorno può essere sacrificato per il tempo necessario a scongiurare il
diffondersi della epidemia; se una persona è socialmente pericolosa potrà esserle impedito di
circolare o soggiornare in determinate zone del territorio nazionale o di non allontanarsi da un
certo territorio.
Per diritto naturale, nell’ambito delle rapporti interpersonali i cittadini sono titolari del diritto di
libertà associativa, che si concretizza nell’atto di riunirsi per discutere, con atteggiamento corretto,
qualsivoglia argomento lecito.
L’attività associativa si definisce assembramento se l’incontro avviene in modo del tutto
occasionale, allorché un gruppo di persone discute un fatto sportivo o di cronaca nera davanti ad
una edicola di giornali o in un bar; si ha, invece, una riunione, allorché i partecipanti siano stati
preventivamente convocati in un determinato luogo da una persona o da un comitato promotore
allo scopo di trattare un determinato argomento e, pertanto, avendo la caratteristica della
temporaneità è destinata a sciogliersi alla fine della manifestazione. Nessuna comunicazione deve
essere data e nessun permesso deve essere richiesto per le riunioni in luogo privato o aperto al
pubblico; per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso all’autorità di pubblica
sicurezza, la quale potrà vietarle solo nei casi, comprovati e perciò motivati, di sicurezza ed
incolumità pubblica.
Sempre nell’ambito dei rapporti interpersonali, la persona umana rivendica anche il diritto
naturale di associazione, –unione di persone, permanente e duratura-, per il raggiungimento di
scopi che è difficile o impossibile realizzare da soli; tali scopi, di natura culturale, artistica,
commerciale, politica, religiosa, sindacale, sportiva, umanitaria, non vanno confusi con gli
interessi generali della intera Comunità nazionale, la cui realizzazione è demandata allo Stato
attraverso i suoi organi istituzionali, politici e burocratici, quale emanazione della volontà
comunitaria, espressa in sede di elezioni politiche nelle forme previste dalla Costituzione (difesa,
giustizia etc).
E’ riconosciuta, dunque, dalla Costituzione ogni forma di attività associativa, purché non in
contrasto con la legge penale.
Nella elencazione delle varie manifestazioni dell’associazionismo è bene distinguere: a)
associazioni pubbliche, senza scopo di lucro, le cui finalità investono gli interessi di tutta la
Comunità nazionale, o le varie Comunità locali, quali lo Stato, le Regioni, i Comuni, e le altre
Associazioni, anche non territoriali, cioè che non hanno come elemento costituto il territorio, ma
come le prime non perseguono scopo di lucro; b) associazioni civili, private, senza scopo di lucro,
le cui finalità investono interessi culturali, ricreativi, degli associati. Nell’ambito dello
associazionismo civile vanno inquadrati i Sindacati e i Partiti politici, che hanno (o dovrebbero
avere) la finalità di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale; c)
associazioni civili, commerciali, con scopo di lucro, la cui attività consiste nella produzione di beni
e di servizi, al fine di immetterli nel libero mercato per ricavarne un profitto da dividere tra i soci.
La vigente normativa non richiede alcuna autorizzazione per la creazione di un’associazione
privata, civile, senza scopo di lucro; ma, per tali associazioni sarebbe auspicabile almeno
l’obbligatorietà della semplice comunicazione di esistenza ai competenti Uffici e il deposito dello
Statuto, se non altro per verificare se siano state rispettate le condizioni di trasparenza, legalità e
democraticità della vita associativa e, a maggior ragione, per constatare che i fini preposti non
siano vietati dalla legge penale, che non si tratti di società segrete o di organizzazioni di milizie
private.
In regime democratico non vi è alcuna giustificazione per l’esistenza di società segrete e di quelle
che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni militari.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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La storia insegna che, nella maggior parte dei casi, tali associazioni e organizzazioni paramilitari
sono costituite da sparute minoranze estremiste o addirittura da gruppuscoli numericamente
insignificanti, i cui componenti o almeno i loro capi dimostrano tendenze criminali, contrabbandate
o ammantate di credi religiosi o di ideologie politiche a cui essi stessi non credono o di cui si
irridono travolgendone ogni significato. Queste associazioni e organizzazioni paramilitari
ricordano i circoli giacobini i quali, durante la rivoluzione francese, pur essendo delle minoranze e
spesso frazioni di minoranze, autoproclamatisi i soli interpreti e depositari della volontà popolare,
pur non avendo mai aver ricevuto alcun diretto mandato dal corpo elettorale, con criminale
determinazione diedero inizio ad un regime di terrore finito solo con la decapitazione di
Rebespierre.
La comunicazione è la manifestazione cardine della libertà dell’essere umano perchè il pensiero,
la riflessione solitaria, possono sì migliorare la coscienza e la conoscenza ma, alla distanza, si
inaridirebbero se non fosse possibile informare ed essere informati nei vari settori dello scibile
umano: religioso, morale, politico, giuridico, economico, scientifico, ludico: con la parola,
esponendo le proprie idee da un palco eretto in un giardino pubblico; con lo scritto, a mezzo di
libri, manifesti, opuscoli, fotografie, vignette; con mezzi di diffusione di massa, come i giornali,
quotidiani o periodici, il cinema, la radio, la televisione, internet.
Il limite che incontra l’attività individuale nella diffusione del proprio pensiero è il dovere,
altrettanto naturale, di non arrecare danno ingiusto agli altri: “neminem laedere”, alterum non
laedere”.
Nel rispetto di tale limite è possibile criticare, perché la critica è il lievito della democrazia, ma
non è lecito diffamare, ingiuriare, perché la diffamazione e l’ingiuria sono il veleno della
convivenza.
S’impone, quindi, il rispetto dell’onore, del decoro, della riservatezza, dell’intimità e della
reputazione delle persone e l’osservanza delle regole del buon costume, cioè del rispetto del senso
del pudore, non solo sessuale, e della sensibilità della Comunità.
Sotto questo aspetto va rivolto un ammonimento all’industria di informazione di massa, perché tale
mezzo venga usato con quella obiettività e prudenza richieste proprio a causa delle conseguenze,
talvolta devastanti, che potrebbero abbattersi sulle persone, sulle famiglie, sulle comunità in genere
già al primo impatto della “notizia gridata”; e per non pregiudicare l’onorabilità, il decoro e
rispettarne l’intimità e la segretezza degli interessati, le notizie dovrebbero rispondere o almeno
avvicinarsi, per quanto possibile, alla verità dei fatti, essere controllate e descritte senza pregiudizi
o preconcetti, senza illazioni o deduzioni infondate, essenziali, cioè “pulite” di tutto quell’inutile
“colore” e di tutte quelle circostanze non attinenti al fatto (citare parenti e conoscenti estranei ai
fatti, con relativa età ed indirizzo); non insistere sulla notizia “rinfrescandola” ogni giorno per un
tempo indefinito; non indulgere su scene raccapriccianti, tali da suscitare ribrezzo, o
particolarmente volgari nelle descrizioni; non indugiare in atteggiamenti e situazioni diseducative,
spesso con compiacente ripetitività ed insistenza, specialmente nelle riprese televisive. In definitiva,
evitare che la persona venga “denudata” delle proprie prerogative, perché una volta “violata”
diventa impossibile rivestirla.
Naturalmente, diverso dall’informazione è il commento, l’opinione, il punto di vista che può essere
liberamente manifestato, ma solo dopo aver dato la notizia nella sua verità essenziale, sacrale.
In sintesi, la comunicazione dovrebbe servire ad elevare, per quanto possibile, il livello morale,
culturale e civile della Comunità e non, invece, ad assecondare le tendenze ed il gusto alla
violenza, alla volgarità, le quali, poi, sollecitate, inevitabilmente si propagano in altri ambiti della
condotta umana.
C’è, inoltre, da osservare che con i mezzi di comunicazione di massa si entra nel vastissimo mare
della divulgazione di notizie, opinioni, ideologie, credi religiosi e comportamenti ove non è
possibile instaurare un rapporto immediato e diretto tra le persone che permetta di interagire:
infatti, nel corso di un dialogo o in occasione di una conferenza in un circolo associativo la
comunicazione immediata tra le persone si rende agevole e facilita la valutazione della fondatezza
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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di un fatto, sulla base anche della conoscenza e della fiducia o meno che si ha dell’interlocutore; al
contrario, non è possibile confutare in tempo reale la veridicità di un fatto allorché le descrizione
di circostanze di tempo, di luogo e le modalità di un accadimento risultino veicolate da velocissimi
mezzi di diffusione, quali la televisione, la radio, i quotidiani, i quali, assistiti tra l’altro da un
“alone di ufficialità”, inducono all’affidamento sulla veridicità e correttezza della notizia,
conferendole “valore di attendibilità”.
Si aggiunge, che la falsa notizia lede anche il diritto della Comunità di avere una corretta
informazione, cioè il diritto alla conoscenza della verità e la possibilità di esercitare una obbiettiva
critica sui fatti.
Il mare sterminato delle notizie è periglioso, con attitudine a suscitare tempeste incontrollabili.
Nelle organizzazioni comunitarie occidentali, a regime democratico, sono numerosi i centri di
potere, cioè delle forze in grado di determinare la politica di uno Stato, di influenzare la
produzione legislativa, di orientare le opinioni, i gusti, le tendenze delle masse: i partiti politici, la
finanza, l’industria, le chiese, i sindacati; la potenza di penetrazione dei mezzi tecnici con cui tali
poteri operano è più che idonea a determinare un concreto impatto nell’opinione pubblica, al fine
di plasmarla per ottenere la realizzazione di interessi settoriali, spesso non convergenti con quelli
dell’intera Collettività; e i conflitti, acuti e cronici, di tali interessi sono destinati a creare forte
instabilità nei centri decisionali dello Stato.
E’ questa la strada che, presto o tardi, porta inevitabilmente alla dittatura perché tende alla
occupazione dello Stato da parte del gruppo politico-economico più forte; il quale, raggiunto lo
scopo, come primo atto prevaricatorio decreta la morte della libera circolazione delle idee e
l’asservimento al Potere costituito di tutti mezzi di comunicazione di massa.
23) Nello Stato feudale ed in quello monarchico-assolutista, la giustizia operava solo per dirimere
le controversie tra privati, mentre nessun atto emanato dai pubblici poteri, anche se lesivo di diritti
e tanto meno di interessi (per usare la terminologia moderna), poteva essere dichiarato illegittimo.
Era l’epoca in cui i re, i potenti, gli aristocratici ( aristos, migliore e cratos, potere, signoria =
signoria del migliore) potevano angariare a loro piacimento i sudditi, sicuri dell’impunità.
Solo in occasione della rivoluzione francese (1789), venne affermato il principio in base al quale
per il riconoscimento dei diritti civili e politici nei confronti dello Stato, la giustizia dovesse essere
affidata ad organi non appartenenti agli Organi Amministrativi che avevano emanato l’atto stesso.
Da periodo momento, sia pure in modo embrionale, venivano poste le basi dello Stato Moderno,
Costituzionale: infatti, la competenza a decidere delle controversie tra privati e la pubblica
amministrazione venne affidata a Tribunali speciali. Anche in Italia vennero istituiti tali tribunali
speciali, dei quali, dopo proclamazione dell’Unità nazionale rimasero in vita solo la Corte dei
Conti ed il Consiglio di Stato. A distanza di ben centosei anni dall’Unità d’Italia, con la legge 6
dicembre 1971 n. 1034, venivano istituiti i TAR –Tribunali Amministrativi regionali-; ma in materia
di giustizia amministrativa, solo con legge del 21 luglio 2000 n. 205 è stata realizzata una vera e
propria rivoluzione epocale con il conferimento ai Tribunali amministrativi della piena
giurisdizione contro certi comportamenti illegittimi perpetrati dalla pubblica amministrazione nei
confronti dei cittadini.
Da notare che negli Stati tedeschi, ove la razionalità è più praticata, i Tribunali Amministrativi
erano e sono ancora oggi considerati normali organi di giustizia ordinaria.
In Inghilterra, addirittura!, non esiste la distinzione tra norme di diritto privato e norme di diritto
pubblico, almeno nel senso in cui vengono percepite dalla dottrina giuridica europea: in quel
Paese non solo esiste una “legge comune”, common law, ma, addirittura, è possibile citare
direttamente un funzionario amministrativo davanti ad un “giudice di pace”, al fine di farlo
condannare per le irregolarità commesse e ordinargli di modificare l’atto.
In verità, in Italia è in atto una generale revisione dei rapporti tra la Comunità ed il suo apparato
organizzativo pubblico; pur tuttavia, ancora al momento attuale, il soddisfacimento di vaste
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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categorie di interessi, apparentemente semplici, rimane affidato ad iniziative di natura politicoburocratica, con tutto un corollario di arbitrarie iniziative, fonte di prevaricazione e di corruzione.
A questo punto c’è da osservare che il “travaglio” dottrinale e giurisprudenziale, intorno alla
elaborazione della categoria dei diritti, che ha riempito intere biblioteche, deriva dal fatto che le
norme giuridiche, tutte le norme, se vengono introdotte nell’ordinamento al solo scopo di
soddisfare gli interessi di “poteri forti” sono destinate ad entrare in conflitto con i principi di
verità e semplicità; il contrasto con la logica giuridica, che è logica matematica, costringe a
formulare norme complesse, macchinose, contorte, con “parole di colore oscuro” in patente e
permanente conflitto con gli interessi della Comunità.
Ma la verità, sorella della giustizia, è destinata a prevalere per cui, ancora una volta, è la voce
della Comunità che sta indicando allo Stato, da essa generato e legittimato, la strada della
correttezza e della funzionalità; e tale evoluzione dimostra la necessità, ormai improcrastinabile, di
articolare meglio il principio della rappresentatività democratica, elettiva, con forme di
rappresentatività partecipativa, così da assicurare, per quanto possibile, una più incisiva e
permanente azione di controllo sui politici di professione ed un migliore funzionamento dei poteri e
degli uffici pubblici.
E per quanto sopra delineato, sia pure in modo superficiale e sommario, risulta evidente la
necessità di unificare la giurisdizione per semplificarla e diminuirne i costi; il tempo per restaurare
il principio dell’ ”unum jus, una jurisdictio, un solo diritto, una sola giurisdizione, è ormai scaduto
e di tale unificazione viene avanzata una proposta di soluzione nel Titolo Settimo della Ipotesi.
Il diritto alla difesa permette al cittadino di rivolgersi ad un giudice per ottenere una sentenza,
favorevole o sfavorevole, sul caso sottoposto a giudizio: e ciò affinché i cittadini non vengano alle
armi “ne cives ad arma veniant”,, non si facciano giustizia da se. L’amministrazione della giustizia
è una delle funzioni primarie, irrinunciabili, dello Stato.
Ma, errare humanum est; è proprio della natura umana la possibilità dell’errore; l’errore
giudiziario è il punto dolente della funzione giurisdizionale, è la tragedia dell’innocente che si
ritrova avviluppato in una atmosfera kafchiana, ferito, a volte mortalmente, sul piano morale,
familiare, sociale, economico; spogliato di tutte le proprie prerogative, umiliato e degradato.
Perciò, attenta, premurosa, sollecita, vigile deve essere l’attività del giudice nello sforzo morale ed
intellettuale di non cadere in errore a causa di una falsa rappresentazione della realtà dei fatti.
I diversi gradi di giudizio che informano il nostro sistema processuale tendono a scongiurare tale
pericolo; ed è per questo motivo che esistono tre gradi di giudizio e, addirittura, anche dopo una
condanna definitiva, la possibilità di un ulteriore giudizio di revisione.
Dall’assoluzione sorge il diritto alla riparazione dell’errore giudiziario, che si concretizza nella
liquidazione di una somma di denaro da corrispondersi in unica soluzione o mediante costituzione
di una rendita vitalizia, il cui importo, a prescindere dalle condizioni economiche e dalla posizione
sociale dell’interessato, va commisurato al tempo di privazione della libertà personale; l’Ipotesi
prevede che per ogni giorno di detenzione venga fissato, per legge e senza bisogno di formale
richiesta, l’ammontare del risarcimento da corrispondere a chi l’abbia ingiustamente subita; salvo
l’ulteriore richiesta del maggior danno.
24) Giudice naturale è quello precostituito per legge, in via generale e astratta, sulla base del
criterio della territorialità, della materia, del valore dell’affare di cui si deve occupare, così da
assicurare il rispetto dei principi di legalità e di imparzialità nell’amministrazione della giustizia
ed evitare che possano crearsi giudici speciali.
Da tale premessa si può agevolmente dedurre come giudice speciale, o meglio straordinario, sia
quello che non dà garanzie di libertà della propria coscienza, creato per applicare la legge la cui
unica interpretazione è già nel fine discriminatorio che il potere vuole realizzare; giudice
“innaturale”, interamente legato agli interessi ideologici di una classe politica di cui egli è
consapevole strumento e servo.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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E da ciò la pericolosità del giudice speciale che, a rigore di logica, merita la qualifica di
“speciale” ma non quella di “giudice”.
Di giudici speciali (straordinari) è piena la storia, allignano in tutte le dittature; per pavidità o
desiderio di carriera o convinzione ideologica, si pongono al servizio dei regimi dittatoriali;
allignano anche nei regimi democratici, ove possono essere ancora più pericolosi, se motivati da
un deleterio istinto di protagonismo o da convincimento ideologico, perché interpretano la legge in
modo distorto rispetto ai fini di giustizia, interferendo così nella normale dialettica civile, protetti
dal privilegio della indipendenza e della quasi totale irresponsabilità.
E’ importante stabilire il momento in cui la legge entra in vigore; le ”disposizioni della legge in
generale” del Codice Civile precisano che: “ Le leggi ed i regolamenti divengono obbligatori dal
quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”.
L’effetto retroattivo di una legge mina il principio della certezza del diritto, quindi è bene che
venga disposto in casi indispensabili e possibilmente a favore dei destinatari: si pensi, ad es. una
legge che disponga un aumento di stipendio con diritto al conguaglio della differenza di salario
relativo alla durata di una vertenza economica.
Nella giurisdizione penale, al principio del giudice naturale, precostituito dalla legge, si associa: il
principio di legalità, per cui nessun comportamento può essere considerato reato se non forza di
una legge che lo configuri tale; il principio di tassatività e determinatezza, in forza del quale la
fattispecie penale deve essere individuata e descritta con sufficiente chiarezza, in modo che si possa
intendere, in tutta la sua portata e senza alcuna incertezza, quando un comportamento configuri un
illecito penale; il principio della irretroattività, che vieta l’applicazione della legge penale a quei
fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Le garanzie odierne discendono dal pensiero illuministico, da cui ha avuto origine la rivoluzione
francese e, prima ancora, la rivoluzione americana, per reazione alla Madre Patria, l’Inghilterra,
che la considerava “colonia” da sfruttare.
Prima dell’illuminismo, i reati venivano indicati in modo generico, con il pericolo, reale e
frequente, di trovarsi impigliati nella rete della giustizia (!) per un comportamento mai supposto
illecito penale o, addirittura, per avere semplicemente manifestato una opinione che il Potere
assoluto, a proprio arbitrio, considerava penalmente perseguibile; è il classico caso del delitto di
opinione, ovvero di una semplice manifestazione del pensiero, priva di qualsiasi intento di
realizzazione concreta e senza alcuna attività esterna che, tuttavia, poteva essere considerato
delitto di “lesa maestà”, genericamente definita: eresia, stregoneria, ateismo, oppure cospirazione
contro il re.
Le pene, poi, consistevano in trattamenti disumani, quali la tortura, le cui modalità di esecuzione
erano demandati alla discrezionalità del giudice(!), con tutto il corollario di compiaciuto sadismo.
Dopo la rivoluzione francese, si venne affermando il principio di legalità che, tuttavia, stenta
ancora ad essere applicato.
Il regime fascista, pur essendo totalitario e dittatoriale, almeno formalmente aveva rispettato il
principio di legalità; a differenza del nazismo che, sulla base dei presupposti filosofici, già
accennati, per cui non esistono diritti innati ma solo quelli riconosciuti dallo Stato, poteva
considerare qualsiasi fatto “meritevole di punizione secondo il sano sentimento del popolo” ,
lasciando allo Stato (che poi era il regime nazista) di interpretare il concetto di sano e di
sentimento del popolo.
La legge penale punisce solo i “fatti”, preventivamente delineati nei loro elementi e giudicati
pregiudizievoli ai fini della convivenza civile; in regime democratico, le opinioni, le semplici
intenzioni, o i comportamenti meramente sospetti, che facciano pensare che alcuno voglia fare
alcunché, non possono costituire reato.
L’Ipotesi afferma che “nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti
dalla legge”. La misura di sicurezza non è una pena, non ha finalità punitive, è una misura
riabilitativa, tende ad eliminare o attenuare la pericolosità sociale del soggetto e viene applicata
dopo che il condannato ha scontato la pena (internamento in una casa di lavoro, in una colonia
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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agricola, in un ospedale psichiatrico giudiziario). Quindi, la misura di sicurezza, specificata ed
individuata dalla legge, non va soggetta al divieto di retroattività e, per conseguenza, una nuova
misura, introdotta successivamente al fatto compiuto, può essere applicata anche in corso di
riabilitazione o rieducazione del soggetto.
25) Solo in forza di un accordo internazionale è ammessa l’estradizione di un italiano verso uno
Stato straniero.
Comunque, in generale, e ciò vale sia per gli stranieri sia per i cittadini italiani, l’estradizione non
è mai ammessa qualora lo Stato richiedente punisca con la pena di morte il colpevole del reato per
il quale la richiesta viene avanzata.
L’articolo diciannove della Carta fondamentale dell’unione Europea include, tra le ipotesi di
divieto di estradizione, anche i casi in cui l’estradando corre il rischio di essere sottoposto a
tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.
Oltre ai reati politici, esistono anche i reati comuni che nel mondo odierno, pieno di risorse
tecnologiche, vengono perpetrati a livello mondiale da singoli individui o da organizzazioni
criminali associate, con ramificazioni nei vari Paesi.
Per arginare tali attività, gli Stati organizzano intese di stretta collaborazione, stipulando
convenzioni internazionali o riportandosi a norme di diritto internazionale generale – consuetudini
internazionali e principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili, di cui all’articolo
trentotto dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia.
26) “Peccata suos teneant auctores” – gli autori rispondano dei loro peccati-. “Societas
delinquere non potest”- le persone giuridiche non possono commettere reati -.
La dottrina romanistica aveva precisato che solo l’autore di un crimine poteva essere chiamato a
risponderne; escludeva la responsabilità di una persona per fatti criminosi ascrivibili a terze
persone; e stabiliva che il fatto commesso poteva essere imputato esclusivamente alla volontà
cosciente del suo autore a cui era stato rivolto il comando di astenersi da comportamenti lesivi,
già tipizzati con una legge, in via generale ed astratta.
In tal modo, sul piano morale e psicologico, veniva valorizzata la personalità dell’individuo, per il
quale entravano in gioco la coscienza, l’intelligenza e la volontà, presupposti della libertà di
scegliere tra il bene ed il male. E da tali presupposti discendeva anche il fatto che in sede penale
non potevano rispondere le persone giuridiche, prive di fisicità, creazioni astratte del pensiero
umano.
A tale insegnamento è stata sempre ancorata la dottrina e la giurisprudenza italiana; a differenza
di altro orientamento ideologico, estraneo alla nostra tradizione romanistica, il quale, partendo da
diversi presupposti, è pervenuto a conclusioni completamente diverse: tale orientamento, premessa
la natura onnipotente dello Stato, sostiene che il comando della legge non è rivolto alla persona
ma costituisce una pura affermazione della volontà di potenza dello Stato stesso, il quale, a sua
incensurabile discrezione, può qualificare reati comportamenti tenuti addirittura in momenti
antecedenti a tale qualificazione, perciò anche con effetto retroattivo, a prescindere da qualsiasi
partecipazione attiva e cosciente dell’individuo; la conseguenza, sul piano morale e psicologico, è
che viene negata la possibilità di partecipazione attiva della condotta volontaria dell’individuo, con
misconoscimento della libertà e degradazione della dignità umana.
Fedele all’insegnamento romanistico, il nostro ordinamento giuridico afferma la responsabilità
penale come propria della persona, quale conseguenza della sua volontà cosciente.
Questo principio, di natura filosofica e morale, prima ancora che giuridica, è condiviso da tutti i
popoli civili, per cui sembrerebbe superfluo disciplinarlo giuridicamente, ma sono accadute e,
purtroppo, possono ancora accadere, manifestazioni di “matta bestialitade”, direbbe Dante:
massacri di innocenti -vecchi, donne e bambini – per rappresaglia, ritorsione e vendetta, perpetrate
in periodo bellico contro popolazioni inermi, del tutte estranee alle operazioni di guerra.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Reati del genere oggi configurano il reato di genocidio, previsto dall’articolo unico della legge
costituzionale 21 giugno 1967 n. 1 e della legge 26 novembre 1985 n. 720, che recepisce le norme
della Convenzione di Ginevra del 27 gennaio 1977 per la repressione del terrorismo e per i quali è
prevista l’estradizione sia degli stranieri sia degli stessi cittadini italiani.
Da non confondere la responsabilità penale con quella civile: di quest’ultima possono rispondere
persone estranee al comportamento illecito, come nel caso di persone chiamate a rispondere in
qualità di eredi al risarcimento del danno causato da un loro parente.
L’imputato non può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva.
Nella fase delle indagini preliminari e fino a quando il P.M. non abbia formulato i capi d’accusa,
la persona sottoposta alle indagini riveste la qualifica di “indagato”; con la richiesta di rinvio a
giudizio la persona assume la qualifica di “imputato”.
Ora, poiché il procedimento penale, così come strutturato, attraversa parecchie fasi e si svolge in
diversi gradi, accade che la persona, prima indagata e poi imputata, si trovi esposta ad una
pubblicità mediatica con conseguenze devastanti sul piano personale e familiare, così come si è
già avuto occasione di rilevare.
Nel caso specifico dei processi, nasce il problema se sia più giusto tutelare in misura maggiore
l’intimità personale e familiare dell’indagato o dell’imputato oppure privilegiare l’esigenza di
divulgazione della notizia da parte della stampa, intesa questa nella sua più larga accezione (radio,
televisione, rotocalchi); insomma, ci si deve chiedere soprattutto ove stia il limite del rispetto della
dignità umana, oltre il quale sia permesso “avventurarsi” per informare il pubblico degli
accadimenti sociali; o, meglio ancora, dove si trovi il confine del diritto alla riservatezza, oltre il
quale si possa giustificare la prevalenza dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti del nostro
tempo.
Per tale motivo, nel formulare l’Ipotesi, si è sentita l’esigenza di rivolgere un invito al Legislatore
ordinario perché tracci un confine più netto e chiaramente visibile dell’ambito in cui va tutelata, in
modo assoluto, la riservatezza della persona; a titolo esemplificativo, si potrebbe stabilire che
nella fase delle indagini preliminari e fino all’apertura del pubblico dibattimento, dovrebbe essere
proibita la divulgazione di notizie con qualsiasi mezzo raccolte, fino a comprendere la fuga di
notizie “pilotate”, imputandone la diretta responsabilità all’autore; infatti, è bene sottolineare che
nella fase delle indagini preliminari vige il principio della segretezza e la fuga di notizie pone
l’indagato in una posizione di svantaggio, non potendo egli contrastare con propri mezzi la potenza
dell’industria di informazione di massa: diversa è la situazione in sede dibattimentale, ove il
processo si svolge alla presenza del pubblico e dove l’accusa e la difesa si misurano ad armi pari,
fornendo ad ambedue e nello stesso tempo l’esame delle opposte tesi.
Per quanto riguarda la pena, intorno al significato delle sue finalità si dibattono diverse scuole
giuridiche.
La scuola classica, partiva dal presupposto dell’esistenza del libero arbitrio: esiste la libertà e
volontarietà delle azioni umane, gli impulsi non hanno alcuna importanza, perché la volontà, di
natura trascendente, non ha alcuna relazione col mondo corporeo e, quindi, è in grado di creare le
azioni indipendentemente da ogni impulso. Per conseguenza, la pena va intesa come difesa di quel
diritto preesistente all’uomo, già concepito nell’intimo della intelligenza divina: il diritto, nella sua
formulazione e strutturazione razionale, è collegato alla logicità della mente divina. La legge
giuridica, nel pensiero più rappresentativo della scuola classica, impersonata da Francesco
Carrara, era una necessità logica del dogma della creazione divina ed esisteva in quanto era
richiesta e formulata da una legge superiore: la pena, concepita dall’ordine morale (divino) doveva
avere uno scopo etico-retributivo, e doveva tendere, in sostanza, alla restaurazione di tale ordine.
In conclusione, se l’uomo è libero di andare contro la legge (di derivazione divina) è giusto che
paghi con una pena: la pena, per la scuola classica, venne intesa prima come un castigo, più tardi
come una intimidazione e poi come una retribuzione per il delitto commesso.
Questa scuola, negando al diritto una giustificazione “terrena” da imputare all’uomo, si era posta
in rotta di collisione con l’Umanesimo e con il Rinascimento che, invece, avevano posto la persona
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al centro dell’ordine filosofico e culturale, con tutto il corollario della grandezza e miseria della
natura umana.
La scuola positiva partiva dal presupposto antitetico a quella classica: l’uomo non è libero ma
condizionato da fattori genetici, psichici, ambientali, culturali ed economici e, in conseguenza,
esistendo un meccanicismo nelle azioni umane, la libertà morale andava interpretata alla luce di
un determinismo sociale, inteso questo come un divenire progressivo dell’Umanità verso la pura
razionalità, per cui le azioni umane non potevano essere rapportate ad un “metro morale”;
pertanto, la pena, non avendo lo scopo di ristabilire un equilibrio morale (divino) turbato, doveva
essere finalizzata alla difesa sociale e graduata sulla personalità del colpevole, tenendo conto della
sua natura e delle condizioni ambientali, economiche e sociali in cui è vissuto fino al momento
della commissione del reato. In definitiva, doveva avere finalità curative e non punitive, allo scopo
di eliminare o attenuare i suoi impulsi asociali.
Le scuole intermedie partivano dal presupposto che non si può, nel campo della scienza del diritto
penale, appigliarsi a concezioni più o meno filosofiche, né a concezioni prettamente
materialistiche; non viene negato il valore della morale, ma si prende atto che, con l’evoluzione
della mente umana, la morale ora non informa più tutto lo spirito del diritto penale.
Diritto e morale originariamente si identificavano: la legge mosaica, le leggi primitive, greche e
romane, e degli altri popoli erano, infatti, la risultante di precetti religiosi.
Lo spirito umano (Augusto Comte) ha attraversato tra fasi storiche: la prima, teologica, in cui sono
prevalse le rappresentazioni fantastiche, le concezioni del mondo attraverso i numi e le forme del
feticismo, del politeismo ed infine del monoteismo - è il periodo durante la quale l’umanità è
governata dispoticamente -; la seconda, metafisica, durante la quale predominano le astrazioni
della ragione, gli Enti concettuali - per conseguenza, si elaborano concezioni astratte del diritto -;
la terza, positiva, durante la quale domina la ragione critica e scientifica –; con lo sviluppo delle
leggi scientifiche l’umanità entra nella fase industriale, pratica, utilitaria -. Il diritto ora attinge i
suoi precetti anche a norme di natura essenzialmente sociale e politica, senza particolare contenuto
etico, mira più all’utile sociale e perciò, molte volte tutela persino alcune attività chiaramente
immorali quale la prostituzione.“Fatti moralmente indifferenti possono costituire reati,
specialmente in materia contravvenzionale, mentre fatti riprovevoli, per ragioni di politica
criminale, possono sfuggire all’applicazione di sanzioni”(Scuola penale unitaria di Guglielmo
Sabatini).
Il Codice Rocco del 1930 aveva trovato un compromesso tra le varie correnti scientifiche e
culturali sopra descritte per cui, anche dopo la caduta del fascismo risultava in certo modo ancora
garantista, specialmente dopo che, ad opera della Corte Costituzionale, venivano eliminati alcuni
reati, o gruppi di reati, non più in sintonia con i nuovi valori politico-sociali, quali quelli in materia
di adulterio, di concubinato, di delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio, con
la depenalizzazione di alcuni reati, declassati al rango di illeciti amministrativi.
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro il pensiero del Costituente del 1948: ha riconosciuto
implicitamente l’esistenza della libertà e del libero arbitrio e perciò la responsabilità morale ma ha
pure riconosciuto che l’individuo è, comunque, condizionato da fattori genetici, ambientali,
culturali ed economici per cui se da un lato ha conferito alla pena il valore di castigo,
assegnandole il compito di difesa dell’ordine sociale turbato, allo stesso tempo ha vietato che la
sua espiazione potesse concretizzarsi in trattamenti contrari al senso di umanità, anche nella
speranza che questa (la pena) possa prefiggersi il tentativo di rieducazione del reo.
27) In questa Ipotesi risulta esplicitamente delineata la natura associativa della Nazione Italiana e
specificato che lo Stato, quale Entità Giuridica, deriva da un atto di volontà della Comunità
Nazionale.
Però, accade molto spesso che i rappresentanti elettivi della Comunità, costituendosi in caste
chiuse si pongano in contrasto con le aspirazioni e gli interessi della Comunità, rendendo
necessario l’approntamento di rimedi, perché il governo della cosa pubblica possa rimanere in
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qualche modo, direttamente o indirettamente, sotto il controllo del Popolo: da qui il sistema
elettivo democratico, che tendendo per sua natura a scadere in demagogia fa nascere la necessità
di integrarlo con quello della rappresentanza diretta, a mezzo del reclutamento di una parte dei
rappresentanti del Popolo scelti sulla base del possesso di effettive doti di professionalità e di
correttezza acquisite nell’esercizio della loro attività civile.
Per quanto, invece, riguarda, il personale burocratico, il reclutamento è ancora affidato al criterio
selettivo mediante concorso. Ma, anche i burocrati, come i politici, sono portati a considerare
l’Ufficio come “cosa loro” e perciò si definiscono “servitori dello Stato” e non, invece, servitori
della “Comunità”, investiti di “autorità” anziché di “prestigio”; sono atteggiamenti, questi,
talvolta visibili, altre volte impalpabili, che si avvertono nei quotidiani rapporti con gli uffici dello
Stato e degli Enti Locali.
Il tecnicismo e la vastità delle funzioni amministrative facilitando tali atteggiamenti, creano disagio
e diffidenza nell’opinione pubblica, con conseguente svalutazione del regime democratico, a causa
della sgradevole sensazione che il cittadino avverte di essere considerato “suddito”.
Nel tentativo di porre un qualche riparo a tale situazione, l’Ipotesi amplia la gamma dei doveri cui
sono tenuti i pubblici dipendenti, chiamandoli a rispondere in prima persona e, in solido con l’Ente
pubblico di appartenenza, non solo per la violazione di diritti soggettivi ma anche degli interessi
legittimi o, addirittura, di interessi semplici, nel cui esercizio si annidano le occasioni di
prevaricazione ed anche di corruzione.
Contenuto etico dell’attività economica
Diritti e doveri di solidarietà economica e sociale
28\30) E’ chiaro che le finalità etiche del lavoro tendono alla realizzazione della giustizia sociale,
presupposto indispensabile perché nella Comunità regni quella auspicata armonia, atta a favorire
lo sviluppo, morale e materiale, delle persone.
Di cammino in questa direzione l’Umanità ne ha fatto tanto, specialmente in quelle aree
geografiche in cui storicamente sono stati già superati i “secoli bui”, fino ad arrivare, con le
premesse del Medio Evo, all’Umanesimo, al Rinascimento, all’età Moderna e Contemporanea,
caratterizzata questa da sbalorditive scoperte scientifiche, invenzioni, innovazioni e applicazioni
tecniche.
La questione sociale oggi è rappresentata dal problema dell’equa ripartizione del reddito tra i
fattori della produzione, onde evitare, per quanto possibile, l’appropriazione di una quota
maggiore di reddito da parte di uno di tali fattori e, in particolare, da parte del capitale, anche se
oggi il problema è più articolato in quanto, oltre ai capitalisti, una buona parte del profitto viene
incamerata dagli amministratori, usualmente definiti tecnocrati.
Le finalità di questo Ipotesi non giustificano una approfondita disamina del problema ma un
accenno, sia pure superficiale, si rende necessario per le ripercussioni che hanno avuto ed hanno
nella redazione delle Costituzioni.
Sotto questo aspetto, le Costituzioni si possono distinguere, senza tenere conto delle
sottodistinzioni, in Liberali-individualiste e Totalitarie-collettiviste.
Le Costituzioni liberali-individualiste si preoccupano di tutelare solo le libertà individuali, mentre
si disinteressano dei diritti economici, lasciando alla leggi di mercato la formazione spontanea (!)
del prezzo di vendita dei prodotti, il punto di incontro (o di scontro!) per determinare l’ammontare
del salario e le modalità di esecuzione del lavoro. In tale regime di liberismo “puro”–peraltro, mai
esistito nella sua versione naturale”-, i proclamati diritti civili della libertà e della dignità umana
rischiano di assumere una valenza “ironica”, in quanto, per usare la terminologia economica non
sono “spendibili” nel mercato del lavoro.
D’altro canto, le costituzioni totalitarie-collettiviste, meglio conosciute come marxiste-comuniste,
non si curano dei diritti civili, con tutto il loro corollario di misconoscimento della libertà e dignità
umana perchè considerano l’”individuo” (non la persona) uno tra la folla, indistinto, da
strumentalizzare per il raggiungimento degli interessi “superiori” dello Stato, che solo la classe
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politica al potere si arroga il diritto di individuare, senza alcuna possibilità di critica da parte del
cittadino (diciamo suddito); contemplano, dette Costituzioni, diritti di contenuto puramente
economico e per di più soltanto nella versione minimalista, di “minimo vitale”, attribuendo, con
disciplina unilaterale e paternalistica, l’ammontare del salario, e stabilendo i tempi e le condizioni
ambientali in cui il lavoro, “obbligatorio”, va prestato. Con la conseguenza che, in tale regime, la
persona umana si vede privata del diritto di esprimere, in piena libertà e sicurezza, tutte le
potenzialità ed attitudini della propria personalità.
Come scrive Ernesto Rossi in Critica delle Costituzioni Economiche, Ed. Comunità, 1965, pagg.
118-119: “La prospettiva di un regime comunistico integrale, cioè di un monopolio assoluto da
parte dello Stato di tutti gli strumenti della produzione, soddisfa ben pochi. La stessa esperienza
sovietica è valsa a far intendere che il capitalismo di Stato non rappresenta un’alternativa favorevole
rispetto al capitalismo privato, neppure per le classi operaie. Con esso gli operai cambiano il
padrone capitalista con il padrone burocrate, che non è meno esigente, né ammette una loro
partecipazione maggiore alla direzione delle industrie; i redditi degli operai non sono più decurtati
della parte che, in caso di successo, andava all’imprenditore, ma sono ridotti della somma degli
stipendi fissi della massa degli impiegati che prendono il suo posto per riempire moduli statistici,
fare relazioni, e preparare tutte le “scartoffie” che le lontane autorità dirigenti richiedono, onde
essere informati su tutti i particolari della vita dell’azienda e assicurarsi che gli ordini siano eseguiti;
al “caos” della produzione da parte di innumerevoli imprenditori indipendenti, ognuno
inconsapevole dell’attività svolta contemporaneamente dagli altri, con i correlativi malanni di crisi,
sperperi di tutti i generi, sostituisce un ordine in rapporto ad un unico piano centrale, che tende ad
armonizzare tra loro tutti gli sforzi, ma che riporta al lavoro forzato, senza possibilità di cambiare di
luogo e di occupazione, e, mancando il riferimento ad un mercato degli strumenti della produzione,
manca di ogni criterio razionale per la più efficiente ripartizione delle risorse disponibili; elimina i
redditi derivanti dalla proprietà degli strumenti di produzione, e, quindi, il potere della plutocrazia,
ma elimina anche ogni centro autonomo che possa criticare ed opporsi alle classi governanti, nelle
cui mani accentra un potere che inevitabilmente si trasforma in tirannide” .
In definitiva, a prescindere dalle pulsioni egocentriche di coloro che in ambedue i regimi economici
si appropriano delle leve del potere, è, comunque, evidente che non si è ancora trovata una
soddisfacente soluzione sia sul piano scientifico sia sul piano della sperimentazione empirica, al
modo di essere della organizzazione della produzione e della distribuzione del reddito;
diversamente, non ci troveremmo ancora a dibattere sulle questioni sociali ed economiche che nel
corso dei secoli hanno sempre tralignato in conflitti, causa di sciagure per l’Umanità.
In termini morali e, in un gradino più basso, in termini psicologici, la Comunità, sul piano locale,
nazionale e mondiale non ha ancora messo a fuoco nella propria coscienza la percezione esatta e
completa delle finalità del lavoro, che va inteso come mezzo di elevazione, perfezionamento,
partecipazione solidale al destino dell’Umanità e non come mezzo di accumulazione della
ricchezza a fini di predominio.
D’altro canto, allo stato dell’evoluzione della civiltà, non ci si può aspettare il raggiungimento di
una perfetta giustizia sociale, che nella sua vera sostanza si concretizza nell’eliminazione del
privilegio, senza rischiare di entrare nel regno dell’utopia, delle attese messianiche le quali,
essendo irraggiungibili, fanno seguire all’attesa, delusa, reazioni violente e distruttrici.
I problemi della giustizia sociale sono oggi aggravati dal fatto che ci si trova davanti
all’incombente fenomeno della globalizzazione dei mercati: i beni vengono prodotti da popoli i
quali puntano o sul basso prezzo, favoriti da una massa considerevole di salariati, non ancora
abituati a condurre un confortevole tenore di vita, oppure, puntano sull’alta qualità del bene,
prodotto con l’impiego di tecnologie avanzate, frutto della ricerca scientifica.
L’impatto di tale fenomeno sul mondo occidentale è stato piuttosto incisivo ed ha costretto i
Governi a cercare soluzioni non certo in linea con il principio della tutela del lavoro: maggiore
libertà di licenziare e di assumere; possibilità di aumentare o diminuire i salari e gli stipendi;
possibilità di utilizzare contratti a termine o part-time. Inoltre, i lavoratori sono ora costretti a
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cercarsi il lavoro lontano dai luoghi di origine e a spostarsi in località ove maggiori sono le
occasioni di lavoro.
Soluzioni, queste, che comportano per il lavoratore un abbassamento del benessere economico, con
incrinatura della coesione sociale e scarso interesse per le libertà politiche.
Scrive, a tal proposito, Dahrendorf a pagina 52 del libro Quadrare il cerchio – Benessere
economico, coesione sociale e libertà: “…l’integrazione dei giovani nella società non è più così
facile, ma dove la famiglia fa acqua la scuola non è in grado di sopperire a tale funzione, il mercato
del lavoro non è propriamente in attesa di nuovi venuti; molti giovani cominciano ad andare alla
deriva e ad abbracciare comportamenti asociali, mentre la gente vorrebbe vederli disciplinati…il
comportamento pubblico, si pensa, è troppo disgustoso: uomini scarmigliati che tracannano birra
all’aperto, ragazze mezze nude che si mettono in mostra dovunque e nessuno che mostri rispetto per
gli anziani o gli ammalati…c’è, poi, l’invasione degli stranieri, che assolutamente non può
continuare. Nelle scuole pubbliche i bambini del posto sono diventati minoranza e gli insegnanti
devono intonare preghiere di diverse religioni. In qualche modo, bisogna venire a capo di questa
confusione e restituire l’Inghilterra agli inglesi, la Germania ai tedeschi, la Francia ai francesi, e
così via”.
Ai problemi della globalizzazione dei mercati ed alla migrazioni di massa si aggiunge il
drammatico accorciamento dei tempi delle innovazioni tecnologiche: i prodotti dell’industria,
appena collocati sul mercato, diventano obsoleti, cioè vengono superati in perfezione ed efficienza
da altri prodotti a tecnologia più avanzata ed innovativa; cosicché non vi è possibilità di recupero
degli investimenti immobilizzati negli impianti fissi se non mediante un piano di ammortamento
brevissimo, che obbliga i produttori a mantenere alti i prezzi dei prodotti per recuperare, in tempi
rapidissimi, il costo di tali impianti; e nessun vantaggio ne riceve il consumatore, che non gode mai
di un abbassamento dei prezzi, mentre subisce la svalutazione del bene appena acquistato.
Lo sviluppo, frenetico, della tecnologia applicata alla produzione provoca anche l’espulsione di
intere categorie di lavoratori dal processo produttivo, sia per effetto della loro sostituzione con le
macchine, sia perché non tutti i lavoratori, per motivi di età o di capacità di aggiornamento, sono
in grado di adeguarsi alle nuove tecnologie.
Ed ecco come il problema tecnologico e mercantile si trasforma in problema demografico e, quindi,
sociale.
