Sae l ute
Territorio
Direttore responsabile
Mariella Crocellà
Redazione
Antonio Alfano
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Bruno Cravedi
Laura D’Addio
Gian Paolo Donzelli
Claudio Galanti
Marco Geddes
Loredano Giorni
Carlo Hanau
Gavino Maciocco
Mariella Orsi
Marco Monari
Paolo Sarti
Alberto Zanobini
Collaboratori
Marco Biocca, Centro Doucmentazione Regione
Emilia-Romagna
Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana
Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino
Nerina Dirindin, Dipartimento di Scienze Economiche
Finanziarie - Università di Torino
Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli
Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma
Luigi Tonelli, Direzione Sanitaria - Siena
Comitato Scientifico
Giovanni Berlinguer, Professore Emerito
Facoltà di Scienze - Roma
Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria
e Ospitaliera - Reggio Emilia
Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano
Donato Greco, Direttore Laboratorio Epidemiologia e
Biostatistica - Istituto Superiore di Sanità
Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma
Segreteria di redazione
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Questo numero è stato chiuso in redazione
il 15 marzo 2005
147 Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini
Giunta Regionale Toscana
Anno XXV - Novembre-Dicembre 2004
Sommario
322
329
329
M. Valpreda, S. Romagnoli
330
E. Diana
N.E. Vanzan Marchini
Spazio Toscana
333 AIRT
Monografia
340
346
353
356
364
370
372
375
376
380
381
C. Lomuto
A. Serino
C. Lomuto
M.G. Petronio, A. Pedone
A. Valdrè, A. Pedone
M.G. Petronio
E. Buiatti, M.G. Petronio
A. Pedone, A. Valdrè, C. Lomuto
E. Buiatti
E. Buiatti
A. Valdrè, C. Lomuto
A. Pedone, M.G. Petronio
E. Buiatti
P.M. Remo Martinez
Abbonamenti 2004
Italia
€ 41,32
Estero € 46,48
Infezioni ospedaliere
La ristrutturazione degli antichi Istituti
L’ospedale civile di Venezia e il Museo
della Scuola Grande di S. Marco
L’ospedale di S. Maria della Scala di Siena
Regionalizzazione della sanità in tema
di donazione e trapianto di organi
I piani integrati di salute
L’immagine di salute
Struttura e contenuti del PIS
La disciplina di riferimento
Partecipazione e integrazione
Esperienze locali: “Agenda 21”, “Città sana”
I Profili di salute
I moduli formativi
La programmazione a livello territoriale
Formazione interattiva
Workshop di costruzione del PIS
Risultati progettuali dei workshop
Modi e risultati della formazione interattiva
Strumenti e criteri per l’interazione
Fotocomposizione e stampa
Edizione ETS - Pisa
I versamenti devono essere effettuati sul c/c postale 14721567 intestato a Edizoni ETS s.r.l. specificando nella
causale “abbonamento a Salute e Territorio”.
l ute
Sa
e
322 Territorio
Mario Valpreda
Silvia Romagnoli*
Prevenzione
N. 147 - 2004
Infezioni ospedaliere
Direttore sanità pubblica,
Regione Piemonte
* Dipartimento infezioni
ospedaliere
I
n Italia le infezioni ospedaliere acquisite dai pazienti nel corso della degenza in ospedale continuano a rappresentare una complicanza frequente che le numerose campagne di sensibilizzazione nazionale promosse nel corso degli ultimi 15
anni, in particolare dalle associazioni scientifiche, hanno appena scalfito.
Si tratta di un rilevante problema di sanità pubblica.
Lo dimostrano gli studi condotti anche nel nostro Paese,
a partire dagli anni ’80, anche
se, non esistendo un sistema
di sorveglianza nazionale
(ossia una rilevazione corrente dei casi di infezione ospedaliera) è piuttosto difficile
disporre di dati affidabili.
Per un sistema informativo
valido è necessaria, infatti la
presenza di personale dedicato in grado di rilevare i casi
di infezione in reparto con
obiettivi specifici. Non è invece sufficiente affidarsi ai
medici curanti per la segnalazione dei casi di infezione
che si verificano tra i pazienti ricoverati.
Tuttavia, ad onta delle citate
carenze, sono disponibili alcuni studi multicentrici che
hanno dimostrato che la frequenza di infezioni ospedaliere è sovrapponibile a quella rilevata dal sistema di sor-
veglianza statunitense, National Nosocomial Infection
Study (NNIS).
Anche le caratteristiche epidemiologiche sono simili a
quelle descritte dal NNIS.
Sulla base delle indicazioni
della letteratura e degli studi
multicentrici effettuati in
questi anni, si può pertanto
stimare che, in Italia dal 5
all’8% dei pazienti ricoverati
contragga un’infezione ospedaliera.
Ogni anno si verificano quindi dalle 500.000 alle 700.000
infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto
infezioni urinarie, seguite da
infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi).
Poiché le infezioni ospedaliere potenzialmente evitabili rappresentano il 30% circa
di quelle insorte, si può stimare che ogni anno si verifichino dalle 135.000 alle
210.000 infezioni prevenibili
e che queste siano direttamente causa del decesso
nell’1% dei casi (dai 1350 ai
2100 decessi circa prevenibili
in un anno).
Per quanto concerne il Piemonte lo studio di prevalenza
effettuato nel 2001 coinvolgendo tutti gli ospedali pubblici, ha attestato il valore
della prevalenza delle infezioni nosocomiali al 7,8%. In
pratica circa 8 pazienti su
Il quadro nazionale di un serio problema
affrontato inadeguatamente in molti Ospedali
del nostro Paese. Esempi di sorveglianza
in USA e Gran Bretagna. I programmi di lotta
e di controllo della Regione Piemonte
cento ricoverati contraggono
un’infezione.
Il numero di ricoveri ordinari
effettuati annualmente in regione si aggira intorno ai
650.000. Di conseguenza sono circa 52.000 i pazienti che
sviluppano un’infezione ospedaliera. 15.600 casi di infezione potrebbero essere evitati e potrebbero essere evitati
156 decessi dovuti a questa
patologia.
Ipotizzando un costo approssimativo di circa 1000 euro
per 4 giorni di degenza aggiuntiva, la spesa complessiva che la Regione deve annualmente accollarsi a causa
di un’infezione contratta in
ambiente ospedaliero è di circa 208.000.000 euro all’anno.
Con programmi mirati di sorveglianza e controllo potrebbero essere risparmiati
6.240.000 euro,utilizzabili
per altre attività sanitarie
prioritarie.
I programmi di lotta e controllo
Numerose istituzioni nazionali e associazioni professionali
in diversi Paesi hanno definito
negli ultimi anni le componenti essenziali di programmi
di controllo efficaci a prevenire le infezioni ospedaliere.
Le principali sono:
• la disponibilità di personale dedicato;
• l’attivazione di sistemi di
sorveglianza mirati;
• l’attivazione di programmi
di controllo finalizzati a
migliorare gli standard assistenziali.
Recentemente sono stati
pubblicati i risultati delle attività del NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance System - NNIS Semi annual reports) nel decennio
compreso tra il 1990 ed il
1999, che dimostrano l’efficacia di sistemi di sorveglianza attiva: negli ospedali
in cui veniva effettuata una
Prevenzione
N. 147 - 2004
sorveglianza attiva sulla base
di indicatori clinici, è stato
registrato un significativo
trend in diminuzione della
frequenza di batteriemie
ospedaliere (ad es. nei centri
di terapia intensiva il trend in
diminuzione varia dal 31% al
il 44%).
Il Ministero della sanità ha
emanato due circolari: n.
52/1985 e n. 8/1988, nelle
quali sono stati definiti i requisiti di base dei programmi
di controllo ed in particolare,
la costituzione di un comitato
di controllo per la lotta alle
infezioni in ciascuna struttura ospedaliera e la disponibilità di un’infermiera dedicata
eminentemente ad attività di
sorveglianza e controllo.
A 16 anni dall’emanazione,
l’argomento è stato ripreso dal
Piano sanitario nazionale
1998-2000 (PSN) che ha indicato, tra gli obiettivi prioritari
per il triennio suddetto, la riduzione dell’incidenza di infezioni ospedaliere di almeno il
25%, con particolare riguardo
alle infezioni delle vie urinarie, della ferita chirurgica, alle
polmoniti postoperatorie o associate a ventilazione meccanica ed alle infezioni associate a cateteri intravascolari.
L’obiettivo doveva essere raggiunto attraverso l’avvio di
un programma di sorveglianza, prevenzione e controllo
delle infezioni ospedaliere in
ogni presidio ospedaliero,
orientato sia ai pazienti, sia
agli operatori sanitari.
Il documento suggeriva inoltre le azioni da compiere:
istituzione di comitati di
controllo delle infezioni
ospedaliere, assegnazione di
specifiche responsabilità a
personale dedicato e defini-
zione di linee di intervento e
di protocolli scritti. Queste
attività devono rappresentare, secondo il PSN, altrettanti
criteri per l’accreditamento
delle strutture sanitarie.
Va tuttavia sottolineato che
in Italia, con un modello che
ha pochi riscontri altrove, le
attività di prevenzione sono
state storicamente affidate
alla figura dell’igienista ospedaliero, che unisce competenze di carattere igienistico
con altre di tipo gestionale.
In teoria si assicurava una
unitarietà di interventi tra
identificazione dei problemi e
attuazione delle misure correttive.
Nella realtà dei fatti, tuttavia, lo scarso sviluppo di programmi di miglioramento della qualità delle prestazioni
assistenziali e la mancanza di
precise normative, hanno fatto sì che le direzioni ospedaliere abbiano concentrato
l’attenzione su problemi di tipo gestionale, limitando gli
interventi più squisitamente
preventivi.
Attualmente la situazione nel
nostro Paese, secondo l’indagine effettuata dall’Istituto
superiore di sanità (Rapporto
ISTISAN 01/4), evidenzia una
maggiore diffusione, rispetto
a 10 anni fa, dei programmi
di intervento. Nonostante
ciò, le attività di prevenzione
sono ancora molto scarse in
alcune aree del paese (soprattutto al centro, sud e nelle
isole) e nei presidi ospedalieri di piccole dimensioni.
In particolare:
• è ancora carente la dotazione di personale ( sia medico, sia infermieristico) per
posto letto, indispensabile
per la gestione dei pro-
grammi di prevenzione delle infezioni nosocomiali;
• non sono sufficientemente
diffusi in tutti gli ospedali,
a livello nazionale, i programmi di sorveglianza di
laboratorio che abbiano l’obiettivo di identificare i patogeni sentinella, gli eventi
epidemici e di monitorare
l’antibioticoresistenza;
• sono poco operanti, in
particolare nelle Unità di
terapia intensiva e chirurgia, sistemi di sorveglianza attiva sulla base di indicatori clinici e la definizione di protocolli di buona
pratica clinica;
• è ancora insufficiente la
diffusione di protocolli mirati al miglioramento degli
standard assistenziali clinici e si osserva la tendenza a non valutare l’effettiva applicazione degli stessi da parte degli operatori;
• non in tutte le strutture
ospedaliere sono attivi
programmi di vaccinazione
estesi a tutti gli operatori
e di sorveglianza delle infezioni occupazionali;
• sono carenti le politiche
ospedaliere per il buon uso
degli antibiotici, con particolare riguardo all’attivazione di sistemi di monitoraggio dei consumi di antibiotici in “Defined Daily
Dosage”.
Tutte le nazioni industrializzate hanno programmi di prevenzione delle infezioni nosocomiali. L’organizzazione e
l’implementazione delle attività di controllo varia nei diversi paesi e riflette una combinazione di tradizioni manageriali, riferimenti legislativi,
risorse ed esperienze caratteristiche del singolo contesto.
Sae l ute
Territorio 323
Attualmente non si riscontrano differenze significative tra
i vari Paesi per quanto concerne i tassi di prevalenza (710%). Interessanti differenze
emergono tuttavia valutando
la prevalenza dei microrganismi antibioticoresistenti e
sembra ragionevole dedurre
che dove si hanno tassi elevati gli esiti per i pazienti sono
peggiori.
In alcuni Paesi come Gran
Bretagna, Olanda e Scandinavia il controllo delle infezioni
è stato orientato in modo
particolare alla prevenzione
delle infezioni sostenute da
MRSA, VRE e dai germi multiresistenti.
Indipendentemente dalle
scelte effettuate rimane da
chiarire un importante interrogativo relativo all’efficacia
dei programmi di prevenzione
realizzati nei vari paesi. Reybrouc (Dipartimento di Igiene
ospedaliera e controllo delle
infezioni. Università cattolica di Lovanio-Belgio), sostiene che “i differenti approcci
utilizzati nella lotta alle infezioni ospedaliere, supportati
dall’esperienza maturata attraverso la pratica, possono
rappresentare un utile contributo per tutti, purché esista
la piena consapevolezza della
reale portata del fenomen”.
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324 Territorio
Prevenzione
N. 147 - 2004
• Decisione (N. 2119/98) del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 1998 “che istituisce una rete di sorveglianza epidemiologica e di controllo delle malattie trasmissibili nella Comunità” (GU delle CE L
268/1 del 3 ottobre 1998).
• Parere del Comitato economico e sociale sul tema “La resistenza agli antibiotici: una minaccia per la salute
pubblica”(GU delle CE C 407 del 28 dicembre 1998).
• Risoluzione del Consiglio dell’U.E. (8 giugno 1999, GGU delle CE C 195 del 13 luglio 1999) sulla resistenza
agli antibiotici “Una strategia contro la minaccia microbica”.
• Comunicazione della Commissione delle Comunità europee del 20 giugno 2001 su una strategia comunitaria
contro la resistenza agli agenti antimicrobici.
Tab. I - Normativa europea.
• Commissione delle Comunità europee. Raccomandazione del Consiglio del 20 giugno 2001 sull’uso prudente
degli agenti antimicrobici nella medicina umana.
• Raccomandazione del Consiglio (15 novembre 2001, GU delle CE L 34 del 5 febbraio 2002) sull’uso prudente
degli agenti antimicrobici nella medicina umana.
• Decisione della Commissione delle Comunità Europee (19 marzo 2002, GU delle CE L 6 del 4 aprile 2002).
Stabilisce la definizione dei casi ai fini della dichiarazione delle malattie trasmissibili alla rete di sorveglianza comunitaria. Non ha attinenza diretta con le infezioni ospedaliere ma è normativamente importante in quanto fornisce una descrizione clinica dei casi, stabilisce criteri diagnostici di laboratorio ed un sistema di classificazione (confermato, probabile, possibile) delle malattie trasmissibili.
• Circolari del Ministero della sanità n° 52/1985 e n° 8/1988.
• D.M. 28 settembre 1990 “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed
assistenziali pubbliche e private.
• Decreto ministeriale 15 dicembre 1990 Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive. Classifica le
malattie in quattro classi e dettaglia le modalità di invio delle notifiche, allegando la rispettiva modulistica.
• D.M. 24 luglio 1995 “Contenuti e modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e qualità del SSN”.
• Circolare Ministero della sanità n° 4, 13 marzo 1998 “Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica”.
Tab. II - Normativa nazionale.
• Piano sanitario nazionale 1998-2000 - DPR 23 luglio 1998.
• Decreto Interministeriale 12 novembre 1999 “Modificazioni all’allegato XI decreto lgv n. 242, concernente
integrazioni al decreto lgv n. 626” (classificazione degli agenti biologici).
• Conferenza permanente Stato/Regioni (4 aprile 2000) ”Linee guida prevenzione e controllo legionellosi”
(Acrobat Reader).
• Bioterrorismo - Protocollo diagnostico per il laboratorio di microbiologia per la diagnosi presuntiva di Bacillus anthracis (ISS 16 novembre 2001).
• Piano Sanitario Nazionale 2002-2004.
Il modello piemontese
Non esiste in Italia una normativa nazionale che dia
orientamenti in tema di prevenzione delle infezioni nosocomiali.
Si riporta a titolo esemplificativo il quadro normativo
europeo (Tab. I) e i riferimenti legislativi nazionali di cui
disponiamo (Tab. II).
Di fatto con la modifica del
Titolo V° della costituzione è
demandato alle Regioni il
compito di gestire programmi
di prevenzione delle infezioni
nosocomiali.
In questa ottica, a partire
dal 1997 è stato istituito
presso la Direzione sanità
pubblica dell’Assessorato alla
sanità un modello organizzativo strutturato nel seguente
modo:
Prevenzione
N. 147 - 2004
Sae l ute
Territorio 325
ORGANIZZAZIONE ANNI 1998-2003
Istituzione gruppo di lavoro per la sorveglianza
e il controllo nelle strutture pubbliche e private
determinazione n°00045 - 31/03/1998
modificata con determinazione n°271 – 12/09/2001.
COMPOSIZIONE:
coordinatore
2 igienisti
2 infettivologi
1 epidemiologo
1 microbiologo
1 medico di direzione sanitaria
1 chirurgo
2 ici
COMPITI E FUNZIONI:
• Definizione delle strategie di intervento per la prevenzione delle infezioni nosocomiali nell’ambito delle ASL/ASO (requisiti di minima definiti con
apposita circolare regionale)
• Valutazione dell’efficacia dei programmi messi in atto dalle ASL/ASO (obiettivo delle direzioni generali)
• Funzione di supporto tecnico-scientifico nella realizzazione dei programmi
• Impostazione di studi di sorveglianza a valenza regionale:
– Prevalenza (2000)
– Studio sulle polmoniti nei pazienti ricoverati in terapia intensiva (VAP)
– Studio sugli incidenti occupazionali (SIOP)
– Studio sulle polmoniti sostenute da legionelle
ATTIVITÀ DI VIGILANZA:
• Valutazione in loco delle attivita’ esistenti
• Formulazione delle opportune prescrizioni
SVOLTA DA APPOSITA COMMISSIONE ISTITUITA CON DETERMINA N° 00563 DEL 9 DICEMBRE 1999.
COMPOSIZIONE:
– coordinatore
– 1 dirigente medico di direzione sanitaria
– 2 infettivologi
– 1 dirigente medico responsabile spp
– 2 ici
Nonostante l’entità della problematica fino al 1997 nella
quasi totalità degli ospedali
piemontesi non erano state
organizzate attività di sorveglianza e controllo delle infezioni ospedaliere. I CIO erano
stati formalmente istituiti,
come suggerivano le circolari
ministeriali n°52/1985 e n°
8/1988, ma di fatto non risultavano essere stati operativi,
impedendo l’avvio di iniziative finalizzate e concrete.
Un’indagine conoscitiva del
1996 sulle modalità di prevenzione delle infezioni nei
vari presidi ospedalieri denunciava una situazione di
estrema precarietà, con attività limitate alla definizione
di protocolli per la pulizia
ambientale, la sterilizzazione
e la disinfezione.
Pertanto si era reso necessario fornire alle Aziende delle
linee di indirizzo in cui venivano definiti i criteri di minima e gli standard per l’attuazione di programmi di sorveglianza e controllo (Circolare
regionale n° 9723/48).
Con la Circolare prendeva avvio un nuovo approccio alla
lotta alle infezioni ospedaliere, più coerente con le indica-
zioni fornite a livello della
letteratura internazionale e
inteso a modificare l’organizzazione e i comportamenti
professionali più che a colmare le carenze igienistiche delle struttura ospedaliera.
Inoltre il documento poneva
l’accento sull’opportunità di
coinvolgimento a tutti i livelli di responsabilità dei diversi settori sanitari, clinici,
l ute
Sa
e
326 Territorio
organizzativo-gestionali e finanziari.
Si attivava quindi la costruzione di una rete regionale
per l’implementazione e il monitoraggio della sorveglianza
e controllo delle infezioni nosocomiali. Un apposito Gruppo di lavoro, istituito presso la
Direzione regionale sanità
pubblica, ha coordinato e supportato le Aziende nella fase
di avvio dei programmi.
Come si evince dal grafico di
seguito riportato, a fine 2002
emerge una situazione di
maggior sensibilizzazione da
parte delle Direzioni sanitarie
al problema, con istituzione
delle UO di prevenzione delle
infezioni nosocomiali in tutte le Aziende, presenza di
programmi annuali scritti,
attivazione di sorveglianze
specifiche, incremento della
produzione di protocolli e in
particolare per l’antibioticoprofilassi, linee guida, attività di formazione.
Permangono ancora marcate
criticità e una situazione di
non completo adeguamento
agli standard proposti in 7
Aziende.
Il Gruppo di lavoro ha proceduto annualmente alla valutazione dei programmi elaborati formulando giudizi di
Prevenzione
idoneità o meno rispetto all’efficacia delle misure di prevenzione intraprese in rapporto alla complessità delle
strutture considerate.
Un’analisi della situazione effettuata a fine 1999 evidenziava le seguenti criticità:
• nella maggior parte delle
aziende non era stata identificata formalmente la figura di un responsabile per
la prevenzione del rischio
infettivo con assegnazione
di precisi compiti;
• le direzioni sanitarie coinvolte da problemi di carattere gestionale non dedicavano ancora l’attenzione necessaria alla problematica delle infezioni nosocomiali;
• gli ICI (o se non disponibili, gli infermieri professionali dedicati) non erano
presenti in numero sufficiente rispetto agli standard regionali (1 ogni 250
posti-letto);
• i programmi non sempre
erano coerenti con i criteri
fissati nella circolare regionale del ’97 che identificava in modo preciso gli
standard e i criteri di minima da adottate per una attività sorveglianza e controllo adeguata;
N. 147 - 2004
• la metodologia di impostazione era spesso non corretta e evidenziava più la
volontà di adempiere ad
un obbligo formale che
non la necessità di affrontare in termini concreti la
prevenzione delle infezioni nosocomiali;
• emergeva nel complesso un
quadro caratterizzato da
notevole dispendio di energie senza produzione di dati omogenei, tali da poter
essere analizzati e confrontati al fine di attuare interventi di prevenzione mirati.
Alla luce di queste di queste
considerazioni e allo scopo di
garantire un supporto più incisivo alle Aziende, l’attività
regionale è stata articolata in
più momenti:
• una fase di forte impulso
da parte della Regione allo
sviluppo nelle ASO e nelle
ASL di settori dedicati alla
prevenzione delle infezioni nosocomiali, con il
mandato alle Direzioni generali di identificare precise responsabilità organizzative e gestionali e di assegnare sufficienti risorse;
• una fase di supporto al
raggiungimento
degli
standard proposti e di verifica delle attività svolte
Grafico
nelle singole aziende;
• una fase “ispettiva“ non
con finalità fiscali, ma intesa a valutare in modo diretto la situazione all’interno delle aziende e a
fungere da ausilio tecnicoscientifico per il miglioramento della qualità dell’assistenza;
• una fase di elaborazione di
progetti specifici, seguita
dalla loro attivazione presso le aziende:
– indagine conoscitiva con
l’obiettivo di definire la
frequenza di infezioni a
livello regionale e di
uniformare la metodologia di raccolta dei dati
(effettuata nel 2000);
– sorveglianza delle polmoniti in pazienti con
ventilazione meccanica
assistita (progetto VAP,
Ventilation Acquired
Pneumonia);
– sorveglianza degli incidenti occupazionali
(progetto SIOP).
È stato inoltre ritenuto opportuno che in ogni Azienda
fossero presenti, diffusi e verificati nelle loro applicazione i seguenti protocolli:
• isolamento e precauzioni
standard;
• disinfezione e sterilizzazione;
• utilizzo dispositivi di prevenzione;
• controllo della diffusione
delle resistenze batteriche;
• raccolta, conservazione e
trasporto campioni microbiologici;
• prevenzione incidenti occupazionali e utilizzo dei
presidi;
• sorveglianza di incidenti
con esposizione a liquidi
biologici;
Prevenzione
N. 147 - 2004
• profilassi post-esposizione
occupazionale a liquidi
biologici;
• controllo tubercolosi;
• prevenzione delle principali infezioni;
• utilizzo antibiotici a scopo
profilattico;
• linee-guida per l’uso di antibiotici in patologie selezionate;
• prevenzione malattie trasmissibili suscettibili di
profilassi vaccinale;
• trattamento biancheria;
• pulizia e smaltimento dei
rifiuti;
• igiene della ristorazione.
In sede di valutazione ispettiva, oltre alla verifica della reale applicazione di tali protocolli, è sempre stato dato par-
ticolare rilievo all’attuazione
di interventi riguardanti l’igiene delle sale operatorie.
In attuazione alla normativa
nazionale e regionale nel corso del 2000 è stato previsto il
completamento del processo
di accreditamento delle strutture sanitarie, nel cui ambito
assume un particolare rilievo
la prevenzione delle infezioni
Sae l ute
Territorio 327
nosocomiali. In questa ottica
è stato elaborato un documento in cui sono stabiliti i
requisiti di minima per la prevenzione del rischio infettivo
in strutture di cura per acuti
(Circolare regionale n°1950 –
6 febbraio 2001). Gli standard
di riferimento proposti e
adottati dal Gruppo di lavoro
sono stati i seguenti:
standard 1
sono definite le responsabilità della direzione, dei dipartimenti e servizi nella gestione dei problemi di prevenzione del rischio infettivo
nelle strutture sanitarie.
standard 2
le misure preventive del rischio infettivo nelle strutture sanitarie sono gestite da strutture qualificate che elaborano, coordinano, attuano e valutano le attività annualmente proposte.
standard 3
la prevenzione del rischio infettivo è parte fondamentale nello sviluppo o modificazione dell’attività dei dipartimenti e servizi.
standard 4
esiste un programma annuale di attività che interessa tutta l’azienda con obiettivi definiti.
standard 5
esistono procedure di verifica all’attuazione delle misure preventive.
standard 6
sono presenti attività di sorveglianza delle infezioni nosocomiali metodologicamente corrette in relazione ai problemi identificati e agli
obiettivi annualmente scelti .I dati raccolti sono usati per il miglioramento delle condizioni di pazienti e operatori.
standard 7
è presente un rapporto annuale sulle attività svolte, trasmesso alla direzione della struttura sanitaria e sottoposto a verifiche da parte
dell’assessorato alla sanità.
standard 8
l’unità per la prevenzione del rischio infettivo ed il CIO hanno sufficienti risorse assegnate.
standard 9
viene fornita formazione a tutto il personale sulla prevenzione del rischio infettivo.
standard 10
l’organizzazione definisce indicatori che dimostrino la crescita nella prevenzione del rischio infettivo nella struttura sanitaria.
Ad oggi in quasi tutte le
Aziende sono state istituite
strutture operative (semplici
o complesse) per la prevenzione del rischio infettivo,
con nomina formale di un responsabile e si riscontra un
notevole impegno nell’adempimento di questi standard.
Nel corso del 2002 e 2003
una particolare attenzione è
stata rivolta allo sviluppo
dell’attività formativa con
l’organizzazione di corsi sul
corretto impiego degli antibiotici in ambito chirurgico
ed internistico, indirizzati ai
chirurghi ed agli internisti
degli ospedali regionali.
Sempre nel 2003 è stato inoltre realizzato, in collaborazione con il Dipartimento di
sanità pubblica e microbiologia dell’Università degli Studi
di Torino, un corso di perfezionamento sulla “Sorveglianza e controllo delle infe-
Linee guida per le misure di isolamento in ospedale (traduzione cdc)
zioni nosocomiali“, indirizzato a medici e infermieri
professionali.
A partire dal 1997 sono inoltre state rese disponibili a cura della Direzione regionale
sanità pubblica le seguenti linee-guida:
1998
Linee guida per la prevenzione infezioni da legionelle
1998
Linee guida per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (traduzione cdc)
1999
Linee guida per il controllo microbiologico di sala operatoria
1999
Organizzazione 2004
Dopo 5 anni di attività si è
provveduto ad una revisione
critica dell’attività svolta e alla luce delle osservazioni
emerse, si è reso necessario
apportare alcune modifiche,
orientate ad una migliore definizione delle strategie generali, alla promozione di una
forte azione di sostegno alle
Aziende e alla condivisione
delle scelte con i responsabili
aziendali per la prevenzione
delle infezioni nosocomiali.
Con una DGR (n° 58 -11904
approvata il 2 Marzo 2004) è
stato ridefinito il Gruppo di
lavoro regionale con l’inserimento dei responsabili per la
prevenzione delle infezioni
nosocomiali delle Aziende
ospedaliere, aspetto questo
ritenuto qualificante nell’ottica di creare una rete di referenti a livello locale.
Si è provveduto a definire 2
ambiti separati di intervento.
l ute
Sa
e
328 Territorio
Prevenzione
N. 147 - 2004
A) Commissione regionale permanente:
• valutazione dei programmi e dei rapporti annuali di attività delle ASL e ASO;
• predisposizione della relazione annuale sullo stato di attività nella Regione Piemonte;
• supporto delle ASL e ASO e del Gruppo di lavoro.
B) Gruppo di lavoro con le seguenti specifiche funzioni:
• predisposizione del programma di lavoro regionale in tema di infezioni ospedaliere;
• elaborazione degli atti di indirizzo alle ASL e ASO del Piemonte, necessari al governo e all’esercizio delle attività di sorveglianza, prevenzione e controllo , formazione, aggiornamento in tema di infezioni ospedaliere;
• messa a disposizione delle ASL e ASO del supporto scientifico, tecnico e metodologico necessario per l’identificazione delle priorità, per la formulazione dei programmi di attività per la realizzazione delle iniziative, per la valutazione di impatto delle attività realizzate.
Non è possibile allo stato attuale definire in quale percentuale gli interventi attuati abbiano indotto una diminuzione del rischio infettivo
nelle strutture ospedaliere.
Sulla base dei dati della lette-
ratura si evince che dove sono attivi sistemi di sorveglianza e controllo efficienti
ed efficaci tale rischio si abbassa significativamente.
Il percorso da seguire per il
raggiungimento di una situa-
zione ottimale in tutti i presidi ospedalieri richiede ancora notevoli sforzi ma, attraverso un’opera costante di
indirizzo, supporto e monitoraggio delle attività realizzate dalle Aziende, l’Assessora-
to ha svolto e svolge un ruolo
determinante nella prevenzione di una patologia che ha
ripercussioni rilevanti sulla
salute dei pazienti e sui costi
di gestione delle strutture
sanitarie.
Storia ospedaliera
N. 147 - 2004
Sae l ute
Territorio 329
La ristrutturazione
degli antichi Istituti
L’Ospedale civile di Venezia e il Museo
della Scuola Grande di S. Marco
Nelli-Elena Vanzan Marchini
Presidente C.I.S.O. - Veneto
D
al campo Santi Giovanni e Paolo si accede all’Ospedale Civile di Venezia attraversando il prezioso edificio rinascimentale della Scuola Grande di San Marco
la cui facciata fu edificata ad
opera di Pietro Lombardo e
Giovanni Buora e completata
da Antonio Rizzo e Mauro Coducci alla fine del Quattrocento. Come le altre Scuole
Grandi di Venezia, il complesso monumentale, all’epoca
della Serenissima, fu sede di
una confraternita laica con
scopi devozionali e di mutuo
soccorso, al suo interno si può
ammirare l’ampia sala del capitolo dove si riunivano i numerosi confratelli e la saletta
dell’albergo, in cui si conservava il tesoro della Scuola,
entrambi i locali hanno pavimenti alla veneziana e pregevoli soffitti lignei intagliati
dei primi decenni del Cinquecento. Dei due cicli pittorici
che abbellivano le pareti narrando vita e miracoli di San
Marco, e che facevano della
Scuola uno degli edifici più
pregevoli del Rinascimento1,
restano oggi solo alcuni telèri
di Iacopo e Domenico Tinto-
retto, una pala di Palma il
Giovane, cui si aggiunsero a
metà Novecento una annunciazione di Nicolò Renieri, le
nozze di Canaan del Padovanino di altra provenienza, nel
1996 i dipinti della saletta
dell’albergo sono stati rimossi
dalle pareti e trasportati alle
Gallerie dell’Accademia.
Con la caduta della Repubblica nel 1797, la Scuola Grande
di San Marco venne saccheggiata come tutti i simboli della Serenissima, le sue tele
vennero rimosse e fu trasformata in caserma . Nel 1808
divenne sede dell’Ospedale
militare dopo esser stata aggregata al vicino Ospedale di
San Lazzaro e Mendicanti.
Questo secondo edificio monumentale, costituito da due
chiostri quadrangolari divisi
dalla chiesa, fu eretto fra il
1601 e il 1631 su progetto di
Vincenzo Scamozzi. Nel 1595
infatti il Maggior Consiglio
aveva cercato di risolvere il
sempre più urgente problema
della mendicità utilizzando le
rendite dell’antico lebbrosario
nell’isola di S. Lazzaro, divenuto inutile per la scomparsa
della lebbra dall’Europa. Per-
ciò la nuova struttura per il
controllo sociale era sorta dal
trasferimento ai Santi Giovanni e Paolo dell’antico ospedale
di origine medievale. Ai due
complessi monumentali si aggiunse, dopo gli editti napoleonici che lo secolarizzarono,
anche il vasto monastero duecentesco dei Domenicani e nel
1819 tutta la vasta area
ospitò l’Ospedale Civile e da
allora ha continuato fino ad
oggi a fungere da polo nosocomiale di Venezia2.
Il patrimonio
A metà del Novecento la consapevolezza del valore artistico dell’edificio e il desiderio
di restituirlo all’antico splendore indussero i soprintendenti Moschini e Fogolari a ripristinare in situ le tele eseguite per quegli spazi. L’Ospedale vi collocò la sua biblioteca incrementata dai generosi lasciti dei medici3.
Oltre ai 18.000 volumi, attraverso i quali si può ripercorrere la storia dell’aggiornamento medico, il patrimonio dell’Ospedale veneziano comprende anche il ricco strumentario di circa 2000 pezzi
riuniti in trousses e serie che
dal XVIII° al XX secolo documentano le tecniche terapeutiche e le trasformazioni tecnologiche della cura. Nel fondo piante e progetti dell’OttoNovecento si registrano le mo-
dificazioni strutturali del nosocomio e anche i progetti
non realizzati fra cui quello
famosissimo di Le Corbusier
che costituirà uno dei punti di
attrazione del nuovo museo.
Le cartelle cliniche, le 850
pergamene dal XII al XVIII secolo, 277 preziose cinquecentine4, lastre fotografiche degli inizi del Novecento e un
museo anatomo-patologico
con relativo archivio che registra l’attività della sala
anatomica dal 1883 a oggi,
costituiscono i segmenti di
un unico grande ed eterogeneo patrimonio storico, archivistico e museale5.
La mostra
A conclusione dell’opera di
inventariazione del patrimonio storico-.archivistico e
strumentario, nel 1985 si è
allestita al primo piano della
Scuola Grande di san Marco,
nella grande Sala del Capitolo, la mostra permanente “La
memoria della salute. Venezia
e il suo ospedale dal XVI al XX
secolo” 6 che è stata ripristinata nel 2001 in occasione
della visita del Ministro della
salute. In essa sono esposti
gli esemplari più rari e pregevoli della biblioteca, dello
strumentario e alcune delle
piante che testimoniano le
trasformazioni strutturali e
scientifiche del complesso
ospedaliero.
