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Alessandro Filippi
Marco Moia
Lidia Rota Vender
GUIDA BREVE ALLA
GESTIONE DEL TEV
IN MEDICINA GENERALE
Prefazione Ovidio Brignoli
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autori
ALESSANDRO FILIPPI
Medico di Medicina Generale
Responsabile Area CV SIMG
MARCO MOIA
Responsabile UOS Fisiopatologia della Coagulazione
Centro Emofilia e Trombosi “A. Bianchi Bonomi”
IRCCS - Ospedale Maggiore Policlinico
Mangiagalli e Regina Elena di Milano
LIDIA ROTA VENDER
Presidente Alt
Associazione per la Lotta alla Trombosi
e alle malattie cardiovascolari - Onlus
Responsabile Centro Trombosi
Istituto Clinico Humanitas IRCCS - Rozzano (MI)
Patrocinio ALT - Associazione per la Lotta alla Trombosi
e alle malattie cardiovascolari
Patrocinio SIMG - Società Italiana di Medicina Generale
Mediamed Srl
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per tutti i Paesi.
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sommario
Prefazione
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Presentazione
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TEV, l’epidemia silente:
dimensioni del problema
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Un problema di rilevanza nazionale
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La dimensione del problema
13
TEV e medicina generale
14
Che cosa fare
16
Ruolo del MMG nella gestione della profilassi
antitrombotica post-dimissione
19
Profilassi tra ospedale e territorio
20
Quale profilassi
21
Durata della profilassi primaria
e secondaria (terapia anticoagulante)
25
Educazione/informazione del paziente
e dei famigliari
28
Rapporto MMG-ospedale/specialista
29
Identificazione dei soggetti a rischio trombotico
33
e tromboprofilassi in medicina generale
Il MMG e la profilassi
34
3
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sommario
Pazienti con trauma
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Pazienti “medici” allettati
35
Pazienti “medici” con grave ipomobilità
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Viaggi aerei di lunga durata
39
Valutare sempre la funzionalità renale
41
Tutela medico-legale
41
Organizzazione del lavoro
42
TVP/EP dal sospetto diagnostico alla terapia
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Come sospettare una diagnosi di TVP
46
Come stimare la probabilità di TVP
48
Come confermare o escludere una diagnosi
51
di TVP
Cosa deve fare il MMG quando sospetta
una TVP
54
Come sospettare una diagnosi di EP
54
TVP non localizzate agli arti inferiori
57
La gestione domiciliare della TVP
58
Conclusioni
4
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prefazione
La trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP) costituiscono due manifestazioni cliniche della stessa malattia: la trombo
embolia venosa (TEV). Senza trattamento circa il 20-25% delle TVP del
polpaccio si estende alle vene poplitee e femorali causando quindi una
TVP prossimale. In assenza di trattamento il 67% delle TVP della coscia
e il 77% delle TVP della pelvi sviluppano EP sintomatica o asintomatica(1,2).
Negli USA si stima che ogni anno si verifichino circa 600.000 EP delle
quali il 70% non sono diagnosticate, con una mortalità dell’11% ad
un’ora dall’evento. Nelle forme diagnosticate e trattate la mortalità è
dell’8% mentre nelle forme non trattate è del 30%, a sottolineare che la
maggior parte delle morti per EP si verifica in pazienti che non hanno
ricevuto un adeguato trattamento sia perché il tempo intercorso tra l’evento e il decesso non ha permesso di instaurare la terapia sia perché
l’EP non è stata diagnosticata. Si valuta che si verifichino circa 200.000
morti all’anno per EP negli USA(1).
La TVP è una patologia frequente, così come l'embolia polmonare, che
è la sua immediata e pericolosa complicanza.
La Sindrome Post-Trombotica (SPT), sequela tardiva, è spesso fonte di
invalidità per il paziente, di rilevante spesa per la società e di delusione
per l'impegno del medico. Al contrario di quanto molti ritengono, la TVP
è un evento frequente che può complicare il decorso di interventi chirurgici, politraumatismi, malattie autoimmuni e neoplastiche, ma che può
presentarsi anche in soggetti in buone condizioni di salute.
E' difficile fornire stime precise sull'incidenza della TVP nella popolazione poiché essa è spesso misconosciuta, a causa della scarsa applicazione di criteri diagnostici attendibili. Secondo uno studio svedese, il
2-3% della popolazione va incontro, nel corso della vita, ad un episodio
di TVP.
Ancora più complesso è il problema dell'embolia polmonare (EP): infatti, mentre in Italia, secondo i dati ISTAT 2005, l'EP non figura fra le prime
10 cause di morte, recenti studi internazionali segnalano l'EP al terzo
posto fra le cause di morte nella popolazione generale ed al primo nei
pazienti ospedalizzati. Questa discrepanza è dovuta al fatto che, in mancanza di riscontro autoptico, la morte per EP viene generalmente attri5
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prefazione
buita a cause diverse, con grave sottostima del problema. Dati assai più
precisi sono disponibili sulla prevalenza di TVP ed EP in alcune condizioni cliniche ad alto rischio. Se ricercata in modo appropriato la TVP, in
assenza di un'adeguata profilassi, si verifica in oltre il 10% dei pazienti
di età superiore ai 40 anni che subiscono un intervento elettivo di chirurgia addominale ed in oltre il 50% di quelli sottoposti ad artroprotesi d'anca. Anche alcune situazioni non chirurgiche sono gravate da un'elevata
incidenza di complicanze trombotiche.
La trombosi venosa può insorgere a ciel sereno ma, più spesso, colpisce in situazioni cosiddette a rischio, per esempio dopo un intervento
chirurgico o un grave trauma agli arti inferiori.
Si verifica più frequentemente in soggetti predisposti come anziani e
malati di tumore, ma è sempre più evidente che esistono individui geneticamente predisposti alla trombosi che possono sviluppare la malattia
anche in giovane età e senza rilevanti concause.
In considerazione del fatto che molti degli esami di laboratorio utili ad
identificare tali soggetti sono complessi e costosi, è necessario che il
medico aggiorni le proprie conoscenze per poterli richiedere ed interpretare in modo corretto.
Fino a pochi anni fa la diagnosi di TVP era resa difficile dalla scarsa
disponibilità ed accuratezza di strumenti: per tale motivo è stata sottostimata e curata spesso in modo incerto e tardivo. Oggi è invece possibile, e quindi doveroso, porre con sicurezza e rapidità la diagnosi di TVP.
Conoscere i pregi, ed anche i limiti, degli strumenti diagnostici a disposizione costituisce l'indispensabile premessa per una corretta terapia.
Renzo L’Aurora e Massimo Fusello, due esperti medici della Società
Italiana di Medicina Generale, scrivono in una interessante introduzione
di un documento intitolato “TVP: appunti di viaggio”
“ Il Medico di Medicina Generale (MMG), quando affronta un problema
diagnostico, risponde più o meno esaustivamente alle cinque domande
base: che cos’è, quanto è grave, quanto è frequente, qual’è la causa, c’è
una cura? La risposta si basa sul calcolo delle probabilità e sulla conseguente valutazione probabilistica dell’evento in esame, espressa come
numero o, più facilmente nella pratica comune, come allocuzione (da
escludere, poco probabile, probabile, molto probabile, pressochè certo).
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Abbiamo di fronte sempre un problema con più variabili: la soluzione più
semplice e al contempo più ingenua, si basa sull’indipendenza statistica
dei vari dati; frutto di ogni osservazione medica è l’espressione di una o
più misure, che servono a corroborare in modo oggettivo, svincolato
dalle nostre esperienze di lavoro specifico, l’ipotesi diagnostica che
abbiamo ritenuta più probabile e che ci frulla di più in mente.
….Queste scelte vengono fatte dalla nostra mente senza che noi, per fortuna, ci accorgiamo di fare tutti questi calcoli: è l’esperienza passata
che, unita alle conoscenze, ci porta a formulare la nostra ipotesi diagnostica. Tali considerazioni, scaturite dall’esperienza, ci fanno riflettere sul
fattoche nel caso della TVP ci troviamo di fronte ad un problema che,
purtroppo, ci permette raramente una diagnosi clinica accurata, perché
si basa su sintomi e segni che, considerati singolarmente o nel loro insieme, non sono né sensibili, né specifici.
L’incidenza (numero cioè di nuovi casi di malattia che si verificano in un
certo numero di persone in periodo di tempo definito) della TVP è del
1.6-1.8 0/00: un MG sospetta cioè ogni anno sei TVP ogni mille pazienti, confermandone solo due; la frequenza di complicanze, gravi dal punto
di vista clinico e costose per il S.S.N., quali l’embolia polmonare (EP) o
la sindrome post-trombotica (SPT), spingono però la classe medica a
tenere alto il livello di attenzione sulle TVP e sui problemi venosi in genere, visto che la malattia tromboembolica è ritenuta la maggior causa di
mortalità nei paesi industrializzati (Prefazione allo Studio Vesalio): non si
può infatti dimenticare che le flebiti profonde sia di coscia che di gamba
embolizzano(3,4) nel 50% dei casi, anche se in modo clinicamente non
apparente: solo 1 caso su 100 di quelli esaminati è infatti clinicamente
manifesto.
Gli obiettivi clinici più importanti di una tempestiva e corretta diagnosi e
terapia sono di ridurre la morbilità (espressa da incidenza e prevalenza) e
la mortalità associate con le sue manifestazioni acute, ridurre l’incidenza
di recidive di ulteriori eventi acuti e contrastare la comparsa di sequele a
distanza rappresentate dalla SPT, spesso altamente invalidante e con alti
costi sociali”.
E’ sulla base di queste considerazioni che può essere utile fornire continuamente ai MMG strumenti di formazione che tengano ben desta l’at7
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tenzione sul problema della TVP e che facciano il punto sulle corrette
modalità di approccio diagnostico e terapeutico, come si propone di fare
questa piccola proposta editoriale.
L’obiettivo, quindi, è quello di fornire un contributo al medico di famiglia
che possa contribuire a confermare il proprio operato o a modificarlo in
caso di inadeguatezza, ma anche quello di aprire una riflessione su alcuni aspetti controversi in tema di diagnosi e terapia.
Ogni capitolo di questa pubblicazione è stato redatto con l’intento di
affrontare in forma esaustiva tutti i possibili problemi che il MMG può
incontrare nella gestione di un caso sospetto o reale di trombosi venosa
profonda.
Ovidio Brignoli
Vicepresidente della Società Italiana
di Medicina Generale (SIMG)
1 Dalen JE.. Pulmonary Embolism: What Have We Learned Since Virchow? Natural History,
Pathophysiology, and Diagnosis. Chest 2002; 122: 1440-1456.
2. Task Force Report Guidelines on diagnosis and management of acute pulmonary embolism. Eur
Heart J 2000; 21: 1301-1336.
3. Lusiani L, Visonà A, Bonanome A et al. The characteristic of the thrombi of the lower limbs, as
detected by ultrasonic scanning, do not predict pulmonary embolism. (1996) Chest 110: 9961000.
4. Monreal M, Ruiz J, Olazabal A et al. Deep venous thrombosis and the risk of pulmonary embolism. (1992) Chest 102: 677-81.
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presentazione
Il problema delle trombo embolie venose (TEV), pur con qualche importante eccezione, è stato generalmente affrontato con un ottica specialistica e
ospedaliera.
Esistono motivi che giustificano tale atteggiamento:
la diagnosi definitiva di TEV necessita di indagini realizzabili quasi esclusivamente in ospedale; la terapia della trombosi venosa profonda (TVP) viene
tutt’ora condotta quasi sempre in ospedale, così come, ovviamente, quella dell’embolia polmonare (EP); gli studi su prevenzione e terapia sono stati
condotti in ospedale e le linee guida prendono in considerazione esclusivamente i pazienti ricoverati. In questo modo vengono tuttavia ignorati aspetti importanti del problema: la maggior parte dei TEV si verifica fuori dall’ospedale, il primo sospetto diagnostico in questi casi deve essere posto dal
medico di medicina generale (MMG) o di “guardia medica”; la precocità
delle dimissioni ospedaliere comporta la prosecuzione a domicilio della
profilassi post-ricovero; la terapia del TEV prosegue a lungo e viene gestita in parte o in toto dal MMG.