Se la globalizzazione è un problema mondiale dei nostri tempi, i rimedi vanno cercati in strumenti
normativi predisposti dalle Organizzazioni Internazionali, che possano orientare, in qualche modo,
i processi di produzione e consumo, contenere i flussi migratori, procurando ai nativi lavoro in
loco e lanciare, su scala mondiale, una incisiva campagna della regolazione delle nascite.
Il nostro pianeta è quello che è: ha i suoi cicli naturali di produzione e rinnovamento delle risorse
disponibili, che non possono essere violati impunemente.
In Europa, l’Italia è il paese maggiormente interessato al fenomeno della globalizzazione dei
mercati perché, in assenza di risorse minerarie, vive soprattutto della trasformazione delle materie
prime importate, che deve esportare; la sue industrie sono “mature”, cioè producono beni che
anche altri popoli ormai sanno fabbricare, e data la morfologia del suo territorio non riesce a
contenere il flusso di immigrati che, regolari o clandestini, in questo si riversano, creando difficoltà
per il mantenimento dell’ordine pubblico e problemi morali per l’assistenza ed il mantenimento.
Perciò il fenomeno non va sottovalutato; non, però, ingigantito al punto da suscitare il panico: nei
tempi brevi, dal lato economico la soluzione comporta un ulteriore richiamo alle potenzialità della
cultura tecnica e scientifica ed all’impiego di sufficienti risorse da dedicare alla ricerca, in modo
da accrescere la competitività dei nostri prodotti sul piano dell’innovazione tecnica e sul piano
estetico; dal lato politico, richiede un atteggiamento deciso e non ondivago che vieti agli immigrati,
oltre ogni possibile tolleranza, comportamenti estranei alle nostre tradizioni religiose e civili, al
nostro tipo di cultura, al nostro stile di vita, alla nostra morale ed ai nostri costumi.
Nei tempi lunghi, il patrimonio culturale occidentale in tutte le sue espressioni, è talmente alto e
consolidato che può ben resistere ed opporsi a quelle culture, che, alla lunga, non potranno
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reggere, con il loro estremismo, alla civiltà del confronto, del dialogo e della tolleranza di cui è
impregnata l’ Europa e, in modo particolare, la società italiana.
Naturalmente, il fenomeno della globalizzazione aggrava ulteriormente il problema della ricerca
della giustizia sociale, e sembra orientare il Popolo verso la scelta di governi forti, comunque
orientati, a destra o a sinistra, che possano assicurare un minimo di benessere economico, con il
ristabilimento della coesione sociale, sia pure con qualche affievolimento dei diritti politici.
Per tali motivi, a maggior ragione e convinzione, va riconosciuto, con una norma di rango
costituzionale, il diritto alla tutela del lavoro, che può essere meglio assicurato con la
massimizzazione del benessere di tutta la Comunità, nel suo insieme, offrendo beni e servizi sociali
idonei a favorire un minimo di sicurezza sia per il singolo lavoratore sia per la famiglia.
Se non si vuole che rimanga una pura affermazione di principio, il lavoro va tutelato proprio
perché interpreta la produzione al servizio della Comunità, l’economia come servizio sociale per
l’elevazione morale dei membri della Comunità stessa e del loro benessere materiale.
Perciò l’attività economica ha un contenuto etico che investe la produzione e la distribuzione del
reddito, fondato sul diritto e sull’equità, e finalizzato al pacifico e armonico sviluppo, materiale e
morale, della Comunità stessa.
L’Ipotesi definisce meglio il contenuto della tutela del lavoro e delle sue finalità etiche allorché si
assume il compito di curare la formazione e l’elevazione professionale della persona, istruendola
nel rispetto delle sue inclinazioni e attitudini. Tale compito, oltre che allo Stato, va affidato anche
agli Enti territoriali minori, Regione e Comune, meglio adatti a valorizzare le attitudini tradizionali
dei residenti nelle varie attività economiche locali e le potenzialità del territorio.
L’attenzione della Ipotesi è indirizzata, in modo particolare, al lavoratore subordinato, l’elemento
più debole tra i fattori della produzione, stabilendo il suo diritto ad avere una retribuzione
proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato e, comunque, per i principi dell’equità e
della solidarietà sociale, quanto meno sufficiente ad assicurare, a lui ed alla sua famiglia,
un’esistenza libera, per il pieno sviluppo della sua personalità, e dignitosa, come tenore di vita per
la soddisfazione non solo dei bisogni primari ma anche di quelli che gli permettano di accedere
alle occasioni culturali e ricreative.
La durata del lavoro, insieme alla idoneità del luogo in cui viene prestato, rientra nella tutela del
lavoratore, per evitargli un logoramento psicofisico tale da comportare menomazioni irreversibili,
o malattie temporanee.
E’ stabilito, pure, il diritto al riposo settimanale, non necessariamente domenicale, ed il diritto alla
ferie annuali, retribuite. A garanzia del lavoratore, tali diritti sono irrinunciabili, ciò vuol dire che
nessun accordo, anche se promosso dallo stesso lavoratore, ha valore giuridico: insomma, è nullo.
La mobilità di tutti i fattori della produzione ha ormai raggiunto ogni angolo della terra, favorita e
potenziata dalla tecnologia: oggi i capitali in cerca di impiego possono spostarsi molto
rapidamente da un Paese all’altro, e così anche il lavoro. Gli accordi e le organizzazioni
internazionali quale, ad es. la OIL –Organizzazione Internazionale del lavoro – facilitano tali
spostamenti. L’Italia riconosce la libertà di emigrazione, ma si preoccupa che i lavoratori italiani
all’estero godano di adeguate garanzie di parità di trattamento e di sicurezza sociale.
31) Con l’emancipazione della donna, è naturale che nel mondo del lavoro le vengano attribuiti gli
stessi diritti e gli stessi doveri degli uomini e consequenziale che, a parità di lavoro, essa ottenga
uguale retribuzione.
Ma, i compiti di una donna in una Comunità non si esauriscono nel mondo della produzione di beni
e servizi, perché la donna è anche madre e moglie; a lei, dunque, vanno assicurate tutele più
incisive per metterla in grado di svolgere al meglio le sue funzioni.
La vigente legislazione appresta tutta una serie di tutele normative che andrebbero ulteriormente
rafforzate perché essa possa dedicare una parte maggiore del suo tempo alla cura della prole ed al
governo della famiglia.
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Perciò, quando si alludeva al migliore impiego delle risorse, il riferimento era quello di favorire al
massimo le esigenze, naturali e sociali, della madre, assicurandogli assenze dal lavoro molto più
prolungate di quelle odierne, interamente retribuite; una buona parte dei mali che affliggono
l’odierna società sono originati proprio dalla carenza di affettività nell’ambito familiare e anche
da una organizzazione scolastica non ancora del tutto adeguata alla formazione ed istruzione dei
giovani.
Una Comunità, che per miopia intellettuale, trascura oggi queste due esigenze di base, domani si
ritroverà una gioventù sbandata e irrequieta per il cui controllo si richiederanno risorse
economiche ben più ingenti di quelle necessarie a sostenere la madre e gli educatori nel periodo
dell’infanzia e della adolescenza dei giovani.
32) Sarebbe auspicabile che i minorenni non venissero mai avviati al lavoro.
La loro accoglienza in ambienti in cui si svolgono attività extrascolastiche, artistiche e artigianali,
favorirebbe il consolidamento dei rapporti associativi in ambienti non competitivi, permettendo
anche di saggiare con ponderazione le loro effettive attitudini e capacità professionali. Ma, nella
previsione che il minorenne venga introdotto nel mondo lavorativo, la legge lo tutela stabilendo,
intanto, che ciò non possa avvenire prima del compimento del ciclo scolastico obbligatorio; la
legge fa divieto al datore di lavoro di adibire il lavoratore minorenne a lavori pericolosi, faticosi o
insalubri e gli impone di sottoporlo, nel corso dell’attività lavorativa, a visita medica preventiva ed
a controlli medici, periodici. Naturalmente, a parità di lavoro va corrisposto al minorenne uguale
retribuzione.
Recita l’articolo trentadue della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “Il lavoro
minorile è vietato. L’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui
termina la scuola dell’obbligo, fatte salve le norme più favorevoli ai giovani ed eccettuate deroghe
limitate. I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla
loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne
la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale o che possa mettere a rischio la
loro istruzione”.
33-34) Al lavoratore vanno assicurati mezzi adeguati alla sue esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
In questa Ipotesi la disciplina della previdenza ed assistenza nei confronti dei lavoratori viene
separata dall’assistenza sociale, in quanto le erogazioni previdenziali e assistenziali hanno natura
completamente diversa da quelle previste per i cittadini indigenti, del tutto scollegate a precedenti
versamenti contributivi. A tali, diverse esigenze provvede l’articolo trentaquattro della Carta
dell’Unione la quale, dopo aver previsto, al primo comma, i diritti previdenziali a favore dei
lavoratori, al secondo comma detta i principi regolatori a favore degli inabili al lavoro, sprovvisti
di mezzi adeguati per vivere: “Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione
riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale ed all’assistenza abitativa, volte a garantire
un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, secondo le modalità
stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e le prassi nazionali”.
Al fine di non condannare all’emarginazione le categorie ora menzionate, oltre ad assicurare loro
il mantenimento e l’assistenza a completo carico della Comunità, è comunque, in vigore una
legislazione speciale che stabilisce il collocamento obbligatorio tra quanti vogliano svolgere una
qualche attività lavorativa, così come previsto, del resto, anche dall’articolo ventisei della Carta
dell’unione: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a
garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della
Comunità”.
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Naturalmente, nulla osta all’attività di assistenza da parte di Enti privati quali i patronati, le
associazioni di volontariato e le cooperative per la gestione dei servizi sociali.
35\36) La vigente Costituzione riconosce il diritto dei lavoratori di associarsi liberamente in
Sindacati al fine di ottenere dal padronato le migliori condizioni possibili di vita nell’ambiente di
lavoro e un giusto trattamento salariale.
In base alla dizione dell’articolo 39 della vigente Costituzione, i Sindacati, non essendo registrati,
sono semplici associazioni di fatto, abilitati a rappresentare e sottoscrivere contratti collettivi di
lavoro solo nell’interesse dei propri iscritti, inquadrati nella varie categorie professionali.
In tale situazione, sarebbe rimasto aperto il problema della tutela di quei lavoratori che non
essendo sindacalizzati non avrebbero ricevuto alcuna tutela idonea a garantire loro “ il diritto ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, così come afferma il primo
comma dell’articolo 36 della vigente Costituzione.
E l’affermazione, a causa della sua indeterminatezza, sarebbe risultata di difficile applicazione
proprio nei confronti di quei lavoratori i quali non iscritti ad alcun Sindacato e, perciò, sforniti di
difesa collettiva, avrebbero potuto essere facile preda di datori di lavoro senza scrupoli, pronti ad
offrire loro remunerazioni più basse rispetto a quelle dei lavoratori sindacalizzati.
Il problema è stato risolto, ormai da tempo, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che hanno dato
un contenuto concreto alle proposizioni espresse nell’articolo 36 della vigente Costituzione,
ancorando il concetto, piuttosto astratto ed incerto, di “retribuzione sufficiente ad assicurare a sè ed
alla famiglia una esistenza libera e dignitosa” all’ammontare della retribuzione minima quantificata
nei contratti collettivi di lavoro di categoria delle associazioni sindacali maggiormente
rappresentative.
Il secondo comma dell’articolo 39 della vigente Costituzione, stabilisce, poi, sia pure con una
espressione piuttosto ambigua, l’obbligo della registrazione dei Sindacati presso Uffici locali o
centrali, a seconda della loro influenza territoriale.
Il motivo per cui tale obbligo costituzionale non è stato rispettato dipende dal fatto che i Sindacati
non hanno visto mai di buon occhio le formalità della registrazione, assecondati in tale
comportamento da tutti i Governi che si sono succeduti dal 1948 ad oggi.
Tale resistenza scaturisce dal fatto che la registrazione, a norma del successivo quarto comma
dell’articolo in esame, comporterebbe l’automatica elevazione a persona giuridica dei Sindacati, i
quali, a differenza delle altre associazioni private, correrebbero il rischio di essere attratti
nell’orbita del diritto pubblico; con la conseguenza di dover dare conto della effettiva
democraticità delle loro organizzazione interna, della consistenza numerica dei loro iscritti, del
procedimento di elezione dei preposti alle cariche sociali, della correttezza nella tenuta dei bilanci;
e con la possibilità, sempre immanente, di ispezioni amministrative degli Organi preposti al loro
controllo, e, di correre il rischio, nei casi di gravi irregolarità o di abusi da parte dei dirigenti, di
essere sottoposti a regime commissariale.
Insomma, sarebbero costretti a garantire la massima trasparenza.
Conservando, invece, la forma di semplici associazioni di fatto, i Sindacati si sono sottratti agli
obblighi ed ai controlli, ora sommariamente enumerati, pur conservando l’enorme influenza che
esercitano sulla vita sociale ed economica della Comunità.
Per quanto riguarda il diritto di sciopero, trattandosi di un diritto di natura costituzionale, ne
discende la sua liceità per cui il datore di lavoro non può invocare la risoluzione del contratto: con
lo sciopero rimangono solamente sospese le prestazioni di lavoro da parte del lavoratore e la
corresponsione del salario da parte del datore di lavoro.
I fini dello sciopero possono essere diversi: 1) motivi economici, di natura salariale o per il
miglioramento delle condizioni ambientali o organizzative del lavoro; 2) motivi di solidarietà o di
protesta, per condividere le richieste salariali o altre richieste, connesse all’attività lavorativa di
altre categorie di lavoratori; 3) motivi politici, allorché i lavoratori mirano ad influenzare le
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istituzioni e la pubblica opinione, perché si orienti o meno su certe scelte che interessano la
collettività; 4) motivi rivoluzionari, allorché a mezzo dello sciopero, si tenti di rovesciare il
Governo e modificare l’assetto costituzionale dello Stato.
In questo delicato settore dei rapporti economici, il legislatore ordinario è intervenuto a
disciplinare l’esercizio dello sciopero con molto ritardo e, inoltre, limitandosi all’ambito del
settore dei servizi pubblici e soltanto in conseguenza della forte pressione dell’opinione pubblica,
stanca di subire i comportamenti dei sindacati, spesso piuttosto vessatori e ricattatori.
Infatti, lo Stato, fallita la promessa dei sindacati di autoregolamentarsi e di assumersi l’impegno di
avvertire con un congruo avviso la cittadinanza dell’esercizio dello sciopero, di rendere note le
modalità della sua realizzazione, di garantire un minimo di funzionalità dei servizi pubblici,
indispensabili a salvaguardare l’ordinato svolgersi della vita associativa e salvaguardare la salute
e l’ordine pubblico, è dovuto intervenire ponendo delle limitazioni al suo esercizio, al fine di
permettere ai cittadini di essere tutelati nei loro diritti costituzionalmente protetti, quali la vita, la
sanità, la libertà di circolazione, l’assistenza sociale, l’igiene pubblica, i trasporti, le
comunicazioni postali, i telefoni, la raccolta dei rifiuti solidi urbani etc..
In definitiva, entro i limiti dettati dalla legge, il diritto di sciopero economico è riconosciuto
legittimo, così come lo sciopero per motivi di solidarietà o protesta a favore di altre categorie di
lavoratori.
Lo sciopero politico è difficile da definire; può facilmente sconfinare nello sciopero rivoluzionario;
tuttavia, può qualificarsi sciopero politico se non oltrepassa i limiti di una legittima forma di
pressione e non si converta in uno strumento finalizzato ad impedire o ostacolare il libero esercizio
di quei diritti e poteri per mezzo dei quali si esprime, direttamente o indirettamente, la sovranità
popolare.
Lo sciopero rivoluzionario si individua facilmente perché si propone di sovvertire l’ordinamento
giuridico costituito, mediante il rovesciamento degli Organi costituzionali dello Stato. Può essere
giustificato in un solo caso: allorché si oppone ad un regime dittatoriale che conculca i diritti
naturali alla vita, alla libertà ed alla dignità della persona e le conseguenti loro manifestazioni. In
tale caso è il diritto naturale che si incarna nello sciopero rivoluzionario e si scaglia contro il
diritto positivo, espressione formale di una volontà, tirannica e prevaricatrice che agisce in patente
conflitto con il diritto naturale. Al di fuori di questo caso, una minoranza che si arroghi il diritto di
interpretare la volontà della intera Comunità, privandola in concreto della possibilità di
manifestare la propria volontà nelle forme concordate in sede costituente, è da considerarsi fuori
legge.
37) Come già sottolineato nelle diverse occasioni di commento alle norme di questa Ipotesi, il fine
della Comunità è l’elevazione morale ma anche materiale della persona umana: non vi è libertà
senza capacità economica e finanziaria.
Si è pure sottolineato che il problema del nostro tempo non è tanto quello della produzione, dato
che la potenzialità industriale e organizzativa non è stata mai così elevata, quanto l’equità nella
distribuzione del reddito: problema sempre ricorrente nelle varie epoche storiche, ma venuto
prepotentemente alla ribalta nel diciottesimo secolo, con la nascita e la elaborazione delle teorie
economiche e affermatosi nei nostri giorni come imperativo categorico.
In definitiva, l’ostacolo ad un’equa distribuzione del reddito non risiede tanto in un limite oggettivo
quanto in un limite soggettivo, che scaturisce da un rachitismo dell’anima umana, incapace di
accettare il profondo significato della funzione morale e sociale del lavoro, quale finalità etica
dell’esistenza.
Nel corso dei secoli, milioni o meglio miliardi di essere umani sono stati immolati in conflitti senza
senso per sostenere cause di “dei falsi e bugiardi”, di bandiere prive di qualsiasi significato, di
monarchie e dittature prive di qualsiasi contenuto morale, di ideologie politiche, viziate e
strumentalizzate da coscienze miserabili.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
81
Per stare ai nostri giorni, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), che ha segnato ufficialmente
il crollo, per implosione, della ideologia comunista, si è riaffacciata l’esigenza di una revisione
critica del liberismo, così come praticato nelle forme patologiche e degenerative dei “cartelli”,
“pool”, “trust”, che portano ad una iniqua concentrazione della ricchezza in poche mani e con
inevitabili sconfinamenti ed occupazione della organizzazione politica delle Comunità nazionali.
In sostanza, anche l’interpretazione integralista del liberismo non è certamente in linea con le
finalità cui tende la società umana.
Ma, per non cadere in una sterile utopia, preso atto dello stadio di evoluzione della coscienza
umana, ancora impregnata di egoismo ed individualismo, si deve riconoscere che tra i due mali, il
sistema liberista è da preferire a quello comunista, perché almeno lascia spazio ad un continuo,
libero revisionismo. Prova ne sia il fatto che le società occidentali, pur con il loro carico di
violenza, ingiustizia e sperequazione sociale, hanno, comunque, realizzato uno sviluppo economico,
squilibrato quanto si voglia, ma certo più idoneo a diffondere un qualche benessere.
Altra prova è data dal fatto che nei Paesi ad economia collettivista, constatato il fallimento del
sistema, si stia permettendo una certa liberalizzazione dell’attività economica privata, pur senza
alcun riconoscimento dei diritti di libertà e dignità umana, con la formula sottintesa: arricchitevi
ma non pretendiate di rivendicare i diritti della personalità o di esprimere giudizi sulla politica del
paese, che resta prerogativa esclusiva del partito al potere.
Quindi, ferma rimanendo l’accettazione del sistema liberista si deve, però, auspicare e pretendere
una più efficace legislazione antimonopolistica, una più decisa politica nella distribuzione dei
redditi, utilizzando, anche, con intelligenza e sagacia, la leva tributaria, nonché un controllo più
incisivo, tempestivo e penetrante, rispetto a quello esercitato finora nei confronti dei protagonisti
dell’economia. Infatti, in attesa di un più serio controllo degli assetti societari e di una radicale
rivisitazione normativa dell’organizzazione bancaria, assicurativa e di borsa, sarebbe auspicabile
un deciso potenziamento dell’associazionismo privato che, in stretto contatto con le Camere di
Commercio e con le stesse Agenzie governative statali e regionali, faccia opera di controllo
sull’andamento dei mercati, a livello nazionale, regionale e comunale, per individuare e
denunciare le eventuali anomalie ai danni dei consumatori: variazione dei prezzi, individuazione
delle rendite parassitarie che si annidano nelle attività produttive e nella catena della
distribuzione; suggerire un orientamento educativo ai consumatori per evitare scelte economiche
spesso derivati da bisogni indotti dalla pubblicità.
Attività di controllo queste, appena accennate, che i partiti politici e le associazioni sindacali non
sono in grado di svolgere occupati come sono a salvaguardare interessi settoriali.
Le associazioni civili, private, dovrebbero organizzarsi sul modello territoriale e settoriale della
Confederazione dei lavoratori e della Confederazione dei datori di lavoro, in modo da porsi come
interfaccia di ambedue le organizzazioni, quale espressione unitaria degli interessi della Comunità.
Insomma, sarebbe auspicabile la creazione di una palestra pubblica in cui esercitare, in libertà e
tolleranza, una critica costruttiva nel modo più pratico e concreto.
In conclusione, l’Ipotesi, mentre garantisce la libertà delle iniziativa economica privata, nello
stesso tempo afferma che questa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali”.
38\40) La proprietà è stata definita dai Latini: “Ius utendi et abutendi re sua, quatenus iuris ratio
patitur” . Diritto di usare e di abusare della propria cosa, fino al punto in cui è compatibile con le
finalità del diritto. “Ius excludendi omnes alios ». Diritto di escludere tutti gli altri (dal godimento
della cosa)
Recita l’articolo 544 del Codice Napoleonico –1804-: “ La propriètè est le droit de jouir et disposer
des choces de la manière la plus absolue…pourvu qu’on n’en fasse pas un usage prohibé par les lois
ou par les reglementes ». La proprietà è il diritto di godere e di disporre delle (proprie) cose nella
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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maniera più assoluta…a condizione che non se ne faccia un uso proibito dalle leggi o dai
regolamenti.
E l’articolo 832 del nostro Codice Civile –1942-: “Il proprietario ha diritto di godere e di disporre
delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti
dall’ordinamento giuridico”,
La vigente Costituzione –1948-, all’articolo 42, recita: ”La proprietà è pubblica o privata. I beni
economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita
dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurare la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti
dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. La legge stabilisce le
norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato nell’eredità”.
E, infine, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, -13\14 ottobre 2000-, all’articolo
17 afferma: “ Ogni individuo ha diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito
legalmente, di usarla, di disporne e di lasciarla in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà
se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento,
in tempo utile, di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato
dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale. La proprietà intellettuale è protetta”.
Dalla percezione della propria individualità scaturisce il concetto di proprietà: è una relazione
diretta tra la persona, individuata, incarnata nella sua unicità e singolarità, e un bene anche non
economico, che possa soddisfare i suoi bisogni, reali o presunti.
Nel regime schiavista, praticato da tutti i popoli dell’era antica, la proprietà sulle cose inanimate e
sugli animali era certamente inferiore alla quantità di cose-schiavi possedute dal padrone, il quale
aveva su di essi ius vitae ac necis, il diritto di vita e di morte e, perciò, non solo il diritto di usarli a
suo piacimento ma anche il diritto di abusarne fino ad ucciderli.
Con l’avvento del Cristianesimo, la concezione dei rapporti tra le genti, basata sulla violenza,
sopraffazione e rapina, entrava in crisi perché in completa antitesi con la predicazione dell’amore,
dell’eguaglianza, della solidarietà umana e perché veniva a togliere ogni alone di sacralità alla
persona dell’imperatore e, per conseguenza, a tutta la catena del comando, fino al pater familias.
Per il Cristianesimo, “ Il pater diventa il fratello del lavoratore-schiavo; non è ammessa differenza
tra il cittadino ed il barbaro; annullate le distinzioni di classe, di nazionalità, di razza; portati tutti gli
uomini ad uno stato unico, inerente alla superiorità, alla dignità della natura umana. Il precetto:
impedire che l’uomo più forte opprima il più debole, non rimane limitato soltanto alla classe dei
liberi di ogni singolo aggregato, ma assume carattere e valore generale nei confronti di tutti gli
uomini..Prescrivendo l’abolizione di tutte le forme di coercizione, di oppressione, di violenza, nelle
quali, appunto, era fondata l’organizzazione sociale, la nuova religione rappresentava il più grande
fattore rivoluzionario che fosse sorto nei millenni, l’elemento distruttore, sovvertitore del sistema
della forza” – F. De Julo – Critica al sistema capitalista, pag 95 – Ed. Dell’Orsa. Bologna 1947.
La proprietà, nella concezione cristiana, assume un valore di affidamento dei beni della terra agli
uomini, i quali, nell’aldilà dovranno rendere conto dell’uso fatto; l’abuso è escluso, perché
travalica i necessari e naturali bisogni; e, tanto meno è permessa la distruzione del bene.
A tale rivoluzione l’apparato dominante reagisce dando ai precetti cristiani una interpretazione
strumentalizzata ai propri interessi: se la nuova religione predica l’esistenza di un Dio
trascendente la natura umana, così da scalzare lo status dell’imperatore, divinità per quanto si
voglia ma pur sempre di natura terrena, allora si può sostenere che, in ogni caso, si è imperatori
per scelta di Dio, si “ufficializza” tale status con cerimonie religiose che “restituiscono” la natura
divina alla persona dell’imperatore, cosicché il contenuto del potere da lui esercitato non viene
minimante scalfito. E, inoltre, se la nuova religione predica l’amore e la fratellanza tra gli uomini,
questi valori vanno circoscritti nell’ambito della propria gente, mentre gli stranieri rimangono
sempre tali, nemici da abbattere o da assoggettare in stato di schiavitù.
In pratica, tale “predicazione” doveva rimanere relegata nell’ambito religioso per i credenti e
nell’ambito morale per le persone di buona fede: era considerata come un fatto privato, e perciò
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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stesso ben poteva coesistere con la concezione imperialista. In conseguenza, “L’imperatore, il pater
supremo, è così circondato e rivestito dello stesso prestigio, esercita la medesima autorità, sostenuto
da forze e presupposti superiori ai precedenti. Egli ha bisogno di estendere il suo dominio, e che
quindi i suoi sudditi, i credenti nella novella fede, si diano all’uccisione ed allo sterminio per
assoggettare altri popoli al suo diritto di proprietà; ciò contrasta con il precetto universale – non
ferire, non uccidere – (ebbene) l’organizzazione (statuale) appresta (nuovi) motivi perché prevalga
il diritto della forza sui principi fondatamente umani: la guerra ha carattere provvidenziale, essa
apporta dei mali gravissimi, ma Iddio lo permette per scopi morali e, in definitiva, per la
santificazione e la salute delle anime. Quando la disfatta tocca il giusto, anche allora si può
giustificare la Divina Provvidenza (Omnis victoria, cum etiam malis provenit, divino judicio victos
humiliat vel emundans peccata vel puniens). La guerra ha carattere necessario, si uccide non per
volontà ma per necessità (hostem pugnantem necessitas perimat non voluntas). Mentre i nuovi
principi affermano in forma universale la fratellanza, la solidarietà, la superiore natura umana,
l’organizzazione (politica statuale) afferma invece la necessità di persistere nella condizione di vita,
propria delle altre specie (ferine). L’insegnamento di offrire l’altra guancia a chi ha percosso, il
precetto –non ferire, non uccidere-, l’incitamento a sacrificare la propria vita anziché recar danno
agli uomini, dichiarati tutti fratelli, venivano praticamente convertiti nell’altro – uccidi pure il tuo
fratello, che non ha fatto e non ti ha fatto niente di male, se ciò ti è comandato da chi esercita il
potere supremo su te e sul tuo popolo, giacché la sua autorità proviene da Dio” – F. De Julo – op.
citata, pag. 97.
Tale è la immanente capacità fraudolenta dell’animo umano!
L’istinto primordiale di appropriazione delle persone e delle cose rimane, dunque, prevalente nella
condotta di tutte le genti del mondo antico; e sopravvive ancora oggi, sia pure con giustificazioni
più sofisticate e con limitazioni, rese necessarie dall’evoluzione dell’assetto sociale.
Si deve, però, riconoscere che l’istinto di proprietà non rientra nell’ambito puramente animale,
costituisce anche una componente positiva dello spirito, perché mediante questo l’uomo non solo
soddisfa i bisogni vitali ma misura la proprie capacità creative e organizzative e rafforza la propria
personalità.
Perciò, come sempre, il problema consiste nel trovare il punto di equilibrio che possa rendere
accettabile l’istituto giuridico della proprietà con le esigenze della Comunità.
Come si è visto, dalle definizioni sopra riportate, il contenuto classico della proprietà, quale diritto
di usare e di disporre dei propri beni nel modo più assoluto, confermato dal Codice Napoleonico, è
riuscito a superare le vicende della rivoluzione francese del 1789 e non è stato minimamente
scalfito nella sua essenza dalla frase di Proudhon: “La proprietà è un furto”.
La proprietà non è un furto. La due concezioni estreme dell’individualismo e del collettivismo
evidenziano come ogni problema che investe la coscienza e l’intelligenza umana ha bisogno di un
tempo “naturale” per maturare, evolversi e trovare la propria soluzione.
Fino alla rivoluzione francese e anche oltre, il concetto di proprietà, quale obbligo morale della
utilizzazione a favore della collettività, rimane confinato nell’ambito religioso e morale: mentre
persiste ancora, nell’ambito giuridico, il concetto di proprietà come diritto individuale, tramandato
dal diritto romano in contrapposizione al concetto germanico di proprietà come bene collettivo.
“E’ storicamente merito del socialismo francese c.d. utopistico dei primi anni del secolo XIX di
avere impostato la critica alla proprietà privata dei mezzi di produzione sul piano politico, come
problema alla cui soluzione doveva interessarsi l’ordinamento giuridico. Precursori si erano già
avuti nel secolo precedente fra cui l’antesignano del comunismo, Babeuf, che finì ghigliottinato nel
1796, ma lasciò un seguito di discepoli che furono il primo nucleo del socialismo rivoluzionario nel
secolo seguente: Saint- Simon (1760-1825), Fourier (1772-1837), Owen (1771-1858), Proudon
(1772-1837), studiano nuove forme di proprietà, destinate a superare l’egoismo individuale ed a
porre i mezzi di produzione al servizio della collettività: fra questi, il più pratico fu l’inglese Owen,
che giunse alla conclusione che bisognava organizzare l’industria, l’agricoltura e il commercio sulla
base di libere associazioni di lavoratori: fu così l’iniziatore del movimento cooperativistico, che, se
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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pure non ha raggiunto lo sviluppo sperato dal suo fondatore, si tradusse in pratiche realizzazioni che
si diffusero e continuano a diffondersi in tutto il mondo, mentre i “falansteri” di Fourier e gli altri
rosei sogni dei socialisti utopistici francesi rimasero sulla carta o, sperimentati, fallirono
miseramente come i famosi “ateliers nationaux” del Blanc”.- Baschieri, D’Espinosa, Giannattasio,
La Costituzione Italiana, Ed. Noccioli, 1949, pag. 227 -.
Ad una attenta osservazione, si può notare come il contenuto del diritto di proprietà, prima
assoluto ed inviolabile, oggi è riconosciuto, ma nell’ordine di elencazione del nostro Codice Civile
è stato posto dopo la proprietà demaniale: “ La proprietà è pubblica o privata. I beni economici
appartengono allo Stato, agli Enti, ai privati”.
Il sacrificio maggiore che può essere richiesto al proprietario è quello della perdita del diritto di
proprietà per espropriazione nell’interesse della collettività.
L’esproprio è sempre una esperienza traumatica, doppiamente traumatica per chi lo subisce se il
bene perduto è frutto di onesto lavoro e non di arricchimento illecito o immorale. Il “tempo utile”
per il rimborso, previsto dalla Carta Europea non garantisce una tutela rapida del diritto
dell’espropriato, perciò in sede di legislazione ordinaria va assicurata la integrale e contestuale
corresponsione della indennità al momento dello spossessamento, fatto salvo il diritto dello
espropriato di richiedere la maggior somma pretesa nella opportuna sede giudiziaria.
Con l’istituto della successione per causa di morte si perpetua il diritto di proprietà attraverso le
generazioni: al riconoscimento del diritto di proprietà consegue la giustificazione della finalità del
diritto successorio, che è quella di assecondare la natura umana offrendole ulteriore stimolo al
lavoro ed al conseguimento del profitto, anziché orientarla verso il consumo e la dispersione della
ricchezza per il venir meno di una prospettiva futura che, attraverso l’erede, permetta l’estensione
dell’esistenza oltre la morte.
Il riconoscimento dell’istituto successorio nell’ordinamento giuridico asseconda, quindi,
l’aspirazione dello spirito umano di assicurare agli eredi il frutto del proprio lavoro.
41\42) Al sistema dell’economia capitalista, finalizzato alla realizzazione del massimo profitto,
senza limiti (!), si affianca il sistema cooperativistico, in cui l’attività di impresa economica, in
regime di autogestione, viene finalizzata per elevare il lavoratore subordinato a protagonistaimprenditore, teso a fornire beni e servizi, oppure occasioni di lavoro a se stesso ed ai soci, membri
dell’associazione e suoi pari.
Lo Stato agevola l’imprenditoria cooperativistica non solo permettendole di organizzarsi a modello
delle società commerciali, ma anche favorendola con agevolazioni fiscali e con altre provvidenze
che possano permettere la sua diffusione.
Per gli indubbi vantaggi che la cooperativa può apportare, con evidenti riflessi positivi sul costo
della vita, dati gli effetti calmierativi sui prezzi di mercato, sarebbe opportuno rendere più
realistico l’orientamento sociale della Costituzione, sostenendo con più convinzione la loro
diffusione, radicando la loro ubicazione anche a livello di quartiere: una cooperativa di consumo
agro-alimentare, collegata direttamente ad una cooperativa di produzione della stessa natura,
potrebbe realizzare lo scopo di evitare gli innumerevoli passaggi vessatori cui sono sottoposti i
prodotti a causa del parassitismo intermediario, con enormi vantaggi per l’agricoltore e per il
consumatore. Ci si avvicinerebbe, così, al dettato costituzionale il quale predica che “La
Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fine di
speculazione privata. La legge ne favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con
gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.
L’artigianato è la forma più nobile delle attività produttive, direttamente svolta dall’uomo; l’opera
dell’artigiano spesso raggiunge elevate espressioni d’arte. Non essendo un’attività standardizzata,
non può certo competere con l’industria per quanto riguarda il costo del prodotto, tuttavia
l’artigiano ha costituto e costituisce l’humus su cui si sviluppa la creatività artistica e da cui
l’industria ricava idee e personale specializzato. L’artigianato, dunque, non deve morire se si vuole
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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conservare il gusto della creatività irripetibile e le capacità creative della persona umana ed
evitare l’inaridimento dovuto all’asetticità di una industria robotizzata.
43-44) I principi di giustizia vanno ora esaminati nella prospettiva di una possibile partecipazione
attiva e diretta dei lavoratori al processo di produzione e distribuzione del reddito “ai fini della
elevazione economica e sociale del lavoro”. Si tratta, in sostanza, di conciliare e fondere i due
indirizzi delle costituzioni, liberali-individualiste e totalitarie-collettiviste.
E’ evidente che nel mondo antico non vi è traccia di tale problema come percepito nel mondo
moderno: il lavoro era demandato agli schiavi, alimentati solo ai fini della pura sopravvivenza,
mentre la classe dominante considerava il lavoro una vera e propria degradazione morale e
sociale.
Nelle classi dei nobili e dei sacerdoti, tale atteggiamento, nei confronti dell’attività lavorativa, è
perdurato dall’antichità fino alla rivoluzione francese (1789) e oltre, fino alla rivoluzione russa del
1915, momento in cui i servi della gleba si calcola fossero centoventi milioni (Gogol Nikolaj
Vasilievic li definì “Le anime morte”), anche se, formalmente, la loro emancipazione era stata
disposta nel 1861 dallo Zar Alessandro II.
Per tornare alle origini della civiltà, nelle società assiro-babilonesi ed in quella egiziana, erano già
state elaborate norme di vita sociale in forza delle quali, in generale, nell’ambito del clan, della
tribù, del gruppo, nella cerchia di una collettività, non era lecito rubare, rapinare, uccidere: norme
da rispettare, pena la disgregazione del nucleo associativo; ma, al di fuori di questa cerchia tutte
le altre “cose”, e tra queste gli esseri umani, potevano essere oggetto di predazione, di
impossessamento, di assoggettamento alla schiavitù, di utilizzazione per i più svariati usi e,
principalmente, come forza-lavoro. Tale comportamento è stato riscontrato, fino ai nostri giorni,
anche presso aggregati umani vissuti nel più completo isolamento e, quindi, non influenzati, per
imitazione, da altri popoli.
Nel mondo antico, classico, greco e latino, l’economia schiavista raggiunse il culmine della
perfezione.
Sparta, sotto l’aspetto della distribuzione del lavoro e della ripartizione del reddito, era
organizzata in tre distinte classi sociali: spartiati, perieci e iloti.
Gli spartiati erano una minoranza rispetto alla popolazione della città; avevano l’effettivo governo
dello Stato, connesso all’obbligo ed all’onore di difendere con le armi la collettività. Erano
sottoposti ad un duro allenamento fisico, all’addestramento alle arti di guerra; a loro era proibito
l’esercizio dell’agricoltura e del commercio. Gli spartiati entravano in possesso di tutti i diritti
civili e politici al momento dell’ acquisto della capacità giuridica fissata a trenta anni; a sessanta
anni potevano essere eletti senatori.
I perieci erano collocati al successivo, intermedio gradino della piramide sociale; non godevano
dei diritti politici e, pertanto, rimanevano estranei all’amministrazione dello Stato, ma godevano
dei diritti civili; si dedicavano all’attività agricola, all’industria ed al commercio.
Gli iloti, i più numerosi, gli ultimi, erano schiavi dediti alla coltivazione dei campi, di proprietà
inalienabile degli spartiati, e, com’è ovvio, non godevano di alcun diritto.
Atene aveva due sole classi sociali: i cittadini, divisi in nobili e plebei, e poi, come al solito, gli
schiavi; in Atene, a differenza di Sparta, ove in apparenza sembrava sussistere una qualche forma
di comunismo o di collettivismo, le differenze sociali erano marcate proprio dalla ricchezza; in
definitiva, i cittadini si suddividevano in ricchi e poveri, mentre gli schiavi erano considerati merce
umana, destinati a fornire forza-lavoro. Nella città di Atene il lavoro era addirittura inteso come
attività negativa, degradante, perché distoglieva l’uomo da quello stato di contemplazione che lo
avvicinava agli dei e perché si riteneva ostacolasse l’attività speculativa del pensiero.
Anche nella società romana gli schemi ancestrali si presentavano quasi identici a quelli degli altri
popoli: come si è visto, nella famiglia patriarcale la maggior parte dei suoi componenti non era
legata da vincoli di consanguineità ma semplicemente dal fatto di trovarsi, per le più varie ragioni,
sotto la potestà del pater, rivestito dello “status” di padrone, titolare dello ius vitae ac necis su tutti
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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i componenti il nucleo familiare: moglie, figli, liberti, schiavi. Inoltre, il pater, quale sacerdote
della familia, meglio dire del clan familiare, era il “titolare” dell’esercizio dei riti domestici che
rivolgeva ai lari, spiriti tutelari, venerati in un loculo denominato lar, focolare domestico, ed a cui
si offrivano offerte per propiziarseli in occasione di matrimoni, nascite, liberazione di schiavi,
cerimonie funebri; ed ai penati, penates, dii penates, divinità della casa, protettrici della casa,
collocati nella parte più riservata della casa, il penus o penetral, ove erano riposti i cibi. Tutte le
divinità domestiche venivano trasmettesse in eredità, insieme ai beni patrimoniali. Il culto familiare
veniva imposto a tutti coloro che entravano a far parte della familia ed il pater era l’unico che
potesse entrare in relazione con le divinità domestiche.
Su di un piano superiore, lo schema organizzativo della familia si ripeteva nell’organizzazione
statuale ove, nelle varie epoche, i re arcaici, i consoli nell’età repubblicana o gli imperatori nel
periodo del principato o imperiale di Roma, avevano appunto l”imperium”, oggi diremmo il
bastone del comando, che conferiva loro lo ius vitae ac necis, su tutti i sottoposti; ripetendo lo
schema della familia, chi aveva l’imperium era anche pontefice massimo, il pontefice dei pontefici,
e teneva i contatti con le divinità pubbliche, di cui era custode la classe gentilizia; l’imperatore,
che in un primo tempo veniva divinizzato solo dopo la morte, più tardi pretese di esserlo anche in
vita, assumendo gli attributi di “sacro e inviolabile”; attributi che si sono perpetuati fino alle
monarchie dei nostri giorni.
La religione di Stato, naturalmente “amministrata ed interpretata da Roma”, costituì, fin dall’età
regia, un punto di forza per instaurare l’egemonia psicologica nei confronti dei popoli confinanti:
per fare un esempio, tutti le genti riunite nella Lega Latina veneravano Giove, dio comune, custode
e giudice delle supreme idee religiose, quali la giustizia, il diritto, la lealtà, invocate allorché
bisognava risolvere controversie nella interpretazione dei patti federativi, nella individuazione dei
confini di ciascuna città, nella risoluzione di qualsiasi controversia tra le città federate (evitando il
conflitto armato). Ma, guarda caso, la interpretazione della volontà di Giove collimava, quasi
sempre, con i criteri di giustizia, diritto e lealtà della concezione romana; anzi, ad un certo punto, i
romani si impossessarono del dio Giove, creando la figura di Giove Capitolino, così da avere
maggiore possibilità di interpretarne in esclusiva la sua volontà.
Naturalmente, l’interpretazione della volontà degli dei obbediva alle necessità contingenti della
classe dirigente, tutta protesa a conquistare l’egemonia politica sullo stesso popolo romano e sui
popoli circostanti.
In sostanza, i romani elaborarono un principio politico-religioso fondato sul presupposto
dell’esistenza di un ordine universale in equilibrio dinamico di cui essi si facevano garanti, purché
ci si conformasse alla volontà di Giove.
Su questo punto scrive Indro Montanelli nella 36° edizione del primo volume della Storia d’Italia,
Ed. Rizzoli, prima ed. BUR – 1974 – pag.38: “Tutte le autorità a quei tempi erano puntellate
soprattutto sulle religioni. Il potere dello stesso pater familias, o capo di casa, sulla moglie, sui
fratelli minori, sui figli, sui nipoti, sui servi, era più che altro quello di un alto sacerdote cui il buon
Dio aveva delegato certe funzioni. E per questo era così forte. E per questo le famiglie romane
erano così disciplinate. E per questo ognuno sentiva i propri doveri e li assolveva in pace ed in
guerra”.
Anche nel mondo romano il lavoro degli schiavi era a costo zero; per l’effetto congiunto della forza
e della religione si riusciva ad ottenere la sottomissione come un fato a cui era impossibile
sottrarsi.
Non esisteva, quindi, un problema morale della equa ripartizione delle risorse. Sul piano sociale
questo problema economico si accentrava nella assegnazione delle terre: problema fortemente
avvertito nel corso dei secoli, come ci viene tramandato dalla conoscenza delle lotte tra patrizi e
plebei nel periodo regio, culminato con la secessione della plebe sul monte Aventino (celebre
l’apologo di Menenio Agrippa) e, più tardi definito, ma non certo risolto, con l’emanazione della
Legge delle XII Tavole, che assicurava una qualche garanzia di giustizia sociale ai plebei e una
qualche divisione tra il divino e l’umano.
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Il problema, endemico lungo tutta la storia di Roma e, del resto, di tutti i popoli, tornò a farsi acuto
allorché Roma, nel periodo repubblicano, dopo aver sottomesso i popoli del bacino del
Mediterraneo, e imposta la “pax romana”, dovette affrontare il fenomeno della immigrazione dei
coloni, che immiseriti dalle lunghe guerre e dalla lunghezza del servizio militare, rivendicavano il
diritto alla assegnazione delle terre di cui i patrizi si erano impossessati.
Il progetto di riforma agraria elaborato da Tiberio e Gaio Gracco, si infranse contro gli interessi
consolidati dei patrizi, e costò la vita ai due fratelli.
Rimasta insoddisfatta la richiesta di giustizia sociale, la classe media rurale, ormai ridotta a
plebe, si trasformò in esercito mercenario, proletariato militare al servizio dei ricchi e dei potenti e
non più al servizio della Patria.
Permanevano, comunque, le condizioni di miserrima condizione materiale e morale degli schiavi,
tali da indurre qualche volta ad atti di disperata ribellione, soffocati nel sangue dalla inesorabile
ed efficiente macchina bellica di cui era dotata Roma: famosa la ribellione di Spartaco, che
organizzato un vero e proprio esercito, formato da gladiatori e da schiavi ribelli, diede del filo da
torcere agli eserciti di Roma, finché non venne sconfitto ed ucciso, nel 73 a.c., dalle legioni di
Crasso.
