Questo volume viene pubblicato
con il contributo delle famiglie
di Luisa, Ambrogio, Alberto e Giovanni Viganò,
in memoria del padre ing. Carlo Viganò.
COMMENTARI DELL’ATENEO DI BRESCIA
Direttore Responsabile: GIUSEPPE VIANI
Autorizzazione del Tribunale di Brescia n. 64 in data 21 gennaio 1953
SUPPLEMENTO
AI
COMMENTARI DELL’ATENEO
DI
BRESCIA
PER IL
2007
SOMMARIO
FRANCESCO LECHI, Presentazione
pag.
11
MARIO MARCHI, L’insegnamento di Euclide
in N.Tartaglia: analisi di una scelta
»
13
Tavole fuori testo
»
21
PIERLUIGI PIZZAMIGLIO, Lettura del “General
trattato di numeri et misure” di N. Tartaglia
da parte di Arnaldo Masotti
»
37
VERONICA GAVAGNA, L’insegnamento
dell’aritmetica nel “General trattato”
di N. Tartaglia
»
101
ANTONIO CARLO GARIBALDI, L’insegnamento della
geometria nel “General trattato” di N.Tartaglia
»
139
ENRICO GIUSTI, L’insegnamento dell’algebra
nel “General trattato” di N.Tartaglia
»
155
PRESENTAZIONE
DEL PRESIDENTE DELL’ATENEO
DI BRESCIA
Il 13 dicembre 2007, volendo adeguatamente celebrare il 450°
anniversario della morte di Niccolò Tartaglia, l’Ateneo di Brescia
promosse sia la comparsa della riedizione anastatica dell’«Euclide
Megarense» edito a suo tempo da N. Tartaglia sia una “Giornata
di Studio” dedicata espressamente a esplorare le tematiche principali – cioè l’aritmetica, la geometria e l’algebra – del «General
trattato di numeri e misure» dello stesso Niccolò Tartaglia.
Sia gli «Elementi» euclidei sia il «Trattato» tartagliano appartengono allo stesso genere di letteratura: la manualistica scolastica. Studiare le analogie e le differenze dei due testi consente di
mettere in evidenza il mutamento che è intercorso tra la matematica
dell’epoca classica e quella rinascimentale.
Ricordiamo che la Giornata di Studio venne realizzata sia nella
sede dell’Ateneo di Brescia sia nella sede bresciana dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, il cui Dipartimento di Matematica e Fisica risulta proprio intitolato a “Niccolò Tartaglia”.
In quella circostanza presero la parola, per porgere il loro saluto,
il prof. Marco Degiovanni, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e
il prof. Antonio Ballarin Denti, Direttore del suddetto Dipartimento.
Per rendere fruibile a un vasto pubblico la tematica in esame
si ebbero anche gli interventi – che però non compaiono in questo
volume – della prof. Franca Cattelani, dell’Università di Modena
e Reggio Emilia, che diede un esauriente inquadramento delle vicende biografiche e degli scritti di Niccolò Tartaglia, come pure
12
Presentazione del Presidente dell’Ateneo di Brescia
del prof. Mario Piotti, dell’Università di Milano e Socio dell’Ateneo,
che fornì un’adeguata illustrazione delle peculiarità della lingua
scritta del Tartaglia.
La Giornata di Studio venne poi conclusa da una conferenza
del prof. Mario Marchi, della sede bresciana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che seppe assolvere egregiamente al compito di cogliere la rilevanza della matematica per la didattica – anche nell’attualità – e dell’esplorazione della sua dimensione storica:
per questo si è voluto riproporre quell’intervento in apertura di questo volume.
A considerare più specificatamente la struttura, le caratteristiche e le principali tematiche affrontate da Niccolò Tartaglia nel
suo «General trattato» vennero dedicati quattro specifici interventi
di studio che, opportunamente messi a punto per la stampa, risultano ora presentati in questo volume di “Atti”.
In particolare, il nostro Socio prof. Pierluigi Pizzamiglio – che
ringraziamo per l’impegno profuso sia nella realizzazione della
Giornata di Studio sia per l’approntamento del presente volume –
ripropone le note a suo tempo redatte dal prof. Arnaldo Masotti in
vista dell’edizione anastatica del «Trattato»; mentre le parti aritmetiche, geometriche e algebriche dello stesso grande trattato tartagliano vengono indagate dai contributi realizzati e proposti rispettivamente dai proff. Veronica Gavagna, Antonio Carlo Garibaldi
ed Enrico Giusti.
Francesco Lechi
MARIO MARCHI*
L’INSEGNAMENTO DI EUCLIDE IN N. TARTAGLIA:
ANALISI DI UNA SCELTA
1. Nella biografia di Niccolò Tartaglia che Bernardino Baldi
(1553-1617) attribuì all’anno 1567 (ma il Tartaglia era in effetti
morto nel 1557) viene delineato un rapido schizzo della sua personalità e della sua attività come matematico, scienziato, pubblicista, scrittore e infine anche come insegnante.
Questi sono i termini esatti della sua breve biografia:
Nicolò Tartaglia Bresciano d’humile nascimento attese alle cose Matematiche e particolarmente alla Geometria & all’Aritmetica con tanto
genio, che si lasciò molti adietro. Trasferì costui in lingua volgare
gl’Elementi d’Euclide, ch’egli leggeva pubblicamente in Venetia. Scrisse molte opere appartenenti al moto de corpi gravi, à tiri dell’Artigliarie, a fortificazioni de luoghi, a misurar con la vista, & altre cose tali,
e finalmente scrisse due gran volumi, ne quali raccolse tutto quello che
s’appartiene a una compita specolatione e pratica delle cose dell’Aritmetica e della Geometria. Fu egli grand’avversario di Girolamo Cardano e scrisseli contro alcune opere … (BALDI B., Cronica dè matematici ovvero Epitome dell’istorie delle loro vite, Urbino 1707, p. 133).
Tartaglia, dunque, “leggeva pubblicamente” gli Elementi di
Euclide, cioè insegnava: siamo a Venezia, a partire dall’anno 1536,
presso la chiesa di S. Giovanni e Paolo. Tartaglia, in effetti, nella
sua vita svolse principalmente la mansione di insegnante: a Verona,
prima, come “Maestro d’Abaco” a partire dal 1518, a Venezia poi,
* Dipartimento di matematica, Università Cattolica del Sacro Cuore.
14
Mario Marchi
come “Pubblico Lettore di matematica” dal 1536 fino al 1548, data
del suo burrascoso rientro a Brescia nella speranza (fallita) di concludere felicemente la sua disputa con Cardano.
2. Al Lettore di oggi viene naturale chiedersi «perché proprio Euclide?».
Per capire questa scelta va ricordato che, nel mondo culturale
in cui viveva Tartaglia, il testo degli Elementi costituiva il manuale
che comprendeva sostanzialmente tutta la matematica in quel momento conosciuta. Esso era, cioè, il Trattato che compendiava tutti
gli argomenti matematici che potevano essere inclusi sia nell’insegnamento scolastico elementare e pratico, sia nell’insegnamento
superiore. In questa sua attività di insegnante Tartaglia aveva infatti
avuto come allievi anche numerose personalità di rilievo, provenienti dai più diversi livelli sociali. Ricordiamo tra questi, illustri
architetti, ingegneri militari e anche matematici di professione, tra
cui sembra sia pure da annoverare lo studioso Ostilio de’ Ricci, di
Fermo, che avvierà poi il giovane Galileo Galilei agli studi matematici. Ricordiamo ancora, tra gli stessi allievi, alcuni Nobili e uomini di cultura tra cui si deve segnalare anche il Duca d’Urbino,
Francesco Maria della Rovere.
A queste motivazioni per la scelta euclidea si devono poi anche aggiungere le ragioni che il Tartaglia stesso avanza per spiegare
e giustificare la sua decisione di pubblicare in lingua volgare il
testo euclideo degli Elementi. Lo scopo che si propone, in effetti,
è quello di “consentire a un più vasto pubblico a fruire il nobil
giardino della sapienza”. Solo in questo modo, Egli argomenta, sarà
infatti possibile ai suoi contemporanei sia “di aggionger al segno
ove aggionsero li antiqui”, sia di “trapassar più oltra”. Si apprezza
in queste motivazioni, di natura squisitamente rinascimentale, la
grande personalità di studioso e innovatore che caratterizzò l’operato di Tartaglia in tutta la sua vita.
3. Si deve però sottolineare che, al di là delle ragioni storiche
e contingenti del momento sopra esposte, il testo degli Elementi di
L’insegnamento di Euclide in N. Tartaglia
15
Euclide possiede un proprio valore profondo che lo rende significativo e cruciale per gli Studiosi di ogni tempo. A parere di chi
scrive, infatti, il testo euclideo, oltre all’alto valore del contenuto
scientifico offerto, presenta un esemplare equilibrio tra la componente intuitiva del pensiero matematico e l’aspetto rigoroso della
struttura logico-deduttiva che contemporaneamente caratterizzano
l’essenza stessa della disciplina matematica. In una tale valutazione
si deve ovviamente tener conto anche della presenza di molti elementi che “disturbano”, per così dire, un giudizio troppo netto e
semplicistico, ma tali elementi di disturbo non alterano, a nostro
parere, la sostanziale chiarezza del pensiero matematico che emerge da questa Opera.
In effetti, il Lettore che si accosta al testo degli Elementi rimane
subito colpito dalla inaspettata ed esemplare chiarezza con cui l’Autore (Euclide, cioè) premette l’elenco delle parole (cioè i termini matematici, öρoi) che userà nel corso del Trattato, cercando, per ogni
parola, di dare una chiave di spiegazione opportuna. Sappiamo bene
che non si tratta sempre di vere “definizioni” nel senso proprio del
termine; ci si trova di fronte, piuttosto, a una sorta di descrizione che
ha come esito quello di fornire al Lettore un’immagine intuitiva dell’oggetto matematico indicato con un certo nome, o una certa parola.
Esemplari, e ben note, in questo senso, sono le presentazioni di parole
chiave come “punto”, “linea”, “linea retta”, “angolo”… e tante altre.
Sembra, in buona sostanza, che la preoccupazione dell’Autore
sia quella di condividere con il Lettore le stesse “immagini mentali”
che accompagnano gli oggetti matematici (più propriamente geometrici) sui quali si intende poi operare.
È ben noto che l’uso di iniziare la trattazione di un capitolo
di matematica elencando le nozioni primitive e le relazioni fondamentali che le collegano tra loro, secondo quanto viene poi precisato dagli assiomi che individuano la teoria, è caratteristico di ogni
trattazione assiomatica moderna. Da questo punto di vista Euclide
si presenta dunque estremamente ed esemplarmente moderno, anche se, in effetti, Egli non inquadra in modo ugualmente esauriente
Mario Marchi
16
tutte le nozioni di cui farà uso. Per esempio, sfuggono (come è ben
noto) a questo preciso inquadramento tutte le nozioni di ordinamento sulla retta e nel piano, e inoltre la nozione di “movimento”,
nozione che, per altro, Egli usa in modo cruciale. Sono questi alcuni
degli elementi di “disturbo” a cui si è accennato in precedenza,
perché la comprensione di queste nozioni è affidata esclusivamente
al “buon senso” del Lettore, senza alcun suggerimento del testo
scritto. Tuttavia rimane vero, nella sostanza, il giudizio di modernità
della impostazione assiomatica euclidea, impostazione che servirà
poi come base logica per la trattazione razionale rigorosa successiva, ma con in più il valore aggiunto del contributo intuitivo alla
costruzione univoca delle immagini mentali che alla stessa trattazione logica razionale fanno da sfondo.
Si può comprendere bene la specificità di questo contributo di
carattere essenzialmente euclideo alla costruzione assiomatica di una
teoria matematica, confrontando il primo approccio degli Elementi
con l’inizio del primo capitolo dei “Gründlagen”1 di David Hilbert.
Anche Hilbert inizia indicando i nomi degli oggetti che costituiranno
i componenti fondamentali della costruzione geometrica: i punti, le
rette, i piani. Ma di tali oggetti rimangono solo i nomi, senza che di
essi venga data alcuna descrizione, nomi per i quali gli assiomi costituiscono poi semplicemente un collegamento formale e astratto2. Il
punto di vista hilbertiano è quello che è stato posto a fondamento di
tutta la disciplina matematica modernamente intesa, cioè come dottrina “ipotetico-deduttiva”, ed è stato quindi l’origine di tutto lo sviluppo tumultuoso e fecondo della matematica del ventesimo secolo.
1
David Hilbert, Gründlagen der Geometrie, Göttingen, 1899.
Può essere anzi interessante ricordare una celebre affermazione di Hilbert
che indica la sua esplicita volontà di togliere ogni suggestione intuitiva alla propria costruzione assiomatica. Egli afferma infatti che «… se con i punti, le rette,
i piani, si vuole intendere un sistema qualunque di enti, per esempio il sistema
tavoli, sedie, boccali di birra, basterà che si assumano tutti gli assiomi come relazioni tra questi enti, perché tutte le proposizioni della geometria, per esempio
il teorema di Pitagora, valgano anche per essi»: cfr. G. Frege, Epistolario scientifico, tr. it. Torino 1965.
2
L’insegnamento di Euclide in N. Tartaglia
17
Tuttavia l’esperienza di questo secolo, di progressi della disciplina matematica ma anche di presa di coscienza delle difficoltà
legate alla sua trasmissione interpersonale e al suo insegnamento,
indicano chiaramente che non si può realmente costruire una feconda concettualizzazione matematica senza unire la componente
razionale dei suoi concetti con una loro adeguata formulazione intuitiva, formulazione che nel caso della geometria diventa una componente “figurale” dei concetti stessi.
L’osservazione ora espressa è particolarmente importante se
riferita alle problematiche relative all’insegnamento della matematica, poiché in tale campo l’azione educativa è tanto più efficace
quanto più è equilibrato, e proporzionato all’età dei discenti, il rapporto tra l’apporto di una conoscenza svolta a livello intuitivo e la
relativa opera di razionalizzazione logicamente condotta.
Il quadro concettuale posto a fondamento degli Elementi è
dunque chiaramente e nitidamente precisato. Si parla di oggetti di
cui si capisce il significato, che hanno immediato riscontro con
l’esperienza sensoriale e il cui comportamento è immediatamente
verificabile nella realtà sensibile.
Il rigore della designazione risulta quindi soddisfatto, ma anche l’intuizione è soddisfatta. Tuttavia ciò che rende gli Elementi
un vero Trattato scientifico, forse il primo trattato scientifico nella
storia del pensiero (almeno occidentale), non è solo l’aver delineato
con precisione gli oggetti di cui parla, ma soprattutto l’aver indicato
esplicitamente e in modo esauriente le proprietà fondamentali e
caratteristiche di cui tali oggetti godono, oltre alle leggi di comportamento che essi soddisfano. Il compito di fornire tali indicazioni
è riservato ai postulati che, pur in presenza degli elementi di “disturbo” già rilevati, costituiscono la base certa della costruzione
razionale in cui consiste la disciplina matematica esposta.
È questo un ulteriore aspetto di esemplare modernità dell’opera di Euclide: aver sentito il bisogno di enunciare esplicitamente
fatti e proprietà che per altro risultano intuitivamente evidenti, e
ciò allo scopo di poter fondare la successiva deduzione logica su
proposizioni certe e univocamente individuate. Si può anzi aggiun-
18
Mario Marchi
gere che è proprio l’evidenza intuitiva di una proposizione che, per
Euclide, la rende suscettibile di essere assunta come postulato.
Siamo così di fronte alla seconda caratteristica qualificante
presentata dal Trattato degli Elementi, cioè la costruzione rigorosa
della struttura logico-deduttiva della matematica. È tale fatto che
rende l’Opera un vero Trattato scientifico, esemplare per coerenza
logica interna e chiarezza espositiva.
A questa qualificazione di razionalità va poi aggiunta un’altra
proprietà fondamentale propria degli Elementi, che è quella di presentare proposizioni e affermazioni alle quali può essere attribuito
il carattere di verità. Infatti se i postulati costituiscono la razionalizzazione di proprietà reali, che sono godute da oggetti reali, è naturale attribuire a queste e a quelli l’appartenenza alla categoria
conoscitiva della verità che è quella che convenzionalmente qualifica tutte le nostre conoscenze desunte dalla esperienza sensibile.
Si parla, a questo proposito, di “carattere euclideo” dei postulati,
per indicare che si tratta di proposizioni considerate vere proprio
perché intuitivamente evidenti.
La proprietà di verità, posseduta dai postulati, si dirama poi
a tutte le proposizioni che da essi vengono logicamente dedotte,
poiché si ritiene di poter considerare rispettose della verità le regole
della deduzione logica che appaiono naturali al nostro pensiero.
4. L’opera di Euclide costituisce quindi, per l’epoca in cui si
presenta a Tartaglia, un trattato ineccepibile dal punto di vista
dell’aderenza alla realtà sensibile e del rispetto della razionalità
deduttiva. Un’opera che contiene proposizioni vere che riguardano
oggetti veri e reali.
È naturale, allora, che per Tartaglia gli Elementi potessero costituire un testo di riferimento sicuro e fondamentale su cui basarsi
per dedurne le conoscenze matematiche utili e necessarie per risolvere i problemi pratici che la sua poliedrica attività lo portava
ad affrontare. Ed è naturale quindi che per Tartaglia il Trattato euclideo fosse il libro di testo a cui fare riferimento nel suo pubblico
insegnamento.
L’insegnamento di Euclide in N. Tartaglia
19
A questo punto è però giusto, naturale e opportuno rilevare
anche che l’immagine che oggi abbiamo della matematica e delle
sue categorie conoscitive è ben diversa da quella che poteva avere
Tartaglia3 e quindi ben diverso è il giudizio che siamo portati a
dare del Trattato euclideo.
Tuttavia, a parere di chi scrive, la lezione euclidea degli Elementi è particolarmente preziosa come ispirazione e metodologia
da seguire nell’attività di educazione matematica.
In buona sostanza quello che viene suggerito è di prendere
per mano l’allievo, il discente, e partendo da ciò che vede, da quelle
cioè che sono le sue esperienze più semplici e naturali, condurlo
a una procedura di razionalizzazione e matematizzazione della
realtà. Si tratta di una procedura che procede per gradi, attraverso
una strategia di astrazione, generalizzazione e conseguente concettualizzazione, che si ripete a spirale passando successivamente dai
contenuti percepiti alle strutture che tali contenuti formalizzano.
È questa una lezione sulla quale la moderna riflessione riguardante le problematiche legate all’insegnamento e apprendimento
della matematica ha largamente meditato, portando a numerose e
diverse conclusioni teoriche e anche a concrete proposte operative.
Non è questa la sede propria per esaminare il vasto panorama
di progetti e sperimentazioni didattiche che si sono susseguiti su
questi temi. Tuttavia, alla luce di tali considerazioni, può non apparire peregrina la decisione del Ministro Coppino che nel 1867,
su suggerimento di Luigi Cremona, introduceva il Trattato degli
Elementi come libro di testo nelle Regie Scuole del ginnasio e del
liceo. E le motivazioni per questa decisione non appaiono molto
diverse da quanto fino a qui esaminato e concluso. Infatti dato che
“…finalità dell’insegnamento della matematica è offrire… un mez-
3
Ricordiamo, per esempio, il celebre aforisma con cui Bertrand Russel nel
1901 definiva scherzosamente la matematica come disciplina “in cui nessuno
sa di cosa si parli, né se ciò che si dice sia vero”.
Mario Marchi
20
zo di cultura intellettuale, una ginnastica del pensiero… che serve
di lume per distinguere il vero da ciò che ne ha soltanto l’apparenza,
gli Elementi di Euclide appaiono come il più perfetto modello di
rigore geometrico”4. E ancora “…il metodo euclideo… appare come il più proprio per creare… l’abitudine al rigore inflessibile del
raziocinio…”.
Va detto, per la verità, che già nel 1870, col procedere degli
studi sulla Critica dei Fondamenti della matematica, si comincia
a diventare coscienti dei difetti presenti negli Elementi (si tratta
degli stessi motivi di “disturbo” ai quali si è dianzi alluso) e quindi
il Trattato euclideo non viene allora più imposto come libro di testo.
Rimane tuttavia alta l’attenzione al metodo della purezza geometrica e del ragionamento rigoroso, proprio del l’indirizzo euclideo,
metodo che si trasmette e dura fino ai nostri giorni. E rimane, nella
storia del pensiero matematico, la presenza di un Trattato sul quale,
per circa duemila anni (dal 300 a.C. a circa il 1700) si sono formate
intere generazioni di matematici, scienziati e tecnici del mondo
occidentale.
Va dunque ascritto a merito di Niccolò Tartaglia se, anche grazie alla sua opera di insegnante e di pubblicista, nonché di editore,
svolta a partire dal 1543, la conoscenza del Trattato euclideo si è
estesa nel mondo culturale e scientifico, diventando sempre più feconda e preziosa.
4
Programmi di insegnamento per la Riforma Coppino, 1867.
INDICE DELLE TAVOLE
(Le opere qui segnalate si trovano quasi tutte nella Biblioteca
di Storia delle Scienze «C. Viganò», situata nella sede di Brescia
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore).
I – Effige di Niccolò Tartaglia cinquantenne che compare sul frontespizio del suo scritto intitolato “Travagliata inventione” (Venezia
1551).
II – Frontespizio della Parte Prima (Venezia 1556) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
III – Frontespizio della Parte Seconda (Venezia 1556) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
IV – Frontespizio della Parte Terza (Venezia 1560) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
V – Frontespizio della Parte Quarta (Venezia 1560) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
VI – Frontespizio della Parte Quinta (Venezia 1560) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
VII – Frontespizio della Parte Sesta (Venezia 1560) del “General
trattato” di N. Tartaglia.
VIII – Frontespizio della riproduzione moderna (Lisbona 1946, vol.
VI) di una delle “Opere” di Pedro Nuñes intitolata Libro de algebra
en arithmetica y geometria (ed. orig. Anversa 1567).
22
Tavole
IX – Pagina dell’edizione critica moderna del “Libro de algebra en
arithmetica y geometria” di Pedro Nuñes in cui si parla delle importanti acquisizioni matematiche conseguite da N. Tartaglia.
X – Frontespizio della Prima Parte della prima edizione de “L’arithmetique de Nicolas Tartaglia” (Parigi 1578): si ha qui la traduzione-riduzione della Parte Prima del “General trattato” tartagliano,
con l’aggiunta di alcune note da parte di G. Gosselin.
XI – Frontespizio della Seconda Parte della prima edizione de
“L’arithmetique de Nicolas Tartaglia” (Parigi 1578): si ha qui la
traduzione-riduzione della Parte Seconda del “General trattato” tartagliano, con l’aggiunta di alcune note da parte di G. Gosselin.
XII – Frontespizio della Parte Prima (Venezia 1592) di una riedizione tartagliana comprendente i Libri I-VII della corrispondente
Parte I del “General trattato”.
XIII – Frontespizio della Parte Seconda (Venezia 1593) di una riedizione tartagliana comprendente i Libri VIII-XVII della corrispondente Parte I del “General trattato”.
XIV – Frontespizio di un’opera intitolata Scelta d’abbaco (Venezia
1596) riproducente i Libri VIII-XVII della Parte I del “General
trattato” di N. Tartaglia.
Tavole
23
Tav. I Effige di Niccolò Tartaglia cinquantenne che compare sul frontespizio
del suo scritto intitolato “Travagliata inventione” (Venezia 1551).
24
Tavole
Tav. II Frontespizio della Parte Prima (Venezia 1556) del “General trattato” di
N. Tartaglia.
Tavole
25
Tav. III Frontespizio della Parte Seconda (Venezia 1556) del “General trattato”
di N. Tartaglia.
26
Tavole
Tav. IV Frontespizio della Parte Terza (Venezia 1560), comparsa postuma, del
“General trattato” di N. Tartaglia.
Tavole
27
Tav. V Frontespizio della Parte Quarta (Venezia 1560), postuma, del “General
trattato” di N. Tartaglia.
28
Tavole
Tav. VI Frontespizio della Parte Quinta (Venezia 1560), postuma, del “General
trattato” di N. Tartaglia.
Tavole
29
Tav. VII Frontespizio della Parte Sesta (Venezia 1560), postuma, del “General
trattato” di N. Tartaglia.
30
Tavole
Tav. VIII Frontespizio della riproduzione moderna (Lisbona 1946, vol. VI) di
una delle “Opere” di Pedro Nuñes (Petrus Nonius) intitolata Libro de algebra
en arithmetica y geometria (ed. orig. Anversa 1567).
Tavole
31
Tav. IX Pagina dell’edizione critica moderna del “Libro de algebra en arithmetica y geometria” di Pedro Nuñes in cui si parla delle importanti acquisizioni
aritmetiche, geometriche e algebriche conseguite da N. Tartaglia.
32
Tavole
Tav. X Frontespizio della Prima Parte della prima edizione de “L’arithmetique
de Nicolas Tartaglia” (Parigi 1578): come si dichiara nel lungo titolo, si ha qui
la traduzione-riduzione dei diciassette capitoli della Parte Prima del “General
trattato” tartagliano, con l’aggiunta di alcune note da parte di Guillaume Gosselin. Una seconda edizione dell’opera comparirà a Parigi nel 1613.
Tavole
33
Tav. XI Frontespizio della Seconda Parte della prima edizione de “L’arithmetique de Nicolas Tartaglia” (Parigi 1578): si ha qui la traduzione-riduzione degli
undici capitoli della Parte Seconda del “General trattato” tartagliano, con l’aggiunta di alcune note da parte di G. Gosselin.
34
Tavole
Tav. XII Frontespizio della Parte Prima (Venezia 1592) di una riedizione tartagliana curata da Gerolamo Giovannini Capugnano, Domenicano, comprendente
i Libri I-VII della corrispondente Parte I del “General trattato”.
Tavole
35
Tav. XIII Frontespizio della Parte Seconda (Venezia 1593) di una riedizione
tartagliana curata da Gerolamo Giovannini Capugnano comprendente i Libri
VIII-XVII della corrispondente Parte I del “General trattato”.
36
Tavole
Tav. XIV Frontespizio di un’opera intitolata Scelta d’abbaco (Venezia 1596) riproducente i Libri VIII-XVII della Parte I del “General trattato” di N. Tartaglia.
PIERLUIGI PIZZAMIGLIO*
LETTURA DEL
“GENERAL TRATTATO
DI NUMERI ET MISURE”
DI NICCOLÒ TARTAGLIA
DA PARTE DI ARNALDO MASOTTI
INTRODUZIONE
Nel 1556, cioè nel suo penultimo anno di vita, Niccolò Tartaglia1 (1500c.-1557) riuscì a metter mano all’edizione della sua
opera maggiore, che però non riuscirà né a completare né a pubblicare integralmente, ma alla quale diede comunque il seguente
titolo: General trattato di numeri et misure, d’ora in avanti sovente
citato con la sola sigla GT.
A quest’opera nella sua integralità usualmente viene assegnata la seguente indicazione bibliografica: Venezia 1556-1560, in-fo,
parti 6 per un totale di 711 pagine; ma vedremo quanto più complessa sia in effetti la determinazione degli elementi che la configurano storicamente.
* Docente e Direttore della biblioteca di storia delle scienze “C. Viganò”
nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia; Accademico dell’Ateneo di Brescia.
1
Tra le più recenti biografie riguardanti specificatamente il matematico cinquecentesco d’origini bresciane N. Tartaglia si possono prendere in considerazione le seguenti: A. MASOTTI, Niccolò Tartaglia, in Storia di Brescia, Brescia,
Morcelliana, 1964, v. III, p. V, pp. 597-617; A. MASOTTI, Tartaglia (also Tartalea
or Tartaia), Niccolò, in Dictionary of Scientific Biography, a cura di C.C. Gillispie,
New York, C. Schribner’s Sons, 1980, v. 13, pp. 258-262; G.B. GABRIELI, Nicolò
Tartaglia. Una vita travagliata al servizio della matematica, Brescia, Queriniana,
1997, pp. 143.
Pierluigi Pizzamiglio
38
Il grande trattato, comparso per la verità in buona parte postumo e postdatato dall’editore, si articola dunque in sei parti –
riguardanti le principali discipline matematiche del tempo (aritmetica, geometria, algebra) – nelle quali in maniera originale viene
rielaborata, ampliata e approfondita la matematica antica e medievale.
Il prof. Arnaldo Masotti (1902-1989), cui si deve il merito
d’aver dato un impulso nuovo e significativo sia agli studi tartagliani 2 sia alla riedizione critica di alcune delle opere tartagliane3
– indirizzato su quella via dall’Ateneo di Brescia4 che a sua volta
era stato sollecitato a tal riguardo dal Socio ing. Carlo Viganò
(1904-1974) – aveva ovviamente già avviato anche lo studio del
General trattato di N. Tartaglia in vista dell’edizione critica del testo originale.
2
Una quasi completa trascrizione – opportunamente rielaborata, integrata
e aggiornata – dell’archivio masottiano viene gradualmente riprodotta in un omonimo “Archivio Tartaglia” collocato nell’ambito del Sito Internet della Biblioteca
di Storia delle Scienze “Carlo Viganò” della sede bresciana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: cfr. http://www.bibliotecavigano.it/.
3
Cfr. Ateneo di Brescia, Quarto Centenario della morte di Niccolò Tartaglia.
Convegno di Storia delle Matematiche (30-31 maggio 1959), Atti del Convegno,
a cura di A. Masotti, Brescia, Supplemento ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia per il 1960», 1962, pp. XI, 174 e figg. f.t., mentre gli scritti di A. Masotti
intitolati Niccolò Tartaglia e i suoi «Quesiti» e Rarità Tartagliane sono comparsi
anche come estratti in un volume a parte col titolo Studi su Niccolò Tartaglia,
Brescia, Ateneo, 1962; N. Tartaglia, Quesiti et inventioni diverse (Venezia 1554),
a cura di A. Masotti, Brescia, Supplemento ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia per il 1959», 1959, pp. LXXXV con figg. f.t. e cc. 128; L. Ferrari e N. Tartaglia, Cartelli di sfida matematica (1547-1548), a cura di A. Masotti, Brescia,
Supplemento ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia per il 1974», 1974, pp.
CXCIII con figg. f.t., 202.
4 Cfr. P. PIZZAMIGLIO, L’Ateneo di Brescia e Niccolò Tartaglia, in L’Ateneo di
Brescia e la storia della scienza – I (Atti del Convegno: Brescia, 20-21 Ottobre
1985), Brescia, Supplemento ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno
1985», 1986, pp. 87-105.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
39
Il lavoro di ricognizione storiografica effettuato dal prof. A.
Masotti si è attuato in pratica anzitutto come recupero di quanto
intorno al General trattato e alle sue singole sei parti è stato scritto
da parte di diversi studiosi, dal Cinquecento sino ai tempi moderni5;
in secondo luogo individuando tutti quei riferimenti cronologici, di
persone e terminologici che configurano diacronicamente e sincronicamente la grande impresa scientifico-didattica tartagliana; indagando infine, sulla scorta degli studi tartagliani già allora disponibili, la struttura e alcune tematiche salienti che articolano ciascuna delle sei parti in cui il GT si presenta configurato.
Le tre or ora nominate componenti della ricognizione masottiana intorno al monumentale trattato tartagliano costituiscono altrettanti paragrafi dello studio che qui presentiamo, precisando solo
che assai limitate sono state le aggiunte da parte nostra al puntuale
e metodico lavoro effettuato a suo tempo dallo stesso A. Masotti.
FORTUNA STORIOGRAFICA DEL “GENERAL TRATTATO”
1554. La storia, anzi la preistoria, dell’edizione tipografica
del General trattato di numeri et misure di Niccolò Tartaglia inizia
nel 1554 con la supplica da lui inoltrata al Senato di Venezia6 per
ottenere licenza di stampa, e i relativi privilegi per la durata di
5
Sento il dovere di ringraziare a questo punto tutti i miei collaboratori, che,
con estrema pazienza e metodicità, hanno realizzato la trascrizione elettronica dei
manoscritti di A. Masotti: su quell’immenso lavoro si basa questa mia ricognizione,
così come di esso mi ero avvalso per preparare il saggio: Niccolò Tartaglia
(1500ca.-1557) nella storiografia, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti
di Modena, «Atti e Memorie – Memorie scientifiche, giuridiche, letterarie», s.
VIII, v. VIII (2005), fasc. II, pp. 443-453 (estr. Modena, Mucchi, 2005).
6 Tutta la documentazione relativa all’edizione del capolavoro tartagliano
si trova nell’Archivio di Stato di Venezia, sia nella Filza n. 21 del Senato, Deliberazioni di Terra del 1554, sia nel Registro n. 40 del Senato, Deliberazioni
di Terra del 1555/556, cc. 28r e 29r.
Pierluigi Pizzamiglio
40
vent’anni, delle due parti di cui era allora costituita una sua «grande opera».
Il 18 aprile 1554 il Consiglio dei Dieci (avendo ricevuto l’assenso da parte dei Riformatori dello Studio di Padova) espresse un
giudizio favorevole alla pubblicazione dell’opera; ma il vero e proprio permesso di stampa, con i privilegi, venne concesso il 14 maggio del 1555.
1556. In effetti poi le due prime parti del GT comparvero a
stampa nel 1556. Nella Dedica della Parte Prima il Tartaglia dichiara che l’idea di questo manuale gli era balenata in testa otto
anni prima (cioè nel 1548), ma le peripezie e gli impegni anche
editoriali derivatigli dalla celebre “disputa” matematica con Ferrari/Cardano gli avevano fatto ritardare il lavoro o, più esattamente,
«la gran manifattura»; dichiara altresì d’aver ormai suddiviso la
sua «così longa fatica» precisamente «in sei parti distinte, per causa della diversità dei suoi soggetti».
1557. Nell’Archivio Notarile di Venezia esiste un documento
(Filza 168. VII; N. 119) contenente il testamento7, sottoscritto il
venerdì 10 dicembre 1557, che inizia con la dichiarazione: «Io Nicolo Tartaia Dottor di Mathematice... ritrovandomi hora in letto aggravato da molto male, ho deliberato ordinar i fatti miei».
