ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA SCUOLA DI PSICOLOGIA E SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea Magistrale in Progettazione e gestione dell’intervento educativo nel disagio sociale PROVA FINALE YOUNGLE CORSAIRS: LA PEER EDUCATION ON LINE Prova finale in: Psicologia dei gruppi Relatore Presentata da Prof. Stefano Passini Bregli Claudia Correlatori Alemanno Stefano e Battini Marco Sessione: III Anno accademico: 2013/2014 1 2 Alle mie colleghe, a Edo 3 4 INDICE INTRODUZIONE........................................................................................................... 7 CAP 1 QUADRO GENERALE DELLA PEER EDUCATION ................................. 9 INTRODUZIONE ......................................................................................................... 9 1.1 DEFINIZIONE...................................................................................................... 11 1.2 CENNI STORICI .................................................................................................. 14 1.3 TARGET E SETTING .......................................................................................... 15 1.4 IL GRUPPO DEI PARI ........................................................................................ 19 1.5 OBIETTIVI ........................................................................................................... 22 1.6 FASI D'INTERVENTO ........................................................................................ 23 1.7 MODELLI E TEORIE DI RIFERIMENTO ........................................................ 30 CAP 2 PANORAMA DELLA PEER EDUCATION ................................................ 38 INTRODUZIONE ....................................................................................................... 38 2.1 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO MONDIALE ................... 40 2.2 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO EUROPEO...................... 42 2.3 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO ITALIANO ..................... 43 CAP 3 IL PROGETTO CCM “SOCIAL NET SKILLS”: PROMOZIONE DEL BENESSERE NEI CONTESTI SCOLASTICI, DEL DIVERTIMENTO NOTTURNO E SUI SOCIAL NETWORK, TRAMITE PERCORSI DI INTERVENTO SUL WEB E SUL TERRITORIO ................................................... 49 INTRODUZIONE ....................................................................................................... 49 3.1 DEFINIZIONE DI UN “SOCIAL NETWORK”.................................................. 50 3.2 IL PROGETTO CCM “SOCIAL NET SKILLS” ................................................. 55 3.3 REGIONE EMILIA-ROMAGNA, PARMA-MODENA: YOUNGLE LOVEAFFAIR e REGGIO EMILIA: YOUNGLE IO CI SONO .............................. 61 3.4 REGIONE TOSCANA, FIRENZE: YOUNGLE ZONA DI SOPRAVVIVENZA UNDER 20 ............................................................................... 65 5 CAP 4 YOUNGLE CORSAIRS .................................................................................. 69 INTRODUZIONE ....................................................................................................... 69 4.1 RISCOPRIAMO LE ORIGINI: IL PROGETTO WEB-CORSAIR ..................... 70 4.2 YOUNGLE CORSAIRS ....................................................................................... 75 4.3 CREAZIONE EQUIPE OPERATORI E RECLUTAMENTO PEER ................. 77 4.5 FORMAZIONI REGIONALE E LOCALI........................................................... 80 4.6 APERTURA DEL PROFILO E DELLA PAGINA FB E ATTIVAZIONE CHAT .......................................................................................................................... 93 4.7 GLI EVENTI E LA PROMOZIONE DEL PROGETTO ..................................... 97 4.8 RISULTATI OTTENUTI ................................................................................... 100 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE ....................................................... 107 ALLEGATO I ............................................................................................................. 111 ALLEGATO II............................................................................................................ 132 ALLEGATO III .......................................................................................................... 136 ALLEGATO IV .......................................................................................................... 137 ALLEGATO V ............................................................................................................ 139 ALLEGATO VI .......................................................................................................... 141 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................ 147 SITOGRAFIA ............................................................................................................. 151 6 INTRODUZIONE E’ sempre più evidente come la cosiddetta rivoluzione digitale abbia modificato un cardine del modello educativo: l’accesso all’informazione. Sino a ieri era l’adulto che decideva se, come e quando, si potesse trattare un determinato argomento. Oggi invece l’accesso non solo è diretto, anticipato, autogestito, non filtrato, ma ogni curiosità/dubbio può ottenere risposta in tempo reale. Una curiosità, un dubbio, un interesse non aspetta più il verdetto-risposta del genitore o dell’insegnante. Chi va più a ricercare la risposta nella polverosa enciclopedia riposta nel salotto di casa, quando google o i social network offrono tutte le risposte e stimolano anche tutte le curiosità? Certo il web è uno strumento che offre possibilità inedite per la prevenzione basata sulla peer education, meglio nota in Italia come "educazione ai giovani fatta dai giovani" o più semplicemente come "educazione tra pari", che può utilizzare canali comunicativi nuovi, friendly e veloci, in grado di “coinvolgere i soggetti altrimenti difficilmente raggiungibili, stimolando soprattutto la possibilità di diventare consum-attori della comunicazione” (Croce, 2011). Considerando questa premessa, può esistere una prevenzione 2.0 basata sulla peer education, il cui scopo è trasformare il soggetto, quasi sempre un adolescente, da "passivo" e disinformato in "soggetto d'esperienza" in grado di trasmettere attraverso, le nuove piattaforme digitali, saperi ad altri suoi coetanei? Quest’elaborato nasce per tentare di fornire una risposta a questa nuova sfida educativa. Nel primo capitolo sarà illustrata la cornice storica di riferimento nella quale s’inserisce la metodologia della peer education, definendo il target, gli obiettivi e le fasi d’intervento. Nel secondo capitolo sarà fornita una panoramica generale delle esperienze di peer education a livello mondiale, europeo e italiano per mettere in luce gli aspetti in comune e le specificità dell’utilizzo di questo modello che nella nostra realtà a livello nazionale risulta ancora non sufficientemente sfruttato. Nel terzo capitolo si descriverà il progetto CCM Social Net Skills, progetto sperimentale che prevede l’utilizzo della peer education per interventi di prevenzione attraverso l’utilizzo del web. Saranno prese in considerazione nello specifico due delle otto realtà coinvolte a livello nazionale: la Regione Emilia 7 Romagna e la Regione Toscana. La prima poiché prevede il mio coinvolgimento come coordinatrice del progetto di cui sopra, la seconda in qualità di regione capofila. Il quarto capitolo, infine, sarà interamente dedicato alla presentazione di Youngle Corsairs, declinazione del progetto nazionale nella realtà forlivese, adottando come principale categoria di discussione la tematica dei comportamenti a rischio. Sarà quindi presentato, in maniera dettagliata, lo sviluppo delle fasi attuative, con particolare attenzione all’analisi dei risultati ottenuti, e saranno evidenziati i più interessanti spunti di riflessione per future applicazioni della metodologia e per nuovi sviluppi del progetto CCM Social Net Skills. 8 CAP 1 QUADRO GENERALE DELLA PEER EDUCATION INTRODUZIONE Nell'ambito dell'azione per la prevenzione si è passati, negli ultimi anni, da una prevalenza d’interventi centrati sulla rimozione delle cause di malattie e dei fattori di rischio (che rimangono comunque necessari), ad una prevalenza d’interventi finalizzati a tutelare l'equilibrio di salute e ad accrescere le potenzialità del soggetto. In sintesi, si è transitati da una strategia della prevenzione tout court a una strategia di prevenzione/promozione della salute, in cui i due termini rappresentano, a mio avviso, le due facce della stessa medaglia. A ben vedere, è pressoché impossibile secernere l'una dall'altra: non può esservi prevenzione, nello specifico quella primaria, senza promozione della salute e viceversa. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce, nella Carta di Ottawa redatta nel novembre del 1986, la promozione della salute come quel "processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla". Il concetto di salute è qui inteso come "stato di benessere fisico, mentale e sociale" e assume un'accezione positiva incentrata sulle risorse sociali e individuali, oltre che sull'integrità fisico-organica dell'individuo. In definitiva, la promozione della salute (e indirettamente la prevenzione del disagio), diventa "azione attraverso la partecipazione, che non è un'affermazione di principio, ma una metodologia e l'indicatore più sensibile della effettiva messa in opera della stessa strategia" (Modolo, 1992, pag.45). In tal senso, il fine ultimo della sua attuazione è di influire positivamente sulla salute e sul benessere della persona attraverso quel processo educativo che, mediante il coinvolgimento attivo e partecipativo del soggetto, produce cambiamenti concreti e reali. Tale processo educativo si esprime attraverso la promozione della consapevolezza, l'aumento di conoscenze, l'acquisizione di specifiche abilità, il miglioramento degli ambienti, la modifica degli atteggiamenti e degli stili di vita. In definitiva, al centro di tutti i possibili interventi di promozione alla salute viene posto lo stesso individuo cui il programma è rivolto. Si tratta, lo ribadiamo, di un soggetto "partecipante" che, grazie alla metodologia "attiva", viene coinvolto intorno ad uno specifico problema di salute e che viene informato, preparato e istruito rispetto al problema. Favorendo il suo sviluppo personale e sociale si presuppone 9 aumentino "le possibilità di esercitare maggior controllo, e di operare scelte precise, riguardo alla propria salute e all'ambiente di vita." (Carta di Ottawa). All'interno di questa cornice è possibile introdurre la metodologia della peer education che negli ultimi anni si è diffusa piuttosto rapidamente a livello mondiale e che molti autori ritengono possa essere in grado di raggiungere gli obiettivi di salute, soprattutto nella popolazione giovanile, molto più efficacemente dei vecchi mezzi informativi. La peer education, meglio nota in Italia come "educazione ai giovani fatta dai giovani" o più semplicemente come "educazione tra pari", punta a trasformare il soggetto, quasi sempre un adolescente, da "passivo" e disinformato rispetto ad uno specifico problema di salute in "soggetto d'esperienza" accrescendone la consapevolezza, la responsabilità, l'autonomia di pensiero e di orientamento. A ben vedere, si tratta di rendere il soggetto "attivo", "empowered", capace, dunque, di "accrescere le capacità di controllare attivamente la propria vita" (Rappaport, 1981, p. 18). Per fare questo, la peer education, che d'ora in avanti chiameremo anche con i termini "peer" ed "educazione tra pari", utilizza la modificazione delle conoscenze, degli atteggiamenti e dei comportamenti attraverso la rete e la comunicazione tra coetanei. Alla base del modello di educazione tra pari sussiste l'idea che gli stessi "fruitori" dell'intervento possano essere protagonisti principali dei progetti di promozione del proprio benessere psicofisico, relazionale e ambientale a scuola e nel territorio. Va da sé che il target applicativo primario della peer education, come abbiamo accennato poco sopra, è quello dei giovani. Durante l'adolescenza, infatti, cambia la rete relazionale, diminuisce l’importanza del mondo adulto mentre cresce l’attenzione al gruppo dei coetanei. La formazione di un’identità propria viene ritagliata soprattutto attraverso il gruppo dei pari che costituisce una sorta di “laboratorio sociale” in cui il giovane si sperimenta, quotidianamente, in interazione con gli altri. Detto questo, è possibile individuare all’interno del programma di peer tre finalità precipue: l’aumento di conoscenze relative alle tematiche dell’intervento, la prevenzione di specifici comportamenti a rischio e lo sviluppo di abilità personali e capacità operative dei soggetti coinvolti. Delineati gli obiettivi e le finalità dell’educazione tra pari, è necessario definirne, anche se a grandi linee, le modalità di attuazione. Queste si esplicano attraverso: la definizione del gruppo di lavoro, l’individuazione e la formazione dei 10 "peer educators" (educatori tra pari), la progettazione e la realizzazione dei progetti (intervento sul campo) ed, infine, il monitoraggio. In breve: i giovani adolescenti selezionati dalla classe (o dal gruppo di riferimento), per diventare peer educators, sono formati dal gruppo di esperti e reintrodotti all’interno del gruppo dei pari dove saranno in grado di utilizzare le conoscenze e gli strumenti appresi. Per una buona riuscita delle “operazioni” risultano fondamentali: il coinvolgimento attivo di tutti i partecipanti, la circolazione delle informazioni nel gruppo di lavoro (che precede l'intervento vero e proprio), e in quello dei coetanei, lo sviluppo personale dei peer educators e ovviamente la buona trasmissione delle conoscenze ai giovani da parte degli educators stessi. 1.1 DEFINIZIONE La definizione di peer education, come si è intravisto già dalle prime pagine, è abbastanza complessa anche perché non ne esiste una completamente condivisa. E' vero, infatti, che diversi sono gli approcci, le applicazioni, i setting e i problemi di salute affrontati da questa metodologia. Ad ogni modo, il termine "peer" fu coniato centinaia di anni fa in Gran Bretagna e inizialmente serviva a designare l'appartenenza a uno dei cinque gradi di nobiltà. Oggi, invece, è utilizzato per indicare un "pari" nel senso dell'uguaglianza, della somiglianza e dell'identità sociale. In definitiva, serve a delineare quell'insieme di persone che appartengono allo stesso rango, status ed estrazione sociale. In particolare viene principalmente usato come sinonimo di "coetaneo". Il termine "education", d'altro canto, si riferisce allo sviluppo dell'individuo, alla formazione e alla conoscenza che derivano dal processo educativo. Pertanto il termine "peer education" (tradotto letteralmente con "educazione tra pari"), indica l'educazione tra coetanei o tra persone che appartengono al medesimo gruppo o che hanno la stessa estrazione sociale. Su questa linea di pensiero si colloca una definizione, anche se piuttosto generale, espressa da Charleston (1996, p.37), il quale afferma che per educazione tra pari s’intende: "l'interazione tra individui che condividono alcune caratteristiche come comportamenti, esperienze, status e substrato sociale". Più specifica risulta invece quella proposta da Finn (1981, p.15), per cui si tratterebbe di "una condivisione di informazioni, attività o comportamenti tra persone che non sono educatori, ma il cui scopo è quello di educare". Pellai, Rinaldin e Tamborini (2002, 11 p.23), invece, danno una definizione di peer education che ne sottolinea l'influenza sociale, intendendo con essa "il rapporto di educazione/influenza reciproca che, a livello formale e/o informale, instaurano tra loro persone afferenti ad un medesimo gruppo di riferimento". Per Antonietti, Faretra, Gnemmi e Ottolini (2003, p.18), invece, la peer consisterebbe in "una strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status". Mentre questi studiosi pongono l'accento sul fine "comunicativo" della metodologia, altri, come Bleeker (2001, p.11), puntano sulle sue finalità "terapeutiche". In questo senso, l'educazione tra pari è considerata come "il processo di informazioni tra membri di una specifica comunità al fine di ottenere risultati positivi per la salute". Shiner (1999, p.46), per concludere questa serie di definizioni, descrive il termine peer education come "l'educazione ai giovani fatta da giovani". Come si può notare le definizioni di peer education sono varie e innumerevoli tanto che quelle sopra citate sono solo alcune di quelle apparse in letteratura. Tra tutte queste, quella che, a mio avviso, chiarisce la complessità del termine è quella di Boda (2001, p.76), che definisce la peer education come "un metodo educativo in base al quale alcuni membri di un gruppo vengono responsabilizzati, formati e reinseriti nel proprio gruppo di appartenenza per realizzare precise attività con i propri coetanei". Molto sinteticamente, la metodologia peer consiste nella formazione di alcuni ragazzi (peer educators), rispetto a particolari tematiche d'interesse che dovranno essere in grado di trattare con il proprio gruppo di coetanei. In effetti, come è stato anticipato più di una volta in questo lavoro, la maggior parte delle esperienze di peer education effettuate negli ultimi vent'anni sono state indirizzate ad un target giovanile, considerato, il più adatto, per via della sua particolare recettività e sensibilità, a conseguire risultati migliori. Dopo aver inteso cos'è la peer education, è possibile anche capire cosa essa non è. A tal fine, possiamo differenziarla da altri tipi di approcci che, pur essendo caratterizzati da un'interazione tra pari, sono ben diversi dalla peer. Tra questi orientamenti contiamo il peer tutoring e il peer counselling and helping. Il primo può essere considerato, come vedremo anche tra qualche pagina, un approccio educativo in cui studenti di maggior età (o intellettualmente più dotati), aiutano i loro colleghi 12 più giovani nell'apprendimento delle materie scolastiche. Il secondo, invece, si esplica nell'ascolto fatto da giovani rispetto a problematiche sociali tra le più varie (scuola, droga, alcol, sessualità, relazioni, ecc.), espresse in sede di counselling dai loro coetanei. Il fine ultimo è, ovviamente, quello di consigliarli e aiutarli. La peer education, invece, si fonda sulla partecipazione paritaria di tutto il gruppo a scopi preventivi, formativi e di promozione della salute. Per usare le parole di Svenson (1998, p.24), il processo di peer si può intendere a partire da "una minoranza di peer rappresentativi di un gruppo o di una popolazione che cerca di influenzare la maggioranza". Rispetto al concetto di peer education rimangono, tuttavia, altre ambiguità relative sia alle modalità di reclutamento dei peer e all'organizzazione del training di formazione sia alle caratteristiche sociali e demografiche dei peer educators rispetto alla popolazione target. E' proprio sul concetto di "peerness" che si concentrano i dubbi maggiori. Comunemente s’intende per "peer" una persona che ha un'età simile rispetto a quella degli individui che compongono il gruppo target. L'età tuttavia non può essere considerata la sola caratteristica necessaria. Shiner (1999) ed altri aggiungono all'età, caratteristiche come il sesso, l'appartenenza ad un gruppo etnico, la cultura, la subcultura, il luogo di residenza, ma soprattutto la similarità nelle esperienze, nello stile di vita e nel background educativo. In questo senso, il peer educator è un giovane che, premesse le caratteristiche sopra elencate, viene formato in maniera specifica per poter agire come "leader", informatore, supporto e modello rispetto ai compagni con i quali si rapporta sullo stesso piano. Sulla possibilità che il peer possa essere più grande d'età rispetto al gruppo target, o che possa non appartenere totalmente al gruppo con cui interagisce, esistono pareri piuttosto discordanti che non saranno qui affrontati. Ciò che è interessante per superare le eventuali ambiguità ancora presenti nel lettore è possibile identificare nella peer education tre fattori: l'azione educativa, l'utilizzo di "educatori" non professionisti avulsi al campo socio-educativo e, infine, il fatto che essi appartengono al gruppo target con cui condividono lo stesso specifico status. Prima di passare a una breve trattazione dell'identità storica della peer education, mi sembra giusto rilevare che, nonostante la varietà di definizioni, impostazioni e orientamenti, diversi studi scientifici hanno verificato l'efficacia e la 13 maggiore efficienza, rispetto ad altre strategie, della metodologia peer nel lavoro con i giovani. 1.2 CENNI STORICI Secondo alcuni autori, tra cui Wagner (1982), l'origine della peer education può essere fatta risalire addirittura al famoso filosofo greco Aristotele. Sebbene tale ipotesi possa essere considerata piuttosto azzardata, non possiamo dimenticare che il pensatore di Stagira fu il primo ad interpretare l'educazione come la condizione per la più piena espressione di sé e che, nella sua concezione di scuola, intesa come Liceo, stimolava i suoi allievi all'autonomia, alla partecipazione e alla libera iniziativa. Non a caso i seguaci di Aristotele venivano chiamati "peripatetici" in quanto studiavano e insegnavano passeggiando al Liceo, così come i "peer" si formano e mettono a disposizione dei loro coetanei le conoscenze e le competenze acquisite durante il progetto di peer education. Molti secoli dopo, più precisamente nel 1750 in piena età dei Lumi, JeanJacques Rousseau, il filosofo svizzero delle Confessioni, sosteneva l'importanza dell'esperienza educativa ed affermava che bisognava evitare l'insegnamento diretto e lasciar fare al tempo e all'esperienza poiché, a suo parere, i bambini avrebbero appreso molto più efficacemente tra di loro e senza la presenza di adulti. Nel 1796, invece, quasi mezzo secolo dopo Rousseau, è possibile individuare la prima esperienza di peer education che viene comunemente associata al cosiddetto metodo monitoriale di mutuo insegnamento sistematizzato dal dottor Andrei Bell che lo sperimentò in una scuola di Madras in India. Tale metodo, diffuso anche nei sobborghi di Londra qualche anno più tardi da Joseph Lancaster, era centrato prevalentemente sulla formazione dei giovani intellettualmente più dotati che venivano formati per assistere i loro compagni più svantaggiati. Com’è stato più volte sottolineato da molteplici autori, tale metodo, ribattezzato Sistema BellLancaster dal nome dei due principali propugnatori, non perseguiva solamente il fine educativo, ma si adattava alla necessità di supplire al basso numero di insegnanti nella prima società industriale inglese. Ciò non toglie che la diffusione e l'efficienza di questo modello costituiscono uno dei più interessanti successi pedagogici di tutti i tempi. Un approccio più motivato da vere finalità educative e formative è quello proposto dall'italiano Enrico Pestalozzi (1746-1827), che propose un metodo 14 psicologico d’istruzione che fosse in linea con le "leggi" della natura umana. Tali leggi, a suo avviso, enfatizzerebbero la spontaneità e l'iniziativa degli allievi, le loro dinamiche affettivo relazionali e l'esperienza di apprendimento. Più recentemente (a partire dagli anni sessanta), si assiste alla diffusione in Europa e in Nord America del peer tutoring che, benché sia stato definito nei modi più vari, può essere inteso come quel processo di apprendimento in cui i membri di un gruppo di studenti si assistono, interagiscono e collaborano durante il corso di studi intrapreso. In maniera parallela al peer tutoring e sulla scia dei richiami non solo pedagogici, ma anche psicologici e sociologici di Piaget, Vygotsky e Sullivan, si sono sviluppati altri approcci metodologici che vedono nel supporto tra pari un metodo efficace per la trasmissione di conoscenze. Tra questi la peer education è quello che si è meglio imposto negli anni a tal punto che è attualmente diventato uno dei metodi più diffusi per la prevenzione dei comportamenti a rischio tra cui l'assunzione di sostanze stupefacenti, l'abuso di alcol e la trasmissione sessuale di malattie. Già a partire dagli anni ottanta, nell'America del Nord angustiata dalla diffusione dell'AIDS, la peer ha accresciuto la propria popolarità come metodologia in grado di raggiungere le popolazioni a rischio, le cosiddette "hidden populations" (popolazioni nascoste), come quelle di omosessuali, prostitute e tossicodipendenti, al fine di trasmettere informazioni e prevenire o ridurre i danni. Negli anni novanta, infine, l'educazione tra pari ha confermato la propria validità come strategia educativa nel settore della prevenzione a tutto campo (arrivando a estendersi anche in Europa); oltre alle problematiche "classiche" citate poco sopra, è possibile trovare esperienze di peer education per la prevenzione di attacchi d'asma, del fumo di sigaretta, del doping e della dispersione scolastica. Da qui alla promozione di stili di vita sani e corretti, specialmente tra i giovani, il passo si è rivelato breve, tanto che, sebbene la peer sia applicabile ai contesti più disparati, il suo target di riferimento è diventato quasi esclusivamente quello della popolazione giovanile. 1.3 TARGET E SETTING Nonostante si segnalino esperienze di peer education più o meno importanti effettuate tra particolari gruppi di popolazione adulta, gli adolescenti e i giovani adulti costituiscono, lo ripetiamo ancora una volta, il target privilegiato di questo 15 metodo educativo volto alla prevenzione e alla promozione del benessere psicofisico. L'educazione tra pari si prefigge, e attua, il superamento degli interventi di prevenzione tradizionali basati sulla trasmissione, dall'alto verso il basso, del sapere professionale degli esperti di salute. I modelli tradizionali, centrati esclusivamente sulla figura adulta, si basano sull'assunto che l'informazione sia capace di produrre cambiamenti piuttosto significativi nello stile di vita degli individui. Tuttavia, l'efficacia e il successo di questi modelli non sembrano ancora state provate, o comunque le prove effettuate non sembrano sufficienti da giustificarne l'utilizzo. Per dirla con Hamburg (1992, p.13): "Prescrizioni e proscrizioni, anche quando vengono ascoltate con attenzione sembrano tuttavia lasciare scarse tracce nella mente adolescenziale e non modificare affatto i modelli di comportamento. E tutto ciò è sinonimo di fallimento della prevenzione". E' invece ormai accertato che accanto ai saperi scientifici, alle informazioni e ai contenuti degli interventi di prevenzione, coesistono fattori cognitivi, emozionali e psicosociali non meno importanti dei primi. Infatti, oltre alle credenze, alle norme morali e alle percezioni, il comportamento di salute è condizionato anche da influenze spontanee e automatiche, da intenzioni e motivazioni consce e inconsce. Quanto detto è particolarmente vero in adolescenza che, configurandosi come particolare periodo di ristrutturazione dell'identità di un soggetto, rappresenta un periodo fecondo di risorse e prospettive, ma anche di importanti momenti critici influenzati, in modo favorevole o sfavorevole, da tutti quei fattori di cui sopra. La fase adolescenziale vede la nascita di caratteristiche e competenze proprie del mondo adulto, soprattutto riguardo alle capacità cognitive ed emotive. E' proprio nel rapporto tra la riflessione su se stesso e l'analisi dell'immagine che gli altri rimandano di lui che l'adolescente costruisce e rafforza nel tempo la propria identità. Nei cambiamenti corporei, nella ricerca di autonomia, nello svincolo dalla famiglia, nelle motivazioni e nei bisogni, l'adolescente costruisce le proprie scelte di vita; scelte segnate dalla contraddizione, dal bisogno di sfida, dalla ricerca di sostegno e appoggio. In questa fase di sperimentazione e messa in gioco di sé l'adolescente può incorrere nei comportamenti di rischio, o meglio ritenuti "a rischio" dal mondo adulto. Infatti: "l’assunzione dei rischi viene considerata un comportamento naturale e quasi inevitabile; è un modo per mettere alla prova le proprie capacità e competenze, serve a completare le esigenze dello sviluppo legate all'autonomia, alla 16 necessità di padronanza e di individuazione e alla formazione della propria identità" (Zani e Cicognani, 2000, p.113). Essendo inevitabilmente interessati dai rischi insiti nella loro età, indipendentemente da eventuali specifiche caratteristiche di sottogruppi, gli adolescenti e i giovani adulti costituiscono la principale popolazione target non solo degli interventi di peer education, ma, a livello generale, della gran parte delle campagne di prevenzione. Diventa fondamentale, allora, agire sui comportamenti individuali e sugli stili di vita dei giovani, ancora sensibili alle influenze esterne, ma nello stesso tempo plasmabili dalle motivazioni individuali, dalle caratteristiche di personalità, dalle influenze familiari e dal gruppo dei pari, di cui parleremo tra qualche pagina. In questo senso, in campo educativo e preventivo si delinea la necessità di utilizzare linguaggi e strumenti che rendano il percorso formativo dell'adolescente più adeguato a questa fase di vita e più idoneo rispetto alle dinamiche tra individuo e gruppo dei pari e tra individuo e mondo adulto. L'obiettivo è di riprodurre le normali modalità di formazione delle idee collettive e di consentire la valorizzazione di conoscenze, interessi ed esperienze già presenti nel bagaglio personale di ognuno. Secondo quanto detto, la peer si configura come principale metodologia in grado di sviluppare le potenzialità del sistema dei pari assunto a strumento privilegiato dell'intervento preventivo. Gli interventi di educazione tra pari vengono dunque effettuati prevalentemente a scuola, luogo e istituzione primaria per lo sviluppo e l'educazione degli adolescenti. La struttura in classi, intese come gruppi di pari, consente lo sviluppo di numerose dinamiche relazionali che è possibile valorizzare ai fini dell'apprendimento. Diversa dal gruppo amicale, anche se non ne esclude la sua realizzazione, la classe è un gruppo di pari "formale", non spontaneo, istituzionale e quindi fortemente condizionato e gestito, talvolta sovrastato, dalla cultura e dalle direttive degli adulti (preside, insegnanti, bidelli, ecc.). In aggiunta a ciò, se da un lato essa è in grado di favorire la comunicazione e la relazione con adulti e coetanei che, almeno in potenza, arricchiscono e influenzano lo sviluppo individuale del ragazzo, dall'altro presenta numerose problematiche legate alla rigidità istituzionale e alla struttura routinaria. Inoltre risulta inficiata dalla burocrazia propria dell'istituzione scolastica e dalla non trascurabile trasformazione della scuola nella società contemporanea. E non sembra 17 ancora chiara la direzione che tale trasformazione ha assunto in questi ultimi anni. A tali questioni si può aggiungere, nel caso della peer education, la necessità di costruire anticipatamente una rete di lavoro in grado di costruire e promuovere relazioni di incontro tra soggetti diversi. Tutto questo richiede il superamento dell'antagonismo, della sovrapposizione e della delega da parte delle varie istituzioni implicate (scuola, servizi, istituzioni politiche, finanziatori, ecc.). Se l'assunto di base è legato all'importanza e all'ineludibilità del gruppo dei pari, allora, oltre alla scuola, è possibile utilizzare altri setting (come vedremo nei seguenti capitoli), per l'attuazione dei progetti di peer. Centri sociali e luoghi di aggregazione giovanile costituiscono luoghi "neutri", informali, "gradevoli" in cui l'influenza del gruppo di coetanei è determinante per la messa in atto di determinati comportamenti, siano essi positivi o negativi. E' evidente che la metodologia peer sperimentata in questi e altri contesti punta, anche grazie a supporti multimediali e informatici, alla valorizzazione di atteggiamenti e stili di vita favorevoli alla maturazione degli adolescenti. In genere, gli interventi in questi setting estranei al contesto scolastico sono orientati alla prevenzione di AIDS e MTS (malattie a trasmissione sessuale), e si realizzano spesso come ricerca-azione partecipata al fine di consentire ai giovani e agli adolescenti una maggiore attenzione alla creatività, alla formazione, alla partecipazione i cui prodotti (ipertesti, realizzazioni grafiche, opuscoli, spettacoli, ecc.), sono l'espressione della relazione tra i coetanei, il contesto e le risorse disponibili. Prima di passare a una breve esposizione sulle caratteristiche del gruppo dei pari che, come si è cercato di spiegare, rappresenta il vero motore della peer, vorrei dedicare alcune righe sui gruppi di popolazione "altri", cioè non adolescenti, su cui è stata testata la peer education. Mi riferisco ad alcune particolari popolazioni composte, in genere, da giovani adulti accomunati da caratteristiche sociali o lavorative. Tra queste ricordiamo i gruppi di tossicodipendenti che condividono un evidente rischio sociale e sanitario, legato alle abitudini, agli stili di vita e alla cultura del consumo. Per tale ragione, essi hanno bisogno di interventi specifici scevri da ogni sorta di pregiudizio. Gli interventi di peer education con soggetti tossicodipendenti si muovono al fine di migliorare la qualità della vita attraverso la riduzione del rischio di morte per overdose e dei rischi sociali (emarginazione, isolamento, stigmatizzazione, 18 carcerazione), e infine di quelli sanitari strettamente legati al consumo delle droghe (informazioni di primo soccorso). A questi si affiancano le iniziative volte alla riduzione del rischio di contagio del virus HIV e delle MTS, oltre all'inevitabile informativa, sia ai tossicomani che alle loro famiglie e amici. Altra popolazione a "marginalità sociale" è quella delle prostitute e degli omosessuali. Identificati come gruppi difficili da raggiungere, ma ad alto rischio a causa delle loro scelte in campo sessuale, a essi sono state indirizzate iniziative di prevenzione in più setting e con varie metodologie. Non sempre l'utilizzo della peer education si è rivelato di facile attuazione e di sicuro successo. L'estrema variabilità di popolazioni, setting, approcci e argomenti affrontati si allunga se si considerano le esperienze con lavoratori impiegati con vari obiettivi di salute sul luogo di lavoro (Buller et al. 1999; Buller et al. 2000); con lavoratori in proprio per la prevenzione di MTS (Shughuang, Van de Ven 2003); con famiglie con bambini asmatici (Persky et al.1999); con persone senza fissa dimora (Connor et al 1999); con studenti universitari, con minoranze etniche e infine con popolazioni a rischio rispetto a determinate patologie (soprattutto tumorali). La lista potrebbe continuare ed è, senz'altro, indicativa dell'evidente popolarità che la peer ha assunto negli ultimi anni e che, tuttavia, non rende condivisibile un quadro univoco delle modalità operative, degli obiettivi ed anche dell'effettiva efficacia della metodologia. 