L’ARTE AMATORIA E IL PENSIERO POLITICO
SECONDO LA CONCEZIONE DEL DIVINO MARCHESE
DONATIEN ALPHONSE FRANCOIS de SADE
Prefazione
Il sottoscritto d’Amato Roberto ha cercato con semplicità e nel modo più obiettivo possibile
di capire in modo sintetico, ma profondo, la controversa figura storica del marchese de
Sade, non come molti superficialmente lo hanno bollato come depravato o debosciato. La
sua personalità a volte può sembrare contraddittoria, la collettività non l’ha capito, o meglio
non l’ha voluto capire. Ho cercato di analizzare non solo l’aspetto sessuale, che ovviamente
ricopre un’importanza fondamentale per questa persona, ma ho analizzato in modo sintetico
i secoli XVII e XVIII, per far capire ai lettori il contesto in cui de Sade visse. Ho analizzato
anche il suo pensiero politico e filosofico; non solo, ma ho rivolto l’attenzione anche alla
sua intensa produzione teatrale, sia di quando era studente, sia di quando era in carcere, e
ancora in manicomio.
Breve storia del Divino marchese Donatien Alphonse François de Sade
La famiglia o casata de Sade sarebbe originaria di Avignone. Il nome deriverebbe da un
villaggio di Saze, in Linguadoca. La nobiltà risale al 1200. Fra gli antenati è famosa la
Laura del Petrarca (figlia di Audebert de Noves), e un poco (si spera) anche del marito
Hughues de Sade, dal quale ebbe undici figli, in seguito morì di peste. Fu sepolta nella
chiesa di “des Cordeliers” ad Avignone. Donatien Alphonse Joseph François, conte de Sade,
signore di Saumane e di La Coste, co-signore di Manzan, colonnello della cavalleria leggera
del Papa, nacque vicino a Versailles (Montreuil), la moglie invece si chiamava Marie
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Elenore de Maillè de Carman. Il nonno di de Sade ebbe dieci figli, tra cui l’erudito abate
Jacques François Paul Aldonse, uomo erudito e galante. Il de Sade nacque all’Hotel de
Condè, lussuosa dimora, in quanto la madre, contessa de Sade, era damigella d’onore della
principessa de Condè. Il piccolo de Sade fu quindi compagno di giochi del principe Louis
Joseph de Borbone con il quale litigava spesso. I Condè erano un ramo cadetto dei Borbone
di Francia. Infatti un principe di Condè poteva chiamarsi anche duca di Borbone. Questa
Casata ebbe lustro quando un loro antenato batté gli spagnoli sui campi di Rocroi ponendo
fine all’egemonia spagnola. Lo stemma della casata de Sade era una stella d’oro ad otto
punte in campo rosso, sormontata da un’aquila ad ali spiegate, sabbia, con artigli e becco
aperto, coronata da un diadema rosso. La madre di de Sade era la nipote del duca di
Richelieu e cugina dei magnifici Condè. Il de Sade sposò Madamoiselle de Montreuil solo
per i soldi. Alcuni membri della famiglia de Sade facevano parte del Sovrano ordine di
Malta, di cui il figlio Armand. In seguito, mentre il padre proseguiva una non brillantissima
carriera diplomatica, egli fu inviato presso una nonna a proseguire gli studi, in collegi
religiosi, tra i quali il più famoso fu il collegio le Grand a Parigi, gestito dai gesuiti (in
questa istituzione scolastica studiarono Voltaire, Rosseau, famoso per il suo scritto politico).
Ebbe come precettore personale, l’abate Jacques François Amblet, della diocesi di Ginevra.
In questo collegio si alzava alle cinque e mezzo, era immerso nella preghiera dalle sei alle
dieci e mezzo di mattina, anche di sera studiava anche le sacre scritture, mangiava alle sette
e tre quarti, a mezzogiorno, alle quattro e mezzo del pomeriggio, infine alle sette e un quarto
della sera e andava a letto alle nove. In compenso i gesuiti si facevano promotori di recite
teatrali, come qualche tragedia e commedia. Nel 1754, provvisto di un certificato di nobiltà,
de Sade fu accolto nella scuola di cavalleria di Versailles. Dopo aver raggiunto il grado di
capitano e maestro di campo, partecipò alla guerra dei sette anni, dopo la quale lasciò
l’esercito. Il suo amore, e forse l’unica donna che amò seriamente, fu la figlia del marchese
de Lauris, con nobiltà blasonata di quattro secoli, cioè Laure Victorie Adeline de Lauris, si
fidanzò con lei mentre era in corso il fidanzamento con Madamoiselle de Montreuil, la
futura moglie. Questo suo amore per madamoiselle de Lauris ebbe una soluzione patetica e
casta ed una triste conclusione. Questa profonda delusione platonica lo segnò molto, anzi,
alcuni scrittori sostengono che questo influì molto sulla sua psicologia, tanto da spingerlo al
sadismo. Sade sposò René Pelagie de Montreuil, nata a Parigi: nobiltà di toga recente, ma
ricca di famiglia. Appena sposato ebbe problemi con la giustizia, non solo perché
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frequentava un bordello, ma anche perché flagellò alcune mendicanti e prostitute. Egli
trascorreva il suo tempo al castello di La Coste, fra orge, feste e rappresentazioni teatrali. A
queste manifestazioni di sadismo e di scambio di partner non solo partecipava la moglie, ma
anche la sorella di quest’ultima. Il cameriere Latour e la cognata madamoiselle de Launay
organizzarono scene di fustigazioni e sodomia con prostitute e donne di facili costumi; ma
la cosa più grave fu l’avvelenamento, con uso di pillole alla cantaridina, che avrebbero
dovuto avere un effetto afrodisiaco, ma che in realtà provocarono un avvelenamento. Il
marchese scappò dal castello, assieme alla cognata madamoiselle de Launay e al suo
domestico. Furono entrambi condannati: de Sade per taglio della testa, il servo per
impiccagione. Dopo aver trascorso intensi periodi fra carceri e manicomi, de Sade fu
incarcerato in Savoia, poi in Francia, a Vincennes. In questo carcere incontrò per caso il
cugino de Mirabeau, arrestato per atti di libidine. Dopo il carcere di Vincennes il marchese
peggiorò il suo comportamento e fu mandato al manicomio di Charenton, e successivamente
alla Bastiglia. Durante la Rivoluzione francese, partecipò a fianco dei rivoluzionari, ma in
seguito cadde in disgrazia e fu accusato di essere troppo moderato. Abbandonato dalla
moglie e dai tre figli (due maschi e una donna), morì nel manicomio di Charenton, dove il
suo medico Monsieur de Coulumier, cercò con l’attività teatrale di curare la sua
degenerazione mentale. Morì il primo dicembre 1814 a Charenton e fu sepolto in una tomba
senza nome: lui stesso aveva invocato l’annientamento totale della sua tomba.
CAPITOLO 1
Introduzione
Quando l’arte di amare diventa un’espressione creativa, non solo fisica, ma anche altamente
fantasiosa, cioè precisamente cerebrale: la rivoluzione sessuale si ebbe in modo palese nel
secolo dell’illuminismo e delle rivoluzioni americana e francese, il mitico settecento.
