Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 87 Perché l’Italia? Perché la Sicilia. Liriche, dipinti,frammenti Extra Hungariam non est vita, si est vita, non est ita (Ludovicus Caelius Rhodiginus, alias Ludovico Ricchieri) S ONO NATO IN UNA PICCOLA CITTÀ DEL ANTONIO DONATO SCIACOVELLI SUD-EST, MATERA, UN TEMPO DESCRITTA CON TONI AL- LARMATI E APOCALITTICI DA CARLO LEVI IN CRISTO SI È FERMATO A EBOLI, OGGI – SPERO – DIVERSAMENTE APPREZZATA NEL MONDO GRAZIE ALLA CINEMATOGRAFIA, EUROPEA E AMERICANA, CHE NE HA UTILIZZATO SPESSO GLI SPLENDIDI PAESAGGI TUFACEI COME SFONDO DI VICENDE EVANGELICHE, E QUANDO NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI OTTANTA M’ISCRISSI AI CORSI QUADRIENNALI DI LINGUA E LETTERATURA UNGHERESE DELL’ISTITUTO UNIVERSITARIO ORIENTALE (OGGI UNIversità «L’Orientale» di Napoli), mai avrei immaginato la ricchezza di contatti, rapporti, legami e intertestualità tra Italia e l’Ungheria. Naturalmente sin dalle prime lezioni i nostri docenti, il comparatista Amedeo Di Francesco, la traduttrice Marinella D’Alessandro e la nostra insegnante di lingua ungherese Mária Tóth, procurarono di citare decine e decine di momenti comuni di queste due culture, ma – come spesso capita – solo le esperienze esistenziali successive resero ben più convincenti quei riferimenti dagli accenti altisonanti che spesso dovevamo ripassare su dotte dissertazioni, prima di presentarci a sostenere un esame. Il primo momento di feed-back esistenziale, per la gran parte dei magiaristi in erba, furono i corsi dell’Università Estiva di Debrecen, che ci raccontavano paralleli a quelli dell’Università per Stranieri di Perugia, e che negli ultimi anni del kádárismo ci offrirono l’immagine idilliaca di un’isola lontana dai grandi problemi internazionali, un grande crogiuolo di nazioni, lingue e mentalità, da cui sarebbero nate (anche) grandi amicizie «all’ombra dell’asse Roma–Budapest». Vennero ben presto tempi in cui tutto aveva il sapore della rinascita, della riapertura alla collaborazione internazionale, e di lì a poco saremmo stati testimoni oculari degli effetti del grande cambiamento politico del biennio 1989–90: più facile divenne entrare in Ungheria, uscire NC 12.2011 87 Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 88 [ANTONIO D ONATO SCIACOVELLI] dall’Ungheria (per i magiari, naturalmente), subito si fecero avanti gli investitori, le iniziative culturali, i gemellaggi, ma anche le inevitabili commistioni popolar-culturali, le imit-importazioni, e mentre in Italia imperversava il mito ero-politico di Cicciolina, dalle Prealpi Orientali alle ultime propaggini della Grande Pianura si consumavano similpizze e si progettavano grandi viaggi in riva all’Adriatico, agli scavi di Pompei, alle bellezze universali dei Musei Vaticani o degli Uffizi, poiché non bisogna dimenticare che il quarantennale purgatorio del socialismo aveva drasticamente limitato – oltre ad altri, forse più importanti diritti – la libertà di spostamento, di allargamento degli orizzonti culturali, nach Westen. Sono passati vent’anni appena, e ci sembra un secolo! La politica culturale e formativa magiara, all’indomani del cambiamento di regime, decise di escludere ex abrupto dall’insegnamento scolastico la lingua russa, fino a quel momento materia obbligatoria, così che grazie all’ingresso nei programmi ministeriali delle principali lingue europee, anche per l’italiano si aprirono le porte di una maggiore diffusione, nelle aule scolastiche e universitarie, con il potenziamento delle cattedre già esistenti e la nascita