1.4 IL GRUPPO DEI PARI Per definire il gruppo dei pari, così come è delineato nella peer education, è necessario considerare sia la dimensione pedagogica che quella psico-sociale dei soggetti coinvolti. Di conseguenza la possibilità di utilizzare il gruppo come mezzo di prevenzione, nello specifico il gruppo classe, offre delle potenzialità comunicative, formative e interattive notevoli. Molti studi hanno evidenziato tali potenzialità. Tuttavia, fino a qualche anno fa, la maggior parte degli autori ha sottolineato esclusivamente gli aspetti "disfunzionali" del gruppo di coetanei, descrivendolo come capace di incidere sul comportamento del singolo in modo negativo. A questi si sono contrapposti altri studiosi che vedono nel gruppo un possibile "mediatore di psicosocialità" e, alla stessa stregua, un'importante risorsa che spesso bilancia i fattori di rischio presenti all'interno del nucleo familiare. Tra questi, Pietropolli Charmet (2000) ritiene che il gruppo rappresenti in adolescenza un luogo di esperienza affettiva cruciale per la 19 costruzione del sé e che contribuisca in modo determinante a quel processo di individuazione che caratterizza la fase di crescita. Per usare le sue parole: "l'appartenenza al gruppo e la condivisione delle esperienze che vi vengono consumate o, al contrario, l'esclusione dalla fruizione di esperienze di gruppo, costituiscono non solo uno dei principali argomenti di discussione con gli adolescenti, ma sicuramente l'esperienza dotata di più elevato valore affettivo e di maggiore capacità di sostegno, o di esposizione a rischi, nella realizzazione dei compiti evolutivi" (Pietropolli Charmet, 1993, p.75). In questo senso, il gruppo dei pari si configura, a prescindere dalla tipologia e dalla struttura, come uno degli strumenti attraverso i quali gli adolescenti realizzano la propria nascita sociale e mediano il proprio ingresso nel mondo degli adulti. Infatti, se durante l'infanzia le relazioni più significative sono quelle parentali (di tipo verticale), durante la fase adolescenziale la necessità di relazioni tra coetanei (di tipo orizzontale) è amplificata e si esprime in modi del tutto diversi da soggetto a soggetto, con l'elezione di uno o più legami di amicizia, con la preferenza di uno o più amici, con l'istituzione di relazioni a livello spontaneo (il gruppo amicale) o a livello istituzionale (compagni di classe, di squadra, di parrocchia). Obiettivo primario del gruppo dei pari è, anche se non sempre viene raggiunto, quello di permettere all'adolescente che ne fa parte di svincolarsi dai vincoli familiari e trovare una nuova, forse migliore, individuazione sociale nel corso del suo sviluppo psico-fisico. L'esperienza del gruppo dei pari consente di mettersi in discussione, di abbandonare i propri investimenti narcisistici fondati sulla famiglia, di elaborare il lutto relativo all'abbandono della cosiddetta "onnipotenza infantile" per avviare il processo di trasformazione e definizione di sé. In sintesi, le funzioni del gruppo dei pari possono essere quelle di: fornire sostegno affettivo per compiere il processo di separazione dall'ambiente affettivo primario (la famiglia); fornire sostegno nell'espressione del "bisogno d'avventura" tipico dell'età, esplorando condotte di sfida, gara e rischio; fornire modelli, immagini e valori rispetto ai cambiamenti corporei, alla sessualità, al rapporto con l'altro sesso e alle condotte da adottare in determinate situazioni di interesse. Per Selvini Palazzoli (1970, p.53) il gruppo si costituisce "come unità funzionale retta da regole proprie e irripetibili, un organismo con caratteristiche proprie, non riconducibili a quelle dei membri prese isolatamente". Se è vero, quindi, che il gruppo è qualcosa di diverso rispetto alla semplice somma dei suoi membri, la peer education propone 20 una metodologia volta a favorire la comunicazione tra gli elementi del sistema e, nello stesso tempo, "a disarticolare gli schemi comunicativi ripetitivi e disfunzionali che ne ostacolano un efficace passaggio delle informazioni" (Cancrini, Gulimanoska, 2003, p.62). Lavorare all'interno del gruppo risulta sia per la promozione della salute che per la prevenzione di comportamenti a rischio, un'indispensabile e ineludibile possibilità di cambiamento. Ed è proprio sulla valenza positiva che riveste il gruppo dei pari e sulle specifiche caratteristiche che lo contraddistinguono poggia la filosofia e la metodologia della peer education. In questo senso, ancor prima della peer education, altre strategie di promozione della salute hanno cercato di capitalizzare l'enorme potere del gruppo dei pari nel determinare i modelli di salute e il benessere individuale. Deutsch e Gerrald (1955), ad esempio, hanno identificato due tipologie di influenza sociale all’interno del gruppo che possono produrre effetti simili, pur connotando processi molto diversi tra loro. La prima è chiamata "influenza normativa", in base alla quale il soggetto cambia le proprie credenze, motivazioni, attitudini e comportamenti per il desiderio di ottenere il consenso del gruppo. La seconda, invece, è l'"influenza informativa", in base alla quale il soggetto cambia le proprie credenze, motivazioni, attitudini e comportamenti, convinto che la fonte di influenza sia “oggettivamente” la più competente e valida fonte di ispirazione ed esempio. Vygotsky (1980), d'altra parte, ha definito e teorizzato l’importanza dell’esperienza nel gruppo quale elemento facilitatore e catalizzatore dell’apprendimento del singolo che vi appartiene. E’ solo nel gruppo, infatti, che il soggetto può riscontrare e usufruire di una "zona di sviluppo prossimale” definita come “la distanza tra il livello attuale di sviluppo così come è determinato dal problem solving autonomo e il livello di sviluppo potenziale così come è determinato attraverso il problem solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci" (Vygotsky, 1980, p.55). In questa definizione egli considera il soggetto da educare come capace di riconoscere a un “altro”, più esperto, la possibilità di fargli sperimentare l’esistenza di un altro sapere e di consentirgli, proprio attraverso l’esperienza di gruppo, non solo un processo di “acquisizione” diretta, bensì un ben più complesso lavoro di “co-costruzione” della conoscenza all’interno del gruppo dei pari. 21 Per concludere questa breve digressione nel mondo del gruppo dei pari, è possibile affermare che se da una parte la vita del gruppo ha un valore formativo molto prezioso in cui i coetanei spingono il soggetto al distacco dall’infanzia e dai legami familiari attraverso un processo di rispecchiamento collettivo, dall'altra, all’interno della "rassicurante uniformità collettiva ciascuno evidenzia se stesso attraverso nuovi processi di imitazione e di identificazione con figure ideali che sfuggono agli adulti, ma che aiutano i ragazzi a strutturare e difendere la propria individualità nel confronto paritario, simmetrico con coetanei che affrontano lo stesso percorso di crescita" (Finzi, 2000). 1.5 OBIETTIVI Sebbene la peer education persegua obiettivi a più livelli, come avremo modo di costatare a breve, quello prioritario consiste nella formazione di alcuni ragazzi, i peer educators (educatori tra pari o anche opinion leaders), che hanno il compito di influenzare, orientare e, talvolta, cambiare i comportamenti, gli atteggiamenti e le opinioni di un determinato gruppo sociale e di informarlo sugli eventuali rischi che s’incontrerebbero se si adottassero determinati comportamenti. Il processo educativo è dunque incentrato sulla partecipazione dei giovani selezionati dal gruppo di riferimento che, dopo essere stati formati, diventano "attori" e interpreti del processo stesso. Quest'ultimo prevede la reintroduzione dei ragazzi formati all'interno del gruppo di provenienza al fine di dare inizio al passaggio delle competenze, delle abilità e delle informazioni relative a una particolare tematica in un processo "a cascata" che vede coinvolti tutti i membri del gruppo. Le finalità generali della peer risultano quindi essere quelle di aumentare le conoscenze sull'oggetto dell'intervento, prevenire i comportamenti a rischio e sottolineare la correlazione tra stili di vita e condizioni di disagio variamente vissute. A livello individuale, invece, persegue una serie di obiettivi: promuovere una conoscenza accurata del tema di discussione; valorizzare la complessità dei saperi e l'unitarietà delle conoscenze; sviluppare le capacità operative; abituare al confronto tra i singoli e il gruppo; 22 promuovere lo sviluppo delle "life skills", definite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come "abilità che consentono di trattare efficacemente con le richieste e le sfide della vita quotidiana; abilità di vita e per la vita". Lo sviluppo di tali abilità è considerato uno strumento indispensabile per la maggior parte dei programmi di prevenzione. Quelle fondamentali, trasversali a tutte le altre, indicate dall'OMS sono: • problem solving, inteso come capacità di affrontare e risolvere in modo costruttivo i problemi quotidiani; • pensiero critico e creativo, inteso come capacità di analizzare le situazioni in modo analitico, esplorando le possibili alternative e trovando soluzioni originali; • comunicazione efficace, intesa come abilità nell'esprimersi in modo appropriato alla situazione e all'interlocutore sia a livello verbale che non verbale; • empatia, intesa come abilità nel riconoscere, discriminare e condividere le emozioni degli altri; • gestione delle emozioni e dello stress, intese come capacità di riconoscere e regolare le proprie emozioni e gli stati di tensione; • efficacia personale, intesa come convinzione di poter organizzare efficacemente una serie di azioni necessaria a fronteggiare nuove situazioni, prove e sfide; • efficacia collettiva, intesa come sistema di credenze condivise da un gruppo circa la capacità di realizzare obiettivi comuni. A tutti questi obiettivi di livello se ne aggiungono altri specifici di ciascun progetto e legati alle specifiche esigenze della popolazione target e al setting in cui s’intende operare. 1.6 FASI D'INTERVENTO I progetti di prevenzione/promozione della salute che utilizzano la peer education si articolano, generalmente, in una serie di diverse fasi operative: • definizione del gruppo di lavoro con i vari soggetti coinvolti nel progetto; • individuazione/selezione dei futuri peer educators; • formazione dei peer educators; 23 • intervento sul campo; • monitoraggio; • valutazione. 1. La prima fase, quella della definizione del gruppo, è probabilmente quella più delicata in quanto consiste nell'attivare numerosi contatti istituzionali (sia a livello politico che socio-sanitario), col fine di potenziare, o addirittura creare ex novo, una rete locale tra soggetti che, a vario titolo, lavorano a contatto con i giovani e con la promozione della salute. Dalla costituzione del gruppo di lavoro dipende buona parte della riuscita del progetto. Da questo, infatti, si originano l'individuazione e la condivisione dell'area problematica da trattare, l'identificazione delle strategie, l'attivazione delle risorse a disposizione e lo sviluppo delle cosiddette "alleanze". 2. Delineato il gruppo di lavoro, si passa alla fase di individuazione/selezione dei peer educators. Questa seconda fase è, in genere, definita dallo stesso gruppo di lavoro che si prefigge di selezionare dal gruppo bersaglio alcuni membri che assumeranno il ruolo di peer educators. Il processo di selezione viene attuato con diversi tipi di approcci. La problematica che sottende tale eterogeneità è dovuta alla difficoltà nel comprendere se la scelta nella selezione del peer educator debba seguire determinati criteri e requisiti posseduti dai ragazzi oppure se possa essere dettata dalla motivazione intrinseca di ogni giovane facente parte del gruppo target. La domanda che, in definitiva ci si pone, è se qualsiasi giovane possa assurgere al ruolo di peer oppure se necessiti di peculiari caratteristiche che lo rendano capace di assumere un ruolo educativo significativo nei confronti dei suoi coetanei. Come è stato anticipato esistono in letteratura vari tipi di approccio. Quello più comune si basa sulla selezione dei peer educators in base a determinati criteri. Uno di questi ritiene necessario che il futuro peer possegga: una spiccata sensibilità rispetto alle tematiche che si andranno ad affrontare; l'entusiasmo per il progetto e, quindi, l'alta motivazione posseduta; competenze comunicative e relazionali; popolarità nel gruppo dei pari; capacità di innovazione e di affermazione delle proprie idee; 24 una mentalità innovativa e apertura nei confronti del cambiamento; capacità di lavorare in un gruppo e di esserne parte integrante. Un altro criterio (utilizzato, per esempio, all'interno di un'esperienza di peer education a Verbania), prevede: età di almeno un anno maggiore rispetto agli studenti sui quali interverranno; disponibilità a effettuare il corso di formazione in orario prevalentemente extrascolastico; garanzia di frequenza assidua al corso di formazione attraverso la sottoscrizione di un “contratto”; possesso di abilità dialettiche e di gestione di gruppi o interesse nell’acquisirle; dimostrazione di sensibilità e interesse alle tematiche sociali con particolare riferimento alla solidarietà. Oppure nell'esperienza di Ancona requisito è ad esempio l’essere accettati dal gruppo target, il che implica: credibilità; capacità di raccogliere la fiducia degli altri; abilità nell’intessere relazioni sociali; essere percepiti come punti di riferimento e fonti di consiglio; essere innovativi nell’esplicitare idee e regole di comportamento; non essere una figura “outsider” estrema, ma un cosiddetto “natural opinion leader”. Sempre considerando l’esperienza di Ancona, fondamentale è anche l’avere determinate capacità di leadership. Per essere in grado di condurre le attività previste dal programma di lavoro e di focalizzare l’attenzione sugli obiettivi da raggiungere; le principali caratteristiche richieste sono: capacità di assertività; sapersi accattivare la fiducia degli altri; innovazione e apertura al cambiamento proprio e degli altri; 25 abilità comunicative; saper imparare, quindi far proprie le informazioni acquisite per poterle trasmettere; personalità stabile; rispetto di se stessi; non avere aspettative “salvifiche” dal progetto; aver voglia di lavorare in gruppo e con gli altri peer; avere rispetto e confidenzialità; motivazione e interesse per gli obiettivi del progetto; Importante è inoltre avere una propria motivazione ed elementi motivanti esterni. Il futuro peer educator deve trovare il tempo utile per dedicarsi alla formazione e alla supervisione. Relativamente agli elementi motivanti esterni essi sono: il partecipare ad attività creative e divertenti, il ricavare piacere dalle iniziative, dal lavorare con gli altri, nell'allacciare nuove amicizie. Un'altra tipologia di selezione è, invece, quella di utilizzare annunci sulla stampa comunale o scolastica. Questa tecnica garantisce l'"autoselezione", cioè la scelta spontanea dei ragazzi disposti ad affrontare il progetto, ma si tratta di una scelta poco coinvolgente. Inoltre, conduce, quasi sempre, alla selezione di una sola tipologia di peer educator che possiede caratteristiche e potenzialità "predeterminate". Da una ricerca inglese risulta, infatti, che la maggior parte dei peer selezionati secondo questa modalità sono di sesso femminile, di razza bianca, di discreta condizione economica e con un buon rendimento scolastico. Più semplice e veloce risulta essere la selezione operata dagli insegnanti. Questa è utilizzata esclusivamente in ambiente scolastico e presenta una visione "adultocentrica" in quanto gli insegnanti tendono spesso a segnalare quegli studenti che in base alle loro capacità e ai loro risultati scolastici risultano più adeguati ad assolvere i compiti di un peer educator. Di contro, è possibile che inviino al progetto i cosiddetti "bisognosi nascosti". Con questa etichetta si designano quegli studenti che presentano delle problematiche, più o meno manifeste, soprattutto di tipo relazionale. In tal senso, la speranza degli insegnanti sarebbe quella di aiutarli a superare tali difficoltà coinvolgendoli nel progetto come educatori. 26 Un ultimo criterio di selezione è invece quello operato dallo stesso gruppo dei pari in cui si richiede il coinvolgimento degli studenti nell'indicare il nome di tre loro compagni maschi e di tre loro compagne femmine che essi stimano o ammirano. Rinaldin e i suoi collaboratori hanno progettato la fase di selezione come primo momento di promozione alla salute proponendo ai ragazzi, in un intervento del 2001, un questionario di autovalutazione sulla propensione all’impegno socioculturale, strutturato in quattro aree tematiche (motivazionale, socio-relazionale, organizzativa e tecnica). Ogni studente, dopo aver compilato il questionario, lo ha valutato e si è presentato alla classe mettendosi nella condizione di esprimere la propria auto candidatura (in qualche modo ragionata), o la candidatura di un altro da lui ritenuto idoneo. Gli autori sostengono che, malgrado non vi sia coinvolgimento da parte degli adulti, questo approccio garantisce la rappresentatività dei peer leaders e la volontarietà dell'adesione alla proposta consentendo, parallelamente, l'attivazione di una rete informativa informale proficua per un possibile cambiamento nella realtà scolastica. Un ragionamento a parte meritano, per concludere la trattazione della fase di selezione, i progetti effettuati in ambito extrascolastico e che coinvolgono particolari gruppi. In genere, soprattutto se si agisce con i tossicodipendenti, i sottogruppi gay, gli emigranti o i "senza tetto", in contesti de-strutturati come la strada, si cerca prima di tutto di svolgere un’azione di “mappatura”. Si tratta di un'osservazione della realtà contestuale che porta ad attivare dei contatti con persone di riferimento in quei gruppi di popolazione che hanno la funzione di “opinon leaders”. La loro funzione è di supportare le attività previste, di diffondere informazioni o di utilizzare gli strumenti previsti. In tal senso svolgono il ruolo educativo soprattutto con il significato di mediazione culturale e dinamica oltre che con un’azione di supporto e di riconoscimento dei saperi di ognuno in cui sono inserite le azioni formative specifiche legate alle tematiche da affrontare. Individuare, contattare e attivare gli opinion leaders non sempre è un compito facile in quanto si incontrano numerose problematiche legate sia alla presenza di pregiudizi culturali sia al fatto che gli opinion leaders sono “pari” nel senso di appartenere ad uno stesso status e quindi, proprio per questo, non credibili e da non prendere in considerazione. 3. La terza fase prevede la formazione dei peer educators. Il programma specifico di formazione a cui vengono sottoposti i ragazzi selezionati è articolato in una serie di incontri attraverso cui diventeranno esperti rispetto agli argomenti (alcol 27 e tabacco, AIDS, MTS, droghe, ecc.), che andranno a trattare, in seguito, con i loro coetanei. In genere vengono affiancati al programma specifico una serie di incontri relativi alla gestione dei gruppi attraverso tecniche di animazione e comunicazione efficace (brainstorming, role playing, esercitazioni, ecc.). Secondo Boda (2001) il contenuto della formazione dovrebbe comprendere: lo sviluppo e il miglioramento di conoscenze legate all'area tematica scelta; l'acquisizione di strategie per lavorare in gruppo; l'acquisizione e lo sviluppo di competenze di comunicazione; la sperimentazione e il sostegno. E' evidente che le modalità prescelte per le attività di formazione dipendono, in parte, dalle finalità progettuali. In ambito scolastico, ad esempio, il coinvolgimento dei peer educators è, in genere, orientato verso la peer delivery (trasmissione delle conoscenze ai coetanei attraverso i peer educators), in quanto, proprio per la natura strutturata dell’ambiente in cui si svolge l’intervento, essi possono difficilmente avere una grande influenza sulle decisioni importanti, dovendo sottostare ai bisogni della scuola e a più rigide norme di comportamento. In altri tipi di programmi, come quelli centrati sull’empowerment, invece, s’intende puntare sul peer development (sviluppo personale del peer educator), che acquista un'importante determinante per un contemporaneo sviluppo della peer delivery. Molto diversa è, come è stato espresso precedentemente, la formazione dei peer educators che agiscono in contesti destrutturati come la strada. A essi si richiede soprattutto di proporre messaggi e di rinforzare informazioni già circolanti utilizzando l’efficacia del messaggio "orizzontale", della credibilità dei media, dell'appartenenza al medesimo linguaggio. Dove sia possibile sono anche previsti veri e propri momenti formativi su tematiche specifiche o attività autonome tra i pari, ritenute significative al fine del raggiungimento degli obiettivi previsti. Tra questi ricordiamo le più popolari: gruppi di auto-aiuto, giornali di strada e gruppi di interesse. 4. La fase "esecutiva" del progetto di educazione tra pari ha inizio con il reinserimento dei peer educators nel gruppo "bersaglio" dopo essere stati formati. 28 Premesso che tale momento risulta strettamente dipendente dalle finalità, dal setting e dalle risorse specifiche del progetto, è possibile affermare che l'intervento sul campo si esplica, primariamente, negli incontri-lezioni condotti dai peer educators. Tali incontri sono indirizzati a proporre determinati modelli comportamentali e a sviluppare capacità di relazione e confronto su determinati temi. In sostanza, il messaggio preventivo non è vincolato dall'insegnante o dalla figura di un esperto, ma dall'interazione reciproca e bidirezionale tra pari. Grazie anche all'utilizzo di strumenti come il brainstorming, il role playing e i vari giochi psicologici (utilizzati come "facilitatori della comunicazione"), le informazioni passano in modo circolare e non "dall'alto verso il basso" come avviene generalmente nel rapporto con gli insegnanti o con gli operatori adulti. Inoltre, gli elementi che permettono la creazione di un legame emozionale e affettivo tale da consentire un buono svolgimento degli incontri sono, almeno nel contesto scolastico, la strutturazione diversa dell'ambiente fisico (la disposizione circolare delle sedie, ad esempio), il trovarsi di fronte ai propri coetanei piuttosto che a degli adulti e infine l'affrontare le tematiche proposte attraverso modalità comunicative del tutto nuove. Oltre agli incontri dei peer educators, è prevista, quasi sempre, la realizzazione di prodotti da parte di tutto il gruppo bersaglio. Si tratta di cortometraggi, ipertesti, siti web, cartelloni pubblicitari, mostre, ecc. 5. Il monitoraggio continuo è un'attività fondamentale per l'effettiva riuscita del progetto. Esso segue tutte le varie fasi dell'intervento poiché è proprio attraverso i processi di feedback (retroazione), che è possibile effettuare un'efficace riorganizzazione in relazione alle caratteristiche del setting e della popolazione target. Senza una costante attività di monitoraggio potrebbe subentrare il rischio di ottenere effetti, a volte anche opposti, a quelli perseguiti dall'intervento stesso. 6. L'ultima fase è quella relativa alla valutazione. La ricerca valutativa nell’ambito della peer education diventa particolarmente complessa; tale metodologia, infatti, “coinvolge diverse tipologie di partecipanti e ambienti, si avvale dell’influenza delle dinamiche sociali e della trasmissione dei risultati acquisiti attraverso i vari gruppi di una popolazione per conseguire i propri obiettivi e prevede alcuni specifici interventi attuativi” (Svenson, 1998, p. 32). Se, da un lato, la valutazione deve interessare più dimensioni e, dall’altro, l’aspetto fondante di un percorso di peer education è rappresentato dallo sviluppo delle competenze, delle informazioni e degli atteggiamenti dei soggetti implicati, occorre stabilire come tutto 29 questo possa essere misurato. Non è un caso che la fase valutativa sia quella più trascurata dagli addetti ai lavori che, molto spesso, preferiscono non applicare. Per una sua maggiore utilizzazione è auspicabile che i processi di valutazione possano essere, in futuro, progettati "ad hoc" e risultare dall’interazione attiva di tutti i soggetti che, a diverso titolo, partecipano al percorso peer. 1.7 MODELLI E TEORIE DI RIFERIMENTO Dopo aver compreso, nel paragrafo dedicato alla definizione, che la peer può essere interpretata secondo diverse modalità e orientamenti, mi sembra utile ai fini di una migliore comprensione trattare dei tre principali modelli che si sono affermati nel tempo. Ciascuno di essi rappresenta una particolare modalità di relazione formatori (adulti)-ragazzi, dei particolari criteri di individuazione dei peer educators e degli specifici temi di lavoro che variano a seconda dei contesti. Il primo di questi è il "modello puro". Diffusosi soprattutto nei paesi anglofoni è utilizzato, nella maggior parte dei casi, nei progetti di prevenzione implicati nella riduzione di abuso di sostanze ad azione psicotropa e nella diffusione di malattie trasmissibili sessualmente. Esso ha un carattere prevalentemente addestrativo: sebbene i ragazzi vengano riconosciuti come soggetti attivi nella realizzazione dei progetti di prevenzione/promozione della salute rivolti ai propri coetanei, in realtà, non sono legittimati a compartecipare a tutte le fasi degli interventi (attivazione, formazione e progettazione). Di conseguenza, è maggiore il potere lasciato agli adulti, operatori o insegnanti, che guidano e controllano il progetto. I peer educators vengono selezionati secondo criteri decisi dagli adulti e vengono formati secondo metodologie di apprendimento di tipo prettamente trasmissivo. Anche la fase realizzativa viene ridotta a termini meramente applicativi, sia sotto il profilo dei contenuti, sia sotto quello degli strumenti e dei linguaggi. Per alcuni autori, tra cui Pellai, Rinaldin, Tamborini (2002) se da una parte il modello puro è il più economico dal punto di vista delle risorse, umane e materiali, dall'altra snatura completamente gli stessi fondamenti teorici della peer education. Il secondo principale modello qui presentato è, in realtà, un insieme di modelli che vengono definiti "modelli misti". Questi hanno avuto grossa espansione soprattutto nel nostro Paese e puntano allo sviluppo del protagonismo e dell'iniziativa dei ragazzi all'interno di progetti circoscritti. In tal senso, una breve e 30 intensa fase formativa tra adulti e adolescenti segue il lavoro di progettazione stabilito dagli operatori e dagli insegnanti. Ai ragazzi è affidata la fase realizzativa. Il terzo e ultimo modello di peer, forse quello che gode di maggiore fama oggigiorno, è l'"empowered peer education". Questo modello s’iscrive nell'orizzonte della psicologia di comunità e implica un lavoro di rete flessibile e dinamico tra i soggetti coinvolti. Scevro da qualsiasi ottica di impostazione addestrativa o caratterizzata dalla dimensione della delega, l'"empowered peer education" sfrutta l'incontro tra il sapere dell'adulto e quello dell'adolescente sottolineandone il confronto entro un rapporto di reciproco interscambio nel contesto esperienziale. Il presupposto che sta alla base di questa impostazione è che l'adulto possa accompagnare il giovane nell'individuazione e nello sviluppo di strumenti e competenze efficaci nella promozione del benessere all'interno dei gruppi cui egli appartiene. I ragazzi, dunque, sono soggetti attivi all'interno di ogni fase del percorso, dalla progettazione alla valutazione. L'oggetto dell'intervento peer è scelto in maniera autonoma dai ragazzi peer educators che non sono formati attraverso la trasmissione di informazioni, ma attraverso il potenziamento delle life skills funzionale a determinare il miglioramento dell'individuazione dei propri bisogni e desideri rispetto alle iniziative da intraprendere. Proprio i ragazzi risultano essere i veri protagonisti della progettazione e della realizzazione del progetto. Il quadro teorico di riferimento è ampio e complesso. A tal proposito, è interessante notare che per Turner e Sheperd (1999, p. 239) "la peer education sembra essere un metodo in cerca di una teoria piuttosto che l'applicazione pratica di una teoria". Anche se le prime esperienze di applicazione erano basate più sull'intuizione e sull'osservazione che su principi teorici riconosciuti, non v'è dubbio che le teorie supportanti la metodologia affondano le loro basi in ambito psicologico. Non a caso, uno dei primi teorici di riferimento è Jean Piaget, autore di una delle più importanti teorie sullo sviluppo mentale del bambino. Egli considera la conoscenza come una costruzione continua attraverso uno scambio tra individuo e ambiente. Il bambino nasce con un certo numero di schemi di azione (riflessi), che gli permettono di assimilare delle informazioni. L'assimilazione è condizionata dalla possibilità con cui ci si relaziona all’ambiente tramite l’organizzazione cognitiva a nostra disposizione e l’accomodamento consiste nella modifica dell’organizzazione cognitiva in seguito alle esigenze poste dalla realtà sociale. L’adattamento è 31 l’equilibrio tra assimilazione e accomodamento. Il sapere, secondo il pensatore svizzero, è una “costruzione” personale dell’individuo in cui la sperimentazione diretta delle cose da apprendere diventa necessaria per l’apprendimento. Il discente, in quest’ottica, si trasforma in protagonista attivo del suo sapere, l’insegnante ne diviene facilitatore e le interazioni tra pari possono rappresentare un ulteriore strumento per la costruzione intellettiva del bambino in quanto basate sull’utilizzo di linguaggi condivisi e di modalità relazionali molto dirette. Altra importante figura cui si attinge per ricercare le basi teoriche della peer education è L. S. Vygotskji, psicologo e pedagogista dell’Unione Sovietica che già negli anni trenta aveva iniziato a porre le basi per una teoria dello sviluppo e dell’apprendimento fondata sulla centralità delle interazioni sociali. “Sviluppo” e “apprendimento” sono ambedue spiegati da un meccanismo che va dall’esterno verso l’interno, che procede cioè dal sociale all’intrapersonale. L’interazione sociale, pertanto, opera come uno strumento di facilitazione per lo sviluppo e l’apprendimento di capacità cognitive e ciò avviene nel contesto dell’interazione tra un soggetto più competente che non è solo l’adulto, l’educatore o l’insegnante, ma anche il coetaneo. Si definisce così una “zona di sviluppo prossimale”, cioè una distanza tra lo sviluppo reale del bambino e il suo sviluppo potenziale in cui riconoscere a un altro soggetto, più esperto, la possibilità di fargli acquisire nuove conoscenze, e, allo stesso tempo, la possibilità di “co-costruire” la conoscenza del gruppo. Franco Fornari, invece, ha proposto una teoria dei codici affettivi che è stata utilizzata, da più parti, per interpretare i processi affettivi e comunicativi implicati nell'educazione tra pari. Gli elementi emotivi invarianti nella natura umana, messi in gioco dalle relazioni affettive sono identificati da Fornari in "erotemi" e "parentemi" (concetti di nascita e morte). Essi si situano alla base dei significati attribuiti dall’uomo alla realtà che lo circonda. Tra i parentemi il “codice dei fratelli” sembra costituire una struttura paritetica del potere, centrata sul gruppo dei pari in una dimensione non ipnotica. Il gruppo dei pari, dunque, "metaforicamente rappresentato dal gruppo dei fratelli, acquisirebbe la capacità di riattivare i codici affettivi a questi ultimi collegati come la solidarietà di fondo, la distinzione tra fratelli maggiori o minori i quali attraverso l’attivazione di un processo di “staffetta esperienziale” sono, a seconda della situazione, fratelli maggiori o minori di qualcuno, realizzando 32 un’omogeneità di fondo che non cade mai nell’appiattimento" (Antonietti, Faretra, Gnemmi, Ottolini, 2003, p. 115). Un altro importante contributo teorico deriva dal modello della mente elaborato da Howard Garner: il modello delle intelligenze multiple. Gardner, psicologo dell’Haward School of Education nel suo Forma mentis (1983) sostiene che non esiste un unico tipo di intelligenza per aver successo nella vita, ma che ne esiste un’ampia gamma in cui è possibile riconoscerne sette, considerate come fondamentali. Oltre alla cosiddetta intelligenza scolastica (verbale e logicomatematica), egli identifica la capacità spaziale, il genio cinestesico, il talento musicale e la cosiddetta “intelligenza personale” in cui sono identificabili le capacità interpersonali (che permettono di comprendere gli altri, le proprie motivazioni e il loro modo di lavorare) e quelle intrapsichiche o intrapersonali (che consistono nell’abilità di formarsi un modello accurato e veritiero di se stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita). Daniel Goleman, riprendendo e completando il pensiero di Garner, pone l'accento sulla cosiddetta “intelligenza emotiva” identificandola come quell’abilità che consente di governare le emozioni e di guidarle nelle direzioni più vantaggiose, spingendo alla ricerca di benefici duraturi piuttosto che al soddisfacimento di piaceri immediati e che si può apprendere, perfezionare e insegnare a bambini e ad adulti. Proprio per il fatto che nell'ottica della prevenzione si rivela fondamentale indirizzare le emozioni verso un miglioramento di se stessi e dei propri comportamenti che anche il modello delle intelligenze multiple viene posto tra i fondamenti teorici della peer. In ambito internazionale e soprattutto nella letteratura inglese e americana altre teorie sono prese a riferimento. Derivate da tradizioni filosofiche molto diverse tra loro, esse rientrano per la maggior parte nell’ambito psico-sociale. Tra queste spiccano, sicuramente, la teoria dell'apprendimento sociale, la teoria dell'azione ragionata e la teoria della diffusione delle informazioni. La prima, elaborata da Bandura, uno dei massimi esponenti della teoria cognitivo-sociale, afferma che il comportamento umano è determinato dall’interazione reciproca di fattori causali individuali e ambientali. Questa interazione reciproca e biunivoca attiva le strutture psichiche che regolano la condotta stimolando le capacità di osservazione, simbolizzazione, anticipazione, auto riflessione e autoregolazione che sono alla base dell’apprendimento. Tra i 33 meccanismi di autoregolazione il più importante è il senso di autoefficacia (selfefficacy). Esso concerne la capacità da parte di un individuo di assumere il controllo della propria situazione mentale e ambientale. In definitiva, riguarda le convinzioni delle persone circa le proprie capacità di eseguire il corso di azioni necessario al raggiungimento di un risultato desiderato. Di conseguenza, il senso di autoefficacia influenza il modo di pensare, di sentirsi, di apprendere, di agire e contribuisce significativamente alla motivazione e al successo. Secondo questa teoria, quindi, un soggetto può migliorare il proprio livello di autoefficacia acquisendo nuove conoscenze e abilità per affrontare e gestire situazioni diverse. Tra le esperienze di apprendimento che accrescono il livello di autoefficacia, oltre all'esperienza diretta, alla formazione in abilità legate a situazioni specifiche e all'autovalutazione che rafforza la fiducia di essere in grado di attuare un determinato comportamento, quella ritenuta più efficace è la cosiddetta "esperienza vicaria". In breve, si tratta dell’esperienza fornita dall’osservazione di modelli positivi e agisce, per via indiretta, attraverso l'osservazione e il modellamento delle proprie azioni su quelle di altri in cui ci s’identifica. Per usare un passaggio estrapolato dal pensiero di Bandura, nell'apprendimento basato sull'osservazione (modelling) “la risposta è acquisita dall'osservatore attraverso decodificazioni cognitive dagli eventi osservati; comunque l'acquisizione della risposta da parte dell'osservatore dipende dalle conseguenze positive o negative associate alla risposta emessa dal modello” (Bandura, 1969, p. 23). Nella metodologia dell’educazione tra pari questa teoria ha senso in quanto i peer educators sono percepiti come modelli da osservare e da cui trarre insegnamento. "I peer" sostengono Kleep et al. (1986, p. 128), "aumentano l’applicabilità del programma rappresentando modelli di comportamento adeguato e possono agire da rinforzo verso i comportamenti appresi socialmente se essi possiedono social skills adeguate come un alto livello di autoefficacia e assertività". La teoria dell'azione ragionata, invece, sostiene che il comportamento di un individuo è influenzato dalle norme sociali prevalenti relativamente ad un determinato comportamento presso un certo gruppo o cultura. Essa considera il comportamento come un processo, costituito da più fasi, che alla fine genera l'intenzione di effettuare un'azione. Sono dunque le intenzioni comportamentali a predisporre un soggetto a effettuare un'azione. In tal senso un individuo che è convinto che il proprio ambiente sociale percepisce positivamente un determinato comportamento si rivela più probabile che egli adotti quel determinato 34 comportamento. A questo punto, se accettiamo il presupposto in base al quale il gruppo dei pari sia in grado di influire reciprocamente sui propri componenti molto più di quanto possano fare soggetti esterni a esso, ecco spiegata l'importanza di tale teoria per la peer education. Per quanto concerne, la teoria della diffusione delle innovazioni, infine, è possibile affermare che, ricorrendo al modello dell'influenza sociale, essa spiega come le innovazioni (nuove informazioni, attitudini, credenze e pratiche) vengano adottate dalla comunità attraverso l'identificazione degli aspetti e delle modalità con cui se ne attua l’accoglienza. Di conseguenza, ogni intervento viene indirizzato non solo a coloro che sono direttamente testimoni di un'azione, ma consente di diffondere le innovazioni in modo indiretto, attraverso le reti sociali che esistono attorno ad un gruppo target o a una comunità. Rogers e Shoemaker (1971), gli ideatori di questa teoria, identificano come fondamentali le caratteristiche di chi adotta le innovazioni, la natura del sistema sociale, le caratteristiche dell’innovazione e le caratteristiche degli “agenti di cambiamento”. In questo senso, i peer educators sarebbero agenti di cambiamento, rappresentando gli “opinion leaders” all’interno di una comunità. Inoltre, risulta indispensabile, per una comunicazione efficace, che la fonte e il ricevente siano “omofili” cioè simili per determinati attributi come credenze, valori, educazione e stato sociale. Questa “omofilia” rappresenta, però, una barriera al cambiamento in quanto le nuove idee sono di solito introdotte da persone innovative di uno status diverso. I peer educators rappresenterebbero tuttavia il superamento di tale barriera in quanto presentano caratteristiche simili a quelli di coloro con cui devono comunicare, ma allo stesso tempo se ne differenziano perché maggiormente preparati e più innovativi. Altre teorie, meno conosciute, ma non meno influenti, poste alla base della metodologia peer, sono: la Social Inoculation Theory, la Role Theory, la Differential Association Theory e la SubCulture Theory. La prima, elaborata da Mc Guire nel 1968, enfatizza la pressione sociale dei pari come fattore determinante nell’assunzione di comportamenti non salutari da parte dei giovani. Gli individui che hanno già sviluppato strategie per resistere a questa pressione sono più orientati a non assumere eventuali comportamenti che possono essere indotti dai pari o dalla società. Aiutare i giovani a sviluppare strategie di resistenza significa quindi “immunizzarli” dall’azione della pressione sociale: è questo il compito dei peer educator. 