La questione sociale rimase ancora irrisolta durante il periodo del Principato, anzi, si acuì sotto il
governo di Diocleziano (284-305 d.c.) a causa dell’enorme costo dell’organizzazione politica e
burocratica di uno Stato divenuto immenso e pletorico. E anche in questo caso la classe patrizia,
che godeva di privilegi e capacità di corruzione nei confronti dell’apparto burocratico dello Stato,
riuscì a consolidare le proprie fortune economiche a danno dei coloni, ormai servi della gleba, a
cui venne imposto persino l’obbligo di rimanere legati al fondo.
Purtroppo, come si è visto, a causa della immanente miopia mentale delle folle, la capacità
fraudolenta delle classi dominanti riusciva sempre a circoscrivere il limite sociale della
interpretazione dei valori dell’amore verso il Prossimo limitatamente all’ambito familiare ed al
clan, lasciando intatta la pulsione di forza e di violenza da esercitare nei confronti degli “altri” e
addirittura a rafforzare il principio di obbedienza verso l’imperatore, che rimaneva ancora l’unico
intermediario tra gli uomini e le divinità, alle quali egli stesso affermava di appartenere.
Prova ne sia il fatto che nell’età imperiale Costantino (280-337) riuscì a mobilitare gli stessi
cristiani, invocando il loro Dio (in hoc signo vinces- nel segno della Croce vincerai-) nella lotta
contro il rivale Massenzio che batté a Ponte Milvio nel 312 d.c. Dopo tale vittoria, Costantino
ammise la religione cristiana tra i culti dello Stato, concedendo ai cristiani il diritto di possesso dei
beni; più tardi, constatando la veloce diffusione del Cristianesimo, lo eresse a unica religione dello
Stato.
Intanto, il declino di Roma era già segnato: le invasioni barbariche e la conquista dell’Italia da
parte delle orde di Odoacre, 476 d.c., segnarono la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio
dei regni romano-barbarici. In verità, l’ideale della romanità, inteso nel senso di unitarietà della
organizzazione sociale e politica delle genti, fu molto sentita anche dai re barbari, i quali, per
molto tempo, cristianizzati ed inseriti nella continuità storica dell’esperienza romana, si
considerarono continuatori ed eredi dell’Impero Romano: lo stesso Odoacre, capo degli Eruli,
mercenari nell’esercito romano, deposto l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo, pur
essendo divenuto padrone dell’Italia, si considerò luogotenente dell’Imperatore d’Oriente, Zenone,
a cui rimise le insegne sovrane.
Si entrò, così, nell’era definita Medio Evo, durante la quale la Chiesa, consolidando la propria
organizzazione e facendo da supporto al permanere della concezione unitaria romano-cristiana,
riuscì a travasare nei popoli barbari, Germani e Slavi, l’eredità civile del mondo romano,
mettendoli in condizione di diventare protagonisti del processo di formazione dell’Europa
Moderna: nacquero i regni romano-barbarici dei Visigoti in Gallia e Spagna, dei Franchi in
Gallia, dei Vandali in Africa settentrionale, degli Anglo-Sassoni in Inghilterra.
La conversione al Cattolicesimo dei Franchi, avvenuta intorno al secolo V, permise poi la
creazione dello Stato della Chiesa e dell’Impero di Carlo Magno, segnando la nascita del Sacro
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Romano Impero (800) e la riorganizzazione e la difesa dell’Europa mediante l’ordinamento feudale
per contrastare l’invasione degli Arabi e dei popoli germanici elavi non ancora romanizzati.
Il disgregarsi dell’Impero Carolingio portò in Europa un tale caos sociale e politico da far
presagire la fine del mondo intorno all’anno Mille (mille e non più mille), in una anarchia feudale
provocata dalla crisi di potere del Papato e dell’Impero, che favoriva la propensione alla divisione
dell’Europa in aree nazionali; tuttavia, non si verificò la fine del mondo ma, al contrario, il
consolidarsi di nuovi Stati: il Regno Normanno di Sicilia, che unificò il Mezzogiorno d’Italia,
cacciando da quei territori gli Arabi e i Bizantini; il Regno, pure Normanno, di Inghilterra; la
nascita dei Regni di Francia e di Spagna, mentre in Italia si affermavano le Signorie e i Comuni,
fenomeno politico-associativo unico, irripetibile nella Storia delle Comunità occidentali.
Tramontava, però, l’idea sostenuta dalla Chiesa, secondo la quale, per destinazione divina, tutto il
Gregge umano doveva avere un solo pastore, con i sommi poteri universali del Papato e
dell’Impero, ordinato in una gerarchia feudale: vassalli, valvassori e valvassini, istituti
cavallereschi, Comuni, in quanto ciascun sovrano si considerava ormai imperatore nel proprio
territorio:”io sono imperatore nel mio territorio come lo sei tu nel tuo”, potevano dire i re
all’imperatore –superiorem non recogoscens, non riconoscendo alcun superiore alla loro
sovranità- ; tramontava l’ideale della universalità del Sacro Romano Impero, anche se ancora
sostenuta, per qualche tempo, dagli imperatori e re di Germania, da Ottone I ad Ottone IV di
Sassonia, e poi definitivamente abbandonata dagli imperatori della casa Sveva, Federico I (il
Barbarossa) e Federico II, imperatore di Germania, Re d’Italia e Re di Sicilia, dopo le sconfitte
da essi subite per opera dei Comuni d’Italia, riuniti nella prima e nella seconda Lega Lombarda
(battaglia di Legnano 29.5.1176 e di Parma 1248).
Come già rilevato, la predicazione di Gesù Cristo aveva sovvertito completamente i criteri morali
di forza e di violenza su cui si reggevano gli aggregati umani. Ma, una verità così semplice, come
semplici sono tutte le verità, ancora nel Medio Evo stentava ad affermarsi nella coscienza dei
popoli, cosicché la schiavitù continuava a praticarsi a tutte le latitudini ed il feudalesimo, le cui
basi economiche erano essenzialmente rurali, favoriva il perpetuarsi di questo tipo di servitù;
quando un uomo ha lo status di schiavo o di servo della gleba non può assolutamente vantare alcun
diritto: servitus est res, il servo è una cosa che non gode di alcuna tutela giuridica. Perciò, nell’era
feudale non esisteva alcuna questione sociale da dirimere, nessun problema di distribuzione del
reddito. Situazione questa in patente contrasto con il concetto di dignità umana predicata da Gesù
Cristo: “non iam es servus, sed filius et heres per Deum”- non certamente sei servo, ma figlio ed
erede per (mezzo) di Dio; siamo tutti figli di un unico Dio, siamo tutti fratelli e quindi uguali.
La dottrina cristiana, al contrario della concezione dei Greci, valorizzava e nobilitava il lavoro
umano, considerato non solo mezzo di sostentamento ma, addirittura, mezzo di elevazione verso
Dio. E’ di San Benedetto l’esortazione: “Ora et labora” –prega e lavora-. Anche San Francesco ne
aveva fatto una regola di vita.
Superfluo sottolineare la condanna della schiavitù da parte della dottrina cristiana, la quale
predicava che i beni della terra sono di tutti e che la proprietà individuale deve accettarsi quale
necessità sociale, conseguenza della imperfezione umana, prigioniera della propria individualità,
fisica e psicologica, perché nelle attuali condizioni di civiltà è ancora il senso del possesso che
spinge all’azione individuale, anche se non bisogna dimenticare che i beni sono stati concessi da
Dio agli uomini non perché se ne possa usare ed abusare, come sostenevano i romani – jus utendi
et abutendi -, ma perché l’uomo se ne possa servire per sé e per gli altri, dando il superfluo ai
poveri – jus procurandi ac dispensandi -.
I pensatori cristiani del Medio Evo condividevano il pensiero di Aristotele, secondo cui la proprietà
privata era una necessità che scaturiva dalla natura degli uomini, al contrario della tesi di Platone,
il quale, invece, sosteneva che i beni dovessero essere comuni a tutti.
Il presupposto di tale tesi derivava dal fatto che, dopo la trasgressione di Adamo, Dio aveva abolito
il regime collettivista dei beni per cui, allo stato della condizione umana, conveniva il regime della
proprietà privata: propter exclusionem negligentiae, perché gli uomini sono portati a non
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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rispettare le cose di proprietà comune (al fine di evitare atti di negligenza); propter exclusionem
malitiae, perché gli uomini tendono ad evitare di svolgere lavori sulla proprietà comune nella non
gradita prospettiva di doverne dividere i frutti con gli altri (al fine di evitare atti di furbizia);
propter exclusionem inimicitiae, perché i più forti ed i più furbi tendono ad appropriarsi dei beni
con esclusione degli altri (al fine di evitare atti conflittuali).
La situazione di servaggio durò non solo per tutto il Medio Evo che, per convenzione, si intende
concluso con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nell’anno 1492, ma oltre,
fino alla rivoluzione francese del 1789 e quella russa del 1917. Ancora pochi anni prima della
scoperta dell’America, nel 1488, Ferdinando il Cattolico inviava cento schiavi mori al Papa
Innocenzo VIII perché li distribuisse tra i cardinali e i nobili della Curia Romana; il che sta a
dimostrare come persino agli uomini di Chiesa non era ancora ben chiara la portata universale
della predicazione di Cristo. Ancora si riteneva che gli schiavi non avessero un’anima;
convinzione di comodo, capziosa e fraudolenta, più tardi fu fatta propria dai coloni americani per
giustificare la deportazione di milioni di esseri umani dall’Africa in America, destinati alle
coltivazione delle piantagioni. Gli inglesi, i portoghesi, gli olandesi e i francesi, esercitarono tale
turpe commercio con centinaia di vascelli, ricavandone favolosi guadagni.
Tuttavia, in Europa cominciò ad affermarsi la tendenza alla utilizzazione dei servi della gleba al
posto degli schiavi: questi erano i vecchi coloni a cui ad un certo punto fu vietato di abbandonare
le terra che lavoravano dalla quale, però, il padrone non aveva il diritto di cacciarli; potevano
contrarre legittime nozze e possedere un proprio patrimonio, di cui avevano una parziale
disponibilità. Verso l’undicesimo secolo, in conseguenza della rinascita economica e culturale delle
città e con il diffondersi di altre attività produttive e mercantili, i servi della gleba cominciarono ad
essere affrancati e quindi liberi di raggiungere i villaggi e le città. Ma, solo verso la fine del
Settecento, si cominciò a riconoscere l’immoralità della schiavitù e la turpitudine del commercio
degli schiavi : l’Inghilterra abolì la tratta degli schiavi nel 1807; il Portogallo nel 1830; ma solo
nel 1926 (!), cioè l’altro ieri, con la Convenzione di Ginevra, venne sancita l’abolizione totale della
schiavitù, anche se, come è noto, questo cancro morale non è stato ancora estirpato dell’intero
pianeta.
Come è facile intendere, la condizione miserrima della classe lavoratrice, prima rappresentata
dagli schiavi e poi dai servi della gleba, si protrasse fino al Settecento, allorché si verificarono dei
profondi mutamenti sociali provocati dalla rivoluzione industriale: l’avvento della macchina e la
rivoluzione del processo produttivo, resero indispensabile l’accumulo di ingenti capitali da parte
della classe dirigente, necessari per impiantare grandi industrie; cosicché, mentre prima il fattore
produttivo più importante era stata la terra, ora diventava il Capitale. Come conseguenza, si acuì
enormemente il divario tra capitale e lavoro, mentre nasceva la categoria dei salariati, costituita
da masse di coloni inurbatesi nella speranza di una vita migliore; in realtà, sia i contadini sia gli
artigiani si trovarono privi di qualsiasi garanzia in ordine alla sicurezza del posto di lavoro, alle
condizioni ambientali in cui doveva essere svolto, al tempo della sua durata giornaliera; senza
considerare che nel processo produttivo venivano impiegati anche bambini.
La fabbrica, però, come agglomerato di uomini, favorì la nascita delle prime, rudimentali,
associazioni di lavoratori, derivate dalle associazioni di mutuo soccorso, che presero il nome di
sindacati. Al loro nascere trovarono forte resistenza da parte del padronato, che riuscì addirittura
a farli proibire: in Inghilterra, tra il 1799 e il 1800, con i Combinations Acts, furono dichiarate
illegali tutte le organizzazioni aventi lo scopo di ottenere una contrattazione collettiva delle
condizioni di lavoro, leggi abolite nel 1824; in Francia, nel 1791, con la legge Le Chapelier,
abolita nel 1830; in Italia, nel 1849, l’Associazione dei compositori tipografi torinesi diede vita
alla prima organizzazione sindacale nel nostro Paese.
Ai nostri giorni, il problema della giustizia sociale, inteso come difesa unitaria e non individualista
degli interessi dei lavoratori, è assurto ad una regolamentazione di rango costituzionale per tentare
di giungere ad un’equa distribuzione del reddito tra i fattori del processo produttivo,
ridimensionando le pretese del fattore capitale e degli amministratori, tecnocrati, a vantaggio del
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fattore lavoro. In definitiva, si tratta di fare in modo che ciascun lavoratore possa essere messo
nella condizione di diventare un piccolo proprietario, così da poter fronteggiare, per quanto
possibile, le gravissime conseguenze a cui va incontro nei periodi di crisi economiche o di dissesto
dell’azienda in cui lavora. Per quanto riguarda l’effettiva partecipazione dei lavoratori alla
gestione delle aziende, si deve prendere atto che il dettato costituzionale, almeno fino ad oggi, è
rimasto una affermazione di principio, mai perseguito con determinazione dai datori di lavoro e
nemmeno dagli stessi lavoratori: i primi perché gelosi della loro autonomia gestionale, i secondi,
perché sempre scettici su di una reale e leale collaborazione con il padronato.
Dal punto di vista tecnico, le forme di collaborazione possono realizzarsi nella forma della
cogestione, se ai lavoratori viene assicurato un effettivo potere decisionale all’interno dell’azienda,
oppure nella forma della codeterminazione, se ai lavoratori è permesso di partecipare, in qualche
modo, alla definizione dei programmi dell’impresa, senza alcuna rappresentanza negli organi
direttivi. La norma più aderente ad una forma di collaborazione effettiva tra capitale e lavoro è
rimasta contenuta nel Manifesto del partito fascista repubblicano, denominato Manifesto di
Castelvecchio in cui, all’articolo dodici, si afferma che: “In ogni azienda industriale, privata,
statale, parastatale, le rappresentanze dei tecnici e degli operai cooperano intimamente, attraverso
una conoscenza diretta della gestione, all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione
degli utili fra il fondo di riserva, il capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi per parte dei
lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali
commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i consigli di amministrazione con consigli di gestione
composti di tecnici ed operai, con un rappresentante dello Stato; con altre ancora in forma di
cooperative parasindacali”.
Purtroppo, solo dopo la distruzione materiale e morale dell’Italia il fascismo tentava di ritrovare la
sua anima socialista.
Comunque, il problema di una equa distribuzione degli utili appartiene al programma della
realizzazione della giustizia sociale, il cui ritardo sottende oggi a ogni forma di conflitto nelle sue
varie manifestazioni ideologiche, politiche e persino religiose.
Ma vi è un altro aspetto che va considerato a conclusione di queste considerazioni: ci si ritrova in
un regime di consumismo il cui contenuto, basato sul principio della continua ed illimitata
soddisfazione dei desideri ( non dei bisogni), sollecita nel modo più sfacciato e scandaloso la
ricerca delle “cose” (non dei beni), spesso, addirittura per un puro effetto dimostrativo della
domanda; si chiedono cose (non beni) non tanto perché ci piacciono ma per esibirli a
dimostrazione della nostra ricchezza materiale. Come si può facilmente constatare, si tratta di
soddisfare “desideri” (vere chimere sociali) e non “bisogni” e per ciò stesso le “cose” sono già
condannate ad una rapida obsolescenza, a passare rapidamente di moda e di essere buttate via,
perché si possa, all’infinito, correre verso l’appagamento di altri desideri, del tutto inconsistenti:
insomma, l’umanità ai miti dell’età arcaica, di cui con tanta fatica si è liberata, ha sostituito i miti
dell’età moderna.
A questo punto, è evidente che in una società votata al consumismo (con conseguente
imbecillimento della coscienza e svuotamento dell’anima) il salario non ha più come parametro il
valore dei beni, necessari per assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa ma il
volume della produzione, qualunque essa sia, e la domanda globale, qualunque essa sia; con la
verifica di un paradosso: mentre nel sistema capitalista si producevano beni durevoli da utilizzare
e poi trasferire in eredità, nel sistema consumistico si produce perché una qualsiasi cosa possa
essere gettata via al più presto.
La remunerazione del lavoro in relazione all’attività svolta, non ha alcuna importanza in quanto la
remunerazione è determinata in funzione dell’impiego per il consumo che il lavoratoreconsumatore dovrà farne, con la conseguenza che vengono prodotti “cose”, talvolta inutili o
addirittura dannose. La società consumistica, poi, è in simbiosi con la pubblicità, preposta alla
persuasione delle masse a consumare cose del tutto inutili o superflue, per la produzione delle
quali vengono “bruciate” risorse finanziarie ed energie, fisiche e intellettive, a danno di quei
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settori economici che potrebbero favorire l’accumulo di beni utili e durevoli. In ultima analisi, tutto
si riduce (si fa per dire) ad una questione di educazione morale a cui dovrebbero tendere
all’unisono, la famiglia, la scuola, lo Stato, le istituzioni religiose, i partiti politici, le
organizzazioni sindacali, i circoli culturali, le associazioni private, le cooperative e tutte quelle
altre istituzioni che hanno per scopo l’elevazione morale della persona umana, del cittadino.
RAPPORTI POLITICI
DIRITTI E DOVERI
45\46) La scheda elettorale è l’arma regina, democratica, di cui dispongono i cittadini per
esercitare la sovranità ed orientare il modo di conduzione dello Stato.
Dalla condizione di schiavi, di servi della gleba, di sudditi nelle monarchie o nella
irreggimentazione dei regimi totalitari, si è finalmente (!) approdati alla condizione di cittadini,
dotati di dignità umana, forniti di personalità giuridica e perciò titolari di diritti e di doveri.
Tale conquista non è mai definitiva, perché non è scontato essere liberi; la libertà ha la sua
consacrazione tutte le volte che i cittadini esercitano la loro sovranità, espressa mediante la
possibilità di associarsi, di esprimere un voto, di presentare una petizione, una proposta di legge,
di partecipare ad un referendum.
Il suffragio, diritto di votare, permette di esprimere la propria volontà con il voto (dal latino subfrango, spezzo, che indicava l’atto materiale con cui si spezzava il coccio o la tavoletta in segno di
approvazione di una deliberazione portata all’esame dell’assemblea).
Il suffragio è “universale” se tutti i cittadini possono partecipare alle tornate elettorali, è
“limitato” quando alle elezioni partecipano soltanto i cittadini che hanno un certo censo (suffragio
censitario) o un certo grado di cultura (suffragio elitario) o un certo sesso.
Il suffragio universale venne propugnato dal Rousseau e ammesso per la prima volta, con legge del
24 giugno 1793, come conseguenza della dichiarazione dei diritti dell’uomo proclamati dalla
rivoluzione francese del 1789.
In Italia il suffragio universale venne introdotto con legge del 30 giugno 1912 con la quale veniva
anche soppressa la incapacità derivante dal censo e dalla cultura; con successiva legge del 6
dicembre 1918, il diritto di voto venne concesso a tutti i cittadini di sesso maschile al compimento
dei 25 anni d’età, quindi, fino a quel momento impropriamente si può parlare di suffragio
universale poiché, in effetti, si trattava di un suffragio limitato. Il suffragio universale venne
effettivamente introdotto con decreto luogotenenziale del 1 Febbraio 1945 n. 23, in forza del quale
anche lo donne furono ammesse ai comizi elettorali e il limite di età portato a 21 anni;
ulteriormente abbassato a 18 anni con Legge 24 Aprile 1976 n. 236.
La legge costituzionale 17 Gennaio 2000, n.2, ha introdotto, un terzo comma all’articolo 48 della
vigente Costituzione, trascritto nel terzo comma dell’articolo 45 della presente Ipotesi, concedendo
agli italiani residenti all’estero il diritto di votare nel luogo di residenza, rendendo così necessaria
la istituzione di una Circoscrizione estero.
Una volta chiarito il concetto di suffragio, quale diritto di partecipare ad una votazione, nasce il
problema di giustificare il principio in base al quale la volontà della maggioranza possa prevalere
su quella della minoranza dissenziente, senza sminuire il principio di uguaglianza e di pari dignità
dei cittadini minoritari.
I romani affermavano che “quod maior pars curiae efficit, pro eo habetur ac si omnes egerunt” , in
sostanza, erano costretti a ricorrere ad una finzione giuridica sostenendo che “ ciò che la maggior
parte della curia (qui inteso per assemblea, senato, comitia curiata, comitia centuriata) ha
deliberato si ha come se tutti l’avessero voluto”.
Questa finzione è rimasta a base della coscienza del giudice medievale; i glossatori ripetevano con
gli antichi romani: “ quod perinde erit ac si tota….quia non possunt omnes consentire facile”, cioè,
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in una deliberazione prevale la maggioranza “perciò sarà come se tutto il consesso avesse
assentito ..perché non tutti possono facilmente consentire (su di una proposta)”.
Secondo Aristotele, la giustificazione della prevalenza della volontà maggioritaria risiederebbe sul
“senno del maggior numero”, in quanto se è vero che in un consesso singole persone possono
essere sagge e colte ed altre stolte e ignoranti, tuttavia l’insieme delle persone che andrebbero a
formare la maggioranza esprimerebbero sempre un giudizio equilibrato e pieno di saggezza.
Il pensiero del Rousseau non si discosta da quello di Aristotele, anzi lo rafforza con argomentazioni
più circostanziate: egli afferma, infatti, che l’approvazione ad unanimità sarebbe avvenuta solo al
momento dell’accettazione del Contratto Sociale, in forza del quale i nostri antenati avrebbero
rinunciato ai loro diritti naturali per assicurarsi i vantaggi della vita collettiva; la rinuncia a tali
diritti, trasmessa per eredità, avrebbe incluso anche l’assenso a che nelle deliberazioni la volontà
della maggioranza dovesse prevalere su quella della minoranza, anche perché, sempre secondo il
Rousseau, l’esito delle deliberazioni, nella loro essenza, rappresenterebbero la volontà di tutti,
maggioranza e minoranza compresa, in quanto, ai votanti non tanto verrebbe posto il quesito se
essi, come singoli, intendano o meno approvare una proposta quanto di pronunciarsi se la
ritengano conforme alla volontà generale; l’esito della votazione rivelerebbe ai dissenzienti che
essi si erano sbagliati nel ritenere che la loro opinione non rispondesse alla volontà generale; e
poiché tale volontà, in quanto “generale”, dovrebbe comprende, per definizione, la volontà di tutti,
ecco che anche i dissenzienti, per il solo fatto di aver contribuito alla individuazione della volontà
generale, si ritroverebbero in sintonia con la maggioranza, la quale, in tal modo, risulterebbe
assistita dalla presunzione di giustizia e di conformità all’utilità pubblica.
L’arbitrarietà del ragionamento è fin troppo evidente: 1) perché si stenta ad accettare il principio
di sottomissione dei discendenti ai supposti firmatari del patto, dato che essi, pur avendo ereditato
il territorio non possono ritenersi legati, ab aeterno, alla volontà degli avi; 2) perché si stenta ad
identificare la volontà della maggioranza con la volontà generale, a causa del presupposto,
piuttosto sofistico, che si voterebbe tutti per verificare l’esistenza di una volontà popolare,
generale, e non, invece la consistenza numerica di una maggioranza e di una minoranza intorno ad
un certo argomento. Senza considerare l’osservazione relativa alla mancanza di seri elementi di
giudizio intorno all’oggetto della deliberazione.
Sull’argomento, più che il pensiero di Aristotele e del Rousseau, sembrerebbe più appropriato
quello di Platone il quale afferma che: “ E’ piuttosto la maggioranza che non comprende nulla, che
non ha sentimenti ed opinioni proprie, e che non fa che cantare quello che i politicanti proclamano”.
(-Vds Gaspare Ambrosini, Sistemi elettorali, ed. Sansoni, 1946, pag.11-).
Come si può constatare, il problema in esame si trascina da secoli!
La necessità di accettare il principio maggioritario, ai fini della funzionalità del sistema
associativo, mette ancor più in evidenza l’altra imprescindibile necessità di tutelare le esigenze
della minoranza o delle minoranze, certamente deluse dall’esito della votazione, il cui limite di
accettazione è dato dalla soglia di compatibilità con i vantaggi offerti dalla convivenza, superata la
quale si pone il problema della separazione pacifica o rivoluzionaria dalla Comunità stessa.
Tanto più, poi, quando in un sistema maggioritario assoluto (metà più uno dei votanti) si possono
configurare minoranze del 49 per cento di fronte a maggioranze del solo 51 per cento!
L’ingiustizia risulta ancora più patente in un sistema di maggioranza relativa (in cui vince la lista
che in concorrenza con le altre riesce ad ottenere il maggior numero di voti) ove si può arrivare al
paradosso che la lista vincente ottenga un numero di consensi inferiore alla somma dei dissensi
riportata dalle liste minoritarie (come nel caso di tre liste concorrenti, su di un totale di cento
votanti, di cui la prima ottiene 40 voti, mentre la seconda e la terza, con 30 voti ciascuno,
totalizzano insieme 60 voti, cioè addirittura più della meta dei votanti!).
In definitiva, per non entrare in ulteriori considerazioni, si rende comunque necessario elaborare
un sistema di elezione che, pur riconoscendo alla maggioranza il legittimo diritto di governare,
assicuri la massima tutela della minoranza.
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Si osserva ancora che mentre l’applicazione del principio maggioritario assoluto è ineludibile per
un collegio con funzione deliberativa, come nel caso di un tribunale chiamato a pronunciarsi sulla
colpevolezza o innocenza di un imputato, oppure di una commissione d’esame che debba decidere
sul voto da dare a un candidato, per un corpo elettorale chiamato a conferire deleghe
rappresentative di potere ai membri di una assemblea, l’applicazione di tale principio sarebbe
illogica e prevaricatoria in quanto l’assemblea che si costituisce potrà sempre deliberare con una
maggioranza che decide e una minoranza che controlla, critica, denuncia l’operato della
maggioranza, con possibilità propositive di miglioramento o di modifica dei progetti sottoposti
all’approvazione. Anzi, in tal modo, è solo dal risultato complessivo ed omogeneo del dibattito di
opposte tesi che possono scaturire leggi rispondenti all’interesse dell’intera collettività.
Come si può constatare, “nella storia dello Stato moderno, dalla rivoluzione francese in poi, il
sistema elettorale non si identifica tuttavia strictu sensu unicamente con il metodo stabilito per
l’assegnazione dei singoli mandati negli organi rappresentativi, politici e amministrativi, poiché
esso è condizionato e caratterizzato da tutta una serie di presupposti che lo qualificano in ordine alla
composizione del corpo elettorale ed alla circoscrizione delle singole unità elettorali. La legge
elettorale politica fu così, fin dagli inizi degli ordinamenti rappresentativi, accanto alla Costituzione,
la legge fondamentale dello Stato e prefigurava, nel carattere delle sue norme, il carattere e lo
spirito di tutto l’ordinamento statale.” Essa, le legge elettorale, secondo Cormenin (– La vie des
orateurs – Libro degli oratori – 18° ed. Parigi, 1869, Tomo 1°, pag. 332, riportato a pag. 438 del
Nuovissimo Digesto Italiano, UTET, ed. 1957 –) è la loi matrice: “La constitution est la société au
repos; la loi électoral est la societé en marche . Ditez-moi quels sont vos électeurs, et je vous dirai
quel est votre gouvernement ». Il pensiero di Cormenin, scritto più di cento anni fa, è ancora
attualissimo: La Costituzione è la Società in riposo, perché si è già data delle regole; ma con la
legge elettorale si rimette in marcia, perché si pone gli obiettivi del futuro, mediante la scelta delle
persone che si ritiene siano idonee a realizzarle. Ditemi quali sono i vostri elettori ed io vi dirò
quale è il vostro governo.
E’ come dire che ciascun popolo ha i governanti che si merita.
Per sistema elettorale si intende l’insieme delle norme tecnico-giuridiche che disciplinano le
modalità con cui si svolgono le elezioni, dal momento della presentazione della candidature fino
alla proclamazione degli eletti.
La circoscrizione elettorale è l’ambito territoriale entro il quale il corpo elettorale, -cioè l’insieme
degli elettori di quella circoscrizione-, viene chiamato a scegliere il partito, la persona o le persone
tra i candidati che ritiene idonei a svolgere il mandato politico.
La circoscrizione elettorale può essere uninominale, se il corpo elettorale viene chiamato ad
eleggere un solo candidato destinato ad occupare l’unico seggio assegnato in quell’ambito
territoriale, oppure plurinominale, se il corpo elettorale è chiamato ad eleggere due o più candidati
destinati ad occupare i seggi assegnati a quel territorio).
Il collegio unico nazionale è costituito da tutto il territorio dello Stato, pertanto non necessita che il
corpo elettorale venga frazionato in varie circoscrizioni: il voto viene espresso su liste di candidati
concorrenti per l’assegnazione dei posti disponibili, in numero predeterminato.
Nel caso di elezioni politiche, poiché ciascun eletto rappresenterà in Parlamento tutta la Nazione,
sarebbe più logico costituire un collegio unico, dato che i candidati non sono portatori di interessi
locali; a causa, però, della difficoltà di realizzare un mega-collegio, si preferisce dividere il
territorio in diverse circoscrizioni, con ulteriore possibilità di suddividerle in Collegi, ai quali il
numero dei seggi vanno assegnati in relazione alla popolazione residente, come risulta dall’ultimo
censimento ISTAT.
Il sistema uninominale, maggioritario puro, è il più semplice: si vota e riuscirà vincitore colui che
avrà riportato il maggior numero di voti. Si intuisce subito, però, che tale sistema penalizza le
minoranze e sopprime il principio democratico della uguaglianza delle persone, in quanto il voto
minoritario sarebbe un semplice “flatus vocis”, un soffio di voce senza alcun valore; anche se è
vero che un partito risultato minoritario in una circoscrizione potrebbero risultare maggioritario in
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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altra circoscrizione. Ma il criterio della “compensazione” lascia, comunque, insoddisfatti in
quanto, nel complesso, la volontà popolare non viene mai adeguatamente rappresentata.
Per converso, il sistema plurinominale con scrutinio di lista -maggioritario puro-, presuppone una
circoscrizione territoriale tanto ampia da non permettere all’elettore di avere conoscenza diretta
dei candidati; con tale sistema egli non ha nemmeno la possibilità di esprimere un voto di
preferenza per i candidati compresi nella lista che
intende votare: votando la lista,
automaticamente vota tutti i candidati che ne fanno parte, anche se non li conosce o, addirittura, se
qualcuno tra questi non gode della sua fiducia. Ciò comporta che l’elettore è costretto ad affidarsi
alle scelte già decise da un comitato elettorale, cioè da quel gruppo di potere che intende
promuovere la scelta di propri uomini per interessi che, spesso, non collimano con gli interessi
della Comunità Nazionale.
Questo sistema dell’”asso piglia tutto” stava per suscitare una guerra civile in Svizzera allorché, in
seguito al risultato delle elezioni del 22 Agosto 1864, tutti i seggi furono attribuiti alla
maggioranza, provocando il rifiuto totale della minoranza di accettare l’ iniquo risultato.
In seguito a questi fatti, si costituì a Ginevra “L’Associazione riformista di Ginevra” – Association
Riformiste de Génève, il cui maggiore assertore fu il filosofo Ernest Naville, allo scopo di ricercare
ed elaborare un sistema elettorale che rispondesse al seguente canone democratico:
“Rappresentanza di tutti, governo della maggioranza”.
Il dogma del principio maggioritario, dopo qualche millennio, aveva perso la sua sacralità!
E si affermava il principio proporzionale in forza del quale ciascun gruppo politico doveva avere
nelle assemblee un numero di rappresentanti proporzionale ai voti riportati.
L’applicazione del principio proporzionale può avvenire sulla base dei voti dati ad un determinato
candidato oppure sulla base di un voto dato ad una lista dove sono indicati, in ordine di preferenza,
i nominativi dei candidati scelti dal comitato elettorale del partito cui essi appartengono.
Anche il principio proporzionale è stato oggetto di svariate critiche, perché mentre gli si attribuisce
il pregio della tutela delle minoranze, gli si contesta il difetto dello svigorimento della maggioranza
se non, addirittura, la disgregazione della maggioranza stessa in una frantumazione di
innumerevoli, piccoli partiti.
In Italia, nel periodo della cosiddetta “prima repubblica”, è stato applicato il principio
proporzionale; successivamente, con leggi 4 Agosto 1993 nn. 276 e 277, è stato introdotto un
sistema maggioritario, corretto da una quota proporzionale ( nelle due Camere, il 75% dei seggi
assegnato con il sistema maggioritario ed il restante 25% con il sistema proporzionale).
Trattasi della adozione di un sistema misto, con rilevante connotato maggioritario, tendente a
polarizzare l’attenzione sul programma di un capo capace di assommare ed amalgamare i vari
indirizzi politici ed ideologici dei partiti di una coalizione (cartello politico) in modo da poter
ottenere, in caso di vittoria, un governo autorevole, destinato a durare per una intera legislatura.
Si sperava che con questo sistema si potesse limitare il numero dei partiti: si è assistito, invece,
alla nascita di ben quarantacinque partiti, parecchi dei quali non raggiungono nemmeno l’uno per
cento del consenso elettorale e la maggior parte nemmeno il cinque per cento della composizione
numerica sia della Camera sia del Senato. (vds. Stato della Costituzione, pag. 218, a cura di Guido
Neppi Modona, Il Saggiatore, Milano 1998).
A questo punto è evidente che si impone la necessità di trovare altre soluzioni partendo, comunque,
dal presupposto che quando si parla di tutela delle minoranze devono intendersi quelle qualificate
da un programma o da una ideologia e che abbiano un apprezzabile seguito nell’elettorato;
minoranze esigue possono definirsi tutt’al più “fazioni o consorterie” con presupposti ideologici
spesso evanescenti o utopistici, oppure con imitazioni di ideologie o indirizzi politici di partiti
consolidati o, ancora peggio, associazioni a conduzione familiare aventi l’unico scopo di lucrare
ogni possibile contributo pubblico. Non siamo qui, dunque, nella ipotesi di minoranze in senso
tecnico-politico ma di gruppuscoli i quali, per il solo fatto di essere riusciti ad arraffare un seggio
in Parlamento, acquisiscono il diritto di ottenere il contributo statale e spesso svolgono attività
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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ricattatoria nei confronti dei partiti maggiori, specialmente quando il governo in carica si regge
solo con il consenso di una esigua maggioranza parlamentare.
Per cercare di arginare tale fenomeno, sarebbe opportuno nel proporzionale elevare la soglia di
sbarramento all’otto per cento nelle le elezioni nazionali, al sei per cento nelle regionali e al
quattro per cento nelle comunali. Nel tentativo, poi, di evitare azioni di ricatto da parte dei piccoli
partiti della stessa coalizione maggioritaria, il premio di maggioranza dovrebbe essere attribuito
solo al partito egemone, così da assicurargli un numero di seggi sufficiente a governare con una
certa stabilità.
Sarebbe opportuno, inoltre, conferire personalità giuridica di diritto privato ai partiti e, in senso
lato, a tutte le associazioni politiche. Sul punto, purtroppo, l’articolo quarantanove della vigente
Costituzione si limita ad affermare che: “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in
partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ed è proprio a
causa di tale carenza legislativa che la magistratura è stata costretta a definire, nel modo più
realistico possibile, la natura giuridica del partito politico: una “associazione non riconosciuta
”(Cass. sent. n.486 del 24 marzo 1956); la Pretura di Roma, con ordinanza del 13 maggio 1963, ha
chiarito che i partiti politici “a differenza delle associazioni rivestite di personalità giuridica, non
sono configurabili come soggetti autonomi di diritto e non sono, quindi, provvisti di personalità
giuridica”;
Da sottolineare che il Codice del 1865 non contemplava l’esistenza di associazioni o comitati di
fatto per cui tutte le forme associative erano obbligate ad assumere la personalità giuridica.
Come scrive Francesco Leoni nella “Storia dei partiti politici italiani” – Ed.Ist.Ed. del
Mediterraneo,1966, pag.281: “E’ evidente che il peso del partito politico, come strumento
determinante nella vita sociale, è rilevante ovunque. Ma proprio questa massiccia incidenza nella
evoluzione della politica nazionale porta al paradosso che esso viene considerato non come un
fenomeno giuridicamente rilevante ma piuttosto come una mera manifestazione sociale, in senso
lato, in grado di interessare il legislatore solo di riflesso, addirittura marginalmente”
Paradossalmente, tale deminutio non offende i partiti, ben lieti anzi di essere definiti come una
qualsiasi squadra calcistica di borgata e di condividere con i sindacati la pretesa di non essere
assoggettati al benché minimo controllo, nella più completa libertà di azione che assicuri al
proprio apparato dirigenziale la massima discrezionalità nella designazione dei candidati alle
varie tornate elettorali e di disporre, in modo incontrollato, delle risorse finanziarie elargite dallo
Stato.
Visti dalla parte dei cittadini, si ha l’esatta percezione che i gruppi dirigenti dei partiti si siano
costituiti in oligarchie, preoccupati di perpetuare se stessi e di ostacolare qualsiasi tentativo di
ricambio sia generazionale che di struttura organizzativa.
Ed è per questo ed altri motivi che l’Ipotesi prevede l’obbligatorietà dell’acquisto della personalità
giuridica di diritto privato da parte dei gruppi politici che intendano concorrere alle competizioni
elettorali; sarebbe necessario, inoltre, che la personalità giuridica risultasse acquisita almeno un
anno prima della data fissata per le competizioni elettorali, così da permettere agli elettori di
elaborare un giudizio sul programma del gruppo politico e sulla capacità morale e culturale degli
uomini che si propongono di attuarlo.
E’ indispensabile, poi, una comprensibile normativa circa le modalità con cui vanno pubblicizzati i
finanziamenti o altri mezzi di qualsiasi natura pervenuti nella disponibilità del gruppo politico e la
documentazione del loro impiego; con la previsione di adeguate sanzioni penali, civili e
amministrative in caso di violazione di tali obblighi.
47) Le petizioni, l’iniziativa legislativa, i referendum, espressioni delle sovranità popolare, sono
inquadrati dall’Ipotesi nell’ambito dei diritti fondamentali, inderogabili.
La petizione si concretizza nel diritto di qualsiasi cittadino, anche non elettore, di avanzare al
Parlamento delle proposte, formulate per iscritto, anche in modo semplicemente discorsivo e perciò
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senza alcuna formalità procedurale, perché prenda in considerazione determinati problemi o
necessità largamente sentite della Comunità Sociale e, se del caso, li trasformi in proposte di legge.
Anche l’iniziativa legislativa concretizza una forma di democrazia diretta, ma, a differenza della
petizione, va formulata mediante una proposta, avanzata da non meno di cinquantamila elettori
(non semplici cittadini), redatta in articoli ed accompagnata da una relazione che ne illustri
l’importanza.
La forma più incisiva di manifestazione della sovranità popolare è il referendum: di natura
costituzionale, se riguarda norme costituzionali; semplicemente legislativo, se si riferisce a leggi
ordinarie; obbligatorio, quando la sua indizione è prevista obbligatoriamente dalla Costituzione;
facoltativo, quando può essere richiesto o meno da un certo numero di elettori; costitutivo, se viene
indetto prima che la legge sia entrata in vigore; abrogativo, se si prefigge di abrogare una legge
già in vigore.
In regime democratico l’istituto del referendum è di fondamentale importanza perché permette al
Popolo di esercitare direttamente quella sovranità di cui esso solo è titolare: sia per esprimere la
propria opinione su questioni di coscienza, come il divorzio, l’aborto, la fecondazione artificiale o
le ricerche sull’embrione; oppure, per esprimere la propria opinione specialmente su
provvedimenti, smaccatamente deliberati all’unanimità dai parlamentari.
E’ sul presupposto di tale, primigenia sovranità popolare che l’Ipotesi esplicitamente introduce la
possibilità di indizione di referendum popolare, per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di
una legge o di atti aventi valore di legge, relativi a tutti gli aspetti, diretti e indiretti, del
trattamento economico e previdenziale dei componenti le assemblee politiche.
L’approvazione di tale norma si rende necessaria e urgente, tenuto conto della sordità morale di
una casta la quale, avendo occupato i gangli vitali del Paese si è organizzata in un regime feudale
che dal 1965 al 2006 ha portato il debito pubblico dal 35,02% al 106,80% per un importo
complessivo di tremilamiliardiduecentomilamilioni delle vecchie lire; al momento attuale un
governo composto da centodue membri costa al contribuente italiano due milioni di euro al mese
pari a quattro miliardi delle vecchie lire, mentre la tassazione diretta ha raggiunto il 42,3%.
In tale situazione risulta offensivo che la riduzione dei posti di lavoro, il taglio dei salari e degli
stipendi debbano subirla democraticamente(!) i lavoratori dipendenti, mentre, al contrario, la
classe politica raddoppia i propri organici e ne aumenta gli emolumenti.
E allora torna legittimo chiedersi se l’attività del politico sia una professione (una volta
denominata “missione”) o se, invece, non sia un mestiere da capitano di ventura.
“Heri dicebamus sed peius cras”; ieri lo dicevamo, ma sarà peggio domani. Lo dicevamo per
bocca dei filosofi duemilacinquecento anni fa, e se ancora oggi siamo costretti a dirlo per bocca di
una sparuta minoranza intellettuale, domani sarà certamente peggio. Purtroppo si deve prendere
atto che in 2500 anni la natura umana non è cambiata; anzi, sotto l’aspetto degli appetiti materiali,
che crescono in modo esponenziale per effetto del progresso, si può dire che si è ulteriormente
incanaglita. Anche Sant’Agostino aveva bollato i regni (potere) definendoli “magna latrocinia”.
Tale fatti, osceni sul piano morale, costringono a riflettere sulla organizzazione politica
dell’attuale forma di democrazia, certamente poco matura e ancora in cerca di un “assestamento”
che possa, se non proprio impedire, almeno arginare tali saccheggi.
Nell’attesa che tale maturità si realizzi ma che nell’assetto attuale dei partiti politici risulta
utopistica, ci si può limitare ad ipotizzare una organizzazione politico-amministrativa tecnicamente
più consona alle moderne funzioni dello Stato, più selezionata e snellita a tutti i livelli di governo
della cosa pubblica. Riforma strutturale a costo zero che avrebbe il vantaggio di “decantare” e
selezionare la cosiddetta classe politica pervasa da un delirio predatorio ormai da decenni elevato
a sistema di vita.
48). I Parlamenti sono nati per porre un freno agli arbitrari prelievi fiscali cui era sottoposto il
Popolo da parte del re, mentre ne erano esentati le altre due classi: il clero e la nobiltà.
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L’obbligatorietà della prestazione tributaria trova la sua giustificazione, morale e giuridica, nella
imprescindibile necessità dello Stato e degli altri Enti pubblici di procurarsi i mezzi necessari ad
attuare i compiti istituzionali: difesa contro i nemici esterni, sicurezza all’interno, istruzione,
giustizia, lavori pubblici, sanità, ricerca scientifica; compiti che sono andati mano a mano
ampliandosi con l’aumento del benessere e lo sviluppo tecnologico.
La giustificazione del prelievo subisce però un forte pregiudizio tutte le volte che il contribuente
avverte che le risorse finanziarie non vengono impiegate con quella doverosa oculatezza che si ha
il diritto di pretendere; avviene così che alla penosità dell’esborso si aggiunge l’offesa dell’abuso;
la sensazione che le risorse disponibili possano essere impunemente disperse in mille rivoli o,
addirittura sperperate, genera nell’animo del contribuente la convinzione che lo “stato di diritto”
proclamato dalla Costituzione, con i suoi corollari di pari dignità sociale e di uguaglianza, non
trovi adeguata attuazione nella realtà; il contribuente si chiede allora se non si ritrovi a vivere in
un regime assolutistico, addirittura feudale, sia pure ammantato di una parvenza di legalità.
Per cercare di arginare, per quanto possibile, tale stato di cose si rende necessaria una normativa
costituzionale che ponga dei limiti al prelievo fiscale e, nel contempo, richiami la classe politica al
dovere di una oculata gestione delle risorse. Tali intenti cerca di perseguire l’Ipotesi mediante una
norma che ponga un limite alle aliquote fiscali, così da non gravare gli abbienti oltre i limiti della
capacità contributiva, e vieti di tassare i redditi appena sufficienti a garantire il “minimo vitale di
esistenza”.
Comunque, è doveroso precisare che nell’obbligazione tributaria, oltre alla giustificazione di
sopperire ai bisogni della Comunità, sono sottese altre due giustificazioni: la prima, di natura
solidaristica, in quanto le risorse servono anche a coprire il costo dei servizi sociali assicurati ai
meno abbienti, la seconda, di natura restitutoria, perché, se è vero che per la maggior parte dei
contribuenti il reddito prodotto è il frutto di sforzi e sacrifici, fisici e psichici, materiali e
intellettuali, è altrettanto vero che i risultati di tale impegno sono fortemente sorretti
dall’organizzazione sociale, politica e giuridica della Comunità.