di nuove, che portarono linfa fresca sia negli studi delle relazioni culturali e storiche tra Italia e Ungheria, che nell’attuazione degli stessi, con gli scambi di docenti e studenti (il programma Erasmus ne è ancora oggi un ottimo quadro di promozione), l’ingresso di nuove leve nell’editoria, una maggiore (e migliore) circolazione di opere, spunti, ispirazioni, contatti. Una ripresa? O forse parliamo di un legame che non si era mai interrotto? La poesia ungherese (in latino e in volgare) sin dai primi grandi autori, Janus Pannonius e Bálint Balassi, aveva intrecciato la sua storia alla vicenda più complessa dell’Umanesimo italiano ed europeo, e per secoli i poeti ungheresi avevano gettato uno sguardo ai paesaggi italiani, prima di comporre alcuni piccoli capolavori in cui si sente tutto il fascino esercitato dalla bellezza e dalla vita italiane: saltando subito al XX secolo, ricorderemo che Endre Ady, il vate che con la sua opera condizionò tutta la letteratura magiara del Novecento, immortalò la luna di un pomeriggio dell’estate romana in Nyárdélutáni hold Rómában (apparsa nel 1911 sulla rivista letteraria Nyugat, con l’epigrafe A Roma, primi di giugno), mentre Mihály Babits, il traduttore della Commedia di Dante, scrisse la meravigliosa Esti kérdés (Questione della sera) ponendo al centro della sua riflessione sulla natura del cosmo, l’immagine della Laguna e del ricordo: NC 12.2011 88 Quando la morbida, placida e nera / cortina vellutata della sera / scende a coprir la terra, / da mani immense di balia distesa, / sì delicata ch’ogni filo d’erba / sta dritto sotto il soffice suo velo, / né petali ritorce / né le ali di farfalle / perdon lo smalto d’iride che le orna, / tutto posa sotto il velo placido / all’ombra del suo tocco di velluto / senz’avvertirne il peso: / allora, dovunque tu stia vagando, / che segga nella mesta stanza bruna, / che fuori dal caffé guardi allibito / come s’accendono i lampioni intensi, / stanco, da un colle, col tuo cane accanto / guardi la pigra luna; / che sulla strada impolverata guidi / un torpido cocchiere, / che sul ponte rullante venga meno / di una nave, o sul sedil del treno; / che attraversando la città straniera / ti fermi ad ogni angolo a guardare / intimorito delle lontane vie / l’intreccio, e doppie file di lampioni; / o che sulla Laguna / mirando dalla Riva, / ove l’opale specchio / le fiamme opaco frange, / Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 89 [PERCHÉ L’ITALIA? PERCHÉ LA SICILIA. LIRICHE, DIPINTI, FRAMMENTI] rimembri immerso nel più che passato, / ricordo che dolcissimo tormenta, / nel tempo tuo passato: / come l’immagine della lanterna / magica, t’appare, è, già non è più, / ricordo che non cede, / ricordo grave, eppure ti arricchisce: / lì chinerai, sulla marmorea terra / il capo appesantito dai ricordi; / immerso tra bellezza e meraviglia / pauroso penserai: a cosa serve, / tutta questa bellezza? / orfano penserai, a cosa serve, / quest’acqua di seta? a che i marmi? / la sera, questa soffice cortina? / i colli? gli alberi? / e il mare, inetto al seminare? / a che le sempre mobili maree, / e le nubi, dolenti Danaidi? / il sole, sisifeo masso afoso? / a che i ricordi? e il passato? / a che i lampioni? a che le lune? / e l’infinito tempo? / prendi quel filo d’erba, per esempio: / a che ricresce, se poi secco muore? / e perché secca, se ricresce ancora?1 Tra le due guerre mondiali un altro grande protagonista della letteratura ungherese, Antal Szerb, scrive un romanzo dall’atmosfera di sogno, Utas és holdvilág2 (1937), partendo