35 La Role Theory, invece, si basa sul concetto di "ruolo sociale" inteso come comportamento che viene adottato in base ad aspettative e normative legate a un determinato contesto e funzione: ogni persona, cioè, ricopre un ruolo ben definito e adatta il proprio comportamento a tale ruolo. I peer educators, quindi, sarebbero portati ad adattare le loro aspettative e i loro comportamenti a quelli di un tutor. Infine, questa teoria, sistemata da Sarbin e Allen nel 1968, ipotizza che la comunicazione sia inibita dalla differenza culturale esistente tra insegnante e studente; di conseguenza i peer educators, condividendo con gli studenti esperienze e cultura, possono essere più efficaci nel favorire l’apprendimento. La Differential Association Theory (Sutherland e Cressy, 1960), diffusasi soprattutto in ambito criminologico, poggia le sue fondamenta sul presupposto che la semplice associazione con altre persone è di per se stessa opportunità di apprendimento. Seguendo questa direzione, infatti, le azioni criminali non sono il prodotto di disordini biologici o psicologici, ma risultano da comportamenti appresi. Con riferimento alla peer, se giovani con cattive abitudini possono insegnare questi comportamenti ad altri, sarà anche possibile che giovani possano facilmente insegnare comportamenti di salute. La SubCulture Theory (Cohen 1955), infine, introduce i concetti di cultura e subcultura. Secondo questa teoria di stampo sociologico, gruppi di persone sviluppano subculture, promuovono cioè valori e attuano comportamenti che sono in opposizione alla cultura predominante (ad esempio gruppi etnici o omosessuali, ma anche classe operaia in opposizione a borghesia, ecc.). L’applicazione di questa teoria alla peer education sembra essere limitata a quei progetti rivolti a particolari gruppi di popolazione in quanto la maggior parte degli interventi con i giovani a scuola o in setting informali di aggregazione solitamente non rivolge particolare attenzione a fattori sub culturali specifici. Da questa rapida panoramica su alcune tra le più influenti teorie citate in letteratura come riferite alla peer education si può giungere alla conclusione che nessuna di esse, presa singolarmente, può spiegare tutte le motivazioni che sottendono tale metodologia. Eppure, possiamo individuare alcune idee che si ripetono, più o meno trasversalmente, nelle teorie sopra citate. Tra queste risultano fondamentali: 36 l’importanza che i peer educators siano persone appartenenti a uno “status” simile rispetto a quello della popolazione target affinché si realizzi un'effettiva identificazione e comunicazione; la necessità che i peer educators lavorino per favorire il cambiamento di norme e valori all’interno delle comunità. Da quanto esposto sino ad ora è possibile affermare che la peer education è "questione" di comunicazione e di relazione all'interno di un sistema ben definito: il gruppo dei pari. 37 CAP 2 PANORAMA DELLA PEER EDUCATION INTRODUZIONE Prima di passare alla presentazione delle più importanti esperienze di peer in campo mondiale, europeo e italiano, mi sembra interessante soffermarmi su di una specifica questione. A questo punto del lavoro, infatti, la domanda che, retoricamente, mi pongo è se la peer education possa effettivamente svolgere un ruolo educativo. Il dizionario della lingua italiana (Zanichelli, 1997) può essere d'aiuto. La parola italiana "educare" è un termine che deriva dal latino "educare", della stessa radice di "ducere", composto dal prefisso "ex-" e, appunto, dal verbo "ducere". "Educere", a partire dalla sua primaria spiegazione di "trarre fuori", "far uscire", può essere ricondotto anche ai significati di: "tirar su", "far crescere", "allevare", con particolare riferimento agli esseri umani nella loro infanzia. Ancora oggi il significato principale della parola mantiene gli elementi estrapolati dalla tradizione latina e con il termine "educazione" s’indica un processo di formazione dell’individuo in cui vengono tramandati da una generazione più anziana a una più giovane non solo saperi tecnici, ma, più in generale, regole di comportamento e principi morali che mirano a far crescere bene, costituendo i presupposti per il loro buon inserimento dei soggetti giovani nella società. Sebbene questo processo si sia consolidato negli anni sino a diventare quello più utilizzato in ambito educativo (la scuola si basa, o dovrebbe basarsi, su di esso), tuttavia si sono rivelati numerosi i tentativi che hanno cercato di superare quell’asimmetria per cui s’immagina l’educatore in posizione "up" e il discente in posizione "down". Questi nuovi metodi educativi propongono un processo più vicino alle necessità e alle aspettative dell’educando, anche con metodologie e processi “alternativi” e/o complementari a quelli classici. In particolare, come abbiamo più volte ribadito, la peer education realizza una relazione simmetrica tra soggetti che condividono le stesse esperienze e che usano lo stesso linguaggio mantenendo, allo stesso tempo, le finalità della formazione della persona "conducendo fuori” le potenzialità individuali. Essa si propone di operare in un ambito educativo specifico che è quello relativo alla promozione della salute e alla prevenzione. 38 La peer education, dunque, cerca di fare propri alcuni degli assunti sia dell’educazione alla salute (processo che tende a modificare consapevolmente e durevolmente il comportamento nei confronti dei problemi della salute), sia della prevenzione intesa come "quel momento operativo in cui si mettono in atto progetti e strategie per fare in modo che una certa patologia, di cui già si conoscono gli effetti più o meno devastanti, non attecchisca" (Cialdella, 2005, p. 37). Cognizioni ed emozioni, accanto a sintomi percepiti (intesi come segnali di piacere o di sofferenza inviati dal corpo), e influenza sociale, sono i principali fattori che, secondo la maggior parte degli studiosi, concorrono a determinare i comportamenti rilevanti per la salute. Nella stessa maniera l’apprendimento e il cambiamento sono i processi privilegiati attraverso cui tali comportamenti vengono effettivamente messi in atto. Da qui si comprende che lo scopo della peer education, non è solamente quello di fornire conoscenze, ma di mettere tali conoscenze a disposizione dell’individuo in modo tale che possano essere utilizzate al fine della salute. La filosofia e il metodo della peer education sembrano orientare la persona ad aumentare e migliorare il controllo sulla propria salute attraverso lo sviluppo di azioni, consapevolezze e ruoli, assolvendo quindi una missione educativa. La prospettiva e la scommessa sono allora quelle di svolgere anche un’azione di prevenzione/promozione della salute attraverso un processo globale, sociale e politico, che utilizzi l’azione intersettoriale, la centralità della persona, della comunità, della popolazione per agire sui paradigmi di salute a livello di “condizioni del vivere” e di ambiente. La breve rassegna di esperienze che viene proposta nei successivi tre paragrafi non può che risultare incompleta rispetto alla quantità e alla varietà degli approcci alla peer education. Tuttavia essa testimonia che istituzioni diverse, con finalità e obiettivi diversi, hanno preso in considerazione questa strategia come potenzialmente efficace in una prospettiva di salute. Resta da stabilire se in questa varietà di esperienze sia sempre stata rispettata una programmazione e un’attivazione che risponda ai dettami della prevenzione/educazione alla salute e soprattutto se ne sia stata prevista una valutazione rigorosa. Non sembra, infatti, utile considerare a priori la peer education come una sorta di “panacea” per la varietà di problemi legati a stili e contesti di vita. E' invece auspicabile lavorare seriamente a una diagnosi educativa e organizzativa che 39 evidenzi priorità e problemi nei vari contesti di vita e che li affronti con un approccio metodologicamente appropriato ed efficace che preveda vere prospettive di sviluppo e di cambiamento personali e collettive. 2.1 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO MONDIALE A livello mondiale, il territorio nord americano (Usa e Canada), è quello più ricco di esperienze incentrate sulle metodiche dell'educazione tra pari. In queste nazioni tecnicamente all'avanguardia, infatti, numerosi sforzi sono stati indirizzati alla prevenzione della diffusione del virus dell’HIV, delle malattie trasmissibili sessualmente e delle gravidanze precoci nella popolazione femminile adolescenziale. Accanto a questi temi “popolari” sono stati sviluppati progetti di educazione tra pari finalizzati alla prevenzione delle violenze nella sfera domestica, del bullismo e di particolari tematiche nei gruppi più disparati (gruppi di omosessuali e lesbiche, minoranze etniche, ecc.). Oltre all’ovvio coinvolgimento delle scuole e delle agenzie sanitarie, i programmi statunitensi e canadesi si contraddistinguono per l’attivazione e lo sviluppo di importanti “reti multimediali” attraverso Internet. Tra i diversi programmi è possibile ricordare: il progetto di peer avviato in Florida, a partire dal 1989, dalla Croce Rossa della Contea di Palm Beach per la prevenzione del virus HIV; il Center for Domestic Violence Prevention's Teen Outsearch Program, avviato nel 1996 in California (nella contea di San Matteo), che indirizza le proprie attività verso la prevenzione delle violenze subite nella sfera domestica dai giovani di età inferiore ai diciotto anni; il Teen Outsearch Program (TOP) si è, invece, formalizzato in uno specifico curriculum formativo che associa l’acquisizione e lo sviluppo delle life skills con l’educazione sessuale e che nell’aprile 2003 interessava 120 scuole; lo Youth AIDS Prevention Project (YAPP) formulato per la prevenzione dell'HIV, delle MTS e dell'abuso di sostanze ad azione psicotropa tra i ragazzi delle scuole superiori. Tra il Canada e gli Stati Uniti esistono poi numerose organizzazioni che si occupano di prevenzione/educazione alla salute dei giovani e che propongono la 40 metodologia della peer education offrendo strumenti e supporto agli aspiranti educatori anche attraverso l’attivazione di una rete multimediale con la diffusione di modelli via internet e con la creazione di forum di discussione e di chat room on line. Tra queste citiamo: www.adovocatesforyouth.org, che promuove i diritti, il rispetto e le responsabilità dei giovani incoraggiando strategie di sviluppo tra pari finalizzate alla salute sessuale e prevedendo anche un supporto per omosessuali, bisessuali, travestiti e soggetti HIV positivi; www.mentors.ca, in cui è presente una “peer assistance directory” con “peer program descriptions”, “peer associations”, “qualified peer trainers”, “the best peer training publications” (le migliori pubblicazioni sull'allenamento dei peer), ecc.; www.peerhelping.org, in cui la National Peer Helper Association prevede anche la certificazione dei programmi di peer education che prevedano standard professionali, operativi ed etici per lo sviluppo di una crescita e di uno sviluppo sia degli operatori che della comunità. Numerosi, inoltre, sono i siti universitari in cui è possibile prendere parte a numerosissimi progetti di peer education. Tra questi, i più famosi sono quelli dell’Università del Connecticut in cui si trovano almeno trenta aree tematiche diverse in cui è possibile inserirsi come peer educator al fine di facilitare la crescita sociale e personale degli studenti e quelli dell'Università di Alberta. A tutto ciò vanno aggiunti programmi e progetti diretti ai paesi in via di sviluppo promossi e diretti dalle molteplici organizzazioni statunitensi che intervengono nei vari paesi come, ad esempio, la FHI (Family Health International) che propone programmi di peer education in Ghana, in Kenia, in El Salvador e in Cameroon. Fuori dal Nord America, infine, si rilevano esperienze di peer education in: Sud Africa che, già nel 1995 aveva promosso, attraverso il National Department of Health and Education, un programma di life skill ed educazione sessuale con prevenzione dell'AIDS e che ha approntato l’utilizzo della strategia peer sia nelle scuole che nei centri di salute; 41 in Etiopia, dove la United Nations Economic Commission for Africa di Addis Abeba ha effettuato interventi con la peer per la prevenzione dell'AIDS nei luoghi di lavoro; in Australia con il patrocinio e la supervisione del National Centre for Education and Training of Addiction. A queste si aggiungono iniziative meno famose, ma non meno efficaci, che si stanno verificando su tutti i continenti. 2.2 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO EUROPEO A livello europeo, invece, il progetto “Europeer” ("Progetto europeo sull'educazione tra pari"), propostosi come centro di coordinamento internazionale per l’elaborazione delle linee guida europee sull’educazione tra pari, risulta il principale coordinatore e catalizzatore delle attività preventive eseguite attraverso la metodologia della peer education per la prevenzione dell'AIDS. Tale progetto è, infatti, finanziato dalla Commissione Europea, dall'Istituto Nazionale Svedese di Sanità Pubblica e dal Dipartimento di Medicina di Comunità dell’Università di Lund (Svezia) e vede il coinvolgimento di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Nel complesso, sono stati monitorati e valutati 24 progetti di educazione tra pari mirati alla prevenzione dell’AIDS; si è costituita una banca dati europea con un database bibliografico comparato e, infine, è stato possibile redigere le linee guida europee dell’educazione tra pari applicata ai progetti di prevenzione dell’AIDS e delle malattie trasmesse sessualmente. Altre esperienze significative attuate nel vecchio continente si sono verificate: in Austria con un programma finalizzato alla prevenzione dell’AIDS nelle scuole ("Peer Group Education in schools on AIDS – a project by the Upper Austrian Red Cross Youth"), con un progetto rivolto a studenti universitari (”Peer Education” all'Università di Graz) e infine con un intervento indirizzato al tema della prevenzione dell’infezione da HIV e del suicidio in ambito scolastico ("Peer Group Education", un progetto dello "Styrian Youth Red Cross Aufklärung in der Schule"); in Svezia con il progetto "Peer Education in Anderslöv" volto a sviluppare nuove opportunità per tutti gli studenti che intendono 42 scambiare le loro conoscenze e credenze rispetto ad alcol, droga e sessualità. Il programma si sviluppa principalmente nella "caffetteria" scolastica dove sono disponibili materiali informativi e preservativi; oltre ai peer educator è prevista la collaborazione del direttore scolastico, di un insegnante, di un assistente sociale, di genitori e di operatori sanitari; in Inghilterra con il "Peer Education Projet Kent Youth Association" che consiste in un programma di educazione sessuale e di prevenzione all’uso di droghe con riferimenti anche alla salute mentale e all’ambiente; sempre nel Regno Unito è da segnalare il lavoro dell'"EPPI Centre" ("Evidence for Policy and Practice" del Social Centre Research, Institute of Education), dell’Università di Londra che, nel 1999, ha prodotto una rassegna relativa all’efficacia e all'appropriatezza degli interventi di peer education in Gran Bretagna e in altri paesi di lingua inglese. Sono stati quindi identificati, grazie all’analisi di banche dati e di riviste specializzate, come "The Journal of Peer Education in Scotland" e l'americano "The Peer Facilitator Quarterly", ben 523 progetti diversi che interessavano l’ambito scolastico e il target adolescente. La maggior parte dei progetti rintracciati miravano a tutelare la salute sessuale; dietro questi seguivano esperienze per la tutela della salute mentale, la prevenzione del consumo di tabacco, droghe e alcol; in Olanda, dove il Dipartimento Promozione della Salute di Rotterdam ha promosso un progetto di peer per la prevenzione dell'AIDS tra le comunità turche e marocchine presenti su tutto il territorio olandese. Per concludere questa rapida rassegna di esperienze europee si segnala la diffusione dell'utilizzo della metodologia peer in paesi, fino a poco tempo fa estranei a essa, come la Francia, la Spagna e la Repubblica Ceca. 2.3 ESPERIENZE DI PEER EDUCATION A LIVELLO ITALIANO Anche se in ritardo rispetto a quanto avvenuto in ambito internazionale, il panorama italiano ha costatato, negli ultimi anni, un notevole incremento nella 43 realizzazione di esperienze di peer education come modello di lavoro con i ragazzi. Queste esperienze interessano sia il contesto scolastico sia gli ambienti informali frequentati da giovani e hanno iniziato a diffondersi e a radicarsi soprattutto nell'Italia settentrionale per poi svilupparsi al centro e ultimamente anche al sud. A livello nazionale, nel 1999, il Ministero della Pubblica Istruzione ha costituito il “Comitato tecnico scientifico nazionale life-skills e peer education” con il compito di definire le linee programmatiche di un Progetto Nazionale Life Skill e Peer Education nell’ambito delle autonomie scolastiche e del piano dell’offerta formativa. Sono state coinvolte nel progetto più di 40 province italiane (tre scuole superiori per provincia), ed hanno partecipato circa 600 classi di II e III grado della Scuola Superiore insieme a dirigenti scolastici, insegnanti, genitori ed Enti locali. Gli obiettivi generali del progetto consistevano da una parte nel miglioramento del clima relazionale e del livello di comunicazione efficace, dall'altra nell'aiutare i ragazzi a sviluppare una significativa coscienza critica dei processi formativi che li coinvolgono all'interno della scuola dell'autonomia. Il progetto iniziale ha visto, durante la sua evoluzione, il graduale coinvolgimento di un numero sempre maggiore di scuole diffuse in tutte le regioni italiane con l‘interessamento aggiuntivo delle classi di Scuola Media Inferiore. Oltre a questo progetto nazionale, in diverse realtà locali sono stati proposti modelli di intervento realizzati con la metodologia della peer education. Tra quelli che hanno assunto una visibilità maggiore per il numero di soggetti interessati, per le modalità operative e per gli anni di applicazione, possiamo citare i più significativi: 1) l'esperienza realizzata a Verbania, nel 1996, nata dalla collaborazione tra l’associazione “Contorno Viola” e alcuni operatori dell’ASL 14 che ha visto la nascita del laboratorio di formazione denominato “La tavola rotonda” e realizzato anche con il sostegno del Comune di Verbania, l’Istituto Cobianchi, il Liceo Cavalieri e Smemoranda. Progettata come un’esperienza di formazione sui contenuti della prevenzione e sulle modalità di comunicazione dei messaggi, “La tavola rotonda” ha portato alla realizzazione di strategie operative finalizzate alla realizzazione di materiale promozionale sulla prevenzione dell’AIDS e delle MTS rivolte al mondo giovanile e adolescenziale. Contestualmente sono stati avviati i primi interventi negli istituti scolastici, fondati su un modello che prevedeva l’interazione degli insegnanti e dei peer educator. Tale modello è stato poi 44 standardizzato e viene tuttora utilizzato negli interventi all'interno delle varie scuole del territorio grazie ad un graduale radicamento dei processi di peer education negli istituti coinvolti e al processo a cascata tra una generazione e l’altra di peer educator all’interno dello stesso istituto. Il modello di intervento proposto è caratterizzato dall’ambito specifico di applicazione (scuola secondaria), dai contenuti della prevenzione dell’AIDS e MST e dall’articolazione nel contesto del gruppo classe (particolarmente le classi terze). Prevede, in genere, due diversi tipi di attivazione dell’intervento: o con peer educator e insegnanti interni o con peer educator esterni e insegnanti interni. E’ prevista, inoltre, una modalità di mantenimento degli interventi per gli anni successivi. Dal 1996 a oggi sono stati formati circa 1800 insegnanti e 5000 peer educator coinvolgendo oltre 9.500 studenti delle scuole secondarie. Nel biennio 2000-2001, invece, sono state create le premesse per l’estensione della peer education a tutte le scuole secondarie della provincia di Verbania; questo processo è tuttora in evoluzione. Infatti, oltre alla realizzazione, nell’ottobre 2003, di un Convegno Nazionale sulla peer education, primo in Italia nel suo genere, Verbania ha visto anche la messa in rete di un sito interamente progettato dai ragazzi (www.alicesvegliati.it), che si occupa, ovviamente, di educazione tra pari; 2) l'esperienza di Varese, invece, è nata dall'analisi dei risultati di una ricerca multicentrica sui comportamenti a rischio degli adolescenti realizzata nei territori di Varese, Vercelli, Belluno, Como e della Comunità montana della Lunigiana che ha evidenziato dati sensibilmente problematici e scoraggianti relativi ai numerosi comportamenti a rischio indagati. In tal senso, si è deciso di investire nella realizzazione di progetti di prevenzione del disagio e promozione del benessere attraverso la collaborazione tra gli operatori ASL, l’Istituto di Igiene e Medicina preventiva dell’Istituto di Milano e il gruppo di lavoro di Pellai et Al. Il progetto, svoltosi nel periodo 1999/2002 si è realizzato attraverso un training formativo e operativo di due anni, all’interno del contesto scolastico di riferimento, e si è preposto l'ambizioso obiettivo di operare un “cambiamento microambientale” attraverso la partecipazione attiva dei ragazzi nella progettazione e nella realizzazione del progetto; 3) il “Progetto Salute” della A.S.L. di Bologna, iniziato negli anni 19941995, con la collaborazione del Provveditorato agli studi e delle quattro aziende sanitarie della provincia di Bologna che hanno operato una progettazione 45 interistituzionale finalizzata alla prevenzione dell’AIDS rivolta agli studenti degli Istituti Superiori. L’intervento, concentrato nel tempo (tre interventi mirati ai singoli gruppi classe e tre giornate di formazione per i peer educator), ha inteso fornire non solo contenuti informativi specifici su tematiche legate all’AIDS, ma anche promuovere conoscenze, capacità e attitudini a formare altri. Da quest'esperienza è nata l’esigenza di mettere a punto una proposta formativa più articolata e completa soprattutto relativa alla formazione dei peer educator, inizialmente identificati o per scelta volontaria o per volontà degli insegnanti o dei compagni; 4) l’esperienza di Modena-Carpi è stata caratterizzata, sin dal suo avvio nel 1996, da un progetto di formazione di opinion leaders per l’educazione alla salute con la partecipazione di un gruppo misto di psicologi appartenenti al Ser.T. e al Consultorio Giovani oltre che degli insegnanti referenti per l’educazione alla salute delle Scuole Medie Superiori di Carpi. Questo progetto ha avuto modo di continuare negli anni successivi (1997/1998/1999) attraverso la cosiddetta “formazione dei facilitatori da parte dei facilitatori” (peer training), che è consistita nella produzione di un modello di formazione continua nell’arco di almeno tre anni per i facilitatori della prima generazione e "a cascata" per quelli delle generazioni successive. Il passaggio successivo di questa esperienza ha visto il tentativo di esplorare le potenzialità dell’approccio con i peer anche nei territori extrascolastici per cui nel 2001 è stato attivato un progetto di “Ricerca-intervento di prevenzione primaria nei gruppi informali adolescenziali" del Distretto di Carpi con l'obiettivo di favorire il passaggio da facilitatori tra pari (peer facilitators) ad “agganciatori” di pari sul territorio (peer outreachers); 5) i progetti di Trento, di Grosseto e di Catania sono tutti rivolti alla prevenzione dell’Aids e delle malattie trasmesse sessualmente e ognuno di essi presenta l’esperienza di progetti specifici ideati e realizzati con la metodologia della peer education; 6) il lavoro della ASL RM/A di Roma, in collaborazione con il Consultorio Adolescenti e l’Osservatorio Epidemiologico della Regione Lazio, con il patrocinio della Commissione Europea, relativo alla revisione e all'adattamento della “Healthy Oakland Teens Peer–led Aids Prevention Curriculum” del Center for Aids Prevention Studies University of California-San Francisco. Questo si è rivelato uno strumento di guida e facile utilizzo per peer educator per la gestione di incontri di gruppo mirati alla prevenzione dei comportamenti sessuali a rischio di infezione; 46 7) il programma di prevenzione volto a prevenire l'abuso di fumo e alcol della Zona Territoriale 7 (Ancona) della ASUR Marche che ha attivato la metodologia della peer education a partire dall’anno scolastico 2001/2002. Nel 2002/2003 è stata introdotta nel programma anche la prevenzione rispetto al consumo di marijuana. Il progetto, di durata biennale, ha previsto, nel primo anno, la conoscenza delle tipologie del consumo relativamente a mode, modelli, pubblicità, stereotipi e danni potenziali per la salute, mentre nel secondo anno, si sono affrontate le tematiche relative allo sviluppo di autoefficacia, autostima e assertività. In altri istituti superiori si sono poi sviluppati, sempre grazie all'integrazione tra operatori sanitari e figure scolastiche, un progetto sulla prevenzione dell’uso di sostanze dopanti e un altro sulla prevenzione dell’AIDS e delle malattie a trasmissione sessuale. Sempre nella città di Ancona è in via di attivazione un progetto interistituzionale con la collaborazione delle Aziende Ospedaliere della Zona, del Comune e dell’Università di Medicina e Chirurgia volto ad affrontare, sempre con la metodologia della peer education, l’argomento relativo all’assunzione di stili di vita sani per la prevenzione dei tumori sessuali, cutanei, polmonari; 8) l'esperienza di peer nell’ambito della prevenzione delle dipendenze patologiche della UU.OO. Tossicodipendenze Asl Na 4 di Pomigliano D'Arco che ha proposto la creazione di un rapporto continuativo di collaborazione e integrazione tra Scuola e Ser.T. al fine di prevenire e combattere la dispersione scolastica e le tossicodipendenze fra le nuove generazioni. L’obiettivo del progetto è stato quello di esportare il concetto di peer education in diversi contesti sociali e far interagire i futuri peer educator locali con gli operatori, per condizionare dal basso la costituzione di un "Laboratorio Giovani". Come si è potuto constatare da questa rapida occhiata sulle attività di peer education in Italia la maggior parte delle esperienze si sono realizzate, e si realizzano tuttora, in contesti scolastici o comunque con un target adolescenziale. In misura minore si aggiungono a queste altre esperienze verificatesi in contesti informali e rivolte, soprattutto, a gruppi di tossicodipendenti. Nel Progetto “Interventi a bassa soglia” della Regione Veneto, ad esempio, il "peer group" e "peer support" sono stati attivati come strategie di riduzione del danno attraverso l’attivazione delle risorse dei consumatori per la modifica dei comportamenti a rischio (infezione da HIV e rischio di morte per overdose), e per il miglioramento della rete territoriale dei servizi e la gestione dell’impatto sociale del fenomeno. 47 Altre esperienze si sono svolte nelle carceri, come ad esempio il progetto di ricercaintervento "Nuovi bisogni informativi e nuove modalità di comunicazione sul tema dell'HIV nella popolazione detenuta italiana attraverso l'attivazione della rete dei giornali del carcere nella lotta all'AIDS" attuato dal Centro Studi del Gruppo Abele e dal Coordinamento nazionale Giornali dal Carcere, attraverso un'azione di ricerca operata dai redattori dei giornali carcerari e dai detenuti e un'elaborazione partecipata dei risultati e dei materiali informativi. 48 CAP 3 IL PROGETTO CCM “SOCIAL NET SKILLS”: PROMOZIONE DEL BENESSERE NEI CONTESTI SCOLASTICI, DEL DIVERTIMENTO NOTTURNO E SUI SOCIAL NETWORK, TRAMITE PERCORSI DI INTERVENTO SUL WEB E SUL TERRITORIO INTRODUZIONE La tecnologia, che si voglia ammettere o no, che piaccia oppure no, ha cambiato le interazioni tra le persone, ha cambiato il loro far parte di una società. Senza ignorare o opporsi a tali cambiamenti, generando ostacoli nella quotidianità e nelle relazioni umane, i media potrebbero essere sfruttati in modo riflessivo e responsabile e Internet considerato non come un mondo a parte ma come un’altra dimensione che possa permettere di arricchire il mondo fisico. I social network nascono permettendo di creare ed esplorare reti sociali chiuse, si evolvono trasformando queste, in reti aperte, fino a diventare vere e proprie applicazioni Web 2.0, che consentono di gestire tutti gli aspetti della propria identità sociale. Di quest’ultima fase espressiva fanno parte My Space, Twitter e Facebook. Dal 2009 Facebook è diventato “l’aggregatore di informazioni e servizi” più utilizzato al mondo e svolge quotidianamente un ruolo sociale centrale. Già nel 2011 il 48,1% degli utenti che navigano sul Web ha un proprio profilo utente, e sfrutta le funzionalità di Facebook, Twitter o siti affini. E la quota sale al oltre il 76% per i ragazzi di 15-24 anni. Nel 2012 in Italia più di un utente della Rete su due è su un social network (Istat), e il rapporto è di tre su quattro per i giovani. (Calderoni, 2010). Detto questo, risulta chiaro come sia stato necessario creare spazi virtuali nei quali fosse possibile agganciare questa fascia d’età poiché, se nel reale sono presenti servizi privati o sociali che forniscono interventi adeguati o specifici, nel panorama virtuale si assiste ad una proliferazione indiscriminata di siti che trattato tematiche care al mondo adolescenziale (sostanze psicotrope legali ed illegali, gioco d’azzardo, disordini alimentari, malattie sessualmente trasmissibili, ecc), fornendo risposte per la maggior parte non attendibili. Allo stesso modo, si nota un’assenza da parte delle istituzioni, enti, agenzie, deputati alla prevenzione in questi luoghi virtuali di aggregazione spontanea poiché spesso la scarsa conoscenza da parte degli operatori all’uso e ai linguaggi del web, crea un muro tra i cosidetti “nativi digitali” e l’accesso all’opportunità di ricevere online una presenza qualificata e professionale. 49 Non basta tuttavia essere presenti se non si tiene conto del linguaggio e delle modalità di comunicazione proprie di chi usa i social network. Ecco perché il progetto prevede il coinvolgimento dei peer, giovani adeguatamente formati supportati e supervisionati da operatori, in grado di offrire ascolto sulle pagine di profili Facebook appositamente creati. Il progetto CCM Social Net Skills, si vuole collocare in una zona che possiamo definire “altra”, vuole essere a fianco dei servizi tradizionali, sperimentandosi nel mondo virtuale facendo proprie le potenzialità della peer education. 3.1 DEFINIZIONE DI UN “SOCIAL NETWORK” Per social network s’intende un ambiente on line in cui attraverso un’interfaccia amichevole e semplice da usare, un contesto virtuale permette la creazione, il mantenimento e la moltiplicazione di relazioni reali, secondo le modalità proprie della formazione di una rete, o di un sistema complesso. (Calderoni, 2010) La diffusione del web e del termine social network ha creato negli ultimi anni alcune ambiguità di significato. La rete sociale è infatti storicamente, in primo luogo, una rete fisica; rete sociale è, ad esempio, una comunità di lavoratori, che s’incontra nei relativi circoli dopolavoristici e che costituisce una delle associazioni di promozione sociale. Esempi di reti sociali sono inoltre le comunità di sportivi, attivi o sostenitori di eventi, le comunità unita da problematiche strettamente lavorative e di tutela sindacale del diritto nel lavoro, le confraternite e, in generale, le comunità basate sulla pratica comune di una religione. Il termine può essere utilizzato con due diverse accezioni: da una parte social network, come traduzione inglese del termine rete sociale, a indicare un insieme di individui collegati tra loro da un qualche tipo di relazione (familiare, un rapporto di lavoro, etc.), che condividono interessi, idee e informazioni; dall’altra la sua accezione inglese, utilizzata nell’ambito del web per indicare i siti che rendono possibile la creazione di una rete sociale virtuale, ovvero che semplificano la nascita e il mantenimento dei legami. Per entrare a far parte di un social network è semplicemente necessario creare un proprio profilo personale, inserendo informazioni di contatto, ma anche interessi personali, amicizie ed esperienze di lavoro passate. È possibile, poi, allargare la propria rete sociale invitando gli amici e 50 i collaboratori a farne parte, e cercare nella rete persone con interessi affini o con le competenze necessarie per risolvere un certo problema e condividere con queste persone qualsiasi tipo di informazione. Diventa, quindi, possibile costituire delle community tematiche in base alle proprie passioni e aree di business, aggregando a esse altri utenti e stringendo contatti di amicizia e affari. Ogni individuo ha un network di persone con cui è legato da legami di natura sentimentale, professionale, familiare o di amicizia e i social network offrono la possibilità di replicare sul web questo network di relazioni della vita di tutti i giorni. I social network possono, quindi, essere definiti come una piattaforma web che consente agli utenti la creazione di un profilo composto da una serie di informazioni utili ad identificarlo e descriverlo (self expression) al fine di creare un proprio network di contatti tra gli utenti che hanno già aderito al servizio o invitando coloro che non lo abbiano ancora fatto (networking) con i quali interagire e comunicare utilizzando gli strumenti offerti dal sito stesso (communication). Internet è uno strumento completamente diverso dagli altri mezzi di comunicazione (televisione, stampa, radio). Il cambiamento, al suo interno, non proviene dagli attori del mercato (aziende, multinazionali, governi ecc.) ma sono i consumatori, i cittadini, gli utenti stessi che, scegliendo e seguendo i propri interessi senza essere sottoposti a condizionamenti o manipolazioni, influenzano la forma del Web. La nascita e la successiva evoluzione dei social network sono sicuramente riconducibili alla contemporanea evoluzione dell’intero web. Il fenomeno dei social network è nato negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni Novanta e si è sviluppato attorno a tre grandi filoni tematici: l'ambito professionale, quello dell'amicizia e quello delle relazioni amorose. In realtà, in un tempo relativamente breve, siamo passati dai primi scambi di immagini alla condivisione di musica, testi, video, immagini trasferiti da utente a utente ai luoghi condivisi come YouTube, dalle prime chat ai social network. Un'evoluzione inarrestabile che sta trasformando i modi della socialità, della comunicazione, della diffusione delle conoscenze, delle strutture delle identità. Negli anni, queste pratiche sono state realizzate attraverso particolari luoghi digitali, come newsgroup e forum, contraddistinti da un forte anonimato. Ultimamente, con la presenza di blog e social network, gli individui hanno iniziato a condividere informazioni inerenti la 51 propria sfera sociale riaffermando pubblicamente la propria identità. Al nickname e all'avatar si sostituiscono il nome, il cognome, le foto e i video. I social network hanno indotto un cambiamento nel sistema di valori della comunicazione soprattutto della gioventù del nostro tempo. Secondo un sondaggio del 2009, l'89% dei giovani europei non è nemmeno in grado di immaginare una vita senza social network come Facebook e Netlog & Co. La ricerca in una serie di ambiti accademici ha dimostrato che le reti sociali operano a vari livelli e giocano un ruolo critico nel determinare il modo in cui i problemi vengono risolti, le organizzazioni sono gestite e il grado in cui gli individui riescono nel raggiungimento dei loro obiettivi. Vista la loro diffusione e importanza, le reti sociali sono persino usate come base di studi interculturali in sociologia e in antropologia. É innegabile che l'importanza dei social network, almeno dal punto di vista mediatico, sia straordinaria. Solo nelle reti sociali più importanti si contano ormai centinaia di milioni di iscritti. Anche i forum hanno giocato un ruolo importantissimo nell'evoluzione del web sociale. I forum rimangono attualmente molto popolari nella cultura online, e molti stanno proseguendo sulla strada di aggiungere caratteristiche sempre più sociali. Con lo sviluppo dei social è di conseguenza cresciuta la presenza di questi e, ad oggi, non esiste un settore privo del suo social network specifico. I social media si sono ritagliati una grande fetta della vita di milioni di persone in tutto il mondo ed è lecito domandarsi quali conseguenze economiche, sociali e politiche possono derivare dal loro utilizzo, soprattutto quali opportunità possono scaturirne. Usando le tecnologie messe a disposizione del web, gli utenti costruiscono i loro social network, la loro rete di relazioni, e si uniscono in community. Gli utenti mettono online i loro contenuti e li condividono con la propria rete di amici. E questo genera conversazioni, attorno ad una foto, un video, un post ma anche a un breve commento. Un social network è, in pratica, una struttura sociale fatta di individui (o organizzazioni), chiamati nodi, che sono collegati da uno o più tipi specifici di interdipendenza, come amicizia, parentela. Ogni utente è il centro della propria rete, e allo stesso tempo nodo di altre reti. Potremmo considerare un social network come una sorta di enorme stanza che contiene tutte le persone che conosciamo. In ogni 52 istante, in questa ampia camera, girandoci soltanto a destra e a sinistra possiamo vederle. La forma di una rete sociale, aiuta a determinare l'utilità di una rete per i suoi singoli. Più reti aperte, con molti legami deboli e legami sociali, hanno più probabilità di introdurre nuove idee e opportunità ai propri membri che non reti chiuse con molti legami ridondanti. In altre parole, un gruppo di individui con collegamenti ad altri mondi sociali può avere accesso a una gamma più ampia di informazioni. È meglio per il successo individuale disporre di connessioni a una varietà di reti, piuttosto che molte connessioni all'interno di una singola rete. Allo stesso modo, gli individui possono esercitare un'influenza o agire come mediatori all'interno delle loro reti sociali, colmando due reti che non sono direttamente collegate. Lo sviluppo incessante di internet, e in particolare delle tecnologie web 2.0, ha permesso la nascita di una vera e propria cultura della partecipazione mediata dalle tecnologie digitali. La stessa cosa è avvenuta all'interno delle aziende. Queste ultime devono costruire le relazioni tra le proprie strategie, la loro organizzazione e il conseguente bisogno tecnologico per essere pronte a cogliere le opportunità presenti nel mercato. Gli elementi costitutivi di un social network sono dunque: la componente di self expression; la componente di networking e la componente di communication. 