In sintesi, tutto l’ambiente naturale ed intellettuale, tutta la civiltà ed il progresso in cui la persona
si trova immersa “concorre” a sviluppare e potenziare, direttamente o indirettamente, quelle
attitudini che le permettono di svolgere un’attività che in altre circostanze di tempo e di luogo non
avrebbe potuto dispiegare in pieno.
Per sistema tributario si intende un insieme armonico e razionale di norme giuridiche che regolano
le modalità di accertamento di un tributo (individuazione del soggetto passivo d’imposta e l’oggetto
dell’imposta), le modalità della liquidazione del tributo (precisazione del suo esatto ammontare
pecuniario) e della sua riscossione.
E poiché il sistema tributario, come sopra sinteticamente delineato, deve essere realizzato con
criteri di progressività, il prelievo va effettuato con aliquote proporzionalmente crescenti per ogni
livello (o scaglione) di reddito accertato. Ma fino a quando la progressività dell’imposta potrà
avere una giustificazione, oltre che giuridica e morale anche economica?Non certo una
progressività che possa spingersi al limite del cento per cento del reddito, perché non solo
assumerebbe un connotato vessatorio ma toglierebbe anche ogni incentivo alla produzione.
Bisogna, quindi, che la politica tributaria sappia bene coniugare il criterio della capacità
contributiva con la progressività delle aliquote, in modo da evitare che la pretesa non risulti
giuridicamente scorretta e moralmente carente; nello stesso tempo, la politica della spesa dovrebbe
essere improntata al massimo rigore nell’impiego delle risorse disponibili: perciò va respinto
l’assioma in base al quale nel diritto pubblico è la spesa che giustifica l’entrata ed orientarsi
invece verso i canoni dell’economia domestica ove, secondo i criteri di un buon padre di famiglia, è
l’entrata che giustifica la spesa.
Ora, se si tiene presente che la montagna di debito pubblico, che la Comunità nazionale si trascina
da decenni come una palla al piede, risulta ormai superiore al prodotto interno lordo di un anno di
lavoro della parte attiva della popolazione italiana, si deve concludere che la cosiddetta classe
politica ha governato solo nel proprio interesse.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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E’ evidente, dunque, che il lupo non ha perso il pelo e nemmeno il vizio, per cui si deduce che la
seconda repubblica ha perseverato negli stessi errori della prima; anche perché molti protagonisti
di quella sono ancora in prima fila o comprimari sulla scena politica nazionale. Così, in attesa di
una nuova generazione politica, ispirata a motivazioni morali più elevate e dotata di forza
intellettuale superiore alle precedenti, è bene cautelarsi, se non altro per non perpetuare quel clima
di irresponsabile licenza di spesa che sta conducendo il Paese alla bancarotta.
Per questi motivi i criteri di capacità contributiva e di progressività del sistema tributario
andrebbero integrati con una norma che stabilisse un prelievo complessivo, a favore degli Enti
impositori: Stato, Regione e Comuni (l’Ipotesi auspica la soppressione della Provincia), non
superiore al trenta per cento del reddito netto, tassabile; lasciando aperta la possibilità di un
maggior prelievo solo in casi eccezionali, dovuti a calamità naturali o avvenimenti internazionali
di grave pericolo per la Comunità e rimanendo salvo il principio dello assoggettamento ad aliquote
speciali dei profitti realizzati in operazioni finanziarie puramente speculative.
Per quanto riguarda l’imposizione indiretta sui trasferimenti e sui consumi l’Ipotesi formula una
norma programmatica (di indirizzo) con cui raccomanda al legislatore di esentare dalla tassazione
i beni vitali dell’esistenza.
Si coglie l’occasione per ricordare che con la riforma fiscale degli anni ’70 mentre veniva operato
il disboscamento della giungla dei tributi, che costituiva una vera e propria palla al piede per lo
sviluppo economico e sociale del Paese con l’abolizione di quattordici tributi che gravavano sui
redditi e diciassette che gravavano sulla imposizione indiretta, furono, anche, eliminati le
sovrimposte locali e le addizionali. (vds. F.Carlo Bianca – Manuale di diritto tributario – Ianusa
1978).
Purtroppo, tali sovrastrutture fiscali sono state reintrodotte nel nostro sistema tributario per cui
oggi, sotto diverse forme nominali, ci ritroviamo come allora con una legislazione fiscale poco
comprensibile, costituita non solo da imposte e tasse ma anche da contributi, addizionali e
sovrimposte, erariali e locali, tra le quali, addirittura, alcune sovraimposizioni di coloritura quasi
mafiosa, come nel caso della benzina sulla quale gravano su ogni litro ben 0,251 centesimi di euro,
pari a lire 486,110 a titolo di accise per: 1) guerra di conquista dell’Abissinia (1935); 2) crisi
economica derivante dalla chiusura del Canale di Suez (1956); 3) disastro del Vajont (1963); 4)
alluvione di Firenze (1966); 5) terremoto del Belice (1968); 6) terremoto del Friuli (1976); 7)
terremoto dell’Irpinia (1980); 8) missioni militari in Libano (1983); 9) missione militare in Bosnia
(1996); 10) rinnovo contratto autisti tram ed autobus (2004)!!.
Solo sistemi di governo allo sbando ricorrono a prelevamenti fiscali così smaccatamente
prevaricatori!
49) L’obbligo di osservanza delle leggi è rivolto a chiunque si trovi nel territorio dello Stato, per
cui se in Italia non è permesso frequentare luoghi pubblici con il volto coperto lo straniero che
intenda soggiornare nel nostro territorio deve sottostare a tale regola, allo stesso modo come nei
Paesi islamici è proibito consumare bevande alcoliche e, per le donne, di mostrarsi in pubblico con
il capo scoperto.
Ai cittadini, oltre al rispetto formale delle leggi si aggiunge l’obbligo della fedeltà, che deriva
dalla condivisione morale, e perciò intima, di un certo modo di concepire il vivere comune, gli usi e
i costumi, le regole che essi stessi, direttamente o indirettamente, hanno concorso e concorrono ad
elaborare ed adottare mediante le scelte politiche, le iniziative legislative, i referendum, i
movimenti di opinione.
Il principio di uguaglianza e di pari opportunità tra i cittadini viene riconfermato dall’Ipotesi che
disciplina l’accesso agli Uffici pubblici, per concorso o per elezione.
La norma costituzionale detta una riserva di legge nazionale, onde evitare che gli organi
amministrativi interessati, statali, regionali o comunali, possano introdurre nei bandi di concorso
condizioni o requisiti limitativi di partecipazione che, in pratica, potrebbero creare disparità tra i
concorrenti.
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Per i cittadini, cui sono affidate cariche pubbliche, burocratiche o elettive, al dovere di osservanza
della Costituzione e dell’ordinamento giuridico dello Stato, si assomma l’ulteriore dovere di
svolgere i loro compiti con disciplina ed onore e di prestare giuramento.
Alle cariche burocratiche o elettive possono accedere anche gli italiani privi dello status di
cittadini se perduto a causa della cessione di terre italiane ad altri Stati, e, a maggior ragione,
anche gli emigranti che hanno conservato la cittadinanza italiana.
All’ elettorato attivo – capacità di eleggere i rappresentanti del Popolo – si interfaccia l’elettorato
passivo – capacità di essere eletto-.
A prescindere dall’assetto costituzionale vigente e dal diverso modello che verrà illustrato nella
Seconda Parte di questa Ipotesi, i requisiti attivi e passivi devono sussistere, con carattere di
uniformità, in tutti i livelli di competizione elettorale: comunale, regionale, statale.
E allo stesso modo, comuni ed uniformi devono essere le cause che possano escludere la capacità
di elettorato o condizionarla.
Le cause che possono escludere o condizionare la capacità di elettorato passivo riguardano: la
ineleggibilità, che colpisce, addirittura con la nullità della elezione, le persone che rivestono
cariche pubbliche, espressamente elencate dalla legge, per evitare che il candidato possa servirsi
della propria posizione privilegiata e sfruttarla a danno degli altri concorrenti (maggiore visibilità,
possibilità di servirsi degli uffici alla proprie dipendenze), o possa condizionare la volontà degli
elettori per i vantaggi o i danni che possono loro procurare.
A causa della vigente legislazione, piuttosto permissiva, che rende l’istituto quasi inoperante, nella
Seconda Parte di questa Ipotesi vengono avanzate in materia soluzioni diverse, più restrittive.
La incompatibilità riguarda il divieto di svolgere contemporaneamente più uffici.
Le cause di incandidabilità per indegnità, colpiscono, invece, le persone che hanno riportato
condanne o che sono sottoposte a procedimenti penali o a misure di prevenzione per reati di
stampo mafioso; coloro che, in veste di pubblici ufficiali, hanno riportato condanne, anche non
definitive, per gravi delitti –peculato, concussione, corruzione-; e coloro che hanno riportato
condanna, confermata in appello, per reati comuni, dolosi, ad una pena non inferiore a due anni.
50) Patria, terra dei Padri.
Tutti i cittadini sono tenuti alla difesa della Patria, che non risulta definita soltanto dall’elemento
territoriale, ma dall’insieme di quei valori morali, culturali, religiosi, storici, di usi e di costumi
che convergono in un “idem sentire”, in un medesimo modo di vivere e di condividere tali valori,
compresi nell’unico concetto di Nazionalità.
In una interpretazione più moderna, oggi si tende ad identificare la Patria nella Comunità
Universale, concetto che permette di superare le barriere dell’ignoranza e dell’egoismo ed in grado
di amalgamare tutti i contenuti positivi delle varie Nazionalità. Questo moderno concetto di Patria,
potenzialmente idoneo ad affratellare tutti i Popoli e gli uomini di “buona volontà”, stenta ad
essere percepito come valore, idoneo a disinnescare i conflitti di cui l’Umanità soffre da millenni.
L’Italia si trova già su questa strada, con il ripudio della guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri Popoli e come mezzo di risoluzione della controversie internazionali, tanto che
ha posto lo strumento militare nell’ottica di pura difesa, riservando la propria partecipazione alle
azioni militari nell’ambito della polizia internazionale dei diritti dell’uomo o di semplice
peacekeeping – mantenimento della pace -, in cooperazione con gli altri Paesi della NATO, oppure
alla collaborazione con le organizzazioni internazionali del volontariato e per lo sviluppo delle
economie e culture nei Paesi deficitari.
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PARTE SECONDA
Il PARLAMENTO
51\53) La seconda parte di questa Ipotesi è dedicata all’ordinamento politico della Comunità
Nazionale, cioè alla costruzione di un modello razionale degli Organi di una Entità denominata
Stato ed al modo con cui tali Organi si relazionano tra di loro, con le altre Entità pubbliche e
private e con i cittadini; tenendo presente che lo Stato, quale proiezione organizzata della
Comunità Nazionale, per godere della legittimazione da questa conferitagli, non può prescindere
dal rispetto sacrale dei principi fondamentali e dagli orientamenti delineati nella Prima Parte della
Ipotesi e non deve mai porsi al di sopra e al di fuori della Comunità stessa.
Nella organizzazione politico-giuridica dello Stato, il primo di questi Organi costituzionali è il
Parlamento, cui è demandato l’esercizio del Potere legislativo; il Parlamento è la fabbrica delle
regole di condotta che permettono, se condivise e osservate, di vivere in pace.
I Parlamenti non sono una invenzione dell’età moderna ma affondano le radici della loro esistenza
fin nella società feudale, i cui molteplici centri di potere, fondati sui diritti e doveri reciproci dei
vassalli, valvassini, valvassori e degli ecclesiastici, si contrapponevano alle pretese del sovrano
allorché questi, contravvenendo al patto di vassallaggio, chiedeva maggiori prestazioni rispetto a
quelli concordati nel contratto feudale; perciò, tutte le volte che il sovrano intendeva ottenere il
consenso a prestazioni che esorbitavano dal contratto doveva convocare l’alta nobiltà e il clero;
nel tempo, furono convocate anche le classi della bassa nobiltà e della comunità degli uomini
liberi, mano a mano che queste acquistavano coscienza della loro forza; la plebe, che non era
Popolo qualificato, rimaneva esclusa dalle convocazioni, anche se poi, in definitiva, era quella
chiamata a reggere il peso degli impegni assunti.
Tali assemblee furono denominate Stati Generali in Francia, Cortes in Spagna, Stamenti in
Sardegna, Parlamenti a Napoli e in Sicilia; quindi, il termine Parlamento, che risponde del resto
all’etimologia della parola, fu per la prima volta correttamente usato a Napoli e in Sicilia, per poi
essere adottato in successive epoche da altri Paesi.
I membri che componevano i parlamenti rispondevano soltanto sulle questioni poste dai sovrani e
potevano assentire o meno alle richieste in obbedienza al mandato, vincolante, ricevuto dalle loro
Comunità e dal quale non potevano discostarsi.
E’ da osservare che i parlamenti medievali a cominciare dal secolo XVI, videro scemare
grandemente la loro forza contrattuale, fino a scomparire con l’affermarsi della egemonia delle
monarchie assolute: gli Stati Generali in Francia, erano stati convocati nel lontano 1614 prima di
essere riuniti da Luigi XVI nel 1789, anno in cui ebbe inizio la rivoluzione francese; in Spagna, le
Cortes erano state eliminate da Carlo V fin dal 1522; in Sardegna, la loro sparizione si verificò
poco dopo il 1560; solo in Sicilia, il Parlamento sopravvisse fino agli inizi del secolo XIX,
scomparendo ufficialmente nel 1812.
In via generale, il Parlamento può risultare costituito da una o due Camere.
La composizione del parlamento medievale era costituita da una sola Camera ed aveva finalità
puramente consultive, in quanto la sede dell’autorità, per “volontà di Dio”, risiedeva soltanto
nella persona del re.
In Inghilterra, essendosi affermato il principio duale dell’autorità, vennero istituite due Camere: la
prima dei Lords, temporale e spirituale ( dei nobili e degli ecclesiastici), la seconda dei Comuni,
rappresentanti delle Contee e dei Borghi.
Nell’Europa continentale, in seguito alla rivoluzione del 1789, risorse il Parlamento francese in
forma unicamerale, eletto a suffragio universale e denominato Assemblea Nazionale.
In America, il primo parlamento, organizzato in forma bicamerale, fu quello della Federazione
Nord-Americana del 1787, denominato Congresso degli Stati Uniti e formato dalla Camera dei
Rappresentanti del Popolo e dal Senato, ove i singoli Stati avevano due rappresentanti ciascuno, a
prescindere dal numero della loro popolazione.
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101
Il sistema bicamerale si definisce “imperfetto” allorché una Camera viene collocata su di un piano
inferiore rispetto all’altra, essendo il suo potere legislativo limitato a determinate materie; ovvero
addirittura privata del potere deliberante, potendo esprimere semplicemente delle opinioni o il suo
dissenso, peraltro con effetto sospensivo limitato ad un certo numero di giorni, trascorsi i quali la
legge si considera approvata con la sola manifestazione di volontà della prima Camera; si
definisce perfetto allorché le due Camere risultino poste sullo stesso piano, sia per quanto riguarda
le attribuzioni quantitative che quelle qualitative di potere, anche se possa esistere qualche
differenza sul modo di elezione dei rispettivi membri, cioè limitando nella seconda Camera
l’elettorato attivo a coloro che abbiano compiuto i quaranta anni di età e l’elettorato passivo a
coloro che abbiano compiuto i cinquanta anni di età, oppure adottando un sistema elettorale a base
regionale; nel sistema bicamerale perfetto le due Assemblee vengano dotate, l’una nei confronti
dell’altra, di completa indipendenza e, ancor più, nei confronti degli altri poteri, specialmente,
dell’Esecutivo, che per avere in mano le leve dello Stato (forze armate, polizia), in certe circostanze
potrebbe essere tentato di prevaricare sulla sovranità del Parlamento.
Il Parlamento, inoltre, viene circondato da particolari guarentigie che gli consentono di
organizzarsi mediante regolamenti propri (interna corporis), di non rispondere dei propri atti ad
alcuna autorità esterna, di godere di autonomia finanziaria; inoltre, la convalida della elezione dei
propri membri spetta alle rispettive Camere di appartenenza; e ancora, i suoi membri non
rispondono in sede penale, civile e amministrativa delle opinioni espresse o i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni; né possono essere sottoposti a procedimento penale, all’arresto o a qualsiasi
altro provvedimento di polizia che si concretizzi nella restrizione della libertà personale, se non
dietro autorizzazione della Camera cui il parlamentare appartiene. A tutto ciò si aggiunga una
speciale immunità territoriale per cui nei luoghi in cui operano le Camere le forze di polizia non
hanno accesso se non sono espressamente richiesti dai rispettivi presidenti.
Le grandi rivoluzioni nell’Europa Continentale si hanno nel 1848 per effetto di una sempre
maggiore presa di coscienza della borghesia intellettuale e imprenditoriale del proprio ruolo, che
necessitava di una maggiore libertà ed autonomia.
Le incertezze, le paure che ossessionavano i regnanti di quel tempo sono descritte da Indro
Montanelli nel volume quinto della sua Storia d’Italia (Ed. spec. Corriere della Sera, 2004, Rizzoli,
1972, RCS Libri S.P.A. 1998, Milano). In seguito ai moti rivoluzionari, Luigi Filippo, re di
Francia, lasciava il paese e fuggiva in Inghilterra. “ Alla notizia della caduta di Luigi Filippo,
Metternich svenne, e ne aveva buoni motivi. Conosceva per esperienza la fondatezza del vecchio
detto: Quando Parigi prende il raffreddore l’Europa starnuta - e la conferma gli giunse
immediatamente dalla Germania.(pag. 148, vol. citato)” ove si sollevò subito una rivolta per
reclamare “un mutamento dei principi cui fino ad allora il regime si era ispirato”. Metternich, che
da oltre trent’anni era stato l’arbitro dell’Europa, fu costretto a dimettersi. E caduto Metternich
rovinava anche la vecchia Europa.
In Italia, i primi ad accorgersi della rovina della vecchia Europa furono i veneziani, i quali
insorsero, scrive Montanelli “facendo un gran falò di tutti i suoi ritratti (di Metternich), poi
assaltando le prigioni e liberando a forza Daniele Manin e Niccolò Tommaseo…” “ L’Italia era in
subbuglio da due mesi, da quando la rivolta aveva trionfato a Palermo e Ferdinando aveva concesso
la Costituzione. I toscani erano scesi subito in piazza per reclamarne una anche loro, e il granduca,
dopo qualche giorno di tergiversazione, l’aveva accordata”.
“Più laboriosa era stata la conversione di Carlo Alberto. Il moto partì da Genova sotto la spinta di
Mameli e Bixio, che fin dai primi dell’anno avevano preparato e fatto firmare da migliaia di
cittadini una petizione al re in cui si chiedeva la cacciata dei Gesuiti e l’istituzione di una Guardia
Civica…..”. “Carlo Alberto era sdegnato di quelle agitazioni, che ai suoi occhi avevano un
significato di sedizione. Coma scriveva Balbo: vivissimo alla indipendenza, egli era lentissimo alla
libertà e a Roberto D’Azeglio, il fratello di Massimo, aveva detto: Io voglio, come voi, la
liberazione dell’Italia e per questo, ricordatevelo, non darò mai una costituzione. Carlo Alberto si
mostrò intrattabile e se la prese con tutti. Diede del traditore a Cavour e del mestatore a D’Azeglio.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
102
Convocato, comunque, un consiglio dei ministri, tutti i componenti, ad eccezione forse di Alfieri,
erano anticostituzionali. Eppure tutti, riecheggiando Borelli, parlarono in favore della costituzione.
Non c’era scelta, dissero, o concederla o farsela strappare di mano da una rivoluzione trionfante
nell’esacrazione di tutta l’Italia…. Il re ascoltava, terreo in volto…si arrese due giorni dopo, ad un
altro consiglio dei ministri che durò sette ore. Al sacrificio (così lo chiamò) pose solo due
condizioni: che qualunque governo venisse prescelto s’impegnasse a rispettare i diritti della Chiesa
e l’onore della dinastia…”.Il documento venne denominato Statuto e non Costituzione, per
sottolineare che era stato concesso dal re di propria iniziativa, senza che il Popolo glielo avesse
strappato!
In forzata sintesi, dopo la “concessione” dello Statuto, i governi furono abbastanza omogenei:
destra conservatrice (storica) nel primo periodo (1860-1876), sinistra progressista ( in verità,
trasformista) nel secondo periodo; mentre l’estremismo rivoluzionario stava all’opposizione.
Durante la prima guerra mondiale (1914-1918) questa omogeneità andò sempre più attenuandosi
(sacrificata alla necessità di dover contare su di una certa compattezza delle forze nazionali) fino a
disgregarsi dopo l’entrata in vigore del sistema proporzionale, che favoriva la frammentazione dei
partiti (Legge 15.8.1919 n. 1401, T.U. 2.12.1919 n. 1495) per cui, venuta meno la omogeneità dei
componenti del’Esecutivo, si rese necessaria la formazione di “governi di coalizione”, formati da
membri portatori di ideologie diverse, talvolta addirittura contrastanti; tale situazione generava
nefaste conseguenze sui programmi di governo, costretti a realizzarsi su minime intese, appena
indispensabili per vivere alla giornata.
In definitiva, l’irresponsabile comportamento dei partiti politici aveva fatto sì che il sistema
parlamentare degenerasse in parlamentarismo, cioè in quell’abuso del controllo politico che il
Parlamento esercita nei confronti del Governo al solo intento di farlo cadere.
“A tale degenerazione, affermò al suo sorgere di volersi opporre il fascismo; che ricevé nel suo
sviluppo un non trascurabile apporto da una naturale reazione a tale andamento delle cose (nei soli
tre anni prima della marcia su Roma, si ebbero tre crisi di Governo!) – La Costituzione Italiana –
Bascieri, D’Espinosa, Giannattasio, pag. 247, Ed. Noccioli, Firenze, 1949.
In questo clima di grave perturbamento sociale e politico Mussolini organizzò i fasci di
combattimento (23 Marzo 1919), di cui si servì per mettere in atto la manifestazione insurrezionale
denominata “ marcia su Roma”, ed in seguito alla quale, pur essendo il suo partito in netta
minoranza alla Camera, ottenere dal re l’incarico di formare il governo..
Il primo passo, per eliminare o quantomeno imbrigliare l’andazzo del parlamentarismo, ebbe inizio
con la legge 18 novembre 1923 n. 2444, la quale stabiliva che alla lista dei candidati che avessero
ottenuto il maggior numero di voti, con un minimo del venticinque per cento del totale dei voti
stessi, sarebbero stati attribuiti i due terzi dei seggi, mentre alle minoranze sarebbe andato il resto
dei seggi, da distribuire tra loro in proporzione ai voti riportati nelle singole circoscrizioni. In tal
modo si sarebbe potuto costituire una maggioranza in Parlamento che garantisse la stabilità del
Governo. Con questa legge veniva raggiunto lo scopo del partito fascista di impadronirsi dei due
terzi della Camera e preparare il terreno per affermare il sistema totalitario.
Più tardi, al fine di conferire maggiori poteri al capo del Governo, fu varata la legge 24 dicembre
1925 n. 2263, con cui si precisavano le sue attribuzioni e prerogative; egli: “dirige e coordina
l’opera dei Ministri, decide sulle divergenze sorte tra essi, convoca il Consiglio dei Ministri e lo
presiede (art.3)”, “nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno delle due Camere senza
l’adesione del Capo del Governo (art.6)”. Era un modo per assicurare compattezza al Governo,
sotto la guida di un capo a cui i ministri dovevano rispondere della loro azione politica e dal quale
potevano essere licenziati.
Successivamente, in forza della legge 17 Maggio 1928 n. 1019, il sistema democratico subì una
ulteriore limitazione, dato che la scelta di tutti i deputati (400) era demandata al Gran Consiglio
del Fascismo: venne, in sostanza, predisposta una grande lista (listone) che gli elettori furono
chiamati ad approvare in blocco ,“ultima larva di consultazione popolare” destinata più tardi, con
la legge 10 gennaio 1939 n. 129, ad essere soppressa per effetto della sostituzione della Camera
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
103
dei deputati con la Camera dei fasci e delle corporazioni, “composta da un numero indeterminato
di consiglieri nazionali non eletti ma nominati con decreto del capo del governo, in ragione della
loro appartenenza al Gran Consiglio nazionale del partito fascista e al Consiglio Nazionale delle
corporazioni”. (G. Ambrosini, Sistemi elettorali, pag. 161 Sansoni ed. 1946).
Attraverso questi passaggi di natura legislativa ordinaria, nella più completa legalità formale, si
era realizzata la mutazione del governo da costituzionale puro a governo parlamentare,
degenerato in parlamentarismo e, infine, in governo dittatoriale.
Tale processo degenerativo era stato facilitato dalla flessibilità dello Statuto di Carlo Alberto,
privo di un procedimento costituzionale che prevedesse la revisione delle norme statutarie.
E così, a causa dell’irresponsabile comportamento della classe politica, il Popolo si ritrovava
espropriato del diritto naturale all’autogoverno; mentre più tardi verrà chiamato a pagare i costi
di una guerra decisa dalla dittatura fascista.
Il 1 Gennaio 1948, esattamente cento anni più tardi dalla emanazione dello Statuto albertino e
dopo la tragica avventura fascista, culminata nella sconfitta militare della seconda guerra
mondiale, entrava in vigore la Costituzione repubblicana, la quale nella intenzione dei Costituenti
avrebbe dovuto ripristinare la rappresentanza politica e la pluralità dei partiti che il fascismo
aveva eliminato.
Ma, in questi sessanta anni di vigenza della Costituzione, se da un lato si è verificato il completo
tramonto delle ideologie, false e bugiarde, dall’altro lato si è avuta una verticale caduta di quelle
idealità capaci di dare senso e significato alle finalità etico-politiche di cui ha bisogno la Comunità
Nazionale.
Risorti i vecchi vizi, la rappresentanza elettiva è stata ridotta a pura parvenza ad opera delle
oligarchie partitiche, mentre le idealità sono state degradate fino alla mercificazione.
In poche parole, la storia si ripete.
Infatti, il parlamentarismo, praticato nelle forme più fantasiose, nel periodo della Costituente,
1945\1948, ha generato cinque governi e dall’entrata in vigore della Costituzione, 1 gennaio 1948
ai nostri giorni, ben cinquantaquattro governi, con una proliferazione esponenziale dei partiti,
ormai al di fuori di ogni pulsione etica.
Da una così avvilente situazione è nata la questione morale e l’esigenza di una radicale revisione
della Costituzione, al fine di ridisegnare nuovi rapporti tra i poteri dello Stato; esigenza rivelatasi
ancora più urgente dopo la stagione di tangentopoli che ha visto come protagonista la
magistratura in funzione di supplenza alla politica, ormai incapace di eliminare in via autonoma i
gravi fenomeni di corruzione e di arricchimento dei partiti e dei singoli parlamentari.
Ma le istanze di bonifica morale non potranno mai essere soddisfatte dagli stessi autori di tanta
degenerazione, ancora impegnati nella classica operazione gattopardesca del “tutto cambi perché
niente cambi”, e ancorati, in proprio o per interposta persona, intorno e dentro alle istituzioni
statuali al fine di perpetuare il loro potere e i connessi privilegi.
Le vigenti norme costituzionali attribuiscono al Parlamento una struttura bicamerale: Camera dei
deputati e Senato della Repubblica; fissano a 630 il numero dei deputati ed a 315 quello del
Senato, al quale vanno aggiunti cinque senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica,
oltre agli stessi Presidenti alla fine del loro mandato.
La legge costituzionale 16 Novembre 2005, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18
Novembre 2005, aveva tentato di ridurre a 518 il numero dei membri della Camera dei deputati ed
a 248 il numero dei senatori, la cui elezione era collegata al rinnovo dei Consigli Regionali e
“riservata” a politici di mestiere; inoltre, attribuiva al Senato la qualifica di “federale”. In sede
referendaria tale legge è stata bocciata.
Sull’argomento si osserva in via preliminare che lo Stato federale è una creazione della volontà
degli Stati federati, i quali, al momento di dargli vita lo dotano di un governo e di un ordinamento
sopra ordinato ai governi e agli ordinamenti dei singoli Stati, i quali si riservano competenze
esclusive in particolari materie: basti pensare agli Stati Uniti d’America, ove alcuni Stati
ammettono ancora la pena di morte ed altri no, oppure istituti matrimoniali diversi da uno Stato
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
104
federale all’altro; lo Stato Unitario, invece, con o senza “vocazione regionale”, non rinuncia mai
ad esercitare la piena ed esclusiva sovranità su tutto il proprio territorio, anche se si organizza in
forma più rispondente alle esigenze sociali per soddisfarle con una più moderna funzionalità ed un
più aderente adattamento alle peculiarità delle popolazioni regionali, assumendo, in tal modo, una
“vocazione regionalistica”.
Ora, poiché l’Italia è uno Stato Unitario, certamente con vocazione e organizzazione regionale, ne
discende che la qualifica di “federale”, che si sarebbe voluta attribuire al Senato, era quanto
meno “impropria”; e rimane il dubbio che i suoi promotori l’abbiano adottato con la riserva
mentale di una (futura) interpretazione evolutiva, le cui conseguenze avrebbero potuto portare alla
disgregazione politico-giuridica dello Stato italiano.
Il tentativo, poi, di ridurre il numero dei parlamentari, anche se certamente encomiabile, risultava
del tutto insoddisfacente, se si considera che a fronte degli attuali 953 membri del Parlamento
italiano (compresi i sette senatori a vita), la Francia ne ha 758, la Germania 598, la Polonia 560,
l’Irlanda 204, la Danimarca 174, la Svezia 539, il Belgio 393, e oltre Oceano, la Federazione degli
Stati Uniti d’America appena 435.
Si nota, ancora, come in quelle norme che non hanno superato il giudizio referendario, il requisito
di eleggibilità dei senatori era regolamentato in modo da favorire la categoria dei politicanti di
mestiere, mentre veniva ostacolata la partecipazione alla amministrazione della cosa pubblica di
quelle persone che, radicate nel territorio, meglio avrebbero potuto interpretare le istanze della
popolazione residente.
Con questa Nuova Ipotesi vengono avanzate le seguenti proposte: il numero dei deputati viene
fissato a 400, il Senato assume la qualifica di “Senato delle Regioni” con 260 membri.
L’elettorato passivo e l’elettorato attivo viene fissato, per ambedue le Camere, rispettivamente a
ventuno e a diciotto anni, compiuti il giorno di apertura dei seggi elettorali.
In ordine al criterio di ammissione dei candidati alle tornate elettorali, l’Ipotesi limita le
candidature per la Camera dei deputati ad una sola Circoscrizione, così da impedire il
prevaricatorio accaparramento dei seggi più sicuri da parte dei dirigenti dei partiti e dei loro
fedelissimi; inoltre, non ammette la surroga personale nel seggio rimasto vuoto in corso di
legislatura.
La composizione del Senato risulterebbe suddivisa in tre gruppi i cui componenti, tutti nativi nella
Regione o ivi residenti da non meno di due anni, andrebbero eletti: cento con il sistema elettivo,
partitico; ottanta con il sistema della designazione da parte delle Conferenze Regionali delle
rispettive Università statali e libere, tra i professori, titolari di cattedra o associati; ottanta con il
sistema della designazione, da parte delle rispettive Conferenze Regionali degli Ordini e
Associazioni professionali, tra gli iscritti con non meno di quindici anni di esercizio professionale.
Verrebbe così assicurato ad una delle due Camere anche la partecipazione di quei cittadini che,
per il forte impegno nella vita civile, associato ad una naturale riluttanza alla militanza politica,
tendono a rimanere estranei alla gestione degli affari pubblici.
In definitiva, l’Ipotesi introduce il criterio di coniugare la democrazia elettiva con la democrazia
partecipativa o meglio il sistema di rappresentanza elettiva con quello di rappresentanza
partecipativa; nella speranza di scardinare o quanto meno indebolire il monopolio dei partiti che,
con la confisca della funzione politica, hanno letteralmente occupato tutti i gangli del potere
centrale e locale.
E, al fine di scongiurare il pericolo della nascita di nuove oligarchie e di assicurare il ricambio
quinquennale, viene esclusa la rieleggibilità dei senatori di estrazione partecipativa; ed in analogia
con i seggi resisi vacanti presso la Camera dei deputati, anche quelli del Senato delle Regioni non
possono essere occupati, per surroga personale, rimanendo, pertanto, vuoti per tutto il corso della
legislatura. In tal modo il Senato, privo di ogni rapporto fiduciario con il Governo, potrebbe essere
chiamato a realizzare la salvaguardia delle specificità etniche, culturali e tradizionali delle varie
Regioni e ad amalgamarle in un fraterno e leale confronto.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
105
Un tale Consesso, svincolato degli interessi dei partiti, potrebbe acquisire un prestigio morale
molto elevato, specialmente alla luce dei compiti istituzionali che l’Ipotesi gli attribuisce.
54\55) Per un elementare principio democratico, gli Organi politici vanno rinnovarsi entro un
periodo di tempo non molto lungo, la cui durata, comunque, deve corrispondere ad una razionale
funzionalità degli Organi stessi.
L’Ipotesi prefigura la durata della legislatura di ciascuna Camera in cinque anni; legislature del
tutto autonome mentre il Senato delle Regioni, per le sue peculiari funzioni e la particolare
composizione, non essendo legato da alcun rapporto fiduciario con il Governo, rimane al riparo
dalle crisi politiche.
Il decreto di formale scioglimento, con cui si prende atto della fine dell’attività di una o di ambedue
i rami del Parlamento, è emanato dal Presidente della Repubblica; con lo stesso provvedimento il
Capo dello Stato fissa pure la data della prima convocazione della o delle nuove Camere, che deve
avvenire non oltre il termine dei venti giorni successivi alla data di svolgimento delle elezioni,
stabilita dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto.
Per il principio della funzionalità permanente degli Organi dello Stato, che non ammette
interruzioni o sospensioni, la Camera scaduta sopravvive ancora in regime di prorogatio fino alla
riunione delle nuova, per svolgere tutti i compiti ritenuti indispensabili.
Alla riunione di diritto delle Camere, fissata nello stesso decreto di scioglimento emanato dal
Presidente della Repubblica, se ne aggiungono altre due: il primo giorno non festivo di Febbraio
ed il primo giorno non festivo di Ottobre.
I casi di convocazione straordinaria del Parlamento sono previsti: 1) per iniziativa del Presidente
della Repubblica il quale, come garante della Costituzione e figura unificante dei supremi poteri
dello Stato, ha il potere-dovere di assicurare il funzionamento di tali Organi, nell’interesse della
Comunità Nazionale; 2) per iniziativa di un terzo dei componenti di ciascuna Assemblea, onde
evitare che il ritardo o la mancata convocazione dipenda dal proposito della maggioranza di
eludere l’esame di provvedimenti a questa non graditi; 3) per iniziativa dei rispettivi Presidenti:
iniziativa propria, se promana direttamente delle loro volontà; iniziativa formale, se scaturisce da
un obbligo giuridico, come nei casi ora specificati ai nn.1 e 2.
Per assicurare, poi, il perfetto funzionamento del Parlamento, è previsto che quando una Camera si
riunisce in via straordinaria anche l’altra è convocata di diritto.
56\57) Per la elezione dei Presidenti, degli Uffici di Presidenza e l’adozione dei rispettivi
regolamenti, l’Ipotesi stabilisce per ciascuna Camera il quorum di maggioranza, in ragione dei
due terzi dei rispettivi componenti, per i primi due scrutini, e successivamente, il quorum di
maggioranza in ragione dei tre quinti.
Il Presidente e l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati restano in carica per una intera
legislatura; mentre per il Senato, in considerazione della sua particolare composizione, delle sue
funzioni e finalità, risulta più logico che gli Uffici di Presidenza vengano esercitati dai senatori di
ciascuna Regione in turnazione annuale, indipendentemente dalla durata di ciascuna legislatura,
senza soluzione di continuità per cui durante una legislatura potranno alternarsi cinque Regioni
con prosecuzione delle altre nelle successive legislature. La Regione Trentino\AltoAdige-Sudtirol
costituisce il proprio Ufficio di Presidenza con l’apporto dei rappresentanti delle Province di
Trento e Bolzano.
I regolamenti di ciascuna Camera vanno adottati con la maggioranze dei due terzi dei rispettivi
componenti e solo dopo il terzo scrutinio con la maggioranza dei tre quinti.
Le deliberazioni della Camera dei deputati sono valide se è presente la maggioranza dei suoi
componenti e se vengono adottate a maggioranza dei presenti, salvo l’indicazione di maggioranze
speciali previste dalla Costituzione.
Per la valida costituzione dell’Assemblea senatoriale è d’obbligo anche la presenza di senatori
(indipendentemente dal numero) che rappresentino almeno un terzo delle Regioni; mentre per la
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
106
validità delle sue deliberazioni è necessaria la maggioranza assoluta dei presenti, salvo diverse
maggioranze richieste dalla Costituzione.
58) Le definizioni di ineleggibilità, di indegnità e di incompatibilità ad occupare cariche elettive
sono state esaminate nel commento all’articolo 49.
L’articolo in esame disciplina i casi più delicati di incompatibilità: la contemporanea
appartenenza ai due rami del Parlamento o ad un ramo del Parlamento ed al Parlamento Europeo;
il divieto di svolgere durante il mandato elettivo altra attività lavorativa. E’ prevista, inoltre,
l’automatica decadenza dalla carica di parlamentare di coloro che accettano di far parte
dell’Esecutivo, con la conseguente perdita della qualifica di parlamentare.
L’Ipotesi specifica alcune categorie di persone le quali non sono eleggibili se non sia trascorso un
quinquennio dal momento in cui hanno cessato le loro funzioni ed il loro rapporto di lavoro.
59) L’articolo 67 della Costituzione repubblicana del 1948 non ha previsto il giuramento dei
parlamentari. In verità, l’esonero dal giuramento risulta piuttosto singolare, se si considera che
costoro sono chiamati ad esercitare funzioni che permettono di venire a conoscenza di segreti o,
comunque, di notizie strettamente riservate e la cui divulgazione potrebbe arrecare grave danno
alla Comunità Nazionale; tanto è vero che le prerogative e le immunità concesse non servono solo
a permettere loro di esplicare il mandato in perfetta libertà fisica, intellettuale e morale, ma anche
ad evitare che, attraverso perquisizioni nella loro casa o nel loro ufficio, ci si possa appropriare di
documenti che possano in qualche modo arrecar danno agli interessi dello Stato.
Se, dunque, la tutela dei parlamentari ha lo scopo di evitare che le notizie di cui sono a conoscenza
vengano rese pubbliche o, ancora peggio, vadano a finire in mano di potenze straniere, allo stesso
modo lo Stato ha tutto il diritto di tutelarsi nei loro confronti.
Si reputa, quindi, opportuno, rendere obbligatorio il loro preventivo giuramento di fedeltà alla
Patria prima dell’assunzione della carica; obbligo, peraltro, a cui sono sempre stati sottoposti il
Presidente della Repubblica, i ministri, le altre cariche dello Stato, nonché i giudici di ogni
giurisdizione e tutti i dipendenti statali.
Del resto, si osserva, il giuramento non è un atto puramente formale, perché instaura un “rapporto
di affidamento” tra il parlamentare e la Comunità Nazionale, che egli è chiamato a servire con
lealtà; è una professione di fede sulla preminenza degli interessi della Comunità-Patria rispetto a
quelli ideologici o personali; colui che lo presta non potrà mai giustificare “intese”, che si
concretizzino in rivelazioni di segreti di Stato, in ragione della identità ideologica con Stati
stranieri o organizzazioni politiche; tale condotta concretizza il crimine di tradimento.
Reato odioso, mai giustificabile. Dante colloca i traditori nel punto più profondo dell’Inferno,
cerchio 9°, zona 2° (Canti 32° e 33°) disponendoli in quattro zone : la Caina, ospita i traditori dei
parenti; l’Antenòra, i traditori della Patria; la Tolomea, i traditori degli ospiti; la Giudecca, i
traditori dei benefattori. Nella zona Antenòra, Dante inciampa nella testa di Bocca degli Abati, un
guelfo che, secondo il Poeta, nella battaglia di Montefeltri, in cui si affrontarono i Guelfi e i
Ghibellini, per favorire le schiere nemiche tagliò la mano al portabandiera, Jacopo de’ Pazzi, al
fine di provocare scompiglio nelle schiere amiche, la quali, caduto il vessillo, vennero privati del
punto di riferimento per eseguire le manovre di battaglia.
I parlamentari rappresentano la Comunità Nazionale e la Repubblica ed esercitano le loro funzioni
senza vincolo di mandato.
Nel corso dei secoli, la natura del “mandato” si è evoluta; oggi, l’uomo politico non è più un
semplice portavoce dei suoi elettori ma, a seconda delle circostanze, è libero di manifestare la
propria volontà, concorrendo, in tal modo, a determinare con il proprio voto la politica del Paese.
In definitiva, l’elezione consiste nella scelta della persona che l’elettorato ritiene più idonea a
trattare degli affari dello Stato. In teoria, dunque, l’eletto è libero di determinarsi autonomamente
anche se, in pratica, la sua libertà risulta subordinata alle “direttive di partito”, specialmente di
quelli in cui la ideologia è fortemente burocratizzata.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
107
Ma che fare nel caso in cui il parlamentare abiuri il proprio gruppo politico, rendendo
incompatibile il suo comportamento con il programma per il quale era stato eletto? A fil di logica,
dal presupposto che vi sia nel mandato un “incarico” di contenuto”, sia pure indeterminato ma pur
sempre determinabile, sarebbe atto “onorevole” dell’eletto rassegnare le dimissioni; a dispetto
della logica, accade, però, che la condotta “poco onorevole” lo porti ad accasarsi presso altri
partiti o a collocarsi nel limbo del “gruppo misto”, riuscendo in tal modo, con cinismo ed
opportunismo, a conservare i vantaggi della carica. In questi casi, è del tutto inutile appellarsi al
principio etico, ragion per cui si rende necessario adottare norme tecniche, costituzionali, che
sanzionino con la decadenza il suo poco onorevole comportamento.
Altra vergognosa pratica è quella della “turnazione” in Parlamento degli appartenenti alla
cosiddetta “manovalanza politica”, al fine di sostituirla con altra che possa accedere al banchetto
dei vantaggi economici e previdenziali e dei privilegi che derivano dalla carica. L’Ipotesi, onde
evitare tanta immoralità, sancisce il divieto della surroga personale nel seggio che per qualsiasi
motivo si sia reso vacante.
60) Il problema della convalida della regolarità delle elezioni e quella della proclamazione degli
eletti, si era già posto in sede di elaborazione della vigente Costituzione, con tentativi di soluzione
dovuti al Romano, il quale proponeva di deferire le controversie alla Corte di Cassazione in
composizione speciale, ed al Mortati, il quale proponeva di deferire le controversie ad un
Tribunale Elettorale, composto da consiglieri di Cassazione, consiglieri di Stato, e da membri dello
stesso Parlamento.
Di tali soluzioni non si volle tenere conto, per cui il Parlamento si è reso auto referenziale, in forza
dell’esercizio di una “giustizia domestica”, con tutti i pericoli insiti in siffatta situazione: perché in
caso di errori, relativi al conteggio dei voti ed alla proclamazione degli eletti, effettuata dai
presidenti degli Uffici elettorali, circoscrizionali, regionali e centrali, la presunta maggioranza,
una volta impossessatasi delle leve di comando dello Stato, potrebbe ritardare o, addirittura,
negare il controllo. Avviene, così, che tutte le contestazioni in ordine al risultato complessivo delle
votazioni, da cui derivano la vittoria o la sconfitta dei partiti in lizza, sia le contestazioni dei singoli
candidati non proclamati eletti dagli Uffici elettorali, rimangano in balia della Giunta per le
elezioni la quale, non avendo termini perentori da rispettare e, quindi, frustrando ogni aspettativa
di giustizia. può omettere qualsiasi pronuncia fino alla fine della legislatura.
Sulla base di tali considerazioni, in via preliminare la presente Ipotesi pone il termine perentorio di
novanta giorni per la deliberazione in ordine alla regolarità delle operazioni elettorali e della
proclamazione degli eletti. E a garanzia e rispetto della volontà popolare prevede che la Giunta
per le elezioni di ciascuna Camera venga integrata da quindici cittadini-elettori, estranei alla
politica militante, estratti a sorte da un elenco di sessanta, scelti in numero di tre per ciascun
Consiglio Regionale delle Autonomie locali.