dal viaggio di nozze di una coppia ungherese, Mihály ed Erzsi: quello che sembra un normalissimo viaggio-centone (Venezia, le gondole, le calli, i piccioni) si trasforma ben presto in una narrazione da dormiveglia, in cui si incrociano esistenze e destini e il protagonista, nel mezzo del cammin di sua vita (nella finzione del romanzo Mihály ha 36 anni), compie un lungo e affannoso viaggio in Italia, alla ricerca della propria identità. L’incipit stesso del romanzo è chiaramente legato all’immagine del viaggio in Italia, dell’ingresso in un’altra dimensione: In treno filò tutto liscio. I problemi cominciarono a Venezia con le calli. La ragnatela di calli apparve a Mihály a destra e sinistra appena il motoscafo si staccò dal pontile della fermata e lasciò il Canal Grande per seguire una scorciatoia. Ma in quel momento non prestò loro grande attenzione perché il suo interesse era totalmente assorbito dalla «venezianità» di Venezia: l’acqua in mezzo alle case, le gondole, la laguna, la limpidezza dei tetti color rosso-rosa. Perché Mihály si trovava in Italia per la prima volta, a trentasei anni, in viaggio di nozze.3 Qualche anno più tardi anche Sándor Márai scrive il suo primo romanzo italiano, A nővér (pubblicato nel 1946), in cui l’Italia è lo sfondo, il grigio – a volte allucinato – palcoscenico del dolore che colpisce l’uomo (potremmo anche dire l’Uomo, con la U maiuscola, l’artista, l’intellettuale, lo spirito libero, che sente tutta la tragedia del suo tempo e tenta di reagire, con i suoi mezzi, con la sua forza spirituale) e lo annichilisce, e quasi per tutto il romanzo non ci appare che attraverso la luce che di tanto in tanto filtra da una finestra, oppure nel vago ricordo di qualcosa, un fiore, un dolce, un particolare architettonico, in contrasto stridente con le aspettative cullate nel corso del viaggio in treno: il treno correva con un rumore smorzato nella sera, attraverso il paesaggio a me familiare – al mattino sarei stato a Trieste, a mezzogiorno a Firenze, l’indomani sera in una bella sala, davanti a persone devotamente attente ed esperte di musica, mi sarei seduto al pianoforte e avrei provato a dire loro quello che la musica dice a me... Avevo tutte le ragioni per aver fiducia nel destino. (…) Ancora qualche ora e poi, grazie al perfetto funzionamento della civiltà, mi sarei ritrovato di nuovo sulla riva dell’Arno, avrei visto i colli e i campanili, i tetti e le viuzze anguste dove confluisce meravigliosamente tutto ciò che mi è familiare: l’armonia, l’armonia eterna delle forze creatrici, che nella NC 12.2011 89 Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 90 [ANTONIO D ONATO SCIACOVELLI] pietra, nelle linee, nei colori e nei riflessi della luce si erano unite a creare un capolavoro senza tempo al di sopra delle miserie terrene.4 Si tratta di un momento di calda intertestualità, poiché rappresenta un richiamo da parte di Márai a un altro grande poeta ungherese fatalmente promotore (anche) della letteratura italiana, Dezső Kosztolányi5, che nell’immortale alter ego di Kornél Esti ci ha regalato interminabili racconti di viaggi in treno, uno dei quali – nel terzo capitolo dell’opera – si arresta a Fiume, per poi continuare a nuoto (!), verso l’Italia, l’Italia santa ed amata.6 Anni dopo, durante l’esilio volontario in Italia, Márai vivrà un intenso periodo di napoletanità di cui possiamo leggere nel Sangue di San Gennaro, uno dei più toccanti affreschi della Napoli immediatamente postbellica, che ancora una volta testimonia la forte attrazione della letteratura ungherese