Pertanto è necessario prevedere il coinvolgimento del MMG e la sua assunzione di responsabilità professionale nei confronti del TEV che andrebbe
realizzato tramite una assai più stretta collaborazione tra ospedale e territorio, meglio se formalizzata nei cosiddetti “percorsi diagnostico terapeutici”
locali che siano verificati periodicamente nella loro reale applicazione.
La necessità di coinvolgere tutti i professionisti e non solo l’ospedale è
stata recentemente riconosciuta da due autorevoli documenti provenienti
dal mondo anglosassone, quello della Camere dei Comuni inglese e quello del Surgeon General statunitense. In entrambi, sia pur con modalità ed
accenti diversi, si riconosce che la prevenzione del TEV è una priorità
nazionale e che le strategie fino ad ora messe in atto, dall’informazione dei
soggetti a rischio alla realizzazione delle linee guida, sono insufficienti. Se il
coinvolgimento delle cure primarie deve essere maggiore e migliore, e se i
miglioramenti devono riguardare anche la collaborazione tra ospedale e
territorio, è necessario fornire ai MMG strumenti professionali che tengano
debitamente conto delle realtà delle cure primarie, sia dal punto di vista
scientifico che organizzativo.
E’ quindi opportuno tenere presente che:
1) la profilassi, la diagnosi e la terapia del TEV sono solo alcune tra le tante
attività del MMG;
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2) le evidenze scientifiche disponibili nell’ambito specifico della medicina
generale sono limitate;
3) il numero dei casi di TEV che coinvolgono annualmente un singolo MMG
è comunque modesto. Se questi aspetti non vengono adeguatamente considerati si vanificano sforzi formativi, anche lodevoli, con risultati frustranti
per chi li ha realizzati e per chi li ha, in qualche modo, “subiti”.
La presente guida spera di poter fornire un supporto che tenga ben presente i punti sopra menzionati. In particolare si è cercato di dare risposta a problemi e situazioni assai poco “coperti” dalle linee-guida basate sull’evidenza scientifica, ma frequenti e importanti nelle cure primarie. Si è anche cercato di fornire strumenti semplici e pratici, da utilizzare, ogni volta che si
presenta il sospetto di TVP o la necessità di valutarne la profilassi. Per questo motivo si sono identificati quattro aspetti tipici della medicina generale,
cui corrispondono i quattro capitoli:
a) le dimensioni e la gravità del problema (tenendo presente l’ottica del singolo MMG);
b) la collaborazione tra ospedale e territorio dopo la dimissione dei Pazienti;
c) l’identificazione dei soggetti non ospedalizzati meritevoli di profilassi del
TEV; d) la gestione del TEV, dal sospetto diagnostico al ritorno al domicilio.
L’impostazione scelta impone però alcuni limiti. Non si è cercato né di scrivere un trattato, né una linea guida, né ci si è posti l’obiettivo di trattare ogni
argomento in modo esaustivo. Alcuni aspetti importanti, come ad esempio
la gestione pratica dei farmaci anticoagulanti, non sono stati volutamente
trattati in quanto è già disponibile, e facilmente reperibile, abbondante
materiale in merito. Analogamente non si sono proposti percorsi diagnostico-terapeutici di riferimento, ma si è preferito mettere a disposizione le
informazioni necessarie per poterli realizzare localmente, sulla base di un
consenso che si sviluppa con il confronto costante tra Colleghi.
Speriamo tuttavia che questa “Guida breve”possa rivelarsi un utile ausilio
al medico di medicina generale che, impegnato quotidianamente su molti
fronti, è sempre più coinvolto anche nella diagnosi e nella terapia delle
trombo embolie venose.
Alessandro Filippi
Marco Moia
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TEV, l’epidemia silente:
dimensioni del problema
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Un problema di rilevanza nazionale
Nel settembre 2008 il Surgeon General, la più alta autorità sanitaria statunitense, ha “chiamato all’azione” tutti gli operatori sanitari (Call to
action) per prevenire la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia
polmonare (EP) (Circulation 2009;119:e480-e482).
Una “Call to action” è un documento basato su solide evidenze
scientifiche che invita ad affrontare su scala nazionale un problema
sanitario di grande rilevanza per la popolazione.
La TVP e l’EP sono oggi considerate un’unica malattia definita tromboembolismo venoso (TEV) a causa dell’altissima prevalenza di embolia
polmonare spesso silente in pazienti con trombosi venosa.
Purtroppo il TEV è ancora troppo poco conosciuto al grande pubblico e
spesso la trombosi non viene percepita come il grave problema che è:
meno di un americano su dieci sa di che cosa si tratta ed è in grado di riconoscerne segni o sintomi e, anche se non abbiamo dati italiani, possiamo
facilmente immaginare che non riflettano una situazione tanto diversa.
Il problema del TEV è ben presente alla classe medica, che ne conosce l’incidenza soprattutto in termini di complicanze nel periodo
post-operatorio, e può constatare ogni giorno che le misure preventive esistono ma sono ancora largamente sottoutilizzate.
Anche la Gran Bretagna ha sollevato tre anni fa un allarme su questo
tema, con un documento prodotto dalla Commissione Sanità della
Camera dei Comuni che stimava i danni del TEV in termini di mortalità e morbilità, e ne valutava per il 2003 l’impatto in termini economici per le cure in circa 640 milioni di sterline (circa il doppio in euro).
La medesima Commissione indicava poi i principali punti critici da
affrontare negli anni successivi:
a) sottoutilizzo della profilassi in ospedale;
b) insufficiente consapevolezza da parte dei medici;
c) eccessivo timore per le emorragie;
d) insufficiente informazione dei pazienti dopo TEV;
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TEV, l’epidemia silente:
dimensioni del problema
e) mancanza di linee guida per la prevenzione nei pazienti con patologia internistica non chirurgica (definiti per brevità “pazienti medici”).
Pur in assenza di documenti ufficiali che delineino la situazione italiana, è evidente che il tema è importante anche nel nostro Paese, e
richiede consapevolezza e impegno adeguati.
La dimensione del problema
Diversi studi hanno affrontato il tema della prevalenza del TEV,
soprattutto nei paesi anglosassoni, rilevando un’incidenza di un caso
per mille abitanti: negli USA oltre 300.000 casi all’anno, con un’incidenza costante negli ultimi anni di 117 casi per 100.000 persone/anno (Circulation 2006;114:e28-e32).
La mortalità, probabilmente sottovalutata, raggiunge il 15% nei tre
mesi successivi alla diagnosi, essendo nel 25% dei casi di EP la
prima (e unica) manifestazione sotto forma di morte improvvisa.
Purtroppo la diagnosi è spesso carente: per ogni caso accertato,
almeno 2-3 casi sono stati misconosciuti. A prescindere dall’esattezza delle cifre, è chiaro che negli Stati Uniti muoiono per TEV più di
100.000 persone l’anno, più di quante ne muoiano per cancro al
seno, incidenti stradali e AIDS messi insieme.
In aggiunta, chi sopravvive a un TEV, nel 40% dei casi avrà un nuovo
episodio nei successivi dieci anni, un terzo svilupperà insufficienza
venosa e molti pazienti saranno costretti a usare per l’intera vita farmaci anticoagulanti orali, con i rischi e le difficoltà connesse e ben
note.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
TEV e medicina generale
Il problema del TEV è stato spesso studiato in relazione alla realtà
ospedaliera, e il coinvolgimento del medico di medicina generale è
stato fino ad oggi insufficiente e marginale. In realtà, i dati disponibili mostrano che gran parte dei casi di TEV si verifica al di fuori dell’ospedale, per ragioni temporali (si manifesta dopo la dimissione) e perché affligge spesso pazienti internistici non ospedalizzati.
A conferma di quanto detto, la già citata Commissione Sanità britannica afferma: «Molti chirurghi e medici non sono consapevoli dell’incidenza del TEV nei pazienti dimessi e, per questo motivo, non utilizzano la tromboprofilassi. Raccomandiamo quindi che, in caso di TVP
in soggetti recentemente dimessi, il fatto venga notificato al chirurgo/medico responsabile del paziente durante il ricovero». (Il problema del TEV dopo la dimissione verrà affrontato nel capitolo sulla collaborazione MMG-ospedale/territorio).
Ma quanti TEV ci sono sul “territorio”? Spencer e coll. (Arch Intern
Med 2007;167:1471-1475) hanno esaminato tutte le diagnosi di TEV
dell’area metropolitana dello Worcester (USA), rilevando un’incidenza
di circa 1,3 casi per mille abitanti/anno. Il 73,7% di questi casi si era
verificato fuori dall’ospedale ipotizzando quindi un’incidenza di TEV
extraospedaliera di circa 0,8 per mille abitanti/anno. E di questi, circa
il 60% si verificava in soggetti che erano stati recentemente ospedalizzati per motivi medici o chirurgici (questo aspetto è ripreso nel
capitolo sulla collaborazione MMG-ospedale/specialista). L’analisi di
un grande database di MMG inglesi (Arch Intern Med 2007;167:935943) ha evidenziato un’incidenza di TEV pari a 0,75 casi per mille
assistiti/anno. Secondo il database della medicina generale italiana,
Health Search (studio inviato per pubblicazione) l’incidenza di TEV,
stabile negli ultimi anni, risulta mediamente di 0,7 casi/mille
assistiti/anno.
I dati statunitensi, inglesi e italiani sono straordinariamente simili tra
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TEV, l’epidemia silente:
dimensioni del problema
loro e ci consentono di stimare che un MMG porrà almeno una diagnosi di TEV ogni 18 mesi se assiste 1000 persone, ogni anno se ne
assiste 1500.
Questo aspetto contribuisce a far percepire il TEV come problema
poco rilevante, e complicare la diffusione dell’allerta che questa patologia richiede.
L’identificazione precoce del TEV richiede almeno il sospetto clinico,
di fronte a sintomi non specifici (dispnea, gonfiore agli arti ecc.), che
si riscontrano con frequenza relativamente elevata, sospetto clinico
che deve poi essere confermato strumentalmente: un MMG con 1000
assistiti porrà un sospetto di TEV due volte l’anno, inviando il paziente ad approfondimento diagnostico, mentre un MMG “massimalista”
lo farà tre volte.
Anche in questo caso, però, il MMG riporterà l’impressione di una
patologia non frequente, soprattutto a fronte dei casi di TEV sospettata e non confermata strumentalmente, rimanendo in tal modo
demotivato a prendere in considerazione questa diagnosi e a richiedere gli accertamenti necessari.
Una corretta prospettiva per interpretare il valore delle cure primarie,
tuttavia, deve essere impostata nel lungo periodo. Un MMG segue i
suoi pazienti per decine di anni, e se facciamo una proiezione dei dati
precedenti, ne risulta che in 20 anni un MMG con 1000 assistiti avrà
13 casi di cui almeno due mortali e un MMG con 1500 assistiti ne
avrà 20 di cui almeno 3 mortali.
In realtà, questa è una previsione ottimistica, perché se il TEV è
misconosciuto o riconosciuto in ritardo, la mortalità è maggiore; inoltre i dati riportati si basano sui casi effettivamente confermati, ma è
probabile che molti siano misconosciuti, o perché si sono spontaneamente risolti senza gravi conseguenze o perché la morte è stata attribuita ad altra causa.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Che cosa fare
È evidente che un piano di miglioramento nella prevenzione, nella
diagnosi e nella terapia del TEV deve partire dall’ospedale, ma il
nostro obiettivo attuale è di valutare quanto potrebbe essere fatto dai
MMG.