Ciò che N. Tartaglia lasciava ai suoi eredi, e tra questi anche
al libraio e tipografo Curzio Troiano Navò ovvero a «Troian Navò
librer all’insegna del Lion» (che viene nominato anche «commissario et executor di questo mio ultimo testamento»), erano soprattutto libri e in specie esemplari diversi delle sue opere, che ancora
conservava presso di sé invendute, e in particolare egli dichiarava:
«Io mi attrovo libri del mio general trattato de numeri et misure p.a
(prima) 2.da (seconda) 3.a (terza) et 4.a (quarta) parte [...]».
7
Cfr. Testamento inedito di Niccolò Tartaglia, pubblicato da B. Boncompagni, Milano, U. Hoepli, 1881.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
41
Come si sa Niccolò Tartaglia morì nella notte tra il lunedì 13
e il martedì 14 dicembre 1557.
Tre giorni dopo la sua morte, cioè il giovedì 16 dicembre 1557,
il notaio, su richiesta dell’esecutore testamentario Curzio Troiano
Navò, redasse l’inventario8 dettagliato dei libri posseduti dal Tartaglia; nel giorno immediatamente successivo stenderà anche quello dei mobili e degli indumenti.
Ma a noi interessa l’ultima inventariazione dei libri che erano
presso il Tartaglia, perché in essa si legge: «107 opere del Tartaia
de numeri o misure parte prima et seconda; 150 della terza parte;
150 della quarta parte in foio [...]».
Dal testamento e dall’inventario dei beni librari di N. Tartaglia
risulta quindi che a fine 1557 egli possedeva copie non solo delle
Parti I e II del suo General trattato, che erano state edite da Curzio
Troiano Navò nel 1556, ma anche diverse copie delle Parti III e
IV, che invece risulterebbero edite nel 1560.
Ad Antonio Favaro9 questa circostanza ha fatto pensare che
ci troviamo di fronte a uno di quegli artifici editoriali – che si sa
essersi realizzati sovente nel ’500 – che nel nostro caso sarebbe
consistito nella sostituzione per le Parti III e IV dell’originale frontespizio e del colophon e di qualche altra pagina (datati originariamente 1556 o anche 1557, come effettivamente appare nel colophon della Parte IV, che assegna la stampa a Comin da Trino e
appunto all’anno 1557) con nuove pagine, riproducenti la datazione
postuma del 1560, come mostrano la maggior parte degli esemplari
superstiti.
8
Cfr. Frammenti di nuove ricerche intorno a Nicolò Tartaglia, comunicazione di V. Tonni-Bazza, estr. «Atti del Congresso internazionale di scienze storiche» (Roma 1903), vol. XII, Sez. VIII, Roma, Tipogr. della R. Accademia dei
Lincei, 1904, pp. 7-8 (297-298).
9 Cfr. A. FAVARO, Intorno al testamento inedito di Niccolò Tartaglia pubblicato da D.B. Boncompagni, comunicazione (18 dicembre 1881) di A. Favaro,
Padova, G.B. Randi, 1882, pp. 32-35.
42
Pierluigi Pizzamiglio
1559. Dopo la morte di N. Tartaglia, l’editore Curzio Troiano
dei Navò chiese il permesso di stampare, in un unico volume, le
altre quattro parti, cioè dalla terza alla sesta, del GT.
Il nullaosta gli venne concesso in data 19 gennaio 1559: curiosamente l’imprimatur ecclesiastico, in data 22 gennaio 1559,
venne sottoscritto dall’Inquisitore Felice Peretti di Montalto (il futuro Papa Sisto V) il 29 luglio 1559 e inoltre l’editore ottenne dal
Consiglio i diritti di pubblicazione per venti anni (cioè sino al 1579)
riguardo alle suddette quattro ultime parti del GT.
Ma già in precedenza, in data di Bruxelles del 14 agosto 1556
(il Tartaglia era allora ancora in vita), lo stampatore Curzio Navò
aveva ottenuto un privilegio ventennale di stampa dei «libri di Nicolò Tartaglia sull’Aritmetica e Geometria, il general trattato di numeri et misure» dal Re di Spagna Filippo II per tutti i suoi (immensi) domini.
1567: Pedro Nuñez (Petrus Nonius), Libro de algebra en arithmetica y geometria, Anversa, En casa de la Biuda y herederos
de Iuan Stelsio o En casa de los herederos d’Arnoldo Birckman,
1567; cc. (16), 341, (2): «El autor desta obra, a los lectores» (cc.
323v-314r; ma nell’indice risultava intitolata: «Carta a los Lectores, la qual es censura de la Algebra de Nicolao Tartalla, vieja
y nueva»).
Si veda anche l’edizione critica patrocina dall’Accademia delle Scienze di Lisbona: P. Nuñes, Obras, vol. VI (Lisbona 1950, ma
1946), pp. XXXIV, 504: «Libro de Algebra», pp. VII-XXXIV, 1412: cfr. epilogo «El autor desta obra, a los lectores» (pp. 393-412;
nell’indice, p. XXXIII: «Carta a los Lectores, la qual es censura
de la Algebra de Nicolao Tartalla, vieja y nueva»); pp. 422, 432,
437, 441, 451, 464-467 (note di J. De Carvalho) e pp. 497-498
(note di V. H. Duarte de Lemos).
Nel suo lungo “Epilogo” il Nuñes presenta, sovente invero criticandoli, diversi risultati algebrici, aritmetici e geometrici di N.
Tartaglia; in particolare sembra riferirsi al GT quando scrive: «Nicolao Tartalla muy gran maestro de cuenta y buen Geometra, noto
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
43
los yerros de entrambos, en los libros que compuso, y despues de
su muerte, vino al presente un libro, que en su casa se hallo, en
el qual separadamente trata de Algebra» (e. 1950, p. 393, ll. 2427). Cfr. Masotti, Rarità, p. 128 e nota 31 (p. 148).
1578 e1613: L’Arithmetique de Nicolas Tartaglia Brescian, grand
mathematicien et prince des practiciens. Divisée en deux parties …, traduzione francese dall’italiano con aggiunte a cura di Guillaume Gosselin de Caen, Paris (e Anversa, C. Plantin), Gilles Beys au Lis Blanc,
1578; voll. 2 in uno. Seconda edizione: Paris, Adrien Périer, 1613.
Come si dichiara nel titolo, si ha qui la traduzione-riduzione
delle prime due parti del GT tartagliano, con l’aggiunta di alcune
note da parte del Gosselin.
L’opera risulta dedicata dal curatore francese alla Principessa
Margherita di Francia, Regina di Navarra; a proposito di Tartaglia
il Gosselin scrive: «Un Autheur qui a esté le plus fameux Arithmeticien, voir ie dy Mathematicien de toute l’Europe, lequel i’oze sans
contredit appeler Prince des Arithmeticiens Praticiens: c’est ce
grand Tartaglia, le los et renom duquel c’est espandu par toute l’Italie, de l’Italie est venu en nostre France, et de la France a vollé
par tout l’univers».
Nuovi encomi al Tartaglia il Gosselin scrive nella sua Prefazione. Altre lodi al Tartaglia e al curatore Gosselin risultano espresse in alcune poesie annesse a quest’edizione, una delle quali, in
greco, venne scritta da Nicola Goulu (1530-1601), che definisce il
Tartaglia come «bresciano euclide».
Cfr. Masotti, Rarità, pp. 127-128 e note 28 e 29 (p. 147) e
tavv. XVIII e XVIII.
1592-1593: Tutte l’opere d’arithmetica del famosissimo Nicolò
Tartaglia. Nelle quali in XVII libri con varie prove & ragioni mostrasi
ogni pratica naturale & artificiale; i modi & le regole degli Antichi
& Moderni usate nell’arte mercantile; & ove interviene calculo, pesi,
denari, tariffe, calmeri, baratti, cambi di banchieri e di fiere, saldi,
sconti, giuochi, traffico di compagnie, compre, vendite, portar mercantie da un paese all’altro, convertir monete, congiungimento di
44
Pierluigi Pizzamiglio
metalli, & opere dè zecchieri. Sopra le qual cose tutte, formansi bellissimi quesiti, & si sciolgono le difficoltà, con ugual chiarezza &
diligenza, per utile rilevato de i mercanti & tesorieri, à Capitani e
Matematici & Astrologhi, &c., Venezia, all’Insegna del Leone [i. e.
eredi di Curzio Troiano Navò], 1592-1593; voll. 2 in uno.
In effetti quest’opera – curata da Fra Gerolamo Giovannini
Capugnano, Domenicano, e che contiene anche un ritratto di N.
Tartaglia – comprende solamente i 17 Libri (I-VII e VIII-XVII) che
costituiscono la Parte Prima del General Trattato.
1596: Compare anonima la Scelta d’abbaco, ridotta dal famosissimo Nicolo Tartaglia – Dal VIII sino al XVII Libro. Nelli quali
libri si contiene il fiore di tutte le ragioni per imparare abbaco. Nel
VIII si contiene la regola del tre, con pruove ragioni mostrasi ogni
prattica tratta da gli antichi, e moderni, usate nell’arte mercantili.
Nel VIIII Libro Compre, Vendite, misure, & Guadagni. Nel X Colli
de panni, lane, con la regola del V il modo de dare Calamieri à Pistori. Nel XI saldar conti, meriti, tirar in resto con facilità ritrovata
dal presente. Nel XII comparare il modo di saldar varie & diverse
questioni che possono occorrere. Nel XIII delli baratti, in tutti quelli
modi, che possono fra mercanti occorrere, con realissima probatione,
d’ogni sorte di baratto. Nel XIIII il modo di saper ogni sorte de
Cambi, & il modo di formarle il tempo delle lettere per ogni parte
del Mondo. Nel XV è il modo di ligar ogni Metalli, & conservar minere, in tutti quei modi, che sia potuto immaginare. Nel XVI s’indica
anco ra varie & diverse Ragioni stravacante, con il modo di fare
molti ammirativi, & altre cose bellissime. Nel XVII delle regole, &
specie della doppia & falsa oppositione. Cosa utilissima, à chi desidera imparar ogni sorte de Conti, Venezia, all’insegna del Lion,
1596; cc. (2), 283.
Dedicata a Cesare Carafa, risulta essere opera rarissima: cfr.
Riccardi, Agg. I, c. 7 e Agg. V, c.159; Masotti, Rarità, p. 120 e
nota 2 (p. 140) e Tav. XV.
1598: Giuseppe Unicorni, De l’arithmetica universale, Venezia, Francesco dè Franceschi, 1598; parti 2 in un tomo.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
45
Cfr. menzioni dal GT di N. Tartaglia: Parte I, Libro II, cc. 84v85r («Regola trovata da Nicolo Tartalea Bressano per saper trovar
in quanti modi può variar il gettar di qual quantità de dadi si voglia»), e Parte I, Libro IV, c. 204rv («Caso decimoquarto proposto
anchora dal Tartaglia: Uno padre haveva alquanti figlioli & fece testamento…») e anche Parte II, Libro V, cc. 221r («Del trovar il
precio delle gioie secondo Nicolo Tartaglia. Quesito trentesimo») e
cc. 221r-222r («Quesito trentesimosecondo estratto dal Tartaglia»).
Cfr. Masotti, Rarità, n. 34 (pp. 148-149).
(1600c.): Bernardino Baldi – «1567. Nicolò Tartaglia … finalmente scrisse due gran volumi, ne quali raccolse tutto quello
che s’appartiene a una compita specolatione e pratica delle cose
dell’Aritmetica e della Geometria» (B. Baldi, Cronica dè matematici
ovvero Epitome dell’istorie delle loro vite, Urbino, A.A. Monticelli,
1707, p. 133).
1612: Claude Gaspard Bachet de Meziriac, Problèmes plaisants et délectables, qui se font par les nombres, Lione, Pierre Rigaud,
1612; pp. (16), 172.
Altre edizioni: Lione 1624; Parigi 1884 (a c. di A. Lasbone);
Paris 1905; Parigi 1959.
Nell’edizione di Lione 1624, alle pp. 204 e 245, vi è un rinvio
a N. Tartaglia, GT, Parte I (Venezia 1556), rispettivamente al Libro
XVI, Problema 150, c. 258v («Molti pratici hanno proposta una
questione simile a questa, precisamente dicendo una donna in mercato haveva un cesto di ovi…») e al Libro XVII, Problemi 43 (c.
277r) e 44 (c. 277v).
1618: Pietro Antonio Cataldi, Regola della quantità o cosa di
cosa, Bologna, Sebastiano Bonomi, 1618: questo scritto, riguardante problemi risolubili algebricamente, menziona (pp. 28-32) anche
taluni esempi proposti da N. Tartaglia nel suo GT, Parte I (Venezia
1556): Libro XVI, Problemi 120 (c. 254v), 121 (c. 254v-255r), 122
(c. 255r), 125 (c. 255r), 126 (c. 255r), 127 (c. 255r), 128 (c. 255r);
Libro XVII, Problema 44 (c. 277v).
46
Pierluigi Pizzamiglio
1633: Diego López de Arenas, Breve compendio de la carpinteria de lo blanco, y tratado de alarifes, con la conclusion de la
regla de Nicolas Tartaglia, y otras cosas tocantes a la ierometria y
puntas del compas, Siviglia, Luis Estupiñan, 1633, con menzioni
del Tartaglia a cc. 48, 50, 50v, 52v.
Cfr. Masotti, Rarità, p. 148, nota 32 e Tavola XXII; l’opera
conobbe diverse altre edizioni a Siviglia 1727 e a Madrid 1807,
1867, 1912.
Si veda anche: Diego López de Arenas, Carpintería de lo blanco y tratado de alarifes y de relojes de sol (1633), Madrid, Hijos de
R. Álvarez, 1912, pp. XXXIV, 191, con una significativa citazione
del Tartaglia sulla quadratura del cerchio nel Cap. XXVI, pp. 8687 (cc. 48r-v dell’e. 1633): «Y a otro modo de quadrar un circulo,
que assi [lo pone] Alberto Durero, y Carlos Bobilo, y el cardenal
de Cuça y Iuan de Arfe y Nicolas Tartalia», e prosegue esponendo
quanto il Tartaglia dice proprio nel GT, Parte IV, Libro I, Cap. VI,
num. 8, cc. 22r-v («Ma per non lasciar di narrar quanto nella quadratura del detto cerchio ho trovato scritto …»); il López conclude
dicendo «y esto es hablando natural y no matematicamente».
(1640c.): un manoscritto di Brescia, che si trova nella Biblioteca
Civica Queriniana, s’intitola Della geometria prattica parte 3a chiamata stereometria ovvero solidometria, cc. (6), 68, (2); in conclusione
una più moderna mano ha annotato «Opera de N. Tartaglia».
Il testo venne donato nel 1958 all’istituzione bresciana dal
matematico bresciano prof. Tullio Viola; benché a parere dei vari
studiosi che lo hanno visto sia stata negata la paternità tartagliana,
non si può negare il riferimento a scritti e ricerche di N. Tartaglia
(per es. vi è un problema a c. 10, dove è trattata la moltiplicazione
del cubo, che richiama il GT, Parte V, cc. 45v-46r), e inoltre ne è
stata ipotizzata la data di redazione nella prima metà del sec. XVII.
Cfr. Masotti, Rarità, pp. 130 e 131 e note 42-44 (pp. 151-152).
1641: Salvatore Grisio della Cava, Antanalisi a Quesiti stampati nell’analisi di Benedetto Maghetti, opera algebrica, Roma,
Francesco Cavalli, 1641, pp. (4), 144, (4).
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
47
Come si evince dal titolo, diedero occasione a questo libro
critico di analisi algebrica due opuscoli pubblicati nel 1638 e nel
1639 da Benedetto Maghetti, medico in Ancona.
Il Grisio menziona il Tartaglia in diversi luoghi: pp. 1, 17, 3536, 74, 78-79, 107; cfr. A. Masotti, Rarità Tartagliane, in Studi su
Niccolò Tartaglia, Brescia 1962, p. 149, Nota 34 (segnalazione inviata al prof. A. Masotti dall’ing. C. Viganò il 10 giugno 1958).
1682: Isaac Bullart, Academie des sciences et des artes: contenat les vies & les eloges historiques des hommes illustres qui ont excellé en ces professions depuis environ quatre siècles parmy diverses
nations de l’Europe, Bruxelles e Amsterdam, par l’autheur – par
les heritiers de D. Elzevier, 1682, voll. 2 in uno.
Si veda in particolare il t. 2, l. IV, n. XVI, pp. 293-294, ove
viene riprodotto un ritratto di N. Tartaglia (quello che compare sul
frontespizio della Travagliata inventione, ma con aggiunta la mano
destra adagiata su un foglio, recante i disegni di due sfere armillari,
poggiato a sua volta su un tavolo che reca una squadra geometrica,
una penna e un calamaio) e una sua breve biografia.
A parte il nome di «Nicolas Tartaglia ou Tartalea», la nota
biografica contiene diverse inesattezze o comunque variazioni interpretative: infatti non accenna affatto alla povertà delle origini e
alle difficoltà da lui incontrate, magnificando invece le opportunità
che la patria gli offrì al fine di conseguire un’eccellente preparazione matematica; dice che Tartaglia insegnò per molti anni in molte
città d’Italia e che negli ultimi suoi anni «se mit à travailler pour
la posterité» dedicandosi alla pubblicazione delle sue lezioni e dei
risultati che aveva conseguiti «dans le secret de son estude». Frutto
di tale lavoro sarebbe stata un’opera in tre volumi dedicati rispettivamente all’Aritmetica, alla Geometria e all’Algebra; ai quali si
deve aggiungere un Commento a Euclide, «tres-estimé de tous les
doctes», che sarebbe comparso a Venezia nel 1556. Il Tartaglia sarebbe morto due anni dopo, cioè nel 1558.
Questa breve nota biografica compare riprodotta praticamente
identica in un’opera di L. Moreri del 1692 (v.).
48
Pierluigi Pizzamiglio
1690 (ed. II): Claude-François Milliet De Chales o Dechales,
Cursus seu Mundus Mathematicus, universam mathesin quatuor tomis complectens, e. II a cura di Aimé Varcin s.j. (1630-1702), Lione,
Apud Anissonios – Joan. Posuel & Claud. Rigaud, 1690, voll. 4.
Tre importanti menzioni di N. Tartaglia, e in specie del GT,
trovansi nel Tractatus proemialis, De progressu Matheseos et illustribus Mathematicis (pp. 1-108): Cap. II (“De Progressu Geometriae”), pp. 13-14 («1626 [ma 1526] Nicolaus Tartalea Bressianus
docuit Venetiis; & Geometrica de numeris, & mensuris pluribus
est prosecutus Italicè… [Segue un sommario del GT, Parte III (Libri
1-5), Parte IV (Libri 1-3), Parte V (Libri 1-3)]… Idem author commentarium edidit Italicum in 15 libros Euclidis, in quo praeter demonstrationes clarè explicatas, adjungit aliquas notationes, & explicationes de suo multum a claritatem conferentes. Omnia Tartaleae opera optima sunt, & utilia») e p. 15; Cap III (“De progressu
Arithmeticae”), p. 32 («Anno 1556. Nicolaus Tartaglia Venetus primam partem Arithmeticae Italicae septemdecim libris tradidit, in
quâ habet praxes, & regulas non tantum a negotiationes, sed etiam
a quemcumque calculum spectantes… [Segue un sommario del GT,
Parte I, Libri 1-17]… Opus hoc est absolutissimum & usquequaque
perfectum. Eodem anno secundam partem edidit in undecim libros
divisam… [Segue il sommario del GT, Parte II, Libri 1-11]…
Quamvis habeat praecipuas algebrae difficultates multaque de suo
addat circa illam: non tamen satis methodice procedit ut quis ex
eo solo eam possit addiscere. In sexta parte eiusdem tractatus de
numeris, & mensuris tradit regulam algebrae quam etiam nominat
almucabalam seu regulam cosae quam dicit inventam à Mahometo
filius Moysis Arabe. Sed Diophantum non viderat. Unicum autem
habet librum agitque de regula algebrae. 2. De potestatibus. 3. De
algorithmo, dignitate binomiorum, trinomiorum, de aequationibus,
non tamen omnibus; ulterius enim provecta est hoc tempore algebra. Est tamen optimus algebrista»); Cap. IV (“Progressus Mechanices”), pp. 39 e 40.
Queste notizie bibliografiche vennero trascritte da J.C. Heilbronner nel 1742 (v).
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
49
1692 (ed. VI): Louis Moreri, Le grand dictionaire historique
ou Le melange curieux de l’histoire sacrée et profane, e. sesta:
Utrecht, Francois Halma e Guillaume van de Water; Leida, Pierre
van der Aa; Amsterdam, Pierre Mortier, 1692; voll. 4.
Si veda in particolare nel t. IV, p. 436: «TARTAGLIA ou TARTALEA (Nicolas) savant Matématicien natif de Bresse, dans l’etat
de Venise a vécu dans le XVI Siècle. Il s’appliqua dés sa jeunesse
à l’étude des Mathématiques & en aquit une parfaite connoissance.
Ce savant Homme l’aiant enseignée, pendant plusieurs années, dans
les principales Villes de l’Italie, se mit à travailler pour la posterité
en recueillant sur la fin de ses jours les leçons qu’il avoit dictées à
ses Auditeurs. Il partagea ce riche Recueil en trois grands volumes,
qui contiennent l’Arithmetique, la Géometrie, & l’Algebre. A quôi
il ajoûa un Commentaire sur Euclide tres-estimé de tous les Doctes;
& les fit imprimer de son vivant à Venise l’an 1556. Il mourut deux
ans aprés, fort avancé en âge– *Thuan. Hist. d’Huom. Letter.».
Questa nota biografica è praticamente identica a quella di I.
Bullart, 1682 (v.).
1692 (ed. IV): Giuseppe Maria Figatelli, Trattato aritmetico,
e. quarta, Bologna, Longhi, 1692; pp. (8), 376.
L’opera ebbe varie edizioni: Modena 1664; Venezia 1680; Venezia 1686; Bologna 1692; Venezia 1699; Bologna s.d.; Bologna
1737; Venezia 1738; Venezia 1778; Venezia 1791; Venezia 1797.
Si veda a p. 74, ove presentando diversi modi di utilizzare la
“Regola del tre rovescia” il Figatelli scrive che «questa distintione
o differenza d’operare è insegnata dal non mai a bastanza lodato
Nicolò Tartaglia, nella Prima Parte, Li. 10, Cap. 2, ove insegnando
il modo di far la Tariffa o di dar il Calmiero alli fornari, insegna
anco la sudetta Regola. E molto mi maraviglio, che nissuno di quei
ch’hanno scritto dopo di lui: proponendo simili quesiti: non fanno
distintione alcuna da pane a pane, e pure la pratica fa vedere il
contrario»; e a p. 216, ove si riconosce che il Tartaglia avrebbe
corretto un errore (GT, Parte II, Lib. 1, Cap. 15, Quesito 27) fatto
da molti; e a p. 217, ove si parla di una procedura risolutiva di Fra
50
Pierluigi Pizzamiglio
Luca (Pacioli), censurata dal Tartaglia e da altri, ma approvata dal
Figatelli; e a p. 244, ove si legge testualmente «Vi restaria da provare che questo modo d’estraere le radici e di trovare il Denominatore è fondato nella vera Geometria, e demostrabile per questa
linea divisa in due parti, e posta sopra il triangolo. Ma perché tal
demostratione ricerca fondamento di Geometria, e longhezza di discorso per volerla far capire perciò, con buona gratia, rimetto il studioso Lettore alla Seconda Parte del non mai abbastanza lodato Nicolò Tartaglia; nella quale copiosamente ne discorre, per ciascuna
spectie di radici sino al terzo relato»; e infine a p. 358, ove il Figatelli propone un quesito sull’innalzamento di un argine, annotanto che «questo quesito non è stato proposto né dal Tartaglia (come alcuni si pensano) né da altro Autore, che io sappia».
1741: Jean Paul de Gua de Malves, Recherche du nombre des
racines réelles ou imaginaires, réelles positives ou réelles négatives,
qui peuvent se trouver dans les équations de tous les degrés, «Histoire
de l’Académie Royale des Sciences. Année MDCCXLI. Avec les
Mémoires de Mathématique & de Physique, pour la même Année.
Tirés des Registres de cette Académie. – Memoires», Paris, Imprimerie Royale, 17412, pp. 435-494 e una tavola (la n. 16) di figure.
Viene menzionato il GT, P.I, c. 1v come fonte della notizia del
trasporto dell’algebra dall’Arabia nell’Italia per opera di Leonardo
Pisano (p. 436, n. b); menzione del GT, P.I, c. 1v, per commentare
un passo del Bombelli in lode di Luca Pacioli (p. 439, n. f); alle
pp.440-444 viene raccontata la storia della risoluzione dell’equazione di 3° grado, dalla quale Masotti riproduce anzitutto la seguente considerazione: «Une meilleure preuve encore de sa suffisance, c’est la devise qu’il a mise à la tête de ses ouvrages. On y
voit un lion qui tient dans ses pattes de devante un dragon dont il
se joue, avec ces mots: Non puo nuocer malignità a fortezza»; a
proposito di queste parole del de Gua il Masotti annota che in realtà
ci si riferisce all’impresa editoriale che si trova sul frontespizio del
GT, Parti I e II (1556), e che il motto suona precisamente così:
Noiar non puo malignità a fortezza.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
51
1742: Johann Christoph Heilbronner, Historia matheseos universae, a mundo condito a saeculum P.C.N. XVI, Lipsia, Joh. Fridericus Gleditschius, 1742; pp. (8), 924, (66).
In questo repertorio bibliografico si trovano menzioni di due
opere di N. Tartaglia, e in specie delle parti aritmetiche del GT. E
precisamente: Lib. I, Cap. X (“De praecipuis mathematicis. Ab Urbe condita anno 501 ante Christum natum 252”), p. 266 (“edidit
Archimedem”); Lib. IV, Cap. IV (“De scriptoribus arithmeticae. Ab
anno 1500 usque ad annum 1600”), par. 96, pp. 789-790 [le notizie
bibliografiche qui presentate vennero desunte dal manuale, riedito
nel 1690 (v), di C.-F. Milliet De Chales].
In verità in quest’opera risulta segnalato anche un “manoscritto tartagliano” conservato nella Biblioteca Bodleiana di Oxford:
Lib. II, p. 607, par. 278, n. 3: Nicolaus Tartalea de Numeris & Mensuris. Il prof. A. Masotti10 è giunto alla conclusione che si tratterebbe di un manoscritto in lingua italiana – il cui titolo esatto suona
«Memoria nuova, come si crede di Nic. Tartaglia» (attuale segnatura: Ms Bodl. 584) – contenente appunti redatti dal gentiluomo
inglese Richard Wenthworth, al quale il Tartaglia dedicò anche la
“Prima Parte” (Venezia 1556) del GT.
1746-1754 (ed. II): Christian Wolf, Elementa matheseos universae, ed. seconda, a cura dell’ab. Gaetano Marzagaglia (17161787), Verona, Dionigi Ramanzini, 1746-1754; voll. 5.
Si veda il t. I (1746), ove si accenna all’intitolazione da parte
di R. Cartesio a G. Cardano – ma l’ideazione venne da lui attribuita
a Scipione del Ferro – delle formule risolutive dell’equazione cubica; e anche il t. V (1754). ove nella De praecipuis scriptis mathematicis brevis commentatio vengono brevemente citati sia il tarta-
10
Cfr. A. MASOTTI, Rarità Tartagliane, in «Atti del Convegno: Brescia 3031 maggio 1959», Brescia, Ateneo, 1962, pp. 129-130.
52
Pierluigi Pizzamiglio
gliano GT (p. 21, “Caput II. De Arithmetica”) come pure l’edizione
euclidea tartagliana (p. 23, “Caput III. De Geometria”).
1840: Guillaume (Guglielmo) Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, depuis la renaissance des lettres jusqu’á la fin
du dix-septième siècle, Paris, Jules Renouard et C.ie, 1840, Tome
III, pp. 157-159 («Tartaglia a composé de nombreaux ouvrages, mais
celui où il devait exposer la résolution des équations du troisième
degré et donner ses autres recherches algébriques, n’est pas parvenu
jusqu’à nous [Nota: Dans la dédicace de la sixième partie du general
trattato, l’imprimeur dit qu’il a pu trouver dans les manuscrits de
Tartaglia tous les matériaux de son algèbre; mais cela est inexact,
car cette sixième partie ne contient que le premier livre, qui traite
seulement des problèmes du second degré]. Son grand Traité des
nombres et mesures est un cours complet de mathématiques pures.
L’arithmétique, l’algèbre, la géométrie, les sections coniques, y ont
successivement enseignées. Nous n’en donnerons pas une analyse
détaillée, parce que, aujourd’hui, il n’y a que quelques résultats individuels qui conservent encore de l’intérêt. Nous citerons spécialement le développement du binôme pour le cas de l’exposant entier
et positif: la formule est générale, et l’on doit s’étonner que d’autres
géomètres modernes s’en soient attribué l’honneur [Nota: Cfr. Tartaglia, General trattato, Part II, f. 69-72]. Tartaglia a repris les questions de probabilités que Pacioli avait tenté de résoudre; mais, bien
qu’il ait changé les résultats, il n’en a pas obtenu la véritable solution
[Nota: Cfr. Tartaglia, General trattato, Part I, c. 265: On trouve aussi
quelques problèmes du même genre dans l’arithmétique de Peverone, mais ils sont mal résolus]. Le calcul des radicaux a été perfectionné par Tartaglia: il s’est occupé, comme son élève Benedetti,
de la résolution des problèmes de géométrie à l’aide d’une seule
ouverture de compas [Nota: Cfr. Tartaglia, General trattato, Part V,
f. 63v], et de la construction des équations algébriques. Cet ouvrage
volumineux contient aussi des problèmes sur les maxima et minima
des fonctions algébriques, indépendamment de toute considération
géométrique [Nota: Un de ces problèmes avait été proposé à Tarta-
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
53
glia par Cardan, en voici l’énoncé: “Diviser le nombre 8 en deux
parties, telles que le produit de l’une par l’autre et par leur différence, soit un maximum” (Tartaglia, General trattato, Part V, f. 88v,
n. 12)]. Au reste, Tartaglia n’eut pas le temps de le terminer, et probablement il n’eut même pas le loisir d’en corriger la rédaction. Car
plusieurs parties sont posthumes [Nota: Tartaglia voulait probablement réunir toutes ses découvertes dans l’algebra nova, qu’il avait
annoncée, mais qui n’a jamais paru (Tartaglia, General trattato, Part
V, f. 88v, n. 12)] et l’on y remarque du désordre»
1847 (rist.): Augustus De Morgan, Arithmetical books from the
invention of printing to the present time, London, Taylor and Walton,
1847 (rist.): p. 21 (a proposito della “Parte Prima” del GT scrive:
«Of this enormous book I may say, as that of Pacioli, that it wants
a volume to describe it»).
1857: Pietro Cossali, Scritti inediti, pubblicati da Baldassarre
Boncompagni, Roma, Tipografia delle Belle Arti, 1857: menziona
Tartaglia nell’Elogio di Fra Luca Pacioli a pp. 99 e 101 (a proposito
dell’interesse composto) e a p. 103 (a proposito dell’area del triangolo in termini dei lati); nell’Estratto della Somma di F. Luca, p.
119 (a proposito della divisione a “batello”), pp. 122-124 (a proposito di critiche del Tartaglia al Pacioli), p. 127 (a proposito di
una costruzione grafica della radice cubica, indicata dal Pacioli e
dimostrata dal Tartaglia), pp. 171-173 e 178n e 181-188 (a proposito di problemi di società), pp. 191-195 e 197 e 199-230 (a proposito di problemi di baratto), pp. 231-236 («Quesiti di Tartaglia
sui baratti»), pp. 236-237 («Mercanzie nominate ne’ baratti da Tartaglia»), pp. 237-239 («Quesiti di Tartaglia sui baratti nel libro primo sull’Algebra»), pp. 255n e 256-257 (a proposito «del modo di
recare a un termine più pagamenti»); in particolare poi nelle «Note
sul trattato generale di numeri e misure di Nicolò Tartaglia stampato
in Venezia anno 1556», pp. 289-315.
1861: Catalogue of the mathematical, historical, bibliographical and miscellaneous portion of the celebrated Library of Guglielmo
54
Pierluigi Pizzamiglio
Libri, London 1861, Parte I, p. 74, n. 596 (del GT scrive: «A very
important and scarce book, which is celebrated in the history of
sciences, and which very seldom is found complete»).
1862-63: Baldassarre Boncompagni, Intorno a un trattato d’aritmetica stampato nel 1478 [detto poi “Aritmetica di Treviso”], «Atti
dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei», t. XVI, a. XVI (186263), Roma 1863: citazioni tartagliane alle pp. 325, 327-329 (GT, Parte I, cc. 23rv sulla moltiplicazione “per scachero”, e pure di GT, Parte
I, c. 24v-25r sulle procedure “per columna o tavoletta” e “per crosetta
sive casella”), pp. 402-405 (GT, Parte I, cc. 21r-29r sulle moltiplicazioni “per colonna”, “per crosetta”, “per quadrilatero”).
1870: Pietro Riccardi, Biblioteca matematica italiana dalle
origini della stampa ai primi anni del secolo XIX, Modena, Erede
Soliani, 1870, vol. I, parte II, coll. 505-506, n. 7 («Di quest’opera
rarissima e assai apprezzata [i.e. il GT] è difficile trovare le sei
parti assieme riunite … È questa la più voluminosa e interessante
fra le opere dell’autore. Essa può considerarsi come il più completo
corso di matematiche fino allora pubblicato. Fra le cose più importanti noteremo lo sviluppo del binomio nel caso dell’esponente intiero e positivo, di cui gli stranieri ci hanno tolta la gloria… Meritano pure speciale osservazione il perfezionamento da lui portato
al calcolo dei radicali, alla risoluzione dei problemi geometrici con
una sola apertura di compasso, la costruzione delle equazioni algebriche, e la risoluzione algebrica di problemi relativi a massimi
e minimi. Più interessano la storia della scienza i ragguagli da lui
forniti sulla nota controversia col Cardano relativa alla risoluzione
delle equazioni di 3° grado, e ad analoghe quistioni»).
