Sae l ute Territorio Direttore responsabile Mariella Crocellà Redazione Antonio Alfano Gianni Amunni Alessandro Bussotti Francesco Carnevale Bruno Cravedi Laura D’Addio Gian Paolo Donzelli Claudio Galanti Marco Geddes Loredano Giorni Carlo Hanau Gavino Maciocco Mariella Orsi Marco Monari Paolo Sarti Alberto Zanobini Collaboratori Marco Biocca, Centro Doucmentazione Regione Emilia-Romagna Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino Nerina Dirindin, Dipartimento di Scienze Economiche Finanziarie - Università di Torino Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma Luigi Tonelli, Direzione Sanitaria - Siena Comitato Scientifico Giovanni Berlinguer, Professore Emerito Facoltà di Scienze - Roma Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera - Reggio Emilia Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano Donato Greco, Direttore Laboratorio Epidemiologia e Biostatistica - Istituto Superiore di Sanità Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma Segreteria di redazione Patrizia Sorghi Salvini Simonetta Piazzesi Direzione, Redazione Via Delle Belle Donne, 13 - 50133 Firenze Tel. - Fax 055/211875 [email protected] http://web.rete.toscana.it/saluter/index.htm Edizioni ETS s.r.l. Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa Tel. 050/29544 - 503868 - Fax 050/20158 [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] Questo numero è stato chiuso in redazione il 15 marzo 2005 147 Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini Giunta Regionale Toscana Anno XXV - Novembre-Dicembre 2004 Sommario 322 329 329 M. Valpreda, S. Romagnoli 330 E. Diana N.E. Vanzan Marchini Spazio Toscana 333 AIRT Monografia 340 346 353 356 364 370 372 375 376 380 381 C. Lomuto A. Serino C. Lomuto M.G. Petronio, A. Pedone A. Valdrè, A. Pedone M.G. Petronio E. Buiatti, M.G. Petronio A. Pedone, A. Valdrè, C. Lomuto E. Buiatti E. Buiatti A. Valdrè, C. Lomuto A. Pedone, M.G. Petronio E. Buiatti P.M. Remo Martinez Abbonamenti 2004 Italia € 41,32 Estero € 46,48 Infezioni ospedaliere La ristrutturazione degli antichi Istituti L’ospedale civile di Venezia e il Museo della Scuola Grande di S. Marco L’ospedale di S. Maria della Scala di Siena Regionalizzazione della sanità in tema di donazione e trapianto di organi I piani integrati di salute L’immagine di salute Struttura e contenuti del PIS La disciplina di riferimento Partecipazione e integrazione Esperienze locali: “Agenda 21”, “Città sana” I Profili di salute I moduli formativi La programmazione a livello territoriale Formazione interattiva Workshop di costruzione del PIS Risultati progettuali dei workshop Modi e risultati della formazione interattiva Strumenti e criteri per l’interazione Fotocomposizione e stampa Edizione ETS - Pisa I versamenti devono essere effettuati sul c/c postale 14721567 intestato a Edizoni ETS s.r.l. specificando nella causale “abbonamento a Salute e Territorio”. l ute Sa e 322 Territorio Mario Valpreda Silvia Romagnoli* Prevenzione N. 147 - 2004 Infezioni ospedaliere Direttore sanità pubblica, Regione Piemonte * Dipartimento infezioni ospedaliere I n Italia le infezioni ospedaliere acquisite dai pazienti nel corso della degenza in ospedale continuano a rappresentare una complicanza frequente che le numerose campagne di sensibilizzazione nazionale promosse nel corso degli ultimi 15 anni, in particolare dalle associazioni scientifiche, hanno appena scalfito. Si tratta di un rilevante problema di sanità pubblica. Lo dimostrano gli studi condotti anche nel nostro Paese, a partire dagli anni ’80, anche se, non esistendo un sistema di sorveglianza nazionale (ossia una rilevazione corrente dei casi di infezione ospedaliera) è piuttosto difficile disporre di dati affidabili. Per un sistema informativo valido è necessaria, infatti la presenza di personale dedicato in grado di rilevare i casi di infezione in reparto con obiettivi specifici. Non è invece sufficiente affidarsi ai medici curanti per la segnalazione dei casi di infezione che si verificano tra i pazienti ricoverati. Tuttavia, ad onta delle citate carenze, sono disponibili alcuni studi multicentrici che hanno dimostrato che la frequenza di infezioni ospedaliere è sovrapponibile a quella rilevata dal sistema di sor- veglianza statunitense, National Nosocomial Infection Study (NNIS). Anche le caratteristiche epidemiologiche sono simili a quelle descritte dal NNIS. Sulla base delle indicazioni della letteratura e degli studi multicentrici effettuati in questi anni, si può pertanto stimare che, in Italia dal 5 all’8% dei pazienti ricoverati contragga un’infezione ospedaliera. Ogni anno si verificano quindi dalle 500.000 alle 700.000 infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Poiché le infezioni ospedaliere potenzialmente evitabili rappresentano il 30% circa di quelle insorte, si può stimare che ogni anno si verifichino dalle 135.000 alle 210.000 infezioni prevenibili e che queste siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (dai 1350 ai 2100 decessi circa prevenibili in un anno). Per quanto concerne il Piemonte lo studio di prevalenza effettuato nel 2001 coinvolgendo tutti gli ospedali pubblici, ha attestato il valore della prevalenza delle infezioni nosocomiali al 7,8%. In pratica circa 8 pazienti su Il quadro nazionale di un serio problema affrontato inadeguatamente in molti Ospedali del nostro Paese. Esempi di sorveglianza in USA e Gran Bretagna. I programmi di lotta e di controllo della Regione Piemonte cento ricoverati contraggono un’infezione. Il numero di ricoveri ordinari effettuati annualmente in regione si aggira intorno ai 650.000. Di conseguenza sono circa 52.000 i pazienti che sviluppano un’infezione ospedaliera. 15.600 casi di infezione potrebbero essere evitati e potrebbero essere evitati 156 decessi dovuti a questa patologia. Ipotizzando un costo approssimativo di circa 1000 euro per 4 giorni di degenza aggiuntiva, la spesa complessiva che la Regione deve annualmente accollarsi a causa di un’infezione contratta in ambiente ospedaliero è di circa 208.000.000 euro all’anno. Con programmi mirati di sorveglianza e controllo potrebbero essere risparmiati 6.240.000 euro,utilizzabili per altre attività sanitarie prioritarie. I programmi di lotta e controllo Numerose istituzioni nazionali e associazioni professionali in diversi Paesi hanno definito negli ultimi anni le componenti essenziali di programmi di controllo efficaci a prevenire le infezioni ospedaliere. Le principali sono: • la disponibilità di personale dedicato; • l’attivazione di sistemi di sorveglianza mirati; • l’attivazione di programmi di controllo finalizzati a migliorare gli standard assistenziali. Recentemente sono stati pubblicati i risultati delle attività del NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance System - NNIS Semi annual reports) nel decennio compreso tra il 1990 ed il 1999, che dimostrano l’efficacia di sistemi di sorveglianza attiva: negli ospedali in cui veniva effettuata una Prevenzione N. 147 - 2004 sorveglianza attiva sulla base di indicatori clinici, è stato registrato un significativo trend in diminuzione della frequenza di batteriemie ospedaliere (ad es. nei centri di terapia intensiva il trend in diminuzione varia dal 31% al il 44%). Il Ministero della sanità ha emanato due circolari: n. 52/1985 e n. 8/1988, nelle quali sono stati definiti i requisiti di base dei programmi di controllo ed in particolare, la costituzione di un comitato di controllo per la lotta alle infezioni in ciascuna struttura ospedaliera e la disponibilità di un’infermiera dedicata eminentemente ad attività di sorveglianza e controllo. A 16 anni dall’emanazione, l’argomento è stato ripreso dal Piano sanitario nazionale 1998-2000 (PSN) che ha indicato, tra gli obiettivi prioritari per il triennio suddetto, la riduzione dell’incidenza di infezioni ospedaliere di almeno il 25%, con particolare riguardo alle infezioni delle vie urinarie, della ferita chirurgica, alle polmoniti postoperatorie o associate a ventilazione meccanica ed alle infezioni associate a cateteri intravascolari. L’obiettivo doveva essere raggiunto attraverso l’avvio di un programma di sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere in ogni presidio ospedaliero, orientato sia ai pazienti, sia agli operatori sanitari. Il documento suggeriva inoltre le azioni da compiere: istituzione di comitati di controllo delle infezioni ospedaliere, assegnazione di specifiche responsabilità a personale dedicato e defini- zione di linee di intervento e di protocolli scritti. Queste attività devono rappresentare, secondo il PSN, altrettanti criteri per l’accreditamento delle strutture sanitarie. Va tuttavia sottolineato che in Italia, con un modello che ha pochi riscontri altrove, le attività di prevenzione sono state storicamente affidate alla figura dell’igienista ospedaliero, che unisce competenze di carattere igienistico con altre di tipo gestionale. In teoria si assicurava una unitarietà di interventi tra identificazione dei problemi e attuazione delle misure correttive. Nella realtà dei fatti, tuttavia, lo scarso sviluppo di programmi di miglioramento della qualità delle prestazioni assistenziali e la mancanza di precise normative, hanno fatto sì che le direzioni ospedaliere abbiano concentrato l’attenzione su problemi di tipo gestionale, limitando gli interventi più squisitamente preventivi. Attualmente la situazione nel nostro Paese, secondo l’indagine effettuata dall’Istituto superiore di sanità (Rapporto ISTISAN 01/4), evidenzia una maggiore diffusione, rispetto a 10 anni fa, dei programmi di intervento. Nonostante ciò, le attività di prevenzione sono ancora molto scarse in alcune aree del paese (soprattutto al centro, sud e nelle isole) e nei presidi ospedalieri di piccole dimensioni. In particolare: • è ancora carente la dotazione di personale ( sia medico, sia infermieristico) per posto letto, indispensabile per la gestione dei pro- grammi di prevenzione delle infezioni nosocomiali; • non sono sufficientemente diffusi in tutti gli ospedali, a livello nazionale, i programmi di sorveglianza di laboratorio che abbiano l’obiettivo di identificare i patogeni sentinella, gli eventi epidemici e di monitorare l’antibioticoresistenza; • sono poco operanti, in particolare nelle Unità di terapia intensiva e chirurgia, sistemi di sorveglianza attiva sulla base di indicatori clinici e la definizione di protocolli di buona pratica clinica; • è ancora insufficiente la diffusione di protocolli mirati al miglioramento degli standard assistenziali clinici e si osserva la tendenza a non valutare l’effettiva applicazione degli stessi da parte degli operatori; • non in tutte le strutture ospedaliere sono attivi programmi di vaccinazione estesi a tutti gli operatori e di sorveglianza delle infezioni occupazionali; • sono carenti le politiche ospedaliere per il buon uso degli antibiotici, con particolare riguardo all’attivazione di sistemi di monitoraggio dei consumi di antibiotici in “Defined Daily Dosage”. Tutte le nazioni industrializzate hanno programmi di prevenzione delle infezioni nosocomiali. L’organizzazione e l’implementazione delle attività di controllo varia nei diversi paesi e riflette una combinazione di tradizioni manageriali, riferimenti legislativi, risorse ed esperienze caratteristiche del singolo contesto. Sae l ute Territorio 323 Attualmente non si riscontrano differenze significative tra i vari Paesi per quanto concerne i tassi di prevalenza (710%). Interessanti differenze emergono tuttavia valutando la prevalenza dei microrganismi antibioticoresistenti e sembra ragionevole dedurre che dove si hanno tassi elevati gli esiti per i pazienti sono peggiori. In alcuni Paesi come Gran Bretagna, Olanda e Scandinavia il controllo delle infezioni è stato orientato in modo particolare alla prevenzione delle infezioni sostenute da MRSA, VRE e dai germi multiresistenti. Indipendentemente dalle scelte effettuate rimane da chiarire un importante interrogativo relativo all’efficacia dei programmi di prevenzione realizzati nei vari paesi. Reybrouc (Dipartimento di Igiene ospedaliera e controllo delle infezioni. Università cattolica di Lovanio-Belgio), sostiene che “i differenti approcci utilizzati nella lotta alle infezioni ospedaliere, supportati dall’esperienza maturata attraverso la pratica, possono rappresentare un utile contributo per tutti, purché esista la piena consapevolezza della reale portata del fenomen”. l ute Sa e 324 Territorio Prevenzione N. 147 - 2004 • Decisione (N. 2119/98) del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 1998 “che istituisce una rete di sorveglianza epidemiologica e di controllo delle malattie trasmissibili nella Comunità” (GU delle CE L 268/1 del 3 ottobre 1998). • Parere del Comitato economico e sociale sul tema “La resistenza agli antibiotici: una minaccia per la salute pubblica”(GU delle CE C 407 del 28 dicembre 1998). • Risoluzione del Consiglio dell’U.E. (8 giugno 1999, GGU delle CE C 195 del 13 luglio 1999) sulla resistenza agli antibiotici “Una strategia contro la minaccia microbica”. • Comunicazione della Commissione delle Comunità europee del 20 giugno 2001 su una strategia comunitaria contro la resistenza agli agenti antimicrobici. Tab. I - Normativa europea. • Commissione delle Comunità europee. Raccomandazione del Consiglio del 20 giugno 2001 sull’uso prudente degli agenti antimicrobici nella medicina umana. • Raccomandazione del Consiglio (15 novembre 2001, GU delle CE L 34 del 5 febbraio 2002) sull’uso prudente degli agenti antimicrobici nella medicina umana. • Decisione della Commissione delle Comunità Europee (19 marzo 2002, GU delle CE L 6 del 4 aprile 2002). Stabilisce la definizione dei casi ai fini della dichiarazione delle malattie trasmissibili alla rete di sorveglianza comunitaria. Non ha attinenza diretta con le infezioni ospedaliere ma è normativamente importante in quanto fornisce una descrizione clinica dei casi, stabilisce criteri diagnostici di laboratorio ed un sistema di classificazione (confermato, probabile, possibile) delle malattie trasmissibili. • Circolari del Ministero della sanità n° 52/1985 e n° 8/1988. • D.M. 28 settembre 1990 “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private. • Decreto ministeriale 15 dicembre 1990 Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive. Classifica le malattie in quattro classi e dettaglia le modalità di invio delle notifiche, allegando la rispettiva modulistica. • D.M. 24 luglio 1995 “Contenuti e modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e qualità del SSN”. • Circolare Ministero della sanità n° 4, 13 marzo 1998 “Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica”. Tab. II - Normativa nazionale. • Piano sanitario nazionale 1998-2000 - DPR 23 luglio 1998. • Decreto Interministeriale 12 novembre 1999 “Modificazioni all’allegato XI decreto lgv n. 242, concernente integrazioni al decreto lgv n. 626” (classificazione degli agenti biologici). • Conferenza permanente Stato/Regioni (4 aprile 2000) ”Linee guida prevenzione e controllo legionellosi” (Acrobat Reader). • Bioterrorismo - Protocollo diagnostico per il laboratorio di microbiologia per la diagnosi presuntiva di Bacillus anthracis (ISS 16 novembre 2001). • Piano Sanitario Nazionale 2002-2004. Il modello piemontese Non esiste in Italia una normativa nazionale che dia orientamenti in tema di prevenzione delle infezioni nosocomiali. Si riporta a titolo esemplificativo il quadro normativo europeo (Tab. I) e i riferimenti legislativi nazionali di cui disponiamo (Tab. II). Di fatto con la modifica del Titolo V° della costituzione è demandato alle Regioni il compito di gestire programmi di prevenzione delle infezioni nosocomiali. In questa ottica, a partire dal 1997 è stato istituito presso la Direzione sanità pubblica dell’Assessorato alla sanità un modello organizzativo strutturato nel seguente modo: Prevenzione N. 147 - 2004 Sae l ute Territorio 325 ORGANIZZAZIONE ANNI 1998-2003 Istituzione gruppo di lavoro per la sorveglianza e il controllo nelle strutture pubbliche e private determinazione n°00045 - 31/03/1998 modificata con determinazione n°271 – 12/09/2001. COMPOSIZIONE: coordinatore 2 igienisti 2 infettivologi 1 epidemiologo 1 microbiologo 1 medico di direzione sanitaria 1 chirurgo 2 ici COMPITI E FUNZIONI: • Definizione delle strategie di intervento per la prevenzione delle infezioni nosocomiali nell’ambito delle ASL/ASO (requisiti di minima definiti con apposita circolare regionale) • Valutazione dell’efficacia dei programmi messi in atto dalle ASL/ASO (obiettivo delle direzioni generali) • Funzione di supporto tecnico-scientifico nella realizzazione dei programmi • Impostazione di studi di sorveglianza a valenza regionale: – Prevalenza (2000) – Studio sulle polmoniti nei pazienti ricoverati in terapia intensiva (VAP) – Studio sugli incidenti occupazionali (SIOP) – Studio sulle polmoniti sostenute da legionelle ATTIVITÀ DI VIGILANZA: • Valutazione in loco delle attivita’ esistenti • Formulazione delle opportune prescrizioni SVOLTA DA APPOSITA COMMISSIONE ISTITUITA CON DETERMINA N° 00563 DEL 9 DICEMBRE 1999. COMPOSIZIONE: – coordinatore – 1 dirigente medico di direzione sanitaria – 2 infettivologi – 1 dirigente medico responsabile spp – 2 ici Nonostante l’entità della problematica fino al 1997 nella quasi totalità degli ospedali piemontesi non erano state organizzate attività di sorveglianza e controllo delle infezioni ospedaliere. I CIO erano stati formalmente istituiti, come suggerivano le circolari ministeriali n°52/1985 e n° 8/1988, ma di fatto non risultavano essere stati operativi, impedendo l’avvio di iniziative finalizzate e concrete. Un’indagine conoscitiva del 1996 sulle modalità di prevenzione delle infezioni nei vari presidi ospedalieri denunciava una situazione di estrema precarietà, con attività limitate alla definizione di protocolli per la pulizia ambientale, la sterilizzazione e la disinfezione. Pertanto si era reso necessario fornire alle Aziende delle linee di indirizzo in cui venivano definiti i criteri di minima e gli standard per l’attuazione di programmi di sorveglianza e controllo (Circolare regionale n° 9723/48). Con la Circolare prendeva avvio un nuovo approccio alla lotta alle infezioni ospedaliere, più coerente con le indica- zioni fornite a livello della letteratura internazionale e inteso a modificare l’organizzazione e i comportamenti professionali più che a colmare le carenze igienistiche delle struttura ospedaliera. Inoltre il documento poneva l’accento sull’opportunità di coinvolgimento a tutti i livelli di responsabilità dei diversi settori sanitari, clinici, l ute Sa e 326 Territorio organizzativo-gestionali e finanziari. Si attivava quindi la costruzione di una rete regionale per l’implementazione e il monitoraggio della sorveglianza e controllo delle infezioni nosocomiali. Un apposito Gruppo di lavoro, istituito presso la Direzione regionale sanità pubblica, ha coordinato e supportato le Aziende nella fase di avvio dei programmi. Come si evince dal grafico di seguito riportato, a fine 2002 emerge una situazione di maggior sensibilizzazione da parte delle Direzioni sanitarie al problema, con istituzione delle UO di prevenzione delle infezioni nosocomiali in tutte le Aziende, presenza di programmi annuali scritti, attivazione di sorveglianze specifiche, incremento della produzione di protocolli e in particolare per l’antibioticoprofilassi, linee guida, attività di formazione. Permangono ancora marcate criticità e una situazione di non completo adeguamento agli standard proposti in 7 Aziende. Il Gruppo di lavoro ha proceduto annualmente alla valutazione dei programmi elaborati formulando giudizi di Prevenzione idoneità o meno rispetto all’efficacia delle misure di prevenzione intraprese in rapporto alla complessità delle strutture considerate. Un’analisi della situazione effettuata a fine 1999 evidenziava le seguenti criticità: • nella maggior parte delle aziende non era stata identificata formalmente la figura di un responsabile per la prevenzione del rischio infettivo con assegnazione di precisi compiti; • le direzioni sanitarie coinvolte da problemi di carattere gestionale non dedicavano ancora l’attenzione necessaria alla problematica delle infezioni nosocomiali; • gli ICI (o se non disponibili, gli infermieri professionali dedicati) non erano presenti in numero sufficiente rispetto agli standard regionali (1 ogni 250 posti-letto); • i programmi non sempre erano coerenti con i criteri fissati nella circolare regionale del ’97 che identificava in modo preciso gli standard e i criteri di minima da adottate per una attività sorveglianza e controllo adeguata; N. 147 - 2004 • la metodologia di impostazione era spesso non corretta e evidenziava più la volontà di adempiere ad un obbligo formale che non la necessità di affrontare in termini concreti la prevenzione delle infezioni nosocomiali; • emergeva nel complesso un quadro caratterizzato da notevole dispendio di energie senza produzione di dati omogenei, tali da poter essere analizzati e confrontati al fine di attuare interventi di prevenzione mirati. Alla luce di queste di queste considerazioni e allo scopo di garantire un supporto più incisivo alle Aziende, l’attività regionale è stata articolata in più momenti: • una fase di forte impulso da parte della Regione allo sviluppo nelle ASO e nelle ASL di settori dedicati alla prevenzione delle infezioni nosocomiali, con il mandato alle Direzioni generali di identificare precise responsabilità organizzative e gestionali e di assegnare sufficienti risorse; • una fase di supporto al raggiungimento degli standard proposti e di verifica delle attività svolte Grafico nelle singole aziende; • una fase “ispettiva“ non con finalità fiscali, ma intesa a valutare in modo diretto la situazione all’interno delle aziende e a fungere da ausilio tecnicoscientifico per il miglioramento della qualità dell’assistenza; • una fase di elaborazione di progetti specifici, seguita dalla loro attivazione presso le aziende: – indagine conoscitiva con l’obiettivo di definire la frequenza di infezioni a livello regionale e di uniformare la metodologia di raccolta dei dati (effettuata nel 2000); – sorveglianza delle polmoniti in pazienti con ventilazione meccanica assistita (progetto VAP, Ventilation Acquired Pneumonia); – sorveglianza degli incidenti occupazionali (progetto SIOP). È stato inoltre ritenuto opportuno che in ogni Azienda fossero presenti, diffusi e verificati nelle loro applicazione i seguenti protocolli: • isolamento e precauzioni standard; • disinfezione e sterilizzazione; • utilizzo dispositivi di prevenzione; • controllo della diffusione delle resistenze batteriche; • raccolta, conservazione e trasporto campioni microbiologici; • prevenzione incidenti occupazionali e utilizzo dei presidi; • sorveglianza di incidenti con esposizione a liquidi biologici; Prevenzione N. 147 - 2004 • profilassi post-esposizione occupazionale a liquidi biologici; • controllo tubercolosi; • prevenzione delle principali infezioni; • utilizzo antibiotici a scopo profilattico; • linee-guida per l’uso di antibiotici in patologie selezionate; • prevenzione malattie trasmissibili suscettibili di profilassi vaccinale; • trattamento biancheria; • pulizia e smaltimento dei rifiuti; • igiene della ristorazione. In sede di valutazione ispettiva, oltre alla verifica della reale applicazione di tali protocolli, è sempre stato dato par- ticolare rilievo all’attuazione di interventi riguardanti l’igiene delle sale operatorie. In attuazione alla normativa nazionale e regionale nel corso del 2000 è stato previsto il completamento del processo di accreditamento delle strutture sanitarie, nel cui ambito assume un particolare rilievo la prevenzione delle infezioni Sae l ute Territorio 327 nosocomiali. In questa ottica è stato elaborato un documento in cui sono stabiliti i requisiti di minima per la prevenzione del rischio infettivo in strutture di cura per acuti (Circolare regionale n°1950 – 6 febbraio 2001). Gli standard di riferimento proposti e adottati dal Gruppo di lavoro sono stati i seguenti: standard 1 sono definite le responsabilità della direzione, dei dipartimenti e servizi nella gestione dei problemi di prevenzione del rischio infettivo nelle strutture sanitarie. standard 2 le misure preventive del rischio infettivo nelle strutture sanitarie sono gestite da strutture qualificate che elaborano, coordinano, attuano e valutano le attività annualmente proposte. standard 3 la prevenzione del rischio infettivo è parte fondamentale nello sviluppo o modificazione dell’attività dei dipartimenti e servizi. standard 4 esiste un programma annuale di attività che interessa tutta l’azienda con obiettivi definiti. standard 5 esistono procedure di verifica all’attuazione delle misure preventive. standard 6 sono presenti attività di sorveglianza delle infezioni nosocomiali metodologicamente corrette in relazione ai problemi identificati e agli obiettivi annualmente scelti .I dati raccolti sono usati per il miglioramento delle condizioni di pazienti e operatori. standard 7 è presente un rapporto annuale sulle attività svolte, trasmesso alla direzione della struttura sanitaria e sottoposto a verifiche da parte dell’assessorato alla sanità. standard 8 l’unità per la prevenzione del rischio infettivo ed il CIO hanno sufficienti risorse assegnate. standard 9 viene fornita formazione a tutto il personale sulla prevenzione del rischio infettivo. standard 10 l’organizzazione definisce indicatori che dimostrino la crescita nella prevenzione del rischio infettivo nella struttura sanitaria. Ad oggi in quasi tutte le Aziende sono state istituite strutture operative (semplici o complesse) per la prevenzione del rischio infettivo, con nomina formale di un responsabile e si riscontra un notevole impegno nell’adempimento di questi standard. Nel corso del 2002 e 2003 una particolare attenzione è stata rivolta allo sviluppo dell’attività formativa con l’organizzazione di corsi sul corretto impiego degli antibiotici in ambito chirurgico ed internistico, indirizzati ai chirurghi ed agli internisti degli ospedali regionali. Sempre nel 2003 è stato inoltre realizzato, in collaborazione con il Dipartimento di sanità pubblica e microbiologia dell’Università degli Studi di Torino, un corso di perfezionamento sulla “Sorveglianza e controllo delle infe- Linee guida per le misure di isolamento in ospedale (traduzione cdc) zioni nosocomiali“, indirizzato a medici e infermieri professionali. A partire dal 1997 sono inoltre state rese disponibili a cura della Direzione regionale sanità pubblica le seguenti linee-guida: 1998 Linee guida per la prevenzione infezioni da legionelle 1998 Linee guida per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (traduzione cdc) 1999 Linee guida per il controllo microbiologico di sala operatoria 1999 Organizzazione 2004 Dopo 5 anni di attività si è provveduto ad una revisione critica dell’attività svolta e alla luce delle osservazioni emerse, si è reso necessario apportare alcune modifiche, orientate ad una migliore definizione delle strategie generali, alla promozione di una forte azione di sostegno alle Aziende e alla condivisione delle scelte con i responsabili aziendali per la prevenzione delle infezioni nosocomiali. Con una DGR (n° 58 -11904 approvata il 2 Marzo 2004) è stato ridefinito il Gruppo di lavoro regionale con l’inserimento dei responsabili per la prevenzione delle infezioni nosocomiali delle Aziende ospedaliere, aspetto questo ritenuto qualificante nell’ottica di creare una rete di referenti a livello locale. Si è provveduto a definire 2 ambiti separati di intervento. l ute Sa e 328 Territorio Prevenzione N. 147 - 2004 A) Commissione regionale permanente: • valutazione dei programmi e dei rapporti annuali di attività delle ASL e ASO; • predisposizione della relazione annuale sullo stato di attività nella Regione Piemonte; • supporto delle ASL e ASO e del Gruppo di lavoro. B) Gruppo di lavoro con le seguenti specifiche funzioni: • predisposizione del programma di lavoro regionale in tema di infezioni ospedaliere; • elaborazione degli atti di indirizzo alle ASL e ASO del Piemonte, necessari al governo e all’esercizio delle attività di sorveglianza, prevenzione e controllo , formazione, aggiornamento in tema di infezioni ospedaliere; • messa a disposizione delle ASL e ASO del supporto scientifico, tecnico e metodologico necessario per l’identificazione delle priorità, per la formulazione dei programmi di attività per la realizzazione delle iniziative, per la valutazione di impatto delle attività realizzate. Non è possibile allo stato attuale definire in quale percentuale gli interventi attuati abbiano indotto una diminuzione del rischio infettivo nelle strutture ospedaliere. Sulla base dei dati della lette- ratura si evince che dove sono attivi sistemi di sorveglianza e controllo efficienti ed efficaci tale rischio si abbassa significativamente. Il percorso da seguire per il raggiungimento di una situa- zione ottimale in tutti i presidi ospedalieri richiede ancora notevoli sforzi ma, attraverso un’opera costante di indirizzo, supporto e monitoraggio delle attività realizzate dalle Aziende, l’Assessora- to ha svolto e svolge un ruolo determinante nella prevenzione di una patologia che ha ripercussioni rilevanti sulla salute dei pazienti e sui costi di gestione delle strutture sanitarie. Storia ospedaliera N. 147 - 2004 Sae l ute Territorio 329 La ristrutturazione degli antichi Istituti L’Ospedale civile di Venezia e il Museo della Scuola Grande di S. Marco Nelli-Elena Vanzan Marchini Presidente C.I.S.O. - Veneto D al campo Santi Giovanni e Paolo si accede all’Ospedale Civile di Venezia attraversando il prezioso edificio rinascimentale della Scuola Grande di San Marco la cui facciata fu edificata ad opera di Pietro Lombardo e Giovanni Buora e completata da Antonio Rizzo e Mauro Coducci alla fine del Quattrocento. Come le altre Scuole Grandi di Venezia, il complesso monumentale, all’epoca della Serenissima, fu sede di una confraternita laica con scopi devozionali e di mutuo soccorso, al suo interno si può ammirare l’ampia sala del capitolo dove si riunivano i numerosi confratelli e la saletta dell’albergo, in cui si conservava il tesoro della Scuola, entrambi i locali hanno pavimenti alla veneziana e pregevoli soffitti lignei intagliati dei primi decenni del Cinquecento. Dei due cicli pittorici che abbellivano le pareti narrando vita e miracoli di San Marco, e che facevano della Scuola uno degli edifici più pregevoli del Rinascimento1, restano oggi solo alcuni telèri di Iacopo e Domenico Tinto- retto, una pala di Palma il Giovane, cui si aggiunsero a metà Novecento una annunciazione di Nicolò Renieri, le nozze di Canaan del Padovanino di altra provenienza, nel 1996 i dipinti della saletta dell’albergo sono stati rimossi dalle pareti e trasportati alle Gallerie dell’Accademia. Con la caduta della Repubblica nel 1797, la Scuola Grande di San Marco venne saccheggiata come tutti i simboli della Serenissima, le sue tele vennero rimosse e fu trasformata in caserma . Nel 1808 divenne sede dell’Ospedale militare dopo esser stata aggregata al vicino Ospedale di San Lazzaro e Mendicanti. Questo secondo edificio monumentale, costituito da due chiostri quadrangolari divisi dalla chiesa, fu eretto fra il 1601 e il 1631 su progetto di Vincenzo Scamozzi. Nel 1595 infatti il Maggior Consiglio aveva cercato di risolvere il sempre più urgente problema della mendicità utilizzando le rendite dell’antico lebbrosario nell’isola di S. Lazzaro, divenuto inutile per la scomparsa della lebbra dall’Europa. Per- ciò la nuova struttura per il controllo sociale era sorta dal trasferimento ai Santi Giovanni e Paolo dell’antico ospedale di origine medievale. Ai due complessi monumentali si aggiunse, dopo gli editti napoleonici che lo secolarizzarono, anche il vasto monastero duecentesco dei Domenicani e nel 1819 tutta la vasta area ospitò l’Ospedale Civile e da allora ha continuato fino ad oggi a fungere da polo nosocomiale di Venezia2. Il patrimonio A metà del Novecento la consapevolezza del valore artistico dell’edificio e il desiderio di restituirlo all’antico splendore indussero i soprintendenti Moschini e Fogolari a ripristinare in situ le tele eseguite per quegli spazi. L’Ospedale vi collocò la sua biblioteca incrementata dai generosi lasciti dei medici3. Oltre ai 18.000 volumi, attraverso i quali si può ripercorrere la storia dell’aggiornamento medico, il patrimonio dell’Ospedale veneziano comprende anche il ricco strumentario di circa 2000 pezzi riuniti in trousses e serie che dal XVIII° al XX secolo documentano le tecniche terapeutiche e le trasformazioni tecnologiche della cura. Nel fondo piante e progetti dell’OttoNovecento si registrano le mo- dificazioni strutturali del nosocomio e anche i progetti non realizzati fra cui quello famosissimo di Le Corbusier che costituirà uno dei punti di attrazione del nuovo museo. Le cartelle cliniche, le 850 pergamene dal XII al XVIII secolo, 277 preziose cinquecentine4, lastre fotografiche degli inizi del Novecento e un museo anatomo-patologico con relativo archivio che registra l’attività della sala anatomica dal 1883 a oggi, costituiscono i segmenti di un unico grande ed eterogeneo patrimonio storico, archivistico e museale5. La mostra A conclusione dell’opera di inventariazione del patrimonio storico-.archivistico e strumentario, nel 1985 si è allestita al primo piano della Scuola Grande di san Marco, nella grande Sala del Capitolo, la mostra permanente “La memoria della salute. Venezia e il suo ospedale dal XVI al XX secolo” 6 che è stata ripristinata nel 2001 in occasione della visita del Ministro della salute. In essa sono esposti gli esemplari più rari e pregevoli della biblioteca, dello strumentario e alcune delle piante che testimoniano le trasformazioni strutturali e scientifiche del complesso ospedaliero. l ute Sa e 330 Territorio Nel percorso espositivo risalta la serie di atlanti anatomici che illustrano la progressiva scoperta del funzionamento della macchina umana, e al tempo stesso documentano la secolare collaborazione fra medicina e arte per fissare con il disegno i segreti della vita e dell’armonia del corpo. Il funzionamento e l’uso degli Storia ospedaliera strumenti antichi di chirurgia e medicina è illustrato da volumi e