Quest’ultimo secolo è stato l’apogeo della nobiltà, anche se verso la fine del ‘700 essa ha
subito un forte ridimensionamento, politico e sociale. In questo periodo nascono movimenti
culturali, che esaltano l’arte amatoria e le sue tecniche di godimento. Mentre prima veniva
solamente messa in evidenza la posizione del missionario, cioè la classica con l’uomo sopra
e la donna sotto, adesso viene espresso anche dalla donna, il suo agognato godimento in
tutte le sue forme, talvolta rasenta le più bestiali perversioni. Vennero istituzionalizzati,
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soprattutto nelle classi sociali alte, l’amore di gruppo e l’uso della lingua, volta al
leccamento di entrambi i genitali, maschile e femminile, mentre prima tutto era stereotipato
e tremendamente noioso, sotto la vigile pressione religiosa. Il marchese de Sade rappresenta
la lussuria più sfrenata. Attraverso il suo modo di estrinsecare l’atto di amore, viene fuori
tutta la sua concezione atea. Il de Sade era un convinto assertore dell’ateismo, infatti
secondo lui l’ateismo porta gli uomini alla natura, all’esperienza, alla ragione, cioè è tutto
improntato su dati empirici. Il marchese de Sade era coerente fino in fondo, diceva che Dio
non esisteva, questa fermezza d’orgoglio lo rendeva un uomo convinto delle proprie idee, e
pronto a sopportarne le peggiori conseguenze. Materialista, perché il divino marchese de
Sade era sempre alla ricerca del piacere fisico e intellettuale attraverso la copula. Per lui
consumare rapporti sessuali non era solo un appagamento materiale ma era anche una
ricerca filosofica della sua esistenza. Beffeggiatore dei costumi borghesi, nutriva una
profonda avversione per gli schemi rigidi e moralizzatori che la nuova classe emergente
stava imponendo alla società, cioè la noiosa borghesia. Invece lui, con la sua sessualità
distorta, affermava che durante la copula il comportamento dell’uomo e della donna si
identificano rispettivamente col sadismo e col masochismo, ed inoltre che solo la presenza
di queste componenti sadiche e masochiste può imprimere all’atto amoroso quell’assoluta
perfezione. Ne “Le 120 giornate di Sodoma e Gomorra” , oltre a fare un piccolo trattato
delle varie psicopatologie sessuali anticipando Freud, il marchese esaltava tutta la sua carica
sessuale, con tutti i suoi pensieri contorti, malvagi e scellerati, oltre a celebrare orge e
rapporti sodomitici. Alcuni studiosi di letteratura erotica affermano che sia stato il marchese
de Sade ad esaltare l’amore espresso dal gluteo, in antitesi alla concezione giudaicocristiana, che la giudicava contraria ai canoni della morale comune. Altro elemento
fondamentale, per capire la concezione amatoria del divino marchese, sono le sue filippiche
contro gli organi genitali che ci hanno generati, in un mondo di dolore, dove il godimento
dei sensi è l’unica soluzione che possa attenuare il terrore giornaliero del vivere. Secondo de
Sade, a riprova della sua mentalità negativa della società, l’animo umano è cattivo di natura,
quindi lui asserisce nel modo più assoluto, che solo la distruzione totale dell’umanità possa
rendere puro e semplice il mondo. In parte condivido l’affermazione iniziale sulla malvagità
dell’animo umano, ma non accetto la sua concezione demolitoria dell’umanità, deve essere
liberata dalle sue gravi tossine. Non accetto il radicalismo estremo propugnato dal divino
marchese, esso mi sembra deleterio e soprattutto semplicistico. Poi che questo cambiamento
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sviscerale venga proposto da un individuo che apparteneva all’alta nobiltà francese e che
godeva di tutti i benefici e privilegi, e che lui definiva questa società tetra e malvagia non lo
posso proprio accettare. Queste sue affermazioni lo rendono ridicolo ed infantile. Per de
Sade l’adulterio è la stampella del matrimonio. Bisogna distinguere, molti confondono
sadismo e sadico. Sono due concetti completamente diversi. Nel primo caso, cioè sadismo o
meccanismo “sadista” s’intende la conformazione del meccanismo filosofico di de Sade;
sadico, invece, configura una deviazione psicosessuale. Dato che de Sade, anche se ha avuto
una sessualità intensa, quando è stato libero, per brevi periodi; la maggioranza della sua vita
fu costretto a trascorrerla in carcere, o in manicomio (Charenton). Nel suo prolungato
isolamento lui scrisse molte opere sull’arte amatoria, alcune frutto delle sue empiriche
esperienze, altre inventate ed esposte in modo chiaro e trasparente ai lettori, facendole
apparire reali. Il suo scopo nello scrivere questi scritti di arte amatoria era innanzitutto
quello di scandalizzare, rompendo ogni tabù, ma soprattutto di provocare eccitazione ai suoi
lettori. Il de Sade non si è mai considerato uno scrittore pornografico, bensì un soggetto, che
attraverso le sue opere erotiche voleva manifestare la sua filosofia di vita, anticipando i
tempi, addirittura ponendosi politicamente più avanti della rivoluzione francese. Purtroppo
la società cosiddetta rivoluzionaria non lo riuscì a capire fino in fondo, egli fu addirittura
accusato di connivenza con l’Ancient Regime, e in seguito di essere dissacratore e nemico
della rivoluzione. Molti rivoluzionari bacchettoni, attraverso le sue oscenità letterarie,
vedevano, nella loro miopia politica, la restaurazione dei Borbone. Per cercare di capire la
sua lussuria sfrenata e senza controllo si deve capire la sua lussuria sfrenata, senza controllo.
Si deve inoltre capire il suo percorso politico, pur provenendo da una Casata che da secoli
aveva fornito ampi servigi alla Chiesa, i suoi avi, durante la cattività avignonese, avevano
ricoperto l’incarico speciale di segretari particolari del Papa. Egli arrivava all’ateismo più
estremo e profano, infatti contro Dio scaglia feroci invettive. In lui si verificò
un’involuzione, dal materialismo naturalistico virtuoso si arrivò ad un materialismo
criminale, dove alla razionalità della natura lui antepose le sue pazzie sessuali, che lo
portarono al gradino più basso della società. Forse il marchese, con la sua coerenza, voleva
dimostrare ciò che lui considerava la società: un gigantesco escremento, dove l’uomo si
ruzzola come un gattino ingenuo, dove la bestialità umana trova la sua più alta esaltazione,
in insulti verbali, in evacuazioni liquide ed in frustate, dove la dignità umana, come la
intendiamo noi, non esiste, anzi viene derisa. Altro particolare importante che notiamo in de
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Sade, che lui da queste frustate traeva grande piacere: si sa che gli psicopatici hanno una
grande resistenza al dolore. Per capire la sfrontatezza e l’estrema spontaneità di vivere la
sessualità, dobbiamo considerare il contesto in cui ha vissuto il de Sade. Nel 1700 molti
matrimoni tra l’alta borghesia e l’aristocrazia venivano combinati, in pratica veniva
stipulato un contratto fra lo sposo e la sposa. I genitori della sposa davano una forte dote. I
due sposi erano come degli estranei e quando si univano in matrimonio, sovente non era per
amore, ma solamente per un fine prettamente economico. Quindi di solito l’amore era
assente. Entrambi i coniugi spesso avevano l’amante e specialmente la nobildonna era
assistita da un cavalier servente (servant – chevalier) che le prestava assistenza spirituale e
materiale, quindi assumeva un ruolo fondamentale la galanteria. Questa traeva origine dai
trovatori provenzali del 1300 e per tutto il 1700, fino alla vigilia della rivoluzione francese,
fu determinante nei rapporti tra uomo e donna. Mentre con i trovatori si arrivava ad
un’idealizzazione della donna, vista in versione angelicata, dove l’uomo sottomesso
prestava i suoi servigi senza avere sempre i favori amorosi, e s’instaurava un platonismo
sofferente che sfociava in una grandissima masturbazione mentale, nel 1700 la galanteria
rappresentò uno status sociale, che contraddistingueva il gentiluomo dal villano o, peggio
ancora, dal cafone arricchito. Chi non rispettava questa rigida etichetta veniva escluso,
emarginato, o peggio ancora, deriso. Quindi possiamo capire come de Sade odiasse in modo
sviscerale questo monumento d’ipocrisia e cercasse di vivere intensamente ogni secondo
della sua vita. Infatti nella filosofia, nella letteratura e nel teatro, era sempre alla ricerca del
sospirato piacere. Per de Sade e per la sua intensa attività sessuale risultava irrinunciabile
l’orgia, vista come una cerimonia solenne e tutta carica di emotività, dove uomini e donne si
accoppiavano, come delle api intente a produrre miele, e dove i corpi nudi diventavano delle
espressioni angeliche, cariche di energie, dove l’orgasmo, per de Sade, rappresentava il
paradiso, anzi la congiunzione tra uomo e Dio, anche se solo per pochi secondi. Le frustate
assumevano, per il divino marchese, delle espiazioni di godimento, che preludevano per lui
a un orgasmo cosmico. Il sadismo veniva istituzionalizzato, e veniva a far parte del suo
repertorio fantasioso ed erotico; per il de Sade rappresentava il pane quotidiano, la linfa
vitale, che gli dava nutrimento interiore, tanto da fargli credere di essere immortale. Ma era
solo un effimero delirio, secondo me, che il de Sade pagherà a caro prezzo, perché il suo
vivere intensamente e fuori da ogni parvenza di moralità gli farà soffrire le pene
dell’inferno, dove i lussuriosi citati da Dante in proporzione subivano una pena minore.
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Altra perversione che il marchese rese quasi normale o di prassi furono le sue continue
esaltazioni nei suoi scellerati scritti degli escrementi. Il marchese infatti faceva dipendere
l’eiaculazione dalla produzione del corpo umano di copiosi ecrementi, dando così
un’immagine profana e consuetudinaria. Per de Sade le feci sono il processo finale che è
scaturito dai cibi, che vanno ricevuti, masticati, bevuti e digeriti. Secondo il filosofo de
Sade, l’evacuazione non avrebbe origine se l’uomo non ingerisse cibi cosidetti virtuosi. La
funzione del cibo è necessaria per procurarsi le energie che servono per poter esplicare
folgoranti amplessi, con ripetuti orgasmi. L’ingestione del cibo stimola il piacere della
ingestione escrementizia. Al marchese piaceva rotolarsi nella cioccolata puzzolente (feci).
Questo gli provocava un entusiasmo che gli faceva bruciare tutte le calorie. Questo suo
modo di scrivere lo collocò nella sua epoca fra gli scrittori erotici dell’Illuminismo più
interessanti e meno noiosi. Quindi, ritornando al discorso di prima, per il marchese la
coprofagia diventò una lenta ed esaltante agonia di piacere. Quando qualcuno gli chiedeva:
“Cos’è l’uomo?”. Il de Sade rispondeva: “Un simpatico esaltato, o uno stupido a caccia di
notorietà”. Il marchese affermava: “La merda viene servita a tavola”, molte persone
affondavano le dita e affermavano che questa pietanza era buona, secondo le esperienze del
de Sade. Escrementi e orgasmi per il marchese rappresentavano un notevole parallelismo,
mancando uno di questi elementi crollava la sua impalcatura sessuale.
Il de Sade aggiungeva che i contadini concimavano la terra con gli escrementi per
arricchirla di sostanze nutritive, egli praticava la coprofagia non solo in senso teorico, ma
soprattutto dal punto di vista pratico.