Gli indicatori che possono determinare una maggiore efficacia di
intervento dei MMG sono:
1) consapevolezza dei segni e dei sintomi di TEV;
(con una corretta informazione ai pazienti a rischio di TEV e a coloro
che hanno già sofferto un episodio di TEV in passato, rilevando l’importanza di riferirli immediatamente al MMG).
2) identificazione dei pazienti a rischio;
(mediante l’uso degli algoritmi di rischio validati)
3) corretto utilizzo della profilassi antitrombotica secondo le indicazioni delle linee guida.
Questi punti verranno sviluppati nei capitoli di questa pubblicazione,
insieme al ruolo del MMG nella diagnosi e gestione del TEV.
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TEV, l’epidemia silente:
dimensioni del problema
TAKE HOME MESSAGE
➔ Il TEV ha un’incidenza riconosciuta di circa 1,2‰.
E’ probabile che per ogni caso riconosciuto ve
ne siano 1-2 altri misconosciuti.
➔ La mortalità (>15%) è sottovalutata e a volte non
riconosciuta (morte improvvisa da EP).
➔ La prevenzione è possibile ed efficace, ma sottouti-
lizzata.
La prevenzione del TEV è stata definita emergenza
nazionale negli USA e in GB.
➔ La maggior parte dei TEV si verifica fuori dal-
l’ospedale, anche se in molti casi è correlata ad un
precedente ricovero.
➔ Anche se il numero di casi all’anno di TEV è relativa-
mente basso per il singolo MMG, l’impegno globale
delle cure primarie è essenziale per risolvere questo
problema.
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Ruolo del MMG nella
gestione della profilassi
antitrombotica
post-dimissione
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Profilassi tra ospedale e territorio
Il problema della profilassi della TVP e della EP è così rilevante che
recentemente la Camera dei Comuni della Gran Bretagna ha ritenuto
opportuno realizzare un documento ufficiale d’indirizzo (www.parliament.uk/parliamentary_committees/health_committee.cfm) che sottolinea le carenze in questo campo, le rilevanti conseguenze per la
salute della popolazione e i punti critici da affrontare negli anni successivi.
Il primo obiettivo del documento britannico è di migliorare la pratica clinica all’interno dell’ospedale, senza trascurare l’importanza della prosecuzione della profilassi dopo la dimissione, fase questa che coinvolge
in prima linea il MMG, che non può prescindere dalla collaborazione con
l’ospedale e con lo specialista. Non a caso spesso il TEV si manifesta
dopo che il paziente è tornato a casa (BMJ 2007;334:1017-8).
Secondo i dati disponibili in un database amministrativo statunitense,
i casi di TEV registrati nei tre mesi post-dimissioni è superiore a quelle
verificatisi durante il periodo di ricovero, senza differenza da un punto
di vista numerico tra pazienti ospedalizzati per motivi medici o chirurgici e con la massima incidenza entro in primi trenta giorni dalla dimissione (Arch Intern Med 2007;167:1471-1475): figura 1.
Questo fenomeno potrebbe ridimensionarsi migliorando le tecniche
di profilassi intra-ospedaliera; sfortunatamente la progressiva contrazione del numero di giorni di degenza renderà invece ancora più alta
la probabilità di eventi che si verificheranno in pazienti già rientrati sul
territorio.
Prevenire la TVP e la sua complicanza più temibile, l’EP, è possibile e
doveroso: la prevenzione consentirà di realizzare un notevole risparmio non solo in termini di vite umane ma anche di risorse finanziarie,
oggi così volatili e scarse.
Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile affrontare quattro
aspetti:
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Ruolo del MMG nella gestione della
profilassi antitrombotica post-dimissione
- scelta del metodo di profilassi più efficace;
- prescrizione della profilassi per un periodo di tempo adeguato in
funzione del rischio individuale del paziente;
- adeguata informazione e sensibilizzazione del paziente e dei suoi
famigliari sull’importanza della profilassi e sui sintomi precoci di TEV:
- collaborazione fra specialisti e MMG con chiara definizione dei
ruoli.
Figura 1 Percentuale di comparsa di TVP in pazienti “medici” e “chirurgici”
in relazione ai giorni dalla dimissione ospedaliera.
(Modificato da Arch Intern Med 2007;167:1471-1475)
70%
60%
50%
40%
medici
30%
chirurgici
20%
10%
0%
30<
30-59
60-90
Quale profilassi
La profilassi viene impostata durante il ricovero in funzione del profilo di
rischio individuale del paziente, a opera del medico specialista e con
poca interfaccia con il MMG; notevoli progressi sono stati fatti negli ultimi anni, soprattutto per i pazienti ricoverati in chirurgia e in ortopedia.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
I pazienti ricoverati in reparti di medicina non hanno fino ad oggi ricevuto la medesima attenzione, forse perché le patologie che affliggono questi pazienti sono complesse, e richiedono terapie farmacologiche facilmente interferenti con l’assetto dell’emostasi, con conseguente aumento del rischio emorragico, forse perché l’età media dei
ricoverati è elevata, e il rischio emorragico viene tenuto in conto più
del rischio tromboembolico, forse anche per la minor forza delle linee
guida disponibili.
Una volta rientrato al proprio domicilio, il paziente presenta alcuni
interrogativi al MMG:
- come comportarsi con un paziente di tipo medico dimesso senza
profilassi nel quale invece il MMG ne ravvisi l’utilità?
- la profilassi prescritta durante il ricovero ai pazienti ortopedici è
effettivamente necessaria?
- i farmaci antitrombotici prescritti durante la degenza possono essere sostituiti con altri ugualmente efficaci ma meno costosi?
La risposta a questi quesiti non è semplice, anche perchè non sempre la relazione di dimissione segnala i criteri secondo i quali la profilassi è stata scelta e prescritta, e lo specialista non è sempre facilmente raggiungibile.
Si cercherà quindi di fornire alcuni elementi che possano essere utili
al MMG per orientarsi, sia pur con i limiti imposti dalla mancanza di
evidenze solide e condivise.
Per quanto riguarda i pazienti “medici” ospedalizzati, le linee guida
dell’American College of Chest Physician (Chest 2008;133:381S-453)
sostengono la necessità di valutare ogni singolo paziente per il
rischio tromboembolico individuale.
Sono considerati ad alto rischio, con indicazione all’uso di profilassi
con eparine a basso peso molecolare (EBPM) o fondaparinux, i
pazienti acuti ospedalizzati per scompenso cardiaco o per insufficienza respiratoria, e i pazienti con prevedibile allettamento prolun22
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Ruolo del MMG nella gestione della
profilassi antitrombotica post-dimissione
gato e che presentino plurimi fattori di rischio per TVP (cancro attivo,
precedenti trombosi venose e/o embolia, sepsi, deficit neurologico
acuto con deficit motorio, patologia infiammatoria intestinale).
Le linee guida disponibili riguardano esplicitamente i pazienti ricoverati: ma che fare dopo la dimissione qualora presentino le medesime
caratteristiche di alto rischio? E come comportarsi nel caso di soggetti di età molto avanzata, con prognosi infausta per concomitanti
patologie? O che presentino patologie gestibili a domicilio, come la
broncopolmonite?
In mancanza di studi specificamente mirati a risolvere questi interrogativi, sembra ragionevole considerare che, a parità di condizione clinica, il rischio di TEV e, quindi, l’utilità di una profilassi, siano paragonabili a quelli rilevati nel paziente ospedalizzato.
Per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione, un aiuto può
venire dall’analisi del grado di dipendenza valutato secondo la scala
ADLs (Attività della Vita Quotidiana): un punteggio elevato, in aggiunta
a difficoltà nel deambulare in modo indipendente, si associa a un
rischio maggiore di TVP (J Am Geriatr Soc 2008 Feb;56:224-30).
Un altro fronte aperto è rappresentato dal paziente che assume
antiaggreganti piastrinici, generalmente per patologia coronarica:
questi pazienti potrebbero trarre beneficio da una terapia concomitante con eparine a basso peso molecolare, anche in aggiunta alla
compressione elastica degli arti inferiori (Circulation 2004;110[suppl
IV]:IV-13-IV-19); le linee guida ACCP sottolineano che la sola aspirina
non è sufficiente per la prevenzione del TEV.
Per quanto riguarda i pazienti ortopedici, accade assai frequentemente che venga prescritta profilassi del TEV per patologie minori,
quali traumi, piccole fratture, distorsioni: l’uso di farmaci antitrombotici, seppure con alto grado di sicurezza, non è tuttavia scevro da
rischio emorragico, e va pertanto riservato ai casi di effettiva necessità in termini di rischio/beneficio.
In assenza di studi clinici specifici per questi casi, si può far ricorso
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
a quanto indicato da Cochrane Collaboration (Cochrane Database of
Systematic Reviews 2008, Issue 4), che suggerisce la profilassi con
EBPM in caso di immobilizzazione dell’arto inferiore, anche quando
questa riguardi la parte sotto il ginocchio.
L’uso profilattico di EBPM per una settimana si è rivelato utile e superiore alle sole calze elastiche nel caso di artroscopia del ginocchio
(Ann Intern Med 2008;149:73-82): le linee guida ACCP non raccomandano però la profilassi in pazienti sottoposti ad artroscopia in
assenza di fattori di rischio aggiuntivi per TVP.
La profilassi non è raccomandata per i soli traumi isolati al di sotto
del ginocchio.
In caso di interventi chirurgici la profilassi è quasi la regola. Secondo
le linee guida ACCP ne sono esentati solo i soggetti privi di fattori di
rischio aggiuntivo per TVP sottoposti a:
- chirurgia generale minore;
- chirurgia vascolare;
- procedure ginecologiche minori o interamente laparoscopiche;
- procedure urologiche minori o completamente laparoscopiche;
- chirurgia della colonna vertebrale.
Il problema della sostituzione di un farmaco più costoso con uno meno
costoso, ma di pari efficacia, è frequente in medicina generale e il controllo delle ASL in questo campo è sempre più stringente; il fatto che la
prescrizione sia stata posta in ospedale non solleva minimamente il
MMG dalle sue responsabilità personali, che rimangono esclusivamente a suo carico per qualsiasi richiesta o ricetta firmi.
In generale è sempre poco opportuno modificare una terapia già in atto
e ben tollerata; d’altra parte, soprattutto per farmaci che vengono prescritti per periodi di tempo lunghi, differenze apparentemente irrilevanti
nei costi generano invece un importante impatto sul SSN.
In assenza di ragioni evidenti che facciano propendere per una molecola in sostituzione di un’altra, e a parità d’indicazione, sembrerebbe
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Ruolo del MMG nella gestione della
profilassi antitrombotica post-dimissione
lecito al MMG sostituire il farmaco prescritto dallo specialista con il
consenso del paziente, soprattutto se questa possibilità è stata evidenziata nella lettera di dimissione, anche perché spesso i prezzi di
acquisto del farmaco in ospedale sono molto differenti da quelli della
vendita in farmacia.
Non va trascurato, nel caso delle eparine a basso peso molecolare,
che si tratta di molecole non identiche, con diverse caratteristiche di
farmacodinamica e farmacocinetica, che potrebbero attivare un meccanismo di reazione immunitaria con importanti ricadute sulla salute
del paziente (piastrinopenia da eparina).
È atteso che questi problemi diventino di gestione quotidiana, e che
vengano discussi e risolti nelle sedi opportune.
Durata della profilassi primaria e secondaria
(terapia anticoagulante)
Dopo un episodio di TEV è indicato l’utilizzo di farmaci antitrombotici a scopo profilattico: ma per quanto tempo? La decisione in merito
deve essere presa dopo una valutazione della presenza o meno di
fattori di rischio reversibili. Sempre le già citate linee guida di ACCP
(Chest, 2008;133:381S-453) distinguono tre situazioni:
a) TVP/EP secondaria a fattori di rischio reversibili;
b) TVP/EP apparentemente idiopatiche, in assenza di fattori di rischio
individuabili;
c) recidiva di TVP/EP o persistenza di fattori di rischio non reversibili.