1879: Antonio Favaro, Intorno alla vita e alle opere di Prosdocimo de’ Beldomandi matematico padovano del secolo XV, “Bullettino Boncompagni” (t. XII, 1879), estr. Roma, Tipografia delle
Scienze Matematiche e Fisiche, 1879, pp. 213.
Il Tartaglia è citato alle pp. 71-73 (luoghi dove N. Tartaglia
nomina «Perdocimo de Beldemandis», cioè: GT, Parte I, Libro II,
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
55
Capp. I e I, c. 3r), e a p. 96 (a proposito della divisione «per batello»
o «per galea»: cfr. GT, Parte I, Libro II, Cap. X, cc. 32r-35r).
1882: Antonio Favaro, Intorno al testamento inedito di Niccolò
Tartaglia pubblicato da D.B.Boncompagni (Padova, 18 dicembre
1881), «R. Accademia di Scienze Lettere e Arti» (Padova), estr.
Padova, G. Brandi, 1882, pp. 40.
Commentando i lasciti testamentari di N. Tartaglia, il Favaro
è il primo a riconoscere che qualcosa non torna confrontando quanto si trova indicato nell’inventario dei beni con le dichiarazioni
dell’editore Curzio Troiano, che era stato designato come esecutore
testamentario e in parte anche beneficiario.
Scrive il Favaro: «Pare a me che altre notizie e ben più importanti ci vengano fornite dal testamento medesimo, per quanto
finora esse non abbiano peranco richiamata l’attenzione di alcuno.
Tenendo parola del fondo delle sue opere che Niccolò Tartaglia
aveva presso di sé, così egli si esprime: “Io mi attrovo libri del mio
general trattato de numeri et misure p. 1.a 2.da 3.a et 4.a parte”. Ora
siccome nel frontespizio di tale opera la prima e la seconda parte
di essa recano la data del 1556, e la terza e la quarta, del pari che
la quinta e la sesta, quelle del 1560, si riteneva che soltanto le prime due fossero state stampate vivente l’autore e le altre quattro fossero postume. Ed in questa credenza confortavano le espressioni
usate da Curtio Trojano dei Navò, stampatore di Venezia, nelle dediche premesse alle dette parti» (pp. 32-33).
Dopo avere in effetti riprodotto un passaggio della dedica alla
Parte IV in cui il Troiano dichiarava d’aver ricevuto mandato dal
Tartaglia di stampare quanto lui aveva scritto ma non era riuscito
a pubblicare, il Favaro soggiunge: «Ora non solo noi rileviamo dal
testamento che così la terza come la quarta parte del “General trattato di numeri et misure” erano già stampate alla morte dell’autore,
ma ne abbiamo conferma piena e amplissima in una nota tipografica
che trovammo alla fine della parte quarta, nota nella quale si legge:
“In Venegia Per Comin da Trino MDLVII” [Nota: Questa nota tipografica non era sfuggita al diligentissimo Pietro Riccardi (Parte
56
Pierluigi Pizzamiglio
I, Volume II, col. 505), ma egli non avvertì le conseguenze che potevano trarsene].
La notizia di questa manomissione operata dall’infedele Curzio Trojano dei Navò è importante non solo perché essa ci accerta
che delle prime quattro parti dell’opera curò la stampa lo stesso
autore, ma ancora perché essa dimostra la capacità a delinquere
dei Navò» (p. 34).
Lo stesso Favaro aggiunge poi anche la notizia che un suo
contemporaneo, «acutissimo matematico», esaminando un esemplare (n. 19779) del General trattato posseduto dalla Biblioteca
Marciana di Venezia notò che le pagine della Parte II in cui il Tartaglia narra le questioni avute con Cardano e Tartaglia erano state
soppresse e inoltre era stata operata una maldestra sostituzione di
pagine; la qual cosa lasciava pensare che «allo scopo di agevolare
lo smercio dell’opera a Milano il genuino racconto del povero morto
sia stato mutilato» (p. 35).
Tutto ciò induce il Favaro a concludere: «Nè ciò basta, che
ancora si fa strada il dubbio che il manoscritto della quinta e della
sesta parte del general trattato, lasciato da Niccolò Tartaglia in mano a Curzio Trojano dei Navò, non sia stato fedelmente e integralmente sotto il suo nome dato alle stampe. Così Curzio Trojano dei
Navò rimeritava Niccolò Tartaglia che col suo testamento avevalo
beneficato» (p. 35).
1883: Antonio Favaro, Notizie storico-critiche sulla divisione
delle aree, «Memorie dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti»
(vol. XXII, 1883), estr. Venezia, Giuseppe Antonelli, 1884, pp. 26.
Sul Tartaglia, a proposito dello studio della divisione delle figure piane, cfr. pp. 23-24, dove sono citati sia i Cartelli (pp. 9495 e 116 dell’ediz. Giordani) sia il GT (Parte V, Libro I, Cap. III,
cc. 6r-7r).
1896: V. Vianello, Luca Paciolo nella storia della ragioneria
– con documenti inediti, Messina, Libreria Internazionale Ant. Trimarchi, 1896, pp. (4), 174.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
57
Citazioni del Tartaglia a pp. 7, 37, 38, 74 (il Tartaglia è citato
per il GT come accusatore del Pacioli, «più severo e più pungente»
del Cardano).
1902: Johannes Tropfke, Geschichte der Elementar-Mathematik, Erster Band, Leipzig, Veit & Comp., 1902: cita il GT varie volte,
a cominiciare da p. 27 ove lo definisce come «dem besten
Handbuche seiner Zeit».
1903: Vincenzo Tonni-Bazza, Frammenti di nuove ricerche intorno a Nicolò Tartaglia, «Atti del Congresso Internazionale di
Scienze Storiche» (Roma 1903), v. XII, sez. VIII, 1904, pp. 293307, estr. Roma, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, 1904,
pp. 17 con ritratto.
Esamina tra l’altro il “manoscritto di Oxford”, che, per quanto
coincida in molti punti col GT e ne differisca in altri, egli ritiene
non autentico: infatti quel testo viene ora attribuito a R. Wentworth.
1904: Giovanni Vacca, Sulla storia della numerazione binaria,
«Atti del Congresso Internazionale di Scienze Storiche» (Roma
1903), v. XII, sez. VIII; estr. Roma, Tip. della R. Accademia dei
Lincei, 1904, pp. 7 (63-67): «Luca Paciuolo nella sua celebre Summa de arithmetica ecc., 1494, f. 97v., propone e risolve il problema
di formare tutti i pesi interi entro dati limiti, col minimo numero
di pesi campioni additivi. Egli trova che i pesi campioni debbono
formare una progressione geometrica di ragione 2. Così per esempio
con cinque pesi campione di 1, 2, 4, 8, 16 libbre rispettivamente
si formano tutti i pesi di libbre intere da 1 a 31. Egli risolve altresì
il problema quando i pesi non siano solo additivi, ma anche sottrattivi, quando cioè si disponga di una bilancia a due piatti. In tal
caso la progressione più conveniente è la ternaria. Così per es. coi
4 pesi di 1, 3, 9, 27 libbre si possono pesare tutte le libbre intere
da 1 a 40 (f. 97r). Nicolò Tartaglia nel suo General Trattato del
1556, e molto più tardi Bachet de Méziriac nelle sue Récréations
Mathématiques, riprodussero gli stessi problemi senza nulla aggiungervi, e senza citarne la fonte. Il sistema di pesi e di misure
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Pierluigi Pizzamiglio
basato sul sistema di numerazione binaria è effettivamente più comodo del sistema decimale» (pp. 3-4 [63-64]).
1909: Girolamo Mancini, L’opera “De corporibus regolaribus”
di Pietro Franceschi detto Della Francesca, usurpata da fra Luca
Pacioli, «Memorie della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze
morali, storiche e filologiche», s. V, v. XIV, 1909, pagine 441-580,
con 12 tavole f.t.
A p. 463 si legge: «Il Tartaglia, General trattato di numeri e
misure, Vinegia, 1556, I, 1b, scrisse che i trattati del Fibonacci non
erano stati impressi, perché fra Luca ne raccolse tutti i fiori, e l’interpose all’opera sua»; e poi a p. 468: «Il Tartaglia, General trattato,
notò almeno 32 errori, e un errore over simplicità di fra Luca, ma
spesso approvò le soluzioni date ai problemi, e il Cossali, Scritti,
315, verificò che s’era appropriato un teorema, la figura, e la spiegazione d’un caso risoluto dal Pacioli»; infine a p. 477, dopo aver
rilevato che nel codice urbinate del Franceschi manca talora corrispondenza fra le lettere usate sulle figure e nel testo, viene ricordato che un’analoga anomalia, in qualche punto del Pacioli e del
Tartaglia, fu notata dal Cossali (Origine dell’algebra, II, 147, 204).
1909: Alberto Olivo, Sulla soluzione dell’equazione cubica di
Nicolò Tartaglia. Studio storico-critico, Milano, A. Frigerio, pp. 36.
«Dal momento che il Cardano, contrariamente alla promessa
e al giuramento fatti, aveva portato alla pubblica conoscenza la formula che egli, il Tartaglia, gli aveva in buona fede confidato, non
v’era più per lui nessun motivo serio e plausibile per tener celata
al mondo la via per la quale egli vi era pervenuto; anzi, al contrario,
era nel suo più stretto e immediato interesse di rivelare il metodo
da lui tenuto nel risolvere l’arduo problema: laddove invece egli si
ostinò a tenere su questo punto il massimo riserbo, e col Cardano
stesso si limitò a declinargli la formula nuda e cruda, senza aggiungervi la dimostrazione. Solo nel suo General trattato di numeri
e misure si limita a dire che vi è pervenuto mercè di una costruzione
geometrica che dà il cubo della somma di due linee rette [v. Parte
II, Libro II]; e punto lì. Che se oggi conosciamo questa costruzione
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
59
lo dobbiamo precisamente all’acume e all’ingegno del Cardano,
che, basandosi su questa semplice e vaga indicazione del suo geloso
amico, seppe ritrovare da sé e il procedimento geometrico e la formula tartagliana» (p. 17).
1913 (rist. ed. II): Moritz Cantor, Vorlesungen uber Geschichte
der Mathematik (ed. II: 1899), Leipzig, B.G. Teubner, 1913, t. II,
pp. 517-531: analizza le varie Parti del GT e conclude scrivendo:
«...Tartaglia in seinem General Trattato das für lange Jahre unerreicht beste Handbuch schuf, fähig und bestimmt Paciuolo’s Summa abzulösen und zu verdrängen» (p. 531).
1918: Gaetano Fornasini, I ritratti di Tartaglia, in Scoprendosi
il Monumento a Nicolò Tartaglia (Brescia, 10 novembre 1918), estr.
Brescia, Ateneo di Brescia, 1918, pp. 11-18.
Ricorda che il ritratto di N. Tartaglia che si trova sul frontespizio del General trattato del 1556 è il medesimo che compare sui
Quesiti et inventioni diverse, nelle edizioni sia del 1546 che del
1554, e conclude che questo potrebbe essere una prova che «quel
ritratto pare andasse a genio al Tartaglia e molto gli somigliasse».
Del ritratto tartagliano viene data la seguente descrizione:
«L’insigne matematico vi è rappresentato nel pieno vigore dell’età,
a mezzo busto, quasi di prospetto, con berretta e soprabito foderato
di pelliccia. L’incisione è di una esecuzione dura e grossolana, essendo ancora il tecnicismo dell’arte incisoria né suoi primordii; ma
il disegno è buono assai, ed è opera certamente di non volgare maestro. Le rughe profonde, l’ampia ossatura della testa, la barba spessa
e arruffata, la seria guardatura danno allo insieme l’espressione di
una semplicità rude e di uno spirito inclinato alla meditazione. Nella bocca e nel mento si nota una leggera deviazione: è traccia delle
ferite da lui fanciullo riportate nel Duomo di Brescia durante l’eccidio del 1512» (p. 13).
La perspicace annotazione circa l’eccellenza del disegno, anche per contrasto con la pochezza dell’incisione, ha fatto pensare
a qualche storico dell’arte che potesse essere stato delineato nientemeno che dal grande Paolo Veronese.
60
Pierluigi Pizzamiglio
1918: Arnaldo Gnaga, Il problema dei pesi, «Commentari
dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1918», pp. 125-139 e anche in
Scoprendosi il Monumento a Nicolò Tartaglia (Brescia, 10 novembre
1918), estr. Brescia, Ateneo di Brescia, 1918, pp. 22-29.
Riguarda i seguenti problemi di Tartaglia (GT, P. II, l. I, cap.
XV: da Rouse Ball attribuiti al Bachet): caso di un solo piatto, ossia
caso delle somme, e caso di entrambi i piatti, ossia caso delle somme e delle differenze.
Gli stessi problemi furono considerati da A. Gnaga nei suoi scritti (v. 1927-1928) sul “problema dei campioni” secondo N. Tartaglia.
1920: Leonard Eugene Dickson, History of the theory of numbers, Washington, Carnegie Institution, 1920.
Menzioni del GT di Tartaglia: vol. I (Divisibility and primality),
p. 9 [«Tartaglia gave (GT, P. II, c. 146v) an erroneous list of the first
twenty perfect numbers»], pp. 11, 17, 40; vol. II (Diophantine Analysis), pp. 79, 463 [«N. Tartaglia (GT, P. II, cc. 143-146) quoted two
rules of Leonardo, as given by Luca Paciuolo, for forming congruent
numbers»], p. 509 ove a proposito del problema «to make x2 1 y2, x2
1 y2 1 z2, x2 1 y2 1 z2 1 w2,... all squares», è detto che «N. Tartaglia
(cfr. GT, P: II, c. 142r) obtained 25, 144, 7056 by Leonard’s method».
1922: Ettore Bortolotti, Definizioni di numero (Numero Cardinale), «Periodico di Matematiche», s. IV, v. II, 1922, pp. 413-429.
Alle pp. 419-420 riferisce come «notevolissime, e anche oggi
interessanti» le considerazioni del Tartaglia su grandezza, unità e
numero espresse in GT, P. I, cc. 1-2.
1923: Giovanni Sansone, Sulle espressioni del volume del tetraedro e su qualche problema di massimo, «Periodico di Matematiche», s. IV, v. III, 1923, pp. 20-50.
A p. 26 si legge: «Il metodo per calcolare il volume in funzione
degli spigoli del tetraedro è dovuto a Niccolò Tartaglia; noi lo seguiremo per stabilire la formula di Eulero». E cita il GT, P. III, l.
2°, p. 35, n. 10 – avvertendo che il Tartaglia considera il caso che
gli spigoli di una faccia abbiano per misura i numeri 13, 14, 15 e
gli opposti 20, 18, 16.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
61
1924: Giuseppe Peano, Giochi di aritmetica e problemi interessanti, Torino, G.B. Paravia, 1924: p. 4 (cita GT, con data errata
della nascita del T. posta nel 1506); p. 7 (GT, Parte I, Libro XVI,
n. 132, c. 255v); p. 8 (GT, Parte I, Libro XVI, n. 141, c. 257r); p.
15 (due volte GT, Parte I: Libro XVII e Libro XVI, n. 196, c. 263v);
p. 16 (GT, Parte I, Libro XVI, n. 203, cc. 264v-265r).
1924: Giulio Vivanti, I principali trattati di algebra dalle origini della stampa al 1800, «Periodico di Matematiche», s. IV, v.
IV, 1924, pp. 277-306.
Sul GT del Tartaglia parla a pp. 281-282: «Anche il General
trattato, come la Summa di Pacioli, ha principalmente in vista l’utilità dei mercanti, e perciò vi trovano largo posto le applicazioni
commerciali, le questioni relative a monete, pesi e misure, i computi di interesse semplice e composto. Sono notevoli alcuni termini
tecnici caduti più tardi in disuso: schisare, accattare, traslatare,
infilzare».
1924-1927: Questioni riguardanti le matematiche elementari,
raccolte e coordinate da Federigo Enriques, Edizione Terza, Bologna, N. Zanichelli, 1924-1927, Parti 3 in tomi 4.
Parte I, Vol. I (1924): F. Enriques, I numeri reali: pp. 232-233
(cit. del GT, Parte I, cc. 1-2, sulla distinzione tra considerazione
del numero da parte del “naturale” e da parte del “mathematico”),
p. 285 (dice dell’intervento di !2a (a . 0) nella formula di Cardano-Tartaglia per la risoluzione delle equazioni cubiche, nel caso
irriducibile).
Parte I, Volume II (1925): D. Gigli, Numeri complessi a due e
a più unità: pp. 134, 137, 147 (risultati algebrici conseguiti dal
Tartaglia).
Parte II (1926): E. Daniele, Sulla risoluzione dei problemi geometrici col compasso: p. 156 (ricorda che il Tartaglia fu tra coloro
che risolvettero tutti i problemi contenuti nei libri di Euclide colla
riga e un compasso ad apertura fissa). V. Notari, Le equazioni di
quarto grado e i sistemi di due equazioni di secondo grado in due
incognite: pp. 417, 419, 469 (risultati algebrici tartagliani).
62
Pierluigi Pizzamiglio
1926: L.-Gustave Du Pasquier, Le calcul des probabilités, son
évolution mathématique et philosophique, Paris, J. Hermann, 1926.
A p. 11 l’autore accenna alle tracce di calcolo delle probabilità
anteriori a Pascal, menzionando: il poema in latino barbaro “De Vetula”; un commento – Venezia 1477 – alla “Divina Commedia”, a
proposito della parola “Azari” in Purgatorio VI, 1; il Cardano, “Opere”, t. I, p. 262-276; il Pacioli, “Summa”, f. 197; il Peverone; il Tartaglia, GT, P. II. Segue un giudizio di Charles Gouraud su questi primi
saggi, che il Du Pasquier giudica, in parte, un po’ troppo severo.
1927-1928: Arnaldo Gnaga, Il problema dei campioni (risolto
da N. Tartaglia), «Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno
1927», pp. 173-194 e A. Gnaga, Il problema dei campioni (Problemi
di Tartaglia), «Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno
1928», p. 211-237.
Gli stessi problemi furono considerati da A. Gnaga nel suo
scritto (v. 1918) sul “problema dei pesi” secondo N. Tartaglia.
1930-1953: Enciclopedia delle Matematiche Elementari, a cura di L. Berzolari, G. Vivanti e D. Gigli, Milano, U. Hoepli, 19301953, voll. 3 in tomi 7.
Vol. I, Parte I (1930): D. Gigli, Aritmetica generale: p. 91 (il
GT è citato fra i trattati classici d’aritmetica, anzi come il primo in
cui si può scorgere l’inizio di un lavoro di critica dei fondamenti
dell’aritmetica), p. 102n (cit. del GT, Parte I, c. 2v, a proposito del
concetto di numero), p. 103n (cit. del GT, Parte II, c. 167v, sulla
comparsa delle parentesi per racchiudere radicandi polinomi), p.
113n (sull’uso, fino a L. Pacioli – N. Tartaglia – G. Cardano – R.
Bombelli, dei segni p e m, iniziali di plus e minus, talora col segno
~ sovrapposto), p. 118n (cit. del GT, Parte I, c. 27 a proposito della
distinzione di due operazioni inverse della moltiplicazione: “partizione”, che consiste nella determinazione del moltiplicando dati il
prodotto e il moltiplicatore, e “misurazione”, che è la determinazione del moltiplicatore, dati il prodotto e il moltiplicando), p. 120n
(cit. del GT, Parte II, c. 138v, a proposito della voce “dignità” per
denotare le potenze), p. 124n (cit. del GT, Parte I, cc. 88v, 89v ecc.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
63
a proposito dell’operare – antichissimo – con lo zero). E. Bortolotti
e D. Gigli, Aritmetica pratica: pp. 217-218 in nota (cit. del GT,
Parte I, c. 26v, dove è descritto un metodo per rappresentare colle
dita i numeri fino a 9000 e fare rapidamente operazioni aritmetiche), p. 230n (cit. del GT, Parte I, c. 7v, sul sommare indifferentemente dal basso all’alto o dall’alto al basso), p. 231n (cit. del GT,
Parte I, c.12v, sulla fraseologia della sottrazione, uguale a quella
di L. Pacioli), p. 232n (sui molti modi di eseguire le moltiplicazioni
in Pacioli e Tartaglia), p. 240n (cit. del GT, Parte II, Libro II, dove
è data la regola generale per estrarre le radici di qualsiasi indice),
p. 242n (sull’uso, in Pacioli e Tartaglia, della prova del 7 oltre quella antichissima del 9), p. 247n (“schisare” e “schisatore” in Pacioli
e Tartaglia: “schisare” vuol dire ridurre una frazione ai minimi termini – cfr. GT, Parte I, c. 108 – che il Tartaglia dice pure “ridur
li rotti alla sua menor denominatione”, “schisatore” era detto il divisore comune ai due termini), p. 248n (cit. del GT, Parte I, c.110,
sulla riduzione di più numeri al minimo comun denominatore), pp.
249n e 250n (cit. del GT, Parte I, c. 110 e Parte II, cc. 25 e 34,
sulle operazioni con frazioni), p. 262n (cit. del GT, Parte I, cc. 2v
e 36v, dove il Tartaglia chiama naturali o denominati i numeri complessi non decimali), p. 265n (cit. del GT, Parte I, c. 36v, dove il
Tartaglia tratta delle operazioni su numeri complessi), p. 266n (cit.
del GT, Parte I, c. 177 dove è esposta la regola del tre o regola
aurea secondo le diverse “pratiche”: fiorentina, veneziana...).
Vol. I, Parte II (1932): L. Berzolari, Calcolo combinatorio: p.
11n (cit. del GT, Parte II, Libro II, cc. 69v e 71v a proposito del
triangolo aritmetico o triangolo di Pascal). E.G. Togliatti, Equazioni
di 2°, 3°, 4° grado e altre equazioni algebriche particolari. Sistemi
di equazioni algebriche di tipo elementare, p. 276 e nota (accenna
alla disputa riguardante la regola risolutiva dell’equazione cubica).
R. Marcolongo, Metodi per la discussione dei problemi di secondo
grado e cenno su quelli di terzo e di quarto grado: p. 328 e nota
(accenna agli algebristi italiani, tra cui il Tartaglia).
Vol. II, Parte I (1937): E. Artom, Proprietà elementari delle figure del piano e dello spazio: p. 60 e nota (menziona la traduzione
64
Pierluigi Pizzamiglio
italiana di Euclide effettuata dal Tartaglia, «arricchita di commenti
che a volte prendono l’atteggiamento di polemiche contro lo stesso
Campano»), p. 81n (a proposito di Euclide, Libro III, Prop. 7, viene
citato il commento di Tartaglia: «e sappi che la figura de questa
proposizione è detta dal vulgo coda di pavone»), p. 98n (giudica
interessante il commento polemico del Tartaglia alle osservazioni
del Campano su “Euclide”, Libro V, Def. 11), p. 111n (altro rinvio
all’Euclide del Tartaglia). D. Gigli e L. Brusotti, Teoria della misura:
p. 133 e note (viene sottolineata la distinzione, nel Tartaglia, fra
trattazione puramente geometrica e trattazione rivolta ai casi numerici, con varie citazioni del GT), p. 152n (menziona la formula
data in GT, Parte IV, Libro II, c. 35r, n. 11 per la determinazione
del volume della piramide triangolare o tetraedo in termini dei 6
spigoli). G. Biggiogero, La geometria del tetraedro: p. 220 e nota
(ricorda che nel sec. XVI il Tartaglia assegnò il volume del tetraedo
in funzione dei lati). L. Brusotti, Poligoni e poliedri: p. 272n (N.
Tartaglia è citato tra coloro che studiarono esempi di poligoni stellati), pp. 297n e 319n (studi tartagliani sui poliedri compaiono nella
“disputa matematica”, e, in particolare, nella 2a risposta del Tartaglia e nel 5° cartello del Ferrari), p. 309 (relativamente a problemi
sui poliedri platonici, risolti con dati numerici o con metodo geometrico, rinvia a GT, Parte IV, Libro II, cc. 31 e 39-42 e Parte V,
Libro II, cc. 53-59). A. Agostini, I problemi geometrici elementari
e i problemi classici: nel paragr. 10, dedicato alla trattazione del
“Compasso ad apertura fissa” (pp. 495-496), viene nomiato anche
il Tartaglia.
Vol. II, Parte II (1938): E. G. Togliatti, Massimi e minimi: p.
15 (cita GT, Parte V, dove già trovasi un esempio di massimo d’un
polinomio di 3° grado). B. Segre, Geometria analitica: p. 147 («È
coll’uso di considerazioni geometriche che G. Cardano e N. Tartaglia stabilirono l’esattezza delle loro formule algebriche per la risoluzione delle equazioni cubiche»).
Vol. III, Parte II (1950): M. Cipolla, Matematica ricreativa:
pp. 503-504 (riguardo a “passatempi aritmetici” vengono riferiti
tre esempi tratti dal GT, Parte I, Libro XVI: n. 141, c. 257r su
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
65
“Come salvare capra e cavoli?”; n.132, cc. 255v-256r su “La ripartizione del vino rubato”; n. 203, cc. 264v-265r su “Guerra alle
pedine nere!”). E. Bortolotti, Storia della matematica elementare:
p. 640 (il Tartaglia è nominato come divulgatore della versione latina fatta da Guglielmo da Moerbeke dei “Galleggianti” di Archimede); p. 651 (ove si parla della risoluzione algebrica delle equazioni cubiche); p. 653 (ove si tratta delle irrazionalità cubiche, del
caso irreducibile e dei numeri immaginari); p. 656 (si parla della
risoluzione generale dell’equazione cubica completa); pp. 657-658
(si tratta espressamente dei “cartelli di matematica disfida”); p. 660
(paragrafo sulla risoluzione delle equazioni biquadratiche); p. 674
(nel paragrafo su Luca Pacioli, a proposito della “Summa”, Parte
II, Distinzione VIII, dove trovansi problemi sulla iscrizione in un
triangolo di cerchi fra loro tangenti, analoghi al problema di Malfatti, v’è rimando al GT, Parte V, Libro I, n. 21, cc. 18v-19r); pp.
675-676 (nei paragrafi dedicati a Scipione dal Ferro); pp. 678-679
(«127. Nicolò Tartaglia … L’opera massima di Tartaglia è il “General Trattato di numeri e misure”, enciclopedia matematica, che
ha avuto grande esito e buona fama»); p. 683 (nel paragrafo dedicato
a G. Cardano); pp. 683–684 (nel paragrafo dedicato a L. Ferrari);
p. 697 (a proposito del calcolo approssimato di radici, anche di indice qualunque, posto in primo piano dalla disputa Ferrari-Tartaglia, si legge: «I quesiti 22, 23, 24, 25 proposti da N. Tartaglia nel
suo 2° Cartello, richiedono appunto una regola opportuna al calcolo
approssimato di radici di indici 5°, 6°, 7°, 8° di particolari numeri
proposti. E, sul modo tenuto per tale approssimazione, furono lunghe contese»). M. Gliozzi, Storia del pensiero fisico: p. 828 («Nei
secoli XII-XIV le interminabili discussioni scolastiche sulla fisica
d’Aristotele portarono frutti preziosi alla meccanica. In un’opera di
Giordano Nemorario si trova implicitamente il concetto di momento
d’una forza rispetto a un’asse [Nota: Iordani, Opusculum de ponderositate Nicolai Tartaleae studio correctum..., 1565, Quaestio XXIII,
p. 10] e la condizione d’equilibrio d’un corpo poggiato sopra un
piano inclinato [Nota: Iordani, op. cit., Quaestio X, p. 7]: questa
proposizione fu pubblicata per la prima volta, nel 1546, da Nicolò
66
Pierluigi Pizzamiglio
Tartaglia, Quesiti et inventioni diverse, 2a ediz., Venetia 1554, Lib.
VIII, Quesito XLII, Prop. XV, (p. 97r.), che traduce quasi letteralmente la proposizione di Giordano»); p.. 831 e note («Il Tartaglia
intuì (ma non dimostrò) che nel moto dei proiettili la gittata massima
si ha con l’arma inclinata a 45° e riconobbe che la traiettoria non
verticale di un proiettile è sempre curvilinea a causa della continua
azione del peso del proiettile. Il Tartaglia sostiene anche che, contrariamente a ciò che condurrebbero a concludere le considerazioni
teoriche, le bilance reali con braccia corte sono più esatte e sensibili di quelle con braccia lunghe, cosa ormai nota a tutti»); p. 836
(a G. Galilei si deve anche «la determinazione della traiettoria dei
proiettili, con la dimostrazione del teorema di Tartaglia, completato
dal nuovo teorema col quale si afferma che le gittate sono eguali
per inclinazioni 45° ± α»). L. Brusotti, Questioni didattiche: pp
898-899 e nota e p. 948 (a proposito del GT di N. Tartaglia si riconosce che in esso la preoccupazione pratica invalsa nel medioevo
è accompagnata dal riconoscimento dell’importanza di trattazioni
puramente geometriche, ispirate direttamente a Euclide); p. 949 (a
proposito del’Euclide tartagliano, le sue molte edizioni «attestano
un largo successo, certo anche nei rispetti strettamente didattici»).
1932: Alpinolo Natucci, Come si insegnava Algebra nel secolo decimosesto, “Periodico di Matematiche, s. IV, v. XII, 1932,
pp. 173-179.
Prende a modello proprio il GT, riconoscendolo come «un libro assai diffuso allora e non raro a trovarsi nelle nostre biblioteche attuali».
1936: Franco Borlandi (ed.), El libro di mercantantie et usanze
de’ paesi, Torino, S. Lattes & C., 1936.
Il GT del Tartaglia è nominato nell’Introduzione a p. XVIIXVIII: «... il Libro di mercantantie et usanze de’ paesi... occupa
un posto particolare... talvolta fuso nei trattati di aritmetica pratica
come in quelli di Pietro Borgi, del Calender, di Francesco Feliciano,
in quello popolarissimo dei Tagliente, nel General trattato di numeri
e misure di Nicolò Tartaglia [in nota le indicazioni bibliografiche]».
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
67
1938: E. Fourrey, Curiosités géométriques, ed. IV Paris, Vuibert, 1938.
Menzioni del Tartaglia: a p. 27, in uno schizzo preliminare
sulla storia della geometria elementare, è nominato il Tartaglia e il
suo GT, che viene presentato come la sua opera principale, le cui
quattro ultime parti, dedicate alla geometria, “renferment d’intéressants problèmes; on lui reproche toutefois de contenir beaucoup
d’incorrections”; alle p. 309-310, a proposito del calcolo del volume
dei muri, è riportata (ed estesa) la regola che il Tartaglia dà nel GT,
P. III, c. 47v.
1940: Caio Manlio Martino, Estensione del campo dei coefficienti binomilali dal Triangolo di Tartaglia al piano cartesiano,
«Istituto Lombardo di Scienze e Lettere – Rendiconti Scienze», v,
74, fasc. 2 (1940-41), pp. 305-309.
L’Autore, in base alla definizione di coefficiente binomiale,
dà un significato ai coefficienti binomiali a combinatore negativo,
che nel piano cartesiano vengono così a occupare un posto adeguato
accanto ai numeri del triangolo di Tartaglia.
1947: Arturo Uccelli, “General trattato di numeri et misure”,
in Dizionario letterario Bompiani delle Opere e dei personaggi di
tutti i tempi e di tutte le letterature, Milano, V. Bompiani, 1947,
vol. III, pp. 555-556: “Quest’opera [il GT] è una grande enciclopedia matematica … La prima parte consiste in un trattato molto
esteso di aritmetica pratica. La seconda riguarda l’aritmetica teorica sulla base della rappresentazione geometrica euclidea. La
terza [e la quarta] è invece una mediocre esposizione di geometria
pratica. Nella quinta parte le trattazioni geometriche, prima nel
piano e poi nello spazio, vanno oltre quanto contenuto negli Elementi di Euclide, perché esigono sussidio di calcolo e recano un
reale contributo costruttivo. La sesta parte inizia il trattato dell’algebra, ma si limita a esporre le equazioni di secondo grado o
quelle che a tali equazioni sono riducibili… L’opera si diffuse
rapidamente in Italia e fu molto conosciuta e apprezzata anche
all’estero”.
68
Pierluigi Pizzamiglio
1950 (ed. II): Gino Loria, Storia delle matematiche dall’alba della civiltà al secolo XIX, ediz. seconda, Milano, Ulrico Hoepli, 1950.
Sul GT, pp. 311-314, nn. 224-227 (“Si tratta di una completa
Enciclopedia matematica, del tipo della Summa pacioliana, la quale
ci si presenta un po’ disordinata, forse perché rispecchiante vari
corsi di lezioni tenuti dall’autore in luoghi e tempi diversi. Che sia
stata composta da persona edotta di quanto era stato scritto al suo
tempo risulta dalle citazioni di opere di Boezio, Campano, Oronzio
Fineo, Stiefel, Sacrobosco, Pacioli, Cardano, nonché del Cardinale
di Cusa, ed è confermato dalle critiche esposte con piena libertà di
linguaggio e spesso con discutibile cortesia… Come a lavoro di un
provetto insegnante, rotto a tutte le astuzie della didattica matematica, al General trattato non può negarsi un posto cospicuo nell’elenco degli scritti aventi per intento l’istruzione della gioventù”).
1953: Oystein Ore, Cardano, the gambling scholar, Princeton
N. J., University Press, 1953.
Del GT di Tartaglia parla in particolare alle pp. 100-101: “This
is an excellent text, well composed and easy to read, but almost
throughout it is of a most elementary level … Numerous chapters
are devoted to commercial calculations, the rule of three, and particularly the cambio or exchange between the many Italian towns
and principalities… In some sections, the later ones, Tartaglia returns to the challenge problems of the cartels, giving his own solutions, deprecating those of his opponents”.