CAPITOLO 2
USI E COSTUMI NEI SECOLI XVII – XVIII
Per capire la concezione filosofica, letteraria e politica del divino marchese de Sade,
dobbiamo soffermarci sul periodo in cui egli visse. Questa concezione del ‘700 si
rispecchiava anche nei palazzi, che denotano un notevole fermento. I palazzi delle famiglie
nobili erano progettati e costruiti con il concorso dei migliori architetti, scultori e pittori del
tempo. Erano la manifestazione esteriore della potenza economica e politica e della
supremazia sociale di coloro che vi abitavano, ed esprimevano, allo stesso tempo, le
concezioni artistiche, i modi di vita, lo stile delle civiltà di un’epoca. Le forme
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architettoniche esterne, le strutture degli interni, l’arredamento e l’organizzazione dei servizi
erano, in questi palazzi, l’espressione stessa degli ideali di vita e delle abitudini di un ceto
che, allo stesso modo del clero, tendeva a mantenere le distanze con gli altri gruppi sociali,
ed a costruire un mondo a sé con le sue particolari consuetudini. Per esempio, nella Roma
del 1600 abbiamo moltissime famiglie che avevano maestosi palazzi, come i Barberini, alle
Quattro Fontane, i Borghese a Ripetta, gli Orsini a Monte Savollo, i Doria, i Chigi, i Salviati
al Corso, i Massimo a Sant’Andrea della Valle, i Colonna ed i Muti ai Santi Apostoli, i
Rospigliosi a Monte Cavallo, gli Altieri al Gesù, i Gaetani alle Botteghe Oscure, i Corsini
alla Lungara, i Farnese al centro del quartiere del Rinascimento. I nobili, a partire dal 1500,
cominciarono ad abbandonare la campagna ed a costruirsi sontuose dimore in città,
perdendo il contatto con la terra, dalla quale proveniva la loro ricchezza, e dandosi da fare
per ricevere cariche governative: nel 1700 ci sarà il massimo dell’arrivismo della classe
aristocratica. L’architettura predominante era quella barocca. La magnificenza dei palazzi
barocchi e delle ville patrizie penetravano all’interno di questi capolavori di architettura. Si
aveva un’impressione di fasto dovuta ai pavimenti in marmo, ai soffitti a cassettone dorati o
magnificamente affrescati, ai muri coperti da quadri, agli arazzi, alle tappezzerie di
damasco, agli affreschi. Statue, specchiere, consolles, sedie dorate abbondavano, ma
nell’insieme davano un senso di freddezza; la freddezza delle dimore di parata, fatte per le
feste ed i ricevimenti, non per le comodità e l’intimità della vita. Il carattere delle dimore del
1700 non fa che riflettere un processo già iniziato nel 1600, di un ceto che si avvia alla
decadenza politica ed economica. Nel progressivo svuotarsi di contenuto delle sue funzioni
di classe dirigente, l’aristocrazia rimase più che mai attaccata alla forma: il cerimoniale, le
precedenze, le onorificenze, occuparono un posto preminente nella sua vita. Altro
particolare importante: i servizi igienici erano sconosciuti, addirittura in certi palazzi
gentilizi rappresentavano una novità e provocavano stupore e ammirazione.
Per capire ancora l’ambiente in cui vive il marchese de Sade, dobbiamo anche confrontarci
con la moda. È dalla Francia che si importa il termine “moda”, sinonimo del rapido variare
del gusto nell’abbigliamento e nelle acconciature. Durante il 1700 tramontò definitivamente
la moda spagnola, soppiantata da quella francese. La Francia, nel 1700, si impose
politicamente. Per un certo periodo la moda spagnola e francese coesistettero, per esempio
quando un soggetto voleva manifestare la presa di posizione politica per un paese o per un
altro: chi indossava calze rosse mostrava simpatia per la Spagna; chi invece portava calze
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bianche dimostrava simpatia per la Francia. La nobiltà era caratterizzata da uno sfarzo
piuttosto pesante, con abbondanza di gioielli, broccati dai disegni molto grandi, sfondi e
lumeggiature d’oro e d’argento. Per quanto concerne la moda femminile, persisteva il
guardinfante, di origine spagnola, mentre le scollature erano ovali, alla francese, però alla
fine del secolo, con il gusto rococò, s’impose la scollatura quadrata. Le maniche degli abiti,
molto larghe, avevano tagli che lasciavano uscire gli sbuffi della camicia. La scollatura era
ornata di pizzo, una pettorina rigida scendeva a punta parecchio al di sotto della vita; ai lati
di questa punta si apriva la “marsina”, cioè una sottoveste sotto la quale c’era il sottanino. Il
tutto era decorato da una profusione di pizzi, di nastri, di ricami d’oro e d’argento. Una
ostentazione di lusso che giunse ad intaccare i patrimoni familiari e che indusse i governi ad
emanare leggi suntuarie, seguendo una tradizione ormai antica. Le grida governative,
nonostante il loro tono minaccioso, venivano ad urtare contro forti interessi economici. La
pompa degli abiti non era per i nobili uno sfoggio arbitrario di ricchezza, era il simbolo del
loro rango, il segno distintivo di una gerarchia sociale. L’abbigliamento maschile nel 1700
si componeva di marsina con bottoniere, giubba o sottomarsina poco meno lunga, camicia e
cravatta, calzoni aderenti al ginocchio. In seguito le marsine si accorciarono e si allargarono
ai fianchi fino a stare completamente rigide; scomparsa la bottoniera, rimase leggermente
aperta sul davanti. La giubba, in lucente seta a vivaci colori, si accorciò fino a diventare
gilet, che arrivava poco sotto la vita. Infine la marsina perse di larghezza e di rigidezza
intorno ai fianchi, sotto l’influsso della redingote. La cravatta di tela finissima girava più
volte intorno al collo, la camicia era adornata al collo da un jabot di pizzi che usciva dal
gilet e dai polsini di pizzo che ricadevano sulle mani. Oltre alla spada l’uomo elegante
aveva tutto un armamentario di orologi, ciondoli, tabacchiere, oggetti per la pulizia dei
denti, unghie e orecchie, boccette di profumo, vasetti di pasticche, spille, specchi, lenti,
cannocchiali, tutte cose che dovevano essere contenute in tasche ben capaci. La parrucca era
molto meno voluminosa rispetto al secolo precedente. Nella seconda metà del secolo si
semplificherà ancora di più: capelli rialzati sulla fronte senza scriminatura, qualche ricciolo
(boccolo) sulle tempie, codino infioccato che pende sulla nuca, il tutto completamene
coperto di candida cipria. Il cappello era a tricorno, ma non lo si usava molto, di solito lo si
portava sotto il braccio. Una moda che, a critica degli intellettuali, sembrava artificiosa,
tant’è vero che il Verri sosteneva che i loro abiti erano ridicoli: “Ci dobbiamo radere il
capo, tessere vari capelli di morti in una rete, ungerli di grasso, coprirli di farina, poi
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metterseli in capo come una berretta, legarsi il collo con un laccio al quale non ci
avvezziamo mai, portare un abito il quale appena ci protegge le braccia e le spalle dal
freddo”. Anche l’alimentazione delle classi privilegiate ci aiuta a capire la società in cui
visse il marchese de Sade. La maggioranza della cucina era quasi sempre impostata sui
dettati della cucina francese. La gran mente era quella del cuoco francese, mentre le mense
italiane erano abbastanza spartane, molto distanti dall’avere il fasto e la ricercatezza delle
vivande francesi. Mentre per i francesi il cibo era una manifestazione del tenore di vita del
nobile, gli italiani manifestavano il loro benessere in altre maniere. Sia in Francia che in
Italia la specialità più apprezzata, dopo la cioccolata, era il gelato. Si consumava il pesce, la
carne e la cacciagione più prelibata, nonché la frutta più fragrante. Si faceva largo uso di
birra e caffè, tenuto in considerazione nei ritrovi più eleganti e nei circoli culturali, dove si
discuteva di politica e letteratura. Fumare tabacco era considerato poco raffinato, il fumo era
lasciato alle classi popolari; i nobili potevano solo annusare il tabacco, infatti questa
consuetudine veniva collocata fra le buone maniere. Per quanto concerne la medicina e in
particolare le cure mediche esse venivano espletate in modo dilettantistico, dai barbieri o da
musici ambulanti. Alla fine del 1700 si arrivò ad una tecnica più evoluta e soprattutto più
scientifica, collocando la professione medica fra le cosiddette arti liberali. L’educazione era
completamente affidata ai religiosi, di solito Gesuiti. In Italia infatti, come pure in Francia,
si crearono molti collegi, dove si andava formando la classe dirigente (nobiltà e alta
borghesia); in questi collegi si impartiva una formazione prettamente umanistica (greco,
latino, grammatica, oratoria, etica), teologica ed in seguito matematica, fisica e chimica.
Questi collegi religiosi erano tutti impostati all’ottica della Controriforma del Concilio di
Trento, furono anche ufficializzati i registri ecclesiastici, aventi funzione di anagrafe civile,
infatti in seguito assunsero uno schema molto rigido. I Gesuiti (ordine religioso fondato da
Ignazio da Loyola, ferito all’assedio di Pamplona – Spagna) in particolare, attraverso la loro
educazione, miravano in un certo senso ad un controllo delle classi dirigenti. Fu per questo
che i Gesuiti vennero allontanati da tutte le corti europee e per un certo periodo di tempo
l’ordine fu addirittura sciolto. I sovrani europei fecero pressione sul Papa per attuare la
soppressione di quest’ordine che in seguito fu ripristinato. Sorte peggiore era toccata invece
all’ordine dei Templari inviso al re di Francia Filippo il Bello, perché non accolsero
nell’ordine suo figlio, egli quindi fece pressione sul papa Innocenzo III accusando
quest’ordine di praticare l’omosessualità, di fare uso di droghe, come l’hashish, di cercare
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un accordo con gli infedeli per mantenere le loro posizioni in Terra Santa, venendo meno
all’ordine dei preti guerrieri, di costituire in Francia e in Spagna dove avevano un loro
centro uno stato nello stato.