Dopo un episodio di TEV, il tempo minimo di terapia con anticoagulanti orali dovrebbe essere di almeno 90 giorni, in assenza di fattori di
rischio persistenti.
In caso di evento di natura idiopatica, dopo tre mesi di terapia anticoagulante orale è auspicabile una rivalutazione clinica e, in casi
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
selezionati, e a basso rischio emorragico, la profilassi può essere
protratta anche a tempo indefinito.
In caso di recidiva o di presenza di fattori di rischio non modificabili,
è indicato utilizzo di terapia anticoagulante orale a tempo indefinito.
In caso di TEV in pazienti con cancro attivo è preferibile utilizzare
EBPM, rispetto all’anticoagulante orale, per almeno sei mesi: è indicato protrarre la terapia oltre questo periodo in caso di malattia attiva persistente.
Le TVP degli arti superiori devono essere trattate come quelle degli
arti inferiori.
Una sintesi sulla durata della profilassi dopo TVP/EP è riportata nella
tabella 1.
Tabella 1 Durata della Terapia anticoagulante orale (TAO) dopo un episodio tromboembolico
(Modificata da linee guida ACCP (Chest 2008; 133:381S-453)
TAO protratta per 3-6 mesi in caso di:
a) presenza di fattori di rischio reversibili
b) primo episodio di TVP idiopatica
La TAO va prolungata anche oltre questo periodo nel caso di fattore di
rischio persistente o, se “idiopatica”, in presenza di D-dimero elevato o
persistenza di trombosi all’ecografia.
TAO: durata da stabilirsi caso per caso (centro specialistico)
in presenza di primo episodio di TVP associata a trombofilia
TAO a tempo indeterminato in caso di TVP recidivanti
Nei pazienti che sviluppano TEV in assenza di fattori di rischio identificabili sarà necessario rivalutare il rischio trombotico per decidere
se proseguire o meno la profilassi, anche con metodi diagnostici non
invasivi, quali la CUS (ecografia per compressione) e il dosaggio del
D-dimero. Uno studio recente (Ann Intern Med 2009;150:577-585) ha
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confermato la riduzione delle recidive di TVP in pazienti nei quali la
terapia era stata protratta oltre i tre mesi iniziali in concomitanza a
non completa ricanalizzazione della vena colpita: questa strategia ha
ridotto le recidive di TVP (OR 0,64 IC 95% 0,39-0,99), senza comportare un aumento degli episodi emorragici.
Il monitoraggio del D-dimero dopo sospensione dell’anticoagulante
al termine dei tre mesi “obbligatori” di profilassi, ha consentito di individuare un gruppo di pazienti ad alto rischio di recidiva (8,9% all’anno se D-dimero elevato) e uno a basso rischio (3,5% all’anno se Ddimero normale) (Ann Intern Med 2008;149:481-490). Una recente
revisione della letteratura sull’argomento (British Journal of Haematology 2009;144, 832-837) sintetizza così le indicazioni emerse dagli
studi disponibili: i pazienti con persistenza di trombosi all’ecografia o
con positività del D-dimero potrebbero beneficiare di un’estensione
del periodo di terapia, mentre quelli in cui questi markers si normalizzano (circa il 30% dei casi) possono interrompere la profilassi dopo
alcuni mesi.
È importante sottolineare che, a prescindere dalla strategia utilizzata
per definire la durata della terapia anticoagulante dopo un episodio
di TVP, il rischio di recidiva è maggiore nei primi mesi: il paziente deve
essere informato sui sintomi sospetti per recidiva, soprattutto alla
sospensione della terapia.
Secondo le indicazioni dell’ACCP, dell’American College of Physicians
e dell’American Accademy of Family Physicians (Ann Intern Med
2007;146:204-210), le calze elastiche sono raccomandate per prevenire la SPT iniziando entro un mese dalla diagnosi di TVP prossimale, e
proseguendo per un minimo di un anno.
Il tipo di profilassi antitrombotica e la sua durata sono determinanti
ma devono accompagnarsi a una forte e adeguata motivazione del
paziente a seguire le indicazioni, argomento che verrà trattato nel
capitolo che segue; è comunque compito del MMG verificare che i
farmaci vengano utilizzati regolarmente e correttamente.
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in medicina generale
Tabella 2 Durata della profilassi post dimissione in assenza di TEV
(Modificata da linee guida ACCP (Chest 2008; 133:381S-453)
Chirurgia generale maggiore
Fino alla dimissione (proseguire circa
4 settimane in pazienti selezionati ad
alto rischio)
Chirurgia ginecologica maggiore
Fino a ripresa deambulazione
(proseguire circa 4 settimane in
pazienti selezionati ad alto rischio)
Protesi anca e ginocchio
Circa 5 settimane
Interventi per frattura anca/femore 5 settimane
Pazienti medici immobilizzati
a rischio
Fino a ripresa deambulazione
(proseguire circa 4 settimane in
pazienti selezionati ad alto rischio)
Educazione/informazione del paziente
e dei famigliari
Il coinvolgimento attivo del paziente e dei suoi famigliari è fondamentale e si basa sulla corretta educazione e informazione. Cardini di
questo aspetto sono:
- il paziente deve capire che cosa sono embolia e trombosi;
- il paziente e i famigliari devono comprendere i rischi e i benefici correlati alla profilasi antitrombotica;
- al paziente e ai suoi famigliari devono essere fornite, per iscritto e
verbalmente, le indicazioni e le spiegazioni necessarie a una conduzione ottimale della terapia antitrombotica farmacologia e non;
- se sono necessari controlli periodici, questi devono essere spiegati e motivati;
- il paziente deve essere informato sui sintomi che potrebbero segna28
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profilassi antitrombotica post-dimissione
lare una recidiva di trombosi e/o di embolia e su come muoversi e
a chi rivolgersi;
- il paziente deve essere informato sulla possibilità di effetti avversi dei farmaci e sulle misure da prendere (avvisare il medico, chiamare il 118 ecc.).
il paziente e i suoi famigliari hanno il diritto di essere informati con linguaggio chiaro e comprensibile su tutti questi aspetti: è compito del
MMG accertarsi che questo avvenga.
Materiale informativo e illustrativo potrebbe servire allo scopo, ma
sempre in aggiunta alla spiegazione verbale, che risulta fondamentale per il paziente al fine di ottenere il massimo della collaborazione e
i migliori risultati per il paziente stesso.
Alcune informazioni semplici ma fondamentali (quando chiamare il
medico, a quale numero telefonico rintracciarlo, cosa fare quando è
in servizio la guardia medica ecc.) possono risolvere le incertezze del
paziente e rassicurarlo, ottenendo lo scopo di curarlo meglio.
In caso di soggetti anziani, con problemi di comprensione o non
autosufficienti, è necessario identificare un care-giver di riferimento
e, se non italiano, superare con pazienza le eventuali difficoltà di
comprensione linguistica: anche in questi casi un opuscolo potrebbe
essere d’aiuto, soprattutto se semplice e opportunamente illustrato.
Rapporto MMG-ospedale/specialista
La collaborazione tra MMG e specialista inizia con la lettera di dimissione, che dovrebbe contenere tutte le informazioni necessarie e, conseguentemente, essere il punto di riferimento per la definizione degli
obiettivi di salute, di cosa fare per conseguirli e di chi deve fare che
cosa per raggiungerli.
Nel caso della profilassi del TEV i dati necessari sono:
- il livello di rischio;
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in medicina generale
- i determinanti del rischio (reversibili e non reversibili);
- la terapia/profilassi consigliata (nel caso in cui la profilassi non venga
prescritta in pazienti ad elevato rischio, la scelta va motivata);
- la durata della terapia stessa;
- la possibilità di eventuale sostituzione di una molecola con un’altra;
- l’eventuale necessità di controlli periodici.
È chiaro che inserire tutte queste informazioni richiede tempo, elemento prezioso e scarso per qualsiasi medico. Le lettere di dimissione pre-impostate possono facilitare questo compito e ridurre il
rischio di errore o dimenticanza (a tutela del medico stesso oltre che,
evidentemente, del paziente).
Se tutti questi dati sono disponibili, il compito del MMG diventa semplice. È tuttavia possibile che alcuni dati importanti siano stati omessi: ad esempio, in caso di TVP/EP “idiopatica”, potrebbe non essere
stata eseguita (o semplicemente non essere stata riportata) una valutazione laboratoristica/specialistica in merito a possibile trombofilia.
È compito dello specialista convocare il paziente per le opportune
spiegazioni, e fornire copia della relazione per il MMG.
Può accadere che l’indicazione all’utilizzo del farmaco anticoagulante non rientri nelle indicazioni “ufficiali”: ad esempio il monitoraggio
del PT e del PTT in caso di utilizzo di EBPM è totalmente incongruo,
mentre è indicato richiedere un controllo dell’emocromo in due prelievi durante i primi giorni di utilizzo delle EBPM, a causa del rischio
di HIT (trombocitopenia da eparina).
Dopo un episodio di TVP i controlli ecografici sono utili, con possibili rare eccezioni, solo nei pazienti in cui si debba decidere se prolungare o meno la TAO; per questo motivo l’intervallo tra un esame e l’altro è solitamente di alcuni mesi.
La discrepanza tra le effettive indicazioni delle linee guida e l’utilizzo
degli esami di controllo potrebbe creare una barriera nella collaborazione fra lo specialista e il MMG e ricadere sulla qualità delle cure
prestate al paziente.
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Ruolo del MMG nella gestione della
profilassi antitrombotica post-dimissione
Questi problemi potrebbero essere risolti stendendo percorsi diagnostico-terapeutici (PDT) da concordarsi localmente tra ospedale/specialisti e MMG.
La terapia anticoagulante orale con dicumarolici (TAO) può essere
gestita dal MMG, oppure da un centro specialistico referenziato, o da
entrambi, in funzione delle caratteristiche del territorio e della sua
organizzazione, oltre che della disponibilità dei medici e della loro
competenza.
In assenza di standard minimi di competenza validi per tutti i MMG,
è sovente impossibile per lo specialista ospedaliero sapere se il
medico curante voglia/possa prendere in carico il paziente in TAO: è
tuttavia sempre possibile stabilire un contatto telefonico pre-dimissione o una semplice indicazione riportata nella lettera di dimissioni,
che riporti la disponibilità dell’ospedale a seguire il paziente in TAO
qualora il MMG lo desideri.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
TAKE HOME MESSAGE
➔ E’ necessario identificare i pazienti a rischio di TEV
post-dimissione, informarli su segni e sintomi di
TVP/ EP e su cosa fare nel caso si manifestino.
➔ In assenza di indicazioni in merito alla profilassi
post dimissione in pazienti chirurgici a rischio, il
MMG si deve far carico del problema e riferirsi alle
indicazioni delle linee guida.
➔ Per i pazienti non chirurgici che necessitano alletta-
mento dopo la dimissione, il MMG deve valutare il
rischio di TEV e, pur in assenza di linee guida specifiche, istituire adeguata profilassi in analogia a quanto dovrebbe essere fatto se il paziente fosse rimasto
ricoverato.
➔ Dopo un TEV, la profilassi delle recidive è di com-
petenza del MMG che ne dovrà stabilire la durata in
base alle indicazioni delle linee guida.
➔ Dopo un TEV il MMG deve far riferimento allo spe-
cialista per stabilire la durata della terapia in caso
siano presenti patologie della coagulazione, nel
caso vi siano dubbi sulla scomparsa/pericolosità dei
fattori di rischio per TEV e in caso di gravidanza.
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Identificazione
dei soggetti a rischio
trombotico e
tromboprofilassi
in medicina generale
Alessandro Filippi
Marco Moia
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Il MMG e la profilassi
Come si è visto nei capitoli precedenti, la profilassi primaria del TEV è
sotto-utilizzata nei pazienti medici e chirurgici ospedalizzati; più difficile è valutare questo aspetto nell’ambito delle cure primarie, sia per l’assenza di linee guida di riferimento sia per la scarsità di informazioni sull’utilizzo della prevenzione del TEV nella pratica corrente dei medici di
famiglia. In riferimento alla medicina generale e alla sua organizzazione, possiamo distinguere sostanzialmente due situazioni in cui il MMG
deve valutare il rischio di TEV e la necessità di profilassi:
- pazienti dimessi da ospedale o da pronto soccorso, visitati da specialisti dentro o fuori dall’ospedale);
- pazienti valutati dal solo MMG.