1) La componente di self expression L’elemento principale della componente di self expression è il profilo dell’utente con il quale un individuo crea la propria identità online. Ciascun utente dispone di una personal home page di presentazione nella quale fornisce le informazioni di carattere personale utili a identificarlo: data di nascita, città, scuola e università frequentate, stato civile, religione, interessi, hobby, etc. La maggior parte dei social network prevedono tre diversi livelli di visibilità per le informazioni contenute nel profilo: Profilo pubblico: completa visibilità e accesso alle informazioni per tutti gli utenti del social network; Profilo semi-privato: solo alcune informazioni del profilo sono visibili a tutti, mentre le altre, di carattere più personale, sono visibili solo dal proprio network; Profilo privato: solo i propri amici possono visualizzare il profilo. 53 È possibile, inoltre, arricchire il proprio profilo condividendo delle foto o dei contenuti multimediali (musica, video, altro), raccontandosi con un blog o un diario, o personalizzando la propria home page con una serie di applicazioni che, di solito, sono rese disponibili dallo stesso social network. 2) La componente di networking Dopo aver creato il profilo, l'utente può iniziare a costruire il proprio network, identificando cioè gli altri utenti con i quali intende creare un link all'interno del social network. La terminologia utilizzata per definire gli utenti che compongono il network varia da sito a sito, ma i più comuni sono Amici, Contatti, Fans e l'invito a entrare a far parte del network prende di solito il nome di "richiesta di amicizia". La richiesta di amicizia deve poi essere accettata dal destinatario. 3) La componente di communication Terzo elemento costitutivo dei social network è rappresentato dagli strumenti rivolti a garantire l’interazione tra gli utenti, che possono essere così classificati: Strumenti di comunicazione web based: e-mail, chat, instant messagging, forum, blog, bacheche, etc. Funzionalità di file sharing: possibilità di condividere foto, video, brani musicali e file audio. Applicazioni sociali: si tratta di una serie di applicazioni che mirano a favorire l’interazione tra gli utenti del social network, un esempio molto elementare di questa tipologia di applicazioni può essere un servizio di allerta relativo ai compleanni dei propri contatti con la possibilità di inviare loro un virtual gift oppure un’e-card. Social Games: si tratta di giochi online multiplayer riservati esclusivamente agli utenti registrati al social network. La variabile critica di successo dei social network è quindi rappresentata non tanto dalla possibilità di interagire e comunicare con nuove persone (estranei), ma da quella di trasferire sul web il proprio "network sociale", composto di amici, parenti, colleghi, compagni di studi, etc., eliminando le distanze geografiche, e facendolo confluire virtualmente nello stesso luogo: l’home page personale del social network. Altra caratteristica molto importante dei social network è quella di rendere il proprio network visibile, condividendolo quindi con tutti gli utenti che lo compongono. Quest’ultima caratteristica, cioè quella di poter visualizzare l’intero network dei 54 contatti di un utente rappresenta un elemento di grandissimo valore aggiunto per i social network, amplificando il potere delle “conoscenze comuni” per creare nuovi contatti e link online. L’Italia ha una decina di anni di ritardo pratico rispetto all’esperienza di aiuto psicologico via web maturata in Gran Bretagna, USA, Canada, Cina e Australia, e la scarsità (prossima all’assenza) di pubblicazioni scientifiche o saggistiche italiane sullo stesso tema mostra che l’assetto teorico è probabilmente ancora più arretrato. Nel resto del mondo la produzione di studi viaggia alla velocità di 200 ricerche l’anno. E la storia dell’e-therapy, come fu definita agli albori, è ormai pluridecennale. 3.2 IL PROGETTO CCM “SOCIAL NET SKILLS” Il progetto CCM (Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) dal titolo “Social Net Skills: promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio”, ha la finalità di costruire e condividere percorsi e interventi di prevenzione tra la Regione Toscana proponente e le sette regioni che hanno aderito: Emilia-Romagna, Liguria, Campania, Lombardia, Umbria, Puglia e Lazio (ALLEGATO I). Il responsabile tecnico scientifico del progetto è il Dott. Stefano Alemanno. A differenza del precedente CCM (“Utilizzo della strategia di prevenzione di comunità nel settore delle sostanze d’abuso”, realizzato nel biennio 2007-2009), questo propone un nuovo step: l’apertura sui social network maggiormente utilizzati dagli adolescenti di pagine e profili finalizzati all’intercettazione del disagio adolescenziale in aree quali l’affettività, la sessualità, le sostanze, l’alimentazione, per avviare percorsi di aiuto online e di prevenzione dei comportamenti a rischio, consumo di alcol, tabacco, sostanze. L’idea di spostarsi sui Social, è nata per abbattere le barriere che impediscono talvolta ai ragazzi di chiedere aiuto per questi loro malesseri più o meno accentuati: vergogna, inconsapevolezza, mancanza di dialogo con gli adulti, indisponibilità di un servizio di ascolto a scuola, isolamento sociale. L’adolescenza, come ricorda Palmonari (1993), è una fase della vita complicata. L’adolescente, infatti, sperimenta ansie, sofferenze e disagi che non sono patologici ma che riguardano aspetti specifici del suo percorso di crescita, ossia i compiti di sviluppo propri della fase evolutiva che attraversa. Non necessita di cure 55 ma di sostegno, sia da parte di adulti significativi e competenti, sia da parte del gruppo dei coetanei (peer). Il passaggio di conoscenze ed esperienze tra pari migliora le potenzialità personali e favorisce capacità di socializzazione e di apprendimento. La peer education, come è già stato descritto nei capitoli precedenti, sfrutta la forza dell’influenza sociale reciproca in questo particolare momento di vita e le caratteristiche della comunicazione tra pari: confronto spontaneo e in orizzontale che facilita la credibilità su ciò che viene detto. (Zani e Pombeni, 1997). E’ già stato sottolineato come l’intervento online funziona se fornisce strumenti di auto-aiuto agli adolescenti, se da loro un sostegno emotivo, se parla con il loro linguaggio e la loro velocità, se non impone, ma propone di offrire agli adolescenti abilità per proteggerli da problematiche legate a sostanze, alcol e tabacco. Gli interventi di prevenzione, riconoscono come protagonista privilegiato il mondo dell’adolescente e delle sue relazioni significative (famiglia, scuola, pari ecc.) e partono dalla constatazione che tutte le sostanze, sia legali che illegali, sono sicuramente pericolose ma, dall’altra parte, tutte queste hanno effetti piacevoli e seducenti poiché agiscono sui centri del nostro cervello che regolano la dimensione del piacere. Attivare percorsi di prevenzione rispetto a questi soggetti significa mettere in campo competenze specifiche di ascolto e di osservazione, capacità comunicative e relazionali, ma anche “attivare” relazioni significative che consentano di sperimentare una relazione di appartenenza nei vari ambiti di vita: questo appare indispensabile perché possa svilupparsi quella gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali, necessarie per una crescita equilibrata e una capacità di compiere scelte consapevoli. La strategia programmatica è quella di intervenire su fattori a rischio “modificabili” (come tabagismo e abuso alcolico), come evidenzia il documento del Ministero della Salute “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari” (2006), che prevede un approccio intersettoriale attraverso azioni condivise tra le istituzioni e i protagonisti della società civile e del mondo produttivo, partendo dalla constatazione che il successo della promozione della salute dipende in gran parte dalla capacità di mettere “in rete” le varie agenzie interessate. L’educazione e la promozione della salute, la valorizzazione e la riscoperta di dimensioni di vita più naturali richiedono una comunicazione continua tra mondo giovanile e mondo adulto di riferimento, che spesso sembrano parlare lingue diverse, ma che di certo, in 56 questo progetto, si intendono perfettamente. Di seguito vengono riportati gli obiettivi generali del Progetto CCM Social Net Skills: Offrire servizi di ascolto, aiuto e counselling online ad adolescenti tramite l’attivazione di un portale/contenitore che contenga un profilo su uno dei più comuni social network (Facebook, Twitter, Google+) per ognuna delle regioni partner del progetto, gestito da peer, supervisionato da operatori del servizio pubblico e del privato sociale e correlato con i servizi territoriali di ogni area regionale. Promuovere e realizzare un approccio integrato all’implementazione di interventi nel campo della prevenzione, in particolare attraverso la messa a punto di percorsi confrontati e condivisi fra le varie realtà territoriali/regionali. In concreto, con la realizzazione di almeno quattro momenti (uno per semestre del biennio progettuale) di incontro e verifica seminariale/progettuale fra gli operatori dei servizi afferenti alle regioni partner del progetto. Favorire la creazione di un sistema concettuale, strumentale e di comunicazione che possa aiutare ad aumentare il livello e la frequenza dell’aiuto psicologico per gli adolescenti seguito dall’organizzazione di un convegno finale per la diffusione e la condivisione dei risultati raggiunti. Rafforzare e migliorare lo scambio di buone pratiche fra operatori dei servizi pubblici e del privato sociale per aumentare il livello di consapevolezza, rispetto alle condotte a rischio nell’ambito della salute individuale e collettiva con l’organizzazione di un percorso formativo multidisciplinare e condiviso con le agenzie pubbliche e private dei vari territori coinvolti. Rompere il nesso tra divertimento e uso di sostanze legali e non con l’attivazione di almeno un percorso di sensibilizzazione nel contesto educativo e nel contesto del divertimento, che prevedano anche l’utilizzo delle nuove tecnologie. Promuovere stili di vita e divertimento più sicuri e salutari attraverso la realizzazione di almeno una campagna di sensibilizzazione e di un protocollo d’intesa che coinvolga quanti più attori possibile 57 (amministrazioni locali, associazioni sportive, mondo del volontariato, associazioni di categoria, ecc.) al fine di promuovere un divertimento sano con attività ludico-sportive e l’incentivazione dell’offerta di bevande analcoliche. Si è cercato, quindi, di attivare un network nazionale in grado di intercettare, accogliere e accompagnare adolescenti in difficoltà sulla rete (grazie alla creazione di profili Facebook) ed eventualmente sul territorio. Questo è avvenuto formando un gruppo di lavoro interregionale di peer in grado di lavorare online condividendo strategie di comunicazione, linguaggio e skills da utilizzare nella relazione di aiuto. Contemporaneamente, si è costituita una rete composta da operatori e alleanze istituzionali, per la condivisione di modalità operative e strumenti preventivi riguardanti i temi cardine del progetto. La scelta di entrare all’interno del mondo di Facebook è stata accompagnata dalla decisione di coniare un termine identificativo del progetto, che fosse di maggior valore comunicativo e funzionale alla divulgazione dei profili. La scelta del nome, portata avanti dal gruppo di lavoro fiorentino, ha portato alla creazione di un nuovo termine - vocabolo in lingua inglese: Youngle, dall’unione di Young e Joungle. Il significato del termine, verrà approfondito maggiormente nel paragrafo a seguire, dedicato alla Regione Toscana. Stiamo parlando di un vero e proprio Web Network nazionale, che ad oggi (febbraio 2014) ha visto la programmazione di 10 giornate di formazione e il coinvolgimento di 97 peer dell’età compresa tra i 16 e i 25 anni, 33 operatori (psicologi, educatori, animatori di comunità, operatori di servizi sociali) e la partecipazione di 13 Province appartenenti a sei delle otto Regioni aderenti al Progetto. Inoltre, le attività svolte sino ad ora comprendono l’apertura di 9 profili Facebook (circa 3000 amici e oltre 200 chat) e di 2 siti web (www.youngle.it e www.younglenight.it), l’organizzazione di 2 seminari nazionali (Youngle on the Beach a Forte dei Marmi e Relazioni Digitali a Firenze) e di 6 workshop territoriali (Perugia/Bologna/Milano/Foligno/Reggio Emilia), oltre che l’attivazione su YouTube di un channel tematico contenente i video di presentazione di tutti i profili attualmente online e il servizio realizzato da RAI Gulp su Youngle Firenze (www.youtube.com/user/weintheyoungle). 58 Dato che nei paragrafi seguenti, mi soffermerò a trattare in maniera approfondita la Regione Emilia-Romagna e la Regione Toscana, ritengo doveroso illustrare, seppur in maniera sommaria, il lavoro svolto da altre due realtà particolarmente interessanti: Savona e Perugia. Regione Liguria, Savona: Youngle Is Rispetto a tutti gli altri Youngle, la “scommessa” di Savona e della Regione Liguria, è stata quella di lavorare con un target di adolescenti fra i 13 e i 20 anni e quindi formare e utilizzare nella gestione del servizio peer di 16 anni. Questa strategia presentava iniziali difficoltà nel creare una relazione di ascolto significativa a causa della scarsa affidabilità nella continuità temporale legata all’età, ma si è rivelata ampiamente soddisfacente sulla base delle argomentazioni che il progress del lavoro ha mostrato e sull’esperienza diretta dei peer, per i quali il percorso si è trasformato in un’esperienza personale di auto aiuto. La specificità di “Youngle Is” è l’aver trasformato un servizio di consulenza scolastico (i Centri di Informazione e Consulenza – C.I.C.), già presente con sportelli fisici nelle scuole del savonese, in uno sportello online aperto due volte la settimana. Tale sportello, attivo da giugno 2013, rappresenta un primo contatto non specialistico finalizzato all’ascolto, al filtro e all’eventuale invio ai servizi sanitari specializzati (nella forma di e-mail, telefonate, colloqui con professionisti sanitari via chat o in presenza a seconda del bisogno rilevato). Il servizio si compone di una pagina FB (Youngle-Is-The-Page) su cui vengono postati articoli, immagini, video scelti dai peers secondo un vademecum elaborato in collaborazione con gli psicologi e un profilo FB (Youngle Is) su cui viene presentato il servizio offerto e attraverso il quale si realizzano le chat tra peers e utenti in 2 sessioni settimanali di 2 ore ciascuna. La gestione della pagina e del profilo è affidata ai peer educator, con la supervisione dell’Equipe di progetto del Ser.T. In concomitanza con l’apertura del servizio, sono state realizzate diverse iniziative di pubblicizzazione, sia in contesti più formali gestite dagli operatori (scuole, mass media, presentazione convegno) che informali gestite dai peers (piazze e discoteche). In dettaglio la promozione e divulgazione del progetto si è attuata come di seguito elencato: 4 incontri con gli insegnanti referenti del progetto e con i dirigenti scolastici per concordare le modalità di pubblicizzazione all’interno dei contesti scolastici e per acquisire il materiale di supporto al progetto; 59 incontri d’informazione con tutti i rappresentanti di classe delle classi terze delle 14 scuole secondarie di secondo grado della provincia di Savona. In alcune occasioni, laddove possibile, accanto all’operatore era presente anche il “Fantasma” di Youngle Is che rappresenta la mascotte del servizio, ideata dai peer. Durante gli incontri, sono stati consegnati gli stickers, ideati dai ragazzi, con l’indirizzo della pagina FB a cui fare riferimento per l’accesso al servizio; 3 comunicati stampa sui giornali locali e online in occasione dell’apertura del Servizio e diramazione dell’informazione anche attraverso una radio locale; 2 eventi in due discoteche della zona con la presenza del “fantasmino” e 2 pomeriggi in piazza, in prossimità dell’apertura del servizio. La formazione dei peer educator, iniziata nel 2012, è continuata con incontri di formazione in gruppo e con simulazione di chat fra i peer, realizzate nelle ore di apertura del servizio qualora non fossero attive chat con l’utenza. Sono stati fatti 10 incontri di 2 ore e 30 ciascuno, più 3 momenti di coesione di gruppo in contesti più conviviali. Sono state realizzate 10 chat di simulazione all’interno del gruppo di peers. Inoltre, alcuni dei problemi affrontati nelle ASL e negli Istituti Scolastici hanno riguardato lo scetticismo da parte degli adulti, da una parte, nell’accettare un loro ruolo marginale rispetto alla conduzione del progetto, e dall’altro sull’efficacia dell’utilizzo di strumenti del mondo web. Il profilo di Youngle Is presenta al momento 462 amici, mentre la pagina 165 “mi piace”; in totale sono state effettuate circa 40 chat. Regione Umbria, Perugia: Young Angles Questo pagina, nata a settembre 2013, è gestita dal Centro Servizi Giovani del Comune di Perugia (cui è stato affidato il coordinamento operativo di quest’attività), ma si avvale anche della collaborazione del Consultorio Giovani della Asl di Perugia e del Servizio Sagittario del Comune di Terni. Sono coinvolti attualmente 46 ragazzi, sia in forma individuale sia rappresentanti di realtà associative giovanili, afferenti a tutto il territorio regionale che costituiscono un notevole punto di forza, una pluralità degli “angoli” (da qui il nome scelto per la pagina) che si apre al mondo giovanile, permettendo così di delineare un quadro di completezza. 60 Dagli incontri preparatori con i peer è stato individuato il progress della pagina che è articolato su tre aree: la Piazza: per condividere in bacheca post riguardanti la notte, l’arte e la cultura (es. evento Sottosuolo Festival a Perugia). la Mappa: presentazione e coinvolgimento delle risorse / servizi / associazioni giovanili partecipanti al progetto e presenti nel territorio, ritenute importanti dai giovani per promuovere le occasioni di conoscenza della pagina e dei suoi servizi, dando risalto all’esistente. l'ascolto online: possibilità di comunicare con i peer attraverso messaggi privati o chat. Ogni quindici giorni, gli argomenti di discussione che vengono pubblicati variano in base alle tematiche scelte dai peer. Particolare rilevanza assumono i temi della specificità di genere e dell’identità sessuale. Ad oggi, la pagina è seguita da 400 fans. 3.3 REGIONE EMILIA-ROMAGNA, PARMA-MODENA: YOUNGLE LOVEAFFAIR e REGGIO EMILIA: YOUNGLE IO CI SONO La Regione Emilia Romagna è storicamente una realtà molto presente ed attenta al mondo della prevenzione delle sostanze psicotrope e sicuramente una delle più lungimiranti in termini di azioni innovative. Ha visto al suo interno, infatti, la nascita e conduzione di molti progetti CCM, basati sull’idea che per migliorare l’efficacia degli interventi di prevenzione dei rischi e di tutela della salute tra i consumatori di sostanze legali ed illegali, è importante creare una rete di collaborazione nelle e fra le Regioni e tra tutti coloro che, a diverso titolo, intervengono nei contesti di divertimento ed intercettano i consumatori di sostanze. Appare ovvia e quasi scontata, per le riflessioni appena esplicitate, la presenza della Regione all’interno anche di questo progetto CCM “Social Net Skills: promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio”. E’ doveroso sottolineare come a livello nazionale, la Regione Emilia Romagna sia l’unica a vantare la presenza di ben tre realtà coinvolte, particolarmente attive sia sul web (www.drogaonline.it e www.webcorsairs.it) che sul territorio (Spazio Giovani di Parma). 61 Il coordinamento del gruppo emiliano romagnolo, costituito da Parma-Modena, Reggio Emilia e Forlì, è stato affidato, come già scritto, alla Dott.ssa Franca Francia, funzionario del Servizio Salute Mentale, Dipendenze Patologiche e Salute nelle Carceri della Regione Emilia Romagna. Tale coordinamento, ufficializzato dalla delibera della Giunta Regionale n°1850 del 3 dicembre 2012 (ALLEGATO II), è composto dagli operatori che gestiscono i progetti locali (Bregli Claudia, Jody Libanti, Francesco Rossi) e dai Direttori degli Enti coinvolti (Dott. Edoardo Polidori, Dott.ssa Nora Marzi e Dott. Mario Cipressi). A cadenza mensile, il gruppo si riunisce presso la sede della Regione Emilia Romagna a Bologna per monitorare l’andamento dei tre progetti, condividere le strategie e i punti di forza dei singoli profili e progettare gli interventi futuri. Grazie alla presenza puntuale del Dott. Stefano Alemanno ai suddetti incontri regionali, è stato possibile avere a disposizione in tempo reale una panoramica dell’andamento a livello nazionale e mantenere i contatti col gruppo fiorentino (pioniere per quel che riguarda la creazione di un profilo Facebook). Dato che nel prossimo capitolo s’illustrerà nel dettaglio il lavoro svolto dall’equipe forlivese con il progetto Youngle Corsairs, si è ritenuto opportuno ritagliare uno spazio adeguato alle altre due realtà facenti parte del coordinamento regionale: Parma-Modena e Reggio Emilia. Parma-Modena: Youngle LoveAffair Le realtà di Parma e Modena hanno deciso di collaborare insieme, dando vita a Youngle LoveAffair (pagina e profilo FB). Come richiama il nome stesso, la tematica affrontata riguarda principalmente l’affettività e la sessualità, senza tralasciare la costruzione dell’identità in età evolutiva. Questo appare logico, poiché promotore del progetto è il Consultorio Giovani di Parma. Il profilo, attivo da giugno 2013, nasce e si collega allo “Spazio Giovani” di Parma e soprattutto all’omonimo sito di consulenza online attivo sul web da anni e che nel dicembre 2013 ha avuto un profondo intervento di restyling (www.spaziogiovani.ausl.pr.it). La redazione si compone di una decina di peer, affiancati da due operatori (entrambi psicologi, uno di Parma e uno di Modena) e si struttura come lavoro congiunto in particolare nel caricamento dei materiali. I peer, sono stati selezionati tra coloro che hanno già collaborato con gli Spazi Giovani dei Consultori, tramite auto candidatura. Ogni 15 giorni la redazione si 62 sposta nelle realtà del territorio (nello specifico nei quattro centri giovanili di Parma e Modena) dove si presenta, cerca nuovi peer, crea le cellule di prevenzione del territorio. La promozione del progetto presso le scuole del territorio ha visto quindi una prima fase di supporto degli operatori al lavoro tradizionale dei peer, che in un momento successivo hanno intrapreso in autonomia le attività previste, scuola per scuola, tramite la consulta studentesca. Altre attività di pubblicizzazione sono state realizzate contestualmente ad alcuni eventi organizzati, tra cui la creazione di un video spot per la diffusione tramite FB, l’organizzazione di un contest fotografico attraverso il quale alcune foto realizzate dai ragazzi sono state esposte e messe all’asta in un locale di riferimento di Parma e la realizzazione di un contest musicale per la scelta della sound-track degli eventi Youngle LoveAffair. Tali attività sono viste come materiale di stimolo per attivare discussioni e spirito critico e far riflettere sulle tematiche affrontate. Questo, ha inoltre l’obiettivo di collegare Youngle LoveAffair alle attività del territorio già esistenti nei centri di aggregazione e nelle realtà informali, permettendo una maggiore coesione e quindi un lavoro congiunto tra i peer di Parma e Modena anche nel gestire attivamente la fase di pubblicizzazione nel territorio del progetto. Oltre alla formazione iniziale ricevuta dal Dott. Calderoni (si veda il cap. 4.5), sono stati strutturati altri 4 incontri post formazione per focalizzarsi sulla richiesta di ascolto che emergeva dalle domande poste in chat e per studiare una co-gestione di tecniche di comunicazione da mettere in atto nella proposta quotidiana di cura del profilo e pagina Facebook e per approfondire alcune tematiche inerenti i temi target: contraccezione, MTS (malattie sessualmente trasmissibili) e dipendenza affettiva. Ad oggi (febbraio 2014) risultano effettuate da parte di Youngle LoveAffair 40 chat (32 sul profilo e 8 sulla pagina). Il target è risultato composto prevalentemente da preadolescenti (il 21% dei contatti tra 13 e 17 anni) mentre gli argomenti principalmente affrontati durante le chat sono state le problematiche correlate ai primi approcci e all’orientamento sessuale. Ulteriore importante risultato ottenuto è stato quello di un accesso al servizio (Consultorio Giovani di Parma) a seguito di una chat effettuata. Attualmente il numero di amici risulta pari a 393, mentre la pagina presenta 250 “mi piace”. 63 Reggio Emilia: Youngle Io Ci Sono Particolarità di Youngle Io Ci Sono, a differenza di altre realtà, è quella di non avere all’attivo un profilo FB, ma esclusivamente una pagina. A livello nazionale tale scelta è stata adottata da 3 gruppi di lavoro su 8: Perugia, Castellamare di Stabia e appunto Reggio Emilia. In questo caso specifico la decisione è motivata dall’esistenza pregressa del sito www.drogaonline.it. Tale sito risulta attivo in rete dal 1999 e si rivolge in forma gratuita ed anonima a chiunque abbia curiosità e domande sulle sostanze, il recupero, la prevenzione. Oltre al servizio di consulenza, nel sito si trovano schede informative sulle sostanze, links italiani e stranieri, recensioni, articoli e testimonianze. Il portale rappresenta tutt’ora uno strumento di comunicazione con chi vuole avere informazioni o consigli in maniera discreta e si rivela sempre di più un osservatorio delle tendenze e dell’evoluzione dei comportamenti riguardo alla droga. Il sito rappresenta inoltre un veicolo per convogliare gli interessati verso i programmi di trattamento/recupero del CEIS, Centro di Solidarietà di Reggio Emilia, una Onlus che dal 1982 fornisce accoglienza a tossicodipendenti attraverso alcune comunità terapeutiche e attività di reinserimento sociale. Dal 2012 l’equipe di Drogaonline è impegnata a rafforzare la costruzione di una rete interregionale di siti dedicati al tema dell’educazione e delle dipendenze. Anche per questo motivo l’equipe ha aderito al progetto CCM Progetto Social Net Skills. La decisione di investire risorse e tempo nella creazione di un gruppo di pari ha quindi privilegiato il rapporto diretto tra giovani, rispetto a quello con operatori esperti. La modalità “Domanda e Risposta” e le risposte via mail effettuate nel 2012 hanno infatti dato esiti numerici, tali da ritenere validi eventuali investimenti sulla comunicazione tra pari. In seguito all’adesione al progetto, si è proceduto con la composizione della redazione di Youngle Io Ci Sono e con l’iniziale ricerca del gruppo dei peer, mantenendo come tematica principale quella delle sostanze psicotrope legali ed illegali. La modalità scelta per il reperimento è quella della chiamata a persona. Gli ambiti dove si sono cercati i giovani sono stati l’Università di Modena e Reggio, il movimento di volontariato di Servire l’Uomo e giovani incontrati in attività di sensibilizzazione territoriale. Attualmente la redazione risulta composta da 8 peer di età comprese tra i 21 e i 23 anni e da un educatore del CEIS di Reggio Emilia. Ai fini di una corretta 64 formazione dei peer reclutati, oltre quella comune condotta dal Dr. Alessandro Calderoni, sono stati realizzati due laboratori per favorire la conoscenza del sito Drogaonline e effettuare simulazioni di risposte alle domande più frequenti provenienti dal sito. Inoltre è stato organizzato un incontro con la Polizia Postale locale, durante il quale sono state affrontate le tematiche della privacy e del corretto utilizzo dei dati sensibili sul web. Ad oggi (febbraio 2014) risultano effettuate da parte di Youngle Io Ci Sono 7 chat. Dei 7 contatti, 4 sono persone conosciute anche fuori dalla rete. I peer hanno inoltre promosso la pagina tramite inviti ad amici e con messaggi personali, invitando a contattare la chat. Solamente un contatto ha avuto a che fare con un caso specifico di uso di sostanze. Le altre interazioni sono state di varia natura. Il numero di “mi piace” della pagina risulta essere attualmente 188. 3.4 REGIONE TOSCANA, FIRENZE: YOUNGLE ZONA DI SOPRAVVIVENZA UNDER 20 La Regione Toscana, come ho già avuto modo di scrivere, è capofila del Progetto CCM Social Net Skills finanziato dal Ministero della Salute con 400.000 euro. Il responsabile tecnico scientifico è il Dott. Stefano Alemanno, educatore professionale del Comune di Firenze, che coordina il progetto sia a livello nazionale, che locale. Per la Toscana sono coinvolte la Asl12 di Viareggio e la Società della Salute di Firenze. Il progetto, ha visto l'attivazione di percorsi di auto-aiuto e counselling online sul principale social network utilizzato dalla popolazione giovanile: Facebook. Il gruppo fiorentino, ha deciso di iniziare il suo percorso lanciando un casting fotografico per trovare i volti dei ragazzi e delle ragazze che avrebbero fatto da testimonial locale dell’iniziativa. All’evento hanno partecipato circa 50 giovani e a seguito dell’individuazione dei vincitori, è stata allestita presso il Centro Java (spazio per la prevenzione al disagio giovanile che offre un servizio gratuito di consulenza psicologica per adolescenti, bacheche informative, angolo di lettura, laboratori di serigrafia e DJ gratuiti, spazio espositivo e spazio chill out notturno) i fotografati, i peer della redazione e molti loro amici. Il videoclip del casting è possibile visionarlo sul canale di Youngle di YouTube al seguente indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=d3_YMEXYY8E&list=UUX1LccjtFJvrKN5PVil J4Dg. Nell’aprile 2013, è apparso il primo profilo FB del progetto CCM: Youngle 65 Zona di Sopravvivenza Under 20. Altra tappa importante, sia in termini di visibilità sia di conferma dell’originalità del lavoro svolto, è stata l’intervista rilasciata a Rai Gulp (una delle trasmissioni nazionali più seguite dagli adolescenti) in data 30 maggio e trasmessa il 19 giugno 2013. Una troupe, infatti, dopo aver scoperto sul web il profilo di Youngle, ha incontrato presso il Centro Java i peer e la redazione fiorentina chiedendo loro di descrivere il progetto e di narrare i punti di forza del proporre un aiuto peer to peer online. Il servizio è visibile al seguente indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=qzYPqj7vwAI&list=UUX1LccjtFJvrKN5PVilJ4 Dg. Come ho avuto modo di descrivere precedentemente, il nome del progetto è stato volutamente trasformato o meglio adeguato, per essere utilizzato nel mondo Facebook. Infatti, si è passati da “Social Net Skills”, a Youngle: un mix fra “young” e “jungle”, ma anche la contrazione di “you in the jungle”. Questo neologismo è stato creato proprio per sottolineare maggiormente questo sentirsi dei giovani in una grande giungla, all’interno della quale bisogna sapersi muovere, perché là fuori la vita è una giungla e tante sono le tribù: amiche, ostili, nascoste. Ad oggi, febbraio 2014, Youngle Zona di Sopravvivenza ha raggiunto con il profilo 394 amici e 319 “mi piace” con la pagina. La redazione è composta da 10 peer affiancati da 3 psicologhe. Sono state effettuate 82 chat con 35 utenti nelle due fasce serali (lunedì e giovedì dalle 21,00 alle 23,00). Gli argomenti delle chat sono stati: accettazione di sé, droghe, sessualità, alimentazione, amicizia/scuola, autolesionismo, problemi di cuore, omosessualità-bisessualità, gelosia, ansia e problemi familiari. Le maggiori criticità emerse da parte dei peer nella gestione delle chat sono state la difficoltà a rapportarsi con utenti che utilizzano un atteggiamento arrogante o di sfida per esprimere le proprie emozioni, il disagio nel trattare l’argomento relativo all’identità sessuale (omosessualità-bisessualità) e la difficoltà nel non utilizzare frasi impositive o troppo buoniste. Allo stesso modo, vale la pena sottolineare le positività: i peer riescono a mettere a loro agio chi li contatta utilizzando esempi riguardanti loro stessi, rinforzano la propria autostima e offrono spunti di riflessione alternativi e si alternano in maniera interscambiabile, senza perdere però la propria identità. Di seguito il disclaimer di Youngle Zona di Sopravvivenza under 20: 66 Cos’è Youngle? Uno spazio virtuale di incontro rivolto ad adolescenti e gestito da un gruppo di ragazzi under 20 adeguatamente formati con il supporto di psicologi ed esperti di comunicazione. Un luogo aperto e sempre in movimento dove poter soddisfare la voglia e il bisogno di comunicare in modo immediato con gli altri, scambiarsi idee, risorse, emozioni, esperienze, raccontarsi e parlare di sé, del proprio umore, dei propri dubbi e delle proprie passioni in un contesto facilmente accessibile e interattivo. Youngle è un aiuto online gratuito. Se hai voglia o senti il bisogno di parlare, fuggire, raccontare, capire, sfogare, sorridere, cercare, interagire con un team di ragazzi come te sei sulla pagina giusta. Se hai un’età compresa tra i 13 e i 22 anni aggiungici tra gli amici e scrivici. Non costa niente, non devi incontrare nessuno di persona, non devi neppure muoverti da casa: bastano il tuo PC e questa pagina di Facebook per essere sicuro di ricevere ascolto e attenzione. Puoi parlarci di quello che vuoi: amici, amore, sesso, scuola, famiglia, sostanze, alcol, sport, giochi, PC, violenza, timidezza, rabbia, paura, ansia, cibo, pensieri, corpo, vacanze… Puoi aggiungerci col tuo nome o con un nick, ma la tua data di nascita deve’essere vera e, se puoi, facci vedere una tua foto nel profilo o mandacela via e-mail: questo ci serve per capire, almeno superficialmente, se sei chi dici di essere, a tutela di tutta la community di ragazzi e ragazze come te. Ti accetteremo soltanto se hai più di 13 anni e meno di 22. Nessuno, in ogni caso, saprà mai se parli con noi in privato o fai solamente parte dei nostri amici. Info di base: se sei tra i nostri amici puoi leggere e commentare i post in bacheca, partecipare agli eventi che organizziamo, chattare in modo riservato con i ragazzi di Youngle qui su FB nelle fasce indicate, prendere un appuntamento gratuito per chattare con uno dei nostri psicologi oppure scrivere loro un’e-mail. •CHAT SENZA APPUNTAMENTO: il Lunedì dalle 21 alle 23 e il Giovedì dalle 21 alle 23 puoi aprire la chat di FB e chiederci tutto quello che ti passa per la testa. Ti risponderemo subito, compatibilmente con il numero di richieste in linea: siamo in chat per tutti, in quegli orari. •CHAT CON APPUNTAMENTO: puoi scriverci una mail a [email protected]. I nostri psicologi ti risponderanno via email fissandoti un appuntamento in un giorno specifico. Siamo tenuti al segreto professionale e all’archiviazione sicura di tutte le informazioni che ti riguardano. Non le conoscerà nessuno. Sarà come avere un amico segreto. Quando ci scrivi per chiedere l’appuntamento, ricordati di copiare e incollare nel tuo messaggio – soltanto la prima volta - le seguenti frasi: “ Io sottoscritto – Nome e CognomeAutorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.lg. 196/ 2003 e presa visione dell’informativa inerente alle modalità e caratteristiche del 67 counseling psicologico ne accetto le condizioni”. Sono le paroline magiche della privacy che ci danno per legge il permesso di risponderti. • E-MAIL: puoi scriverci una mail a [email protected] e raccontarci i tuoi dubbi o i tuoi problemi. Leggeremo con attenzione e ti risponderemo con il parere e i suggerimenti pratici dei nostri esperti Entro tre giorni. Per la tua e nostra sicurezza vorremmo che tu ci indicassi nome, data di nascita e un numero di cellulare, sapendo che quando ci scrivi accetti le normative vigenti sulla privacy e dai il tuo consenso al trattamento dei tuoi dati da parte nostra esclusivamente allo scopo di poterti rispondere. Siamo tenuti al segreto professionale e all’archiviazione sicura di tutte le informazioni che ti riguardano. Non le conoscerà nessuno. Sarà come avere un amico segreto. Quando ci scrivi, per cortesia, copia e incolla nel tuo messaggio – soltanto la prima volta - le seguenti frasi: “ Io sottoscritto – Nome e Cognome- Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.lg. 196/ 2003 e presa visione dell’informativa inerente alle modalità e caratteristiche del counseling psicologico ne accetto le condizioni.” E’ una formalità un po’ noiosa ma la legge ce lo richiede, quindi non possiamo farne a meno. • PRIVACY: noi conserveremo i tuoi dati e i contenuti delle conversazioni in un luogo sicuro e inaccessibile ai non addetti al servizio. Ricorda che Facebook, tiene traccia delle conversazioni sul tuo PC o on line, perciò scegli bene il computer dal quale scrivi. Non scrivere il tuo numero di cellulare o di casa né tanto meno il tuo indirizzo sul profilo di Facebook o in bacheca, per evitare scocciature. Altro prodotto geniale partorito dal gruppo fiorentino è YoungleNight: la movida fiorentina raccontata dagli adolescenti. Online da novembre 2013, questa sviluppo naturale di Youngle Zona di Sopravvivenza ideato dal Coordinatore Stefano Alemanno, è gestito da 4 peer affiancati da due educatori. Scopo della pagina (che veda già 231 “mi piace”), è raccontare la notte fiorentina ed i suoi eventi tramite articoli, recensioni e punteggi attribuiti sulla base delle linee guida europee in ambito di safety night. 