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e
330 Territorio
Nel percorso espositivo risalta la serie di atlanti anatomici che illustrano la progressiva scoperta del funzionamento della macchina umana, e al
tempo stesso documentano la
secolare collaborazione fra
medicina e arte per fissare
con il disegno i segreti della
vita e dell’armonia del corpo.
Il funzionamento e l’uso degli
Storia ospedaliera
strumenti antichi di chirurgia
e medicina è illustrato da volumi e incisioni coeve, gli
stessi sui quali si aggiornavano i medici per meglio operare, scegliere e far acquistare
la strumentazione. La lenta
conquista dell’asepsi e dell’igiene è evidenziata dalle
piante dell’ospedale in cui
sempre maggior spazio viene
L’Ospedale di S. Maria della Scala
di Siena
Esther Diana
Centro di documentazione per la storia dell’assistenza
e della sanità fiorentina
P
er vicende storiche e per
specificità del progetto
di riuso architettonico
avviato intorno agli anni Settanta del 1900, il complesso
dell’ospedale di Santa Maria
della Scala di Siena è senza
dubbio uno degli interventi
di recupero e valorizzazione
di complessi monumentali fra
i più interessanti in ambito
italiano.
Un interesse che nasce per un
progetto che ha saputo trasporre le peculiarità socioculturali (ma anche economico-istituzionali) di un edificio
storico, da secoli protagonista
della formazione ed evoluzione della Città, in una realtà
funzionale contemporanea
dove ancora l’edificio (e quello che contiene e quello che
testimonia) riesce ad interloquire in perfetta simbiosi con
il contesto culturale e sociale
cittadino. Questa finalità, che
a prima vista può apparire
scontata all’interno di un
qualsiasi normale percorso
progettuale predisposto al
riutilizzo di un contenitore
storico, in realtà si è rivelata,
spesso, di difficile conseguimento conducendo piuttosto
a statici prodotti di musealizzazione completamente decontestualizzati ed avulsi dagli ambiti territoriali e sociali
di riferimento. Questo specialmente quando ci si trova ad
intervenire, come nel Santa
Maria della Scala, all’interno
di un “contenitore vuoto”
(ovvero senza più alcuna finalità specifica, in questo caso
nosocomiale) da ri-storicizzare mediante la musealizzazione di fondi artistici, testimonianze, apparati che, pur di
alto pregio, spesso non riescono a “fondersi” nell’ambiente
né a riproporne la formazione,
gli usi, le peculiarità.
N. 147 - 2004
riservato ai luoghi e agli strumenti della disinfezione.
Temporanee esposizioni hanno aperto al pubblico per periodi limitati le pergamene e
le opere rare del Cinquecento.
Dalla mostra permanente al
Museo
La Regione del Veneto, nella
consapevolezza del valore di
tale patrimonio e dell’importanza di conservarlo e valorizzarlo nella sua interezza e integrità, sta istituendo la Fondazione “Museo della Scuola
Grande di San Marco e della
sanità” che costituirà il polo
culturale della storia della sanità veneziana e si porrà in
sistema con altre presenze
museali del territorio.
È anche vero, tuttavia, che
proprio per essere struttura
ospedaliera dismessa, l’intervento non ha dovuto superare quelle che per altre strutture ancora in parte attive
sul piano sanitario (ed è
quanto ad esempio sta accadendo per l’ospedale di Santa
Maria Nuova di Firenze)7 rappresentano impasses più pertinaci, più cariche di implicazioni negative per l’ottimale
raggiungimento dei fini. Ci si
riferisce alle problematiche
inerenti a come coniugare un
impianto ospedaliero “antico” ad una organizzazione
funzionale di spazi sanitari di
impronta moderna; o, ancora,
a come e quanto e per quale
tipologia d’utenza rapportare
certi ambienti legati all’attività nosocomiale con altri più
specificatamente demandati
alla contestualizzazione museale del complesso.
Indubbiamente aver potuto
soprassedere a questi problemi ha contribuito alla fortuna
della riconversione architettonico- culturale del complesso del Santa Maria della Scala.
Ripercorriamone la storia
progettuale iniziando da una
breve sintesi storica sull’ospedale di cui viene annotata
l’esistenza – in forma di xenodochium et hospitalis – già in
un documento del 10908.
Voluto dai Canonici del Duomo l’edificio – costruito proprio a fronte della Cattedrale
– fu sottoposto ad una gestione religiosa fino al 1195,
anno in cui iniziò la sua progressiva laicizzazione passando prima al governo dei frati
che operavano a servizio degli infermi e poi, nel 1404 al
Comune di Siena. L’istituzione fin dal suo esordio si caratterizzò per la ricchezza del
patrimonio immobiliare che
riuscì ad accumulare grazie
agli ingenti lasciti di famiglie
facoltose e a numerose donazioni ed elemosine. Una fortuna economica che poté avvalersi di una salda organizzazione istituzionale tanto
da rappresentare lo statuto
dell’ospedale di fine Trecento
modello di riferimento per
Galeazzo Visconti e per Francesco Sforza per la riforma
degli ospedali da attuarsi nello Stato milanese. In ambito
urbano, la costruzione dell’ospedale era iniziata in tono
Storia ospedaliera
N. 147 - 2004
dimesso: in origine, infatti,
occupava un’area ristretta a
ridosso delle mura e solo verso i primi decenni del Trecento riusciva a definirne più
compiutamente la struttura
mediante l’applicazione di un
modello architettonico che
assurgerà a primario elemento di qualificazione strutturale. Nel 1327-’28 (in analogia
con quanto da poco realizzato nel fiorentino Santa Maria
Nuova) veniva edificato il
Pellegrinaio, ovvero una corsia per gli infermi a navata
rettangolare a cinque campate di esplicito riferimento a
tipologie assistenziali nord
europee9. Accorpato alla più
antica Cappella duecentesca
detta dello Spedale, il Pellegrinaio divenne l’asse su cui
si assestarono i successivi
ampliamenti del complesso,
soprattutto di matrice quattrocentesca.
Molti dei più famosi artisti senesi lavorarono all’interno del
Santa Maria della Scala assegnandogli insieme al Duomo,
il ruolo di privilegiato polo di
propulsione culturale. Una
prerogativa che si accentuò
con l’acquisto nel 1357 di un
cospicuo patrimonio reliquiario proveniente da Bisanzio
che decretò un ancora più incisivo ascendente dell’istituzione sulla società e religiosità della città. Le reliquie,
procurarono infatti un accrescimento del prestigio che si
tradusse in privilegi concessi
dal Comune e dal Vescovo e,
in pratica, in una crescita ulteriore del suo patrimonio finanziario. La storia strutturale dei secoli a noi più prossimi
è quella comune un po’a tutti
gli ospedali che, nel tempo,
hanno dovuto coniugare le
preesistenze storiche con le
esigenze di una sanità di
chiave moderna. I risultati
sono stati quegli accorpamenti, superfetazioni, ampliamenti indifferenziati che
– come nel Santa Maria della
Scala – sopraffacendo il modello originario ne hanno disperso a livello visivo, e spesso anche a livello di percorsi,
la trama architettonica primitiva. In tale ambito, il primo
approccio al recupero della
struttura è quello del ripristino della sua immagine originaria da attuarsi attraverso la
distinzione delle diverse parti
storiche, la loro datazione e
restauro.
Il progetto di recupero dell’ospedale senese viene a concretizzarsi alla fine degli anni Settanta a seguito della
dismissione del ruolo nosocomiale a favore del nuovo Policlinico Le Scotte ed è attualmente ancora non pienamente realizzato in sintonia con
la volontà di costituire un
centro espositivo di concerto
con le progressive necessità
culturali della città10. La vastità della struttura (circa
350.000 metri cubi) infatti è
venuta incontro all’intento –
che si è dimostrato la carta
vincente del progetto – di
creare un complesso museale
“aperto” realizzato per “gemmazione” di parti espositive,
di associazione e di formazione costituitesi in più tempi (sia a livello di costruzione
storica, sia di recupero delle
strutture originarie attraverso il restauro e/o la demolizione delle costruzioni non
rilevanti dal punto di vista
storico). Il poter fruire di
spazi secondo tempi differenziati (in sintonia con le
dismissioni delle funzioni
nosocomiali) ha permesso di
finalizzare le destinazioni
d’uso in relazione alle necessità via via contingenti. In
sintesi, un “contenitore” per
attività culturali ancora in
fieri.
Un’altra peculiarità del progetto consiste nella sua gestione distinta grossolanamente in due fasi: la prima
(1986) vede nel Comune di
Siena il principale promotore
dell’iniziativa. È il periodo in
cui viene bandito un concorso propositivo di recupero
della struttura che presceglie
l’elaborazione concertata da
Guido Canali. Un secondo
momento “nasce” nel 1998
quando viene costituita l’Istituzione Santa Maria della
Scala la quale – dotata di un
Rettore, un Comitato scientifico e un Consiglio d’amministrazione e sempre in collegamento con l’Amministrazione comunale – diventa la
responsabile delle priorità
del programma.
Nel 1995 viene aperto al
pubblico il primo settore rappresentato dal nucleo storico
“centrale” costituito da una
serie di ambienti affrescati
da cicli pittorici rilevanti
(Cappella del Manto, Pellegrinaio, Cappella della Madonna, Cappella del Sacro
Chiodo o Sagrestia Vecchia
sede delle reliquie, chiesa
della SS. Annunziata) prettamente attinenti alla storia
dell’ospedale e dalla sede del
Museo archeologico ricavato
nel sottosuolo della struttura. Ovvero in quel labirinto
sotterraneo di stanze e magazzini scavati nel tufo per
essere adibiti a deposito di
merci e vari servizi. Altri am-
Sae l ute
Territorio 331
bienti a latere del Pellegrinaio sono stati indirizzati invece a esposizioni temporanee (Sale di S. Carlo Alberto,
S. Pio, S. Giuseppe, e S. Leopoldo) e alla sede della Civiltà figurativa senese comprendente testimonianze dei
pittori Duccio di Buoninsegna e Simone Martini oltreché ad esemplari di arti cosiddette minori – ma non per
interesse – quali oggetti di
oreficeria, miniatura, scultura lignea. L’apertura progressiva di ambienti adibiti a mostre temporanee e convegni
(in parte già allestiti nei restaurati Magazzini della Corticella e nei locali della Compagnia di Santa Caterina della Notte11) contribuiranno ad
autofinanziare il progetto di
recupero generale del complesso che contempla anche
la ristrutturazione dei limitrofi Palazzo del Rettore e
Palazzo Squarcialupi, sedi di
biblioteche e di laboratori di
restauro nonché di spazi destinati alla ristorazione.
Se l’antico ospedale per le sue
peculiarità di assistenza, protezione, cura dei corpi ma anche sollievo e riparo per le
componenti sociali più neglette rappresentava un microcosmo urbano dai molteplici riferimenti culturali, il
Santa Maria della Scala di oggi pare averne riassunto gli
intenti attraverso una riproposta strutturale e culturale
del suo complesso che non
scegliendo la strada della musealizzazione delle sole matrici sanitarie si è prestato a
divenire contenitore di tutto
ciò che nella nostra società
viene concepito come il culturalmente utile, il bello, il
formativo per eccellenza.
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332 Territorio
Storia ospedaliera
N. 147 - 2004
Note
1
William R. Rearick, La Scuola Grande di San marco: la tradizione artistica del passato e le prospettive future, in La Scuola Grande di
San Marco. I saperi e l’arte, a cura di Nelli-Elena Vanzan Marchini,
Treviso Canova 2001, pp. 33-55.
2
Per la storia della sanità della Repubblica di Venezia, rinvio al mio
volume I mali e i rimedi della Serenissima, Vicenza, Neri Pozza
1995 nonché al repertorio: Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia da me curato in quattro tomi (I, II, Neri Pozza, Vicenza 1995,
1998; III, IV, Canova, Treviso 2000, 2003) ; per le relazioni fra la
storia del nosocomio veneziano e gli altri ospedali cittadini: N.E.
Vanzan Marchini, San Servolo e Venezia. Un’isola e la sua storia,
Cierre, Verona 2004.
3
Nelli-Elena Vanzan Marchini, Dalla Biblioteca “selecta” dei Domenicani alla biblioteca medica della Scuola Grande di san Marco, in La
Scuola Grande di San Marco..., cit., pp. 65-78.
4
Il catalogo delle cinquecentine curato da Lara Spina è pubblicato
in La Scuola Grande di San Marco..., cit., pp. 99-237.
5
N.E.Vanzan Marchini, L’Ospedal dei veneziani. Storia-patrimonioprogetto, Venezia 1986.
6
Comune di Venezia, La memoria della salute. Venezia e il suo ospedale dal XVI al XX secolo, a cura di N.E. Vanzan Marchini, Venezia
1985.
7
L’ospedale è attualmente oggetto di un piano di riqualificazione
dei servizi sanitari comprensivo di un progetto di allestimento per
una “Raccolta del patrimonio artistico e scientifico di Santa Maria
Nuova” da costituirsi nel settore monumentale del complesso.
8
Per approfondimenti sulla storia dell’ospedale, G. Sanesi, L’origine
dello Spedale di Siena e il suo più antico Statuto, Siena 1898; V.
Lusini, Note storiche sulla topografia di Siena nel sec. XIII, Bullettino Senese di Storia Patria, XXVIII, 1921, pp. 239-341; G. Cantucci, Considerazioni sulle trasformazioni urbanistiche nel centro di
Siena, Bullettino Senese di Storia Patria, III serie, XX, 1961, pp.
251-262; D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale di Santa Maria della
Scala in Siena, vicenda di una committenza artistica, Pacini Ed.,
Pisa, 1985.
9
Sull’esistenza di due sale longitudinali preesistenti al Pellegrinaio
dedite al ricovero degli ammalati femminili e maschili, D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale…, op. cit., p. 70. La fisionomia architettonica definitiva del Pellegrinaio si realizza nel 1380 mentre il ciclo
di affreschi dipinti da Domenico di Bartolo, Lorenzo Vecchietta e
Priamo della Quercia vennero ideati dallo Spedalingo Francesco
Buzzichelli tra il 1434 e il 1444. Il ciclo che rappresenta Storie dell’istituzione e la vita quotidiana all’interno dell’ospedale si svolge
su quattro delle sei campate quattrocentesche.
10
Sul programma di recupero, E. Toti, Il Santa Maria della Scala di
Siena. Da ospedale a centro d’arte internazionale, in L’antico ospedale di Santo Spirito. Dall’istituzione papale alla sanità del terzo
millennio, Atti del Convegno tenutisi a Roma, dicembre 2001, II,
pp. 397-408.
11
Lo spazio complessivo aperto al pubblico è attualemente di oltre
9.000 metri quadrati, E. Toti, Il Santa Maria…, op. cit., p. 405.
N. 147 - 2004
Documento a cura
dei Componenti
del Consiglio Direttivo
della Associazione
InterRegionale Trapianti AIRT
Franco Filipponi
(Presidente AIRT)
Pier Maria Fornasari
(Vicepresidente AIRT)
Massimo Maccherini
(Segretario AIRT)
Provincia Autonoma
di Bolzano: Karl Kob, Peter
Zanon
Valle D’Aosta: Monica
Meucci, Piero Gaillard
Piemonte: Giuseppe
Segoloni, Maria Maspoli,
Pier Paolo Donadio, Sergio
Baldi, Mauro Salizzoni,
Maurizio Stella
Emilia-Romagna: Lorenza
Ridolfi, Andrea Buscaroli,
Enzo Capocasale, Mario
Mergoni, Antonio D. Pinna
Toscana: Alberto Zanobini,
Vittorio Fossombroni, Giulio
Nicita, Gaetano Rizzo
Puglia: Francesco P. Schena,
Michele D’Ambrosio, Michele
Battaglia, Loredana De Fazio,
Biagio Favonio, Luigi Lupo
1
www.gazzettaufficiale.it
Spazio Toscana
Sae l ute
Territorio 333
Regionalizzazione
della sanità in tema
di donazione
e trapianto di organi
Premessa
La legge 91 del 1° aprile
19991 ha sancito un sistema
di coordinamento delle attività nazionali di donazione e
trapianto di organi e tessuti
articolato su quattro livelli e
rappresentati, rispettivamente, dal Centro Nazionale Trapianti (CNT), dai Centri Interregionali di Riferimento
(CIR), dai Centri Regionali per
i Trapianti (CRT), e dai Coordinamenti Locali, a carattere
aziendale od interaziendale.
I CIR – rappresentati dal Nord
Italia Transplant program
(NITp), dall’Associazione InterRegionale Trapianti (AIRT)
e dall’Organizzazione Centro
Sud Trapianti (OCST) – traggono la loro origine dalla storia organizzativa delle singole reti operative interregionali, così come esse si sono venute a costituire nel corso
degli anni. Le disposizioni di
cui alla legge 91/1999, oltre
a riconoscerne l’identità culturale ed il ruolo scientifico,
assegnano ai CIR le funzioni
operative di soggetti istituzionali, essendo essi l’espres-
sione della complessa rete di
accordi sottoscritti tra le amministrazioni regionali o stipulati su base convenzionale
fra la struttura sanitaria sede
del CIR e le regioni interessate. Inoltre, sulla base di accordi intervenuti tra il Ministero della Salute, le Regioni
e le Province autonome di
Trento e Bolzano, sono stati
individuati i bacini di utenza
minimi, riferiti alla popolazione, comportanti l’istituzione dei CIR. Tali indicazioni
sono state accolte dalla legge
91/99, ai sensi dell’articolo
10, comma 21. Le funzioni dei
CIR dipendono dalla tipologia
e dai contenuti degli accordi
costitutivi, ed includono, a
seconda degli stessi, la gestione delle liste di attesa,
l’allocazione degli organi, la
gestione delle richieste urgenti, il coordinamento complessivo nell’area di competenza, od anche la legiferazione con valenza istituzionale, attraverso l’istituzione
di organismi competenti,
consigli direttivi o gruppi
tecnici di lavoro.
In virtù delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione, la tutela della salute
e l’organizzazione dei servizi
di assistenza socio-sanitaria
sono stati devoluti in maniera concorrente alle Regioni,
con il compito di adottare al
loro interno il modello organizzativo più adeguato alla
realtà regionale ed alle necessità della popolazione di assistiti. Recependo tali principi,
la Conferenza permanente
per i rapporti Stato-Regioni
del 14 febbraio 20022 ha fissato, di comune accordo tra il
Ministero della salute, le Regioni e le Province autonome:
• i principi per l’individuazione delle strutture idonee ad effettuare trapianti
di organi e di tessuti;
• gli standard condivisi di
qualità in funzione dei tipi
di trapianti;
• gli standard minimi di attività annuale;
• le attività di verifica sul
conseguimento dei prescritti standard;
• i principi di attivazione dei
nuovi centri di trapianto;
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334 Territorio
• le attività di verifica affidate al CNT;
• le procedure di trapianto
sperimentale.
La Conferenza Stato-Regioni
ha conferito, quindi, alle Regioni e Province autonome
l’autorità di procedere all’autorizzazione di nuovi centri
trapianto, al rinnovo od alla
revoca della stessa, sulla base
delle linee-guida e dei requisiti tecnici indicati dal CNT in
accordo con il Consiglio Superiore di Sanità. Tale Conferenza ha individuato gli standard
minimi di attività annuale per
i centri di trapianto in:
• 30 trapianti di rene da cadavere;
• 25 trapianti di fegato da
cadavere;
• 25 trapianti di cuore da cadavere;
• 15 trapianti di polmone da
cadavere,
specificando come, ai fini di
un significativo contenimento dei costi, lo standard annuale di attività deve essere
almeno doppio rispetto ai minimi previsti2.
La Conferenza permanente
Stato-Regioni del 29 aprile
2004 3 ha, inoltre, fissato le
tipologie di trapianto di organi per le quali è possibile definire standard di qualità relativi all’assistenza dei pazienti. La stessa Conferenza4
ha altresì fissato in dettaglio,
sulla base di quanto proposto
dal CNT e dal Consiglio Superiore di Sanità e di quanto
2
Spazio Toscana
sancito dalla precedente Conferenza del 14 febbraio 2002,
i criteri relativi:
• all’idoneità ad effettuare
trapianti ed ai parametri di
qualità di funzionamento
in relazione al reperimento
ed alla disponibilità di organi e tessuti;
• alla programmazione delle
attività di trapianto in
coerenza con gli standard
relativi ai centri individuati dalle Regioni e dalle Province autonome come
strutture idonee per i trapianti di organi e tessuti;
• alla valutazione di indicatori di efficienza, della
qualità dei risultati e della
qualità dell’organizzazione
regionale per la donazione
degli organi.
Con riferimento ai criteri d’idoneità ad effettuare trapianti ed ai parametri di
qualità di funzionamento
in relazione al reperimento
ed alla disponibilità di organi e tessuti, la suddetta
Conferenza permanente
Stato-Regioni ha sancito
che:
• le équipes mediche, responsabili dell’attività di
trapianto, devono possedere la necessaria competenza attestata da specifica documentazione di servizio, dall’elenco dei trapianti dei quali si è avuta
la responsabilità terapeutica, da documentato curriculum comprendente la
personale casistica di ciascuno dei componenti. Tale documentazione riguarda non solo le équipes chirurgiche, ma tutte le équipes direttamente responsabili della cura del paziente nelle diverse fasi
dell’attività trapiantologica. Tale documentazione
viene raccolta dall’Azienda
sanitaria sede dell’attività,
verificata dall’Assessorato
alla Sanità e sottoposta a
rivalutazione biennale.
Appare opportuno ricordare
in questa sede che precedenti
esperienze cliniche hanno dimostrato come la non frammentazione della casistiche
consenta di migliorare il rapporto costo-efficacia e la qualità assistenziale dell’attività
di trapianto, con particolare
riferimento al trapianto di fegato da donatore cadavere5, e
come analoghe considerazioni siano state espresse dalla
Commissione incaricata dal
Consiglio Superiore di Sanità
di eseguire gli audits presso i
centri di trapianto di fegato
presenti sul territorio nazionale6.
Recenti raccomandazioni UE,
la Conferenza permanente
Stato–Regioni del 29 aprile
20044, nonché i piani sanitari nazionali e regionali, hanno accolto il principio funzionale in base al quale il
percorso assistenziale del
paziente deve essere perseguito come obiettivo priori-
N. 147 - 2004
tario e quest’ultimo incentrato sulla patologia d’organo, in maniera da garantire
al paziente stesso di usufruire di quella multidisciplinarietà indispensabile per l’ottenimento dei migliori risultati conseguibili e dell’assistenza più adeguata. Il concetto di un’assistenza sanitaria basata sui processi e
sui percorsi rende desuete
strutture trapiantologiche
dedicate indifferentemente a
tutti o più organi, mentre
consiglia l’istituzione di Dipartimenti e/o Unità Operative dedicati alla patologia
d’organo ed in cui si concentrino le necessarie e comprovate 4 competenze multidisciplinari. In ambito trapiantologico, quindi, si possono
identificare tre indirizzi:
• un indirizzo epato-gastroenterologico, che preveda attività trapiantologica epatica e/o intestinale e chirurgia epato-biliare;
• un indirizzo cardio-polmonare per il trapianto di organi toracici e chirurgia
correlata;
• un indirizzo nefro-diabetologico per il trapianto di
rene, pancreas e rene-pancreas e chirurgia correlata.
Il presente documento illustra i risultati della valutazione condotta in ambito
AIRT dei programmi di trapianto attivi, al fine di fornire elementi di giudizio e/o
Accordo tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui requisiti delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e tessuti e sugli standard minimi di attività di cui all’art. 16, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91.
3 Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 29 aprile 2004, repertorio atti 1942.
4 Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 29 aprile 2004, repertorio atti 1966.
5 Filipponi F., Pisati R., Cavicchini G., Ulivieri MI., Ferrara R., Mosca F. Cost and outcome analysis and cost determinants of liver transplantation in a European National Health Service hospital. Transplantation 2003; 75(10): 1731-6.
6 Relazione finale della Commissione sugli audit ai Centri Trapianto di fegato italiani. Roma, 18 giugno 2003.
N. 147 - 2004
Spazio Toscana
Sae l ute
Territorio 335
Fig. 1 - Panorama dei centri
trapianto, CRT e CIR in AIRT.
raccomandazioni tecniche ad
uso degli Assessorati alla Sanità/Salute delle regioni
AIRT in merito all’autorizzazione di nuovi centri di trapianto od al rinnovo della
stessa per i centri preesistenti. Le attività di donazione e
di trapianto in oggetto saranno riferite in termini assoluti e pmp (per milione di
persone).
Attività AIRT 2004
Alla data del 31 dicembre
2003 la popolazione delle regioni AIRT faceva registrare
16.299.083 abitanti. Tale valore è stato utilizzato per il
computo delle attività di donazione e trapianto qui di se-
guito riferite. La tabella 1 illustra in dettaglio il numero
assoluto e pmp di donatori
segnalati, effettivi ed utilizzati nelle regioni AIRT ed il
confronto con le attività del
NITp, dell’OCST e nazionali.
Nell’AIRT sono autorizzati
(figura 1):
• 11 centri trapianto di rene,
di cui: 3 in Emilia-Romagna (Bologna, Modena e
Parma); 3 in Piemonte di
cui 2 per adulti ed 1 per
pediatrici (Torino, Novara); 3 in Toscana (Firenze,
Pisa, Siena); 2 in Puglia
(Bari, Lecce).
• 5 centri trapianto di fegato, di cui: 2 in Emilia-Romagna (Bologna, Modena);
•
•
•
•
1 in Piemonte (Torino); 1
in Toscana (Pisa); 1 in Puglia (Bari).
3 centri trapianto di pancreas e rene-pancreas, di
cui: 1 in Emilia-Romagna
(Parma); 1 in Piemonte (Torino); 1 in Toscana (Pisa).
5 centri trapianto di cuore,
di cui: 1 in Emilia-Romagna (Bologna); 2 in Piemonte di cui 1 per adulti
ed 1 per pediatrici (Torino); 1 in Toscana (Siena);
1 in Puglia (Bari).
3 centri trapianto di polmone, di cui: 1 in EmiliaRomagna (Bologna); 1 in
Piemonte (Torino); 1 in Toscana (Siena).
1 centro trapianto di inte-
stino in Emilia-Romagna
(Bologna in collaborazione
con Modena).
La tabella 2 illustra in dettaglio il numero di trapianti da
donatore cadavere eseguiti in
AIRT per tipologia di organo
e per centro di trapianto, ed
il confronto con l’attività
NITp, OCST e nazionale.
Considerazioni
Nonostante la regionalizzazione dell’assistenza sanitaria, la programmazione delle
attività di trapianto di organi
deve sempre tener presente la
necessaria afferenza a programmi interregionali e nazionali, al fine di garantire la
sicurezza del paziente in si-
l ute
Sa
e
336 Territorio
Spazio Toscana
tuazioni di urgenza. In tali situazioni, infatti, ogni programma di trapianto beneficia
della partecipazione all’attività della rete nazionale e di
quelle sovranazionali. La trapiantologia è da considerarsi
oggigiorno una pratica inseri-
ta a pieno titolo nel panorama
delle attività del SSN. L’autorizzazione di nuovi centri trapianto od il rinnovo dell’autorizzazione di centri preesistenti deve tener conto, oltre
che dei livelli assoluti di attività, di parametri quali:
Donatori segnalati
N. 147 - 2004
• i livelli donativi esistenti
nella regione di appartenenza;
• il bacino d’utenza ed il fabbisogno regionale di trapianto per tipo di organo;
• l’esistenza di modelli organizzativi adeguati e dedi-
Donatori effettivi
cati all’implementazione
della donazione e del trapianto;
• l’adeguatezza delle risorse
disponibili e delle strutture sanitarie;
• il livello di qualità, di costo-efficacia e di costo-ri-
Donatori utilizzati
N
pmp
N0
pmp
N
pmp
Emilia-Romagna
214
53,7
120
30,1
114
28,6
28,4
Piemonte-Valle d’Aosta
222
51,2
127
29,3
123
Puglia
74
18,4
34
8,5
34
8,5
Tabella 1 - Attività di donazione
Toscana
220
63
127
36,3
109
31,2
nelle regioni AIRT e confronto
Prov. Bolzano
25
54
16
34,6
15
32,4
con NITp, OCST e Italia.
AIRT
754
46,3
423
26
395
24,2
NITp
644
35,3
466
25,5
425
23,3
OCST
622
27,7
311
13,9
300
13,4
Italia
2021
35,4
1201
21,1
1120
19,7
Rene
N
Emilia-Romagna 143
Fegato
Pancreas
pmp
N
pmp
N*
pmp
35,9
106
26,6
1
0,25
Cuore
Polmone
Intestino
N
pmp
N
pmp
N
pmp
43
10,8
1
0,25
7
1,7
Bologna
77*
74$
-
43£
1
7
Modena
26**
32&
-
-
-
-
-
1#
Parma 40***
Piemonte
169
38,9
145
33,4
0
0
16
3,7
9
2,1
-
Torino
104¢
145§
0
16
9ª
-
Novara
65¥
-
-
-
-
-
Toscana
-
Tabella 2 - Attività di trapianto
Firenze
163
46
-
-
-
-
-
da donatore cadavere in AIRT
Pisa
61b
99
44
-
-
-
Siena
56c
-
-
18
6
-
-
3
-
-
Puglia
76
Bari
Lecce
46,7
18,9
99
19
28,3
4,7
44
12,6
18
5,1
0,74
6
1,7
75d
19
-
3
-
-
1
-
-
-
-
-
AIRTe
551
33,8
369
22,6
45
2,7
80
4,9
16
0,98
7
NITpe
652
35,7
370
20,2
45
2,4
190
10,4
60
3,3
-
OCSTe
514
22,9
230
10,1
3
0,1
73
3,2
4
0,18
-
Italiae
1718
30,1
969
17
93
1,6
343
6
80
1,4
7
e confronto con NITp, OCST
e Italia.
0,4
0,1
*di cui 3 rene doppio; 7 fegato-rene; 2 cuore-rene; ** di cui 9 rene doppio ed 1 fegato-rene; ***di cui 4 rene doppio ed 1 rene pancreas;$di cui 7 fegato-rene ed 1 fegato split; &di cui 1 fegato-rene;# rene-pancreas;£ 2 cuore-rene;¢di cui 4 rene doppio e 4 fegato-rene; ¥di cui 3 rene doppio; §di cui 21
split e 4 fegato-rene;ª di cui 4 polmone doppio; bdi cui 26 rene-pancreas e 13 rene doppio; cdi cui 7 rene doppio; ddi cui 3 rene doppio; etotale pazienti.
N. 147 - 2004
sultato raggiunti dai centri
di trapianto;
• l’esistenza di percorsi assistenziali funzionali basati
sulla patologia d’organo;
• le capacità didattico-formative dei centri trapianto.
Con riferimento ai principi
sanciti dalla Conferenza permanente Stato-Regioni del 29
aprile 20044, tutti gli specialisti del settore trapiantologico debbono avere una comprovata esperienza clinica
specifica di settore, ma per
gli operatori chirurghi è necessario riconoscere l’esistenza di livelli minimi di soglia
in termini di procedure eseguite e certificate quale primo operatore. Per tali ragioni, il responsabile dell’attività trapiantologica dovrebbe
possedere una documentata
esperienza nella gestione clinica ed un’attività operatoria
certificata quale primo operatore, pari ad almeno:
• 50 procedure per il trapianto di fegato;
• 25 procedure per il trapianto di rene;
• 30 procedure per il trapianto di cuore;
• 30 procedure per il trapianto di pancreas;
• 10 procedure per il trapianto di polmone;
• 10 procedure per il trapianto di intestino.
Sulla base dei risultati delle
casistiche raccolte, l’AIRT
presenta un panorama trapiantologico assai articolato
in termini qualitativi e quantitativi, con attività consolidate per il fegato, il pancreas, il rene, il rene-pancreas, il cuore e l’intestino.
In particolare:
• la numerosità dei centri
trapianto di rene appare
Spazio Toscana
attualmente sufficiente all’utilizzo della donazione
presente;
• per quanto concerne il trapianto di fegato, ogni regione AIRT è dotata di almeno un centro, mentre in
Emilia-Romagna esistono
due centri di trapianto
(Bologna e Modena). I
Centri trapianto di Torino,
Pisa e Bologna si collocano
tra i primi cinque centri
trapianto di fegato italiani
per attività nel biennio
2003-2004, con livelli qualitativi elevati, come testimoniato dagli audits ministeriali 4. In particolare, i
livelli di attività dei centri
trapianto di fegato di Torino, Pisa, Bologna e Modena – ove il numero annuale di trapianti effettuati è
superiore alla soglia minima prevista – consentono
un ottimo rapporto costoefficacia, nonché possibilità di formazione per gli
operatori.
• Per quanto concerne il
trapianto di pancreas e rene-pancreas, in ambito
AIRT viene eseguita la
quota parte più rilevante
dell’intera attività nazionale, presso il centro di
Pisa. Oltre a quello toscano, sono presenti un centro in Emilia-Romagna
(Parma) ed un centro in
Piemonte (Torino). Le prospettive future consistono
in un potenziamento dei
centri già esistenti, oppure nell’istituzione di nuovi
centri nel caso in cui non
si attivino operativamente
quelli già autorizzati, nel
rispetto dei livelli minimi
di attività.
• Il programma di trapianto
di intestino è oggigiorno
un programma nazionale
sperimentale che prevede
un centro trapianti per
ogni raggruppamento interregionale. In AIRT il
centro trapianti di intestino ha sede in Emilia-Romagna (Bologna, Modena). In virtù del bacino di
utenza e del fabbisogno
reale, nonché in base al
carattere nazionale e sperimentale del programma
che vuole la sua autorizzazione demandata a livello
ministeriale centrale, non
si intravede la necessità di
ulteriori centri in sede
AIRT.
• L’attività dei programmi di
trapianto di organi toracici
è numericamente la più
debole in ambito AIRT, con
un solo centro di trapianto
di cuore (Bologna) con attività superiore al livello
soglia ed i centri di trapianto di polmone tutti al
di sotto dei livelli minimi.
L’attività di donazione in ambito AIRT appare una delle
più rilevanti a livello nazionale, con tre regioni – la Toscana, il Piemonte e l’EmiliaRomagna – tra le prime cinque per numero di donatori
effettivi ed utilizzati tra
quelle con una popolazione
superiore ai tre milioni di
abitanti, e tra le prime in Europa. Unica eccezione è rappresentata dalla Puglia, i cui
livelli donativi appaiono in
calo, così come le attività di
trapianto, che per alcuni organi sono al di sotto dei livelli minimi raccomandati.
Con riferimento alle raccomandazioni nazionali ed internazionali ad una pratica
trapiantologica attenta al
Sae l ute
Territorio 337
percorso assistenziale ed alla
patologia d’organo, si fa presente che in sede AIRT esistono numerose esperienze di
Dipartimenti ed UU.OO. dedicate ai trapianti secondo la
tipologia d’organo (Torino,
Bologna, Modena, Pisa) e osservanti del percorso assistenziale del paziente.