Il primo caso è stato trattato nel capitolo precedente, dato che i soggetti dimessi dal pronto soccorso o reinviati al curante dallo specialista
sono assimilabili a quelli dimessi dall’ospedale. Per la maggior parte di
questi soggetti è possibile basarsi su linee guida solide e condivise. Il
problema è molto diverso per i pazienti nell’ambito delle sole cure primarie, dato che non vi sono per nulla (o quasi) studi svolti in medicina
generale. Affrontiamo prima gli aspetti relativamente più semplici.
Pazienti con trauma
Non tutti i casi di piccola traumatologia sono inviati all’ortopedico/traumatologo, sia per la “semplicità” del caso (ad esempio distorsione
tibio-tarsica, senza necessità di RX o con RX negativo), sia per l’oggettiva difficoltà di trasferire il paziente a fronte di scarsi vantaggi offerti da
esami e/o consulenze (ad esempio trauma del bacino in paziente
demente comunque allettato, possibile cedimento vertebrale in soggetto molto anziano e fragile ecc.).
In caso di prolungata immobilità dell’arto inferiore, anche sotto il ginocchio, è indicata la terapia profilattica con EBPM (Chest 2008;133:381S34
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Identificazione dei soggetti a rischio
trombotico e tromboprofilassi
in medicina generale
453). In caso di prolungato riposo a letto, il problema è rappresentato
dall’allettamento in sé, per cui si può considerare il paziente come
“medico” e utilizzare le considerazioni del prossimo paragrafo.
Pazienti “medici” allettati
Le linee guida raccomandano che i pazienti “medici” ricoverati per
scompenso cardiaco o severa patologia respiratoria o che sono allettati e presentano uno o più fattori di rischio per TEV (cancro attivo,
precedenti TEV, sepsi, malattia neurologica acuta, malattia infiammatoria intestinale cronica) ricevano profilassi con EBPM o fondaparinux. In caso d’intolleranza ai farmaci si raccomanda la tromboprofilassi con mezzi meccanici.
Quanto queste raccomandazioni possono estendersi ai pazienti non
ospedalizzati? Come già accennato nel capitolo precedente, l’assenza di studi condotti nell’ambito della medicina generale non autorizza un atteggiamento attendista, soprattutto quando c’è la concreta
possibilità che questo tipo di studi non venga mai effettuato per motivi economici e organizzativi. La presenza di pazienti allettati per
periodi di tempo più o meno lunghi, con patologie uguali a quelle dei
pazienti ospedalizzati citati dalle linee guida, deve indurre alla valutazione del rischio di TEV e alla decisione “dichiarata e consapevole”
di utilizzare o meno la profilassi.
È possibile estendere i risultati degli studi ospedalieri ai pazienti curati al domicilio? Un punto di riferimento possono essere i criteri riportati su JAMA (JAMA 1998;279:545-549) su come applicare i risultati
degli studi clinici ai singoli pazienti.
Le domande a cui rispondere sono riportate nella tabella 3. La risposta ai primi due quesiti, sia pur con alcuni limiti, è sostanzialmente
negativa. Per quanto riguarda la compliance, la semplicità della terapia non induce a ipotizzare alcuna rilevante differenza di aderenza; analogamente non vi sono motivi per ritenere che vi siano differenze nell’in35
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Tabella 3 Principali domande per valutare la trasferibilità dei risultati
degli studi clinici ai singoli pazienti
(Modificata da JAMA 1998;279:545-549)
1 Vi sono differenze patofisiologiche nelle condizioni cliniche in questione che possono determinare differente risposta ai farmaci o differenti
livelli di rischio?
2 Vi sono differenze tra le caratteristiche dei pazienti che possono
determinare differente risposta ai farmaci o differenti livelli di rischio?
3 Vi sono significative differenze di compliance che possono modificare la risposta al trattamento?
4 Vi possono essere comorbidità che possono sostanzialmente modificare la risposta ai farmaci o i livelli di rischio?
5 Vi possono essere rischi sostanzialmente diversi per quanto riguarda
gli effetti indesiderati dei farmaci?
cidenza di effetti collaterali. Più difficile rispondere in modo esauriente
alla quarta domanda, a causa delle numerose comorbidità possibili e
delle loro combinazioni; in generale, però, anche i pazienti anziani ospedalizzati presentano numerose patologie, per cui è improbabile che vi
siano sostanziali differenze. In sintesi, non vi sono importanti motivi per
non estendere i risultati degli studi ospedalieri ai pazienti della medicina
generale che presentano analoghe caratteristiche cliniche.
Queste conclusioni sono rafforzate dall’osservazione che i fattori di
rischio per TEV presenti in ambiente ospedaliero sono altamente prevalenti anche nell’ambito della medicina generale italiana, come rilevato dai dati del database Health Search (dati inviati per pubblicazione).
Una volta stabilito che possiamo ragionevolmente utilizzare le conclusioni degli studi esistenti e, quindi, utilizzare le raccomandazioni delle
linee guida, qual è la strategia migliore per applicarle alla pratica quotidiana? Si presentano subito alcuni problemi: dobbiamo considerare
tutti i soggetti permanentemente o temporaneamente allettati con
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Identificazione dei soggetti a rischio
trombotico e tromboprofilassi
in medicina generale
almeno un fattore di rischio? L’età avanzata in un soggetto che non
può lasciare il letto può essere considerata un fattore di rischio? In
caso di allettamento temporaneo, quanto deve essere lunga la permanenza a letto per costituire fattore di rischio per TEV? Una possibile
strategia può essere quella proposta da Francis e coll. (NEJM
2007;356:1438-1444), riproposta con piccole modifiche nella figura 2.
Un aspetto particolare, non affrontato dagli studi ospedalieri, è la durata della profilassi nei soggetti permanentemente allettati.
Si tratta di un problema non irrilevante, dato che è ben diverso, da ogni
punto di vista, programmare un trattamento “sine die” rispetto a un
trattamento di giorni o settimane. Purtroppo non è possibile acconten-
Figura 2 Possibile flow-chart in caso di allettamento per tempi medio-brevi
(Modificata da NEJM 2007;356:1438-1444)
Previsto allettamento da 4 giorni ad alcune settimane
Età >40 e presenza
di fattori di rischio
per TEV
- Scompenso
cardiaco
- Grave patologia
polmonare
- Cancro attivo
- Sepsi
- Malattia
infiammatoria
cronica intestinale
- Precedenti di TEV
- Malattia
neurologica acuta
Profilassi
farmacologica o, se
controindicata, non
farmacologica.
Le due modalità
possono essere
associate in caso
di rischio
particolarmente
elevato
Età <40 anni
o assenza di
fattori di
rischio per
TEV
Nessuna
profilassi
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
tarsi delle risposte alle domande della tabella 3, dato che la durata dell’allettamento e della terapia è di grande importanza e differisce in
modo molto rilevante, rendendo non paragonabili gli studi ospedalieri
alla realtà territoriale (o delle lungo degenze/case di riposo).
Le cause di allettamento permanente sono, solitamente, gravi patologie neurologiche (ictus, demenza, patologie cronico-degenerative
del sistema nervoso centrale) e/o neoplasie avanzate.
Può essere quindi utile distinguere un allettamento probabilmente temporaneo (giorni/settimane) da quello prolungato/permanente (mesi/anni).
Nel primo caso è opportuno, in presenza delle situazioni indicate dalle
linee guida, utilizzare sempre la profilassi, a meno di controindicazioni
o di motivazioni specifiche, che dovrebbero essere sempre riportate
nella documentazione clinica del paziente, anche per motivi medicolegali (vedi figura 2).
Nel secondo caso non sono possibili “automatismi” e, in assenza di studi
di lunga durata, sia pur in ambiente ospedaliero, è necessaria una decisione che si basi volta per volta su elementi non ben codificati e studiati.
Una possibile flow-chart è riportata nella figura 3; questa proposta
rispecchia le opinioni degli autori, ma non è supportata da documenti di consenso, peraltro mai realizzato su questi temi specifici.
Pazienti “medici” con grave ipomobilità
Sfortunatamente la realtà della medicina generale è estremamente
variegata e ci presenta situazioni che esulano anche dalla complessa
tipologia già sopra affrontata. Che fare nei pazienti non allettati, ma
che passano la quasi totalità del loro tempo seduti in poltrona o in
sedia a rotelle, capaci di fare solo pochi passi, accompagnati, per
andare in bagno o sedersi a tavola? Anche in situazioni come queste
non possiamo attendere i risultati di studi che, verosimilmente, non
verranno mai effettuati. Un’importante ipo-mobilità deve far pensare al
rischio di TEV. In questo caso non ci sono alternative a una valutazio38
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Identificazione dei soggetti a rischio
trombotico e tromboprofilassi
in medicina generale
Figura 3 Possibile flow-chart in caso di allettamento molto prolungato
(Contributo originale degli autori)
Previsto allettamento di mesi/anni
Presenza di fattori
di rischio per TEV
- Grave scompenso
cardiaco
- Grave patologia
polmonare
- Cancro attivo
- Malattia
infiammatoria
cronica intestinale
- Precedenti di TEV
- Frequenti episodi
infettivi
Profilassi
farmacologica o, se
controindicata, non
farmacologica.
Le due modalità
possono essere
associate in caso
di rischio
particolarmente
elevato
Assenza
di fattori
di rischio
per TEV
Profilassi non
farmacologica
ne individuale basata sui soli elementi clinici. Un aiuto può venire dagli
studi osservazionali effettuati nell’ambito della medicina generale. Il
“peso” dei principali fattori di rischio nei confronti della comparsa di
EP e di TEV è riportata nella tabella 4.
Utilizzando queste informazioni è possibile valutare, caso per caso,
se il paziente è ad alto rischio per TEV e se può essere opportuno o
meno utilizzare la profilassi.
Viaggi aerei di lunga durata
Non è una circostanza eccezionale che i nostri pazienti facciano viaggi in aereo e ci chiedano consiglio. Per chi prevede un volo della
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Tabella 4 Odd ratio (OR) e intervallo di confidenza (IC) per embolia polmonare (EP) e trombosi venosa profonda (TVP) negli assistiti inseriti in un
database della medicina generale inglese.
(Modificata da Arch Intern Med 2007;167:935-943).
Fattore di rischio
TVP
OR e IC 95%
EP
OR e IC 95%
Totale (TVP+EP)
OR e IC 95%
Sovrappeso
1.36 (1.20-1.52)
1.16 (1.02-1.31)
1.27 (1.16-1.40)
Obesità
2.33 (2.03-2.66)
1.81 (1.56-2.09)
2.11 (1.88-2.36)
Scompenso
cardiaco
1.35 (1.07-1.69)
3.03 (2.50-3.68)
2.08 (1.76-2.48)
Malattia
cerebrovascolare
1.10 (0.91-1.33)
1.54 (1.28-1.86)
1.32 (1.13-1.54
Fibrillazione atriale
1.46 (1.08-1.96)
1.94 (1.47-2.57)
1.69 (1.34-2.13)
Asma
1.15 (1.00-1.31)
1.32 (1.15-1.53)
1.22 (1.09-1.37)
BPCO
1.26 (1.05-1.53)
1.81 (1.52-2.17)
1.54 (1.32-1.79)
Cancro
3.26 (2.80-3.79)
3.17 (2.70-3.71)
3.24 (2.84-3.69)
Varici arti inferiori
2.02 (1.63-2.50)
1.50 (1.18-1.91)
1.78 (1.48-2.15)
FANS 1-30 giorni
3.44 (2.81-4.22)
2.15 (1.69-2.73)
2.82 (2.35-3.39)
FANS 31-365 giorni
1.96 (1.57-2.44)
1.49 (1.17-1.91)
1.68 (1.39-2.04)
Cortisonici 1-30 gg
3.39 (2.14-5.37)
6.24 (4.10-9.50)
4.68 (3.17-6.92)
Cortisonici 31-365 gg
2.71 (1.90-3.86)
4.57 (3.25-6.43)
3.44 (2.53-4.69)
durata superiore alle otto ore e non presenta fattori di rischio per TEV,
le linee guida ACCP raccomandano di non indossare abiti stretti sulle
gambe e sulla vita, mantenere una buona idratazione e utilizzare frequentemente la muscolatura del polpaccio. Se sono presenti fattori
di rischio per TEV, oltre alle misure generali già riportate, è possibile
utilizzare calze a compressione graduata al di sotto del ginocchio con
pressione di 15-30 mmHg alla caviglia o una singola dose profilattica di EBPM. L’aspirina non è raccomandata a scopo profilattico.