68 CAP 4 YOUNGLE CORSAIRS INTRODUZIONE In territorio forlivese, restando quindi all’interno del contesto della Regione Emilia-Romagna, ai fini della realizzazione del progetto è stato possibile approfittare dell'esistenza pregressa di un progetto pilota, denominato Web Corsairs, nato nel 2010, il quale presentava tematiche rilevanti per la buona riuscita delle azioni previste da Youngle Corsairs. Il progetto Web Corsairs presentava, infatti, tra le finalità operative la creazione di un portale online che contenesse materiale inerente il mondo delle sostanze psicotrope e dei comportamenti a rischio. La finalità del progetto era appunto quello di creare una rete virtuale tra gli operatori del territorio, in gran parte già in contatto tra di loro, e di generare una rivoluzione culturale in merito alla modalità di approccio alle suddette tematiche. In un’ottica di concretizzare una continuità con questo progetto, si inserisce l’utilizzo del nome, Corsairs per l’appunto, e la scelta di ricollocarsi nel mare magnum rappresentato dal mondo 2.0. L’Unità Operativa Complessa Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì, diretta dal Dott. Polidori Edoardo, ha scelto di essere una delle realtà coinvolte in questo innovativo progetto. Sotto il coordinamento della Dott.ssa Franca Francia dell’Area Dipendenze Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali della Regione Emilia-Romagna, si è costituito il gruppo di lavoro Youngle Emilia Romagna, all’interno del quale, come ho già avuto modo di illustrare, si sono inseriti le realtà di Reggio Emilia, Parma-Modena, oltre a Forlì. Di seguito illustrerò in maniera approfondita la nascita e lo sviluppo di Youngle Corsairs; prima però, ritengo opportuno e indispensabile al fine di una maggiore visualizzazione temporale dell’andamento del progetto, inserire un elenco dettagliato delle tappe effettuate finora. 10 novembre 2012: reclutamento peer; 15-16 dicembre 2012: formazione con Dott. Alessandro Calderoni; 27 febbraio 2013: formazione con Dott. Michele Marangi; 18-19 giugno 2013: evento “Giovani e divertimento: ponti fra mondo reale e mondo web” a Forte dei Marmi; 11 luglio 2013: apertura profilo e pagina Facebook; 69 28 agosto 2013: formazione con Dott. Edoardo Polidori; 3 settembre 2013: attivazione chat; 19 settembre 2013: formazione con Dott. Daniele Luciani; 3-4 ottobre 2013: convegno “Relazioni Digitali: counseling e aiuto online” a Firenze; 15 ottobre 2013: consegna Tablet Samsung; 26 ottobre 2013: evento “Youngle Emilia Romagna” a Bologna; 9 novembre 2013: reclutamento nuovi peers; 1 dicembre 2013: evento “Yes We Condom” creazione logo regionale per sensibilizzazione giornata mondiale aids; 2 dicembre 2013: formazione con Dott.ssa Loretta Raffuzzi; 4 dicembre 201: seconda formazione con Dott. Michele Marangi; 10 dicembre 2013: incontro di pubblicizzazione al C.A.G. “Officina 52”; 4 febbraio 2014: relazione a Milano 10 febbraio 2014: incontro di pubblicizzazione al C.A.G. “La Tana”; 15 febbraio 2014: evento “Youngle Corsairs è alle INDIE!” a Cervia (Milano Marittima). 4.1 RISCOPRIAMO LE ORIGINI: IL PROGETTO WEB-CORSAIR Il Progetto Web Corsairs promosso dall’U.O.C. Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì, in collaborazione con Progetto Steadycam, Droga On Line, Oltreilmuro e Sostanze.info, nasce con l'intento di attuare azioni di sensibilizzazione e informazione sul tema delle droghe, delle dipendenze e dei comportamenti a rischio, in modo innovativo, attraverso una presenza istituzionale sul web, diretta al confronto tra sapere esperto e sapere esperienziale. Il progetto si è mosso su due binari paralleli, il primo ha visto la creazione di un ambiente di lavoro virtuale dove è avvenuto, attraverso l’utilizzo di strumenti informatici, uno scambio di conoscenze, informazioni ed esperienze tra soggetti tra loro diversi per caratteristiche personali e professionalità. Tra questi soggetti possiamo citare i seguenti: esperti del settore, operatori dei Sert, persone interessate all’argomento dipendenze, operatori di strada, psicologi, informatici, studenti, operatori di servizi sanitari e socio assistenziali. Il secondo binario ha previsto “l’incursione” di queste persone in siti, forum, blog, che trattassero l’argomento 70 droghe e dipendenze, sperimentando “azioni corsare” ovvero interventi che servissero ad orientare e stimolare il dibattito in rete. Prima fase Il progetto prevedeva in primo luogo un censimento delle pagine web (non solo in lingua italiana) ritenute più interessanti sul tema “alcol, droghe e comportamenti a rischio”, includendo nell’indagine anche social networks, siti ufficiali delle Ausl e di associazioni scientifiche, siti gestiti da gruppi di aiuto e/o di “tutela dei consumatori”. Nella fase preliminare il progetto prevedeva uno studio rivolto a due ipotesi di lavoro: • IL SUQ DEI SAPERI: L’idea è quella di allestire una “piazza” virtuale, basandosi sui criteri del Wikipedia, nella quale sia possibile scambiare conoscenze su sostanze, culture, leggi, trattamenti e sperimentazioni. È un modo di far incontrare saperi “esperti” e saperi “esperienziali” preservando alcuni obiettivi: promuovere un approccio alle droghe che valorizzi, nelle diverse prospettive, la dimensione etica, scientifica, normativa; favorire una cultura del consumo consapevole, critico e responsabile; far emergere dal sommerso convinzioni dubbie e false verità che spesso legittimiamo comportamenti decisamente a rischio. • KIEDILO A ME: L’idea è di comporre un’èquipe, chiamata ad ideare un SERT VIRTUALE, coinvolgendo professionalità che in un tempo ragionevole (24-36 ore) siano in grado di valutare le domande in rete e rispondere in maniera adeguata a ciascuna di esse, sapendo che i quesiti sollevati dai visitatori del sito possono contemplare aspetti diversi (legali, psicologici, medico/sanitari, socio assistenziali, ecc.). Le due ipotesi “Suq dei saperi” e “Kiedilo a me” si sono concretizzate in un seminario chiamato WEB ARENA, con lo scopo di coinvolgere in uno spazio WiFi, e almeno per un’intera giornata, circa 60 persone (operatori dei servizi ma non solo), organizzate in gruppi di lavoro dotati di PC, chiedendo loro di simulare le due ipotesi precedentemente esposte. Si è trattato di uscire da un’idea tradizionale di seminario di lavoro e tentare un percorso dinamico che miri a collaudare/consolidare una traccia web 2.0 arricchendola con nuovi contributi. Possibili utilizzatori di questi spazi web e persone a cui era rivolto il progetto andavano da semplici curiosi che navigano in rete senza una meta predefinita, partners e familiari di persone consumatrici di droghe e alcol, consumatori con 71 bisogni differenti e vari gradi di problematicità, fino a comprendere operatori dei servizi sanitari (non solo Sert) e socio educativi, oltre che esperti di varia estrazione, ricercatori, studenti. Seconda fase Nell’ambito della fase ideativa di secondo livello l'attenzione è stata rivolta ad analizzare la fattibilità del progetto. A seguito di uno studio preliminare sui social networks e sugli strumenti di interazione presenti in rete, analizzando in particolare le caratteristiche tecniche ed i contenuti degli stessi, è stata identificata, come azione più idonea a soddisfare le finalità del progetto, la predisposizione di un CMS (Content Management System) che contenesse e gestisse sinergicamente i seguenti strumenti: • WIKI: un sito Web (o comunque una collezione di documenti ipertestuali) che viene aggiornato dai suoi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hanno accesso. La modifica dei contenuti è aperta, nel senso che il testo può essere modificato da tutti gli utenti (a volte soltanto se registrati, altre volte anche anonimi) procedendo non solo per aggiunte, ma anche cambiando e cancellando ciò che hanno scritto gli autori precedenti. Ogni modifica è registrata in una cronologia che permette in caso di necessità di riportare il testo alla versione precedente; lo scopo è quello di condividere, scambiare, immagazzinare e ottimizzare la conoscenza in modo collaborativo. Il termine wiki indica anche il software collaborativo utilizzato per creare il sito web e il server. • FORUM: può riferirsi all'intera struttura informatica nella quale degli utenti discutono su vari argomenti, a una sua sottosezione oppure al software utilizzato per fornire questa struttura. Un senso di comunità virtuale si sviluppa spesso intorno ai forum che hanno utenti abituali ed interessi comuni. Molti forum richiedono la registrazione dell'utente prima di poter inviare messaggi ed in alcuni casi anche per poterli leggere. Differentemente dalla chat, che è uno strumento di comunicazione sincrona, il forum è asincrono in quanto i messaggi vengono scritti e letti anche in momenti diversi. • BLOG: in informatica, e più propriamente nel gergo di internet, un blog è un sito internet, generalmente gestito da una persona o da un ente, in 72 cui l'autore pubblica più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i propri pensieri, opinioni riflessioni, considerazioni, ed altro, assieme, eventualmente, ad altre tipologie di materiale elettronico come immagini o video. • REPOSITORY: un archivio in grado di categorizzare strumenti multimediali presenti in rete. • FACEBOOK: è un social network all’interno del quale è stata creata una pagina denominata “Web Corsairs”. Nella pagina dei corsari è stato inserito sottoforma di evento il seminario organizzato nei giorni del 18 e 19 marzo 2010. Gli scopi della creazione di questa pagina sono quelli di riuscire a pubblicizzare il progetto, promuovere un dibattito tra le persone che già vi aderiscono e cercare di allargare la partecipazione a nuove persone, facilitando lo scambio di informazioni e di opinioni riguardanti temi comuni. Durante le due giornate di seminario i partecipanti si sono iscritti alla pagina, trovando un punto di riferimento dove scambiare commenti sull’esperienza. Per quanto attiene il SERT VIRTUALE, vista la complessità della tematica, si è ritenuto opportuno, nella prima fase del progetto, limitarsi al dibattito inerente le finalità e le caratteristiche dell’ambiente virtuale. La scelta del nome Una volta identificati gli strumenti informatici si è passati all’elaborazione della linea comunicativa. L’idea comunicativa, fin dall’inizio del progetto, ruotava attorno alla figura del corsaro. I corsari erano combattenti al servizio di un governo che, in cambio di un'autorizzazione a rapinare navi mercantili nemiche (lettera di corsa, da qui corsari), incameravano parte del bottino. Qui si tratta di corsari che navigano metaforicamente nel mare del web, che attuano cioè una sorta di “incursione” in siti, forum, blog, che trattano l’argomento droghe e dipendenze, sperimentando “azioni corsare” ovvero interventi che servono a orientare il dibattito in rete. Su questa linea è scaturita l’idea dell’isola di “Escondida”, la base dove i corsari approdano e trovano diversi servizi a loro dedicati: la locanda della Luna, luogo di aggregazione dove trovano un forum di discussione, la cambusa un database dove sono stipati i materiali e la documentazione più interessanti da scambiare e condividere; il diario di bordo un blog dove i corsari possono raccontare le esperienze più significative; il suq dei saperi un wikipedia dove i corsari lavorano 73 in maniera collaborativa cercando di dare definizioni a termini controversi, ipotizzando che una sequenza di interventi sui singoli testi produca su di essi un processo migliorativo, che li renda tendenzialmente attendibili in quanto ampiamente condivisi dalla comunità dei lettori/redattori. Oltre all’isola di Escondida i corsari hanno a disposizione anche una “base distaccata” (il social network Facebook), che permette a loro di restare in collegamento con il resto del “mare” e quindi con internet. Dati e conclusioni del progetto E’ stato creato dunque un ambiente di lavoro virtuale nel quale, attraverso l’utilizzo di strumenti informatici, è avvenuto uno scambio di conoscenze, informazioni ed esperienze tra soggetti tra loro diversi per caratteristiche personali e professionalità come: esperti del settore, curiosi che navigano in rete senza una meta predefinita, persone interessate all’argomento, operatori di strada, ricercatori, studenti, consumatori con bisogni differenti e vari gradi di problematicità, operatori di servizi sanitari e socio assistenziali, partners e familiari di persone consumatrici di droghe e alcol. L’intento è stato quello di uscire da un’idea tradizionale di comunicazione rispetto a queste tematiche e tentare un percorso dinamico che mirasse a collaudare/consolidare una traccia web 2.0 arricchendola con nuovi contributi. Dal lancio dell’evento nell’ottobre 2010 a fine anno vi sono stati 7031 utenti attivi (questo dato include sia le interazioni da parte di coloro che sono fan che da quelli che non lo sono). Da parte degli utenti collegati, invece, vi sono state 1939 visualizzazioni di cui 119 hanno interagito con la pagina (61 “Mi piace”, 42 commenti e 16 post in bacheca). All’apertura dell’evento vero e proprio, in data 15 dicembre 2010, vi sono stati 44 post nelle discussioni delle relative parole chiave, fino alla fine dell’anno. A distanza di 4 anni, il sito www.webcorsairs.it viene utilizzato esclusivamente come contenitore di materiale audio visivo da parte dell’U.O.C. Dipendenze Patologiche di Forlì, mentre la pagina Facebook, che è ancora attiva e presente con più di 400 contatti, viene gestita dagli operatori del Servizio ed usata esclusivamente per pubblicizzare grandi eventi promossi dalla nostra Unità Operativa. 74 4.2 YOUNGLE CORSAIRS Per quel che riguarda il territorio forlivese il progetto CCM Social Net Skills è stato declinato con il nome Youngle Corsairs, solamente a seguito della creazione del profilo Facebook, con la finalità di dare continuità al progetto, di cui al capitolo precedente, nato nel 2010 su iniziativa della stessa azienda sanitaria. Come già specificato, Forlì è parte integrante e fondamentale della rete, assieme alle due realtà di Parma-Modena e Reggio Emilia: tre poli d’eccellenza sulle tematiche legate alla dipendenza e alle MST (malattie sessualmente trasmissibili), scelte appositamente dalla Regione Emilia-Romagna per la realizzazione del progetto. La scelta delle tematiche specifiche trattate da ogni singolo polo, prima fase del progetto, è stata effettuata sulla base delle peculiarità delle Aziende Sanitarie o degli Enti che poi avrebbero gestito i singoli profili. A Forlì, in cui l’Ente destinato a realizzare il progetto si identifica con l’Unità Operativa Dipendenze Patologiche dell’Ausl locale, è stata scelta come macrocategoria quella dei comportamenti a rischio. Inizialmente Youngle Corsairs sarebbe dovuto essere uno spazio virtuale dove racchiudere tutti i contenuti multimediali connessi ai comportamenti a rischio, tra cui utilizzo di sostanze legali e illegali, comportamenti sessuali non protetti, violenze, bullismo, ecc. Il compito iniziale è stato quello di raccogliere tutto il materiale multimediale che trattasse tali tematiche e dare a ciò una lettura critica, grazie alla collaborazione del Dr. Michele Marangi, formatore e Media Educator di Torino. Il materiale doveva essere raccolto ed elaborato affinché potesse anche essere utilizzato dai peer degli altri Youngle, i quali avrebbero potuto utilizzarli come messaggi di prevenzione sui loro profili FB, diventano a loro volta quindi promotori e consulenti dei messaggi e dei contenuti video. Forlì sarebbe quindi dovuta essere il centro di raccolta del materiale multimediale, suddiviso per tematiche specifiche, utilizzabile dagli altri profili Youngle della Regione Emilia-Romagna. A seguito delle prime attività di formazione realizzate, di cui si parlerà nel dettaglio nei successivi capitoli, ci si è resi conto della difficoltà tecniche di creare uno strumento adatto alle finalità del progetto e di come ciò sarebbe risultato ridondante in relazione all’esistenza pregressa di un similare progetto dal nome Stedycam Centro Doc Audiovisiva, un centro di documentazione audiovisiva, con sede ad Alba (CN) presso i locali del Sert dell’ASL CN2 Alba-Br. Il centro monitora 75 quotidianamente i programmi televisivi attinenti alle tematiche delle dipendenze e del mondo adolescenziale e giovanile e archivia il materiale con specifici record all’interno di una banca dati consultabile online. I servizi offerti sono rivolti ad operatori, educatori, professori, studenti e in generale a tutti coloro che vogliano utilizzare l’audiovisivo per un percorso di tipo educativo, informativo o preventivo. Risulta quindi evidente come l’iniziale finalità del progetto Youngle Corsairs rischiasse di risultare una replica di quanto già di valido, esistente e disponibile sulla rete sin dall’anno 2000. Di conseguenza, le attività degli operatori e dei Peer coinvolti, si sono comunque concentrate sulla raccolta di materiale audiovisivo avente come tematica i comportamenti a rischio, ma da utilizzare in una modalità “peer to peer” per interagire con una fascia specifica quale l’adolescenza. Infatti, come ricorda Marangi, un audiovisivo (film, spot, videoclip ecc.) è una finestra che lascia entrare porzioni deformate di “esterno” e nella quale l’individuo spettatore si può specchiare (Marangi, 2004). Attraverso gli audiovisivi, in pratica, è possibile contemporaneamente conoscere di più noi stessi e conoscere di più il mondo che ci circonda. Questo però non avviene attraverso una semplice analisi del testo audiovisivo e del messaggio che l’autore vuole trasmetterci, ma attraverso una lettura critica che agevoli una presa di consapevolezza da parte dell’adolescente nei confronti delle tematiche trattate. Si è concordato quindi insieme al coordinatore nazionale del progetto Dott. Stefano Alemanno e al gruppo regionale composto da Parma-Modena e Reggio Emilia, di continuare il lavoro di raccolta del materiale multimediatico, ma di permettere anche la creazione da parte dei peer di un profilo Youngle forlivese che trattasse i comportamenti a rischio. Questi ultimi, sono da intendersi come quei comportamenti individuali, abbastanza diffusi nella fascia adolescenziale (età a rischio per eccellenza in quanto essa è caratterizzata da inesperienza ed impulsività e quindi i soggetti in questa fase sono portati a rischiare di più e a non pensare alle conseguenze delle loro azioni) che mettono in pericolo la salute. Si intendono comunemente "a rischio" tutti quei comportamenti che possono facilitare l'insorgere di una o più patologie. (Bonino, Cattelino e Ciairano, 2003). Nello specifico, le tematiche trattate nel nostro profilo riguardano l’utilizzo di sostanze psicotrope legali ed illegali, comportamenti sessuali non protetti, bullismo e cyberbullismo, gioco patologico e disturbi alimenti. Resta evidente, come 76 questi non devono e non possono essere gli unici temi dei quali si può discutere in chat, infatti, come vedremo nei paragrafi seguenti, il bisogno di ascolto e di richiesta di informazione da parte dei nostri followers verte anche su altri piani che non riguardano esclusivamente i temi di nostra competenza. 4.3 CREAZIONE EQUIPE OPERATORI E RECLUTAMENTO PEER Come già accennato precedentemente, gli operatori che gestiscono il progetto Youngle Corsairs fanno parte dell’Unità Operativa Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì. Inizialmente l’equipe era composta da due operatori afferenti all’area educativa. Solo successivamente è stata introdotta la figura dello psicologo in veste di supervisore delle chat e gestione delle emergenze. A differenze dei peers, i quali hanno beneficiato di una formazione specifica riguardo i temi ed i compiti che sarebbero andati a trattare, gli operatori scelti a livello nazionale non sono stati oggetto di alcuna formazione specifica. In questo modo, se da un lato è stata lasciata una discreta libertà di autonomia rispetto alla linea da intraprendere con il proprio gruppo di lavoro, d’altro canto è venuta a mancare una direttiva comune di indirizzo ai fini di coordinare l’operatività delle equipe attive nelle diverse realtà. Pur non essendo esplicitata fin dalle prime fasi del progetto, si è tuttavia creata, nel corso delle azioni e durante gli incontri svoltisi a livello regionale e interregionale, una visione unica e condivisa fra i diversi operatori coinvolti. Dal punto di vista operativo, gli educatori hanno accompagnato la creazione del gruppo dei peer nella gestione quotidiana delle attività, ovvero la raccolta del materiale audiovisivo e la connessa catalogazione, l’organizzazione degli eventi di sponsorizzazione, la scelta dei contenuti da pubblicare nel profilo e nella pagina Facebook. La scelta dei coordinatori di progetto per ogni Provincia coinvolta è stata definita nelle iniziali fasi di sviluppo del progetto, durante specifiche riunioni coordinate dalla Dr.ssa Francia Franca, responsabile dell’Area Dipendenze della Direzione generale Sanità e Politiche sociali della Regione Emilia-Romagna, alle quali hanno partecipato anche gli operatori di Forlì, Parma-Modena e Reggio Emilia. All’interno della realtà di Forlì, il progetto Social Net Skills viene conosciuto nel 2012 grazie all’iniziativa e alla voglia di sperimentazione del Dr. Polidori Edoardo, Direttore dell’Unità Operativa Complessa Dipendenze Patologiche 77 dell’Ausl di Forlì. Il successo e la rapida attivazione di tale iniziativa si deve anche al prezioso contributo di giovani universitari, che proprio in questa fase iniziale e di fondamentale importanza hanno avuto occasione di spendere le proprie ore di tirocinio formativo presso l’U. O. C. Dipendenze Patologiche. Il servizio, infatti, accoglie spesso e volentieri uno spaccato di studenti universitari molto vasto ed eterogeneo per provenienza: numerosi sono i tirocinanti che frequentano la Facoltà di Psicologia, Medicina, Infermieristica ed Educatore Professionale, ma non mancano anche tesisti di Scienze della Comunicazione, Dams, Scienze Politiche e Sociologia. E’ stato quindi naturale reclutare i primi peer a partire da questi importanti bacini. A differenza degli altri Youngle, dove l’età dei peer era solitamente “under 20”, Youngle Corsairs ha voluto puntare su una fascia di età leggermente più alta per diversi motivi: gli studenti universitari che afferiscono all’U. O. C. D. P. per svolgere un tirocinio formativo, sono di norma persone interessate e curiose al mondo delle dipendenze patologiche; la durata del tirocinio, solitamente non inferiore a tre mesi, è sufficiente per instaurare un buon rapporto con la persona e permette di comprendere la naturale inclinazione dello studente a collaborare e ad assumersi l’importante ruolo di peer educator; gli orari delle lezioni universitarie danno allo studente la possibilità di partecipare alle riunioni settimanali, di norma programmate nell’orario di servizio che solitamente coincide con l’orario scolastico degli istituti superiori di secondo grado; la maggior età di uno studente universitario, rispetto al target di riferimento del progetto che coincide con la fascia dai 13 ai 20 anni, garantisce una maggior esperienza e dimestichezza con alcune tematiche e concetti fondamentali trattati dal progetto e un maggior senso di responsabilità nei confronti dell’impegno assunto; l’essere studenti presso sedi distaccate e presso altri centri universitari, diversi da quello forlivese, fa sì che i peer così selezionati favoriscano una maggior diffusione delle conoscenze sui 78 comportamenti di promozione della salute e del benessere, ben al di là del comprensorio forlivese. I primi peer che sono stati reclutati all’interno dell’U.O.C. Dipendenze Patologiche (novembre 2012), sono state tre studentesse universitarie (Virginia, Ludovica e Laura) del territorio forlivese: due di loro iscritte alla Facoltà di Scienze Politiche (corso Servizio Sociale), tirocinanti presso il nostro Servizio e la terza iscritta a Giurisprudenza. Dopo circa un anno e mezzo, risultano ancora molto motivate e ricoprono ad oggi, il ruolo di peer senior nei confronti dei nuovi giunti. La loro presenza e costanza è stata di grande aiuto nei passati mesi poiché, oltre a stimolare l’equipe nella gestione quotidiana del progetto, hanno ricoperto un ruolo attivo nel reclutamento dei nuovi peer. Tale reclutamento è stato effettuato in data 9 novembre 2013, a distanza di quasi un anno rispetto alla data di ingresso dei peer senior. Per divulgare l’evento (ALLEGATO III) si è scelto di pubblicizzarlo sia sul territorio sia sul web: è stato distribuito all’interno delle Facoltà, delle Biblioteche e nei Centri di Aggregazione forlivese il depliant pubblicitario dell’evento e, in contemporanea, si è dato spazio e visibilità nei medesimi profili o pagine FB il collegamento alla pagina Youngle Corsairs. Importante è stata anche la visibilità che l’Informagiovani del Comune di Forlì ha voluto riservare alla nostra iniziativa, inserendo nel proprio sito web un articolo dettagliato riguardante il progetto Social Net Skills. Il reclutamento si è svolto nelle seguenti modalità: 1. accoglienza da parte dell’intera equipe dei candidati; 2. esposizione in plenaria del progetto e delle caratteristiche specifiche del profilo; 3. breve simulata di conduzione chat e colloquio individuale. I criteri che hanno permesso di scegliere i nuovi peer sono stati principalmente tre: la conoscenza e familiarità con lo strumento Facebook, la motivazione e la propensione a ricoprire il ruolo di peer e la capacità di ascolto dell’altro. A seguito di questo, sono stati selezionati due peer (Lorenzo e Giacomo), dell’età di 20 e 22 anni facenti parte anche loro del territorio forlivese. Successivamente, è stato consegnato loro il Tablet, strumento acquistato grazie ai fondi del progetto, che per la durata di due anni, resterà in loro possesso (in comodato d’uso) per permettere di essere sempre connessi e di condurre le chat 79 senza il vincolo della postazione fissa. E’ stato deciso dall’intera equipe di non palesare inizialmente la possibilità, da parte del peer prescelto, di ricevere in maniera gratuita il Tablet, per non compromettere la motivazione incondizionata della propria auto candidatura, ma di lasciare questo come premio di fiducia per colui o colei che si fosse meritato/a di ricoprire il ruolo di peer. Questa scelta, si è mostrata decisamente vincente e quindi ripetibile nei futuri arruolamenti. 4.5 FORMAZIONI REGIONALE E LOCALI Come è già stato visto, tutti i peers hanno ricevuto la stessa iniziale formazione da parte del Dott. Alessandro Calderoni, giornalista investigatore e psicologo clinico di Milano. Nello specifico sono state effettuate cinque giornate di formazione nelle seguenti città: Castellammare, Foligno, Firenze, Savona e Modena. Quest’ultima ha visto la partecipazione delle tre città coinvolte dell’Emilia Romagna: Parma-Modena, Forlì e Reggio Emilia. La formazione, che ha visto coinvolti 25 peers e 8 operatori, si è svolta a Modena nelle giornate del 15 e 16 dicembre 2012 ed è stata incentrata interamente sulla possibilità di affrontare il progetto CCM Social Net Skills avvalendosi del prezioso aiuto della psicologia digitale (termine coniato appunto da Calderoni, in “Aiutare on line. L’intervento psicologico via internet con adolescenti e non solo”, 2010). Per prima cosa, il docente ha ritenuto importante fare una contestualizzazione teorica che si basasse su tre fattori tecnologici: 1. la mobilità connessa; 2. l’integrazione uomo-macchina; 3. la condivisione geolocalizzata. La mobilità connessa è il principio secondo il quale esisteranno sempre meno spazi e tempi, durante la nostra giornata, in cui saremo disconnessi da una rete, che sia internet o un inedito tipo di network personale costituito con i propri congiunti e amici. Dieci anni fa ci si chiedeva chi avrebbe vinto nella lotta tra tv e PC: la risposta che si è data fino a questo momento è nella direzione di indicare device spuri, onnicomprensivi, estremamente potenti pur nella loro portabilità. Oggi si chiamano Tablet ma è probabilmente un passaggio momentaneo, che punta verso un’ulteriore smaterializzazione e un progressivo inserimento dell'oggetto tecnologico entro i confini corporei dell'utente. E questo è il secondo punto: 80 integrazione uomo-macchina. Segni certi, in questa direzione, sono costituiti dalla forte espansione del campo della bionica e della robotica, con la realizzazione di protesi che si connettono al sistema nervoso del paziente, e con la sofisticazione dei sensori che rendono i robot sempre più in grado di interfacciarsi con gli ambienti e con chi vi abita. L'esplosione del fenomeno dei touchscreen è un altro indizio della volontà di semplificare il dialogo tra utente e strumento, avvicinando sempre più quest'ultimo al corpo del primo. Un segno attuale e di recente acquisizione è quello dei cosiddetti smartwatch, orologi da poche decine di euro che sono in grado di connettersi al cellulare via Bluetooth, facendo comparire sul proprio piccolo display tutte le informazioni di connettività disponibili (SMS, e-mail, social network, chat, telefonate). Nell'immediato futuro arriveranno gli occhiali che interporranno tra i nostri occhi e la realtà esterna quella che viene definita realtà aumentata: Google ha già presentato il suo prototipo di questo accessorio che, una volta indossato come un normale paio di occhiali, permetterà di effettuare videochiamate, ricevere mappe stradali, prenotare biglietti per concerti, ricevere e inviare messaggi, avere informazioni in tempo reale: tutto ottenuto con comandi vocali e spostamenti oculari, e proiettato in trasparenza direttamente nelle lenti. Sarà così possibile essere connessi da quando ci si sveglia a quando si va a dormire, essendo circondati da una realtà che potrà essere definita aumentata perché conterrà immediatamente l'interpretazione e l'approfondimento che di per sé l'ambiente non offre in tempo reale. In questo modo la grande rete non sarà più il mare magnum in cui cercare informazioni generiche entrandovi secondo particolari criteri di accesso informatici, ma un immenso bacino di informazioni che si declinano secondo dopo secondo esattamente in base alle esigenze dell'utente, alla sua posizione geografica, alle sue esigenze reali. Questo è il terzo punto: la condivisione geolocalizzata. Cioè stare nel mondo off line mentre si sta anche in quello on line, mettendo il secondo al servizio del primo. Previsioni accurate, spostandoci più in là di cinque anni, è azzardato farne, a causa della velocità con cui si modificano i componenti elettronici e i device che ne derivano. La sensazione, supportata dagli elementi di cultura e di mercato appena esposti, è però che l'essere umano entrerà rete fino a incorporarla, diventando cioè egli stesso un terminale in grado di scaricare e caricare informazioni e aggiornamenti a flusso continuo anche a distanza. Potrebbe essere una parabola evoluzionistica attraverso la quale una categoria di viventi implementerà a poco a 81 poco tra le proprie possibilità future (forse anche geneticamente supportate), una connessione stabile e duratura che rappresenta una nuova tipologia di interazione sociale spontanea (una sorta di embodied network) e facoltà psichiche in parte residenti nell'hardware, cioè nel cervello, e in parte in outsourcing, cioè spostate o delegate nella nuvola di dati che tutto avvolge. Se questa visione dovesse realizzarsi nel modo più radicale, essere vivi significherebbe semplicemente essere on line, morire sarebbe come andare off line. E’ importante ricordare che tutto questo accade perché in meno di quindici anni il mondo è profondamente cambiato grazie a internet. Sono cambiate le modalità e la velocità di circolazione dell’informazione, e parallelamente è mutato (ed è cresciuto) il grado di controllo e partecipazione che il singolo individuo ha sui media. La prima generazione di esseri umani nati insieme alla rete è costituita dai nativi digitali, persone che si sviluppano e giungono a maturità inglobando e normalizzando le caratteristiche della comunicazione digitale, in termini di rapidità d’accesso, modalità di ricerca, archiviazione e gestione dei contenuti, ripartizione del tempo e delle abilità in senso multitasking. La rete ha inciso e sta tuttora incidendo anche sulle modalità di formazione dell’identità e sulla sperimentazione relazionale in un contesto che è allo stesso tempo pubblico e privato, soprattutto se si pensa ai social network. Le relazioni, a loro volta, si basano ora su un nuovo modello di fiducia fortemente influenzato dal funzionamento della rete e delle singole interfacce usate dagli utenti durante la navigazione. Un nativo digitale (ma anche un migrante, seppure in forma affievolita) porta on line tutta la sua vita fisica, le sue amicizie, i suoi contenuti, creando un prolungamento delle relazioni ordinarie e dell’esistenza materiale. E’ come una seconda dimensione, fortemente intrecciata a quella fisica. Intrecciata e trasformativa, poiché in rete è allo stesso tempo facile fingere caratteristiche altre dalle proprie, ed essere più autentici che nella vita off line; sentirsi inseriti in una categoria specifica di utenti, e avvertire la gratificante unicità della propria persona. Studi di matrice neurologica dimostrano che quando siamo connessi, anche la nostra mente è connessa e manifesta funzionamenti profondi e ancestrali collegati ai centri cerebrali dopaminergici del piacere e della ricompensa, oltre a un aumento della presenza di ossitocina nel sangue. Essere on line piace al nostro cervello, insomma, e questa è la base biochimica della facilità con cui chi naviga su internet si fida a fondo e con rapidità dei propri interlocutori (entro i limiti consentiti dalla personalità e dalla cultura di provenienza). 