Si capisce il comportamento del marchese de Sade, in parte, e come lui arrivò alle sue
esasperazioni, probabilmente esacerbato da una società che, ufficialmente bigotta, non
ammetteva colpi di coda radicali, un po’ com’è adesso. Riprendendo il discorso sulle
strutture sociali del 1700, nelle famiglie o casate nobili il titolo e l’intero patrimonio
spettava al maschio primogenito; ai figli cadetti non restava che la carriera: militare,
diplomatica, amministrativa, giurisdizionale o ancora ecclesiastica. In questo modo le classi
gentilizie perpetuavano il loro totale controllo nei gangli della società, bloccando nei fatti
ogni cambiamento. Alle donne la sorte era più limitata, nel senso che andavano in sposa a
qualche gentiluomo oppure, spesso contro la loro volontà, abbracciavano la carriera
religiosa. Era una condanna, il più delle volte crudele, perché di solito questa scelta veniva
imposta dal capofamiglia, cioè il padre. Il compito prioritario della nobildonna che andava
in sposa, oltre al rispetto del marito, era la cura dei figli, della casa, ella doveva saper
leggere e scrivere e soprattutto fare i conti. Il potere era prettamente concentrato nella
nobiltà, la cui ricchezza era rappresentata dalla rendita fondiaria, e dal clero, proprietario dei
beni della Chiesa. Questo dimostra come la rigidità del sistema sociale non permetteva
un’evoluzione della società in senso moderno, ma la fossilizzava ad arcaici privilegi. Altro
importante elemento su de Sade (ma di questo non si ha la certezza) è la sua presunta
adesione alla Massoneria. Nell’Illuminismo che l’antica consorteria dei Franchi Tiratori, le
cui origini sprofondavano nei secoli remoti, trova nel settecento un definito contenuto
dottrinario, un concreto programma d’azione. La Massoneria, in nome della ragione,
combatteva contro l’ignoranza e la superstizione che venivano propagate dalla Chiesa. I
Massonici erano seguaci di una nuova fede, una fede che aveva i suoi simboli ed i suoi riti,
che trasformò i suoi luoghi di riunione, le logge, in un mistico tempio. Il rituale era di solito
molto elaborato, si attraversava un cortile, il potenziale aderente si fermava davanti ad un
ingresso chiuso da due imposte, nella destra delle quali era infisso un pendulo martello e
serpente. Si davano due colpi, l’uno vicinissimo all’altro e dopo alcuni secondi un terzo
colpo più decisivo e sonoro dei primi. Allora le imposte si spalancavano, come se un
congegno le avesse fatte girare e allora il potenziale adepto entrava in una vasta aula, tre
lampade pendevano dalle volte. Le pareti erano tutte tappezzate di drappo nero, scheletri
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interi e frammenti di scheletri erano tutti appesi come trofei. C’era un anziano, affiancato da
due signori, sia a destra che a sinistra. Nel mezzo del tavolo c’era un teschio, uno squadro,
una cazzuola ed altri ordigni. Sulla parete c’era un quadro che rappresentava i ruderi di un
grande tempio, sulle due colonne si leggevano queste parole: Jachin e Booz. Sotto c’era un
tripode con una lampada funeraria da cui guizzava una gran fiamma verde azzurra, che
rischiarava misteriosamente questo quadro e tutta l’aula e le facce dei tre soggetti che
stavano innanzi alla tavola, e le trenta o quaranta facce degli altri, seduti in un ampio
cerchio di rimpetto ai tre. Quando il visitatore era entrato e pronunciava le stesse parole
incise sul quadro, tutti si alzavano in piedi, ed egli prendeva posto tra di loro.
III CAPITOLO
CONCEZIONE FILOSOFICA, POLITICA, PSICOLOGICA DEL DIVINO
MARCHESE de SADE
Gli elementi fondamentali di de Sade sono l’irrazionalismo ed il decadentismo. Molti
moralisti borghesi si scagliano contro di lui solo perché sono invidiosi della sua coerenza.
Nel XIX secolo l’estrema morale borghese lo ignorò del tutto. Verso la fine del XX secolo
tornò di attualità, come persona che per il suo idealismo politico ed ideologico pagò a caro
prezzo le sue convinzioni: manicomio (Charenton) e carcere (Bastiglia). Egli avversò in
modo radicale la religione perché, secondo la sua mentalità, essa per secoli aveva reso
statica la società, impedendo ogni cambiamento e rendendo la società anacronistica. Le sue
idee atee non erano maturate tutto d’un tratto; la sua maturazione razionale, impregnata di
contenuti altamente illuministici, aderì senza ombra di dubbio al libertinismo, come fece
Cyrano de Bergerac. Questi uomini, per le loro idee di pensiero, pagarono un prezzo
altissimo. Il de Sade fu condannato per la sua condotta criminosa nei confronti di persone di
ceto socialmente inferiore, ma non l’espressione del suo pensiero. Anche se contorto, o per
la maggioranza blasfemo, perché lui diceva i suoi pensieri, in modo spontaneo. Molti
criticano la sua passionalità e l’odio animoso contro Dio, che percorsero le sue opere.
L’ateismo era concepito come sacrilegio, cioè negazione del sacro, attraverso un suo
rovesciamento. Sade veniva considerato un personaggio contro ogni morale. Alla radice di
entrambe le negazioni ci sarà pur stato un sentimento di delusione, di rancore, verso la
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falsità degli ideali un tempo propugnati, ma poi sconfessati. Sade si scagliava contro la
solidarietà e tutta la sua morale che ne derivava, quindi per lui neanche un ristretto gruppo
sociale ne era esente, solo lui era il puro e coerente, che rifuggiva dalla falsa morale. Per
esempio, Simone de BEAUVOIR cercò di analizzare il personaggio, non fece una ricerca di
psicanalisi, ma ammise che gli eroi e le eroine dei romanzi orgastici sadiani formavano un
indifferenziato tipo di libertino dai mille gusti e predisposizioni: a volte viene esaltata la
figura androgino-omo oppure quella eterosessuale. Il vigoroso erotismo veniva esasperato
da lunghe astinenze e da molte contrarietà, quindi qualche volta lui ricorreva alla fantasia.
Riguardo al pensiero di Simone de Beauvoir, io in parte gli dò ragione, perché è risaputo
che persone che hanno una lunga permanenza in prigione o in casa di cura sviluppano
quello detto poc’anzi. Alcuni scrittori notavano nelle sue opere letterali grossolanità e
superficialità, esse però sono dominate da un notevole determinismo materialista.
L’ideologia di de Sade era impregnata di forti contenuti naturalistici. Nella sua natura,
corroborata di determinismo e di meccanicismo, assume notevole importanza la sua
concezione di distruzione della società. Molti studiosi, pur apprezzando il suo accentuato
modo eclettico di esprimere il pensiero, facevano notare la sua perenne contraddizione, che
da un lato incita gli uomini a distruggere il mondo, e dall’altro critica la natura che non gli
fornisce i mezzi. Poi, secondo me, le sue palesi contraddizioni si evincevano perché lui
esprimeva feroci critiche al sistema, dall’altro però ne godeva i frutti (infatti tutti i reati o gli
atti criminosi che lui aveva commesso furono sanzionati in modo non equo), infatti solo il
suo lignaggio lo salvò da pene ben più rigide. Per molti intellettuali il suo pensiero è
contorto perché lui non accetta il paradosso del sacro e del male in simbiosi, per un
medesimo fine la distruzione, costellata da un’insaziabile violenza. La rigidità, il modo
glaciale di descrivere le più complesse perversioni dell’istinto sessuale, lo staccano dalla
schiera dei sadici, ne fanno un filosofo, un sessuologo, un pensatore. Il suo impegno veniva
profuso, non solo per manifestare il suo pensiero, ma anche per esprimere la realtà
circostante, dove gli avanzi del feudalesimo subivano il definitivo crollo e si faceva avanti
una società moderna e dinamica, ma non per questo volgare e particolaristica, incentrata
tutta sul profitto e sulla concorrenza: l’affermarsi del pensiero borghese. Analizzava le
contrapposizioni dei due sistemi politici (Ancient Regime, Rivoluzione Francese) e arrivava
alla conclusione che sotto le parole libertà – fraternità – eguaglianza prevaleva sempre uno
strisciante egoismo. Questo per me non è una scoperta, si sa che le guerre e le rivoluzioni
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vengono provocate anche per interessi economici, solo che questo aspetto non viene mai
palesato. Anzi, l’ipocrisia dominante fa credere che principalmente i grandi avvenimenti
storici sono attuati per motivi idealistici ed ideologici. Molti pensano che il suo
immoralismo pareva contrario alla morale corrente, alle istituzioni tradizionali, ma in realtà
esso è conservatore e riproduce la mappa dell’uomo sociale, disegnata dalle classi
egemoniche. Il merito e le accuse di alcuni benpensanti, a mio avviso in parte ingiuste, è da
ricercarsi nel fatto che lui svelava la verità di classe, sia che si trattasse di un borghese che
di un rivoluzionario, rivelando che dietro le mistificazioni ideologiche vi è un idealismo
sfrenato. Il marchese si faceva assertore di alcune considerazioni politiche, la società doveva
trarre linfa vitale attraverso la coesione e la pace, che danno forza e la verità risiedeva nella
giustizia, però la forte influenza politica (come sta avvenendo oggi in Italia), rendeva il
potere giudiziario privo di indipendenza, assoggettandolo al potere esecutivo. Sade si faceva
portatore dei diritti dell’individuo. In realtà lui parlava della persona e non dei suoi diritti,
questo comporta solamente l’esistenza di altri individui verso cui farli valere e quindi
fondere il principio della reciprocità. Parlare dei diritti delle persone e poi non impostare un
discorso di partecipazione alle istituzioni politiche è come fare un discorso nel vuoto, sotto
sotto de Sade, secondo me, rimaneva una persona, nonostante avesse subito le sollecitazioni
politiche ed intellettuali dell’Illuminismo e poi della rivoluzione francese, un conservatore,
ancorato al privilegio. Sembrerebbe che de Sade fosse un cinico, in realtà lui non era così. Il
marchese era solamente realista. Lui aveva capito che l’ascesa della borghesia all’inizio
aveva portato radicali cambiamenti, però nel giro di cent’anni la nuova classe egemonica
borghese svelerà la sua cruda verità. Guerre gigantesche, soprusi civili, oppressioni spietate,
vittime innocenti, prepotenze, corruzioni, pregiudizi e tanto sangue. Quindi il marchese
prevedeva la fine della borghesia ed il suo annientamento, una nuova società portatrice degli
ideali dell’illuminismo. Quindi, secondo me, gli autori che vedono in lui solamente l’aspetto
provocatorio e blasfemo, la volontà nichilista, il delirio sessuale o la fase mitologica,
infantile ne hanno una visione superficiale. Altri, come Flaubert o Kafka, vedono nel
marchese solo le sue perversioni, le orge, la necrofilia, la fellatio, la coprofagia, e davano, a
mio modesto avviso,un giudizio riduttivo su questo personaggio, senza ricercare ed
analizzare, scavando nei meandri della sua mente, altre tematiche, come la politica, la
filosofia, il teatro. Il marchese, nel suo franco illuminismo, parteggiò per la ragione.