Raccomandazioni
• L’obiettivo principale dell’attività trapiantologica
deve consistere nel perseguimento della sicurezza
del paziente e della qualità delle prestazioni offerte. Laddove i livelli di
attività di trapianto fossero significativamente inferiori a quanto raccomandato dalla Conferenza
permanente Stato-Regioni, si raccomanda di non
procedere al rinnovo dell’autorizzazione del centro in oggetto.
• Al fine di perseguire una
concreta ottimizzazione
delle risorse è auspicabile
la messa in opera di valutazioni di costo-efficacia e
costo-risultato attraverso
indagini regionali sui costi
delle strutture trapiantologiche correlate ai livelli
di attività e di risultato.
• Appare necessario attuare
correttivi finalizzati al potenziamento dei programmi di trapianto degli organi toracici.
• Con riferimento al trapianto di pancreas, occorre potenziare i centri esistenti
per consentire il raggiungimento degli standards
raccomandati oppure autorizzarne di nuovi.
• La numerosità dei centri
trapianto di fegato è oggi
l ute
Sa
e
338 Territorio
sufficiente all’utilizzo della donazione degli organi
prodotti nell’area. Peraltro, nei centri del Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana sono già presenti le
potenzialità per l’utilizzo
di un auspicabile aumento
dei livelli donativi.
Spazio Toscana
• I centri trapianto di rene
appaiono sufficienti. Qualora non si raggiungano i
livelli minimi di attività si
raccomanda di non rinnovare l’autorizzazione e di
procedere all’apertura di
nuovi centri in numero
equivalente, previo rispet-
to degli standards strutturali previsti dalle linee guida della Conferenza permanente Stato-Regioni e
del possesso dei requisiti
necessari da parte degli
operatori autorizzati.
• Si raccomanda l’istituzione
di Dipartimenti trapianto-
N. 147 - 2004
logici dedicati al percorso
assistenziale del paziente,
secondo quando precedentemente indicato.
• Si raccomandano percorsi
formativi idonei e coerenti
degli operatori sanitari dedicati alle attività trapiantologiche.
Il miglioramento delle condizioni
di salute delle popolazioni
attraverso l’integrazione
delle conoscenze e degli interventi
I PIANI INTEGRATI
DI SALUTE
L’esigenza di una conoscenza
adeguata della realtà sociale, sanitaria,
ambientale e della zona
espressa dalla “immagine di salute”
Il modello formativo
Monografia a cura di Maria Grazia Petronio e Canio Lomuto
l ute
Sa
e
340 Territorio
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
L’immagine
Il risultato di una valutazione condivisa delle emergenze
soggettive della popolazione. Dalla selezione e gerarchizzazione
alle azioni di intervento per la definizione di
Struttura
e contenuti
del PIS
Canio Lomuto
Agenzia regionale di sanità
della Toscana - ARS - Firenze
I
collaborazione fattiva con
l’Azienda USL, dove non sia
sperimentata la SdS (vedi art.
di A. Serino La disciplina di
riferimento).
Migliorare la salute implica
modificare lo stato dei fattori
che la determinano, fattori
che incidono su quelle condizioni, come il benessere, l’assenza di malattia, la qualità
della vita, la competenza a
star bene, che della salute
rappresentano gli aspetti
concreti. Questi fattori sono
sia di tipo sanitario, disponibilità, accessibilità e qualità
dei servizi, sia, soprattutto,
extrasanitari: condizioni sociali, economiche, stili di vita, stato dell’ambiente. Il PIS
l Piano integrato di salute
(PIS) è lo strumento della
programmazione locale, le
cui strategie e politiche hanno come finalità il miglioramento della salute della popolazione.
Le politiche del PIS si concretizzano mediante interventi,
realizzati sulla base di progetti con obiettivi specifici e
misurabili coerenti con la finalità generale. Il PIS si articola quindi in progetti.
L’ambito di realizzazione del
PIS è il territorio della zonadistretto: sono gli enti locali
ad avere, perciò, la responsabilità politica del Piano o attraverso la Società della salute (SdS) o in un rapporto di
dovrà perciò prevedere interventi su una molteplicità di
fattori che interagiscono fra
di loro, il cui controllo dipende spesso da soggetti diversi e settori diversi dell’amministrazione pubblica. Per
questo il Piano, se vuol raggiungere i suoi scopi, dovrà
mettere insieme, integrare,
conoscenze relative a fenomeni che di solito sono collocati in campi disciplinari e
amministrativi distinti, a
volte separati, e prevedere
interventi interdisciplinari e
multisettoriali.
È a livello locale che l’integrazione può esprimere più
efficacemente le sue potenzialità di cambiamento, sia
sul versante delle conoscenze
sia su quello degli interventi
operativi:
• la conoscenza della realtà,
ovvio presupposto di ogni
programmazione razionale, può nascere a livello locale dall’esperienza, riflettuta, dei singoli e, condivisa, della collettività, quindi in una forma immediatamente unitaria;
• a livello locale si assumono
decisioni e si gestiscono
politiche con un potenziale, rilevante impatto sulla
salute.
Queste considerazioni, insieme all’evidenza pratica che
scelte culturali e politiche
con impatto sulla salute degli
individui e della comunità richiedono un’assunzione di
responsabilità non solo da
parte delle istituzioni politiche e dei servizi sanitari ma
anche dei cittadini, dimostrano che un Piano per essere
integrato deve essere anche
partecipato. Basti pensare alle politiche energetiche, a
quelle del lavoro o dei trasporti per riconoscere la necessità d’interazione tra Enti
locali, servizi pubblici, forze
sociali, associazioni e gruppi
di cittadini per l’individuazione, l’attivazione e il controllo di politiche efficaci.
Se in generale il governo della salute è un processo che
richiede l’attenzione e la
partecipazione di una pluralità di soggetti, il PIS è di
questo processo il momento
più importante, l’occasione
decisiva per la partecipazione, diretta o mediata, individuale e collettiva dei cittadi-
* Per una migliore comprensione è utile la conoscenza delle Linee guida per la realizzazione dei Piani intergrati di salute della Regione Toscana.
N. 147 - 2004
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 341
magine informativa è il rapporto che stabilisce con la
realtà che vuol rappresentare: deve emergere da procedimenti di valutazione e condivisione; deve essere capace di
avviare il cambiamento, contenere cioè le indicazioni necessarie a intervenire per
cambiare.
Il processo di costruzione
dell’Immagine è in sostanza
una ricerca: delle relazioni
critiche, problematiche, tra i
diversi fattori che condizionano la salute.
È chiaro che individuare tali
criticità significa anche intravederne i modi del superamento, quindi, in una Imma-
gine a ogni problema emerso
sono associati gli elementi
utili alla soluzione, quando
non una ipotesi precisa di soluzione, anche se non necessariamente attuabile.
L’Immagine è importante non
solo per ciò che riesce a dire
ma anche per quelle zone
d’ombra in cui le relazioni
cercate non siano chiarite,
perché queste ultime indicano i temi e i problemi che richiedono di essere approfonditi o ulteriormente indagati.
In sintesi, l’Immagine di salute contiene:
• l’insieme delle coppie
“problema-ipotesi di soluzione”;
di salute
epidemiologiche e delle conoscenze
dei problemi e delle opportunità
progetti con obiettivi misurabili
ni all’integrazione delle politiche pubbliche.
Com’è fatto un PIS
Per costruire un PIS è innanzitutto necessaria una conoscenza adeguatamente chiara
dei bisogni e dei problemi di
salute del territorio, delle opportunità e delle risorse disponibili. Una simile conoscenza è possibile se sono disponibili informazioni oggettive sugli aspetti rilevanti
della realtà sociale, sanitaria,
ambientale e se sul territorio
è presente una rete di soggetti locali in grado di contribuire all’arricchimento e alla valutazione di tali informazioni.
Le informazioni fornite da
flussi statistici e da ricerche
scientifiche sono essenziali a
ogni processo decisionale razionale e, anzi, spesso la loro
utilità è sottovalutata o la loro disponibilità non adeguatamente perseguita, ma da
sole non sono sufficienti per
una programmazione veramente democratica, sia perché colgono solo alcuni aspetti di fenomeni altrimenti
complessi sia perché richiedono, per essere comprese, competenze specifiche pochissimo diffuse tra la popolazione.
La definizione di un quadro
conoscitivo adeguato ad una
programmazione integrata richiede che le informazioni
oggettive siano condivise con
la popolazione, per poterne
valutare collettivamente la
pertinenza nel proprio territorio, e che vengano accolte
quelle conoscenze soggettive,
frutto dell’esperienza e della
percezione di cui i soggetti
della partecipazione sono
portatori. Un quadro informativo siffatto, sintetico, integrato, connotato, dei problemi per la salute peculiari della zona può definirsi un’immagine: Immagine di salute
della zona (Fig. 1).
Ciò che caratterizza una im-
Fig. 1 - Processo di costruzione
dell’immagine di salute.
l ute
Sa
e
342 Territorio
• l’indicazione dell’ambito
territoriale in cui si genera
il problema e il livello politico e amministrativo in
cui può essere risolto;
• l’indicazione dei temi locali
che richiedono approfondimenti conoscitivi, anche
attraverso l’attivazione di
ricerche epidemiologiche o
di altra natura.
Uno dei risultati più importanti dell’Immagine è l’attivazione di procedure d’interlocuzione tra soggetti tecnici
della ASL e delle amministrazioni locali, amministratori,
forze sociali, associazioni,
gruppi di popolazione, singoli cittadini, interlocuzione
che sta alla base di una programmazione integrata e
partecipata.
Uno dei presupposti della realizzazione di un’Immagine di
salute di zona è dunque la disponibilità di dati oggettivi
sanitari, sociali e ambientali
raccolti e organizzati in un
Profilo di salute di zona (vedi
Fig. 1 e art. di A. Valdrè, S. Pedone e M.G. Petronio I Profili
di salute). Il Profilo è un documento tecnico, realizzato da
tecnici dedicati, che svolge la
funzione di archivio aggiornato delle evidenze quantitative, possibilmente integrate, delle condizioni sanitarie, sociali e ambientali della
zona, espresse attraverso diverse misure. Il Profilo dovrebbe essere il risultato di un’attività informativa costante e
diffusa e la necessità della sua
realizzazione di per sé orienta
verso l’integrazione dei diversi
sistemi informativi di settore.
Una volta che attraverso l’Immagine di salute siano stati
individuati i bisogni e i problemi di salute della zona,
I piani integrati di salute
anzi più esattamente le coppie problema-soluzione, è necessario che tali coppie siano
ordinate gerarchicamente in
vista di una decisione relativa agli interventi da attivare.
Si procede perciò alla scelta
delle priorità.
È dunque dalla scelta dei problemi da affrontare che discende la decisione relativa
alle politiche d’intervento,
azioni o programmi, che sostanziano il Piano con obiettivi specifici.
Per ciascuna azione è poi necessario definire uno o più
progetti che rappresentano il
percorso operativo, le attività
tecniche e professionali, le risorse, le fasi logiche e temporali, i prodotti attesi, gli indicatori per verificare il raggiungimento degli obiettivi
scelti (Fig. 3).
Un PIS è dunque, per quanto
attiene ai contenuti, un insieme organico di azioni o
programmi e relativi progetti
(Fig. 2).
Da un punto di vista metodologico è bene distinguere l’attività di ordinamento gerarchico delle coppie problema-
N. 147 - 2004
soluzione (vedi art. di E.
Buiatti Formazione interattiva) dalla scelta delle azioni:
la prima si colloca su un versante tendenzialmente tecnico, in ordine ai soggetti realizzatori e ai criteri di selezione, la seconda, riguardando un’assunzione di responsabilità politica, su quello politico amministrativo.
Anche nelle situazioni in cui,
per effetto di un coinvolgimento forte dei soggetti della
partecipazione e degli amministratori, il processo che va
dall’Immagine di salute alla
decisione relativa agli obiettivi da raggiungere, e quindi
delle azioni da attivare, sia
nel concreto indistinguibile in
fasi, è comunque necessaria la
massima trasparenza possibile
dei criteri di ordinamento e
scelta. È necessario cioè che
siano chiari i motivi per i quali un problema occupa una
certa posizione nella lista delle priorità e le ragioni per cui
si sceglie di affrontare un problema piuttosto che un altro.
I criteri di selezione e ordinamento di tipo quantitativo, o
oggettivo, attengono a:
• la rilevanza territoriale del
problema;
• le possibilità concrete di
soluzione;
• la misurabilità degli esiti;
• gli effetti nel tempo e su
altri settori d’intervento
pubblico delle soluzioni
adottate;
• gli aspetti economici del
problema e della soluzione.
Mentre quelli più qualitativi o
soggettivi:
• il grado di condivisione da
parte dei soggetti che operano la selezione;
• la percezione che ha del
problema la popolazione.
Nelle zone per le quali non
sia ancora disponibile un Profilo di salute è necessaria, come attività propedeutica al
PIS, la raccolta e l’organizzazione dei dati quantitativi disponibili, anche quando non
esaurissero le necessità conoscitive: anche una disponibilità parziale di informazioni
oggettive contribuisce a fondare su basi più razionali e
trasparenti l’individuazione
dei problemi e il confronto tra
i soggetti che decidono le
priorità.
Fig. 2 - Struttura di un PIS.
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
Sae l ute
Territorio 343
Fig. 3 - Scheda di progetto.
I progetti
Il progetto è l’immagine tecnica di una scelta politica,
l’azione o programma. Il progetto (Fig. 3) predispone le
attività, le colloca nel tempo,
vi alloca le risorse per il raggiungimento degli obiettivi
che l’azione ha individuato.
In prospettiva programmare
per progetti implica per un
sistema di servizi che anche
la cosiddetta attività corrente entri a far parte di un flusso coerente di attività orien-
tato da uno o più obiettivi,
cosa che richiede al sistema
una notevole flessibilità. Nel
caso dei progetti PIS, alla
flessibilità bisogna collegare
l ute
Sa
e
344 Territorio
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
Tab. 1
TIPOLOGIA
FONTI DI CONTESTO
FONTI DI TIPO
AMMINISTRATIVO-EPIDEMIOLOGICO
FONTI DI TIPO
AMMINISTRATIVO-GESTIONALE
FONTI
PRINCIPALI CONTENUTI INFORMATIVI
Popolazione residente - ISTAT
dati aggregati per sesso, età, comune di residenza
Anagrafe comunale
dati individuali per quartiere, strada seggio elettorale, sezione
di censimento
Anagrafe Assistibili
assistibili e MMG
Censimento della popolazione
e delle abitazioni
informazioni di tipo socio-economico
Rilevazioni ISTAT su tematiche
specifiche
forze di lavoro, incidenti stradali, consumi delle famiglie,
statistiche sull’istruzione
Indagini multiscopo ISTAT
stili di vita, percezione dello stato di salute, presenza di malattie
croniche
Registro di mortalità regionale
dati anagrafici, causa, luogo, data del decesso
Registro tumori toscano
dati anagrafici, sede della neoplasia, stadio, dati di incidenza
Certificato assistenza al parto
dati anagrafici del neonato e della madre, informazioni
socio-demografiche del padre e della madre, notizie relative
alla gravidanza, al parto e al neonato
Rilevazione delle interruzioni volontarie
di gravidanza
informazioni di tipo socio-demografico, età gestazionale
all’IVG, informazioni su eventuali precedenti gravidanze,
(parti, IVG, aborti spontanei) informazioni sull’intervento
Rilevazione delle dimesse per aborti spontanei
informazioni di tipo socio-demografico, informazioni
precedenti gravidanze, (parti, IVG, aborti spontanei)
informazioni sull’intervento
Registro toscano dei difetti congeniti
informazioni sul neonato/feto, sulla diagnosi di malformazione,
sull’anamnesi della gravidanza attuale, sulla famiglia
del neonato/feto sui difetti congeniti
Flusso informativo delle malattie infettive
dati anagrafici del soggetto, data e modalità di notifica,
patologia diagnosticata e la classe di appartenenza
Registro regionale AIDS
dati anagrafici del soggetto, presenza di patologie
opportunistiche legate alla definizione di AIDS,
vie di trasmissione della patologia
Schede di dimissione ospedaliera
dati anagrafici del soggetto, dati sul ricovero (regime, tipo,
motivo, date e reparti di trasferimento, data e reparto
di ammissione e di dimissione, giornate di degenza), dati medici
(diagnosi di dimissione, diagnosi concomitanti, date e codici
delle procedure e/o interventi), variabili di sintesi (DRG, pesi
relativi), dati relativi alle tariffazioni
Prestazioni ambulatoriali e specialistiche
dati anagrafici del soggetto, prestazioni specialistiche
e diagnostiche ambulatoriali, farmaci somministrati
direttamente all’utente in regime ambulatoriale, importi
economici delle prestazioni erogate
Prescrizioni farmaceutiche
dati anagrafici del soggetto, dati del medico proponente, farmaci
erogati, importo dei farmaci
Esenzioni per patologia
dati anagrafici del soggetto, tipologia dell’esenzione (patologie
croniche, malattie rare, invalidità), codice della patologia
di esenzione, data di rilascio e scadenza dell’esenzione
Prestazioni di riabilitazione
dati anagrafici del soggetto, informazioni sulla prestazione
riabilitativa (date di inizio e di fine della prestazione, codice
della prestazione, giorni di trattamento erogati, importo
della prestazione)
Prestazioni di assistenza protesica
dati anagrafici dell’utente, codice principale della patologia
dell’utente, informazioni relative al dispositivo protesico e alla
sua erogazione (tipo di presidio, data di collaudo, tariffa)
Archivio INAIL malattie e infortuni in ambiente dati anagrafici del soggetti, dati inerenti la patologia/infortunio,
di lavoro
il lavoro (tipo di attività e settore produttivo), circostanze
di accadimento dell’infortunio
N. 147 - 2004
anche l’attitudine a un lavoro
integrato e partecipato.
Per ogni progetto è necessario individuare:
• responsabile tecnico per la
stesura e per la realizzazione;
• diagramma logico e temporale delle fasi, delle attività di ciascuna fase, dei
prodotti attesi di ciascuna
fase;
• risorse tecnologiche, umane, finanziarie, loro provenienza, allocate per fase e
attività;
• risultati attesi;
• indicatori di processo e di
esito;
• eventuali atti amministrativi, e relativi soggetti responsabili, necessari alla
realizzazione di quella fase.
La fase di stesura del progetto ha un valore critico e richiede oltre a competenze
tecniche specifiche anche
buona conoscenza della gestione delle risorse umane come esperienza di interazione
tra strutture operative diverse: è questo il senso della individuazione di una responsabilità di coordinamento
tecnico per la stesura e la
realizzazione del progetto.
Oltre agli obiettivi è probabile che anche le risorse finanziarie siano date a priori; sarebbe allora assai utile, trattandosi di progetti integrati,
che almeno le risorse umane
venissero allocate con chiarezza e dettaglio in funzione
delle necessità progettuali.
Una funzione decisiva è svolta dai criteri e dai modi con
cui valutare i risultati del
progetto come il suo sviluppo. Questo richiede che siano
elaborati o utilizzati indicatori sufficientemente specifici e sensibili, possibilmente
già testati.
La valutazione
La possibilità di reiterare il
PIS alla scadenza o di migliorarlo in corso d’opera è legata
alla possibilità di valutarne i
risultati in termini di raggiungimento degli obbiettivi
specifici di ciascuna azione,
così come il relativo progetto
li ha quantificati come risultati attesi, e la loro congruenza rispetto all’obiettivo
finale del miglioramento della salute della popolazione.
Mentre la verifica dei risultati
specifici dei progetti attuati è
essenzialmente una operazione tecnica, quella relativa alla finalità generale di un PIS
è un processo che coinvolge
soggetti tecnici e di governo,
considerazioni tecniche e
percezione dei soggetti di governo, amministratori e soggetti della partecipazione.
Non si tratta di valutare soltanto i cambiamenti in termini di salute della popolazione
intervenuti per effetto della
realizzazione del PIS, cosa di
per se già non sempre facile,
ma anche quali problemi siano rimasti irrisolti e perché,
di quanto è variato il grado di
integrazione informativa e
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 345
operativa. Si tratta di realizzare una sintesi condivisa tra
evidenze quantitative e oggettive espresse dagli indicatori di processo e di esito e
l’espressione della soggettività collettiva in merito ai risultati di piano.
Ciò che segue è un contributo
alla riflessione sulla valutazione dello sviluppo e degli
esiti dei progetti.
La valutazione prevede che il
fenomeno oggetto dell’intervento progettuale possa essere misurato in modo da evidenziare se si sono prodotti
cambiamenti e se questi sono
stati sufficienti rispetto alle
aspettative, per fare questo si
utilizzano indicatori in grado
di descrivere il fenomeno e di
misurarne i cambiamenti. La
costruzione di tali indicatori
deve essere contestuale alla
definizione del progetto (vedi
art. di A.Valdrè…(et al.) I Risultati progettuali dei workshop), poiché cercare delle
misure quantitative a posteriori può rivelarsi estremamente complesso.
La verifica dei progetti di piano prevede due momenti
estremamente importanti:
• una prima valutazione,
relativa allo sviluppo dell’intervento progettuale,
attraverso indicatori di
processo;
• una valutazione finale dell’intervento, in termini di
effetti prodotti sulla salute
della popolazione, attraverso indicatori di esito.
Nella realtà può succedere
che si possano costruire solo
le misure di processo. Gli esiti infatti spesso sono difficili
da misurare, un intervento
seppure efficace può tradursi
in miglioramento della salute
solo a distanza di molti anni,
oppure è inutile farlo. È questo il caso, ad esempio, di un
intervento come quello della
vaccinazione per il quale è
estremamente importante
misurare la copertura vaccinale mentre assume poco rilievo misurarne l’esito in termini di diminuzione della patologia legata alla vaccinazione e delle complicanze
che da essa derivano poiché
questi elementi sono legati
all’efficacia del vaccino che si
presume sia già stata sufficientemente testata e documentata.
Gli indicatori di esito e di
processo sono delle misure
quantitative correlate con
gli obiettivi propri dell’intervento specifico ed esplicitabili con una formula riproducibile. Per la costruzione di
tali misure ci vengono in
aiuto i dati di fonte corrente
che, per loro natura, sono
raccolti in maniera standardizzata su tutto il territorio
regionale e sono quindi in
grado di garantire la confrontabilità territoriale e
temporale.
Nella Tabella 1 sono riportate
le principali fonti informative
distinte per tipi e i loro contenuti più importanti.
l ute
Sa
e
346 Territorio
I piani integrati di salute
La disciplina
di riferimento
Anna Serino
Responsabile Area Legislazione
sanitaria ARS Firenze
I principi ispiratori
Il Piano integrato di salute
affonda le sue radici nei principi ispiratori e negli obiettivi
strategici indicati nella Carta
di Ottawa e nelle linee di indirizzo dell’OMS; è coerente con
l’impostazione regionale della
programmazione integrata,
che sta alla base del Programma regionale di sviluppo e si
avvale delle esperienze condotte nell’ambito del “Progetto città sane”, della “Agenda
21” e della rete di “Ospedali
che producono salute”.
La Carta d’Ottawa per la promozione della salute afferma
che le risorse e le condizioni
fondamentali per la salute sono: pace, alloggio, istruzione,
cibo, reddito, un eco sistema
stabile, risorse sostenibili,
equità e giustizia sociale. Il
miglioramento della salute richiede, per questi sostanziali
prerequisiti, un sicuro fondamento: l’acquisizione da parte
dei vari attori di una nuova
cultura basata sui principi
d’integrazioni delle politiche.
Esaminando sistematicamente ognuno di questi punti ed
analizzando gli avvenimenti
occorsi in molti paesi si può
rilevare:
• un progressivo divario nello stato di salute in termini
di speranza di vita e speranza di vita sana in uno
stesso paese e tra paesi di-
versi, come stato nel tempo
evidenziato dall’Organizzazione mondiale della sanità
nel World Healt Report,
1995, con un particolare
accenno sulle povertà;
• una progressiva reticenza
ad investire nell’ambito degli alloggi pubblici, delle
infrastrutture, dell’istruzione, dei servizi preventivi di base e in quelli di sanità pubblica essenziali;
• una resistenza a valutare
l’organizzazione del lavoro
e la sua divisione durante
il ciclo vitale, tra generazioni, tra uomini e donne,
a livello globale;
• infine un certo eludere le
iniziative internazionali e
gli aiuti stranieri.
Le politiche socio-sanitarie
non stanno ancora rendendosi coerenti alla nuova rivoluzione in corso, afferma la Carta di Ottawa. Occorre una ristrutturazione totale delle società civili e del loro modo di
funzionare “come la gente vive, ama, lavora e si diverte”.
La OMS riesaminando la strategia “salute per tutti”, ha
delineato le principali componenti di ciò che costituisce
un buon governo globale dei
sistemi socio-sanitari:
• cercare di ridurre gli enormi divari che persistono, e
spesso si espandono, nelle
varie parti del mondo;
N. 147 - 2004
• percepire la salute come
un bene e una risorsa globale. Non è possibile pensare che la “mia” salute è
sicura, senza prendersi cura di quella degli “altri”
(AIDS, Ebola, BSE etc, ne
costituiscono un esempio
eloquente);
• garantire comunque sicurezza e salute contro l’aumento della pressione economica;
• investire particolarmente
in settori di specifico interesse (donne, anziani,
emarginati, istruzione,
servizi sociali);
• lavorare in stretta collaborazione, favorire e creare
alleanze.
L’organizzazione anzidetta
lancia al riguardo alcune sfide, riassunte nelle seguenti
categorie di cambiamenti:
• cambiamento del contesto:
un nuovo livello di base
sociale per tutti i paesi;
• cambiamento di finalità:
ambienti sociali multisettoriali e collegati fra loro;
• cambiamento di obiettivo
costituzionale: sistema socio-sanitario, altri sistemi;
• cambiamento degli scopi:
guadagni in termini di sicurezza e salute, al di fuori
sia del sistema socio-sanitario sia della assistenza
sanitaria;
• cambiamento dei partners:
alleanze, privati, commercio, sistema misto pubblico-privato, organizzazioni
non istituzionali;
• cambiamento di collocazione: da un ambito individualistico e locale ad un
ambiente di insediamenti
e sociale, a livello globale;
• cambiamento di stile: una
politica di partecipazione,
multisettoriale ed orientata alla comunicazione di
massa.
La gestione di tali cambiamenti, peraltro, stanti i processi di innovazione da pianificare e governare, richiede
un nuovo tipo di leadership
che si riconosca nella capacità di impegno, nel migliorare e qualificare i livelli di risposta socio-sanitaria, nel difenderli e mediare tra i principali partners per il loro raggiungimento.
“La strategia della salute per
tutti” può essere considerata
uno dei principali documenti
prodotti dall’Organizzazione
mondiale della sanità. Adottato ancora nel 1984, e poi aggiornato nel 1991, sulla base
dei cambiamenti avvenuti, da
un lato, nella struttura demografica, politica, economica e
sociale dell’Europa, e, dall’altro, nell’esperienza concreta
dell’attuazione di questa carta, esso stabilisce i principali
obiettivi strategici, che dovrebbero costituire il cardine
su cui impostare le politiche
per la salute a livello nazionale e locale negli Stati membri,
e che erano finalizzati a condurre, entro l’anno 2000, ad
un miglioramento quantitativo e qualitativo dello stato di
salute degli abitanti della Regione europea.
Nell’intraprendere il cammino
che conduce al raggiungimento di questi obiettivi è
anche sorta la consapevolezza che è necessario prevedere
da una parte una più ampia
gradualità temporale (non
potendosi realisticamente
esaurire l’azione nella scadenza prevista nell’anno
2000), ma soprattutto ulteriori elaborazioni culturali e
N. 147 - 2004
di pensiero, per concretizzare
il cambiamento di vasta portata sotteso alla sfida posta
dalla strategia dell’OMS.
Un primo importante risultato
è proprio HEALTH21, ovvero la
risposta dell’Ufficio europeo
dell’OMS alla strategia globale
della “salute per tutti”.
In questo documento, vengono, infatti, fornite indicazioni e un quadro di riferimento
etico e scientifico orientato
all’azione e rivolto ai decisori
di qualsiasi livello, con una
particolare attenzione alla
diversità dei singoli contesti
politico-sociali che costituiscono la Regione europea.
In sostanza, sono ribaditi ed
ulteriormente specificati i
principi, i valori e le modalità, la cui applicazione consente di esplicare l’innovativo
concetto di salute elaborato
dall’OMS, così estensivo e totale da far assurgere ad obiettivo finale lo sviluppo economico e sociale. Essi riguardano pertanto l’equità, la solidarietà e la giustizia sociale
ed economica, la promozione
e l’investimento in salute, la
ricerca della qualità dell’assistenza, l’interdipendenza degli ambienti e dei settori della vita sociale nel determinare la salute umana.
Si puntualizza inoltre come la
realizzazione di questo programma strategico globale implica necessariamente lo sviluppo di una capacità di programmare politiche integrate,
la ridefinizione del ruolo del
finanziamento dell’assistenza
sanitaria, sociale e socio-sanitaria integrata e dell’allocazione delle relative risorse,
della formazione e dell’informazione e, più in generale,
della funzione di governo.
Principi ed obiettivi questi
ampiamente recepiti dal legislatore statale. A livello normativo statale la riforma del
servizio sanitario di cui al decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 Riordino della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1
della legge 23 ottobre 1992,
n. 421 e successive modificazioni ed in parallelo la ridefinizione del sistema dei servizi sociali, introdotta con legge 8 novembre 2000, n. 328
Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali, costituiscono utile punto di riferimento per la realizzazione
di un sistema fondato sull’integrazione delle politiche e la
concertazione tra gli attori
istituzionali, come metodo
per favorire il coordinamento
operativo sugli obiettivi di
sviluppo, l’integrazione delle
risorse e le innovazioni di sistema.
Al riguardo vale la pena soffermarsi sulla disciplina recata dal d.lgs. 502/1992 che affronta in maniera completa ed
esaustiva il tema dell’integrazione di tutte quelle politiche
finalizzate al benessere della
persona. Specificatamente
l’art. 7-quinquies, nel disciplinare il coordinamento con le
Agenzie regionali per l’ambiente prevede la stipulazione
di apposito accordo tra Il Ministro della salute e il Ministro
dell’ambiente per il coordinamento e l’integrazione degli
interventi negli ambiti di riferimento, al fine di individuare
i settori d’azione congiunta e i
relativi programmi operativi.
Le disposizioni programmatiche di livello nazionale e tra
queste il nuovo Piano sanita-
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 347
rio nazionale e il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, dedicano una parte fondamentale all’affermazione del principio di integrazione socio-sanitaria. In particolare si afferma che la nuova
visione della transizione dalla
“sanità” alla “salute” è fondata su alcuni principi essenziali, che rappresentano i punti
di riferimento per l’evoluzione
ivi prospettata: il diritto alla
salute; l’equità all’interno del
sistema, la responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, la
dignità ed il coinvolgimento
“di tutti i cittadini”, la qualità
delle prestazioni, l’integrazione socio-sanitaria, lo sviluppo
della conoscenza e della ricerca, la sicurezza sanitaria dei
cittadini.
Si ribadisce, tra l’altro, che
l’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello
locale è indispensabile, così
come è necessario promuovere il territorio quale primaria
sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari e socio sanitari.
L’obiettivo prioritario è la
realizzazione di un processo
di riordino che garantisca un
elevato livello di integrazione
tra i diversi servizi sanitari e
sociali, realizzato con il supporto del medico dell’assistenza sanitaria di base. Un
processo teso a fornire l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuità tra
azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e organizzative in
rapporto all’attività svolta tra
l’ospedale e il territorio a fa-
vore di quest’ultimo.
Anche il legislatore regionale
e, certamente, non da ultimo,
è stato sensibile ed attento a
sviluppare nel territorio toscano una profonda cultura
basata sui principi dell’integrazione istituzionale e della
programmazione di politiche
integrate, intesa quale unica
risposta idonea al soddisfacimento del benessere psico-fisico della persona (leggi regionali: 49/1999, 40/2005,
41/2005 e loro successive
modificazioni – atti di programmazione sanitaria, sociale, ambientale ed atti di
indirizzo).
Lo stesso legislatore, per molti aspetti, ha anticipato il livello statale, ispirando sia i
contenuti della riforma della
sanità, (con specifico riferimento al d.lgs. 229/1999), sia
della legge 328/2000 che trae
indubbia origine dalla disciplina introdotta nella Regione
Toscana con l.r. 72/97.
Il legislatore regionale a partire dalle norme statutarie
che hanno visto la nascita
dell’ente Regione, in conformità ai principi ispiratori
emanati sia a livello europeo
sia nazionale, ha costantemente affermato, nell’ordinamento toscano, il principio
inderogabile di attuare politiche integrate e concertate,
ponendolo alla base delle
proprie scelte strategiche.
Gli atti di programmazione regionale, PSR e PISR, affrontano i temi dell’interazione con
tutti i settori determinanti
per la salute e tra questi è definito rilevante quello relativo
ad un ambiente di qualità,
confermando così un’impostazione programmatica, che
intende sottolineare il ruolo
l ute
Sa
e
348 Territorio
complessivo di governo nello
sviluppo di una politica per la
salute non affidata esclusivamente al sistema sanitario.
Le fonti di disciplina
Definito il quadro normativo
in cui il PIS si colloca per ciò
che concerne i criteri guida
ed i principi ispiratori, procediamo ad analizzare il medesimo quale strumento di programmazione locale negoziata di politiche integrate, ponendolo in relazione al quadro normativo statale e regionale che ne costituisce vera e
propria fonte di disciplina.
Il PIS, come progetto generale della zona-distretto, trova
la sua principale fonte di disciplina, a livello nazionale,
nell’art. 3-quater e segg. del
d.lgs. 502/92 e successive
modificazioni. Il citato articolo, infatti, introduce, quale
strumento della programmazione locale, il “Programma
delle attività territoriali”
contenente più piani integrati di salute concertati.
Prima dell’emanazione della
recente riforma, il PIS non
trovava, viceversa, nessun
specifico riferimento nella disciplina regionale (leggi regionali 3 ottobre 1997, n. 72 e 8
marzo 2000, n. 22), fatta eccezione che per principi riferiti all’integrazione delle politiche, analizzati in precedenza.
Le richiamate leggi regionale
disciplinavano, infatti, gli altri strumenti di programmazione locale: PAO, PAL e PSZ.
Erano, quindi, gli atti di programmazione regionale PSR1
1
2
3
4
I piani integrati di salute
e PISR2, l’“Atto d’indirizzo regionale per l’avvio della sperimentazione della Società della salute” 3 e le “Linee guida
per la realizzazione dei Piani
integrati di salute” 4 , che
traendo riferimento dalla disciplina statale (art. 3-quater
d.lgs. 502/92) e dai principi
ispiratori sanciti dalle disposizioni internazionali, nazionali e regionali, ne definiscono: finalità, contenuti, attori,
metodologia di lavoro e procedure, interazione con gli altri strumenti della programmazione locale (PAL, PSZ,
Patti territoriali, Patti sociali
territoriali, ecc.), sistema di
valutazione e risorse.
La recente riforma della l.r.