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Identificazione dei soggetti a rischio
trombotico e tromboprofilassi
in medicina generale
Valutare sempre la funzionalità renale
In considerazione delle patologie che costituiscono elemento di alto
rischio e dell’età media elevata dei soggetti ad alto rischio per TEV, è
necessario ricordare che la funzionalità renale deve essere sempre
valutata e considerata nella scelta dei farmaci antitrombotici, soprattutto in caso di terapia prolungata. La sola determinazione della creatininemia non è sufficiente ed è sempre opportuno stimare la filtrazione glomerulare con le apposite formule di calcolo (Cockcroft & Gault;
MDRD), spesso già inserite nel software di studio o, comunque, facilmente reperibili su internet.
Tutela medico-legale
Come si è evidenziato nei capitoli precedenti, l’utilizzo di profilassi
per il TEV in medicina generale non è direttamente supportata da
linee guida. Oltre a ciò, l’uso di farmaci profilattici nel lungo termine
in pazienti allettati o in soggetti con grave ipomobilità e fattori di
rischio per TEV, non è sostenuta da evidenze codificate.
Come per tutti i farmaci, anche per quelli che possono prevenire il
TEV, la prescrizione è possibile in base all’indicazione in scheda tecnica. È evidente che per molte delle situazioni sopra riportate non vi
è alcuna indicazione ufficiale.
In questi casi si configura la possibilità di prescrizione al di fuori delle
indicazioni della scheda tecnica (off label), che richiede, oltre a un’accurata valutazione clinica alla luce delle evidenze scientifiche disponibili, anche il consenso informato del paziente. Idealmente bisognerebbe raccogliere il consenso scritto, soprattutto nei casi che più si
discostano dalla tipologia clinica considerata dalle linee guida.
In ogni caso è opportuno registrare nella scheda del paziente le motivazioni della scelta di attuare la profilassi e il fatto che vantaggi/svan41
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
taggi sono stati discussi con il paziente che ha acconsentito al trattamento. Ovviamente dovrebbe anche essere registrata e motivata la
decisione di non attuare la profilassi, tutela importante nel caso si
verifichi un TEV.
Organizzazione del lavoro
Non sono disponibili informazioni sul numero di soggetti ad alto
rischio per TEV in medicina generale e su come il problema della profilassi venga affrontato dai loro medici curanti. Pur in assenza di dati
precisi, è evidente che si tratta di una situazione, sia pur non frequentissima, comunque ricorrente nella pratica del MMG.
Per affrontarla in modo razionale è opportuno, come sempre di fronte
a problematiche a bassa incidenza:
a) riferirsi a principi semplici, “semiautomatici” per non dimenticarsi
del problema;
b) disporre di materiale di riferimento e approfondimento facilmente
reperibile in caso di necessità;
c) rivedere periodicamente la propria casistica e la propria pratica clinica.
In termini operativi, la sintesi può essere questa:
- ricordare il problema del TEV in caso di allettamento, anche temporaneo, o di grave ipomobilità;
- archiviare in formato elettronico il materiale che può servire per
gestire il problema (linee guida, manuali, materiale informativo per il
paziente ecc.), facilmente reperibili in internet;
- ripensare a tutti i pazienti allettati/ipomobili e al problema dell’eventuale profilassi del TEV (sono pochi, si ricordano tutti a mente).
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Identificazione dei soggetti a rischio
trombotico e tromboprofilassi
in medicina generale
Si riporta qui un esempio di materiale informativo che può essere consegnato al paziente al momento di iniziare la terapia con eparina.
AVVISARE SUBITO IL MEDICO
(O, SE NECESSARIO, IL 118)
IN CASO DI
Comparsa di gonfiore a un piede o a una gamba
Mancanza improvvisa di respiro o mancanza di forze
COME SOMMINISTRARE EPARINA PER VIA SOTTOCUTANEA
La zona dove iniettare il farmaco è l’addome, escludendo la parte
intorno all’ombelico (rimanere distanti 2-3 dita dall’ombelico).
Alternare il punto dove si effettua l’iniezione. Evitare zone con cicatrici, arrossamenti, lesioni ecc.
Mantenere costante l’ora della somministrazione (una o due volte al dì
secondo l’indicazione del medico).
Non eliminare la bolla d’aria contenuta nella siringa e non aspirare
dopo aver fatto penetrare l’ago nel sottocute.
Far formare una piega alla cute con l’indice e il pollice di una mano in
una zona precedentemente disinfettata e, tenendo la siringa con l’altra mano, piantare verticalmente l’ago nella plica (farlo penetrare totalmente: non fa alcun male, perché è sottilissimo). Mantenere la piega
della pelle per tutto il periodo dell’iniezione.
Iniettare tutto il liquido, estrarre l’ago e comprimere delicatamente con
cotone e disinfettante, senza massaggiare.
La comparsa di un “livido” in sede di iniezione è abbastanza comune,
non è pericolosa e non deve far sospendere la terapia (bisogna solo
evitare di iniettare nuovamente il farmaco in quella sede).
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
TAKE HOME MESSAGE
➔ Il MMG deve identificare i pazienti a rischio permanente o
transitorio di TEV anche se non precedentemente ricoverati.
➔ In assenza di studi svoltisi nell’ambito della medicina generale,
il MMG deve utilizzare le informazioni derivanti da studi ospedalieri per stabilire la necessità, la modalità e la durata di profilassi del TEV in pazienti a rischio.
➔ Per i pazienti medici con caratteristiche sovrapponibili a quelle indicate nelle linee guida, è opportuno applicare queste stesse linee guida, sia per allettamenti di durata medio breve che
lunga.
➔ Per i pazienti con allettamento di mesi/anni, senza le caratteristiche di cui sopra, è opportuno considerare una profilassi
non farmacologica.
➔ Per i pazienti con grave ipomobilità, ma senza allettamento
assoluto, è necessaria una valutazione caso per caso in base
alla presenza di fattori di rischio per TEV.
➔ Ogni decisione in merito all’uso o non uso della profilassi deve
essere motivata e registrata nella documentazione clinica del
paziente.
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
Alessandro Filippi
Marco Moia
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Come sospettare una diagnosi di TVP
Come si è detto nei capitoli precedenti, larga parte delle TVP e delle
EP si manifestano fuori dall’ospedale. Il MMG ha un ruolo fondamentale non solo nell’attività preventiva, già affrontata nel secondo e nel
terzo capitolo, ma anche nella diagnosi e nella gestione della terapia.
I più importanti sintomi e i segni indicativi di TVP sono riportati nella
tabella 5.
È evidente che molte altre condizioni acute (tabella 6) e croniche
(tabella 7) possono presentarsi con caratteristiche analoghe.
È pertanto indispensabile mantenere sempre un elevato livello di
attenzione, per non “mancare” una diagnosi con conseguenze potenzialmente gravi.
Tabella 5 Segni e sintomi di TVP
➔ Dolore o dolorabilità al polpaccio
➔ Rigonfiamento con edema di gamba e/o di coscia
➔ Aumento della temperatura cutanea
➔ Dilatazione delle vene superficiali
➔ Cianosi in caso di ostruzione severa
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
Tabella 6 Cause acute di edema degli arti inferiori
➔ TVP
➔ Flebite superficiale
➔ Linfangite (erisipela ecc.)
➔ Cellulite
➔ Dermatite
➔ Versamento articolare
➔ Cisti di Baker
➔ Ematoma
➔ Artrite
➔ Fratture
➔ Ischemia acuta
Tabella 7 Cause croniche di edema degli arti inferiori
➔ Sindrome post-flebitica
➔ Insufficienza venosa
➔ Ostruzione venosa
➔ Lipodermatosclerosi
➔ Linfedema
➔ Scompenso cardiaco
➔ Distrofia simpatica riflessa
➔ Ipoproteinemia (indipendentemente dalla causa)
➔ Edema idiopatico
➔ Lipoedema
➔ Edema da “poltrona”
➔ Farmaci calcio-antagonisti
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
La diagnosi clinica di TVP non può quindi essere accurata e la sua
conferma strumentale si verifica in percentuali che vanno da 10% al
30% dei casi, a seconda del contesto clinico e dell’esperienza personale dei medici.
La certezza della diagnosi è però fondamentale: non riconoscere una
TVP espone il paziente a rischi importanti, non esclusi eventi fatali,
mentre una falsa diagnosi comporta il rischio di un trattamento anticoagulante prolungato non necessario.
In ogni caso di sospetto di TVP è quindi indispensabile ottenere una
valutazione e una diagnosi oggettiva e ottenerla in tempi rapidi, perché la tempestività e l’adeguatezza del trattamento anticoagulante
costituiscono un fattore fondamentale per ridurre le recidive di TEV
non solo durante un primo periodo dopo l’evento acuto, ma anche a
distanza di mesi e per ridurre la gravità della sindrome post-trombotica.
Come stimare la probabilità di TVP
Nel momento in cui si manifestano segni e sintomi compatibili con
una TVP, è necessario stimare la probabilità che questa patologia sia
effettivamente presente. A questo scopo sono stati sviluppati differenti strumenti diagnostici basati su elementi clinici.
Il più noto e più studiato è quello di Wells, riportato nella tabella 8,
basato su un sistema a punti.
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
Tabella 8 Punteggio di Wells per stimanre la probabilità di TVP
(Da Lancet,1995; 345, 1326-1330)
CARATTERISTICHE CLINICHE
PUNTEGGIO
CANCRO ATTIVO (terapia attuale; < 6 mesi; palliativa)
+1
PARALISI, PARESI, RECENTE
INGESSATURA ARTI INFERIORI
+1
ALLETTAMENTO > 3 giorni o
CHIRURGIA MAGGIORE entro 4 settimane
+1
DOLORABILITÀ LOCALIZZATA
(lungo la distribuzione del sistema venoso profondo)
+1
EDEMA DI UN INTERO ARTO INFERIORE
+1
EDEMA POLPACCIO > 3 cm
(rispetto all’arto inferiore asintomatico)
(misurare 10 cm sotto la tuberosità tibiale)
+1
EDEMA IMPRONTABILE (maggiore nell’arto sintomatico)
+1
PRESENZA DI VENE SUPERFICIALI COLLATERALI
(non varicose)
+1
PRESENZA DI DIAGNOSI ALTERNATIVA
–2
Originariamente erano previste tre categorie di rischio:
- elevato (> 3)
- intermedio (1-2)
- basso (< 0).
Successivamente si è ritenuto più consono alla pratica clinica ridurre
a due le categorie:
- probabile (≥ 2)
- improbabile (< 2).
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Questa suddivisione è stata validata in studi clinici. Come vedremo
tra breve, la divisione in due categorie è quella più utile per la medicina generale.
Naturalmente la stima della probabilità di TVP è possibile anche
senza ricorrere a un punteggio formale.