incisioni coeve, gli stessi sui quali si aggiornavano i medici per meglio operare, scegliere e far acquistare la strumentazione. La lenta conquista dell’asepsi e dell’igiene è evidenziata dalle piante dell’ospedale in cui sempre maggior spazio viene L’Ospedale di S. Maria della Scala di Siena Esther Diana Centro di documentazione per la storia dell’assistenza e della sanità fiorentina P er vicende storiche e per specificità del progetto di riuso architettonico avviato intorno agli anni Settanta del 1900, il complesso dell’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena è senza dubbio uno degli interventi di recupero e valorizzazione di complessi monumentali fra i più interessanti in ambito italiano. Un interesse che nasce per un progetto che ha saputo trasporre le peculiarità socioculturali (ma anche economico-istituzionali) di un edificio storico, da secoli protagonista della formazione ed evoluzione della Città, in una realtà funzionale contemporanea dove ancora l’edificio (e quello che contiene e quello che testimonia) riesce ad interloquire in perfetta simbiosi con il contesto culturale e sociale cittadino. Questa finalità, che a prima vista può apparire scontata all’interno di un qualsiasi normale percorso progettuale predisposto al riutilizzo di un contenitore storico, in realtà si è rivelata, spesso, di difficile conseguimento conducendo piuttosto a statici prodotti di musealizzazione completamente decontestualizzati ed avulsi dagli ambiti territoriali e sociali di riferimento. Questo specialmente quando ci si trova ad intervenire, come nel Santa Maria della Scala, all’interno di un “contenitore vuoto” (ovvero senza più alcuna finalità specifica, in questo caso nosocomiale) da ri-storicizzare mediante la musealizzazione di fondi artistici, testimonianze, apparati che, pur di alto pregio, spesso non riescono a “fondersi” nell’ambiente né a riproporne la formazione, gli usi, le peculiarità. N. 147 - 2004 riservato ai luoghi e agli strumenti della disinfezione. Temporanee esposizioni hanno aperto al pubblico per periodi limitati le pergamene e le opere rare del Cinquecento. Dalla mostra permanente al Museo La Regione del Veneto, nella consapevolezza del valore di tale patrimonio e dell’importanza di conservarlo e valorizzarlo nella sua interezza e integrità, sta istituendo la Fondazione “Museo della Scuola Grande di San Marco e della sanità” che costituirà il polo culturale della storia della sanità veneziana e si porrà in sistema con altre presenze museali del territorio. È anche vero, tuttavia, che proprio per essere struttura ospedaliera dismessa, l’intervento non ha dovuto superare quelle che per altre strutture ancora in parte attive sul piano sanitario (ed è quanto ad esempio sta accadendo per l’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze)7 rappresentano impasses più pertinaci, più cariche di implicazioni negative per l’ottimale raggiungimento dei fini. Ci si riferisce alle problematiche inerenti a come coniugare un impianto ospedaliero “antico” ad una organizzazione funzionale di spazi sanitari di impronta moderna; o, ancora, a come e quanto e per quale tipologia d’utenza rapportare certi ambienti legati all’attività nosocomiale con altri più specificatamente demandati alla contestualizzazione museale del complesso. Indubbiamente aver potuto soprassedere a questi problemi ha contribuito alla fortuna della riconversione architettonico- culturale del complesso del Santa Maria della Scala. Ripercorriamone la storia progettuale iniziando da una breve sintesi storica sull’ospedale di cui viene annotata l’esistenza – in forma di xenodochium et hospitalis – già in un documento del 10908. Voluto dai Canonici del Duomo l’edificio – costruito proprio a fronte della Cattedrale – fu sottoposto ad una gestione religiosa fino al 1195, anno in cui iniziò la sua progressiva laicizzazione passando prima al governo dei frati che operavano a servizio degli infermi e poi, nel 1404 al Comune di Siena. L’istituzione fin dal suo esordio si caratterizzò per la ricchezza del patrimonio immobiliare che riuscì ad accumulare grazie agli ingenti lasciti di famiglie facoltose e a numerose donazioni ed elemosine. Una fortuna economica che poté avvalersi di una salda organizzazione istituzionale tanto da rappresentare lo statuto dell’ospedale di fine Trecento modello di riferimento per Galeazzo Visconti e per Francesco Sforza per la riforma degli ospedali da attuarsi nello Stato milanese. In ambito urbano, la costruzione dell’ospedale era iniziata in tono Storia ospedaliera N. 147 - 2004 dimesso: in origine, infatti, occupava un’area ristretta a ridosso delle mura e solo verso i primi decenni del Trecento riusciva a definirne più compiutamente la struttura mediante l’applicazione di un modello architettonico che assurgerà a primario elemento di qualificazione strutturale. Nel 1327-’28 (in analogia con quanto da poco realizzato nel fiorentino Santa Maria Nuova) veniva edificato il Pellegrinaio, ovvero una corsia per gli infermi a navata rettangolare a cinque campate di esplicito riferimento a tipologie assistenziali nord europee9. Accorpato alla più antica Cappella duecentesca detta dello Spedale, il Pellegrinaio divenne l’asse su cui si assestarono i successivi ampliamenti del complesso, soprattutto di matrice quattrocentesca. Molti dei più famosi artisti senesi lavorarono all’interno del Santa Maria della Scala assegnandogli insieme al Duomo, il ruolo di privilegiato polo di propulsione culturale. Una prerogativa che si accentuò con l’acquisto nel 1357 di un cospicuo patrimonio reliquiario proveniente da Bisanzio che decretò un ancora più incisivo ascendente dell’istituzione sulla società e religiosità della città. Le reliquie, procurarono infatti un accrescimento del prestigio che si tradusse in privilegi concessi dal Comune e dal Vescovo e, in pratica, in una crescita ulteriore del suo patrimonio finanziario. La storia strutturale dei secoli a noi più prossimi è quella comune un po’a tutti gli ospedali che, nel tempo, hanno dovuto coniugare le preesistenze storiche con le esigenze di una sanità di chiave moderna. I risultati sono stati quegli accorpamenti, superfetazioni, ampliamenti indifferenziati che – come nel Santa Maria della Scala – sopraffacendo il modello originario ne hanno disperso a livello visivo, e spesso anche a livello di percorsi, la trama architettonica primitiva. In tale ambito, il primo approccio al recupero della struttura è quello del ripristino della sua immagine originaria da attuarsi attraverso la distinzione delle diverse parti storiche, la loro datazione e restauro. Il progetto di recupero dell’ospedale senese viene a concretizzarsi alla fine degli anni Settanta a seguito della dismissione del ruolo nosocomiale a favore del nuovo Policlinico Le Scotte ed è attualmente ancora non pienamente realizzato in sintonia con la volontà di costituire un centro espositivo di concerto con le progressive necessità culturali della città10. La vastità della struttura (circa 350.000 metri cubi) infatti è venuta incontro all’intento – che si è dimostrato la carta vincente del progetto – di creare un complesso museale “aperto” realizzato per “gemmazione” di parti espositive, di associazione e di formazione costituitesi in più tempi (sia a livello di costruzione storica, sia di recupero delle strutture originarie attraverso il restauro e/o la demolizione delle costruzioni non rilevanti dal punto di vista storico). Il poter fruire di spazi secondo tempi differenziati (in sintonia con le dismissioni delle funzioni nosocomiali) ha permesso di finalizzare le destinazioni d’uso in relazione alle necessità via via contingenti. In sintesi, un “contenitore” per attività culturali ancora in fieri. Un’altra peculiarità del progetto consiste nella sua gestione distinta grossolanamente in due fasi: la prima (1986) vede nel Comune di Siena il principale promotore dell’iniziativa. È il periodo in cui viene bandito un concorso propositivo di recupero della struttura che presceglie l’elaborazione concertata da Guido Canali. Un secondo momento “nasce” nel 1998 quando viene costituita l’Istituzione Santa Maria della Scala la quale – dotata di un Rettore, un Comitato scientifico e un Consiglio d’amministrazione e sempre in collegamento con l’Amministrazione comunale – diventa la responsabile delle priorità del programma. Nel 1995 viene aperto al pubblico il primo settore rappresentato dal nucleo storico “centrale” costituito da una serie di ambienti affrescati da cicli pittorici rilevanti (Cappella del Manto, Pellegrinaio, Cappella della Madonna, Cappella del Sacro Chiodo o Sagrestia Vecchia sede delle reliquie, chiesa della SS. Annunziata) prettamente attinenti alla storia dell’ospedale e dalla sede del Museo archeologico ricavato nel sottosuolo della struttura. Ovvero in quel labirinto sotterraneo di stanze e magazzini scavati nel tufo per essere adibiti a deposito di merci e vari servizi. Altri am- Sae l ute Territorio 331 bienti a latere del Pellegrinaio sono stati indirizzati invece a esposizioni temporanee (Sale di S. Carlo Alberto, S. Pio, S. Giuseppe, e S. Leopoldo) e alla sede della Civiltà figurativa senese comprendente testimonianze dei pittori Duccio di Buoninsegna e Simone Martini oltreché ad esemplari di arti cosiddette minori – ma non per interesse – quali oggetti di oreficeria, miniatura, scultura lignea. L’apertura progressiva di ambienti adibiti a mostre temporanee e convegni (in parte già allestiti nei restaurati Magazzini della Corticella e nei locali della Compagnia di Santa Caterina della Notte11) contribuiranno ad autofinanziare il progetto di recupero generale del complesso che contempla anche la ristrutturazione dei limitrofi Palazzo del Rettore e Palazzo Squarcialupi, sedi di biblioteche e di laboratori di restauro nonché di spazi destinati alla ristorazione. Se l’antico ospedale per le sue peculiarità di assistenza, protezione, cura dei corpi ma anche sollievo e riparo per le componenti sociali più neglette rappresentava un microcosmo urbano dai molteplici riferimenti culturali, il Santa Maria della Scala di oggi pare averne riassunto gli intenti attraverso una riproposta strutturale e culturale del suo complesso che non scegliendo la strada della musealizzazione delle sole matrici sanitarie si è prestato a divenire contenitore di tutto ciò che nella nostra società viene concepito come il culturalmente utile, il bello, il formativo per eccellenza. l ute Sa e 332 Territorio Storia ospedaliera N. 147 - 2004 Note 1 William R. Rearick, La Scuola Grande di San marco: la tradizione artistica del passato e le prospettive future, in La Scuola Grande di San Marco. I saperi e l’arte, a cura di Nelli-Elena Vanzan Marchini, Treviso Canova 2001, pp. 33-55. 2 Per la storia della sanità della Repubblica di Venezia, rinvio al mio volume I mali e i rimedi della Serenissima, Vicenza, Neri Pozza 1995 nonché al repertorio: Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia da me curato in quattro tomi (I, II, Neri Pozza, Vicenza 1995, 1998; III, IV, Canova, Treviso 2000, 2003) ; per le relazioni fra la storia del nosocomio veneziano e gli altri ospedali cittadini: N.E. Vanzan Marchini, San Servolo e Venezia. Un’isola e la sua storia, Cierre, Verona 2004. 3 Nelli-Elena Vanzan Marchini, Dalla Biblioteca “selecta” dei Domenicani alla biblioteca medica della Scuola Grande di san Marco, in La Scuola Grande di San Marco..., cit., pp. 65-78. 4 Il catalogo delle cinquecentine curato da Lara Spina è pubblicato in La Scuola Grande di San Marco..., cit., pp. 99-237. 5 N.E.Vanzan Marchini, L’Ospedal dei veneziani. Storia-patrimonioprogetto, Venezia 1986. 6 Comune di Venezia, La memoria della salute. Venezia e il suo ospedale dal XVI al XX secolo, a cura di N.E. Vanzan Marchini, Venezia 1985. 7 L’ospedale è attualmente oggetto di un piano di riqualificazione dei servizi sanitari comprensivo di un progetto di allestimento per una “Raccolta del patrimonio artistico e scientifico di Santa Maria Nuova” da costituirsi nel settore monumentale del complesso. 8 Per approfondimenti sulla storia dell’ospedale, G. Sanesi, L’origine dello Spedale di Siena e il suo più antico Statuto, Siena 1898; V. Lusini, Note storiche sulla topografia di Siena nel sec. XIII, Bullettino Senese di Storia Patria, XXVIII, 1921, pp. 239-341; G. Cantucci, Considerazioni sulle trasformazioni urbanistiche nel centro di Siena, Bullettino Senese di Storia Patria, III serie, XX, 1961, pp. 251-262; D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena, vicenda di una committenza artistica, Pacini Ed., Pisa, 1985. 9 Sull’esistenza di due sale longitudinali preesistenti al Pellegrinaio dedite al ricovero degli ammalati femminili e maschili, D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale…, op. cit., p. 70. La fisionomia architettonica definitiva del Pellegrinaio si realizza nel 1380 mentre il ciclo di affreschi dipinti da Domenico di Bartolo, Lorenzo Vecchietta e Priamo della Quercia vennero ideati dallo Spedalingo Francesco Buzzichelli tra il 1434 e il 1444. Il ciclo che rappresenta Storie dell’istituzione e la vita quotidiana all’interno dell’ospedale si svolge su quattro delle sei campate quattrocentesche. 10 Sul programma di recupero, E. Toti, Il Santa Maria della Scala di Siena. Da ospedale a centro d’arte internazionale, in L’antico ospedale di Santo Spirito. Dall’istituzione papale alla sanità del terzo millennio, Atti del Convegno tenutisi a Roma, dicembre 2001, II, pp. 397-408. 11 Lo spazio complessivo aperto al pubblico è attualemente di oltre 9.000 metri quadrati, E. Toti, Il Santa Maria…, op. cit., p. 405. N. 147 - 2004 Documento a cura dei Componenti del Consiglio Direttivo della Associazione InterRegionale Trapianti AIRT Franco Filipponi (Presidente AIRT) Pier Maria Fornasari (Vicepresidente AIRT) Massimo Maccherini (Segretario AIRT) Provincia Autonoma di Bolzano: Karl Kob, Peter Zanon Valle D’Aosta: Monica Meucci, Piero Gaillard Piemonte: Giuseppe Segoloni, Maria Maspoli, Pier Paolo Donadio, Sergio Baldi, Mauro Salizzoni, Maurizio Stella Emilia-Romagna: Lorenza Ridolfi, Andrea Buscaroli, Enzo Capocasale, Mario Mergoni, Antonio D. Pinna Toscana: Alberto Zanobini, Vittorio Fossombroni, Giulio Nicita, Gaetano Rizzo Puglia: Francesco P. Schena, Michele D’Ambrosio, Michele Battaglia, Loredana De Fazio, Biagio Favonio, Luigi Lupo 1 www.gazzettaufficiale.it Spazio Toscana Sae l ute Territorio 333 Regionalizzazione della sanità in tema di donazione e trapianto di organi Premessa La legge 91 del 1° aprile 19991 ha sancito un sistema di coordinamento delle attività nazionali di donazione e trapianto di organi e tessuti articolato su quattro livelli e rappresentati, rispettivamente, dal Centro Nazionale Trapianti (CNT), dai Centri Interregionali di Riferimento (CIR), dai Centri Regionali per i Trapianti (CRT), e dai Coordinamenti Locali, a carattere aziendale od interaziendale. I CIR – rappresentati dal Nord Italia Transplant program (NITp), dall’Associazione InterRegionale Trapianti (AIRT) e dall’Organizzazione Centro Sud Trapianti (OCST) – traggono la loro origine dalla storia organizzativa delle singole reti operative interregionali, così come esse si sono venute a costituire nel corso degli anni. Le disposizioni di cui alla legge 91/1999, oltre a riconoscerne l’identità culturale ed il ruolo scientifico, assegnano ai CIR le funzioni operative di soggetti istituzionali, essendo essi l’espres- sione della complessa rete di accordi sottoscritti tra le amministrazioni regionali o stipulati su base convenzionale fra la struttura sanitaria sede del CIR e le regioni interessate. Inoltre, sulla base di accordi intervenuti tra il Ministero della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sono stati individuati i bacini di utenza minimi, riferiti alla popolazione, comportanti l’istituzione dei CIR. Tali indicazioni sono state accolte dalla legge 91/99, ai sensi dell’articolo 10, comma 21. Le funzioni dei CIR dipendono dalla tipologia e dai contenuti degli accordi costitutivi, ed includono, a seconda degli stessi, la gestione delle liste di attesa, l’allocazione degli organi, la gestione delle richieste urgenti, il coordinamento complessivo nell’area di competenza, od anche la legiferazione con valenza istituzionale, attraverso l’istituzione di organismi competenti, consigli direttivi o gruppi tecnici di lavoro. In virtù delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione, la tutela della salute e l’organizzazione dei servizi di assistenza socio-sanitaria sono stati devoluti in maniera concorrente alle Regioni, con il compito di adottare al loro interno il modello organizzativo più adeguato alla realtà regionale ed alle necessità della popolazione di assistiti. Recependo tali principi, la Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni del 14 febbraio 20022 ha fissato, di comune accordo tra il Ministero della salute, le Regioni e le Province autonome: • i principi per l’individuazione delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e di tessuti; • gli standard condivisi di qualità in funzione dei tipi di trapianti; • gli standard minimi di attività annuale; • le attività di verifica sul conseguimento dei prescritti standard; • i principi di attivazione dei nuovi centri di trapianto; l ute Sa e 334 Territorio • le attività di verifica affidate al CNT; • le procedure di trapianto sperimentale. La Conferenza Stato-Regioni ha conferito, quindi, alle Regioni e Province autonome l’autorità di procedere all’autorizzazione di nuovi centri trapianto, al rinnovo od alla revoca della stessa, sulla base delle linee-guida e dei requisiti tecnici indicati dal CNT in accordo con il Consiglio Superiore di Sanità. Tale Conferenza ha individuato gli standard minimi di attività annuale per i centri di trapianto in: • 30 trapianti di rene da cadavere; • 25 trapianti di fegato da cadavere; • 25 trapianti di cuore da cadavere; • 15 trapianti di polmone da cadavere, specificando come, ai fini di un significativo contenimento dei costi, lo standard annuale di attività deve essere almeno doppio rispetto ai minimi previsti2. La Conferenza permanente Stato-Regioni del 29 aprile 2004 3 ha, inoltre, fissato le tipologie di trapianto di organi per le quali è possibile definire standard di qualità relativi all’assistenza dei pazienti. La stessa Conferenza4 ha altresì fissato in dettaglio, sulla base di quanto proposto dal CNT e dal Consiglio Superiore di Sanità e di quanto 2 Spazio Toscana sancito dalla precedente Conferenza del 14 febbraio 2002, i criteri relativi: • all’idoneità ad effettuare trapianti ed ai parametri di qualità di funzionamento in relazione al reperimento ed alla disponibilità di organi e tessuti; • alla programmazione delle attività di trapianto in coerenza con gli standard relativi ai centri individuati dalle Regioni e dalle Province autonome come strutture idonee per i trapianti di organi e tessuti; • alla valutazione di indicatori di efficienza, della qualità dei risultati e della qualità dell’organizzazione regionale per la donazione degli organi. Con riferimento ai criteri d’idoneità ad effettuare trapianti ed ai parametri di qualità di funzionamento in relazione al reperimento ed alla disponibilità di organi e tessuti, la suddetta Conferenza permanente Stato-Regioni ha sancito che: • le équipes mediche, responsabili dell’attività di trapianto, devono possedere la necessaria competenza attestata da specifica documentazione di servizio, dall’elenco dei trapianti dei quali si è avuta la responsabilità terapeutica, da documentato curriculum comprendente la personale casistica di ciascuno dei componenti. Tale documentazione riguarda non solo le équipes chirurgiche, ma tutte le équipes direttamente responsabili della cura del paziente nelle diverse fasi dell’attività trapiantologica. Tale documentazione viene raccolta dall’Azienda sanitaria sede dell’attività, verificata dall’Assessorato alla Sanità e sottoposta a rivalutazione biennale. Appare opportuno ricordare in questa sede che precedenti esperienze cliniche hanno dimostrato come la non frammentazione della casistiche consenta di migliorare il rapporto costo-efficacia e la qualità assistenziale dell’attività di trapianto, con particolare riferimento al trapianto di fegato da donatore cadavere5, e come analoghe considerazioni siano state espresse dalla Commissione incaricata dal Consiglio Superiore di Sanità di eseguire gli audits presso i centri di trapianto di fegato presenti sul territorio nazionale6. Recenti raccomandazioni UE, la Conferenza permanente Stato–Regioni del 29 aprile 20044, nonché i piani sanitari nazionali e regionali, hanno accolto il principio funzionale in base al quale il percorso assistenziale del paziente deve essere perseguito come obiettivo priori- N. 147 - 2004 tario e quest’ultimo incentrato sulla patologia d’organo, in maniera da garantire al paziente stesso di usufruire di quella multidisciplinarietà indispensabile per l’ottenimento dei migliori risultati conseguibili e dell’assistenza più adeguata. Il concetto di un’assistenza sanitaria basata sui processi e sui percorsi rende desuete strutture trapiantologiche dedicate indifferentemente a tutti o più organi, mentre consiglia l’istituzione di Dipartimenti e/o Unità Operative dedicati alla patologia d’organo ed in cui si concentrino le necessarie e comprovate 4 competenze multidisciplinari. In ambito trapiantologico, quindi, si possono identificare tre indirizzi: • un indirizzo epato-gastroenterologico, che preveda attività trapiantologica epatica e/o intestinale e chirurgia epato-biliare; • un indirizzo cardio-polmonare per il trapianto di organi toracici e chirurgia correlata; • un indirizzo nefro-diabetologico per il trapianto di rene, pancreas e rene-pancreas e chirurgia correlata. Il presente documento illustra i risultati della valutazione condotta in ambito AIRT dei programmi di trapianto attivi, al fine di fornire elementi di giudizio e/o Accordo tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui requisiti delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e tessuti e sugli standard minimi di attività di cui all’art. 16, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91. 3 Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 29 aprile 2004, repertorio atti 1942. 4 Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 29 aprile 2004, repertorio atti 1966. 5 Filipponi F., Pisati R., Cavicchini G., Ulivieri MI., Ferrara R., Mosca F. Cost and outcome analysis and cost determinants of liver transplantation in a European National Health Service hospital. Transplantation 2003; 75(10): 1731-6. 6 Relazione finale della Commissione sugli audit ai Centri Trapianto di fegato italiani. Roma, 18 giugno 2003. N. 147 - 2004 Spazio Toscana Sae l ute Territorio 335 Fig. 1 - Panorama dei centri trapianto, CRT e CIR in AIRT. raccomandazioni tecniche ad uso degli Assessorati alla Sanità/Salute delle regioni AIRT in merito all’autorizzazione di nuovi centri di trapianto od al rinnovo della stessa per i centri preesistenti. Le attività di donazione e di trapianto in oggetto saranno riferite in termini assoluti e pmp (per milione di persone). Attività AIRT 2004 Alla data del 31 dicembre 2003 la popolazione delle regioni AIRT faceva registrare 16.299.083 abitanti. Tale valore è stato utilizzato per il computo delle attività di donazione e trapianto qui di se- guito riferite. La tabella 1 illustra in dettaglio il numero assoluto e pmp di donatori segnalati, effettivi ed utilizzati nelle regioni AIRT ed il confronto con le attività del NITp, dell’OCST e nazionali. Nell’AIRT sono autorizzati (figura 1): • 11 centri trapianto di rene, di cui: 3 in Emilia-Romagna (Bologna, Modena e Parma); 3 in Piemonte di cui 2 per adulti ed 1 per pediatrici (Torino, Novara); 3 in Toscana (Firenze, Pisa, Siena); 2 in Puglia (Bari, Lecce). • 5 centri trapianto di fegato, di cui: 2 in Emilia-Romagna (Bologna, Modena); • • • • 1 in Piemonte (Torino); 1 in Toscana (Pisa); 1 in Puglia (Bari). 3 centri trapianto di pancreas e rene-pancreas, di cui: 1 in Emilia-Romagna (Parma); 1 in Piemonte (Torino); 1 in Toscana (Pisa). 5 centri trapianto di cuore, di cui: 1 in Emilia-Romagna (Bologna); 2 in Piemonte di cui 1 per adulti ed 1 per pediatrici (Torino); 1 in Toscana (Siena); 1 in Puglia (Bari). 3 centri trapianto di polmone, di cui: 1 in EmiliaRomagna (Bologna); 1 in Piemonte (Torino); 1 in Toscana (Siena). 1 centro trapianto di inte- stino in Emilia-Romagna (Bologna in collaborazione con Modena). La tabella 2 illustra in dettaglio il numero di trapianti da donatore cadavere eseguiti in AIRT per tipologia di organo e per centro di trapianto, ed il confronto con l’attività NITp, OCST e nazionale. Considerazioni Nonostante la regionalizzazione dell’assistenza sanitaria, la programmazione delle attività di trapianto di organi deve sempre tener presente la necessaria afferenza a programmi interregionali e nazionali, al fine di garantire la sicurezza del paziente in si- l ute Sa e 336 Territorio Spazio Toscana tuazioni di urgenza. In tali situazioni, infatti, ogni programma di trapianto beneficia della partecipazione all’attività della rete nazionale e di quelle sovranazionali. La trapiantologia è da considerarsi oggigiorno una pratica inseri- ta a pieno titolo nel panorama delle attività del SSN. L’autorizzazione di nuovi centri trapianto od il rinnovo dell’autorizzazione di centri preesistenti deve tener conto, oltre che dei livelli assoluti di attività, di parametri quali: Donatori segnalati N. 147 - 2004 • i livelli donativi esistenti nella regione di appartenenza; • il bacino d’utenza ed il fabbisogno regionale di trapianto per tipo di organo; • l’esistenza di modelli organizzativi adeguati e dedi- Donatori effettivi cati all’implementazione della donazione e del trapianto; • l’adeguatezza delle risorse disponibili e delle strutture sanitarie; • il livello di qualità, di costo-efficacia e di costo-ri- Donatori utilizzati N pmp N0 pmp N pmp Emilia-Romagna 214 53,7 120 30,1 114 28,6 28,4 Piemonte-Valle d’Aosta 222 51,2 127 29,3 123 Puglia 74 18,4 34 8,5 34 8,5 Tabella 1 - Attività di donazione Toscana 220 63 127 36,3 109 31,2 nelle regioni AIRT e confronto Prov. Bolzano 25 54 16 34,6 15 32,4 con NITp, OCST e Italia. AIRT 754 46,3 423 26 395 24,2 NITp 644 35,3 466 25,5 425 23,3 OCST 622 27,7 311 13,9 300 13,4 Italia 2021 35,4 1201 21,1 1120 19,7 Rene N Emilia-Romagna 143 Fegato Pancreas pmp N pmp N* pmp 35,9 106 26,6 1 0,25 Cuore Polmone Intestino N pmp N pmp N pmp 43 10,8 1 0,25 7 1,7 Bologna 77* 74$ - 43£ 1 7 Modena 26** 32& - - - - - 1# Parma 40*** Piemonte 169 38,9 145 33,4 0 0 16 3,7 9 2,1 - Torino 104¢ 145§ 0 16 9ª - Novara 65¥ - - - - - Toscana - Tabella 2 - Attività di trapianto Firenze 163 46 - - - - - da donatore cadavere in AIRT Pisa 61b 99 44 - - - Siena 56c - - 18 6 - - 3 - - Puglia 76 Bari Lecce 46,7 18,9 99 19 28,3 4,7 44 12,6 18 5,1 0,74 6 1,7 75d 19 - 3 - - 1 - - - - - AIRTe 551 33,8 369 22,6 45 2,7 80 4,9 16 0,98 7 NITpe 652 35,7 370 20,2 45 2,4 190 10,4 60 3,3 - OCSTe 514 22,9 230 10,1 3 0,1 73 3,2 4 0,18 - Italiae 1718 30,1 969 17 93 1,6 343 6 80 1,4 7 e confronto con NITp, OCST e Italia. 0,4 0,1 *di cui 3 rene doppio; 7 fegato-rene; 2 cuore-rene; ** di cui 9 rene doppio ed 1 fegato-rene; ***di cui 4 rene doppio ed 1 rene pancreas;$di cui 7 fegato-rene ed 1 fegato split; &di cui 1 fegato-rene;# rene-pancreas;£ 2 cuore-rene;¢di cui 4 rene doppio e 4 fegato-rene; ¥di cui 3 rene doppio; §di cui 21 split e 4 fegato-rene;ª di cui 4 polmone doppio; bdi cui 26 rene-pancreas e 13 rene doppio; cdi cui 7 rene doppio; ddi cui 3 rene doppio; etotale pazienti. N. 147 - 2004 sultato raggiunti dai centri di trapianto; • l’esistenza di percorsi assistenziali funzionali basati sulla patologia d’organo; • le capacità didattico-formative dei centri trapianto. Con riferimento ai principi sanciti dalla Conferenza permanente Stato-Regioni del 29 aprile 20044, tutti gli specialisti del settore trapiantologico debbono avere una comprovata esperienza clinica specifica di settore, ma per gli operatori chirurghi è necessario riconoscere l’esistenza di livelli minimi di soglia in termini di procedure eseguite e certificate quale primo operatore. Per tali ragioni, il responsabile dell’attività trapiantologica dovrebbe possedere una documentata esperienza nella gestione clinica ed un’attività operatoria certificata quale primo operatore, pari ad almeno: • 50 procedure per il trapianto di fegato; • 25 procedure per il trapianto di rene; • 30 procedure per il trapianto di cuore; • 30 procedure per il trapianto di pancreas; • 10 procedure per il trapianto di polmone; • 10 procedure per il trapianto di intestino. Sulla base dei risultati delle casistiche raccolte, l’AIRT presenta un panorama trapiantologico assai articolato in termini qualitativi e quantitativi, con attività consolidate per il fegato, il pancreas, il rene, il rene-pancreas, il cuore e l’intestino. In particolare: • la numerosità dei centri trapianto di rene appare Spazio Toscana attualmente sufficiente all’utilizzo della donazione presente; • per quanto concerne il trapianto di fegato, ogni regione AIRT è dotata di almeno un centro, mentre in Emilia-Romagna esistono due centri di trapianto (Bologna e Modena). I Centri trapianto di Torino, Pisa e Bologna si collocano tra i primi cinque centri trapianto di fegato italiani per attività nel biennio 2003-2004, con livelli qualitativi elevati, come testimoniato dagli audits ministeriali 4. In particolare, i livelli di attività dei centri trapianto di fegato di Torino, Pisa, Bologna e Modena – ove il numero annuale di trapianti effettuati è superiore alla soglia minima prevista – consentono un ottimo rapporto costoefficacia, nonché possibilità di formazione per gli operatori. • Per quanto concerne il trapianto di pancreas e rene-pancreas, in ambito AIRT viene eseguita la quota parte più rilevante dell’intera attività nazionale, presso il centro di Pisa. Oltre a quello toscano, sono presenti un centro in Emilia-Romagna (Parma) ed un centro in Piemonte (Torino). Le prospettive future consistono in un potenziamento dei centri già esistenti, oppure nell’istituzione di nuovi centri nel caso in cui non si attivino operativamente quelli già autorizzati, nel rispetto dei livelli minimi di attività. • Il programma di trapianto di intestino è oggigiorno un programma nazionale sperimentale che prevede un centro trapianti per ogni raggruppamento interregionale. In AIRT il centro trapianti di intestino ha sede in Emilia-Romagna (Bologna, Modena). In virtù del bacino di utenza e del fabbisogno reale, nonché in base al carattere nazionale e sperimentale del programma che vuole la sua autorizzazione demandata a livello ministeriale centrale, non si intravede la necessità di ulteriori centri in sede AIRT. • L’attività dei programmi di trapianto di organi toracici è numericamente la più debole in ambito AIRT, con un solo centro di trapianto di cuore (Bologna) con attività superiore al livello soglia ed i centri di trapianto di polmone tutti al di sotto dei livelli minimi. L’attività di donazione in ambito AIRT appare una delle più rilevanti a livello nazionale, con tre regioni – la Toscana, il Piemonte e l’EmiliaRomagna – tra le prime cinque per numero di donatori effettivi ed utilizzati tra quelle con una popolazione superiore ai tre milioni di abitanti, e tra le prime in Europa. Unica eccezione è rappresentata dalla Puglia, i cui livelli donativi appaiono in calo, così come le attività di trapianto, che per alcuni organi sono al di sotto dei livelli minimi raccomandati. Con riferimento alle raccomandazioni nazionali ed internazionali ad una pratica trapiantologica attenta al Sae l ute Territorio 337 percorso assistenziale ed alla patologia d’organo, si fa presente che in sede AIRT esistono numerose esperienze di Dipartimenti ed UU.OO. dedicate ai trapianti secondo la tipologia d’organo (Torino, Bologna, Modena, Pisa) e osservanti del percorso assistenziale del paziente. Raccomandazioni • L’obiettivo principale dell’attività trapiantologica deve consistere nel perseguimento della sicurezza del paziente e della qualità delle prestazioni offerte. Laddove i livelli di attività di trapianto fossero significativamente inferiori a quanto raccomandato dalla Conferenza permanente Stato-Regioni, si raccomanda di non procedere al rinnovo dell’autorizzazione del centro in oggetto. • Al fine di perseguire una concreta ottimizzazione delle risorse è auspicabile la messa in opera di valutazioni di costo-efficacia e costo-risultato attraverso indagini regionali sui costi delle strutture trapiantologiche correlate ai livelli di attività e di risultato. • Appare necessario attuare correttivi finalizzati al potenziamento dei programmi di trapianto degli organi toracici. • Con riferimento al trapianto di pancreas, occorre potenziare i centri esistenti per consentire il raggiungimento degli standards raccomandati oppure autorizzarne di nuovi. • La numerosità dei centri trapianto di fegato è oggi l ute Sa e 338 Territorio sufficiente all’utilizzo della donazione degli organi prodotti nell’area. Peraltro, nei centri del Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana sono già presenti le potenzialità per l’utilizzo di un auspicabile aumento dei livelli donativi. Spazio Toscana • I centri trapianto di rene appaiono sufficienti. Qualora non si raggiungano i livelli minimi di attività si raccomanda di non rinnovare l’autorizzazione e di procedere all’apertura di nuovi centri in numero equivalente, previo rispet- to degli standards strutturali previsti dalle linee guida della Conferenza permanente Stato-Regioni e del possesso dei requisiti necessari da parte degli operatori autorizzati. • Si raccomanda l’istituzione di Dipartimenti trapianto- N. 147 - 2004 logici dedicati al percorso assistenziale del paziente, secondo quando precedentemente indicato. • Si raccomandano percorsi formativi idonei e coerenti degli operatori sanitari dedicati alle attività trapiantologiche. Il miglioramento delle condizioni di salute delle popolazioni attraverso l’integrazione delle conoscenze e degli interventi I PIANI INTEGRATI DI SALUTE L’esigenza di una conoscenza adeguata della realtà sociale, sanitaria, ambientale e della zona espressa dalla “immagine di salute” Il modello formativo Monografia a cura di Maria Grazia Petronio e