22/2000 ed in parallelo della
l.r. 72/97, introdotta rispettivamente con la l.r. 24 febbraio
2005, n. 40 Disciplina del servizio sanitario regionale – Art.
21 (Piani integrati di salute) e
con la l.r. 24 febbraio 2005, n.
41 Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei
diritti di cittadinanza sociale,
Art. 29 (Programmazione zonale), comma 3, ha offerto al
legislatore regionale l’opportunità di sanare alcune discrasie presenti negli atti di programmazione e d’indirizzo regionali, facendo assurgere a
norma il PIS ed inserendolo a
livello di vero e proprio strumento di programmazione integrata di salute locale.
Il nuovo strumento locale
di programmazione integrata
Il Piano integrato di salute,
Deliberazione Consiglio regionale 9 aprile 2002, n. 60.
Deliberazione Consiglio regionale 24 luglio 2002, n. 122.
Deliberazione del Consiglio regionale 24 settembre2003, n. 155.
Deliberazione della Giunta regionale 12 luglio 2004, n. 682.
N. 147 - 2004
così come delineato dal combinato delle disposizioni contenute nella disciplina regionale, rappresenta lo strumento ed il luogo centrale dove
sono elaborate azioni di miglioramento per realizzare
una strategia globale della
salute per tutti.
Il PIS è, dunque, lo strumento
di programmazione integrato
di salute a livello della zonadistretto e, per le Società della salute, espressione delle
funzioni di governo della SdS
attraverso un modello integrato di programmazione per
obiettivi di salute; è atto
prioritario nel calendario della Giunta della SdS.
Ha durata triennale e può essere aggiornato annualmente.
Il PIS rappresenta lo strumento idoneo per realizzare
politiche pubbliche in grado
di collocarsi all’interno di una
cornice concettuale che prenda in esame la natura dinamica del sistema, l’interazione
fra i diversi elementi che lo
compongono e la capacità
delle istituzioni locali e dei
soggetti sociali di programmare e attuare politiche integrate. Per questo è definito
“integrato” e di “salute”.
Nonostante che nel vigente
Piano sanitario nazionale e
regionale non sia data una
chiara definizione della salute, appare evidente dalla loro
impostazione concettuale,
che sono diversi i fattori che
la condizionano.
Il PSR, al riguardo afferma
che la politica per la salute è
organica alle strategie socia-
li, economiche ed ambientali
della Regione e quindi si sviluppa nelle politiche economiche, occupazionali, di uso
del territorio, dell’istruzione,
della formazione professionale e dell’agricoltura. Il raggiungimento completo degli
obiettivi del Piano sanitario
regionale, dunque, sarà possibile se si svilupperanno efficaci politiche integrate sia a
livello regionale che a livello
locale.
Si conferma così, come affermato in precedenza, un’impostazione della programmazione, che intende sottolineare il ruolo complessivo di
governo nello sviluppo di una
politica per la salute non affidata esclusivamente al sistema sanitario.
Diversi, dunque, sono i fattori che condizionano la salute;
su alcuni di questi determinanti è possibile intervenire
più o meno efficacemente come: condizioni socio-economiche, stili di vita, condizioni ambientali, organizzazione
e fruizione dei servizi.
Come in precedenza sottolineato, il Piano sanitario regionale reputa necessario valorizzare gli interventi di salvaguardia e controllo della
qualità ambientale e sociale
attraverso il PIS.
Detto obiettivo strategico
può essere raggiunto anche
mediante l’integrazione funzionale a livello territoriale
delle competenze tecniche
dei dipartimenti di prevenzione e dell’ARPAT.
Le Aziende sanitarie sono im-
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
pegnate a realizzare la partecipazione dei Dipartimenti di
prevenzione, soprattutto attraverso le loro unità funzionali di zona-distretto all’attuazione del Piano integrato
di salute. Il Piano integrato di
salute diventa quindi una fondamentale modalità operativa
dei Dipartimenti di prevenzione che, sulla base di progetti
concertati con gli altri soggetti istituzionali e sociali contribuiscono alla realizzazione di
programmi di prevenzione primaria e secondaria.
Le attività dei Dipartimenti
di prevenzione, nelle loro articolazioni di zona-distretto,
tendono ad essere riassorbite
nell’ambito del Piano integrato di salute, realizzando a tal
fine uno spostamento e una
conversione delle risorse
umane e materiali.
Per quanto riguarda la prevenzione delle malattie dovute a fattori ambientali, in un
quadro di integrazione dell’azione istituzionale per comuni obiettivi di salute, coerentemente con la normativa nazionale, assume particolare
importanza lo strumento della integrazione programmatica e tecnica fra competenze e
modalità operative per la tutela dell’ambiente e per la
prevenzione delle malattie e
la salvaguardia della salute.
Infine, nell’ambito della strategia regionale di promozione di un sistema integrato di
interventi socio sanitari, i
progetti obiettivo ad alta integrazione costituiscono parte integrante e nucleo fondamentale delle attività dei servizi socio-sanitari territoriali;
la loro realizzazione si concretizza all’interno dei Piani
integrati di salute, fatte salve
le specificità di ciascun progetto e le necessarie connessioni ed implicazioni rispetto
all’organizzazione
delle
strutture ospedaliere di secondo e di terzo livello.
Sulla base delle valutazioni
sopra espresse, pertanto, il
PIS:
• prevede, sulla base del profilo di salute del territorio
di riferimento, obiettivi di
salute e di benessere correlati a progetti complessi su
problematiche specifiche
ad alta valenza sanitaria e
socio-sanitaria che coinvolgono varie risorse ed
hanno una ricaduta specifica, valutabile e misurabile, sullo stato di salute del
territorio dei cittadini;
• individua problemi e bisogni;
• sceglie le priorità;
• definisce le azioni e prevede la stesura dei progetti;
• può contenere:
a) le attività dei Dipartimenti di prevenzione, al
fine di raggiungere, l’obiettivo di integrazione
con altri settori di rilievo per la salute,
b) a regime, altri piani di
settore (ambiente, educazione, formazione);
• determina standards quantitativi e attiva strumenti
per valutarne il raggiungimento;
Nel PIS è insito il concetto di
valutazione. II PSR specifica
che la valutazione di effetto
consiste nella costruzione di
un “bilancio” fra effetti potenzialmente positivi ed effetti potenzialmente negativi. Il bilancio è realizzato sulla base di un set di indicatori
specifici, volti a sorvegliare
lo stato di realizzazione del
Piano integrato di salute in
termini di effetto sulla organizzazione dei servizi (indicatori di processo) e sulla salute
e soddisfazione dell’utenza
(indicatori di esito). Alcuni
indicatori devono essere a carattere regionale, quindi in
comune fra i diversi territori,
(come previsto al paragrafo 4
del Piano medesimo che affronta il tema relativo al processo di valutazione del PSR),
altri indicatori possono essere individuati a livello locale
per adattarsi alle esigenze
specifiche.
Le linee guida precisano che
il processo di valutazione
produce due documenti complementari:
• un report tecnico che, attraverso un confronto intersettoriale e interzonale,
ha la funzione di migliorare l’integrazione professionale e strumentale e, quindi, l’approccio tecnico alla
programmazione integrata;
• la Relazione sugli esiti del
PIS, report di valenza politico-istituzionale, che è
approvata:
– dalla Giunta della SdS,
confluendo, come parte
distinguibile e integrata, nella relazione annuale. La relazione sugli
esiti del PIS è inviata
dalla Giunta della SdS
alla Regione, ai Comuni,
all’Azienda USL, alla
Conferenza dei sindaci
di riferimento ed agli altri enti pubblici e privati che hanno partecipato all’attuazione del PIS;
– dall’articolazione zonale
della Conferenza dei sindaci e da questa inviato
alla Conferenza dei sindaci di riferimento.
Sae l ute
Territorio 349
La “Relazione sugli esiti del
PIS” è utilizzata dalla Conferenza dei sindaci di riferimento come supporto per la
valutazione della relazione
sanitaria aziendale.
I soggetti, le procedure, gli
strumenti giuridici per
l’approvazione
Facendo, dunque, espresso riferimento alle disposizioni ed
agli indirizzi regionali procediamo ora a delineare i soggetti e le procedure per l’ideazione, l’elaborazione e
l’approvazione del PIS, avendo a riferimento le due ipotesi contemplate:
• predisposizione del PIS
nella zona-distretto in
presenza di sperimentazione di SdS;
• predisposizione del PIS
nella zona-distretto in assenza di sperimentazione
di SdS.
Si effettua, in questa sezione, una disamina più dettagliata delle disposizioni che
presiedono alla ideazione,
condivisione, realizzazione,
approvazione e attuazione
del PIS nella SdS, avvalendoci
del combinato delle disposizioni contenute negli atti di
programmazione e d’indirizzo
regionali sopra richiamati.
L’avvio del processo di costruzione del PIS è caratterizzato dalla fase di concertazione fra i soggetti istituzionali e sociali che, attuando i
principi dell’ordinamento innanzi richiamato, realizzano
un sistema di governance.
La Giunta della SdS individua,
nell’atto d’indirizzo per la predisposizione del PIS, le modalità di partecipazione dei soggetti istituzionali (Provincia,
Università, altre amministra-
l ute
Sa
e
350 Territorio
zioni ecc.) e sociali presenti
nel territorio (Consulta del
Terzo Settore, Organizzazioni
Sindacali ecc.), nonché dei
rappresentanti della società
civile locale, dei medici di medicina generale e dei pediatri
di libera scelta.
L’avvio del processo di realizzazione del PIS è, dunque,
determinato da un atto deliberativo della Giunta della
SdS, contenente gli indirizzi
per la predisposizione del PIS
e un’ipotesi di massima delle
risorse messe a disposizione
per la sua realizzazione. Tale
deliberazione attiva la fase di
costruzione del PIS.
Ai fini dell’attuazione della
prima fase coincidente con il
processo di concertazione, la
Giunta della SdS in particolare:
• coinvolge la Provincia per
le materie di rispettiva
competenza ai sensi degli
artt. 13 e 16 della l.r. 22/
2000, stipulando appositi
accordi di programma;
• definisce accordi con le altre amministrazioni interessate (ARPAT, IZS, ecc.),
al fine del coordinamento
del PIS con gli altri progetti
di settore, per gli aspetti rilevanti in materia di salute,
utilizzando lo strumento
dell’accordo di programma;
• concorda con il Dipartimento prevenzione dell’Azienda USL le modalità
d’integrazione delle attività del dipartimento con
il Piano integrato di salute, mediante lo strumento
dell’accordo di programma;
• promuove forme di coinvolgimento delle Università toscane, ai fini del
raggiungimento di prestazioni di eccellenza;
I piani integrati di salute
• attiva tavoli di concertazione locale con le OOSS
territoriali, attraverso la
stipula di appositi protocolli d’intesa;
• definisce le modalità di
partecipazione della comunità locale alla progettazione ed al controllo delle attività, con particolare
riferimento ai seguenti organismi:
– la Consulta del Terzo settore che partecipa alla
definizione del Piano
integrato di salute nell’ambito delle direttive
dell’organo di governo;
essa è chiamata a fornire parere o proposte prima dell’approvazione
dello stesso. La partecipazione alla costruzione del PIS non comporta né esclude il coinvolgimento nel Piano medesimo, in qualità di
erogatori di prestazioni/servizi, in quanto
questa è condizionata
ad una valutazione indipendente di qualità,
efficacia ed efficienza.
Nella costituzione della
Consulta deve essere
garantita la più ampia
partecipazione delle associazioni e istituzioni
operanti nel territorio;
– il Comitato di partecipazione, verso il quale la
Giunta delle SdS promuove opportune forme
di coinvolgimento/informazione, anche allo
scopo di consentire a
detto Comitato di elaborare e presentare alla
Giunta delle SdS proposte per la predisposizione del PIS, nonché di
esprimere parere obbli-
N. 147 - 2004
gatorio sulla bozza del
medesimo.
Esaurita la fase di concertazione, la SdS, attraverso il
suo direttore, dovrà procedere, ai fini della definizione
dei contenuti del PIS, all’attuazione delle seguenti fasi
logico-temporali:
a) individuazione dei problemi e dei bisogni;
b) scelta delle priorità;
c) definizione delle azioni;
d) stesura dei progetti.
Il PIS, esperite tutte le fasi
descritte in precedenza e definiti in tutti i loro aspetti i
progetti che lo compongono,
è redatto in un documento
unitario dal direttore della
SdS e da questi inviato per
l’approvazione alla Giunta
della SdS. Alla definizione del
PIS partecipa la Consulta del
terzo settore, secondo le direttive emanate dall’organo
di governo della SdS.
La Giunta, acquisito il parere
obbligatorio del Comitato di
partecipazione, approva il
PIS. Con l’approvazione il PIS
acquista piena efficacia ed è
immediatamente operativo.
Gli enti che hanno partecipato alla elaborazione del Piano
devono apportare ai propri bilanci le conseguenti eventuali
modifiche. Il Piano approvato
sarà trasmesso dalla Giunta
della SdS alla Conferenza dei
sindaci di riferimento.
La fase di attuazione del PIS
segue alla sua approvazione
da parte della Giunta della
SdS. L’attuazione richiede
che gli obiettivi di salute siano articolati in programmi e
progetti operativi.
Le relative attività sono realizzate e gestite sulla base di
patti territoriali tra la Giunta
della SdS e gli altri soggetti
pubblici e privati che partecipano all’attuazione del PIS.
Il patto esita in un documento parte integrante del PIS ed
è approvato con esso.
Le risorse economiche del PIS
sono identificate nei bilanci
di provenienza degli enti partecipanti alla gestione del PIS
e sono composte da risorse
proprie, nonché risorse conferite agli enti dallo Stato,
dalla Regione, da enti o organismi che partecipano alla
realizzazione dei progetti, da
quote di partecipazione e da
altre eventuali fonti.
Le risorse di competenza degli enti associati derivano
dalle quote capitarie storiche
assegnate a livello zonale per
i servizi sanitari e per le attività socio-assistenziali dei
comuni, nonché dalle quote
di compartecipazione.
Le risorse sono organizzate in
forma associata per le competenze comunali, e con l’individuazione del budget di zona-distretto per le competenze sanitarie.
La determinazione delle risorse di provenienza sanitaria segue, con la necessaria
gradualità, lo sviluppo del
processo di riequilibrio tra la
quota capitaria storicizzata e
quella dei parametri di competenza, avendo comunque a
riferimento obbligatorio l’equilibrio economico complessivo del sistema territoriale
dei servizi.
L’insieme delle risorse individuate costituisce vincolo per
ciascuno dei soggetti coinvolti e per il complesso delle
attività della SdS.
Anche nelle zone dove non si
sperimenta la SdS l’ideazione
e la condivisione rappresenta
il momento iniziale del per-
N. 147 - 2004
corso di costruzione del PIS.
Il luogo di ideazione, condivisione, realizzazione e valutazione del Piano integrato di
salute è il territorio a livello
della zona-distretto così come evoluta nel PSR, per effetto dell’unificazione funzionale con il Distretto.
In conformità al disposto della disciplina statale e regionale di riferimento, il PIS scaturisce da un procedimento
di concertazione al quale partecipano i soggetti istituzionali e quelli rappresentativi
delle comunità locali.
Il sindaco del Comune capofila dell’articolazione zonale
della Conferenza dei sindaci o
il presidente della Comunità
montana nell’ipotesi di cui
all’articolo 12, comma 1, della l.r. 41/2005, cui compete
la funzione d’indirizzo politico, di programmazione e di
controllo, assicura l’avvio
della procedura per la definizione del PIS, tramite un progetto comune, elaborato previa concertazione con i vari
soggetti e definito mediante
stipulazione d’accordo di programma, ai sensi dell’articolo
34 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo
Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
In particolare:
• la Provincia è coinvolta
nella definizione del PIS
per le materie alla stessa
delegate, tramite la sottoscrizione di un accordo di
programma;
• l’Azienda USL concorda con
l’articolazione zonale della
Conferenza dei sindaci le
attività dei Dipartimenti di
prevenzione a livello di zona-distretto che confluiscono all’interno del PIS,
mediante la stipulazione
d’accordo di programma;
• le Università e le Aziende
ospedaliere-universitarie,
tramite i protocolli d’intesa, possono contribuire a
sollecitare importanti potenzialità innovative nei
rapporti di sistema, specie
per quanto attiene ai temi
della qualificazione dell’attività e dell’impegno
sulle alte specialità, in
un’ottica di partecipazione
ai Piani integrati di salute;
• i soggetti del terzo settore
partecipano alla definizione del PIS, in qualità di
soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli
interventi, mediante la
stipula di patti territoriali;
• l’articolazione zonale della
Conferenza dei sindaci definisce altresì accordi di
programma con le altre
amministrazioni (es. ARPAT, IZS) ai fini del coordinamento del PIS con gli altri progetti di settore per
gli aspetti rilevanti in materia di salute;
• il quadro della concertazione si completa tramite
il rapporto con le organizzazioni sindacali, con il
privato accreditato, con le
forze produttive e con le
altre componenti della società civile a livello locale,
utilizzando vari strumenti
giuridici quali: protocolli
d’intesa, convenzioni ecc.
L’insieme dei soggetti che
hanno partecipato alla concertazione e stipulato l’accordo mette a punto un progetto
di lavoro comune, il PIS, basato sull’individuazione degli
obiettivi di salute e sulla verifica dei risultati, tenuto
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 351
conto delle priorità emerse
dal confronto fra i soggetti
con pari dignità, sulla base
delle evidenze scientifiche e
dei dati disponibili sul territorio e sulla salute della popolazione, oltre che della
percezione dei bisogni da
parte dei cittadini/e.
Il progetto deve contenere
l’individuazione delle responsabilità e dei compiti tecnici,
economici e gestionali, delle
risorse messe a disposizione
da ciascun soggetto, delle opportunità di cofinanziamento
e dei percorsi amministrativi
per renderlo disponibile.
Nel progetto sono esplicitati i
tempi di realizzazione, le verifiche d’efficacia degli interventi messi in atto, la valutazione d’effetto del Piano integrato di salute.
Le competenze tecniche necessarie per supportare progetti integrati devono essere
anch’esse integrate. È quindi
a livello di progetto locale
che si rende operativo il concorso fra gli operatori delle
Aziende sanitarie (in particolare dei Dipartimenti di prevenzione e dei Distretti), dell’ARPAT, dei Servizi sociali comunali, nonché del terzo settore e volontariato quando
opportuno. Il progetto deve
contenere le modalità d’integrazione delle competenze.
L’articolazione zonale della
Conferenza dei sindaci rappresenta dunque il soggetto e
la sede di coordinamento intersettoriale, per la definizione di strategie condivise per
obiettivi di salute.
Esaurita la fase di concertazione, il sindaco del Comune
capofila dell’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci o il presidente della Co-
munità montana dovrà procedere, ai fini della definizione
dei contenuti del PIS, alle fasi
logico temporali.
Esperite le diverse fasi l’articolazione zonale della Conferenza dei sindaci o la Comunità montana nell’ipotesi di
cui all’articolo 12, comma 1,
della l.r. 41/2005, approvano,
con propria deliberazione, il
PIS. Con l’approvazione il PIS
acquista piena efficacia ed è
immediatamente operativo.
Gli enti che hanno partecipato alla elaborazione del Piano,
sottoscrivendo l’accordo, potranno apportare ai propri bilanci le conseguenti modifiche. Copia del PIS approvato è
inviata alla Conferenza dei
Sindaci di riferimento. Questa
ne valuta la corrispondenza
con gli indirizzi presenti nel
PAL vigente.
Il PIS, in quanto atto di programmazione locale, è soggetto a verifica da parte della
Giunta regionale per gli
aspetti che comportano l’erogazione di finanziamenti del
Fondo sanitario e del Fondo
sociale o l’attivazione di competenze amministrative di
cui è titolare la Regione.
La verifica ha ad oggetto la
conformità dell’atto di programmazione locale agli indirizzi ed agli obiettivi della
programmazione regionale di
cui alla legge regionale 11
agosto 1999, n. 49 (Norme in
materia di programmazione
regionale) e successive modificazioni.
In analogia alla procedura
prevista per le SdS, la fase di
attuazione del PIS segue alla
sua approvazione da parte
dell’articolazione zonale della
Conferenza dei sindaci.
L’attuazione richiede che gli
l ute
Sa
e
352 Territorio
obiettivi di salute siano articolati in programmi e progetti operativi.
Le relative attività sono realizzate e gestite sulla base di
patti territoriali tra le amministrazioni locali, l’articolazioni zonali dell’Azienda USL
e gli altri soggetti pubblici e
privati che partecipano all’attuazione del PIS.
Il patto esita in un documento parte integrante del PIS ed
è approvato con esso.
Le risorse economiche del PIS
sono identificabili nei bilanci
di provenienza degli enti
partecipanti.
I PIS sono cofinanziati dai
soggetti realizzatori, la misura della partecipazione al finanziamento è definita, attraverso la concertazione tra i
soggetti istituzionali, in base
agli obiettivi specifici, al tipo
e settore d’intervento, alle
caratteristiche delle risorse
necessarie.
Per quanto riguarda la sanità,
queste riguardano in primo
luogo le risorse dedicate ai
servizi coinvolti nel Piano integrato, nell’ambito del budget di zona-distretto.
Inoltre la partecipazione dei
Dipartimenti di prevenzione
delle Aziende unità sanitarie
locali ai Piani integrati di salute è incentivata come specificato nella azione “Prevenzione collettiva” del vigente
Piano sanitario regionale.
Ogni progetto, costituente il
PIS, deve contenere le indicazione delle diverse quote di
partecipazione economica
con riferimento alle specifiche del bilancio di provenienza delle quote stesse.
Le risorse economiche del PIS
derivano oltre che dalle risorse proprie degli Enti anche da
I piani integrati di salute
ulteriori finanziamenti conferiti dallo Stato, dalla Regione,
da enti o organismi che partecipano alla realizzazione dei
progetti o da altre fonti.
Il sistema della programmazione
Esaurito il quadro riferito all’analisi delle modalità e procedura per l’ideazione, condivisione, realizzazione, approvazione e attuazione del nuovo atto di programmazione locale, appare ora necessario
procedere a porre in relazione
il PIS con il più generale sistema di programmazione regionale e locale, partendo dall’analisi delle disposizioni contenute nella legge di programmazione regionale (l.r.49/
1999 come modificata da ultimo dalla l.r. 61/2004), che
definiscono l’architettura del
sistema medesimo.
L’art. 5 della citata legge disciplina gli strumenti di programmazione, precisando che
la Regione promuove e attua
il processo di programmazione mediante:
a) il programma regionale di
sviluppo, che definisce le
opzioni politiche, gli obiettivi a medio termine e le
strategie di intervento;
b) il documento di programmazione economica e finanziaria, che specifica gli
obiettivi a breve termine
indicando le principali destinazioni delle risorse;
c) le leggi e gli atti normativi
che istituiscono le politiche di sviluppo e ne determinano gli strumenti d’intervento;
d) i bilanci, che quantificano
le risorse finanziarie e stabiliscono gli stanziamenti
di spesa;
N. 147 - 2004
e) i piani e programmi regionali, che precisano gli indirizzi per l’attuazione
delle politiche, coordinano
gli strumenti d’intervento,
integrano e finalizzano le
risorse regionali, statali e
dell’Unione europea;
f) i programmi locali di sviluppo e gli altri atti di programmazione locale, che
individuano le priorità
programmatiche, definiscono i progetti e gli interventi da realizzare;
g) il patto per lo sviluppo locale che indica le priorità
condivise in coerenza con
gli strumenti di programmazione dello sviluppo e
della pianificazione del territorio a livello regionale e
locale e seleziona i progetti
concertati, integrando gli
strumenti di intervento e le
relative risorse;
h) gli strumenti di monitoraggio e di valutazione.
Dall’analisi delle disposizioni
che precedono ed avendo a riferimento il più generale quadro normativo internazionale, statale e regionale del settore sanitario e sociale, si può
concludere che la programmazione regionale e locale è
collocabile nell’ambito di
un’architettura istituzionale
cosiddetta “a cascata”, in cui
gli atti di programmazione
regionale di settore e quindi
il PSR e il PISR in riferimento
all’ambito sanitario e sociale,
sono un’articolazione del PRS
e del DPEF ed attuano i principi e le disposizioni internazionali statali e regionali di
riferimento.
Gli atti della programmazione
locale (PAL, PSZ ed il nuovo
atto di programmazione locale – il PIS), sono, a loro volta,
articolazioni del PSR, del PISR e, naturalmente del PRS e
del DPEF.
Tuttavia il PIS, per come è costruito (attraverso la condivisione e partecipazione a livello locale), per così dire
“imprime” al flusso della cascata, una spinta dal basso
verso l’alto; ai sindaci è stato
riattribuito, infatti, in attuazione dei principi di sussidiarietà istituzionale sanciti dalle leggi costituzionali, un
ruolo più centrale nella definizione delle politiche di tutela della salute dei cittadini.
Al fine di conferire a questa
architettura la maggiore efficacia possibile in termini di
attuazione, la disciplina nazionale e regionale riporta
come fondamentale la concertazione tra tutti gli attori
del sistema socio sanitario. A
livello locale è assicurata la
convergenza e la contestualità delle scelte strategiche
degli atti di programmazione
locale, attraverso il riallineamento dei tempi nell’adozione degli atti, l’unificazione
delle sedi concertative e, ove
possibile, delle procedure di
negoziazione.
Gli stessi atti di programmazione regionale e locale, secondo i principi generali sanciti dall’ordinamento vigente,
devono interagire e raccordarsi con gli altri strumenti
di programmazione di settore
la cui disciplina, per la materia trattata, concorre alla definizione di politiche integrate finalizzate al benessere
globale del cittadino.
Il processo di integrazione tra
il PIS e gli strumenti della
programmazione locale negoziata assume una valenza
molto forte nell’ambito delle
N. 147 - 2004
Società della salute.
Il PIS, infatti, sostituisce sia
il programma operativo di zona, quale strumento di attuazione del PAL a livello di zona-distretto, che il Piano sociale di zona.
Lo stesso interagisce con i
Patti territoriali per lo sviluppo e l’occupazione e con i
Patti sociali territoriali, ove
esistenti e naturalmente, con
gli altri strumenti della programmazione locale negoziata, quali ambiente, educazione, formazione (a regime è
possibile prevedere l’inserimento nel PIS di altri piani di
settore). L’organo di governo
della SdS, infatti, dovrà stipulare appositi accordi di
programma con le altre Amministrazioni interessate,
nell’ambito dei quali si definiranno, tra l’altro, le modalità di interazioni fra i vari
strumenti.
L’interazione e l’integrazione
tra i Piani integrati di salute
e gli altri strumenti di programmazione negoziata locale sono assicurate, attraverso l’unificazione delle sedi di concertazione e, ove
possibile, delle procedure di
negoziazione.
Nelle zone dove non si sperimenta la Società della salute
il PIS, così come delineato
dalla disciplina regionale,
non è sostitutivo degli altri
strumenti di programmazione
locale (programma operativo
di zona del PAL e PSZ).
In detta ipotesi tuttavia la
predisposizione del PIS agevola il percorso della programmazione integrata delle
politiche socio-sanitarie, e
della loro interconnessione
con quelle relative ai settori
ambientali, territoriali o con
tutti i settori che abbiano comunque influenza sullo stato
di salute della popolazione.
Tale dinamica, ove le condizioni lo permettano, può progressivamente consentire che
il PIS sostituisca gli attuali
strumenti di programmazione
socio-sanitaria di zona.
Le linee guida, facendo un
passo in avanti rispetto alle
disposizioni contenute negli
strumenti di programmazione
regionale precisano, infatti,
che a regime il PIS può sostituire il programma operativo
di zona e il piano sociale di
zona.
Alla luce dell’analisi compiuta
e delle valutazioni espresse,
appare evidente che le novità
introdotte dagli atti della programmazione e d’indirizzo regionali, definiscono un quadro programmatorio che sostanzialmente si differenza
nelle due ipotesi analizzate.
Mettendo a raffronto le ipote-
Partecipazione
e integrazione
Canio Lomuto
Agenzia regionale di sanità
della Toscana - ARS - Firenze
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 353
si prospettate, infatti, così
come risulta dalla lettura degli atti di programmazione
regionale (fatto salvo quanto
già in precedenza detto in riferimento alle linee guida), è
facile desumere che laddove
esiste sperimentazione delle
Società della Salute, il sistema di programmazione locale
si presenta più snello e per
certi aspetti sono più chiari i
contenuti dei rispettivi piani
e le loro interazioni.
Viceversa, nell’ipotesi della
zona distretto dove non si
sperimenta la SdS occorrerà
attendere che il processo
d’integrazione fra gli strumenti della programmazione
locale si perfezioni; tuttavia i
Piani integrati di salute dovranno comunque interagire
con il PAL e il PSZ, nonché
con i Patti territoriali per lo
sviluppo e l’occupazione e
con i Patti sociali territoriali,
ove questi esistano.
L’interazione e l’integrazione
tra i Piani integrati di salute
e gli altri strumenti di programmazione negoziata locale sono assicurate, anche in
questo caso, attraverso l’unificazione delle sedi di concertazione e, ove possibile, delle
procedure di negoziazione e
concertazione.
Resta, tuttavia, da risolvere il
problema del riallineamento
dei tempi per la definizione
delle strategie finanziarie e
quindi dell’approvazione dei
bilanci dei vari soggetti istituzionali che concorrono alla
programmazione delle politiche integrate in ambito territoriale. Oggi, alla luce delle
novità introdotte occorre avviare una seria riflessione sul
tema.
La riforma della l.r. 22/2000
ed in parallelo della l.r. 72/97
hanno offerto al legislatore
regionale l’opportunità di sanare alcune discrasie presenti
negli atti di programmazione
e d’indirizzo regionali, facendo assurgere il PIS a livello di
vero e proprio strumento di
programmazione integrata di
salute locale. L’opportunità
offerta dalla revisione degli
strumenti normativi, tuttavia, ha parzialmente accelerato il processo di snellimento del sistema di programmazione. L’obiettivo del futuro
legislatore toscano potrebbe
essere quello di superare, in
coerenza con le indicazioni
strategiche di fine legislatura
contenute nel D.P.E.F., l’eccessiva proliferazione degli
strumenti di programmazione
locale, ancora presente nel
tessuto normativo, al fine di
qualificare ulteriormente la
risposta ai bisogni di salute
dei cittadini toscani.
L
e tentativi di sperimentazione, parallelamente e nel contesto dell’ideazione, approvazione e prime fasi attuative
della riforma sanitaria, 833
del ’78.
L’idea di partecipazione rappresentò il discrimine tra due
concezioni della riforma e del
a genesi del concetto di
partecipazione in sanità
è rintracciabile nelle lotte per la difesa della salute in
fabbrica degli ultimi anni 60
del secolo scorso. Successivamente, per più di vent’anni,
la partecipazione è stata oggetto di riflessione, dibattito
l ute
Sa
e
354 Territorio
relativo modello di Servizio
sanitario nazionale. Semplificando e sintetizzando:
• il modello “aziendalistico”
con finalità di produzione
e offerta di servizi e prestazioni,il cui paradigma
organizzativo era l’ospedale e dove qualità peculiare
del sistema era l’efficienza;
• l’opzione partecipativa la
cui finalità era la difesa
della salute, le qualità peculiari efficacia e flessibilità dell’organizzazione,
un’organizzazione subordinata alle decisioni programmatiche dei detentori
della salute, i singoli cittadini e la comunità.
Le ragioni dell’opzione partecipativa erano fondate sulla
convinzione che la partecipazione fosse il motore dello
sviluppo e della trasformazione del Servizio socio-sanitario nazionale, al cui centro
era la Unità sanitaria locale,
concepita come luogo dell’interazione sistemica tra domande di salute espresse dalla comunità locale e risposte
in termini di interventi trasformativi e prestazioni sanitarie delle amministrazioni
locali e del SSN.
Le idee chiave a fondamento
dell’elaborazione culturale
che sosteneva l’opzione partecipativa:
• la difesa della salute richiede un approccio globale: investe tutti gli aspetti
della vita degli individui e
della collettività. Per approccio globale s’intendeva
una modalità conoscitiva e
operativa attenta a tutti
gli aspetti che condizionano la salute e che precorre
culturalmente e storica-
I piani integrati di salute
mente ciò che oggi chiamiamo integrazione;
• la questione salute non ha
soluzioni tecniche e anche
quelle che appaiono come
tali sono in realtà politiche. Questa premessa è il
risultato della riflessione
critica sulla supposta e, dai
fautori della opzione partecipativa negata, neutralità
politica e sociale della
scienza in generale e della
medicina in particolare;
• c’è una intrinseca solidarietà tra la questione della
partecipazione e la difesa
della salute, solidarietà
non solo logica ma ideale e
simbolica se alla “malattia
come perdita di partecipazione” sul piano individuale corrisponde su quello sociale “la perdita di partecipazione come malattia”.
Le conclusioni più rilevanti
cui si giungeva:
• la supposta, dai fautori
dell’opzione “aziendalistica”, insanabile contraddizione tra efficienza e partecipazione era risolta con
l’affermazione del diritto
della partecipazione a stabilire i criteri di giudizio
dell’efficienza;
• la relazione tra governo
della salute e gestione del
Servizio socio-sanitario
era definita in senso gerarchico, ne conseguiva una
necessaria flessibilità dei
servizi in funzione dei bisogni sociali e sanitari della comunità, espressi e sostenuti dai soggetti della
partecipazione;
• la direzione del processo di
programmazione, in particolare sanitaria ma non
solo, non poteva che essere dal basso verso l’alto,
N. 147 - 2004
dalla periferia al centro,
dai livelli locali a quelli sovralocali.
Se consideriamo oggi la situazione, anche in riferimento alle conclusioni e alle attese dei sostenitori dell’ipotesi
partecipativa è facile accorgersi che:
• il sistema dei servizi è fortemente strutturato e perciò poco flessibile;
• l’efficienza è un valore in
sé, essenzialmente legato
a questioni di compatibilità economica del sistema, spesso svincolato da
criteri di efficacia e di soddisfazione dei bisogni dei
cittadini;
• la direzione dei processi di
programmazione è tendenzialmente dall’alto verso il
basso, dal centro verso la
periferia;
• l’approccio globale e la sua
declinazione operativa,
l’integrazione, benché siano senso comune, raramente trovano applicazione concreta nelle scelte
amministrative e nella
operatività dei servizi.
• la questione partecipazione trova accoglienza in documenti internazionali,
dell’OMS, in atti di programmazione regionale,
PSR 2002-2004, nel senso
degli operatori più legati
alle attività territoriali.
In questo contesto il problema della partecipazione riemerge in una forma incerta e
richiede di essere riformulato. Per poterlo fare, nella prospettiva del miglioramento
della salute attraverso un approccio globale, è innanzitutto necessario tentarne una
definizione, cos’è la partecipazione, anche generica ma
utile a delimitare in una prima approssimazione il campo
d’azione, individuarne i soggetti, chi partecipa, e gli oggetti, a cosa.