nei confronti della complessa identità mediterranea del nostro Meridione. E ancora anni dopo, nel romanzo storico7 erősítő 8 (letteralmente fortificatore, l’opera venne pubblicata per la prima volta nel 1975 a Toronto9), Márai ripercorre le strade della Roma accesa, tra il 1598 e il 1600, dalle aspettative del Giubileo e dal processo a Giordano Bruno, con gli occhi di un carmelitano spagnolo, fornendoci un interessante romanzo-parabola sull’eterno problema del rapporto tra fede, sapere e potere. Data la materia del romanzo, e l’intenzione dello scrittore, il dolce suolo italico si trasforma, nella premonizione anche troppo scoperta dell’autore, nella visione infernale dei lager, dei gulag, dei campi di rieducazione, concentramento e sterminio che tanto sovente s’incontrano nella storia del XX secolo: Bisogna creare dei campi, dove tenere entro recinti di filo spinato e alte palizzate, ospitati in nude baracche, tutti quelli che abbiamo ragione di sospettare, non solo che siano già eretici, ma che prima o poi lo saranno. In campi di questo genere potremmo tenere sotto il nostro controllo non solo qualche dozzina, ma diecine di migliaia di individui. È anche vero che nelle carceri è più facile tenere sott’occhio determinate persone: in alcune città, dove il Santo Ufficio agisce con la massima attenzione in questo senso, come per esempio a Venezia, non sono trascurabili i risultati ottenuti da quegli inquisitori che hanno tenuti alcuni imputati, per vari giorni e notti, in celle dove l’acqua arriva al ginocchio. (…) Chi passa qualche giorno e qualche notte in queste condizioni, sarà in breve tempo disposto ad accondiscendere alle richieste di confessione, oltre che a pentirsi delle proprie colpe.»10 Con questo parallelo tra la Roma tardorinascimentale e la cruda rappresentazione dei metodi polizieschi dello stalinismo, Márai ottiene una distorsione del locus amoenus, della sua visione positiva (eppur sempre problematica) dell’Italia come si legge in un momento intenso del viaggio ad Assisi rappresentato nel Sangue di San Gennaro: NC 12.2011 90 Per il momento eravamo ancora lì, ma ben presto saremmo andati lontano... In Australia o in America, o chissà dove... e non saremmo più tornati in Italia. Mi si strinse il cuore a sentirglielo dire. Ma perché? gli chiesi. Perché mai non dovremmo più tornare in Italia? Perché, mi rispose, l’Italia per noi non è un paese da visitare come Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 91 [PERCHÉ L’ITALIA? PERCHÉ LA SICILIA. LIRICHE, DIPINTI, FRAMMENTI] turisti, ma un sentimento. E una volta che l’abbiamo abbandonato, non possiamo più ritrovarlo... non avremmo davanti che città, pietre, uomini. L’Italia è un intreccio di sentimenti, come l’amore. È l’ultimo grande dono che il mondo offre a uomini senza patria, disse, e anche agli italiani, perché molti di loro sono già diventati apolidi, nella loro adorata Italia... Allora non partiamo, gli dissi.11 Non è un caso che si siano finora citati romanzi e racconti in cui il viaggio, in particolare il viaggio verso il mare, o per mare, si trova ben al centro dell’immaginario letterario, e nonostante siano non sempre direttamente legati all’Italia i riferimenti al viaggio per eccellenza della letteratura antica, all’avventura odissiaca, dobbiamo ricordare che un’altra arte, la pittura, ha contribuito a diffondere le immagini dell’altra Italia, della Magna Grecia, di un mondo sospeso nel tempo storico e nello spazio marino (in quanto insula), che nei dipinti del medico e pittore autodidatta Tivadar Csontváry