Canio Lomuto l ute Sa e 340 Territorio I piani integrati di salute N. 147 - 2004 L’immagine Il risultato di una valutazione condivisa delle emergenze soggettive della popolazione. Dalla selezione e gerarchizzazione alle azioni di intervento per la definizione di Struttura e contenuti del PIS Canio Lomuto Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS - Firenze I collaborazione fattiva con l’Azienda USL, dove non sia sperimentata la SdS (vedi art. di A. Serino La disciplina di riferimento). Migliorare la salute implica modificare lo stato dei fattori che la determinano, fattori che incidono su quelle condizioni, come il benessere, l’assenza di malattia, la qualità della vita, la competenza a star bene, che della salute rappresentano gli aspetti concreti. Questi fattori sono sia di tipo sanitario, disponibilità, accessibilità e qualità dei servizi, sia, soprattutto, extrasanitari: condizioni sociali, economiche, stili di vita, stato dell’ambiente. Il PIS l Piano integrato di salute (PIS) è lo strumento della programmazione locale, le cui strategie e politiche hanno come finalità il miglioramento della salute della popolazione. Le politiche del PIS si concretizzano mediante interventi, realizzati sulla base di progetti con obiettivi specifici e misurabili coerenti con la finalità generale. Il PIS si articola quindi in progetti. L’ambito di realizzazione del PIS è il territorio della zonadistretto: sono gli enti locali ad avere, perciò, la responsabilità politica del Piano o attraverso la Società della salute (SdS) o in un rapporto di dovrà perciò prevedere interventi su una molteplicità di fattori che interagiscono fra di loro, il cui controllo dipende spesso da soggetti diversi e settori diversi dell’amministrazione pubblica. Per questo il Piano, se vuol raggiungere i suoi scopi, dovrà mettere insieme, integrare, conoscenze relative a fenomeni che di solito sono collocati in campi disciplinari e amministrativi distinti, a volte separati, e prevedere interventi interdisciplinari e multisettoriali. È a livello locale che l’integrazione può esprimere più efficacemente le sue potenzialità di cambiamento, sia sul versante delle conoscenze sia su quello degli interventi operativi: • la conoscenza della realtà, ovvio presupposto di ogni programmazione razionale, può nascere a livello locale dall’esperienza, riflettuta, dei singoli e, condivisa, della collettività, quindi in una forma immediatamente unitaria; • a livello locale si assumono decisioni e si gestiscono politiche con un potenziale, rilevante impatto sulla salute. Queste considerazioni, insieme all’evidenza pratica che scelte culturali e politiche con impatto sulla salute degli individui e della comunità richiedono un’assunzione di responsabilità non solo da parte delle istituzioni politiche e dei servizi sanitari ma anche dei cittadini, dimostrano che un Piano per essere integrato deve essere anche partecipato. Basti pensare alle politiche energetiche, a quelle del lavoro o dei trasporti per riconoscere la necessità d’interazione tra Enti locali, servizi pubblici, forze sociali, associazioni e gruppi di cittadini per l’individuazione, l’attivazione e il controllo di politiche efficaci. Se in generale il governo della salute è un processo che richiede l’attenzione e la partecipazione di una pluralità di soggetti, il PIS è di questo processo il momento più importante, l’occasione decisiva per la partecipazione, diretta o mediata, individuale e collettiva dei cittadi- * Per una migliore comprensione è utile la conoscenza delle Linee guida per la realizzazione dei Piani intergrati di salute della Regione Toscana. N. 147 - 2004 I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 341 magine informativa è il rapporto che stabilisce con la realtà che vuol rappresentare: deve emergere da procedimenti di valutazione e condivisione; deve essere capace di avviare il cambiamento, contenere cioè le indicazioni necessarie a intervenire per cambiare. Il processo di costruzione dell’Immagine è in sostanza una ricerca: delle relazioni critiche, problematiche, tra i diversi fattori che condizionano la salute. È chiaro che individuare tali criticità significa anche intravederne i modi del superamento, quindi, in una Imma- gine a ogni problema emerso sono associati gli elementi utili alla soluzione, quando non una ipotesi precisa di soluzione, anche se non necessariamente attuabile. L’Immagine è importante non solo per ciò che riesce a dire ma anche per quelle zone d’ombra in cui le relazioni cercate non siano chiarite, perché queste ultime indicano i temi e i problemi che richiedono di essere approfonditi o ulteriormente indagati. In sintesi, l’Immagine di salute contiene: • l’insieme delle coppie “problema-ipotesi di soluzione”; di salute epidemiologiche e delle conoscenze dei problemi e delle opportunità progetti con obiettivi misurabili ni all’integrazione delle politiche pubbliche. Com’è fatto un PIS Per costruire un PIS è innanzitutto necessaria una conoscenza adeguatamente chiara dei bisogni e dei problemi di salute del territorio, delle opportunità e delle risorse disponibili. Una simile conoscenza è possibile se sono disponibili informazioni oggettive sugli aspetti rilevanti della realtà sociale, sanitaria, ambientale e se sul territorio è presente una rete di soggetti locali in grado di contribuire all’arricchimento e alla valutazione di tali informazioni. Le informazioni fornite da flussi statistici e da ricerche scientifiche sono essenziali a ogni processo decisionale razionale e, anzi, spesso la loro utilità è sottovalutata o la loro disponibilità non adeguatamente perseguita, ma da sole non sono sufficienti per una programmazione veramente democratica, sia perché colgono solo alcuni aspetti di fenomeni altrimenti complessi sia perché richiedono, per essere comprese, competenze specifiche pochissimo diffuse tra la popolazione. La definizione di un quadro conoscitivo adeguato ad una programmazione integrata richiede che le informazioni oggettive siano condivise con la popolazione, per poterne valutare collettivamente la pertinenza nel proprio territorio, e che vengano accolte quelle conoscenze soggettive, frutto dell’esperienza e della percezione di cui i soggetti della partecipazione sono portatori. Un quadro informativo siffatto, sintetico, integrato, connotato, dei problemi per la salute peculiari della zona può definirsi un’immagine: Immagine di salute della zona (Fig. 1). Ciò che caratterizza una im- Fig. 1 - Processo di costruzione dell’immagine di salute. l ute Sa e 342 Territorio • l’indicazione dell’ambito territoriale in cui si genera il problema e il livello politico e amministrativo in cui può essere risolto; • l’indicazione dei temi locali che richiedono approfondimenti conoscitivi, anche attraverso l’attivazione di ricerche epidemiologiche o di altra natura. Uno dei risultati più importanti dell’Immagine è l’attivazione di procedure d’interlocuzione tra soggetti tecnici della ASL e delle amministrazioni locali, amministratori, forze sociali, associazioni, gruppi di popolazione, singoli cittadini, interlocuzione che sta alla base di una programmazione integrata e partecipata. Uno dei presupposti della realizzazione di un’Immagine di salute di zona è dunque la disponibilità di dati oggettivi sanitari, sociali e ambientali raccolti e organizzati in un Profilo di salute di zona (vedi Fig. 1 e art. di A. Valdrè, S. Pedone e M.G. Petronio I Profili di salute). Il Profilo è un documento tecnico, realizzato da tecnici dedicati, che svolge la funzione di archivio aggiornato delle evidenze quantitative, possibilmente integrate, delle condizioni sanitarie, sociali e ambientali della zona, espresse attraverso diverse misure. Il Profilo dovrebbe essere il risultato di un’attività informativa costante e diffusa e la necessità della sua realizzazione di per sé orienta verso l’integrazione dei diversi sistemi informativi di settore. Una volta che attraverso l’Immagine di salute siano stati individuati i bisogni e i problemi di salute della zona, I piani integrati di salute anzi più esattamente le coppie problema-soluzione, è necessario che tali coppie siano ordinate gerarchicamente in vista di una decisione relativa agli interventi da attivare. Si procede perciò alla scelta delle priorità. È dunque dalla scelta dei problemi da affrontare che discende la decisione relativa alle politiche d’intervento, azioni o programmi, che sostanziano il Piano con obiettivi specifici. Per ciascuna azione è poi necessario definire uno o più progetti che rappresentano il percorso operativo, le attività tecniche e professionali, le risorse, le fasi logiche e temporali, i prodotti attesi, gli indicatori per verificare il raggiungimento degli obiettivi scelti (Fig. 3). Un PIS è dunque, per quanto attiene ai contenuti, un insieme organico di azioni o programmi e relativi progetti (Fig. 2). Da un punto di vista metodologico è bene distinguere l’attività di ordinamento gerarchico delle coppie problema- N. 147 - 2004 soluzione (vedi art. di E. Buiatti Formazione interattiva) dalla scelta delle azioni: la prima si colloca su un versante tendenzialmente tecnico, in ordine ai soggetti realizzatori e ai criteri di selezione, la seconda, riguardando un’assunzione di responsabilità politica, su quello politico amministrativo. Anche nelle situazioni in cui, per effetto di un coinvolgimento forte dei soggetti della partecipazione e degli amministratori, il processo che va dall’Immagine di salute alla decisione relativa agli obiettivi da raggiungere, e quindi delle azioni da attivare, sia nel concreto indistinguibile in fasi, è comunque necessaria la massima trasparenza possibile dei criteri di ordinamento e scelta. È necessario cioè che siano chiari i motivi per i quali un problema occupa una certa posizione nella lista delle priorità e le ragioni per cui si sceglie di affrontare un problema piuttosto che un altro. I criteri di selezione e ordinamento di tipo quantitativo, o oggettivo, attengono a: • la rilevanza territoriale del problema; • le possibilità concrete di soluzione; • la misurabilità degli esiti; • gli effetti nel tempo e su altri settori d’intervento pubblico delle soluzioni adottate; • gli aspetti economici del problema e della soluzione. Mentre quelli più qualitativi o soggettivi: • il grado di condivisione da parte dei soggetti che operano la selezione; • la percezione che ha del problema la popolazione. Nelle zone per le quali non sia ancora disponibile un Profilo di salute è necessaria, come attività propedeutica al PIS, la raccolta e l’organizzazione dei dati quantitativi disponibili, anche quando non esaurissero le necessità conoscitive: anche una disponibilità parziale di informazioni oggettive contribuisce a fondare su basi più razionali e trasparenti l’individuazione dei problemi e il confronto tra i soggetti che decidono le priorità. Fig. 2 - Struttura di un PIS. I piani integrati di salute N. 147 - 2004 Sae l ute Territorio 343 Fig. 3 - Scheda di progetto. I progetti Il progetto è l’immagine tecnica di una scelta politica, l’azione o programma. Il progetto (Fig. 3) predispone le attività, le colloca nel tempo, vi alloca le risorse per il raggiungimento degli obiettivi che l’azione ha individuato. In prospettiva programmare per progetti implica per un sistema di servizi che anche la cosiddetta attività corrente entri a far parte di un flusso coerente di attività orien- tato da uno o più obiettivi, cosa che richiede al sistema una notevole flessibilità. Nel caso dei progetti PIS, alla flessibilità bisogna collegare l ute Sa e 344 Territorio I piani integrati di salute N. 147 - 2004 Tab. 1 TIPOLOGIA FONTI DI CONTESTO FONTI DI TIPO AMMINISTRATIVO-EPIDEMIOLOGICO FONTI DI TIPO AMMINISTRATIVO-GESTIONALE FONTI PRINCIPALI CONTENUTI INFORMATIVI Popolazione residente - ISTAT dati aggregati per sesso, età, comune di residenza Anagrafe comunale dati individuali per quartiere, strada seggio elettorale, sezione di censimento Anagrafe Assistibili assistibili e MMG Censimento della popolazione e delle abitazioni informazioni di tipo socio-economico Rilevazioni ISTAT su tematiche specifiche forze di lavoro, incidenti stradali, consumi delle famiglie, statistiche sull’istruzione Indagini multiscopo ISTAT stili di vita, percezione dello stato di salute, presenza di malattie croniche Registro di mortalità regionale dati anagrafici, causa, luogo, data del decesso Registro tumori toscano dati anagrafici, sede della neoplasia, stadio, dati di incidenza Certificato assistenza al parto dati anagrafici del neonato e della madre, informazioni socio-demografiche del padre e della madre, notizie relative alla gravidanza, al parto e al neonato Rilevazione delle interruzioni volontarie di gravidanza informazioni di tipo socio-demografico, età gestazionale all’IVG, informazioni su eventuali precedenti gravidanze, (parti, IVG, aborti spontanei) informazioni sull’intervento Rilevazione delle dimesse per aborti spontanei informazioni di tipo socio-demografico, informazioni precedenti gravidanze, (parti, IVG, aborti spontanei) informazioni sull’intervento Registro toscano dei difetti congeniti informazioni sul neonato/feto, sulla diagnosi di malformazione, sull’anamnesi della gravidanza attuale, sulla famiglia del neonato/feto sui difetti congeniti Flusso informativo delle malattie infettive dati anagrafici del soggetto, data e modalità di notifica, patologia diagnosticata e la classe di appartenenza Registro regionale AIDS dati anagrafici del soggetto, presenza di patologie opportunistiche legate alla definizione di AIDS, vie di trasmissione della patologia Schede di dimissione ospedaliera dati anagrafici del soggetto, dati sul ricovero (regime, tipo, motivo, date e reparti di trasferimento, data e reparto di ammissione e di dimissione, giornate di degenza), dati medici (diagnosi di dimissione, diagnosi concomitanti, date e codici delle procedure e/o interventi), variabili di sintesi (DRG, pesi relativi), dati relativi alle tariffazioni Prestazioni ambulatoriali e specialistiche dati anagrafici del soggetto, prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, farmaci somministrati direttamente all’utente in regime ambulatoriale, importi economici delle prestazioni erogate Prescrizioni farmaceutiche dati anagrafici del soggetto, dati del medico proponente, farmaci erogati, importo dei farmaci Esenzioni per patologia dati anagrafici del soggetto, tipologia dell’esenzione (patologie croniche, malattie rare, invalidità), codice della patologia di esenzione, data di rilascio e scadenza dell’esenzione Prestazioni di riabilitazione dati anagrafici del soggetto, informazioni sulla prestazione riabilitativa (date di inizio e di fine della prestazione, codice della prestazione, giorni di trattamento erogati, importo della prestazione) Prestazioni di assistenza protesica dati anagrafici dell’utente, codice principale della patologia dell’utente, informazioni relative al dispositivo protesico e alla sua erogazione (tipo di presidio, data di collaudo, tariffa) Archivio INAIL malattie e infortuni in ambiente dati anagrafici del soggetti, dati inerenti la patologia/infortunio, di lavoro il lavoro (tipo di attività e settore produttivo), circostanze di accadimento dell’infortunio N. 147 - 2004 anche l’attitudine a un lavoro integrato e partecipato. Per ogni progetto è necessario individuare: • responsabile tecnico per la stesura e per la realizzazione; • diagramma logico e temporale delle fasi, delle attività di ciascuna fase, dei prodotti attesi di ciascuna fase; • risorse tecnologiche, umane, finanziarie, loro provenienza, allocate per fase e attività; • risultati attesi; • indicatori di processo e di esito; • eventuali atti amministrativi, e relativi soggetti responsabili, necessari alla realizzazione di quella fase. La fase di stesura del progetto ha un valore critico e richiede oltre a competenze tecniche specifiche anche buona conoscenza della gestione delle risorse umane come esperienza di interazione tra strutture operative diverse: è questo il senso della individuazione di una responsabilità di coordinamento tecnico per la stesura e la realizzazione del progetto. Oltre agli obiettivi è probabile che anche le risorse finanziarie siano date a priori; sarebbe allora assai utile, trattandosi di progetti integrati, che almeno le risorse umane venissero allocate con chiarezza e dettaglio in funzione delle necessità progettuali. Una funzione decisiva è svolta dai criteri e dai modi con cui valutare i risultati del progetto come il suo sviluppo. Questo richiede che siano elaborati o utilizzati indicatori sufficientemente specifici e sensibili, possibilmente già testati. La valutazione La possibilità di reiterare il PIS alla scadenza o di migliorarlo in corso d’opera è legata alla possibilità di valutarne i risultati in termini di raggiungimento degli obbiettivi specifici di ciascuna azione, così come il relativo progetto li ha quantificati come risultati attesi, e la loro congruenza rispetto all’obiettivo finale del miglioramento della salute della popolazione. Mentre la verifica dei risultati specifici dei progetti attuati è essenzialmente una operazione tecnica, quella relativa alla finalità generale di un PIS è un processo che coinvolge soggetti tecnici e di governo, considerazioni tecniche e percezione dei soggetti di governo, amministratori e soggetti della partecipazione. Non si tratta di valutare soltanto i cambiamenti in termini di salute della popolazione intervenuti per effetto della realizzazione del PIS, cosa di per se già non sempre facile, ma anche quali problemi siano rimasti irrisolti e perché, di quanto è variato il grado di integrazione informativa e I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 345 operativa. Si tratta di realizzare una sintesi condivisa tra evidenze quantitative e oggettive espresse dagli indicatori di processo e di esito e l’espressione della soggettività collettiva in merito ai risultati di piano. Ciò che segue è un contributo alla riflessione sulla valutazione dello sviluppo e degli esiti dei progetti. La valutazione prevede che il fenomeno oggetto dell’intervento progettuale possa essere misurato in modo da evidenziare se si sono prodotti cambiamenti e se questi sono stati sufficienti rispetto alle aspettative, per fare questo si utilizzano indicatori in grado di descrivere il fenomeno e di misurarne i cambiamenti. La costruzione di tali indicatori deve essere contestuale alla definizione del progetto (vedi art. di A.Valdrè…(et al.) I Risultati progettuali dei workshop), poiché cercare delle misure quantitative a posteriori può rivelarsi estremamente complesso. La verifica dei progetti di piano prevede due momenti estremamente importanti: • una prima valutazione, relativa allo sviluppo dell’intervento progettuale, attraverso indicatori di processo; • una valutazione finale dell’intervento, in termini di effetti prodotti sulla salute della popolazione, attraverso indicatori di esito. Nella realtà può succedere che si possano costruire solo le misure di processo. Gli esiti infatti spesso sono difficili da misurare, un intervento seppure efficace può tradursi in miglioramento della salute solo a distanza di molti anni, oppure è inutile farlo. È questo il caso, ad esempio, di un intervento come quello della vaccinazione per il quale è estremamente importante misurare la copertura vaccinale mentre assume poco rilievo misurarne l’esito in termini di diminuzione della patologia legata alla vaccinazione e delle complicanze che da essa derivano poiché questi elementi sono legati all’efficacia del vaccino che si presume sia già stata sufficientemente testata e documentata. Gli indicatori di esito e di processo sono delle misure quantitative correlate con gli obiettivi propri dell’intervento specifico ed esplicitabili con una formula riproducibile. Per la costruzione di tali misure ci vengono in aiuto i dati di fonte corrente che, per loro natura, sono raccolti in maniera standardizzata su tutto il territorio regionale e sono quindi in grado di garantire la confrontabilità territoriale e temporale. Nella Tabella 1 sono riportate le principali fonti informative distinte per tipi e i loro contenuti più importanti. l ute Sa e 346 Territorio I piani integrati di salute La disciplina di riferimento Anna Serino Responsabile Area Legislazione sanitaria ARS Firenze I principi ispiratori Il Piano integrato di salute affonda le sue radici nei principi ispiratori e negli obiettivi strategici indicati nella Carta di Ottawa e nelle linee di indirizzo dell’OMS; è coerente con l’impostazione regionale della programmazione integrata, che sta alla base del Programma regionale di sviluppo e si avvale delle esperienze condotte nell’ambito del “Progetto città sane”, della “Agenda 21” e della rete di “Ospedali che producono salute”. La Carta d’Ottawa per la promozione della salute afferma che le risorse e le condizioni fondamentali per la salute sono: pace, alloggio, istruzione, cibo, reddito, un eco sistema stabile, risorse sostenibili, equità e giustizia sociale. Il miglioramento della salute richiede, per questi sostanziali prerequisiti, un sicuro fondamento: l’acquisizione da parte dei vari attori di una nuova cultura basata sui principi d’integrazioni delle politiche. Esaminando sistematicamente ognuno di questi punti ed analizzando gli avvenimenti occorsi in molti paesi si può rilevare: • un progressivo divario nello stato di salute in termini di speranza di vita e speranza di vita sana in uno stesso paese e tra paesi di- versi, come stato nel tempo evidenziato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel World Healt Report, 1995, con un particolare accenno sulle povertà; • una progressiva reticenza ad investire nell’ambito degli alloggi pubblici, delle infrastrutture, dell’istruzione, dei servizi preventivi di base e in quelli di sanità pubblica essenziali; • una resistenza a valutare l’organizzazione del lavoro e la sua divisione durante il ciclo vitale, tra generazioni, tra uomini e donne, a livello globale; • infine un certo eludere le iniziative internazionali e gli aiuti stranieri. Le politiche socio-sanitarie non stanno ancora rendendosi coerenti alla nuova rivoluzione in corso, afferma la Carta di Ottawa. Occorre una ristrutturazione totale delle società civili e del loro modo di funzionare “come la gente vive, ama, lavora e si diverte”. La OMS riesaminando la strategia “salute per tutti”, ha delineato le principali componenti di ciò che costituisce un buon governo globale dei sistemi socio-sanitari: • cercare di ridurre gli enormi divari che persistono, e spesso si espandono, nelle varie parti del mondo; N. 147 - 2004 • percepire la salute come un bene e una risorsa globale. Non è possibile pensare che la “mia” salute è sicura, senza prendersi cura di quella degli “altri” (AIDS, Ebola, BSE etc, ne costituiscono un esempio eloquente); • garantire comunque sicurezza e salute contro l’aumento della pressione economica; • investire particolarmente in settori di specifico interesse (donne, anziani, emarginati, istruzione, servizi sociali); • lavorare in stretta collaborazione, favorire e creare alleanze. L’organizzazione anzidetta lancia al riguardo alcune sfide, riassunte nelle seguenti categorie di cambiamenti: • cambiamento del contesto: un nuovo livello di base sociale per tutti i paesi; • cambiamento di finalità: ambienti sociali multisettoriali e collegati fra loro; • cambiamento di obiettivo costituzionale: sistema socio-sanitario, altri sistemi; • cambiamento degli scopi: guadagni in termini di sicurezza e salute, al di fuori sia del sistema socio-sanitario sia della assistenza sanitaria; • cambiamento dei partners: alleanze, privati, commercio, sistema misto pubblico-privato, organizzazioni non istituzionali; • cambiamento di collocazione: da un ambito individualistico e locale ad un ambiente di insediamenti e sociale, a livello globale; • cambiamento di stile: una politica di partecipazione, multisettoriale ed orientata alla comunicazione di massa. La gestione di tali cambiamenti, peraltro, stanti i processi di innovazione da pianificare e governare, richiede un nuovo tipo di leadership che si riconosca nella capacità di impegno, nel migliorare e qualificare i livelli di risposta socio-sanitaria, nel difenderli e mediare tra i principali partners per il loro raggiungimento. “La strategia della salute per tutti” può essere considerata uno dei principali documenti prodotti dall’Organizzazione mondiale della sanità. Adottato ancora nel 1984, e poi aggiornato nel 1991, sulla base dei cambiamenti avvenuti, da un lato, nella struttura demografica, politica, economica e sociale dell’Europa, e, dall’altro, nell’esperienza concreta dell’attuazione di questa carta, esso stabilisce i principali obiettivi strategici, che dovrebbero costituire il cardine su cui impostare le politiche per la salute a livello nazionale e locale negli Stati membri, e che erano finalizzati a condurre, entro l’anno 2000, ad un miglioramento quantitativo e qualitativo dello stato di salute degli abitanti della Regione europea. Nell’intraprendere il cammino che conduce al raggiungimento di questi obiettivi è anche sorta la consapevolezza che è necessario prevedere da una parte una più ampia gradualità temporale (non potendosi realisticamente esaurire l’azione nella scadenza prevista nell’anno 2000), ma soprattutto ulteriori elaborazioni culturali e N. 147 - 2004 di pensiero, per concretizzare il cambiamento di vasta portata sotteso alla sfida posta dalla strategia dell’OMS. Un primo importante risultato è proprio HEALTH21, ovvero la risposta dell’Ufficio europeo dell’OMS alla strategia globale della “salute per tutti”. In questo documento, vengono, infatti, fornite indicazioni e un quadro di riferimento etico e scientifico orientato all’azione e rivolto ai decisori di qualsiasi livello, con una particolare attenzione alla diversità dei singoli contesti politico-sociali che costituiscono la Regione europea. In sostanza, sono ribaditi ed ulteriormente specificati i principi, i valori e le modalità, la cui applicazione consente di esplicare l’innovativo concetto di salute elaborato dall’OMS, così estensivo e totale da far assurgere ad obiettivo finale lo sviluppo economico e sociale. Essi riguardano pertanto l’equità, la solidarietà e la giustizia sociale ed economica, la promozione e l’investimento in salute, la ricerca della qualità dell’assistenza, l’interdipendenza degli ambienti e dei settori della vita sociale nel determinare la salute umana. Si puntualizza inoltre come la realizzazione di questo programma strategico globale implica necessariamente lo sviluppo di una capacità di programmare politiche integrate, la ridefinizione del ruolo del finanziamento dell’assistenza sanitaria, sociale e socio-sanitaria integrata e dell’allocazione delle relative risorse, della formazione e dell’informazione e, più in generale, della funzione di governo. Principi ed obiettivi questi ampiamente recepiti dal legislatore statale. A livello normativo statale la riforma del servizio sanitario di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e successive modificazioni ed in parallelo la ridefinizione del sistema dei servizi sociali, introdotta con legge 8 novembre 2000, n. 328 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, costituiscono utile punto di riferimento per la realizzazione di un sistema fondato sull’integrazione delle politiche e la concertazione tra gli attori istituzionali, come metodo per favorire il coordinamento operativo sugli obiettivi di sviluppo, l’integrazione delle risorse e le innovazioni di sistema. Al riguardo vale la pena soffermarsi sulla disciplina recata dal d.lgs. 502/1992 che affronta in maniera completa ed esaustiva il tema dell’integrazione di tutte quelle politiche finalizzate al benessere della persona. Specificatamente l’art. 7-quinquies, nel disciplinare il coordinamento con le Agenzie regionali per l’ambiente prevede la stipulazione di apposito accordo tra Il Ministro della salute e il Ministro dell’ambiente per il coordinamento e l’integrazione degli interventi negli ambiti di riferimento, al fine di individuare i settori d’azione congiunta e i relativi programmi operativi. Le disposizioni programmatiche di livello nazionale e tra queste il nuovo Piano sanita- I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 347 rio nazionale e il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, dedicano una parte fondamentale all’affermazione del principio di integrazione socio-sanitaria. In particolare si afferma che la nuova visione della transizione dalla “sanità” alla “salute” è fondata su alcuni principi essenziali, che rappresentano i punti di riferimento per l’evoluzione ivi prospettata: il diritto alla salute; l’equità all’interno del sistema, la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, la dignità ed il coinvolgimento “di tutti i cittadini”, la qualità delle prestazioni, l’integrazione socio-sanitaria, lo sviluppo della conoscenza e della ricerca, la sicurezza sanitaria dei cittadini. Si ribadisce, tra l’altro, che l’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello locale è indispensabile, così come è necessario promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari e socio sanitari. L’obiettivo prioritario è la realizzazione di un processo di riordino che garantisca un elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e sociali, realizzato con il supporto del medico dell’assistenza sanitaria di base. Un processo teso a fornire l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e organizzative in rapporto all’attività svolta tra l’ospedale e il territorio a fa- vore di quest’ultimo. Anche il legislatore regionale e, certamente, non da ultimo, è stato sensibile ed attento a sviluppare nel territorio toscano una profonda cultura basata sui principi dell’integrazione istituzionale e della programmazione di politiche integrate, intesa quale unica risposta idonea al soddisfacimento del benessere psico-fisico della persona (leggi regionali: 49/1999, 40/2005, 41/2005 e loro successive modificazioni – atti di programmazione sanitaria, sociale, ambientale ed atti di indirizzo). Lo stesso legislatore, per molti aspetti, ha anticipato il livello statale, ispirando sia i contenuti della riforma della sanità, (con specifico riferimento al d.lgs. 229/1999), sia della legge 328/2000 che trae indubbia origine dalla disciplina introdotta nella Regione Toscana con l.r. 72/97. Il legislatore regionale a partire dalle norme statutarie che hanno visto la nascita dell’ente Regione, in conformità ai principi ispiratori emanati sia a livello europeo sia nazionale, ha costantemente affermato, nell’ordinamento toscano, il principio inderogabile di attuare politiche integrate e concertate, ponendolo alla base delle proprie scelte strategiche. Gli atti di programmazione regionale, PSR e PISR, affrontano i temi dell’interazione con tutti i settori determinanti per la salute e tra questi è definito rilevante quello relativo ad un ambiente di qualità, confermando così un’impostazione programmatica, che intende sottolineare il ruolo l ute Sa e 348 Territorio complessivo di governo nello sviluppo di una politica per la salute non affidata esclusivamente al sistema sanitario. Le fonti di disciplina Definito il quadro normativo in cui il PIS si colloca per ciò che concerne i criteri guida ed i principi ispiratori, procediamo ad analizzare il medesimo quale strumento di programmazione locale negoziata di politiche integrate, ponendolo in relazione al quadro normativo statale e regionale che ne costituisce vera e propria fonte di disciplina. Il PIS, come progetto generale della zona-distretto, trova la sua principale fonte di disciplina, a livello nazionale, nell’art. 3-quater e segg. del d.lgs. 502/92 e successive modificazioni. Il citato articolo, infatti, introduce, quale strumento della programmazione locale, il “Programma delle attività territoriali” contenente più piani integrati di salute concertati. Prima dell’emanazione della recente riforma, il PIS non trovava, viceversa, nessun specifico riferimento nella disciplina regionale (leggi regionali 3 ottobre 1997, n. 72 e 8 marzo 2000, n. 22), fatta eccezione che per principi riferiti all’integrazione delle politiche, analizzati in precedenza. Le richiamate leggi regionale disciplinavano, infatti, gli altri strumenti di programmazione locale: PAO, PAL e PSZ. Erano, quindi, gli atti di programmazione regionale PSR1 1 2 3 4 I piani integrati di salute e PISR2, l’“Atto d’indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione della Società della salute” 3 e le “Linee guida per la realizzazione dei Piani integrati di salute” 4 , che traendo riferimento dalla disciplina statale (art. 3-quater d.lgs. 502/92) e dai principi ispiratori sanciti dalle disposizioni internazionali, nazionali e regionali, ne definiscono: finalità, contenuti, attori, metodologia di lavoro e procedure, interazione con gli altri strumenti della programmazione locale (PAL, PSZ, Patti territoriali, Patti sociali territoriali, ecc.), sistema di valutazione e risorse. La recente riforma della l.r. 22/2000 ed in parallelo della l.r. 72/97, introdotta rispettivamente con la l.r. 24 febbraio 2005, n. 40 Disciplina del servizio sanitario regionale – Art. 21 (Piani integrati di salute) e con la l.r. 24 febbraio 2005, n. 41 Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, Art. 29 (Programmazione zonale), comma 3, ha offerto al legislatore regionale l’opportunità di sanare alcune discrasie presenti negli atti di programmazione e d’indirizzo regionali, facendo assurgere a norma il PIS ed inserendolo a livello di vero e proprio strumento di programmazione integrata di salute locale. Il nuovo strumento locale di programmazione integrata Il Piano integrato di salute, Deliberazione Consiglio regionale 9 aprile 2002, n. 60. Deliberazione Consiglio regionale 24 luglio 2002, n. 122. Deliberazione del Consiglio regionale 24 settembre2003, n. 155. Deliberazione della Giunta regionale 12 luglio 2004, n. 682. N. 147 - 2004 così come delineato dal combinato delle disposizioni contenute nella disciplina regionale, rappresenta lo strumento ed il luogo centrale dove sono elaborate azioni di miglioramento per realizzare una strategia globale della salute per tutti. Il PIS è, dunque, lo strumento di