82 A questo punto pare d’obbligo correlare la psicologia digitale all’aiuto on line. Gli strumenti dell’aiuto psicologico digitale sono quindi quelli consentiti dallo stato dell’arte della tecnologia: sono possibili interventi sincroni (chat e videochat) e asincroni (email e forum), con l’aggiunta di contenuti di supporto multimediali. Distanza, ubiquità, anonimato, facilità di accesso, spazio di riflessione, effetto disinibizione sono tra i principali vantaggi di questa modalità di colloquio psicologico, tenendo presente che, come negli incontri dal vivo, ogni paziente/cliente/utente ha le proprie caratteristiche ed esigenze e su quelle va modellato sartorialmente l’intervento, tenendo conto dei problemi di privacy e di sicurezza personale che la distanza può acuire se mal gestiti. I nativi digitali sembrano essere l’utenza elettiva di questo tipo d’intervento, insieme agli adulti con problemi legati allo spostamento e alla socialità. Per ottenere il sorprendente effetto di self-disclosure consentito dal colloquio on line è necessario saper creare un’alleanza rapida con l’interlocutore, basandosi principalmente sulla modalità testuale, come se i caratteri, la morfologia delle parole e delle frasi, potessero sostituire l’espressività spontanea e inconscia del corpo, grande assente nella comunicazione on line. Che si scelga la posta elettronica (con i suoi tempi lunghi, la profondità dei dettagli, la narrazione fluida) o un sistema di chat (sintetico per natura, linguisticamente sperimentale, più vicino alla libera associazione), il primo passo è cercare un engagement testuale fondato sull’ascolto del cliente e sulla competenza tecnologica minima che consenta di utilizzare gli strumenti a disposizione come vantaggio operativo e non come elemento di distrazione. La psicologia digitale permette attualmente interventi di counseling (rapidi, mirati al qui-e-ora e a soluzioni riferite a problemi specifici), e interventi più propriamente terapeutici, nei quali i tempi si dilatano e si mira alla trasformazione dei processi di pensiero dell’utente. A seguito della formazione, è stato distribuito a tutti i peer presenti un questionario di gradimento (ALLEGATO IV), per valutare i contenuti e le modalità adottate dal relatore, poiché lo stesso intervento si sarebbe poi replicato in altre città. Di seguito l’analisi e i risultati ottenuti: i questionari di gradimento raccolti sono stati 20. Nella prima domanda nella quale si chiedeva di scrivere le prime due parole che venivano in mente per definire il corso, sono emerse quasi nella totalità dei casi opinioni positive (coinvolgente, divertente, utile, ecc.). Gli argomenti affrontati dal 83 corso sono piaciuti con una media di 8,5 (in una scala da 1 a 10); quelli che sono piaciuti di più sono stati nell’ordine i seguenti: 1. “nuovi media, nuove persone” (19); 2. “pratica dell’ascolto” (18); 3. “psicologia digitale” (15); 4. “comunicazione suggestiva” (11); 5. “Zheng” e“chat reali e counselling” (7). Nove persone su venti, avrebbero voluto però parlare di altri argomenti: sostanze stupefacenti, metodologie di valutazione e raccolta dati all’interno del progetto, emozioni/sentimenti della comunicazione sul bullismo e i mezzi più funzionali della terapia digitale utilizzati all’estero. Del progetto sono rimaste ai partecipanti emozioni, strumenti operativi e stimoli per rendere operativo il progetto. A fine corso, i soggetti hanno effettuato le seguenti riflessioni: 9 persone si sono sentite più tranquille nell’affrontare questi argomenti on line e in chat, 8 persone hanno comunque espresso il bisogno di approfondire maggiormente queste tematiche per fronteggiare la relazione di aiuto in rete e 3 persone non hanno risposto. Tutti consiglierebbero ad altri la formazione appena conclusa, con particolare riferimento alle professioni (volontari, studenti, tirocinanti ed operatori) che operano nei servizi socio-sanitari. Un’altra importante formazione è stata condotta dallo Psicologo della nostra equipe: Dott. Luciani Daniele. Oggetto della formazione sono state le tecniche e le modalità comunicative, finalizzate alla conduzione delle chat da parte dei peer, sulla base del modello del counselling online. A tal proposito, Kathryn e David Geldard (2004) propongono un approccio proattivo al counselling, come intervento volto a migliorare l’efficacia della relazione d’aiuto con gli adolescenti, dove il counsellor dovrebbe: essere sensibile ai bisogni evolutivi dell’adolescente dimostrare fiducia in lui adottare lo stile comunicativo dell’adolescente essere proattivo, cioè capace di coinvolgere attivamente e dinamicamente l’adolescente, che tende a tediarsi e a diventare irrequieto facilmente rispettare i suoi tempi di rilevazione personale 84 Il counseling si ispira ad alcuni fondamentali concetti, tra cui quello della Filosofia Esistenzialista - che concerne l’umana ricerca del senso della vita, dove ogni individuo può dare un senso alla propria esistenza soltanto attraverso le proprie esperienze personali, questa filosofia ha forti analogie con il processo di sviluppo adolescenziale poiché dare senso alla vita attraverso le proprie esperienze personali è proprio quello che gli adolescenti cercano di fare. Nel pensiero esistenzialista l’uomo è considerato libero di scegliere, quindi è responsabile delle sue decisioni e azioni, anche se esistono vincoli e limitazioni contestuali. Quindi la libertà di scelta non è assoluta, ma siamo soltanto liberi di scegliere come rispondere a certe situazioni contingenti e imprevedibili che l’esistenza ci pone. L’assunto della libertà di scelta può diventare un nuovo senso di libertà dell’adolescente, porre enfasi sulla libertà di scelta all’interno di un universo di restrizioni che il mondo impone, aiuta l’adolescente a focalizzarsi sull’accettazione della propria responsabilità personale. Altro principio ispiratore è quello del Pensiero Costruttivista: la filosofia esistenzialista afferma che le persone nel cercare di dare un senso al mondo le persone utilizzano le loro esperienze personali per sviluppare concetti, rappresentazioni o convinzioni riguardo la loro realtà interiore e il mondo relazionale e materiale. In un’ottica costruttivista si parla di costrutti, i quali racchiudono i loro concetti relativi al mondo, sono quindi interpretazioni personali di questo, non sono da considerare come categorie rigide, ma come interpretazioni che vengono riviste e sostituite. Ognuno di noi si comporta come uno scienziato che formula ipotesi e utilizza l’esperienza per verificarle e se l’ipotesi si rileva nulla è necessario riformularne altre. Questo processo domina l’età adolescenziale, fase di intensa esplorazione e nuove esperienze, che sollecitano una ricognizione e rinnovamento dei propri costrutti inappropriati e disfunzionali. Inoltre secondo il Costruttivismo, le persone costruiscono attivamente il loro mondo in modo tale da conservare l’identità ed equilibrio psicologico, per questo motivo è stata ipotizzata l’esistenza di costrutti di base, difficilmente suscettibili ai cambiamenti, in quanto determinanti nella configurazione del senso dell’identità. Le implicazioni nella relazione d’aiuto che si avvale delle abilità di counseling sono: 85 sintonizzarsi sui modi di pensare simili a quelli dell’adolescente; identificare i costrutti dell’interlocutore e utilizzarli per formulare delle ipotesi sulle cause dei suoi problemi e aiutarlo a correggerli; incoraggiarlo a esprimere la su visione del mondo utilizzando i suoi costrutti personali anziché quelli del counsellor. Queste modalità di entrare in relazione con l’adolescente, sono finalizzate a soddisfare il bisogno adolescenziale di fiducia e quindi fondamentale esplorare la sua storia con i relativi costrutti, ascoltando attivamente la sua narrazione. Le qualità personali del counsellor dovrebbe essere: buona conoscenza dei processi evolutivi dell’adolescenza capacità di entrare in contatto con il proprio adolescente interno capacità di fornire un modello di individuazione: il counsellor deve essere capace di esprimere la propria individuazione, dimostrando la propria individualità personale e stando contemporaneamente vicino all’adolescente. Unire il suo sé con quello del giovane, in un processo dinamico, per indicare all’adolescente che anche la sua individualità è incoraggiata e rispettata. avere le qualità rogersiane della congruenza: i giovani, solitamente entusiasti di conoscere persone e di avere modelli di comportamenti, si accorgono facilmente se il counsellor è coerente o meno, identificando immediatamente i comportamenti incongruenti e non autentici accettazione positiva ed incondizionata: cioè accogliere l’adolescente senza riserve e senza giudizi a prescindere da quello che fa. capacità di rapportarsi agevolmente ed empaticamente con gli adolescenti. Le tecniche di conduzione Esistono alcune tecniche, utili a facilitare la realizzazione di un rapporto empatico tra counsellor e cliente: la formulazione delle domande, la riformulazione e la restituzione. 86 1. La formulazione delle domande. È necessario tenere presente che, in base a come esse sono poste, possono indurre risposte diverse. Possono essere individuate diverse tipologie di domande, al fine di individuare le modalità più efficaci di esposizione delle stesse. Un’essenziale classificazione delle domande è la seguente: chiuse, ovvero “guidate”, in quanto richiedono per la risposta solo la scelta tra diverse alternative predefinite; aperte, che richiedono un’elaborazione autonoma ed aperta da parte dell’interlocutore; dirette, che affrontano in modo diretto ed evidente un determinato argomento; indirette, che stimolano il soggetto a parlare ed a continuare un discorso (idonee soprattutto per affrontare sentimenti ed emozioni). Comunque, la chiarezza è un requisito comune ai diversi tipi di domande. Le domande devono in ogni caso favorire risposte il più possibile precise, evitando il rischio di aumentare la confusione nel soggetto coinvolto. Il linguaggio deve essere adeguato alla cultura dell’interessato. E’ necessario, soprattutto con i più giovani, iniziare con domande “neutre”, ricollegabili ad eventi concreti, per poi passare a quelle più complesse, che implicano un maggior coinvolgimento emotivo. Inoltre bisogna optare per una flessibilità “adattiva”, lontana dalla rigidità di schemi precostruiti, senza però perdere e fare perdere il filo conduttore del processo conoscitivo. In ogni caso, la conduzione del colloquio deve rimanere saldamente nelle mani dell’helper. 2. La riformulazione Per riformulazione si intende “dire con altre parole” ed in modo più strutturato e chiaro rispetto a quello che il soggetto ha appena enunciato. Tale tecnica, utile in tutte le diverse fasi del colloquio, richiede che il counsellor non si limiti solo a formulare una serie di domande, ma che si soffermi su un aspetto significativo, riproponendolo ed approfondendolo, in modo che l’interlocutore sia indotto a dare ed aggiungere significato a quanto comunica. L’uso della riformulazione permette inoltre all’operatore di verificare la corretta 87 comprensione di ciò che il soggetto ha comunicato, riducendo le distorsioni che potrebbero derivare da “interpretazioni soggettive” da parte dello stesso conduttore. Questo modo di procedere dà la rassicurazione al soggetto di essere stato capito e lo induce a sviluppare un sentimento di sicurezza circa la propria capacità di comprendere e di comprendersi e di poter arrivare autonomamente alla soluzione del proprio problema. Si individuano tre diverse tipologie di tecniche di riformulazione: il riflesso: consiste nel dire con altre parole quanto è stato già detto dall’interessato; l’obiettivo è quello di fare capire che si è compreso il suo messaggio. il rovesciamento del rapporto figura/sfondo: questo, parte dal presupposto che a volte anche poche e piccole informazioni possono avere grande importanza; l’obiettivo è quello di rovesciare i rapporti di forza tra i diversi elementi individuati, per fare emergere ciò che è latente; sta al conduttore individuare ed elencare tali elementi, offrendo, senza forzature, al soggetto interessato la possibilità di un’analisi degli stessi. la chiarificazione: consiste nel “rinviare al soggetto” il senso di ciò che ha detto; l’obiettivo è quello di porre in luce quello che la persona, spesso, dice in maniera confusa e disorganica. E’ una tecnica difficile, perché può facilmente far scivolare il consulente in un’interpretazione impropria. 3. La restituzione Viene utilizzata maggiormente nella fase conclusiva del colloquio, il cui fine è formulare la decisione. Essa consiste nel mettere a disposizione del soggetto, in modo ordinato e sintetico, un insieme di elementi significativi emersi nelle fasi precedenti, magari in modo disordinato e frammentario. Questa tecnica cerca di offrire anche una spiegazione razionale degli elementi emersi presi in considerazione. Attraverso la restituzione, infatti, il conduttore aiuta il soggetto a mettere in relazione le caratteristiche personali emerse, con le sue potenzialità e con i vincoli e le condizioni presenti, al fine di formulare il progetto esistenziale, più efficace e realistico per sé. 88 Alcuni comportamenti da evitare nel colloquio Sono qui riportati alcuni comportamenti che non facilitano l’espressione comunicativa da parte dell’utente e che quindi sono da evitare accuratamente: valutazione o giudizio morale: viene espresso un giudizio morale su quanto è stato comunicato dal soggetto, meglio evitare le domande che iniziano con “perché”; l’adolescente le può percepire come colpevolizzanti e accusatorie; l’interpretazione: viene deformato il pensiero dell’altro, dando un significato diverso da quello che il soggetto intendeva dare; evitare il “io penso che…” espressione che presuppone un’interpretazione ad esempio “io penso che in queste situazioni perdi totalmente il controllo”, sarebbe meglio dire “immagino che in certe situazioni il controllo ti sfugge dalle mani”; il sostegno pietistico: è un atteggiamento fin troppo consolatorio, che può indurre in difesa il soggetto; l’investigazione: sono le domande che mettono in evidenza un atteggiamento indagatorio; la soluzione affrettata: evitare di pervenire ad una soluzione, senza avere sufficientemente approfondito l’analisi. Inoltre gli adolescenti tendono a drammatizzare molto il loro vissuto esistenziale, quindi di fronte ad un consiglio per risolvere un problema, inizieranno a porre nuove problematiche, di continuo, fino alle fine della conversazione, così si eluderà il principale obiettivo del colloquio di counseling: mantenere il continuum di consapevolezza, che serve a comprendere dove tende a soffermarsi l’attenzione, sia del counsellor sia del cliente e quali parti dell’esperienza sono omesse. Infine l’uso di un linguaggio analogico, cioè evocativo o metaforico è utile per farsi comprendere meglio dall’interlocutore e sollecitarlo nella sua narrazione, la quale è un’operazione di consapevolezza, in quanto implica una costruzione di una visione di sé stessi, quindi una via attraverso a cui dare forma alla propria identità e di conseguenza una costruzione attiva di senso. Infine, il Dott. Luciani, ha voluto riportare ai peer le 10 regole per la comunicazione online: 89 1. Cominciare e terminare sempre su una nota positiva; trovare qualcosa di positivo già nella prima frase; 2. Prendere sul serio chiunque entra in contatto: le domande reali possono emergere più tardi nella conversazione o in un contatto successivo; 3. Non “predicare”, portare le persone a scoprire cosa è meglio per loro; 4. Identificare aspetti motivazionali e resistenze; 5. Usare messaggi positivi; non fare mai la morale, tenere il focus sulla salute; adattare e riflettere il linguaggio; 6. A livello personale, non rivelare mai informazioni private; 7. Trarre conclusioni il meno possibile; chiedere chiarificazioni finché se ne ha bisogno; 8. Usare un vocabolario che non stigmatizzi; 9. Tenere aperta la conversazione, con domande aperte; 10. Prolungare la conversazione, lasciare che sia l’interlocutore a terminarla. Un’altra importante tappa nella formazione dei nostri peer, è stata la possibilità di confrontarsi per due incontri consecutivi con il Media Educator Michele Marangi. Riconoscendo nella realtà odierna un sistema sociale di cui i media sono parte integrante in modo tale da appartenere in maniera quasi naturale alle attività di comunicazione, scambio e costruzione della conoscenza, la Media Education come ci ha spiegato Marangi (2004), si pone l’obiettivo di sviluppare nei giovani un’informazione e comprensione critica dei media, intesi non solo come strumenti, ma come linguaggio e cultura. L’obiettivo della formazione, è stato quello di accrescere la comprensione dei media, del modo in cui funzionano e di come rappresentano la realtà. Marangi ha riflettuto sulla necessità di cambiare semantiche, insistendo sulla differenza sostanziale esistente fra i termini "informare", "comunicare" e "prevenire" e sull’opportunità di ragionare sulle dialettiche. A suo avviso le droghe, tra immagini ed immaginario, fra realtà e simbologie, non sarebbero solo sostanze ma processi sociali e culturali. Trovandosi di fronte a nuove droghe, a nuovi stili di consumo e a nuovi linguaggi, ci si interroga su come attrezzarsi per comunicare sul tema con le nuove generazioni, puntando l’attenzione sull’opportunità di provare a comunicare attraverso simboli ed immagini, stimolando le percezioni, utilizzando strumenti che permettano di focalizzare non dei problemi ma dei nodi. Questo 90 concetto è stato fatto comprendere meglio ai peer attraverso la visione di specifici filmati, cortometraggi, video clip, grazie ai quali si è permesso di mettere in comunione opinioni ed idee diverse. Marangi, ha inoltre precisato che lo sviluppo della consapevolezza di come l’utilizzo di un certo media incide sia sul modo di apprendere e di costruire la conoscenza, sia sugli orientamenti valoriali e i modelli di vita che essi propongono e che quindi l’uso pedagogico delle immagini può essere percepito come un boomerang: attraverso di esse si pensa di inviare dei contenuti ma si rischia ne arrivino altri. Non bisogna quindi limitarsi ad utilizzare flussi di immagini per attrarre, ma soprattutto tentare di stimolare alle domande ed alla riflessione, compito arduo che i peer hanno accolto con entusiasmo e voglia di mettersi alla prova. Dovendo trattare la tematica dei comportamenti a rischio, non si poteva non impegnare tempo e risorse per approfondire due tematiche importantissime: le sostanze psicotrope e le malattie sessualmente trasmissibili. Per quel che concerne le prime, si è richiesta la partecipazione del Dott. Polidori Edoardo, responsabile dell’Unità Operativa Complessa Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì. La formazione, che è stata svolta presso il nostro Servizio in data 28 agosto 2013, ha visto trattati i seguenti concetti: presentazione della struttura e del funzionamento dell’U.O.C. Dipendenze Patologiche, definizione del concetto di droga secondo l’OMS; distinzione tra uso, abuso e dipendenza (con connesse caratteristiche che definiscono quest’ultima); illustrazione delle tre macro aree che rappresentano gli effetti principali del principio attivo delle varie sostanze psicotrope: eccitanti, dispercettive e sedative; puntualizzazione della differenza tra drug, set e setting; visualizzazione delle varie vie di assunzione di una sostanza e pericolosità dei mix; spiegazione degli effetti indesiderati e delle tecniche di riduzione dei rischi; approfondimento sulla legge attualmente in vigore e chiarezza riguardo la differenza dei seguenti termini: legalizzazione, liberalizzazione, depenalizzazione e decriminalizzazione. Infine, il Dott. Polidori, ha redatto insieme ai peer una lista di siti web sia a livello nazionale sia internazionale sia trattassero queste tematiche in maniera scientifica, senza tralasciare aspetti importanti quali il target di riferimento e l’aspetto estetico del sito. Per quel che concerne le malattie sessualmente trasmissibili, è stata interpellata la Dott.ssa Loretta Raffuzzi, responsabile del Consultorio Giovani dell’Ausl di Forlì. In data 2 dicembre 2013, i peer sono stati accompagnati presso la 91 sede situata in Via Giorgina Saffi n°18 per ricevere informazioni dettagliate riguardo le prestazioni offerte. Essendo parte dell’Ausl di Forlì, anche il Consultorio Giovani permette l’accesso alle prestazioni in maniera gratuita e senza l’impegnativa medica. Si rivolge a ragazzi e ragazze di età compresa fra i 14 ai 20 anni, con la finalità di aiutare i giovani a mantenere e/o acquisire un benessere psicosessuale facendo propri i valori della libertà, del rispetto di sé e dell'altro; aiutare i giovani ad avere un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità ed il proprio corpo ed infine, aiutare i giovani ad assumere atteggiamenti e comportamenti preventivi rispetto al problema delle interruzioni di gravidanza, dell'AIDS e delle malattie sessualmente trasmesse. Nello specifico, la Dott. Raffuzzi, si è soffermata maggiormente su quest’ultimo punto, volendo sfatare inizialmente punto per punto quelli che sono considerati gli atteggiamenti negativi nei confronti del preservativo: percezione di minore piacevolezza nel rapporto; imbarazzo nell’acquisto; costo; “toglie spontaneità al rapporto”; non programmazione del rapporto sessuale e difficoltà interpersonali. Ha ricordato, inoltre, come questo, a differenza degli altri metodi di contraccezione, risulta l’unico che impedisce la trasmissione del virus dell’HIV. Successivamente ha delineato le fasi del virus, le modalità di trasmissione e come si evita il contagio. Ha informato i peer della possibilità di eseguire il test HIV, gratuitamente, senza prescrizione medica e in forma anonima presso il Reparto Malattie Infettive dell’Ospedale G. B. Morgagni di Forlì ed infine, ha fornito una panoramica sulle altre malattie sessualmente trasmissibili più diffuse quali l’epatite c, l’herpes genitale ed altre che si trasmettono per via batterica, come per esempio la clamidia e i papillomi. Le formazioni sono state, come precedentemente scritto, richieste e volute dai peer, per colmare eventuali lacune conoscitive e per instaurare un contatto diretto con i Servizi territoriali ai quali indirizzare i protagonisti delle chat per un’eventuale presa in carico. Scopo ultimo, ma di certo non trascurabile di queste formazioni, è stato quello di creare teste ben fatte e non soltanto ben piene (Morin, 1999), in modo tale da accrescere in loro la capacità di organizzare le conoscenze, ma anche di riflettere su se stessi e sugli altri. 92 4.6 APERTURA DEL PROFILO E DELLA PAGINA FB E ATTIVAZIONE CHAT A seguito delle formazioni con il Dr. Michele Marangi si è deciso quindi di optare per l’ingresso su Facebook. Questa decisione è stata il frutto di numerose equipe, durante le quali è emerso a più riprese la necessità di introdurre uno strumento funzionale alle attività svolte dai Peer. In particolar modo, una pagina Facebook gestita direttamente da parte dei Peer era già presente in numerose altre realtà facenti parte del progetto a scala nazionale. L’apertura di un account Facebook da parte dell’Unità Operativa Complessa Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì è stata preceduta da alcune valutazioni in merito a aspetti grafici, gestionali e legati alla responsabilità civile. Per quanto riguarda gli aspetti grafici si è proceduto col riprendere l’aspetto del progetto Web Corsairs, argomento già affrontato in precedenza. Da tale progetto, oltre al nome, si è scelto di riprendere il logo e la veste grafica per dare continuità al lavoro già svolto dall’equipe nel 2010 (Allegato VI, immagine n°7). Inoltre, è immediatamente risultato chiaro, come l’attività di maggiore interesse ai fini di un corretto svolgimento del progetto e delle sue finalità fosse quella delle chat, strumento che avrebbe consentito di rispondere tramite messaggi privati in maniera istantanea alle richieste dei follower. Tuttavia, tale strumento all’interno di Facebook è previsto solo nell’ambito della gestione di un “profilo”, ovvero uno spazio in cui ogni utente può creare il proprio profilo e inserire fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi privati o pubblici. Il profilo e la pagina sono stati pensati da Facebook con obiettivi e finalità differenti. Il profilo si configura come uno spazio personale e dovrebbe, pertanto, rappresentare una persona, non un’azienda o altro tipo di attività. La pagina è invece l’applicazione di Facebook predisposta per rappresentare un’azienda, un ente, una causa sociale, un personaggio pubblico e così via. Il profilo non è visibile a chi non è collegato a Facebook e pertanto la sua visibilità risulta legata al rapporto di amicizia, che nel caso di Youngle Corsairs è compreso esclusivamente nella fascia di età tra i 16 e i 25 anni. La pagina d’altro canto è sempre visibile, anche da chi non è amico del profilo o da chi non è iscritto a Facebook. Ne consegue che la scelta di iniziare con l’apertura di un profilo del progetto Youngle Corsairs si è scontrata quindi immediatamente con la possibilità che 93 Facebook, potenzialmente, potesse chiudere il profilo poiché non in linea con il regolamento “profilo personale e pagina aziendale”. Questa situazione di rischio è stata risolta con l’apertura di una pagina pubblica che permettesse di ottenere maggior visibilità, anche da persone terze, e di non perdere i contenuti che di volta in volta venivano caricati contemporaneamente sia sulla pagina sia sul profilo. Altra differenza tra profilo e pagina è il limite massimo di follower: il primo è di 5.000, il secondo non ne ha. Il profilo, come già detto, ha gli amici. Il rapporto di amicizia è bidirezionale: se Davide e Marco diventano amici acconsentono reciprocamente a rendere visibili i loro post/foto etc. all’altro. Inoltre, ogni qualvolta uno dei due pubblicherà qualcosa sul proprio diario, all’altro comparirà la notizia sulla propria home page. La pagina invece ha i fan: non gli amici. Il rapporto non è bidirezionale ma unidirezionale, ossia il fan cliccando su “mi piace” nella pagina che intende seguire, riceverà gli aggiornamenti della stessa nella sua home page, senza dover condividere le informazioni del proprio profilo. Il profilo può chattate con gli amici, la pagina non può chattare con i propri fan. Il profilo può taggare (che possiamo tradurre come linkare/citare) i propri amici e fan page. La pagina non può taggare i profili (nemmeno quelli dei fan), ma solo le pagine. Può al massimo rispondere pubblicamente ad un fan che abbia scritto sulla sua pagina o abbia commentato un post. Il profilo può mandare messaggi privati ad altri profili e alle pagine. La pagina non può farlo. Può solo rispondere a messaggi privati che gli utenti gli hanno scritto mediante l’apposito pulsante “messaggio”. Il profilo non permette di vedere le statistiche di accesso allo stesso. La pagina dispone delle statistiche "insight" che ci offrono un quadro preciso della vita della nostra pagina, dell'attività dei fan e del loro gradimento, strumento molto utile per verificare l’andamento del progetto. Il fatto che ogni utente per usufruire del servizio offerto deve necessariamente richiedere l’amicizia al profilo, è stata l’occasione e un’opportunità per poter escludere da tali attività ogni altra persona adulta e quindi consentire un dialogo diretto e senza intermediari tra l’utente e i peer: infatti, il profilo risulta accessibile esclusivamente a ragazzi e ragazze compresi nella fascia di età tra i 16 e i 25 anni. Per queste ragioni i contenuti che vengono esposti nella pagina sono per forza di cose diversificati rispetto a quelli inseriti nel profilo, appunto perché i primi 94 risulta di pubblica visibilità mentre i secondi indirizzati esclusivamente agli utenti accettati come “amici”. Nel profilo vengono inserite anche numerose informazioni di provenienza scientifica riguardanti il tema delle sostanze stupefacenti, spesso riprese e rilanciate all’interno del profilo di Youngle Corsairs a partire da siti di rilevanza internazionale. Nella pagina invece, essendo la vetrina pubblica del progetto, si è scelta come linea comunicativa quella di privilegiare l’utilizzo di contenuti accattivanti e di impatto immediato, anche al fine di rilanciare gli orari di chat previste nel profilo. Di seguito il disclaimer della pagina di Youngle Corsairs: Youngle Corsairs è un servizio di ascolto rivolto e gestito da ragazzi per informare sui comportamenti a rischio. Stay tuned! Presentazione: Youngle è una ciurma composta da giovani pronti ad ascoltarti, che ti offriranno occasioni di scambio, stimoli, domande, risposte e consigli su tutto ciò che ti preoccupa, mette a disagio o ti crea ansia... puoi però anche raccontarci ciò che ti rende felice o anche solo semplicemente fare due chiacchere con noi! Insomma.. puoi trovare un’ancora di salvataggio da tutto ciò che ti sta stretto e condividere con noi le tue esperienze. Youngle Corsairs è un servizio gratuito di ascolto e condivisione di temi riguardanti i comportamenti a rischio (sostanze, bullismo, sessualità, disturbi alimentari, ecc...) basato su un social network rivolto agli adolescenti e gestito da ragazzi, adeguatamente formati, che risponderanno in chat agli utenti Facebook negli orari stabiliti dal servizio. Privacy e trattamento dei dati: Quando ci si iscrive ad un social network è importante visualizzare le impostazioni relative alla privacy ed attivare tutte le funzioni che garantiscono la protezione della tua identità. Atteggiamenti virtuosi da mantenere nei social network: proteggere il proprio account modificando spesso la password controllare le impostazioni di sicurezza selezionare con cura gli amici e accettare la loro amicizia solo se li conosciamo veramente controllare ciò che gli amici scrivono su di noi, e se sono cose spiacevoli chiederne subito la rimozione ed annullare l'amicizia. personalizzare i settaggi della privacy rendendo disponibili i contenuti personali solo ad avatar fidati. negare alle applicazioni che si utilizzano la possibilità di accedere ai propri dati Non bisogna mai dimenticare che tutto ciò che è in rete può essere copiato, salvato e ridistribuito da terzi, senza peraltro che l'interessato se ne accorga. 95 Tutte le informazioni inviate e le chat vengono trattate e archiviate sotto la protezione di password e codici di accesso e pertanto accessibili al solo personale autorizzato che è tenuto: al segreto professionale e al trattamento dei dati sensibili. (Informativa ex art. 13 D. lgs. 196/2003- “ Codice in materia di protezione dei dati personali”). Il giorno 11 luglio 2013 sono stati quindi creati sia il profilo sia la pagina, ma si è scelto di attendere qualche mese prima di attivare le chat. Durante questo periodo è stata effettuata la formazione con il Dr. Polidori Edoardo, Responsabile dell’U.O.C. Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì, che, come ho avuto già modo di illustrare, ha trattato la tematica delle sostanze psicotrope (illegali e non). Questa formazione ha permesso ai peer di ricevere informazioni utili riguardanti un tema che sarebbe potuto emergere nelle chat e di uniformare una risposta per un eventuale invio al Servizio. Le riunioni seguenti hanno avuto come obiettivo principale quello di sperimentarsi nelle simulazioni di chat: grazie al materiale fornitoci nella formazione di Calderoni, è stato possibile simulare le chat utilizzando casi concreti. Nello specifico, è stato chiesto ad ogni peer di recarsi a turno in una stanza all’interno della quale vi era un personal computer e di rispondere via chat alla richiesta di ascolto/informazione/curiosità che gli veniva sottoposta. Dall’altra parte dello schermo, l’equipe degli operatori e i restanti peer seguivano la comunicazione. Questo si è dimostrato molto utile poiché ha permesso di rendersi conto in maniera tangibile delle difficoltà e dei punti critici che sulla carta non erano emersi: rispondere in maniera repentina al messaggio, utilizzare sempre un tono educato e disponibile anche se l’altro ci può contattare per provocare o per semplice curiosità, non farsi prendere dal panico pensando di poter risolvere ogni problema e ricordarsi che il servizio che viene offerto non è per rispondere alle emergenze. Inoltre, è stata effettuata una scelta strategica concordata dall’intera equipe: nei primi mesi di attivazione delle chat, i turni sarebbero dovuti essere coperti da due peer. Questa decisione, se da un lato è stata vincente perché ha tranquillizzato gli animi inizialmente perplessi e titubanti dei nostri peer nell’affrontare da soli le prime chat, dall’altro si è rivelata una lama a doppio taglio: è stato arduo il convincerli alla necessità di condurre la chat autonomamente per riuscire a coprire tutti i turni. Ad oggi (febbraio 2014), le chat vengono proposte due giorni alla settimana (lunedì e giovedì), in due fasce orarie diverse (pomeridiana: dalle 15,00 alle17,00 e serale: 96 dalle 21,00 alle 23,00), condotte da un solo peer, ma con la possibilità di contattare gli operatori per l’intera durata della chat. Inoltre, il progetto prevede la figura del supervisore (psicologo o psicoterapeuta), il quale può essere contattato qualora si dovessero presentare situazioni di emergenza o di possibile invio presso un Servizio territoriale. Quest’ultimo, durante una riunione mensile, effettua anche le supervisioni delle chat precedentemente archiviate e stampate, in modo tale da permettere un confronto tra i vari modelli comunicativi adottati dai peer e una lettura “a freddo” di ciò che è emerso dalla richiesta di ascolto dei nostri follower. Dall’attivazione delle chat (2 settembre 2013), come vedremo nel paragrafo “risultati ottenuti”, ne sono state compiute 22. Nell’immagine n°8 (Allegato VI), è possibile vedere la copertina creata dai peer (che richiama visibilmente il logo di Web Corsairs), indicante gli orari e i giorni di apertura delle chat. 4.7 GLI EVENTI E LA PROMOZIONE DEL PROGETTO Per quel che riguarda gli eventi, il primo è stato il meeting nazionale dal titolo: “Giovani e divertimento. Ponti fra mondo reale e mondo web” (ALLEGATO V) svoltosi a Forte dei Marmi il 18 e 19 giugno 2013, organizzato dal Ser.T. dell’Azienda Usl 12 di Viareggio insieme alla Società della Salute di Firenze. Questo workshop, che ha avuto come obiettivo finale quello di valutare il progress dei singoli progetti delle regioni partner, ha permesso inoltre di far incontrare per la prima volta i 70 peer provenienti dalle 8 regioni coinvolte e i rispettivi operatori facenti parte dell’equipe di lavoro. Nello specifico, durante la prima giornata, il tema discusso è stato: “Giovani, divertimento e nuove tecnologie” con i contributi di numerosi addetti ai lavori (tra cui Michele Marangi, Stefano Canali, Emanuele Palagi) e la partecipazione del comico Giobbe Covatta. Il secondo giorno è stato interamente dedicato al confronto: i peer da una parte, durante il quale hanno presentato i propri profili e discusso riguardo le criticità o punti di forza emersi nella conduzione delle chat, gli operatori dall’altra, dove hanno verificato le strategie di avanzamento del progetto e la messa in comune delle successive tappe di sviluppo. Come ricorda il titolo stesso del convegno, questo incontro è stato davvero fondamentale, perché ha permesso di creare ponti reali tra tutti gli Youngle esistenti a livello nazionale, collegati tra loro da legami virtuali. Altra importante tappa, per quel che riguarda il panorama regionale, è stata la possibilità di rivedersi dopo 4 mesi con i peer delle realtà di Forlì, Parma-Modena e Reggio Emilia, oltre che con i 97 peer di Youngle Zona di Sopravvivenza. Durante questa unica giornata di lavoro, coordinata dalla referente per la Regione Emilia Romagna, Dott.ssa Franca Francia, che si è svolta in data 26 ottobre presso il Centro Interculturale “Massimo Zonarelli” a Bologna, si è deciso di mettere in comune le idee per creare un logo che raffigurasse Youngle a livello regionale: i peer, precedentemente suddivisi in gruppi di provenienza diversa, hanno inizialmente discusso circa il messaggio da voler far veicolare e solo successivamente si sono impegnati nella ricerca di una grafica accattivante e idonea al target di riferimento. A seguito di una lunga discussione, è stato votato il progetto che maggiormente è riuscito a cogliere ogni aspetto specifico dei vari Youngle regionali, fondendoli tra loro (Allegato VI, immagine n°9). La scelta è stata consigliata anche dal gruppo dei peer di Firenze, che hanno preso parte alla giornata di formazione per riportare la loro esperienza di pubblicizzazione e sponsorizzazione del progetto nel territorio locale. Per non perdere il buon clima creatosi, si è deciso in seguito di formare un gruppo segreto Facebook “Youngle ER” per continuare a rilanciare future collaborazioni online. Infatti, dopo pochi mesi, in occasione della giornata mondiale per la lotta all’AIDS (1 dicembre 2013), è stata ideata dai peer un’immagine di copertina (Allegato VI, immagine n°10) da utilizzare al posto di quella dei singoli Youngle che avesse come tema principale l’utilizzo del profilattico durante un qualsiasi rapporto sessuale. In questo modo, si è resa visibile la congiunzione tra le varie realtà regionali, creando un continuum anche sull’importanza dei temi trattati che trasversalmente occupano le nostre bacheche. Nonostante il web, e Facebook nello specifico, permetta di dare ampio respiro e visibilità al prodotto che si vuole pubblicizzare, l’equipe ha deciso di pianificare una serie di azioni sul territorio per promuovere il progetto Youngle Corsairs. Per prima cosa, si è scelto di non stampare i flyer informativi del progetto in carta semplice, ma di utilizzare carta adesiva: sono state impresse circa 500 etichette in formato tascabile raffigurante il logo di Youngle Corsairs e il Barcode che indirizzava direttamente alla pagina FB (Allegato VI, immagine n°11). Queste, sono state affisse nei principali locali del centro storico frequentati dai giovani, nelle Biblioteche, nelle aule studio ed in punti strategici di attesa (fermate dell’autobus, stazione centrale, ecc). Inoltre, sono stati coinvolti i giornali locali, grazie ai quali sono comparsi numerosi articoli nelle testate dei quotidiani più rilevanti del territorio forlivese. 