1956: Alpinolo Natucci, Il calcolo dei radicali in Nicolò Tartaglia, “Bollettino della Unione Matematica Italiana” (dicembre
1956), s. III, a. XI, n. 4, pp. 594-598.
“Vogliamo qui occuparci del calcolo dei radicali quale trovasi
esposto nel General trattato”.
1960 (rist.): Édouard Lucas, Récréations mathématiques, Paris, Alberta Blanchard, 1960 (ristampa), voll. 4.
Citazione del Tartaglia nel vol. I, ove nella “Première récréation. Le jeu des traversées en bateau”, a pp. 9-11, vi è un paragrafo
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
69
intitolato “L’erreur de Tartaglia” in cui si discorre a proposito della
traversata di 4 coppie di coniugi, colla condizione di non potere
far passare più di due persone per volta. L’errore – nel “Traité
d’arithmétique” [i.e. “General trattato”, evidentemente] – fu già
notato da Bachet, che, senza dimostrazione, riconosce la soluzione
impossibile. Il p roblema diviene solubile se si possono far passare
fino a 3 persone per volta. Successivamente vennero trovate altre
estensioni.
1960: Livio Porcu, Il metodo di falsa posizione, “Periodico di
matematiche”, s. IV, v. XXXVIII, 1960, p. 95-112 e 149-154.
Menzioni tartagliane alle pp. 98 (cita GT, P. I, c. 238v) e 100
(cita GT, P. I, c. 239v).
1972: Gabriele Lucchini, Diagrammi triangolari: risolubilità
e ottimizzazione, “Didattica delle scienze”, a. VI, n. 39 (aprile
1972), pp. 39-48.
L’autore esordisce scrivendo che nel suo saggio «Argomenti
vecchi e insegnamenti nuovi: i diagrammi triangolari» [“Le scienze
e il loro insegnamento”, Le Monnier, 1965, 2-3 (p. 107-115)] C.F.
Manara sviluppa una garbata polemica sia con J. Dieudonné per il
suo motto «Abbasso Euclide, basta con i triangoli», sia con quegli
insegnanti che presentano gli argomenti in modo «vecchio» e osservando, in particolare, che «è anche possibile con i “vecchi”
triangoli suscitare l’interesse dei ragazzi».
Per illustrare questo punto di vista, l’autore propone l’utilizzazione del «vecchio» teorema che sta alla base dei diagrammi
triangolari come «argomento per rendere “viva” la lezione di matematica, così da suscitare interesse negli allievi e spingerli alla
“scoperta” delle proprietà che devono apprendere e applicare, in
modo che in essi nasca la nozione di matematica come scienza viva
e non come ammuffita congerie di formule e di enunciati».
Il problema è il seguente: sono dati 3 recipienti, con capacità
di litri 8, 5, 3, rispettivamente; il primo è pieno d’acqua, gli altri
due sono vuoti; si vuole, mediante travasi, avere 4 litri d’acqua in
ciascuno dei primi due recipienti.
70
Pierluigi Pizzamiglio
1986: Giovanni Battista Gabrieli, Nicolò Tartaglia. Invenzioni, disfide e sfortune, Siena, Università degli Studi (Centro Studi della Matematica Medioevale – Bibliografie e Saggi, n. 2),
1986, pp. 135.
In questo scritto monografico alle pp. 94-109 si parla del GT
come “uno dei più importanti contributi resi alla matematica del
16° secolo”; in modo speciale si riferisce della questione del possibile imbroglio editoriale dell’editore Curzio Troiano.
Vi è stata una ristampa del volume di G.B. Gabrieli, Nicolò
Tartaglia. Una vita travagliata al servizio della matematica, Brescia, Biblioteca Queriniana, 1997, pp. 143; la parte dedicata al GT
si trova alle pp. 85-109, ove si aggiunge in particolare la seguente
considerazione: “Anche il matematico incaricato di ricavare dagli
appunti di Tartaglia gli argomenti della sesta parte non ha combinato niente di notevole. La sesta parte finisce purtroppo alle equazioni di 2° grado o riconducibili al 2° grado, mentre avrebbe dovuto
rappresentare l’acuto di Nicolò. Impossibile che fra le carte di Tartaglia non vi siano stati problemi ed equazioni risolte di terzo grado
o almeno la regola generale per risolvere equazioni cubiche, a meno
che l’editore non avesse temuto di rinnovare e inasprire l’antica
polemica e provocare un danno a se stesso nella vendita di questo
libro” (p. 102).
NOMI, DATE, TERMINOLOGIA ED EDIZIONI
DELLE SEI PARTI DEL “GENERAL TRATTATO”
Il prof. Arnaldo Masotti, allo scopo di preparare la consueta
“Introduzione” all’edizione anastatica del General trattato di Niccolò Tartaglia, aveva iniziato a condurre, come di consueto, una sistematica rassegna dei nomi di persona, delle date di eventi, dei
termini ed espressioni inusuali e infine delle questioni tipografiche
ed editoriali che riguardavano le varie parti del testo tartagliano,
con particolare riferimento ovviamente all’esemplare da lui individuato come da riprodurre anastaticamente.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
71
Iniziando a parlare dei numerosi “nomi di persona”, si deve
riconoscere che essi hanno sempre costituito un notevole argomento
d’interesse per il prof. Masotti, come si può vedere e capire anche
dall’egregio lavoro di ricognizione da lui stesso effettuato già riguardo ai molti nominativi personali che comparivano sia nei “Quesiti”11 sia nei “Cartelli”12.
E in effetti col suo sistematico lavoro di rilettura anche del
GT il Masotti aveva già desunto un lungo elenco di nominativi personali che compaiono nel grande manuale tartagliano, solo in minima parte noti; ma qui non si ritiene di riprodurre quell’elenco,
salvo menzioni parziali ed en passant, anzitutto e fondamentalmente
perché ci sembra più idoneo che appaia nell’introduzione all’eventuale riproduzione anastatica dell’opera, ma anche perché di fatto
non è stato possibile compiere alcun lavoro di ricognizione identificativa intorno a quei nominativi.
Tra quelli che ci sembrano meritevoli di segnalazione, trattandosi di personalità note e quindi tali da render conto del quadro di riferimenti entro cui espressamente il Tartaglia volle collocare la sua opera, ne proponiamo un breve elenco suddividendoli semplicemente tra fonti antico-medievali e fonti contemporanee rinascimentali.
Antichità e Medioevo: Pitagora (sec. VI-V a.C.), Platone (sec.
V-IV a.C.), Aristotele (sec. IV a.C.), Euclide (sec. IV-III a.C.), Archimede (sec. III a.C.), Erone (sec. II-I a.C.), Vitruvio (sec. I a.C.),
Diodoro Siculo (sec. I a.C.), Nicomaco (sec. I d.C.), C. Tolomeo
(sec. II), Papia (sec. II), Apuleio (120c-180), Severino Boezio (sec.
V-VI d.C.), Isidoro di Siviglia (560c-636), Leonardo Fibonacci Pisano (sec. XII-XIII), Michele Scoto (sec. XII-XIII), Giovanni Campano (sec. XIII), Giovanni Sacrobosco (sec. XIII), Bartolo da Sassoferrato (sec. XIV).
11
Cfr. ed. Masotti, “Parte II. Indice delle persone”, pp. XLI-LV.
Cfr. ed. Masotti, pp. XVII-XX e “Parte II. Registro delle persone”, pp.
CXVII-CXLV.
12
Pierluigi Pizzamiglio
72
Rinascimento: Nicolò Cusano (1401c-1464), Giorgio Valla
(1430-1500), Luca Pacioli (1445c. -1517), Gerolamo Savonarola
(1452-1498), Papa Paolo III (Alessandro Farnese: 1466-49, papa
dal 1534), Carlo Bovillo (Charles Bouvelles: 1470c-1553c), Michele Stiefel (1487c-1567), Oronce Finé (1494-1555), Polidoro Virgilio
(sec. XV-XVI), Pietro Borghi (sec. XV-XVI), Francesco Feliciano
(sec. XV-XVI), Girolamo e Giovanni Antonio Tagliente (sec. XVXVI), Giovanni Sfortunati (sec. XVI), Gerolamo Cardano (15011576), Federico Commandino (1509-1575), Lodovico Ferrari
(1522-1565), Bartolomeo Zamberti (sec. XVI).
Oltre a questi, si deve notare che nella Parte I, al Libro XIV
(cc. 222v-223r) del Capitolo III, il Tartaglia adduce vari nomi, facenti
parte in verità di esempi di “lettere di cambio”, riguardo ai quali il
Masotti dichiara che “potrebbero appartenere a persone reali”, come
Francesco e Zorzi Pisani, Marcantonio Lafranco Modenese, Francesco di Molin flamengo ecc.; altri nominativi personali parvero invece
al Masotti non di “persone reali”, ma assolutamente generici, come
quelli di Pietro e Paulo (c. 224r) Andrea e Anselmo (c. 241r) ecc.
Tornando ai nominativi di personaggi illustri, basandoci sulle
moltissime menzioni del nome di Euclide di Alessandria – erroneamente sempre denominato come “Megarense” e comunque dal
Tartaglia riconosciuto come “maistro di color che sanno” (GT, P.I,
c. 1v) – e della sua opera sugli “Elementi” (della quale N. Tartaglia
curò la prima edizione a stampa in lingua italiana) che compaiono
nel GT tartagliano si è deciso che, rielaborando e all’occorrenza
integrando le ricognizioni masottiane, si farà esplicito riferimento
soltanto a esse in ciascuna delle sei parti che costituiscono il trattato tartagliano.
Passando ora a parlare delle “date” di circostanze ed eventi
della vita di N. Tartaglia, che in verità non sono molte nel GT, come
aveva già fatto sia per i “Quesiti”13 sia per i “Cartelli”14 il Masotti
13
14
Cfr. ed. Masotti, “Parte III. Indice delle date”, pp. LVI-LXI.
Cfr. ed. Masotti, “Parte III. Registro delle date”, pp. CXLICXLV.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
73
le ha dapprima dettagliatamente selezionate e poi riordinate cronologicamente, ed ecco il risultato: 1514, inizio studi matematici
del Tartaglia inerenti le estrazioni di radici (P. II, c. 27v); 1523, il
primo giorno di Quaresima a Verona scopre la regola “di saper trovare in quanti modi può variar il getto di che quantità di dadi si
voglia” (P. II, c. 17r: il Masotti rinvia a un’opera di Lorenzo Spirto
[Spirito, Spiriti], Libro della ventura, Brescia 1484 e Vicenza
1485c., citata da L. Thorndike, A history of magic and experimental
science, ed. II, New York, Columbia University Press, 1952, vol,
VI, p. 469); 1530, a Verona gli viene proposto un problema euclideo
“da un nostro amicissimo chiamato messer Bernardino Dona da Zano lettor in greco, qual disse essergli proposta a lui in Brescia” (P.
V, c. 16v: il problema si trova anche in Quesiti IX, 15); 1531, a Verona trova e traduce un testo archimedeo latino, cioè “il primo libro
di Archimede Siracusano [i.e. Sfera e Cilindro], da me trouato &
tradotto da uno latinamente scritto, qual era andato quasi in strazzaria, & in mano di un salzizaro” (P. IV, c. 43v); 1532, a Verona gli
viene proposta una questione di economia agricola (P. I, c. 254v);
1533, a Verona una questione di economia contadina gli viene proposta da un Genovese (P. I, c. 277v); 1534, a Venezia scopre “la
regola generale al capitolo di cosa e cubo egual a numero, & a molti
altri suoi dependenti” (P. II, c. 30v); [1539], G. Cardano si reca a
Venezia dal Tartaglia col Marchese del Vasto (P. V, c.18v); 1542,
21 (giorno di S. Tommaso) e 22 dicembre, a Venezia risolve alcuni
problemi geometrici euclidei (P. V, c. 58r); 1545, 4 marzo, a Venezia
gli viene sottoposta una questione da parte di “misser Alessandro
Paganin… accadutagli realmente” (P. I, c. 189v); 1550, 14 aprile,
a Venezia gli viene proposta un caso finanziario “da uno hebreo a
lui realmente accaduto” (P. I, c. 189r); 1553, giugno, gli viene sottoposta una questione finanziaria che “accadette in effetto con un
hebreo” (P. I, c. 194r); 1554, 14 giugno, trova la regola risolutiva
di un problema curioso, “stampandosi tutta via la presente mia opera” (P. I, c. 257v), cioè mentre era iniziata la stampa del General
trattato: e questa è una notizia interessante, dal momento che il
primo volume uscì nel 1556.
Pierluigi Pizzamiglio
74
Alcuni casi o problemi tartagliani vengono riferiti agli anni:
1549, 1 gennaio (P. I, cc. 202v e 204r); 1552, dal 17 al 23 marzo
(P. I, c. 181v); 1552-1555 e 1560 (P. I, c 182rv).
Unicamente accenneremo, a tempo e luogo debiti, ai passaggi del GT15 in cui si fa riferimento a date, momenti e aspetti
della “disputa” intercorsa tra il Tartaglia e L. Ferrari (per conto
di G. Cardano).
Quanto si è dichiarato e fatto a proposito di nominativi e date,
lo stesso dicasi riguardo alle “espressioni arcaiche” tartagliane già
studiate rispettivamente nei “Quesiti”16 e nei “Cartelli”17: in questi
resoconti masottiani si trovano peraltro frequenti rinvii anche al
General trattato.
Dal momento che vari studiosi specialisti stanno realizzando
cospicue indagini analitiche, sistematiche e anche comparative sui
più diversi aspetti linguistici dei testi tartagliani (dalla grafia alla
fonetica, dalla morfologia alla sintassi), si può pensare che lo studio
degli aspetti lessicali dei testi tartagliani consenta ormai di metter
mano alla redazione di un glossario storico della lingua tartaleana.
È noto che nei confronti della lingua scritta di N. Tartaglia e
al suo andamento stilistico vennero espressi, soprattutto in passato,
giudizi fortemente critici; mentre i più recenti storici della lingua
italiana sembrano avere modificato profondamente la loro valutazione al proposito, ritenendo che certe pagine tartagliane, di carattere narrativo o tese alla polemica, siano addirittura degne di entrare nell’antologia della nostra storia letteraria18.
15
Ne dà l’elenco anche S. Gherardi, Di alcuni materiali per la storia della
Facoltà di matematica nell’antica Università di Bologna (1844), Bologna, Sassi,
1846, pp. 128: cfr. p. 68 in nota.
16 Cfr. ed. Masotti, “Parte IV. Osservazioni sulle espressioni arcaiche –
Glossario”, pp. LXII-LXXIX.
17 Cfr. ed. Masotti, “Parte IV. Osservazioni sulle espressioni arcaiche –
Glossario”, pp. CXLVII-CLXXXV.
18 Cfr. M. Piotti, La lingua di Niccolò Tartaglia. La «Nova scientia» e i
«Quesiti et inventioni diverse», Milano, LED, 1998, pp. 271.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
75
Nella considerazione di Tartaglia la dignità di una lingua, al
di là della dimensione affettiva che lo induce alla polemica rivendicazione della propria brescianità e dell’essere quindi “un puoco
grossetto di loquela”, non risiede altro che nell’essere strumento
per la trasmissione di un sapere che da essa non può essere modificato e pertanto da questo punto di vista ogni lingua è uguale a
ogni altra,
Quanto ai criteri adottati dal Tartaglia medesimo per le scelte
lessicali, si avverte che la necessità dell’aggiornamento dei termini
classici si scontrava con la carenza di un lessico scientifico univoco
e normativo, alla quale egli stesso cercava di sopperire o creando
ex novo dei vocaboli o ricorrendo a parafrasi o mutuando espressioni
dalla terminologia professionale, cioè matematico-fisica, contemporanea.
Ecco quanto scrive al riguardo il nostro medesimo matematico
bresciano: “Son certo che molti si maravigliaranno per haver io prononciate le sopra narrate specie di proportioni parte latinamente,
come costumano li nostri antichi mathematici, & parte volgarmente,
& parte miste di volgar & latino. Il che ho fatto perché il medesimo
(per caristia di consonanti vocaboli volgari) si costuma fra volgari”
(General trattato, P. II, c. 103[bis]r).
Donde emerge quel plurilinguismo che fu anche del Tartaglia
e che attesta il fronteggiarsi di tendenze colte e popolari.
Come si sa, in un’ultima sezione delle sue ampie introduzioni
il Masotti usava affrontare le “questioni tipografiche ed editoriali”
riguardanti i testi tartaleani in esame: così nei “Quesiti”19 e nei
“Cartelli”20.
Pure questo recupero documentale, comprensivo anche del
resoconto masottiano delle biblioteche che custodivano il testo del
19
Cfr. ed Masotti, “Parte V. Osservazioni sul testo riprodotto”, pp. LXXXLXXXV.
20 Cfr. ed. Masotti, “Parte V. Osservazioni sui testi riprodotti”, pp.
CLXXXVII-CXCIII.
Pierluigi Pizzamiglio
76
GT integrale o della – parziale – traduzione francese21 ed edizione
italiana22, viene rinviato alla eventuale riproposizione effettiva a
stampa del medesimo manuale tartagliano.
Ci basta riportare alcune sintetiche considerazioni a cui era
giunto il Masotti stesso.
La prima è che non tutti gli esemplari del GT mostrano una
medesima numerazione delle pagine; questo si vede, per esempio,
negli esemplari della Parte I che si trovano nelle biblioteche Casanatense, Alessandrina e Angelica (tutte di Roma) – come risulta
dalla lunghissima dissertazione di B. Boncompagni, Intorno a un
trattato d’aritmetica stampato nel 1478, “Atti dell’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei”, t. XVI (1862-63), p. 328 – come pure in
quello della Biblioteca dell’Istituto Matematico dell’Università di
Milano, che ha la stessa numerazione di quello della Casanatense.
La seconda è che non tutti gli esemplari portano la narrazione
della disputa di Milano: GT, Parte II, c. 41r, lin. 31-56; c. 41v; c.
42r, lin. 1-9. Essa manca per esempio nell’esemplare della Biblioteca Marciana di Venezia segnato 19779, come appunto risulta dallo scritto di A. Favaro, Per la biografia di Niccolò Tartaglia, 1913,
p. 30 dell’estratto (v. scheda all’anno 1913), di cui giova tener presente l’interpretazione che questo autore dà del fatto.
La terza è che, come la maggior parte dei tipografi di cui si
avvalse N. Tartaglia per stampare le sue varie opere e che curarono
edizioni postume di alcune di esse, anche colui che mise mano all’edizione delle diverse parti del GT era di origine bresciana, trattandosi di Curzio Troiano Navò, originario di Navò ovvero da Na21
Esiste infatti un’opera intitolata L’Arithmétique che costituisce una traduzione e riduzione in francese delle Parti I e II del “General Trattato”: venne
curata da Guillaume Gosselin e comparve a Parigi sia nel 1578 che nel 1613;
cfr. A. Masotti, Rarità Tartagliane, in Studi su Niccolò Tartaglia, Brescia 1962,
pp. 127-128 e 147, note 28-29.
22 Così pure esiste una raccolta intitolata Tutte l’opere d’arithmetica del famosissimo Nicolò Tartaglia, Venezia, All’Insegna del Leone [eredi di Curzio
Troiano Navò], 1592-1593, voll. 2 di cc. (4) 199 e (3), 273 (i.e. 284): essa comprende i Libri I-XVII cioè tutta la Parte I del GT.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
77
vono in Val Trompia, e che addirittura venne scelto come esecutore
testamentario dal Tartaglia medesimo: cfr. Giuseppe Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia,
Fondazione Civiltà Bresciana, 2000, p. 149.
In verità, al termine della Parte Quarta del GT, dopo il registro,
compare la seguente indicazione tipografica: “In Vinegia, per Comin da Tridino, MDLVII”.
Questo Comin era appunto originario di Trino, ma fu attivo come tipografo a Venezia; non se ne conosce il cognome e non ci sono
sicure prove che fosse parente dei Giolito Ferrari; fu uno dei tipografi
più attivi di Venezia alla metà del XVI secolo e stampò per un gran
numero di editori, le marche dei quali gli sono state spesso attribuite;
nel primo periodo della sua attività ebbe problemi con la giustizia
per la stampa di testi eterodossi; morì dopo il 1573 o in quello stesso
anno, senza lasciare eredi; secondo alcuni storici la sua bottega e
il suo materiale tipografico vennero rilevati da Giacomo Vidali.
Su questo Comin da Trino il Masotti adduce la seguente informazione bio-bibliografica traendola da Costante Sincero, Trino – I suoi
tipografi e l’Abazia di Lucedro, in “Memorie storiche con documenti
inediti”, Torino, Bocca, 1897: a p. 190-191, articolo su “Comino Giolito Ferrari, conosciuto sotto il cognome di Messer Comin da Trino,
come soleva egli generalmente firmarsi … Stampò in Venezia dal 1540
al 1568 [L’inglese Short-Title Catalogue... (p. 811-812) ne registra
edizioni dal 1539 al 1574] varie edizioni molto stimate. Copie di alcune di esse esistono nella biblioteca della città di Trino”.
Infine vogliamo semplicemente riferire, a complemento delle
ricognizioni a suo tempo sagacemente effettuate dal Masotti, che attualmente risulta possibile individuare ove si trovano esemplari del
GT facendo ricorso al Sito Internet del Ministero Italiano per i Beni
e le Attività Culturali e più precisamente a quella sezione dell’Istituto
Centrale per il Catalogo Unico (ICCU) delle biblioteche Italiane che
presenta l’EDIT 16 [http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/imain.htm],
cioè il Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo:
esso al presente segnala come posseduti da una trentina di biblioteche pubbliche italiane una trentina di esemplari del GT tartagliano.
Pierluigi Pizzamiglio
78
LETTURA DELLE SEI PARTI DEL “GENERAL TRATTATO”
Il prof. Arnaldo Masotti aveva effettuato una lettura integrale e
attenta anche del GT di N. Tartaglia e aveva redatto una notevole
serie di considerazioni, come risulta dagli appunti giunti sino a noi
e che qui riproduciamo, integrandoli in minima parte, usualmente
solo adducendo estesamente riferimenti da lui solamente accennati.
La prima parte del / general trattato di nv- / meri, et misvre
di Nicolo Tartaglia, / nella qvale in diecisette / libri si dichiara tvtti
gli atti operativi, / pratiche, et regole necessarie non sola- / mente
in tutta l’arte negotiaria, & mercantile, ma anchor in ogni altra/arte,
scientia, ouer disciplina, doue interuenghi il calculo [Ritratto di “Nicolo Tartalea”, con motto “Le inventioni sono difficili, ma lo aggiungervi è facile”; impresa editoriale – consistente in un leone o
una leonessa che tiene nelle zampe anteriori un drago – contornata
dal motto “Noiar non può malignità a fortezza”] Con li svoi privilegii.
/ In Vinegia per Curtio Troiano de i Nauò. / M D LVI.
Biblioteca Viganò23: FA.5A.97 / I; Cat. 4666; Impronta: s,re-he -2-1 74 La (3) 1556 (R); arte I: Libri 17.
In folio, di carte 5 non num. 1 1 non num. bianca 1 278
(num. dalla 2 alla 277, la 278ª essendo bianca). Errori di numerazione delle carte: 6 (ma indicata come 10); 126 (ma 120); 340 (ma
140); 145 (ma 155); 306 (ma 206); 238 (ma 239); 276 (ma 274).
Sul recto della carta successiva al frontespizio compare una
dedica – con stemma nobiliare e sigla “R.V.” – che dichiara: “Al
molto nobile et egregio signor il signor Ricardo Ventvorth, gentil’hvomo inglese, compar, et maggior svo honorandiss.”; al termine
23
L’esemplare del General trattato di N. Tartaglia qui considerato può essere visto nella sua integralità in uno dei tre cd-rom (Brescia 2000) riproducenti
“Tutte le Opere” di N. Tartaglia, nelle loro diverse edizioni originali, secondo
gli esemplari posseduti dalla Biblioteca di storia delle scienze fisico-matematiche “Carlo Viganò”, situata nella sede di Brescia dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
79
della dedica stessa si legge la data “Di Venetia alli XXIII di Marzo,
MDLVI”, sottoscritta “Di V.S. compare Nicolo Tartaglia”.
Dunque, questa Parte Prima risulta dedicata da N. Tartaglia
stesso a Richard Wentworth, gentiluomo inglese e già discepolo di
N. Tartaglia, che in precedenza gli aveva pure dedicato la sua raccolta delle Opera Archimedis (Venezia 1543); mentre, forse per sollecitazione dello stesso R. Wentworth, il Tartaglia aveva dedicato
poi al Re d’Inghilterra Enrico VIII24 nientemeno che i Quesiti (Venezia 1546).
Il Masotti si riprometteva di “citare largamente” questa dedica25 e pertanto ci sembra doveroso analizzarne il discorso dettagliatamente.
Tartaglia esordisce col recuperare dall’inizio dell’Almagesto
di C. Tolomeo la distinzione generale delle scienze tra “speculative” e “operative” o, che dir si voglia, tra “teoria” e “pratica”; una
distinzione che nella stessa concezione tolemaica risultava piuttosto netta riguardo al fine differente che perseguono i due ambiti
del sapere scientifico evocati.
Sempre a questo riguardo, a detta di Aristotele nel Libro Secondo della Metafisica – è sempre Tartaglia a farvi riferimento – il
fine della scienza speculativa non è nient’altro che la verità, dal
momento che essa indaga le cause dei fenomeni e mira all’aumento
delle conoscenze; mentre quello della pratica è soltanto l’esecuzione
diligente di un’operazione, onde condurla a un effettivo buon fine.
Questo primo ragionamento viene dal Tartaglia concluso valutando che la parte speculativa supera in nobiltà quella operativa,
mentre questa supera la precedente non solo in utilità, ma anche
in valore, dal momento che anche M.T. Cicerone nel Libro Primo
del De officiis riconosceva che il vero merito della virtù consiste
nell’azione.
24
Cfr. Quesiti (ed. Masotti), p. XLVII.
Cfr. Atti (ed. Masotti), pp. 39, 130, 150; Quesiti (ed. Masotti), pp. LIIILIV; Cartelli (ed. Masotti), p. CXXXIX.
25
80
Pierluigi Pizzamiglio
Detto questo, N. Tartaglia ricorda che alla matematica (geometria e aritmetica) speculativa egli stesso aveva già dedicato la
sua versione commentata degli Elementi di Euclide, opera principe
in tal genere di studi; ora quindi riteneva di completare il suo intervento a beneficio comune mostrando anche la rilevanza operativa
e pratica sia delle due discipline matematiche considerate (cioè
l’aritmetica o “arte piccola” e la geometria) sia della cosiddetta
“arte magna”, “detta in arabo algebra & almucabala over regola
della cosa”.
Trovandosi a parlare di algebra, Tartaglia riconosce che si tratta di “cosa in tutto contraria al ordine dato dal maistro di coloro
che sanno, cioè Euclide Megarense” (c. 1v); si ricordi che Dante
(cfr. Inferno, IV, 131) parlava in quei termini di Aristotele.
Presa la decisione di redigere e messa effettivamente mano alla
stesura di un “general trattato di numeri & misure”, solo due mesi
dopo l’inizio del lavoro il Tartaglia venne del tutto interrotto nell’esecuzione, al punto di ritenere astrologicamente di averlo iniziato “in
cattiva hora”, e venne indotto a dedicarsi ad altro per ben otto anni
“da duoi diversi strani accidenti l’uno dietro l’altro”: “il più piacevole
dei quali” – si fà per dire – fu quello legato alla disputa, durata un
intero anno, intercorsa tra lui e i milanesi L. Ferrari/G. Cardano;
mentre il secondo, che addirittura gli risultò “più strano & dannoso
assai”, fu nientemeno che un tragico malinteso con alcuni nobili
bresciani, che lo avevano indotto a tornare – invano – a Brescia, a
motivo del quale il Tartaglia si sentì quasi tolto “totalmente giù di
tal proposito, cioè di proseguire così longa impresa”.
Ma il desiderio, sempre vivo nell’animo di N. Tartaglia, di giovare agli altri, lo indusse a dedicarsi di nuovo, con due anni di intenso lavoro, temendo vicina la morte o una malattia o qualche altro
impedimento, a condurre a termine – con l’aiuto di Dio – quella
sua “longa fatica”, suddividendola in sei parti distinte “per causa
della diversità di suoi soggetti”.
Da queste ultime dichiarazioni risulta che il Tartaglia in due
anni di lavoro aveva personalmente redatto, cioè “ridutta a fine”,
l’intera opera in tutte le sue sei parti; ma le successive vicende ti-
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
81
pografiche ci dicono che la parte finale sarebbe stata composta da
un altro a noi ignoto matematico, per sollecitazione dell’editore,
sulla scorta di semplici appunti tartagliani.
Di questa Prima Parte – che, come si vede dal titolo, considera
sostanzialmentre solo la matematica commerciale – il Masotti segnala solamente l’argomento del cosiddetto ”Interesse composto”:
Parte I, Libro XI, Cap. XI, cc. 191v-193v: “Della openione
havuta generalmente da nostri pratici Arithmetici circa al meritar
una quantità de danari a far capo d’anno per una parte, over più
parte de un anno, & così de ogni altro termine”.
A questo riguardo Masotti rinvia a Simon Stevin (1548-1620),
che pare sia venuto a conoscenza del trattato tartagliano dopo il
1583, ma che già nelle sue Tafelen Van Interest (“Tavole degli interessi”, Anversa 1582) affrontava problemi riguardanti gli interessi composti quali erano comparsi in opere di Leonardo Pisano, L.
Pacioli, G. Cardano e appunto N. Tartaglia: cfr. The principal works
of Simon Stevin. Volume II/A-B: Mathematics, a cura di D. J. Struik,
Amsterdam 1958, pp. 17-18, 23.
La seconda parte / del general trattato di / nvmeri, et misure
di Nicolo Tartaglia, / nella quale in vndici libri si notifica la / piv
ellevata, et specvlativa parte della pratica / Arithmetica, laqual è
tutte le regole, & operationi praticali / delle progressioni, radici, proportioni, / & quantita irrationali [Ritratto di “Nicolo Tartalea”, con
motto “Le inventioni sono difficili, ma lo aggiungervi è facile”; impresa editoriale – consistente in un leone o una leonessa che tiene
nelle zampe anteriori un drago – contornata dal motto “Noiar non
può malignità a fortezza”] Con priuilegio della santita di Paolo IIII.
Della Illu-/strissima Signoria di Venetia, & dell’eccellen- / tissimo
signor Duca d’Vrbino. / In Vinegia per Curtio Troiano de i Nauò. /
MDLVI. / Appresso dell’Auttore.
Biblioteca Viganò: FA.5A.97 / II; Cat. 4666; Impronta: a.S.
o.t- o.o. ZoAp (7) 1556 (R); Parte II: Libri 11.
In folio, di carte 4 non num. 1 278. Errori di numerazione
delle carte: 13 (ma indicata come 17), 14 (ma 17), 18 (ma 24), 19
82
Pierluigi Pizzamiglio
(ma 25), 20 (ma 26), 21 (ma 27), 22 (ma 28), 23 (ma 29), 24 (ma
32), 53 (ma 51), 55 (ma 65), 80 (ma 82), 104 (ma 103), 130 (ma
121), 139 (ma 148), 144 (ma 139), 156 (ma 158), 166 (ma 168),
177 (ma 175), 178 (ma 176).
Sul recto della carta successiva al frontespizio compare una
dedica “Al molto magnifico, et generoso signor, il signor conte Antonio Landriano [anzi L’ANDRIANO] suo honorandiss.” sottoscritta: “Di Venetia alli III di Aprile. MDLVI. Alli comandi di V.S. Nicolo Tartaglia”.
In questa dedica al Conte A. Landriani merita d’esser notato
come il Tartaglia avverta e colga l’opportunità di accennare all’interesse del suo illustre interlocutore sia riguardo a Euclide sia per
l’arte magna (cioè l’algebra e almucabala degli Arabi e la regola
della cosa dei Latini): “Et perché già molti giorni ragionando con
la eccellenza di messere Federico Comandino da Urbino peritissimo mathematico, quella mi certificò qualmente vostra signoria molto si dilettava, non solamente della speculativa dottrina di Euclide
Megarense, ma anchora della pratica speculativa dell’arte magna”.
Come si può dedurre dalla lettura del lungo titolo sul frontespizio, questa Seconda Parte del GT è principalmene e precisamernte dedicata a esporre le regole aritmetiche ovvero, per usare
le medesime espressioni tartagliane, gli algoritrmi calcolatori riguardanti i vari tipi di numeri, comprese le grandezze irrazionali.
Ma Tartaglia non perde l’occasione per riconoscere i molti riferimenti che egli farà anche all’opera maggiore di Euclide, da lui
stesso pubblicata in lingua italiana.
Infatti già nella successsiva “Tavola della continentia di ciascun libro” egli dichiara tra l’altro: “Nel primo libro si notifica le
speculative divisioni di tutto il numero date da Euclide & da altri
filosofi”; “Nel sesto libro si essemplifica con numeri le prime 11
propositioni, over conclusioni geometricamente dimostrate nel secondo libro di Euclide, & replicate arithmeticamente dopo la 16
del suo nono libro”; “Nel undecimo & ultimo libro si dichiara & si
essemplifica praticamente con numeri & radici & altre quantità irrationali, tutte le diffinitioni & propositioni del decimo di Euclide”.
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
83
Anche nelle successive pagine che presentano “Le tavole della general continentia delli capi di ciascun libro” vengono fornite
altre indicazioni euclidee: “Il settimo libro è diviso in capi, nel primo di quali si da & essemplifica alcune diffinitioni del quinto libro
di Euclide sopra la proportione & proportionalità… Nel secondo
si dichiara alcune altre diffinitioni & propositioni di Euclide”; “Nel
quarto capo del ottavo libro si dimostra alcune conclusioni cavate
dalla decimasesta & decimaottava del quinto di Euclide”.