programmazione integrato di salute a livello della zonadistretto e, per le Società della salute, espressione delle funzioni di governo della SdS attraverso un modello integrato di programmazione per obiettivi di salute; è atto prioritario nel calendario della Giunta della SdS. Ha durata triennale e può essere aggiornato annualmente. Il PIS rappresenta lo strumento idoneo per realizzare politiche pubbliche in grado di collocarsi all’interno di una cornice concettuale che prenda in esame la natura dinamica del sistema, l’interazione fra i diversi elementi che lo compongono e la capacità delle istituzioni locali e dei soggetti sociali di programmare e attuare politiche integrate. Per questo è definito “integrato” e di “salute”. Nonostante che nel vigente Piano sanitario nazionale e regionale non sia data una chiara definizione della salute, appare evidente dalla loro impostazione concettuale, che sono diversi i fattori che la condizionano. Il PSR, al riguardo afferma che la politica per la salute è organica alle strategie socia- li, economiche ed ambientali della Regione e quindi si sviluppa nelle politiche economiche, occupazionali, di uso del territorio, dell’istruzione, della formazione professionale e dell’agricoltura. Il raggiungimento completo degli obiettivi del Piano sanitario regionale, dunque, sarà possibile se si svilupperanno efficaci politiche integrate sia a livello regionale che a livello locale. Si conferma così, come affermato in precedenza, un’impostazione della programmazione, che intende sottolineare il ruolo complessivo di governo nello sviluppo di una politica per la salute non affidata esclusivamente al sistema sanitario. Diversi, dunque, sono i fattori che condizionano la salute; su alcuni di questi determinanti è possibile intervenire più o meno efficacemente come: condizioni socio-economiche, stili di vita, condizioni ambientali, organizzazione e fruizione dei servizi. Come in precedenza sottolineato, il Piano sanitario regionale reputa necessario valorizzare gli interventi di salvaguardia e controllo della qualità ambientale e sociale attraverso il PIS. Detto obiettivo strategico può essere raggiunto anche mediante l’integrazione funzionale a livello territoriale delle competenze tecniche dei dipartimenti di prevenzione e dell’ARPAT. Le Aziende sanitarie sono im- I piani integrati di salute N. 147 - 2004 pegnate a realizzare la partecipazione dei Dipartimenti di prevenzione, soprattutto attraverso le loro unità funzionali di zona-distretto all’attuazione del Piano integrato di salute. Il Piano integrato di salute diventa quindi una fondamentale modalità operativa dei Dipartimenti di prevenzione che, sulla base di progetti concertati con gli altri soggetti istituzionali e sociali contribuiscono alla realizzazione di programmi di prevenzione primaria e secondaria. Le attività dei Dipartimenti di prevenzione, nelle loro articolazioni di zona-distretto, tendono ad essere riassorbite nell’ambito del Piano integrato di salute, realizzando a tal fine uno spostamento e una conversione delle risorse umane e materiali. Per quanto riguarda la prevenzione delle malattie dovute a fattori ambientali, in un quadro di integrazione dell’azione istituzionale per comuni obiettivi di salute, coerentemente con la normativa nazionale, assume particolare importanza lo strumento della integrazione programmatica e tecnica fra competenze e modalità operative per la tutela dell’ambiente e per la prevenzione delle malattie e la salvaguardia della salute. Infine, nell’ambito della strategia regionale di promozione di un sistema integrato di interventi socio sanitari, i progetti obiettivo ad alta integrazione costituiscono parte integrante e nucleo fondamentale delle attività dei servizi socio-sanitari territoriali; la loro realizzazione si concretizza all’interno dei Piani integrati di salute, fatte salve le specificità di ciascun progetto e le necessarie connessioni ed implicazioni rispetto all’organizzazione delle strutture ospedaliere di secondo e di terzo livello. Sulla base delle valutazioni sopra espresse, pertanto, il PIS: • prevede, sulla base del profilo di salute del territorio di riferimento, obiettivi di salute e di benessere correlati a progetti complessi su problematiche specifiche ad alta valenza sanitaria e socio-sanitaria che coinvolgono varie risorse ed hanno una ricaduta specifica, valutabile e misurabile, sullo stato di salute del territorio dei cittadini; • individua problemi e bisogni; • sceglie le priorità; • definisce le azioni e prevede la stesura dei progetti; • può contenere: a) le attività dei Dipartimenti di prevenzione, al fine di raggiungere, l’obiettivo di integrazione con altri settori di rilievo per la salute, b) a regime, altri piani di settore (ambiente, educazione, formazione); • determina standards quantitativi e attiva strumenti per valutarne il raggiungimento; Nel PIS è insito il concetto di valutazione. II PSR specifica che la valutazione di effetto consiste nella costruzione di un “bilancio” fra effetti potenzialmente positivi ed effetti potenzialmente negativi. Il bilancio è realizzato sulla base di un set di indicatori specifici, volti a sorvegliare lo stato di realizzazione del Piano integrato di salute in termini di effetto sulla organizzazione dei servizi (indicatori di processo) e sulla salute e soddisfazione dell’utenza (indicatori di esito). Alcuni indicatori devono essere a carattere regionale, quindi in comune fra i diversi territori, (come previsto al paragrafo 4 del Piano medesimo che affronta il tema relativo al processo di valutazione del PSR), altri indicatori possono essere individuati a livello locale per adattarsi alle esigenze specifiche. Le linee guida precisano che il processo di valutazione produce due documenti complementari: • un report tecnico che, attraverso un confronto intersettoriale e interzonale, ha la funzione di migliorare l’integrazione professionale e strumentale e, quindi, l’approccio tecnico alla programmazione integrata; • la Relazione sugli esiti del PIS, report di valenza politico-istituzionale, che è approvata: – dalla Giunta della SdS, confluendo, come parte distinguibile e integrata, nella relazione annuale. La relazione sugli esiti del PIS è inviata dalla Giunta della SdS alla Regione, ai Comuni, all’Azienda USL, alla Conferenza dei sindaci di riferimento ed agli altri enti pubblici e privati che hanno partecipato all’attuazione del PIS; – dall’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci e da questa inviato alla Conferenza dei sindaci di riferimento. Sae l ute Territorio 349 La “Relazione sugli esiti del PIS” è utilizzata dalla Conferenza dei sindaci di riferimento come supporto per la valutazione della relazione sanitaria aziendale. I soggetti, le procedure, gli strumenti giuridici per l’approvazione Facendo, dunque, espresso riferimento alle disposizioni ed agli indirizzi regionali procediamo ora a delineare i soggetti e le procedure per l’ideazione, l’elaborazione e l’approvazione del PIS, avendo a riferimento le due ipotesi contemplate: • predisposizione del PIS nella zona-distretto in presenza di sperimentazione di SdS; • predisposizione del PIS nella zona-distretto in assenza di sperimentazione di SdS. Si effettua, in questa sezione, una disamina più dettagliata delle disposizioni che presiedono alla ideazione, condivisione, realizzazione, approvazione e attuazione del PIS nella SdS, avvalendoci del combinato delle disposizioni contenute negli atti di programmazione e d’indirizzo regionali sopra richiamati. L’avvio del processo di costruzione del PIS è caratterizzato dalla fase di concertazione fra i soggetti istituzionali e sociali che, attuando i principi dell’ordinamento innanzi richiamato, realizzano un sistema di governance. La Giunta della SdS individua, nell’atto d’indirizzo per la predisposizione del PIS, le modalità di partecipazione dei soggetti istituzionali (Provincia, Università, altre amministra- l ute Sa e 350 Territorio zioni ecc.) e sociali presenti nel territorio (Consulta del Terzo Settore, Organizzazioni Sindacali ecc.), nonché dei rappresentanti della società civile locale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. L’avvio del processo di realizzazione del PIS è, dunque, determinato da un atto deliberativo della Giunta della SdS, contenente gli indirizzi per la predisposizione del PIS e un’ipotesi di massima delle risorse messe a disposizione per la sua realizzazione. Tale deliberazione attiva la fase di costruzione del PIS. Ai fini dell’attuazione della prima fase coincidente con il processo di concertazione, la Giunta della SdS in particolare: • coinvolge la Provincia per le materie di rispettiva competenza ai sensi degli artt. 13 e 16 della l.r. 22/ 2000, stipulando appositi accordi di programma; • definisce accordi con le altre amministrazioni interessate (ARPAT, IZS, ecc.), al fine del coordinamento del PIS con gli altri progetti di settore, per gli aspetti rilevanti in materia di salute, utilizzando lo strumento dell’accordo di programma; • concorda con il Dipartimento prevenzione dell’Azienda USL le modalità d’integrazione delle attività del dipartimento con il Piano integrato di salute, mediante lo strumento dell’accordo di programma; • promuove forme di coinvolgimento delle Università toscane, ai fini del raggiungimento di prestazioni di eccellenza; I piani integrati di salute • attiva tavoli di concertazione locale con le OOSS territoriali, attraverso la stipula di appositi protocolli d’intesa; • definisce le modalità di partecipazione della comunità locale alla progettazione ed al controllo delle attività, con particolare riferimento ai seguenti organismi: – la Consulta del Terzo settore che partecipa alla definizione del Piano integrato di salute nell’ambito delle direttive dell’organo di governo; essa è chiamata a fornire parere o proposte prima dell’approvazione dello stesso. La partecipazione alla costruzione del PIS non comporta né esclude il coinvolgimento nel Piano medesimo, in qualità di erogatori di prestazioni/servizi, in quanto questa è condizionata ad una valutazione indipendente di qualità, efficacia ed efficienza. Nella costituzione della Consulta deve essere garantita la più ampia partecipazione delle associazioni e istituzioni operanti nel territorio; – il Comitato di partecipazione, verso il quale la Giunta delle SdS promuove opportune forme di coinvolgimento/informazione, anche allo scopo di consentire a detto Comitato di elaborare e presentare alla Giunta delle SdS proposte per la predisposizione del PIS, nonché di esprimere parere obbli- N. 147 - 2004 gatorio sulla bozza del medesimo. Esaurita la fase di concertazione, la SdS, attraverso il suo direttore, dovrà procedere, ai fini della definizione dei contenuti del PIS, all’attuazione delle seguenti fasi logico-temporali: a) individuazione dei problemi e dei bisogni; b) scelta delle priorità; c) definizione delle azioni; d) stesura dei progetti. Il PIS, esperite tutte le fasi descritte in precedenza e definiti in tutti i loro aspetti i progetti che lo compongono, è redatto in un documento unitario dal direttore della SdS e da questi inviato per l’approvazione alla Giunta della SdS. Alla definizione del PIS partecipa la Consulta del terzo settore, secondo le direttive emanate dall’organo di governo della SdS. La Giunta, acquisito il parere obbligatorio del Comitato di partecipazione, approva il PIS. Con l’approvazione il PIS acquista piena efficacia ed è immediatamente operativo. Gli enti che hanno partecipato alla elaborazione del Piano devono apportare ai propri bilanci le conseguenti eventuali modifiche. Il Piano approvato sarà trasmesso dalla Giunta della SdS alla Conferenza dei sindaci di riferimento. La fase di attuazione del PIS segue alla sua approvazione da parte della Giunta della SdS. L’attuazione richiede che gli obiettivi di salute siano articolati in programmi e progetti operativi. Le relative attività sono realizzate e gestite sulla base di patti territoriali tra la Giunta della SdS e gli altri soggetti pubblici e privati che partecipano all’attuazione del PIS. Il patto esita in un documento parte integrante del PIS ed è approvato con esso. Le risorse economiche del PIS sono identificate nei bilanci di provenienza degli enti partecipanti alla gestione del PIS e sono composte da risorse proprie, nonché risorse conferite agli enti dallo Stato, dalla Regione, da enti o organismi che partecipano alla realizzazione dei progetti, da quote di partecipazione e da altre eventuali fonti. Le risorse di competenza degli enti associati derivano dalle quote capitarie storiche assegnate a livello zonale per i servizi sanitari e per le attività socio-assistenziali dei comuni, nonché dalle quote di compartecipazione. Le risorse sono organizzate in forma associata per le competenze comunali, e con l’individuazione del budget di zona-distretto per le competenze sanitarie. La determinazione delle risorse di provenienza sanitaria segue, con la necessaria gradualità, lo sviluppo del processo di riequilibrio tra la quota capitaria storicizzata e quella dei parametri di competenza, avendo comunque a riferimento obbligatorio l’equilibrio economico complessivo del sistema territoriale dei servizi. L’insieme delle risorse individuate costituisce vincolo per ciascuno dei soggetti coinvolti e per il complesso delle attività della SdS. Anche nelle zone dove non si sperimenta la SdS l’ideazione e la condivisione rappresenta il momento iniziale del per- N. 147 - 2004 corso di costruzione del PIS. Il luogo di ideazione, condivisione, realizzazione e valutazione del Piano integrato di salute è il territorio a livello della zona-distretto così come evoluta nel PSR, per effetto dell’unificazione funzionale con il Distretto. In conformità al disposto della disciplina statale e regionale di riferimento, il PIS scaturisce da un procedimento di concertazione al quale partecipano i soggetti istituzionali e quelli rappresentativi delle comunità locali. Il sindaco del Comune capofila dell’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci o il presidente della Comunità montana nell’ipotesi di cui all’articolo 12, comma 1, della l.r. 41/2005, cui compete la funzione d’indirizzo politico, di programmazione e di controllo, assicura l’avvio della procedura per la definizione del PIS, tramite un progetto comune, elaborato previa concertazione con i vari soggetti e definito mediante stipulazione d’accordo di programma, ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). In particolare: • la Provincia è coinvolta nella definizione del PIS per le materie alla stessa delegate, tramite la sottoscrizione di un accordo di programma; • l’Azienda USL concorda con l’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci le attività dei Dipartimenti di prevenzione a livello di zona-distretto che confluiscono all’interno del PIS, mediante la stipulazione d’accordo di programma; • le Università e le Aziende ospedaliere-universitarie, tramite i protocolli d’intesa, possono contribuire a sollecitare importanti potenzialità innovative nei rapporti di sistema, specie per quanto attiene ai temi della qualificazione dell’attività e dell’impegno sulle alte specialità, in un’ottica di partecipazione ai Piani integrati di salute; • i soggetti del terzo settore partecipano alla definizione del PIS, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, mediante la stipula di patti territoriali; • l’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci definisce altresì accordi di programma con le altre amministrazioni (es. ARPAT, IZS) ai fini del coordinamento del PIS con gli altri progetti di settore per gli aspetti rilevanti in materia di salute; • il quadro della concertazione si completa tramite il rapporto con le organizzazioni sindacali, con il privato accreditato, con le forze produttive e con le altre componenti della società civile a livello locale, utilizzando vari strumenti giuridici quali: protocolli d’intesa, convenzioni ecc. L’insieme dei soggetti che hanno partecipato alla concertazione e stipulato l’accordo mette a punto un progetto di lavoro comune, il PIS, basato sull’individuazione degli obiettivi di salute e sulla verifica dei risultati, tenuto I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 351 conto delle priorità emerse dal confronto fra i soggetti con pari dignità, sulla base delle evidenze scientifiche e dei dati disponibili sul territorio e sulla salute della popolazione, oltre che della percezione dei bisogni da parte dei cittadini/e. Il progetto deve contenere l’individuazione delle responsabilità e dei compiti tecnici, economici e gestionali, delle risorse messe a disposizione da ciascun soggetto, delle opportunità di cofinanziamento e dei percorsi amministrativi per renderlo disponibile. Nel progetto sono esplicitati i tempi di realizzazione, le verifiche d’efficacia degli interventi messi in atto, la valutazione d’effetto del Piano integrato di salute. Le competenze tecniche necessarie per supportare progetti integrati devono essere anch’esse integrate. È quindi a livello di progetto locale che si rende operativo il concorso fra gli operatori delle Aziende sanitarie (in particolare dei Dipartimenti di prevenzione e dei Distretti), dell’ARPAT, dei Servizi sociali comunali, nonché del terzo settore e volontariato quando opportuno. Il progetto deve contenere le modalità d’integrazione delle competenze. L’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci rappresenta dunque il soggetto e la sede di coordinamento intersettoriale, per la definizione di strategie condivise per obiettivi di salute. Esaurita la fase di concertazione, il sindaco del Comune capofila dell’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci o il presidente della Co- munità montana dovrà procedere, ai fini della definizione dei contenuti del PIS, alle fasi logico temporali. Esperite le diverse fasi l’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci o la Comunità montana nell’ipotesi di cui all’articolo 12, comma 1, della l.r. 41/2005, approvano, con propria deliberazione, il PIS. Con l’approvazione il PIS acquista piena efficacia ed è immediatamente operativo. Gli enti che hanno partecipato alla elaborazione del Piano, sottoscrivendo l’accordo, potranno apportare ai propri bilanci le conseguenti modifiche. Copia del PIS approvato è inviata alla Conferenza dei Sindaci di riferimento. Questa ne valuta la corrispondenza con gli indirizzi presenti nel PAL vigente. Il PIS, in quanto atto di programmazione locale, è soggetto a verifica da parte della Giunta regionale per gli aspetti che comportano l’erogazione di finanziamenti del Fondo sanitario e del Fondo sociale o l’attivazione di competenze amministrative di cui è titolare la Regione. La verifica ha ad oggetto la conformità dell’atto di programmazione locale agli indirizzi ed agli obiettivi della programmazione regionale di cui alla legge regionale 11 agosto 1999, n. 49 (Norme in materia di programmazione regionale) e successive modificazioni. In analogia alla procedura prevista per le SdS, la fase di attuazione del PIS segue alla sua approvazione da parte dell’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci. L’attuazione richiede che gli l ute Sa e 352 Territorio obiettivi di salute siano articolati in programmi e progetti operativi. Le relative attività sono realizzate e gestite sulla base di patti territoriali tra le amministrazioni locali, l’articolazioni zonali dell’Azienda USL e gli altri soggetti pubblici e privati che partecipano all’attuazione del PIS. Il patto esita in un documento parte integrante del PIS ed è approvato con esso. Le risorse economiche del PIS sono identificabili nei bilanci di provenienza degli enti partecipanti. I PIS sono cofinanziati dai soggetti realizzatori, la misura della partecipazione al finanziamento è definita, attraverso la concertazione tra i soggetti istituzionali, in base agli obiettivi specifici, al tipo e settore d’intervento, alle caratteristiche delle risorse necessarie. Per quanto riguarda la sanità, queste riguardano in primo luogo le risorse dedicate ai servizi coinvolti nel Piano integrato, nell’ambito del budget di zona-distretto. Inoltre la partecipazione dei Dipartimenti di prevenzione delle Aziende unità sanitarie locali ai Piani integrati di salute è incentivata come specificato nella azione “Prevenzione collettiva” del vigente Piano sanitario regionale. Ogni progetto, costituente il PIS, deve contenere le indicazione delle diverse quote di partecipazione economica con riferimento alle specifiche del bilancio di provenienza delle quote stesse. Le risorse economiche del PIS derivano oltre che dalle risorse proprie degli Enti anche da I piani integrati di salute ulteriori finanziamenti conferiti dallo Stato, dalla Regione, da enti o organismi che partecipano alla realizzazione dei progetti o da altre fonti. Il sistema della programmazione Esaurito il quadro riferito all’analisi delle modalità e procedura per l’ideazione, condivisione, realizzazione, approvazione e attuazione del nuovo atto di programmazione locale, appare ora necessario procedere a porre in relazione il PIS con il più generale sistema di programmazione regionale e locale, partendo dall’analisi delle disposizioni contenute nella legge di programmazione regionale (l.r.49/ 1999 come modificata da ultimo dalla l.r. 61/2004), che definiscono l’architettura del sistema medesimo. L’art. 5 della citata legge disciplina gli strumenti di programmazione, precisando che la Regione promuove e attua il processo di programmazione mediante: a) il programma regionale di sviluppo, che definisce le opzioni politiche, gli obiettivi a medio termine e le strategie di intervento; b) il documento di programmazione economica e finanziaria, che specifica gli obiettivi a breve termine indicando le principali destinazioni delle risorse; c) le leggi e gli atti normativi che istituiscono le politiche di sviluppo e ne determinano gli strumenti d’intervento; d) i bilanci, che quantificano le risorse finanziarie e stabiliscono gli stanziamenti di spesa; N. 147 - 2004 e) i piani e programmi regionali, che precisano gli indirizzi per l’attuazione delle politiche, coordinano gli strumenti d’intervento, integrano e finalizzano le risorse regionali, statali e dell’Unione europea; f) i programmi locali di sviluppo e gli altri atti di programmazione locale, che individuano le priorità programmatiche, definiscono i progetti e gli interventi da realizzare; g) il patto per lo sviluppo locale che indica le priorità condivise in coerenza con gli strumenti di programmazione dello sviluppo e della pianificazione del territorio a livello regionale e locale e seleziona i progetti concertati, integrando gli strumenti di intervento e le relative risorse; h) gli strumenti di monitoraggio e di valutazione. Dall’analisi delle disposizioni che precedono ed avendo a riferimento il più generale quadro normativo internazionale, statale e regionale del settore sanitario e sociale, si può concludere che la programmazione regionale e locale è collocabile nell’ambito di un’architettura istituzionale cosiddetta “a cascata”, in cui gli atti di programmazione regionale di settore e quindi il PSR e il PISR in riferimento all’ambito sanitario e sociale, sono un’articolazione del PRS e del DPEF ed attuano i principi e le disposizioni internazionali statali e regionali di riferimento. Gli atti della programmazione locale (PAL, PSZ ed il nuovo atto di programmazione locale – il PIS), sono, a loro volta, articolazioni del PSR, del PISR e, naturalmente del PRS e del DPEF. Tuttavia il PIS, per come è costruito (attraverso la condivisione e partecipazione a livello locale), per così dire “imprime” al flusso della cascata, una spinta dal basso verso l’alto; ai sindaci è stato riattribuito, infatti, in attuazione dei principi di sussidiarietà istituzionale sanciti dalle leggi costituzionali, un ruolo più centrale nella definizione delle politiche di tutela della salute dei cittadini. Al fine di conferire a questa architettura la maggiore efficacia possibile in termini di attuazione, la disciplina nazionale e regionale riporta come fondamentale la concertazione tra tutti gli attori del sistema socio sanitario. A livello locale è assicurata la convergenza e la contestualità delle scelte strategiche degli atti di programmazione locale, attraverso il riallineamento dei tempi nell’adozione degli atti, l’unificazione delle sedi concertative e, ove possibile, delle procedure di negoziazione. Gli stessi atti di programmazione regionale e locale, secondo i principi generali sanciti dall’ordinamento vigente, devono interagire e raccordarsi con gli altri strumenti di programmazione di settore la cui disciplina, per la materia trattata, concorre alla definizione di politiche integrate finalizzate al benessere globale del cittadino. Il processo di integrazione tra il PIS e gli strumenti della programmazione locale negoziata assume una valenza molto forte nell’ambito delle N. 147 - 2004 Società della salute. Il PIS, infatti, sostituisce sia il programma operativo di zona, quale strumento di attuazione del PAL a livello di zona-distretto, che il Piano sociale di zona. Lo stesso interagisce con i Patti territoriali per lo sviluppo e l’occupazione e con i Patti sociali territoriali, ove esistenti e naturalmente, con gli altri strumenti della programmazione locale negoziata, quali ambiente, educazione, formazione (a regime è possibile prevedere l’inserimento nel PIS di altri piani di settore). L’organo di governo della SdS, infatti, dovrà stipulare appositi accordi di programma con le altre Amministrazioni interessate, nell’ambito dei quali si definiranno, tra l’altro, le modalità di interazioni fra i vari strumenti. L’interazione e l’integrazione tra i Piani integrati di salute e gli altri strumenti di programmazione negoziata locale sono assicurate, attraverso l’unificazione delle sedi di concertazione e, ove possibile, delle procedure di negoziazione. Nelle zone dove non si sperimenta la Società della salute il PIS, così come delineato dalla disciplina regionale, non è sostitutivo degli altri strumenti di programmazione locale (programma operativo di zona del PAL e PSZ). In detta ipotesi tuttavia la predisposizione del PIS agevola il percorso della programmazione integrata delle politiche socio-sanitarie, e della loro interconnessione con quelle relative ai settori ambientali, territoriali o con tutti i settori che abbiano comunque influenza sullo stato di salute della popolazione. Tale dinamica, ove le condizioni lo permettano, può progressivamente consentire che il PIS sostituisca gli attuali strumenti di programmazione socio-sanitaria di zona. Le linee guida, facendo un passo in avanti rispetto alle disposizioni contenute negli strumenti di programmazione regionale precisano, infatti, che a regime il PIS può sostituire il programma operativo di zona e il piano sociale di zona. Alla luce dell’analisi compiuta e delle valutazioni espresse, appare evidente che le novità introdotte dagli atti della programmazione e d’indirizzo regionali, definiscono un quadro programmatorio che sostanzialmente si differenza nelle due ipotesi analizzate. Mettendo a raffronto le ipote- Partecipazione e integrazione Canio Lomuto Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS - Firenze I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 353 si prospettate, infatti, così come risulta dalla lettura degli atti di programmazione regionale (fatto salvo quanto già in precedenza detto in riferimento alle linee guida), è facile desumere che laddove esiste sperimentazione delle Società della Salute, il sistema di programmazione locale si presenta più snello e per certi aspetti sono più chiari i contenuti dei rispettivi piani e le loro interazioni. Viceversa, nell’ipotesi della zona distretto dove non si sperimenta la SdS occorrerà attendere che il processo d’integrazione fra gli strumenti della programmazione locale si perfezioni; tuttavia i Piani integrati di salute dovranno comunque interagire con il PAL e il PSZ, nonché con i Patti territoriali per lo sviluppo e l’occupazione e con i Patti sociali territoriali, ove questi esistano. L’interazione e l’integrazione tra i Piani integrati di salute e gli altri strumenti di programmazione negoziata locale sono assicurate, anche in questo caso, attraverso l’unificazione delle sedi di concertazione e, ove possibile, delle procedure di negoziazione e concertazione. Resta, tuttavia, da risolvere il problema del riallineamento dei tempi per la definizione delle strategie finanziarie e quindi dell’approvazione dei bilanci dei vari soggetti istituzionali che concorrono alla programmazione delle politiche integrate in ambito territoriale. Oggi, alla luce delle novità introdotte occorre avviare una seria riflessione sul tema. La riforma della l.r. 22/2000 ed in parallelo della l.r. 72/97 hanno offerto al legislatore regionale l’opportunità di sanare alcune discrasie presenti negli atti di programmazione e d’indirizzo regionali, facendo assurgere il PIS a livello di vero e proprio strumento di programmazione integrata di salute locale. L’opportunità offerta dalla revisione degli strumenti normativi, tuttavia, ha parzialmente accelerato il processo di snellimento del sistema di programmazione. L’obiettivo del futuro legislatore toscano potrebbe essere quello di superare, in coerenza con le indicazioni strategiche di fine legislatura contenute nel D.P.E.F., l’eccessiva proliferazione degli strumenti di programmazione locale, ancora presente nel tessuto normativo, al fine di qualificare ulteriormente la risposta ai bisogni di salute dei cittadini toscani. L e tentativi di sperimentazione, parallelamente e nel contesto dell’ideazione, approvazione e prime fasi attuative della riforma sanitaria, 833 del ’78. L’idea di partecipazione rappresentò il discrimine tra due concezioni della riforma e del a genesi del concetto di partecipazione in sanità è rintracciabile nelle lotte per la difesa della salute in fabbrica degli ultimi anni 60 del secolo scorso. Successivamente, per più di vent’anni, la partecipazione è stata oggetto di riflessione, dibattito l ute Sa e 354 Territorio relativo modello di Servizio sanitario nazionale. Semplificando e sintetizzando: • il modello “aziendalistico” con finalità di produzione e offerta di servizi e prestazioni,il cui paradigma organizzativo era l’ospedale e dove qualità peculiare del sistema era l’efficienza; • l’opzione partecipativa la cui finalità era la difesa della salute, le qualità peculiari efficacia e flessibilità dell’organizzazione, un’organizzazione subordinata alle decisioni programmatiche dei detentori della salute, i singoli cittadini e la comunità. Le ragioni dell’opzione partecipativa erano fondate sulla convinzione che la partecipazione fosse il motore dello sviluppo e della trasformazione del Servizio socio-sanitario nazionale, al cui centro era la Unità sanitaria locale, concepita come luogo dell’interazione sistemica tra domande di salute espresse dalla comunità locale e risposte in termini di interventi trasformativi e prestazioni sanitarie delle amministrazioni locali e del SSN. Le idee chiave a fondamento dell’elaborazione culturale che sosteneva l’opzione partecipativa: • la difesa della salute richiede un approccio globale: investe tutti gli aspetti della vita degli individui e della collettività. Per approccio globale s’intendeva una modalità conoscitiva e operativa attenta a tutti gli aspetti che condizionano la salute e che precorre culturalmente e storica- I piani integrati di salute mente ciò che oggi chiamiamo integrazione; • la questione salute non ha soluzioni tecniche e anche quelle che appaiono come tali sono in realtà politiche. Questa premessa è il risultato della riflessione critica sulla supposta e, dai fautori della opzione partecipativa negata, neutralità politica e sociale della scienza in generale e della medicina in particolare; • c’è una intrinseca solidarietà tra la questione della partecipazione e la difesa della salute, solidarietà non solo logica ma ideale e simbolica se alla “malattia come perdita di partecipazione” sul piano individuale corrisponde su quello sociale “la perdita di partecipazione come malattia”. Le conclusioni più rilevanti cui si giungeva: • la supposta, dai fautori dell’opzione “aziendalistica”, insanabile contraddizione tra efficienza e partecipazione era risolta con l’affermazione del diritto della partecipazione a stabilire i criteri di giudizio dell’efficienza; • la relazione tra governo della salute e gestione del Servizio socio-sanitario era definita in senso gerarchico, ne conseguiva una necessaria flessibilità dei servizi in funzione dei bisogni sociali e sanitari della comunità, espressi e sostenuti dai soggetti della partecipazione; • la direzione del processo di programmazione, in particolare sanitaria ma non solo, non poteva che essere dal basso verso l’alto, N. 147 - 2004 dalla periferia al centro, dai livelli locali a quelli sovralocali. Se consideriamo oggi la situazione, anche in riferimento alle conclusioni e alle attese dei sostenitori dell’ipotesi partecipativa è facile accorgersi che: • il sistema dei servizi è fortemente strutturato e perciò poco flessibile; • l’efficienza è un valore in sé, essenzialmente legato a questioni di compatibilità economica del sistema, spesso svincolato da criteri di efficacia e di soddisfazione dei bisogni dei cittadini; • la direzione dei processi di programmazione è tendenzialmente dall’alto verso il basso, dal centro verso la periferia; • l’approccio globale e la sua declinazione operativa, l’integrazione, benché siano senso comune, raramente trovano applicazione concreta nelle scelte amministrative e nella operatività dei servizi. • la questione partecipazione trova accoglienza in documenti internazionali, dell’OMS, in atti di programmazione regionale, PSR 2002-2004, nel senso degli operatori più legati alle attività territoriali. In questo contesto il problema della partecipazione riemerge in una forma incerta e richiede di essere riformulato. Per poterlo fare, nella prospettiva del miglioramento della salute attraverso un approccio globale, è innanzitutto necessario tentarne una definizione, cos’è la partecipazione, anche generica ma utile a delimitare in una prima approssimazione il campo d’azione, individuarne i