Studi comparativi hanno mostrato che l’accuratezza predittiva del
punteggio di Wells e della valutazione puramente clinica erano molto
simili, cosa che peraltro non sorprende, dato che gli elementi considerati sono comunque sempre gli stessi. In ogni caso, è comunque
preferibile utilizzare il punteggio di Wells, perlomeno nell’ambito delle
cure primarie, in quanto:
a) garantisce una stima accurata in un contesto in cui l’esperienza
personale del singolo medico non può essere basata su grandi
numeri;
b) consente di comunicare con specialisti e ospedale utilizzando uno
strumento validato e condiviso;
c) costituisce una garanzia dal punto di vista medico-legale.
Un ovvio svantaggio di questo metodo è la necessità di memorizzarlo per poterlo utilizzare al domicilio del paziente, a meno di utilizzare
anche in queste circostanze computer portatili/palmari.
Come tutti gli strumenti diagnostici, anche quello di Wells ha limiti
importanti. In primo luogo non è basato interamente su elementi
oggettivi, in quanto la presenza di diagnosi alternativa è ovviamente
basata sul giudizio clinico del singolo medico.
In secondo luogo non è stato formalmente testato in pazienti:
a) con precedenti TVP o EP;
b) che hanno iniziato terapia anticoagulante da più di 48 ore;
c) in gravidanza;
d) anziani.
Una volta stabilito il livello di probabilità di TVP, è necessario però
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
decidere se questo è sufficientemente basso per escludere la necessità di esami strumentali di conferma o, in caso contrario, quale iter
diagnostico seguire.
Come confermare o escludere una diagnosi di TVP
La conferma o l’esclusione della diagnosi di TVP si basa su algoritmi
che, partendo dalla stima clinica della probabilità di TVP, utilizzano il
D-dimero e l’ecografia con compressione (CUS).
Può essere utile illustrare brevemente le caratteristiche di questi
importanti strumenti diagnostici.
D-dimero
I D-dimeri sono generati dalla fibrinolisi del trombo in cui la fibrina è
degradata dalla plasmina e sono identificati tramite anticorpi monoclonali.
La determinazione dei D-dimeri serve a escludere la diagnosi di TVP
in pazienti con probabilità clinica medio-bassa, questo grazie alla sua
elevata sensibilità.
Vi sono differenti tecniche per dosare i D-dimeri, caratterizzate da
diverse sensibilità e specificità. Visto che lo scopo è quello di escludere la diagnosi, si dovrebbero privilegiare metodiche con alta sensibilità: enzyme-linked fluorescence (ELISA).
Sono peraltro disponibili tecniche per la determinazione dei D-dimeri al letto del paziente, che hanno dimostrato la loro utilità in contesti
diversi, quali il pronto soccorso e le cure primarie. Valutando il risultato di questo esame, è necessario ricordare alcuni limiti dello stesso.
Valori elevati di D-dimero si riscontrano in presenza di infezioni,
infiammazioni, cancro, traumi e interventi chirurgici, ictus, patologie
coronariche acute ecc.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
L’utilità clinica è ridotta in alcune circostanze cliniche ad alto rischio
di TVP (gravidanza, puerperio, pregressa TVP) e nei pazienti anziani.
Anche la localizzazione e l’entità della TVP ha rilevanza: la sensibilità
per TVP distale è di circa l’86%, mentre è del 98% per TVP prossimale.
I livelli di D-dimero rimangono elevati durante il primo giorno di terapia anticoagulante, ma scendono rapidamente nei giorni successivi,
per cui non possono essere utilizzati in soggetti in terapia cronica con
eparine o anticoagulanti orali.
Ecografia
L’ecografia è diventata la principale tecnica diagnostica per la TVP. Il
trombo non viene visualizzato direttamente, dato che i risultati sarebbero di scarsa utilità: un trombo fresco è sostanza anecoide e l’ecogenicità dipende anche dall’età del trombo stesso. I metodi comunemente usati sono quindi l’ecografia compressiva (Compressive
UltraSonography, CUS) e il color doppler.
La CUS è generalmente la tecnica di riferimento in caso di primo episodio di TVP: si identificano le vene femorale comune e superficiale
e poplitea che vengono visualizzate sul piano trasverso e si esercita
una lieve pressione tramite la sonda. Se il lume è totalmente compressibile si esclude una TVP, se totalmente o parzialmente incompressibile è presente un trombo.
Con questi criteri, in pazienti con sospetta TVP, sensibilità e specificità per TVP prossimale sono rispettivamente 93% e 97%; per TVP
distale (ad es. vene tibiali) i valori sono inferiori, 71% e 76%.
Per le TVP distali grande importanza ha l’esperienza dell’ecografista,
per evitare la possibilità di falsi positivi a causa della complessa anatomia dei vasi venosi distali. Considerazioni analoghe sono valide
anche per il color-doppler, che produce risultati molto simili alla CUS,
ma comporta tempi d’esecuzione e costi superiori.
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
Figura 4 Flow-chart diagnostica per TVP. (Modificata da Journal of
Thrombosis and Haemostasis, 2005; 3,2465-2470)
Punteggio Wells > 2
=2
>2
D-dimero
CUS
+
CUS
–
–
NO TVP
+
TVP
–
+
D-dimero
–
+
NO TVP
–
Ripetere
CUS dopo
7 giorni
+
TVP
Una volta stabilita la probabilità clinica di TVP, l’iter diagnostico
dovrebbe seguire una flow-chart validata da studi clinici. In letteratura sono state avanzate più proposte. Un riferimento che incorpora la
probabilità clinica è riportato nella figura 4.
È evidente che qualunque sia la flow-chart prescelta, la sua esecuzione non può essere effettuata che in ambiente ospedaliero. È
comunque importante che il MMG sia a conoscenza delle modalità
diagnostiche adottate nell’ospedale di riferimento e della sua modalità di attuazione a seconda dei momenti della giornata e della setti53
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
mana: che cosa è possibile ottenere nelle ore diurne, nelle ore notturne, nei festivi ecc. Queste informazioni sono utili per le decisioni che
il MMG (o il medico di guardia medica) deve prendere in caso di possibile TVP.
Cosa deve fare il MMG quando sospetta una TVP
In base a quanto sopra riportato, è evidente che si debba stimare la
probabilità di TVP in base agli elementi clinici, preferibilmente utilizzando il punteggio di Wells.
In caso di punteggio ≥2 è necessario verificare con certezza la presenza o meno di TVP e, quindi, inviare il paziente in ospedale.
Le modalità d’invio potranno essere differenti a seconda degli accordi locali (è auspicabile che siano attivati percorsi diagnostico-terapeutici concordati tra ospedale e territorio), ma in ogni caso l’invio
deve essere urgente e deve essere precisato, oltre al sospetto diagnostico, il livello di rischio.
È anche utile fornire informazioni sulla possibilità o meno di gestire la
terapia della TVP al domicilio del paziente (vedi paragrafo sulla
gestione domiciliare).
Nel caso in cui il servizio di ecografia non sia disponibile 24 ore su
24, può essere preferibile rimandare di alcune ore l’invio, ma, se il
livello di rischio è elevato, è opportuno iniziare a somministrare EBPM
a dosaggio terapeutico: si ridurrà il rischio per il paziente, senza inficiare la possibilità di utilizzare il D-dimero (se dosato entro 24 ore dall’inizio della terapia). Ovviamente l’EBPM sarà sospesa nel caso in
cui la TVP non venga confermata.
Come sospettare una diagnosi di EP
L’EP sintomatica è un evento più raro rispetto alla TVP, ma rappresenta un’emergenza medica. Non solo è necessario raggiungere la
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
certezza diagnostica in brevissimo tempo, ma la terapia richiede il
ricovero nella maggioranza dei casi. È necessario mantenere un alto
livello di sospetto diagnostico, perché il sintomo cardine, l’improvvisa/rapida comparsa di dispnea, può dipendere da molte patologie,
per cui la diagnosi differenziale è ampia.
Anche per l’EP sono disponibili strumenti per valutare la probabilità
di EP in base a elementi clinici.
Nella pratica clinica vi sono due principali sistemi a punteggio validati da studi ad hoc:
- il punteggio di Wells per l’EP (tabella 9);
- il punteggio di Ginevra (Geneva) in tre versioni: l’originale (Arch
Intern Med 2001;161:92-97), la revisionata (tabella 10) (Annals of
internal medicine 2006;144:165-71); la semplificata (tabella 11)
(Arch Intern Med 2008; 168:2131-6).
Il punteggio di Ginevra “revisionato” ha mostrato una validità predittiva uguale a quello di Wells (Lancet 2008;371:1343-52). Il confronto
tra punteggio “revisionato” e la versione “semplificata” di Ginevra ha
mostrato prestazioni sostanzialmente sovrapponibili (Arch Intern
Tabella 9 Punteggio di Wells per stimare la probabilità di EP*
(Da Thromb Haemost. 2000;83:416-420)
➔ Segni clinici di TVP
3 punti
➔ Diagnosi alternativa meno probabile rispetto a EP
3 punti
➔ Frequenza cardiaca >100
1,5 punti
➔ Immobilità o chirurgia nelle precedenti 4 settimane
1,5 punti
➔ Precedente TVP o EP
1,5 punti
➔ Emoftoe
1 punto
➔ Neoplasie maligne in presenza di trattamento attivo
o negli ultimi 6 mesi o cure palliative
1 punto
*<4 EP = improbabile (16%); <4 e D-dimero negativo = TEV rischio bassissimo (0-0,5%)
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
Tabella 10 Punteggio di Ginevra “revisionato” per stimare la probabilità
di EP* (da Annals of internal medicine. 2006;144:165-71)
➔ Età >65 anni
1 punto
➔ Precedente TVP o EP
3 punti
➔ Chirurgia o frattura entro un mese
2 punti
➔ Cancro attivo
2 punti
➔ Dolore unilaterale a un arto inferiore
3 punti
➔ Emoftoe
2 punti
➔ Frequenza cardiaca 75-94
3 punti
➔ Frequenza cardiaca >94
➔ Dolore alla palpazione profonda ed edema unilaterali
a un arto inferiore
5 punti
4 punti
*0-3 punti = bassa probabilità (8%); 4-10 punti = media probabilità (28%); >11 punti = alta probabilità (74%)
Tabella 11 Punteggio di Ginevra “semplificato”* per stimare la probabilità di EP (da Arch. Intern Med 2008; 168:2131-6)
Età >65 anni
Precedente TVP o EP
Anestesia generale o frattura nel mese precedente
Cancro attivo o cancro trattato entro un anno
Dolore unilaterale a un arto inferiore
Emoftoe
Dolore alla palpazione profonda ed edema unilaterali
ad un arto inferiore
➔ Frequenza cardiaca tra 75 e 94
➔ Frequenza cardiaca >94
➔
➔
➔
➔
➔
➔
➔
1
1
1
1
1
1
punto
punto
punto
punto
punto
punto
1 punto
1 punto
1 punto
* 0-1 = bassa probabilità (7,7%); 2-4 = media probabilità (26%); > 5 = alta probabilità (64%);
< 2 e D-dimero negativo = probabilità 3%
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
Med 2008;168:2131-6). Anche per il punteggio di Wells esiste una
forma semplificata, che assegna un punto per ogni elemento.
Con questo sistema, il livello per definire improbabile l’EP è <1: questo modello semplificato ha prestazioni sovrapponibili all’originale
(Thromb Haemost 2008;99:229-34).
Le probabilità indicate dagli strumenti di stima di rischio possono
essere utilizzate in ambiente ospedaliero per valutare l’opportunità di
eseguire ulteriori accertamenti:
- determinazione del D-dimero,
- scintigrafia polmonare,
- angioTAC/ angioRMN.
Per quanto riguarda il MMG (e il medico di guardia medica) questi
strumenti hanno l’unico scopo di far decidere se è opportuno o meno
un ricovero ospedaliero, sempre in regime d’urgenza, dato che la
sola probabilità di EP giustifica questo atteggiamento alla luce dell’alto rischio di eventi fatali o invalidanti.