Definendo in modo del tutto
generale la partecipazione
come processo di interlocuzione tra istituzioni politiche e sistema dei servizi da
una parte e popolazione dall’altra e assumendo come riferimento il miglioramento
della salute attraverso una
programmazione integrata è
possibile individuare i contenuti dell’interlocuzione stessa, gli oggetti cioè della partecipazione.
Una pianificazione efficace
ha bisogno di un supporto
adeguato di conoscenze relative a bisogni, problemi, rischi e opportunità per la salute. Informazioni queste detenute dalla popolazione in
forma unitaria, pluridisciplinare, “naturalmente” integrata perché vissute dentro la
realtà concreta della comunità sul proprio territorio.
Ma, se non si vuole che la
partecipazione si confonda
con il coinvolgimento estemporaneo e strumentale della
popolazione nella lettura della realtà territoriale, ogni atto dell’interlocuzione partecipativa deve essere finalizzato
allo sviluppo della partecipazione stessa, all’obiettivo
cioè di fare della partecipazione un elemento essenziale
delle procedure programmatorie. In questo senso non è
possibile separare l’espressione di una conoscenza dai suoi
esiti: decisioni inerenti le cose da fare, programmi di intervento e procedure di controllo e valutazione.
Si può quindi affermare che
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
la logica dei processi partecipativi è circolare: la partecipazione produce informazioni utili alle decisioni per l’intervento, gli interventi determinano dei cambiamenti nello stato del sistema, cambiamenti che è la partecipazione
a registrare e valutare così da
accrescere le proprie conoscenze, e il proprio ruolo, e
produrre nuove informazioni
per nuove decisioni. È chiaro
che perché il processo non si
esaurisca è necessario che ad
ogni chiusura del circolo si
realizzi un incremento di partecipazione, nel senso della
numerosità dei soggetti e dell’accrescimento delle loro
competenze.
Informazione e decisione sono quindi gli oggetti della
partecipazione, esprimere un
sapere e appropriarsi di un
potere sono momenti identificativi della partecipazione.
Gli oggetti della partecipazione chiariscono quali ne siano
i soggetti: individui e gruppi
in grado di esprimere conoscenze relative alle condizioni sociali, sanitarie e ambientali del territorio e di seguire
in modo attivo il farsi decisione delle informazioni.
Se perciò informazione e decisione sono gli oggetti della
partecipazione essi rappresentano anche i contenuti
generali della relazione sistemica che dalla popolazione
dirigono verso i servizi e le
istituzioni, mentre i contenuti che dai servizi e dalle istituzioni vanno alla popolazione sono:
• informazioni, sullo stato
del sistema e sugli sviluppi e i risultati degli interventi programmatici, che
permettano ai soggetti
della partecipazione di
svolgere un ruolo decisionale nel controllo dei processi e nella valutazione
degli esiti;
• formazione che, attraverso
la socializzazione delle conoscenze e il trasferimento di competenze, realizzi
un incremento qualitativo
e una maggiore diffusione
delle capacità decisionali
della popolazione (empowerment), e quindi una
espansione delle opportunità di salute e di partecipazione.
Il senso di realtà induce a immaginare che la partecipazione non possa pervadere da subito e in tutti i suoi aspetti il
sistema. Il suo sviluppo è un
processo graduale e discontinuo, la cui nascita è condizionata dalla necessità di trasformare la polarità spontaneità/sollecitazione, contraddittoria nei termini, in una
dinamica feconda. In questo
senso l’utilizzazione di modi e
occasioni di coinvolgimento
della popolazione, consigli
comunali aperti, assemblee
pubbliche, comitati di partecipazione istituzionali, hanno
il valore di opportunità, che
per suscitare partecipazione
autentica devono prefigurare
una reale, per quanto limitata
e specifica, ridistribuzione dei
poteri decisionali.
Alcune condizioni di contesto
sono essenziali allo sviluppo
della partecipazione:
• una programmazione che
dai livelli locali salga verso
quelli superiori, solo a
questa condizione è pensabile che la partecipazione divenga una componente sistemica della programmazione stessa;
• un sistema dei servizi flessibile, capace cioè di rispondere alle esigenze di
un governo partecipato
della salute, e per sistema
dei servizi non si intende
solo quello sanitario ma
l’intera galassia dei servizi
degli enti locali. Flessibilità ha qui due accezioni:
una maggiore disponibilità
degli operatori ad accettare e valorizzare i contenuti
tecnici che la partecipazione, più o meno esplicitamente, esprime; la tensione del sistema verso una
operatività per progetti, in
modo tale che anche l’attività corrente venga ricompresa in un’ottica progettuale e quindi costantemente valutata nelle sue
motivazioni ed esiti;
• la socializzazione, valorizzazione e potenziamento
delle esperienze di partecipazione in qualunque
campo realizzate (vedi art.
Esperienze locali: “Città sana”, “Agenda 21”).
La partecipazione nel Piano
sanitario regionale
Il PSR 2002-2004 cita la partecipazione:
• tra i suoi grandi obiettivi
insieme al miglioramento
della salute e del benessere
della popolazione e l’efficienza e la sostenibilità del
sistema;
• tra i valori del Sistema sanitario della Toscana: i/le
cittadini/e non sono oggetti, ma soggetti delle decisioni in tema di salute. Perché la loro partecipazione
sia sostanziale è necessario
promuovere lo sviluppo della loro competenza per una
scelta libera e consapevole
Sae l ute
Territorio 355
dei comportamenti, dei servizi e delle cure;
• tra le scelte strategiche: occorre che le comunità locali
“si riapproprino” dei loro
servizi sociali e sanitari, riducendo così le componenti
burocratiche, sviluppando
invece quelle partecipative,
sia dirette sia mediate dalle
istituzioni comunali.
Da tutto questo è possibile
dedurre che il PSR indica la
partecipazione come uno dei
cardini dell’innovazione del
sistema, insieme a: l’integrazione come approccio all’analisi e all’intervento, la centralità della comunità locale nel
governo della salute, i Piani
integrati di salute come strumento di programmazione.
Il riferimento ai PIS esprime
il tentativo del PSR di modificare, o comunque temperare, l’approccio centralistico
alla programmazione sanitaria regionale.
L’idea di partecipazione che il
PSR sostiene riprende due temi che attraversano da sempre il confronto sul valore
della partecipazione: la relazione tra partecipazione ed
efficienza e il rapporto tra la
comunità e i servizi.
Attualizza il primo legando la
partecipazione a una questione essenziale per il carattere
universalistico del welfare: la
sostenibilità economica. In
sostanza: la partecipazione
dovrebbe consentire, grazie alla consapevolezza dell’importanza dei determinanti extrasanitari della salute e alla responsabilità dei singoli e delle
comunità nei confronti dei
consumi sanitari, una più efficace ed economica allocazione
delle risorse. In questo senso
la partecipazione è soprattut-
l ute
Sa
e
356 Territorio
to vista sul versante del trasferimento di competenze,
formazione e informazione, da
parte del sistema ai cittadini.
Affronta il secondo nella direzione della “riappropriazione”
dei servizi sociali e sanitari da
parte dei cittadini, la partecipazione è vista come espressione della comunità locale,
soggetto della programmazione e del controllo. Individua
infine l’ambito territoriale e
di governo privilegiato della
partecipazione: la zona-distretto. Lo stesso ambito della
realizzazione del Piano integrato di salute.
Partecipazione per il PIS
Poiché il PIS è lo strumento e
la modalità principale con cui
la comunità locale governa la
salute collettiva e interagisce
col sistema dei servizi, esso
rappresenta l’opportunità e lo
spazio privilegiato della partecipazione fin, anzi soprattutto, dalle prime fasi della
sua realizzazione. È bene comprendere tra queste la fase di
avvio, una sorta di fase zero,
in cui i soggetti istituzionali,
articolazione zonale della
Conferenza dei sindaci e l’ASL
o Giunta della SdS, dovranno
I piani integrati di salute
verosimilmente individuare
un gruppo di lavoro col compito di coordinare concretamente la costruzione del PIS.
Verificare la possibilità di
coinvolgere nel gruppo attivatore soggetti della partecipazione, almeno quelli con maggior radicamento sul territorio
come i Sindacati e le Associazioni di volontariato, sarebbe
utile alla definizione di quelle
fasi del PIS in cui la partecipazione ha, dovrebbe avere, un
ruolo decisivo:
• individuazione dei problemi, dei bisogni, delle opportunità di salute;
• scelta delle priorità;
• valutazione dei risultati
dell’attuazione.
La prima fase, conoscitiva, ha
un valore speciale sia in vista
della efficacia delle decisioni
d’intervento, sia per la valutazione, sia sul piano della
partecipazione.
Una conoscenza adeguata della realtà di salute è non solo
una condizione imprescindibile per decidere efficacemente,
ma è anche l’unico riferimento
concreto per valutare gli esiti
degli interventi. Poiché la fase
ha lo scopo di definire una
identità di welfare della zona
Esperienze locali:
“Agenda 21”,
“Città sana”
Maria Grazia Petronio
Alessandra Pedone*
Dipartimento di Prevenzione
Az.USL11 di Empoli (FI)
[email protected]
* Az.USL 8 di Arezzo
[email protected]
N. 147 - 2004
ed essendo il riconoscimento
il connotato essenziale di una
identità, essa rappresenta il
momento in cui la comunità si
riconosce tale attraverso i problemi sociali, sanitari, ambientali, i bisogni, le opportunità di salute che le sono propri: la nascita di una partecipazione autentica coincide
con la trasformazione di una
comunità oggettiva in una comunità soggettiva.
L’Immagine di salute, esito
concreto di fase, è perciò importante non solo per i suoi
contenuti ma anche per le
modalità di realizzazione che
ne determinano il grado di riconoscibilità comunitaria.
L’Immagine è una rappresentazione della realtà ottenuta
attraverso procedimenti condivisi di selezione, integrazione, sintesi delle conoscenze, filtrata dalle esperienze,
dai punti di vista, dalle percezioni dei soggetti che partecipano alla sua realizzazione. È quindi una rappresentazione soggettiva, e proprio in
questo consiste il suo valore,
perché attraverso la coscienza della propria soggettività
la comunità si riappropria del
suo ruolo e delle opportunità
di conoscenza e di trasformazione della realtà.
In una costruzione partecipata dei PIS il confine tra la fase conoscitiva e quella relativa alle scelte di priorità non è
così netto, quanto più l’Immagine di salute è il risultato
della partecipazione tanto
più, in modo magari implicito, esprime anche una gerarchia dei problemi, è importante però che siano trasparenti le ragioni che decidono
della gerarchia.
Verosimilmente sarà la situazione locale a determinare le
forme e i gradi della partecipazione alla realizzazione
dell’immagine di salute, in
qualunque caso è necessario
che i soggetti della partecipazione che hanno contribuito
alla definizione del documento acquisiscano, per questo, il
diritto e si assumano la responsabilità di contribuire alle decisione sulle azioni d’intervento e quindi alla valutazione dei risultati. Solo se la
partecipazione percepisce se
stessa come decisiva è immaginabile che possa espandersi
fino a diventare una componente sistemica del governo
locale della salute.
“C
vaguardia dell’ambiente. Essi
rappresentano un importante
stimolo verso la pianificazione
integrata e partecipata.
ittà sana” rappresenta lo sviluppo
progettuale del documento OMS “Health 21”,
“Agenda 21” del documento
programmatico “Ambiente e
sviluppo” approvato dalla
Conferenza dell’ONU di Rio de
Janeiro del 1992. I caratteri
innovativi di entrambi i progetti riguardano l’integrazione
degli interventi e il coinvolgimento dei cittadini nelle scelte
per la salute collettiva e la sal-
I rapporti con il PIS
Il piano d’azione dell’“Agenda 21” ed il piano di sviluppo
della “Città sana” sono gli
strumenti per raggiungere
obiettivi di miglioramento
della qualità dell’ambiente
insieme ad obiettivi di carattere sociale, economico ed
N. 147 - 2004
istituzionale perseguendo in
modo integrato l’equità sociale, la distribuzione e l’accesso alle risorse ambientali
e a quelle fondamentali come
l’occupazione, la salute, la
protezione sociale, i servizi
di base, l’abitazione.
Punti cardine dei suddetti piani sono: l’integrazione dei temi, gli obbiettivi ambientali
legati ad obiettivi economici e
sociali; il confronto tra gli interessi, tutti i gruppi della società devono essere coinvolti;
il carattere di lungo termine,
obiettivi a lungo termine in
accordo con il principio di precauzione; la dimensione globale; la gestione sostenibile
delle risorse (International
Council for local environmental initiatives -iclei- 1998).
Il PIS, a sua volta, si prefigge
di connettere discipline, protagonisti e azioni diverse verso obiettivi comuni: quelli di
promuovere la salute, contrastare le cause di malattia e
migliorare la qualità ambientale; individuare i bisogni in
maniera condivisa e partecipare alla definizione delle
azioni; ridare centralità alla
comunità locale.
Inoltre il profilo di salute costituisce in definitiva la base
informativa comune per
orientare la progettazione e
la realizzazione di tutti i piani d’azione.
I progetti di “Agenda 21” e di
“Città sana” possono, dunque,
rappresentare un’utile esperienza da utilizzare e integrare nella realizzazione del PIS.
È però necessario tener conto
della molteplicità delle iniziative e dei progetti in atto, cercare un collegamento tra indicatori, target e obiettivi per
mettere a frutto le risorse del
territorio e per non incorrere
nell’errore di creare sovrapposizioni, cercando invece di favorire la partnership e la transdisciplinarietà. Paradossalmente il rischio è un’offerta
pubblica molto articolata di
spazi e strumenti di partecipazione per vari bisogni ed esigenze, in molti casi sconosciuti
e poco utilizzati o “inconsci”
ma non valorizzati, che può inflazionare l’offerta tra eccessi
di retorica e scetticismi sulla
partecipazione fine a se stessa,
e facilitare invece la sovrapposizione e il dispendio di molte
energie e impegni con risultati
di scarsa efficacia qualitativa,
autoreferenzialità e rappresentatività su vari “tavoli” aperti,
gerarchia tra strumenti di “peso” e quelli “marginali”, a seconda delle risorse e della tipologia di attori coinvolti, dell’impegno politico e del supporto finanziario dedicato (Focus Lab 2002 p. 60).
“Città sana” e “Agenda 21”
Il progetto dell’O.M.S. denominato Health 21: 21 obbiettivi di salute per il 21mo secolo
definisce le linee di indirizzo
e gli obiettivi per lo sviluppo
della politica sanitaria dei
paesi europei. Esso costituisce un quadro di riferimento
etico e scientifico e rappresenta non solo un modo per
valutare l’impatto delle politiche sulla salute ma anche
una proposta per utilizzare la
salute come base delle attività di sviluppo in tutti i settori della società.
Il nuovo orientamento tende
a spostare l’obiettivo dal controllo delle malattie e dei fattori di rischio al controllo dei
determinanti di salute: istruzione, occupazione, reddito,
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 357
accesso ai servizi sanitari.
Ai punti 10 e 14 del progetto è
prevista la predisposizione di
un piano per la salute rivolto
alla riduzione dei contaminanti atmosferici, delle emissioni e all’incremento qualitativo dei livelli igienico-sanitari, in particolare di quelli relativi alle realtà socio-economiche più disagiate, contesti nei
quali ai più bassi livelli di qualità della vita corrispondono i
peggiori esiti sullo stato di salute individuale.
Si ammette che la salute, lo
“star bene”, degli individui e
della comunità, è un fatto
complesso che non dipende
soltanto dal buon funzionamento dei servizi sanitari ma
è soprattutto influenzato da
altre scelte, uso del territorio,
uso delle risorse, stili di vita,
rapporti economici, rapporti
sociali, inquinamento atmosferico, condizioni delle abitazioni, occupazione ecc., proprie degli enti di governo democratico della nostra società.
Ne consegue che per migliorare la salute della comunità
occorre avere innanzi tutto la
conoscenza dell’insieme di
tali aspetti e la collaborazione di tutti coloro che possono
influenzare o modificare
l’ambiente di vita.
Sul versante ambientale la
complessità e la gravità delle
problematiche nella fase storica attuale hanno decisamente smorzato, sia nella comunità scientifica che nel
sentire comune, gli atteggiamenti di fiducia incondizionata nelle capacità dello sviluppo tecnologico e delle conoscenze scientifiche di controllo totale dei rischi che minacciano la salute.
Di fronte a rischi ambientali
nuovi ed inevitabilmente incerti basti pensare ai cambiamenti climatici, agli alimenti
transgenici, all’inquinamento
elettromagnetico ecc., ma dagli effetti potenzialmente distruttivi ed irreversibili il
mondo scientifico internazionale si sta orientando verso
l’adozione di una prospettiva
riflessiva, di politiche che
tendano ad allargare all’intera comunità il peso e la responsabilità di scelte che
coinvolgono il destino di tutti, riconoscendo in qualche
modo che la partecipazione e
la cooperazione si pongono
come elementi centrali nel
futuro delle politiche ambientali e sanitarie.
Accantonate, dunque, quelle
“verità” e quelle “certezze”
messe a dura prova da una serie di disastri dalle conseguenze terribili nelle dimensioni, negli ultimi anni, nei
confronti dei rischi ambientali
sono state elaborate e proposte strategie politiche più
cautelative improntante alla
precauzione ed alla prudenza.
Prestigiose associazioni scientifiche, come l’”American Association for the Advancement
of Science”, si sono più volte
pronunciate in questo senso,
sottolineando che la conoscenza scientifica su molti fenomeni e processi non è soltanto temporaneamente carente ma probabilmente mai
potrà essere totalmente esaustiva e invocando, nelle decisioni di “policy”, una condivisione di responsabilità allargata alla società nel suo complesso (De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungaro, 2001).
Si tratta pur tuttavia di un
percorso difficile che si scontra con interessi molto forti
l ute
Sa
e
358 Territorio
di fronte ai quali occorre avere il coraggio, la capacità e gli
strumenti per riuscire ad integrare le diverse visioni dei
problemi, i valori e gli interessi contrastanti nonché
tutte le forme di conoscenza
e di sapere: sia quelle appartenenti alla società comunemente detta “scientifica” sia
quelle proprie degli altri settori della collettività.
È in questo contesto che vanno letti i progetti di “Città sana” e “Agenda 21” (AG21) le
cui radici affondano per il primo in Health21, e, per il secondo, nel documento programmatico sottoscritto nel
1992 a Rio de Janeiro nel corso della Conferenza dell’ONU
Ambiente e Sviluppo che individua le azioni da intraprendere nel 21mo secolo per favorire lo sviluppo sostenibile, attraverso il coinvolgimento attivo dei diversi attori sociali.
Il progetto “Città sana” si
propone di introdurre un nuovo modo di pensare, di progettare, di gestire la salute
pubblica, per il quale è necessario operare mediante azioni
intersettoriali, superando il
vecchio sistema di organizzazione per sistemi di servizi e
per dipartimenti professionali, mediante il coinvolgimento
partecipativo delle comunità
locali, dato che l’obiettivo
delle azioni non è la cura delle malattie ma la promozione
della salute.
Il progetto “Città sana” è un’iniziativa dell’OMS che, per la
prima volta, si rivolge direttamente ai Comuni e non ai Governi dei Paesi, perché tutte le
realtà sociali ed istituzionali
presenti sul territorio si coordinino e lavorino insieme su
comuni obiettivi di salute. Si
I piani integrati di salute
tratta di uno strumento di lavoro che consente ai Comuni
di avere una visione complessiva della situazione locale, di
individuare i problemi esistenti, di stabilire quali tra
questi sono i prioritari e di
trovare la soluzione.
Il progetto gioca un ruolo
speciale nel governo di una
città. Promuove innovazioni
e cambiamenti nella politica
locale per la salute, dando
spazio a nuovi approcci alla
salute pubblica. Esplora le vie
più efficaci per mettere in
pratica negli agglomerati urbani i principi e gli obiettivi
della strategia HFA europea.
È questa la situazione di diverse città del nord Europa
che sono riuscite a ricondurre
sotto un’unica progettualità
le iniziative di promozione
della salute.
Lo sviluppo di un progetto di
“Città sana” passa necessariamente attraverso due fasi:
• la compilazione del Profilo
di salute della città, lo
strumento che descrive dal
punto di vista qualitativo
e quantitativo lo stato di
salute della città e i fattori
che la influenzano ed evidenzia le criticità attraverso l’ausilio di opportuni
indicatori;
• la definizione del Piano di
salute, vero e proprio strumento di programmazione,
attraverso il quale si individuano indirizzi e strategie da intraprendere per
permettere alla città uno
sviluppo dove le componenti sociali, ambientali
ed economiche siano in
equilibrio.
Il Piano di salute nasce dalla
valutazione politica del Profilo di salute.
N. 147 - 2004
Il cittadino ha un ruolo fondamentale in quanto da una
parte è interlocutore, dall’altra assolutamente protagonista di tutte le azioni che verranno avviate perché lui stesso è partecipe dei processi
decisionali e si assume, in
molti casi, anche l’impegno a
modificare il proprio stile di
vita o i comportamenti.
In questo contesto il sistema
dei servizi sanitari è chiamato a rivedere le proprie strategie e a superare la politica
della prestazione medica “curativa” per farsi interprete
dei bisogni dei cittadini percepiti globalmente e per far
questo deve aprire i canali di
comunicazione con le componenti politiche, economiche e
sociali della città.
Nel 1987 aderivano a “Città
sana” 11 città europee. Il
Progetto ha avuto un notevole successo su scala internazionale e oggi oltre 700 città
in tutto il mondo partecipano
al movimento. Attualmente
le reti nazionali europee sono
24 compresa quella delle città
italiane, cui aderiscono 110
Comuni, in rappresentanza di
18 Regioni. Sono costituite e
altre in via di costituzione
anche le reti regionali, tra le
quali molto attive quella del
Friuli, del Piemonte, del Veneto e della Puglia.
L’OMS coordina il progetto
europeo cui sono state ammesse circa 50 città, per l’Italia: Padova, Milano, Bologna,
Udine, Arezzo e Siena.
Il progetto è articolato in fasi.
La prima fase (1987-1992) ha
previsto l’introduzione nelle
città dei nuovi metodi e dei
nuovi strumenti per operare
in riferimento alla salute. Nella seconda fase (1993-1997)
sono state sviluppate azioni
per orientare le politiche verso le forme innovative di programmazione, come i piani di
salute delle città. Nella terza
fase (1998-2002) sono state
promossi progetti coerenti
con gli obiettivi di Health21 e
“Agenda 21” locale. Attualmente è in corso la IV fase
(2003 - 2007) che prevede, per
le città che vi aderiscono, due
direzioni principali di lavoro:
1. Implementazione o definizione, nel caso di città di
recente adesione al progetto, di un piano di sviluppo
per la salute, supportato
da un Profilo aggiornato
della salute, attraverso
partnership intersettoriali.
2. Sviluppo, nei primi due
anni, dei seguenti temi
chiave:
• pianificazione urbana
per la salute, incoraggiando e supportando i
pianificatori urbani ad
integrare idee e prospettive di salute nelle
strategie urbanistiche e
nelle iniziative di pianificazione territoriale
con enfasi sull’equità, il
benessere, lo sviluppo
sostenibile e la sicurezza della comunità;
• valutazione di impatto
sanitario (VIS), applicando processi VIS nelle
città per supportare
azioni intersettoriali
tendenti alla promozione della salute e alla riduzione delle ineguaglianze;
• invecchiare in salute,
lavorando per affrontare i problemi di salute, i
bisogni di cura e qualità
della vita delle persone
anziane con enfasi sulla
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
vita attiva e autosufficiente, sugli ambienti
favorevoli e sull’accesso
ai servizi affidabili ed
appropriati.
La metodologia utilizzata prevede una valutazione annuale
da parte di ciascuna città dei
risultati raggiunti attraverso
l’utilizzo di appositi strumenti di valutazione. L’ufficio
centrale dell’OMS diffonde i
risultati di tali valutazioni, rileva le criticità ed elabora
proposte di approfondimenti
da presentare e condividere in
occasione degli incontri periodici, business meetings, cui
partecipano le città progetto.
In tali incontri sono affrontate tematiche specifiche quali
la povertà, l’equità, la sostenibilità, la partecipazione, la
programmazione integrata.
Ciascun argomento è analizzato in tutti i suoi aspetti
perché le città condividano
anche concetti e linguaggi e
possano affrontare le varie
problematiche con la consapevolezza piena del loro significato e delle implicazioni.
Con la IV fase l’OMS ha ulteriormente ampliato il numero
delle città ammesse alla sperimentazione. L’Italia dovrebbe passare dalle attuali 6,
Arezzo, Bologna, Milano, Padova, Siena e Udine, a 10. Le
città progetto hanno un ruolo
di supporto alle nuove.
“Agenda 21” locale rappresenta il primo vero tentativo
di disciplinare il rapporto
precario fra ambiente e uomo
ed è per questo che è considerata il “manifesto” per lo
sviluppo sostenibile inteso
come “quello sviluppo che
soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri”.
“Agenda 21” si propone di individuare le possibili vie di
attuazione di questo sviluppo sostenibile mediante l’indicazione di una serie di
obiettivi specifici inerenti
non solo l’ambiente ma anche l’economia, la finanza, la
vita produttiva e sociale della comunità.
Per fare ciò utilizza lo strumento dei patti territoriali,
dei processi partecipati e dei
patti di solidarietà tra enti e
cittadini, integrando principi,
obiettivi ed azioni che interessano tutti i livelli istituzionali e operativi, ai diversi gradi di responsabilità ed autonomia. Il luogo privilegiato
della partecipazione e della
condivisione è individuato nel
forum dei soggetti interessati.
Il progetto AG21 è espressione di un vasto consenso, essendo stato approvato, nel
1992, da più di 170 Capi di
Stato e di Governo, a conclusione della Conferenza delle
Nazioni Unite su ambiente e
sviluppo.
Da un’indagine effettuata da
“Focus Lab” nel 2002 è emerso che l’adesione a processi di
AG21 locali riguarda in Italia
556 enti, soprattutto Comuni
(72%), seguiti da Province,
Comunità montane, Enti parco, Associazioni di Comuni e
Regioni.
Tra questi quelli che hanno
aderito, al marzo 2002, alla
Carta di Aalborg della Campagna europea Città sostenibili
e/o al Coordinamento “Agende 21” locali italiane sono
498.
Le adesioni alla Campagna europea “Città sostenibili” sono
quadruplicate dopo il 2000
per effetto del bando di co-finanziamento del Ministero
dell’ambiente di supporto all’avvio di processi di AG21 locale, che prevedeva come requisito appunto l’adesione alla Carta di Aalborg: nel 1998
erano 35, 105 nel 2000 per
passare a 482 nel 2001.
Nonostante l’adesione ad
AG21 sia così vasta emerge
che solo la metà circa degli
enti ha attivato il processo,
cioè circa 1 su 2 tra quelli che
hanno aderito alla Carta di
Aalborg della Campagna europea Città sostenibili e/o al
Coordinamento “Agende 21”
locali italiane, e che la maggior parte di questi si trova
ancora in una fase di avvio.
Per quanto riguarda la partecipazione, solo il 18% ha attivato un forum, il 14% ha
svolto un’analisi dei problemi-criticità del proprio territorio, il 6% ha definito un
Piano d’azione locale, di questi solo il 4% lo ha attuato, e
solo l’1% ha poi effettuato un
monitoraggio.
Gli attori coinvolti sono quasi
sempre enti pubblici, che sono anche promotori, e associazioni ambientaliste; più
raramente interlocutori istituzionali degli enti locali: associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, imprese
private e associazioni imprenditoriali, scuola.
La partecipazione più carente
e discontinua riguarda i cosiddètti soggetti deboli, immigrati, donne e giovani, già individuati come “fondamentali
da coinvolgere”, ma anche le
Associazioni di consumatori e
sportive, i media, l’università.
La causa di questo mancato
coinvolgimento potrebbe essere ricercata da una parte
Sae l ute
Territorio 359
nell’esclusione da parte degli
enti promotori di gruppi considerati non importanti rispetto ai temi da trattare,
dall’altra nella percezione dei
processi di AG21 da parte di
questi attori come non appetibili rispetto ai propri interessi/priorità; in ogni caso la
comunicazione non è mai
stata sufficiente.
Non si notano differenze nel
tipo di attori coinvolti nelle
varie fasi di avanzamento.
Nella maggior parte dei forum
si sono costituiti gruppi di lavoro tematici e la scelta degli
ambiti tematici di lavoro riflette gli interessi dei soggetti partecipanti.
Il 59% degli enti promotori
coinvolge molto il forum sia
per definire scelte strategiche che per valicare e informare su progetti specifici, il
27% lo coinvolge poco, solo il
14% mai, rappresentano il
22% gli enti che hanno dotato il forum di autonomia economica per gestire direttamente progetti emersi dal
Piano d’azione.
La partecipazione ai forum
viene promossa tramite gli
strumenti tradizionali quali
depliant, opuscoli, pagine
web, incontri, ancora monodirezionali e informativi.
Scarso il ricorso a strumenti
interattivi partecipati come
focus group o strumenti multimediali. Nell’85% dei casi
sono stati coinvolti facilitatori, quasi sempre esterni,
per gestire i lavori dei gruppi
e del forum.
Il Comprensorio del cuoio
Il Comprensorio del cuoio è
caratterizzato da una particolare aggregazione di unità
produttive destinate alla pre-
l ute
Sa
e
360 Territorio
parazione, concia e tintura
delle pelli e rappresenta il
“polo conciario” più importante d’Italia, con oltre 800
unità produttive, in cui sono
impiegati quasi 10.000 addetti, e una serie di altre attività
collegate, calzaturifici, pelletterie, produzione di macchine
per conceria, stoccaggi e produzione di prodotti chimici.
Le imprese sono generalmente medio-piccole e artigianali
e spesso comprese nel tessuto
urbano. Si tratta di un’area
molto ricca, il fatturato annuo è di 1,7 miliardi di euro
pari al 40% dell’intero fatturato del settore conciario nazionale. L’attività produttiva
genera elevati livelli di reddito, superiori alla media regionale, ma anche un imponente
impatto ambientale. I livelli
di inquinamento interessano
tutti i comparti ambientali,
aria, acqua, suolo, e sono determinati dall’utilizzo nell’attività di concia di elevate
quantità e varietà di sostanze
chimiche insieme a cospicui
volumi di acqua.
Primo passo per la realizzazione del progetto è stato la
costituzione di un Forum da
parte degli enti locali, con la
partecipazione di associazioni ambientaliste, sindacali e
dei conciatori. Il Forum stesso ha poi stabilito le successive fasi di lavoro.
Sono stati previsti alcuni passaggi chiave:
• impostazione metodologica condivisa del Rapporto
sullo stato dell’ambiente
• elaborazione e condivisione del quadro conoscitivo
emerso
• individuazione degli obiettivi prioritari di sostenibilità
I piani integrati di salute
• definizione del Piano d’azione
• monitoraggio dell’efficacia
del Piano d’azione
Per il Rapporto sullo Stato dell’ambiente nel Comprensorio
del cuoio è stato applicato il
modello concettuale OCSE
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che prevede la organizzazione dei dati e dei relativi indicatori per sistemi ambientali e, nell’ambito di questi, secondo l’articolazione
“stato/pressione/risposta”.
Il rapporto si articola in undici capitoli (vedi cap. 2c) che
corrispondono ad altrettanti
“temi” costituiti dalle principali componenti e problematiche ambientali e dai principali settori e fattori di pressione che dipendono dalle attività umane.
È stato elaborato un set di indicatori (vedi cap. 2c) articolato secondo la logica sistemica propria delle strutture
ambientali.
Dopo la fase di condivisione
del rapporto sono stati individuati gli obiettivi prioritari
di sostenibilità ambientale,
sulla base dei quali impostare
tutte le attività di analisi, discussione, concertazione e
decisione necessarie alla definizione del Piano.
Questo passaggio è importante in quanto qualifica il percorso che si vuole intraprendere e rende esplicite le priorità che si assumono localmente, si basa sui risultati
della fase di diagnosi, ma è
anche il frutto del confronto
tra diversi valori, interessi,
punti di vista sul futuro dei
soggetti locali.
Al fine di individuare tali
obiettivi prioritari è stata
N. 147 - 2004
fatta, in base alle criticità
evidenziate dal Rapporto sullo stato dell’ambiente, da
parte dei coordinatori del Forum una prima selezione di
argomenti da trattare: Proposta di lavoro per la costruzione del Piano d’azione “Agenda21” comprensorio del cuoio
approvata dal Forum.
Sono state successivamente
costruite nel Forum le proposte di piano per gli argomenti
Inquinamento atmosferico e
inquinamento e prelievo dell’acqua ma sulle azioni da intraprendere e, in particolare,
su alcuni progetti strategici
facenti parte di altri piani
non è stato possibile trovare
l’unanimità.
In conclusione possiamo dire
che nel comprensorio del
cuoio del Valdarno pisano la
partecipazione attiva dell’Az.USL ad un progetto sperimentale di AG21 ha reso possibile la realizzazione di un
rapporto che, attraverso un sistema di indicatori appositamente costruito, rappresenta
lo stato dell’ambiente, del sistema produttivo, di quello
energetico, dei trasporti, del
sistema socioinsediativo e della salute della popolazione.
Il risultato è uno strumento
approfondito e dettagliato in
cui tutti i dati disponibili sullo stato dell’ambiente e della
salute sono stati raccolti in
un sistema unico, realizzato
collettivamente e condiviso
da tutti gli attori sociali che
hanno preso parte a questa
prima fase del Forum.
Se pure molta strada è stata
percorsa occorre ancora lavorare intensamente affinché il
processo di integrazione tra il
cosiddetto sapere tecnico,
scientifico, specialistico e
quello proprio della comunità
locale possa davvero realizzarsi a pieno e tradursi in una
partecipazione politica effettiva alle decisioni concernenti
l’ambiente Gli stessi indicatori proposti sono il risultato di
una ricerca ed elaborazione di
dati che ancora si basano sostanzialmente su sistemi
“unilaterali”, e cioè che non
valorizzano le conoscenze e il
punto di vista del cittadino, e
che, a volte, sono espressi con
un linguaggio da addetti ai
lavori e incomprensibile per la
maggior parte di coloro che
dovrebbero discuterli.
Pertanto, la scelta di costituire, in questa prima fase, un
Forum limitato ai soggetti
istituzionali e a poche altre
associazioni rilevanti dovrà
essere rivista nella seconda
fase delle attività al fine di
allargare il percorso ad altri
soggetti sociali. Si dovranno
creare quindi le condizioni
più favorevoli per coinvolgere
la comunità, integrarla nei
gruppi di lavoro ed evitare
che le riunioni previste dal
Forum diventino delle scadenze formali in cui i pochi
attori coinvolti rischiano col
tempo di demotivarsi.
Inoltre, la rappresentazione
congiunta dello stato di salute e dell’ambiente non consente di per sé di poter mettere in relazione determinanti ambientali ed eventuali effetti sulla salute. Per questo
ulteriore passaggio è necessario valorizzare le conoscenze soggettive della popolazione e realizzare indagini ad
hoc sul territorio.