Avverso i deliberati delle Camere, l’Ipotesi introduce il diritto di impugnativa da celebrarsi davanti
alla Corte Costituzionale, i cui giudici, a riconferma del principio di democrazia partecipativa
risulterebbero pure essi costituiti da elementi estranei alla politica militante, come viene descritto
nel Titolo Nono. Il termine di impugnativa avverso il deliberato delle Giunte per le elezioni è di
sessanta giorni dalla pubblicazione; in assenza di delibera, il termine decorre dal novantesimo
giorno di costituzione delle Giunte.
61) Sull’argomento relativo alla tutela del parlamentare nell’esercizio delle proprie funzioni,
l’Ipotesi ricalca l’articolo 68 della vigente Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale
29.10.93 n. 3, la cui portata è stata estesa ad altre ipotesi dalla legge 20.6.03 n.140.
Con l’ultima riforma in materia di immunità parlamentare, l’azione penale nei confronti di un
deputato o di un senatore, può essere iniziata senza la necessità di una preventiva autorizzazione
della Camera di appartenenza salvo l’obbligo di richiederla nel caso in cui il giudice intenda
adottare misure restrittive della libertà personale, quali il fermo o l’arresto, oppure eseguire
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perquisizioni nell’abitazione o in altri luoghi di residenza del parlamentare o, ancora, qualora
intenda intercettarne la corrispondenza o le conversazioni telefoniche.
Queste tutele mirano a salvaguardare i membri delle Assemblee da comportamenti illeciti
provenienti dal potere esecutivo o da una qualche frangia ideologicizzata della magistratura.
La tutela, quindi, come si può constatare, è di ordine pubblico generale, ma non si estende al caso
in cui deve essere eseguita una sentenza irrevocabile di condanna o nel caso in cui il parlamentare
sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in
flagranza.
62\64) L’Ipotesi elabora una vera e propria Opposizione Istituzionale, con un Capo e un “Governo
Ombra” a tutela delle “minoranze politiche” in grado di trasformarsi in maggioranza di governo e
che intenda svolgere la peculiare funzione di critica e di controllo della maggioranza, con il
legittimo obbiettivo di sostituirsi a questa.
La norma, pertanto, conferisce all’Opposizione parlamentare il diritto di organizzarsi all’interno
della stessa Camera dei Deputati e di rafforzare le proprie capacità di critica mediante
l’accorpamento dei partiti di opposizione, semplificando i loro rapporti interni e gli interventi
all’esterno; favorisce, altresì, la elaborazione di programmi unitari e predispone alle intese per la
scelta dei candidati ritenuti idonei a formare il futuro governo, in caso di vittoria elettorale.
L’opposizione parlamentare, così ipotizzata, potrà organizzarsi con un proprio Capo e costituirsi
in “Governo ombra”, i cui ministri si porranno in contrapposizione speculare a quelli in carica; il
Capo dell’Opposizione ed i suoi ministri potranno intervenire con un’unica voce in Parlamento,
usufruendo degli spazi di intervento uguali a quelli dei membri dell’Esecutivo; avranno la
presidenza di quelle Commissioni permanenti non riservate alla maggioranza parlamentare; nelle
tornate elettorali, l’Opposizione, formalizzata, potrà usufruire degli stessi spazi pubblicitari
riservati dalla legge alla maggioranza. Si eviterebbe, in tal modo, la “miserevole comparsata” di
mille personaggi che affollano petulanti le stazioni televisive in cerca di una visibilità, priva di
contenuti programmatici.
Sul piano dell’alta politica, nei casi di emergenza, interna ed internazionale, viene ipotizzato
l’interpello da parte del Presidente della Repubblica, d’intesa con il Primo Ministro, del Capo
dell’Opposizione, così da offrire una immagine di compattezza e di dignità all’interno del Paese e
nei confronti dei Paesi stranieri.
In ogni caso, nelle differenti posizioni, il Primo Ministro ed il Capo dell’Opposizione, se intendano
perseguire realmente finalità politiche e non attività bassamente partitiche, devono improntare la
loro azione a comportamenti costruttivi e leale confronto, indirizzandole verso ideali di
collaborazione tra le realtà sociali che compongono la Casa Comune della Comunità Nazionale.
Oltre al diritto ed all’obbligo di essere presenti nelle Assemblee parlamentari, i membri del
Governo possono anche interloquire tutte le volte che lo ritengano opportuno; con il particolare
obbligo di presenza in aula del Primo Ministro o del Ministro competente, nei casi stabiliti dai
regolamenti parlamentari.
Per la particolare formazione e articolazione del Senato Regionale, l’Ipotesi prevede l’audizione,
a loro richiesta, dei Presidenti delle Giunte e dei Consigli Regionali, al fine di assicurare, per
quanto possibile, l’intesa tra l’Organo Nazionale e quelli territoriali.
65) E’ stato evidenziato il saccheggio delle casse dello Stato e degli Enti Pubblici perpetrato dalla
dissennata follia predatrice della classe politica, di fronte alla quale il cittadino pare non riesca ad
avere alcuna possibilità di difesa.
Il senso di impotenza, di fronte a tanta protervia, induce allo sconforto, al cinismo, alla indifferenza
e alimenta non solo il crescente fenomeno della evasione fiscale ma, addirittura, l’altro, ben più
grave e pericoloso, della disobbedienza civile, della contestazione permanente e, in casi più gravi,
anche quello della criminalità politica.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
109
Perché, se i centri direttivi della organizzazione politica sono malati tutto il corpo sociale ne soffre
e, alla lunga, corre pericolo di putrefazione, come insegna il noto proverbio di un Popolo saggio:
“O pisci fete da capa”.
Pertanto, nella certezza che mai alcuna Assemblea politica avrà lo scrupolo morale di farsi
promotrice della riduzione della varie prebende attribuite ai propri membri, questa Ipotesi come
primo argine di difesa ha predisposto un particolare referendum abrogativo, che può essere
proposto da cinquecentomila elettori per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge
o di un atto avente valore di legge, relativo a tutti gli aspetti, diretti o indiretti, del trattamento
economico e previdenziale dei componenti le assemblee elettive; come secondo argine ha introdotto
di regole di condotta, immediate e pratiche, con cui viene stabilito che il trattamento economico e
previdenziale dei membri del Parlamento deve essere identico e onnicomprensivo di qualsiasi
somma erogata, a qualsiasi titolo o causa e il divieto di cumulo con qualsiasi altro reddito
derivante da rapporto di lavoro, tranne la possibilità di avanzamento in carriera per anzianità.
Durante il corso della legislatura, al parlamentare è solo permesso di scegliere tra il trattamento
economico praticato dalla Camera di appartenenza e quello percepito nella sua abituale attività
lavorativa, se lavoratore dipendente, ma senza alcun effetto retroattivo in ordine alla ricostruzione
economica della carriera economica, onde evitare che compiacenti leggi “speciali” ne favoriscano
la ricostruzione, a beneficio di parlamentari o alte cariche istituzionali.
Inoltre, le Presidenze delle Camere hanno l’obbligo di rendere pubblico l’importo complessivo
delle erogazioni monetarie, che a qualsiasi titolo o causa, direttamente o indirettamente, siano
state effettuate per ogni sessione di legislatura a favore dei loro membri, oltre a tutte le
agevolazioni e franchigie di cui godono a motivo dell’esercizio dell’attività politica; e l’ulteriore
obbligo di rendere pubblico, al termine di ogni sessione, il costo complessivo degli Organi
legislativi, con l’analisi analitica delle singole spese.
In attesa che l’obbligo di tale adempimento venga costituzionalizzato, come è nei voti della
presente Ipotesi, si fa presente che i parlamentari intascano, a titolo di indennità parlamentare
lorda annua € 11.175,75, pari ad una indennità netta di € 5.419,46; una diarea per le sedute con
votazioni € 4.003,11; un emolumento per rapporto con gli elettori € 4.175,00; un rimborso spese,
per ciascun trimestre, per i trasferimenti dal luogo di residenza a Roma-Montecitorio, di €
3.995,10; un rimborso annuale per i viaggi all’estero € 3.100,00; un rimborso annuo per spese
telefoniche € 3.098,74.
Questi signori intascano pure un assegno di fine mandato, pari all’80% dell’importo mensile lordo
dell’indennità, per ogni anno di mandato o frazione non inferiore a sei mesi; e godono di un
assegno vitalizio dal 25 all’80 per cento dell’indennità parlamentare, che viene loro corrisposto
all’età di 65 anni, riducibili a 60 anni, in base all’anzianità di legislatura.
E non è finita, perché questi signori non pagano alcun pedaggio sulle autostrade italiane, hanno in
Italia la libera circolazione sui treni, sulle navi e sugli aerei nazionali; hanno l’assistenza sanitaria
integrativa, il servizio di barbiere a prezzi scontati, buvette a prezzi scontati, ristorante interno alla
Camera, sconti per l’acquisto di automobili, apparecchi telefonici ed altro e, dulcis in fundo, libero
ingresso nei cinema e nei teatri.
In totale gli “onorevoli” incassano € 20.792 mensili lordi, pari a € 15.020,57 mensili netti, cioè
trenta milioni delle vecchie lire; e a tali importi vanno aggiunti i “fuori busta” che ogni
parlamentare ha “diritto” di accreditarsi per “due” collaboratori alle proprie dipendenze (anche
se non li assume), i cui stipendi vengono pagati con i fondi delle rispettive Camere.
E non si sa quali siano le agevolazioni concesse ai parlamentari dagli sportelli bancari, interni,
certamente più favorevoli rispetto ai “comuni” cittadini.
Per un principio elementare di giustizia, rispetto alle categorie di lavoratori dipendenti, pubblici e
privati, l’Ipotesi vieta si possa procedere all’aumento delle retribuzioni dei parlamentari se il
debito pubblico dello Stato risulta superiore al trenta per cento del prodotto interno lordo; è
ammesso soltanto l’aumento delle retribuzioni nella misura del cinquanta per cento dell’indice del
costo della vita, determinato dall’Istat per le famiglie di operai e di impiegati.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
110
E’ bene, poi, che venga eliminato lo sconcio dell’assegnazione a vita di auto, con relativi autisti e
scorta armata, a favore di ex titolari di cariche pubbliche; tutti i privilegi debbono decadere,
decorsi tre mesi dalla cessazione dalla carica e dalla funzione.
La normativa previdenziale deve essere conforme a quella comune ai lavoratori dipendenti, ai
quali si chiede oggi di rimanere al lavoro ancora per cinque anni oltre l’età pensionabile per
salvare l’Inps dalla bancarotta, mentre i parlamentari possono permettersi il lusso di ottenere
pensioni baby tutte d’oro.
In concreto, specificando ulteriormente alcune delle cifre sopra riportate, si nota che il
parlamentare alla fine della legislatura, cinque anni, matura un vitalizio pari al 25 per cento
dell’indennità mensile parlamentare: 11.574: 4=275.350, che, per intenderci corrispondono a
£.560.260 mensili.
Così si assiste al vergognoso privilegio di tutti i politici, di qualsiasi estrazione ideologica, i quali,
affatto preoccupati delle misere condizioni dei disoccupati, dei bassi salari degli operai e delle
disastrose condizioni del bilancio dello Stato, con appena nove anni di attività parlamentare
possono intascare pensioni di € 4.700 al mese, pari a £. 9.100.470; con dodici anni € 6.255 al
mese, pari a £. 12.111.369 ; con sedici anni € 7.818 al mese, pari a £. 15.137.900; con venti anni
€ 9.400 al mese, pari a £. 18.200.938. Si tratta di persone la cui età oscilla tra i 54 e i 67 anni.
Era talmente sfacciata questa legislazione “pro domo mea”, spesso adottata a “lume di candela”,
che gli onorevoli sono stati costretti a modificarla, stabilendo che si ha diritto a percepire la
pensione al compimento dei 65 anni di età…che però, si accorcia di un anno ogni dodici mesi
trascorsi in Parlamento, fino ad un minimo di 60 anni. E per il principio dei diritti quesiti, agli
onorevoli eletti prima del 2001 basta solo una legislatura, cinque anni, perché il “vitalizio” possa
essere intascato all’età di 60 anni, fino ad un’età minima di 50 anni.
E ancora: se aumenta lo stipendio degli “onorevoli” parlamentari in servizio aumenta pure la
pensione di quelli a riposo (sono, belli e vegeti, nella cifra di cinquantatre), che godono della
identica indicizzazione, a differenza dei comuni lavoratori che godono (si fa per dire) di una
pensione di molto inferiore allo stipendio e che da pensionati non godono dell’aumento di stipendio
dei loro ex colleghi. Dello stesso privilegio godono i magistrati, per effetto del quale un pensionato
di quella categoria (o casta!) percepisce l’ importo del suo omologo in servizio; una “captatio
benevolentiae”, a suo tempo concessa dai parlamentari ai magistrati, ma che non li ha salvati dalle
inchieste penali.
E ci sono ancora le partite di giro, cioè il denaro che la Camera si limita a girare alle forze
politiche: nel 2006 i partiti hanno incassato 150 milioni di rimborsi - 50 milioni per la elezioni
regionali, 50 milioni per le elezioni politiche, 5 milioni per le elezioni europee-.
Questo è il miserevole stato della nostra Repubblica, “democratica, fondata sul lavoro”. E
l’assalto alla diligenza si ripete ad ogni tornata elettorale: piangono gli esclusi, gioiscono gli
ammessi alla mensa di Stato.
I principi, in materia di trattamento economico e previdenziale relativi ai parlamentari, ora
delineati dall’Ipotesi, è bene che vengano tenuti presenti anche in sede di determinazione della
dotazione del Presidente della Repubblica.
A questo proposito, un articolo a firma di Gilberto Oneto, in data 5 maggio 2006, pag. 9, del
quotidiano “Libero”, riporta che: “De Maistre sibilava maliziosamente che il vantaggio
dell’istituto monarchico su quelle repubblicano sarebbe dato dal fatto che possono capitare
monarchi incapaci o corrotti, ma che per essere presidenti occorre soddisfare entrambi i requisiti.
Naturalmente esagerava. Dei nove presidenti italiani (più uno provvisorio), Luigi Einaudi era un
fior di galantuomo e non è certo stato il solo. E’ però vero che ci sono stati anche alcuni brusoni,
golpisti, ciucateri, frequentatori di attricette e schiaffeggiatori di belle donne. Negli ultimi lustri è
poi affiorata l’abitudine al cumulo di prebende: stipendi, pensioni e anche qualche arrotondamento
da fondi neri. Di sicuro la presidenza non costa meno della monarchia. Le spese ordinarie del
Quirinale, che per consuetudine non sono sottoposte ad alcun controllo, sono state nel 2002 la bella
sommetta di 275 miliardi di lire. Giova ricordare che nello stesso anno il bilancio della Corona
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
111
britannica è stato di ottanta miliardi di lire. Al servizio esclusivo di Carlo Azeglio Ciampi ci sono
1800 persone, fra dipendenti, famigli, segretari, menestrelli e corazzieri. La regina d’Inghilterra ha
300 persone al suo servizio di Corte, il re di Spagna (che è uno sprecone) ne ha 543, il presidente
degli Stati Uniti ne ha 466 (comprese le stagiste), l’imperatore del Giappone – che pure discende
direttamente dal sole - ha un migliaio di addetti, poco più della metà di quelli dei coniugi Ciampi,
che sono ben protetti da un reggimento di corazzieri (290 uomini e 60 cavalli), 200 agenti di polizia,
250 carabinieri, 30 finanzieri e una quarantina di guardie forestali…”
E non si è visto ancora un partito, un movimento, un singolo candidato alle cariche pubbliche
elettive, che abbia impostato una campagna elettorale all’insegna di una drastica riduzione di tali
emolumenti, proponendo al “Popolo Sovrano” di dirottarli a favore dei ricercatori scientifici, degli
insegnanti di ogni ordine e grado, dell’edilizia economica e popolare.
Ed è da questo punto che parte lo scollamento tra la cosiddetta classe politica e la Comunità
Nazionale.
Ora, se già di per se risorse finanziarie di tale importo, assorbiti dagli Organi costituzionali dello
Stato, senza alcun controllo della Corte dei Conti, lasciano (a dir poco ) perplessi, sia in termini
assoluti che in relazione all’immenso debito pubblico che pende sulla testa di tutti gli italiani, e se
questi sono i comportamenti offerti dalla politica alla Comunità Nazionale, a loro può ben
rivolgersi il rimprovero che Cicerone indirizzò a Verre (Gaio Licinio) nelle cinque Orazioni (1.1)
pronunciate a favore dei Siciliani, per aver sottratto 45 milioni di sesterzi approfittando della
carica di propretore prima e poi di Pretore (74-71 a.C.): “Nam qui sibi hoc sumpsit ut corrigat
mores aliorum ac peccata reprimendat, quis huic ignoscat si qua in re ipsa ab religione offici
declinaret?” – Infatti, chi ha assunto per se questo (compito) di correggere i costumi degli altri e di
reprimer(ne) i vizi, cosa dire di costui se in tali cose egli (stesso) si è allontanato dal rigore morale
del (proprio) Ufficio?
SEZIONE SECONDA
INIZIATIVA LEGISLATIVA
E
FORMAZIONE DELLE LEGGI
66\68) La centralità del Parlamento viene confermata in questa Ipotesi collocandone le
competenze nella sede naturale della formazione delle leggi e non, in modo residuale, in sede di
organizzazione degli Enti locali, come avvenuto con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.
La normativa in proposito distingue le competenze esclusive della Camera dei deputati da quelle da
esercitare insieme al Senato delle Regioni, sia in sede bicamerale che in seduta comune; contiene
la riserva di legiferare in via esclusiva nelle questioni di interesse nazionale, in quanto necessarie a
salvaguardare l’unità giuridica ed economica del Paese, ma pur sempre nel rispetto dei principi di
leale collaborazione, complementarietà e sussidiarietà tra Stato ed Enti locali, rafforzata dalla
possibilità delle Regioni, d’intesa con il Governo, di richiedere al Parlamento, in sede bicamerale,
nonché l’assunzione diretta di servizi o l’esecuzione di opere di competenza dello Stato.
L’iniziativa legislativa è attribuita al Governo, che può presentare i propri disegni di legge ad un
qualsiasi ramo del Parlamento, ad eccezione delle materie di competenza esclusiva, che vanno
presentate alle rispettive Camere; ai singoli parlamentari, le cui proposte di legge vanno
presentate alle rispettive Camere di appartenenza; alle Regioni, le cui proposte vanno presentate,
per intuitive ragioni, al Senato delle Regioni; ai singoli cittadini, secondo le modalità previste dalla
Ipotesi. L’iniziativa legislativa è demandata pure agli Organi o Enti ai quali sia conferita da leggi
costituzionali.
L’Ipotesi esclude invece l’iniziativa legislativa da parte del CNEL (Consiglio Nazionale
dell’economia e del lavoro), in quanto ne viene auspicata la soppressione.
L’Ipotesi si occupa delle modalità tecnico-procedurali, relative alla presentazione, alla discussione
ed alla approvazione delle leggi e delle altre attività parlamentari che richiedano l’intervento delle
Assemblee; e rimanda ai regolamenti delle rispettive Camere la normativa di dettaglio.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
112
Per effetto della costituzionalizzazione della Opposizione, i regolamenti parlamentari devono anche
disciplinare le modalità di discussione delle proposte o iniziative da questa indicate, specificandone
i tempi di esame.
Allo stesso modo, i regolamenti devono disciplinare la presa in considerazione, l’esame e
l’eventuale approvazione delle proposte di legge di iniziativa popolare.
Proprio per ribadire il concetto che con la Nuova Ipotesi di Costituzione non si intende istituire un
“sistema di bicameralismo imperfetto” ma un “sistema di bicameralismo differenziato”, i disegni
o proposte di legge di competenza unicamerale vanno sempre trasmessi all’altra Camera, la quale
ha facoltà di esprimere il proprio parere, non vincolante ma certamente propositivo, sul loro
contenuto.
La proposte di legge di iniziativa popolare vanno presentate alla Camera dei deputati, quelle di
iniziativa regionale vanno presentate al Senato delle Regioni.
69) Il Presidente della Repubblica non partecipa alla formazione della legge, semplicemente la
promulga, non la sanziona come faceva il re; a lui spetta soltanto di attestare, entro un mese
dall’approvazione, che il testo risulti conforme alla volontà dell’Organo deliberante.
La promulgazione della legge deve avvenire nel tempo da essa stessa stabilito, qualora ne venga
dichiarata l’urgenza a maggioranza assoluta dei componenti l’Organo deliberante.
Il Presidente della Repubblica, per motivi di legittimità o di opportunità costituzionale, può
chiedere il riesame di una legge; tuttavia, se l’Organo deliberante la riapprova la legge deve
essere promulgata; dopo la promulgazione, ad opera del ministro della Giustizia, la legge viene
inserita nella Raccolta Ufficiale delle Leggi e dei Decreti della Repubblica Italiana e, quindi,
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, perché tutti ne possano avere
conoscenza, osservarla e farla osservare.
Normalmente, la legge entra in vigore il quindicesimo giorno dalla sua pubblicazione, ma essa
stessa può stabilire di entrare in vigore prima o in un lasso di tempo superiore ai quindici giorni.
70) L’articolo delineato nella presente Ipotesi, contempla la facoltà demandata al Potere esecutivo
di emanare norme giuridiche di pari dignità e “forza” di quelle emanate dal Potere legislativo.
E poiché tale potestà non attiene alle funzioni proprie del Governo, è necessario che questo ottenga
dal Parlamento una delega in cui vengano fissati i principi, i criteri direttivi e il tempo di validità
della stessa, definiti l’oggetto o gli oggetti, cioè la materia da disciplinare.
La delega che il Parlamento conferisce al Governo è denominata legge delega o legge delegante e
deve essere approvata con il procedimento previsto per le leggi ordinarie, quindi in aula e non in
Commissione; mentre il provvedimento governativo è denominato decreto legislativo o legge
delegata.
Naturalmente, la legge delegante sarà emanata da una o da ambedue le Camere, a seconda delle
competenze loro attribuite.
Il decreto legislativo predisposto dal Governo viene “emanato” dal Presidente della Repubblica;
ha la stessa “forza” di legge ordinaria, può modificare o abrogare e può a sua volta essere
modificato o abrogato da successive leggi o decreti legislativi o decreti legge.
L’esercizio di tale potere delegato è limitato alle leggi ordinarie, con esclusione delle leggi
costituzionali di competenza inderogabile del Parlamento.
Il ricorso alla delega è giustificato dal fatto che determinate materie (codici di diritto sostanziale o
processuale, leggi tributarie), per il loro contenuto altamente specialistico e tecnico, non si
prestano ad una elaborazione e discussione parlamentare; richiedono, inoltre, l’impiego di
professionalità specializzate, che il Governo può apprestare più facilmente, disponendo di una
organizzazione burocratica, qualificata e documentata, in grado di elaborare la normativa più
idonea allo scopo.
L’Ipotesi introduce una particolare forma di richiesta di delega legislativa, con riguardo a interi
settori di materie che sono stati oggetto del programma elettorale; sul piano costituzionale è una
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
113
proposta innovativa che potrebbe semplificare e velocizzare la realizzazione del programma
governativo, supportato dalla adesione conclamata dal consenso maggioritario degli elettori.
Il conferimento di tale tipo di delega deve contenere i presupposti relativi alla determinazione dei
principi, ai criteri direttivi e alla definizione degli oggetti di delega, tranne la durata che coincide
con l’intera legislatura. In tale caso si renderà necessaria la istituzione di una Commissione,
unicamerale o bicamerale, per supportare con il proprio parere, anche propositivo, la formazione
delle singole norme, prima dell’approvazione del provvedimento da parte del Consiglio dei
Ministri, come del resto è previsto attualmente dalla legge n. 400 del 1988, per tutte le deleghe che
eccedono la durata dei due anni.
Non si è a conoscenza dell’effettivo numero delle leggi in vigore nel nostro Paese: forse trentamila,
ma certamente il loro numero assomma a parecchie migliaia, spesso tra loro contrastanti,
ripetitive, di difficile interpretazione.
Per ovviare a tale inconveniente, il Governo raccoglie in Testi Unici norme di varie leggi della
stessa natura, le coordina, se necessario le aggiorna o le modifica, allo scopo di favorirne il
reperimento e facilitarne la comprensione. I Testi Unici appartengono alla categoria delle leggi
delegate, la cui compilazione è “autorizzata” dal Parlamento con la stessa formale procedura delle
leggi deleganti.
Oltre alla possibilità di produrre norme giuridiche a mezzo di legge delegata, la Costituzione, nei
casi di necessità ed urgenza, riconosce al Governo potestà normativa autonoma, come in occasione
di epidemie, di terremoti o di modifiche al sistema fiscale; in quest’ultimo caso, ad esempio, se
fosse conosciuto in tempo l’aumento del prezzo della benzina gli automobilisti potrebbero essere
indotti a costituirsi delle scorte, frustrando in tal modo, almeno in parte, l’intento del Governo di
assicurarsi subito un maggiore gettito fiscale. Il provvedimento, denominato decreto-legge, viene
deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente del Consiglio e pubblicato lo stesso
giorno per entrare in vigore immediatamente.
La valutazione dei presupposti della necessità e dell’urgenza spetta allo stesso Governo, il quale ne
assume la responsabilità politica, anche se la mancata conversione non comporta la sue
dimissioni; sussiste tuttavia, in caso di mancata conversione, la responsabilità civile, la quale può
concretizzarsi nella richiesta di un risarcimento del danno o nella restituzione delle somme versate
dagli interessati.
Nel presupposto che i provvedimenti di urgenza riguardino materie di competenza esclusiva della
Camera, è imposto al Governo l’obbligo di presentarli alla Camera dei deputati il giorno stesso in
cui li adotta, perché possano essere esaminati entro il termine inderogabile di sessanta giorni e, se
del caso, convertirli in legge nel testo governativo, oppure con le modifiche che ritiene opportuno
apportare; il provvedimento può anche essere abrogato nella sua interezza, ed in questo caso sarà
la stessa Camera a regolare, con apposita legge, tutti gli eventuali rapporti scaturiti dal decreto
non convertito; comunque, il decreto-legge perde la sua efficacia qualora la Camera dei deputati
non si sia pronunciata entro il suddetto termine di sessanta giorni.
Naturalmente, ai fini dell’esame del decreto-legge, se la Camera dei deputati risulta sciolta và
immediatamente convocata e, per conseguenza, ai sensi del terzo comma dell’articolo 55 di questa
Ipotesi, anche il Senato regionale è convocato di diritto; cosicché quest’ultimo, ricevuto il decretolegge in forza dell’ottavo comma dell’articolo 68, possa conoscerne il contenuto ed esprimere il
proprio parere (facoltativo) in proposito.
71) Le modalità procedurali per la promozione dei referendum tendenti alla abrogazione, totale o
parziale, di una legge ordinaria o di un atto avente valore di legge. sono contenute nell’articolo 47
della Ipotesi.
72) Il bicameralismo differenziato, almeno come viene inteso in questa Ipotesi, scaturisce dalla
diversa composizione e dalle diverse competenze attribuite alle Camere; questo fatto, però, rende
necessario istituire una sede permanente di collegamento interno al Parlamento, un Comitato
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
114
Unico Camera-Senato, ove confrontare i disegni, le proposte di legge e gli altri atti che nel corso
della normale attività bicamerale non sia stato possibile comporre in unico testo.
Al detto Comitato dovrebbe essere attribuito, in sede redigente, la competenza a unificare tali atti e
riproporli, entro il termine di tre mesi, all’approvazione delle Camere.
Se, però, il Comitato non dovesse riuscire, entro tre mesi, a predisporre un testo, oppure se il testo
elaborato dovesse essere respinto o non venisse approvato dal Senato entro un mese dal suo
ricevimento, la Camera dei deputati potrebbe deliberare in via autonoma sul progetto in esame.
Comunque, in questi casi, il lavoro del Comitato avrebbe raggiunto, quanto meno, lo scopo di
avere evidenziato i pregi e i difetti del progetto, fornendo alla Camera dei deputati e allo stesso
Governo utili orientamenti al fine di evitare il rischio di ricorso alla Corte Costituzionale da parte
dei soggetti interessati.
L’Ipotesi, inoltre, attribuisce allo stesso Comitato la competenza ad esaminare la richiesta di
autorizzazione a procedere avanzata dal pubblico ministero nei confronti del primo ministro e dei
ministri, anche se cessati dalla carica, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni.
73) Ciascuna Camera esercita il potere di controllo politico sull’attività del Governo mediante una
attività ispettiva a mezzo di interrogazioni, interpellanze e mozioni.
A tali strumenti possono aggiungersi anche le indagini conoscitive, mediante le quali le
Commissioni parlamentari possono assumere informazioni e dati al fine di avere un quadro, il più
completo possibile, su di un determinato argomento; oppure, udienze legislative, per conoscere il
parere di esperti o delle forze economiche interessate ai progetti di legge che le riguardano.
L’inchiesta, invece, si discosta dalla natura ispettiva degli strumenti sopra elencati, perché
persegue scopi conoscitivi destinati ad approfondire le cause del verificarsi di determinati
fenomeni che interessano la Collettività Nazionale.
La Commissione che svolge l’inchiesta viene costituita dal Presidente della Camera che la
promuove o dai Presidenti di ambedue le Camere ed è composta in modo da rispecchiare in
proporzione la rappresentatività dei vari gruppi parlamentari.
Le Commissioni d’inchiesta sono dotate degli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, quindi:
possono convocare testimoni, i quali sono tenuti a dire la verità sui fatti di loro conoscenza, per
non incorrere nella commissione del reato di falsa testimonianza; richiedere documenti di cui sono
in possesso persone o Enti, privati e pubblici; eseguire accesso ai luoghi oggetto di indagine,
disporre perquisizioni personali o domiciliari, perizie, sequestri, intercettazioni. Tutto ciò al fine di
acquisire la più completa conoscenza sui fatti d’indagine. E, allo stesso modo della magistratura,
devono assicurare il diritto di difesa e garantire il contraddittorio.
Tuttavia, le Commissioni, anche se dotate di poteri giurisdizionali piuttosto ampi, non emettono
sentenze ma sottopongono al Parlamento una sola relazione, se questa è stata votata all’unanimità,
oppure due o più relazioni, una di maggioranza e le altre di minoranza, intorno alla valutazione dei
fatti oggetto dell’inchiesta.
Sulla base della o delle relazioni, il Parlamento delibera i conseguenti provvedimenti.
La costituzione di una Commissione d’inchiesta può essere disposta a mezzo di legge ordinaria
oppure, specialmente nel caso di Commissione unicamerale, a mezzo di provvedimento
amministrativo.
SEZIONE TERZA
Attività esclusiva della Camera dei deputati
74) L’Ipotesi elenca, sia pure in modo indicativo e non certo esaustivo, le competenze esclusive
attribuite alla Camera dei deputati; le altre, pure esclusive, si riferiscono alle deliberazioni
sull’amnistia, l’indulto, l’autorizzazione al Governo alla ratifica dei trattati internazionali,
l’approvazione del bilancio e del rendiconto consuntivo dello Stato.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
115
Rimane da evidenziare, ancora una volta, la funzione eminentemente politica e rappresentativa
della Camera dei deputati, come risulta, del resto, dall’estrazione elettiva dei suoi membri, tutti
eletti su base nazionale, in cui maggioranza ed opposizione, con precisi compiti, garantiti dalla
Costituzione, devono operare, sia pure in un apparente e formale contrasto, nell’esclusivo interesse
della Patria, bene comune.
E’ su questo presupposto che trova giustificazione la potestà legislativa, esclusiva, della Camera
dei deputati e, a titolo completivo, la ulteriore competenza legislativa, esclusiva, che l’Ipotesi le
riserva nelle materie che possano comunque essere dichiarate di interesse nazionale, in quanto
necessarie a salvaguardare l’unità giuridica ed economica del Paese.
Sotto tale profilo, è evidente lo stretto rapporto che intercorre tra il Governo e la maggioranza che
lo sostiene per la realizzazione del programma. E, ancora una volta, si sottolinea come la
collaborazione permanente tra le due Camere è sempre assicurata dal reciproco obbligo dei due
rami del Parlamento di trasmettersi anche i disegni e proposte di legge di competenza unicamerale,
con facoltà di esprimere il proprio parere.
75) L’amnistia e l’indulto sono provvedimenti di clemenza a carattere generale emanati a beneficio
di una pluralità di persone.
Con la concessione dell’amnistia, lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, in relazione ai reati
commessi prima della presentazione del disegno di legge, estinguendo il reato, se non vi sia stata
ancora condanna definitiva (amnistia propria) o estinguendo la pena, definitivamente inflitta al reo
(amnistia impropria). All’imputato, comunque, è data facoltà di rinunciare all’amnistia, se ritiene
di affrontare il processo per dimostrare la propria innocenza.
Con la concessione dell’indulto, la misura della pena viene condonata in tutto o in parte o
addirittura commutata o declassata in altra di minore afflittività, come nel caso di una pena
detentiva commutata nel pagamento di una somma di denaro.
L’Ipotesi stabilisce che le leggi di amnistia e di indulto appartengono alla competenza esclusiva
della Camera dei deputati, e in quella sede vanno deliberate con procedura ordinaria a
maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, in ogni loro articolo e con votazione finale; ma, nel
riconfermare che l’amnistia e l’indulto non possono essere applicati ai reati commessi
successivamente alla data di presentazione dei relativi disegni o proposte di legge, l’Ipotesi
aggiunge che nel casi di decadenza dei provvedimenti di clemenza non è possibile riproporli prima
che siano trascorsi due anni.
76) I trattati internazionali impegnano uno Stato nei confronti degli altri Stati contraenti.
Il percorso per arrivare al perfezionamento di un trattato prevede preliminari trattative o negoziati
condotte da delegazioni tecniche, con successivo o contestuale incontro di plenipotenziari, cioè
rappresentanti dei rispettivi Stati i quali, muniti dei necessari poteri, concludono le trattative e
sottoscrivono il testo concordato.
Con la sottoscrizione della ratifica da parte del Presidente della Repubblica, lo Stato esprime la
volontà di volersi impegnare al rispetto degli obblighi che va ad assumere, mentre l’incontro delle
volontà dei contraenti si verifica solo in tempo successivo con lo scambio delle ratifiche tra le parti
e, nel caso di trattati collettivi, con il loro deposito presso una delle parti stesse o presso un terzo,
concordemente designato. A quel punto, l’iter è completato e il trattato può considerarsi perfetto.
Quasi tutti i trattati sono soggetti alla preventiva autorizzazione del Parlamento: quelli di natura
politica, di pace, di alleanze, di adesione ad organismi super statali, o che prevedono arbitrati o
regolamenti giuridici o che importano variazioni del territorio su cui lo Stato esercita la sua
sovranità o, ancora, che comportano impegni finanziari o modificazioni dell’ordinamento giuridico
dello Stato, come gli istituti del matrimonio, del divorzio o della tutela dei minori; talvolta, però,
per motivi di sicurezza viene mantenuto il segreto sulla stipula di un trattato (si pensi ad accordi in
materia di difesa o di collaborazione militare, di cui alcune parti devono restare segreti), e in tal
caso si stringono accordi in forma semplificata, cioè senza la ratifica; solo in un secondo momento,
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
116
per sanare tale illegittimità, il Parlamento approverà un trattato già concluso, oppure ne prenderà
atto con un semplice voto.
77) L’articolo in esame riproduce nella sua interezza l’articolo 81 della vigente Costituzione,
tenendo conto però della competenza esclusiva attribuita in materia di approvazione del bilancio
alla Camera dei Deputati.
A prescindere dall’Ipotesi, il bilancio è un documento contabile in cui sono elencate le entrate e le
spese dello Stato, relative ad un determinato periodo di tempo denominato esercizio finanziario,
che normalmente è di un anno.
Il bilancio è di previsione se i flussi di entrata e di spesa devono ancora verificarsi; è consuntivo se
riporta i flussi di entrata e di spesa già verificatesi nell’esercizio precedente.
La previsione di entrata è fatta sulla base dell’andamento della situazione economica del Paese e
di altre considerazioni a carattere contingente, da cui si possa presumere l’entità delle entrate
tributarie o di altra natura (condoni, vendite di beni patrimoniali, etc.); la previsione di spesa
riguarda le singole somme che possono essere erogate nell’anno per ciascuna posta di uscita
(costruzione di una determinata strada, di un porto, erogazione di servizi sanitari etc.)
In definitiva, le entrare tributarie, per attenerci ad una necessaria semplificazione, trovano la loro
giustificazione nelle relative leggi che le istituiscono e che stabiliscono le modalità del loro
accertamento, liquidazione e riscossione, per cui l’importo quantificato in bilancio non costituisce
un limite all’incasso, che può risultare superiore.
Le spese, invece, trovano la loro giustificazione nelle singole leggi che hanno deliberato la
realizzazione di una precisa opera o l’espletamento di un determinato servizio, per i quali è stato
quantificato il complessivo costo o la fonte di sovvenzione; nella legge di bilancio viene
quantificato l’ammontare della somma che per quell’esercizio finanziario si rende disponibile ai
fini della realizzazione dell’opera o dell’espletamento del servizio, tenendo, quindi, conto della
valutazione delle esigenze di priorità che si manifestano nei vari programmi dell’anno di
riferimento. In definitiva, le poste di spesa allocate nei vari capitoli di bilancio trovano la loro
sistemazione contabile e la quantificazione certa del loro ammontare annuale che, a differenza
delle entrate, non possono essere superate se non per mezzo di successiva autorizzazione, con legge
di variazione al bilancio.
L’approvazione del bilancio consuntivo è preceduta da un raffronto tra la parte attiva e la parte
passiva mediante l’operazione denominata “parificazione del bilancio” con la quale viene constata
la regolarità dei conto da un punto di vista globale; mentre il comportamento soggettivo delle
persone che hanno posto in essere gli atti di amministrazione è esercitata dall’Organo di controllo
( Corte dei Conti) con procedura giudiziale.
Per quanto riguarda l’Ipotesi, il rendiconto parificato, accompagnato da una relazione, viene
trasmesso dalla Corte dei Conti direttamente alla Camera dei deputati (non più, quindi, ai due rami
del Parlamento), per metterla in condizione di giudicare, anno per anno, il modo con cui siano stati
impiegati i soldi dei contribuenti; certo, dal punto di vista contabile, trattandosi di fatti di gestione
ormai avvenuti e sui quali non è più possibile intervenire, all’Organo legislativo non resta che
prenderne atto e, se del caso, emettere un giudizio politico sull’operato del Governo.
Al fine di evitare la paralisi dell’attività amministrativa dello Stato, nel caso in cui non si riuscisse
ad approvare il bilancio di previsione entro il 31 dicembre, può farsi luogo all’approvazione del
bilancio provvisorio della durata complessiva non superiore ai quattro mesi: perciò, possono
susseguirsi anche diverse leggi di autorizzazione all’esercizio provvisorio, ma la somma della loro
durata non potrà superare tale limite.
Sempre secondo l’Ipotesi, Il bilancio viene discusso solo dalla Camera dei deputati e data la sua
natura di “legislazione vincolata”, non è possibile rifiutarne l’approvazione che paralizzerebbe
l’attività dello Stato; per conseguenza il suo rigetto comporterebbe due possibilità alternative:
provocare le dimissioni del Governo o nuove elezioni che rinnovino la Camera dei deputati.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
117
A legislazione vigente, a causa della petulanza con cui i singoli parlamentari chiedono
l’inserimento delle richieste (campanilistiche) più assurde, è stato proposto l’abrogazione delle
leggi 5.08.1978 n. 468 (legge finanziaria) e 23.08.1988 n. 362 con le quali si è tentato, invano, di
rendere più spedita l’approvazione del bilancio. Il problema, che può essere affrontato con legge
ordinaria, rimane ancora aperto.
Continuando nella Ipotesi della attribuzione della competenza esclusiva della Camera dei deputati,
nella sessione di discussione del bilancio, –1settembre\31dicembre-, vengono esaminate
contemporaneamente la legge finanziaria e la legge di bilancio: la prima serve ad apportare le
variazioni alle singole leggi vigenti, per adeguarle alle esigenze del momento, da inserire subito
nella seconda con la specificazione delle conseguenti poste numeriche.
Oltre al bilancio di previsione ed alla legge finanziaria, l’Esecutivo è tenuto a presentare in
Parlamento un bilancio pluriennale ove vanno indicate le entrate e le spese che si presume si
verificheranno in un periodo di tempo non inferiore a tre anni, accompagnato dal “Documento di
programmazione economica e finanziaria (DPEF) con cui acquisire, per quanto possibile, una
visione più generale dei flussi di entrata e di spesa, indicati nel bilancio pluriennale.
L’Ipotesi conferma l’obbligo di copertura finanziaria per le leggi o atti aventi valore di legge che
importino nuove o maggiori spese; la copertura deve essere sufficiente a far fronte agli impegni per
tutto il tempo in cui la legge dispiega i suoi effetti.
SEZIONE QUARTA
Attività bicamerale del Parlamento
78\79) Si sottolinea la circostanza che l’esercizio dell’attività legislativa e delle altre funzioni
attribuite in modo collettivo alla Camera dei deputati ed al Senato delle Regioni permette di
conferire unitarietà e sintonia tra gli interessi della Collettività Nazionale e gli interessi delle
singole Entità territoriali.
Inoltre, le competenze oggetto dell’attività normativa bicamerale, a valenza generale, vanno poste
in relazione al contenuto della Sezione VI, che statuisce sulla partecipazione del Senato alle attività
degli Enti locali.
Peraltro, dall’esame comparativo delle norme ora citate, non certamente esaustive, e delineate in
questa Ipotesi in modo puramente esemplificativo, è possibile evidenziare come le competenze
collettive attribuite alle Camere stiano in stretto rapporto con quelle attribuite in via esclusiva al
Senato, in relazione alla sua partecipazione alle attività delle Regioni, singolarmente considerate;
e ad evidenziare, inoltre, che l’esame preventivo del Senato sulle attività regionali tende ad evitare
iniziative scoordinate, altrimenti destinate ad aumentare il defatigante contenzioso tra gli Enti
locali e lo Stato.
E si torna ad insistere sul fatto che i senatori, sia di estrazione elettiva che partecipativa, risultano
scelti tutti in ambito strettamente regionale, cosicché agli Enti Locali viene offerta una valida
difesa alla invadenza prevaricatrice del potere esecutivo; e, infatti, le materie di competenza
bicamerale vengono discusse ed approvate dai due rami del Parlamento, posti in posizione
paritetica e perciò in grado di dirimere, per quanto possibile, l’eventuale conflitto di interessi tra lo
Stato da una parte, rappresentato dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene, e dall’altra
dagli Enti Locali, quali Entità rappresentate nel loro insieme dal Senato.
E si aggiunga, che i disegni o le proposte di legge di competenza collettiva, pur se poste all’ordine
del giorno di ciascuna Camera nei termini stabiliti dai rispettivi regolamenti, tuttavia godono della
priorità nella discussione se risultano coordinate tra più Regioni o Province Autonome; e, inoltre,
qualora, in caso di discordanza delle volontà tra i due rami del Parlamento la Camera dei deputati
dovesse esercitare il diritto di emanare un provvedimento normativo sulla base del proprio testo, ai
sensi dell’articolo 72 della Ipotesi, è assicurato il diritto di adire la Corte Costituzionale da parte
dei soggetti interessati.
SEZIONE QUINTA
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
118
Le Camere in seduta comune
80\81) Il bicameralismo differenziato del Parlamento si ricostituisce in bicameralismo perfetto
allorché si tratti di deliberare: sulla approvazione, modificazione o abrogazione di norme
contenute nella Costituzione o di leggi costituzionali; sulla deliberazione dello stato di guerra;
sulla proroga della durata delle Camere, delle Assemblee regionali e dei Consigli delle Province
Autonome; sulla elezione del Presidente della Repubblica (che prevede anche la partecipazione dei
Presidenti Regionali); sulla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica; sul
trattamento economico e previdenziale del Presidente della Repubblica, dei membri del Parlamento
e del Capo dell’Opposizione, del Governo e dei vice-ministri; sulla elezione dei membri laici del
Consiglio Superiore della magistratura.
Le deliberazioni del Parlamento in seduta comune sono valide con la presenza della maggioranza
dei suoi componenti e vanno adottate con la maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione e
le leggi costituzionali prevedano maggioranze diverse.
Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di Presidenza è quello
della Camera dei deputati e le deliberazioni vengono adottate con il suo regolamento.
In ordine alle varie materie di competenza del Parlamento in seduta comune, è il caso di
soffermarsi sulla deliberazione dello stato di guerra.
E’ affermato nella vigente Costituzione (art.11) e nella presente Ipotesi (art.13) che “L’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità, necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Tuttavia, può accadere di essere costretti a prendere le armi per la difesa dei confini o per
rintuzzare minacce di offesa armata; in tali circostanze, l’articolo 81, n.3 della presente Ipotesi (e
l’articolo 78 della vigente Costituzione) dispone che, in caso di inevitabile conflitto armato, il
Parlamento deliberi lo stato di guerra e conferisca i necessari poteri al Governo, mentre spetta al
Presidente della Repubblica la dichiarazione formale dello stato di guerra che può giustificare la
limitazione o la sospensione di alcuni diritti costituzionali, quali la libertà di espatrio, di
circolazione, di manifestazione del pensiero e statuire la obbligatorietà del servizio militare.