soggetti, chi partecipa, e gli oggetti, a cosa. Definendo in modo del tutto generale la partecipazione come processo di interlocuzione tra istituzioni politiche e sistema dei servizi da una parte e popolazione dall’altra e assumendo come riferimento il miglioramento della salute attraverso una programmazione integrata è possibile individuare i contenuti dell’interlocuzione stessa, gli oggetti cioè della partecipazione. Una pianificazione efficace ha bisogno di un supporto adeguato di conoscenze relative a bisogni, problemi, rischi e opportunità per la salute. Informazioni queste detenute dalla popolazione in forma unitaria, pluridisciplinare, “naturalmente” integrata perché vissute dentro la realtà concreta della comunità sul proprio territorio. Ma, se non si vuole che la partecipazione si confonda con il coinvolgimento estemporaneo e strumentale della popolazione nella lettura della realtà territoriale, ogni atto dell’interlocuzione partecipativa deve essere finalizzato allo sviluppo della partecipazione stessa, all’obiettivo cioè di fare della partecipazione un elemento essenziale delle procedure programmatorie. In questo senso non è possibile separare l’espressione di una conoscenza dai suoi esiti: decisioni inerenti le cose da fare, programmi di intervento e procedure di controllo e valutazione. Si può quindi affermare che I piani integrati di salute N. 147 - 2004 la logica dei processi partecipativi è circolare: la partecipazione produce informazioni utili alle decisioni per l’intervento, gli interventi determinano dei cambiamenti nello stato del sistema, cambiamenti che è la partecipazione a registrare e valutare così da accrescere le proprie conoscenze, e il proprio ruolo, e produrre nuove informazioni per nuove decisioni. È chiaro che perché il processo non si esaurisca è necessario che ad ogni chiusura del circolo si realizzi un incremento di partecipazione, nel senso della numerosità dei soggetti e dell’accrescimento delle loro competenze. Informazione e decisione sono quindi gli oggetti della partecipazione, esprimere un sapere e appropriarsi di un potere sono momenti identificativi della partecipazione. Gli oggetti della partecipazione chiariscono quali ne siano i soggetti: individui e gruppi in grado di esprimere conoscenze relative alle condizioni sociali, sanitarie e ambientali del territorio e di seguire in modo attivo il farsi decisione delle informazioni. Se perciò informazione e decisione sono gli oggetti della partecipazione essi rappresentano anche i contenuti generali della relazione sistemica che dalla popolazione dirigono verso i servizi e le istituzioni, mentre i contenuti che dai servizi e dalle istituzioni vanno alla popolazione sono: • informazioni, sullo stato del sistema e sugli sviluppi e i risultati degli interventi programmatici, che permettano ai soggetti della partecipazione di svolgere un ruolo decisionale nel controllo dei processi e nella valutazione degli esiti; • formazione che, attraverso la socializzazione delle conoscenze e il trasferimento di competenze, realizzi un incremento qualitativo e una maggiore diffusione delle capacità decisionali della popolazione (empowerment), e quindi una espansione delle opportunità di salute e di partecipazione. Il senso di realtà induce a immaginare che la partecipazione non possa pervadere da subito e in tutti i suoi aspetti il sistema. Il suo sviluppo è un processo graduale e discontinuo, la cui nascita è condizionata dalla necessità di trasformare la polarità spontaneità/sollecitazione, contraddittoria nei termini, in una dinamica feconda. In questo senso l’utilizzazione di modi e occasioni di coinvolgimento della popolazione, consigli comunali aperti, assemblee pubbliche, comitati di partecipazione istituzionali, hanno il valore di opportunità, che per suscitare partecipazione autentica devono prefigurare una reale, per quanto limitata e specifica, ridistribuzione dei poteri decisionali. Alcune condizioni di contesto sono essenziali allo sviluppo della partecipazione: • una programmazione che dai livelli locali salga verso quelli superiori, solo a questa condizione è pensabile che la partecipazione divenga una componente sistemica della programmazione stessa; • un sistema dei servizi flessibile, capace cioè di rispondere alle esigenze di un governo partecipato della salute, e per sistema dei servizi non si intende solo quello sanitario ma l’intera galassia dei servizi degli enti locali. Flessibilità ha qui due accezioni: una maggiore disponibilità degli operatori ad accettare e valorizzare i contenuti tecnici che la partecipazione, più o meno esplicitamente, esprime; la tensione del sistema verso una operatività per progetti, in modo tale che anche l’attività corrente venga ricompresa in un’ottica progettuale e quindi costantemente valutata nelle sue motivazioni ed esiti; • la socializzazione, valorizzazione e potenziamento delle esperienze di partecipazione in qualunque campo realizzate (vedi art. Esperienze locali: “Città sana”, “Agenda 21”). La partecipazione nel Piano sanitario regionale Il PSR 2002-2004 cita la partecipazione: • tra i suoi grandi obiettivi insieme al miglioramento della salute e del benessere della popolazione e l’efficienza e la sostenibilità del sistema; • tra i valori del Sistema sanitario della Toscana: i/le cittadini/e non sono oggetti, ma soggetti delle decisioni in tema di salute. Perché la loro partecipazione sia sostanziale è necessario promuovere lo sviluppo della loro competenza per una scelta libera e consapevole Sae l ute Territorio 355 dei comportamenti, dei servizi e delle cure; • tra le scelte strategiche: occorre che le comunità locali “si riapproprino” dei loro servizi sociali e sanitari, riducendo così le componenti burocratiche, sviluppando invece quelle partecipative, sia dirette sia mediate dalle istituzioni comunali. Da tutto questo è possibile dedurre che il PSR indica la partecipazione come uno dei cardini dell’innovazione del sistema, insieme a: l’integrazione come approccio all’analisi e all’intervento, la centralità della comunità locale nel governo della salute, i Piani integrati di salute come strumento di programmazione. Il riferimento ai PIS esprime il tentativo del PSR di modificare, o comunque temperare, l’approccio centralistico alla programmazione sanitaria regionale. L’idea di partecipazione che il PSR sostiene riprende due temi che attraversano da sempre il confronto sul valore della partecipazione: la relazione tra partecipazione ed efficienza e il rapporto tra la comunità e i servizi. Attualizza il primo legando la partecipazione a una questione essenziale per il carattere universalistico del welfare: la sostenibilità economica. In sostanza: la partecipazione dovrebbe consentire, grazie alla consapevolezza dell’importanza dei determinanti extrasanitari della salute e alla responsabilità dei singoli e delle comunità nei confronti dei consumi sanitari, una più efficace ed economica allocazione delle risorse. In questo senso la partecipazione è soprattut- l ute Sa e 356 Territorio to vista sul versante del trasferimento di competenze, formazione e informazione, da parte del sistema ai cittadini. Affronta il secondo nella direzione della “riappropriazione” dei servizi sociali e sanitari da parte dei cittadini, la partecipazione è vista come espressione della comunità locale, soggetto della programmazione e del controllo. Individua infine l’ambito territoriale e di governo privilegiato della partecipazione: la zona-distretto. Lo stesso ambito della realizzazione del Piano integrato di salute. Partecipazione per il PIS Poiché il PIS è lo strumento e la modalità principale con cui la comunità locale governa la salute collettiva e interagisce col sistema dei servizi, esso rappresenta l’opportunità e lo spazio privilegiato della partecipazione fin, anzi soprattutto, dalle prime fasi della sua realizzazione. È bene comprendere tra queste la fase di avvio, una sorta di fase zero, in cui i soggetti istituzionali, articolazione zonale della Conferenza dei sindaci e l’ASL o Giunta della SdS, dovranno I piani integrati di salute verosimilmente individuare un gruppo di lavoro col compito di coordinare concretamente la costruzione del PIS. Verificare la possibilità di coinvolgere nel gruppo attivatore soggetti della partecipazione, almeno quelli con maggior radicamento sul territorio come i Sindacati e le Associazioni di volontariato, sarebbe utile alla definizione di quelle fasi del PIS in cui la partecipazione ha, dovrebbe avere, un ruolo decisivo: • individuazione dei problemi, dei bisogni, delle opportunità di salute; • scelta delle priorità; • valutazione dei risultati dell’attuazione. La prima fase, conoscitiva, ha un valore speciale sia in vista della efficacia delle decisioni d’intervento, sia per la valutazione, sia sul piano della partecipazione. Una conoscenza adeguata della realtà di salute è non solo una condizione imprescindibile per decidere efficacemente, ma è anche l’unico riferimento concreto per valutare gli esiti degli interventi. Poiché la fase ha lo scopo di definire una identità di welfare della zona Esperienze locali: “Agenda 21”, “Città sana” Maria Grazia Petronio Alessandra Pedone* Dipartimento di Prevenzione Az.USL11 di Empoli (FI) [email protected] * Az.USL 8 di Arezzo [email protected] N. 147 - 2004 ed essendo il riconoscimento il connotato essenziale di una identità, essa rappresenta il momento in cui la comunità si riconosce tale attraverso i problemi sociali, sanitari, ambientali, i bisogni, le opportunità di salute che le sono propri: la nascita di una partecipazione autentica coincide con la trasformazione di una comunità oggettiva in una comunità soggettiva. L’Immagine di salute, esito concreto di fase, è perciò importante non solo per i suoi contenuti ma anche per le modalità di realizzazione che ne determinano il grado di riconoscibilità comunitaria. L’Immagine è una rappresentazione della realtà ottenuta attraverso procedimenti condivisi di selezione, integrazione, sintesi delle conoscenze, filtrata dalle esperienze, dai punti di vista, dalle percezioni dei soggetti che partecipano alla sua realizzazione. È quindi una rappresentazione soggettiva, e proprio in questo consiste il suo valore, perché attraverso la coscienza della propria soggettività la comunità si riappropria del suo ruolo e delle opportunità di conoscenza e di trasformazione della realtà. In una costruzione partecipata dei PIS il confine tra la fase conoscitiva e quella relativa alle scelte di priorità non è così netto, quanto più l’Immagine di salute è il risultato della partecipazione tanto più, in modo magari implicito, esprime anche una gerarchia dei problemi, è importante però che siano trasparenti le ragioni che decidono della gerarchia. Verosimilmente sarà la situazione locale a determinare le forme e i gradi della partecipazione alla realizzazione dell’immagine di salute, in qualunque caso è necessario che i soggetti della partecipazione che hanno contribuito alla definizione del documento acquisiscano, per questo, il diritto e si assumano la responsabilità di contribuire alle decisione sulle azioni d’intervento e quindi alla valutazione dei risultati. Solo se la partecipazione percepisce se stessa come decisiva è immaginabile che possa espandersi fino a diventare una componente sistemica del governo locale della salute. “C vaguardia dell’ambiente. Essi rappresentano un importante stimolo verso la pianificazione integrata e partecipata. ittà sana” rappresenta lo sviluppo progettuale del documento OMS “Health 21”, “Agenda 21” del documento programmatico “Ambiente e sviluppo” approvato dalla Conferenza dell’ONU di Rio de Janeiro del 1992. I caratteri innovativi di entrambi i progetti riguardano l’integrazione degli interventi e il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte per la salute collettiva e la sal- I rapporti con il PIS Il piano d’azione dell’“Agenda 21” ed il piano di sviluppo della “Città sana” sono gli strumenti per raggiungere obiettivi di miglioramento della qualità dell’ambiente insieme ad obiettivi di carattere sociale, economico ed N. 147 - 2004 istituzionale perseguendo in modo integrato l’equità sociale, la distribuzione e l’accesso alle risorse ambientali e a quelle fondamentali come l’occupazione, la salute, la protezione sociale, i servizi di base, l’abitazione. Punti cardine dei suddetti piani sono: l’integrazione dei temi, gli obbiettivi ambientali legati ad obiettivi economici e sociali; il confronto tra gli interessi, tutti i gruppi della società devono essere coinvolti; il carattere di lungo termine, obiettivi a lungo termine in accordo con il principio di precauzione; la dimensione globale; la gestione sostenibile delle risorse (International Council for local environmental initiatives -iclei- 1998). Il PIS, a sua volta, si prefigge di connettere discipline, protagonisti e azioni diverse verso obiettivi comuni: quelli di promuovere la salute, contrastare le cause di malattia e migliorare la qualità ambientale; individuare i bisogni in maniera condivisa e partecipare alla definizione delle azioni; ridare centralità alla comunità locale. Inoltre il profilo di salute costituisce in definitiva la base informativa comune per orientare la progettazione e la realizzazione di tutti i piani d’azione. I progetti di “Agenda 21” e di “Città sana” possono, dunque, rappresentare un’utile esperienza da utilizzare e integrare nella realizzazione del PIS. È però necessario tener conto della molteplicità delle iniziative e dei progetti in atto, cercare un collegamento tra indicatori, target e obiettivi per mettere a frutto le risorse del territorio e per non incorrere nell’errore di creare sovrapposizioni, cercando invece di favorire la partnership e la transdisciplinarietà. Paradossalmente il rischio è un’offerta pubblica molto articolata di spazi e strumenti di partecipazione per vari bisogni ed esigenze, in molti casi sconosciuti e poco utilizzati o “inconsci” ma non valorizzati, che può inflazionare l’offerta tra eccessi di retorica e scetticismi sulla partecipazione fine a se stessa, e facilitare invece la sovrapposizione e il dispendio di molte energie e impegni con risultati di scarsa efficacia qualitativa, autoreferenzialità e rappresentatività su vari “tavoli” aperti, gerarchia tra strumenti di “peso” e quelli “marginali”, a seconda delle risorse e della tipologia di attori coinvolti, dell’impegno politico e del supporto finanziario dedicato (Focus Lab 2002 p. 60). “Città sana” e “Agenda 21” Il progetto dell’O.M.S. denominato Health 21: 21 obbiettivi di salute per il 21mo secolo definisce le linee di indirizzo e gli obiettivi per lo sviluppo della politica sanitaria dei paesi europei. Esso costituisce un quadro di riferimento etico e scientifico e rappresenta non solo un modo per valutare l’impatto delle politiche sulla salute ma anche una proposta per utilizzare la salute come base delle attività di sviluppo in tutti i settori della società. Il nuovo orientamento tende a spostare l’obiettivo dal controllo delle malattie e dei fattori di rischio al controllo dei determinanti di salute: istruzione, occupazione, reddito, I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 357 accesso ai servizi sanitari. Ai punti 10 e 14 del progetto è prevista la predisposizione di un piano per la salute rivolto alla riduzione dei contaminanti atmosferici, delle emissioni e all’incremento qualitativo dei livelli igienico-sanitari, in particolare di quelli relativi alle realtà socio-economiche più disagiate, contesti nei quali ai più bassi livelli di qualità della vita corrispondono i peggiori esiti sullo stato di salute individuale. Si ammette che la salute, lo “star bene”, degli individui e della comunità, è un fatto complesso che non dipende soltanto dal buon funzionamento dei servizi sanitari ma è soprattutto influenzato da altre scelte, uso del territorio, uso delle risorse, stili di vita, rapporti economici, rapporti sociali, inquinamento atmosferico, condizioni delle abitazioni, occupazione ecc., proprie degli enti di governo democratico della nostra società. Ne consegue che per migliorare la salute della comunità occorre avere innanzi tutto la conoscenza dell’insieme di tali aspetti e la collaborazione di tutti coloro che possono influenzare o modificare l’ambiente di vita. Sul versante ambientale la complessità e la gravità delle problematiche nella fase storica attuale hanno decisamente smorzato, sia nella comunità scientifica che nel sentire comune, gli atteggiamenti di fiducia incondizionata nelle capacità dello sviluppo tecnologico e delle conoscenze scientifiche di controllo totale dei rischi che minacciano la salute. Di fronte a rischi ambientali nuovi ed inevitabilmente incerti basti pensare ai cambiamenti climatici, agli alimenti transgenici, all’inquinamento elettromagnetico ecc., ma dagli effetti potenzialmente distruttivi ed irreversibili il mondo scientifico internazionale si sta orientando verso l’adozione di una prospettiva riflessiva, di politiche che tendano ad allargare all’intera comunità il peso e la responsabilità di scelte che coinvolgono il destino di tutti, riconoscendo in qualche modo che la partecipazione e la cooperazione si pongono come elementi centrali nel futuro delle politiche ambientali e sanitarie. Accantonate, dunque, quelle “verità” e quelle “certezze” messe a dura prova da una serie di disastri dalle conseguenze terribili nelle dimensioni, negli ultimi anni, nei confronti dei rischi ambientali sono state elaborate e proposte strategie politiche più cautelative improntante alla precauzione ed alla prudenza. Prestigiose associazioni scientifiche, come l’”American Association for the Advancement of Science”, si sono più volte pronunciate in questo senso, sottolineando che la conoscenza scientifica su molti fenomeni e processi non è soltanto temporaneamente carente ma probabilmente mai potrà essere totalmente esaustiva e invocando, nelle decisioni di “policy”, una condivisione di responsabilità allargata alla società nel suo complesso (De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungaro, 2001). Si tratta pur tuttavia di un percorso difficile che si scontra con interessi molto forti l ute Sa e 358 Territorio di fronte ai quali occorre avere il coraggio, la capacità e gli strumenti per riuscire ad integrare le diverse visioni dei problemi, i valori e gli interessi contrastanti nonché tutte le forme di conoscenza e di sapere: sia quelle appartenenti alla società comunemente detta “scientifica” sia quelle proprie degli altri settori della collettività. È in questo contesto che vanno letti i progetti di “Città sana” e “Agenda 21” (AG21) le cui radici affondano per il primo in Health21, e, per il secondo, nel documento programmatico sottoscritto nel 1992 a Rio de Janeiro nel corso della Conferenza dell’ONU Ambiente e Sviluppo che individua le azioni da intraprendere nel 21mo secolo per favorire lo sviluppo sostenibile, attraverso il coinvolgimento attivo dei diversi attori sociali. Il progetto “Città sana” si propone di introdurre un nuovo modo di pensare, di progettare, di gestire la salute pubblica, per il quale è necessario operare mediante azioni intersettoriali, superando il vecchio sistema di organizzazione per sistemi di servizi e per dipartimenti professionali, mediante il coinvolgimento partecipativo delle comunità locali, dato che l’obiettivo delle azioni non è la cura delle malattie ma la promozione della salute. Il progetto “Città sana” è un’iniziativa dell’OMS che, per la prima volta, si rivolge direttamente ai Comuni e non ai Governi dei Paesi, perché tutte le realtà sociali ed istituzionali presenti sul territorio si coordinino e lavorino insieme su comuni obiettivi di salute. Si I piani integrati di salute tratta di uno strumento di lavoro che consente ai Comuni di avere una visione complessiva della situazione locale, di individuare i problemi esistenti, di stabilire quali tra questi sono i prioritari e di trovare la soluzione. Il progetto gioca un ruolo speciale nel governo di una città. Promuove innovazioni e cambiamenti nella politica locale per la salute, dando spazio a nuovi approcci alla salute pubblica. Esplora le vie più efficaci per mettere in pratica negli agglomerati urbani i principi e gli obiettivi della strategia HFA europea. È questa la situazione di diverse città del nord Europa che sono riuscite a ricondurre sotto un’unica progettualità le iniziative di promozione della salute. Lo sviluppo di un progetto di “Città sana” passa necessariamente attraverso due fasi: • la compilazione del Profilo di salute della città, lo strumento che descrive dal punto di vista qualitativo e quantitativo lo stato di salute della città e i fattori che la influenzano ed evidenzia le criticità attraverso l’ausilio di opportuni indicatori; • la definizione del Piano di salute, vero e proprio strumento di programmazione, attraverso il quale si individuano indirizzi e strategie da intraprendere per permettere alla città uno sviluppo dove le componenti sociali, ambientali ed economiche siano in equilibrio. Il Piano di salute nasce dalla valutazione politica del Profilo di salute. N. 147 - 2004 Il cittadino ha un ruolo fondamentale in quanto da una parte è interlocutore, dall’altra assolutamente protagonista di tutte le azioni che verranno avviate perché lui stesso è partecipe dei processi decisionali e si assume, in molti casi, anche l’impegno a modificare il proprio stile di vita o i comportamenti. In questo contesto il sistema dei servizi sanitari è chiamato a rivedere le proprie strategie e a superare la politica della prestazione medica “curativa” per farsi interprete dei bisogni dei cittadini percepiti globalmente e per far questo deve aprire i canali di comunicazione con le componenti politiche, economiche e sociali della città. Nel 1987 aderivano a “Città sana” 11 città europee. Il Progetto ha avuto un notevole successo su scala internazionale e oggi oltre 700 città in tutto il mondo partecipano al movimento. Attualmente le reti nazionali europee sono 24 compresa quella delle città italiane, cui aderiscono 110 Comuni, in rappresentanza di 18 Regioni. Sono costituite e altre in via di costituzione anche le reti regionali, tra le quali molto attive quella del Friuli, del Piemonte, del Veneto e della Puglia. L’OMS coordina il progetto europeo cui sono state ammesse circa 50 città, per l’Italia: Padova, Milano, Bologna, Udine, Arezzo e Siena. Il progetto è articolato in fasi. La prima fase (1987-1992) ha previsto l’introduzione nelle città dei nuovi metodi e dei nuovi strumenti per operare in riferimento alla salute. Nella seconda fase (1993-1997) sono state sviluppate azioni per orientare le politiche verso le forme innovative di programmazione, come i piani di salute delle città. Nella terza fase (1998-2002) sono state promossi progetti coerenti con gli obiettivi di Health21 e “Agenda 21” locale. Attualmente è in corso la IV fase (2003 - 2007) che prevede, per le città che vi aderiscono, due direzioni principali di lavoro: 1. Implementazione o definizione, nel caso di città di recente adesione al progetto, di un piano di sviluppo per la salute, supportato da un Profilo aggiornato della salute, attraverso partnership intersettoriali. 2. Sviluppo, nei primi due anni, dei seguenti temi chiave: • pianificazione urbana per la salute, incoraggiando e supportando i pianificatori urbani ad integrare idee e prospettive di salute nelle strategie urbanistiche e nelle iniziative di pianificazione territoriale con enfasi sull’equità, il benessere, lo sviluppo sostenibile e la sicurezza della comunità; • valutazione di impatto sanitario (VIS), applicando processi VIS nelle città per supportare azioni intersettoriali tendenti alla promozione della salute e alla riduzione delle ineguaglianze; • invecchiare in salute, lavorando per affrontare i problemi di salute, i bisogni di cura e qualità della vita delle persone anziane con enfasi sulla I piani integrati di salute N. 147 - 2004 vita attiva e autosufficiente, sugli ambienti favorevoli e sull’accesso ai servizi affidabili ed appropriati. La metodologia utilizzata prevede una valutazione annuale da parte di ciascuna città dei risultati raggiunti attraverso l’utilizzo di appositi strumenti di valutazione. L’ufficio centrale dell’OMS diffonde i risultati di tali valutazioni, rileva le criticità ed elabora proposte di approfondimenti da presentare e condividere in occasione degli incontri periodici, business meetings, cui partecipano le città progetto. In tali incontri sono affrontate tematiche specifiche quali la povertà, l’equità, la sostenibilità, la partecipazione, la programmazione integrata. Ciascun argomento è analizzato in tutti i suoi aspetti perché le città condividano anche concetti e linguaggi e possano affrontare le varie problematiche con la consapevolezza piena del loro significato e delle implicazioni. Con la IV fase l’OMS ha ulteriormente ampliato il numero delle città ammesse alla sperimentazione. L’Italia dovrebbe passare dalle attuali 6, Arezzo, Bologna, Milano, Padova, Siena e Udine, a 10. Le città progetto hanno un ruolo di supporto alle nuove. “Agenda 21” locale rappresenta il primo vero tentativo di disciplinare il rapporto precario fra ambiente e uomo ed è per questo che è considerata il “manifesto” per lo sviluppo sostenibile inteso come “quello sviluppo che soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. “Agenda 21” si propone di individuare le possibili vie di attuazione di questo sviluppo sostenibile mediante l’indicazione di una serie di obiettivi specifici inerenti non solo l’ambiente ma anche l’economia, la finanza, la vita produttiva e sociale della comunità. Per fare ciò utilizza lo strumento dei patti territoriali, dei processi partecipati e dei patti di solidarietà tra enti e cittadini, integrando principi, obiettivi ed azioni che interessano tutti i livelli istituzionali e operativi, ai diversi gradi di responsabilità ed autonomia. Il luogo privilegiato della partecipazione e della condivisione è individuato nel forum dei soggetti interessati. Il progetto AG21 è espressione di un vasto consenso, essendo stato approvato, nel 1992, da più di 170 Capi di Stato e di Governo, a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo. Da un’indagine effettuata da “Focus Lab” nel 2002 è emerso che l’adesione a processi di AG21 locali riguarda in Italia 556 enti, soprattutto Comuni (72%), seguiti da Province, Comunità montane, Enti parco, Associazioni di Comuni e Regioni. Tra questi quelli che hanno aderito, al marzo 2002, alla Carta di Aalborg della Campagna europea Città sostenibili e/o al Coordinamento “Agende 21” locali italiane sono 498. Le adesioni alla Campagna europea “Città sostenibili” sono quadruplicate dopo il 2000 per effetto del bando di co-finanziamento del Ministero dell’ambiente di supporto all’avvio di processi di AG21 locale, che prevedeva come requisito appunto l’adesione alla Carta di Aalborg: nel 1998 erano 35, 105 nel 2000 per passare a 482 nel 2001. Nonostante l’adesione ad AG21 sia così vasta emerge che solo la metà circa degli enti ha attivato il processo, cioè circa 1 su 2 tra quelli che hanno aderito alla Carta di Aalborg della Campagna europea Città sostenibili e/o al Coordinamento “Agende 21” locali italiane, e che la maggior parte di questi si trova ancora in una fase di avvio. Per quanto riguarda la partecipazione, solo il 18% ha attivato un forum, il 14% ha svolto un’analisi dei problemi-criticità del proprio territorio, il 6% ha definito un Piano d’azione locale, di questi solo il 4% lo ha attuato, e solo l’1% ha poi effettuato un monitoraggio. Gli attori coinvolti sono quasi sempre enti pubblici, che sono anche promotori, e associazioni ambientaliste; più raramente interlocutori istituzionali degli enti locali: associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, imprese private e associazioni imprenditoriali, scuola. La partecipazione più carente e discontinua riguarda i cosiddètti soggetti deboli, immigrati, donne e giovani, già individuati come “fondamentali da coinvolgere”, ma anche le Associazioni di consumatori e sportive, i media, l’università. La causa di questo mancato coinvolgimento potrebbe essere ricercata da una parte Sae l ute Territorio 359 nell’esclusione da parte degli enti promotori di gruppi considerati non importanti rispetto ai temi da trattare, dall’altra nella percezione dei processi di AG21 da parte di questi attori come non appetibili rispetto ai propri interessi/priorità; in ogni caso la comunicazione non è mai stata sufficiente. Non si notano differenze nel tipo di attori coinvolti nelle varie fasi di avanzamento. Nella maggior parte dei forum si sono costituiti gruppi di lavoro tematici e la scelta degli ambiti tematici di lavoro riflette gli interessi dei soggetti partecipanti. Il 59% degli enti promotori coinvolge molto il forum sia per definire scelte strategiche che per valicare e informare su progetti specifici, il 27% lo coinvolge poco, solo il 14% mai, rappresentano il 22% gli enti che hanno dotato il forum di autonomia economica per gestire direttamente progetti emersi dal Piano d’azione. La partecipazione ai forum viene promossa tramite gli strumenti tradizionali quali depliant, opuscoli, pagine web, incontri, ancora monodirezionali e informativi. Scarso il ricorso a strumenti interattivi partecipati come focus group o strumenti multimediali. Nell’85% dei casi sono stati coinvolti facilitatori, quasi sempre esterni, per gestire i lavori dei gruppi e del forum. Il Comprensorio del cuoio Il Comprensorio del cuoio è caratterizzato da una particolare aggregazione di unità produttive destinate alla pre- l ute Sa e 360 Territorio parazione, concia e tintura delle pelli e rappresenta il “polo conciario” più importante d’Italia, con oltre 800 unità produttive, in cui sono impiegati quasi 10.000 addetti, e una serie di altre attività collegate, calzaturifici, pelletterie, produzione di macchine per conceria, stoccaggi e produzione di prodotti chimici. Le imprese sono generalmente medio-piccole e artigianali e spesso comprese nel tessuto urbano. Si tratta di un’area molto ricca, il fatturato annuo è di 1,7 miliardi di euro pari al 40% dell’intero fatturato del settore conciario nazionale. L’attività produttiva genera elevati livelli di reddito, superiori alla media regionale, ma anche un imponente impatto ambientale. I livelli di inquinamento interessano tutti i comparti ambientali, aria, acqua, suolo, e sono determinati dall’utilizzo nell’attività di concia di elevate quantità e varietà di sostanze chimiche insieme a cospicui volumi di acqua. Primo passo per la realizzazione del progetto è stato la costituzione di un Forum da parte degli enti locali, con la partecipazione di associazioni ambientaliste, sindacali e dei conciatori. Il Forum stesso ha poi stabilito le successive fasi di lavoro. Sono stati previsti alcuni passaggi chiave: • impostazione metodologica condivisa del Rapporto sullo stato dell’ambiente • elaborazione e condivisione del quadro conoscitivo emerso • individuazione degli obiettivi prioritari di sostenibilità I piani integrati di salute • definizione del Piano d’azione • monitoraggio dell’efficacia del Piano d’azione Per il Rapporto sullo Stato dell’ambiente nel Comprensorio del cuoio è stato applicato il modello concettuale OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che prevede la organizzazione dei dati e dei relativi indicatori per sistemi ambientali e, nell’ambito di questi, secondo l’articolazione “stato/pressione/risposta”. Il rapporto si articola in undici capitoli (vedi cap. 2c) che corrispondono ad altrettanti “temi” costituiti dalle principali componenti e problematiche ambientali e dai principali settori e fattori di pressione che dipendono dalle attività umane. È stato elaborato un set di indicatori (vedi cap. 2c) articolato secondo la logica sistemica propria delle strutture ambientali. Dopo la fase di condivisione del rapporto sono stati individuati gli obiettivi prioritari di sostenibilità ambientale, sulla base dei quali impostare tutte le attività di analisi, discussione, concertazione e decisione necessarie alla definizione del Piano. Questo passaggio è importante in quanto qualifica il percorso che si vuole intraprendere e rende esplicite le priorità che si assumono localmente, si basa sui risultati della fase di diagnosi, ma è anche il frutto del confronto tra diversi valori, interessi, punti di vista sul futuro dei soggetti locali. Al fine di individuare tali obiettivi prioritari è stata N. 147 - 2004 fatta, in base alle criticità evidenziate dal Rapporto sullo stato dell’ambiente, da parte dei coordinatori del Forum una prima selezione di argomenti da trattare: Proposta di lavoro per la costruzione del Piano d’azione “Agenda21” comprensorio del cuoio approvata dal Forum. Sono state successivamente costruite nel Forum le proposte di piano per gli argomenti Inquinamento atmosferico e inquinamento e prelievo dell’acqua ma sulle azioni da intraprendere e, in particolare, su alcuni progetti strategici facenti parte di altri piani non è stato possibile trovare l’unanimità. In conclusione possiamo dire che nel comprensorio del cuoio del Valdarno pisano la partecipazione attiva dell’Az.USL ad un progetto sperimentale di AG21 ha reso possibile la realizzazione di un rapporto che, attraverso un sistema di indicatori appositamente costruito, rappresenta lo stato dell’ambiente, del sistema produttivo, di quello energetico, dei trasporti, del sistema socioinsediativo e della salute della popolazione. Il risultato è uno strumento approfondito e dettagliato in cui tutti i dati disponibili sullo stato dell’ambiente e della salute sono stati raccolti in un sistema unico, realizzato collettivamente e condiviso da tutti gli attori sociali che hanno preso parte a questa prima fase del Forum. Se pure molta strada è stata percorsa occorre ancora lavorare intensamente affinché il processo di integrazione tra il cosiddetto sapere tecnico, scientifico, specialistico e quello proprio della comunità locale possa davvero realizzarsi a pieno e tradursi in una partecipazione politica effettiva alle decisioni concernenti l’ambiente Gli stessi indicatori proposti sono il risultato di una ricerca ed elaborazione di dati che ancora si basano sostanzialmente su sistemi “unilaterali”, e cioè che non