La città di Empoli
Il Comune di Empoli si colloca
al margine occidentale della
N. 147 - 2004
provincia di Firenze, in riva
sinistra dell’Arno, lungo il
corridoio infrastrutturale di
collegamento tra Firenze ed il
mare; il territorio comunale
si estende per 62,9 Kmq, di
cui 2/3 circa formati dalle
pianure dell’Arno e dei suoi
affluenti ed il resto formato
da deboli ondulazioni del sistema collinare che formano
le valli che confluiscono verso l’Arno. La popolazione del
Comune al gennaio 2001 era
di 44.458 abitanti. L’economia di Empoli si basa prevalentemente su produzione artigianale, con tendenza alla
evoluzione al terziario.
Il tema dello sviluppo sostenibile e della partecipazione
dei cittadini ai processi decisionali è al centro dell’attenzione dell’Amministrazione
comunale di Empoli già da diversi anni. A partire dal 1997,
in particolare, l’amministrazione ha avviato processi di
urbanistica e progettazione
urbana partecipata nell’ambito del nuovo PRG. “Dialogare
con i cittadini” e “cominciare
con i bambini ed i giovani”
sono state le azioni amministrative che hanno guidato
l’avvio di tale processo, con
gli obiettivi di: sperimentare
la strategia di partecipazione
in determinate zone di Empoli, progettazione a scala di
settori di quartieri; realizzare
i progetti specifici; concretizzare le riflessioni nelle scelte
di piano; rendere “permanente”, dove possibile, il metodo
della partecipazione.
Tale esperimento è andato
molto bene ed è valso ad Empoli il riconoscimento da parte del Ministero dell’ambiente, nel 1999, di “Città sostenibile delle bambine e dei
bambini” e nel 2000 di “Città
sostenibile”.
L’urbanistica ha rappresentato uno dei campi in cui è stato possibile avviare un processo di programmazione
partecipata in modo maggiormente strutturato. A partire
dal 1997 sono stati organizzati veri e propri Laboratori
di urbanistica partecipata e
nel 2001, in attuazione del
Piano strutturale, è stato avviato un percorso di “Agenda
21” locale con l’obiettivo di
arrivare a definire e attuare,
attraverso un processo partecipato, un Piano d’azione per
lo sviluppo sostenibile del
territorio empolese.
Fino ad oggi, nell’ambito del
percorso, sono già state realizzate diverse attività: è stato predisposto il Rapporto
sullo stato dell’ambiente, sono stati attivati contatti con
diversi soggetti della comunità locale, è stato avviato il
Forum di “Agenda 21” ed è
stato predisposto il primo
Piano d’azione locale.
Nel definire il percorso per
arrivare alla predisposizione
del Piano d’azione locale, si è
partiti dalla constatazione
che la città di Empoli, già da
diversi anni, era interessata,
a vari livelli, da numerosi
processi di promozione della
partecipazione e di progettazione partecipata.
In questo contesto non si
trattava tanto di dover mettere in campo, come nella
maggior parte delle altre
realtà territoriali che si trovano a voler sviluppare un percorso di “Agenda 21”, azioni
di stimolo e attivazione della
partecipazione, quanto piuttosto di individuare una strategia di valorizzazione delle
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 361
molteplici iniziative già in atto, impostando il percorso di
“Agenda 21” locale con l’obiettivo di fare sintesi e dare
organicità ai molteplici percorsi già avviati.
A tal fine, si è ritenuto necessario, prima di coinvolgere il
Forum di “Agenda 21” locale
nelle attività di definizione
del Piano d’azione, analizzare
con attenzione tutte le iniziative già in atto e le azioni
già realizzate dall’Amministrazione comunale coerenti
con il percorso di “Agenda
21” locale.
Nell’ambito del percorso di
“Agenda 21” del Comune di
Empoli il Piano d’azione locale è stato, quindi, sviluppato
in due fasi distinte: una prima fase di lavoro istruttorio,
condotto prevalentemente
nell’ambito di un gruppo di
lavoro interno all’Amministrazione comunale, e una seconda fase di pianificazione
partecipata, condotta nell’ambito di eventi partecipativi con l’ausilio di facilitatori
e l’applicazione di metodologie consolidate di supporto a
tali processi.
La prima fase di lavoro ha
portato all’elaborazione del
documento “Verso il Piano
d’azione locale: il punto di vista dell’Amministrazione comunale”. Il documento costituisce la prima parte del Piano d’azione e delinea le strategie e le azioni d’intervento
del Comune di Empoli nel
prossimo futuro, dal punto di
vista dell’Amministrazione
comunale, a partire da una
valutazione sull’efficacia delle
politiche territoriali e ambientali realizzate in riferimento ai principi dello sviluppo sostenibile, nell’ottica di
Circondario e della progettazione e governo partecipati.
La seconda fase di lavoro ha
invece portato all’elaborazione del documento “Verso il
Piano d’azione locale: Carta di
intenti per Empoli futura, partecipata e sostenibile”, che
costituisce la seconda parte
del Piano d’azione ed è frutto
dell’avvio, nell’ambito del processo di “Agenda 21” del Comune di Empoli, del vero processo di pianificazione partecipata che, oltre ad aver attivato il coinvolgimento di numerosi attori della comunità
locale nel processo di costruzione del Piano d’azione, ha
anche portato all’allargamento della riflessione sulle strategie di sviluppo sostenibile e
sulle idee e azioni da adottare
per i temi del sociale e dello
sviluppo economico, strettamente intrecciati con i temi
dell’ambiente e del territorio.
Principi della Carta d’intenti
sono:
1. Sviluppo sostenibile nelle
tre dimensioni, economica,
ambientale, sociale: principio fondante della gestione
ed uso del territorio, utilizzato in chiave di autosostenibilità, che integra gli
impegni delle “Agenda 21”
negli strumenti di governo
ordinario del territorio,
dell’ambiente, dello sviluppo economico, delle politiche sociali.
2. Ottica di Circondario, che
pone Empoli al centro delle relazioni di un’area più
vasta costituita dal territorio del Circondario Empolese Valdelsa.
3. Governo partecipato: partecipazione attiva della
comunità locale alla definizione delle scelte di svi-
l ute
Sa
e
362 Territorio
luppo del territorio, promuove modelli partecipativi che garantiscano anche
il coinvolgimento di punti
di vista a volte sottorappresentati nella gestione
dello sviluppo locale: di
genere, anziani, immigrati, bambini, mondo rurale.
4. Stare in Europa: condivisione di un’idea di Europa
dei cittadini prima ancora
che degli Stati, di un’Europa delle solidarietà, dell’integrazione culturale,
della tutela delle diversità.
Questa seconda fase di lavoro
è stata avviata chiamando
tutti i soggetti portatori di interesse della comunità locale
empolese a partecipare ad un
seminario di progettazione
partecipata, gestito utilizzando la metodologia EASW - European Awareness Scenario
Workshop promossa dalla
Commissione Europea come
strumento per sensibilizzare e
motivare grandi gruppi di attori locali nel processo di attivazione delle città sostenibili.
Il seminario, svoltosi a Empoli
nei giorni 2 e 11 febbraio
2004, ha coinvolto trentasette partecipanti da quattro categorie di attori chiave, politici/amministratori, operatori
economici, tecnologi/esperti
e utenti/cittadini, ed è stato
articolato in due parti:
• Parte I: Empoli nel 2015, in
cui i partecipanti, divisi in
quattro gruppi corrispondenti alle quattro categorie di attori chiave, hanno
descritto la loro visione di
Empoli città sostenibile
nel 2015. La giornata si è
conclusa con la definizione di una visione condivisa di Empoli città sostenibile nel 2015.
I piani integrati di salute
• Parte II: Idee e azioni per
Empoli, in cui i partecipanti, divisi in quattro gruppi
tematici, hanno elaborato,
discusso e condiviso le idee
e azioni per il perseguimento della visione di Empoli città sostenibile nel
2015. La giornata si è conclusa con l’attribuzione,
mediante il voto dei partecipanti al seminario, di livelli di priorità alle diverse
idee progettuali.
Il seminario ha così consentito di stabilire gli obiettivi
prioritari da perseguire per lo
sviluppo sostenibile della città
e di individuare prime idee e
azioni condivise per il perseguimento di tali obiettivi.
Il documento predisposto nell’ambito di tale processo non
rappresenta tanto un Piano
d’azione che affronta in modo
esaustivo tutte le problematiche legate ai temi del sociale,
dell’ambiente e dell’economia
a Empoli, quanto piuttosto il
primo frutto dell’avvio di una
nuova modalità di co-progettazione per uno sviluppo sostenibile del territorio.
La città di Arezzo
Arezzo è città progetto della
rete europea di “Città sana”
dal 1999. Per poter partecipare alla sperimentazione, cui
aderiscono altre 50 città europee, ha dichiarato il proprio impegno attraverso un
atto del sindaco e del Consiglio comunale; costituito il
Comitato direttivo, formato
oltre che dal Comune stesso,
dalla Provincia, Università,
Scuola, ASL, ARPAT, Associazioni rappresentative dell’utenza ed altre componenti rilevanti della città; si è dotato
di una struttura minima, l’uf-
N. 147 - 2004
ficio “Città sana”, e di un
coordinamento, che tiene i
rapporti con l’OMS, ne recepisce le indicazioni, il materiale e, soprattutto si fa carico
di diffondere la metodologia.
Nell’esperienza di Arezzo l’aspetto più critico è non essere riusciti, ad oggi, a passare
dal Profilo di salute al Piano,
ad uno strumento, cioè, che
ricomprenda o quantomeno
coordini tutti gli atti di programmazione che possono
avere una ricaduta sulla salute dei cittadini. Un secondo
aspetto critico è la mancanza
della costituzione di un forum o di modalità adeguate
di comunicazione e coinvolgimento della popolazione.
Il progetto “Città sana” di
Arezzo ha, rispetto alle altre
esperienze nazionali, la caratteristica di essere nato, promosso e sostenuto da un’associazione, il Centro Francesco
Redi, che, a sua volta, è costituito da un insieme di associazioni e organismi no profit.
Nel 1989 il Centro era formato
dagli enti locali, Comune di
Arezzo e Provincia, la ASL, Associazioni di medici quali l’ISDE (Associazione internazionale dei medici per l’ambiente), la SIMG, l’AARE (Associazione aretina per la ricerca
epidemiologica), Associazioni
dei consumatori, la Lega tumori, la Scuola, l’Università.
Il Centro promosse il PASA,
“Progetto Arezzo salute e ambiente”, partendo dall’esperienza, allora agli inizi di
“Città sana”, e solo successivamente è stato formalizzato
l’impegno del Comune, titolare del progetto. La gestione,
tramite l’ufficio di progetto, è
rimasta al Centro anche nella
III fase, a partire dalla quale
il Comune è stato inserito
nella sperimentazione europea. Questa “anomalia” ha dimostrato negli anni criticità
ma anche punti di forza. Tra
le prime, una non completa
presa in carico da parte del
Comune di alcune responsabilità quali il coordinamento
delle iniziative interdipartimentali, criticità che è comunque comune a molte
esperienze. Altra criticità, il
finanziamento estremamente
limitato dell’iniziativa: i costi
dell’ufficio di progetto coprono appena una parte della segreteria, il lavoro è portato
avanti a livello del tutto volontario. Tra i punti di forza,
una discreta agilità nel promuovere le iniziative, favorita dalla struttura estremamente leggera del Centro.
Il fatto che l’ufficio di progetto sia gestito dal Centro ha
garantito, almeno fino ad oggi, la continuità anche in
presenza di cambiamenti politici di una certa rilevanza:
Arezzo è passato dal 1999 al
centro destra, quando il progetto era stato promosso dal
centro sinistra. In molte altre
città, il solo parziale cambiamento di Giunta, ha, a volte,
determinato l’interruzione
del progetto o il suo forte rallentamento. Altro aspetto
positivo è dato dalla natura
estremamente diversificata
delle associazioni che fanno
capo al Centro che, negli anni, si sono fatte promotrici di
iniziative varie di promozione della salute non necessariamente riconducibili al progetto “Città sana” ma certamente collaterali. Questo
spiega la benemerenza nei
confronti del Centro da parte
del Ministero della salute per
N. 147 - 2004
il contributo dato negli anni
alla salute pubblica.
Criticità e punti di forza
L’AG21, così come “Città sana”, sono strumenti volontari
quindi non vincolanti dal
punto di vista normativo. Essi presuppongono un modo di
lavorare diverso che prevede
la trasversalità tematica interdisciplinare e la partecipazione, entrambe caratteristiche molto difficili da proporre e da attuare nella fase attuale. Il processo richiede
tempi lunghi.
Sempre dall’indagine di “Focus Lab 2002”, emerge che
ostacoli concreti nel percorso
di AG 21 e Comuni, in gran
parte,all’esperienza di città
sane, si sono dimostrati:
• la mancanza di continuità
politica: l’alternarsi di coalizioni o assessori o tecnici
di riferimento può vanificare processi in corso;
• la scarsa disponibilità di risorse economiche è indicata come ostacolo soprattutto da chi ha appena iniziato il processo, ma l’aver
ottenuto il finanziamento
del Bando ministeriale previsto per AG 21 non ha modificato la situazione di
stagnazione; mentre chi ha
già attivato il processo pone in secondo piano il ruolo dei finanziamenti e individua altre criticità, va
quindi ridimensionata l’importanza della “perenne
carenza di risorse”, spesso
motivo di inerzia, spostando l’attenzione sugli aspetti professionali, manageriali, organizzativi e di relazione col territorio;
• la scarsa collaborazione tra
i partner interni degli enti:
prevalgono ancora logiche
progettuali settoriali, aspetti di visibilità, dinamiche personali e relazioni
conflittuali, modelli organizzativi verticali. A tutto
questo vanno aggiunte le
emergenze, le scadenze,
gli obblighi di conformità
a normative che mettono
in secondo piano iniziative
volontarie-non vincolanti.
Tra i partner, inoltre, è diffuso un certo scetticismo
sia sulle finalità generali
del progetto che sull’effettiva volontà politica di dare attuazione a processi
partecipati;
• la scarsa integrazione nelle
politiche del territorio, come è stato detto l’AG 21 è
per definizione intersettoriale ma al di là degli au-
Bibliografia:
Profilo di salute della città di Arezzo, a cura del Comune di Arezzo, apr.
1999.
Salute e Ambiente in Lombardia. Secondo rapporto, a cura della Regione Lombardia, Direzione generale Sanità, Servizio prevenzione sanitaria, set. 1999.
Linee guida per la valutazione ambientale strategica (Vas). Fondi
strutturali 2000-2006, a cura del Ministero dell’ambiente, 1999.
Sui sentieri della sostenibilità. Materiali per la sperimentazione delle
Agende 21 in Toscana, a cura dell’ARPAT, 1999.
Documento introduttivo ai lavori del Forum per l’“Agenda 21” locale, a
cura della provincia di Livorno, gen. 2000.
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 363
spici sono rare le esperienze di integrazione e coordinamento tra gli obiettivi, le azioni, i target del
Piano d’azione con altri
Piani di settore o strumenti di programmazione. A
volte l’integrazione non si
verifica neanche con altri
strumenti di partecipazione, Bilanci partecipativi,
Patti per la salute, molto
simili ai processi di AG21 e
di “Città sana”;
• la partecipazione, l’effettivo coinvolgimento della
comunità locale rimane un
aspetto critico, soprattutto
per l’attuazione di modalità diverse incentrate non
sulla forma classica di consultazione dell’assemblea
pubblica ma sull’interazione. La scarsa attitudine a
cercare il coinvolgimento
della comunità, e soprattutto di soggetti deboli,
associazioni di immigrati,
organizzazioni di consumatori, sportive, culturali,
organizzazioni giovanili,
singoli cittadini, è un limite operativo ma soprattutto culturale che finora ha
condizionato la buona riuscita di processi di pianificazione partecipati.
Le esperienze condotte han-
no però introdotto anche elementi di innovazione e cambiamento. Tra i miglioramenti
rilevati:
• maggiore condivisione di
informazioni nell’ente e
fuori, maggiore coordinamento tra Assessorati e tra
enti, anche se ancora insufficiente;
• maggiore approfondimento
tecnico e trasversale delle
problematiche esistenti e
migliore capacità di trovare
soluzioni a problemi esistenti, in generale una migliore capacità progettuale;
• maggiore integrazione tra
le problematiche ambientali-territoriali e quelle sociali, sanitarie, culturali
ed economiche.
Sicuramente qualche cambiamento innovativo va segnalato anche nelle modalità di
partecipazione, sia per quanto riguarda la valorizzazione
degli attori coinvolti che l’interazione e la capacità di affrontare temi trasversali; l’utilizzo sempre maggiore di
strumenti di comunicazione
interattivi, il ricorso a tecniche di facilitazione, indagini
di percezione indicano che
quella della partecipazione è
una metodologia che si costruisce gradualmente.
Ambiente e salute in Italia, a cura di O.M.S., Centro Europeo Ambiente
e Salute divisione di Roma, lug. 1997.
Dichiarazione di Atene sulle città sane, 28 giu. 1998.
De Marchi B., Pellizzoni L., Ungaro D., Il rischio ambientale, Bologna,
Il Mulino, 2001.
Petronio M.G. … et [al.], Iniziative di ricerca e interventi sul rapporto
ambiente-salute nella zona del cuoio in Atti della prima Conferenza
sulla Qualità dell’Aria nella provincia di Pisa, Pisa 29-30 gennaio 1999.
A. Pedone … et [al.], Il progetto “Città sana” in Salute e Territorio
n.139 a. XXIV.
Segnali ambientali in Toscana 2002. Indicatori ambientali e politiche
pubbliche, Firenze, Regione Toscana, 2002.
Le strategie per il terzo millennio, in “Salute e territorio”, a. XX, n.
114, mag.-giu. 1999.
l ute
Sa
e
364 Territorio
I piani integrati di salute
I Profili di salute
Andrea Valdrè
Alessandra Pedone*
Maria Grazia Petronio**
Az. USL di Firenze
S. Casciano VP (FI)
[email protected]
* Az. USL 11 - Empoli
** Az. USL 8 - Arezzo
I
di salute. Il PSR, infatti, cita i
percorsi di “Agenda 21” e
“Città sana” come percorsi
condivisibili e auspicabili
nella costruzione di un’immagine di salute.
L’Organizzazione mondiale
della sanità ha proposto per la
rete delle “Città sana” un set
di base costituito da 32 indicatori (Tab. 1) che rispondono
ad un principio di fattibilità;
questi sono significativi anche per Comuni con un numero limitato di abitanti e privi
di particolari strutture, e, nel
contempo, sono sufficienti
per rappresentare lo stato di
salute della comunità. Il set
risulta quindi funzionale per
un utilizzo interno all’ambito
comunale, ma anche per un
confronto fra le diverse città
della rete, dato che l’OMS definisce con precisione anche le
caratteristiche dei dati utilizzati e il metodo di calcolo per
ogni singolo indicatore.
Ciascuna città può comunque
integrare tale set con indicatori che tengano conto delle
particolarità locali, poiché
l’analisi del tessuto sociale
può evidenziare la necessità
di specifici approfondimenti
per alcuni fenomeni oppure
l’integrazione su aspetti della
comunità non indagati.
I macro-ambiti analizzati tramite gli indicatori si possono
suddividere in:
l “Profilo di salute” è uno
strumento tecnico, perché
costruito dai tecnici su
una base predefinita di indicatori e, al tempo stesso, divulgativo poiché deve essere
di facile comprensione anche
per i non addetti ai lavori.
Ha lo scopo di rilevare lo stato di salute della comunità
locale attraverso il contributo
dell’epidemiologia, di evidenziare le cause di rischio più
rilevanti, la prevedibilità e
l’evitabilità delle malattie e
degli infortuni. Il Profilo di
salute è, altresì, uno strumento di conoscenza, dialogo
e partecipazione che tutti gli
attori sociali (amministratori
e decisori politici locali, operatori di enti pubblici e privati e rappresentanti dell’associazionismo) utilizzano per
trarvi indicazioni utili ad individuare strategie, obiettivi
prioritari e programmi concreti d’intervento nella città.
È importante definire le fonti
e i criteri di rilevazione degli
indicatori perché il Profilo di
salute costituisce anche lo
strumento attraverso il quale
si verificano, negli anni, i risultati ottenuti.
Il Profilo di salute costituisce
in definitiva la base informativa per orientare la progettazione e la realizzazione di
tutti i piani d’azione e, dunque, anche dei Piani integrati
N. 147 - 2004
•
•
•
•
Aspetti demografici
Caratteristiche di salute
Servizi sanitari
Ambiente fisico e inquinamento
• Ambiente socioeconomico.
In questo paragrafo si propongono tre esperienze concrete di realizzazione di Profili di salute, quelle di Arezzo, Empoli e della zona sudest dell’Azienda sanitaria di
Firenze.
Come si vedrà, nel caso di
Arezzo ed Empoli la realizzazione del Profilo è integrata
nei percorsi di “Città sana” e
“Agenda 21”.
La città di Arezzo
Ad Arezzo sono stati predisposti i profili per il 1998,
2000 e 2004, mentre per il
2002 è stato redatto il Profilo
della Provincia di Arezzo, organizzato secondo le 5 zonedistretto.
I Profili di salute di Arezzo sono stati realizzati da un gruppo di lavoro costituito da:
• uno statistico, responsabile dell’Osservatorio del sociale della Provincia per
gli aspetti demografici e
socioeconomici, con il
supporto dell’Assessorato
alle politiche sociali del
Comune;
• un professionista, che aveva realizzato per conto del
Comune il rapporto di
“Agenda 21” e che ha curato la parte ambientale con
il supporto dell’Ufficio ambiente del Comune e dell’Assessorato alla salute e
ambiente;
• tre operatori dell’Azienda
sanitaria, di cui due dell’Unità operativa del sistema informativo, che han-
no curato gli aspetti salute/stato dei servizi sanitari, e un operatore dello
staff della Direzione, con
funzioni di coordinamento
del gruppo;
• un professionista dell’Ufficio “Città sana”, per gli indicatori non riconducibili
direttamente alle aree precedentemente descritte,
per la veste grafica del
Profilo, nonché l’aggiornamento della tabella degli
indicatori annuali.
La struttura del Profilo è
piuttosto snella e redatta da
“addetti ai lavori” che hanno
accesso alla maggior parte
delle fonti dei dati. Questa
caratteristica rende poco
confrontabile la realtà di
Arezzo con quella di altri Comuni in molti dei quali è stato costituito un gruppo allargato di referenti per la fornitura dei dati.
Nel Profilo di salute di Arezzo
il set proposto dall’OMS è stato integrato con gli indicatori
relativi: all’immigrazione, un
fenomeno che sta assumendo
sempre più rilevanza e incide
fortemente sulle politiche locali; alla mortalità giovanile;
alle interruzioni volontarie di
gravidanza; ai ricoveri ospedalieri; all’inquinamento acustico e ai flussi di traffico; all’abbandono scolastico; alla
criminalità; all’associazionismo (Tab. 2). Gli indicatori
sono generalmente rilevati a
livello comunale, in molti casi è utile una loro disaggregazione in sottogruppi della popolazione o in subaree urbane espressione di livelli diversificati di rischio, esempio
i quartieri cittadini.
Gli aspetti critici del Profilo
sono:
N. 147 - 2004
• la mancanza di un confronto con la popolazione o
gruppi di essa sulla percezione dello stato di salute e
dei suoi determinanti e sulle proposte di soluzione;
• l’uso politico che ne può
essere fatto evidenziando
solo gli aspetti positivi e
le realizzazioni o le criticità e la mancanza di interventi.
Le zone Empolesi e del Valdarno Inferiore
Il Profilo di salute delle zone
Empolesi e del Valdarno Inferiore è stato concepito come
un capitolo all’interno del più
ampio “Rapporto sullo stato
dell’ambiente” costruito nell’ambito del percorso delle
AG21 locali.
Per la costruzione del Profilo
di salute è stato applicato il
1. Aspetti demografici
Informazioni generali sulla popolazione
2.
A
A1
A2
A3
Stato di salute
- Mortalità generale e per causa
- Mortalità per tutte le cause
- Mortalità per causa
- Basso peso alla nascita
3.
B1
B2
B3
B4
B5
B6
B7
Servizi sanitari
- Educazione alla salute
- Vaccinazioni obbligatorie
- Abitanti per medico di base
- Abitanti per infermiere
- Abitanti con assicurazione sanitaria
- Servizi in lingua straniera
- Questioni di salute prese in esame
dal Consiglio comunale
- Natalità
- Aborti spontanei
D6
D7
1.
Aspetti demografici
Tasso di immigrazione
Percentuale di abitanti extracomunitari
2.
Stato di salute
Mortalità giovanile
Disagio mentale
3.
Servizi sanitari
Educazione alla salute
Vaccinazioni facoltative
MMG aderenti all’accordo quadro
Interruzioni volontarie di gravidanza
Ricoveri ordinari
Ricoveri day hospital
Tasso di ospedalizzazione
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 365
modello concettuale OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il più consolidato nella
letteratura internazionale,
che prevede la collocazione
dei dati e dei relativi indicatori per sistemi ambientali e,
nell’ambito di questi, secondo
l’articolazione “stato/pressione/risposta” (modello PSR).
Nel modello PSR si distinguo-
no tre categorie di indicatori:
• Indicatori di stato: descrivono sia le condizioni di
naturalità, come ad esempio l’entità del patrimonio
forestale, che i fenomeni
di degrado delle diverse
componenti ambientali,
come le concentrazioni di
inquinanti, lo stato di eutrofizzazione e la perdita
di biodiversità.
4.
C1
C2
C3
C4
C5
C6
C7
C8
C9
C10
C11
C12
C13
Ambiente
- Inquinamento atmosferico
- Qualità della fornitura idrica
- Sostanze inquinanti dell’acqua
- Qualità della raccolta dei rifiuti
- Qualità dello smaltimento dei rifiuti
- Spazi verdi nella città
- Accesso agli spazi verdi
- Siti industriali dismessi
- Impianti sportivi
- Zone pedonali
- Ciclismo in città
- Trasporto pubblico
- Copertura rete di trasporto
pubblico
C14 - Spazio abitabile
5.
D1
D2
D3
D4
D5
D8
Aspetti socioculturali
- Alloggi disagiati
- Senzatetto
- Tasso di disoccupazione
- Povertà
- Asili nido
- Disabili occupati
4.
Ambiente
Inquinamento acustico
Veicoli circolanti
Flussi di traffico
Incidentalità
Inquinamento elettromagnetico
5.
Aspetti socioculturali
Giovani segnalati per uso o possesso
di stupefacenti
Situazione economica
Abbandono nella scuola superiore
Associazioni di volontariato
Delitti denunciati
Persone denunciate
La popolazione anziana
Tab. 1.
Tab. 2.
l ute
Sa
e
366 Territorio
• Indicatori di pressione: descrivono tutti gli impatti
esercitati sull’ambiente
dalle attività umane; dai
consumi di risorse alle
emissioni inquinanti, agli
scarichi, alla produzione
di rifiuti, fino alla contaminazione dei suoli agricoli e urbani.
• Indicatori di risposta:
esprimono le risposte date
dalla società ai cambiamenti nello stato dell’ambiente. Indicano tutte le
tipologie di intervento
pubblico, dal monitoraggio
e prevenzione, ai sistemi
di risparmio e smaltimento, agli incentivi e strumenti fiscali, ai piani e alla loro efficacia attuativa.
L’insieme degli indicatori ambientali e sanitari approvato
dal Forum è quello riportato
nella pagina seguente.
Si tratta di un sistema flessibile, suscettibile di variazioni
in corso d’opera sia nel senso
di un’implementazione del
set con altri indicatori rappresentativi di fattori di pressione/stato/risposta emersi
durante lo studio, sia nel senso di un ridimensionamento
determinato dall’impossibilità di reperire informazione
sull’argomento.
Nell’ambito di ciascun capitolo, il Rapporto è così strutturato:
• Premessa: si mettono in
evidenza le ragioni per cui
si tratta il tema e la sua rilevanza ai fini della sostenibilità;
• Quadro di riferimento normativo: si evidenziano
l’insieme di norme, programmi e obiettivi consolidati a livello nazionale o
I piani integrati di salute
europeo utilizzati per la
valutazione;
• Fonti consultate e dati disponibili: si indicano le diverse fonti utilizzate, gli
enti che hanno fornito i
dati e/o informazioni e i
documenti utilizzati;
• Elementi di criticità: viene
effettuata una sintetica
valutazione dei dati raccolti, sottolineando i problemi rilevati nonché le
eventuali lacune nelle
informazioni riportate.
Nel capitolo sullo stato di salute è stata omessa la voce
“pressioni” in quanto si assume che tutti, o quasi, i capitoli precedenti possono considerarsi genericamente fattori di pressione sulla salute
mentre solo una successiva
lettura integrata dei dati ambientali insieme a quelli dello
stato di salute potrà forse
suggerire quali sono in maniera più specifica i fattori di
rischio per la popolazione
che vive in questo territorio.
La descrizione dello stato di
salute della popolazione e
dei lavoratori è basata soprattutto sull’analisi di dati
esistenti, mortalità, tumori,
malformazioni congenite,
malattie professionali, infortuni, a cui si sommano i dati
relativi a due indagini attivate dalla Azienda USL e relative all’incidenza dell’asma, della rinite allergica e
dell’eczema nei bambini residenti e allo studio della mortalità di una coorte di lavoratori della concia.
In questa prima fase di costruzione del Rapporto sullo
stato dell’ambiente e della
salute il lavoro più rilevante
è stato svolto dagli enti competenti, ARPAT, USL, Provin-
N. 147 - 2004
cia, e da consulenti cui è stato affidato il compito di supportare i lavori dei Forum
delle AG21, mentre i rappresentanti della comunità, Associazioni ambientaliste e
Sindacati, hanno avuto un
ruolo passivo che li ha visti
più spettatori che attori, anche se attenti e partecipi.
Unica eccezione quella dell’Associazione conciatori che
possiede molti dati relativi
agli insediamenti produttivi
e ai fattori di pressione sull’ambiente, rifiuti, reflui,
emissioni, e che ha contribuito più direttamente alla
realizzazione del rapporto.
Il livello di dettaglio e di approfondimento conseguito ha
anche reso non del tutto
semplice, se non in alcuni casi davvero impossibile, una
comprensione profonda delle
informazioni fornite per i
non addetti ai lavori. Da segnalare anche la difficoltà da
parte dei Comuni a fornire
dati disaggregati – appunto
per ambito comunale – e relativi alle condizioni socio-economiche, agli standard urbanistici ed alla qualità delle
abitazioni.
In conclusione si può dire
che la partecipazione attiva
dell’Azienda USL ad un progetto sperimentale di Ag.21
ha reso possibile la realizzazione di un rapporto che, attraverso un sistema di indicatori appositamente costruito, rappresenta lo stato
dell’ambiente, del sistema
produttivo, di quello energetico, dei trasporti insieme a
quello del sistema socioinsediativo e della salute della
popolazione che in quel territorio risiede.
Da un punto di vista stretta-
mente sanitario il quadro delineato, sicuramente non
esaustivo, rappresenta pur
tuttavia un buon esempio di
come si possano utilizzare a
livello locale dati comunque
già esistenti e disponibili, registri di mortalità, registri
tumori e registri delle
malformazioni congenite, e
di come l’integrazione tra i
vari servizi dell’Azienda sia
proficua per un lavoro di
questo tipo.
Nel corso di questa prima fase
di lavoro, durata circa due
anni e che ha comportato un
discreto impegno di risorse
per tutti gli enti coinvolti,
ma in maniera particolare per
l’ARPAT e l’Azienda USL, sono
emersi però alcuni aspetti
meritevoli di riflessione:
• Gli indicatori proposti sono il risultato di una ricerca ed elaborazione di
dati che ancora si basano
sostanzialmente su sistemi “unilaterali” e cioè che
non valorizzano le conoscenze e il punto di vista
del cittadino, e che, a volte, sono espressi con un
linguaggio da addetti ai
lavori e incomprensibile
per la maggior parte di
coloro che dovrebbero discuterli.
• La rappresentazione congiunta dello stato di salute
e dell’ambiente non consente di per se di poter
mettere in relazione determinanti ambientali ed
eventuali effetti sulla salute. Per questo ulteriore
passaggio è necessario valorizzare le conoscenze
soggettive della popolazione e realizzare indagini
ad hoc sul territorio.
N. 147 - 2004
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 367
I SISTEMI AMBIENTALI
ACQUA
Stato
Qualità delle acque superficiali
Qualità delle acque sotterranee
Disponibilità di risorse idriche
Pressioni
Consumi idrici
Prelievi idrici
Abitanti equivalenti
Impianti di depurazione
Scarichi idrici
Risposte
Le politiche di gestione delle risorse
idriche
Approvvigionamento idrico
Rete fognaria
Capacità di depurazione
Elementi di criticità
PAESAGGIO E NATURA
Stato
Il paesaggio, inteso come sistema di
ecosistemi
ecologia del paesaggio
Vegetazione, flora e fauna
Biodiversità
Risposte
Le aree protette
Corridoi ecologici
Colture forestali
Elementi di criticità
ENERGIA
Pressioni
I consumi energetici
Risposte
La pianificazione energetica
La cogenerazione
Elementi di criticità
MOBILITÀ E TRASPORTI
Pressioni
Infrastrutture di trasporto
Mobilità e traffico
Incidentalità
Risposte
La pianificazione del traffico
L’intermodalità
Le aree pedonali, le zone a traffico limitato, le piste ciclabili
Elementi di criticità
ARIA
Stato
Meteorologia
Qualità dell’aria-monitoraggio chimico
Qualità dell’aria-monitoraggio biologico
Inquinamento elettromagnetico
Pressioni
Emissioni in atmosfera
Risposte
Commissione tecnica sull’inquinamento
atmosferico
Provvedimenti per la limitazione
dell’inquinamento atmosferico
Elementi di criticità
SUOLO E SOTTOSUOLO
Stato
Subsidenza
Fragilità idraulica
Vulnerabilità degli acquiferi
Pressioni
Siti da bonificare
Livelli di contaminazione dei terreni
Risposte
Bonifica dei siti inquinati
Politiche per la difesa del suolo
Elementi di criticità
I FATTORI ANTROPICI
RUMORE
Stato
Clima acustico
Pressioni
Immissioni sonore
Risposte
La zonizzazione acustica
I Piani di risanamento acustico
Elementi di criticità
RIFIUTI
Pressioni
Produzione di rifiuti urbani
Produzione di rifiuti speciali
Impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti
urbani
Impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti
speciali
Risposte
La gestione dei rifiuti
Riduzione della produzione dei rifiuti
Raccolta differenziata
Riutilizzo e riciclaggio
Smaltimento dei rifiuti
Elementi di criticità
SISTEMA PRODUTTIVO
Pressioni
Attività produttive (numero, struttura,
addetti, fatturato, ecc.)