98 Contemporaneamente, i peer hanno eseguito una mappatura dei plessi scolastici del territorio, prendendo contatti con i rappresentanti di istituto e organizzando incontri durante le assemblee scolastiche. Si è deciso anche di presentare Youngle Corsairs all’interno dei Centri di Aggregazione Giovanile (Officina 52 e La Tana): la scelta è stata dettata dall’esigenza di informare quella parte di popolazione che in un contesto non strutturato, più frequentemente, manifesta la propensione ad assumere un comportamento a rischio. Grazie ai contatti dell’Unità di Strada dell’U.O.C. Dipendenze Patologiche, sono state effettuate due importanti eventi: “Youngle alle Indie” e “Cinefood”. Il primo, è nato dall’ormai storica collaborazione tra gli operatori dell’Unità di Strada e la discoteca “Indie I Love You” (Cervia, RA). In data 15 febbraio 2014, l’equipe dell’Unità di Strada e i peer di Youngle Corsairs hanno creato un doppio intervento nel medesimo luogo: l’UdS., situata all’esterno del locale, ha effettuato opere di prevenzione riguardante le sostanze psicotrope, con particolare riferimento all’alcol, offrendo la possibilità di accertare, in maniera anonima e gratuita, il tasso alcolemico; i peer, all’interno della discoteca, hanno organizzato una postazione nella quale era possibile fermarsi per ideare e scrivere uno slogan riguardante la tematica del sesso sicuro, facendosi fotografare mentre lo si mostrava. Come premio e visibile opera di sensibilizzazione, veniva regalato un profilattico. La seconda iniziativa ha visto come partner L’Urlo, bar animato da “La Fraternità”, cooperativa sociale della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi. Nello specifico, si è creato l’evento “Cinefood” (Allegato VI, immagine n°12), una rassegna cinematografica, composta da 6 film, dedicata ai temi del rischio e delle trasgressioni: a seguito di ogni proiezione, i peer hanno condotto un dibattito animato da domande e riflessioni proposte al gruppo di spettatori. I film sono stati scelti cercando di trattare il maggior numero di problematiche possibili durante la fase adolescenziale: abuso di sostanze stupefacenti, esclusione dal gruppo, razzismo, disturbi del comportamento alimentare, comportamenti sessuali non protetti, ecc. Di seguito viene riportato l’elenco dei film scelti dai peer: Little Miss Sunshine, L'Onda, Limitless, Charlie Bartlett, 21, Noi Siamo Infinito. Altro canale di visibilità è stato il collegamento tra Youngle Corsairs e la pagina Facebook dell’Unità di Strada di Forlì – BORDERLINE (Allegato VI, immagine n°13). Quest’ultima viene infatti visualizzata e seguita oltre che da molti colleghi di equipe dell’area della prevenzione di altre Aziende, da tutti quei ragazzi e 99 ragazze che intercettiamo durante le uscite nei locali del divertimento notturno del territorio forlivese. Infatti, grazie alla nostra pagina, riusciamo a comunicare loro in maniera tempestiva le date e i luoghi dei nostri futuri interventi. Importante spazio di ringraziamento va al giornalista-regista Alessandro Mazza di Cesena, redattore del magazine blog di libera espressione www.mazziatore.it, spazio di informazione che nasce per dare l'opportunità a chiunque voglia collaborare di scrivere dei propri interessi, per dare la propria chiave di lettura alle notizie locali e nazionali. Grazie alla sua indole curiosa e sensibile, si è affiancato al Dott. Polidori per richiedere numerose interviste riguardanti i temi cari al mondo delle dipendenze. A seguito di questo incontro, è venuto a conoscenza del progetto Youngle Corsair ed ha deciso di voler contribuire in maniera del tutto volontaria, all’opera di pubblicizzazione del servizio. A seguito della decisione dei peer coinvolti in Youngle Corsair di realizzare un video del progetto, da utilizzare per la promozione all’interno di istituti scolastici e altre strutture in cui intercettare possibili fruitori del servizio, Alessandro Mazza si è proposto di realizzare e seguire la regia di un prodotto multimediale, che avesse come scopo quello di presentare la principale tematica (comportamenti a rischio) e la possibilità di effettuare chat con peer esperti in materia. Il video è disponibile su Youtube al seguente link http://www.youtube.com/watch?v=1KXHZU2QlUY. Inoltre, in occasione dell’evento regionale tenutosi a Bologna il 26 ottobre 2013, lo stesso regista si è offerto spontaneamente di effettuare riprese dell’evento, utilizzate poi per il montaggio di un video che presentasse il lavoro congiunto delle tre realtà del coordinamento regionale. Tale materiale è anch’esso visibile su Youtube al seguente link http://www.youtube.com/watch?v=WHyXLfsuMTM. 4.8 RISULTATI OTTENUTI Oltre agli obiettivi generali che sono stati raggiunti in maniera diversificata dalle 8 Regioni coinvolte, e quindi anche dalla Regione Emilia-Romagna, nel corso della durata biennale del progetto nazionale CCM Social Net Skills, è stato utile e doveroso soffermarsi anche sul nostro specifico prodotto: Youngle Corsairs. Di seguito, vengono riportati i dati relativi a tre indicatori: il profilo FB, le chat effettuate e la pagina FB. 100 PROFILO: ad oggi (febbraio 2014), risultano accettate 541 richieste di amicizia in meno di 7 mesi dall’ingresso nel mondo di FaceBook. Questo numero permette di posizionare Youngle Corsairs al primo posto rispetto agli altri profili nazionali per maggior numero di amici: Youngle Corsairs (Forlì): 541 Youngle Is (Savona): 463 Youngle Zona di Sopravvivenza (Firenze): 398 Youngle LoveAffair (Modena – Parma): 393 Youngle Stabiae (Castellamare di Stabia): 359. CHAT: come è già stato descritto, le chat vengono effettuate dai peer e archiviate immediatamente per tutelare il più possibile la privacy degli utenti. Tutte le chat sono state svolte durante la fascia pomeridiana (lunedì e giovedì dalle ore 15,00 alle ore 17,00), con utenti dell’età di 18 anni, tranne un ragazzo di 15 anni e una peer di 26 anni del profilo Youngle di Firenze. Tutte le chat, si sono verificate a seguito della pubblicizzazione nelle scuole. Gli argomenti trattati sono stati: lutto di un amico, aiuto nella scelta sentimentale, sessualità (perdite e frequenza dei rapporti), relazione in classe (esclusione dal gruppo), condivisione delle problematiche familiari e aiuto nelle scelte progettuali per il futuro. Delle 22 chat effettuate, 20 sono state con ragazze e due con ragazzi; cinque di loro, hanno ricontattato i peer più volte, fino ad un massimo di 4 conversazioni consecutive. PAGINA: i dati riportati qui di seguito, che fanno riferimento al periodo che va dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014, sono stati estrapolati grazie alla nuova funzione Insights di Facebook. Questa, fornisce parametri relativi alle prestazioni della pagina, permettendo di guardare i dati demografici anonimi relativi ai followers per capire come questi scoprono e rispondono ai post. Unica condizione minima richiesta per poter usufruire di questo strumento di analisi (gratuito) di Facebook è avere almeno 30 “mi piace” alla propria pagina. Le cinque sezioni esaminate, permettono di far capire il target a cui stiamo comunicando e quindi di poter pianificare la strategia comunicativa più efficace. Sezione “mi piace”: dalla creazione della pagina, i “mi piace” totali sono attualmente arrivati a 202 (Grafico 1). Per quel che riguarda i “mi piace” netti (Grafico 2), ovvero i “mi piace” al giorno, si registrano i maggiori picchi durante il 101 periodo natalizio e nella seconda settimana di febbraio (a seguito verosimilmente dell’evento Youngle alle Indie”). Grafico 1 – “Mi piace” totali della pagina Youngle Corsairs: andamento mensile dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014. "Mi piace" 250 200 150 100 50 0 Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Grafico 2 – “Mi piace” netti della pagina Youngle Corsairs: andamento giornaliero dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014 20 "Mi piace" 17 "Non mi piace più" 14 11 8 5 2 -1 -4 Sezione “portata”: non avendo effettuato un contratto a pagamento con FaceBook, le visite alla pagina sono state esclusivamente spontanee. Dopo un 102 periodo iniziale, che fino a dicembre 2013 ha visto solamente un picco di 62 visite ai contenuti della pagina, a seguito della suddivisione e gestione dei turni da parte dei peer e del corso di formazione del Dott. Michele Marangi, la portata dei post e quindi la visibilità della pagina si è moltiplicata sino a sette volte, raggiungendo il valore assoluto più alto il 14 gennaio con 558 interazioni spontanee (Grafico 3). Se, come abbiamo visto precedentemente, i “mi piace” nel periodo tra settembre e dicembre sono stati pressoché nulli, dopo l’8 dicembre, è stato raggiunto il numero massimo di 10 “mi piace” al giorno fino al 3 gennaio (con 18 “mi piace”), per poi subire un andamento instabile con picchi a seguito degli eventi proposti: 11 “mi piace” il 7/01; 47 “mi piace” il 13/01; 19 “mi piace” il 21/01; 12 “mi piace” il 29/01; 31 “mi piace” il 31/1; 15 “mi piace” il 6 /02 e 23 “mi piace” il 12/02. Soddisfacente è anche il dato riguardante la condivisione dei link appartenenti alla pagina: il valore massimo è stato registrato il 13 gennaio 2014 con 12 post condivisi. Per quel che riguarda i commenti, non hanno mai superato il valore di 6 in un unico giorno (12 dicembre 2013), e sono stati maggiori nel mese di gennaio (Grafico 4). Questo è comprensibile, poiché la pagina non ha come obiettivo quello di suscitare un dibattito in bacheca, bensì quello di sviluppare curiosità e riflessioni in merito ai temi trattati. Ad oggi, infine, nessun post è stato segnalato per i contenuti inappropriati e nessuno dei followers ha utilizzato l’opzione “nascondi post” o peggio “nascondi tutti i post”. Grafico 3 – “Portata totale” della pagina Youngle Corsairs: andamento giornaliero dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014 1000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 103 Grafico 4 – “Portata” suddivisa per tipo di interazione della pagina Youngle Corsairs: andamento mensile dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014 160 "Mi piace" Commenti 22 Condivisioni 140 18 120 100 19 3 80 4 7 60 120 82 40 55 20 5 2 0 0 Agosto Settembre Ottobre 0 Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Grafico 5 – “Numero visite” suddivise per ciascuna scheda della pagina Youngle Corsairs: andamento mensile dal 20 agosto 2013 al 28 febbraio 2014 250 225 200 Altri "Mi piace" Foto Informazioni Diario 175 150 125 100 75 50 25 0 Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Sezione “visite”: la pagina, oltre al canale privilegiato di Facebook, è stata raggiunta prevalentemente tramite la ricerca in Google e Yahoo (8 volte in totale). Da segnalare anche l'accesso effettuato più volte da un sito web gestito da giornalisti 104 cesenati: www.mazziatore.it. Le visite alle varie schede della pagina (diario, foto, “mi piace”, informazioni, altro), sono state quasi totalmente incentrate sul diario, poiché è in quest’ultimo che vengono pubblicati i post ed effettuati i rimandi al profilo. Interessante anche il numero che ha ricevuto la scheda informazioni, vera e propria carta d’identità dove si spiega in maniera chiara ed immediata la finalità del progetto. Sezione “post”: mediamente i post pubblicati da altre persone esterne al progetto, non sono mai stati più di 2 al giorno. I fans, essendo per la maggior parte studenti, risultano maggiormente attivi nella fascia pomeridiana (con il picco alle ore 14) e in quella serale (con il picco alle ore 19). Questi, sono gli orari nei quali anche gli stessi peer pubblicano con maggiore intensità sulla pagina. Per quel che riguarda i giorni nei quali i followers visualizzano i post pubblicati nella pagina, risultano la domenica come giorno con più visualizzazioni, ed il giovedì come quello con meno, anche se la differenza non è rilevante. Questo implica che la pagina risulta seguita con continuità durante tutta la settimana. La portata media dei post, ovvero il numero di volte che questi appaiono nelle home dei nostri fans, risulta essere 65 per le foto, 62 per gli stati e 46 per i link. Questo dato non stupisce, poiché è risaputo che le immagini, soprattutto se riguardanti i followers, attirano maggiormente rispetto agli stati o ai link. Sezione “persone”: i fans della pagina risultano essere per il 62% donne contro il 37% uomini, nonostante Facebook abbia a livello mondiale più utenti uomini (54%) che donne (46%). La fascia d’età che segue maggiormente la pagina (basandosi sui “mi piace”), è quella tra i 18 e 24 anni (47%), segue la fascia tra i 25 e i 34 anni (26%) e quella tra i 13 e i 17 anni (9%). E’ importante ricordare a questo proposito, che gli altri Youngle regionali raggiungono percentuali più elevate nelle fasce basse d’età. Questo, in parte, può essere spiegato anche dall’età stessa dei peer, i quali nel nostro caso, sono universitari, mentre nel caso delle altre due realtà (Parma-Modena e Reggio Emilia) appartengono ancora al mondo della scuola superiore di secondo grado. Inoltre, dal Grafico 6, emerge come quasi il 60% dei fans abbia indicato nel proprio profilo come città di residenza Forlì, seguito però da un 15,8 % che risiede nelle altre Regioni e da un 14, 4 % negli altri distretti della Romagna: questo dato, è indice della collaborazione tra i vari progetti e della visibilità che si cerca di offrire condividendo rispettivamente post da altri profili Youngle. 105 Grafico 6 – % delle caratteristiche socio-anagrafiche dei fans di Youngle Corsairs. 70,0 62,0 58,4 60,0 47,0 50,0 37,0 40,0 30,0 22,0 20,0 15,8 14,4 9,0 10,0 8,0 8,0 8,9 3,0 0,5 0,0 202 fans Infine, nel Grafico 7, viene illustrato l’attuale (febbraio 2014) numero di fans di ogni Youngle attivo su Facebook. Youngle Corsairs risulta al quarto posto con 202 “mi piace”. E’da sottolineare che due dei sette Youngle (Youngle Angles, Youngle Io Ci Sono) hanno scelto di aprire solo la pagina Facebook, a discapito del profilo. Grafico 7 – Numero dei fans delle varie pagine Youngle a livello nazionale. 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 397 358 250 202 106 188 165 103 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE Come già precedentemente osservato, la metodologia della peer education negli ultimi anni si è diffusa piuttosto rapidamente a livello mondiale e molti autori ritengono possa essere in grado di raggiungere gli obiettivi di salute, soprattutto nella popolazione giovanile, molto più efficacemente dei vecchi mezzi informativi, poiché utilizza la modificazione delle conoscenze, degli atteggiamenti e dei comportamenti attraverso la rete e la comunicazione tra coetanei. Alla base del modello di educazione tra pari, come già riportato, sussiste l'idea che gli stessi "fruitori" dell'intervento possano essere protagonisti principali dei progetti di promozione del proprio benessere psicofisico, relazionale e ambientale a scuola e nel territorio. E’ stato inoltre dimostrato come tale metodologia sia stata applicata a livello internazionale (principalmente USA e Canada con particolare attenzione alla prevenzione della diffusione del virus dell’HIV e all’attivazione e sviluppo di importanti “reti multimediali” attraverso Internet) ed europeo (progetto “Europeer”: centro di coordinamento internazionale per l’elaborazione delle linee guida europee sull’educazione tra pari per la prevenzione dell'AIDS), per essere poi esportata anche a livello nazionale, seppur con un ritardo notevole. Oggi, il panorama italiano, ha constatato negli ultimi anni un notevole incremento nella realizzazione di esperienze di peer education come modello di lavoro con i ragazzi, ma è fuor di dubbio che proporre un intervento nel mondo reale sia alquanto diverso dal proporlo in quello virtuale. Parte da questa sfida il progetto CCM “Social Net Skills: promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio”, progetto promosso dalla Regione Toscana e finanziato da CCM - Ministero della Salute che coinvolge 8 regioni (Toscana, Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Puglia, Umbria, Liguria, Campania). Il progetto ha previsto la realizzazione di piattaforme sul web tramite i social network in ognuna delle sedi del progetto e l’apertura di uno o più servizi online con proprie finalità e specifici obiettivi. La necessità di creare spazi virtuali nei quali fosse possibile agganciare la fascia d’età adolescenziale e le problematiche connesse, come già specificato, deriva spesso dalla mancanza di risposte attendibili da parte dei numerosi siti esistenti, 107 inerenti le tematiche care al mondo adolescenziale (sostanze psicotrope legali ed illegali, gioco d’azzardo, disordini alimentari, malattie sessualmente trasmissibili, ecc). Se nel reale, sono presenti servizi privati o sociali che forniscono interventi adeguati o perlomeno specifici, nel panorama virtuale tale servizio risulta carente. In particolare modo, nel contesto virtuale, presenta ampi margini di sviluppo un servizio di consulenza peer to peer affiancato da operatori esperti, appartenenti al mondo istituzionale. Allo stesso modo, si nota un’assenza da parte delle istituzioni, enti, agenzie, deputati alla prevenzione in questi luoghi virtuali di aggregazione spontanea poiché spesso la scarsa conoscenza da parte degli operatori all’uso e ai linguaggi del web, crea un muro tra i cosidetti “nativi digitali” e l’accesso all’opportunità di ricevere online una presenza qualificata e professionale. In tal senso il progetto ha consentito di effettuare un notevole passo in avanti poiché ha permesso, per la prima volta a livello nazionale, l'attivazione di percorsi di auto-aiuto e counselling online sul principale social network utilizzato dalla popolazione giovanile: Facebook. Il progetto CCM Social Net Skills, si è collocato quindi in una zona che possiamo definire “altra”, a fianco dei servizi tradizionali, sperimentandosi nel mondo virtuale facendo proprie le potenzialità della peer education. La possibilità che mi è stata offerta dal Direttore dell’ U.O.C. Dipendenze Patologiche, il Dott. Polidori Edoardo, di poter coordinare la realtà forlivese del progetto CCM Social Net Skills è stata davvero immensa e ha consentito di fornire una risposta al quesito posto all’inizio del presente elaborato: può esistere una prevenzione 2.0 basata sulla peer education, il cui scopo è trasformare il soggetto, quasi sempre un adolescente, da "passivo" e disinformato in "soggetto d'esperienza" in grado di trasmettere attraverso le nuove piattaforme digitali, saperi ad altri suoi coetanei? Alla luce dei risultati emersi, descritti precedentemente, è possibile affermare che le potenzialità della metodologia peer education possono essere traferite sul mondo virtuale dei social network. Se è vero da un lato che la valutazione di quest’ultima non può essere effettuata in maniera esauriente, sono comunque sottolineabili i risultati ottenuti in termini di numero di contatti, chat effettuate e visibilità dei contenuti come specificato nel dettaglio nell’utimo paragrafo del quarto capitolo. Tale visibilità è andata ovviamente a favorire una corretta informazione 108 riguardante le tematiche dei comportamenti a rischio e dell’assunzione di responsabilità nel compiere scelte consapevoli. D’altro canto è utile ribadire come la risorsa, forse la più importante, è quella costituita da coloro che, come peer educator, accettano di mettersi in gioco per sviluppare le proprie abilità e conoscenze personali al fine di diventare protagonisti attivi delle proprie scelte di salute in un meccanismo che non può che risultare contagioso. Infatti, la principale motivazione che porta alla realizzazione dei progetti di peer education è proprio quella di permettere ai giovani di "educarsi" a vicenda, di mettersi in discussione, di elaborare i propri vissuti, di riconoscere le proprie emozioni, le proprie credenze, spesso errate, rispetto a ciò che può essere considerato un comportamento a rischio. La recente proroga concessa al progetto CCM “Social Net Skills: promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio” con termine al marzo 2016, ha permesso di affrontare alcuni possibili sviluppi futuri del progetto stesso. Nello specifico è in fase di sperimentazione un’applicazione per Iphone e Android dal nome “Youngle App”, che dia la possibilità di sfruttare i servizi offerti dal progetto Youngle direttamente dal proprio smartphone in modalità rapide e dirette, senza la necessità di una postazione fissa o di un personal computer. Inoltre è in fase di realizzazione di un e.book dal titolo “The Youngle Papers: un e.book di buone pratiche”, che descriva e presenti il progetto Youngle, il ruolo dei peer all’interno del progetto e nelle tecniche di conduzione delle chat. La pubblicazione rappresenterà un importante riferimento come linee guida per l’applicazione del progetto in altri contesti nel prossimo futuro, presentando i dettagli per l’applicazinoe del metodo della peer education online e ogni accorgimento e migliori strategie per la buona riuscita delle azioni previste. La peer, per concludere, se da un lato si configura come una metodologia di prevenzione/promozione della salute che vede protagonisti "i giovani per i giovani", dall'altro necessita di un "dietro le quinte" solido e funzionale alla sua realizzazione. In qualità di coordinatore del progetto Youngle Corsairs, ho avuto la possibilità di lavorare all’interno di un’equipe che ha consentito di svolgere al meglio quest’azione importante e non trascurabile. Convinzione comune alla base dell’operatività è il considerare i giovani, a prescindere dall’età, portatori di esperienza che può essere condivisa con altri. Lavorare con i peer educator significa 109 quindi validare la loro esperienza e stimolare il loro desiderio di imparare e soprattutto di condividere ciò che hanno appreso. Per fare questo è necessario creare un clima di sostegno che stimoli le domande, il dibattito e la riflessione personale. Personalmente, mi è risultato gradito lavorare e sperimentare la peer education 2.0, comprenderne lo spirito e sentirmi responsabile nei confronti dei peer nell’aiutarli e nel sostenerli in un processo di crescita personale e di assunzione di responsabilità riguardo al compiere scelte consapevoli. Sono molte le persone che hanno preso parte, in modo diretto o indiretto alla realizzazione del progetto. Desidero citarle e ringraziarle una per una per il prezioso contributo che hanno dato mettendo a disposizione competenze, professionalità, e un sano protagonismo: I peer di Youngle Corsairs: Virginia, Ludovica, Laura, Lorenzo e Giacomo La redazione di Youngle Corsairs: Elisa Tramonti, Lydia Ricci, Alessandra Lentidoro, Daniele Luciani, Ornella Roselli. Il responsabile dell’UOC Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Forlì: Edoardo Polidori Il Coordinamento Regionale Emilia Romagna: Franca Francia, Jody Libanti, Nora Marzi, Mario Cipressi, Francesco Rossi. Il Coordinatore Nazionale del progetto CCM Social Net Skills: Stefano Alemanno Tutti gli operatori ed i peer degli altri progetti: Youngle Zona di Sopravvivenza, Youngle LoveAffairs, Youngle Io Ci Sono, Youngle Is, Youngle Stabiae e Young Angles. 110 ALLEGATO I Ministero della salute Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie Programma 2011 Regione Toscana SOCIAL NET SKILLS promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio PROGETTO ESECUTIVO - PROGRAMMA CCM 2011 DATI GENERALI DEL PROGETTO PROPONENTE: Regione Toscana, Direzione Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale, Settore Servizi alla Persona sul Territorio - P.O. Dipendenze. ENTE RESPONSABILE DELL’ESECUZIONE: Regione Toscana TITOLO: “SOCIAL NET SKILLS”, promozione del benessere nei contesti scolastici, del divertimento notturno e sui social network, tramite percorsi di intervento sul web e sul territorio 111 NUMERO ID DA PROGRAMMA: 11 SI PROGETTO INTERREGIONALE 1 : X NO REGIONI COINVOLTE: numero: 8 elenco: Toscana, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Campania, Puglia, Lazio COSTO: …400.000,00 € COORDINATORi SCIENTIFICI DEL PROGETTO: nominativo: dr. Stefano Alemanno struttura di appartenenza: Società della Salute di Firenze/Comune di Firenze n. tel: 3387954519/055 2616832 n. fax: 055 2767400 E-mail: [email protected] nominativo: dr. Guido Intaschi struttura di appartenenza: Azienda USL n.12 U.F.Ser.T. Viareggio n. tel: 0584/6056620 n. fax: 0584/46202 E-mail: [email protected] 1 Il progetto è da intendersi interregionale quando sono coinvolte Regioni, Università e strutture sanitarie locali differenti dalla Regione proponente 112 Allegato 1 TITOLO: SOCIAL NET SKILLS ANALISI STRUTTURATA DEL PROGETTO Descrizione ed analisi del problema “Gli adolescenti di oggi hanno la stessa età di internet. (…) L’indagine “Cittadini e nuove tecnologie” (ISTAT 2009), riporta che in Italia il 54,3 % delle famiglie possiede un personal computer e il 47,3% ha un accesso domestico a internet. Sempre nel 2009 il 44,4% (sopra i sei anni) naviga online, ma il picco di utilizzo del computer si raggiunge tra gli 11 e i 19 anni (89-82% rispettivamente) e per internet tra i 15 e i 24 anni (oltre il 75% dei soggetti ha navigato negli ultimi 12 mesi, con picco dell'83% medio a 19 anni), per poi decrescere rapidamente con l'aumentare dell'età. L'internauta tipo ha 15-24 anni.” (A. Calderoni, “Aiutare online”) Ed ancora più interessanti sono i dati riportati dalla Società Italiana di Pediatria nella ricerca “I ragazzi e la tecnologia” 12/14 anni 97% ha il computer 51% si collega al web ogni giorno 75% usa chat e messenger 80% you tube 41% ha un blog 50% è iscritto a facebook 21,7% naviga la sera prima di addormentarsi «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», afferma Paolo Ferri docente di Tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, che studia e promuove da anni il «digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellulare sono «abituati a vedere la risoluzione di compiti cognitivi come un problema pragmatico», aggiunge. Nishant Shah, che a 26 anni dirige il Center for Internet and Society di Bangalore in India, afferma che «La tecnologia dei nostri padri è quella televisiva: un modello analogico che stabilisce ruoli, responsabilità e struttura della produzione, diffusione e consumo di conoscenza. Con l'esplosione del peertopeer – l'idea di una rete dove non esiste gerarchia e tutto viene condiviso – i ruoli sono messi in discussione dallo studente, che si considera parte attiva nella produzione di sapere e vede i libri come una fonte tra le tante», Il Sole 24ore, gennaio 2011. Se è vero che la frase «l'ha detto internet» ha assunto tra i bambini l'autorevolezza di una sentenza della Cassazione, è innegabile che la Rete sia la patria del vero-simile. «Internet sta ridisegnando i confini della verità – continua Shah – e questo pone grandi sfide per gli educatori del XXI secolo: come si fa a imparare utilizzando fonti che non hanno approvazione istituzionale? Come si può riconoscere un valido provider di conoscenza nel caos online?». Un microepisodio, raccontato dal guru dei nuovi media Clay Shirky. Una bimba di 4 anni stava guardando un dvd con i genitori. Di punto in bianco, nel bel mezzo del film, la 113 piccola è saltata giù dal divano ed è corsa dietro al televisore. Il padre ha pensato che volesse verificare se le persone del film fossero realmente nell'apparecchio. Lei frugava tra i cavi dietro il monitor e alla domanda «Che stai facendo?» si sporse da dietro lo schermo e rispose: «Cerco il mouse». Ecco un'idea che è già ben piantata nella mente di un bambino di oggi: uno schermo senza mouse ha qualcosa di strano. I media che si rivolgono a te senza permetterti di partecipare sono alquanto impertinenti. Una volta che si è aperta a tutti la possibilità di consumare, produrre, risolvere problemi e condividere interattivamente contenuti in rete, è difficile tornare indietro. ADOLESCENTI, SVILUPPO, DIFFICOLTA' E UTILIZZO DELLA RETE L'adolescente sperimenta ansie, sofferenze e disagi che non sono patologici ma che riguardano aspetti specifici del suo percorso di crescita, ossia i compiti di sviluppo propri della fase evolutiva che attraversa. Non necessita di cure ma di sostegno, sia da parte di adulti significativi e competenti - nella relazione con i quali soddisfa il bisogno di rispecchiamento - sia da parte del gruppo dei coetanei (peer). Come afferma G. Pietropolli Charmet, “I nuovi adolescenti”, il gruppo spontaneo dei pari è diventato la famiglia sociale degli adolescenti attuali e lavora parallelamente alla famiglia naturale e non sempre in competizione con essa o in sua sostituzione. “Per soddisfare la voglia e il bisogno di comunicare in modo immediato con gli altri, i ragazzi si affidano alla rete, raccontandosi e parlando di sé, del proprio umore, dei problemi, delle passioni e dei propri idoli in uno spazio virtuale comune di incontro, in cui gli altri sono spettatori di un mondo creato e gestito da loro.” L. Bernardo. Dipartimento Materno Infantile, Ospedale Fatebenefratelli, Milano, dall’introduzione ad “Aiutare online” di A. Calderoni. Ma è anche probabile che un adolescente oggi entri in contatto con coetanei che utilizzano sostanze psicoattive e debba quindi decidere se usarle o no. L'ampia diffusione del consumo porta a ritenere che l'utilizzo di droghe sia oggi un aspetto, fra gli altri, della costruzione della identità. Alcol, tabacco e cannabis fanno parte dei consumi adolescenziali al pari di alcuni generi musicali, di abbigliamento. “Il primo contatto con le sostanze e l'uso casuale o episodico sono sopratutto connessi ai propri bisogni esplorativi, al desiderio di avventura, ai processi imitativi tipici dell'adolescenza. E coinvolgono, infatti, un numero elevato di ragazzi.” (Pietropolli Charmet). E la formula più rapida ed immediata per trovare una risposta a questo bisogno oggi è anche quella di affidarsi a qualcuno che ne può sapere di più e che è presente e disponibile online. “La fame adolescenziale di relazioni orizzontali promuove un’estrema disponibilità nei confronti delle influenze che provengono dai coetanei” (G. Pietropolli Charmet, op.cit, pp. 231). E la rete offre l'importante possibilità all'adolescente di sperimentare l' appartenenza ad una comunità di pari. In positivo ed in negativo. Sono carenti però nel panorama nazionale interventi stabili e continuativi fondati sull’integrazione tra enti, istituzioni, agenzie, sulla creazione di reti territoriali e virtuali (web) di servizi e sul coinvolgimento a tutti i livelli delle comunità locali che divengono al tempo stesso fruitori e fornitori di interventi di promozione della salute. E’ necessario quindi creare spazi virtuali che costituiscano un habitat ottimale per gli adolescenti, siano in grado di sostenerne la fragilità, possano aiutarli a tollerare le frustrazioni con cui si scontrano quotidianamente. Soluzioni proposte sulla base delle evidenze I social network sono luoghi virtuali che si intrecciano a livelli reali. Solo in Italia Facebook ha 18 milioni di profili, a gennaio 2008 erano 216 mila. Le statistiche parlano chiaro sul fronte anagrafico: il 93% degli under 29 ha un profilo Facebook. 114 Gli under 18 partecipano al social network con 3,4 milioni di persone, aggiudicandosi il secondo posto in classifica. In questa realtà virtuale si assiste ad una proliferazione indiscriminata di siti e profili che danno consigli ed informazioni su argomenti quali sostanze stupefacenti, bevande alcoliche, gioco d’azzardo, modalità di controllo e autogestione dei disordini alimentari. Riteniamo che, per chi si occupa di prevenzione sia sempre più necessaria una presenza qualificata e professionale in questi ambiti di aggregazione spontanea. E’ uno scenario nel quale brilla l’assenza delle strutture pubbliche o dei servizi sociali che pur rappresentano una realtà territoriale ricca e variegata, ma che spesso risulta di difficile accesso ai nuovi “nativi digitali”, anche per la scarsa conoscenza da parte degli operatori di servizi dell’uso e dei linguaggi del web (digital divide). Il “digital divide” è un muro che produce una separazione verticale tra chi fa parte della comunità virtuale del web e chi ancora ne resta fuori. Ma non basta essere presenti se non si tiene conto del linguaggio e delle modalità di comunicazione proprie di chi usa i social network. E’ quindi necessario avvalersi anche della partecipazione, nella relazione con l’adolescente, di operatori peer adeguatamente formati supportati e supervisionati da operatori del servizio pubblico e del privato sociale. Operatori peer in grado di offrire ascolto sulle pagine di profili appositamente creati. Una volta che il dialogo è avviato, il servizio può offrire all’adolescente un livello di approfondimento ulteriore, in grado quindi di sviluppare relazioni di aiuto e di consulenza da parte degli stessi operatori (psicologi, medici, educatori professionali) che hanno formato i peer. E per affrontare questo scenario “SOCIAL WEB SKILLS” prevede tre livelli di counseling: la chat, la mail, il telefono. La consulenza online può rappresentare uno degli strumenti di accompagnamento e di sostegno alla realizzazione dei compiti evolutivi dell’adolescente. Inoltre la consulenza on line può intercettare le varie forme di disagio adolescenziale e, attraverso il dialogo e il confronto con coetanei, offrire ascolto e accompagnamento. Mentre nelle situazioni patologiche, che senz’altro costituiscono una minoranza, si può, attraverso la rete dei servizi, agevolare un invio ai servizi stessi. Social Net Skills si colloca in una zona diversa ma contigua, a fianco dei servizi educativi e sociali. Il passaggio di conoscenze/esperienze tra soggetti di pari status è dimostrato essere funzionale a migliorare le potenzialità personali e favorire capacità di socializzazione e di apprendimento. Con il supporto di adulti competenti permette di creare nei diversi contesti educativi la formazione di soggetti intesi non solo come “destinatari finali”, ma come protagonisti di azioni/attività nei confronti dei coetanei. L’adattamento alle diverse realtà di intervento, la formazione strutturata di giovani e adulti ed il coinvolgimento “a cascata” di un numero sempre maggiore di ragazzi rappresentano le premesse per dare continuità ed incisività alle attività portandole a sistema. Fattibilità /criticità delle soluzioni proposte Nel nostro paese si sono recentemente segnalate le esperienze che, unitamente a quelle nel campo della peer education, sono maturate nel progetto CCM “Utilizzo della strategia di prevenzione di comunità nel settore delle sostanze d’abuso”. Il suddetto progetto CCM, realizzato nel biennio 2007-2009, si pone infatti come un punto di riferimento di primaria importanza considerando che: 6. è ormai consolidato un elevato livello di collaborazione inter-regionale, considerando che i partecipanti provenivano da dieci regioni italiane; 6. nei diversi contesti si è realizzata una significativa cooperazione inter-organizzativa e interistituzionale, con la partecipazione di strutture educative, strutture sanitarie, cooperative ecc.; 6. gli operatori hanno dato vita a un network/comunità di pratica distribuito sul territorio che continua a essere fonte di apprendimenti tecnici e di arricchimento culturale per gli operatori stessi. 