Masotti annota anzitutto la regola o formula adottata e proposta da N. Tartaglia per il calcolo delle combinazioni con ripetizione di 6 oggetti o facce di un dado, di classe k e cioè del
numero dei dadi.
Libro I, cap. XVI, c. 17r: “Regola generale dal presente autore
ritrovata il primo giorno di quaresima l’anno 1523, in Verona, di
saper trovare in quanti modi si può variar il getto di che quantità
di dadi si voglia nel tirar quelli”; ove in sostanza si propone a formula: C6, k 5 1 1 Ck, 1 1 Ck11, 2 1 Ck12, 3 1 Ck13, 4 1 Ck14, 5.
Lo stesso Masotti fa poi notare che in diversi luoghi di questa
Parte II si trovano riferimenti alla celebre “disfida matematica” tra
Tartaglia e Ferrari/Cardano e ad alcuni dei problemi in essa dibattuti;
ma non tutti gli esemplari superstiti di questa parte la riportano.
Libro II, Cap. III, c. 30v (“La causa della regola data per cauar
la radice cuba, & similmente quella da formar il rotto delle propinque radici cube delli numeri non cubi, si può assignare da questa sottoscritta propositione non posta da Euclide, ne da altri, eccetto che da Hieronimo Cardano da noi a lui mostrata, con laqual
propositione fu da me trovata la regola generale al capitolo di cosa
e cubo egual a numero, & a molti altri suoi dependenti l’anno 1534
in Venetia, come al suo luogo si dira”).
Libro II, Capp. VII-X, cc. 41r-44r (lunga narrazione storica
della vicenda e, più in particolare, critica delle risposte date da
Cardano/Ferrari al Quesito 22° proposto dal Tartaglia, che riguardava l’estrazione di “propinqua radice relata”, cioè di radice quinta approssimata) e cc. 46v-48v (critica delle risposte date da Cardano/Ferrari al Quesito 23° proposto dal Tartaglia, che riguardava
84
Pierluigi Pizzamiglio
l’estrazione di “radice cuba quadra propinqua”, cioè di radice sesta approssimata); Capp. XI-XIII, cc. 51r, 52r, 52v (critica delle
risposte date al Quesito 24°, che riguardava l’estrazione di “propinqua radice seconda relata”, cioè di radice settima approssimata) e c. 55v (ove dice perché non propose a Cardano/Ferrari
un’estrazione. di radice “censa di censa di censa”, cio è radice ottava); Capp. XIX-XX, cc. 67r, 68r-v, 68v-69r (critica delle risposte date da Cardano/Ferrari al Quesito 25° che riguardava l’estrazione di “propinqua radice terza relata”, cioè di radice undicesima approssimata).
Libro II, Cap. XXI (“Regola generale dal presente autor ritrovata da sapere in tale estrattioni di radici in infinito più oltra procedere nelle altre sequenti specie”), cc. 69r-73v. È qui che si trova
il cosiddetto “Triangolo di Tartaglia”. A tal proposito viene dal Masotti riferita la valutazione storiografica espressa a suo tempo da U.
Cassina, Storia del triangolo aritmetico, “Bollettino di Matematica”, 19 (1923), rist. in U. Cassina, Dalla geometria egiziana alla
matematica moderna, Roma 1961, pp. 37-45: “Gli autori italiani,
in generale, attribuiscono a N. Tartaglia (nel 1556) la scoperta del
triangolo aritmetico; quelli francesi a B. Pascal (nel 1654), al quale
precisamente si deve la denominazione di “triangolo aritmetico”;
e quelli tedeschi a M. Stiefel (nel 1544); ma nessuno di questi è
appropriato”; il Cassina ritiene infatti di aver trovato tracce di esso
in Euclide (sec. IV-III a.C.), in Omar Al-Khayyam (sec. XI-XII),
in Ciu-Shi-Ki (nel 1303), in Petrus Apianus (nel 1527) e in Johann
Scheybel (nel 1545); ritiene inoltre che taluni autori abbiano impropriamente dato il nome di “binomio di Newton” alla scoperta
della “serie binomiale” da I. Newton realizzata nel 1676; cfr. anche
G. Usai, Sul triangolo di Tartaglia generalizzato e sulle funzioni
Aleph di Wronski (Catania 1927), estr. “Atti” dell’Accademia Gioenia, pp. 5.
Libro III, Capp. IV-V, cc. 80r-v (critica Frate Luca dal Borgo
e Hieronimo Cardano circa la somma delle radici quadrate), e cc.
81v-82r (critica Frate Luca e il Cardano a proposito della differenza
delle radici quadrate).
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
85
Libro X, Cap. II, cc. 153r-154v (critiche alle soluzioni di Cardano/Ferrari ai Quesiti 28°, 29°, 30°, riguardanti la divisione di
un numero per una somma di radicali, cioè di due radicali con diversi indici). Si deve ricordare che i quesiti 28-29-30 proposti da
N. Tartaglia a L. Ferrari si trovano in appendice alla “Seconda
Risposta” (ed. Masotti: p. [20], 58); le loro soluzioni da parte di
L. Ferrari si trovano annesse al “Quinto Cartello” (ed. Masotti:
pp. [53-55], 169-171). Il Tartaglia esprime in generale i suoi giudizi su queste risoluzioni nella sua “Sesta Risposta” (ed. Masotti:
pp. [2-3], 200-201); mentre poi discute quasi tutti i vari quesiti
nella Parte Quinta del suo GT [q.v.], eccetto appunto i quesiti 2829-30 che vengono risolti in questa Parte II, Libro X, Cap. II (“Regole generali dal presente auttor ritrovate di saper partire qual si
voglia quantità per qual si voglia specie di binomio over residuo”)
cc. 153r-154v.
La terza parte del / general trattato, / de nvmeri et misvre, /
di Nicolo Tartaglia. / Nel qvale si dechiarano i primi prin- / cipii,
et la prima parte della geometria, / con bellissimo, et facilissimo modo; / Cose vtilissime, et dilettevoli, per tvtte qvelle / persone, che si
dilettano disapere. / Dimostrasi oltra di cio, la prattica / del Misurare
ciascuna cosa, con brieue, & facile via. / Con suoi privilegii [Simbolo
floreale. Scritta: “Traiano Cvrtio”. Impresa editoriale con leone o
leonessa rampante raffigurato/a su un cartiglio a scudo, sormonato
da un elmo (sopra il quale si trova un altro leone) sostenuto da due
guerrieri] In Venetia per Cvrtio Troiano / M.D.L.(X).
Biblioteca Viganò: FA.5A.97 / III; Cat. 4666; Impronta: o.a.
alre e.i- Ilpi (3) 1560 (R); Parte III: Libri 5.
In folio, di carte 4 non num. con sul verso dell’ultima un ritratto
del Tartaglia 1 51 1 1 non numerata. Errori di numerazione delle
carte: 12 (ma indicata come 32), 44 (ma 42).
A tergo del frontespizio compare il privilegio di stampa ventennale, concesso al tipografo veneziano Curzio Navò dal Re Filippo
di Spagna per la stampa del GT, emesso a Bruxelles il 14 agosto
1556 e controfirmato da Didaco de Vargas. Sulla stessa facciata v’è
86
Pierluigi Pizzamiglio
anche il privilegio veneto, pure ventennale, concesso a Curzio
Troiano per la stampa delle parti III, IV, V, VI del GT, firmato dal
notaio ducale Aloysius de Augustinis in data 29 luglio 1559.
Sul recto della carta non num. successiva si legge la dedica
dell’opera “Al magnifico messer Daniel D’Anna patrone et signor
mio sempre osservandissimo” sottoscritta a Venezia il 1° gennaio
1560 da Curzio Troiano.
Come si può evincere dal titolo questa Terza Parte del GT è
interamente dedicata a illustrare i fondamenti della geometria e
quindi è tutta costellata di menzioni di Euclide e della sua opera.
A conferma, basta leggere come la trattazione esordisce: “Incomincia il primo libro della terza parte… nel qual si dichiara tutte
le diffinitioni del primo di Euclide, sì secondo la consideration naturale come mathematica, con altre più chiare ragioni di quelle
adutte sopra di esso Euclide da lui tradutto insieme con molte altre
dal detto autore agionte alla pratica necessarie” (Libro I: c. 1r):
Un primo argomento di questa Terza Parte che viene preso in
considerazione dal Masotti è quello dell’Agrimensura e più esattamente della costruzione e dell’uso del cosiddetto ‘squadro agrimensorio’: cfr. GT, P. III, lib. III, cap. I (“Dell’istrumento materiale necessario a misuratori di terreni chiamato squadro & come si fabrica
& si conosce s’egli è giusto”, c. 24rv) e cap. II (“Del modo di saper
operar sopra il sopradetto squadro materiale & come che si ha da
intendere nelle essemplar squadrationi”, cc. 24v-25v).
Al riguardo viene dal Masotti citato anzitutto un passaggio storiografico contenuto nel volume di Giovanni Rossi, Groma e squadro
ovvero storia dell’agrimensura italiana dai tempi antichi al secolo
XVII, Torino ecc., E. Loescher, 1877, pp. 123-135 (Libro Terzo;
Capitoli II e III), ove si dice che “la grande importanza dello Squadro nell’arte agrimensoria non isfuggì di certo a quel perspicace e
alto intelletto di Nicolò Tartaglia, il quale nella sua grand’opera –
il General Trattato dei Numeri e Misure – scrisse un bellissimo e
completo trattato dello Squadro. V’ha un Capitolo in questo trattato
che, per essere di grande importanza per la storia del nostro istrumento, io riporterò per intero accompagnandolo da alcune osser-
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
87
vazioni: questo Capitolo è il 1° del terzo Libro… A Tartaglia dobbiamo se non la invenzione dello Squadro, almeno la prima idea
della forma che assunse da poi e che gli rimase sino ai nostri giorni… Debbo inoltre notare che in nessuno dei trattati scritti dopo
il Tartaglia, per ben due secoli, non si trova fatta menzione del
modo di verificare lo Squadro… Il Trattato è condotto con rara maestria e da profondo conoscitore della materia”; si passa poi a dire
che da parte di N. Tartaglia già nella Nova scientia (Venezia 1537),
nel Libro III, venivano proposti due strumenti (un quadrato geometrico e uno squadro a traguardi mobili), in verità destinati non
agli agrimensori ma agli artiglieri; si dice infine che pure nei Quesiti
et inventioni diverse (Venezia 1546), nel Libro V, il Tartaglia espone
descrizione e uso di un nuovo strumento, ch’egli chiama “bossolo”,
perché basato sulla bussola, che è in sostanza un grafometro-bussola a cerchio intero.
Inoltre viene menzionato un passo di un’opera di Pietro Riccardi, Cenni sulla storia della geodesia in Italia dalle prime epoche
fin oltre alla metà del secolo XIX, Bologna 1879, pp. 46-50 (n. 7),
ove s’inizia col dichiarare che “a Niccolò Tartaglia, per molti titoli
benemerito delle scienze matematiche pure e applicate, dobbiamo
i maggiori avanzamenti della geometria pratica nella prima metà
del secolo XVI”; si passa poi a ricordare che già nella Nova scientia
vengono proposti due strumenti distanziometri (un quadrante geometrico e un quadrato geometrico) e così pure nei Quesiti et inventioni diverse si applica il “bossolo” all’agrimensura; finalmente si
giunge a parlare del General trattato (Venezia 1556-1560), ove a
proposito di quanto viene detto appunto nella Parte III al Libro III:
“Piuttosto al Tartaglia dobbiamo attribuire il merito di avere riconosciuta la importanza dello squadro agrimensorio, di averne pel
primo data la descrizione, di averne perfezionata la costruzione e
di averne avanti tutti composto un trattato abbastanza esteso sull’uso di questo strumento”. Anche lo scritto di Giuseppe Boffito,
Gli strumenti della scienza e la scienza degli strumenti, Firenze
1929, pp. 18-19, 58, 76 attinge dalla or citata opera di P. Riccardi
sulla storia della geodesia.
88
Pierluigi Pizzamiglio
Un secondo argomento considerato dal Masotti è di geometria
e precisamente considera i problemi della determinazione del “volume dei carri di fieno e dei tinazzi”, cioè del tronco di cono.
Fonte: GT, P. III, lib. IV, cap. II, cc. 35r-v (“Come si misura
il feno su li carri”) e lib. IV, cap. VI, cc. 39v-40r (“Come che geometricamente si misura & conosce la quantità delli vini nelli tini
over tinazzi & nelle botte in generale & in particolare”) e libro V,
cap. III c. 50r.
Il tema verrà poi ripreso dall’ingegnere A. Capra (1608-1683),
La nuova architettura civile e militare, Cremona, Pietro Richini,
1717, tomi 2.
Il cremonese Alessandro Capra (1608-1683) in pratica esercitò una professione che gravitava intorno ai pur differenziati ruoli
del geometra, dell’agrimensore, dell’architetto civile e militare e
dell’ingegnere. Anche se pubblicò una manciata di libri, di fatto
egli fu autore di un’unica opera, comparsa dapprima nel 1671, o
forse addirittura nel 1670, quando il Capra aveva però ormai raggiunto l’età di una sessantina d’anni e più, e poi da lui stesso fatta
comparire rimaneggiata a più riprese sino al 1683, e ricomparsa
postuma nel 1717.
In quest’opera del Capra e precisamente nel Tomo I, Libro III,
Cap. XIII (“Della misura d’un Tinazzo”) per il calcolo del volume di
un tronco di cono viene indicata la regola traducibile nella formula
V5
11 h 2
1D 1 d2 1 Dd2
14 3
Concludendo la sua trattazione il Capra scrive: “Et al mio parere
quest’è la regola più prossima al vero di ogni altra, come dice il
Tartaglia, e serve ancora benissimo a misurare la Piramide tronca,
così tonda, come quadra” (p. 169).
Il Tartaglia viene dal Capra nominato altre cinque volte nel
Tomo I, Libro III Cap. XXII (“Come si misurano li Fieni sopra de’
Carri”, pp. 180-182): “Per mostrare [misurare?] il Carro di Fieno
intiero, vi è la regola communemente ben praticata, ancorche non
sia totalmente perfetta, perch’è regola più di pratica, che di geo-
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
89
metria, come dice il Tartaglia. Per misurar il carro intiero la regola
è buona, ma per misurar il mezo Carro, in quanto all’altezza la vedo
mal praticata, perché il Tartaglia ha insegnato le buone regole…
Il Tartaglia insegna la regola… Quella del Tartaglia s’accosta più
alla facilità dell’uso… Nel modo che insegna il Tartaglia di misurare il Carro intiero e far l’operazione conforme all’arte”.
La quarta parte del / general trattato / dè nvmeri et misvre,
/ di Nicolo Tartaglia; / nella qvale si ridvcono in nvmeri qvasi la /
maggior parte delle figvre, così svperficia- / li, come corporee della
geometria; / et oltre a ciò s’applicano alla materia, / o si metteno
in atto prattico. / Cose molto vtile à tutte le qualità delle / persone,
et infinitamente desiderate, / dè studiosi delle Diuine Mathematice.
/ Con svoi privilegii [Impresa editoriale con leone o leonessa rampante rivolto / a verso il Sole e che tiene negli artigli un nastro
con la scritta “Simile a sibi simile”] In Venetia per Curtio Troiano
/ M. V. LX.
Biblioteca Viganò: FA.5A.97 / III; Cat. 4666; Impronta: ueco
s-o) uao, tiop (3) 1560 (R); Parte IV: Libri 3.
In folio, di carte 4 non num. con sul verso dell’ultima un ritratto
del Tartaglia 1 63 (sul verso della carta 63 vi è la nota tipografica:
“In Vinegia/Per Comin da Tridino./MDLVII”) 1 1 non num. bianca.
Errori di numerazione delle carte: 18 (ma indicata come 16), 39
(ma 29), 60 (ma 55).
A tergo del frontespizio compare il privilegio di stampa ventennale concesso al tipografo veneziano Curzio Navò dal Re Filippo
di Spagna per la stampa del GT emesso a Bruxelles il 14 agosto
1556 e firmato da Didaco de Vargas. Sulla stessa facciata v’è il privilegio veneto, pure ventennale, concesso a Curzio Troiano per la
stampa delle parti III, IV, V, VI del GT, firmato dal notaio ducale
Aloysius de Augustinis in data 29 luglio 1559.
Sul recto della carta non num. successiva si legge la dedica
dell’opera “Al molto illustre et valoroso signore, il Conte Camillo
Martinengo, Signor et padron mio sempre osservandissimo” sottoscritta, senza specificazione di luogo e data, da Curzio Troiano, in
90
Pierluigi Pizzamiglio
cui si dichiara che lo stesso N. Tartaglia “haveva fatto pensiero di
dedicare a V. S. una delle molte veramente degne fatiche sue” e
che aveva al riguardo espresso esplicitamente il desiderio che il
suo esecutore testamentario (cioè lo stesso Curzio Troino) attuasse
il proposito.
Degno di nota è il fatto che nel successivo indice o “Tavola”
si annunciano argomenti distribuiti su sette libri o capitoli, mentre
poi si propongono e di fatto vengono redatti solo tre libri.
Dal momento che già dal titolo appare che questa Quarta Parte
è dedicata alle applicazioni calcolatorie inerenti diverse figure geometriche piane e solide, essa si basa sulla teoria delle proporzioni
o della misura espressa nei libri quinto e sesto di Euclide e inoltre
si dedica il dovuto spazio ai risultati già a suo tempo conseguiti
da Archimede.
Anzitutto Masotti annota che un significativo riferimento alla
celebre “disfida matematica” sostenuta da N. Tartaglia si ha anche
in questa Parte Quarta, Libro I, cap. V, cc. 16v-17r (“Quesito primo
a me proposto dal Cardano medico & da Lodovico suo creato da
loro ignorato”) e però rinvia semplicemente all’articolo di Ettore
Bortolotti; Il primo fra i Quesiti proposti dal Ferrari al Tartaglia nel
suo 3° Cartello di matematica disfida, e la inscrizione nel cerchio
dei poligoni regolari di 7 e di 9 lati, “R. Accademia delle Scienze
dell’Istituto di Bologna” (1926), estr. Bologna 1926, pp. 16.
Dopo di ciò, un primo problema tartagliano considerato dal
Masotti è quello del “volume del tetraedro”.
Fonte: GT, Parte IV, Libro II, cap. IV (“Di alcune speculative
questioni, che occorrer ponno sopra le Piramidi laterate & tonde
di ogni qualità & della loro misuratione”, c. 33v), n. 11: “Supponiamo che sia anchora la medesima piramide detta di sopra & che
di quella sia noto solamente li suoi lati, cioè 15, 14, 13 [e] 20, 18,
16 & volendo per tal notitia saper quanto sia l’aria corporale di tal
piramide” (c. 35r).
A questo proposito il Masotti non può tralasciare di fare riferimento a quanto scritto al riguardo in uno studio realizzato dalla
sua stessa consorte, la prof. Giuseppina Biggiogero, La geometria
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
91
del tetraedro, “Enciclopedia delle matematiche elementari”, a cura
di L. Berzolari, G. Vivanti e D. Gigli, Milano 1937, vol. II, parte I,
pp. 219-220 (“Cenni storici e bibliografici”) e 245 (“Volume del
tetraedro”): “Alcune proprietà del tetraedro erano note agli antichi:
Eudosso, Euclide, Archimede. Ma due teoremi sulle mediane si
trovano la prima volta in Leonardo da Vinci. Nel secolo XVI, N.
Tartaglia assegnò il volume del tetraedro in funzione dei lati, e F.
Commandino diede alcune proprietà relative al baricentro del tetraedro. Del volume del tetraedro si occuparono anche L. Euler,
J.L. Lagrange, G. Monge, e G.C.Ch. von Staudt, mentre molti geometri, studiando il tetraedro, ne trovarono proprietà notevoli. La
“geometria del tetraedro” si può però dire sorta soltanto verso la
fine del XIX secolo, accanto alla geometria del triangolo”.
Ancora, Masotti annota che è proprio in questa parte dell’opera tartagliana che si trova riprodotta la versione italiana commentata
del Libro I dell’opera di Archimede “Della sfera e del cilindro”.
Fonte GT, Parte IV, Libro III, cc. 43v-63v: Cap. I (“Delle suppositioni et diffinitioni del primo libro della sphera et cilindro di
Archimede Siracusano”, cc. 43v-44r); Cap. II (“Delle propositioni
del primo libro di sphera et cilindro di archimede Siracusano”, cc.
44r-60v); Cap. III (“Di alcune praticali questioni sopra le misurationi della sphera et delle sue portioni over parti”, cc. 60v-63v).
Al riguardo, mi sia consentito di rinviare a un mio breve scritto,
cioè P. Pizzamiglio, Un’opera archimedea interpretata da Niccolò
Tartaglia. “Tartalea”, a. II (1985), n. 2, pp. 1-2.
Nel corso della riproposta del testo archimedeo Tartaglia affronta alcune questioni che di fatto conducono a ricercare la formula per il calcolo del “volume della sfera” o, per dirla proprio
con l’espressione tartagliana, a “trovare quanto sia l’aria corporale
della sphera”.
Fonte: GT, Parte IV, Libro III, Cap. III (“Di alcune praticali
questioni sopra le misurationi della sphera & delle sue portioni
over parti”, c. 55/ma 60v), n. 3 (“Supponemmo anchora che sia una
sphera, volendo trovare quanto sia l’aria corporale di tal sphera”,
c. 60v); vedasi anche GT, P. IV, Libro II, Cap. V, c. 39r, n. 10.
92
Pierluigi Pizzamiglio
Anche stavolta il Masotti sottolinea la rilevanza della soluzione tartagliana riferendo le parole dell’architetto cremonese Alessandro Capra (1608-1683) nei due tomi che costituiscono l’edizione
postuma (Cremona 1717) del suo scritto intitolato La nuova architettura civile e militare: nel Tomo I, Libro III, Cap. VII (“Delle misure delle sfere”), spiega che per trovare la “quantità interiore o
corporea”, cioè il volume, della sfera si deve procedere “come insegna Nicolò Tartaglia nel suo Trattato di Geometria lib. 3. quest.
3. pag. 61” (pag. 160); inoltre nel Tomo I, Libro III, Cap. XIII (“Della misura d’un Tinazzo”), proponendo la regola per il calcolo del
volume di un tronco di cono, già menzionata nella Parte III del trattato tartagliano, il Capra scrive che appunto secondo N. Tartaglia
essa “serve ancora benissimo a misurare la Piramide tronca, così
tonda, come quadra” (p. 169).
La quinta parte del / general trattato / dè nvmeri et misvre,
/ di Nicolo Tartaglia; / nella qvale si mostra il modo de esseqvire /
con il compasso, et con la regha tvtti li / problemi geometrici di Evclide et / da altri philosophi, / et con modi piv ispedienti, e brevi di
qvelli / dati da esso Evclide, / materia non men’vtile che necessaria
à geo- / metrici, designatori, perspettivi, architet- / tori, Ingegneri,
& Machinatori, si naturali, come Mathematici. / Con svoi privilegii
[Impresa editoriale con leone o leonessa rampante rivolto / a verso
il Sole e che tiene negli artigli un nastro con la scritta “Simile a
sibi simile”] In Venetia per Curtio Troiano/M. V. LX.
Biblioteca Viganò: FA.5A.97 /,III; Cat. 4666; Impronta: zali
l-vl e, la lepo (7) 1560 (R); Parte V: Libri 3.
In folio, di carte 4 non num. con sul verso dell’ultima un ritratto
del Tartaglia 1 90. Errori di numerazione delle carte: 7 (ma indicata
come 9), 12 (ma 11), 13 (ma 17), 45 (ma 37), 47 (ma 46). 72 (ma
71), 81 (ma 73).
A tergo del frontespizio compare il privilegio di stampa ventennale concesso al tipografo veneziano Curzio Navò dal Re Filippo
di Spagna per la stampa del GT emesso a Bruxelles il 14 agosto
1556 e firmato da Didaco de Vargas. Sulla stessa facciata compare
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
93
anche il privilegio veneto, pure ventennale, concesso a Curzio
Troiano per la stampa delle parti III, IV, V, VI del GT, firmato dal
notaio ducale Aloysius de Augustinis in data 29 luglio 1559.
Sul recto della carta non num. successiva si trova la dedica
dell’opera “Al illustrissimo signore il signor Sforza Palavicino Marchese di Corte Maggiore, di Borgo Sandonnino, di Fiorenzuola Conte
e Barone, et Governatore generale del Serenissimo Dominio Veneto”
sottoscritta, senza specificazione di luogo e data, da Curzio Troiano.
Come dichiara il titolo, in questa Parte Quinta s’insegna a “risolvere problemi” con riga e compasso, molti già a suo tempo posti
da Euclide ma diversi altri non proposti né dal matematico greco
né da altri. Le menzioni di passaggi del testo euclideo sono in effetti
assai numerose e, in particolare, nel Libro I di questa Parte V si
fa riferimento ai Libri I-VI di Euclide, mentre nel Libro II ci si riferisce soprattutto ai Libri XI-XIV, infine nel Libro III anzitutto “si
dichiara quante siano le propositioni di ciascun libro di Euclide e
quante sieno problemi da risolvere con una sola apertura di compasso” (scrive al riguardo Tartaglia: “In tutti li 15 libri di Euclide
sono propositioni 514 fra Geometrici & Arithmetici, delle quali sono problemi 105, fra Geometrici & Arithmetici. Li problemi geometrici sono in tutto 98, delli quali 75 sono da operar in piano &
23 per li corpi; delle 75 da operar in piano 67 se puono risolvere
con qual si voglia apritura di compasso proposta dal aversario & 8
non è possibile di poterli risolvere realmente con tal conditione,
per le ragioni di sopra adutte”, cc. 63v-64r) e poi “si dichiarano
ventidue quesiti delli trentauno proposti all’auttore da Hieronimo
Cardano medico Milanese & Ludovico Ferario in publica disputa
l’anno 1547” (dalla Tavola iniziale).
Vediamo ora con qualche dettaglio, sulla scorta delle considerazioni a suo tempo espresse dal Masotti, alcuni di quei problemi.
Cominciamo con le questioni inerenti la cosiddetta “divisione
delle aree”, che in Tartaglia si presenta nei seguenti termini.
Fonte: GT, Parte V, Libro I: Cap. III (“Il modo geometrico da
risolvere manualmente con il compasso o rega varij problemi non
posti da Euclide”), in particolare “Del modo di saper dividere una
94
Pierluigi Pizzamiglio
figura, cioè pigliar over formar una parte di quella in forma propria” (cc. 6r-7r); Cap. XIII (“Regole di saper geometricamente dividere un triangolo in parti per più vie”, cc. 23v-32r); Cap. XIV
(“Il modo over regola di saper dividere geometricamente le figure
parallelogramme, cioè di lati equidistanti, & in diversi modi”, cc.
32r-34r); Cap, XV (“Il modo over regola di saper dividere geometricamente in parti le figure dette capi tagliati & doppi capi tagliati”, cc. 34r-37v); Cap. XVI (“Il modo over regola di dividere
in due parti eguali ogni quadrilatero del quale niun lato sia equidistante ad alcun de gli altri”, cc. 38r-39v); Cap. XVII (“Il modo
over regola di dividere le figure di cinque lati in più parti eguali
sotto diverse conditioni”, cc. 39v-41r); Cap. XVIII (“Il modo over
regola di dividere le figure di sei lati in più parti sotto diverse conditioni”, cc. 41rv); Cap. XIX (“Il modo over regola di dividere le
figure di sette lati in parti sotto diverse conditioni”, cc. 41v-42v);
Cap. XX (“Il modo over regola di dividere un cerchio in più parti
sotto diverse conditioni”, cc. 42v-44r).
A questo riguardo il Masotti ricorda come Simon Stevin (15481620) pare sia venuto a conoscenza del trattato tartagliano solo dopo
il 1583 e in effetti nel suo De Meetdaet (“La pratica della misura”,
Leida 1605, p. 144) menziona il matematico bresciano proprio riguardo alla problematica della divisione delle figure: cfr. The principal works of Simon Stevin. Volume II/A-B: Mathematics, a cura di
D. J. Struik, Amsterdam 1958, pp. 123 e 767; ma, sempre secondo
Masotti, delle indagini tartagliane parlano anche P. Cossali, Scritti
inediti… (1857), pp. 299-300, e A. Favaro, Notizie storico-critiche
sulla divisione delle aree, “Memorie Istituto Veneto”, estr. Venezia
1883, pp. 23-24, ove si accenna alle indagini tartagliane sulla division delle figure piane contenute nei Cartelli e nel GT, e R. C.
Archibald, Euclid’s Book on Division of Figures α with a restoration
based on Woepcke’s text and on the “Practica Geometriae” of Leonardo Pisano, Cambridge 1915, pp. 79-79 (“IV. Appendix”), il quale, dopo aver citato i risultati presenti nei Cartelli, alla data del
“1560” recensisce la “Quinta Parte del General Trattato” annotando
“the division of figures is treated on folios 23 verso - 44 recto (23-
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
95
32. triangles; 32-34, parallelograms; 34-44, quadrilateral, pentagon, hexagon, heptagon, circle without the Euclid-Proclus case)”.
Sempre a proposito di questa Parte V e del medesimo Libro
I il Masotti annota che al Cap X il Tartaglia si propone di affrontare
e risolvere “in modo geometrico con il compasso & rega diversi
problemi non posti da Euclide” (cc. 18v-19r).
Uno di questi problemi, e precisamente il 13°, è il seguente:
“In uno dato tringolo di duoi lati uguali potremmo descrivere tre
cerchij eguali & i maggiori che sia possibile, non dico reposanti
sopra un medesimo lato” (c. 19r).
Questo problema di costruzione su un triangolo isoscele venne
riproposto e risolto da Jakob Bernoulli a Basilea nel 1687.
In seguito nel 1802 venne riformulato e risolto da Gianfrancesco Malfatti (1731-1807) (cfr. G.F. Malfatti, Memoria di un problema stereotomico, “Memorie di Matematica e di Fisica della Società Italiana di Scienze”, t. X, Modena 1803, Parte I, pp. 235244), professore di matematica nell’Università di Ferrara, e da allora venne in uso di denominarlo come “Problema di Malfatti”: cfr.
G.B. Biadego, Intorno alla vita e agli scritti di Gianfrancesco Malfatti, matematico del secolo XVIII, “Bullettino Boncompagni”, t. IX
(1876), pp. 361ss (ove si parla del “celebre problema” alle pp. 379381; mentre alle pp. 388-392 viene fornito un “Catalogo di lavori
relativi al Problema del Malfatti”, in cui risultano segnalati ben 32
scritti); A. Sabbatini, Sui metodi elementari per la risoluzione dei
problemi geometrici, “Questioni riguardanti le matematiche elementari”, a cura di F. Enriques, ed. III, Bologna, N. Zanichelli,
1926, Parte II, pp. 150-153 (concluso da una breve “Nota storica”
sulle successive riproposizioni e risoluzioni del celere problema);
N.M. Scardapane, Il problema di Malfatti, “Periodico di matematiche”, s. IV, v. XI (1931), pp. 281-292; A. Procissi, Di alcuni problemi anteriori e analoghi a quello di Malfatti, in Gianfrancesco
Malfatti nella cultura del suo tempo, “Atti del Convegno: Ferrara,
23-24 ottobre 1981”, Ferrara 1982, pp. 329-336.
Infine il Masotti segnala che è proprio e principalmente in
questa Parte V del trattato che si trovano le soluzioni tartagliane
96
Pierluigi Pizzamiglio
sia dei “quesiti” dal Tartaglia posti al Ferrari sia delle “questioni”
che il Ferrari sottopose al Tartaglia nel corso della loro “disputa
matematica”.
Riguardo ai “Quesiti” posti da N. Tartaglia a Ferrari/Cardano:
cfr. Cartelli (ed. Masotti), pp. XXI-XXVI e LXXXIX-XCVI, note
104-113: i 31 quesiti proposti da N. Tartaglia si trovano in appendice alla “Seconda Risposta” (ed. Masotti, pp. [15-20], 53-58); le
loro soluzioni da parte di L. Ferrari si trovano annesse al “Quinto
Cartello” (ed. Masotti, pp. [25-55], 141-171): il Tartaglia esprime
giudizi su queste risoluzioni nella sua “Sesta Risposta” (ed. Masotti,
pp. [2-3], 200-201).
N. Tartaglia riprese lo studio dei suoi quesiti-problemi in alcuni passaggi del GT. E precisamente i Quesiti 1-21 e 26-27 e 31:
GT, Parte V, Libro III (problemi da risolvere con compasso ad apertura fissa), Cap. I, cc. 63v-85v; poi i Quesiti 22-25: GT, Parte V,
Libro I (problemi piani vari posti o non da Euclide), cc. 42r, 43r44r, 46v, 47v-48v, 51r e Libro II (problemi solidi vari posti o non
da Euclide), cc. 52rv e Libro III, Cap. I, cc. 67r, 68r-69r; infine i
Quesiti 28-30: GT, Parte II, Libro X, Cap. II (“Regole generali dal
presente auttor ritrovate di saper partire qual si voglia quantità per
qual si voglia specie di binomio over residuo”) cc. 153r-154v.
Quanto alle “Questioni” poste da L. Ferrari a N. Tartaglia: cfr.
Cartelli (ed. Masotti), pp. XXVI-XXXIII e LXXXIX-CIV, note 114131: le 31 questioni proposte da L. Ferrari al Tartaglia si trovano
in appendice al “Terzo Cartello” (ed. Masotti, pp. [6-8], 66-68);
delle loro risoluzioni date da N. Tartaglia se ne trovano 26 annesse
alla “Terza Risposta” (ed. Masotti, pp. [9-27], 79-96) mentre le
altre 5 risultano annesse alla “Quarta Risposta” (ed. Masotti, pp.
[7-8], 113-114): il Ferrari espresse i suoi giudizi sulle risoluzioni
tartagliane in appendice al suo “Quinto Cartello” (ed. Masotti, pp.
[15-24], 131-140).