valorizzano le conoscenze e il punto di vista del cittadino, e che, a volte, sono espressi con un linguaggio da addetti ai lavori e incomprensibile per la maggior parte di coloro che dovrebbero discuterli. Pertanto, la scelta di costituire, in questa prima fase, un Forum limitato ai soggetti istituzionali e a poche altre associazioni rilevanti dovrà essere rivista nella seconda fase delle attività al fine di allargare il percorso ad altri soggetti sociali. Si dovranno creare quindi le condizioni più favorevoli per coinvolgere la comunità, integrarla nei gruppi di lavoro ed evitare che le riunioni previste dal Forum diventino delle scadenze formali in cui i pochi attori coinvolti rischiano col tempo di demotivarsi. Inoltre, la rappresentazione congiunta dello stato di salute e dell’ambiente non consente di per sé di poter mettere in relazione determinanti ambientali ed eventuali effetti sulla salute. Per questo ulteriore passaggio è necessario valorizzare le conoscenze soggettive della popolazione e realizzare indagini ad hoc sul territorio. La città di Empoli Il Comune di Empoli si colloca al margine occidentale della N. 147 - 2004 provincia di Firenze, in riva sinistra dell’Arno, lungo il corridoio infrastrutturale di collegamento tra Firenze ed il mare; il territorio comunale si estende per 62,9 Kmq, di cui 2/3 circa formati dalle pianure dell’Arno e dei suoi affluenti ed il resto formato da deboli ondulazioni del sistema collinare che formano le valli che confluiscono verso l’Arno. La popolazione del Comune al gennaio 2001 era di 44.458 abitanti. L’economia di Empoli si basa prevalentemente su produzione artigianale, con tendenza alla evoluzione al terziario. Il tema dello sviluppo sostenibile e della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali è al centro dell’attenzione dell’Amministrazione comunale di Empoli già da diversi anni. A partire dal 1997, in particolare, l’amministrazione ha avviato processi di urbanistica e progettazione urbana partecipata nell’ambito del nuovo PRG. “Dialogare con i cittadini” e “cominciare con i bambini ed i giovani” sono state le azioni amministrative che hanno guidato l’avvio di tale processo, con gli obiettivi di: sperimentare la strategia di partecipazione in determinate zone di Empoli, progettazione a scala di settori di quartieri; realizzare i progetti specifici; concretizzare le riflessioni nelle scelte di piano; rendere “permanente”, dove possibile, il metodo della partecipazione. Tale esperimento è andato molto bene ed è valso ad Empoli il riconoscimento da parte del Ministero dell’ambiente, nel 1999, di “Città sostenibile delle bambine e dei bambini” e nel 2000 di “Città sostenibile”. L’urbanistica ha rappresentato uno dei campi in cui è stato possibile avviare un processo di programmazione partecipata in modo maggiormente strutturato. A partire dal 1997 sono stati organizzati veri e propri Laboratori di urbanistica partecipata e nel 2001, in attuazione del Piano strutturale, è stato avviato un percorso di “Agenda 21” locale con l’obiettivo di arrivare a definire e attuare, attraverso un processo partecipato, un Piano d’azione per lo sviluppo sostenibile del territorio empolese. Fino ad oggi, nell’ambito del percorso, sono già state realizzate diverse attività: è stato predisposto il Rapporto sullo stato dell’ambiente, sono stati attivati contatti con diversi soggetti della comunità locale, è stato avviato il Forum di “Agenda 21” ed è stato predisposto il primo Piano d’azione locale. Nel definire il percorso per arrivare alla predisposizione del Piano d’azione locale, si è partiti dalla constatazione che la città di Empoli, già da diversi anni, era interessata, a vari livelli, da numerosi processi di promozione della partecipazione e di progettazione partecipata. In questo contesto non si trattava tanto di dover mettere in campo, come nella maggior parte delle altre realtà territoriali che si trovano a voler sviluppare un percorso di “Agenda 21”, azioni di stimolo e attivazione della partecipazione, quanto piuttosto di individuare una strategia di valorizzazione delle I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 361 molteplici iniziative già in atto, impostando il percorso di “Agenda 21” locale con l’obiettivo di fare sintesi e dare organicità ai molteplici percorsi già avviati. A tal fine, si è ritenuto necessario, prima di coinvolgere il Forum di “Agenda 21” locale nelle attività di definizione del Piano d’azione, analizzare con attenzione tutte le iniziative già in atto e le azioni già realizzate dall’Amministrazione comunale coerenti con il percorso di “Agenda 21” locale. Nell’ambito del percorso di “Agenda 21” del Comune di Empoli il Piano d’azione locale è stato, quindi, sviluppato in due fasi distinte: una prima fase di lavoro istruttorio, condotto prevalentemente nell’ambito di un gruppo di lavoro interno all’Amministrazione comunale, e una seconda fase di pianificazione partecipata, condotta nell’ambito di eventi partecipativi con l’ausilio di facilitatori e l’applicazione di metodologie consolidate di supporto a tali processi. La prima fase di lavoro ha portato all’elaborazione del documento “Verso il Piano d’azione locale: il punto di vista dell’Amministrazione comunale”. Il documento costituisce la prima parte del Piano d’azione e delinea le strategie e le azioni d’intervento del Comune di Empoli nel prossimo futuro, dal punto di vista dell’Amministrazione comunale, a partire da una valutazione sull’efficacia delle politiche territoriali e ambientali realizzate in riferimento ai principi dello sviluppo sostenibile, nell’ottica di Circondario e della progettazione e governo partecipati. La seconda fase di lavoro ha invece portato all’elaborazione del documento “Verso il Piano d’azione locale: Carta di intenti per Empoli futura, partecipata e sostenibile”, che costituisce la seconda parte del Piano d’azione ed è frutto dell’avvio, nell’ambito del processo di “Agenda 21” del Comune di Empoli, del vero processo di pianificazione partecipata che, oltre ad aver attivato il coinvolgimento di numerosi attori della comunità locale nel processo di costruzione del Piano d’azione, ha anche portato all’allargamento della riflessione sulle strategie di sviluppo sostenibile e sulle idee e azioni da adottare per i temi del sociale e dello sviluppo economico, strettamente intrecciati con i temi dell’ambiente e del territorio. Principi della Carta d’intenti sono: 1. Sviluppo sostenibile nelle tre dimensioni, economica, ambientale, sociale: principio fondante della gestione ed uso del territorio, utilizzato in chiave di autosostenibilità, che integra gli impegni delle “Agenda 21” negli strumenti di governo ordinario del territorio, dell’ambiente, dello sviluppo economico, delle politiche sociali. 2. Ottica di Circondario, che pone Empoli al centro delle relazioni di un’area più vasta costituita dal territorio del Circondario Empolese Valdelsa. 3. Governo partecipato: partecipazione attiva della comunità locale alla definizione delle scelte di svi- l ute Sa e 362 Territorio luppo del territorio, promuove modelli partecipativi che garantiscano anche il coinvolgimento di punti di vista a volte sottorappresentati nella gestione dello sviluppo locale: di genere, anziani, immigrati, bambini, mondo rurale. 4. Stare in Europa: condivisione di un’idea di Europa dei cittadini prima ancora che degli Stati, di un’Europa delle solidarietà, dell’integrazione culturale, della tutela delle diversità. Questa seconda fase di lavoro è stata avviata chiamando tutti i soggetti portatori di interesse della comunità locale empolese a partecipare ad un seminario di progettazione partecipata, gestito utilizzando la metodologia EASW - European Awareness Scenario Workshop promossa dalla Commissione Europea come strumento per sensibilizzare e motivare grandi gruppi di attori locali nel processo di attivazione delle città sostenibili. Il seminario, svoltosi a Empoli nei giorni 2 e 11 febbraio 2004, ha coinvolto trentasette partecipanti da quattro categorie di attori chiave, politici/amministratori, operatori economici, tecnologi/esperti e utenti/cittadini, ed è stato articolato in due parti: • Parte I: Empoli nel 2015, in cui i partecipanti, divisi in quattro gruppi corrispondenti alle quattro categorie di attori chiave, hanno descritto la loro visione di Empoli città sostenibile nel 2015. La giornata si è conclusa con la definizione di una visione condivisa di Empoli città sostenibile nel 2015. I piani integrati di salute • Parte II: Idee e azioni per Empoli, in cui i partecipanti, divisi in quattro gruppi tematici, hanno elaborato, discusso e condiviso le idee e azioni per il perseguimento della visione di Empoli città sostenibile nel 2015. La giornata si è conclusa con l’attribuzione, mediante il voto dei partecipanti al seminario, di livelli di priorità alle diverse idee progettuali. Il seminario ha così consentito di stabilire gli obiettivi prioritari da perseguire per lo sviluppo sostenibile della città e di individuare prime idee e azioni condivise per il perseguimento di tali obiettivi. Il documento predisposto nell’ambito di tale processo non rappresenta tanto un Piano d’azione che affronta in modo esaustivo tutte le problematiche legate ai temi del sociale, dell’ambiente e dell’economia a Empoli, quanto piuttosto il primo frutto dell’avvio di una nuova modalità di co-progettazione per uno sviluppo sostenibile del territorio. La città di Arezzo Arezzo è città progetto della rete europea di “Città sana” dal 1999. Per poter partecipare alla sperimentazione, cui aderiscono altre 50 città europee, ha dichiarato il proprio impegno attraverso un atto del sindaco e del Consiglio comunale; costituito il Comitato direttivo, formato oltre che dal Comune stesso, dalla Provincia, Università, Scuola, ASL, ARPAT, Associazioni rappresentative dell’utenza ed altre componenti rilevanti della città; si è dotato di una struttura minima, l’uf- N. 147 - 2004 ficio “Città sana”, e di un coordinamento, che tiene i rapporti con l’OMS, ne recepisce le indicazioni, il materiale e, soprattutto si fa carico di diffondere la metodologia. Nell’esperienza di Arezzo l’aspetto più critico è non essere riusciti, ad oggi, a passare dal Profilo di salute al Piano, ad uno strumento, cioè, che ricomprenda o quantomeno coordini tutti gli atti di programmazione che possono avere una ricaduta sulla salute dei cittadini. Un secondo aspetto critico è la mancanza della costituzione di un forum o di modalità adeguate di comunicazione e coinvolgimento della popolazione. Il progetto “Città sana” di Arezzo ha, rispetto alle altre esperienze nazionali, la caratteristica di essere nato, promosso e sostenuto da un’associazione, il Centro Francesco Redi, che, a sua volta, è costituito da un insieme di associazioni e organismi no profit. Nel 1989 il Centro era formato dagli enti locali, Comune di Arezzo e Provincia, la ASL, Associazioni di medici quali l’ISDE (Associazione internazionale dei medici per l’ambiente), la SIMG, l’AARE (Associazione aretina per la ricerca epidemiologica), Associazioni dei consumatori, la Lega tumori, la Scuola, l’Università. Il Centro promosse il PASA, “Progetto Arezzo salute e ambiente”, partendo dall’esperienza, allora agli inizi di “Città sana”, e solo successivamente è stato formalizzato l’impegno del Comune, titolare del progetto. La gestione, tramite l’ufficio di progetto, è rimasta al Centro anche nella III fase, a partire dalla quale il Comune è stato inserito nella sperimentazione europea. Questa “anomalia” ha dimostrato negli anni criticità ma anche punti di forza. Tra le prime, una non completa presa in carico da parte del Comune di alcune responsabilità quali il coordinamento delle iniziative interdipartimentali, criticità che è comunque comune a molte esperienze. Altra criticità, il finanziamento estremamente limitato dell’iniziativa: i costi dell’ufficio di progetto coprono appena una parte della segreteria, il lavoro è portato avanti a livello del tutto volontario. Tra i punti di forza, una discreta agilità nel promuovere le iniziative, favorita dalla struttura estremamente leggera del Centro. Il fatto che l’ufficio di progetto sia gestito dal Centro ha garantito, almeno fino ad oggi, la continuità anche in presenza di cambiamenti politici di una certa rilevanza: Arezzo è passato dal 1999 al centro destra, quando il progetto era stato promosso dal centro sinistra. In molte altre città, il solo parziale cambiamento di Giunta, ha, a volte, determinato l’interruzione del progetto o il suo forte rallentamento. Altro aspetto positivo è dato dalla natura estremamente diversificata delle associazioni che fanno capo al Centro che, negli anni, si sono fatte promotrici di iniziative varie di promozione della salute non necessariamente riconducibili al progetto “Città sana” ma certamente collaterali. Questo spiega la benemerenza nei confronti del Centro da parte del Ministero della salute per N. 147 - 2004 il contributo dato negli anni alla salute pubblica. Criticità e punti di forza L’AG21, così come “Città sana”, sono strumenti volontari quindi non vincolanti dal punto di vista normativo. Essi presuppongono un modo di lavorare diverso che prevede la trasversalità tematica interdisciplinare e la partecipazione, entrambe caratteristiche molto difficili da proporre e da attuare nella fase attuale. Il processo richiede tempi lunghi. Sempre dall’indagine di “Focus Lab 2002”, emerge che ostacoli concreti nel percorso di AG 21 e Comuni, in gran parte,all’esperienza di città sane, si sono dimostrati: • la mancanza di continuità politica: l’alternarsi di coalizioni o assessori o tecnici di riferimento può vanificare processi in corso; • la scarsa disponibilità di risorse economiche è indicata come ostacolo soprattutto da chi ha appena iniziato il processo, ma l’aver ottenuto il finanziamento del Bando ministeriale previsto per AG 21 non ha modificato la situazione di stagnazione; mentre chi ha già attivato il processo pone in secondo piano il ruolo dei finanziamenti e individua altre criticità, va quindi ridimensionata l’importanza della “perenne carenza di risorse”, spesso motivo di inerzia, spostando l’attenzione sugli aspetti professionali, manageriali, organizzativi e di relazione col territorio; • la scarsa collaborazione tra i partner interni degli enti: prevalgono ancora logiche progettuali settoriali, aspetti di visibilità, dinamiche personali e relazioni conflittuali, modelli organizzativi verticali. A tutto questo vanno aggiunte le emergenze, le scadenze, gli obblighi di conformità a normative che mettono in secondo piano iniziative volontarie-non vincolanti. Tra i partner, inoltre, è diffuso un certo scetticismo sia sulle finalità generali del progetto che sull’effettiva volontà politica di dare attuazione a processi partecipati; • la scarsa integrazione nelle politiche del territorio, come è stato detto l’AG 21 è per definizione intersettoriale ma al di là degli au- Bibliografia: Profilo di salute della città di Arezzo, a cura del Comune di Arezzo, apr. 1999. Salute e Ambiente in Lombardia. Secondo rapporto, a cura della Regione Lombardia, Direzione generale Sanità, Servizio prevenzione sanitaria, set. 1999. Linee guida per la valutazione ambientale strategica (Vas). Fondi strutturali 2000-2006, a cura del Ministero dell’ambiente, 1999. Sui sentieri della sostenibilità. Materiali per la sperimentazione delle Agende 21 in Toscana, a cura dell’ARPAT, 1999. Documento introduttivo ai lavori del Forum per l’“Agenda 21” locale, a cura della provincia di Livorno, gen. 2000. I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 363 spici sono rare le esperienze di integrazione e coordinamento tra gli obiettivi, le azioni, i target del Piano d’azione con altri Piani di settore o strumenti di programmazione. A volte l’integrazione non si verifica neanche con altri strumenti di partecipazione, Bilanci partecipativi, Patti per la salute, molto simili ai processi di AG21 e di “Città sana”; • la partecipazione, l’effettivo coinvolgimento della comunità locale rimane un aspetto critico, soprattutto per l’attuazione di modalità diverse incentrate non sulla forma classica di consultazione dell’assemblea pubblica ma sull’interazione. La scarsa attitudine a cercare il coinvolgimento della comunità, e soprattutto di soggetti deboli, associazioni di immigrati, organizzazioni di consumatori, sportive, culturali, organizzazioni giovanili, singoli cittadini, è un limite operativo ma soprattutto culturale che finora ha condizionato la buona riuscita di processi di pianificazione partecipati. Le esperienze condotte han- no però introdotto anche elementi di innovazione e cambiamento. Tra i miglioramenti rilevati: • maggiore condivisione di informazioni nell’ente e fuori, maggiore coordinamento tra Assessorati e tra enti, anche se ancora insufficiente; • maggiore approfondimento tecnico e trasversale delle problematiche esistenti e migliore capacità di trovare soluzioni a problemi esistenti, in generale una migliore capacità progettuale; • maggiore integrazione tra le problematiche ambientali-territoriali e quelle sociali, sanitarie, culturali ed economiche. Sicuramente qualche cambiamento innovativo va segnalato anche nelle modalità di partecipazione, sia per quanto riguarda la valorizzazione degli attori coinvolti che l’interazione e la capacità di affrontare temi trasversali; l’utilizzo sempre maggiore di strumenti di comunicazione interattivi, il ricorso a tecniche di facilitazione, indagini di percezione indicano che quella della partecipazione è una metodologia che si costruisce gradualmente. Ambiente e salute in Italia, a cura di O.M.S., Centro Europeo Ambiente e Salute divisione di Roma, lug. 1997. Dichiarazione di Atene sulle città sane, 28 giu. 1998. De Marchi B., Pellizzoni L., Ungaro D., Il rischio ambientale, Bologna, Il Mulino, 2001. Petronio M.G. … et [al.], Iniziative di ricerca e interventi sul rapporto ambiente-salute nella zona del cuoio in Atti della prima Conferenza sulla Qualità dell’Aria nella provincia di Pisa, Pisa 29-30 gennaio 1999. A. Pedone … et [al.], Il progetto “Città sana” in Salute e Territorio n.139 a. XXIV. Segnali ambientali in Toscana 2002. Indicatori ambientali e politiche pubbliche, Firenze, Regione Toscana, 2002. Le strategie per il terzo millennio, in “Salute e territorio”, a. XX, n. 114, mag.-giu. 1999. l ute Sa e 364 Territorio I piani integrati di salute I Profili di salute Andrea Valdrè Alessandra Pedone* Maria Grazia Petronio** Az. USL di Firenze S. Casciano VP (FI) [email protected] * Az. USL 11 - Empoli ** Az. USL 8 - Arezzo I di salute. Il PSR, infatti, cita i percorsi di “Agenda 21” e “Città sana” come percorsi condivisibili e auspicabili nella costruzione di un’immagine di salute. L’Organizzazione mondiale della sanità ha proposto per la rete delle “Città sana” un set di base costituito da 32 indicatori (Tab. 1) che rispondono ad un principio di fattibilità; questi sono significativi anche per Comuni con un numero limitato di abitanti e privi di particolari strutture, e, nel contempo, sono sufficienti per rappresentare lo stato di salute della comunità. Il set risulta quindi funzionale per un utilizzo interno all’ambito comunale, ma anche per un confronto fra le diverse città della rete, dato che l’OMS definisce con precisione anche le caratteristiche dei dati utilizzati e il metodo di calcolo per ogni singolo indicatore. Ciascuna città può comunque integrare tale set con indicatori che tengano conto delle particolarità locali, poiché l’analisi del tessuto sociale può evidenziare la necessità di specifici approfondimenti per alcuni fenomeni oppure l’integrazione su aspetti della comunità non indagati. I macro-ambiti analizzati tramite gli indicatori si possono suddividere in: l “Profilo di salute” è uno strumento tecnico, perché costruito dai tecnici su una base predefinita di indicatori e, al tempo stesso, divulgativo poiché deve essere di facile comprensione anche per i non addetti ai lavori. Ha lo scopo di rilevare lo stato di salute della comunità locale attraverso il contributo dell’epidemiologia, di evidenziare le cause di rischio più rilevanti, la prevedibilità e l’evitabilità delle malattie e degli infortuni. Il Profilo di salute è, altresì, uno strumento di conoscenza, dialogo e partecipazione che tutti gli attori sociali (amministratori e decisori politici locali, operatori di enti pubblici e privati e rappresentanti dell’associazionismo) utilizzano per trarvi indicazioni utili ad individuare strategie, obiettivi prioritari e programmi concreti d’intervento nella città. È importante definire le fonti e i criteri di rilevazione degli indicatori perché il Profilo di salute costituisce anche lo strumento attraverso il quale si verificano, negli anni, i risultati ottenuti. Il Profilo di salute costituisce in definitiva la base informativa per orientare la progettazione e la realizzazione di tutti i piani d’azione e, dunque, anche dei Piani integrati N. 147 - 2004 • • • • Aspetti demografici Caratteristiche di salute Servizi sanitari Ambiente fisico e inquinamento • Ambiente socioeconomico. In questo paragrafo si propongono tre esperienze concrete di realizzazione di Profili di salute, quelle di Arezzo, Empoli e della zona sudest dell’Azienda sanitaria di Firenze. Come si vedrà, nel caso di Arezzo ed Empoli la realizzazione del Profilo è integrata nei percorsi di “Città sana” e “Agenda 21”. La città di Arezzo Ad Arezzo sono stati predisposti i profili per il 1998, 2000 e 2004, mentre per il 2002 è stato redatto il Profilo della Provincia di Arezzo, organizzato secondo le 5 zonedistretto. I Profili di salute di Arezzo sono stati realizzati da un gruppo di lavoro costituito da: • uno statistico, responsabile dell’Osservatorio del sociale della Provincia per gli aspetti demografici e socioeconomici, con il supporto dell’Assessorato alle politiche sociali del Comune; • un professionista, che aveva realizzato per conto del Comune il rapporto di “Agenda 21” e che ha curato la parte ambientale con il supporto dell’Ufficio ambiente del Comune e dell’Assessorato alla salute e ambiente; • tre operatori dell’Azienda sanitaria, di cui due dell’Unità operativa del sistema informativo, che han- no curato gli aspetti salute/stato dei servizi sanitari, e un operatore dello staff della Direzione, con funzioni di coordinamento del gruppo; • un professionista dell’Ufficio “Città sana”, per gli indicatori non riconducibili direttamente alle aree precedentemente descritte, per la veste grafica del Profilo, nonché l’aggiornamento della tabella degli indicatori annuali. La struttura del Profilo è piuttosto snella e redatta da “addetti ai lavori” che hanno accesso alla maggior parte delle fonti dei dati. Questa caratteristica rende poco confrontabile la realtà di Arezzo con quella di altri Comuni in molti dei quali è stato costituito un gruppo allargato di referenti per la fornitura dei dati. Nel Profilo di salute di Arezzo il set proposto dall’OMS è stato integrato con gli indicatori relativi: all’immigrazione, un fenomeno che sta assumendo sempre più rilevanza e incide fortemente sulle politiche locali; alla mortalità giovanile; alle interruzioni volontarie di gravidanza; ai ricoveri ospedalieri; all’inquinamento acustico e ai flussi di traffico; all’abbandono scolastico; alla criminalità; all’associazionismo (Tab. 2). Gli indicatori sono generalmente rilevati a livello comunale, in molti casi è utile una loro disaggregazione in sottogruppi della popolazione o in subaree urbane espressione di livelli diversificati di rischio, esempio i quartieri cittadini. Gli aspetti critici del Profilo sono: N. 147 - 2004 • la mancanza di un confronto con la popolazione o gruppi di essa sulla percezione dello stato di salute e dei suoi determinanti e sulle proposte di soluzione; • l’uso politico che ne può essere fatto evidenziando solo gli aspetti positivi e le realizzazioni o le criticità e la mancanza di interventi. Le zone Empolesi e del Valdarno Inferiore Il Profilo di salute delle zone Empolesi e del Valdarno Inferiore è stato concepito come un capitolo all’interno del più ampio “Rapporto sullo stato dell’ambiente” costruito nell’ambito del percorso delle AG21 locali. Per la costruzione del Profilo di salute è stato applicato il 1. Aspetti demografici Informazioni generali sulla popolazione 2. A A1 A2 A3 Stato di salute - Mortalità generale e per causa - Mortalità per tutte le cause - Mortalità per causa - Basso peso alla nascita 3. B1 B2 B3 B4 B5 B6 B7 Servizi sanitari - Educazione alla salute - Vaccinazioni obbligatorie - Abitanti per medico di base - Abitanti per infermiere - Abitanti con assicurazione sanitaria - Servizi in lingua straniera - Questioni di salute prese in esame dal Consiglio comunale - Natalità - Aborti spontanei D6 D7 1. Aspetti demografici Tasso di immigrazione Percentuale di abitanti extracomunitari 2. Stato di salute Mortalità giovanile Disagio mentale 3. Servizi sanitari Educazione alla salute Vaccinazioni facoltative MMG aderenti all’accordo quadro Interruzioni volontarie di gravidanza Ricoveri ordinari Ricoveri day hospital Tasso di ospedalizzazione I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 365 modello concettuale OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il più consolidato nella letteratura internazionale, che prevede la collocazione dei dati e dei relativi indicatori per sistemi ambientali e, nell’ambito di questi, secondo l’articolazione “stato/pressione/risposta” (modello PSR). Nel modello PSR si distinguo- no tre categorie di indicatori: • Indicatori di stato: descrivono sia le condizioni di naturalità, come ad esempio l’entità del patrimonio forestale, che i fenomeni di degrado delle diverse componenti ambientali, come le concentrazioni di inquinanti, lo stato di eutrofizzazione e la perdita di biodiversità. 4. C1 C2 C3 C4 C5 C6 C7 C8 C9 C10 C11 C12 C13 Ambiente - Inquinamento atmosferico - Qualità della fornitura idrica - Sostanze inquinanti dell’acqua - Qualità della raccolta dei rifiuti - Qualità dello smaltimento dei rifiuti - Spazi verdi nella città - Accesso agli spazi verdi - Siti industriali dismessi - Impianti sportivi - Zone pedonali - Ciclismo in città - Trasporto pubblico - Copertura rete di trasporto pubblico C14 - Spazio abitabile 5. D1 D2 D3 D4 D5 D8 Aspetti socioculturali - Alloggi disagiati - Senzatetto - Tasso di disoccupazione - Povertà - Asili nido - Disabili occupati 4. Ambiente Inquinamento acustico Veicoli circolanti Flussi di traffico Incidentalità Inquinamento elettromagnetico 5. Aspetti socioculturali Giovani segnalati per uso o possesso di stupefacenti Situazione economica Abbandono nella scuola superiore Associazioni di volontariato Delitti denunciati Persone denunciate La popolazione anziana Tab. 1. Tab. 2. l ute Sa e 366 Territorio • Indicatori di pressione: descrivono tutti gli impatti esercitati sull’ambiente dalle attività umane; dai consumi di risorse alle emissioni inquinanti, agli scarichi, alla produzione di rifiuti, fino alla contaminazione dei suoli agricoli e urbani. • Indicatori di risposta: esprimono le risposte date dalla società ai cambiamenti nello stato dell’ambiente. Indicano tutte le tipologie di intervento pubblico, dal monitoraggio e prevenzione, ai sistemi di risparmio e smaltimento, agli incentivi e strumenti fiscali, ai piani e alla loro efficacia attuativa. L’insieme degli indicatori ambientali e sanitari approvato dal Forum è quello riportato nella pagina seguente. Si tratta di un sistema flessibile, suscettibile di variazioni in corso d’opera sia nel senso di un’implementazione del set con altri indicatori rappresentativi di fattori di pressione/stato/risposta emersi durante lo studio, sia nel senso di un ridimensionamento determinato dall’impossibilità di reperire informazione sull’argomento. Nell’ambito di ciascun capitolo, il Rapporto è così strutturato: • Premessa: si mettono in evidenza le ragioni per cui si tratta il tema e la sua rilevanza ai fini della sostenibilità; • Quadro di riferimento normativo: si evidenziano l’insieme di norme, programmi e obiettivi consolidati a livello nazionale o I piani integrati di salute europeo utilizzati per la valutazione; • Fonti consultate e dati disponibili: si indicano le diverse fonti utilizzate, gli enti che hanno fornito i dati e/o informazioni e i documenti utilizzati; • Elementi di criticità: viene effettuata una sintetica valutazione dei dati raccolti, sottolineando i problemi rilevati nonché le eventuali lacune nelle informazioni riportate. Nel capitolo sullo stato di salute è stata omessa la voce “pressioni” in quanto si assume che tutti, o quasi, i capitoli precedenti possono considerarsi genericamente fattori di pressione sulla salute mentre solo una successiva lettura integrata dei dati ambientali insieme a quelli dello stato di salute potrà forse suggerire quali sono in maniera più specifica i fattori di rischio per la popolazione che vive in questo territorio. La descrizione dello stato di salute della popolazione e dei lavoratori è basata soprattutto sull’analisi di dati esistenti, mortalità, tumori, malformazioni congenite, malattie professionali, infortuni, a cui si sommano i dati relativi a due indagini attivate dalla Azienda USL e relative all’incidenza dell’asma, della rinite allergica e dell’eczema nei bambini residenti e allo studio della mortalità di una coorte di lavoratori della concia. In questa prima fase di costruzione del Rapporto sullo stato dell’ambiente e della salute il lavoro più rilevante è stato svolto dagli enti competenti, ARPAT, USL, Provin- N. 147 - 2004 cia, e da consulenti cui è stato affidato il compito di supportare i lavori dei Forum delle AG21, mentre i rappresentanti della comunità, Associazioni ambientaliste e Sindacati, hanno avuto un ruolo passivo che li ha visti più spettatori che attori, anche se attenti e partecipi. Unica eccezione quella dell’Associazione conciatori che possiede molti dati relativi agli insediamenti produttivi e ai fattori di pressione sull’ambiente, rifiuti, reflui, emissioni, e che ha contribuito più direttamente alla realizzazione del rapporto. Il livello di dettaglio e di approfondimento conseguito ha anche reso non del tutto semplice, se non in alcuni casi davvero impossibile, una comprensione profonda delle informazioni fornite per i non addetti ai lavori. Da segnalare anche la difficoltà da parte dei Comuni a fornire dati disaggregati – appunto per ambito comunale – e relativi alle condizioni socio-economiche, agli standard urbanistici ed alla qualità delle abitazioni. In conclusione si può dire che la partecipazione attiva dell’Azienda USL ad un progetto sperimentale di Ag.21 ha reso possibile la realizzazione di un rapporto che, attraverso un sistema di indicatori appositamente costruito, rappresenta lo stato dell’ambiente, del sistema produttivo, di quello energetico, dei trasporti insieme a quello del sistema socioinsediativo e della salute della popolazione che in quel territorio risiede. Da un punto di vista stretta- mente sanitario il quadro delineato, sicuramente non esaustivo, rappresenta pur tuttavia un buon esempio di come si possano utilizzare a livello locale dati comunque già esistenti e disponibili, registri di mortalità, registri tumori e registri delle malformazioni congenite, e di come l’integrazione tra i vari servizi dell’Azienda sia proficua per un lavoro di questo tipo. Nel corso di questa prima fase di lavoro, durata circa due anni e che ha comportato un discreto impegno di risorse per tutti gli enti coinvolti, ma in maniera particolare per l’ARPAT e l’Azienda USL, sono emersi però alcuni aspetti meritevoli di riflessione: • Gli indicatori proposti sono il risultato di una ricerca ed elaborazione di dati che ancora si basano sostanzialmente su sistemi “unilaterali” e cioè che non valorizzano le conoscenze e il punto di vista del cittadino, e che, a volte, sono espressi con un linguaggio da addetti ai lavori e incomprensibile per la maggior parte di coloro che dovrebbero discuterli. • La rappresentazione congiunta dello stato di salute e dell’ambiente non consente di per se di poter mettere in relazione determinanti ambientali ed eventuali effetti sulla salute. Per questo ulteriore passaggio è necessario valorizzare le conoscenze soggettive della popolazione e realizzare indagini ad hoc sul territorio. N. 147 - 2004 I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 367 I SISTEMI AMBIENTALI ACQUA Stato Qualità delle acque superficiali Qualità delle acque sotterranee Disponibilità di risorse idriche Pressioni Consumi idrici Prelievi idrici Abitanti equivalenti Impianti di depurazione Scarichi idrici Risposte Le politiche di gestione delle risorse idriche Approvvigionamento idrico Rete fognaria Capacità di depurazione Elementi di criticità PAESAGGIO E NATURA Stato Il paesaggio, inteso come sistema di ecosistemi ecologia del paesaggio Vegetazione, flora e fauna Biodiversità Risposte Le aree protette Corridoi ecologici Colture forestali Elementi di criticità ENERGIA Pressioni I consumi energetici Risposte La pianificazione energetica La cogenerazione Elementi di criticità MOBILITÀ E TRASPORTI Pressioni Infrastrutture di trasporto Mobilità e traffico Incidentalità Risposte La pianificazione del traffico L’intermodalità Le aree pedonali, le zone a traffico limitato, le piste ciclabili Elementi di criticità ARIA Stato Meteorologia Qualità dell’aria-monitoraggio chimico Qualità dell’aria-monitoraggio biologico Inquinamento elettromagnetico Pressioni Emissioni in atmosfera Risposte Commissione tecnica sull’inquinamento atmosferico Provvedimenti per la limitazione dell’inquinamento atmosferico Elementi di criticità SUOLO E SOTTOSUOLO Stato Subsidenza Fragilità idraulica Vulnerabilità degli acquiferi Pressioni Siti da bonificare Livelli di contaminazione dei terreni Risposte Bonifica dei siti inquinati Politiche per la difesa del suolo Elementi di criticità I FATTORI ANTROPICI RUMORE Stato Clima acustico Pressioni Immissioni sonore Risposte La zonizzazione acustica I Piani di risanamento acustico Elementi di criticità RIFIUTI Pressioni Produzione di rifiuti urbani Produzione di rifiuti speciali Impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti urbani Impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti speciali Risposte La gestione dei rifiuti Riduzione della produzione dei rifiuti Raccolta differenziata Riutilizzo e riciclaggio Smaltimento dei rifiuti Elementi di criticità SISTEMA PRODUTTIVO Pressioni Attività produttive (numero, struttura, addetti, fatturato, ecc.) Infortuni sul lavoro Risposte Innovazione tecnologica e tecnologie pulite Il Polo tecnologico La gestione ambientale d’impresa Elementi di criticità AMBIENTE, QUALITÀ DELLA VITA E SALUTE SISTEMA SOCIOINSEDIATIVO Stato Condizioni socioeconomiche Qualità degli insediamenti (dotazione di standard urbanistici, spazi aperti al pubblico, ecc.) Pressioni Popolazione Superficie urbanizzata Qualità delle abitazioni Presenza di amianto negli ambienti di vita e di lavoro Qualità dell’acqua potabile Edifici in prossimità di linee elettriche ad alta tensione Segnalazioni dei cittadini per problemi ambientali Risposte Interventi di qualificazione e valorizzazione degli insediamenti La pianificazione territoriale Piano mirato amianto Ricerca intervento per la tutela della popolazione dall’esposizione a campi magnetici a 50 Hz generati da linee elettriche ad alta tensione STATO DI SALUTE Stato Mortalità generale e per cause Mortalità infantile Morbosità Studio sui disturbi respiratori-l’eczema nell’infanzia Infortuni sul lavoro Malattie professionali Studio di mortalità in una coorte di lavoratori della concia Eventi sentinella Risposte Piano attuativo locale della prevenzione collettiva l ute Sa e 368 Territorio Il profilo di salute della ASL 10 zona sud-est La zona fiorentina sud-est comprende 13 Comuni della Provincia di Firenze, suddivisi in tre Distretti socio-sanitari: Chianti, Valdarno e Valdinieve. La zona sud-est ha elaborato un primo Profilo di salute I piani integrati di salute particolarmente orientato verso la componente “anziani”, nel 2003, con un certo anticipo rispetto alla costituzione della Società della salute avvenuta nel settembre 2004. L’obiettivo era, infatti, quello di dotare la futura Società della salute, di stru- 1. Aspetti demografici Informazioni generali sulla popolazione Dati anagrafici della popolazione ultra65 Composizione delle famiglie Indice di vecchiaia Indice di dipendenza 2. Stato di salute Uso dei servizi sanitari Indici di assistenza sanitaria, ADP Visite specialistiche Assistenza domiciliare socio-sanitaria Progetti riabilitazione/lungo degenza Vaccinazione influenzale Esenzione per patologia Denuncie malattie infettive, Trattamenti sanitari obbligatori Dati ricoveri ospedalieri Tassi di ospedalizzazione Invalidità civile e non autosufficienza Demenza senile Patologie croniche, pluripatologie Depressione nell’anziano, Assunzione farmaci, Numero indennità di accompagnamento Partecipazione a progetti di screening 3. 