Nel nostro tempo, le particolari modalità di esplosione dei conflitti internazionali, con
manifestazioni belliche del tutto inusuali, attacchi improvvisi, che escludono la formale
dichiarazione di guerra, possono giustificare la instaurazione di un regime di emergenza a mezzo
di un decreto-legge al quale, solo successivamente, potrà seguire la legge di conversione. Tali
situazioni possono essere determinate anche in conseguenza del fatto che l’Italia, facendo parte di
organismi internazionali, quali la NATO o l’Unione Europea di difesa o l’Organizzazione delle
Nazioni Unite (ONU), potrebbe venirsi a trovare in stato di guerra senza alcuna formale
dichiarazione.
SEZIONE SESTA
Attività legislativa del Senato delle Regioni
82\84) La partecipazione del Senato all’attività delle Regioni costituisce la sua vocazione naturale.
L’Ipotesi comprende, in via generale e programmatica, tutta la gamma di interventi che servono a
“favorire e promuovere le scelte politiche e gli obbiettivi generali di programmazione socioeconomica e territoriale non solo della Regione ma anche delle Realtà territoriali minori,
rappresentative delle rispettive Comunità.”
Inoltre, il Senato favorisce e promuove l’intesa politico-organizzativa tra le Regioni per la
condivisione della identità unificante della Comunità Nazionale.
E per il raggiungimento di tali finalità viene conferito al Senato la competenza di esaminare le
leggi e gli atti a contenuto normativo deliberati dalle Regioni, con facoltà di sospenderne la
pubblicazione, qualora le norme siano ritenute in contrasto con le finalità sopra illustrate; pur
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
119
tuttavia, l’atto sottoposto a sospensione potrà essere pubblicato qualora l’Assemblea Regionale lo
riapprovi a maggioranza due terzi dei suoi componenti; resta salvo il diritto di ricorso alla Corte
Costituzionale da parte del Governo.
Data l’estrazione regionale di tutti i membri del Senato, l’esame suddetto non potrà mai costituire
una diminutio dell’autonomia delle Regioni e degli Enti locali minori, in quanto trattasi di attività
espressa in “sede domestica”, essendo quel Consesso una proiezione, in ambito nazionale, delle
realtà territoriali locali in cui si confrontano le varie “filosofie” concernenti il modo con cui viene
amministrata la cosa pubblica locale, ai fini di una idonea messa a punto per la funzionalità dei
servizi e la razionalità della spesa.
Capo Secondo
Sezione Prima
Il Presidente della Repubblica
85\90) Nella struttura organizzativa dei poteri decisionali dello Stato, come delineata in questa
Ipotesi, l’Ufficio di Presidente della Repubblica assume un ruolo di grande rilievo costituzionale,
accentuato proprio dalla sua collocazione nel Titolo Quinto, quale punto di raccordo tra il Potere
legislativo (Capo Primo) ed il Potere esecutivo (Capo Terzo); funzione di contenuto altamente
morale, prima che giuridico e politico, che lo pone al di sopra dei due Poteri, essendo il Capo dello
Stato colui che rappresenta la Comunità Nazionale, quale delineata nell’articolo 1) di questa
Ipotesi.
Posto su questo piano, a prescindere dalle competenze, è la funzione di arbitro, di moderatore, di
guida morale che lo abilita a consigliare e richiamare i protagonisti del Potere legislativo ed
esecutivo. In definitiva, l’Ufficio di Presidente della Repubblica sfugge o dovrebbe sfuggire a
qualsiasi catalogazione di competenze, per cui non è giustificato il giudizio di “ambiguità
dell’Ufficio”, il quale, al contrario, dovrebbe essere definito “ubiquità dell’Ufficio”, in quanto
dotato di tali poteri morali, ben al di sopra di quelli costituzionali, da permettergli di occuparsi di
qualsiasi affare di Stato, nell’interesse della Comunità Nazionale.
“Mentre il Primo Ministro è il Capo della maggioranza e dell’esecutivo, il Presidente della
Repubblica ha funzioni diverse, che si prestano meno ad una definizione giuridica di poteri. Egli
rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra
delle mutevoli maggioranze. E’ il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il
coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica.”(vds
Relazione Ruini, riportata al § 83, pag. 185 del diritto Costituzionale di F. Pergolesi, Cedam 1956).
Il profilo, così delineato, giustificherebbe ampiamente l’estrazione di questo Personaggio dalle fila
della Società civile con esclusione, anche se non esplicita, dei professionisti della politica, al fine di
dare un senso concreto alla diretta ed immediata rappresentatività della Comunità Nazionale
proprio al vertice dello Stato ed allontanare il dubbio di partigianeria nell’esercizio dell’Ufficio.
La sua figura và ricercata, quindi, tra le Personalità che nel mondo umanistico, scientifico,
letterario ed artistico, abbiano acquistato meriti per aver dato lustro alla Patria.
Fermo tale presupposto, secondo l’Ipotesi, i requisiti per essere eletto alla Suprema Magistratura
sono: 1) la cittadinanza italiana; 2) il raggiungimento dell’età di 50 anni; 3) il godimento dei
diritti civili e politici.
Al momento dell’accettazione della carica, il Presidente eletto decade automaticamente da
qualsiasi attività lavorativa e da qualsiasi militanza politica.
Naturalmente, non è incompatibile con la carica di Presidente della Repubblica l’appartenenza ad
Accademie scientifiche o ad Associazioni culturali o di assistenza, senza scopo di lucro.
Dal 1946 ad oggi, i Presidenti della Repubblica sono stati: Enrico De Nicola, giugno 1946dicembre 1947, prima con la qualifica di Capo provvisorio dello Stato, e poi, dal 1 Gennaio 1948,
con l’entrata in vigore della Costituzione,con il titolo di Presidente della Repubblica; Luigi
Einaudi, maggio 1948-maggio 1955; Giovanni Gronchi, maggio 1955-maggio 1962; Antonio
Segni, maggio 1962-dicembre 1964; Giuseppe Saragat, dicembre 1964-dicembre 1971; Giovanni
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
120
Leone, dicembre 1971-giugno 1978; Sandro Pertini, luglio 1978-giugno 1985; Francesco Cossiga,
giugno 1985-aprile 1992; Oscar Luigi Scalfaro, maggio 1992-maggio 1999; Carlo Azeglio Ciampi,
Maggio 1999-maggio 2006; Giorgio Napolitano, Maggio 2006, in carica.
L’Ipotesi fissa a sei anni la durata del mandato presidenziale e ne vieta il rinnovo, al fine di evitare
che una lunga permanenza possa trasformare la carica in posizione di potere; inoltre, non prevede
che alla fine del mandato egli possa assumere la qualifica di senatore o di deputato a vita, tenuto
conto della diversa composizione del Senato ipotizzata, ma anche per evitare di esporre il
Presidente emerito ad un giudizio sul suo orientamento politico, così come è accaduto nella crisi
del governo Prodi del 2008, in occasione delle votazioni senatoriali.
Si ricorda, infatti, che nel mese di Aprile del 2006 la tornata elettorale politica aveva dato ad una
delle due coalizioni in campo una risicata prevalenza numerica al Senato, mentre alla Camera solo
un sostanzioso premio di maggioranza le aveva assicurato una certa possibilità di azione.
Senza contare che la risicata vittoria, conseguita “sul filo di lana”, aveva generato contestazioni
sull’effettivo risultato delle elezioni.
In quel clima di dubbi, che aveva avvelenato la Comunità Nazionale, il Governo Prodi riusciva a
barcamenarsi solo grazie ai voti dei tre Presidenti emeriti della Repubblica: Cossiga, Scalfaro e
Ciampi (quest’ultimo appena uscito dalla carica di Presidente della Repubblica) e quattro senatori
a vita. Andreotti, Montalcini, Colombo, Pinin Farina.
Sotto il profilo della legittimità del voto espresso, nulla quaestio, in quanto i senatori a vita hanno
il diritto di partecipare a pieno titolo alla votazione; ma, sul piano della moralità politica il
giudizio potrebbe essere diverso e risulterebbe ancora più grave ed inquietante se si sottolineasse
che costoro, non essendo stati eletti dal Popolo, hanno inferto un grave vulnus all’essenza del
concetto di democrazia elettiva.
L’Ipotesi elimina tali inconvenienti non contemplando alcuna assunzione di carica parlamentare a
favore del Presidente uscente; anche perché considera addirittura una “diminutio” per il
Presidente emerito andare a fare parte di un organo collegiale dopo aver esercitato, come organo
monocratico, la più alta magistratura dello Stato; senza considerare che l’attività di parlamentare
offre occasione di critica e di dubbio in ordine alla imparzialità delle determinazioni assunte dagli
ex Presidenti durante il periodo in cui hanno esercitato la suprema magistratura.
La convocazione del Parlamento, integrato dalle componenti regionali, per le elezione del
Presidente della Repubblica è di competenza del Presidente della Camera dei deputati, che funge
pure da Presidente dell’Assemblea deliberante.
Le votazioni hanno luogo senza alcun preventivo dibattito ed a scrutinio segreto, allo scopo di
tutelare la libertà degli elettori rispetto alle direttive di partito che indubbiamente esistono.
Nel caso in cui la scadenza del mandato presidenziale dovesse coincidere con lo scioglimento della
Camera dei deputati o dovesse mancare meno di tre mesi alla scadenza naturale di una o di
ambedue le Camere, l’elezione dovrebbe essere indetta entro quindici giorni dalla loro
ricomposizione; e, nel frattempo, resterebbero prorogati i poteri del Presidente in carica.
Il Presidente della Repubblica non solo deve essere il rappresentante dello Stato ma anche e
soprattutto il rappresentante della Comunità Nazionale; per questo motivo l’Ipotesi gradua le
maggioranze per cercare di assicurargli, per quanto possibile, il maggior consenso dei
rappresentati del Popolo, minoranze comprese, e così prevede: per le prime tre votazioni, la
maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea, per il quarto e quinto scrutinio, la
maggioranza dei tre quinti e solo dal sesto scrutinio la maggioranza assoluta dei componenti
l’Assemblea. Elezione a semplice maggioranza assoluta non auspicabile ma che, purtroppo, si è
spesso verificata offrendo al Popolo un miserevole “mercato delle vacche”: infatti, solo i
Presidenti De Nicola, Cossiga e Ciampi sono stati eletti al primo scrutinio, mentre ci sono voluti 21
scrutini per Saragat, 23 per Leone e 16 per Pertini e Scalfaro; quattro scrutini sono stati necessari
per Giorgio Napolitano, Presidente in carica, eletto con i soli voti della coalizione politica di cui
era stato autorevole militante.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
121
Prima di assumere l’incarico, il neo Presidente presta giuramento di fedeltà ai valori fondamentali,
unificanti, contemplati dalla Costituzione.
Il Presidente del Senato sostituisce il Presidente della Repubblica, in caso di suo impedimento e se
tale evento si presenta permanente per morte o dimissioni, il Presidente della Camera dei deputati
indice nuove elezioni entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto nel caso fosse
necessario procedere preliminarmente alla ricomposizione delle Camere.
91) Il Presidente della Repubblica indice le elezioni delle Camere scadute e fissa la data delle loro,
rispettive, prime riunioni.
Sulla base del risultato elettorale, convoca il designato Primo Ministro, prende atto del suo
programma, raccoglie il suo giuramento di fedeltà alla Costituzione ed alle leggi dello Stato e dei
membri del suo Governo, lo immette nell’esercizio delle sue funzioni e lo invita a rendere noto il
programma al Parlamento, in seduta comune, entro dieci giorni dall’assunzione della carica.
Come si può notare, secondo l’Ipotesi, la legittimità dell’investitura del Primo Ministro non
deriverebbe più da un atto di volontà del Presidente della Repubblica, in quanto questi deve solo
prendere atto della concordanza tra il programma elettorale e l’indirizzo politico dell’azione di
governo; programma che, nel momento in cui il Primo Ministro glielo illustra diventa direttiva
generale a fondamento dell’azione politica coordinata tra il Governo e la maggioranza che lo
sostiene. (vds. Intorno ai difetti ed alle virtù della “Riforma di Lorenzago”, pag. 10, in Modifiche
alla parte seconda della Costituzione – Atti del seminario dell’Università di Pavia – Giuffrè 2005).
Con una immagine, si potrebbe dire che, dopo tali adempimenti, il Presidente della Repubblica
consegna al nuovo inquilino le chiavi dell’edificio del Potere esecutivo.
92) Il Capo dello Stato promulga le leggi per attestarne la conformità all’originale approvato
dell’Organo legislativo; emana i decreti legislativi e i decreti-legge.
A differenza di quanto previsto dal quarto comma dell’articolo 87 della vigente Costituzione,
l’Ipotesi non prevede la preventiva autorizzazione del Capo dello Stato per la presentazione dei
disegni di legge di iniziativa del Governo, sia perché in sede di promulgazione egli esercita il
controllo di legittimità costituzionale sul loro contenuto, sia perché a lui è conferita la potestà di
poter rinviare alle Assemblee deliberanti le leggi ritenute in contrasto con i principi e le norme
costituzionali. Il Presidente della Repubblica emana pure i regolamenti, quali fonti normative
secondarie, integrative delle norme primarie.
Il Presidente della Repubblica indice i referendum popolari, nei casi contemplati dalla
Costituzione.
In via straordinaria, convoca le Camere.
D’intesa con il Primo ministro, convoca il Capo dell’Opposizione nei casi di emergenza interna o
internazionale per le necessarie consultazioni.
In quanto Capo dell’apparato amministrativo, sentito il Primo Ministro, nomina i funzionari statali.
Quale rappresentante dello Stato, accredita e riceve i rappresentanti diplomatici e ratifica i trattati
internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione della Camera dei deputati.
Ha il comando delle forze armate; presiede il Consiglio Supremo di difesa che, normalmente, è
costituito dal Primo Ministro, dal Ministro degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia e delle
Finanze, della Difesa e delle Attività Produttive, oltre che dal Capo di Stato Maggiore della Difesa;
tale Consiglio, d’ accordo con il Primo Ministro, egli può integrare con altri Ministri, con i Capi
di Stato Maggiore e con esperti nel campo scientifico e militare. Il Consiglio Supremo di difesa
coordina le attività concernenti la difesa dello Stato.
Il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra, deliberato dal Parlamento in seduta
comune.
Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio Nazionale della Magistratura e, secondo la
presente Ipotesi, è lui che nomina direttamente il Vice-Presidente, da scegliere tra personalità
eminenti del Foro nazionale, al di fuori dalla politica militante. Il potere di “presiedere” il
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
122
Consiglio Superiore della Magistratura e di nominare, in via autonoma, il vice-presidente,
concretizza il più alto controllo dell’apparato giurisdizionale, onde evitare che questo possa
costituire, nel proprio seno, gruppi di avanguardia, ideologicizzati, la cui influenza, come avviene
per tutte le minoranze agguerrite, possa provocare sconvolgimenti politici, se usata come “arma
impropria” di organizzazione politica.
Alla luce di tali considerazioni, non è da condividere l’atteggiamento tenuto dai vari Presidenti
della Repubblica, i quali, come atto di deferenza o nell’errato presupposto di assicurare la
massima indipendenza alla magistratura, hanno poco frequentato le riunioni del Consiglio
Superiore della Magistratura. Il Presidente della Repubblica deve partecipare alle adunanze di tale
Consiglio intervenendo, nei dibattiti e con il proprio voto, in tutte le questioni che riguardino
l’organizzazione e l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati e per evitare che
gli argomenti posti all’ordine del giorno possano sconfinare, in modo palese o surrettizio, in
ambito politico.
Per analoghe ragioni, il Presidente della Repubblica presiede, di diritto, il Consiglio Nazionale dei
Pubblici Ministeri e nomina il Vice-Presidente, scelto nel mondo professionale tra persone estranee
alla politica.
Prerogativa esclusiva del Capo dello Stato è quella di concedere grazia nei confronti di persone
che sono state condannate con sentenza irrevocabile. E’ un atto individuale che non comporta
alcuna partecipazione del Ministro di Grazia e Giustizia, come recentemente affermato dalla Corte
Costituzionale.
Conferisce le onorificenze della Repubblica.
93) I casi in cui il Presidente della Repubblica può procedere allo scioglimento della Camera dei
deputati sono tassativamente elencati alle lettere a), b) e c) del primo comma dell’articolo 93; gli
altri due casi di possibile scioglimento sono previsti dall’articolo 103 della Ipotesi: gli uni e gli
altri, comunque, sono giustificati dalla rottura del rapporto di fiducia tra il Primo ministro e la
maggioranza che lo sostiene.
Esemplificando: 1) le lettere a), b, e c) dell’articolo 93 ipotizzano situazioni in cui si rende
necessario accertare se esista ancora una maggioranza in grado di realizzare il programma
governativo e di esprimere subito un altro Primo ministro, così da evitare lo scioglimento della
Camera ed il conseguente ricorso alle urne: perciò, se nel lasso di tempo di venti giorni, dal
momento in cui si sono verificate le ipotesi in esame, viene presentata e approvata, per appello
nominale, una mozione con cui i membri della maggioranza governativa, in numero non inferiore
alla metà più uno dei componenti la Camera, dichiarano di voler proseguire nella realizzazione del
programma, con contestuale designazione di un nuovo Primo Ministro, il Presidente della
Repubblica procede alla nomina della personalità designata.
Invece, nei casi previsti dall’articolo 103 della Ipotesi, inquadrati nella disciplina dei poteri del
Primo Ministro, la mozione di fiducia o di sfiducia deve necessariamente essere sottoposta a
verifica per constatare se esista ancora un numero di deputati governativi, in ragione della metà
più uno dei componenti la Camera, disposti a confermare la fiducia all’azione del Governo o a
respingere la mozione di sfiducia: infatti, fino a quando la maggioranza che sostiene il governo
coincide con la maggioranza dei componenti della Camera più uno è possibile svolgere l’attività
legislativa che assicura l’attuazione del programma di governo.
Superfluo, poi, sottolineare che l’appello nominale ha la funzione di identificare i deputati che
partecipano alle votazioni, così da poter discernere se appartengano o meno alla maggioranza
governativa.
Da quanto ora detto, è da escludere che i poteri attribuiti al Primo ministro possano configurare
una diminuzione del ruolo del Parlamento, quasi che possa avvenire un passaggio surrettizio dal
regime parlamentare a un “premierato assoluto”; ma, d’altro canto, non è ammissibile che in
corso di legislatura, possano comporsi e scomporsi maggioranze parlamentari, al solo fine di
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
123
soddisfare bassi appetiti di partecipazione al “banchetto ministeriale” delle cariche politiche o,
addirittura, fatto ancora più avvilente, per consumare vendette personali.
In conclusione, come si è avuto modo di rilevare, l’Ipotesi cerca di predisporre un primo argine al
parlamentarismo con la drastica riduzione dei numero dei parlamentari, così da permettere una
selezione qualitativa delle loro capacità professionali e delle qualità morali, nonché un più
efficiente controllo del loro operato da parte degli elettori; il secondo argine viene offerto
dall’automatica decadenza dei parlamentari di nomina elettiva nel momento in cui abbandonano il
gruppo parlamentare al quale si erano iscritti all’inizio della legislatura; il terzo è quello
contemplato dagli articoli sopra illustrati.
94\96) Le esternazioni del Presidente della Repubblica, sono di due specie: informali, se egli si
rivolge direttamente alla Comunità Nazionale o a qualsiasi altro destinatario per comunicare uno
stato d’animo o un pensiero, come quello, consuetudinario e bene augurante, di fine anno
indirizzato ai concittadini; formali, per avvertire di un qualche pericolo che possa minacciare
l’unità nazionale e l’ordinamento giuridico dello Stato; e in questo caso, se l’atto è “proprio”, cioè
non controfirmato da un membro del Governo, del suo contenuto il Presidente ne assume tutta la
responsabilità politica.
Oltre alle esternazioni, altri comportamenti ed atti del Presidente risultano graduati in ordine al
grado di responsabilità che egli assume: ad esempio, egli non risponde degli atti a contenuto
politico (decreti), o di alta amministrazione (nomina di alti funzionari), predisposti dal Governo e
sui quali egli, con la sua firma esercita un controllo di mera legittimità, mentre, con la controfirma,
il ministro o i ministri proponenti o il Primo ministro ne assumono la piena responsabilità politica.
Tale irresponsabilità è correlata al fatto che il Presidente, essendo un Organo super partes, non
partecipa all’indirizzo politico del Governo.
Vi sono, poi, “atti dovuti”, perché attinenti alla funzione costituzionale del Presidente, che
escludono la partecipazione dei membri del Governo, quali la promulgazione di leggi rinviate alla
Camera di competenza e da questa riapprovate; la indizione dell’elezione delle nuove Camere con
la fissazione della loro prima riunione.
“Atti propri” del Presidente, che escludono la controfirma ministeriale, sono quelli che riguardano
le sue dimissioni e le dichiarazioni di un suo impedimento permanente all’esercizio delle funzioni, o
i messaggi orali che egli indirizza al Parlamento in seduta comune, in occasione del suo
insediamento nella carica, o la concessione della grazia.
Altri atti, per i quali il Presidente non assume alcuna responsabilità, sono quelli compiuti in qualità
di componente di organi collegiali, quali il Consiglio Supremo di difesa ed i Consigli Nazionali
della magistratura e dei pubblici ministeri.
Per tutti gli altri atti, che non attengono all’attività tipicamente strumentale del Presidente, egli
risponde, sia in sede penale che in sede civile ed amministrativa, come un qualsiasi cittadino;
infatti, il Presidente della Repubblica non è un re, legibus solutus, sacro ed inviolabile, essendo
solo il Popolo titolare della sovranità. In definitiva, al Presidente è garantita l’immunità soltanto
per gli atti che egli compie nell’esercizio delle proprie funzioni.
Tuttavia, per sottrarlo ad accuse o incriminazioni di carattere puramente strumentale, che possano
minarne la figura morale ed intaccarne il prestigio, la legge 20.6.2003 n.140, ha stabilito che fino
alla scadenza del mandato non possono essere iniziati procedimenti penali a suo carico mentre
quelli in corso vanno sospesi.
Naturalmente, tale sospensione non opera qualora il Presidente della Repubblica dovesse
macchiarsi dei delitti di alto tradimento, minando la personalità dello Stato sul piano interno ed
internazionale, oppure di attentato alla Costituzione, teso a sovvertire le Istituzioni costituzionali o
a violare la Costituzione: per tali reati egli risponde subito, dopo essere stato messo in stato di
accusa dal Parlamento in seduta comune, con deliberazione adottata a maggioranza dei suoi
membri.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
124
Il trattamento economico e previdenziale del Presidente va conformato alla disciplina prevista
dall’articolo 65 della Costituzione.
CAPO TERZO
SEZIONE PRIMA
Il Governo della Repubblica
97\100) Nell’attività di governo bisogna distinguere il “momento pregiuridico” dal “giuridico”; il
primo si evidenzia fin dal periodo della campagna elettorale, durante la quale i partiti, i
movimenti, le associazioni, le fondazioni propongono programmi generali o prospettano la
soluzione di particolari problemi per nuovi assetti organizzativi dello Stato, in contrapposizione o
a completamento di quelli esistenti.
Il secondo momento è quello giuridico, in cui le idee, i programmi politici si materializzano in
norme di comportamento, da conoscere e osservare, da sperimentare e, se del caso, modificare nel
corso della legislatura sotto l’immanenza del momento pregiuridico, quale atteggiamento
dell’anima e della volontà che lo esprime.
Governo significa “gubernaculum”, in senso lato “timone”: che permette di mantenere la rotta
durante la navigazione a mezzo di costanti e successivi aggiustamenti. Cicerone si esprime con
“gubernaculum rei pubblicae”, sedere al governo dello Stato, e con “gubernanda re pubblica”, nel
governare o reggere lo Stato. Questo è il motivo per cui non è possibile circoscrivere l’attività del
Governo in una elencazione tassativa di competenze.
Come sostiene Montesquieu, la funzione del Governo è quella di “eseguire le decisioni pubbliche”;.
in quanto i programmi per la realizzazione dei quali si è espressa la maggioranza degli elettori
vanno sempre verificati con i soggetti sociali, al fine di mantenerne la condivisione: se il Governo
decide di realizzare una grande arteria autostradale o ferroviaria, di potenziare le aree portuali o
aeroportuali, di convogliare risorse finanziarie a favore dell’edilizia economica e popolare, dovrà
tenere conto degli orientamenti della maggioranza che lo sostiene in Parlamento ma anche degli
interessi degli Enti Locali territoriali, delle forze sindacali e imprenditoriali, delle critiche
dell’Opposizione; allo stesso modo, deve tenere conto di tutte queste realtà sociali, allorché intenda
introdurre nuovi tributi o aumentare le aliquote di quelli esistenti, o realizzare una certa politica in
materia di assistenza sanitaria o pensionistica.
L’attività politica si manifesta, quindi, come una forza che sceglie gli obbiettivi da raggiungere e
da concretizzare in norme giuridiche, alle quali, poi, l’apparato governativo deve dare attuazione,
tenendo conto delle altre entità sociali che compongono la Comunità Nazionale e difendendole
dall’attacco delle oligarchie, per le quali non prevale mai l’interesse generale bensì quello
personale o di pura bottega partitica.
Nell’ultimo cinquantennio si è fatta avanti una oligarchia politica, sempre più pretenziosa e
arrogante, tesa ad accumulare privilegi ed a mantenere la propria posizione privilegiata, spesso in
simbiosi con le oligarchie imprenditoriali e sindacali; ed è per questo motivo che nel tentativo,
forse vano, di porre almeno un argine a tanto scempio, oltre alle considerazioni prospettate in tema
di rapporti politici nel Titolo IV della Prima Parte di questa Ipotesi, si avanza il suggerimento di
rendere obbligatorio, per legge, l’esperimento delle primarie nel corso delle quali devono essere
presentati e vagliati i programmi elettorali, le soluzioni politico-finanziarie e gli uomini che si
propongono di realizzarli, con la individuazione del personaggio più accreditabile alla carica di
Primo Ministro e la squadra governativa più idonea ad amministrare lo Stato; nonché i nominativi
dei candidati al seggio di deputato o di senatore corredati dalle notizie relative alla loro
formazione professionale ed alla loro condotta morale.
Così concepite, le primarie potrebbero svolgere un compito educativo e di esercizio dei diritti
politici da parte dei cittadini, il cui persistente assenteismo è spesso originato dalla impotenza di
poter influire sulle consorterie politiche che oggi, attraverso i Comitati Elettorali, agiscono
indisturbate “in regime partitico feudale”.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
125
Dalle primarie, intese come “aggregati di opinione”, potrebbe scaturire il programma elettorale di
ciascun partito o coalizione di partiti più vicini alle aspirazioni degli elettori e l’indicazione delle
personalità più idonee a realizzarle, sia come ministri che come parlamentari, rendendo in questo
modo giustificabile la presentazione di liste bloccate, senza voti di preferenza.
Per quanto riguarda la consistenza numerica della compagine governativa, è bene notare come a
fronte della proposta Bassanini, che prevedeva un massimo di dodici ministri, e quella Frattini, che
ne prevedeva dieci (D.l.12.6.2001 n.217 e L.3.8.2001 n.317), i vari governi che si sono succeduti
alla direzione del Paese, disperatamente costretti a godere dell’appoggio di piccoli partiti, hanno
dovuto imbarcare nella compagine ministeriale un gran numero di persone, fino ad arrivare al
numero di ventisei ministri con l’ultimo governo Prodi, con la nefasta conseguenza di
“spacchettare”, fuori da qualsiasi criterio razionale, alcuni ministeri “storici”, polverizzandone le
competenze; si sono dovuti inventare, persino, nuovi ministeri prive di qualsiasi seria competenza
da attribuire a ministri senza portafoglio, creare 10 vice-ministri e 66 sottosegretari: per un
numero complessivo di 102 persone che ha raggiunto e superato il numero del settimo Ministero
Andreotti, a suo tempo forte di 101 persone.
Una organizzazione (si fa per dire!) che ha comportato ulteriori spese aggiuntive al già disastrato
e deficitario bilancio dello Stato ed al consolidamento dei soliti privilegi a favore dei beneficiari.
Il governo Prodi è costato al contribuente italiano € 1.233,400 al mese (pari a L. 2.388.194.000); il
totale annuo è stato di 15 milioni di euro, pari a trenta miliardi di lire; naturalmente, esclusa la
diaria, rimborso spese per i viaggi, spese di rappresentanza e staff al seguito.
Ecco il motivo per cui la presente Ipotesi affida a norme costituzionali anche la regolamentazione
del trattamento economico e previdenziale dei parlamentari, la fissazione dei relativi importi e le
modalità del loro conferimento a mezzo della procedura delle Camere in seduta comune; e, allo
stesso modo, impone alle Camere, sempre in seduta comune, di determinare il trattamento
economico del Primo ministro, dei ministri e dei vice-ministri e dello stesso Presidente della
Repubblica, che non pare si sia distinto per tagli alla spesa.
Inoltre, sempre nel tentativo di moralizzare, per altro verso e per quanto possibile, la vita
pubblica, oltre alla riduzione del numero dei parlamentari, l’Ipotesi propone pure la riduzione
della compagine ministeriale stabilendo che, oltre al Primo ministro, il numero dei ministri non
può essere inferiore a dieci né superiore a quindici, compresi i vice-presidenti e i ministri senza
portafoglio.
Il numero minimo viene fissato a garanzia della stessa coalizione politica che sostiene il Primo
ministro e tende ad evitare che questi possa monopolizzare l’esecutivo, servendosi di una pattuglia
minima di fedelissimi; il numero massimo è fissato a garanzia degli interessi della Comunità
Nazionale, la quale, dopo il voto, privata ormai della possibilità di manifestare la propria volontà,
è costretta ad assistere, impotente, all’assalto delle istituzioni.
Con le stesse finalità, l’Ipotesi stabilisce, che il Primo ministro può nominare un solo vice-ministro
per ciascun ministero; e nemmeno obbligatoriamente perché egli “può” non “deve”.
Inoltre, nell’Ipotesi è prevista la automatica decadenza da membro del Parlamento per colui che
accetta di far parte dell’esecutivo.
La candidatura a Primo ministro deve avvenire mediante collegamento con i candidati ovvero con
una o più liste di candidati, secondo la legge elettorale, intesa a favorire la costituzione di una
maggioranza collegata al Primo ministro.
E, come già detto, sempre al fine di offrire alla Comunità Nazionale ogni possibile elemento di
valutazione, è previsto l’obbligo per il candidato Primo ministro della preventiva esposizione del
programma politico e la indicazione dei membri del costituendo governo, con la specificazione dei
titoli in base ai quali egli ritiene che costoro possano aspirare a ricoprire la carica ministeriale. E’
ovvio che la norma non si riferisce ai soli titoli scolastici o accademici o professionali ma anche a
quelli che possono derivare dalle esperienze acquisite nei vari campi dell’attività umana e sociale.
In forza dell’esito delle votazioni, il Presidente della Repubblica immette il Primo Ministro
nell’esercizio delle sue funzioni e lo invita ad esporre, entro i successivi dieci giorni, il suo
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
126
programma al Parlamento, ormai divenuto indirizzo politico dello Stato e direttiva generale a
fondamento dell’azione coordinata del Governo e della maggioranza che lo sostiene.
Il Parlamento prende semplicemente atto del programma del Governo, già investito della fiducia
popolare sulla base del risultato delle elezioni.
101) L’Ipotesi, attua una sostanziale modifica dei poteri del Primo ministro (non più definito
Presidente del Consiglio dei Ministri), a cui vengono conferite chiare ed inequivocabili poteri di
supremazia gerarchica sui ministri, in quanto è lui che determina la politica generale e ne è
responsabile, è lui che garantisce l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo del Governo,
dirigendo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri; per conseguenza, egli ha il potere di
nominarli e di revocarli, perché suoi diretti fiduciari e non fiduciari dei partiti.
La carica di Primo Ministro può essere esercitata solo per due mandati, onde evitare che si
possano costituire centri di potere permanenti.
Dal punto di vista strettamente politico e costituzionale, il Governo è un Organo complesso,
formato dal Primo Ministro, Organo monocratico, e dal Consiglio dei Ministri, Organo collegiale;
anche i singoli ministri nell’ambito del Ministero che dirigono sono organi monocratici.
Le responsabilità politiche appartengono al Primo Ministro, singolarmente, ed al Consiglio dei
Ministri, collegialmente; mentre i singoli ministri rispondono in proprio degli atti dei loro
ministeri.
L’Ipotesi demanda alla legge ordinaria l’Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e
per l’organizzazione dei Ministeri.
102) L’Ipotesi fa obbligo al Primo ministro di presentare ogni anno alla Camera dei deputati, una
relazione concernente l’attività svolta dal Governo per la realizzazione del programma e una
relazione generale sulla situazione economica del Paese.
Le due relazioni sono collegate sia sul piano concettuale che sul piano tecnico-politico, in quanto
la realizzazione del programma è indubbiamente condizionata dall’andamento espansivo,
stagnante o recessivo dell’economia.
Il Primo ministro è, inoltre, obbligato a pubblicare ogni anno un prospetto riepilogativo del costo
dell’Esecutivo e, in particolare, ogni notizia sul trattamento economico e previdenziale dei singoli
ministri e dei Vice-Ministri, nonché l’elenco delle agevolazioni e delle franchigie di cui costoro
godono nell’espletamento del mandato.
103) E’ prerogativa del Primo ministro porre la questione di fiducia chiedendo alla Camera dei
deputati di esprimersi, per appello nominale, con voto conforme alla proposta del Governo e con
priorità su ogni altra proposta, secondo le norme del suo regolamento. Con ciò, l’Ipotesi fa
riferimento sempre ai principi del Governo parlamentare, per cui il Primo ministro deve sempre
godere del consenso della maggioranza governativa che corrisponda almeno alla metà più uno dei
componenti la Camera.
Naturalmente, per la particolare materia relativa alle leggi costituzionali o di revisione della
Costituzione, non è ammissibile porre la questione di fiducia, dato che su tali materie si rende
necessario un approfondito esame ed un ampio dibattito del Parlamento in seduta comune.
TITOLO SESTO
ORGANIZZAZIONE AMMNISTRATIVA
DELLA
COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO I
IL CONSIGLIO DI STATO
104\108) L’articolo 100 della vigente Costituzione definisce il Consiglio di Stato “Organo di
consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’Amministrazione” e gli assicura
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
127
l’indipendenza di fronte al Governo; mentre l’articolo 103 afferma che “Il Consiglio di Stato e gli
altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei
diritti soggettivi.”, per cui, secondo la vigente Costituzione, il Consiglio di Stato è, nello stesso
tempo, organo di consulenza e organo giurisdizionale. Il terzo comma dell’articolo 100 afferma,
poi, che la legge assicura l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti di fronte al
Governo.
Tuttavia, è da rilevare che su tale organo l’influenza politica, almeno formalmente, è piuttosto
incisiva se si considera che la nomina del suo Presidente e di un quarto dei Consiglieri è attribuita
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale li sceglie, prevalentemente, tra i funzionari
direttivi dello Stato con qualifica di direttori generali.
Nella sua funzione giurisdizionale, il Consiglio di Stato è un giudice speciale, al di fuori dell’ordine
giudiziario, istituito per conoscere e giudicare certi rapporti in determinate materie di natura
spiccatamente tecnico-amministrativa.
Secondo l’Ipotesi, il Consiglio di Stato non sarebbe più un organo ausiliario del Governo, ma un
Organo di consulenza generale, giuridico-amministrativa e tecnico-scientifica del Governo, degli
Uffici pubblici, anche economici, a cui va attribuita competenza non solo nelle materie giuridiche
ed amministrative ma anche in quelle economiche e quelle altre di contenuto tecnico-scientifico,
necessarie ad assicurare agli organi politici, centrali e locali, tutta l’assistenza necessaria per una
corretta conduzione degli affari pubblici.
Con la ristrutturazione ipotizzata, i compiti e le funzioni del Consiglio di Stato verrebbero resi più
rispondenti alle esigenze di uno Stato moderno, lanciato in una corsa scientifica e tecnologica che
mette ancor più in risalto la insufficiente preparazione della dirigenza politica.
Consiglieri di Stato saranno, quindi, non soli esperti nella varie branche del diritto ma anche
commercialisti, ingegneri, chimici, fisici, medici e quanti altri esperti nelle materie che rientrano
nelle finalità degli Enti pubblici.
Per garantire la massima libertà nell’esercizio della proprie funzioni, al Consiglio di Stato viene
attribuita la piena autonomia da ogni potere politico ed ai singoli Consiglieri le stesse prerogative
dei giudici, con la conseguenti limitazioni in ordine alle cause ostative di eleggibilità.
Tenuto conto delle particolari funzioni attribuite al Consiglio di Stato, il reclutamento dei suoi
membri dovrebbe risultare piuttosto selettivo.
Il Governo del Consiglio di Stato va affidato ad un Presidente ed a cinque consiglieri eletti
dall’Assemblea generale con una maggioranza qualificata, la cui durata in carica viene fissata a
quattro anni, con il divieto della rieleggibilità.
Sotto questa ottica, il Consiglio di Stato completa la sua partecipazione al governo della cosa
pubblica mediante la consulenza prestata dai singoli consiglieri agli Organi politici, centrali e
locali, anche economici, con una collaborazione, attiva e diretta, così da rendere anche meno
giustificabile il ricorso, quasi sempre clientelare, alle consulenze esterne, che per il modo
spregiudicato con cui viene praticato offre motivo di scandalo a causa delle inutilità e dello
spropositato costo.
La presenza dei consiglieri di Stato, in tutte le branche della pubblica amministrazione ed in tutte le
aziende in cui lo Stato è unico azionista o azionista di maggioranza o in aziende costituite in forma
di società per azioni, eviterebbe la nomina politica di consulenti e di dirigenti di consigli di
amministrazione di aziende pubbliche, non sempre all’altezza dei compiti loro assegnati e le
vergognose liquidazioni dell’ordine di svariati milioni di euro anche quando non solo non sono
stati in grado di gestire con criteri di economicità le aziende loro affidate ma, addirittura, anche
quando ne hanno provocato il dissesto.
Perseguendo, poi, questa Ipotesi l’ideale dell’unum ius, una iurisdictio, il Consiglio di Stato perde
le attuali funzioni giurisdizionali, speciali. Tale esclusione avrebbe l’effetto collaterale di eliminare
l’“anomalia” per cui oggi consiglieri di Stato o dei TAR assumano incarichi extragiudiziari presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri o nei vari Ministeri, con funzioni di Capo di gabinetto o
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
128
dell’ufficio legislativo o, genericamente, di consulenti giuridici oppure, addirittura, di capi di
gabinetto o di compartimento e di rivestire in tal modo, nello stesso tempo, la duplice veste di
collaboratori del potere politico e di giudici chiamati a decidere controversie che investano
l’esame della legittimità di regolamenti, ordinanze, circolari che essi stessi potrebbero aver redatto
in qualità di consulenti.
E’ questo un caso di patente illegalità, perché viola il principio della terzietà del giudice.
In conclusione, le nuove e più moderne funzioni del Consiglio di Stato, secondo la presente Ipotesi,
dovrebbero fornire ulteriori garanzie alla Comunità, in ordine al modo con cui i pubblici poteri,
centrali e regionali, amministrano le risorse economiche e finanziarie dello Stato e come vengono
condotti i programmi di semplificazione dei rapporti amministrativi, a tutela dei diritti e degli
interessi, anche semplici, dei cittadini.
Finisce, quindi, o dovrebbe finire l’amministrazione (pubblica) dei partiti, con una più accentuata
separazione tra l’azione di governo, che deve arrestarsi nella ideazione e nella formulazione di
“progetti di massima”, e l’azione esecutiva, che va esercitata solo dall’apparato amministrativo”.
In tal modo, il consigliere di Stato, posto nella posizione di operare in assoluta autonomia, morale
ed intellettuale, assumerebbe la funzione di cerniera tra l’organo politico, nella formulazione dei
progetti di massima, e nella dirigenza amministrativa per la messa a punto dei progetti esecutivi.
La relazione annuale, che il Presidente del Consiglio di Stato invierebbe al Presidente della
Repubblica, ai Presidenti delle Camere ed al Primo Ministro, rappresenterebbe la “summa” sullo
stato dell’amministrazione e fornirebbe informazioni ed indirizzi propositivi in ordine alle finalità
sociali da realizzare nella conduzione degli affari pubblici.
Con tale, nuova concezione dell’apparato dell’alta dirigenza amministrativa, gli uffici pubblici non
sarebbero più “pascoli riservati” alle consorterie politiche; ed in mancanza di “pascoli illegali” si
restringerebbe di molto lo spazio di manovra dei politici maneggioni a vantaggio delle persone
chiamate per vocazione naturale alla funzione governativa; e dalle fila dei politici naturali forse
potrebbe farsi avanti lo statista del quale ormai da decenni nella nomenclatura dei partiti si nota la
completa assenza.
CAPO II
I Pubblici Uffici
109\112) La legge n.100 del 1926 conferiva al Governo il potere di organizzare a mezzo di
regolamenti il funzionamento dell’Amministrazione dello Stato, l’ordinamento del personale e degli
Enti o istituti pubblici.
L’articolo 97 della vigente Costituzione ha restituito al Parlamento il potere di organizzare,
secondo disposizioni di legge, i pubblici uffici “in modo che siano assicurati il buon andamento e
l’imparzialità della amministrazione”; Il secondo e terzo comma dello stesso articolo recitano:
“Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede
mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
Quindi, solo con legge si può procedere alla organizzazione dei pubblici uffici ( riserva relativa di
legge), mentre alle norme governative regolamentari spetta solo la disciplina degli aspetti
particolari del rapporto di impiego pubblico.
La presente Ipotesi pone al centro dell’organizzazione amministrativa l’interesse della Comunità
Nazionale, dettando i principi base su cui deve svolgersi l’attività degli uffici pubblici; impone,
inoltre, alle amministrazioni pubbliche l’obbligo di motivare le decisioni adottate, previo interpello
delle persone interessate al provvedimento; e rafforza i diritti della persona permettendole di
prendere visione del contenuto del fascicolo che la riguarda, con la sola limitazione del rispetto dei
legittimi interessi dei terzi, della riservatezza e del segreto professionale.
L’Ipotesi prevede ancora che nella legge istitutiva di un pubblico ufficio siano specificati le sfere di
competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei dipendenti i quali, unitamente alle
amministrazioni di appartenenza, rispondono degli atti compiuti in violazione dei diritti e degli
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
129
interessi legittimi; e sempre al fine di una maggiore efficienza e imparzialità dell’apparato
pubblico dichiara incompatibile l’impiego pubblico con qualsiasi altro lavoro, professionale o
dipendente, e pone il principio che per i membri del Parlamento o di coloro che rivestano qualsiasi
altra carica elettiva l’avanzamento in carriera avvenga solo per anzianità.
Inoltre, fa espresso divieto a particolari dipendenti pubblici di iscriversi a qualsiasi organizzazione
o partito politico: ai magistrati perchè, come già detto a commento dell’articolo 24, non solo
devono essere ma anche apparire terzi rispetto alle parti in causa; ai pubblici ministeri perché
nella funzione di promotori dell’azione penale, ancor più devono essere, apparire e rimanere terzi
rispetto alle persone nei confronti delle quali promuovono l’azione penale. Sull’argomento è bene
ricordare che le plateali esternazioni di magistrati e di pubblici ministeri, la loro adesione a
schieramenti politici, la loro partecipazione a manifestazioni politiche di piazza, la interpretazione
forzata delle norme processuali penali e del diritto positivo, non hanno certo giovato al prestigio
dell’Ordine giudiziario; ai militari in carriera in servizio attivo e ai funzionari o agenti di polizia,
perché appartengono ad ordinamenti dotati di armi di cui potrebbero servirsi a fini eversivi: ai
rappresentanti diplomatici e consolari perché, per motivi ideologici o di basso mercimonio,
potrebbero instaurare “intese” con lo straniero.
E, tranne i casi stabiliti dalla legge, che si spera siano rari, ai posti pubblici si dovrà accedere
mediante concorso, al fine di evitare quelle “infornate” di manovalanza intellettuale, che tanto
danno stanno arrecando alla Pubblica Amministrazione.
La progressione in carriera del pubblico dipendente deve avvenire per anzianità unita al merito,
verificato sulla qualità del servizio prestato e sulla professionalità acquisita.
Il decreto legislativo del 13 febbraio 1993, n.29, ha da tempo operato la separazione della attività
governativa da quella amministrativa, attribuendo ai funzionari la gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa degli Uffici, compresa la competenza ad impegnare l’amministrazione nei confronti
dei terzi e l’effettivo potere autonomo di spesa, entro i limiti quantitativi dei capitoli di bilancio,
oltre al potere di organizzazione delle risorse umane e di controllo. La legge citata ha costituito
una occasione di emancipazione della burocrazia, anche se non del tutto idonea ad arginare
l’invadenza del potere politico.