Infortuni sul lavoro
Risposte
Innovazione tecnologica e tecnologie
pulite
Il Polo tecnologico
La gestione ambientale d’impresa
Elementi di criticità
AMBIENTE, QUALITÀ DELLA VITA E SALUTE
SISTEMA SOCIOINSEDIATIVO
Stato
Condizioni socioeconomiche
Qualità degli insediamenti (dotazione di standard
urbanistici, spazi aperti al pubblico, ecc.)
Pressioni
Popolazione
Superficie urbanizzata
Qualità delle abitazioni
Presenza di amianto negli ambienti di vita e di lavoro
Qualità dell’acqua potabile
Edifici in prossimità di linee elettriche ad alta
tensione
Segnalazioni dei cittadini per problemi
ambientali
Risposte
Interventi di qualificazione e valorizzazione degli
insediamenti
La pianificazione territoriale
Piano mirato amianto
Ricerca intervento per la tutela della
popolazione dall’esposizione a campi
magnetici a 50 Hz
generati da linee elettriche ad alta
tensione
STATO DI SALUTE
Stato
Mortalità generale e per cause
Mortalità infantile
Morbosità
Studio sui disturbi respiratori-l’eczema
nell’infanzia
Infortuni sul lavoro
Malattie professionali
Studio di mortalità in una coorte
di lavoratori della concia
Eventi sentinella
Risposte
Piano attuativo locale della prevenzione
collettiva
l ute
Sa
e
368 Territorio
Il profilo di salute della
ASL 10 zona sud-est
La zona fiorentina sud-est
comprende 13 Comuni della
Provincia di Firenze, suddivisi
in tre Distretti socio-sanitari:
Chianti, Valdarno e Valdinieve.
La zona sud-est ha elaborato
un primo Profilo di salute
I piani integrati di salute
particolarmente orientato
verso la componente “anziani”, nel 2003, con un certo
anticipo rispetto alla costituzione della Società della salute avvenuta nel settembre
2004. L’obiettivo era, infatti,
quello di dotare la futura Società della salute, di stru-
1.
Aspetti demografici
Informazioni generali sulla popolazione
Dati anagrafici della popolazione
ultra65
Composizione delle famiglie
Indice di vecchiaia
Indice di dipendenza
2.
Stato di salute
Uso dei servizi sanitari
Indici di assistenza sanitaria, ADP
Visite specialistiche
Assistenza domiciliare socio-sanitaria
Progetti riabilitazione/lungo degenza
Vaccinazione influenzale
Esenzione per patologia
Denuncie malattie infettive,
Trattamenti sanitari obbligatori
Dati ricoveri ospedalieri
Tassi di ospedalizzazione
Invalidità civile e non autosufficienza
Demenza senile
Patologie croniche, pluripatologie
Depressione nell’anziano,
Assunzione farmaci,
Numero indennità di accompagnamento
Partecipazione a progetti di screening
3.
4.
Servizi sanitari
Educazione alla salute
Vaccinazioni obbligatorie
Abitanti per medico di base
Abitanti per infermiere
Abitanti con assicurazione sanitaria
Servizi in lingua straniera
Questioni di salute prese in esame dal
Consiglio comunale
Natalità
Aborti spontanei
Ambiente
Zonizzazione rumore
5.
N. 147 - 2004
menti propedeutici idonei alla definizione di un Piano integrato di salute e di dare avvio a quel processo di concertazione con la Conferenza dei
sindaci e con la comunità, finalizzato alla costruzione
dell’Immagine di salute.
Il lavoro sul Profilo è stato
Aspetti socioculturali
Alloggi disagiati
Povertà
Scolarità della popolazione anziana
Partecipazione a programmi
per gli adulti
Occupazione precedente, alla pensione
Reddito
Utenti in carico al Comune per servizio
mensa, partecipazione culturale,
disponibilità cinema, teatro,
centri di aggregazione, partecipazioni
a viaggi organizzati ecc.
Infrastrutture fisiche
Trasporti, comunicazioni
Attrezzature di svago (pallai, circoli,
ecc.)
Centri sociali autogestiti
Appezzamenti ortivi
Circoli, vacanze anziani, Università
terza età, iniziative volontariato
su anziani
Esercizio fisico, uso dei centri sportivi,
partecipazione ad attività sportive
Spazi verdi
Presenza giardini, panchine, ecc.
per abitante. (mq/ab)
6.
Stili di vita
Fumo nella popolazione anziana
Malattie coronariche
Tumori al polmone
Bronchiti
Alcool nella popolazione anziana
Cirrosi e ricoveri per patologie correlate
Alimentazione nell’anziano
Animali da compagnia, n° anziani
con pet
7.
Alloggi
Caratteristiche fisiche delle abitazioni
N° persone per abitazione
N° persone per stanza
Mq per abitante
N° alloggi in case sparse
N° anziani soli in alloggi in case sparse
Piano terra/piani alti
Presenza scale e altre barriere
architettoniche
avviato su iniziativa della Direzione di zona dell’ASL e dei
tre Distretti, e successivamente ha coinvolto le tredici
Amministrazioni comunali.
Per l’avvio del lavoro di elaborazione del Profilo di salute è stata determinante la
realizzazione di tre momenti
Tab. 3.
N. 147 - 2004
di discussione e approfondimento in materia di PIS e
Profili di salute, presso i tre
Distretti, allo scopo di sensibilizzare in modo più puntuale i Comuni alla necessità
di un lavoro congiunto sia
per la costituzione delle SdS
sia per la preparazione dei
PIS, che di queste Società
rappresentano lo strumento
principale di governo.
Per la costruzione del Profilo
di salute, si è poi costituito
un gruppo di lavoro, denominato “Gruppo Indice”, del
quale fanno parte soprattutto
operatori ASL e rappresentanti dei Comuni. Il gruppo
ha attivato a sua volta 8 sottogruppi, ognuno dei quali è
stato incaricato di raccogliere
i dati e gli indicatori rispetto
a 8 aree tematiche.
La decisione assunta dal
Gruppo, poi fatta propria dalla Conferenza dei sindaci, è
stata quella di focalizzare
l’attenzione su un segmento
specifico della realtà sociale,
la popolazione anziana, e
sulla disabilità.
Come già evidenziato, i gruppi dove più rilevante sarebbe
dovuto essere il contributo
dei Comuni, hanno subito il
clima del rinnovo amministrativo, che ha posto questi
enti in una situazione di attesa. Questo fatto ha indotto
un atteggiamento di maggiore responsabilizzazione degli
operatori della ASL che hanno ritenuto comunque di procedere con il lavoro.
Positivi sono stati i percorsi
di reale integrazione nella fase di contatto con soggetti
esterni alla ASL: Provincia,
INPS, Carabinieri, Associazionismo, che hanno fatto emergere archivi e fonti di dati
utili e a cui generalmente
non si fa ricorso.
Emerge, di conseguenza, che
il maggior lavoro da fare è
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 369
quello di coordinamento delle
attività informative di enti e
soggetti tra loro non sufficientemente collegati.
Altre importanti informazioni sullo stato della popolazione anziana sono state attinte
dallo studio “InChianti” 1 e
dallo studio ILSA2.
L’esperienza di realizzazione
del Profilo suscita alcune
considerazioni:
• vi sono più strumenti di
programmazione o di pianificazione territoriale, che
prevedono la raccolta di dati e l’elaborazione di indicatori, che raramente trovano un collegamento. Ad
esempio: il Piano strutturale per la L.5/95, il Piano di
zonizzazione acustica, il
piano degli orari, il piano
del commercio richiedono
tutti informazioni demografiche, sociali, sulla viabilità, i trasporti ecc.;
• molti problemi di salute so-
no riconducibili a cause e
dinamiche relative ad ambiti territoriali di dimensioni più ampie della zona/distretto. Inquinamento, viabilità, sistema dei trasporti, accesso al mondo del lavoro, istruzione, accesso ai
servizi sociali, inclusione/
esclusione sociale sono tutti fenomeni che spesso richiedono un approccio sovrazonale;
• la costruzione dei Profili
di salute può rappresentare un formidabile strumento di integrazione e
coordinamento tra i diversi sistemi informativi
pubblici e privati attivi
sul territorio.
Nella prima fase di costruzione del Profilo di salute della
zona sud-est sono stati utilizzati i 32 indicatori OMS cui
ne sono stati aggiunti altri
relativi alla realtà locale della
popolazione anziana (Tab. 3).
1 InChianti è uno studio epidemiologico osservazionale condotto su un campione rappresentativo di popolazione residente nell’area, che ha come
obiettivo quello di indagare i problemi di disabilità motoria, ma anche le condizioni socio economiche e gli stili di vita del campione. È stato realizzato dall’Istituto nazionale riposo e cura per anziani, INRCA, e dal Dipartimento di geriatria di Firenze con un contributo del National Institute on
Eging (NIH BETHE).
2 ILSA è uno studio epidemiologico longitudinale che ha come obiettivo quello di tracciare un profilo scientifico del fenomeno invecchiamento
nella realtà italiana, tenendo conto in maniera integrata sia degli aspetti biologici che degli aspetti clinici e psicosociali dell’invecchiamento, per
caratterizzare i fattori responsabili di specifiche patologie ed in particolare della perdita dell’autosufficienza.
l ute
Sa
e
370 Territorio
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
I moduli
La promozione della salute nelle elaborazioni
strumenti giuridici di attuazione. Gli strumenti
Criteri e fonti di individuazione dei problemi
La
programmazione
a livello
territoriale
Eva Buiatti
Maria Grazia Petronio*
Alessandra Pedone**
Andrea Valdrè***
Canio Lomuto
I
moduli formativi sui Piani
integrati di salute svolti
nel biennio 2003-2004, di
cui si tratta nei successivi paragrafi, costituiscono un’iniziativa dell’Agenzia regionale
di sanità in collaborazione
con i Comuni e le Aziende sanitarie toscane. I moduli sono
stati l’unica occasione di formazione sui PIS offerta a livello regionale nel periodo e
seguente alla scelta del Piano
sanitario regionale di promuovere questo strumento di
programmazione locale. Essi
intendono apportare un contributo alla crescita di meto-
ARS - Firenze
[email protected]
* Az. USL 11 - Empoli
** Az. USL 8 - Arezzo
*** Az. USL - Firenze S. Casciano VP
ARS - Firenze
dologie integrate di programmazione a livello territoriale.
Gli obiettivi principali sono:
• introdurre e rendere familiari i concetti di Piano
territoriale, di integrazione e di obiettivi di salute a
coloro che devono perseguirli nella pratica della
programmazione territoriale e dell’attuazione dei
programmi;
• introdurre la metodologia
della valutazione di qualità
e di efficacia fin dal momento della stesura degli
atti di programmazione;
• fornire strumenti conosci-
tivi e metodologie per la
definizione delle priorità
degli interventi in ambito
sociale, sanitario, di difesa
del territorio e della qualità della vita;
• discutere e comparare
esperienze di programmazione territoriale integrata
a livello regionale ed extraregionale;
• chiarire in tale ambito il
concetto di partecipazione
e fornirne una lettura moderna ed originale;
• favorire momenti di scambio ed integrazione di
punti di vista diversi su
questi temi, contaminando
le diverse culture ed esperienze di operatori sociali,
operatori sanitari, soggetti
del volontariato e del terzo
settore, esponenti della
società civile ed amministratori locali.
I moduli si svolgono in edizioni ripetute, ciascuna delle
quali impegna tre o quattro
giornate residenziali. Il metodo seguito è il più possibile
attivo ed interattivo, attraverso presentazioni frontali ma
anche discussioni in aula ed
esercitazioni di gruppo. Particolare interesse riveste la stesura, a livello di piccoli gruppi, di un progetto operativo
nell’ambito del PIS, che occupa tutta l’ultima giornata. Il
programma del corso viene
riadattato volta per volta, sulla base di una traccia unitaria,
dai docenti in collaborazione
con gli organizzatori locali, al
fine di renderlo il più possibile
aderente alla situazione di
quel territorio. Docenti locali
sono a tal fine di volta in volta inseriti nello specifico modulo. Il corso si rivolge all’Unità territoriale della zona-distretto: quest’ultima, che sia o
meno sede della sperimentazione di una Società della salute, è titolare del PIS come
strumento della propria programmazione. I soggetti interessati dal corso costituiscono
di per sé un primo passo verso
la programmazione integrata:
si trovano infatti fianco a
fianco in aula operatori dell’Azienda sanitaria e dei Comuni,
sindaci ed assessori, rappresentanti del mondo della
Scuola, dei Sindacati, del Volontariato, dell’Associazionismo sociale ed ambientale.
Questo mix è necessario per
rendere operativa l’integrazione fin dal primo momento formativo, e porre quindi le basi
per un metodo di lavoro nuovo che deve svilupparsi a livello locale dopo lo svolgimento
N. 147 - 2004
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 371
do radicamento di ciascun modulo nella realtà dello specifico territorio, ed il contributo
attivo dell’aula, hanno dato ai
moduli fin qui realizzati un
carattere estremamente pratico e realistico, presupposto
questo perché la formazione
su questi temi sia di effettiva
utilità.
formativi
internazionali. Lo scenario normativo e gli
per la valutazione dei processi e dei risultati.
e selezione degli obiettivi
del modulo. È interessante notare che la presenza contemporanea di tutti questi soggetti, per la prima volta chiamati a lavorare insieme su te-
Az. USL
FI Sud/Est
Empoli
1
4
7
-
3
20
3
1
4
1
Cortona Sansepolcro
Poppi
Terranova
Br.ni
1
7
10
1
4
7
1
6
7
2
3
8
-
2
9
2
2
2
2
4
4
23
-
4
1
9
-
10
-
14
2
10
-
8
8
4
1
4
5
Province
Circondari
Comunità Montane
Regione
-
2
-
2
2
-
ARPAT
-
6
2
-
1
1
Comuni
Sociale
Prevenzione
Zona-Distretto
Epidemiologia
Salute mentale
Tossicodipend.
Direzione
matiche di salute, crea effettivamente dinamiche culturali,
scambi di esperienze e confronti di metodo di estremo
interesse operativo. Il profon-
Sociale
Ambiente
Sindaci
e Assessori
Tab. 1 - Partecipanti nelle 6 zone
Sindacati
-
3
1
2
-
6
Imprese
-
3
1
-
-
-
Coop. Sociali
-
-
3
3
2
1
Scuole
4
1
4
-
4
1
Università
-
-
3
-
-
-
Medici
medicina generale
5
2
2
-
1
3
Associazioni
6
2
3
5
1
1
ENEA
-
4
-
-
-
-
Totale
63
63
65
42
49
49
per provenienza.
l ute
Sa
e
372 Territorio
La partecipazione ai corsi
L’organizzazione dei corsi di
formazione per i PIS è stata
promossa in tutte le zone con
il supporto dell’Agenzia regionale di sanità. Mentre nella zona Firenze Sud-est dell’ASL di Firenze e nell’ASL di
Empoli l’iniziativa è partita
direttamente dalle Aziende
sanitarie, che hanno coinvolto in un secondo momento
anche le Conferenze dei sindaci, nelle varie zone dell’aretino i promotori sono stati il
Centro F. Redi, l’ufficio di
progetto di “Città sana”, ed il
Centro F. Basaglia, struttura
afferente alla Provincia e deputata alla promozione di
iniziative sulla salute.
La possibilità da parte del
I piani integrati di salute
Fig. 1 - Partecipanti
per provenienza.
Centro F. Basaglia di contattare direttamente l’associazionismo locale e gli amministratori, in virtù di rapporti di collaborazione già consolidati, ha
fatto sì che queste componenti fossero più numerose nei
corsi dell’area aretina.
In tutte le località la presenza
predominante è stata quella
degli operatori sanitari, 41%
Formazione
interattiva
Eva Buiatti
Agenzia regionale di sanità
della Toscana - ARS - Firenze
I
mente, usufruire delle risorse impegnate nell’azione
prescelta. La seconda considerazione è che qualunque
scelta si faccia, questa di
fatto è sempre coerente con
criteri di priorità, è insito
nel concetto stesso di scelta,
ma questi il più delle volte
sono impliciti, qualche volta
anche nella mente dello
stesso soggetto che sceglie,
e conseguentemente non
condivisi.
La trasparenza, presenta almeno due aspetti positivi:
• la condivisione, cioè la
l corso sui PIS si propone,
fra gli altri obiettivi, di
fornire strumenti nuovi e
condivisi per scegliere, fra le
diverse problematiche di salute in teoria presenti sul
territorio, quelle da considerare prioritarie e quindi da
individuare quale oggetto di
progetti a cui dedicare risorse umane e materiali. La prima considerazione a tal proposito è che, ogni volta che
un intervento viene progettato e poi realizzato, ciò avviene a scapito di altri che
non potranno, conseguente-
N. 147 - 2004
del totale, e, nell’ambito di
questo gruppo soprattutto dei
settori Prevenzione, Distretto,
sociale, SERT e Direzione
aziendale, in nessuna località
sono stati coinvolti gli operatori dei Presidi ospedalieri.
Meno numerosa ma significativa la presenza di amministratori locali, 11%, e responsabili di Uffici comunali, 23%,
prevalentemente dei Settori
sociale e ambiente. Numerosa
la presenza dei soggetti della
partecipazione, 25%, rappresentati dalla scuola, soprattutto insegnanti, dal volontariato e dall’associazionismo.
Nell’aretino e ad Empoli sono
stati coinvolti anche i rappresentanti del mondo sindacale
e industriale.
chiamata alla responsabilità delle scelte dei diversi
soggetti potenzialmente
interessati, può adeguare e
correggere tali scelte;
• i soggetti coinvolti nelle
scelte sono più interessati
alla effettiva realizzazione
di queste, sono più disponibili a dare il proprio contributo e sono più solidali
verso chi queste scelte ha
compiuto con loro.
La proposta è quindi di rendere trasparenti i criteri delle
scelte, e di avviare, nella costruzione dei progetti di PIS,
un percorso di partecipazione
che inizia proprio da quando i
temi dei progetti vengono individuati.
il metodo della lezione interattiva. Il primo elemento che
viene posto in discussione è
la definizione di criteri ammissibili per decidere che un
problema è prioritario. Il primo criterio presentato è quello della
• rilevanza epidemiologica:
quanto più un problema di
salute è importante in una
certa popolazione, tanto
più urgente e appropriato
è affrontarlo dedicando
adeguate risorse.
Questa considerazione apparentemente banale porta con
sé una serie di elementi complessi. In primo luogo bisogna
conoscere i problemi di salute
e la loro entità: aiuta in tal
senso la crescita dei sistemi
informativi e la pratica di costruire i “Profili di salute”
delle comunità locali. Tuttavia non sempre i dati sono
immediatamente disponibili,
soprattutto se l’ambito di in-
La individuazione dei criteri ammissibili
Durante il corso, approfittando della composizione integrata della presenza in aula,
si simula questo percorso con
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
teresse è vasto, spaziando dal
dato epidemiologico propriamente detto al dato sociale, a
quello ambientale. Inoltre,
occorre chiarire cosa si intende per problema “importante”: in pratica, occorre dare
strumenti di lettura del dato,
che può andare dalla quantificazione del numero assoluto
di eventi, al confronto della
situazione locale con altre
realtà vicine, o regionali, o
nazionali, all’uso di misure
più complesse come ad esempio il peso che il problema di
salute ha sulla speranza di vita, o sulla vita libera da malattia ecc. La questione della
lettura del dato si interseca
quindi con quella della sua
espressione, ed esemplifica la
interdipendenza fra competenza tecnica e scelte “politiche”, intese come scelte di
programmazione per la salute. Infatti, a seconda di come
il dato viene presentato, si
può modificare la sua interpretazione in termini di importanza. Nel corso della discussione in aula viene esplicitato il livello di conoscenza
sui problemi di salute di quel
territorio, e discussa brevemente la lettura delle diverse
misure epidemiologiche.
Si nota anche che l’uso della
importanza epidemiologica
come criterio per la scelta
delle priorità di intervento,
se sembra banale, è tuttavia
abbastanza poco praticato, e
comunque solo recentemente. La maggioranza delle decisioni venivano, e speso vengono ancora prese in totale
assenza, o ignoranza, della
situazione locale in termini
quantitativi. L’uso dei dati
rappresenta quindi, con la loro seppure imperfetta obiet-
tività, un progresso verso una
maggiore trasparenza delle
decisioni.
Tuttavia sarebbe scorretto e
non realistico sostenere che
il criterio della importanza
epidemiologica di un problema è sufficiente per decidere
di affrontarlo. La maggior
parte della discussione si attiva proprio su questo punto:
quali sono le altre, immancabili ed indispensabili componenti delle decisioni? Il docente ne propone alcune, che
nella esperienza dei moduli
fin qui realizzati hanno suscitato discussioni vivaci ed
approfondite.
Fra queste:
• la condivisione del problema da parte dei decisori. I
progetti nei PIS sono di
iniziativa pubblica, Comuni, Province, Aziende sanitarie, con il contributo
delle comunità locali. È
quindi impossibile realizzarli se non vi è una condivisione profonda, culturale
e politica, di chi deve scegliere di dedicare risorse
ed energie al tema. Nel
corso delle discussioni, è
emersa spesso la diversa
interpretazione riguardo al
livello di sensibilità a determinati problemi espressa dagli amministratori, e
si è attivato un dibattito
ad es. fra gli amministratori stessi presenti in aula
e gli operatori. Spesso si è
trattato della prima occasione perché queste componenti si scambiassero la
loro opinione su temi di
salute e sull’impegno per
risolverli, simulando così
in aula ed in piccolo una
parte del percorso del PIS
nella “vita reale”;
• la sensibilità dei cittadini
al problema. Si è notato
che l’ascolto delle sensibilità emergenti nella popolazione non è una operazione di bassa politica finalizzata al consenso, ma
anzi un aspetto rilevante
del processo democratico.
È stato però più complesso
concordare l’interpretazione da dare al “livello di
sensibilità”. Infatti, in
un’ottica di collaborazione
fra comunità locali e istituzioni, si è inteso spingere tale concetto oltre la
semplice coscienza del
problema, verso la disponibilità a mettersi in gioco, a partecipare attivamente con i propri comportamenti, tempo libero,
competenza. In questa accezione di cittadinanza attiva per la soluzione dei
problemi, è evidente che la
sensibilità che ci si aspetta
non può che riguardare
una parte della popolazione. Si tratta però di un
processo di crescita da costruire, che rappresenta
per molti progetti l’unica
garanzia di successo;
• la fattibilità tecnica del
progetto. Questo punto,
che sembra scontato, spesso non viene preso seriamente in considerazione
nella progettualità pubblica. Si tratta di imparare a
costruire progetti, acquisendo a priori gli elementi
necessari, individuando
nel dettaglio i metodi di
realizzazione;
• la fattibilità economica del
progetto. Questo punto ha
suscitato un importante
dibattito: i progetti dei PIS
devono essere finanziati “a
Sae l ute
Territorio 373
parte”, oppure si avvalgono delle risorse umane e
materiali già presenti presso le amministrazioni interessate e le associazioni
coinvolte? Solo la seconda
scelta è perseguibile, sia
per mancanza di risorse,
sia perché i PIS vengono
proposti come sostituitivi,
una nuova chiave di lettura, delle attività esistenti.
In tal senso è importante
sottolineare la necessità di
rendere riconoscibili, negli
strumenti economici, le risorse assegnate al progetto scelto, senza le quali
questo diventa non fattibile e quindi inutile;
• la presenza sul territorio
delle competenze necessarie. Questo punto, più tecnico, è finalizzato a rendere i progetti più “realistici” ed applicabili alla
realtà locale. Comporta un
esame di coscienza” degli
operatori che devono ragionare sulla propria adeguatezza, non solo culturale, ma anche organizzativa e strumentale.
Simulare l’intero percorso
di scelta delle priorità
Se proviamo ad applicare
questo insieme di criteri a
delle possibili tematiche di
salute, possiamo pensare di
dare un punteggio a ciascuna
tematica sulla base di ciascuno dei criteri. Nella simulazione, le tematiche sono precostituite per semplicità ed
alquanto generiche, più programmi generali che singoli
progetti, ciò al fine di permettere, in un tempo limitato, di completare l’esercizio
(Fig. 1), senza prefigurare la
scelta dei progetti nell’eser-
l ute
Sa
e
374 Territorio
problemi
criteri
I piani integrati di salute
anziani non
autosufficienti
rilevanza
epidemiologica
1 - 10
condivisione
attori
1 - 10
percezione
della popolazione
1 - 10
incidenti
stradali
inquinamento
atmosferico
N. 147 - 2004
dipendenze
da sostanze
mortalità
infantile
Fig. 1 - Tabella di valutazione
dei problemi.
fattibilità
tecnica
1 - 10
competenze
sul territorio
1 - 10
fattibilità
economica
1 - 10
TOTALE
6 - 60
cizio del giorno successivo.
Come si vede dalla figura, in
ogni casella è previsto un
punteggio da 1 a 10 che esprime l’opinione dell’aula rispetto ad ogni criterio per ciascuna tematica. Alla fine della colonna è possibile fare la somma dei punti, dando così il
“voto” al tema in discussione.
È prioritario il tema che raggiunge la votazione più alta.
Rispetto a questo esercizio,
che si svolge tutto in sessione
plenaria, ci sono alcune considerazioni da fare, anche
sulla base dell’esperienza.
È chiaro che si tratta di una
simulazione, con tutti i suoi
limiti. Le informazioni necessarie per dare i punteggi non
sono tutte in possesso dei
partecipanti, quanto e cosa
sanno dipende essenzialmente dall’attività svolta. Inoltre
i partecipanti non rappresen-
tano veramente gli “attori”
delle scelte, in particolare sono sotto rappresentati i cittadini, che potrebbero dire
quanto sono disponibili a collaborare al progetto. Al fine
di non prefigurare le scelte
dei gruppi, che si espliciteranno nell’ultima giornata, le
tematiche rimangono sul generico, ad es. anziani non autosufficienti, inquinamento
dell’aria, e quindi è più difficile esprimere un parere “serio” sulla loro priorità. Infine,
il punteggio previsto è “piatto”, ogni criterio è misurato
sulla stessa scala, mentre si
potrebbe decidere di dare più
valore ad alcuni aspetti, o addirittura, come potrebbe essere per la fattibilità tecnica,
considerarli preliminari alle
decisioni. È necessario quindi, in premessa, ricordare che
si tratta di un esercizio, e che
i risultati non pregiudicheranno in alcun modo le scelte
reali per quel territorio.
Occorre anche chiarire che
non ci si aspetta che il sindaco con il direttore generale si
mettano veramente a “dare i
voti” ai progetti per sceglierli: il processo deve avvenire
in modo più “naturale” e meno schematico. Tuttavia l’esercizio ha il merito di chiarire, disarticolandolo in punti, il processo decisionale
nelle sue componenti, e di
costringere a fare mente locale su ciascuna di esse separatamente.
È interessante notare che,
qualche volta, due tematiche
vengono valutate con punteggi simili, ma diversamente
composti e che, spesso, l’esercizio porta a conclusioni
diverse, in termini di ordine
di priorità, rispetto a quanto
sarebbe emerso semplicemente chiedendo un punteggio
per tema a ciascun partecipante. La discussione generata da questa fase della lezione interattiva è sempre molto
vivace, qualche volta conflittuale fra componenti presenti
in aula, molto partecipata, e
in tutte le esperienze fatte
ha permesso di portare a conclusione l’intero processo di
simulazione.
Complessivamente, l’impressione lasciata dalla lezione
interattiva, e confermata
dalle valutazioni dei partecipanti, è che effettivamente
questa è in grado di esplicitare un metodo di scelta delle priorità che va verso la
trasparenza e che potenzialmente permette la partecipazione attiva ed il coinvolgimento di più soggetti integrati.
N. 147 - 2004
Workshop
di costruzione
del PIS
Eva Buiatti
Agenzia regionale di sanità
della Toscana - ARS - Firenze
I
indicando quali sono gli
aspetti da trattare in ciascun
progetto. Al primo punto si
suggerisce di individuare l’area prioritaria di interesse e,
all’interno di questa, la tematica specifica che si intende
sviluppare, ad esempio, area
tematica salute degli anziani,
progetto specifico prevenzione della non autosufficienza
attraverso l’offerta di attività
sportive, ludiche, di socializzazione e di riabilitazione.
Come si può notare dall’esempio, già in questa fase è prevista l’identificazione di un
contenuto specifico e l’individuazione di alcuni elementi
portanti del tipo di azione di
intervento che si intende sviluppare.
A questo punto è possibile
procedere con la discussione
e la stesura del progetto, che
deve esplicitare i seguenti
punti:
a) le ragioni della scelta e gli
obiettivi: si giustifica, in
questa simulazione, la collocazione del progetto in
posizione di priorità e si
esplicita l’obiettivo, anche
quantitativo, che si vuole
raggiungere;
b) i soggetti: il gruppo discute
e individua i soggetti istituzionali e no, che dovran-
l terzo giorno del corso è
tutto dedicato al lavoro di
gruppo. L’organizzazione
della giornata prevede la divisione in gruppi, il lavoro di
costruzione dei progetti, e la
presentazione e discussione
in aula degli elaborati.
I gruppi vengono costituiti
secondo il principio dell’integrazione, assicurando in ciascuno la presenza, per quanto possibile, di soggetti rappresentativi di tutte le professionalità e ruoli presenti
in aula.
Gli obiettivi dell’esercizio sono:
• imparare a sviluppare un
progetto con obiettivi di
salute;
• sperimentare nella pratica
la commistione delle professionalità e dei punti di
vista su un tema specifico;
• applicare alla propria realtà
i principi appresi nel corso,
rendendoli operativi.
Lo sforzo dei docenti è di comunicare la necessità di produrre progetti realistici e fattibili sulla base della propria
esperienza e delle conoscenze dei bisogni, dei problemi e
delle opportunità della realtà
locale.
In introduzione, si offrono alcuni elementi metodologici,
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 375
no avere un ruolo nella realizzazione del progetto;
c) i contenuti tecnici: si individuano gli effettivi passaggi operativi del progetto, sulla base degli obiettivi da raggiungere e della
realtà organizzativa locale,
specificando il metodo che
si vorrà seguire;
d) la fattibilità e le risorse: il
gruppo ipotizza un percorso per l’individuazione
delle risorse necessarie sia
in termini economici, che
strutturali ed umani, indicando i soggetti da coinvolgere per l’assegnazione
delle risorse;
e) i meccanismi di partecipazione e condivisione: si indicano le iniziative e le occasioni da mettere in campo per condividere il progetto fin dalla sua fase di
stesura;
f) gli strumenti e gli atti amministrativi: il gruppo
traccia un percorso amministrativo finalizzato a
coinvolgere ed integrare
soprattutto i soggetti pubblici (Comuni e Azienda
sanitaria) per la realizzazione del progetto;
g) gli strumenti organizzativi:
qualora necessario, s’individuano le modifiche organizzative che permettono
il coinvolgimento e l’integrazione degli operatori;
h) gli indicatori di esito e di
processo: sulla base degli
obiettivi e del piano di lavoro, si elencano indicatori realistici da utilizzare
per la valutazione;
i) i meccanismi di valutazione: si individuano i soggetti e le modalità della
valutazione;
j) i tempi della realizzazione:
il gruppo fornisce una stima dei tempi necessari per
la realizzazione del progetto.
L’esperienza sul campo dei
workshop ha permesso di individuare alcuni problemi comuni. È stata spesso segnalata la difficoltà, quantomeno
iniziale, a trovare interessi e
linguaggio condivisi da parte
di soggetti di diversa estrazione. In questo senso, la
giornata di workshop, e più
specificatamente la mattinata di lavoro sui progetti, può
essere vissuta come troppo
breve per raggiungere un’intesa che veramente coinvolga
tutti i partecipanti al gruppo. Tuttavia l’alternativa di
costituire gruppi monoprofessionali o comunque più
omogenei è stata considerata
come meno produttiva per
un corso che si pone come
primo valore quello dell’integrazione.
Un ulteriore problema è rappresentato dalla disomogeneità di competenza specifica nella stesura di progetti:
molti dei soggetti coinvolti
si trovano alla loro prima
esperienza in tal senso, data
anche la scarsa diffusione del
lavoro per progetto nel servizio pubblico. Ciò ha portato
al fatto che, casualmente, in
alcuni gruppi si sono concentrate persone più “esperte” nel metodo, mentre altri
gruppi ne sono rimasti
sguarniti. La conseguenza è
una forte disomogeneità nella qualità dei progetti, che
alcuni gruppi, pur nello scarso tempo disponibile e dato
il carattere di simulazione e
di esercizio del workshop,
hanno presentato un’ottima
e concreta elaborazione ad
l ute
Sa
e
376 Territorio
un livello quasi operativo,
mentre altri sono rimasti al
livello di dichiarazione di intenti, con scarse specificazioni e bassa fattibilità. Si
può dire in estrema sintesi
che la variabilità dei prodotti
del workshop è specchio della
variabile competenza dei
soggetti nel produrre proget-
I piani integrati di salute
tualità per la salute. Questa
variabilità deve essere tenuta da conto nella “vita reale”, perché costituisce un
elemento importante della
credibilità dell’intero programma dei PIS, e merita ulteriori occasioni di formazione per rendere i potenziali
attori di questa esperienza
Risultati
progettuali
dei workshop
Andrea Valdrè
Canio Lomuto*
Alessandra Pedone**
Maria Grazia Petronio***
P
iuttosto che tentare un
resoconto esaustivo dei
lavori di gruppo, si è ritenuto più interessante, in
questa sede, riportarne gli
esiti progettuali, i risultati
dei lavori in termini di definizione di progetti afferenti ad
un PIS ipotetico ma concreto,
perché legato alla realtà locale e realizzato da operatori locali. Sebbene si sia trattato di
una simulazione, i risultati,
come si vedrà, sono significativi e utili a fornire indicazio-
Az. USL Firenze - S. Casciano VP
(FI)
* Agenzia regionale di sanità
della Toscana - ARS Firenze
** Az. USL 8 - Arezzo
*** Az. USL 11 - Empoli
ni e stimoli alla costruzione
dei PIS effettivi. Con questa
finalità si riportano di seguito
il quadro sintetico dei risultati e la descrizione analitica di
alcuni realizzazioni progettuali esemplari. I contenuti di
quest’ultimi sono stati ricomposti secondo una griglia
contenente le voci essenziali,
di cui si forniscono le definizioni di massima, per la stesura di un progetto effettivo:
• area, ambito generale a cui
fa riferimento l’azione,
N. 147 - 2004
più omogenei da questo punto di vista.