4. Servizi sanitari Educazione alla salute Vaccinazioni obbligatorie Abitanti per medico di base Abitanti per infermiere Abitanti con assicurazione sanitaria Servizi in lingua straniera Questioni di salute prese in esame dal Consiglio comunale Natalità Aborti spontanei Ambiente Zonizzazione rumore 5. N. 147 - 2004 menti propedeutici idonei alla definizione di un Piano integrato di salute e di dare avvio a quel processo di concertazione con la Conferenza dei sindaci e con la comunità, finalizzato alla costruzione dell’Immagine di salute. Il lavoro sul Profilo è stato Aspetti socioculturali Alloggi disagiati Povertà Scolarità della popolazione anziana Partecipazione a programmi per gli adulti Occupazione precedente, alla pensione Reddito Utenti in carico al Comune per servizio mensa, partecipazione culturale, disponibilità cinema, teatro, centri di aggregazione, partecipazioni a viaggi organizzati ecc. Infrastrutture fisiche Trasporti, comunicazioni Attrezzature di svago (pallai, circoli, ecc.) Centri sociali autogestiti Appezzamenti ortivi Circoli, vacanze anziani, Università terza età, iniziative volontariato su anziani Esercizio fisico, uso dei centri sportivi, partecipazione ad attività sportive Spazi verdi Presenza giardini, panchine, ecc. per abitante. (mq/ab) 6. Stili di vita Fumo nella popolazione anziana Malattie coronariche Tumori al polmone Bronchiti Alcool nella popolazione anziana Cirrosi e ricoveri per patologie correlate Alimentazione nell’anziano Animali da compagnia, n° anziani con pet 7. Alloggi Caratteristiche fisiche delle abitazioni N° persone per abitazione N° persone per stanza Mq per abitante N° alloggi in case sparse N° anziani soli in alloggi in case sparse Piano terra/piani alti Presenza scale e altre barriere architettoniche avviato su iniziativa della Direzione di zona dell’ASL e dei tre Distretti, e successivamente ha coinvolto le tredici Amministrazioni comunali. Per l’avvio del lavoro di elaborazione del Profilo di salute è stata determinante la realizzazione di tre momenti Tab. 3. N. 147 - 2004 di discussione e approfondimento in materia di PIS e Profili di salute, presso i tre Distretti, allo scopo di sensibilizzare in modo più puntuale i Comuni alla necessità di un lavoro congiunto sia per la costituzione delle SdS sia per la preparazione dei PIS, che di queste Società rappresentano lo strumento principale di governo. Per la costruzione del Profilo di salute, si è poi costituito un gruppo di lavoro, denominato “Gruppo Indice”, del quale fanno parte soprattutto operatori ASL e rappresentanti dei Comuni. Il gruppo ha attivato a sua volta 8 sottogruppi, ognuno dei quali è stato incaricato di raccogliere i dati e gli indicatori rispetto a 8 aree tematiche. La decisione assunta dal Gruppo, poi fatta propria dalla Conferenza dei sindaci, è stata quella di focalizzare l’attenzione su un segmento specifico della realtà sociale, la popolazione anziana, e sulla disabilità. Come già evidenziato, i gruppi dove più rilevante sarebbe dovuto essere il contributo dei Comuni, hanno subito il clima del rinnovo amministrativo, che ha posto questi enti in una situazione di attesa. Questo fatto ha indotto un atteggiamento di maggiore responsabilizzazione degli operatori della ASL che hanno ritenuto comunque di procedere con il lavoro. Positivi sono stati i percorsi di reale integrazione nella fase di contatto con soggetti esterni alla ASL: Provincia, INPS, Carabinieri, Associazionismo, che hanno fatto emergere archivi e fonti di dati utili e a cui generalmente non si fa ricorso. Emerge, di conseguenza, che il maggior lavoro da fare è I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 369 quello di coordinamento delle attività informative di enti e soggetti tra loro non sufficientemente collegati. Altre importanti informazioni sullo stato della popolazione anziana sono state attinte dallo studio “InChianti” 1 e dallo studio ILSA2. L’esperienza di realizzazione del Profilo suscita alcune considerazioni: • vi sono più strumenti di programmazione o di pianificazione territoriale, che prevedono la raccolta di dati e l’elaborazione di indicatori, che raramente trovano un collegamento. Ad esempio: il Piano strutturale per la L.5/95, il Piano di zonizzazione acustica, il piano degli orari, il piano del commercio richiedono tutti informazioni demografiche, sociali, sulla viabilità, i trasporti ecc.; • molti problemi di salute so- no riconducibili a cause e dinamiche relative ad ambiti territoriali di dimensioni più ampie della zona/distretto. Inquinamento, viabilità, sistema dei trasporti, accesso al mondo del lavoro, istruzione, accesso ai servizi sociali, inclusione/ esclusione sociale sono tutti fenomeni che spesso richiedono un approccio sovrazonale; • la costruzione dei Profili di salute può rappresentare un formidabile strumento di integrazione e coordinamento tra i diversi sistemi informativi pubblici e privati attivi sul territorio. Nella prima fase di costruzione del Profilo di salute della zona sud-est sono stati utilizzati i 32 indicatori OMS cui ne sono stati aggiunti altri relativi alla realtà locale della popolazione anziana (Tab. 3). 1 InChianti è uno studio epidemiologico osservazionale condotto su un campione rappresentativo di popolazione residente nell’area, che ha come obiettivo quello di indagare i problemi di disabilità motoria, ma anche le condizioni socio economiche e gli stili di vita del campione. È stato realizzato dall’Istituto nazionale riposo e cura per anziani, INRCA, e dal Dipartimento di geriatria di Firenze con un contributo del National Institute on Eging (NIH BETHE). 2 ILSA è uno studio epidemiologico longitudinale che ha come obiettivo quello di tracciare un profilo scientifico del fenomeno invecchiamento nella realtà italiana, tenendo conto in maniera integrata sia degli aspetti biologici che degli aspetti clinici e psicosociali dell’invecchiamento, per caratterizzare i fattori responsabili di specifiche patologie ed in particolare della perdita dell’autosufficienza. l ute Sa e 370 Territorio I piani integrati di salute N. 147 - 2004 I moduli La promozione della salute nelle elaborazioni strumenti giuridici di attuazione. Gli strumenti Criteri e fonti di individuazione dei problemi La programmazione a livello territoriale Eva Buiatti Maria Grazia Petronio* Alessandra Pedone** Andrea Valdrè*** Canio Lomuto I moduli formativi sui Piani integrati di salute svolti nel biennio 2003-2004, di cui si tratta nei successivi paragrafi, costituiscono un’iniziativa dell’Agenzia regionale di sanità in collaborazione con i Comuni e le Aziende sanitarie toscane. I moduli sono stati l’unica occasione di formazione sui PIS offerta a livello regionale nel periodo e seguente alla scelta del Piano sanitario regionale di promuovere questo strumento di programmazione locale. Essi intendono apportare un contributo alla crescita di meto- ARS - Firenze [email protected] * Az. USL 11 - Empoli ** Az. USL 8 - Arezzo *** Az. USL - Firenze S. Casciano VP ARS - Firenze dologie integrate di programmazione a livello territoriale. Gli obiettivi principali sono: • introdurre e rendere familiari i concetti di Piano territoriale, di integrazione e di obiettivi di salute a coloro che devono perseguirli nella pratica della programmazione territoriale e dell’attuazione dei programmi; • introdurre la metodologia della valutazione di qualità e di efficacia fin dal momento della stesura degli atti di programmazione; • fornire strumenti conosci- tivi e metodologie per la definizione delle priorità degli interventi in ambito sociale, sanitario, di difesa del territorio e della qualità della vita; • discutere e comparare esperienze di programmazione territoriale integrata a livello regionale ed extraregionale; • chiarire in tale ambito il concetto di partecipazione e fornirne una lettura moderna ed originale; • favorire momenti di scambio ed integrazione di punti di vista diversi su questi temi, contaminando le diverse culture ed esperienze di operatori sociali, operatori sanitari, soggetti del volontariato e del terzo settore, esponenti della società civile ed amministratori locali. I moduli si svolgono in edizioni ripetute, ciascuna delle quali impegna tre o quattro giornate residenziali. Il metodo seguito è il più possibile attivo ed interattivo, attraverso presentazioni frontali ma anche discussioni in aula ed esercitazioni di gruppo. Particolare interesse riveste la stesura, a livello di piccoli gruppi, di un progetto operativo nell’ambito del PIS, che occupa tutta l’ultima giornata. Il programma del corso viene riadattato volta per volta, sulla base di una traccia unitaria, dai docenti in collaborazione con gli organizzatori locali, al fine di renderlo il più possibile aderente alla situazione di quel territorio. Docenti locali sono a tal fine di volta in volta inseriti nello specifico modulo. Il corso si rivolge all’Unità territoriale della zona-distretto: quest’ultima, che sia o meno sede della sperimentazione di una Società della salute, è titolare del PIS come strumento della propria programmazione. I soggetti interessati dal corso costituiscono di per sé un primo passo verso la programmazione integrata: si trovano infatti fianco a fianco in aula operatori dell’Azienda sanitaria e dei Comuni, sindaci ed assessori, rappresentanti del mondo della Scuola, dei Sindacati, del Volontariato, dell’Associazionismo sociale ed ambientale. Questo mix è necessario per rendere operativa l’integrazione fin dal primo momento formativo, e porre quindi le basi per un metodo di lavoro nuovo che deve svilupparsi a livello locale dopo lo svolgimento N. 147 - 2004 I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 371 do radicamento di ciascun modulo nella realtà dello specifico territorio, ed il contributo attivo dell’aula, hanno dato ai moduli fin qui realizzati un carattere estremamente pratico e realistico, presupposto questo perché la formazione su questi temi sia di effettiva utilità. formativi internazionali. Lo scenario normativo e gli per la valutazione dei processi e dei risultati. e selezione degli obiettivi del modulo. È interessante notare che la presenza contemporanea di tutti questi soggetti, per la prima volta chiamati a lavorare insieme su te- Az. USL FI Sud/Est Empoli 1 4 7 - 3 20 3 1 4 1 Cortona Sansepolcro Poppi Terranova Br.ni 1 7 10 1 4 7 1 6 7 2 3 8 - 2 9 2 2 2 2 4 4 23 - 4 1 9 - 10 - 14 2 10 - 8 8 4 1 4 5 Province Circondari Comunità Montane Regione - 2 - 2 2 - ARPAT - 6 2 - 1 1 Comuni Sociale Prevenzione Zona-Distretto Epidemiologia Salute mentale Tossicodipend. Direzione matiche di salute, crea effettivamente dinamiche culturali, scambi di esperienze e confronti di metodo di estremo interesse operativo. Il profon- Sociale Ambiente Sindaci e Assessori Tab. 1 - Partecipanti nelle 6 zone Sindacati - 3 1 2 - 6 Imprese - 3 1 - - - Coop. Sociali - - 3 3 2 1 Scuole 4 1 4 - 4 1 Università - - 3 - - - Medici medicina generale 5 2 2 - 1 3 Associazioni 6 2 3 5 1 1 ENEA - 4 - - - - Totale 63 63 65 42 49 49 per provenienza. l ute Sa e 372 Territorio La partecipazione ai corsi L’organizzazione dei corsi di formazione per i PIS è stata promossa in tutte le zone con il supporto dell’Agenzia regionale di sanità. Mentre nella zona Firenze Sud-est dell’ASL di Firenze e nell’ASL di Empoli l’iniziativa è partita direttamente dalle Aziende sanitarie, che hanno coinvolto in un secondo momento anche le Conferenze dei sindaci, nelle varie zone dell’aretino i promotori sono stati il Centro F. Redi, l’ufficio di progetto di “Città sana”, ed il Centro F. Basaglia, struttura afferente alla Provincia e deputata alla promozione di iniziative sulla salute. La possibilità da parte del I piani integrati di salute Fig. 1 - Partecipanti per provenienza. Centro F. Basaglia di contattare direttamente l’associazionismo locale e gli amministratori, in virtù di rapporti di collaborazione già consolidati, ha fatto sì che queste componenti fossero più numerose nei corsi dell’area aretina. In tutte le località la presenza predominante è stata quella degli operatori sanitari, 41% Formazione interattiva Eva Buiatti Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS - Firenze I mente, usufruire delle risorse impegnate nell’azione prescelta. La seconda considerazione è che qualunque scelta si faccia, questa di fatto è sempre coerente con criteri di priorità, è insito nel concetto stesso di scelta, ma questi il più delle volte sono impliciti, qualche volta anche nella mente dello stesso soggetto che sceglie, e conseguentemente non condivisi. La trasparenza, presenta almeno due aspetti positivi: • la condivisione, cioè la l corso sui PIS si propone, fra gli altri obiettivi, di fornire strumenti nuovi e condivisi per scegliere, fra le diverse problematiche di salute in teoria presenti sul territorio, quelle da considerare prioritarie e quindi da individuare quale oggetto di progetti a cui dedicare risorse umane e materiali. La prima considerazione a tal proposito è che, ogni volta che un intervento viene progettato e poi realizzato, ciò avviene a scapito di altri che non potranno, conseguente- N. 147 - 2004 del totale, e, nell’ambito di questo gruppo soprattutto dei settori Prevenzione, Distretto, sociale, SERT e Direzione aziendale, in nessuna località sono stati coinvolti gli operatori dei Presidi ospedalieri. Meno numerosa ma significativa la presenza di amministratori locali, 11%, e responsabili di Uffici comunali, 23%, prevalentemente dei Settori sociale e ambiente. Numerosa la presenza dei soggetti della partecipazione, 25%, rappresentati dalla scuola, soprattutto insegnanti, dal volontariato e dall’associazionismo. Nell’aretino e ad Empoli sono stati coinvolti anche i rappresentanti del mondo sindacale e industriale. chiamata alla responsabilità delle scelte dei diversi soggetti potenzialmente interessati, può adeguare e correggere tali scelte; • i soggetti coinvolti nelle scelte sono più interessati alla effettiva realizzazione di queste, sono più disponibili a dare il proprio contributo e sono più solidali verso chi queste scelte ha compiuto con loro. La proposta è quindi di rendere trasparenti i criteri delle scelte, e di avviare, nella costruzione dei progetti di PIS, un percorso di partecipazione che inizia proprio da quando i temi dei progetti vengono individuati. il metodo della lezione interattiva. Il primo elemento che viene posto in discussione è la definizione di criteri ammissibili per decidere che un problema è prioritario. Il primo criterio presentato è quello della • rilevanza epidemiologica: quanto più un problema di salute è importante in una certa popolazione, tanto più urgente e appropriato è affrontarlo dedicando adeguate risorse. Questa considerazione apparentemente banale porta con sé una serie di elementi complessi. In primo luogo bisogna conoscere i problemi di salute e la loro entità: aiuta in tal senso la crescita dei sistemi informativi e la pratica di costruire i “Profili di salute” delle comunità locali. Tuttavia non sempre i dati sono immediatamente disponibili, soprattutto se l’ambito di in- La individuazione dei criteri ammissibili Durante il corso, approfittando della composizione integrata della presenza in aula, si simula questo percorso con I piani integrati di salute N. 147 - 2004 teresse è vasto, spaziando dal dato epidemiologico propriamente detto al dato sociale, a quello ambientale. Inoltre, occorre chiarire cosa si intende per problema “importante”: in pratica, occorre dare strumenti di lettura del dato, che può andare dalla quantificazione del numero assoluto di eventi, al confronto della situazione locale con altre realtà vicine, o regionali, o nazionali, all’uso di misure più complesse come ad esempio il peso che il problema di salute ha sulla speranza di vita, o sulla vita libera da malattia ecc. La questione della lettura del dato si interseca quindi con quella della sua espressione, ed esemplifica la interdipendenza fra competenza tecnica e scelte “politiche”, intese come scelte di programmazione per la salute. Infatti, a seconda di come il dato viene presentato, si può modificare la sua interpretazione in termini di importanza. Nel corso della discussione in aula viene esplicitato il livello di conoscenza sui problemi di salute di quel territorio, e discussa brevemente la lettura delle diverse misure epidemiologiche. Si nota anche che l’uso della importanza epidemiologica come criterio per la scelta delle priorità di intervento, se sembra banale, è tuttavia abbastanza poco praticato, e comunque solo recentemente. La maggioranza delle decisioni venivano, e speso vengono ancora prese in totale assenza, o ignoranza, della situazione locale in termini quantitativi. L’uso dei dati rappresenta quindi, con la loro seppure imperfetta obiet- tività, un progresso verso una maggiore trasparenza delle decisioni. Tuttavia sarebbe scorretto e non realistico sostenere che il criterio della importanza epidemiologica di un problema è sufficiente per decidere di affrontarlo. La maggior parte della discussione si attiva proprio su questo punto: quali sono le altre, immancabili ed indispensabili componenti delle decisioni? Il docente ne propone alcune, che nella esperienza dei moduli fin qui realizzati hanno suscitato discussioni vivaci ed approfondite. Fra queste: • la condivisione del problema da parte dei decisori. I progetti nei PIS sono di iniziativa pubblica, Comuni, Province, Aziende sanitarie, con il contributo delle comunità locali. È quindi impossibile realizzarli se non vi è una condivisione profonda, culturale e politica, di chi deve scegliere di dedicare risorse ed energie al tema. Nel corso delle discussioni, è emersa spesso la diversa interpretazione riguardo al livello di sensibilità a determinati problemi espressa dagli amministratori, e si è attivato un dibattito ad es. fra gli amministratori stessi presenti in aula e gli operatori. Spesso si è trattato della prima occasione perché queste componenti si scambiassero la loro opinione su temi di salute e sull’impegno per risolverli, simulando così in aula ed in piccolo una parte del percorso del PIS nella “vita reale”; • la sensibilità dei cittadini al problema. Si è notato che l’ascolto delle sensibilità emergenti nella popolazione non è una operazione di bassa politica finalizzata al consenso, ma anzi un aspetto rilevante del processo democratico. È stato però più complesso concordare l’interpretazione da dare al “livello di sensibilità”. Infatti, in un’ottica di collaborazione fra comunità locali e istituzioni, si è inteso spingere tale concetto oltre la semplice coscienza del problema, verso la disponibilità a mettersi in gioco, a partecipare attivamente con i propri comportamenti, tempo libero, competenza. In questa accezione di cittadinanza attiva per la soluzione dei problemi, è evidente che la sensibilità che ci si aspetta non può che riguardare una parte della popolazione. Si tratta però di un processo di crescita da costruire, che rappresenta per molti progetti l’unica garanzia di successo; • la fattibilità tecnica del progetto. Questo punto, che sembra scontato, spesso non viene preso seriamente in considerazione nella progettualità pubblica. Si tratta di imparare a costruire progetti, acquisendo a priori gli elementi necessari, individuando nel dettaglio i metodi di realizzazione; • la fattibilità economica del progetto. Questo punto ha suscitato un importante dibattito: i progetti dei PIS devono essere finanziati “a Sae l ute Territorio 373 parte”, oppure si avvalgono delle risorse umane e materiali già presenti presso le amministrazioni interessate e le associazioni coinvolte? Solo la seconda scelta è perseguibile, sia per mancanza di risorse, sia perché i PIS vengono proposti come sostituitivi, una nuova chiave di lettura, delle attività esistenti. In tal senso è importante sottolineare la necessità di rendere riconoscibili, negli strumenti economici, le risorse assegnate al progetto scelto, senza le quali questo diventa non fattibile e quindi inutile; • la presenza sul territorio delle competenze necessarie. Questo punto, più tecnico, è finalizzato a rendere i progetti più “realistici” ed applicabili alla realtà locale. Comporta un esame di coscienza” degli operatori che devono ragionare sulla propria adeguatezza, non solo culturale, ma anche organizzativa e strumentale. Simulare l’intero percorso di scelta delle priorità Se proviamo ad applicare questo insieme di criteri a delle possibili tematiche di salute, possiamo pensare di dare un punteggio a ciascuna tematica sulla base di ciascuno dei criteri. Nella simulazione, le tematiche sono precostituite per semplicità ed alquanto generiche, più programmi generali che singoli progetti, ciò al fine di permettere, in un tempo limitato, di completare l’esercizio (Fig. 1), senza prefigurare la scelta dei progetti nell’eser- l ute Sa e 374 Territorio problemi criteri I piani integrati di salute anziani non autosufficienti rilevanza epidemiologica 1 - 10 condivisione attori 1 - 10 percezione della popolazione 1 - 10 incidenti stradali inquinamento atmosferico N. 147 - 2004 dipendenze da sostanze mortalità infantile Fig. 1 - Tabella di valutazione dei problemi. fattibilità tecnica 1 - 10 competenze sul territorio 1 - 10 fattibilità economica 1 - 10 TOTALE 6 - 60 cizio del giorno successivo. Come si vede dalla figura, in ogni casella è previsto un punteggio da 1 a 10 che esprime l’opinione dell’aula rispetto ad ogni criterio per ciascuna tematica. Alla fine della colonna è possibile fare la somma dei punti, dando così il “voto” al tema in discussione. È prioritario il tema che raggiunge la votazione più alta. Rispetto a questo esercizio, che si svolge tutto in sessione plenaria, ci sono alcune considerazioni da fare, anche sulla base dell’esperienza. È chiaro che si tratta di una simulazione, con tutti i suoi limiti. Le informazioni necessarie per dare i punteggi non sono tutte in possesso dei partecipanti, quanto e cosa sanno dipende essenzialmente dall’attività svolta. Inoltre i partecipanti non rappresen- tano veramente gli “attori” delle scelte, in particolare sono sotto rappresentati i cittadini, che potrebbero dire quanto sono disponibili a collaborare al progetto. Al fine di non prefigurare le scelte dei gruppi, che si espliciteranno nell’ultima giornata, le tematiche rimangono sul generico, ad es. anziani non autosufficienti, inquinamento dell’aria, e quindi è più difficile esprimere un parere “serio” sulla loro priorità. Infine, il punteggio previsto è “piatto”, ogni criterio è misurato sulla stessa scala, mentre si potrebbe decidere di dare più valore ad alcuni aspetti, o addirittura, come potrebbe essere per la fattibilità tecnica, considerarli preliminari alle decisioni. È necessario quindi, in premessa, ricordare che si tratta di un esercizio, e che i risultati non pregiudicheranno in alcun modo le scelte reali per quel territorio. Occorre anche chiarire che non ci si aspetta che il sindaco con il direttore generale si mettano veramente a “dare i voti” ai progetti per sceglierli: il processo deve avvenire in modo più “naturale” e meno schematico. Tuttavia l’esercizio ha il merito di chiarire, disarticolandolo in punti, il processo decisionale nelle sue componenti, e di costringere a fare mente locale su ciascuna di esse separatamente. È interessante notare che, qualche volta, due tematiche vengono valutate con punteggi simili, ma diversamente composti e che, spesso, l’esercizio porta a conclusioni diverse, in termini di ordine di priorità, rispetto a quanto sarebbe emerso semplicemente chiedendo un punteggio per tema a ciascun partecipante. La discussione generata da questa fase della lezione interattiva è sempre molto vivace, qualche volta conflittuale fra componenti presenti in aula, molto partecipata, e in tutte le esperienze fatte ha permesso di portare a conclusione l’intero processo di simulazione. Complessivamente, l’impressione lasciata dalla lezione interattiva, e confermata dalle valutazioni dei partecipanti, è che effettivamente questa è in grado di esplicitare un metodo di scelta delle priorità che va verso la trasparenza e che potenzialmente permette la partecipazione attiva ed il coinvolgimento di più soggetti integrati. N. 147 - 2004 Workshop di costruzione del PIS Eva Buiatti Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS - Firenze I indicando quali sono gli aspetti da trattare in ciascun progetto. Al primo punto si suggerisce di individuare l’area prioritaria di interesse e, all’interno di questa, la tematica specifica che si intende sviluppare, ad esempio, area tematica salute degli anziani, progetto specifico prevenzione della non autosufficienza attraverso l’offerta di attività sportive, ludiche, di socializzazione e di riabilitazione. Come si può notare dall’esempio, già in questa fase è prevista l’identificazione di un contenuto specifico e l’individuazione di alcuni elementi portanti del tipo di azione di intervento che si intende sviluppare. A questo punto è possibile procedere con la discussione e la stesura del progetto, che deve esplicitare i seguenti punti: a) le ragioni della scelta e gli obiettivi: si giustifica, in questa simulazione, la collocazione del progetto in posizione di priorità e si esplicita l’obiettivo, anche quantitativo, che si vuole raggiungere; b) i soggetti: il gruppo discute e individua i soggetti istituzionali e no, che dovran- l terzo giorno del corso è tutto dedicato al lavoro di gruppo. L’organizzazione della giornata prevede la divisione in gruppi, il lavoro di costruzione dei progetti, e la presentazione e discussione in aula degli elaborati. I gruppi vengono costituiti secondo il principio dell’integrazione, assicurando in ciascuno la presenza, per quanto possibile, di soggetti rappresentativi di tutte le professionalità e ruoli presenti in aula. Gli obiettivi dell’esercizio sono: • imparare a sviluppare un progetto con obiettivi di salute; • sperimentare nella pratica la commistione delle professionalità e dei punti di vista su un tema specifico; • applicare alla propria realtà i principi appresi nel corso, rendendoli operativi. Lo sforzo dei docenti è di comunicare la necessità di produrre progetti realistici e fattibili sulla base della propria esperienza e delle conoscenze dei bisogni, dei problemi e delle opportunità della realtà locale. In introduzione, si offrono alcuni elementi metodologici, I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 375 no avere un ruolo nella realizzazione del progetto; c) i contenuti tecnici: si individuano gli effettivi passaggi operativi del progetto, sulla base degli obiettivi da raggiungere e della realtà organizzativa locale, specificando il metodo che si vorrà seguire; d) la fattibilità e le risorse: il gruppo ipotizza un percorso per l’individuazione delle risorse necessarie sia in termini economici, che strutturali ed umani, indicando i soggetti da coinvolgere per l’assegnazione delle risorse; e) i meccanismi di partecipazione e condivisione: si indicano le iniziative e le occasioni da mettere in campo per condividere il progetto fin dalla sua fase di stesura; f) gli strumenti e gli atti amministrativi: il gruppo traccia un percorso amministrativo finalizzato a coinvolgere ed integrare soprattutto i soggetti pubblici (Comuni e Azienda sanitaria) per la realizzazione del progetto; g) gli strumenti organizzativi: qualora necessario, s’individuano le modifiche organizzative che permettono il coinvolgimento e l’integrazione degli operatori; h) gli indicatori di esito e di processo: sulla base degli obiettivi e del piano di lavoro, si elencano indicatori realistici da utilizzare per la valutazione; i) i meccanismi di valutazione: si individuano i soggetti e le modalità della valutazione; j) i tempi della realizzazione: il gruppo fornisce una stima dei tempi necessari per la realizzazione del progetto. L’esperienza sul campo dei workshop ha permesso di individuare alcuni problemi comuni. È stata spesso segnalata la difficoltà, quantomeno iniziale, a trovare interessi e linguaggio condivisi da parte di soggetti di diversa estrazione. In questo senso, la giornata di workshop, e più specificatamente la mattinata di lavoro sui progetti, può essere vissuta come troppo breve per raggiungere un’intesa che veramente coinvolga tutti i partecipanti al gruppo. Tuttavia l’alternativa di costituire gruppi monoprofessionali o comunque più omogenei è stata considerata come meno produttiva per un corso che si pone come primo valore quello dell’integrazione. Un ulteriore problema è rappresentato dalla disomogeneità di competenza specifica nella stesura di progetti: molti dei soggetti coinvolti si trovano alla loro prima esperienza in tal senso, data anche la scarsa diffusione del lavoro per progetto nel servizio pubblico. Ciò ha portato al fatto che, casualmente, in alcuni gruppi si sono concentrate persone più “esperte” nel metodo, mentre altri gruppi ne sono rimasti sguarniti. La conseguenza è una forte disomogeneità nella qualità dei progetti, che alcuni gruppi, pur nello scarso tempo disponibile e dato il carattere di simulazione e di esercizio del workshop, hanno presentato un’ottima e concreta elaborazione ad l ute Sa e 376 Territorio un livello quasi operativo, mentre altri sono rimasti al livello di dichiarazione di intenti, con scarse specificazioni e bassa fattibilità. Si può dire in estrema sintesi che la variabilità dei prodotti del workshop è specchio della variabile competenza dei soggetti nel produrre proget- I piani integrati di salute tualità per la salute. Questa variabilità deve essere tenuta da conto nella “vita reale”, perché costituisce un elemento importante della credibilità dell’intero programma dei PIS, e merita ulteriori occasioni di formazione per rendere i potenziali attori di questa esperienza Risultati progettuali dei workshop Andrea Valdrè Canio Lomuto* Alessandra Pedone** Maria Grazia Petronio*** P iuttosto che tentare un resoconto esaustivo dei lavori di gruppo, si è ritenuto più interessante, in questa sede, riportarne gli esiti progettuali, i risultati dei lavori in termini di definizione di progetti afferenti ad un PIS ipotetico ma concreto, perché legato alla realtà locale e realizzato da operatori locali. Sebbene si sia trattato di una simulazione, i risultati, come si vedrà, sono significativi e utili a fornire indicazio- Az. USL Firenze - S. Casciano VP (FI) * Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS Firenze ** Az. USL 8 - Arezzo *** Az. USL 11 - Empoli ni e stimoli alla costruzione dei PIS effettivi. Con questa finalità si riportano di seguito il quadro sintetico dei risultati e la descrizione analitica di alcuni realizzazioni progettuali esemplari. I contenuti di quest’ultimi sono stati ricomposti secondo una griglia contenente le voci essenziali, di cui si forniscono le definizioni di massima, per la stesura di un progetto effettivo: • area, ambito generale a cui fa riferimento l’azione, N. 147 - 2004 più omogenei da questo punto di vista. Complessivamente le presentazioni dei progetti in aula e la discussione dei partecipanti e dei docenti hanno dimostrato una grande vitalità del metodo e una sua forte capacità di attrazione dell’interesse e di stimolazione della creatività. Si può dire veramente che tutti i partecipanti di tutti i corsi si sono “messi in gioco” con generosità, con la loro professionalità ma anche la loro passione ed intelligenza, superando in quella occasione inerzie e pessimismi tipici a volte degli operatori pubblici. può esprimere un target di popolazione, anziani, minori, o un ambito problematico che interessa tutta la popolazione, inquinamento da traffico, rumore, stili di vita, ecc.; fonti informative, informazioni da cui