115 6. citiamo infine i risultati raggiunti da uno degli output di quel progetto, il sito sostanze.info: dati al maggio 2011: un milione di visitatori unici, 10.000 domande/risposte all’utenza, area riservata con 250 operatori della prevenzione di 9 regioni italiane, 150 progetti di prevenzione pubblicati e online. Da queste premesse procede la presentazione del nuovo progetto “SOCIAL NET SKILLS”, che ha la finalità di costruire e condividere percorsi e interventi di prevenzione tra la Regione Toscana proponente e le sette regioni che hanno aderito al nuovo progetto: Emilia-Romagna, Liguria, Campania, Lombardia, Umbria, Puglia e Lazio. Si tratta di una rete nazionale in grado di sostenere nuovi e più complessi interventi, cui hanno manifestato il proprio interesse anche la Regione Sicilia disponibile a mettere a disposizione del progetto due strutture sequestrate alla mafia e riutilizzabili a scopi sociali e formativi. Per quanto riguarda la Regione Lazio che ha già partecipato al precedente CCM del 2006 con un prezioso contributo formativo nel campo delle life skills e della peer education, ha inviato la sua adesione formale negli ultimi giorni di stesura del progetto attuale. Pertanto il coordinamento dell’ente proponente si ripropone di attivare specifici percorsi formativi e di destinare adeguato piano finanziario per la Regione Lazio, qualora venisse approvato definitivamente il progetto “SOCIAL NET SKILLS”. Attraverso il supporto degli esperti e facilitatori impegnati nel nuovo progetto, la comunità sarà quindi coinvolta nella predisposizione di interventi adattabili a specifiche esigenze locali ma allo stesso tempo rispondenti a criteri omogenei di impostazione e attuazione sul campo e per la diffusione di metodologie di promozione della salute basate sull’adozione consapevole e responsabile di comportamenti adeguati e salutari. SOCIAL NET SKILLS propone quindi un nuovo step: quello dell’apertura sui social network maggiormente utilizzati dagli adolescenti di pagine e profili finalizzati all’intercettazione del disagio adolescenziale in aree quali l’affettività, la sessualità, le sostanze, l’alimentazione, per avviare percorsi di aiuto online e di prevenzione dei comportamenti a rischio, consumo di alcol, tabacco, sostanze. Anche perchè esistono delle barriere che impediscono talvolta ai ragazzi di chiedere aiuto per questi loro malesseri più o meno accentuati: vergogna, inconsapevolezza, mancanza di dialogo con gli adulti, indisponibilità di un servizio di ascolto a scuola, isolamento sociale. L’intervento online funziona se fornisce strumenti di auto-aiuto agli adolescenti, se da loro un sostegno emotivo, se parla con il loro linguaggio e la loro velocità, se non impone, ma propone di offrire agli adolescenti abilità per proteggerli da problematiche legate a sostanze, alcol e tabacco. Anche tramite l’ interconnessione ed il proseguimento della collaborazione tra i siti informativi presenti in altri territori (in tal senso si fa riferimento ad una riflessione comune tra le Regioni Toscana ed EmiliaRomagna nell’ambito del progetto “WEBCORSAIRS” promosso dalla Regione Emilia-Romagna, che ha analoghe finalità). Ed all’integrazione con le linee guida degli interventi portanti di “Divertirsi guadagnando salute”. Gli interventi di prevenzione, all’interno dei Servizi per le dipendenze della Toscana, riconoscono come protagonista privilegiato il mondo dell’adolescente e delle sue relazioni significative (famiglia, scuola, pari...) e partono dalla constatazione che tutte le sostanze, sia legali che illegali, sono sicuramente pericolose ma, d’altra parte, tutte le droghe hanno effetti piacevoli e seducenti agendo sui centri del nostro cervello che regolano la dimensione del piacere. Attivare percorsi di prevenzione rispetto a questi soggetti significa mettere in campo competenze specifiche di ascolto e di osservazione, capacità comunicative e relazionali ma anche ”attivare”( conoscenza come “fuoco da accendere” secondo il modello maieutico “life skills”) relazioni significative che consentano di sperimentare una relazione di appartenenza nei vari ambiti di vita ( scuola, tempo libero, lavoro, famiglia, sport ), indispensabile perché possa svilupparsi quella gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base necessaria ad una crescita equilibrata ed alla capacità di fare scelte consapevoli. L’U.F.SERT dell’Ausl 12 di Viareggio, in collaborazione con varie agenzie pubbliche e private, realizza e programma da tempo vari interventi nel campo della promozione della salute. La strategia programmatica è quella di intervenire su fattori di rischio “modificabili”(come tabagismo e abuso alcolico), come evidenzia il documento del Ministero della Salute “Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari”, che prevede un approccio intersettoriale attraverso azioni condivise tra le istituzioni e i protagonisti della società civile e del mondo produttivo, partendo dalla constatazione che il successo della promozione della salute dipende in gran parte dalla capacità di mettere “in rete” le varie agenzie interessate. L’educazione e la promozione della salute, la valorizzazione e la riscoperta di dimensioni di vita più naturali (con il rifiuto di essere vittima di un mercato che ci trasforma da soggetti a consumatori) richiedono una comunicazione 116 continua fra mondo giovanile e mondo adulto di riferimento, che spesso sembrano parlare lingue diverse. Il messaggio corretto dal punto di vista scientifico che è opportuno dare ai giovani, sia nel mondo della scuola che del divertimento, è che la cosa più preziosa che abbiamo è la capacità e la libertà di scelta, che risiedono nel nostro cervello. Quindi, piuttosto che terrorizzare sugli effetti avversi e sui danni prodotti dal consumo, insistere sui piacere altrettanto intensi ma più durevoli, che si possono ottenere da scelte, comportamenti ed esperienze differenti. La capacità del piacere di motivare le azioni, di costruire e cambiare abitudini è enormemente più forte di quella del timore di conseguenze avverse. Bibliografia Calderoni A., “Aiutare on line. L’intervento psicologico via internet con adolescenti”, Ecomind, 2010 Croce M. et al., “La peer education: lavorare con gli adolescenti nella società del rischio”, Ega, Torino 2003 Francescano D., Tomai M., Menane M., “Psicologia di comunità per la scuola, l’orientamento e la formazione – esperienze faccia a faccia e on line”, Il Mulino, 2004 German D., “L’autostima degli adolescenti”, San Paolo Edizioni – 2006 Lancini M., Turuani L., “Sempre in contatto. Relazioni virtuali in adolescenza”, Franco Angeli, 2009 Marmocchi P. Dall’Aglio C. e Tannini M., “Educare le life skills. Come promuovere le abilità psicosociali e affettive secondo l’organizzazione Mondiale della Sanità, Erickson, Trento –2004 Mauro Croce M. e Gemmi A. (a cura di), “Peer Education Adolescenti protagonisti nella prevenzione”, Editore Franco Angeli – Milano 2003 Pietropolli Charmet G., “I nuovi adolescenti”, Raffaello Cortina, 2000 Pietropolli Charmet G.,“Adolescenza – Istruzioni per l’uso”, Fabbri Editori – 2005 Pietropolli Charmet G., “Manuale di Psicologia dell’adolescenza, compiti e conflitti”, F. Angeli,2008 Pellai, V. Rinaldin e B. Tamburini, “Educazione tra pari. Manuale teorico-pratico di empowered. Peer Education”, Erickson, Trento, 2002 Allegato 2 OBIETTIVI E RESPONSABILITA’ DI PROGETTO OBIETTIVO GENERALE: 6. Offrire servizi di ascolto, aiuto e counseling on line ad adolescenti tramite la creazione di profili sui più comuni social network. 2. Promuovere e realizzare un approccio integrato all’implementazione di interventi nel campo della prevenzione, in particolare attraverso la messa a punto di percorsi confrontati e condivisi fra le varie realtà territoriali/regionali, partner del progetto. 3. Favorire la creazione di un sistema concettuale, strumentale e di comunicazione che possa aiutare ad aumentare il livello e la frequenza dell’aiuto psicologico per gli adolescenti. 4. Rafforzare e migliorare le scambio di buone pratiche fra operatori dei servizi pubblici, del privato sociale. 5. Rompere il nesso tra divertimento e uso di sostanze legali e non. 6. Promuovere stili di vita e divertimento più sicuri e salutari. OBIETTIVO SPECIFICO 1: Attivare percorsi di auto-aiuto e counseling online sui i più comuni social network (Facebook, Google+, Twitter). OBIETTIVO SPECIFICO 2: Favorire la conoscenza e l’accompagnamento di adolescenti ai servizi del territorio. 117 OBIETTIVO SPECIFICO 3: Promuovere il lavoro in rete attraverso la realizzazione di azioni intersettoriali e interventi educativi OBIETTIVO SPECIFICO 4: Creazione di un network con i partner regionali tramite interventi di formazione e sensibilizzazione dedicate agli operatori, al fine di condividere e migliorare le pratiche e gli interventi. OBIETTIVO SPECIFICO 5: Creare in collaborazione con i partner regionali una rete di monitoraggio e di diffusione di indicazioni di buone pratiche da mantenere ed aggiornare on line. OBIETTIVO SPECIFICO 6: Effettuare scelte in favore della salute, al fine di facilitare l’acquisizione di una consapevolezza dei danni correlati all’uso di sostanze legali e illegali. OBIETTIVO SPECIFICO 7: Formulazione proposte in ambito locale, regionale e nazionale che favoriscano quanto sopra espresso secondo le indicazioni del documento del Ministero della Salute “Guadagnare Salute”:“RENDERE FACILI LE SCELTE SALUTARI”. OBIETTIVO SPECIFICO 8: Favorire la creazione di momenti di incontro virtuali e reali che abbiano come obiettivo quello di potenziare l’acquisizione di un maggior spirito critico e rafforzare l’acquisizione di modalità più sane di divertimento, soprattutto nella popolazione giovanile. OBIETTIVO SPECIFICO 9: Creare networking (raccordo, coordinamento e diffusione) tra i siti web già attivi nelle singole realtà regionali, per promuovere una maggiore visibilità di quanto già online. Mantenendo ognuno la propria potenzialità e specificità; Rendere maggiormente efficace la veicolazione di messaggi di prevenzione tramite i social network. CAPO PROGETTO: Regione Toscana, Direzione Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale, Settore Servizi alla Persona sul Territorio – P.O. Dipendenze UNITA’ OPERATIVE COINVOLTE Unità Operativa 1 Referente Compiti Società della Salute di Firenze Stefano Alemanno Coordinamento scientifico e gestione di tutte le fasi del Progetto. Partner locali: U.F. Salute Mentale Infanzia e Adolescenza, A.S. Firenze Web content manager, sostanze.info. Società della Salute di Firenze Comune di Firenze Ser.T. UFM 1, Dip. Dipendenze 118 Ed in particolare degli obiettivi specifici: 1/2/4/5/9 Coop. Sociale CAT Ass.ne ASA Unità Operativa 2 Referente Compiti Azienda USL n.12 U.F.Ser.T. Viareggio Guido Intaschi Coordinamento scientifico e gestione di tutte le fasi del Progetto. Psichiatra –dirigente medico Responsabile U.F.S. SERT. Azienda USL 12 di Viareggio Ed in particolare degli obiettivi specifici: 3/5/6/7/8 Unità Operativa 3 Referente Compiti Sert Azienda USL Forlì; Ceis Reggio Emilia; Comune di Ferrara; Centro Sociale Papa Giovanni XXIII Reggio Emilia (REGIONE EMILIAROMAGNA) Franca Francia, Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale. Area Dipendenze Direzione generale Sanità e Politiche sociali Regione Emilia-Romagna Edo Polidori, medico responsabile Ser.T. di Faenza In particolare: il Sert Ausl Forlì, il Ceis di Reggio Emilia ed il Comune di Ferrara; il Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia ed il Sert Ausl Forlì che svolgono funzioni di referenti tecnici del Coordinamento regionale delle Unità di Strada della RER, parteciperanno al progetto in quanto strutture già presenti con propri profili sul web. Unità Operativa 4 Referente Compiti Unità Operativa Dipartimento Dipendenze patologiche ASL FG/1, San Severo (FG) Tonino D’Angelo, Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione al coordinamento interregionale. Unità Operativa 5 responsabile U.O. Dipartimento Dip. Patologiche, San Severo (GF) In particolare: l’U.O. Dip.Dip. Patologiche ASL FG/1 parteciperà con particolare riferimento all’attivazione territoriale di percorsi di prevenzione sui consumi di bevande alcoliche e per la realizzazione di percorsi relativi al divertimento sicuro. Referente Compiti Regione Lombardia, ASL Milano Corrado Celata, Dipartimento delle Dipendenze, resp. Unità Prevenzione Dipendenze ASL Milano 119 Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale. Unità Operativa 6 Referente Compiti Regione Liguria Rachele Donini, Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale. responsabile attività di prevenzione, Dipartimento Dipendenze, ASL 2 Savona Unità Operativa 7 Referente Compiti Regione Umbria, ASL n. 4 Angela Bravi, Direzione Sanità e Servizi Sociali – Regione Umbria Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale. Unità Operativa 8 Referente Compiti Regione Campania, ASL NA3 sud Bruno Aiello Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale. Mara Giuliani responsabile Prevenzione, Dip. Dip. ASL Na3 Sud Unità Operativa 9 Referente Compiti Regione Lazio, Dipartimento Programmazione Economica e Sociale Francesca Fei Gestione delle attività e delle azioni previste da Social Web Skills e partecipazione a tutti i momenti previsti di coordinamento interregionale con particolare riferimento all’attivazione territoriale di percorsi di prevenzione sui consumi di bevande alcoliche e per la realizzazione di percorsi relativi al divertimento sicuro. Dirigente Dipartimento Programmazione Economica e Sociale, Regione Lazio Allegato 3 PIANO DI VALUTAZIONE OBIETTIVO GENERALE 1. Offrire servizi di ascolto, aiuto e counseling on line ad adolescenti tramite la creazione di profili sui più comuni social network. 2. Promuovere e realizzare un approccio integrato all’implementazione di interventi nel campo della prevenzione, in particolare attraverso la messa a punto di percorsi confrontati e condivisi fra le varie realtà territoriali/regionali, partner del progetto. 120 Indicatore/i di risultato Standard di risultato 3. Favorire la creazione di un sistema concettuale, strumentale e di comunicazione che possa aiutare ad aumentare il livello e la frequenza dell'aiuto psicologico per gli adolescenti. 4. Rafforzare e migliorare le scambio di buone pratiche fra operatori dei servizi pubblici, del privato sociale. 5. Rompere il nesso tra divertimento e uso di sostanze legali e non. 6. Promuovere stili di vita e divertimento più sicuri e salutari. 1. Attivazione di un portale/contenitore che contenga un profilo su uno dei più comuni social network (facebook, google+, twitter) per ognuna delle regioni partner del progetto, gestito da peer, supervisionato da operatori del servizio pubblico e del privato sociale e correlato con i servizi territoriali di ogni area regionale. 2. Realizzazione di almeno 4 momenti (uno per ogni semestre del biennio progettuale) di incontro e verifica seminariale/progettuale fra gli operatori dei servizi afferenti alle regioni partner del progetto. 3. Organizzazione di un convegno finale per la diffusione e la condivisione dei risultati raggiunti da “Social Web Skills” 4.Aumentare il livello di consapevolezza, soprattutto negli operatori, rispetto alle condotte a rischio nell’ambito della salute individuale e collettiva attraverso l’organizzazione di un percorso formativo multidisciplinare e condiviso con le agenzie pubbliche e private dei vari territori interessate al tema. 5.Attivazione di almeno un percorso di sensibilizzazione nel contesto educativo e nel contesto del divertimento, che prevedano anche l’utilizzo delle nuove tecnologie. 6.Realizzazione di almeno una campagna di sensibilizzazione e di un protocollo d’intesa che coinvolga quanti più attori possibile (amministrazioni locali, associazioni sportive, mondo del volontariato, associazioni di categoria , ecc.) al fine di promuovere un divertimento sano attraverso attività ludico-sportive e l' incentivazione dell’offerta di bevande analcoliche. Attivazione di un network nazionale in grado di intercettare, accogliere ed accompagnare sulla rete e sul territorio adolescenti in difficoltà. Formazione di una rete interregionale di peer in grado lavorare online condividendo comunicazione, linguaggio e skills di base nella relazione di aiuto. Costruzione di una rete interregionale di operatori e alleanze per la condivisione di modalità operative e strumenti preventivi. Realizzazione di una campagna di sensibilizzazione per territorio, che sia intersettoriale e che preveda l’utilizzo delle nuove tecnologie OBIETTIVO SPECIFICO 1 Attivare percorsi di auto-aiuto e counseling online sui i più comuni social network (Facebook, Google+, Twitter), Indicatore/i di risultato Creazione di profili rivolti ad adolescenti e gestiti da peer\tutor, opportunamente formati e coadiuvati da equipe di operatori dei servizi territoriali; Formazione di peer\tutor provenienti da scuole superiori, centri giovani, servizio civile ecc.; Definizione di contenuti, tempi, durata e frequenza della formazione e relativa supervisione; Creazione struttura gestionale; Definizione e attivazione dei livelli di contatto ed interconnessione: - primo livello: percorsi di auto aiuto tramite chat e gestiti da peer - secondo livello: percorsi di counseling via email, telefono (skype), vis a vis gestiti da psicologi o educatori professionali 121 Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 1 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 2 Indicatore/i di risultato Creazione di un profilo web che nel corso dei due anni del progetto veda l’adesione di almeno 2.000 ragazzi per ogni anno (4.000 complessivamente nei due anni del progetto) 500 chat annuali (1.000 al termine del progetto) 100 counselling annuali (200 al termine del progetto) 10 peer formati ed on line 1. Indagine conoscitiva sulle risorse web (siti e social network) che costituiscono dei benchmark europei su “counseling e relazione di auto-aiuto”; loro analisi finalizzata a definire il profilo e/o il social network adeguato; 2. definizione della tipologia, dei contenuti e della struttura del profilo da creare: multichat, profilo, sicurezza, possibilità di effettuare videoconferenze, bacheca ecc. 3. definizione e gestione dei livelli di contatto e interconnessione dell’ intervento: discussione, chat, consulenza mail o telefonica 4. individuazione e formazione dei peer che gestiranno i profili del social network 5. apertura del servizio Attivare percorsi di auto-aiuto e counseling online sui i più comuni social network (Facebook, Google+, Twitter), Creazione di profili rivolti ad adolescenti e gestiti da peer\tutor, opportunamente formati e coadiuvati da equipe di operatori dei servizi territoriali; Formazione di peer\tutor provenienti da scuole superiori, centri giovani, servizio civile ecc.; Definizione di contenuti, tempi, durata e frequenza della formazione e relativa supervisione; Creazione struttura gestionale; Definizione e attivazione dei livelli di contatto ed interconnessione: - primo livello: percorsi di auto aiuto tramite chat e gestiti da peer - secondo livello: percorsi di counseling via email, telefono (skype), vis a vis gestiti da psicologi o educatori professionali Creazione di un profilo web che nel corso dei due anni del progetto veda l’adesione di almeno 2.000 ragazzi per ogni anno (4.000 complessivamente nei due anni del progetto) 500 chat annuali (1.000 al termine del progetto) 100 counselling annuali (200 al termine del progetto) 10 peer formati ed on line 1. Indagine conoscitiva sulle risorse web (siti e social network) che costituiscono dei benchmark europei su “counseling e relazione di auto-aiuto”; loro analisi finalizzata a definire il profilo e/o il social network adeguato; 2. definizione della tipologia, dei contenuti e della struttura del profilo da creare: multichat, profilo, sicurezza, possibilità di effettuare videoconferenze, bacheca ecc. 3. definizione e gestione dei livelli di contatto e interconnessione dell’ intervento: discussione, chat, consulenza mail o telefonica 4. individuazione e formazione dei peer che gestiranno i profili del social network 5. apertura del servizio Favorire la conoscenza e l’accompagnamento di adolescenti ai servizi del territorio. Dal profilo di social network attivato vengono affrontate le problematiche adolescenziali più comuni e relative a sessualità, alimentazione, affettività e sostanze, per arrivare, ove necessario, ai servizi del territorio. 122 Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 3 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 4 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni Partecipazione dei peer ad incontri con operatori dei servizi territoriali (ad esempio operatori dell’U.F. Salute Mentale Infanzia e Adolescenza, della ASL Firenze, partner del progetto, che gestisce uno sportello di consulenza sulla sessualità sia sul territorio fiorentino che on line sul portale giovani del Comune di Firenze) per avere i necessari input informativi da utilizzare nel rapporto con gli adolescenti on line Dare informazioni dettagliate sui servizi del territorio ad almeno 100 adolescenti partecipanti alle consulenze on line. Partecipazione di almeno 10 peer alla formazione specifica realizzata da operatori dei servizi territoriali Realizzazione di una mappa dei servizi territoriali rivolti agli adolescenti e pubblicata on line. 1. indagine conoscitiva sulle risorse pubbliche e del privato sociale rivolte agli adolescenti, presenti sul territorio, da attivare come risorse per il counselling; 2. formazione dei peer da parte delle agenzie del territorio 3. servizio di consulenza mirato all’accompagnamento ai servizi del territorio e rivolto a quelle situazioni patologiche che emergono nel corso della normale gestione del profilo Promuovere il lavoro in rete attraverso la realizzazione di azioni intersettoriali e interventi educativi Il lavoro di rete è sicuramente la strada maestra per il raggiungimento di obiettivi di salute soprattutto per ciò che concerne la sfera preventiva. A tal fine ci si propone di coordinare e concertare gli eventi con diversi soggetti che a vario titolo sono coinvolti sul tema; promuovere, rafforzare e gestire, momenti di incontro fra diverse realtà, finalizzati al miglioramento dell’integrazione e al potenziamento della rete Stesura di protocolli d’intesa intersettoriali. Realizzazione di almeno un’azione di sensibilizzazione (per territorio) coordinata fra diversi attori del protocollo 1.Mappatura delle realtà territoriali coinvolte a vario titolo, sul tema della sensibilizzazione e della promozione della salute. 2.Organizzazione di riunioni di confronto fra diversi attori. 3.Promuovere e coordinare la realizzazione di interventi di sensibilizzazione che vedano protagonisti diversi attori (scuole, associazioni sportive, forze dell’ordine, gestori, ecc.,ecc..) 4.Stesura di un protocollo d’intesa. Creazione di un network con i partner regionali tramite interventi di formazione e sensibilizzazione dedicate agli operatori, al fine di condividere e migliorare le pratiche e gli interventi. Ogni regione coinvolta nel progetto realizza o mette a disposizione almeno un proprio profilo di incontro virtuale su uno dei più noti social network. Seminari on site e sul web (tramite skype e videoconferenze) di formazione e verifica dei propri percorsi di consulenza; Il gruppo di lavoro formato da esperti e professionisti che coordinano il progetto, realizzeranno momenti di formazione e scambio per gli operatori delle singole realtà regionali per favorire l’obiettivo citato nell’azione Creazione di 3 profili social network in tre regioni partner Realizzazione di 3 seminari territoriali in tre regioni partner per la formazione dei gruppi di peer che gestiranno le chat online. Apertura, al termine del progetto, di un portale di riferimento su cui verranno posizionati tutti i profili creati nei due anni del progetto dalle 7 regioni part4ecipanti 1. analisi e scambio di informazioni sui social network già operanti nelle aree 123 partner del progetto; 2. attivazioni di percorsi per creare un profilo su di un social network nelle aree partner del progetto che ne risultano sprovviste; 3. realizzazioni di tre incontri seminariali territoriali nelle tre aree del progetto (nord/centro/sud); 4. creazione finale di 1 portale/contenitore di tutti i profili creati nei due anni del progetto o già operativi sui rispettivi territori. OBIETTIVO SPECIFICO 5 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 6 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 7 Creare in collaborazione con i partner regionali una rete di monitoraggio e di diffusione di indicazioni di buone pratiche da mantenere ed aggiornare on line. Sottolineiamo che si tratta dello sviluppo specifico di uno dei percorsi del progetto CCM 2006 della Regione Emilia-Romagna “Nuovi comportamenti di consumo: prevenzione e riduzione dei rischi”. Creazione di una pagina “quality night” da affiancare a quelle create dal progetto e che confluirà nel portale realizzato alla fine come output fnale del progetto (vedi “OBIETTIVO SPECIFICO 4 alla voce standard di risultato”) con indicazioni specifiche su target determinati (es. gestori club, organizzatori eventi medio grandi, tecnici uffici pubbliche amministrazioni, polizia locale, partecipanti eventi ). Il materiale prodotto viene aggiornato e mantenuto tale on line grazie al contributo di operatori locali del territorio che inviano al sito info e aggiornamenti su format preimpostati dal sito stesso. Creazione di un profilo “Quality night” 5.000 utenti annui (10.000 finali) 100 contributi pubblicati in due anni 1. raccolta materiali già realizzati e/o pubblicati. 2. creazione di una pagina web che contenga tutti i materiali; 3. attivazione di redazioni locali che si occupino dell’upload (pubblicazione) dei materiali realizzati e condivisi. 4. pubblicazione dei materiali Effettuare scelte in favore della salute, al fine di facilitare l’acquisizione di una consapevolezza dei danni correlati all’uso di sostanze legali e illegali Fornire supporto alle comunità scolastiche, alle associazioni sportive, alle famiglie finalizzato allo sviluppo della consapevolezza e delle abilità (skills). Acquisire consapevolezza rispetto ai temi della salute e alla prevenzione delle condotte a rischio è il primo passo da compiere per condividere e indirizzare le politiche preventive nei differenti contesti. Ci si propone di offrire maggiori strumenti teorici, supervisione e organizzazione pratica degli interventi preventivi in varie realtà e contesti (politica locale, scuole, associazioni sportive, gestori di locali e organizzatori di eventi). Realizzazione di almeno un momento di formazione dedicato agli operatori. Supervisione di almeno un progetto di sensibilizzazione realizzato all’interno dei contesti del divertimento e\o scolastico 1.Creazione di alleanze finalizzata alla realizzazione di un progetto concreto. 2.Organizzazione di riunioni finalizzate alla progettazione dell’intervento e alla formazione. 3.Supervisione e partecipazione agli interventi. Coordinamento dell’idea progettuale, delle azioni e dei risultati con altri 4.progetti con le medesime finalità al fine di potenziare e valorizzare l’azione preventiva. Formulazione proposte in ambito locale, regionale e nazionale che favoriscano quanto sopra espresso secondo le indicazioni del documento del Ministero della 124 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 8 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Azioni OBIETTIVO SPECIFICO 9 Indicatore/i di risultato Standard di risultato Salute “Guadagnare Salute”:“RENDERE FACILI LE SCELTE SALUTARI”, recepito e fatto proprio dalla Regione Toscana con il piano “Guadagnare Salute” del 2008. Realizzare un format di intervento in grado di rendere omogeneo il lavoro di sensibilizzazione al fine di avviare una sperimentazione quanto più possibile condivisa e confrontabile. Realizzare linee d’indirizzo per le azioni di sensibilizzazione nei contesti del divertimento e nel mondo scuola Realizzazione di un protocollo d’intervento preventivo nel mondo della scuola e\o del divertimento, da confrontare e proporre in differenti realtà territoriali. Realizzazione di momenti pubblici dedicati alla diffusione delle strategie preventive condivise con gli attuatori del progetto, amministratori e organizzatori di eventi. 1.Ricerca di modalità di intervento innovative e efficaci. 2.Condivisioni delle modalità operative. 3.Sperimentazione progettuale. 4.Partecipazione a tavoli di discussione. 5.Formulazione di proposte. 6.Pubblicizzazione attraverso i medi locali e non delle proposte avanzate e dei risultati ottenuti. Favorire la creazione di momenti di incontro virtuali e reali che abbiano come obiettivo quello di potenziare l’acquisizione di un maggior spirito critico e rafforzare l’acquisizione di modalità più sane di divertimento, soprattutto nella popolazione giovanile. La community creata sul web si incontra sul territorio in occasione di concerti, serate analcoliche, attività sportive. I momenti di incontro reali diventano l’occasione per favorire la creazione di gruppi di confronto. Tali eventi dovranno essere di grande richiamo per i giovani al fine di motivare quanto più possibile la partecipazione al progetto. (Es. concerto o interviste con cantanti e\o personaggi famosi, incontro con sportivi di livello nazionale ecc.) La preparazione di tali momenti è condotta in collaborazione con i soggetti individuati nelle varie community online, con l’obiettivo di creare momenti per e con i giovani. Almeno due eventi per area regionale: nord/centro/sud; 1.Indagine conoscitiva rispetto ai gusti e interessi dei giovani. 2.Definizione di modalità di realizzazione degli eventi proposti da e con i giovani. 3.Identificazione e “reclutamento” di testimonial scelti dai giovani. 4.Organizzazione di eventi incontro fra giovani e con testimonial anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie (video chat, videoconferenze, ecc.,ecc.). 5.Promozione e realizzazione degli incontri. Creare networking (raccordo, coordinamento e diffusione) tra i siti web già attivi nelle singole realtà regionali, per promuovere una maggiore visibilità di quanto già online, mantenendo ognuno la propria potenzialità e specificità; Rendere maggiormente efficace la veicolazione di messaggi di prevenzione tramite i social network Produzione di videoclip con messaggi di prevenzione, veicolati sui profili dei social network creati dal progetto, con la finalità di dare una visibilità nazionale ai prodotti creati. Promozione di almeno 6 videoclip di prevenzione sull’intero territorio nazionale tramite le piattaforme di Social Net Skills (12 nei due anni) 125 1. raccolta dei materiali di prevenzione realizzati e loro messa online 2. creazione di un gruppo di lavoro con operatori forniti dalle regioni partner del progetto, che promuova la creazione mirata di messaggi info e di prevenzione 3. messa on line di almeno 12 videoclip nel corso dei due anni su tutti i profili creati da Social Net Skills Azioni CRONOGRAMMA O bi et ti v os pe ci fi co 1 O bi et ti v os pe ci fi co 2 O bi et ti v os pe ci fi co 3 O bi et tiv os pe ci fico 4 O bi et tiv os pe ci fico 5 Mese 1 2 3 4 5 Attività 1 X X X Attività 2 X X Attività 3 X X Attività 4 X X Attività 5 Attività 1 X X X 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 3 X 7 X Attività 2 Attività 1 6 X Attività 2 Attività 3 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 4 Attività 1 Attività 2 X X X X X X X Attività 3 X X X Attività 4 Attività 1 X X X X X Attività 2 X Attività 3 X X X X X X X X X X X X Attività 4 X X X X X X X X X X X X 126 O bi et tiv os pe ci fico 6 Attività 1 X Attività 2 X X X X X X X Attività 3 X X X X X X X X X X Attività 4 Attività 1 O bi et tiv os pe ci fi co 7 X X X Attività 2 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 3 Attività 4 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 5 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 6 O bi et tiv os pe ci fi co 8 Obi etti vo spe cifi co 9 Attività 1 X X Attività 2 X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 3 X X X Attività 4 X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X Attività 5 Attività 1 X Attività 2 X X Attività 3 X X X X X X X X X X Rendicontazione Allegato 4 PIANO FINANZIARIO PER CIASCUNA UNITA’ OPERATIVA Unità Operativa 1 S.d.S. Firenze – Regione Toscana Risorse Personale 2 psicologi per supervisione intervento di counseling 1 consulente per formazione peer 127 ANNO 1 ANNO 2 40.000,00 35.000,00 Totale in € 75.000,00 1 agenzia formativa del territorio per la gestione dei profili e degli interventi Beni e servizi - creazione e gestione profili social e portale web finale - comunicazione e pubblicità - attrezzature - gestione interventi di formazione e workshop regionali Missioni - coordinamento e verifica interventi partner regionali Spese generali Organizzazione conferenza finale Totale parziale U.O. 1 Firenze – Regione Toscana 5.000,00 7.000,00 4.000,00 17.000,00 5.000,00 4.000,00 2.000,00 4.000,00 2.000,00 10.000,00 43.000,00 5.000,00 8.000,00 4.000,00 10.000,00 140.000.00 Unità Operativa 2 Azienda USL n.12 U.F.Ser.T. Viareggio – Regione Toscana Personale 1 psicologo per formazione e supervisione intervento di counseling 1 consulente per formazione peer 1 agenzia formativa del territorio per la gestione dei profili e degli interventi Beni e servizi - creazione e gestione profili social e portale web finale - comunicazione e pubblicità - attrezzature - gestione interventi di formazione e workshop regionali Missioni - coordinamento e verifica interventi partner regionali Spese generali 28.000,00 25.000,00 7.000,00 1.000,00 5.000,00 10.000,00 4.000,00 1.000,00 5.000,00 4.000,00 8.000,00 5.000,00 5.000,00 10.000,00 10.000,00 10.000,00 - Organizzazione conferenza finale 53.000,00 29.000,00 Totale parziale U.O. 2 Viareggio – Regione Toscana 110.000,00 Unità Operativa 3 – Unità Prevenzione Dipendenze ASL Milano - Regione Lombardia Personale - educatore professionale/psicologo/assistente sociale 8.000,00 Beni e servizi - materiale informativo/divulgativo Missioni - coordinamento e verifica interventi partner regionali 1.000,00 12.000,00 20.000,00 3.000,00 3.000,00 1.000,00 2.000,00 Spese generali Organizzazione conferenza finale organizzazione e realizzazione seminari e workshop Totale parziale U.O. 3 – Regione Lombardia 25.000,00 128 Unità Operativa 4 – Ser.T. Ausl Forlì/Area Giovani Comune di Ferrara/Ceis Reggio Emilia/Centro Sociale Papa Giovanni XXIII - Regione Emilia-Romagna Personale 6.000,00 6.000,00 12.000,00 Beni e servizi 4.000,00 3.500,00 7.500,00 Missioni 1.500,00 1.500,00 3.000,00 Spese generali 1.250,00 1.250,00 2.500,00 - Organizzazione conferenza finale - organizzazione e realizzazione seminari e workshop Totale parziale U.O. 4 – Regione Emilia Romagna 25.000,00 Unità Operativa 5 – U.O. Dip. Dip. Patologiche ASL FG/1 – Regione Puglia Personale - operatori sociali -operatori culturali e dei servizi informativi -animatori in ambito artistico e del divertimento sicuro 2.500,00 2.500,00 5.000,00 Beni e servizi - gestione tecnica software - comunicazione e pubblicità - attrezzature java -acquisto di materiale di consumo -acquisto di cancelleria -stampa, legatoria e riproduzione grafica -organizzazione di corsi, convegni, ecc.. -realizzazione e/o gestione di siti web -noleggio di attrezzature ( esclusivamente per la durata del progetto) -affidamento e acquisizione servizi da ente ausiliario (cooperativa sociale già individuata nel piano sociale di zona) 6.000,00 7.000,00 13.000,00 Missioni -personale coinvolto nel progetto -referente tecnico scientifico 1.000,00 1.000,00 2.000,00 Spese generali 1.250,00 1.250,00 2.500,00 - Organizzazione e realizzazione seminari e workshop Totale parziale U.O. 5 – Regione Puglia 1.000,00 1.500,00 2.500,00 25.000,00 -peer educators Unità Operativa 6 – ASL Napoli 3 Sud - Regione Campania 129 Personale Docenti, amministrativi, operatori interfaccia web e social net, etc. 3.000,00 4.000,00 7.000,00 3.500,00 3.500,00 7.000,00 Missioni spese di trasferta 1.000,00 2.000,00 3.000,00 Spese generali costi indiretti quali posta, telefono, collegamenti telematici, ecc. 1.000,00 1.000,00 2.000,00 2.000,00 4.000,00 6.000,00 25.000,00 ANNO 1 ANNO 2 Totale in € 2.410,00 2.410,00 4.820,00 1.680,00 1.680,00 3.360,00 2.000,00 1.000,00 3.000,00 1.000,00 1.000,00 2.000,00 4.500,00 1.320,00 5.820,00 4.000,00 2.000,00 6.000,00 Beni e servizi acquisto di materiale di consumo, cancelleria, spese per stampa, legatoria e riproduzione grafica, organizzazione di corsi, convegni, ecc., servizi per la realizzazione e/o gestione di siti web Organizzazione seminari e workshop Totale parziale U.O. 6 – Regione Campania Unità Operativa 7 – ASL 2 Liguria - Regione Liguria Risorse Personale - Psicologo, Responsabile S.S. “Attività di prevenzione” con funzioni di coordinamento locale del progetto (50 ore a Euro 48,20 orarie) - Psicologi o educatori a progetto (80 ore a 21 Euro orarie) Beni e servizi - gestione tecnica software - comunicazione e pubblicità - attrezzature Missioni -Meeting o riunioni di coordinamento con la Regione Toscana capofila del progetto, conferenza finale, seminari, workshop Spese generali - Materiali di consumo - formazione operatori sull’assistenza e consulenza on line - Affitto sala per riunioni e lavoro on line - organizzazione e realizzazione seminari e workshop ed eventi da organizzare in loco Totale parziale U.O. 7 – Regione Liguria 25.000,00 Unità Operativa 8 – ASL Terni - Regione Umbria Risorse Personale 130 ANNO 1 ANNO 2 Totale in € 6.000,00 6.000,00 12.000,00 Beni e servizi 4.000,00 4.500,00 8.500,00 1.000,00 1.000,00 2.000,00 500,00 500,00 1.000,00 1.500,00 1.500,00 25.000,00 Anno 1 Anno 2 Totale in € Personale 97.590,00 94.590,00 192.180,00 Beni e servizi 75.500,00 38.500,00 114.000,00 Missioni 14.500,00 15.500,00 30.000,00 Spese generali 15.500,00 12.320,00 27.820,00 7.000,00 29.000,00 36.000,00 210.090,0 189.910,0 400.000,00 Missioni Spese generali - organizzazione e realizzazione seminari e workshop Totale parziale U.O. 8 – Regione Umbria PIANO FINANZIARIO GENERALE Risorse Organizzazione seminari, workshop e conferenza finale Totale 131 ALLEGATO II 132 133 134 135 ALLEGATO III 136 ALLEGATO IV 137 138 ALLEGATO V 139 140 ALLEGATO VI Immagine n°1 – Logo della pagina FB del progetto Youngle IS Immagine n°2 – Logo della pagina FB del progetto Youngle Angles Immagine n°3 – Logo della pagina FB del progetto Youngle LoveAffair 141 Immagine n°4 – Logo della pagina FB del progetto Youngle Io Ci Sono Immagine n°5 – Logo della pagina FB del progetto Youngle Zona di Sopravvivenza Immagine n°6 – Logo della pagina FB del progetto Youngle Night 142 Immagine n°7 – Logo della pagina FB del progetto Web Corsairs Immagine n°8 – Immagine di copertina della pagina FB di Youngle Corsairs Immagine n°9 – Immagine del logo che rappresenta Youngle ER 143 Immagine n°10 – Immagine di copertina realizzata dai peer Youngle ER, in occasione della giornata mondiale per la lotta all’AIDS. Immagine n°11 – Immagine delle etichette in formato tascabile raffigurante il logo di Youngle Corsairs e il Barcode che rindirizzava direttamente alla pagina FB. 144 Immagine n°12 – Immagine della locandina dell’evento Cinefood presso il bar L’Urlo Immagine n°13 – Immagine della copertina FB dell’Unità di Strada di Forlì Borderline 145 146 BIBLIOGRAFIA Antonietti V., Faretra A., Gemmi A., Ottolini G. (2003), Alla ricerca di una teoria della peer education, in Croce M., Gnemmi A. (a cura di) (2003), Peer education. Adolescenti protagonisti nella prevenzione, Franco Angeli, Milano. Bandura A. (1969), Principles of behavior modification, New York, Holt, Rinehart & Winston. Bandura A. (1996), Il senso dell'autoefficacia, Erickson, Trento. Bleeker A. (2001), Drug use and young people-Rationale for the DSP, in the 2nd Intenational Conference on drug and young people: “Exploring the Bigger Picture”, Melbourne. Boda G. 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