N. Tartaglia ripropose un suo studio di molte delle questioni
ferrariano-cardaniane (Questioni 1-3, 5-12, 14, 17-18, 22, 24, 2930) in alcuni passaggi del GT: Parte IV, Libro I, cc. 16v-17r (“Quesito primo a me proposto dal Cardano medico & da Lodovico suo
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
97
creato da loro ignorato”) e Parte V, Libro I, c. 21r (“Cavillosità di
Hieronimo Cardano & di Lodovico Ferraro suo creato”) e Parte V,
Libro III, Cap. II (“Dechiaratione delli ventidue quesiti che da me
furono risolti delli trentuno a me proposti da Hieronimo Cardano
Medico Milanese nella nostra publica disputa l’Anno 1547”), cc.
85v-90v; ma qualcosa si troverà anche nella successiva Parte VI.
Quello del compasso ad apertura fissa si deve riconoscere che
costituì un importante tema nella disputa matematica tra Tartaglia
e Ferrari-Cardano: cfr. C.S. Roero, La geometria del compasso fisso
nella matematica e nell’arte, in Matematica, arte e tecnica nella storia in memoria di Tullio Viola, a cura di L. Giacardi e C.S. Roero,
Torino 2006, pp. 256-263.
La disputa matematica era stata aperta dal Tartaglia: dei problemi che egli aveva proposti a L. Ferrari ben 17 implicavano il
ricorso al compasso con apertura fissa (cfr. Tartaglia, Seconda risposta, Venezia, 21 aprile 1547, pp. 15-18).
Il Ferrari rispose risolvendo quei problemi, soggiungendo anche che non solo i problemi indicati dal suo contendente, ma tutte
le proposizioni euclidee potevano essere risolte col metodo del compasso ad apertura fissa (cfr. Ferrari, Quinto cartello, Milano, ottobre
1547, pp. 25-39: “per questa via, non solamente alcune propositioni, trovate da nostri maggiori, ma etiamdio tutto Euclide”, ed.
Masotti, p. 25). L’argomento dovette comunque interessare molto
anche G. Cardano, che potrebbe aver dato una mano al suo discepolo e collaboratore a risolvere i problemi in questione: tanto vero
che li pubblicò in una sua opera successiva, traducendoli in latino
(cfr. G. Cardano, De subtilitate, Norimberga 1550, Libro XV, pp.
296-302; queste pagine sono state riprodotte in fotografia nelle Tavole XXX-XXXVI dell’edizione dei “Cartelli” curata da A. Masotti;
si vedano inoltre in G. Cardano, Opera omnia, a cura di C. Spon,
Lione 1663, t. III, pp. 589-592).
I metodi risolutivi del Ferrari e del Cardano in quanto eccessivamente macchinosi non soddisfano il Tartaglia, che annuncia
una sua futura pubblicazione, in cui potrà dare prova della sua
competenza matematica nel risolvere in maniera veloce e brillante
98
Pierluigi Pizzamiglio
i problemi da lui stesso suscitati (cfr. N. Tartaglia, Sesta Risposta,
Brescia, 24 luglio 1548: “Egli è ben vero che di quelle date sopra
di Euclide ve ne sono alcune ben risolte & alcune che patissono
oppositioni assai, ma in l’una et l’altra di quelle voi caminate per
certe vostre vie tanto stranie & longhe che non posso haver pacientia a compirle da legere et poi quale siano le ben risolte & quale
male me riserbo a dirlo quando le publicaro in figura insieme con
el mio modo, accio si conosca la brevità & facelità del mio rispetto
al vostro”, ed. Masotti, p. 3).
I matematici e gli storici della matematica hanno poi riconosciuto i meriti sia dell’uno (L. Ferrari) che dell’altro (N. Tartaglia)
procedimento risolutivo e dimostrativo: cfr. E. Bortolotti, I cartelli
di matematica disfida e la personalità psichica e morale di Girolamo
Cardano, in «Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna», v. XII, 1935, pp. 75-76.
Comunque l’idea di dimostrare alcuni teoremi euclidei (anzi
tutti, secondo la dichiarazione esplicita di L. Ferrari) usando la riga
e un compasso ad apertura fissa, assegnata a piacere, era diventata
di dominio pubblico proprio con i cartelli di sfida matematica scambiati tra L. Ferrari e N. Tartaglia negli anni 1547-1548, e con le
complementari pubblicazioni che ne sortirono.
Su questo interessante capitolo della geometria nel corso del
’500 interverrà ancora qualificatamente il matematico Giovanni
Battista Benedetti (1530-1590), che era stato introdotto nello studio dei primi quattro libri degli “Elementi” di Euclide proprio da
N. Tartaglia.
La sesta parte del / general trattato / dè nvmeri, et misvre, /
de Nicolo Tartaglia; / nella qvale se delvcida qvella antica / pratica
specvlativa de larte magna, / detta in arabo algebra, et almvcabala,
over / regola della cosa trovata da Mavmeth, / figliolo de Moise arabo, / la qvale se pvo dire la perfetta arte del / calculare, perche la
supplisse, & serue, per risoluere infiniti casi, ouer / questioni, si in
Geometria, come in Arithmetica, che alcuna / delle altre regole (fin’hora datte) non potria seruire. / Giontovi in fine molti qvesiti risolti
Lettura del “General Trattato di Numeri et Misure”
99
/ per Algebra, si in Arithmetica, come in Geometria [Impresa editoriale con leone o leonessa rampante rivolto/a verso il Sole e che
tiene negli artigli un nastro con la scritta “Simile a sibi simile”] In
Venetia per Curtio Troiano. M.D.LX.
Biblioteca Viganò: FA.5A.97 / III; Cat. 4666; Impronta: lane.in a-ol trtr (3) 1560 (R); Parte VI: Libro unico.
In folio, di carte 4 non num. con sul verso dell’ultima un ritratto
del Tartaglia 1 44. Errori di numerazione delle carte: nessuno.
A tergo del frontespizio compare il privilegio di stampa ventennale concesso al tipografo veneziano Curzio Navò dal Re Filippo
di Spagna per la stampa del GT emesso a Bruxelles il 14 agosto
1556 e firmato da Didaco de Vargas. Sulla stessa facciata compare
anche il privilegio veneto, pure ventennale, concesso a Curzio Troiano per la stampa delle parti III, IV, V, VI del GT, firmato dal
notaio ducale Aloysius de Augustinis in data 29 luglio 1559.
Seguono due carte non num. con dedica dell’opera “Al molto
illustre et magnanimo Signore, il Signor Girolamo Martinengo, Governator di Verona, et Conduttiere d’huomini d’armi dell’illustriss.
Dominio Veneto; Signor et Patron mio osservandissimo” sottoscritta, senza specificazione di luogo e data, da Curzio Troiano.
Al nobile bresciano, cioè appunto della stessa “patria” del
“matematico eccellente” N. Tartaglia, l’editore C. Troiano – pure di
origini bresciane – dichiara d’aver affidato a un non meglio individuato “dotto matematico” il compito di “mettere in continuato discorso” gli appunti ovvero i “diversi fragmenti” che Tartaglia stesso
aveva redatti in vista della preparazione del testo da pubblicare –
un’incombenza che del resto Troiano stesso reputava “fatica ch’ogni
mediocre intendente delle Matematiche poteva condurla a fine”.
Comunque, come dichiara il titolo, in questa Parte Quinta s’insegna a usare l’algebra nella soluzione di problemi d’aritmetica e
di geometria, molti dei quali dimostrati facendo puntuale riferimento al manuale euclideo.
Per quest’ultima parte del manuale tartagliano il Masotti nota
soltanto la delineazione della soluzione di due problemi – gli altri
vennero discussi nella parte precedente – a suo tempo sottoposti
100
Pierluigi Pizzamiglio
da L. Ferrari a N. Tartaglia nel corso della loro celebre disfida
matematica.
Si ricorda anzitutto che le Questioni 6 e 29 proposte da
L. Ferrari a N. Tartaglia si trovano tra le altre trentuno in appendice al “Terzo Cartello” (ed. Masotti, pp. [6 e 8], 66 e 68), mentre
le loro risoluzioni date da N. Tartaglia si trovano annesse alla “Terza Risposta” (ed. Masotti, pp. [12-13 e 24-25], 82-83 e 94-95]: il
Ferrari espresse i suoi giudizi su tutte quante le risoluzioni tartagliane in appendice al suo “Quinto Cartello” (ed. Masotti, pp. [1524], 131-140).
Ebbene, il Tartaglia stesso – come si sa – discute quasi tutte
le Questioni nella Parte Quinta del suo GT; ma delle menzionate
Questioni 6 e 29 parla anche nella Parte VI, Libro Primo e unico,
e precisamente della n. 6 al penultimo Quesito 55, cc. 42v-44r, e
della n. 29 al Quesito 54, cc. 41v.42v.
Sono sempre più convinto che la rilettura del General trattato
di Niccolò Tartaglia iniziata a suo tempo da Arnaldo Masotti può
costituire un’informata e sagace base di partenza per affrontare lo
studio di sue significative parti o anche dell’intera opera, già peraltro disponibile in versione digitale.
VERONICA GAVAGNA*
L’INSEGNAMENTO DELL’ARITMETICA
NEL “GENERAL TRATTATO”
DI NICCOLÒ TARTAGLIA
1. L’EREDITÀ DELLA SUMMA DI LUCA PACIOLI
La grande diffusione dell’aritmetica mercantile e della geometria pratica nell’Italia del Trecento e del Quattrocento, si deve
in larga parte all’attività delle cosiddette “botteghe d’abaco”, luoghi
deputati alla formazione di mercanti, architetti, ingegneri, militari
e artigiani, membri cioè di quel ceto sociale che fu indiscusso protagonista della cultura del periodo1. Gli studenti entravano nelle
* Università di Salerno, Dipartimento di Matematica e Informatica, indirizzo email: [email protected].
1
La letteratura sulle botteghe d’abaco in questi ultimi anni si è arricchita
di numerosi titoli e non è possibile in questo contesto darne conto in maniera
esauriente. Ci limiteremo a segnalare i contributi di R. FRANCI, L’insegnamento
della matematica in Italia nel Tre-Quattrocento, «Archimede» (4) 1988, pp.182193; La trattatistica d’Abaco nel Quattrocento, in E. Giusti (cur.), Luca Pacioli
e la matematica del Rinascimento, Città di Castello, Petruzzi 1998, pp. 61-76;
E. GAMBA, V. MONTEBELLI La matematica abachistica tra recupero della tradizione
e rinnovamento scientifico, in Cultura, scienze e tecniche nella Venezie del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di scienze, lettere e arti, 1987, pp. 169-202;
E. ULIVI, Le Scuole d’abaco a Firenze (seconda metà del sec. XIII – prima metà
del sec. XVI), in E. Giusti (cur.), Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento,
cit. pp. 41-60; Benedetto da Firenze (1429-1479) un maestro d’abaco del XV secolo, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2002; Maestri e
scuole d’abaco a Firenze: la Bottega di Santa Trinita, in Leonardo Fibonacci.
Matematica e società nel Mediterraneo nel secolo XIII, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2005, vol. 2 pp. 43-91.
Veronica Gavagna
102
botteghe d’abaco all’età di 10-11 anni per imparare a padroneggiare
le operazioni fondamentali, le più diffuse tecniche di calcolo commerciale, la geometria pratica e, talvolta, i rudimenti dell’algebra.
Testimoni fondamentali di questo ambiente culturale sono i cosiddetti “trattati d’abaco”, molti dei quali sono sopravvissuti fino ai
giorni nostri. Il principale modello a cui si ispiravano era il ponderoso Liber abaci (1202) di Leonardo Fibonacci, da cui si differenziavano tuttavia per alcune caratteristiche essenziali: l’uso del
volgare piuttosto che del latino, una maggiore semplicità nella trattazione e, infine, una minore estensione per renderne più agevole
l’utilizzo quotidiano2. Non si tratta, come si potrebbe supporre, di
manuali a uso degli studenti – il libro era un oggetto troppo prezioso
per essere lasciato nelle mani di un bambino – quanto piuttosto di
testi di riferimento per gli insegnanti (i “maestri d’abaco”) o di consultazione per i clienti della bottega. Ciononostante, tali trattati ci
forniscono importanti informazioni sui programmi e sui metodi di
insegnamento adottati in queste scuole. Per esempio, il fatto di essere essenzialmente delle raccolte di problemi raggruppati per argomenti (compagnie, leghe, cambi, interessi e sconti ecc.) riflette
il tipo di insegnamento impartito, che era basato su un metodo mnemonico-analogico-operativo piuttosto che logico-deduttivo.
Nel 1494 Luca Pacioli, frate minore di Sansepolcro, pubblicò
la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita,
una vera e propria enciclopedia della matematica pratica che raccoglieva l’eredità del Liber abaci ricomponendo e aggiornando un
2
Il rapporto fra Liber abaci e trattati d’abaco è in realtà un problema ancora
aperto, come testimoniano i recenti studi di Jens Høyrup, fra cui segnaliamo
Leonardo Fibonacci and abbaco culture. A proposal to invert the roles, «Revue
d’histoire des mathématiques», 11 (2005), pp. 23-56. Su Fibonacci si vedano
alcuni contributi raccolti negli atti del convegno tenutosi a Pisa-Firenze nel 2002
e pubblicati in Leonardo Fibonacci. Matematica e società nel Mediterraneo nel
secolo XIII, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2005; recentemente è apparsa la traduzione inglese Fibonacci’s Liber abaci curata da E.
Siegler, Springer, 2003.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
103
sapere – quello della matematica pratica – ormai del tutto frammentato. Il tentativo di rifondere la tradizione pratico-abachistica
con le opere di autori quali Euclide, Boezio, Nemorario, Sacrobosco, Biagio da Parma, per citare solo i più noti, connota tuttavia
l’opera di Pacioli come un’operazione culturale più profonda di
quanto non appaia a prima vista3. Nella sua monumentale opera,
infatti, accanto ai temi tipici della matematica mercantile4, si trovano anche discussioni su argomenti più teorici quali, per esempio,
la classificazione dei numeri e dei numeri figurati di derivazione
rispettivamente euclidea e boeziana, nonché letture in chiave aritmetica dei libri II e X degli Elementi.
La Summa conobbe una notevole fortuna editoriale e diventò
un termine di confronto ineludibile, che costrinse i matematici successivi a presentare i propri lavori di aritmetica pratica come superamento o miglioramento dell’opera pacioliana. È il caso, per
esempio, di Girolamo Cardano, che pubblicò nel 1539 la Practica
arithmetice5, insistendo sulla novità dei suoi contenuti rispetto a
quelli della Summa e su una più snella organizzazione del volume.
L’architettura della Practica, in effetti, è assai più familiare al lettore moderno di quella della Summa, in cui ancora non esiste un
3
Sulla figura di Pacioli si veda il volume curato da E. Giusti Luca Pacioli
e la matematica... che raccoglie i contributi presentati all’omonimo convegno tenutosi a Sansepolcro nel 1994 e il lavoro di A. CIOCCI, Luca Pacioli e la matematizzazione del sapere nel Rinascimento, Bari, Cacucci 2003. La prima parte
della Summa è stata pubblicata e commentata in S. TONIATO, La Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita di Luca Pacioli, Università degli Studi di Torino, Tesi di laurea, A. A. 2001-02.
4 La Summa è articolata in cinque parti principali dedicate rispettivamente
al sistema di numerazione decimale posizionale, alle operazioni elementari e
alle applicazioni in ambito mercantile nonché all’algebra (parte I), alla computisteria (parti II e III), ai sistemi di pesi e misure in uso (parte IV) e alla geometria
pratica (parte V).
5 Hieronimi Cardani medici mediolanensis, practica arithmetice & mensurandi singularis. In quaque preter alias continentur, versa pagina demonstrabit, anno
a virgineo partu M.D.XXXIX Io. Antonius Castellioneus Mediolani Imprimebat.
Veronica Gavagna
104
confine netto fra l’aspetto più specificatamente teorico e quello applicativo; nella prima parte della Practica, Cardano enuncia brevemente le regole, corredandole di qualche esempio esplicativo, mentre nella seconda raccoglie una miscellanea di problemi in cui tali
regole trovano applicazione. Per evidenziare il distacco dall’opera
di Pacioli, Cardano non si limita a sottolineare i frequenti errori
presenti nella Summa, ma riserva l’ultimo capitolo della Practica
a un vero e proprio elenco ragionato degli errori più rilevanti6. Ancora più significativa la scelta della lingua: al volgare rozzo, ibrido
toscano-veneziano del frate di Sansepolcro, Cardano contrappone
la lingua latina, pur fortemente contaminata da echi volgari7. Le
scelte editoriali di Cardano, dunque, suggeriscono che il pubblico
d’elezione della Practica non fosse tanto il ceto mercantile, ovvero
quello strato intermedio che era stato il naturale destinario della
trattatistica d’abaco, quanto piuttosto un pubblico più colto e geograficamente più ampio: l’opera di Cardano, infatti, fu uno dei veicoli di diffusione dell’aritmetica pratica italiana in tutta l’Europa8.
6
Su questo argomento si veda, per esempio, V. GAVAGNA, Alcune osservazioni
sulla Practica Arithmetice di Cardano e la tradizione abachistica quattrocentesca,
in M.L. Baldi, G. Canziani (eds.) Girolamo Cardano. Le opere, le fonti, la vita,
Milano, Franco Angeli 1999, pp. 273-312; Medieval Heritage and New Perspectives in Cardano’s Practica arithmetice, «Bollettino di storia delle scienze matematiche» XXIX, (2010) n. 1, pp. 61-80.
7
Il fatto di scrivere in latino un tipo di manuale che appartiene tipicamente
alla tradizione volgare pone Cardano di fronte a problemi di traduzione e di costituzione di uno specifico lessico abachistico, che spesso lo costringono a inventare neologismi che associano il significato del termine volgare a un “suono
latino”. Per esempio, l’operazione denominata “schisar i rotti” si trasforma in
“schisatio” nella Practica arithmetice. Sul linguaggio di Cardano si veda anche
G. KOUSKOFF, Quelques aspects du vocabulaire mathématique de Jérome Cardan,
in J.C. Margolin (ed.) Acta conventus neo-latini Turonensis, II, Paris, Vrin 1980,
pp. 661-674.
8
Si veda a questo proposito G. CIFOLETTI, Cardano’s algebra in the manual
of Peletier and Gosselin, in E. Keßler (ed.), Girolamo Cardano: Philosoph, Naturforscher, Arzt, Wiesbaden, Harrassowitz 1994, pp. 243-264.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
105
2. IL PROGETTO EDITORIALE DEL GENERAL TRATTATO
Negli anni in cui Cardano stava redigendo la Practica, anche
Tartaglia aveva in animo di scrivere un trattato di aritmetica mercantile e di algebra in cui rendere noti i propri risultati ed emendare gli errori della Summa pacioliana9. Nel marzo del 1539, infatti, a fronte delle ripetute richieste di metterlo al corrente della
formula risolutiva dell’equazione di III grado, Tartaglia scriveva a
Cardano di non voler divulgare il risultato, avendo “designato di
componere un’opera di pratica & insieme con quella, una nuova
Algebra”10 non appena conclusa la traduzione in volgare degli
Elementi di Euclide. Fu dunque il desiderio di poter pubblicare
questo importantissimo risultato a proprio nome, che suggerì a Tartaglia di comunicare prudenzialmente la formula in forma “criptata” a Cardano, che intanto aveva già dato alle stampe la sua
Practica. In seguito, nella lettera indirizzata a Riccardo Wentworth11 del 1541, giunte ormai a compimento la traduzione di Euclide e l’edizione di Archimede, Tartaglia ribadiva di voler porre
mano a un’“opera in la pratica di Arithmetica et Geometria et insieme con quella una nuova Algebra” e, a conferma delle proprie
intenzioni, chiese al Senato Veneto la concessione del privilegio
di stampa, che gli venne accordato l’11 dicembre 1542 per le seguenti opere:
9
Sulla figura e la biografia di Tartaglia si rimanda ai lavori di P. FREGUGLIA,
Niccolò Tartaglia e il rinnovamento delle matematiche nel ’500, in Cultura, scienze
e tecniche nella Venezia del Cinquecento. Atti del convegno, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, 1987 pp. 203-216; G.B. GABRIELI, Nicolò Tartaglia. Invenzioni, disfide e sfortune, «Centro Studi della Matematica medievale.
Bibliografie e Saggi», Collana diretta da L. Toti Rigatelli e R. Franci, n. 2, 1986;
A. MASOTTI, Niccolò Tartaglia e suoi “Quesiti” in A. Masotti (cur.) Atti del Convegno in onore del IV Centenario della morte di Niccolò Tartaglia, supplemento
ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia», 1962, pp. 17-57.
10 Quesiti et invenzioni diverse, Capitolo IX, Quesito XXXIIII datato 25 marzo 1539, c. 120r.
11 Quesiti et invenzioni diverse, Quesito XLII, c. 126v.
Veronica Gavagna
106
Euclide, et horone philosopho per lui tradotti et comentati, et Archimede, et la correttione sopra la summa di Arithemetica et geometria
de fra luca pacciolo (Senato, Terra, Registro 32, 1542 marzo-1543
agosto, f. 94-94v).
Tuttavia, mentre nel 1543 apparvero la traduzione degli Elementi di Euclide e l’edizione di parte del corpus archimedeo12, non
videro la luce né alcun trattato su Erone (“horone philosopho”) né
la “correttione” della Summa di Pacioli. È plausibile che i programmi di Tartaglia siano stati sconvolti dalla pubblicazione dell’Ars Magna di Cardano (1545), nella quale veniva resa pubblica
la formula risolutiva dell’equazione cubica. Anche se lo stesso matematico milanese ne attribuiva la paternità a Scipione del Ferro e
a Tartaglia, di fatto privò quest’ultimo della possibilità di pubblicare
personalmente il primo vero risultato rinascimentale non ascrivibile
alla matematica classica. Venuta meno una delle ragioni principali
della pubblicazione dell’opera di matematica pratica e di algebra,
Tartaglia presumibilmente accantonò questo progetto editoriale,
preferendo la pubblicazione dei Quesiti et invenzioni diverse (1546),
nei quali, fra le altre cose, spiegava come Cardano avesse ottenuto
la formula per poi tradire la riservatezza alla quale si era impegnato.
Secondo quanto Tartaglia racconta nella dedicatoria della Prima
Parte del General Trattato, indirizzata a Riccardo Wentworth e datata 23 marzo 1556, il progetto di “componere a comun beneficio
un general trattato di numeri & misure, si secondo la consideratione
naturale, come Mathematica e non solamente nella pratica di Arithmetica, & di Geometria, & delle proportioni & proportionalita
[…] ma anchor nella pratica speculativa dell’arte Magna detta in
Arabo Algebra & Almucabala, over regola della cosa” venne ripreso
nel 1546 e quasi subito nuovamente abbandonato a causa di alcune
vicissitudini personali e del coinvolgimento nella nota querelle con
12
L’edizione latina di Tartaglia comprendeva infatti La quadratura della
parabola, l’Equilibrio dei piani, la Misura del cerchio e il primo libro dei Galleggianti.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
107
Ludovico Ferrari13. Sebbene le disavventure occorsegli l’avessero
quasi dissuaso “di tal proposito, cioe di proseguire così longa impresa”, finì per prevalere “il gran desiderio, che ho sempre havuto
di giovar altrui” e in capo a due anni portò a termine la sua opera,
il General Trattato di numeri e misure del quale, sfortunatamente,
riuscì a vedere pubblicate nel 1556 solo le prime due delle complessive sei parti.
3. LE PRIME DUE PARTI DEL GENERAL TRATTATO
Mentre nella dedicatoria Tartaglia si limita a presentare il General Trattato come un ampliamento della Summa, è nel secondo
paragrafo del Libro I che l’autore esprime un giudizio, profondamente negativo, nei confronti di Luca Pacioli e della sua opera.
Tartaglia afferma infatti di aver saputo “da più persone” che
“un Lonardo Pisano”, dopo aver appreso l’aritmetica, la geometria
e l’algebra arabe, aveva composto “una degna opera in la pratica
di tai Discipline” ma quest’opera non era mai stata pubblicata “perche Frate Luca Patiolo [...] ne riccolse tutti li fiori, & li interpose
13
Sulla notissima polemica intercorsa fra Cardano e Tartaglia circa la paternità della formula risolutiva dell’equazione cubica e sugli altrettanto noti Cartelli di matematica disfida segnaliamo solo alcuni fra i numerosi titoli; fra questi
E. BORTOLOTTI I contributi del Tartaglia, del Cardano, del Ferrari e della scuola
matematica bolognese alla teoria algebrica delle equazioni cubiche, Imola 1926;
La storia della matematica nell’Università di Bologna, Bologna, Zanichelli 1947;
S. MARACCHIA, Da Cardano a Galois. Momenti di storia dell’algebra, Milano,
Feltrinelli 1979; N. TARTAGLIA, L. FERRARI, Cartelli di sfida matematica, (rist.
an. a cura di A. Masotti), Brescia, La Nuova Cartografica 1974, G. VACCA, L’opera
matematica di Gerolamo Cardano nel IV centenario del suo insegnamento in Milano, in «Rendiconti del seminario matematico e fisico di Milano», IX (1937)
pp.1-19; le ulteriori disavventure professionali bresciane si trovano descritte da
Tartaglia nella Travagliata inventione del 1551 (cc. 41r-42r) e nel General Trattato, Parte Seconda, Libro II.
Veronica Gavagna
108
nell’opra sua, ma per quanto ho visto, & discorso quella lui ve li
interpose senza ordine alcuno”14.
Il primo obiettivo del matematico bresciano è dunque quello
di riorganizzare la materia, avendo cura, contrariamente a quanto
fatto da Pacioli, di presentare i casi secondo un criterio di difficoltà
crescente e di non risolvere alcun tipo di problemi usando strumenti
algebrici “avanti la dechiaratione delli primi principij di detta Algebra” (c. 1v). Lo schema espositivo a cui si ispira Tartaglia è quello
“dato dal maistro di color che sanno”, il quale non è Aristotele,
come indurrebbe a pensare la citazione dantesca, ma Euclide “Megarense”15. Gli Elementi, che agli occhi del matematico bresciano
costituiscono un esemplare modello di chiarezza, sono infatti strutturati in modo che non si parli “di alcuna cosa avanti alla definittione di quella, et de tutti li suoi termini, ne mai dimostra alcuna
sua propositione salvo, che per le propositione passate (lequale sono
note)”. Mentre questa è l’architettura logica che sottende tutto il
General Trattato, la ratio sulla quale si fonda la suddivisione della
matematica pratica nelle sue Parti, si ispira a un criterio di astrazione progressiva, come spiega l’autore nelle pagine introduttive:
[...] tal Trattato sia in piu parti distinto, le quai parti siano in tal
modo assettate, & ordinate, che la prima cominci (naturalmente parlando) dalle questioni mercantile (come materie piu basse) le altre
poi vadino di mano in mano piu speculativamente ascendendo talmente, che ogni principiante de mediocre ingegno possa per se stesso caminare dalla prima alla ultima di dette parti e ascendere con
facilita, dal piede alla sommita del monte della Pratica di queste
tai Scientie, over Discipline, con lo aggiutto di quel che il tutto,
regge, e governa. (Parte Prima, Libro I, c. 1v)
14
General Trattato, Parte Prima, Libro I, c. 1v.
Fino alla fine del Cinquecento, quando Federico Commandino e successivamente Cristoforo Clavio chiarirono l’equivoco, era opinione comune che l’autore degli Elementi fosse il filosofo Euclide di Megara, vissuto prima di Aristotele.
Sulla questione si veda A. DE PACE, Le matematiche e il mondo, Milano, Franco
Angeli 1993, pp. 202-204.
15
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
109
Il presente contributo è dedicato allo studio delle prime due
Parti del General Trattato, che riguardano rispettivamente l’aritmetica pratica e speculativa. La Prima Parte, articolata in 17 libri
(ognuno dei quali diviso in un numero variabile di capitoli), tratta
argomenti di aritmetica mercantile secondo una sequenza che non
si discosta troppo da quella dei trattati d’abaco: si comincia descrivendo le quattro operazioni fondamentali con i numeri interi (Libro
I) e con pesi, misure e monete (Libro II), mentre l’estensione ai numeri frazionari (Libro VII) è preceduta da una miscellanea di problemi mercantili di compravendita (Libri IV-VI); conclusa la parte
dedicata alle operazioni elementari, si passa a illustrare la regola
del tre e le sue applicazioni (Libri VIII e IX) e la regola del tre inversa (Libro X); seguono infine problemi di interesse e sconto, di
compagnie, di baratti, di cambi e di leghe (Libri XI-XV) e le regole
di falsa posizione e di doppia falsa posizione (Libri XVI e XVII).
La Seconda Parte, suddivisa in 11 libri, si apre con la classificazione dei numeri secondo Euclide e Boezio, a cui segue la
trattazione delle progressioni aritmetiche e geometriche (Libro I) e
una lunga esposizione degli algoritmi di estrazione della radice nsima di un numero (Libro II e III) che preludono, dopo una breve
digressione sulle regole dei segni (Libro IV) alle operazioni fra binomi e residui (Libro V e Libro X); concludono il volume una sezione dedicata alle proporzioni e alla corrispondenza fra proporzionalità geometrica e aritmetica (Libro VII e VIII), una trattazione
dei numeri quadrati (Libro IX) e infine un’interpretazione aritmetica del libro II e del libro X degli Elementi (Libro VI e Libro XI).
3.1 La Prima Parte del General Trattato
Nella Prima Parte troviamo, come si è detto, tutta l’aritmetica
necessaria a risolvere problemi di natura mercantile.
Già a partire dalle primissime pagine emergono chiaramente
gli elementi di continuità e quelli di rottura con la Prima Parte Principale della Summa, dedicata anch’essa alle “ragioni e regole mer-
Veronica Gavagna
110
cantesche”. Sia l’esposizione di Pacioli sia quella di Tartaglia sono
profondamente influenzate dalla lunga pratica d’insegnamento, che
li induce a trattare con particolare attenzione le criticità – emerse
in anni di esperienza didattica – del processo di apprendimento di
alcuni argomenti. Anche le frequenti esortazioni alla memorizzazione di calcoli elementari, prerequisito essenziale a un’indispensabile padronanza del calcolo mentale rapido, sono certamente frutto delle tecniche d’insegnamento adottate nelle scuole d’abaco.
Sono così da “saper a mente” tutte le addizioni e sottrazioni con
numeri a una cifra (“li numeri digiti”), le tabelline e le divisioni con
divisore e quoziente a una cifra16, nonché le successioni dei numeri
quadrati, dei cubi, delle potenze quarte ecc.17. L’autore consiglia poi
di mandare a mente anche alcuni fondamentali algoritmi, come la
regola del tre semplice, memorizzata attraverso frasi evocative18. La
memorizzazione è tuttavia solo un supporto all’apprendimento, per16
Più precisamente, si tratta di divisioni, con o senza resto, del tipo m :
n = q con m < 90, n, q < 10. E dunque l’espressione “7 in 24 intra 3 e avanza
3” significa 24: 7 = 3 col resto di 3. Tartaglia suggerisce di imparare tutto
l’elenco delle divisioni possibili nel caso di n = 1, 2, 3 e una selezione di casi
successivi.
17
Una buona conoscenza delle successioni {np}, con p numero naturale fissato, permetteva di estrarre più velocemente la radice p-sima di un numero.
Spiega infatti Tartaglia: “Per intendere la pratica, overo la regola di saper cavare,
overo estraere la radice quadrata (laquale e la prima di tutte le specie di radici)
eglie necessario di sapere a mente le multiplicationi di tutti li numeri digiti dutti
in se medesimi [...] insieme con alcune altre, le quai non per necessita si debbono
imparare a mente, ma perche fanno l’huomo pronto & presto & massime nel maneggiare delle radici, & altre quantita irrationali [...]” Prima Parte, c. 24v
18 “tal regola in piu modi, & sotto diverse parole (ma con la medesima sententia) si costuma farla mandar a memoria delli quali modi l’uno dice in questa
forma. La regola del tre vol che si multiplichi la cosa, che l’huomo vol saper per
quella, che non è a lei simigliante, & il produtto partirlo per l’altre a lei simigliante, & e lo avenimento sara quello che si cerca, cioe il valor di quella cosa,
che si vol sapere, & tal valore sara della natura di quella, che non è simigliante”
(Prima Parte, c. 127r) e più avanti “La regola del tre sono tre cose la prima, che
si mette debbe esser sempre simile a quella, che sta di drio, & di drio debbe
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
111
ché non può in nessun caso sostituire l’effettiva comprensione di una
regola e se questo dovesse succedere, spiega Tartaglia, ben presto
“in memoria non sarà rimasto nulla”. Un tipico esempio riguarda le
operazioni con le frazioni proprie o numeri “rotti”:
“Tutti quelli (per quanto ho visto) che fin hora hanno dato regola al
summar, sottrar & partir de rotti, la hanno data di sorte, che l’huomo
presto la intende, & presto se la scorda, il che non procede da altro
salvo che per ignorar la causa di tal sua regola, over di tal suo operare, volendo adunque rimediare a questo inconveniente, bisogna
intendere il modo di ridurre duoi, over piu rotti de diverse denominationi, a una medesima denominatione, il qual atto è al contrario
del schisare.” (Prima Parte, Libro VII, c. 110v)
“Tutti li nostri antichi & moderni pratici” – osserva Tartaglia –,
applicano la regola della “moltiplicazione in croce” per sommare due
frazioni: in termini moderni, date due frazioni ab e dc , la loro somma è
1 bc
data dalla frazione ad bd
dove i due addendi del numeratore si ottengono moltiplicando in croce rispettivamente il numeratore della
prima frazione con il denominatore della seconda e il denominatore
della prima con il numeratore della seconda. Tale regola, tuttavia,
presenta il duplice svantaggio di non essere immediatamente giustificabile da un punto di vista matematico – perché si deve proprio
moltiplicare in croce? – e deve essere iterata n 2 1 volte per la
somma di n frazioni. Questi inconvenienti, conclude Tartaglia, si superano non appena si calcoli il minimo comune multiplo fra i denominatori, si riducano (“accatti”) a quello stesso denominatore tutte
le frazioni e infine si sommino le frazioni simili così ottenute. In questo modo, ogni passo dell’algoritmo ha una semplice giustificazione
matematica che ne permette una memorizzazione duratura.