Complessivamente le presentazioni dei progetti in aula e
la discussione dei partecipanti e dei docenti hanno dimostrato una grande vitalità del
metodo e una sua forte capacità di attrazione dell’interesse e di stimolazione della
creatività. Si può dire veramente che tutti i partecipanti
di tutti i corsi si sono “messi
in gioco” con generosità, con
la loro professionalità ma anche la loro passione ed intelligenza, superando in quella
occasione inerzie e pessimismi tipici a volte degli operatori pubblici.
può esprimere un target di
popolazione, anziani, minori, o un ambito problematico che interessa tutta
la popolazione, inquinamento da traffico, rumore,
stili di vita, ecc.;
fonti informative, informazioni da cui scaturiscono
le scelte delle azioni, strumenti che le contengono
e/o soggetti che le esprimono;
azione, decisione politica
relativa all’intervento, si
caratterizza per l’area di
intervento, le finalità o
obiettivi, i soggetti decisori;
obiettivi, indicano i cambiamenti che si vogliono
realizzare con le azioni;
progetto/i, declinazione
tecnica dell’azione, percorso operativo per il raggiungimento degli obiettivi dell’azione. Il progetto,
come documento, definisce: le attività, le risorse
necessarie, i tempi di realizzazione, i risultati attesi, gli indicatori per valu-
tare i risultati e gli indicatori di processo;
risultati attesi, obiettivi
del progetto, indicano,
sotto forma di quantità, i
cambiamenti che si intendono realizzare col progetto;
indicatori di esito, misurano lo scarto tra risultati
ottenuti e risultati attesi,
indicano il grado di raggiungimento degli obiettivi;
indicatori di processo, misurano in itinere la coerenza dello sviluppo del
progetto con i risultati attesi;
modalità di rilevazione degli indicatori, procedure
informative, strumenti,
fonti, percorsi, necessarie
per valorizzare gli indicatori;
soggetti partecipanti, enti,
strutture, organismi, associazioni che contribuiscono con risorse umane e/o
finanziarie o con atti amministrativi alla realizzazione del progetto.
•
•
•
•
•
•
•
•
•
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
SANSEPOLCRO
AREA
Disagio giovanile
AZIONE
Interventi di inserimenti lavorativi
di giovani in occupazioni che riguardano il mondo animale.
FONTI INFORMATIVE
Profilo di salute, conoscenza del
problema da parte degli operatori,
evidenze epidemiologiche sul disagio giovanile, incremento del numero di tossicodipendenze.
Percezione da parte della popolazione del problema del randagismo.
OBIETTIVI
Inserimenti lavorativi all’interno
di attività di controllo del randagismo.
Riduzione dei casi di presa in carico da parte del Sert.
Sae l ute
Territorio 377
CORTONA
AREA
Immigrazione-integrazione interculturale.
FONTI INFORMATIVE
Percezione degli operatori
AZIONE
Prevenzione del disagio nell’ambiente di vita e di lavoro delle badanti
OBIETTIVI
• Migliorare le capacità delle famiglie “datori di lavoro” di utilizzare al meglio questo modello assistenziale
• Fornire alle lavoratrici migliori
strumenti d’inserimento nelle
famiglie
• Creare occasioni di formazione
permanente
• Rafforzamento delle competenze nella gestione dei servizi
PROGETTO
Formazione di giovani disoccupati sulle problematiche del mondo animale e inserimento lavorativo.
PROGETTO
Formazione delle badanti, sui servizi, sulle competenze domestiche
Interventi sulle famiglie per un miglior utilizzo
RISULTATI ATTESI
• Riduzione del numero delle prese in carico dei giovani partecipanti al
progetto da parte del Sert
• Attenuazione del problema del randagismo
• N° x inserimenti lavorativi
RISULTATI ATTESI
• Riduzione % del ricorso da parte degli immigrati al centro di Salute
mentale
• Riduzione del consumo di farmaci da parte di immigrati-badanti
• Miglioramento del livello di fiducia e soddisfazione delle famiglie
INDICATORI di ESITO
• N° prese in carico del servizio Sert
• N° inserimenti lavorativi
• Percezione della popolazione del problema del randagismo
INDICATORI di ESITO
• N° ricorsi alle prestazioni della salute mentale
• N° prescrizioni farmaci per immigrati-badanti
• Livello di soddisfazione delle famiglie
INDICATORI di PROCESSO
• Attivazione interventi formativi
• N° partecipanti/ dimensione numerica del target
INDICATORI di PROCESSO
Gli indicatori di processo si deducono dagli indicatori di esito mediante
il rapporto tra il valore dei risultati alla fine delle varie fasi e il risultato
atteso
MODALITA di RILEVAZIONE degli INDICATORI
Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi.
SOGGETTI PARTECIPANTI
Servizio Veterinario della ASL, Operatori SERT, Polizia Municipale, Agenzia formativa (terzo settore), Associazioni tutela animale. Fondazioni
bancarie per progetto di sponsorizzazione, Comunità montana, Provincia
per l’attività di formazione.
MODALITÀ di RILEVAZIONE degli INDICATORI
Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi
SOGGETTI PARTECIPANTI
ASL Comuni, Ass. volontariato, Ass. immigrati
l ute
Sa
e
378 Territorio
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
ZONA SUD EST ASL FIORENTINA
Anziani
FONTI INFORMATIVE
Profilo di Salute, studio InCHIANTI
AZIONE
Prevenzione della istituzionalizzazione
OBIETTIVI
Diminuzione accessi in RSA e ricoveri impropri
AREA
PROGETTO
Potenziamento della rete di solidarietà attraverso l’integrazione e il coordinamento dei servizi pubblici sociali e sanitari di supporto alla domiciliarità e
le attività di volontariato.
RISULTATI ATTESI
• Diminuzione del x % di anziani istituzionalizzati e y % dei ricoveri impropri rispetto al bisogno stimato in riferimento al trend attuale
• z anziani presi in carico
• Risparmi attesi: diminuzione costi per RSA e ricoveri ospedalieri
INDICATORI di PROCESSO
• Indice di presa in carico = n° di anziani fragili presi in carico al tempo t / risultato atteso
• Indice di partecipazione = associazioni partecipanti/associazioni presenti
• Indice di integrazione = f (n° attività integrate / n° attività, impegno orario attività integrate / impegno orario totale, n° operatori in attività integrate / n° operatori totale)
INDICATORI di ESITO
• N° di istituzionalizzazioni e ricoveri impropri evitati
• N° anziani presi in carico
• Rapporto tra risparmi attesi e realizzati
MODALITÀ di RILEVAMENTO degli INDICATORI
strumenti informativi formali e informali, fonti e percorsi delle informazioni
SOGGETTI PARTECIPANTI
ASL distretto, Comuni, MMG, Ass. volontariato
I piani integrati di salute
N. 147 - 2004
Sae l ute
Territorio 379
EMPOLI
Stili di vita
AZIONE
Interventi di promozione dell’attività fisica dei cittadini
FONTI INFORMATIVE
Dati epidemiologici su funzione preventiva dell’attività fisica nei confronti delle malattie cardiovascolari e dismetaboliche
•
•
•
•
AREA
OBIETTIVI
Campagna di educazione alla salute: l’importanza dell’attività fisica
Realizzazione piste ciclabili e pedonali
Realizzazione percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi
Realizzazione di spazi condominiali, di frazione, sui luoghi di lavoro
per attività fisica
PROGETTI
Educazione alla salute. Intervento educazionale dei MMG attraverso una campana di medicina di opportunità. Piste ciclabili e pedonabili. Percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi. Spazi collettivi per il movimento fisico.
•
•
•
•
•
•
•
RISULTATI ATTESI
2 piste ciclabili e pedonabili utilizzate effettivamente
x % diminuzione traffico veicolare
10 interventi di formazione al movimento per la salute nelle scuole elementari e medie inferiori per studenti e genitori
2 percorsi sicuri per raggiungere la scuola a piedi
Decremento del 10 % del traffico veicolare per accompagnare i bambini a scuola
4 medici di MG partecipanti all’intervento di Medicina di opportunità
5 spazi collettivi per il movimento fisico: 2 condominiali, 1 di quartiere, 2 negli ambienti di lavoro
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
INDICATORI di ESITO
N° piste realizzate
Grado di utilizzazione delle piste realizzate
N° interventi di formazione nelle scuole
Risultati degli interventi di formazione nelle scuole
N° percorsi sicuri
Decremento uso dell’auto per accompagnare i bambini a scuola correlabile con la presenza di percorsi sicuri
N° adesioni MMG al progetto di Medicina di opportunità
Valutazioni a distanza delle variazioni di BMI, Glicemia, Pressione arteriosa, consumo
FANS, consumo statine nel campione in oggetto di intervento MMG
N° spazi collettivi creati per attività fisica
Grado di utilizzazione degli spazi collettivi per attività fisica
INDICATORI di PROCESSO
Gli indicatori di processo si deducono dagli indicatori di esito mediante il rapporto tra il valore dei risultati alla fine delle varie fasi e il risultato atteso.
Es:
N° Km di piste realizzate al tempo t / Km finali
Grado di utilizzazione dei Km realizzati al tempo t / grado di utilizzazione atteso
MODALITÀ di RILEVAZIONE degli INDICATORI
Informazioni formalizzate o informali, strumenti, fonti, percorsi.
SOGGETTI PARTECIPANTI
ASL, Comuni, MMG, Ass volontariato, scuola
l ute
Sa
e
380 Territorio
I piani integrati di salute
Modi e risultati
della formazione
interattiva
Eva Buiatti
Agenzia regionale di sanità della
Toscana - ARS - Firenze
Q
attori della giornata ed i docenti “imparano” da loro le effettive possibilità di dare un
futuro alla esperienza dei PIS
a livello locale.
L’uso della docenza interattiva e del lavoro di gruppo rappresenta una scommessa di
questa iniziativa didattica.
Infatti, alcuni fattori “a priori” avrebbero piuttosto consigliato di limitarsi a lezioni
frontali o al massimo ad esercitazioni fortemente strutturate e guidate.
In primo luogo, la tematica è
del tutto nuova e culturalmente immatura nella realtà
regionale, in quanto i corsi sono partiti poco dopo l’approvazione del Piano sanitario regionale 2002-2004, essendo
quest’ultimo, a tutt’oggi, l’unico documento ufficiale, insieme alle linee guida, che
tratti l’argomento dei PIS. Esiste quindi un problema di
informazione, prima che di
formazione, rivolta agli attori
del sistema, una necessità di
definire prima di tutto “di che
cosa si sta parlando”, che depone per l’esigenza di lezioni
classiche e frontali.
Inoltre, come già menzionato,
l’occasione del corso quasi
sempre è la prima in assoluto
nella quale soggetti di diversissima estrazione si trovano
insieme a trattare tematiche
uesta esperienza formativa sui PIS prevede un
mix di lezioni frontali,
discussioni, e fasi interattive
fra discenti o fra docenti e discenti. A queste ultime categorie appartengono in particolare l’esercizio interattivo in
aula sulla scelta delle priorità
e l’intera terza giornata, con i
lavori di gruppo e la presentazione dei risultati a gruppi
congiunti. Nel caso dell’esercizio in aula l’intervento del docente è forte e strutturato, in
quanto propone metodo e tematiche ed inoltre “modera”
la discussione e ne tira le fila
pubblicamente, riassumendo
il punteggio che ciascun tema
ha raggiunto. Nel caso invece
della terza giornata, il corpo
docente si presenta esclusivamente come punto di riferimento per chiarimenti sul metodo da seguire qualora vi siano incertezze nei gruppi,
mentre questi ultimi sono
completamente autonomi nella scelta del progetto e nella
sua stesura. Successivamente
in aula, durante la presentazione dei risultati, i docenti si
mescolano ai discenti e discutono su un piano di parità. Un
quarto giorno completamente
autogestito è stato introdotto
nel modulo in alcune realtà
locali: in questo caso i ruoli
s’invertono, i discenti sono gli
N. 147 - 2004
legate alla salute. C’è quindi
da scontare una possibile incomunicabilità di esperienze,
linguaggi, tecniche, sensibilità, che in astratto potrebbe
far pensare a discussioni farraginose, inconcludenti, o ricche
di conflittualità, oppure al rischio che una componente, ad
esempio quella sanitaria, prevarichi le altre per competenza sull’argomento, portando di
fatto ad un monologo ed alla
negazione della integrazione.
Seppure questi aspetti non
siano da sottovalutare, l’esperienza ha insegnato che la
scommessa è stata vincente.
Piuttosto, i primi corsi realizzati hanno suggerito che sarebbe opportuno rinforzare
l’aspetto del lavoro di gruppo
e dell’elaborazione locale rispetto alla didattica tradizionale e frontale. In effetti, le
parti più dinamiche e produttive delle giornate sono state
proprio quelle interattive e di
gruppo, come dimostrato dal
livello ottimo di attenzione e
coinvolgimento e dalla qualità
buona o in alcuni casi ottima
degli elaborati dei gruppi.
C’è da domandarsi quindi
quali sono stati gli aspetti del
modulo che hanno permesso
questo successo.
In primo luogo si può notare
che la coesione dei partecipanti, che c’è stata ed ha permesso dialogo e comprensione reciproca, in questo caso
non era dovuta ad un’omogeneità professionale o di ruolo,
ma ad una appartenenza territoriale. È stata vincente la
scelta di coinvolgere volta per
volta i protagonisti professionali, politici e della società civile di una specifica zona, in
altre parole di una particolare
comunità locale. Si è così sco-
perto insieme che essere medici di famiglia, infermieri,
assessori o insegnanti non determina incomprensioni se si
parla di problemi reali del
proprio Comune o ambiente di
vita e di lavoro.
La verifica di questo aspetto
non scontato è stata resa
possibile dal corso. Esso costituisce premessa fondamentale per la stessa fattibilità
dei PIS che, nella “vita reale”,
devono essere costruiti appunto basandosi su un alto livello d’interazione e di ascolto reciproco.
Un secondo elemento vincente è rappresentato dall’importante potenziale innovativo
del punto di vista proposto,
in termini di proposta concreta da applicare nella operatività corrente. Seppure infatti in via di principio le parole integrazione, progetto,
valutazione, fattibilità ecc.
sono spesso usate e qualche
volta abusate, raramente si
prova a vederne le implicazioni in termini pratici. È stato
quindi molto importante,
nella sede stessa del corso,
tentare l’applicazione di
quanto affermato su progetti
riferiti alla realtà conosciuta
dai partecipanti e scelti da
questi come importanti, fattibili, interessanti e coinvolgenti. I componenti dei gruppi si sono dedicati con passione al lavoro, hanno veramente mostrato di voler
esprimere con la propria voce
il contributo derivante dalla
loro esperienza e sensibilità,
perché, seppure coscienti di
operare una simulazione,
hanno avuto la sensazione
che, chissà, questa poteva
anche costituire la base futura di qualcosa di pratico ed
N. 147 - 2004
operativo. È evidente che un
livello così importante di
coinvolgimento non sarebbe
potuto emergere se non attraverso l’attivazione e la piena autonomia dei gruppi di
lavoro. Inoltre, la scelta di far
presentare in aula il lavoro
dei gruppi ha permesso di
scoprire, in diversi casi, coincidenze e collegamenti fra
progetti, e quindi ulteriori
potenzialità di sviluppo.
Anche la lezione interattiva
in aula sulla scelta delle priorità si è rivelata fattibile ed
interessante. Venendo prima
dei lavori di gruppo, essa ha
costituito un specie di “prova
generale” del dialogo fra le
componenti presenti in aula,
permettendo di portare alla
luce eventuali dinamiche e
conflitti, e di dare coraggio a
chi non sarebbe intervenuto
per timidezza o senso di
estraneità. È stato infatti
compito del docente sollecitare l’espressione di parere di
tutte le componenti, ponendo
quesiti specifici e chiamando
i partecipanti ad esprimersi.
Inoltre, aver messo in grado
ciascuno di “vedere” il parere
degli altri su cosa è più importante, in termini di salute,
nella propria comunità, ha
rinforzato il messaggio della
lezione, che tende a valorizzare con pari dignità diversi
criteri per le scelte di priorità,
dagli aspetti tecnici alla sensibilità dei cittadini agli
aspetti di fattibilità ed economici. La metodica interattiva
ha permesso di simulare in
aula la compresenza, nelle
scelte, di tutti questi aspetti
dando concretezza al concetto. Il fatto poi che effettivamente alla fine della lezione
venisse costruita una graduatoria di argomenti, spesso diversa da quella che sarebbe
emersa al principio, ha significato di nuovo dare concretezza ed operatività ad affermazioni altrimenti astratte.
Certo, sono anche emerse alcune difficoltà che è necessario conoscere per poterle gestire con successo.
In alcuni casi è stato necessario che i docenti si imponessero nella discussione per
“tagliare” polemiche emergenti soprattutto fra operatori ed amministratori, o fra
amministratori e rappresentanti di associazioni. In tal
senso, è stato più volte necessario ricordare che il corso
prevede una simulazione, e
non è una sede decisionale in
cui si precostituiscono scelte.
La tendenza da parte di alcu-
Strumenti
e criteri
per l’interazione
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 381
ni a scambiare la simulazione
con la realtà ha reso la discussione molto vivace, ma
ha anche evidenziato che,
nelle scelte vere fuori del corso, è prevedibile l’ingresso di
componenti personali, o anche corporative, che devono
essere gestite con trasparenza ma con coscienza dei rischi che possono comportare.
Sono stati anche notati da alcuni problemi di comprensione dei reciproci linguaggi. Ciò
deriva anche dalla tendenza
di ogni componente ad usare
il proprio gergo professionale
indipendentemente dalla tipologia dell’ascoltatore. È
compito del docente farlo notare ed eventualmente “tradurre” i concetti.
Un ulteriore punto critico è
rappresentato dalla necessità
di produrre una sintesi, sotto
forma di punteggio, del giudizio espresso dall’aula sui diversi temi. Vi sono due modi
per affrontare questo problema. Uno è rappresentato da
una “media” che il docente
propone dopo aver ascoltato il
dibattito, cercando di essere
equilibrato rispetto alle diverse posizioni. Un altro, come
accennato, è rappresentato da
vere e proprie modalità di votazione da parte di singoli
partecipanti. Questa seconda
scelta, più obiettiva anche se
più impegnativa, porta ad un
dato quantitativo più “vero” e
quindi indiscutibile, mentre
nella prima esiste sempre un
certo livello di prevaricazione
da parte del docente. Peraltro,
non ci siamo proposti l’obiettività del docente rispetto alle
opinioni dell’aula in questa
lezione, nella quale il ruolo di
chi guida l’esercizio è di forte
indirizzo.
In conclusione, l’uso di metodiche interattive è stato centrale nella realizzazione del
corso, perché ha permesso di
costituire, fin dall’occasione
formativa, un nucleo di soggetti di livello locale che hanno già fatto, con successo,
un’esperienza di lavoro insieme. Ha dato concretezza ai
principi esposti nelle lezioni
frontali, applicandoli, seppur
a livello d’esercizio, a temi vivi sul territorio. Ha permesso
di coinvolgere profondamente, anche sul piano emotivo,
la grande maggioranza dei discenti e quindi di radicare l’esperienza didattica nelle singole persone, che diventeranno soggetti attivi là dove,
sperabilmente, l’applicazione
dei PIS avrà un seguito e diventerà realtà.
I
Nei paragrafi che seguono vi
presentiamo una lista di controllo con suggerimenti che
raccolgono gli elementi fisici
e organizzativi che contribuiscono a rafforzare l’interazione, la partecipazione, l’apprendimento e la qualità delle idee progettuali. L’elenco
non è esaustivo, ma può esse-
Paolo Mario Remo Martinez
n un processo complesso e
articolato come la costruzione di un Piano integrato di salute l’interattività
rafforza lo scambio e l’integrazione delle competenze tra i
portatori d’interessi locali facilitando sia l’analisi dei problemi, sia l’elaborazione di
strategie e piani concertati.
Resp. Innovazione partecipativa Firenze Tecnologia - Azienda speciale della camera di commercio* [email protected]
* Firenze Tecnologia fa parte del sistema pubblico delle Camere di
commercio.
l ute
Sa
e
382 Territorio
re d’aiuto a chi volesse organizzare altri corsi e workshop.
La forma della sala e la disposizione delle sedie
Nella maggior parte dei casi si
ha una disposizione a “teatro”, con un tavolo di presidenza per i relatori. In questo
modo tutti guardano in una
direzione e se c’è un dibattito
normalmente coinvolge solo
il relatore e alcuni partecipanti, difficilmente si aprono
dei dibattiti tra i partecipanti. Per facilitare la visibilità
collettiva idealmente si dovrebbe poter usufruire di una
sala nella quale disporre le
sedie in forma circolare. Nelle
sale di grandi dimensioni ma
con pochi partecipanti è consigliabile far spostare tutte le
persone nelle prime file e
quanto più vicine possibile
tra loro.
Presentazioni dei docenti
Normalmente le presentazioni dei docenti sono frontali e
ininterrotte (come un film
per degli spettatori). Vengono spesso utilizzati programmi per presentare lucidi (ad
esempio powerpoint). Solo raramente il docente verifica se
ha ancora l’interesse dei partecipanti. Idealmente chi
presenta deve sempre mantenere il contatto visivo con i
partecipanti. Può muoversi
lentamente in modo da avvicinarsi e passare accanto al
gruppo. Per mantenere alta
l’attenzione ogni 15 minuti
può fare delle brevi pause con
delle domande, suggerendo ai
partecipanti di discuterle in
gruppi di 2-3 per qualche minuto, ascoltando alcune delle
proposte e idee che emergono. In questo modo i parteci-
I piani integrati di salute
panti da spettatori diventano
protagonisti e sale la curva
d’attenzione.
Partecipazione ai dibattiti
Nella maggior parte dei casi i
dibattiti e gli interventi del
pubblico o sono tralasciati
per recuperare ritardi o sono
fatti alla fine di una serie
d’interventi. In questi casi
solo raramente i partecipanti
riescono a porre delle domande sulle presentazioni precedenti e spesso c’è un silenzio
assordante. Se i dibattiti vengono distribuiti in parte all’interno delle relazioni (vedi
sopra) e in parte alla fine di
ciascuna presentazione, c’è
una maggiore probabilità che
i partecipanti abbiano delle
domande e interagiscano nel
dibattito.
Proposte e idee
Non tutti si rendono conto
che un incontro di una giornata con un centinaio di partecipanti ha l’equivalente di
800 ore/persona (quasi mezzo anno di lavoro). I corsi, le
conferenze e i seminari rappresentano quindi un enorme potenziale d’intelligenza
ed esperienza che potrebbe
essere valorizzato e fatto circolare. Si possono quindi raccogliere idee, suggerimenti e
proposte che arricchiscono di
sfumature il quadro conoscitivo dei partecipanti coinvolgendoli ulteriormente nel
processo. In generale, se ci
sono tanti partecipanti, per
raccogliere le proposte e le
idee vengono poste delle domande chiuse (si/no, bianco/nero) o viene dato un
questionario. La qualità delle
risposte dipende dalle domande e da chi le pone. Un
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metodo semplice per ottenere in breve tempo molte
informazioni dai partecipanti
e dinamizzare (in alcuni casi
risvegliare) l’attenzione è
quello di adottare alcune tecniche di brainstorming dotando le persone di fogli adesivi colorati (ad esempio i post-it) e pennarelli e di chiedere loro di rispondere ad
una domanda, per esempio:
“quali sono i principali problemi di salute per la nostra
area?”. Si danno 5/10 minuti
per riflettere e scrivere le risposte e si predispongono alcuni grandi fogli (ad esempio
quelli delle lavagne a fogli
mobili), in un lato della sala,
per raccogliere e ordinare
tutti i contributi dei partecipanti. Alternativamente, lo
stesso esercizio può essere
svolto con una lavagna a fogli mobili raccogliendo e trascrivendo, in maniera leggibile anche da lontano, i contributi dei partecipanti. In
questo caso si chiede agli
stessi di indicare solo idee e
proposte che non siano già
state espresse da altri, arricchendo in maniera incrementale l’elenco di suggerimenti.
Votazioni e selezione delle
priorità
Spesso le votazioni o la selezione delle priorità vengono
svolte per alzata di mano, ma
in questo modo i problemi in
discussione rischiano di essere “tagliati con l’accetta”
escludendo chi è più timido e
creando potenziali resistenze
future. Un modo per rafforzare l’interazione e il coinvolgimento del gruppo è
quello di consegnare alcune
etichette colorate ai partecipanti (ad esempio dieci eti-
chette ciascuno), spiegando
come funziona il meccanismo
di voto. La votazione può
aver luogo immediatamente
prima di una pausa prevista
nel programma (ad esempio
prima della pausa caffé o del
pranzo). I partecipanti si alzano e votano attaccando le
etichette accanto alle idee o
concetti che ritengono più
importanti. Se si vuole analizzare il peso dato dai partecipanti in base al gruppo
d’interesse di provenienza, si
possono dare degli adesivi diversi per ciascun gruppo: ad
esempio, verde per gli amministratori, giallo per i tecnici
ed esperti, blu per le imprese, e così via.
La votazione può essere anche svolta riproducendo un
questionario o una tabella su
dei grandi fogli da mettere
sulla parete. Anche in questo
caso le persone possono collocare le loro preferenze con
delle etichette colorate, in
modo da rendere immediatamente evidente l’elenco di
priorità dei partecipanti.
Partecipazione e interazione
È importante tenere sotto
controllo la partecipazione
agli incontri. Se un corso prevede più incontri consecutivi,
in alcuni casi il numero dei
partecipanti potrebbe calare.
Chiaramente se i corsi sono
molto ravvicinati per alcune
persone potrebbe essere difficile seguirli tutti. In linea di
massima c’è una diretta relazione tra partecipazione e interazione. Quanto più le lezioni e gli incontri sono interattivi con laboratori e scambio di competenza tra i partecipanti, tanto più aumenta la
motivazione e la volontà di
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intervenire agli incontri successivi.
Workshop e lavori di gruppo
Consapevolezza su cosa favorisce e cosa impedisce il lavoro di gruppo
Spesso i partecipanti a gruppi
di lavoro e riunioni non sono
consapevoli di atteggiamenti
che possono minare e rendere
inefficace il loro incontro. Gli
effetti si vedono quotidianamente nelle riunioni interminabili che spesso non conducono a nulla. È molto utile
riassumere quali possono essere sia gli atteggiamenti positivi che quelli negativi per
far capire che ognuno di noi
tende ad assumerne alcuni e
che se ne siamo consapevoli
forse, per qualche ora (per la
durata della riunione), possiamo trovare il modo per essere più collaborativi.
I decisori
Le persone importanti purtroppo hanno poco tempo per
pensare alla strategia o per
essere creative perché devono
gestire. Questo paradosso
crea tanti problemi a varie organizzazioni pubbliche e private. Non avendo abbastanza
tempo per pensare alla strategia e non creando nuove
mappe di navigazione per il
futuro, si continuano a percorrere le stesse rotte perdendo opportunità e andando
verso pericolose involuzioni.
Spesso i decisori non partecipano e lasciano partecipare i
tecnici. Così facendo, perdono preziose occasioni per imparare a decidere in maniera
partecipata. Per i decisori
non abituati al confronto la
partecipazione ad eventi in-
terattivi può essere vissuta
come una doccia fredda che
risveglia dal torpore e dà vitalità. I decisori possono
ascoltare le idee che emergono e capire che non c’è niente
da temere, che possono imparare a governare in maniera
diversa. La presenza dei decisori può aiutare i partecipanti a sentire che quello che
fanno è importante per la
collettività, motiva e influisce positivamente sulla partecipazione e il coinvolgi-
I piani integrati di salute
Sae l ute
Territorio 383
mento. La non partecipazione dei decisori può avere il
duplice effetto di stimolare
alcuni a proporre, decidere e
agire indipendentemente e
altri, soprattutto quelli che
dipendono direttamente dai
decisori, dal non fare per
paura di sbagliare. Il coinvolgimento ed il supporto dei
decisori è quindi quasi sempre auspicabile ma è anche
importante far capire ai decisori che in simili incontri tutti i partecipanti sono sullo
stesso piano; sono dunque
occasioni per lavorare e imparare insieme, non delle
passerelle o occasioni per fare
dei comizi. Allo stesso tempo, poiché è importante coinvolgere e stimolare l’iniziativa tra i partecipanti, è molto
importante far capire ai decisori che devono anche accettare idee divergenti dalle loro: quanto più l’intelligenza e
la creatività scorrono, quanto
più fluisce la conoscenza e si
rafforza la comunicazione e
Comportamenti che contribuiscono all’efficacia del gruppo. Il facilitatore e/o partecipante:
Ascolta attivamente
guarda la persona che parla, fa capire che ascolta, fa domande di verifica e riconosce quanto é stato detto parafrasando i punti elencati
Supporta
incoraggia gli altri a sviluppare le idee e dare suggerimenti; riconosce e le evidenzia le idee
Verifica
va oltre i commenti di superficie chiedendo ai colleghi e partecipanti di esporre
anche informazioni nascoste
Chiarisce
chiede ai partecipanti maggiori informazioni su ció che vogliono dire; chiarisce la
confusione
Offre Idee
condivide suggerimenti, idee, soluzioni e proposte
Include gli altri
chiede ai partecipanti silenziosi di dare la loro opinione, assicurandosi che nessuno sia escluso
Riassume
raccoglie le idee di piú persone; definisce dove é arrivato il gruppo e cosa é stato
detto
Armonizza
riconcilia punti di vista discordanti; collega tra loro idee simili; indica dove le idee
sono le stesse
Gestisce i conflitti
ascolta i punti di vista degli altri; chiarisce gli aspetti critici e punti chiave espressi dagli opponenti; cerca soluzioni
Comportamenti che minano l’efficacia del gruppo. Il partecipante…:
“Si ma...”
scredita le idee degli altri
Blocca
insiste nel far accettare la propria idea; non viene a compromessi; ostruisce il percorso e l’evoluzione del gruppo
Tenore (prima donna)
attira l’attenzione sulle proprie abilità; si vanta
Esce dal tema
dirige la conversazione su altri temi
Dominatore
cerca di “dirigere” il gruppo comandando o minacciando
Si ritira
non partecipa o offre aiuto o sostegno agli altri
Avvocato del diavolo
è orgoglioso di fare il bastian contrario
Critica
fa commenti negativi sulle persone o le loro idee
Insulti personali
lancia insulti ad altre persone
l ute
Sa
e
384 Territorio
la fiducia tra i partecipanti,
tante più saranno le possibilità per prendere le giuste decisioni insieme.
Gruppi di lavoro
Per elaborare idee e progetti
si collabora meglio in gruppi
di lavoro paralleli. Spesso le
persone sono assegnate arbitrariamente a un gruppo di
lavoro. Molte volte i gruppi di
lavoro paralleli sono omogenei sia sul piano culturale sia
tecnico, non c’è scambio
d’informazioni, mancano
struttura e regole per la discussione interna. In questi
casi emergono idee stereotipate, senza uno spessore. Per
assicurare maggiore interazione e coinvolgimento è
molto importante che chi
partecipa ad un gruppo abbia
ben chiari i motivi che lo attirano e che scelga liberamente a quale gruppo iscriversi. È sempre auspicabile
che i gruppi siano eterogenei
dal punto delle discipline,
competenze, genere, età,
esperienza e cultura. Anche
se i gruppi possono progettare e creare autonomamente,
in circostanze dove si vuole
ottenere il massimo e c’è poco tempo, il supporto di un
facilitatore consente al gruppo di concentrarsi sul contenuto e farsi assistere nel processo e nella struttura dell’incontro. In casi dove vengono
simulati i momenti di progettualità, come in un corso,
possono essere formati uno o
più membri del gruppo per
facilitare i lavori. Nelle situazioni reali, dove le idee pos-
I piani integrati di salute
sono trasformarsi in decisioni
e gli interessi in gioco sono
concreti, la facilitazione e
l’imparzialità possono avere
un ruolo molto importante.
Ogni gruppo deve avere una
consegna, un compito anche
a breve termine: un’idea progettuale, un poster da presentare in plenaria etc.
“Brainstorming” e visualizzazione
Il modo migliore per non ricordare e decidere nulla in un
gruppo di lavoro è quello di
lasciare che le idee passino tra
le mani come la sabbia, senza
fissarle o scriverle in un posto
visibile a tutti. I gruppi di lavoro più efficaci utilizzano
tecniche di brainstorming, per
lanciare/elaborare le idee,
cartoncini colorati adesivi (ad
esempio i post-it) per scriverle
e lavagne a fogli mobili o poster per visualizzarle. Una volta visibili diventano come dei
blocchi di costruzione che
tutti possono “toccare” e spostare, analizzare e selezionare,
integrare e modificare.
Progetti integrati
I progetti possono concentrarsi su priorità monotematiche, focalizzate, verticali,
essere molto specifici e basati
su interessi di parte. Un progetto integrato riassume e ordina in maniera semplice la
complessità rendendo esplicite le connessioni tra più variabili e raccogliendo più
competenze e possibili interessi in gioco. Le tecniche e
metodi partecipativi possono
evidenziare tali connessioni e
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contribuire allo sviluppo di
un approccio organico alla
progettazione. In un gruppo
di lavoro si vede abbastanza
presto se il gruppo si concentra sulla discussione dei temi
e sulle soluzioni (che può
portare il gruppo a dibattiti
infiniti) o se riesce ad entrare
in uno spirito progettuale integrato analizzando innanzi
tutto le aspettative e i contributi dei partecipanti, continuando con un’appropriata
analisi dei problemi. Se i partecipanti riconoscono i problemi e le cause degli stessi
possono lavorare per trovare
soluzioni integrate.
Comunicazione
Tanti ottimi progetti e idee
restano sulla carta o peggio,
abbandonati in un cassetto.
Per dare le gambe ai progetti
la comunicazione gioca un
ruolo decisivo. Dopo i gruppi
di lavoro, i partecipanti presentano le idee emerse a tutti
gli altri. Le competenze del
portavoce possono rafforzare
enormemente l’efficacia e
l’impatto della comunicazione. Un portavoce relativamente inesperto può trasmettere le idee e le informazioni
con ottimi risultati se nella
plenaria utilizza strumenti di
visualizzazione quali poster
(con scritte ben leggibili anche da lontano), lucidi, un
proiettore per diapositive dal
computer e un sistema di amplificazione se la sala lo richiede. L’attenzione delle persone che partecipano ad una
sessione plenaria (che hanno
lavorato in gruppo per il resto
della giornata), potrebbe calare se le presentazioni sono
monotone e noiose. I membri
del gruppo di lavoro possono
pianificare e proporre delle
presentazioni collettive dove
i partecipanti si alternano nel
raccontare il progetto integrato, animando e tenendo
alta l’attenzione della sala. Il
moderatore o il facilitatore
possono essere molto utili per
chiarire eventuali dubbi, sottolineare i punti forti, far rispettare i tempi, verificare il
livello di comprensione dei
partecipanti e rafforzare la
comunicazione.
Prospettiva
Quasi ogni incontro, riunione
e convegno è fine a se stesso.
Inizia e finisce. È come un castello di sabbia lambito dalle
onde. Raramente gli incontri
sono visti come parte di un
percorso integrato, con una
prospettiva. Le persone hanno sempre meno tempo, dopo
qualche tentativo e molte delusioni, anche le più volenterose rinunciano.
Se il percorso è costruito, fin
dall’inizio, insieme ai partecipanti ed è vissuto come un
progetto con degli obiettivi
concreti e tappe intermedie,
dove la conoscenza e l’apprendimento rappresentano il
bene di reciproco arricchimento, saranno i partecipanti
stessi a voler dare una prospettiva. Nei casi in cui questo avviene i partecipanti
normalmente propongono incontri di approfondimento e
di studio per attivare le idee
progettuali pilota.
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