Con la nuova organizzazione del Consiglio di Stato e l’attribuzione dei nuovi compiti ai suoi
Consiglieri, l’Ipotesi predispone una ulteriore, marcata barriera tra il potere politico, spesso
petulante, e i pubblici dipendenti.
CAPO III
La Corte dei Conti
113\118) Dal principio morale che i beni ed il denaro pubblico hanno una intrinseca sacralità
laica, discende l’obbligo, altrettanto morale, di un corretta amministrazione da parte di coloro che
li gestiscono.
La Corte dei Conti presiede al controllo per il corretto e proficuo impiego dei beni e le risorse
finanziarie degli Enti pubblici, per la quale l’Ipotesi auspica la massima indipendenza ed
autonomia rispetto al potere politico, centrale e locale, e la competenza non solo di legittimità ma
anche di merito sull’esame degli atti di gestione che interessano la finanze pubbliche.
Con la vigente normativa (DPR n.385\1977) non si può dire che la Corte dei Conti goda in pieno
della necessaria indipendenza dall’esecutivo, se si considera che il Consiglio dei Ministri ha il
potere di nomina della metà dei suoi consiglieri e del Presidente e che questi ha l’obbligo di
riferisce al solo Consiglio dei Ministri sull’andamento dei lavori della Corte stessa; e non ne
assicura la completa autonomia nemmeno la legge n. 117 del 1988 la quale ha stabilito che nel suo
organo di autogoverno vi siano quattro Consiglieri contabili, scelti tra professori ordinari di
materie giuridiche o avvocati con quindici anni di esercizio professionale.
La presente Ipotesi, dopo aver definito le competenze e le finalità della Corte dei Conti, le
conferisce la piena indipendenza ed autonomia da ogni potere e attribuisce ai suoi Consiglieri tutte
le prerogative di cui godono i giudici, con le analoghe limitazioni in ordine alle cause ostative di
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
130
eleggibilità; estende, poi, il reclutamento dei consiglieri anche ai laureati in economia e
commercio, in considerazione dell’evoluzione tecnica dei metodi contabili che ha instaurato un
intimo rapporto di complementarietà diretta tra le discipline giuridiche e quelle ragionieristichecontabili.
Una legge organica sulla modalità di reclutamento dei consiglieri, sulla consistenza dell’organico
e sulla organizzazione degli uffici è demandata ad una legge ordinaria con riserva di un quarto dei
posti disponibili ai membri eletti dal Parlamento, a norma del n. 19 dell’articolo 81 della Ipotesi.
In conformità al principio della indipendenza ed autonomia della Corte dei Conti, l’articolo 120
prevede un Consiglio di Presidenza, costituito dal Presidente e da cinque membri, espresso
dall’Assemblea generale dei Consiglieri con la maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, i
quali durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.
Stabilisce, inoltre, l’Ipotesi che il Presidente della Corte invii ogni anno al Presidente della
Repubblica, ai Presidenti delle Camere, al Primo Ministro ed al Ministro dell’Economia e delle
Finanze, una relazione, espositiva e propositiva, relativa al rispetto delle norme di contabilità
pubblica osservate dallo Stato, dagli Enti pubblici, anche economici, nazionali e locali, e da ogni
altro soggetto che, direttamente o indirettamente, amministrano beni o denaro pubblico.
TITOLO SETTIMO
ORGANIZZAZIONE GIUDIZIALE DELLA COMUNITA’ NAZIONALE
CAPO PRIMO
LA MAGISTRATURA
SEZIONE PRIMA
I GIUDICI
119\131) Caduto il regime monarco-fascista, nella fase costituente della Repubblica l’assetto della
magistratura è stato oggetto di particolare attenzione in quanto, nel nuovo regime di libertà e
democraticità dei rapporti giuridici ed economici, la Giustizia era chiamata a ricoprire un ruolo
centrale, quale garante imparziale del rispetto delle leggi su cui si fondano i diritti ed i doveri dei
cittadini.
Funzionale a tale attività era la necessità di porre la Magistratura in una posizione di assoluta
autonomia ed indipendenza di fronte al potere esecutivo, ed i singoli giudici in una posizione di
soggezione soltanto alle leggi. Tutto il contrario di quanto affermava l’articolo 98 dello Statuto
albertino (1848): “La Giustizia emana dal re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli
istituisce”; da cui è scaturito l’ordinamento giudiziario del 1865, il quale se sul piano formale
riconosceva la indipendenza della magistratura in concreto ne assicurava al Governo il pieno
controllo, mediante la particolare disciplina dello stato giuridico dei magistrati: dall’ingresso in
carriera, all’assegnazione delle sedi, alle promozioni, ai trasferimenti, alle nomine dei capi degli
uffici ed ai provvedimenti disciplinari.
E, infatti, tali attività erano svolte da una commissione di magistrati nominati e controllati dal
Ministro della Giustizia, il quale, aveva anche il potere di trasferire i giudici in base ad una
arbitraria “utilità di servizio” e di poterli ammonire e richiamare in virtù di una non meglio
definita “attività di alta sorveglianza”.
Il controllo risultava ancor più diretto e stringente nei confronti del Pubblico Ministero, definito
dall’articolo 129 dell’Ordinamento giudiziario del 1865 “ il rappresentante del potere politico
presso l’autorità giudiziaria” e direttamente dipendente dal Ministro della Giustizia, che in tal modo
era in grado di controllare l’esercizio dell’azione penale a mezzo di circolari inviate ai Procuratori
Generali delle Corti di Appello e da costoro trasmesse ai Procuratori del re presso i Tribunali.
Con tali presupposti era possibile realizzare una vera e propria selezione di quei reati che il potere
politico intendeva perseguire con maggiore determinazione, quali quelli commessi in occasione di
scioperi, di conflitti sociali o manifestazioni di dissenso politico.
“Ove la risposta giudiziaria a episodi di conflittualità politica o sociale di particolare rilevanza
richiedesse una strategia concordata tra il Governo e la Magistratura, il Ministro della Giustizia,
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131
sollecitato dal Presidente del Consiglio o dal Ministro dell’Interno, poteva anche inviare istruzioni
riservate sulle modalità di conduzione di singoli procedimenti, invitando, per esempio, il pubblico
ministero ad emettere ordini di cattura, a contestare reati di particolare gravità, ovvero ad astenersi
dall’esercitare l’azione penale. Grazie a questi poteri di supremazia gerarchica sul pubblico
ministero, il Governo era quindi in grado di esercitare un controllo preventivo sui casi che sarebbero
stati portati all’esame dei giudici, predeterminando, a seconda della convenienza politica, l’area di
intervento della magistratura giudicante.(vds. Lo Stato della Costituzione. Guido Neppi Modona e
Anna M. Poggi – Ed. Il Saggiatore, 1998).
I costituendi del 1948, al fine di evitare tali storture e prevaricazioni, accolsero la concezione
illuminista e garantista dello Stato liberale, fermamente sostenuta da Piero Calamandrei,
attribuendo alla Magistratura ed ai singoli giudici quella autonomia ed indipendenza che non
avevano mai avuto.
Tuttavia, i partiti di sinistra non mancarono di rilevare gli inconvenienti di una esasperata
concezione liberale applicata alla giustizia, anche perché se in regime di democrazia tutto il
sistema dell’esercizio delle attività pubbliche va ricondotto alla sovranità popolare, ne discende
che non è ammissibile una assoluta autonomia ed indipendenza dei magistrati, i quali, in tal modo,
risulterebbero sganciati dal controllo dell’Organo che rappresenta tale sovranità, il Parlamento.
Per tale motivo i costituenti dell’area di sinistra proponevano di istituire un Consiglio Superiore
della Magistratura che avesse nel suo seno un membro del Governo nella persona del Ministro per
la Giustizia e alcuni rappresentanti dell’area politica; proponevano, inoltre, che il popolo potesse
partecipare all’amministrazione della giustizia, mediante l’istituzione di giudici popolari e la
partecipazione di giudici “laici” nei tribunali.
Essendo prevalsa la concezione liberale, la Costituzione vigente afferma la completa indipendenza
della funzione giurisdizionale e dei singoli giudici dal potere politico, come risulta dall’articolo
101: ”La giustizia è amministrata in nome del Popolo”, non più, quindi, in nome del re, e che “I
giudici sono soggetti soltanto alla legge”, non più, quindi, al potere esecutivo; segue l’articolo 104
che istituisce il Consiglio Superiore della Magistratura, a cui sono affidati tutti i provvedimenti
relativi allo stato giuridico dei magistrati e l’articolo 107 che, mentre proclama la loro
inamovibilità dall’ufficio, afferma che i magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni,
eliminando, così, una qualsiasi gerarchia che possa derivare dall’anzianità o dall’ufficio ricoperto.
Per quanto riguarda il pubblico ministero, l’ultimo comma dello stesso articolo 107 gli conferisce
le stesse garanzie che l’Ordinamento giudiziario ha attribuito ai magistrati, mentre l’articolo 112
gli fa obbligo di esercitare l’azione penale, che deve iniziare, condurre e concludere nei confronti
di chiunque ritenga autore di un reato; anche l’attività del pubblico ministero sfugge alla
subordinazione del potere politico e si svolge, come quella dei giudici, in completa autonomia e
indipendenza.
Da quanto ora detto, è facile rilevare come “il problema della regolamentazione del potere
giudiziario è uno dei più delicati con i quali si deve confrontare il legislatore costituente di uno stato
democratico, poiché nel delineare una funzione la cui rilevanza politica non può essere
disconosciuta, è necessario rendere compatibile la sua “democratizzazione” con la sua indipendenza
e separazione: esigenze che sono, in generale, differenti e, in alcune occasioni, contraddittorie, e
comunque in tensione permanente” (vds. La posizione del potere giudiziario nella Costituzione
spagnola del 1978 – Louis Mosquera pagg.677 e segg. in La Costituzione spagnola del 1978 –
Giuffrè – ed.1982).
Nel periodo della rivoluzione francese, il problema veniva risolto: 1) sotto il profilo della
indipendenza, con la istituzione del giudice elettivo, perché un giudice eletto dal Popolo, era, per
definizione, indipendente da qualsiasi potere e, in particolare, dal potere esecutivo; 2) sotto il
profilo della autonomia, stabilendo che il giudice non doveva essere amministrato da apparati
organizzativi ( Ministero per la giustizia, Consiglio della Magistratura) perché non essendo di
carriera non poteva esistere un corpo di giudici professionali, bisognosi di essere amministrati o
governati; 3) sotto il profilo della democraticità, stabilendo che al giudice toccava applicare la
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legge “alla lettera”, senza l’apporto di alcuna attività interpretativa, escludendo in tal modo il
coinvolgimento delle proprie risorse culturali e morali; il dubbio sul contenuto di una legge,
doveva essere risolto da un referente legislativo, referé legislatif, organo della stessa Assemblea
legislativa, unico competente a dichiarare, con interpretazione autentica, la volontà popolare
contenuta nella norma giuridica. Solo così, secondo i rivoluzionari, si sarebbe potuto contare
sull’applicazione di una”legge uguale per tutti”, e su di una attività giudiziaria espressione diretta
della volontà popolare; attività del tutto neutrale, “en quelque fason nul”, in qualche modo nulla,
secondo la teoria del Montesquieu; teoria, però, che nel corso del tempo era destinata a mostrare
tutta la sua inconsistenza funzionale, in quanto gli innumerevoli casi di ricorso al referé legislatif
avevano reso impossibile l’amministrazione della giustizia, tanto che molto di frequente il giudice
veniva accusato di diniego della giustizia quando era costretto a rivolgersi al referé legislatif per
chiedere l’interpretazione autentica di una norma poco chiara o formulata in modo inadeguato a
risolvere il caso concreto.
A tale situazione pose rimedio il Codice napoleonico e, a seguire, gli altri Codici europei,
stabilendo che il giudice “deve decidere” il caso a lui sottoposto; rimanendo, così, annullato il
dogma dell’assolutismo e della pienezza della legge, chiaramente in contrasto con i processi logici
con i quali l’uomo, essere pensante, interpreta la realtà fisica e concettuale; perché è di tutta
evidenza che, anche per capire il semplice significato letterale di una norma è necessario
interpretarla. “ e quando nel 1837 si soppresse il referé legislatif, il potere giudiziario riprese la sua
prima e genuina dimensione convertendosi, senza dar luogo a dubbi, in un fattore essenziale nel
concerto politico dello Stato e della società, a dispetto delle aspirazioni del Montesquieu, per il
quale, come si è visto, doveva essere un potere un quelque fason nul. (vds. Luois Mosquera nel
libro citato pag. 679).
Tuttavia, rimane il fatto che mentre il potere politico è giudicabile e sanzionabile mediante i
procedimenti elettivi, la funzione giurisdizionale tende a rimanere priva di effettivo controllo; e ciò
risulta assurdo in quanto la giurisdizione non concretizza l’esercizio di un “potere” bensì
l’esercizio di una “funzione”: infatti, mentre il potere esercita un’attività ampiamente
discrezionale, proprio in ordine alla produzione del diritto, la giurisdizione, invece, esercita una
attività di comparazione tra un fatto concreto (fattispecie concreta) e un modello astratto costruito
dal diritto (fattispecie astratta), mediante canoni interpretativi, pure regolati dal diritto.
Da ciò consegue che mentre il potere è sovrano perché emana dal Popolo, la funzione
giurisdizionale è solo un’attività di interpretazione e di applicazione delle norme giuridiche,
formulate dal Parlamento.
Rimane da considerare il fatto che l’attività giurisdizionale, a causa del suo tecnicismo, deve
necessariamente essere affidata ad un giudice, certamente qualificato, culturalmente e
tecnicamente, ma non per questo chiuso in una casta; e, pertanto, è altrettanto necessario che
l’unica strada percorribile perchè la Comunità Nazionale possa aspettarsi un minimo di
democraticità, è quella di immettere in tutti i gradi di giurisdizione elementi dotati anch’essi di
professionalità tecnica, formata ed affinata in un contesto sociale “laico”, quale è quello delle
libere professioni.
E’ la soluzione adottata da tempo in quasi tutti i Paesi europei, in cui una percentuale dei posti in
organico della magistratura è riservata agli avvocati. E tale soluzione non costituisce una novità
nemmeno per la nostra giustizia, la quale da decenni si avvale di giudici onorari, reclutati dagli
Ordini degli avvocati: ieri, denominati giudici conciliatori, vice-pretori, vice-procuratori onorari
della Repubblica; oggi, giudici di pace, giudici onorari aggiunti di Tribunale (GOA), oltre a quelli
che operano nella Commissioni Tributarie. Si tratta, quindi, di rendere costituzionale e integrare,
in via permanente, i giudici “laici” con quelli di estrazione burocratica.
L’Ipotesi cerca di dare attuazione a questo progetto, proponendo intanto l’unità della
giurisdizione, da decenni auspicata, con la soppressione dei giudici speciali (sopravvissuti in
grazia della VI disposizione transitoria della vigente Costituzione).
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All’unicità della giurisdizione dovrebbe seguire contestualmente un nuovo tipo di reclutamento dei
giudici, aperto sia ai laureati in giurisprudenza che in economia e commercio, che abbiano
conseguito il diploma in corsi di laurea non inferiori a quattro anni. L’ammissione in magistratura
dei dottori commercialisti costituirebbe la naturale conseguenza dell’espandersi del diritto verso
forme sofisticate di contabilità aziendale, potenziate da così elaborate procedure informatiche, da
rendere necessaria una mirata preparazione di base. Le due formazioni mentali, dei giuristi e dei
commercialisti, si porrebbero in un rapporto di complementarietà diretta, per una più completa e
sicura soluzione del contenzioso che oggi, con maggiore frequenza, viene sottoposto all’esame dei
giudici civili, penali, amministrativi e tributari, anche sotto il profilo dell’evasione fiscale e della
criminalità organizzata (vds. a proposito Francesco Carlo Bianca, Manuale di diritto tributario,
ed. Janusa. 1978).
Il concorso per accedere al primo grado di giurisdizione, Tribunale Popolare, dovrebbe espletarsi
per titoli, da valutare sulla base dell’intero curriculum scolastico (diploma di scuola secondaria
superiore, laurea, dottorato di ricerca ed ogni altro titolo di cultura e specializzazione riconosciuto
ai fini della attribuzione di un punteggio) e per colloquio, con cui saggiare per quanto possibile, il
grado di cultura e le attitudini professionali dei concorrenti.
Alla funzione di magistrato di Tribunale ordinario e di Corte d’Appello potrebbero accedere i
giudici con anzianità non inferiore a cinque e dieci anni di effettivo servizio nelle rispettive
qualifiche; rimanendo riservata una quota del venti per cento dei posti disponibili, in ambedue i
gradi di giurisdizione, a favore degli avvocati e dottori commercialisti con anzianità di effettivo
esercizio della professione non inferiore rispettivamente a cinque e dieci anni.
Per quanto riguarda la Suprema Corte di Cassazione, l’Ipotesi prevede che possano accedere al
concorso i giudici di Corte d’Appello, con anzianità di effettivo servizio nella qualifica non
inferiore a cinque anni; rimanendo riservato un quarto dei posti disponibili a giuristi di chiara
fama, titolari di cattedra nella Università statali o libere, ordinari di materie giuridiche ed
economiche, scelti dal Parlamento in seduta comune, estranei alla politica militante.
Per il principio della indipendenza ed autonomia da ogni potere, i giudici si distinguono tra loro
solo per la diversità delle funzioni; non esiste tra loro alcun rapporto gerarchico.
Per il principio della indipendenza ed autonomia da ogni potere, i giudici si distinguono tra loro
solo per la diversità delle funzioni; non esiste tra loro alcun rapporto gerarchico; ma a tale
posizione deve corrisponde l’obbligo, morale e giuridico, del rispetto dei principi di responsabilità,
correttezza, riservatezza e imparzialità; devono, quindi, i giudici evitare ogni protagonismo, le
“comparsate” in televisione, manifestazioni di piazza a favore o contro un partito politico.
La terzietà del giudice riguarda anche la incompatibilità della sua funzione con qualsiasi altro
ufficio, incarico o professione, comprese le attività arbitrali e di controllo o il distacco ad altre
pubbliche amministrazioni con esclusione, naturalmente, del Ministero per la Giustizia.
L’Ipotesi ribadisce la ineleggibilità dei giudici alle cariche elettive, politiche o amministrative, se
non siano trascorsi almeno cinque anni dalla data di cessazione effettiva della funzioni; a rigor di
logica, la ineleggibilità dovrebbe essere sancita in perpetuo, perché non dovrebbe mai rimanere
ombra di parzialità nella carriera di un giudice; ancora peggio se la militanza per una ideologia
sia stata già conclamata in attività di servizio o subito dopo la sua cessazione, rimanendo fondato
dubbio che questi abbiano fatto mercimonio, quanto meno ideologico, della propria funzione. Sul
piano etico, il mercimonio ideologico è certamente delitto molto grave, a causa del grave
turbamento che produce nell’animo dei cittadini in ordine alla credibilità della Giustizia: infatti, se
il giudice è “di parte” non è giudice, come delineato nelle considerazioni a commento dell’articolo
24 di questa Ipotesi. E se muore la Giustizia, tutte le strade dell’avventurismo si schiudono a favore
dei facinorosi e dei prevaricatori.
Naturalmente, la incompatibilità non investe le attività che, senza remunerazione alcuna vengano
svolte a vantaggio di Enti e Associazioni che, senza scopo di lucro, operano in campo culturale,
assistenziale o religioso.
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L’inamovibilità del giudice è assicurata ma entro il limite di sette anni, perché è bene che non si
verifichi un su forte radicamento nell’ambiente in cui opera, onde evitare che le relazioni amicali
possano influenzarne la condotta.
Solo durante il periodo sopra indicato i giudici sono inamovibili, non possono essere dispensati dal
servizio, né destinati ad altre funzioni o ad altre sedi, se non con il loro consenso, oppure per
decisione della Sezione disciplinare del Consiglio Nazionale della Magistratura.
Per quanto riguarda l’esercizio della funzione del Primo Presidente e di Presidente delle Sezioni
della Suprema Corte di Cassazione, l’Ipotesi stabilisce l’elettività delle cariche e la durata
quadriennale delle stesse.
L’organo di autogoverno dei giudici è costituito dal Consiglio Nazionale della Magistratura a cui
spettano, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i
trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari.
Il Consiglio è presieduto dal Presidente della Repubblica o dal Vice-Presidente da lui nominato.
Al Ministro per la Giustizia va riconosciuto il diritto di partecipare alle sedute del Consiglio per
avere cognizione diretta dei problemi della magistratura, sotto il profilo della organizzazione
amministrativa degli Uffici Giudiziari e quanto altro possa interessare al suo dicastero per una
efficace e tempestiva azione di governo. Per rispetto della indipendenza ed autonomia della
magistratura, il ministro non partecipa alle deliberazioni assembleari ma ha facoltà di intervenire
nella trattazione degli argomenti posti all’ordine del giorno, formulando proposte e richieste che
possano orientare il Consiglio.
Membri di diritto del Consesso sono il Primo Presidente della Corte di Cassazione e i Presidenti,
titolari della direzione di ciascuna branca delle discipline giuridiche, tra cui vanno ripartiti gli
affari civili, penali, amministrativi e tributari.
Completano la composizione del Consiglio Nazionale della Magistratura trentadue magistrati,
eletti in numero di otto per ciascun grado di giurisdizione (otto giudici popolari, otto giudici
ordinari di Tribunale, otto di Corte d’Appello e otto di Cassazione).
La collaborazione del Consiglio Nazionale della Magistratura all’attività del Governo è prevista
dall’Ipotesi solo se richiesta dal Ministro per la Giustizia e limitatamente agli aspetti tecnici di una
legge, con esclusione delle implicazioni politiche: sarebbe un modo di partecipazione dell’ordine
giudiziario all’attività dell’esecutivo. Al di fuori di tale ipotesi, i magistrati, nella veste di cittadini,
dovrebbero manifestare il loro pensiero solo nelle sedi scientifiche o nelle produzioni scientifiche.
L’Ipotesi rimanda alla legge ordinaria ogni altra norma in ordine alla disciplina dell’attività del
Consiglio Nazionale della Magistratura, stabilendo, comunque, che le funzioni amministrative,
relative alle assunzioni ed al tirocinio dei giudici popolari siano assunte dal Consesso a sezioni
riunite; mentre una sezione semplice potrà svolgere le ulteriori funzioni amministrative che
riguardano l’aggiornamento professionale, i trasferimenti e le assegnazioni di sede.
L’azione disciplinare nei confronti dei magistrati è obbligatoria ed è affidata ad una apposita
sezione composta da un Presidente e da due magistrati per ogni grado della giurisdizione, scelti
dal Consiglio a sezioni riunite. L’azione disciplinare può essere promossa d’Ufficio dal Promotore
di giustizia ovvero su richiesta del Ministro per la Giustizia o del Primo Presidente della Corte di
Cassazione, oppure dai dirigenti i Consigli giudiziari o in seguito a denuncia circostanziata degli
interessati.
Con l’obbligatorietà dell’azione disciplinare si vuol richiamare i giudici al rispetto del
comportamento loro richiesto con una procedura contenziosa che dovrà svolgersi secondo le
modalità dettate dalla legge ordinaria e con il diritto di ricorso alle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione.
Il Primo Presidente della Corte di Cassazione trasmette, ogni anno, al Presidente della Repubblica,
alle Camere, al Primo Ministro e al Ministro per la Giustizia, una relazione, informativa e
propositiva, su ogni aspetto, normativo ed organizzativo, della giustizia.
Spettano al Ministro per la Giustizia i compiti relativi alla predisposizione delle risorse, materiali e
personali, necessarie per il funzionamento della giustizia. Il Ministro, dunque, è competente ad
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assicurare l’attività giudiziaria con l’organizzazione dei servizi, compresi quelli della
amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile. L’attività del Ministro comprende, inoltre,
i provvedimenti inerenti al personale delle cancellerie e delle segreterie, agli uffici giudiziari, alle
circoscrizioni giudiziarie, ai locali, all’arredamento dei medesimi ed in genere a tutti i mezzi
necessari per l’esercizio delle funzioni giudiziarie. In definitiva, sotto tale aspetto, egli ha una
responsabilità politica nei confronti del Parlamento, in ordine all’intera organizzazione ed al
funzionamento della giustizia, al quale è tenuto a riferire per informarlo sullo stato della giustizia
nelle sue diverse branche, oltre che sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di
indagine.
Tutte le norme relative alla giurisdizione, alle norme processuali ed all’ordinamento giudiziario
sono di competenza esclusiva della Camera dei deputati.
SEZIONE SECONDA
LA GIURISDIZIONE
132\134) Gli articoli in esame sono ispirati al Progetto di legge costituzionale elaborato dalla
Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali nel testo della Commissione sugli
emendamenti (XIII legislatura, 4.11.1997- artt.129\133) ed all’articolo 111 della vigente
Costituzione, come modificato dalla Legge cost. 1 marzo 2001 n.63, con il quale è stato posto un
argine all’attività discrezionale del pubblico ministero, del giudice per le indagini preliminari ed
alla stessa magistratura giudicante.
Si tratta di controlli interni al processo che le stesse parti in causa possono esercitare e riproporre
nei vari gradi di giudizio.
I principi comuni ai processi sono: oralità, concentrazione e immediatezza, cosicché il giudice
possa avere una percezione quanto più fedele della verità dei fatti che gli vengono rappresentati
dalle parti e pronunciarsi in tempi accettabili per salvaguardare i beni, materiali e morali, dedotti
in giudizio.
Tutti i provvedimenti (sentenze, ordinanze, decreti) devono avere una motivazione attraverso la
quale si possa capire quale sia stato l’iter logico-giuridico seguito per pervenire alla decisione, in
modo da permettere agli interessati di accettare il giudicato oppure di trarne le ragioni di appello.
Viene assicurata l’assistenza legale ai non abbienti, da non intendersi solo i poveri ma anche
coloro che per l’ammontare del loro reddito non sono in grado di affrontare le spese di un giudizio.
La giurisdizione unica ipotizzata elimina l’onere di individuare tra le diverse branche del diritto il
giudice competente, togliendo l’incubo delle preclusioni e delle prescrizioni, ed evitando
l’instaurarsi della “navetta” tra giudici di giurisdizioni diverse che si dichiarano competenti o
incompetenti alla trattazione della controversia.
Inoltre, nei confronti dell’amministrazione pubblica, centrale e locale, viene realizzata piena tutela
non solo dei diritti ma anche degli interessi e, sotto questo aspetto, anche di quelli “diffusi o
collettivi” (dei quali si è detto nelle Considerazioni relative all’articolo 23 di questa Ipotesi), senza
esclusione o limitazione di particolari mezzi di impugnazione o di particolari categorie di atti, con
la previsione dell’annullamento degli atti della pubblica amministrazione e le modalità di
reintegrazione e di risarcimento.
Ai principi generali, che tutti i giudici devono rispettare, si aggiungo quelli che attengono al loro
comportamento nella conduzione dei processi penali, relativi al divieto di interpretazione
analogica o estensiva ( e ciò vale anche per il diritto tributario) ed all’osservanza dei precetti
relativi al procedimento giudiziale, sia nella fase delle indagini preliminari che in dibattimento.
Con le norme ipotizzate si cerca di porre rimedio alle incongruenze e distorsioni che ormai da
tempo hanno trasformato la funzione giurisdizionale in un potere.
Diverse sono le cause che hanno originato e che tuttora perpetuano tali incongruenze e distorsioni:
una è certamente il sistema di reclutamento dei giudici, basato su un solo concorso e privato, di
fatto, delle successive valutazioni meritocratiche per gli avanzamenti in carriera.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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“Tradizionalmente, e fino alla metà degli anni ’60, dopo il reclutamento erano previsti sei diversi
vagli di professionalità per i nostri magistrati e i primi tre prevedevano anche l’eventuale dispensa
dal servizio. Due soli esami erano però altamente competitivi e selettivi e cioè il terzo e quarto
grado, quelli per la promozione a magistrato d’appello e a magistrato di cassazione. La competenza
professionale veniva accertata da commissioni esaminatrici composte esclusivamente da alti
magistrati, sulla base dei lavori scritti dai candidati (sentenze, requisitorie, ecc.). Venivano anche
prese in considerazione informazioni sull’adeguatezza dei comportamenti rispetto alle esigenze
della funzione di magistrato…..Sotto la spinta dell’Associazione Nazionale Magistrati, tra il 1963 e
il 1973, il Parlamento cambiò le leggi fino ad allora vigenti sulle promozioni dei
magistrati….tuttavia queste leggi, pur prevedendo i vagli di professionalità lasciavano al CSM
ampia discrezionalità nel decidere su come effettuarli. Nel frattempo, il sistema per le elezioni dei
magistrati del CSM era già stato cambiato nel modo che …ha reso la stragrande maggioranza del
CSM, costituita da magistrati eletti, estremamente sensibile alle aspettative di carriera dei colleghi
che li eleggono. Il risultato è che, sin dalla seconda metà degli anni ’60, il CSM ha interpretato le
leggi sulle promozioni in maniera che va ben al di là del più spinto lassismo per divenire puro e
semplice rifiuto di dare ad esse concreta attuazione…..”e così…..”tutti i magistrati che maturano la
minima anzianità richiesta per i vari livelli della carriera vengono promossi, salvo i casi in cui
sussistano a loro carico gravi procedimenti disciplinari o penali. Coloro che vengono promossi in
eccesso dei posti vacanti ai livelli superiori della giurisdizione acquisiscono tutti i vantaggi,
economici e non, del nuovo rango, ma rimangono pro tempore a svolgere le funzioni giudiziarie
esercitate sino ad allora” (G. DI Federico – Le riforme costituzionali e la giustizia, pag. 224 e segg.
in Una Costituzione per le riforme – ed. Liber Liberal, Firenze).
La conclusione cui perviene il Prof. Di Federico, ordinario di Ordinamento giudiziario
all’Università di Bologna, è che dopo ventotto anni dall’inizio della carriera e senza essere mai
stato sottoposto ad una qualsivoglia verifica sulle proprie capacità professionali, il magistrato si
ritrova collocato nel più alto grado della giurisdizione, consigliere di Corte di Cassazione, prima
riservato all’uno per cento dei giudici ( erano soltanto circa cento a quell’epoca, mentre oggi sono
più di duemila).
Altra causa di disfunzione è originata dalla composizione del Consiglio Superiore della
Magistratura.
“Quanto alla composizione del CSM, è opportuno ricordare che in nessuno dei Consigli della
magistratura degli altri Paesi europei i rappresentanti eletti dai magistrati sono presenti in
proporzione così elevata come da noi: non nella sezione del Consiglio francese che si occupa di
giudici (6 su 12), non nel Consiglio portoghese che si occupa dei giudici (7 su 17), non nel
Consiglio portoghese che si occupa dei pubblici ministeri (7 su 17), non nel Consiglio spagnolo che
si occupa dei giudici (dei 21 componenti 12 sono giudici eletti, tuttavia è il Parlamento ad eleggerli
e non i loro colleghi). Una recente commissione di riforma nominata dal Presidente della
Repubblica francese (la c.d. Commissione Trouche), da un canto, ha proposto di accrescere i poteri
della due sezioni del Consiglio (sia di quella dei giudici sia di quella dei pubblici ministeri) ma al
contempo ha raccomandato che la rappresentanza elettiva dei magistrati non debba essere
comunque maggioritaria, proprio per evitare le conseguenze disfunzionali delle tendenze
corporative che hanno prevalso nelle decisioni del CSM italiano.”( G.Di Federico, opera citata pag.
236).
E già questi due soli aspetti potrebbero bastare per rendere necessario un riordino della
magistratura!
Capo Secondo
Il Pubblico Ministero
135\147) Si è detto della posizione del pubblico ministero durante il regime monarchicodittatoriale e della sua equiparazione allo status dei magistrati per effetto della entrata in vigore
della Costituzione repubblicana; ma è bene chiarire che il pubblico ministero non è un magistrato
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bensì un promotore di giustizia nell’interesse della Comunità Nazionale anche se, per ovvii motivi
di autonomia nell’esercizio dell’azione penale egli gode delle medesime prerogative attribuite ai
giudici; allo stesso tempo, però, per altrettanti ovvii motivi di funzionalità, deve necessariamente
avere un collegamento permanente con il potere politico se è vero che solo a tale potere la
Comunità Nazionale ha affidato la soddisfazione dei propri bisogni, compresi quelli di sicurezza e
giustizia e che solo nei confronti di tale potere la Comunità può esprimere un giudizio politico
mediante il voto; mentre a tale giudizio sfugge il pubblico ministero, non essendo egli un organo
politico ma un funzionario dello Stato, sottoposto, invece, al principio di dipendenza funzionaleorganizzativa nei confronti del Governo.
“Se si considerano le modifiche introdotte nello assetto istituzionale del pubblico ministero in vari
Paesi e il perdurante dibattito sul suo ruolo, si può certamente dire che i tentativi sinora fatti di
bilanciare i due valori dell’indipendenza e della responsabilità assumono il carattere di un equilibrio
instabile piuttosto che quelle di soluzioni definitive e pienamente soddisfacenti. In particolare, in
vari Paesi democratici si può notare la ricorrente tendenza a modificare tale equilibrio con misure
volte a rendere il pubblico ministero meno dipendente dalle maggioranze governative. Una
tendenza, tuttavia, che non viene mai spinta fino al punto da ignorare il valore democratico della
responsabilità. All’interno di questo quadro l’Italia si profila come un caso deviante. Priorità
assoluta è data al valore dell’indipendenza. Nessun rilievo viene dato al valore democratico della
responsabilità per le scelte che i pubblici ministeri sono comunque chiamati a prendere nel cruciale
settore delle politiche penali (vds. G.DI Federico, op. cit., pag.202).”
Se si aggiunge che il pubblico ministero ha la direzione dell’intera fase delle indagini e il pieno
controllo della polizia giudiziaria, e che l’iniziativa dell’azione penale è passata dal Capo
dell’ufficio alla completa discrezionalità del singolo pubblico ministero, si può avere un’idea
dell’enorme potere che gli ha in mano.
“In altre parole, è considerato pienamente legittimo che ciascuno di essi inizi e conduca, in assoluta
indipendenza, indagini di qualsiasi tipo, su qualsiasi cittadino, utilizzando le forze di polizia per
accertare reati che essi stessi (più o meno fondatamente) ritengono essere stati commessi. E non
possono in alcun modo essere ritenuti responsabili per queste decisioni, nemmeno qualora le accuse
– come di fatto è successo – si rivelino, negli anni successivi, del tutto infondate nel corso del
dibattimento, cioè quando le molteplici sanzioni sociali e\o politiche e\o economiche e\o familiari
che di fatto spesso si collegano alle iniziative penali hanno già prodotto appieno i loro dirompenti
effetti sui cittadini indagati o imputati e sulle loro famiglie.(G.DI Federico, libro cit., pag.206).
Uno de casi più emblematici di persistente accanimento e superficialità nella conduzione delle
indagini si è avuto nel processo intentato al conduttore televisivo Enzo Tortora, tratto in giudizio
ed esposto alla gogna mediatica per anni, fino a quando, ormai allo stremo delle sue risorse fisiche
ed economiche, ha visto riconoscere la sua completa estraneità ai reati che pervicacemente gli
erano stati attribuiti dalla pubblica accusa, ormai ostinatamente “condannata” a non ammettere i
propri errori. E di tale macroscopico errore nessuno dei protagonisti dell’accusa è stato chiamato
a rispondere, perché il pubblico ministero, quale organo burocratico, ma svincolato da qualsiasi
dipendenza gerarchica, è del tutto irresponsabile, come un monarca legibus solutus.
E si può ancora aggiungere che dal corollario della assoluta irresponsabilità (che fa a pugni con il
concetto di democraticità) discende che il pubblico ministero non risponde nemmeno dei costi che
egli addebita alla giustizia, cioè alla Comunità Nazionale, nel caso di indagini del tutto
improduttive.
E, fatto ancora più grave, perché interessa non solo la sfera morale ma addirittura quella giuridica
della colpa se non addirittura del dolo, si consuma allorché il pubblico ministero assume decisioni
sulla base di false affermazioni e di documenti inesistenti, senza incorrere in sanzioni disciplinari o
penali.
Al riparo da ogni responsabilità, il pubblico ministero si può permettere di nascondere al giudice
del riesame (tribunale della libertà) l’esistenza di consistenti elementi a discarico di un imputato
sottoposto a detenzione preventiva.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
138
Questa amplissima discrezionalità, che poggia proprio sulla irresponsabilità, ha sollecitato e
scatenato le ambizioni personali di singoli pubblici ministeri, spesso finalizzate ad ottenere, sulla
pelle degli indagati o degli imputati, l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa, così da
soddisfare le più disparate ambizioni, talvolta del tutto estranee alla finalità di giustizia.
In tal modo viene pure mortificato il principio per cui “La legge è uguale per tutti “, perché non vi
può essere uguaglianza della legge quando un pubblico ministero può scegliere le persone da
perseguire piuttosto che i casi su cui indagare.
Ad un nuovo equilibrio, tra indipendenza ed autonomia, cerca di pervenire questa Ipotesi
stabilendo che: 1) il reclutamento, anche se realizzato di massima a mezzo di procedure
concorsuali, burocratiche, venga vivificato dall’apporto di elementi “laici”, a tutti i livelli di
giurisdizione, così da evitare la costituzione di una casta chiusa, arroccata in una consorteria o
corporazione; 2) il Parlamento si riappropri del compito della individuazione delle priorità di
politica criminale; 3) la funzione di direzione e controllo degli Uffici della Procura venga
effettivamente attribuita ai rispettivi titolari; 4) i pubblici ministeri, nell’esercizio della loro
funzione, siano sottoposti all’osservanza dei comportamenti descritti nella Costituzione; 5) l’ufficio
di promotore dell’azione penale sia incompatibile con qualsiasi altra attività; 6) i pubblici ministeri
non possano concorrere alla occupazione di cariche elettive se non siano trascorsi un minimo di
cinque anni dall’effettiva cessazione dall’ufficio.
Perché non si verifichi più il fatto di pubblici ministeri che toltasi la toga dalle spalle il giorno
dopo abbiano indossato la divisa di qualsivoglia partito, incassando così il prezzo della loro
popolarità, magari ottenuta a spese di persone innocenti.
Le modalità di reclutamento dei pubblici ministeri ricalcano quelle previste per i magistrati: si
avranno, quindi, pubblici ministeri, popolari e ordinari, sia di estrazione burocratica che di
estrazione “laica” con una quota di posti disponibili riservata agli avvocati e dottori
commercialisti.
Per sottolineare l’effettiva cessazione di ogni rapporto funzionale, diretto o indiretto, con la
magistratura, l’Ipotesi istituisce un autonomo Consiglio Nazionale del Pubblico Ministero,
presieduto dal Presidente della Repubblica o dal Vice-Presidente da lui designato; a differenza,
però, di quanto stabilito in sede di Consiglio Nazionale della Magistratura, in questo Consesso il
Ministro per la Giustizia ha diritto di voto nelle deliberazioni assembleari, proprio perché è lui il
garante dell’attuazione delle priorità di politica criminale indicate dal Parlamento.
La scelta degli altri membri del Consesso è operata sulla scia tracciata dalle norme che presiedono
alla costituzione del Consiglio Nazionale dei Magistrati.
La composizione della sezione disciplinare ricalca lo schema previsto per i magistrati.
Allo stesso modo del Primo Presidente della Corte di Cassazione, il Procuratore Generale presso
la Corte di Cassazione trasmette ogni anno al Presidente della Repubblica, alle Camere, al Primo
Ministro ed al Ministro per la Giustizia, una relazione, informativa e propositiva, su ogni aspetto
normativo ed organizzativo degli Uffici del Pubblico Ministero.
Naturalmente, anche la normativa relativa ai promotori di giustizia è di competenza esclusiva della
Camera dei deputati.
Capo III
L’Avvocatura dello Stato
148\152) L’Ipotesi colloca l’Avvocatura dello Stato nella organizzazione giudiziaria della
Comunità Nazionale conferendogli il meritato rango di organo di rilevanza costituzionale.
L’area di azione dell’Avvocatura viene allargata per cui non si esercita solo a favore della
Amministrazione dello Stato ma anche di tutti gli altri Enti pubblici, centrali e locali, compresi
quelli organizzati in forma di società civili e commerciali.
In tal modo si cerca di dare una risposta alle esigenze di semplificazione e di chiarezza anche nel
settore della difesa giudiziale degli Enti pubblici, nel senso più vasto e comprensivo di tale
espressione, ponendo un argine allo straripante ricorso da parte dei politici a professionisti
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
139
privati. E’ un fenomeno degenerativo questo che alimenta l’area clientelare dei partiti politici, con
enorme aggravio dei costi a carico della Comunità Nazionale, se si deve dare credito alle notizie in
ordine alla liquidazione di parcelle siderali che autorizzano qualsiasi tipo di congettura.
Con l’estensione delle prestazioni professionali dell’Avvocatura a favore delle Amministrazioni
pubbliche, anche se costituite nelle forme di società civili e commerciali, si completano gli
strumenti tecnico-amministrativi di cui l’Amministrazione pubblica dovrebbe dotarsi a
salvaguardia dell’interesse della Comunità Nazionale.
In definitiva, il Consiglio di Stato dovrebbe assicurare la funzionalità dell’aspetto tecnicoorganizzativo dell’amministrazione pubblica, centrale e locale, la Corte dei Conti il controllo delle
finanze e del patrimonio degli Enti pubblici, centrali e locali, l’Avvocatura dello Stato il compito di
rappresentanza e difesa in giudizio, di assistenza e consulenza giudiziale ed extragiudiziale, delle
Amministrazioni pubbliche, centrali e locali.
In definitiva, questa triade di organi statuali dovrebbe essere destinata a fluidificare i meccanismi
della Pubblica Amministrazione, ormai irrimediabilmente inceppati a causa dell’interferenza,
clientelare e parassitaria, dei soggetti politici.
TITOLO OTTAVO
LE COMUNITA’LOCALI
CAPO I
SEZIONE PRIMA
LA REGIONE
153\160) Dall’Unità d’Italia, passando per il ventennio fascista, lo Stato italiano ha sacrificato le
esigenze di autonomia degli Enti Locali nel presupposto che era necessario tenere salda l’unità,
onde evitare che i moti di indipendenza delle varie Regioni potessero mettere in dubbio i risultati
dei vari plebisciti, che solo ufficialmente pare avessero recepito la volontà unificatrice dei vari
Popoli sotto la monarchia sabauda (vds sull’argomento il Vol.V, Cap.XXXVII – Le annessioni –
ne “La Storia d’Italia, di Indro Montanelli, ed. Corsera, Anno 2003)”.
In successione, ecco gli eventi: annessione allo Stato di Sardegna della Lombardia (r.d.l.18.3.1859
n.3811, conv. con legge 6.6.1860 n.4106), dell’Emilia (r.d.l.18.3.1860 n.4004, legge 15.4.1860 n.
4059), della Toscana (r.d.22.3.1860 n.4014, legge 15.4.1860 n.4060), delle Province Napoletane e
Sicilia (dec. dittatoriale 15.10.1860, r.d.17.12.1860 n.4498 – per le Province napoletane- e r.d.1
17.12.1860 n.4499- per la Sicilia- autorizzati dalla legge 3.12.1860 n.4497), delle Marche e
Umbria (rr.dd.17.12.1860 n.4500 – per le Marche e 4501 per l’Umbria, autorizzate con l.3.12.1860
n.4497); annessione al Regno d’Italia, delle Province Venete e di Mantova,(r.d.4.11.1866 n.3330),
di Roma e Province Romane (r.d.6.10.1870 n.5095), del Trentino-Alto Adige (r.d.1.6.10.1919
n.1804), di Venezia Giulia -territori della Dalmazia e Fiume-Provincia del Carnaro (l.19.12.1920
n.1478) (vds. Codice Costituzionale, Ferruccio Pergolesi, Zanichelli ed. 1954, nota 1 a pag.82 e
segg.)
Con la caduta della dittatura monarco-fascista, seguita alla sconfitta militare, l’aspirazione di
autonomia degli Enti Locali si era spinta fino alle rivendicazioni di totale indipendenza da parte di
alcune Regioni. Per scongiurare tali fermenti di secessione, ancora prima dello svolgimento del
referendum istituzionale, con il quale il Popolo Italiano si sarebbe pronunciato a favore della
Repubblica (10 giugno 1946), veniva costituita la Regione Sicilia a mezzo di un decreto legislativo
15 maggio 1946 n.455, convertito nella Legge Costituzionale 26.02.1948 n. 2; seguivano, poi, leggi
di pari data, nn.3,4,5 con cui venivano costituite le Regioni di Sardegna, Valle d’Aosta, TrentinoAlto Adige e, più tardi, la Regione Friuli-Venezia Giulia (31.1.1963 n.1); tutte e cinque con
particolari forme di autonomia speciale.