L’affermazione assoluta della ragione rompe gli schemi rigidi delle passioni, la ragione è
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creatura vassalla della natura. La razionalità scopre di essere uno strumento di piacere della
natura e di aver lavorato inutilmente. Il razionalismo francese, secondo il marchese, tende a
scomparire, perché la sua funzione rivoluzionaria è esaurita, anche perché la ragione fallisce
miseramente i suoi principi rivoluzionari. Un politico, considerato incorruttibile, il mitico
Robespierre. Questo avvocato di Arras, famoso per la sua combattività, si rivelerà forse il
più puro politico o onesto che ha avuto la Francia, come de Sade, resta fedele alla tradizione
illuministica, ma la forte convinzione nella ragione gli fa capire i destini della rivoluzione
dopo due anni di terrore. Il puro Robespierre, insieme ai suoi collaboratori che facevano
parte del comitato di salute pubblica, in primis de Saint Just e Couthon, saranno
ghigliottinati e la borghesia girondina, fatta di finanzieri e commercianti, con la
mistificazione e la superbia, distruggeranno il valore della rivoluzione. Ad una dittatura si
andava sostituendo un’altra, la cosa più grave era che questo subdolo dispotismo borghese
aveva l’investitura della sovranità popolare. Robespierre, come de Sade, in parte aveva una
strategia per attuare il suo programma politico. 1) La Costituzione in favore del popolo. 2) I
nemici sono gli uomini ricchi e viziosi, Queste persone corrotte ed avide useranno la
calunnia e l’ipocrisia. 4) Il pericolo che l’ignoranza del popolo faccia fallire la rivoluzione.
5)Combattere la miseria e istruire il popolo. 6) Il popolo avrà il pane ed i benestanti non
dovranno usare gli intellettuali, venduti al potere, per ingannare le masse. Quando le
aspettative dei ricchi saranno fuse con il popolo, pura utopia, cioè mai. Robespierre
avvertiva il pericolo come de Sade, per il popolo, e pur sapendo che la sua battaglia era
persa in partenza proseguì nella sua opera in difesa del popolo. Altro particolare importante
seppur secondario, mentre tutti o quasi i politici della rivoluzione francese si comportavano
come i vecchi aristocratici, Sade subì l’influenza anche dei suoi genitori, illuministi ed
enciclopedisti. Il marchese de Sade si scagliò contro l’istituto della proprietà, vista
prettamente come strumento borghese, per attuare il potere egoistico ed esoso della nuova
classe dirigente. La visione naturalistica, fra il feudatario ed il contadino in un rapporto
armonioso, in vista del bene, e della collettività, non esiste più. Esistono solo speculazione
ed accumulo di ricchezze, la nuova borghesia non si fa portatrice di nessun valore spirituale.
Questo ritorno alla natura, propugnato in senso nostalgico da de Sade, riprende il pensiero di
Rosseau. Questa simbiosi, o meglio, dualismo, fra Robespierre e de Sade, raramente è stato
affrontato, perché la stragrande maggioranza della gente lo conosce solamente come
pervertito o assassino. Gli illuministi, per far trionfare la ragione, e fra questi anche de Sade,
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dovevano confrontarsi con l’uomo con i suoi pregiudizi, costumi, religione, miti sociali,
istituzioni politiche. Gli uomini avevano già un problematico rapporto con la natura,
figuriamoci con l’ordinamento costituito, perché tendenzialmente essi tendevano
all’anarchia. Di fronte alla negatività che de Sade sentiva nella collettività e nelle istituzioni,
sia vecchie che nuove, lui si abbandonava ad un nichilismo accentuato nel secolo XVII e
XVIII, si vedeva nel filosofo olandese Spinoza, quasi esclusivamente l’affermazione del suo
appassionato naturalismo. Spinoza anticipò i tempi rispetto a de Sade, pure se quest’ultimo
rimase un discepolo a confronto. Simbolo dell’ateo virtuoso, riformatore della metafisica
panteista, grande esponente letterario del determinismo e del materialismo, anticipatore
dell’idea di Voltaire, difensore estremo del determinismo e del materialismo, egli venne
coinvolto in infinite polemiche. Assunse la responsabilità, opuscoli, libelli, dialoghi
blasfemi e sovversivi a proteggere con la sua autorità gli attacchi più audaci e le persistenti
provocazioni. La nuova concezione della natura diede una rude spinta alla cultura laica
settecentesca e la gettò nel crogiuolo infuocato della rivoluzione. Sade ne rimase attratto. Il
marchese abbracciò la corrente letteraria del sensismo. Il male era considerato come un
effetto della natura corrotta, implicava l’esistenza di un creatore, o malvagio, o impotente,
perché aveva permesso o attuato tale corruzione. In parole povere, il male richiedeva
l’esistenza di Dio, ma quest’ultimo non ammetteva il male, quindi alla fine l’esistenza del
Creatore veniva messa in dubbio. Secondo molti letterati, enciclopedisti e illuministi, da
Voltaire a d’Holbach, come per de Sade, la funzione sociale della virtù allo stesso tempo
soddisfaceva esigenze individuali e coincideva con il massimo della felicità attuabile. La
ragione deve farci capire che il nuocere ai nostri simili non potrà mai farci felici e il nostro
cuore ci dirà che il contribuire alla loro felicità è la gioia più maestosa che la natura ci abbia
permesso. Sade non era pessimista quando pontificava il male. Dava per scontato che il
male esistesse e nonostante gli uomini si sforzino di contrastarlo esso è inevitabile, è un
qualcosa d’inarrestabile. All’inizio de Sade abbracciò la rivoluzione, perché era improntata
all’improvvisazione, tanti discorsi, tanto fermento di libertà, in realtà lui rimaneva
fondamentalmente un aristocratico. Anche se all’inizio della rivoluzione il marchese ne
rimase attratto perché era fondata sulla libertà, quando si accorse che lo spirito ipocrita
rivoluzionario rivelava la sua vera natura, cioè la bramosia del potere dell’alta borghesia, lui
capì di essere stato ingannato ingenuamente, come il popolo. Così, mente Robespierre
tentava un compromesso tra la realtà borghese e l’ideale sanculotto per salvare dal naufragio
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la rivoluzione, Sade rimaneva immerso nel tentativo di far trionfare la ragione, a costo di un
totale annichilimento. Aveva capito che anche l’uguaglianza si era trapiantata nella
rivoluzione francese, perché prima era istituzionalizzata, adesso con il potere del censo si
conquistava la posizione sociale. Insomma Sade cercò di essere realistico. Secondo il suo
pensiero i rapporti fra l’uomo e la natura, e viceversa, sono perciò nulli: la natura non può
legare l’uomo con alcuna legge, l’uomo non dipende per nulla dalla natura, essi non sono
debitori di nulla l’uno verso l’altra, non possono offendersi e neanche servirsi
vicendevolmente. Appena nasce, l’uomo non dipende dalla natura, e non appena la natura lo
ha prodotto essa non ha più alcun potere su di lui. Il marchese si fece anche portatore di un
ideale di società comunistica, dove tutti gli individui attraverso la morale realizzavano
quell’ideale di utopia di ridistribuzione della ricchezza, ma rimase una chimera, come
progetto, perché il divino marchese arrivò alla conclusione che l’uomo tendenzialmente era
egoista. Sade contestava la natura, perché sosteneva che essa faceva gli uomini tutti uguali,
però così non è, perché ci sono uomini più dotati ed altri meno, alcuni forti e belli, altri
sciocchi, ingenui e infelici. Queste differenze fisiche e caratteriali, a loro volta, creano
disuguaglianze sociali. Gli uomini, senza falsa ipocrisia, quando nascono, sono già
marchiati, con le loro differenze sociali. Quindi de Sade giustificava il povero, o il meno
fortunato, che fa di tutto per rovesciare chi detiene il potere e la forza economica. Allo
stesso tempo giustificava chi deteneva le leve del comando e faceva di tutto per mantenerlo.