Kosztka (1853–1919) trovano un’interpretazione unica e insieme straordinariamente universalizzante del paesaggio mediterraneo: eccezionale anche per le dimensioni (302 x 570 cm.), l’olio su tela A görög színház romjai Taorminában (Le rovine del teatro greco di Taormina, 1904–1905, esposto nelle sale della Galleria Nazionale Ungherese di Budapest) può essere considerato non tanto un semplice omaggio, quanto una vera e propria visione (ungherese?) della Sicilia. Probabilmente proprio sulla scorta di questa visione csontváryana nasce l’opera di Attila Jász Perché la Sicilia (Miért Szicília, J.A.K. – Kijárat, Budapest 1998), autore che ha appena ricevuto il premio letterario «Quasimodo» in quel di Balatonfüred, città che ospita da un ventennio il festival letterario internazionale intitolato al poeta siciliano, che tra l’altro nel 1940 pubblicò, suscitando un grande dibattito, le sue traduzioni di Lirici greci (con uno studio di Luciano Anceschi, Corrente, Milano 1940). I destini letterari s’incrociano, l’opera di Jász parte da un grande momento della storia della filosofia greca, il tentativo di Platone di formare alle proprie teorie poTivadar Csontváry Kosztka: Le rovine del teatro greco di Taormina NC 12.2011 91 Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 92 [ANTONIO D ONATO SCIACOVELLI] litiche lo stato siracusano, per passare a considerazioni di altro genere, esposte in maniera frammentaria, poiché il volume è dichiaratamente formato da frammenti di un diario perduto: [E] una nave parte. Rolla attraverso un mare di frasi. Nell’immaginazione del mare. Tra una frase e l’altra, un’isola bianca. La nave approda. Si ambienta. Ripete. Dopo un certo tempo le immagini diventano familiari. Ma non è proprio così. Non esiste una ripetizione perfetta. Il filosofo, fuggendo da se stesso, approda sulla costa della Sicilia. Arriva in un posto, da cui spera di ottenere il conforto. La purificazione. Ma non l’ottiene. Il suo errore, naturalmente, ha una ripercussione di enorme importanza dal punto di vista dei posteri, poiché la questione è: come diventare se stessi? come conservare la nostra esistenza? come identificarci con il nostro Io?, ovvero Dove sono? Cosa significa il mondo? Perché sono?12 Come ricorda Jenő Alföldy13 nella sua analisi, tra le fila del discorso frammentario di Jász, le implicazioni culturali ungheresi sono soprattutto nella sua interpretazione del rapporto tra Csontváry e l’arte (e la Sicilia), che sottolinea la condizione del pittore ungherese di autentico schiavo della mania platonica, poiché [A] Taormina trova un luogo carico di forza, di energia, le rovine del teatro greco. Per Csontváry, dipingere precisamente un luogo concreto, vuol dire evocare un paesaggio. Tre volte ritorna a Taormina – così come Platone compie tre viaggi in Sicilia –, attraversando i Carpazi, dopo aver dipinto i monti Tátra, raggiungendo l’isola dal mare, facendo una tappa ad Atene. Dopo due tentativi falliti, ritorna a piantare la tenda di fronte all’Etna, sopra le rovine del teatro. Ci riprova, e gli riesce.14 L’identificazione, la sovrapposizione, non è pero esclusiva: proprio per il carattere frammentario, quest’opuscolo, fatto di lunghe riflessioni in prosa inframmezzate da versi liberi (tra una frase e l’altra, un’isola bianca?), tocca varie sponde di un viaggio per le emozioni che soprattutto le letture precedenti dell’autore stimolano nel momento dell’incontro con i luoghi, con le visioni dei luoghi. Si affacciano alla memoria i grandi viaggiatori, i grandi descrittori, gli altri (Virgilio, Thomas