scaturiscono le scelte delle azioni, strumenti che le contengono e/o soggetti che le esprimono; azione, decisione politica relativa all’intervento, si caratterizza per l’area di intervento, le finalità o obiettivi, i soggetti decisori; obiettivi, indicano i cambiamenti che si vogliono realizzare con le azioni; progetto/i, declinazione tecnica dell’azione, percorso operativo per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione. Il progetto, come documento, definisce: le attività, le risorse necessarie, i tempi di realizzazione, i risultati attesi, gli indicatori per valu- tare i risultati e gli indicatori di processo; risultati attesi, obiettivi del progetto, indicano, sotto forma di quantità, i cambiamenti che si intendono realizzare col progetto; indicatori di esito, misurano lo scarto tra risultati ottenuti e risultati attesi, indicano il grado di raggiungimento degli obiettivi; indicatori di processo, misurano in itinere la coerenza dello sviluppo del progetto con i risultati attesi; modalità di rilevazione degli indicatori, procedure informative, strumenti, fonti, percorsi, necessarie per valorizzare gli indicatori; soggetti partecipanti, enti, strutture, organismi, associazioni che contribuiscono con risorse umane e/o finanziarie o con atti amministrativi alla realizzazione del progetto. • • • • • • • • • I piani integrati di salute N. 147 - 2004 SANSEPOLCRO AREA Disagio giovanile AZIONE Interventi di inserimenti lavorativi di giovani in occupazioni che riguardano il mondo animale. FONTI INFORMATIVE Profilo di salute, conoscenza del problema da parte degli operatori, evidenze epidemiologiche sul disagio giovanile, incremento del numero di tossicodipendenze. Percezione da parte della popolazione del problema del randagismo. OBIETTIVI Inserimenti lavorativi all’interno di attività di controllo del randagismo. Riduzione dei casi di presa in carico da parte del Sert. Sae l ute Territorio 377 CORTONA AREA Immigrazione-integrazione interculturale. FONTI INFORMATIVE Percezione degli operatori AZIONE Prevenzione del disagio nell’ambiente di vita e di lavoro delle badanti OBIETTIVI • Migliorare le capacità delle famiglie “datori di lavoro” di utilizzare al meglio questo modello assistenziale • Fornire alle lavoratrici migliori strumenti d’inserimento nelle famiglie • Creare occasioni di formazione permanente • Rafforzamento delle competenze nella gestione dei servizi PROGETTO Formazione di giovani disoccupati sulle problematiche del mondo animale e inserimento lavorativo. PROGETTO Formazione delle badanti, sui servizi, sulle competenze domestiche Interventi sulle famiglie per un miglior utilizzo RISULTATI ATTESI • Riduzione del numero delle prese in carico dei giovani partecipanti al progetto da parte del Sert • Attenuazione del problema del randagismo • N° x inserimenti lavorativi RISULTATI ATTESI • Riduzione % del ricorso da parte degli immigrati al centro di Salute mentale • Riduzione del consumo di farmaci da parte di immigrati-badanti • Miglioramento del livello di fiducia e soddisfazione delle famiglie INDICATORI di ESITO • N° prese in carico del servizio Sert • N° inserimenti lavorativi • Percezione della popolazione del problema del randagismo INDICATORI di ESITO • N° ricorsi alle prestazioni della salute mentale • N° prescrizioni farmaci per immigrati-badanti • Livello di soddisfazione delle famiglie INDICATORI di PROCESSO • Attivazione interventi formativi • N° partecipanti/ dimensione numerica del target INDICATORI di PROCESSO Gli indicatori di processo si deducono dagli indicatori di esito mediante il rapporto tra il valore dei risultati alla fine delle varie fasi e il risultato atteso MODALITA di RILEVAZIONE degli INDICATORI Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi. SOGGETTI PARTECIPANTI Servizio Veterinario della ASL, Operatori SERT, Polizia Municipale, Agenzia formativa (terzo settore), Associazioni tutela animale. Fondazioni bancarie per progetto di sponsorizzazione, Comunità montana, Provincia per l’attività di formazione. MODALITÀ di RILEVAZIONE degli INDICATORI Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi SOGGETTI PARTECIPANTI ASL Comuni, Ass. volontariato, Ass. immigrati l ute Sa e 378 Territorio I piani integrati di salute N. 147 - 2004 ZONA SUD EST ASL FIORENTINA Anziani FONTI INFORMATIVE Profilo di Salute, studio InCHIANTI AZIONE Prevenzione della istituzionalizzazione OBIETTIVI Diminuzione accessi in RSA e ricoveri impropri AREA PROGETTO Potenziamento della rete di solidarietà attraverso l’integrazione e il coordinamento dei servizi pubblici sociali e sanitari di supporto alla domiciliarità e le attività di volontariato. RISULTATI ATTESI • Diminuzione del x % di anziani istituzionalizzati e y % dei ricoveri impropri rispetto al bisogno stimato in riferimento al trend attuale • z anziani presi in carico • Risparmi attesi: diminuzione costi per RSA e ricoveri ospedalieri INDICATORI di PROCESSO • Indice di presa in carico = n° di anziani fragili presi in carico al tempo t / risultato atteso • Indice di partecipazione = associazioni partecipanti/associazioni presenti • Indice di integrazione = f (n° attività integrate / n° attività, impegno orario attività integrate / impegno orario totale, n° operatori in attività integrate / n° operatori totale) INDICATORI di ESITO • N° di istituzionalizzazioni e ricoveri impropri evitati • N° anziani presi in carico • Rapporto tra risparmi attesi e realizzati MODALITÀ di RILEVAMENTO degli INDICATORI strumenti informativi formali e informali, fonti e percorsi delle informazioni SOGGETTI PARTECIPANTI ASL distretto, Comuni, MMG, Ass. volontariato I piani integrati di salute N. 147 - 2004 Sae l ute Territorio 379 EMPOLI Stili di vita AZIONE Interventi di promozione dell’attività fisica dei cittadini FONTI INFORMATIVE Dati epidemiologici su funzione preventiva dell’attività fisica nei confronti delle malattie cardiovascolari e dismetaboliche • • • • AREA OBIETTIVI Campagna di educazione alla salute: l’importanza dell’attività fisica Realizzazione piste ciclabili e pedonali Realizzazione percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi Realizzazione di spazi condominiali, di frazione, sui luoghi di lavoro per attività fisica PROGETTI Educazione alla salute. Intervento educazionale dei MMG attraverso una campana di medicina di opportunità. Piste ciclabili e pedonabili. Percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi. Spazi collettivi per il movimento fisico. • • • • • • • RISULTATI ATTESI 2 piste ciclabili e pedonabili utilizzate effettivamente x % diminuzione traffico veicolare 10 interventi di formazione al movimento per la salute nelle scuole elementari e medie inferiori per studenti e genitori 2 percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi Decremento del 10 % del traffico veicolare per accompagnare i bambini a scuola 4 medici di MG partecipanti all’intervento di Medicina di opportunità 5 spazi collettivi per il movimento fisico: 2 condominiali, 1 di quartiere, 2 negli ambienti di lavoro • • • • • • • • • • • INDICATORI di ESITO N° piste realizzate Grado di utilizzazione delle piste realizzate N° interventi di formazione nelle scuole Risultati degli interventi di formazione nelle scuole N° percorsi sicuri Decremento uso dell’auto per accompagnare i bambini a scuola correlabile con la presenza di percorsi sicuri N° adesioni MMG al progetto di Medicina di opportunità Valutazioni a distanza delle variazioni di BMI, Glicemia, Pressione arteriosa, consumo FANS, consumo statine nel campione in oggetto di intervento MMG N° spazi collettivi creati per attività fisica Grado di utilizzazione degli spazi collettivi per attività fisica INDICATORI di PROCESSO Gli indicatori di processo si deducono dagli indicatori di esito mediante il rapporto tra il valore dei risultati alla fine delle varie fasi e il risultato atteso. Es: N° Km di piste realizzate al tempo t / Km finali Grado di utilizzazione dei Km realizzati al tempo t / grado di utilizzazione atteso MODALITÀ di RILEVAZIONE degli INDICATORI Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi. SOGGETTI PARTECIPANTI ASL, Comuni, MMG, Ass volontariato, scuola l ute Sa e 380 Territorio I piani integrati di salute Modi e risultati della formazione interattiva Eva Buiatti Agenzia regionale di sanità della Toscana - ARS - Firenze Q attori della giornata ed i docenti “imparano” da loro le effettive possibilità di dare un futuro alla esperienza dei PIS a livello locale. L’uso della docenza interattiva e del lavoro di gruppo rappresenta una scommessa di questa iniziativa didattica. Infatti, alcuni fattori “a priori” avrebbero piuttosto consigliato di limitarsi a lezioni frontali o al massimo ad esercitazioni fortemente strutturate e guidate. In primo luogo, la tematica è del tutto nuova e culturalmente immatura nella realtà regionale, in quanto i corsi sono partiti poco dopo l’approvazione del Piano sanitario regionale 2002-2004, essendo quest’ultimo, a tutt’oggi, l’unico documento ufficiale, insieme alle linee guida, che tratti l’argomento dei PIS. Esiste quindi un problema di informazione, prima che di formazione, rivolta agli attori del sistema, una necessità di definire prima di tutto “di che cosa si sta parlando”, che depone per l’esigenza di lezioni classiche e frontali. Inoltre, come già menzionato, l’occasione del corso quasi sempre è la prima in assoluto nella quale soggetti di diversissima estrazione si trovano insieme a trattare tematiche uesta esperienza formativa sui PIS prevede un mix di lezioni frontali, discussioni, e fasi interattive fra discenti o fra docenti e discenti. A queste ultime categorie appartengono in particolare l’esercizio interattivo in aula sulla scelta delle priorità e l’intera terza giornata, con i lavori di gruppo e la presentazione dei risultati a gruppi congiunti. Nel caso dell’esercizio in aula l’intervento del docente è forte e strutturato, in quanto propone metodo e tematiche ed inoltre “modera” la discussione e ne tira le fila pubblicamente, riassumendo il punteggio che ciascun tema ha raggiunto. Nel caso invece della terza giornata, il corpo docente si presenta esclusivamente come punto di riferimento per chiarimenti sul metodo da seguire qualora vi siano incertezze nei gruppi, mentre questi ultimi sono completamente autonomi nella scelta del progetto e nella sua stesura. Successivamente in aula, durante la presentazione dei risultati, i docenti si mescolano ai discenti e discutono su un piano di parità. Un quarto giorno completamente autogestito è stato introdotto nel modulo in alcune realtà locali: in questo caso i ruoli s’invertono, i discenti sono gli N. 147 - 2004 legate alla salute. C’è quindi da scontare una possibile incomunicabilità di esperienze, linguaggi, tecniche, sensibilità, che in astratto potrebbe far pensare a discussioni farraginose, inconcludenti, o ricche di conflittualità, oppure al rischio che una componente, ad esempio quella sanitaria, prevarichi le altre per competenza sull’argomento, portando di fatto ad un monologo ed alla negazione della integrazione. Seppure questi aspetti non siano da sottovalutare, l’esperienza ha insegnato che la scommessa è stata vincente. Piuttosto, i primi corsi realizzati hanno suggerito che sarebbe opportuno rinforzare l’aspetto del lavoro di gruppo e dell’elaborazione locale rispetto alla didattica tradizionale e frontale. In effetti, le parti più dinamiche e produttive delle giornate sono state proprio quelle interattive e di gruppo, come dimostrato dal livello ottimo di attenzione e coinvolgimento e dalla qualità buona o in alcuni casi ottima degli elaborati dei gruppi. C’è da domandarsi quindi quali sono stati gli aspetti del modulo che hanno permesso questo successo. In primo luogo si può notare che la coesione dei partecipanti, che c’è stata ed ha permesso dialogo e comprensione reciproca, in questo caso non era dovuta ad un’omogeneità professionale o di ruolo, ma ad una appartenenza territoriale. È stata vincente la scelta di coinvolgere volta per volta i protagonisti professionali, politici e della società civile di una specifica zona, in altre parole di una particolare comunità locale. Si è così sco- perto insieme che essere medici di famiglia, infermieri, assessori o insegnanti non determina incomprensioni se si parla di problemi reali del proprio Comune o ambiente di vita e di lavoro. La verifica di questo aspetto non scontato è stata resa possibile dal corso. Esso costituisce premessa fondamentale per la stessa fattibilità dei PIS che, nella “vita reale”, devono essere costruiti appunto basandosi su un alto livello d’interazione e di ascolto reciproco. Un secondo elemento vincente è rappresentato dall’importante potenziale innovativo del punto di vista proposto, in termini di proposta concreta da applicare nella operatività corrente. Seppure infatti in via di principio le parole integrazione, progetto, valutazione, fattibilità ecc. sono spesso usate e qualche volta abusate, raramente si prova a vederne le implicazioni in termini pratici. È stato quindi molto importante, nella sede stessa del corso, tentare l’applicazione di quanto affermato su progetti riferiti alla realtà conosciuta dai partecipanti e scelti da questi come importanti, fattibili, interessanti e coinvolgenti. I componenti dei gruppi si sono dedicati con passione al lavoro, hanno veramente mostrato di voler esprimere con la propria voce il contributo derivante dalla loro esperienza e sensibilità, perché, seppure coscienti di operare una simulazione, hanno avuto la sensazione che, chissà, questa poteva anche costituire la base futura di qualcosa di pratico ed N. 147 - 2004 operativo. È evidente che un livello così importante di coinvolgimento non sarebbe potuto emergere se non attraverso l’attivazione e la piena autonomia dei gruppi di lavoro. Inoltre, la scelta di far presentare in aula il lavoro dei gruppi ha permesso di scoprire, in diversi casi, coincidenze e collegamenti fra progetti, e quindi ulteriori potenzialità di sviluppo. Anche la lezione interattiva in aula sulla scelta delle priorità si è rivelata fattibile ed interessante. Venendo prima dei lavori di gruppo, essa ha costituito un specie di “prova generale” del dialogo fra le componenti presenti in aula, permettendo di portare alla luce eventuali dinamiche e conflitti, e di dare coraggio a chi non sarebbe intervenuto per timidezza o senso di estraneità. È stato infatti compito del docente sollecitare l’espressione di parere di tutte le componenti, ponendo quesiti specifici e chiamando i partecipanti ad esprimersi. Inoltre, aver messo in grado ciascuno di “vedere” il parere degli altri su cosa è più importante, in termini di salute, nella propria comunità, ha rinforzato il messaggio della lezione, che tende a valorizzare con pari dignità diversi criteri per le scelte di priorità, dagli aspetti tecnici alla sensibilità dei cittadini agli aspetti di fattibilità ed economici. La metodica interattiva ha permesso di simulare in aula la compresenza, nelle scelte, di tutti questi aspetti dando concretezza al concetto. Il fatto poi che effettivamente alla fine della lezione venisse costruita una graduatoria di argomenti, spesso diversa da quella che sarebbe emersa al principio, ha significato di nuovo dare concretezza ed operatività ad affermazioni altrimenti astratte. Certo, sono anche emerse alcune difficoltà che è necessario conoscere per poterle gestire con successo. In alcuni casi è stato necessario che i docenti si imponessero nella discussione per “tagliare” polemiche emergenti soprattutto fra operatori ed amministratori, o fra amministratori e rappresentanti di associazioni. In tal senso, è stato più volte necessario ricordare che il corso prevede una simulazione, e non è una sede decisionale in cui si precostituiscono scelte. La tendenza da parte di alcu- Strumenti e criteri per l’interazione I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 381 ni a scambiare la simulazione con la realtà ha reso la discussione molto vivace, ma ha anche evidenziato che, nelle scelte vere fuori del corso, è prevedibile l’ingresso di componenti personali, o anche corporative, che devono essere gestite con trasparenza ma con coscienza dei rischi che possono comportare. Sono stati anche notati da alcuni problemi di comprensione dei reciproci linguaggi. Ciò deriva anche dalla tendenza di ogni componente ad usare il proprio gergo professionale indipendentemente dalla tipologia dell’ascoltatore. È compito del docente farlo notare ed eventualmente “tradurre” i concetti. Un ulteriore punto critico è rappresentato dalla necessità di produrre una sintesi, sotto forma di punteggio, del giudizio espresso dall’aula sui diversi temi. Vi sono due modi per affrontare questo problema. Uno è rappresentato da una “media” che il docente propone dopo aver ascoltato il dibattito, cercando di essere equilibrato rispetto alle diverse posizioni. Un altro, come accennato, è rappresentato da vere e proprie modalità di votazione da parte di singoli partecipanti. Questa seconda scelta, più obiettiva anche se più impegnativa, porta ad un dato quantitativo più “vero” e quindi indiscutibile, mentre nella prima esiste sempre un certo livello di prevaricazione da parte del docente. Peraltro, non ci siamo proposti l’obiettività del docente rispetto alle opinioni dell’aula in questa lezione, nella quale il ruolo di chi guida l’esercizio è di forte indirizzo. In conclusione, l’uso di metodiche interattive è stato centrale nella realizzazione del corso, perché ha permesso di costituire, fin dall’occasione formativa, un nucleo di soggetti di livello locale che hanno già fatto, con successo, un’esperienza di lavoro insieme. Ha dato concretezza ai principi esposti nelle lezioni frontali, applicandoli, seppur a livello d’esercizio, a temi vivi sul territorio. Ha permesso di coinvolgere profondamente, anche sul piano emotivo, la grande maggioranza dei discenti e quindi di radicare l’esperienza didattica nelle singole persone, che diventeranno soggetti attivi là dove, sperabilmente, l’applicazione dei PIS avrà un seguito e diventerà realtà. I Nei paragrafi che seguono vi presentiamo una lista di controllo con suggerimenti che raccolgono gli elementi fisici e organizzativi che contribuiscono a rafforzare l’interazione, la partecipazione, l’apprendimento e la qualità delle idee progettuali. L’elenco non è esaustivo, ma può esse- Paolo Mario Remo Martinez n un processo complesso e articolato come la costruzione di un Piano integrato di salute l’interattività rafforza lo scambio e l’integrazione delle competenze tra i portatori d’interessi locali facilitando sia l’analisi dei problemi, sia l’elaborazione di strategie e piani concertati. Resp. Innovazione partecipativa Firenze Tecnologia - Azienda speciale della camera di commercio* [email protected] * Firenze Tecnologia fa parte del sistema pubblico delle Camere di commercio. l ute Sa e 382 Territorio re d’aiuto a chi volesse organizzare altri corsi e workshop. La forma della sala e la disposizione delle sedie Nella maggior parte dei casi si ha una disposizione a “teatro”, con un tavolo di presidenza per i relatori. In questo modo tutti guardano in una direzione e se c’è un dibattito normalmente coinvolge solo il relatore e alcuni partecipanti, difficilmente si aprono dei dibattiti tra i partecipanti. Per facilitare la visibilità collettiva idealmente si dovrebbe poter usufruire di una sala nella quale disporre le sedie in forma circolare. Nelle sale di grandi dimensioni ma con pochi partecipanti è consigliabile far spostare tutte le persone nelle prime file e quanto più vicine possibile tra loro. Presentazioni dei docenti Normalmente le presentazioni dei docenti sono frontali e ininterrotte (come un film per degli spettatori). Vengono spesso utilizzati programmi per presentare lucidi (ad esempio powerpoint). Solo raramente il docente verifica se ha ancora l’interesse dei partecipanti. Idealmente chi presenta deve sempre mantenere il contatto visivo con i partecipanti. Può muoversi lentamente in modo da avvicinarsi e passare accanto al gruppo. Per mantenere alta l’attenzione ogni 15 minuti può fare delle brevi pause con delle domande, suggerendo ai partecipanti di discuterle in gruppi di 2-3 per qualche minuto, ascoltando alcune delle proposte e idee che emergono. In questo modo i parteci- I piani integrati di salute panti da spettatori diventano protagonisti e sale la curva d’attenzione. Partecipazione ai dibattiti Nella maggior parte dei casi i dibattiti e gli interventi del pubblico o sono tralasciati per recuperare ritardi o sono fatti alla fine di una serie d’interventi. In questi casi solo raramente i partecipanti riescono a porre delle domande sulle presentazioni precedenti e spesso c’è un silenzio assordante. Se i dibattiti vengono distribuiti in parte all’interno delle relazioni (vedi sopra) e in parte alla fine di ciascuna presentazione, c’è una maggiore probabilità che i partecipanti abbiano delle domande e interagiscano nel dibattito. Proposte e idee Non tutti si rendono conto che un incontro di una giornata con un centinaio di partecipanti ha l’equivalente di 800 ore/persona (quasi mezzo anno di lavoro). I corsi, le conferenze e i seminari rappresentano quindi un enorme potenziale d’intelligenza ed esperienza che potrebbe essere valorizzato e fatto circolare. Si possono quindi raccogliere idee, suggerimenti e proposte che arricchiscono di sfumature il quadro conoscitivo dei partecipanti coinvolgendoli ulteriormente nel processo. In generale, se ci sono tanti partecipanti, per raccogliere le proposte e le idee vengono poste delle domande chiuse (si/no, bianco/nero) o viene dato un questionario. La qualità delle risposte dipende dalle domande e da chi le pone. Un N. 147 - 2004 metodo semplice per ottenere in breve tempo molte informazioni dai partecipanti e dinamizzare (in alcuni casi risvegliare) l’attenzione è quello di adottare alcune tecniche di brainstorming dotando le persone di fogli adesivi colorati (ad esempio i post-it) e pennarelli e di chiedere loro di rispondere ad una domanda, per esempio: “quali sono i principali problemi di salute per la nostra area?”. Si danno 5/10 minuti per riflettere e scrivere le risposte e si predispongono alcuni grandi fogli (ad esempio quelli delle lavagne a fogli mobili), in un lato della sala, per raccogliere e ordinare tutti i contributi dei partecipanti. Alternativamente, lo stesso esercizio può essere svolto con una lavagna a fogli mobili raccogliendo e trascrivendo, in maniera leggibile anche da lontano, i contributi dei partecipanti. In questo caso si chiede agli stessi di indicare solo idee e proposte che non siano già state espresse da altri, arricchendo in maniera incrementale l’elenco di suggerimenti. Votazioni e selezione delle priorità Spesso le votazioni o la selezione delle priorità vengono svolte per alzata di mano, ma in questo modo i problemi in discussione rischiano di essere “tagliati con l’accetta” escludendo chi è più timido e creando potenziali resistenze future. Un modo per rafforzare l’interazione e il coinvolgimento del gruppo è quello di consegnare alcune etichette colorate ai partecipanti (ad esempio dieci eti- chette ciascuno), spiegando come funziona il meccanismo di voto. La votazione può aver luogo immediatamente prima di una pausa prevista nel programma (ad esempio prima della pausa caffé o del pranzo). I partecipanti si alzano e votano attaccando le etichette accanto alle idee o concetti che ritengono più importanti. Se si vuole analizzare il peso dato dai partecipanti in base al gruppo d’interesse di provenienza, si possono dare degli adesivi diversi per ciascun gruppo: ad esempio, verde per gli amministratori, giallo per i tecnici ed esperti, blu per le imprese, e così via. La votazione può essere anche svolta riproducendo un questionario o una tabella su dei grandi fogli da mettere sulla parete. Anche in questo caso le persone possono collocare le loro preferenze con delle etichette colorate, in modo da rendere immediatamente evidente l’elenco di priorità dei partecipanti. Partecipazione e interazione È importante tenere sotto controllo la partecipazione agli incontri. Se un corso prevede più incontri consecutivi, in alcuni casi il numero dei partecipanti potrebbe calare. Chiaramente se i corsi sono molto ravvicinati per alcune persone potrebbe essere difficile seguirli tutti. In linea di massima c’è una diretta relazione tra partecipazione e interazione. Quanto più le lezioni e gli incontri sono interattivi con laboratori e scambio di competenza tra i partecipanti, tanto più aumenta la motivazione e la volontà di N. 147 - 2004 intervenire agli incontri successivi. Workshop e lavori di gruppo Consapevolezza su cosa favorisce e cosa impedisce il lavoro di gruppo Spesso i partecipanti a gruppi di lavoro e riunioni non sono consapevoli di atteggiamenti che possono minare e rendere inefficace il loro incontro. Gli effetti si vedono quotidianamente nelle riunioni interminabili che spesso non conducono a nulla. È molto utile riassumere quali possono essere sia gli atteggiamenti positivi che quelli negativi per far capire che ognuno di noi tende ad assumerne alcuni e che se ne siamo consapevoli forse, per qualche ora (per la durata della riunione), possiamo trovare il modo per essere più collaborativi. I decisori Le persone importanti purtroppo hanno poco tempo per pensare alla strategia o per essere creative perché devono gestire. Questo paradosso crea tanti problemi a varie organizzazioni pubbliche e private. Non avendo abbastanza tempo per pensare alla strategia e non creando nuove mappe di navigazione per il futuro, si continuano a percorrere le stesse rotte perdendo opportunità e andando verso pericolose involuzioni. Spesso i decisori non partecipano e lasciano partecipare i tecnici. Così facendo, perdono preziose occasioni per imparare a decidere in maniera partecipata. Per i decisori non abituati al confronto la partecipazione ad eventi in- terattivi può essere vissuta come una doccia fredda che risveglia dal torpore e dà vitalità. I decisori possono ascoltare le idee che emergono e capire che non c’è niente da temere, che possono imparare a governare in maniera diversa. La presenza dei decisori può aiutare i partecipanti a sentire che quello che fanno è importante per la collettività, motiva e influisce positivamente sulla partecipazione e il coinvolgi- I piani integrati di salute Sae l ute Territorio 383 mento. La non partecipazione dei decisori può avere il duplice effetto di stimolare alcuni a proporre, decidere e agire indipendentemente e altri, soprattutto quelli che dipendono direttamente dai decisori, dal non fare per paura di sbagliare. Il coinvolgimento ed il supporto dei decisori è quindi quasi sempre auspicabile ma è anche importante far capire ai decisori che in simili incontri tutti i partecipanti sono sullo stesso piano; sono dunque occasioni per lavorare e imparare insieme, non delle passerelle o occasioni per fare dei comizi. Allo stesso tempo, poiché è importante coinvolgere e stimolare l’iniziativa tra i partecipanti, è molto importante far capire ai decisori che devono anche accettare idee divergenti dalle loro: quanto più l’intelligenza e la creatività scorrono, quanto più fluisce la conoscenza e si rafforza la comunicazione e Comportamenti che contribuiscono all’efficacia del gruppo. Il facilitatore e/o partecipante: Ascolta attivamente guarda la persona che parla, fa capire che ascolta, fa domande di verifica e riconosce quanto é stato detto parafrasando i punti elencati Supporta incoraggia gli altri a sviluppare le idee e dare suggerimenti; riconosce e le evidenzia le idee Verifica va oltre i commenti di superficie chiedendo ai colleghi e partecipanti di esporre anche informazioni nascoste Chiarisce chiede ai partecipanti maggiori informazioni su ció che vogliono dire; chiarisce la confusione Offre Idee condivide suggerimenti, idee, soluzioni e proposte Include gli altri chiede ai partecipanti silenziosi di dare la loro opinione, assicurandosi che nessuno sia escluso Riassume raccoglie le idee di piú persone; definisce dove é arrivato il gruppo e cosa é stato detto Armonizza riconcilia punti di vista discordanti; collega tra loro idee simili; indica dove le idee sono le stesse Gestisce i conflitti ascolta i punti di vista degli altri; chiarisce gli aspetti critici e punti chiave espressi dagli opponenti; cerca soluzioni Comportamenti che minano l’efficacia del gruppo. Il partecipante…: “Si ma...” scredita le idee degli altri Blocca insiste nel far accettare la propria idea; non viene a compromessi; ostruisce il percorso e l’evoluzione del gruppo Tenore (prima donna) attira l’attenzione sulle proprie abilità; si vanta Esce dal tema dirige la conversazione su altri temi Dominatore cerca di “dirigere” il gruppo comandando o minacciando Si ritira non partecipa o offre aiuto o sostegno agli altri Avvocato del diavolo è orgoglioso di fare il bastian contrario Critica fa commenti negativi sulle persone o le loro idee Insulti personali lancia insulti ad altre persone l ute Sa e 384 Territorio la fiducia tra i partecipanti, tante più saranno le possibilità per prendere le giuste decisioni insieme. Gruppi di lavoro Per elaborare idee e progetti si collabora meglio in gruppi di lavoro paralleli. Spesso le persone sono assegnate arbitrariamente a un gruppo di lavoro. Molte volte i gruppi di lavoro paralleli sono omogenei sia sul piano culturale sia tecnico, non c’è scambio d’informazioni, mancano struttura e regole per la discussione interna. In questi casi emergono idee stereotipate, senza uno spessore. Per assicurare maggiore interazione e coinvolgimento è molto importante che chi partecipa ad un gruppo abbia ben chiari i motivi che lo attirano e che scelga liberamente a quale gruppo iscriversi. È sempre auspicabile che i gruppi siano eterogenei dal punto delle discipline, competenze, genere, età, esperienza e cultura. Anche se i gruppi possono progettare e creare autonomamente, in circostanze dove si vuole ottenere il massimo e c’è poco tempo, il supporto di un facilitatore consente al gruppo di concentrarsi sul contenuto e farsi assistere nel processo e nella struttura dell’incontro. In casi dove vengono simulati i momenti di progettualità, come in un corso, possono essere formati uno o più membri del gruppo per facilitare i lavori. Nelle situazioni reali, dove le idee pos- I piani integrati di salute sono trasformarsi in decisioni e gli interessi in gioco sono concreti, la facilitazione e l’imparzialità possono avere un ruolo molto importante. Ogni gruppo deve avere una consegna, un compito anche a breve termine: un’idea progettuale, un poster da presentare in plenaria etc. “Brainstorming” e visualizzazione Il modo migliore per non ricordare e decidere nulla in un gruppo di lavoro è quello di lasciare che le idee passino tra le mani come la sabbia, senza fissarle o scriverle in un posto visibile a tutti. I gruppi di lavoro più efficaci utilizzano tecniche di brainstorming, per lanciare/elaborare le idee, cartoncini colorati adesivi (ad esempio i post-it) per scriverle e lavagne a fogli mobili o poster per visualizzarle. Una volta visibili diventano come dei blocchi di costruzione che tutti possono “toccare” e spostare, analizzare e selezionare, integrare e modificare. Progetti integrati I progetti possono concentrarsi su priorità monotematiche, focalizzate, verticali, essere molto specifici e basati su interessi di parte. Un progetto integrato riassume e ordina in maniera semplice la complessità rendendo esplicite le connessioni tra più variabili e raccogliendo più competenze e possibili interessi in gioco. Le tecniche e metodi partecipativi possono evidenziare tali connessioni e N. 147 - 2004 contribuire allo sviluppo di un approccio organico alla progettazione. In un gruppo di lavoro si vede abbastanza presto se il gruppo si concentra sulla discussione dei temi e sulle soluzioni (che può portare il gruppo a dibattiti infiniti) o se riesce ad entrare in uno spirito progettuale integrato analizzando innanzi tutto le aspettative e i contributi dei partecipanti, continuando con un’appropriata analisi dei problemi. Se i partecipanti riconoscono i problemi e le cause degli stessi possono lavorare per trovare soluzioni integrate. Comunicazione Tanti ottimi progetti e idee restano sulla carta o peggio, abbandonati in un cassetto. Per dare le gambe ai progetti la comunicazione gioca un ruolo decisivo. Dopo i gruppi di lavoro, i partecipanti presentano le idee emerse a tutti gli altri. Le competenze del portavoce possono rafforzare enormemente l’efficacia e l’impatto della comunicazione. Un portavoce relativamente inesperto può trasmettere le idee e le informazioni con ottimi risultati se nella plenaria utilizza strumenti di visualizzazione quali poster (con scritte ben leggibili anche da lontano), lucidi, un proiettore per diapositive dal computer e un sistema di amplificazione se la sala lo richiede. L’attenzione delle persone che partecipano ad una sessione plenaria (che hanno lavorato in gruppo per il resto della giornata), potrebbe calare se le presentazioni sono monotone e noiose. I membri del gruppo di lavoro possono pianificare e proporre delle presentazioni collettive dove i partecipanti si alternano nel raccontare il progetto integrato, animando e tenendo alta l’attenzione della sala. Il moderatore o il facilitatore possono essere molto utili per chiarire eventuali dubbi, sottolineare i punti forti, far rispettare i tempi, verificare il livello di comprensione dei partecipanti e rafforzare la comunicazione. Prospettiva Quasi ogni incontro, riunione e convegno è fine a se stesso. Inizia e finisce. È come un castello di sabbia lambito dalle onde. Raramente gli incontri sono visti come parte di un percorso integrato, con una prospettiva. Le persone hanno sempre meno tempo, dopo qualche tentativo e molte delusioni, anche le più volenterose rinunciano. Se il percorso è costruito, fin dall’inizio, insieme ai partecipanti ed è vissuto come un progetto con degli obiettivi concreti e tappe intermedie, dove la conoscenza e l’apprendimento rappresentano il bene di reciproco arricchimento, saranno i partecipanti stessi a voler dare una prospettiva. Nei casi in cui questo avviene i partecipanti normalmente propongono incontri di approfondimento e di studio per attivare le idee progettuali pilota.