La sua palese contraddizione si evinceva in modo drammatico, perché da un lato lui
inneggiava all’eguaglianza, o alla rivoluzione anarchica, e dall’altro giustificava il potere a
difendersi. Per quanto concerne la proprietà, la giudicava un furto, però quando inneggiava
alla repressione del popolo che andava tenuto schiavo e nell’ignoranza. Il marchese de Sade
subì, come ho già detto, l’influenza degli Enciclopedisti, in particolare del Diderot. Questa
sua posizione era aperta, anche per quanto concerne l’apertura nei confronti delle donne,
infatti invitava entrambi i sessi ad avere la libertà sessuale e sosteneva che l’accoppiamento
non andasse visto solamente in funzione riproduttiva, che l’uomo dovesse trarne il massimo
piacere e rivendicava il diritto della donna di avere un orgasmo soddisfacente. Fu favorevole
all’aborto: però dopo la sua svolta progressista arrivò alla conclusione che si può rinunciare
ai figli, alla donna, ma non alla madre, che però deve dipendere unicamente dal maschio. Il
marchese faceva un uso rigoroso della ragione, ma non del confronto dialettico della
ragione; purtroppo lui non sapeva esaminare nel giusto modo gli aspetti della realtà, li
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analizzava in modo isolato, li esasperava, li dilatava, in ogni senso, finché esplodevano nel
contraddittorio. Sosteneva che i virtuosi erano costretti a soccombere, favorendo la violenza
e l’ingiustizia. Vi era una rinuncia alla propria personalità morale, rinuncia a se stessa. La
virtù era criminosa quando diventava statica e quindi rassegnata all’ingiustizia. Solamente
l’individuo era portatore di ragione, in quanto egli non subisce oscillazioni, però
quest’ultima si rivelava inefficace ad influire nella società. Il sistema sociale era lacerato da
perenni contasti tra individui, tutto per impadronirsi del potere, all’uomo non restava che
rassegnarsi alla perenne mediocrità, poteva elevarsi con la ragione, la virtù, la razionalità,
ma mancava quella determinazione che avrebbe fatto della collettività uno strumento
fondamentale per rendere l’umanità pura e felice. Sapevano tutti che il 1700, oltre ad essere
un secolo di rivoluzioni e novità era stato anche un secolo di utopie, dove all’utopia radicata
da secoli nella società si era sostituito il segno umano, cioè quello della eterna felicità.
Secondo il marchese de Sade, la Francia era stanca dei delitti dei suoi re, del loro spietato
sfruttamento, della loro dissolutezza e della loro colpevole incompetenza: si ribellava al loro
dispotismo e stava per rompere le sue catene. Sade aveva sentito che ormai grandi
sconvolgimenti stavano per colpire la Francia, quindi sperava ardentemente che questi
radicali cambiamenti politici avrebbero potuto provocare la sua liberazione. Il marchese non
era un democratico convinto. Attendeva l’immediata rivoluzione, col solito spregiudicato
cinismo, calcolando il profitto personale che ne avrebbe ricavato. Il disprezzo che de Sade
dimostrava per la plebaglia gli faceva prevedere che Dio sarebbe stato la prima vittima della
rivoluzione e la virtù la seconda. La moglie di de Sade si separò legalmente da lui nel 1790
e lui ne soffrì molto. Aderì alla rivoluzione e fu uno dei maggiori capi, cellula rivoluzionaria
di Piazza Vendôme, questa si chiamava sezione di Picche. Come presidente della sezione
salvò diversi aristocratici dalla ghigliottina,
visitò ospedali e quartieri e mostrandosi
sensibile alle lagnanze del popolo. In seguito fu arrestato con l’accusa di essere troppo
moderato. Sade era contro la pena di morte, per convinzione ideologica, la riteneva un
palliativo insignificante e privo di quella dissuasione per non commettere altri reati. Sade,
come già detto, tante volte cominciava a vedere il male come l’essenza unica della natura,
come la sola molla delle azioni umane, tutte motivate, per virtuose o viziose, che esse
venivano definite per Sade, naturale egoismo. Le leggi sono poste dai potenti, affermava de
Sade, per far credere alla collettività che esse perseguono la felicità e l’interesse di tutti,
bensì per soddisfare la propria sete di potere. Sade arrivava alla conclusione che le esigenze
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dell’individuo e della società sono in perenne conflitto e quindi fra loro inconciliabili.
Secondo de Sade la coscienza morale non appartiene alla natura dell’uomo, essa non è
statica ed eterna, ma fa parte della mentalità dell’uomo, viene acquisita e subisce notevoli
limitazioni, a seconda delle circostanze, dei tempi e dei luoghi. Subentrano interessi
egoistici, personali o di gruppo, i cosiddetti interessi diffusi, solamente la ragione poteva
dare equilibrio all’uomo. Sade sosteneva che le guerre venivano mosse dai potenti, non per
motivi ideali, era solo la parvenza, ma per soddisfare il prestigio ed il potere dei vari sovrani
e per arricchire i vari gruppi di pressione. Mi chiedo: come faceva a capire de Sade che
comandare è meglio che fare l’amore? Sade si scagliò inoltre contro la divinizzazione del
potere del re, egli fu tra i primi, assieme al marchese de Lafayette, a proporre un monarca
costituzionale, il cui potere non derivasse da Dio, bensì dal popolo. Sade sosteneva che una
delle cause d’infelicità degli uomini erano le disuguaglianze sociali ed economiche. Il patto
sociale non aboliva le disuguaglianze naturali, ma le ribadiva, le convalidava, le consacrava,
le rendeva assolute, con il suggello delle leggi le disuguaglianze naturali venivano
istituzionalizzate. Con la scusa del diritto e della pace, l’usurpazione economica si
trasformava in potere politico. I benestanti si erano garantiti la proprietà, con un diritto che
prima non esisteva, in pratica mentre prima della rivoluzione francese il diritto di sangue
prevaleva, almeno formalmente, sul diritto di censo, adesso la volgarità ed i cafoni arricchiti
la facevano da padrone, un po’ come adesso. Io condivido totalmente questo pensiero, forse
adesso è peggio, perché mentre prima c’era una distribuzione della ricchezza, adesso
andiamo verso l’oligarchia e potentati economici rigidi ed impenetrabili. Per de Sade la
proprietà aveva prodotto e aggravato l’ineguaglianza fra uomini. Secondo il divino
marchese l’equa distribuzione dei beni conseguiva alla soppressione della proprietà,
eliminava tutte le ingiustizie ed i dolori della miseria, quindi i crimini non venivano più
commessi dai ceti socialmente più deboli. Con l’uguaglianza dei beni non sarebbe più
esistito il furto, in pratica si poneva fine al furto giuridico. Stabiliva uguaglianza di averi e
di condizioni, l’unico proprietario era lo Stato, che dava ad ogni suddito tutto quanto era
possibile per un’esistenza dignitosa. Comunque secondo me, de Sade maturò queste
convinzioni politiche perché trascorse molti anni in manicomio ed in carcere, così arrivò ad
odiare il sistema arcaico, con le sue regole e false consuetudini. Comunque se lui avesse
visto il fallimento del comunismo duecento anni dopo (1989), non avrebbe proferito parola,
non è che il liberismo selvaggio, propugnato da certi uomini politici, sia la soluzione di ogni
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problema. Con l’abolizione della proprietà privata, molti uomini, secondo de Sade, non
avrebbero tenuto un comportamento antisociale e quindi avrebbe forse eliminato
l’aggressività umana. Secondo il divino marchese la pratica della virtù è infatti il risultato
di modelli di comportamento imposti e teorizzati fin dall’infanzia. Le stesse norme morali,
non hanno forse origine dai bisogni organico materiali degli uomini? Secondo de Sade il
sentimento della virtù, oltre a non essere una cosa primaria, era per definizione un calcolo
vile e interessato, da qui si capisce come il vizio fosse considerato soltanto l’essenza della
natura. L’uomo cercava sempre la propria felicità, era paradossale affermare che esisteva
una virtù disinteressata, il cui fine era fare del bene senza motivo; questa affermazione per
Sade era una mera illusione e questo lo penso anch’io. Egli sosteneva che l’uomo praticasse
la virtù solo per il beneficio che pensa di trarne o per le riconoscenze che se ne aspetta. Il
marchese infatti diceva: “Analizzate una qualsiasi bella azione e vedrete quale motivo di
interesse si cela”. Io non condivido questa sua tesi a pieno, ci sono individui (anche se
pochi) che si prodigano per l’umanità in modo disinteressato. Sulle donne aveva una
concezione molto contraddittoria, perché da un lato affermava che le donne devono godere
del piacere carnale e di tutto il loro corpo, però solo con gli uomini che sono in grado di
soddisfarle. Il marchese denunciava che la condizione della donna era totale asservimento
alla società del XVIII e doveva lottare contro i pregiudizi. Perché la donna, affermava de
Sade, doveva essere liberata come le altre creature umane. Questo presupponeva una totale
trasformazione della società. Altre volte lui aveva un totale disprezzo verso le donne, e
certamente le odiava, perché affermava che la donna, essendo un essere debole, non aveva
altra scelta che la sottomissione. Il marchese sosteneva che essa era una creatura gracile,
sempre inferiore all’uomo, infinitamente meno ingegnosa, meno saggia e sempre in antitesi
con l’uomo. Per Sade ella era un essere malsano per i tre quarti della sua vita, non in grado
di appagare lo sposo quando era in stato interessante ancora più indisponibile. Secondo il
divino marchese la donna è un essere aspro, bisbetico, imperioso, tiranno, se gli vengono
lasciati dei diritti; basso e strisciante se viene assoggettato, oppure falso, malvagio e sempre
pericoloso. Per il marchese una creatura così perversa provocò una forte polemica al
concilio di Mâcon. Per parecchie sedute fu dibattuto a questo Concilio se la donna poteva
aspirare al titolo di creatura umana dato che secondo alcune persone vi era un’accentuata
diversità dall’uomo. Il marchese sosteneva che lui vedeva donne maltrattate dai religiosi,
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dagli sposi, dai capricci dei libertini. La cosa più grave, riprendeva de Sade, che più
studiava la donna, più lui si convinceva che quella sorte era degna.