La pratica dell’insegnamento e l’attività di traduzione dei classici matematici dal latino al volgare caratterizzano fortemente lo stile
star la cosa, che si vol saper, & multiplicarla contra quella, che sta di mezzo, &
quel produtto partirlo per la prima, & sara fatta la ragione, & nota che quello,
che venira sara sempre simile alla cosa, che sta di mezzo” (Prima Parte, c. 129r).
Veronica Gavagna
112
del General Trattato, riflettendosi anche in un’estrema attenzione all’uso dei vocaboli e alle ambiguità semantiche che derivano dalla
commistione fra linguaggio comune e linguaggio matematico. Un
esempio emblematico è rappresentato dal termine “multiplicare”, che
nell’accezione comune sottintende un significato di accrescimento19.
Mentre il risultato della moltiplicazione fra numeri naturali
è coerente col significato comune del termine, quello della moltiplicazione fra frazioni proprie sembra contraddirlo, perché il prodotto è minore dei fattori; e infatti, osserva Tartaglia, molti aritmetici si sono
maravigliati del atto di multiplicar di rotti, perche in quello sempre
si vede riuscire al contrario di quello che dinota tal vocabulo, qual
non dinota altro che crescere, overo augumentare, & nel detto multiplicare de rotti sempre seguita (come è detto) tutto al contrario,
cioe che il produtto è sempre menore di qual si voglia di duoi precedenti... (Parte Prima, Libro VII, c. 119)
L’origine del paradosso viene attribuita alla pessima traduzione latina di Campano20, in cui non si distingue l’operazione di “mul19
Basti pensare al celebre versetto biblico “Crescete e moltiplicatevi” (Genesi, 1, 28).
20
Nel XIII secolo Campano da Novara fu autore di una fortunata recensio
degli Elementi di Euclide, che costituì il testo della prima edizione a stampa
dell’opera euclidea, edita a Venezia nel 1482 da Erhard Ratdolt; nel 1505, sempre a Venezia, venne pubblicata una nuova traduzione latina basata su un codice
greco a cura dell’umanista Bartolomeo Zamberti. Le due edizioni presentano caratteristiche e lacune assai diverse e, sotto certi aspetti, complementari; esse costituirono di fatto le edizioni euclidee di riferimento fino alla seconda metà del
Cinquecento, quando venne pubblicata l’edizione curata da Federico Commandino (1572), sintesi di una raggiunta maturità filologica e matematica. Nella propria traduzione volgare degli Elementi, Tartaglia dichiara esplicitamente di aver
utilizzato tanto la traduzione di Campano quanto quella di Zamberti, cercando
di cogliere il meglio da entrambe. Sull’Euclide di Campano e di Tartaglia si vedano H.L.L. BUSARD, Campanus of Novara and Euclid’s Elements, Franz Steiner
Verlag 2005; P. PIZZAMIGLIO, Introduzione a N. Tartaglia, L’«Euclide Megarense»,
Supplemento ai «Commentari dell’Ateneo di Brescia», 2007.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
113
tiplicare”, che riguarda solo i numeri naturali (“numeri semplici”)
da quella di “ducere (che significa menare)” che attiene invece alle
grandezze continue, come per esempio le grandezze geometriche.
Tartaglia dedica un intero capitolo a spiegare la differenza fra le
due operazioni e a mostrare come nella traduzione di Campano si
usino i due verbi come se fossero sinonimi21.
La moltiplicazione fra numeri naturali è mutuata dal Libro
VII degli Elementi: “Moltiplicare non è altro, che un modo, over
atto di sapere di duoi numeri proposti trovarne, over componerne
un terzo, il qual contenga tante volte in se l’uno di duoi proposti
numeri, quante unita sara nell’altro [...]” (Prima Parte, Libro II,
c. 17v) 22; il verbo “ducere”, invece, si deve attribuire “alle linee,
cioe a ducere una linea in’un altra linea, dal qual atto si causa,
superficie, & anchora a ducere una linea in una superficie, del
qual atto si causa Corpo [...] (c. 17v) 23. Questa distinzione – ben
presente, secondo Tartaglia, nell’originale greco e mantenuta nella traduzione latina di Zamberti – non rappresenta quindi una
raffinatezza linguistica, ma l’unico modo per indicare due operazioni differenti e, se si tiene presente che i “rotti” sono “per natura, di quantita continua, laqual è divisibile in infinito” risulta
evidente che, per evitare la nascita di convinzioni errate, il verbo
più opportuno da usare sia in questo caso “ducere o menare” e
non “multiplicare”.
Un’ambiguità dello stesso genere si ritrova anche nell’operazione della divisione, alla quale Campano associa indifferentemente i
21
Capitolo VIIII Del quarto atto della pratica detto moltiplicare Libro II,
cc. 17v-18r.
22
Tartaglia indica questa come definizione 5 del libro VII, ma tale numerazione trova riscontro solo nell’edizione tartaleana degli Elementi; nelle edizioni
di Campano e di Zamberti, si tratta rispettivemente della definizione 9 e della
definizione 16 del libro VII.
23
Si noti che la moltiplicazione fra numeri è chiusa rispetto all’insieme dei
numeri naturali mentre non è chiusa la moltiplicazione fra grandezze geometriche, dato che, per esempio, la moltiplicazione fra due segmenti è una superficie
e non un segmento.
Veronica Gavagna
114
verbi “partire”, “misurare” e “numerare”, mentre “dividere over partire” ha il significato di dimezzare ed è riferibile alle sole quantità
continue, dal momento che, nei numeri naturali, solo i numeri pari
possono essere dimezzati; i termini “numerare” e “misurare” indicano invece quante volte una certa quantità è contenuta in un’altra
e si riferiscono rispettivamente alle quantità discrete e continue. Questa ambiguità in alcuni autori viene superata dall’uso indiscriminato
del verbo “partire”, al quale si adatta a malincuore lo stesso Tartaglia24, nonostante questo produca incongruità speculari all’uso acritico del verbo “multiplicare”: la divisione di due numeri rotti produce, infatti, un quoziente maggiore del dividendo e del divisore.
Il carattere enciclopedico, l’influenza dell’ambiente abachistico, la scelta della lingua volgare, sono dunque elementi che accomunano il General Trattato alla Summa pacioliana ma che, allo
stesso tempo, le differenziano marcatamente dalla Practica arithmetice di Cardano25. Come abbiamo detto, la Practica, che si
fonda su un’architettura snella ed essenziale e si rivolge a un pubblico colto ed europeo, è un’opera che consuma una decisa rottura
nei confronti della Summa. Inoltre, diversamente da quanto avviene nelle opere di Pacioli e Tartaglia, l’influenza diretta dell’ambiente abachistico è assai modesta, dato che, per quanto ne sappiamo, Cardano non sembra aver frequentato una scuola d’abaco
né in veste di discente né in quella di docente e l’unico legame
che possiamo documentare è l’amicizia con il maestro Gabriel de
Aratoribus26. Gli echi abachistici che si avvertono nella Practica
24
“li nostri antichi, & moderni Pratici non hanno fatto alcuna distintione
di nome a questi tre Atti [...] e perche dubito, volendo io star a delucidar, & dispurar della varieta di tai avenimenti, che a molti veneria in fastidio, mene passo
con silentio” (Prima Parte, Libro II, c. 27r).
25
Sul linguaggio di Tartaglia si veda M. PIOTTI, La lingua di Niccolò Tartaglia: la Nova scientia e i Quesiti et inventioni diverse, Milano, LED 1998.
26
Nella Practica, e in altri testi del corpus cardaniano, è citato più volte il
Maestro Gabriel de Aratoribus, che sembra aver incoraggiato Cardano nella stesura della Practica e che avrebbe fornito al medico milanese alcuni metodi algebrici per la soluzione di problemi.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
115
si devono probabilmente imputare alla conoscenza di certa trattatistica, che ancora nel primo Cinquecento godeva di una buona
diffusione. Ci riferiamo in particolare al Libro de abacho di Pietro
Borghi e al Nuovo Lume di Giovanni Sfortunati, che costituiscono
per Cardano una miniera di problemi di aritmetica pratica e che
possiamo annoverare anche fra le principali fonti usate da Tartaglia
nella Prima Parte del General Trattato oltre alla Summa e alla
Practica27. Così come Cardano sottolinea alcuni errori commessi
dai suoi predecessori e addirittura riserva l’intero capitolo finale
a elencare le sviste più gravi di Pacioli, anche Tartaglia cerca di
enfatizzare – con dei titoletti a margine – gli errori in cui sono incorsi altri matematici, soprattutto Pacioli, Borghi, Sfortunati e, naturalmente, Cardano e Ferrari.
Al di là di errori banali imputabili a calcoli sbagliati, a Tartaglia preme mettere in rilievo le conseguenze che derivano da interpretazioni matematicamente non corrette di problemi concreti.
Nella Prima Parte del General Trattato, i temi verso i quali l’autore
registra divergenze più frequenti di interpretazione riguardano il
calcolo dell’interesse composto, la ripartizione degli utili fra i soci
di una compagnia e il problema dei baratti.
Nell’esempio seguente, si mette in luce la difficoltà di individuare
le vere relazioni matematiche che soggiacciono a un patto di natura
commerciale, quando gli accordi sono espressi in forma ambigua.
Duoi fanno compagnia, il primo mette ducati 80 & il secondo mette
ducati 20 e perche il secondo è molto piu ispertissimo, & pratico
in tal mercantia, dacordo determinorno che il primo dovesse tirare
del guadagno solamente li 2⁄3, & il secondo per la sua suficientia
27
G. SFORTUNATI, Nuovo Lume. Libro di arithmetica. Intitulato Nuovo Lume
imperoche molte propositioni che per altri autori sono falsamente concluse in questo
si emendano e & castigano con chiare & lucide & aperte dimostrationi molto bene
discusse & ventillate [...] composto per lo acutissimo prescrutatore delle Archimediane & Euclidiane dottrine Giovanni Sfortunati da Siena, Venezia 1534 (6 successive edizioni fino al 1568); P. BORGHI, Libro de abacho, Venezia 1484 (16 edizioni fino al 1577).
Veronica Gavagna
116
dovesse tirar 1⁄3 del detto guadagno, & fatto l’acordo venne un’altro,
& e disse se voleti accettarme in compagnia io mettero ducati 120
& voglio stare alla ratta del guadagno secondo il patto, & convention fatte fra voi, & costor lo accettorno, accade che in fin della
compagnia si trovorno un guadagno di ducati 500. se adimanda
che toccara per uno del detto guadagno (Prima Parte, Libro XII,
cc. 207r-208r).
La tradizionale ripartizione dei guadagni secondo quote proporzionali ai capitali versati – che corrisponde, dal punto di vista
matematico, all’applicazione della regola del tre semplice – viene
qui alterata concordemente dai soci della compagnia: il secondo
“piu ispertissimo” socio riesce a ottenere la metà del guadagno del
primo, pur avendo versato solo un quarto del suo capitale. Nel patto
si inserisce un terzo contraente, che dichiara di esigere una quota
di guadagno calcolata secondo il patto stabilito fra i primi due soci.
Il punto cruciale del problema è proprio stabilire la ratio matematica dell’accordo ed è su questa che le interpretazioni divergono28.
Giovanni Sfortunati ritiene che il punto chiave dell’accordo risieda
nel rapporto 2:1 fra i guadagni dei due soci; se indichiamo, in termini moderni, con x il guadagno del secondo socio, al primo spetta
una cifra pari a 2x e al terzo, di conseguenza, una cifra 3x quarta
proporzionale fra i termini, 80, 2x e 120:
80 : 2x 5 120 : 3x
Dunque 500 ducati vengono così ripartiti: 166 23 al primo, 83 31
al secondo e 250 al terzo. Sebbene questa regola fosse stata “laudata
(come dice) & approvata da tutti li Mathematici”, Tartaglia la reputa
“falsissima”, perché anche se è corretto che il primo e il terzo socio
ottengano meno di quanto riceverebbero da una ripartizione equa
28
Analizzeremo qui la soluzione di Sfortunati, ma il problema è anche presente nella Summa, Distinctio Nona, Tractatus Primus, Problema 58.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
117
e il secondo invece di più, non è detto che i difetti e l’eccesso stiano
nel rapporto stabilito da Sfortunati29.
Se non fosse intervenuto il terzo socio e se il guadagno fosse
stato di 100 ducati, osserva Tartaglia, il primo socio, a fronte di
un versamento di 80 ducati, ne avrebbe invece ricevuti 66 23, rinunciando così a 13 31 ducati, ovvero a 61 del proprio legittimo guadagno30. È questa dunque, conclude Tartaglia, la vera ratio del
patto: tutti i nuovi soci che subentrano nella compagnia devono rinunciare a 16 del proprio legittimo guadagno in favore del socio che
ha versato i 20 ducati iniziali. Dunque, nel caso in esame, i 500
ducati devono essere ripartiti in questo modo: 151 17
33 al primo socio,
7
7
121 33 al secondo e 227 11 al terzo, “cosi sara risolta iustament e tal
questione” (c. 208).
Al di là del caso specifico, ciò che emerge in generale è che
l’interpretazione di un problema commerciale non è sempre univoca, ma dipende da chi la propone: in genere, infatti, colui che stipula un accordo cerca sempre di trarre il massimo profitto ed è basandosi su questo criterio che si possono talvolta dirimere questioni
ambigue. Un tipico esempio è dato dal calcolo dell’interesse composto (“merito a capo d’anno”) per tempi non interi, tema al quale
Tartaglia dedica un apposito paragrafo31:
Poniamo che’l se habbia da meritare Lire 100 per 6 mesi a ragion
del 20 per 100 all’anno a far capo d’anno.
29
Secondo una ripartizione equa, cioè proporzionale al capitale versato, il
primo socio riceverebbe 181 119 ducati, il secondo 45 115 e il terzo 272 118 .
30 Secondo una ripartizione equa, i due soci avrebbero rispettivamente diritto ai 45 e a 15 del guadagno avendo versato 80 e 20 ducati; nel caso di un
guadagno di 100 ducati, il primo ne dovrebbe trattenere 80 e il secondo 20. Tuttavia, dato che il patto reale stabilisce quote di 23 e 13, il guadagno di 100 ducati
si ripartisce in 66 32 ducati al primo e 33 31 al secondo. Per il primo socio, la differenza fra il “guadagno equo” e quello concordato è appunto di 13 31 ducati.
31
Della openione havuta generalmente da nostri pratici Arithmetici circa al
meritar una quantita de danari, a far capo d’anno per una parte, over piu parte
de un’anno, & cosi de ogni altro termine, Parte Prima, Libro XI, c. 191v.
Veronica Gavagna
118
Supponiamo dunque che uno prenda in prestito 100 lire concordando un interesse composto annuo del 20% e che decida poi
di restituire capitale e interesse maturato dopo soli 6 mesi. Il punto
critico è determinare la formula più corretta per il calcolo dell’interesse. La maggior parte degli “aritmetici” risolve banalmente la
questione osservando che l’interesse di 20 lire su 100 all’anno significa 12 320 100 5 3 35 100 lira al mese. Dato che 1 lira 5 240 denari,
l’interesse mensile per lira è pari a 3 35 100 3 240 5 4 denari per
lira. Dunque, se l’interesse è di 4 denari per lira al mese, 100 lire
in un mese fruttano 400 denari e in 6 mesi fruttano 2400 denari,
cioè 2400 : 240 5 10 lire.
Tale soluzione viene vivacemente contestata da Pacioli e da
Sfortunati, perché se il patto è di riscuotere l’interesse a capo d’anno,
cioè di calcolare l’interesse composto, non si può ragionare come se
l’interesse fosse semplice32. Bisogna calcolare di quale cifra il creditore dovrà accontentarsi se il capitale1interesse gli viene restituito
dopo 6 mesi anziché dopo un anno: si tratta dunque di un problema
di sconto, che, in un certo senso inverte il problema del “meritare”.
Il primo passo della strategia alternativa proposta da Pacioli
è quello di calcolare – come nel caso precedente – l’interesse mensile, che è pari a 4 denari per lira. Questo significa che in 6 mesi
1 lira (ovvero 20 soldi) frutta 24 denari, cioè 2 soldi: dopo i primi
6 mesi, dunque, 20 soldi sono diventati 22. Se il creditore ritira il
capitale1interesse 6 mesi prima della scadenza, significa che non
potrà “beneficiare” di quell’accrescimento e quindi dovrà “accontentarsi” di 20 soldi anziché riceverne 22. A questo punto basta
applicare la regola del tre semplice che traduce la seguente domanda: “se invece di 22 soldi ritiro subito la somma accontentandomi
di 20 soldi, quanto dovrò accettare invece delle 120 lire pattuite?”
La risposta si ottiene impostando una semplice proporzione
32
“... alla qual conclusione il detto frate Luca & Giovanni Sfortunati caloniando rispondono che salva loro inteligentia, la cosa non va cosi, digando che
tal openione saria vera nelli meriti fatti simplicemente, ma non in quelli meriti
fatti a capo d’anno”.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
119
22 : 20 5 120 : x
9
da cui x 5 1200
11 lire, ovvero x 5 109 lire 1 soldo 9 11 denari. Dunque,
concludono Pacioli e Sfortunati, dopo 6 mesi il creditore non dovrebbe ricevere 110 lire ma 109 lire, 1 soldo e 9 119 denari33.
Tartaglia si schiera a favore della prima soluzione, ottenuta
calcolando l’interesse semplice, “per tanto dico che la sopradetta
openione de frate Luca tanto laudata & seguitata da tutti li altri
autori essere in tutto falsa & quella prima openione dal detto frate
Luca, et da tutti li altri autori tanto biasimata, & caloniata esser la
ottima, & buona”.
Si noti che la sua posizione non si giustifica in base a criteri
strettamente matematici, ma trova le sue ragioni nel principio “etico” secondo cui chi presta dei soldi lo fa per propria esclusiva
convenienza e quindi non potrà mai sottoscrivere un patto in cui
invece di ricevere 110 lire (calcolate con interesse semplice) ne
riceve 109 111
il che non è da credere che uno sottogiongesse (in un contratto) una
conditione che fusse contra di lui, & con suo danno [...] tal nostra
openione (da tutti li autori biasimata) esser ottima, e buona, per esser confirmata da colui che piglia tai danari a interesso, com’è detto
alcun dira che io favorisco li usurari, ma per dire la verita, ma perche tal passo è piu presto giuditiale che rationale ne mathematico,
& le cose giuditiale ogn’un le piglia secondo il suo parere, e pero
pigliala come ti pare.
La frequenza con cui compaiono problemi e considerazioni di
questo tipo testimonia il grande rilievo che Tartaglia dà all’interpretazione matematica di un problema. Peraltro, egli è ben consapevole di come in molti casi non sia possibile sovrapporre perfettamente un modello matematico a una situazione reale, ma ci si
33
Anche Cardano, nella sua Practica arithmetice, dovendo calcolare l’interesse composto maturato da 100 lire in 2 anni e 6 mesi, segue l’impostazione
pacioliana e traduce il problema di interesse in un problema di sconto.
Veronica Gavagna
120
debba accontentare di una approssimazione più o meno soddisfacente. Si tratta, comunque, di una consapevolezza spesso condivisa,
che emerge in particolare quando un matematico si trova a dover
“ingabbiare” in formule qualcosa di così sfuggente come la casualità; non avendo a disposizione strumenti matematici adeguati, si
cerca di adattare al meglio quello di cui si dispone.
Un caso emblematico è il cosiddetto “problema delle parti”,
ritenuto comunemente uno dei problemi che hanno dato significativo impulso alla nascita del moderno calcolo della probabilità34.
A dispetto della complessità della soluzione, l’enunciazione
del problema è molto semplice: supponiamo che due giocatori di
pari abilità disputino una serie di partite di un gioco qualsiasi,
con l’accordo che vince chi riesce a raggiungere un numero prefissato di punti. La partita viene però interrotta prima della sua
naturale conclusione. In base a quale criterio verrà distribuita la
posta in gioco?
A partire dalla fine del XIV secolo vennero proposte diverse
possibili soluzioni – fra le quali almeno un paio esatte35 – che possiamo trovare in vari trattati d’abaco e anche nelle opere di Pacioli,
Cardano e Tartaglia, ma la soluzione definitiva venne illustrata in
un celebre scambio epistolare intercorso fra Pascal e Fermat nel
34
Sul tema si vedano, per esempio, i contributi di M. BARRA, Il “problema
della divisione della posta in gioco” e delle valutazioni di probabilità: 500 anni
di storia – Soluzione bayesiana, in Il pensiero matematico nella ricerca storica
italiana, G. Frosali, M. Ottaviani (a cura di), Ancona, Tipolitografia Trifogli,
1993, pp. 143-174; P. DUPONT, C.S. ROERO, Il trattato “De ratiociniis in ludo
aleae” di Christian Huygens con le “Annotationes” di Jakob Bernoulli, Memorie
dell’Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze fisiche, matematiche
e naturali, serie V, vol. 8, 1984, pp. 79-122.
35 R. FRANCI, Una soluzione esatta del problema delle parti in un manoscritto
della prima metà del Quattrocento, Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche, 2 (2002) pp. 253-259; L. TOTI RIGATELLI, Il problema delle parti in manoscritti del XIV e XV secolo, in M. Folkerts, U. Lindgren (eds.) Mathemata, Steiner
Verlag, Stuttgart 1985, pp. 229-236.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
121
165436. I procedimenti risolutivi antecedenti a Pascal si ispiravano
sostanzialmente a due criteri complementari: secondo il primo, la
posta veniva ripartita in base al punteggio già totalizzato dai giocatori; altrimenti, si prendevano in esame i punti che ancora mancavano alla vittoria e si cercava, in qualche modo, di quantificare
le diverse possibilità di vittoria dei due contendenti. In genere gli
algoritmi proposti erano del tutto insoddisfacenti e si esponevano
a critiche feroci. È il caso della soluzione proposta nella Summa
da Luca Pacioli37, che tratta la questione come se fosse un problema
di compagnie, cioè di ripartizione degli utili fra due soci sulla base
del capitale versato. Secondo il frate di Sansepolcro, infatti, se P
è la posta in gioco, a e b il punteggio totalizzato rispettivamente
dai giocatori A e B, la posta viene suddivisa in modo che il primo
abbia Pa 1a b e il secondo Pa 1b b.
L’immediata critica, espressa prima da Cardano e raccolta poi
da Tartaglia è che non si può ignorare l’esito delle partite ancora
da disputare, per non incorrere in evidenti paradossi. Si supponga
infatti, osserva Tartaglia, che i due giocatori debbano totalizzare 60
punti per vincere, guadagnando 10 punti per ogni partita vinta; il
gioco si interrompe dopo una sola partita, quando un giocatore ha
10 punti e l’altro nessuno. In questa situazione i giocatori hanno
sostanzialmente le stesse possibilità di vittoria, dal momento che
sono entrambi molto lontani dal traguardo finale, eppure il modello
proposto da Pacioli assegnerebbe al primo giocatore l’intera posta.
Tartaglia commenta così l’evidente mancanza di equità della proposta pacioliana:
Laqual sua regola a me non pare, ne bella, ne buona, perche se per
sorte una delle parti havesse 10 & l’altra havesse nulla, procedendo
per tal sua regola seguiria, che quella parte, che havesse il detto
36
Il carteggio si trova pubblicato in P. de Fermat, Œuvres (a cura di P. Tannery e C. Henry), vol. 2, Paris 1894, pp. 288-314.
37
Summa, Distinctio nona, Tractatus Decimus, De extraordinariis, cc.
197r-197v.
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122
10 doveria tirar il tutto, & l’altra non doveria tirar cosa alcuna, che
saria in tutto fuora di ragione, che per haver 10 dovesse tirar il tutto.
(c. 265v, Prima Parte).
Anche se ritiene che “la risolutione di una tal questione è piu
presto giudiciale, che per ragione, tal che in qual si voglia modo la
sara risolta vi si trovara da litigar”, nondimeno il matematico bresciano
cerca di elaborare un sistema “men litigioso” che, pur basandosi sempre sui punteggi già totalizzati, cerca di compensare eventuali iniquità.
Se i giocatori A e B hanno totalizzato rispettivamente a e b punti (a
. b), il primo ha diritto alla quota versata all’inizio della sfida (che
corrisponde a metà della posta in gioco P) a cui si aggiunge un’ulteriore
somma proporzionale al vantaggio sul secondo giocatore, ovvero
a2bP
P
1
2
T 2
dove T è il punteggio da totalizzare per vincere38.
Anche il modello proposto da Tartaglia, tuttavia, non tiene veramente conto delle possibilità di vittoria dei due giocatori e, nel
caso in cui il gioco venga interrotto quando uno dei partecipanti è
prossimo alla vittoria e l’altro assai lontano, finisce per premiare
più del dovuto il giocatore in svantaggio.
Sebbene il modello proposto da Tartaglia sia ancora molto lontano dall’essere soddisfacente, il nome del matematico bresciano
è indirettamente legato alla soluzione del problema, dato che nella
lettera indirizzata a Fermat il 29 luglio 1654, Pascal calcola le probabilità di vittoria dei singoli giocatori al momento dell’interruzione della partita basandosi su considerazioni di tipo combinatorio
che rimandano all’uso del triangolo aritmetico, più noto come
“triangolo di Tartaglia”39, che verrà utilizzato nella Seconda Parte
Naturalmente, la quota di B sarà invece P2 2 a 2T b P2.
Per questo motivo, talvolta il triangolo aritmetico viene indicato come
“triangolo di Pascal”.
38
39
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
123
del General Trattato come strumento per il calcolo delle radici nsime di un numero.
3.2 La Seconda Parte
La Seconda Parte del General Trattato riguarda l’aritmetica
speculativa, che “considera le cause le Qualita, le Quantita, & le
Proportion de Numeri con una Speculation di mente, & il suo fine,
non e altro che la verita” (c. 1v, Prima Parte). La trattazione si inserisce nel quadro teorico dei libri aritmetici VII-IX degli Elementi,
dai quali viene mutuata la classificazione dei numeri40; solo marginalmente si fa cenno ai numeri figurati e si invita il lettore ad approfondire il tema nelle opere di Boezio e di Giorgio Valla, che, assieme agli Elementi di Euclide e alla Summa di Pacioli, sono i testi
più frequentemente citati in questa Seconda Parte41.
Dopo questa breve introduzione di carattere tassonomico, l’autore passa a descrivere la penultima “passione del algorithmo, cioe
della pratica di numeri”: la progressione aritmetica e geometrica.
40
Ci riferiamo alle definizioni poste all’inizio dei libri VII e IX degli Elementi che riguardano i “numeri pari, parimenti pari, parimenti dispari, disparimenti dispari, primi, composti, perfetti, abondanti e diminuti, lineali, superficiali, solidi etc.”
41
“... de gli altri [numeri figurati] poi solamente di alcuni sotto brevita ne
parleremo, ma che per curiosita ne vorra abondantemente intendere, ricorra a
Boetio severino, & a Georgio Valla, & altri che trovaranno cio che nel greco
hanno trovato, & in latino tradotto sopra tal materia.” (Parte Seconda, c. 2r) Le
opere a cui si riferisce Tartaglia sono il De institutione arithmetica libri duo di
Boezio (edita nell’Opera omnia del 1546 e pubblicata anche nel 1553 da Jacobus
Faber Stapulensis con il titolo di Arithmetica speculativa Boetii) e il De expetendis
rebus opus di Valla (Venezia, 1501). Per inciso, si noti che mentre Pacioli apre
la Summa con una lunga digressione sulla classificazione dei numeri, prima secondo la tradizione euclidea e poi secondo quella boeziana, Tartaglia opta per
una collocazione più adeguata della trattazione all’inizio della Seconda Parte del
General Trattato, dedicata a questioni più speculative.
Veronica Gavagna
124
Anche se la progressione e l’estrazione di radice – ultima “passione” – appartengono al novero delle operazioni aritmetiche42 e rientrano, virtualmente, nel contesto più applicativo caratteristico della
Prima Parte del General Trattato, vengono collocate dall’autore in
questa Seconda Parte “per non esser materia molto necessaria a
mercanti” (c. 2v) anche se si rivela di una certa utilità nella “general
pratica di numeri, & anchora in quella di misure”.
Questa affermazione non deve indurre a pensare che il lettore
ideale della Seconda Parte del General Trattato debba essere diverso da quello della Prima, che ha bisogno di “usare” la matematica nella pratica quotidiana. Lo sforzo che compie Tartaglia è proprio quello di avvicinare questo tipo di lettore a una matematica
apparentemente più astratta e lontana dal concreto ed è probabilmente per questo che la Seconda Parte è disseminata di rassicurazioni circa l’effettiva utilità delle teorie illustrate.
Uno degli aspetti più interessanti della parte relativa alle progressioni è la continua commistione fra l’aspetto più puramente
matematico e quello didattico. Innanzi tutto, Tartaglia evidenzia
come il suo approccio si differenzi da quello di Pacioli o Sacrobosco. Nella Summa, per esempio, si trovano ben quattro regole di
addizione, applicate a progressioni continue o discontinue (cioè
che iniziano o meno con l’unità) e, in subordine, a progressioni che
si arrestano a un numero pari o dispari. La proliferazione di casi
e sottocasi è in parte imputabile alla mancanza di un efficace simbolismo che consenta di riconoscere la sostanziale equivalenza delle diverse formulazioni della somma di n termini di una progressione; non si tratta comunque di un ostacolo insormontabile, dato
che Tartaglia propone una regola generale ancorché espressa in
forma retorica:
... sempre aggiongi il primo termine (cioe la unita) con l’ultimo, &
la mita di tal summa multiplica fia il numero delli termini di quella
42
Le operazioni, come è noto, sono: numerazione, addizione, sottrazione,
moltiplicazione, divisione, progressione ed estrazione di radice.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
125
progressione, & il produtto di tal multiplicatione sara la summa di
tutti li detti termini di tal progressione43.
È immediato esprimere la regola generale con un simbolismo
moderno
S5
a1 1 an
#n
2
dove a1 e an sono rispettivamente il primo e l’ultimo termine e n
rappresenta il numero dei termini.
Anche per le progressioni geometriche si trova una regola generale
Volendo adonque raccogliere, over trovar la summa di tutti li termini
di qual si voglia specie di progression geometrica, non solamente
principiante dalla unita, ma di qual altro numero si voglia. Sempre
cava il primo termine da l’ultimo, & il restante sempre partirai per
un manco del numero denominante tal progressione, & lo avenimento gionto con l’ultimo termine di tal progression, tal summa sara
egual alla summa di tutti li termini di tal progression, essempio
nella doppia (Seconda Parte, Libro I, c. 5v).
che si può scrivere altrettanto semplicemente in termini moderni,
indicando con q la ragione della progressione (o “numero denominante”)
an 2 a1
S 5 an 1
q21
Si noti tuttavia che la generalità delle formule non deriva da
alcuna dimostrazione o giustificazione, ma viene semplicemente
43
Più precisamente, Tartaglia enuncia questa regola per le progressioni
aritmetiche che cominciano con l’unità, ma riconosce in seguito che le altre progressioni aritmetiche “si summano, over raccoglieno per quella medesima regola” (Seconda Parte, Libro I, c. 3v).
Veronica Gavagna
126
enunciata da Tartaglia e applicata ad alcuni casi numerici a titolo
di verifica. Mentre il “Tartaglia matematico” si compiace della generalità della propria regola, “il Tartaglia insegnante” suggerisce
comunque di memorizzare alcuni casi particolari, in cui le formulazioni diventano particolarmente semplici. Infatti, nel caso di progressioni geometriche di ragione rispettivamente 32 e 43, la regola assume rispettivamente la forma S 5 3an 2 2a1 (“cava sempre il
doppio del primo termine del treppio de l’ultimo” c. 6r) e
S 5 4an − 3a1 (“cava il treppio del primo termine [...] del quadruplo
de l’ultimo termine” c. 6v). La costante attenzione verso la padronanza e la rapidità del calcolo mentale riemerge anche quando l’autore suggerisce l’uso di somme parziali per addizionare più rapidamente e con meno probabilità di errori un numero elevato di termini di una progressione.
Le progressioni – aritmetiche o geometriche che siano – trovano applicazione soprattutto in problemi di inseguimento che, modulo qualche variante, si possono sintenticamente riassumere in
questi termini: due o più personaggi si muovono secondo una tabella di marcia quotidiana i cui termini costituiscono una progressione o una particolare successione; si chiede di determinare dopo
quanti giorni i viaggiatori si incontrano. Se l’incognita è un numero
naturale, non ci sono particolari ostacoli nella risoluzione dei problemi, che si riducono al calcolo della somma di un certo numero
di elementi di una progressione e a qualche manipolazione algebrica. I problemi sorgono però non appena si abbia a che fare con
numeri non interi, come nel caso del General Trattato già presente
nella Summa44:
Frate luca dal borgo mette questo caso, over questione dicendo:
poniamo che la sfera terrena habbia di rivolutione 20.400 miglia,
& che sopra l’equinottio da un ponto, & in un ponto si mova duoi
ponti mobili, il primo va verso oriente il primo giorno un miglio,
il secondo 2, il terzo 3 etc. Il secondo va verso occidente, il primo
44
Nella Summa si trova alla c. 44r, 2a distinzione, 5o trattato, 30a questione.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
127
giorno un miglio, il secondo 8, il terzo 27. Adimando in quanti
giorni si trovaranno li due movimenti in un sol ponto (Parte Seconda, c. 12r).