TVP non localizzate agli arti inferiori
Le TVP degli arti superiori, del collo e dell’addome sono relativamente rare: il 4% circa di tutti i TEV. Analogamente alle TVP degli arti inferiori, c’è elevato rischio di EP, stimato tra il 15 e il 33%.
Ai fini della diagnosi, i parametri clinici sono inaffidabili e i più importanti segni clinici (dolore, calore, edema, colorazione bluastra della pelle e
comparsa di collaterali venosi superficiali) hanno bassa specificità.
La diagnosi clinica viene confermata da un terzo alla metà dei casi. Il
dosaggio dei D-dimeri ha scarsa utilità in questi casi e non viene utilizzato ai fini diagnostici. Per questo motivo il sospetto clinico deve
essere sempre confermato con esami strumentali.
La venografia è l’esame di riferimento ed è in genere ben tollerata. La
facilità d’accesso, il basso costo e l’assenza di radiazioni fanno però
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
preferire, in prima battuta, l’ecografia (in questi casi si utilizzano contemporaneamente lo studio eco-compressivo e l’eco-colordoppler).
Nel caso in cui l’eco-doppler confermi la diagnosi, si inizia la terapia;
in casi negativi o dubbi è indispensabile proseguire le indagini con
una venografia. Il trattamento del TEV degli arti superiori è identico a
quello degli arti inferiori.
La gestione domiciliare della TVP
Non si affrontano qui gli aspetti riguardanti l’uso dei farmaci, EBPM
e anticoagulanti orali, ma solo gli aspetti organizzativi.
È ormai ampiamente dimostrato che gran parte (dal 50% all’80% a
seconda degli studi) dei pazienti con diagnosi di TVP può essere trattata a domicilio con pari efficacia e costi molto minori rispetto al trattamento in regime di ricovero. Non tutti i soggetti sono gestibili a domicilio e i principali criteri di esclusione sono riportati nella tabella 12.
Considerando le controindicazioni riportate nella tabella 12, è evidente che la decisione di non ospedalizzare il malato può essere presa
solo in ambiente ospedaliero dopo gli opportuni accertamenti (il
Tabella 12 Motivi per escludere il trattamento domiciliare della TVP
➔ EP in atto o TVP estesa con altissimo rischio di EP
➔ Alto rischio emorragico in terapia anticoagulante
➔ Gravidanza
➔ Gravi co-patologie
➔ Desiderio del paziente di essere ospedalizzato
➔ Impossibilità di adeguata assistenza a domicilio
➔ Non disponibilità da parte del MMG
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
paziente si troverà già in ospedale per eseguire gli esami previsti dall’algoritmo diagnostico).
Ovviamente la disponibilità del medico curante deve essere nota al
personale ospedaliero e, per questo motivo, deve essere chiaramente indicata nella documentazione d’invio in ospedale (ad esempio,
esplicitare che “nel caso in cui sussistano le condizioni cliniche, sono
disponibile a gestire a domicilio la terapia della TVP”).
In questa dichiarazione di disponibilità o di indisponibilità vi sono
anche valutazioni sulla possibilità di garantire l’assistenza domiciliare indispensabile. Per poter trattare il paziente a domicilio è infatti
necessario che si realizzino alcune condizioni:
a) possibilità di individuare tempestivamente eventuali complicazioni
cliniche;
b) corretta e regolare somministrazione dei farmaci;
c) esecuzione dei controlli laboratoristici necessari in caso di terapia
anticoagulante orale.
d) verifica del rispetto di norme di comportamento (posizione antideclive arti inferiori durante il riposo, uso di calze elastiche).
Se il medico ritiene che vi possano essere difficoltà in questo senso,
è opportuno che lo segnali ai colleghi ospedalieri (ad esempio, precisare che “la situazione assistenziale/sociale rende difficoltosa/inaffidabile l’iniziale gestione della terapia del TEV a domicilio”).
La terapia domiciliare della TVP richiede uno sforzo organizzativo
aggiuntivo rispetto agli abituali standard assistenziali. Il paziente va
istruito circa le modalità e il significato della terapia che è chiamato
in parte ad autogestirsi (senza essere sovraccaricato di ansietà), deve
trovare un accesso privilegiato nel caso in cui necessiti di consigli
medici, e deve essere in contatto con il personale medico o paramedico dedicato, quotidianamente nei primi giorni di trattamento, o in
ambulatorio o a domicilio. Un esempio di materiale informativo è
riportato di seguito.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
INDICAZIONI PER PAZIENTI E FAMIGLIARI
Nelle vene profonde della gamba si è formato un trombo (un coagulo “grumo” - di sangue) e la terapia che ha iniziato ha lo scopo di impedire
l’ingradimento del trombo e favorirne la dissoluzione.
Le iniezioni di (indicare nome e dosaggio) ...................... devono essere
praticate sottocute alle ore ............ e alle ore ............... Le istruzioni sono
riportate nel foglio illustrativo; se vi fossero punti non chiari non bisogna
esitare a contattare il medico. Nella sede dell’iniezione può comparire un
alone bluastro/giallastro (tipo livido); è una situazione normale che si
risolve senza alcun intervento entro pochi giorni. Differente è il caso in
cui compaia una zona arrossata, indurita e dolente: in questo caso è
necessario avvisare immediatamente il medico.
Le compresse che sta utilizzando (indicare nome) ..................... servono a ridurre la capacità del sangue di coagularsi e vanno assunte alle
ore ........... La dose iniziale è di ............ ma verrà modificata in base ai
risultati degli esami del sangue che dovranno essere effettuati con regolarità durante tutto il periodo della terapia.
Mentre le iniezioni saranno sospese tra pochi giorni, quando gli esami
del sangue indicheranno un adeguato livello di coagulazione, l’assunzione di compresse di anticoagulante dovrà essere proseguita per un periodo minimo di ........ mesi.
Le cure che sono state iniziate sono assolutamente indispensabili e non
vanno interrotte senza aver prima consultato il medico. In caso di qualsiasi dubbio non esitate a contattarlo.
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TVP/EP: dal sospetto
diagnostico alla terapia
IN MODO PARTICOLARE È NECESSARIO CONTATTARE IMMEDIATAMENTE IL MEDICO NEI SEGUENTI CASI:
➔ comparsa di gonfiore (o aumento di quello già presente) alla gamba
➔ arrossamento, dolore alla gamba
➔ comparsa di febbre
➔ comparsa di dolori al torace
➔ lieve mancanza di respiro
➔ tosse di origine non chiara
Il vostro medico è contattabile ai seguenti numeri ....................................
Nei giorni festivi è necessario rivolgersi a ..................... (indicare se guardia medica o centro ospedaliero) al seguente numero ..............................
Nel caso di improvvisa grave mancanza di respiro o di perdita di coscienza, è indispensabile chiamare immediatamente il 118.
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Guida breve alla gestione del TEV
in medicina generale
TAKE HOME MESSAGE
➔ In caso di sospetto clinico di TVP è opportuno stimarne la probabilità utilizzando uno strumento validato (punteggio di
Wells).
➔ Il sospetto clinico di TVP deve essere sempre confermato tramite un algoritmo diagnostico realizzabile solo in ospedale
(questo algoritmo confermerà la diagnosi solo nel 10-30% dei
casi).
➔ L’invio in ospedale in caso di probabilità medio-elevata di
TVP deve essere immediato; se questo non è possibile, iniziare a somministrare EBPM a dosaggio terapeutico in attesa
della conferma diagnostica.
➔ La terapia della TVP è possibile al domicilio nel 50-80% dei
casi, a patto che sia disponibile un’adeguata assistenza;
inviando il paziente in ospedale per gli accertamenti diagnostici bisogna informare i colleghi ospedalieri della possibilità (o
non possibilità) di assistere il paziente al domicilio.
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conclusioni
Gli episodi di TEV rappresentano un rilevante problema, gravato da mortalità,
disabilità e costi in larga parte evitabili identificando i soggetti ad alto rischio
ed istituendo un’adeguata profilassi. Il problema è così importante che negli
USA e nel UK gli organi governativi hanno ritenuto necessario richiamare ufficialmente l’attenzione di medici e pazienti su questa patologia.
Il miglioramento deve aver luogo in tutti gli ambiti clinici e in tutte le fasi del
processo assistenziale:
- profilassi all’interno dell’ospedale
- prosecuzione della profilassi dopo dimissione
- identificazione dei soggetti a rischio in ambiente extra-ospedaliero e istituzione di profilassi
- identificazione precoce dei pazienti con TEV, tempestiva conferma della
diagnosi e conseguente inizio e prosecuzione della terapia.
E’ evidente che, fatta eccezione per il primo punto, il coinvolgimento della
medicina generale è essenziale e, in alcuni casi, esclusivo.
Per quanto riguarda il paziente post-dimissione le linee guida forniscono
generalmente raccomandazioni adeguate. La loro conoscenza e una buona comunicazione ospedale-territorio consentono di garantire ai pazienti
una profilassi adeguata ed un tempestivo riconoscimento di un’eventuale
TEV o della sua recidiva.
L’identificazione dei soggetti a rischio di TEV in ambiente extra-ospedaliero
e la conseguente decisione di utilizzare o meno una profilassi farmacologica e/o non farmacologica è resa complessa dall’assenza di linee guida.
E’ però possibile estrapolare con sufficiente tranquillità i risultati degli studi
ospedalieri ai pazienti medici clinicamente sovrapponibili a quelli considerati dalle linee guida. In questo modo risulta indicata la profilassi per i soggetti con allettamento previsto da alcuni giorni ad alcune settimane in presenza di fattori di rischio per TEV.
Più difficoltoso è l’approccio razionale ai malati con prospettiva di allettamento di lunga durata (mesi o anni) in assenza di studi adeguati; in questi
casi, a giudizio degli autori di questa guida, può essere indicata la profilassi con mezzi non farmacologici. Ancora più complessa è la decisione nei
confronti dei pazienti con gravi ipo-mobilità, ma non completamente allettati (es in carrozzina); in queste situazioni la decisione non può essere che
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conclusioni
individuale, sulla base della valutazione clinica del numero e della rilevanza
dei fattori di rischio per TEV nel singolo caso.
Per quanto riguarda la profilassi farmacologica è sempre necessario ricordare le indicazioni riportate nella scheda tecnica del farmaco e nel caso
questo venga utilizzato al di fuori delle stesse (“off-label”) è indispensabile
ottenere il consenso informato del paziente ; anche indipendentemente dal
consenso, le motivazioni cliniche per l’uso o il non uso di profilassi in
pazienti non esplicitamente considerati nelle linee guida dovrebbe essere
annotato nella documentazione del paziente.
Il sospetto clinico di TEV e la tempestiva conferma diagnostica dello stesso sono essenziali.
Il MMG deve mantenere un alto livello di attenzione nei confronti del TEV e,
una volta riscontrati segni e sintomi compatibili, deve utilizzare un sistema
diagnostico per stimare la probabilità di TEV.
In caso di probabilità medio-elevata il paziente va indirizzato immediatamente in ospedale per le procedure diagnostiche; se queste non fossero
possibili in tempi brevi è opportuno iniziare terapia con EBPM a dose terapeutica in attesa della conferma della diagnosi.
Buona parte delle TVP possono essere curate al domicilio se sussistono le
condizioni per un’adeguata assistenza.
Per questo motivo il MMG, inviando il paziente in ospedale per la conferma
del sospetto diagnostico, dovrebbe indicare se è possibile l’assistenza
domiciliare.
Un approccio consapevole e sistematico alla prevenzione e all’identificazione precoce del TEV in medicina generale può contribuire grandemente
non solo a salvare migliaia di vite ogni anno, ma anche a ridurre il carico
d’invalidità legato a questa patologia e risparmiare cospicue risorse.
Il miglioramento della pratica è semplice e si basa esclusivamente su un
elevato livello d’attenzione, sull’accesso alle informazioni essenziali e sull’esistenza di percorsi diagnostico-terapeutici veramente condivisi a livello
locale.
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