Scongiurato il pericolo delle secessioni, si sarebbe dovuto provvedere subito alla costituzione delle
Regioni a Statuto ordinario; adempimento procrastinato fino al 1970, anno in cui fu varata la
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
140
relativa normativa; ma solo con legge 8.6.1990 n. 142, venivano stabiliti i principi generali per
l’ordinamento delle autonomie locali.
Al momento attuale le Regioni a Statuto ordinario godono di: autonomia politica, cioè di autonoma
capacità decisionale rispetto allo Stato; di autonomia normativa, perché le Regioni possono
emanare leggi; di autonomia statutaria, perché possono organizzarsi nel modo che credono più
opportuno, anche se rimane sempre allo Stato la competenza sulla legislazione elettorale, sugli
organi di governo e sulle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città
Metropolitane, e sotto questo profilo tutti gli Enti locali devono coordinarsi con la legislazione
statuale; di autonomia finanziaria, in quanto le Regioni, le Province ed i Comuni possono istituire
ed applicare tributi propri, sempre nell’ambito del sistema tributario nazionale.
In verità, non può dirsi che le autonomie speciali e quelle ordinarie abbiano dato buoni risultati, a
causa della opinabile organizzazione burocratica di cui si sono dotate e degli sprechi (a dir poco)
nell’amministrazione delle loro finanze.
In definitiva, mentre lo stato sabaudo e il fascismo, con il pretesto di rafforzare l’unità d’Italia
avevano creato una organizzazione burocratica centralizzata del potere, adesso, con azione
centrifuga, i governanti locali si stanno dedicando, con ottimi risultati, ad una attività politica
disgregatrice dell’unità nazionale.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, che ha modificato il Titolo V della vigente
Costituzione, ha operato una tripartizione, piuttosto confusa e farraginosa, delle competenze
legislative tra Stato e Regioni; in conseguenza di ciò, si sta litigando su tutto: rapporti
internazionali, commercio estero, pubblica sicurezza, sicurezza sul lavoro, istruzione, disciplina
delle professioni, salute, alimentazione, energia, beni culturali, protezione civile, porti, aeroporti,
ferrovie, strade, turismo, con la conseguenza che la Corte Costituzionale è stata investita di ben
260 ricorsi proposti dallo Stato contro le Regioni, mentre queste, per non restare da meno, ne
hanno proposti 233.
Un vero caos che non si è riusciti a scongiurare nemmeno con gli attuali strumenti di
concertazione: Conferenza Stato-Città- Autonomie locali e Conferenza Stato-Regioni, congiunti
nella Conferenza Unificata.
La verità è che per miopia ed egoismo delle caste politiche, arroccate nei loro privilegi, il
problema, glissato dai Costituenti del 1948, è stato dolosamente trascinato fino al 1970 e non certo
risolto dalla Legge costituzionale n.2001\3, attualmente in vigore; mentre la successiva Legge del
2005, che aveva tentato di trovare una qualche soluzione, è stata bocciata dall’esito referendario.
Tuttavia, il problema è ormai divenuto improcrastinabile e va affrontato in radice.
L’Ipotesi, formulando un nuovo assetto degli Organi politici, centrali e locali, tenta di indicare una
nuova strada per raggiungere: 1) una più chiara suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni;
2) la costituzione di un Comitato Unico Camera-Senato per l’esame dei provvedimenti normativi
regionali attribuiti alla competenza collettiva del Parlamento; 3) una diversa strutturazione del
Senato, i cui membri, organizzati in un Consesso unitario e non per schieramenti politici, risultino
rappresentanti degli interessi delle Comunità locali, maggiormente qualificato a dialogare con la
Camera e con il Governo. Il Senato, così come configurato, potrebbe svolgere una attività
coordinatrice delle manifestazioni di autonomia degli Enti locali e una attività comparativa del
loro operato, sotto i profili sia della organizzazione che dell’efficienza amministrativa.
Ciò premesso, l’Ipotesi organizza le Comunità Locali in: Regioni, Città Metropolitane e Comuni; a
tali Entità vanno aggiunte le Comunità Montane e le Comunità Isolane o di Arcipelago, se la
fusione o la unione riguarda più isole. Stabilisce, poi, che la creazione di nuove Regioni possa
avvenire solo se la popolazione residente dei territori interessati non sia inferiore a tre milioni di
abitanti; e ciò ad evitare la tendenza, già in atto, della frammentazione del territorio nazionale. La
stessa norma, ai fini del riconoscimento, prevede una “procedura rinforzata”.
L’autonomia della Regione si concretizza nel potere di legiferare nelle materie riservate alla
propria competenza e nelle altre conferite dallo Stato, nel rispetto delle norme costituzionali,
nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
141
La potestà regolamentare discende dalla potestà legislativa o in conseguenza di altre funzioni
riconosciute alla Regione; può essere esercitata dalla Regione anche in quelle funzioni di esclusiva
competenza dello Stato che le siano state delegate.
Alla Regione viene posto l’obbligo di trasferire o delegare le funzioni amministrative e la gestione
dei servizi di propria competenza agli Enti locali minori, nel rispetto dei principi di sussidiarietà,
adeguatezza, differenziazione ed economicità e secondo le esigenze di prossimità, con esclusione di
ogni duplicazione e con la individuazione della relativa responsabilità a carico dei soggetti
preposti a tali attività. I principi sono tra di loro collegati da un nesso logico-funzionale, perché se
la sussidiarietà comporta il trasferimento delle funzioni e la gestione dei servizi all’Entità minore,
lo stesso principio va applicato a quello di prossimità, nel senso che tocca all’Ente più vicino
all’utente svolgere le attività amministrative e la gestione dei servizi; il principio di adeguatezza
suggerisce che le attività in argomento vengano svolte dall’Entità locale minore, ma solo se questa
sia in grado di svolgerli perché, in caso contrario, previa opportuna motivazione, interviene in via
sostitutiva l’Ente più idoneo; la differenziazione si riferisce alle peculiari caratteristiche dell’Ente
preposto a svolgere le funzioni amministrative e la gestione dei servizi, quali l’idoneità ambientale,
organizzativa, demografica, associativa (è il concetto antitetico a quello della uniformità
organizzativa, di memoria napoleonica, in base alla quale tutti gli Enti, dal villaggio alla grande
città, dovevano avere lo stesso tipo di organizzazione, a prescindere dal numero dei residenti, dalle
risorse locali, dallo sviluppo del suo artigianato etc.).
E’ evidente che l’attribuzione di funzioni e la gestione dei servizi comporta il trasferimento del
personale e delle risorse finanziarie e strumentali all’Ente designato, per metterlo in condizione di
svolgere tali compiti in regime di massima efficienza ed economicità.
Comunque, la Regione può svolgere direttamente le funzioni o la gestione dei servizi allorché
ritenga di garantirne l’esercizio unitario, ai fini della tutela dell’interesse della Comunità
regionale.
Le medesime finalità deve perseguire la Regione nel caso di delega di esercizio di funzioni o
gestione di servizi di competenza dello Stato.
Naturalmente, è previsto il potere di sostituzione da parte dello Stato e della Regione, qualora i
compiti attribuiti agli Enti minori non vengano svolti o se dalle inadempienze possa derivare
pericolo per la incolumità o sicurezza pubblica.
Sull’argomento delle risorse finanziarie, giova innanzi tutto richiamare le norme dell’articolo 48
della Ipotesi, che pongono un limite alla imposizione diretta, fissato al trenta per cento del reddito
netto, tassabile: cioè il prelievo complessivo operato dallo Stato, dalla Regione e dal Comune non
potrà superare tale limite, con la sola possibilità di prelievi eccezionali nei casi di calamità o di
avvenimenti internazionali di grave pericolo per la Comunità, come pure prelievi speciali sui
profitti di attività puramente speculative.
Altri prelievi possono derivare dall’imposizione indiretta sui trasferimenti e suoi consumi, con
esclusione dei beni vitali dell’esistenza e dei corrispettivi di pagamenti originati da servizi gestiti in
via monopolistica o in regime di gestione privata a cui l’utente non può sottrarsi, quali
l’assicurazione obbligatoria sui veicoli a motore, gas, luce, energia elettrica, etc.
L’Ipotesi vieta la istituzione di sovrimposte e di addizionali su ogni forma di tributo, statale,
regionale, comunale e limita la contribuzione obbligatoria solo ai servizi essenziali e di solidarietà,
da praticare al puro costo. Divieto necessario dato che già da tempo, in modo surrettizio o palese,
tali ”incrostazioni fiscali”, che esistevano prima della riforma del 1970\1971, risultano
reintrodotte nel nostro sistema tributario, tornato ad essere una vera concerie di imposte,
sovrimposte, addizionali, contributi, notificati ai contribuenti con una cartella esattoriale “a
lenzuolo” assolutamente incomprensibile (vds. Manuale di diritto tributario. F.C.Bianca, Janusa
editrice 1978). Oggi siamo arrivati a cento imposizioni fiscali!
Si ricorda che l’obbligo di corrispondere i tributi rivolto a tutti i contribuenti è correlato a quello
indirizzato agli amministratori di osservare la massima oculatezza nella gestione delle risorse
finanziarie disponibili. Purtroppo, ciò non avviene per cui al lungo elenco dei “quaderni di
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
142
doglianza”, esposti nella considerazioni a commento dell’articolo 47, devono aggiungersi altri
episodi di malgoverno. Fenomeno (è un eufemismo) che riguarda i territori “inesplorati” delle
Regioni, a prescindere dal loro colore politico, quasi che ormai possa individuarsi una sorta di
consorteria politica priva di ideologie ma ricca di parentele, amicizie, compagni di viaggio nel
paese di Bengodi.
Per fare un esempio, la Regione Lazio è inghiottita da una voragine di debiti; tuttavia, forte della
propria autonomia, nell’anno 2006, si è organizzata con sedici assessorati, ventiquattro
commissioni consiliari e quaranta osservatori e comitati. Ciascun assessore regionale intasca 8300
euro al mese per indennità di carica, mentre il suo capogruppo ne intasca 9.330; in questa Regione
esiste la possibilità di formare un “minigruppo politico”, cioè costituito da una sola persona, la
quale ha il diritto (!) di avere al proprio servizio una struttura amministrativa composta di sette
persone: un capo responsabile, due impiegati di categoria D, due impiegati di categoria C, uno di
categoria B e un addetto alla comunicazione; un gruppo politico composto da tredici membri può
avere a propria disposizione ben ventisette persone; inoltre, ciascun gruppo, in quanto tale, ha
diritto a 1221 euro al mese, mentre a ciascun consigliere di quel gruppo toccano 620 euro al mese;
sempre ad uno stesso gruppo, con delibera dell’Ufficio di Presidenza, vengono assegnati per
ciascun consigliere in forza al gruppo, per spese di diffusione 300 euro al mese; per spese di
documentazione 1000 euro al mese; a ciascun consigliere, per studio e aggiornamento 169 euro al
mese. Il Presidente del Consiglio regionale incassa 12.000 euro netti al mese; a costui “spetta”,
inoltre, l’auto blu; dello stesso colore sono le auto che spettano a tutti i componenti l’Ufficio di
Presidenza, al Segretario regionale del Consiglio ed al garante dei detenuti. Per i venticinque
Presidenti delle Commissioni consiliari e “speciali” sono a disposizione 25 auto blu per tre giorni
alla settimana. I percorsi chilometrici, casa-Roma e ritorno, che i consiglieri regionali coprono in
auto sono rimborsati, in ragione di un quinto della spesa, per l’acquisto della benzina verde per
diciotto giorni al mese e se il chilometraggio supera i cento chilometri di distanza al consigliere
toccano, in via forfetaria, 442 euro al mese.
Gli Enti e le Agenzie della Regione Lazio sono 75 e costano due miliardi di euro l’anno: quattro
mila miliardi delle vecchie lire. Queste strutture, del tutto inutili dal punto di vista tipologico, si
possono suddividere in: quattro per l’ambiente e l’agricoltura, dieci per la bonifica, cinque per i
consorzi industriali, sette per l’edilizia pubblica, nove per altre tipologie difficilmente identificabili,
tredici per i parchi, sette per il turismo, venti per la sanità e tengono occupati, si fa per dire, 45
presidenti, 175 revisori dei conti, 88 membri dei comitati tecnici: trentuno di queste Entità sono
Enti autonomi, puri ectoplasmi, corredati da un presidente, da un consiglio di amministrazione, con
autonomia di spesa che assorbe dieci milioni di euro all’anno, pari a venti miliardi di vecchie lire;
hanno sigle incomprensibili: – Agenzia regionale per i parchi ( Arpa), - Agenzia per la difesa del
suolo pubblico (Ardis); - Agensport -, - Istituto regionale di studi giuridici del Lazio C. A. Jemolo,
Ente regionale per le comunicazioni Montecelio, Laziodisu, Laziolavoro, Agenzia regionale ville
tuscolane (Irvit), - Asp, Agenzia trapianti, Aremol, Pegaso, che, come fantasmi, stanno allocati nei
vari edifici della Città di Roma, per la gioia esclusiva dei beneficiati.
E rimarrebbe ancora da individuare le altre società per azioni a capitale pubblico e le società
private partecipate da capitali azionari regionali!
Per non essere da meno, la Regione Sicilia, per l’esercizio finanziario 2006, presentava un bilancio
di previsione di spesa pari a 21,3 miliardi di euro. La Regione vanta 15.500 dipendenti, 100.000
stipendi pagati ogni mese e fra i beneficiari intere famiglie di politici di ogni parte politica; 50.000
sono le guardie forestali; 5000 i tecnici assunti per la sanatoria edilizia; 3000 sono gli impiegati
nei patronati scolastici.
Un caso emblematico, del “regime” di democrazia che aleggia in Italia, è quello della Regione
Toscana ove un assessore, titolare di un non ben definito “Assessorato alla Pace”, in 17 mesi è
riuscito a compiere 21 missioni: Bruxelles, Tel Aviv, Burkina Faso, Vienna, Kosovo, Pechino, Pola,
Banano (Mali), Kabul, Cameroun, Israele, Palestina, Johanneburg per un totale di sola spesa di
biglietti di viaggio, pari a 82.250 euro: 160 milioni delle vecchie lire; inoltre, costui ha speso
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
143
436.310,53 euro pari a £. 844.879,79 per consulenze generiche di cui non si è riusciti a conosce la
natura.
Tali fatti, riportati per difetto e non per eccesso, giustificano in pieno la normativa fiscale
delineata, come primo argine allo scempio del pubblico denaro.
Secondo questa Ipotesi, la Regione dovrebbe predisporre una previsione di bilancio sempre in
pareggio, eliminando o riducendo tutte le poste che risultassero spropositate, così da poter
superare l’esame critico del Consiglio Regionale delle Autonomie locali e quello che il Senato delle
Regioni effettua in via comparativa per individuare gli enti inutili, la differenza di costo dei vari
servizi pubblici locali, la consistenza dell’organico del personale ed il trattamento economico e
previdenziale di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, attingono dalle casse regionali e di
quanto altro ancora si riferisca alla loro attività.
E in caso di ricorso al fondo perequativo, le somme erogate andrebbero assoggettate al vincolo di
destinazione, cioè essere impiegate proprio in quelle opere o in quei servizi per cui sono state
richieste, onde impedire che vengano utilizzate per ripianare il passivo accumulato nei capitoli
destinati agli emolumenti degli organi politici e amministrativi.
In via di principio, dunque, il ricorso all’indebitamento dovrebbe risultare giustificato solo per il
finanziamento di spese di investimento, rimanendo, comunque, esclusa ogni garanzia dello Stato
per le obbligazioni assunte dalla Regione
SEZIONE SECONDA
ORGANIZZAZIONE POLITICO-AMMINISTRATIVA
DELLA REGIONE
161\162) In conseguenza delle norme che il Parlamento emana ai sensi della lettera a) dell’articolo
78 della Ipotesi, la Regione, con l’articolo 161, prefigura: 1) l’acquisto dell’elettorato attivo e
passivo rispettivamente a 18 e 21 anni; 2) l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo, ai nativi ed ai
residenti con anzianità non inferiore a due anni, onde evitare, come già successo in passato, che
questi ultimi, pilotati dai partiti, acquistino temporaneamente la residenza allo scopo di favorire la
vittoria di una determinata lista di candidati; 3) il termine di sessanta giorni perché la Giunta per
le elezioni deliberi in ordine alla regolarità delle operazioni elettorali e sui risultati, ai fini della
convalida della proclamazione di ciascuno degli eletti; 4) il termine, pure di sessanta giorni dalla
data della delibera o, in assenza, dalla data di costituzione della Giunta, per la proposizione della
impugnativa, onde evitare i frequenti casi di negata giustizia ai danni dell’interessato per tutti e
cinque gli anni della legislatura.
Lo Statuto deve racchiudere i principi organizzativi, politici ed amministrativi, in contemplazione
della funzionalità dell’Ente, con finalità di rigoroso rispetto dell’impiego delle risorse finanziarie,
le quali, come già detto, proprio perché prelevate obbligatoriamente dalle tasche dei cittadini,
assumono coloritura quasi sacrale, che aggrava in modo specifico la responsabilità degli
amministratori, tenuti a dare conto della loro condotta non solo agli organismi interni di controllo
ma anche alla Corte dei Conti, investita, sempre secondo questa Ipotesi, della competenza ad
esprimere non solo giudizi di legittimità ma anche di merito.
In definitiva, lo Statuto della Regione deve uniformarsi agli stessi principi delineati in argomento
per la organizzazione politico-amministrativa dello Stato.
E ciò rafforza la necessità di ricorso ad un modello di ”rappresentanza partecipativa” della
Comunità locale alle vicende della Regione, mediante l’elezione di persone al di fuori della logica
partitica, dotati di cultura ed esperienza professionale, oggi indispensabile per potere dialogare
con la dirigenza burocratica.
Ed è opportuno rilevare come l’Ipotesi abbia volutamente fissato un numero non elevato di elettori,
appena ventimila, per la promozione del referendum in materia di trattamento economico e
previdenziale dei membri elettivi, quale arma dissuasiva contro il dilagare dei privilegi.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
144
SEZIONE TERZA
COMPETENZE LEGISLATIVE DELLA REGIONE
163) Le modificazioni territoriali che possono realizzarsi nel territorio regionale scaturiscono dalle
nuove esigenze organizzative degli Enti locali minori, di cui si è fatto cenno nelle considerazioni
relative all’articolo 11 di questa Ipotesi. Ulteriori considerazioni vengono illustrate, in prosieguo,
nel Capo dedicato ai Comuni.
Qui interessa evidenziare che le modificazioni territoriali possono essere promosse dalla Regione
o dalle Comunità interessate, mediante un concerto raggiunto in sede di Consiglio Regionale delle
Autonomie locali, confermato dall’esito referendario e con il supporto del parere favorevole
espresso del Senato; completato dall’iter procedimentale in Parlamento, in sede di attività
collettiva, deputato a emanare la relativa legge di modifica territoriale.
Eliminando la tripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, introdotta dalle norme del Titolo
V della vigente Costituzione, l’Ipotesi tenta di ricondurla nel rispettivo alveo con l’intento anche di
disinnescarne la conflittualità; anche in virtù della posizione strategica che viene ad assumere
l’Assemblea senatoriale, dotata di una duplice rappresentatività, elettiva e partecipativa; composta
da elementi tutti radicati nel territorio e perciò immediati portatori degli interessi locali; dotata di
competenze idonee a sostenerne le ragioni nei confronti dell’altra Camera e legittimata a svolgere,
con giustizia domestica, una attività comparativa sulle modalità di amministrazione degli Enti
minori.
Un Senato così concepito, con maggioranza rappresentativa e con una componente elettiva
minoritaria, potrebbe influire non poco sulla attività legislativa della Regione.
La Regione, unitamente al Consiglio Regionale delle Autonomie locali, procede alla ripartizione
tra le Entità locali del trenta per cento del gettito complessivo delle entrate erariali, attribuitale
direttamente dalla Agenzia delle Entrate nella misura del cinquanta per cento del gettito delle
entrate erariali accertate e riscosse nel proprio territorio, tenendo conto del luogo di produzione
del reddito.
L’Ipotesi pone, altresì, il divieto di istituire dazi e di adottare provvedimenti che possano
ostacolare la libera circolazione delle persone e dei beni o l’esercizio del diritto al lavoro.
A chiusura è posta una clausola di garanzia in forza della quale il Governo, nel caso di
inadempienze da cui possano derivare pericoli per l’incolumità o sicurezza pubblica, è autorizzato
a sostituirsi agli organi di governo locale; ferma rimanendo la competenza della Corte
Costituzionale a giudicare dei conflitti di attribuzione tra il Governo centrale e quelli locali.
SEZIONE QUARTA
Organi di raccordo
Il Consiglio Regionale delle Autonomie Locali
Il Comitato Regionale di Controllo
164\165) Il Consiglio Regionale delle Autonomie locali è un organo di raccordo istituzionale, di
indirizzo e di garanzia ai fini della concertazione della attività politico-amministrativa degli Enti
locali; la sua composizione ne rispecchia le finalità, di carattere spiccatamente amministrativo, ma
con profili di rilevanza politica, come risulta dalle competenze di cui è investito.
Infatti, il Consiglio individua ed elegge le cinque personalità regionali che andranno a far parte del
Senato delle Regioni, insieme alla altre individuate dalle Università e dagli Ordini o Associazioni
professionali regionali; designa un membro della Corte Costituzionale; designa i tre rappresentanti
della Regione da includere nell’elenco dei sessanta membri da cui verranno estratti a sorte le
quindici persone destinate ad integrare le Giunte per le elezioni delle due Camere del Parlamento;
e, ancora, formula le indicazioni di politica criminale, da inviare ai Procuratori Generali presso le
Corti d’Appello ed alle Procure della Repubblica presso i Tribunali che operano nella Regione; è
lo stesso Consiglio, poi, che individua i quindici nominativi tra i quali l’Assemblea regionale dovrà
scegliere i quattro membri, oltre al Presidente, che andranno a comporrei il Comitato regionale di
controllo contabile, competente all’esame ragionieristico-contabile, di legittimità e di merito, della
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
145
attività degli organi politici e burocratici, onde prevenire il saccheggio delle finanze regionali di
cui sono piene le cronache dei giornali.
Il Comitato Regionale di controllo contabile agisce in regime di completa indipendenza, al fine di
assicurare la corretta gestione del patrimonio e delle finanze dell’Ente.
E’ costituito da un Presidente e da quattro Consiglieri scelti dall’Assemblea regionale, in seduta
segreta, da un elenco di quindici nominativi indicati dal Consiglio Regionale delle Autonomie
locali tra qualificati esperti in materia di contabilità pubblica, laureati in giurisprudenza ed in
economia commercio.
Il Comitato regionale di controllo contabile agisce in sintonia con la Sezione regionale della Corte
dei Conti, assicurando in tal modo un controllo preventivo sulla legittimità e sul merito delle
singole spese e della amministrazione del patrimonio della Regione.
E’ un organo eminentemente tecnico ed i suoi componenti non sono rieleggibili.
CAPO SECONDO
LA CITTA’ METROPOLITANA
166\168) La legge n. 142 del 1990 aveva previsto l’istituzione della Città Metropolitana, ma la sua
attuazione non ha visto la luce nemmeno con la successiva legge del 1999, poi inclusa nel Testo
Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali legge n. 267 del 18 agosto 2000.
Gli articoli 22 e 23 di quel Testo, che in seguito alla riforma del Titolo Quinto della vigente
Costituzione già abbisogna di ulteriori modifiche, elenca come Metropolitane le città di Torino,
Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli; altre cinque potranno essere
istituite nelle Regioni a statuto speciale.
L’Ipotesi ritiene che Roma, più che essere inclusa tra le Città Metropolitane, quale Capitale
d’Italia dovrebbe usufruire di una particolare organizzazione politico-amministrativa con
attribuzione di poteri e mezzi finanziari adeguati ai suoi compiti.
Per l’occasione, si torna ad insistere sulla soppressione delle Province, quali Entità politiche, dato
che le Città Metropolitane sono destinate ad assorbire i compiti e la maggior parte del territorio di
queste. Del resto, la loro soppressione era stata prevista da una legge del 1970, concomitante con
quella della istituzione delle Regioni a statuto ordinario; purtroppo, come avviene spesso nel
nostro Paese, le Province non solo non sono state soppresse ma, addirittura, tendono ad aumentare
tanto che dal novanta sono diventate 110; la Regione Sardegna si appresta ad istituirne altre
quattro,mentre altre tre –Monza, Fermo e Barletta- sono previste da un disegno di legge
governativo; oltre ad altre 29 reclamate da vari progetti di legge, ad iniziativa di quasi tutti i
partiti politici.
E’ una manovra questa smaccatamente finalizzata a sistemare tutta quella manovalanza politica
che non ha potuto trovare posto in altre Istituzioni; tanto che, in una resipiscenza di principi
morali, pare che in tali nuove Province, che a regime pieno verrebbero a costare al contribuente 50
milioni di euro all’anno ciascuna, non verrebbero istituite le Prefetture, le Questure e i Vigili del
Fuoco, il cui costo di aggirerebbe sui 40 milioni di euro all’anno per Provincia.
Attualmente, le Province, che non hanno alcun significato dal punto di vista funzionale, costano al
contribuente ben 13 miliardi di euro (Italia-Oggi del 22 marzo 2008).
Tornando alla Città Metropolitana, la normativa in ordine ai suoi organi di governo ed all’assetto
burocratico-amministrativo, si riporta a quella delle Regioni, con una particolare attenzione alla
tutela delle Comunità Locali assorbite nell’ambito della Metropoli, così da assicurare
nell’Assemblea consiliare metropolitana la partecipazione di loro rappresentanti a salvaguardia
degli interessi e della loro identità originaria; inoltre, nelle Comunità locali, unificate, l’Ipotesi
prevede l’istituzione di Consigli Municipali, composti da pochi membri elettivi, con funzione di
raccordo tra le Municipalità e gli organi di governo della Città Metropolitana.
Nei limiti delle norme costituzionali e per quanto non previsto dalla legge istitutiva, potranno
essere applicate alla Città Metropolitana le norme relative alla Regione.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
146
CAPO TERZO
IL COMUNE
169-171) Come già accennato, nei vecchi regimi delle monarchie teocratiche, anteriori quindi alla
rivoluzione francese, il potere locale era considerato un privilegio concesso dal re, come eccezione
al suo potere assoluto che esercitava (per volontà divina!) su tutto il territorio.
In Francia, caduta la monarchia, per effetto di un decreto emanato dall’Assemblea Costituente,
veniva disposto che ciascuna città, borgo, parrocchia, villaggio, comunità di campagna avesse la
propria municipalità. Tale principio, rafforzato poi da Napoleone, portò alla parcellizzazione delle
realtà associative territoriali, tanto che in Francia si era giunti ad avere ben 44.000 municipalità,
oggi ridotte a metà.
Il principio delle municipalità fu esportato dalle armate napoleoniche in tutta Europa ed è in
conseguenza di quel retaggio che nel nostro Paese si hanno ancora oggi ben 8103 Comuni.
Di questi Comuni (secondo l’Annuario ISTAT, solo 636 hanno una popolazione superiore ai 15.000
abitanti e in questo gruppo solo 12 superano i 250.000 abitanti; i rimanenti 7467 Comuni hanno
una popolazione inferiore a 15.000, e tra questi ve ne sono addirittura 2000 con popolazione
inferiore a 1000 abitanti: una curiosità, il Comune di Bergolo -Cuneo- ha 80 abitanti, il Comune di
Moncenisio (TO) ha addirittura 48 abitanti e 39 elettori!
Tali proposte di riforme strutturali, a costo zero, mentre renderebbe più moderna ed agile
l’amministrazione locale, realizzerebbero una riduzione dei costi dell’apparato politico.
A prescindere da tali considerazioni, già accennate nel commento all’articolo 11, l’Ipotesi definisce
il Comune Ente territoriale necessario, soggetto primario delle aggregazioni locali di carattere
storico-etnografico, attribuendogli funzioni proprie , oltre a quelle che potranno essergli conferite
dallo Stato o dalla Regione, in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione,
adeguatezza ed economicità, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona ed alle
collettività locali, dello assetto e utilizzazione del territorio, dello sviluppo economico.
Le altre norme del governo comunale vengono ipotizzate in analogia a quelle delle Regioni e delle
Città Metropolitane e, per quanto applicabili, anche in armonia con quelle del Parlamento
Nazionale.
La composizione numerica dei Consigli Comunali viene ridefinita in modo da evitare l’ormai
riconosciuto affollamento delle Assemblee, causa anche di una poco oculata selezione dei
candidati, difficoltà nel funzionamento dell’organo e aggravamento del costo dei servizi; per gli
stessi motivi, vengono ridotti i membri della Giunta e limitata a due soli mandati l’elezione alla
carica di sindaco.
Insieme alla tradizionali competenze, al Comune viene attribuito un incarico di collaborazione in
materia di accertamento dei tributi con l’Agenzia Regionale delle Entrate, la individuazione degli
estimi catastali e la tenuta del catasto dei terreni e dei fabbricati.
CAPO QUARTO
GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI
RIMOZIONE DEGLI ORGANI DI GOVERNO LOCALE
172\173) L’Ipotesi indica gli obbiettivi che gli Enti locali devono proporsi nella gestione dei servizi
pubblici: realizzare fini sociali e promuovere le sviluppo economico e civile della Comunità.
Controlli precisi ed immediati, anche se successivi ma coordinati con il Comitato Regionale di
controllo contabile, potrebbero servire da valido deterrente a tutela delle risorse finanziarie degli
Enti locali.
Come già detto, l’ultimo baluardo al dissennato saccheggio delle casse pubbliche da parte dei
pubblici amministratori è costituito dalla Corte dei Conti la quale esercita il controllo di legittimità
e di merito degli atti gestionali, individuandone le disfunzioni e le responsabilità.
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
147
Lo scioglimento dei Consigli degli Enti locali e la rimozione degli organi di governo è l’attività più
invasiva della sfera dell’autonomia, che lo Stato è costretto a svolgere a tutela della salvaguardia
dell’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, allorché una Comunità risulti caduta in ostaggio di
organizzazioni omertose, infiltrate negli organi collegiali o negli organi di governo; questi casi,
non rari a verificarsi, minano alle fondamenta i principi di democrazia e le stesse basi della
organizzazione statuale.
I procedimenti di scioglimento o di rimozione vengono adottati con un decreto del Presidente della
Repubblica su proposta del Parlamento in sede bicamerale; e anche in questo caso, la particolare
composizione del Senato delle Regioni potrà giovare all’esame obiettivo delle ragioni che possano
indurre alla adozione di un così grave provvedimento, allontanando anche qualsiasi dubbio su
eventuali intenti demagogici del Governo in carica.
TITOLO NONO
SEZIONE PRIMA
LA CORTE COSTITUZIONALE
GARANZIE COSTITUZIONALI
174\176) Sulla flessibilità delle norme contenute nello Statuto albertino, si è avuto modo di
riflettere, sia pure superficialmente, in occasione del commento agli articoli 51-53: infatti, proprio
a causa dell’assenza di una appropriata procedura (di aggravamento) per l’approvazione di norme
che potessero incidere sui diritti inviolabili delle persone, era stato possibile il passaggio da un
governo costituzionale puro ad un governo parlamentare e poi ad un governo dittatoriale.
La Costituzione vigente, onde evitare gli inconvenienti dello Statuto albertino, ha conferito alle
proprie norme carattere di rigidità ed ha assegnato alla Corte il compito di impedirne la
interpretazione in modo difforme dalle finalità che il Popolo si era proposto nell’approvarle; e, nel
caso in cui si rendesse necessaria una loro modifica, di controllare e garantire la legalità della
procedura di revisione, così da confermarne le finalità.
Si deve constatare, però, che nella vigente Costituzione, a tale delicata competenza non
corrisponde la “terzietà” dei quindici membri della Corte, la cui serenità ed obbiettività di giudizio
resta inficiata, almeno formalmente, dal fatto che: cinque sono eletti dal Parlamento, cioè da quel
potere di cui essi sono chiamati a giudicarne le leggi sotto il profilo della legittimità costituzionale;
cinque sono nominati dal Presidente della Repubblica, cioè da quella persona che potrebbe essere
sottoposta al loro giudizio, in caso di apertura di un procedimento di accusa; mentre i restanti
cinque sono eletti dalle supreme magistrature (tre appartenenti alla magistratura ordinaria, uno
alla magistratura amministrativa e uno alla magistratura contabile), ma il cui criterio di scelta è
inficiato dall’esistenza di correnti interne ai giudici, ideologicamente orientate e consolidate.
Pertanto, è legittimo il dubbio che un qualche impulso di partigianeria possa albergare nel loro
animo, per formazione ideologica o per semplice riconoscenza verso l’organo che li ha scelti; e
tale dubbio rimane rafforzato dal fatto che, in mancanza di norme in contrario, essi alla fine del
mandato possano coltivare l’aspettativa di ricevere da un qualchei partito o dal governo, un posto
in Parlamento o cariche ministeriali di prestigio.
Un tentativo di modifica della composizione dei membri della Corte Costituzionale era stato
operato dalla Legge Costituzionale approvata in via definitiva dal Senato della Repubblica il 16
novembre 2005, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 18.11.2005 n. 269 che, come già detto, non
ha superato il referendum: l’articolo 135 di quel progetto affermava che “ la Corte costituzionale è
composta da quindici giudici: Quattro giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica;
quattro giudici sono nominati dalla supreme magistrature ordinaria e amministrativa, tre giudici
sono nominati dalla Camera dei deputati e quattro giudici sono nominati dal Senato federale della
Repubblica, integrato dai Presidenti delle Giunte delle Regioni e delle province autonome di Trento
e Bolzano”.
La presente Ipotesi prevede l’elevazione del numero dei Giudici Costituzionali a quaranta, tutti
estranei alla politica militante eletti: uno per ciascuno dei Consigli Regionali delle Autonomie
locali tra i docenti universitari di materie giuridiche ed economiche, titolari di cattedra o associati,
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
148
nativi o residenti da almeno due anni nella Regione; uno per ciascuna Regione dagli Ordini o
Associazioni degli avvocati e dottori commercialisti tra i professionisti con anzianità non inferiore
a venti anni di effettivo esercizio, nativi o residenti da almeno due anni nella Regione; la durata
dell’incarico non superiore a sei anni; la non rieleggibilità, onde evitare, come già detto, che
costoro nelle loro decisioni possano essere influenzati da prospettive di rinnovo del mandato; il
divieto di ricoprire cariche pubbliche elettive o di nomina governativa nei cinque anni successivi
alla scadenza del mandato, onde evitare l’indecoroso spettacolo di personaggi che dimessi il
giorno prima dalle loro funzioni, il giorno dopo si siano ritrovati ad occupare seggi in Parlamento
o poltrone di prestigio in Enti pubblici.
In tal modo, verrebbe confermato, almeno formalmente, il principio della “terzietà” del giudice e
introdotto, anche in questo Consesso, il principio della rappresentatività partecipativa del Popolo
nella giustizia costituzionale, addirittura su base regionale.
Naturalmente la Corte, anche a riconferma della sua posizione di organo costituzionale,
giudicherebbe delle cause ostative di eleggibilità dei propri membri e delle cause di incompatibilità
susseguenti alla cessazione della carica e delle funzioni.
Il Presidente della Corte è configurato come un primus inter pares, anche se, per ovvii motivi di
funzionalità processuale, a lui è affidata l’organizzazione, l’impulso, la direzione dei lavori e la
rappresentanza esterna della Corte; a insindacabile giudizio nomina il suo vice.
Anche per i giudici costituzionali, il trattamento economico e previdenziale va conformato alla
norma del n. 11 dell’articolo 81, con i criteri stabiliti dall’articolo 65 della Ipotesi.
La Corte giudica sulla conformità di una legge ordinaria o di un atto avente valore di legge alla
Costituzione ad alle leggi costituzionali. La Bicamerale aveva esteso il giudizio della Corte anche
sui regolamenti che disciplinano l’organizzazione statale; competenza che viene riconfermata
dall’Ipotesi.
I conflitti di attribuzione possono insorgere tra gli stessi poteri dello Stato o tra questi e le Regioni,
come può accadere tra un Ministro ed il Presidente della Repubblica, oppure tra il Governo e una
Regione.
L’Ipotesi conferma l’autonomia degli Enti locali, riconoscendo loro il diritto di ricorrere alla Corte
Costituzionale, nel caso in cui la Camera adotti un provvedimento in via definitiva, già respinto in
sede di esame dal Comitato Unico Camera-Senato.
Oltre alla competenza a giudicare sulle questioni relative alla legittimità della elezione del
Presidente della Repubblica e sulle accuse elevate nei suoi confronti per alto tradimento o attentato
alla Costituzione, alla Corte viene pure attribuita la competenza a giudicare sui ricorsi in materia
di elezione dei componenti delle due Camere, sui referendum abrogativi e sui ricorsi per la tutela,
nei confronti dei pubblici poteri, dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, secondo
condizioni, forme e termini di proponibilità stabiliti con legge ordinaria.
Il controllo di legittimità, previsto dalla vigente Costituzione e confermato in questa Ipotesi, è
costituito da un sistema misto tra quello “diffuso”, praticato dalla giurisdizione anglosassone, in
cui l’eccezione di incostituzionalità di una legge può essere sollevata davanti a qualsiasi giudice e
decisa da questi in via incidentale, per poi passare al merito della questione controversa, oppure
quello “accentrato”, praticato dalla giurisdizione austriaca, la quale prevede un ricorso
indirizzato direttamente alla Corte ed al quale il giudice di merito rimane estraneo; il sistema
“misto”, adottato in Italia, permette alle parti in causa ed allo stesso giudice investito del caso da
giudicare, di sollevare l’eccezione di incostituzionalità davanti alla Corte, perché questa si esprima
con un giudizio definitivo.
La Corte giudica con un quorum minimo di tredici membri, oltre al Presidente, il cui voto, in caso
di parità, vale doppio.
Innovando in tema di segretezza sul voto espresso dai giudici, l’Ipotesi stabilisce che l’opinione dei
dissenzienti deve essere resa pubblica.
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SEZIONE SECONDA
REVISIONE DELLE NORME COSTITUZIONALI
PROCEDURE REFERENDARIE
177\178) Per l’introduzione, la modificazione o l’abrogazione di una norma costituzionale,
l’Ipotesi prevede il doppio esame della deliberazione da adottarsi dal Parlamento in seduta comune
con un intervallo non inferiore a tre mesi, con la maggioranza assoluta in prima convocazione e
con la maggioranza dei tre quinti dei componenti l’assemblea in seconda convocazione.
Ed anche in presenza di tali maggioranze, non viene apposta alcuna preclusione per il ricorso al
referendum popolare, in quanto, trattandosi di norme che interessano i principi fondamentali della
convivenza, tocca sempre alla volontà sovrana della Comunità Nazionale esprimersi, in via
definitiva, a mezzo di una richiesta che comunque deve risultare sottoscritta da un milione di
elettori.
L’Ipotesi chiude riconfermando il divieto di revisione della forma repubblica su cui poggia la
Comunità Nazionale; e ciò comporta che solo un movimento rivoluzionario, pacifico o violento,
potrebbe essere in grado di modificarla.
I beni esistenti nel territorio nazionale degli ex re di Casa savoia, delle loro consorti e dei loro
discendenti maschi sono avocati allo Stato e sono nulli i trasferimenti e le costituzioni di diritti
reali sui beni stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946.
I titoli nobiliari non sono riconosciuti ed i predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922
valgono come parte del nome.
L’Ordine Mauriziano è conservato come Ente Ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge.
La Consulta araldica rimane soppressa.
******************************
Perché, in conclusione,“ La verità è questa: lo Stato in cui chi deve governare non ne ha il minimo
desiderio è per forza amministrato benissimo, senza la più piccola discordia, ma quello in cui i
governanti sono di tipo opposto, è amministrato in modo opposto.”
E, ancora: “Se per chi dovrà governare (gli) troverai un modo di vita migliore del governare, ottima
potrà essere l’amministrazione del tuo Stato, perché sarà il solo (Stato) in cui governeranno le
persone veramente ricche, non di oro, ma di quella ricchezza che rende l’uomo felice, la vita onesta
e fondata sull’intelligenza. Se, invece, vanno al potere dei pezzenti, avidi di beni personali e
convinti di dover ricavare il loro bene di lì, dal governo, non è possibile una buona
amministrazione: perché il governo è oggetto di contesa e una simile guerra, civile ed intestina,
rovina con loro tutto il resto dello Stato.” Platone, Repubblica, Piccola Bibl. Filosofica Laterza
Decima ed. 1973, pagg. 173 e 174, a cura di Franco Sartori
*****************************
F.C. BIANCA – Ipotesi di Nuova Costituzione – come potrebbe essere
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Sono stati consultati:
1) Gustavo Ingrosso – Diritto Finanziario – Ed. Jovine, 1956
2) V. De Ruvo – L’individuo, la società, la folla – Ed. Cedam, 1949
3) V. Del Giudice – Nozioni di diritto canonico – Ed. Giuffrè, 1953
4) G. Giacalone – La Divina Commedia – Ed. Signorelli, 1978
5) Ralf Dahrendorf – Quadrare il cerchio. Benessere economico, Coesione sociale e libertà
politica- Ed. Laterza, 1995
6) F. Carlo Bianca – Contributo alla riforma del contenzioso tributario - Ed. Ministero delle
Finanze, Rivista Tributi, n.69, 1971
7) Francesco Carnelutti – Istituzioni del processo civile. V Edizione – Ed. Il Foro Italiano, 1956
8) F. De Iulo – Critica al sistema capitalista – Ed. Dell’Orsa, 1947
9) Bascheri, D’Espinosa, Giannattasio – La Costituzione Italiana – Ed. Noccioli, 1949
10)Indro Montanelli – Storia d’Italia – Rizzoli 1° ed. BUR, 1974
11)Gaspare Ambrosini – Sistemi elettorali – Ed. Sansoni, 1946
12)Guido Neppi Modona – Stato della Costituzione, Ed. Il Saggiatore, 1998
13)Francesco Leoni – Storia dei partiti politici italiani – Ed. del Mediterraneo
in La riconquista dell’Italia, Longanesi, 1993
14)Piero Ignazi – I Partiti sospesi. Crisi di trasformazione
15)Favio Cavazza – Una democrazia al lavoro. Ipotesi di nuove forme di partito
16)Marco D’Alberti - Le nuove frontiere della pubblica amministrazione
17)Bruno Musso – Il Mondo prossimo di sussidiarietà
18)Albert Bressand e Catherina Distler – L’economia delle reti: il Copernico cablato
19)Alberto Sensini – L’inverno della Repubblica – Ed. Sugarco, 1983
20)Franco Sartori – Platone. Repubblica – Ed. Laterza in Biblioteca filosofica X Ed. 1973
21)Indro Montanelli – La Storia d’Italia – Ed. Corsera, 2003
22)Ferruccio Pergolesi – Codice costituzionale – Zanichelli, 1954
23)Atti del seminario dell’Università di Pavia, Modifiche alla seconda parte della Costituzione
“Intorno ai difetti ed alle virtù della Riforma di Lorenzago- Ed. Giuffrè, 2005
24) Lorenza Violini – Lo Stato federale tra legittimazione tecnica e legittimazione politica
in Quaderni della Rivista “Il Politecnico”, Facoltà di Scienze olitiche dell’Università di Pavia, Ed.
Giuffrè, 2005
25)Gaetano Mosca – Appunti di diritto costituzionale,3°edizione – Ed. Cedam, 1956
26)Mario Dogliani – Stato della Costituzione – Ed. Il saggiatore, 1998
27) Paolo Lazzara – Le autorità Indipendenti e discrezionalità – Ed. Cedam, 2001
28) Sergio Foà – I regolamenti delle autorità indipendenti – Ed. Giappichelli, 2002
29)Loris Mosquera – La Costituzione spagnola del 1978 – Ed Giuffrè, 1982
30)Francesco Carlo Bianca – Manuale di diritto Tributario – E. Janusa, 1978
31)G. Di Federico – La riforma istituzionale e la giustizia, in Una Costituzione per le riforme – Ed.
Liber. Liberal
32) Pier Giorgio Lucifredi – Novissimo Atlante Costituzionale . ed. Giuffrè, 1990
33) Francesco Colacicco – Gli organi del governo locale , II edizione– ed.Maggioli, 1999
34) Adriano Ciuffi – Il sindaco dei cittadini – Collana editoriale ANCI – Ed.CEL, 1993
35) Luciano Randelli – Il sistema delle autonomie locali – ed. Il Mulino, 2004
======================================================================
Scritto in Roma dal 1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2006, rielaborato nel 2007 e pubblicato nel
2008. E’ vietata la riproduzione dell’intera opera; è ammessa la citazione dei singoli articoli e
relativi commenti, con l’obbligo di indicarne la fonte e l’autore.
Pareri in proposito a mezzo E-mail: [email protected] ; oppure via fax al n.
06.5374370
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