III CAPITOLO
L’ARTE AMATORIA SECONDO IL DIVINO MARCHESE DE SADE
Analizzerò in questo capitolo le componenti importanti che noi notiamo in de Sade e nella
sessualità alquanto deviata, cercherò in modo analitico di capire non solo l’atto vero e
proprio, ma analizzeremo anche i risvolti psicologici, che hanno motivato a compiere queste
empietà mostruose.
Sadomasochismo: presente, nella sua mente perversa, egli infatti dopo aver fustigato le sue
vittime pretendeva di subire la stessa sorte. Fece ampio uso, oltre che della frusta, anche del
martinetto. Poi, per completare l’opera, applicava la sodomia, per rendere il rapporto
sessuale più intimo. Alcuni studiosi di storia della sessuologia sostengono che lui abbia reso
una moda l’amore per dietro. In questa sua esasperazione della fustigazione, il marchese non
solo manifestava la sua crudeltà, ma evidenziava il suo infantilismo strisciante, dovuto in
parte probabilmente alla vita agiata che conduceva, da privilegiato.
La coprofilia, cioè l’adorazione per le feci, infatti nella sua opera “Le 120 giornate di
Sodomia e Gomorra”, il marchese ne fa un’ampia citazione, facendo una zelante descrizione
di come gli individui si cibavano di questo primario pasto, descrivendone le peculiarità e
l’alta commestibilità ed esaltandone anche le proprietà afrodisiache. Dimostra così non solo
di essere una persona tremendamente malata, ma estrinseca la sua natura più schifosamente
bestiale.
Il voyeurismo esibizionismo. Egli incaricava i suoi servi, maschio e donna, a volte sua
moglie e le sue amanti, a fornicare, mentre lui come uno spettatore assisteva alla
consumazione di questi atti di libidine. Dopo aver assistito a questa bolgia dantesca di
lussuria, partecipava anche lui anzi, pretendeva dalle serve che assistessero alle sue
fustigazioni e viceversa. Questo dimostra la sua patologia psicotica, deviata e
profondamente malata. Questa affannosa ricerca di piacere denota tutta la sua concezione
distruttiva, non solo dell’atto sessuale, che è uno dei piaceri più intensi della vita e più belli,
ovviamente secondo lui dopo la nascita di un bambino. Il suo esasperato disprezzo per
l’umanità in tutte le forme di manifestazione. Il de Sade e molti altri scrittori usarono la
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pornografia nelle varie epoche del 1400, 1500, 1600 (ricordiamo Luciano all’Aretino, il
Pallavicini) non solo per appagare le proprie predisposizioni o inclinazioni sessuali, ma
soprattutto per colpire i propri avversari politici, quindi l’arte amatoria fu strumentalizzata
da vari personaggi per colpire i propri antagonisti, ne fu fatto un uso spregevole.
Altro elemento importante che si riscontra nel de Sade, era questa sua enorme eccitazione
nel vedere come le persone sprigionavano un’energia notevole con poderose cavalcate
erotiche e con intensi schizzi di liquido seminale, che sporcavano il viso della persona
passiva. Di solito vi era una donna libidinosa che ingoiava, con la sua prorompente bocca,
ogni pene che le si presentava a tiro. Questa donna nell’immaginario del marchese e nella
pratica anche, dopo aver prosciugato il membro maschile come un’assatanata del sesso, per
chiudere in bellezza si faceva rompere il gluteo. Nel frattempo, mentre magari la donna
gemeva di piacere, un altro uomo le inseriva il suo organo sessuale in mezzo al seno per
prolungare la sua eccitazione. L’emancipazione che il marchese de Sade aveva anticipato si
vedeva anche nel sesso, infatti le donne non erano più soggetti passivi, ma pretendevano di
raggiungere un orgasmo soddisfacente. Gli uomini di alto ceto sociale (nobiltà e alta
borghesia), con il prevalere delle idee illuministe e con la definitiva crisi del potere
teologico della Chiesa e l’affermarsi di teorie materialiste che avevano come precipuo scopo
il piacere sessuale, diventarono incuranti di perire tra le fiamme dell’inferno. La religione
veniva ridicolizzata e si cercava di far capire al popolo la sua inutilità, non solo, si palesava
il suo asservimento al potere, cioè al sovrano, dato che l’istituzione della Chiesa enfatizzava
il potere divino del re.
Altra moda che nel 1700 s’impose nella nobiltà fu l’uso di epiteti volgari, per stimolare
maggiormente l’eccitazione; il marchese ne fece ampio uso, anche se già il duca di Saint
Simon, alla corte di Luigi XIV, parlò dell’uso scurrile delle parole durante gli incontri
intimi. La volgarità nell’intimità venne considerata una vivace e simpatica trasgressione nei
ceti elevati, ed era un modo per rompere il rigorismo morale di cui si faceva portatrice la
nuova borghesia.
Altra caratteristica importante di cui fu vittima de Sade, è che l’alta nobiltà, per primeggiare
con le donne e soprattutto con il re, organizzava costosissimi baccanali, con tanto di
scenografia, i quali sovente si concludevano con orge promiscue, dove avvenivano scambi
di partner. L’uso scarso dell’acqua, ultima reminescenza medievale, considerata dalla
religione peccaminosa, provocava molte malattie, quali la sifilide, ecc; non si sa bene se il
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marchese de Sade ne fu contagiato o meno, comunque in quegli anni era facile esserne
contagiati. Il marchese era amante dei bordelli, però disdegnava i ritrovi affollati, preferiva
luoghi più appartati, lontani da occhi indiscreti e da eventuali irruzioni della polizia. Suoi
compagni di queste orge furono il principe de Lamballe e il duca de Fronsac, giovane
scavezzacollo ed ottimo meccanico, che aveva inventato una poltrona speciale ad uso delle
donne dalla resistenza troppo ostinata nel concedersi. La vittima designata, appena si
sedeva, veniva proiettata all’indietro, con le gambe in aria ed alla mercé dell’intraprendente
seduttore. Altra pratica tipica in diversi seduttori come Casanova o d’Annunzio, fu la loro
strisciante bisessualità, cosa che io aborro nella maniera più assoluta, perché secondo la mia
mentalità, magari provinciale, solo la donna può appagare ogni desiderio sessuale di un
uomo, magari poi lei sa il valore del suo utero, lo fa fruttare, il detto bolognese “la gnocca
rende” è sempre valevole. Immaginate voi un mondo omosessuale, nel giro di un secolo
l’umanità sarebbe estinta. Il marchese, nella sua vita mondana e libertina, conobbe la
signorina de Beauvoisin, una cortigiana di alto rango: ella doveva la sua posizione non tanto
al suo aspetto, quanto alla sua erudizione in pratiche erotiche. Ella lo aiutò molto a
soddisfare le sue efferate perversioni, godeva di protezioni nell’ambito della polizia,
comunque solamente gli aristocratici che erano vicini alla corona avevano una specie di
immunità e potevano essere inquisiti o imprigionati solo per alto tradimento. Molti nobili
pervertiti e libertini, tra cui de Sade, fecero ampio uso del clistere durante la consumazione
delle effusioni amorose, oppure si circondavano di quadri osceni per aumentare
l’eccitazione dell’uomo e della donna. Il marchese de Sade, come pure Casanova, faceva
ampio uso di afrodisiaci, solidi e liquidi. Sade doveva aver sviluppato il proprio sadismo
durante la guerra dei sette anni, avendo visto violenze di ogni genere ed essendo lui stato
giovane ne rimase influenzato. Durante le sue scorribande con donne di basso ceto sociale,
il marchese soleva buttare sul corpo nudo la ceralacca o le gocce di candele per provare
maggiore eccitazione sessuale, mentre la donna urlava dal dolore. Fece uso anche di varie
tipologie di frusta che usava nei confronti delle vittime. Questo denota la sua scelleratezza
nei confronti di donne di basso livello sociale, mentre con le nobildonne si guardava bene
dal farlo e solo se esse erano consenzienti si abbandonava ad atti perversi e di libidine
violenta. Quindi la tortura, come godimento sessuale, fu principalmente applicata a donne
mercenarie, oppure a persone plebee, in forti difficoltà economiche. Il marchese de Sade,
nelle sue assidue frequentazioni di bordelli, soleva distribuire cibi afrodisiaci per provocare
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un’estasi incontrollabile alle sue vittime. Talvolta dava loro dei cioccolatini ripieni di
cantaride o semi di anice.