Mann, Goethe, Hölderlin) autori, perché questo libro, come ci fa notare Tamás Prágai è il libro dei viaggiatori. Per essere più precisi, il libro dei viaggiatori in Sicilia, dei Siculonauti, una categoria a parte, come dimostra il motto stesso dell’opera, del tutto fedele allo spirito ermetico e che, preso in prestito a Kierkegaard, promette di farci comprendere la diversità delle transizioni.15 NC 12.2011 92 Perché Sicilia: la scelta dell’autore di non porre il punto interrogativo al titolo indica chiaramente che si tratta di una domanda inevasa, di una domanda non-domanda, ma dal punto di vista dell’ininterrotta relazione che corre tra il mare nostrum e la nazione al di là delle Alpi Orientali, dell’Adriatico, di qua e di là del limes, fino al termine delle foreste che diedero il nome alla «terra oltre le selve» (Transilvania), la non-domanda è un’affermazione, poetica, figurativa, filosofica, odeporica, simile a Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 93 [PERCHÉ L’ITALIA? PERCHÉ LA SICILIA. LIRICHE, DIPINTI, FRAMMENTI] un’erma (nel suo etimo ermetico) che ci guarda dal ciglio della strada nel corso del lungo viaggio, da ripetere sempre, ancora, tra liriche, dipinti, frammenti. NOTE 1 Traduzione di chi scrive, apparsa nello scritto «Kozmikus találkozások. Babits és Leopardi. Az Esti kérdés fordítási kísérletéről» (Incontri cosmici: Babits e Leopardi. Un tentativo di traduzione della Questione della sera), in: Fűzfa Balázs (a cura di), A tizenkét legszebb magyar vers. 4. Esti kérdés (Le dodici poesie più belle della letteratura ungherese. IV: Esti kérdés), Savaria University Press, Szombathely 2009, 357–362. (sottolineatura di A.D.S.) 2 Antal Szerb, Il viaggiatore e il chiaro di luna (traduzione di Bruno Ventavoli), e/o, Roma 1996. 3 Antal Szerb, Il viaggiatore, cit., p. 7. 4 Sándor Márai, La sorella (traduzione di Antonio Donato Sciacovelli), Adelphi, Milano 2006, pp. 75–6. 5 In quanto appassionato critico letterario e curatore di una storica antologia di poesia europea, Modern költők (Poeti moderni), Élet, Budapest 1914. Una nota lirica di Kosztolányi è dedicata a Marco Aurelio (Marcus Aurelius, pubblicata su Nyugat nel 1929), più precisamente alla statua capitolina dell’imperatore-filosofo, al passato romano della Pannonia, all’attrazione per la Città Eterna. 6 Cfr. Kosztolányi Dezső, Esti Kornél, Révai, Budapest 1933, p. 71. In traduzione italiana: Kosztolányi Dezső, Le mirabolanti avventure di Kornél (traduzione di Bruno Ventavoli), e/o, Roma 1990. 7 Huba Lőrinczy, nel suo saggio Az inkvizitor és az eretnek (L’inquisitore e l’eretico) parla, a nostro giudizio con grande precisione ed acume, di parabola storica, classificando lo scritto nella particolare categoria del romanzo di crisi (in Lőrinczy Huba, Az emigráció jegyében (Nel segno dell’emigrazione), Savaria University Press, Szombathely 2005, pp. 79–113). 8 Non (ancora?) tradotto in italiano, con il titolo tutto in minuscolo. 9 L’edizione da noi consultata è una delle più recenti, apparsa nella serie curata dall’editore Helikon: Márai Sándor, erősítő, Budapest 2002. 10 Ivi, pp. 57–58. 11 Sándor Márai, Il sangue di San Gennaro (traduzione di Antonio Donato Sciacovelli), Adelphi, Milano 2010, p. 317 12 Jász Attila, Miért…, cit., p. 23. 13 Nella recensione Miért Szicília apparsa sulla rivista Kortárs (1999/8). 14 Jász Attila, Miért…, cit., p. 35. 15 Prágai Tamás, «Az átmenet és a hely (Jász Attila: Miért Szicília?)» (La transizione e il luogo), in Bárka 2000/3, p. 109. 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