Altro atto criminoso che lui compiva e che io critico apertamente, era il ratto o rapimento di
donne minorenni, per appagare il suo vistoso appetito sessuale. Però molte di queste querele
erano pilotate da sua suocera, che voleva annientare quel debosciato del suo genero. Altra
atrocità che de Sade sottoponeva alle sue vittime, era lo stupro, talvolta con la complicità di
altri uomini, solo per il gusto di sentirle urlare. A volte combinava accoppiamenti sessuali
fra donne e animali, solo per soddisfare le sue voglie di guardone schifoso. A mio avviso
qui si vede la sua grande bestialità e la sua totale mancanza di morale. Durante la sua
prigionia nella rocca Vincennes incontrò il visconte de Mirabeau, suo lontano cugino,
incarcerato a causa di scappatelle libertine, egli in seguito abbandonò queste qualità frivole
per diventare, ai tempi della Rivoluzione francese, uno dei maggiori protagonisti. Sotto
Luigi XIV e XV chiunque offendesse una loro favorita poteva essere imprigionato alla
Bastiglia o in un’altra prigione. Invece sotto Luigi XVI la giustizia era diventata meno
faziosa e di parte, diciamo che tendeva all’imparzialità. Per questo motivo de Sade fu
trasferito alla Bastiglia, in una cella molto spaziosa, che poteva arredare come voleva e
riceveva pasti abbondanti, anche se doveva rinunciare a saziare i suoi appetiti sessuali. In
questa prigione egli riuscì a comporre “Le 120 giornate di Sodomia e Gomorra”, con questo
romanzo egli aveva preceduto Ebing e Freud. In questo scritto egli analizza con metodo le
anomalie dell’istinto sessuale, ne individua ben seicento. Nella sua sessualità il de Sade,
come per Casanova, l’incesto era considerato atto di normale routine; infatti la relazione con
la sorella minore della moglie lo invaghì, tanto che scapparono assieme in Italia,
consumando focosi rapporti sessuali. Il marchese sosteneva (ed io sono pienamente
d’accordo) che gli uomini sono felici il giorno dopo aver consumato un amplesso con la
propria donna. Altra caratteristica importante del de Sade è che egli, essendo aristocratico,
non accettava come i borghesi, mezze misure: era bianco o nero. Nel sesso tutto era
concesso, tesi che io fermamente non condivido perché a tutto ci deve essere un limite.
Altro aspetto importante della sessualità è la sua contemplazione filosofica, durante l’atto
sessuale, in seguito partecipava anche lui a queste sceniche ammucchiate, gli dava il sigillo
di solennità. Il marchese, quando praticava del sesso con le sue compagne o sventurate,
sembrava che recitasse. Nel sesso, per lui, raramente c’era spazio per il sentimentalismo.
Sade fu uno dei pochissimi aristocratici che fece un uso limitato degli afrodisiaci, egli
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esaltava sempre la sua energica carica sessuale. Sade concepiva la sessualità libera, senza
subire i tabù dell’età adulta, senza il controllo dell’adulto e del padre, che per lui
rappresentavano il potere, la polizia, l’ordine sociale. Altro particolare di de Sade, egli
prediligeva, come Napoleone (infatti il Bonaparte chiedeva alla sua prima moglie, Josephine
de Beaurnais, di non lavarsi) le donne che non si lavavano, perché ciò gli dava il senso del
selvaggio, puro e semplice. Il capolavoro erotico e pornografico “Le 120 giornate di
Sodoma e Gomorra” andò distrutto perché due giorni dopo che egli fu trasferito perché
aveva gridato dalle finestre che stavano sgozzando i prigionieri, fu internato al manicomio
di Charenten. Il manoscritto fu ritrovato in un rotolo da un certo Arnoux de Saint Maxim,
che lo diede al nonno del marchese di Villeneuve Trans. Il prestigioso manoscritto rimase
per tre generazioni nelle mani della famiglia. Questo libro affronta moltissime
psicopatologie sessuali, dimostrando così come il de Sade fosse un precursore di Freud e
Krafft Ebing. Secondo Sade, tutto ciò che è imposto dal buon costume e dalla natura (cioè
per esempio la riproduzione) rendono il piacere monotono e frustrante. Per de Sade il
godimento sessuale deve essere raggiunto a qualsiasi costo, anche scalando le vette della
morale più aperta, sennò la vita per lui era uno sprofondare perenne nella mediocrità. Nel
sesso tutto era consentito, le mezze misure andavano bene per i borghesi benpensanti, non
per un nobile di antico lignaggio come lui. Nel sesso de Sade non accettava pregiudizi:
uomini e donne dovevano essere allo stesso livello, l’orgasmo, specialmente nelle donne,
doveva essere assicurato. Solamente con il pieno soddisfacimento sessuale gli uomini si
sarebbero liberati dalle catene del dispotismo bigotto della società del tempo. Altro
elemento su cui la mente deviata di de Sade si fissava era sulle casistiche delle prestazioni
sessuali, cioè quante eiaculazioni un uomo e una donna avevano. Una delle deviazioni che si
notavano in lui era la totale adorazione per gli arti inferiori, cioè i piedi. Questa patologia
sessuale già quella volta veniva inquadrata tra il feticismo, e, per ragioni di buon costume,
veniva occultata e curata in maniere grossolana e gretta, salvo qualche raro medico che si
dedicava alla cura dei piedi. Non solo questo: altro atto debosciato era quello che il
marchese si faceva legare ad un corpo statico e doveva assistere impassibile che i muscoli
dell’uomo e della donna si unissero in accoppiamento.
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CAPITOLO IV
Il marchese de Sade e il suo rapporto con il teatro
Nel teatro del marchese de Sade non troviamo presenza di quella violenza e purezza che
avevano caratterizzato la maggior parte delle sue opere (Aline et Valcour, Les Crimes, la
Marquise de Gange). Infatti nelle sue opere letterarie la potenza sovrana del male, il dissidio
fra istinti e virtù, società ed egoismo, natura e civiltà, vengono analizzati in modo nitido e
trasparente, e caratterizzati dal suo inossidabile pessimismo. Nel teatro, invece, il male non
ha esistenza autonoma, esso è solamente collegato ad una moralità dolciastra, per rispetto
alle virtù tradizionali: amore per la patria, onestà verso il sovrano, devozione alla famiglia,
pietà religiosa, rispetto delle leggi. Una sua commedia in versi, Suborner, fu accolta da
fischi e da disapprovazioni perché il protagonista, Saint Fal, interpreta una ridicola
caricatura dell’eroe sadiano con le sue infantili macchinazioni per riuscire a sposare
Adelaide de Pontac. Si riscontra uno stile apertamente goffo e ridicolo nei dialoghi della
Philosophie dans le bodouir, per mantenere all’opera un ritmo unitario, nell’alternanza di
confronti politici. Infine altra opera che fece, Oxtiern, è certo la più dignitosa fra le opere
teatrali di Sade. In questa commedia, dei nove personaggi del dramma, uno solo, il
protagonista, sembra incarnare il tipico eroe sadiano. La sua professione di fede è ricalcata
su quella dei libertini – filosofi. In questa commedia vengono estrinsecate le virtù dell’uomo
ed i suoi difetti, viene fuori l’avidità, l’inganno, la mancanza di onore, il senso della vita,
con i suoi pregi ed i suoi difetti. La nullità della vita; per Sade era un cardine fondamentale
non barattabile. Sade non fu solamente un mero pervertito e depravato. Cercò, con la sua
purezza, di fronte all’accanimento della società, di manifestare la propria sensibilità nel
teatro.
CONCLUSIONI
Io con questo mio piccolo scritto ho cercato di analizzare la vita ed il pensiero del marchese
de Sade in modo obiettivo ed imparziale senza cadere nella banale faziosità. Dalla mia
consultazione dei testi si evince che sovente quelle donne mercenarie lo accusarono
ingiustamente di violenza solamente per lucrare denaro, anche se con questo non voglio dire
che lui non fosse una persona violenta. Poi, altro motivo della sua criminalizzazione, fu
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dovuta all’avversità sviscerale che sua suocera, madame de Montreuil gli mosse. I suoi
parenti, i de Sade, erano stati per secoli segretari particolari dei Papi di Avignone (cattività
avignonese), quindi non potevano tollerare di avere un parente debosciato e libertino. Altra
nota negativa che de Sade subì fu a causa del suo conclamato ateismo. Figuriamoci nel
1700, con quel bigottismo imperante che c’era, professarsi ateo era come commettere quasi
reato di lesa maestà. Nel suo pensiero politico egli esaltava la società comunistica, per
quella società feudale ciò era un grandissimo scandalo. Quindi tutta quella letteratura che
critica aspramente de Sade, senza un contraddittorio o una comparazione analitica, mi
sembra superficiale e a volte fatua. Tutto quello che è stato detto su di lui va preso con
beneficio d’inventario, perché egli trascorse quasi trent’anni in manicomio e in carcere.
TESTI CONSULTATI
Lely Gilbert, Vita del marchese de Sade – Il profeta dell’erotismo Feltrinelli Editore,
Milano
Sade Donatien Alphonse François Un’innocenza selvaggia Pouvert Jean Jacques, Einaudi
Editore, Milano
James Cleugh Il marchese de Sade e il cavaliere von Sacher Masoch Mursia, Milano
Sade Donatien Alphonse François, detto le Marquise. Pensiero politico. Einaudi, Torino.
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L`ARTE AMATORIA E IL PENSIERO POLITICO