Pacioli risolve il problema per via algebrica in un modo che
si può sintetizzare come segue. Se si assume che l’incognita x rappresenti il numero di giorni richiesti, e si indichino con Px(A) e
Px(B) i percorsi coperti dai due viaggiatori A e B dopo x giorni,
l’equazione che traduce la richiesta del problema diventa
Px(A) 1 Px(B) 5 20.400
dove Px(A) e Px(B) corrispondono rispettivamente alla somma dei
primi x termini della progressione aritmetica naturale e della successione dei numeri cubici45, ovvero
Px(A) 5
Px(B) 5
11x
x
2
x4
x3
x2
1 1
4
2
4
Si noti che questo ragionamento sottintende l’assunzione che
x sia un numero naturale. Una volta sostituiti i termini ed eseguiti
alcuni semplici calcoli, l’equazione risolutiva assume la forma:
(x2 1 x 1 1)2 5 81.601
A questo punto Pacioli risolve l’equazione e trova l’incognita:
x5
Å
"81.601 2
3
1
2
4
2
senza rendersi tuttavia conto che, per le limitazioni poste sopra, la
soluzione non è accettabile perché è un numero irrazionale. Nella
Practica arithmetice, Cardano aveva affrontato lo stesso problema,
45
Questa e altre successioni particolari sono trattate nel General Trattato,
Parte Seconda, Libro Primo, c. 7v.
Veronica Gavagna
128
criticando la soluzione del frate di Sansepolcro dato che “... in progressionibus Geometricis in quibus termini sunt ignoti, debent queri termini integri, Frater autem Lucas talia frustra solvit per la co”46.
La soluzione alternativa proposta da Cardano si fonda su una sorta
di interpolazione: dopo 16 giorni i due viaggiatori A e B hanno percorso 18.632 miglia, mentre il 17° giorno hanno coperto 23.562
miglia; devono quindi necessariamente incontrarsi fra il 16° e il
17° giorno. Il matematico milanese conclude allora che il numero
di giorni richiesto è pari a 16 1768
4930 , dove il “rotto” è dato da
20.400 2 P16(A 1 B)
1768
5
4930
P17(A 1 B) 2 P16(A 1 B)
Le critiche che Tartaglia muove al procedimento di Pacioli47 e
la soluzione alternativa proposta nel General Trattato sono perfettamente concordi con quelle espresse da Cardano ma, presumibilmente
per i vecchi rancori, il matematico milanese non viene mai citato48.
Uno dei motivi per i quali Tartaglia riserva un così ampio spazio allo studio delle progressioni, soprattutto geometriche, è la loro
propedeuticità all’apprendimento dei fondamenti dell’algebra.
46
Practica arithmetice, problema 14, cc. 182v-183r. Su questo problema
si veda V. GAVAGNA, Alcune osservazioni sulla Practica Arithmetice di Cardano...,
pp. 302-304.
47
“La qual conclusione è falsa, perche non debbe accadere irrationalita
alcuna” c. 12v.
48
Si noti nel Libro primo della Sesta Parte del General Trattato (cc. 16v17r), dedicata all’algebra, il secondo dei Casi over quesiti posti per meglio instruire
et ammaestrare è esattamente lo stesso problema, ma questa volta la circonferenza terrestre non misura 20.400 miglia, bensì 29.412. Questo nuovo valore
rende possibile risolvere il problema per via algebrica, perché in questo caso la
soluzione è il numero naturale x = 18. Tartaglia non manca di sottolineare a più
riprese, infatti, che la correttezza del procedimento è subordinata alla possibilità
di ottenere una soluzione intera. Su questo secondo problema si veda anche il
contributo di E. Giusti pubblicato in questo volume.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
129
L’unità, l’incognita e le sue potenze (o dignità) – censo, cubo, censo
censo, censo cubo, cubo cubo etc. – rappresentano infatti i termini
di una progressione geometrica che ha come ragione l’incognita e
questo rende possibile leggere in una prospettiva algebrica le proprietà delle progressioni. A questo proposito bisogna osservare che,
con ogni probabilità, la fonte più diretta di queste osservazioni è
l’Arithmetica integra di Stifel49, in cui l’autore afferma
“Eximiam vero laudem merentur Geometricae progressiones, vel ex
hoc, quod Cossa seu ars Gebri, nihil aliud est quam calculatio per
progressiones Geometricas: quae tum tanta est, ut omnium Arithmeticorum regulas calculandi complicet, immensum quoque usum habeat in Geometricis &c.” (c. 30)
Di seguito, in poche e stringate pagine, Stifel spiega come la
suddetta “calculatio” si fondi sulla peculiare corrispondenza fra
progressioni geometriche e progressione aritmetica naturale. Se si
dispongono su due linee la successione dei numeri naturali e la
successione dei termini della progressione geometrica di ragione 2
0
1
1
2
2
4
3
8
4
16
5
32
...
...
si possono porre in relazione i termini corrispondenti osservando che
Primo, numeri superioris ordinis significant multiplicationum species: scilicet 2 significat multiplicationem quadratam fieri, dum radix bis ponitur, atque ita multiplicatur, ut 2 2 facit 4. Sic 3 significat
multiplicationem cubicam, qua radix ter ponitur...
In termini moderni diremo che nella riga superiore compaiono gli esponenti e in quella inferiore le rispettive potenze di
base 2. L’interesse di questa relazione risiede però nel fatto che,
a determinate operazioni che si possono eseguire fra i termini
49
Arithmetica Integra. Authore Michaele Stifelio. Cum praefatione Philippo
Melanctonii, Norimbergae apud Iohan. Petreium. Anno Christi MDXLIIII.
130
Veronica Gavagna
della progressione naturale, corrispondono particolari operazioni
fra i termini della progressione geometrica. Ad esempio, all’addizione e sottrazione corrispondono rispettivamente moltiplicazione e divisione:
Sicut enim in superiore ordine 2 a 3 faciunt 5: sic in inferiore ordine
4 in 8 faciunt 32 id est surdesolidum quinario designatum, seu numerum quinto loco post unitatem exclusam ponendum [...] Item sicut in superiore ordine 1 subtracta a 6 relinquit 5: sic in inferiore
ordine 2 divisore dividente 64 producit numerum ponendum sub 5,
id est surdesolidum progressionis illius & sic de aliis Sumpta est
igitur hinc ratio Algorithmi peculiariter ad Algebram pertinentis.
Analogamente, “multiplicatio simplex (id est, numeri in numerum) quae sit in Arithmeticis respondet multiplicationi in se
quae sit in Geometricis” e “divisio in Arithmeticis progressionibus
respondet extractionibus radicum in progressionibus Geometricis”.
Il lettore moderno non esiterà a riconoscere in queste espressioni
una formulazione delle ben note “proprietà delle potenze”.
Gli argomenti presentati nell’Arithmetica integra vengono poi
ripresi, ampliati e arricchiti di numerosi esempi nel General Trattato, ma né Stifel né Tartaglia intuiscono che la possibilità di compiere un’addizione al posto di una moltiplicazione o una sottrazione
al posto di una divisione etc. può aiutare a eseguire più velocemente
e più correttamente calcoli complessi con numeri a molte cifre. Pochi anni dopo sarà John Napier a sviluppare quest’intuizione nella
sua opera Myrifici logarithmorum canonis descriptio (1614) in cui
si sancisce la nascita, appunto, dei logaritmi.
4. L’ESTRAZIONE DELLA RADICE N-SIMA DI UN NUMERO
E IL “TRIANGOLO DI TARTAGLIA”
Il libro II della Parte seconda del General Trattato è dedicato
a un tema che sta particolarmente a cuore a Tartaglia: l’estrazione
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
131
della radice di ordine n di un numero naturale o razionale positivo50. La comprensione delle dimostrazioni e l’applicazione dell’algoritmo richiedono un buon bagaglio matematico e una certa abilità di calcolo, tant’è vero che – come non manca di sottolineare
Tartaglia – i quesiti 22-25 sottoposti a Cardano e Ferrari e da loro
malamente risolti, trattano proprio questioni legate all’estrazione
di radici cubiche51. Questo libro è uno dei più estesi del General
Trattato: Tartaglia infatti spiega in dettaglio come estrarre la radice
di ordine 2, 3 ecc. e solo dopo aver trattato per esteso 10 casi,
presenta una regola generale per estrarre la radice di ordine n da
un numero N.
L’algoritmo di estrazione fa uso del triangolo aritmetico ed è
plausibile ipotizzare che Tartaglia si sia ispirato in questo all’Arithmetica integra di Stifel. Alla carta 44v dell’Arithmetica integra
50
Per una rassegna degli algoritmi di estrazione delle radici quadrate e cubiche di un numero, si veda M.T. RIVOLO, A. SIMI, Il calcolo delle radici quadrate
e cubiche in Italia da Fibonacci a Bombelli, «Archive for History of Exact Sciences» 52 (1998) pp. 161-193.
51
“22. Ve adimando anchora che con regola generale me ritrovati, over cavati la radice relata propinqua de 9999999999 cioe con la regola generale de
formar un rotto del residuo che avanzara di sopra a tal estrattione, la qual regola
sia la sua propria, & generale la qual servi non solamente nelle estrattioni delle
dette radice propinque nelli numeri sani, ma anchora nelli rotti, & e nelli sani
& rotti essempi gratia con la medesima regola cavatime anchora la Radice relata
propinqua de 58 & similmente de 242 21.
23. Anchora ve adimando che con la sua propria regola generale come detto
di sopra me cavati la radice cuba quadra propinqua de 9999999999 & simelmente de 79 & anchora de 728 23.
24. Anchora adimando che me sia cavata con regola generale (come detto
di sopra) la Radice propinqua, seconda relata de 9999999999 & simelmente de
5
1
7 & simelmente de 2186 3 .
25. Anchora ve adimando che me cavati con regola generale la Radice terza
relata propinqua de 9999999999 & simelmente de 89 e simelmente de 177.148 21
” (N. TARTAGLIA, L. FERRARI, Cartelli di sfida matematica, Seconda Risposta,...
p. 58).
Veronica Gavagna
132
si trova infatti lo schema seguente, in cui non si può far a meno di
notare una stretta parentela con il triangolo di Tartaglia, posto alle
carte 69v e 71v della Seconda Parte del General Trattato.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
3
6
10
15
21
28
36
45
55
10
20
35 35
56 70
84 126 126
120 210 252
165 330 462 462
Triangolo di Stifel
ce.
2
ce.
cu.
3 3
cu.
ce.ce. 4
6
4 ce.ce.
po rel. 5
10 10
5 po rel.
ce.cu. 6
15
20
15
6 ce.cu.
o
2 rel. 7
21
35 35
21
7 2o rel.
ce.ce.cu. 8
28
56
70
56
28
8 ce.ce.cu.
3o rel. 9
36
84 126 126 84
36
9 3o rel.
Triangolo di Tartaglia
Prima di passare ai criteri di definizione di questi schemi, premettiamo che tanto Stifel quanto Tartaglia usano i rispettivi triangoli
numerici per costruire i coefficienti binomiali e se ne servono nell’estrazione delle radici n-sime di numeri naturali e razionali positivi, ma in modo diverso. Nel caso di Stifel, l’estrazione della radice n-sima di un numero N si fonda sulla possibilità di trovare
due interi positivi a e b tali che N 5 (10a 1 b)n. Mentre il numero
a è la radice che meglio approssima (per difetto) N, resta da de-
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
133
terminare il numero b, la cui migliore approssimazione espressa in
termini moderni è data, secondo Stifel, da
b1 5
N 2 10nan
1 n1 2 10n21an21
Dunque
"N 5 10a 1 b1 5 10a 1
n
N 2 10nan
1 n1 210n21an21
L’uso dei coefficienti binomiali diventa a questo punto importante per la verifica del risultato, dal momento che bisogna sviluppare il binomio (10a 1 b1)n per capire di quale grado sia l’approsn
simazione di "N.
La trattazione di Stifel è estremamente stringata e accompagnata da un numero davvero esiguo di esempi (cc. 38v-46v di un
volume in 4°), mentre Tartaglia dedica all’estrazione delle radici
ben 50 carte (cc. 23v-73v). Come abbiamo detto, in questa dettagliatissima esposizione l’autore esamina l’estrazione della radice
n-sima per n 5 2, ..., 10, analizzando per ogni ordine il caso dell’estrazione di radice dei numeri naturali (distinguendo l’approssimazione per difetto dall’approssimazione per eccesso) e dei razionali positivi e dando, nel caso della radice quadrata e cubica, anche
un’intepretazione geometrica dell’algoritmo usato.
Non entreremo qui nei dettagli, limitandoci a osservare che,
in generale, per calcolare la radice n-sima di un numero N, si devono trovare due numeri a e b tali che N 5 (a 1 b)n; ancora una
n
volta, a è la radice intera che meglio approssima "N e il problema
si riduce a dover dare una stima di b. L’approssimazione proposta
da Tartaglia è, in termini moderni,
"N 5 a 1
n
N 2 an
n21
n k
a
ba
a
k51 k
Veronica Gavagna
134
La chiave di questo algoritmo di estrazione risiede nello sviluppo della potenza n-sima della somma di due segmenti52, e il cosiddetto “triangolo di Tartaglia” – che nel General Trattato non ha
un nome specifico – risponde all’esigenza di poter disporre, senza
dover fare ogni volta tutti i calcoli, dei coefficienti binomiali che
compaiono nella formula precedente.
Dopo aver illustrato con dovizia di particolari l’algoritmo di estrazione delle radici fino al decimo ordine, Tartaglia osserva che si può
rintracciare un certo “ordine” nella costruzione dei termini che stanno
al denominatore nella formula di approssimazione vista sopra53.
Da poi che habbiamo replicati, & ordinatamente notati in figura
tutti quelli numeri che occorreno di mano in mano alla formatione
di tutti quelli produtti, che intervengono in ciascuna di quelle 10
propositioni da noi adutte sopra di quelle 10 regole date nel precedente capo, per cavar quelle 10 specie di radice, accioche tal nostra repplicatione, & notatione non sia frusta, & vana ti voglio mostrare, donde tali numeri particolarmente si formino, con la qual
notitia da te medesimo potrai piu oltra in infinito procedere nelle
altre specie di radici. (Seconda Parte, Libro II, c. 71v).
Se si confronta il triangolo di Tartaglia con quello di Stifel si
notano alcune differenze: nello schema del matematico bresciano,
52
“Dico adunque che tutte le dette 10 propositioni (se ben ti aricordi) hanno
per suo fondamento una linea, over una quantita divisa in due parti, come si voglia e la prima delle dette 10 propositioni narrata sopra la estrattione della radice
quadra è la quarta del secondo di Euclide...”
53
“Ma accioche in tal materia se ne habbia perfetta dottrina in questo
ultimo capo intendo di mostrare un certo ordine, che naturalmente si vede osservare fra loro quelle 10 propositioni, notate nel precedente capo... con il qual
ordine ogni commune ingegno da se medesimo (parendogli) sapra in infinito piu
oltra procedere, & non solamente di saper cavare ogn’altra specie di radice, ma
di sapere anchora formare il denominatore da ponere sotto a quella linea, dove
sara stato posto, over dove che fido vera ponere quel avanzo, che restasse di
sopra alla operatione, per dare tal radici irrationali propinque alla verita, come
che in ciascuna di quelle 10 specie date nel precedente capo è stato fatto....”
(Seconda Parte, Libro II, c. 69r).
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
135
la presenza dei nomi delle potenze disposte lungo i lati obliqui, ne
sottolineano l’origine geometrica, che poggia sullo sviluppo delle
potenze della somma di due segmenti54. L’autore inoltre si preoccupa di mettere in luce alcune proprietà che indicano come proseguire nella costruzione del triangolo:
1.
le dignità (cioè le potenze) poste ai lati crescono secondo una
progressione geometrica (censo, cubo, censo censo, primo relato, censo cubo etc.);
2.
nella prima cornice disposta lungo i lati obliqui si trova la
progressione aritmetica naturale (1, 2, 3, 4 …);
Queste due caratteristiche consentono di scrivere i primi due
e gli ultimi due termini della riga n-sima, supponendo noti gli elementi della riga (n 2 1)-sima. Si noti che, a differenza di Stifel, Tartaglia sceglie di disporre gli n termini della n-sima riga spostati di
una posizione rispetto agli n 2 1 elementi della riga sovrastante, in
modo da rendere immediatamente leggibile anche la successiva,
importantissima, proprietà:
3.
a esclusione dei primi due e degli ultimi due, i termini della
riga n-sima, che indicheremo con ank (k indica la posizione suln−1
la riga) si ottengono sommando i due termini an21
k21 e ak della
riga n−1-sima.
Se leggiamo il triangolo con occhi moderni, cioè interpretiamo
gli elementi che lo compongono come coefficienti binomiali, la proprietà precedente si può facilmente riscrivere come la ben nota
n
n21
n21
a b 5 a
b 1 a
b
k
k21
k
54
Nella figura originale, compare anche un segmento diviso dal vertice superiore del triangolo.
Veronica Gavagna
136
5. CONCLUSIONI
Ci sono affinità rilevanti fra le figure di Luca Pacioli e Niccolò
Tartaglia: entrambi maestri d’abaco e interlocutori privilegiati del
ceto medio, ambiscono a far parte di un mondo culturalmente più
elevato, esibendo come lasciapassare le loro edizioni e traduzioni
di alcuni classici matematici55.
Questo duplice aspetto della loro personalità scientifica si
ricompone rispettivamente nella Summa e nel General Trattato,
vere e proprie enciclopedie della matematica pratica in cui l’evidente influenza dell’esperienza didattica si coniuga con il desiderio – reso possibile dall’uso del volgare – di avvicinare il tradizionale fruitore della matematica abachistica a una matematica
più speculativa.
In questo progetto culturale si inquadra la scelta di suddividere l’aritmetica in due Parti, la prima delle quali contiene l’aritmetica “necessaria a mercanti” ed è un vero e proprio trattato d’abaco. È nella Seconda Parte, invece, che Tartaglia tenta di ampliare
gli orizzonti matematici dei suoi lettori facendo convivere argomenti
teorici, presentati da un punto di vista numerico, con temi propri
della miglior trattatistica d’abaco, come le progressioni e l’estrazione di radici, riletti però alla luce di alcuni sviluppi della matematica contemporanea. Abbiamo visto, infatti, come Tartaglia si
ispiri ad alcune idee dell’Arithmetica integra di Stifel per leggere
in chiave algebrica la peculiare corrispondenza fra il comporta-
55
Come è noto, Tartaglia diede alle stampe, nel 1543, la prima edizione
degli Elementi euclidei in volgare e alcune opere di Archimede (cfr. nota 12);
Pacioli invece curò nel 1509 un’edizione latina degli Elementi ma fu molto probabilmente autore anche di una traduzione volgare che non venne mai stampata.
Secondo la convincente ipotesi sostenuta da Menso Folkerts, tuttavia, molti excerpta di questa traduzione confluirono pressoché letteralmente nella Summa. A
questo proposito si veda il saggio Luca Pacioli and Euclid, in E. Giusti (cur.),
Luca Pacioli e la matematica..., pp. 219-232.
L’insegnamento dell’aritmetica nel “General Trattato”
137
mento della progressione aritmetica naturale e quello delle serie
geometriche (§ 3.2) e per utilizzare il triangolo aritmetico nell’approssimazione delle radici n-sime di un numero (§ 4).
Il matematico bresciano non si limita quindi a raccogliere
l’eredità pacioliana, ma la reinterpreta con una nuova sensibilità,
che è più attenta alle potenzialità dell’algebra, ma al contempo più
critica verso l’uso degli strumenti algebrici (§ 4). Questa maturità,
che si riflette, per esempio, in una più piena consapevolezza dei
limiti e delle questioni instrinsecamente connesse all’interpretazione matematica dei problemi reali (§ 3.1), pone il General Trattato
in una prospettiva molto più moderna della Summa.
Non sono molte le notizie a disposizione degli storici circa
l’insegnamento dell’aritmetica nel Cinquecento e le prime due parti
del General Trattato si sono rivelate uno strumento indispensabile
per comprendere le idee di Tartaglia su tale argomento. Poiché l’insegnamento dell’aritmetica pratica era indirizzato soprattutto a professionisti come commercianti, banchieri e ingegneri, è chiaro che
una delle finalità prioritarie era la completa padronanza del calcolo
mentale rapido. La condizione necessaria per raggiungere questo
obiettivo è la memorizzazione di un gran numero di calcoli elementari e di algoritmi e tecniche di calcolo, ma non si tratta di una
condizione sufficiente. Come abbiamo visto nel caso della somma
di frazioni (§ 3.1) Tartaglia insiste molto sul fatto che la memorizzazione debba essere accompagnata dalla comprensione e per questo non esita a criticare la regola di moltiplicazione più diffusa –
la “moltiplicazione in croce” – che focalizza l’attenzione sul risultato e non sul procedimento e rischia per questo di diventare una
filastrocca priva di significato matematico destinata a essere facilmente scordata o malamente ricordata da uno studente.
Al servizio della didattica Tartaglia non pone solo la propria
esperienza di insegnante, ma anche la sua attività di studioso. In
particolare, la traduzione degli Elementi lo conduce ad alcune originali considerazioni sulle ambiguità semantiche insite nell’uso di
termini matematici mutuati dal linguaggio comune (come il termine
“multiplicare”, § 3.1) che portano spesso a convinzioni errate dif-
138
Veronica Gavagna
ficili da correggere e che si possono prevenire solo con l’adozione
di un linguaggio più rigoroso e univoco.
Se dal punto di vista strettamente matematico, il General Trattato è un’opera che sintetizza esemplarmente la tradizione abachistica pur contenendo in sé già molti elementi propri di una matematica più moderna, è forse dal punto di vista didattico che la lettura offre riflessioni particolarmente interessanti, che gettano nuova
luce sia sull’insegnamento della matematica nel Cinquecento sia
sulla personalità scientifica di Niccolò Tartaglia.
ANTONIO CARLO GARIBALDI*
L’INSEGNAMENTO DELLA GEOMETRIA
NEL “GENERAL TRATTATO” DI N. TARTAGLIA
1. INTRODUZIONE
Il punto di partenza non potrebbe essere altrimenti che il testo
di Euclide, che Niccolò Tartaglia aveva editato in italiano nel 1543
presentando, com’era allora in uso, le due “tradottioni” fuse in un
solo testo. Infatti, dopo l’introduzione della stampa era apparsa, già
sul finire del secolo XV, la versione di Giovanni Campano da Novara, che aveva circolato manoscritta in tutto il Basso medioevo.
Essa era ispirata alle versioni arabe del testo greco a cui Campano aveva fatto varie aggiunte, non sempre felici. Nel 1505, in
pieno Rinascimento, compare la versione di Euclide dal greco di
Bartolomeo Zamberti, versione letterale da un manoscritto non dei
migliori, il cui scopo, dichiarato “apertis verbis” in ogni pagina è
quello di contrapporsi al testo di Campano, polemizzando quindi
con esso a proposito e a sproposito. I matematici successivi, a partire dal Lefèvre d’Etaples (Faber Stapulensis) tentarono la doppia
presentazione del testo, in mancanza di meglio. Su questo filone si
inserisce appunto Tartaglia con la novità della lingua italiana che
rendeva il testo accessibile a un più grande numero di persone, anche di classi non particolarmente colte.
La prospettiva euclidea è il tessuto portante di tutta la parte
geometrica del General Trattato, anche se Tartaglia, come vedremo,
* Dipartimento di matematica, Università di Genova.
140
Antonio Carlo Garibaldi
considera e porta avanti problemi più avanzati, derivanti da un quadro di conoscenze matematiche assai più vasto e articolato e affrontando molte questioni di carattere pratico. Infatti l’idea che egli
ha in mente è quella di considerare lo schema euclideo come la
base del modo di ragionare correttamente in geometria e il riferimento per tutte le nozioni fondamentali ed elementari da cui non
si può prescindere.
Significativo perciò appare, proprio all’inizio della Terza parte,
il Primo libro “nel quale si definisce quello che sia Geometria e le
sue specie e si ragiona delli gradi delle misurazioni geometriche,
da chi fu ritrovata la geometria e l’Arithmetica, onde derivi il nome
geometria, del suo principio e fine, quello che sia punto, linea, e
superficie e molte altre cose appartenenti alla cognitione del libro
primo di Euclide”. Tartaglia presenta e discute le definizioni fondamentali del 1° libro degli Elementi, riprendendo le considerazioni e i commenti da lui stesso già fatti nella sua versione di Euclide, diffondendosi anche in considerazioni di carattere filosofico.
Dopo questa premessa, gli altri 4 libri della Terza parte affrontano
la geometria pratica (misurazioni di aree, volumi ecc.) utilizzando
le unità di misura appropriate per i vari luoghi e città, diffondendosi
in molti particolari. Tartaglia chiama questa la “pratica minore”
della geometria. Il Libro III (cc. 24r-32r) descrive, in grande dettaglio, lo “squadro”, uno strumento per le misurazioni assai importante a quel tempo.
Nella Quarta parte, che Tartaglia denomina “pratica maggiore”, la pratica è collegata alla teoria. Parlando per esempio della
formula che dà il volume del tronco di piramide si esprime così:
“certamente bella cosa è il saper leggiadramente operare, ma molto
più bello è delle sue operationi saper assignar la causa propinqua,
anchor che tal cosa non si aspetti al puro pratico, ma al speculativo
e pertanto in questo luogo intendo (a satisfattione degli speculativi
ingegni) di voler dimostrare donde nasce la detta causa …” (libro
secondo, capo 5°, carta 37v). Il primo libro di questa Quarta parte
contiene molti risultati significativi di geometria piana, come la formula di Erone, le proprietà della sezione aurea, con le relative di-
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 141
mostrazioni. I due capitoli finali sono dedicati alla quadratura del
cerchio, con critiche a vari matematici contemporanei e ai primi risultati di Tolomeo sul calcolo delle corde, tratti dall’Almagesto. Il
secondo libro è dedicato alle figure solide, compresi i poliedri regolari con il riferimento esplicito ai libri stereometrici di Euclide.
Infine il terzo libro presenta la versione italiana, fatta da Tartaglia, del primo libro sulla Sfera e il Cilindro di Archimede, cui
segue un capitolo di applicazioni pratiche e numeriche con problemi sulla sfera e i segmenti sferici.
La Quinta parte è tutta impostata sotto il profilo dei problemi
geometrici, di cui si cerca la soluzione, cioè il modo di costruire
l’oggetto cercato.
Tartaglia distingue subito tra esecuzione matematica ed esecuzione naturale: la prima procede con atti scientifici che si possono dimostrare con ragioni astratte al modo dei geometri antichi
(Euclide, Apollonio, Archimede, Tolomeo e altri) mentre la seconda si ha quando si procede “a tastoni” sempre utilizzando riga e
compasso. Allora in molti casi si ottiene un risultato che si approssima al vero; ma – osserva subito Tartaglia – in taluni casi il
senso s’inganna, come fu già mostrato (nella parte Quarta) attraverso l’indagine sugli errori di Orontio, Stifel e altri. Tartaglia distingue poi tra problemi risolubili con regole matematiche e anche
in modo naturale, altri risolubili solo matematicamente, altri infine
risolubili solo a tastoni. Egli promette di chiarire questa distinzione sugli esempi che farà; tale promessa risulta effettivamente da
lui mantenuta
I tre libri da cui è formata questa parte riguardano problemi
di geometria piana e problemi di geometria solida, distinguendo
sempre tra problemi contenuti nei libri di Euclide e altri problemi,
frutto delle ricerche recenti sue o di altri: ciò avviene nei primi due
libri. Infine l’ultimo libro è dedicato ai problemi risolubili con una
sola apertura di compasso (fissata). Questo risponde a una abitudine
del tempo che conduceva a vere e proprie “sfide” tra i matematici.
Il riferimento più noto è quello della celebre sfida tra Cardano e
Ferrari da un lato e Tartaglia dall’altro: il testo presenta qui 22 que-
142
Antonio Carlo Garibaldi
siti sui 31 della disputa del 1547, ma tornando indietro si vede che
altri quesiti si trovano risolti e discussi nei libri precedenti.
Come appare da questa breve descrizione, la Quinta parte si
svolge in un orizzonte speculativo, rivolto però alla costruzione pratica delle soluzioni dei problemi proposti, sia di quelle effettivamente realizzabili con riga e compasso (o con il solo compasso di
apertura fissata) sia degli altri. Tra questi troviamo anzitutto i “problemi classici” noti e discussi nell’antichità, come la quadratura
del cerchio e l’inserimento di due medie proporzionali tra due segmenti dati; ma abbiamo poi alcune considerazioni sulle sezioni coniche di Apollonio, particolarmente interessanti.
Tutta la trattazione ha un carattere piuttosto “enciclopedico”,
a somiglianza della Summa di Luca Pacioli e si rivolge a un pubblico interessato ai problemi pratici, ma aperto alla teoria. Un pubblico che certamente gradisce la divulgazione e la discussione in
lingua italiana di temi avanzati rispetto al sapere corrente, come
per esempio la conoscenza più precisa di Archimede.
Le fonti a cui Tartaglia attinge sono chiaramente esplicitate
dalle sue frequenti citazioni. Anzitutto, come Tartaglia ben sa, vi
sono i grandi autori dell’età classica: Archimede, Apollonio; poi Tolomeo, sull’onda del rinascimento dell’astronomia instaurato da Peuerbach e Regiomontano nel secolo precedente; poi altri autori minori che hanno contribuito alla soluzione dei tre problemi “classici”,
che vanno al di là della geometria euclidea. Un testo fondamentale,
che Tartaglia cita molte volte, è l’enciclopedia De expetendis et fugiendis rebus (1501) di Giorgio Valla in cui figurano appunto versioni
di testi greci che furono largamente utilizzati da vari autori.
La situazione della prima metà del secolo XVI è piuttosto complessa perché le edizioni “critiche” dei vari Autori compaiono in
massima parte più tardi, nella seconda metà del secolo. Per Archimede, Tartaglia si fonda sulle sue edizioni in latino di alcune opere,
cui proprio nel General Trattato aggiunge la versione italiana del
primo libro sulla Sfera e Cilindro. Per Apollonio, Tartaglia ha presente la prima versione delle Coniche fatta da Memo (1537), un veneziano che egli conosce personalmente e cita nei Quesiti. Si serve
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 143
inoltre delle edizioni allora correnti di Tolomeo (Almagesto e Geografia). Non conosce Pappo né Diofanto.
Un altro genere di testi a cui Tartaglia guarda con interesse
ha il suo rappresentante più tipico nella Summa di Luca Pacioli.
Si tratta infatti, come è noto, di un’opera avente soprattutto carattere
pratico, anche se contiene disquisizioni di carattere teorico. Essa
si riferisce però ad argomenti di carattere elementare, ispirandosi
al Liber abaci di Leonardo Pisano per la vasta problematica sulle
questioni “mercantili”. Per quanto ci riguarda, la parte geometrica
è meno interessante ma tuttavia da tenere in conto.
Già Pacioli rappresenta, in qualche modo, una presenza dei
“moderni” in Tartaglia. Ma a questo riferimento se ne devono aggiungere subito parecchi altri: Cusano, per l’infelice tentativo di quadratura del cerchio, già criticato da Regiomontano, Bovillo, Dürer, Stifel,
Oronce Finé, particolarmente bersagliato di critiche, e anche alcuni
autori contemporanei di aritmetica come Feliciano e Tagliente ecc.
Una menzione a parte va naturalmente fatta per il suo arcinemico Girolamo Cardano (con il discepolo Ludovico Ferrari). I
problemi della celebre disputa sono qui ripercorsi con grande puntiglio e fanno come da sfondo alla problematica geometrica tipica
della prima metà del secolo XVI che vede un particolare impegno
di Tartaglia (anche in altre opere come i Quesiti).
Non potendo ovviamente dar conto di tutto il contenuto della
vastissima opera ci concentreremo nel seguito su alcuni temi essenziali anche per verificare lo stato e il progresso della conoscenza
matematica alla metà del Cinquecento.
2. I PRIMI DUE PROBLEMI “CLASSICI”
La fonte cui Tartaglia attinge, dichiarata in modo esplicito, è
l’opera di Giorgio Valla che nel IV libro della sua Geometria dedica
il capitolo II all’argomento “de duobus cubis ad unum redactis ut
Archimedes “. Come è noto, Archimede, nel 2° libro dell’opera sulla sfera e il cilindro, risolve alcuni problemi utilizzando i risultati
144
Antonio Carlo Garibaldi
fondamentali da lui stabiliti nel 1° libro e impiegando il metodo di
analisi e sintesi. Nella soluzione del problema: dato un cono o un
cilindro costruire una sfera equivalente a essi, Archimede dà per
scontata la costruzione di due medie proporzionali tra due segmenti
dati. Si tratta di uno dei tre “problemi classici” della geometria
greca, affrontati in molti modi dagli antichi ma, come Tartaglia non
manca di sottolineare, nessuno dei metodi degli antichi è “geometrico” (nel senso della geometria euclidea, cioè servendosi soltanto
di riga e compasso). Dobbiamo a Eutocio di Ascalona, commentatore di Archimede, la presentazione di una rassegna delle soluzioni
elaborate in tutta l’antichità, che egli aggiunge al problema archimedeo. Valla traduce il testo in latino e Tartaglia nel capitolo XXI
del libro I della Quinta parte ne dà una versione italiana con qualche commento. In tal modo, il lettore del General Trattato è messo
al corrente di tutte le informazioni sulla questione. Egli viene anche
informato che, per parte sua, Tartaglia privilegia tra i vari modi
quello dovuto a Erone. Anzi egli ricorda di aver usato questo modo
fin dall’aritmetica (Parte II, libro II, cc.32v-33) a proposito del calcolo di una radice cubica.
Ma il problema delle due medie proporzionali riveste nella
matematica del primo Cinquecento una grande importanza e se ne
occupano matematici illustri, come Oronce Finé e Michael Stifel.
Essi credono però di riuscire a ricondurlo a un problema di tipo
euclideo, cioè risolubile con riga e compasso. Tartaglia affronta la
questione nella IV parte del General Trattato (Libro I, cap. VI) mostrando puntigliosamente che queste soluzioni sono errate. Egli procede sia indicando gli errori di questi matematici sia utilizzando
esempi numerici per convincere i lettori.
Tartaglia si servirà poi della soluzione del problema delle due
medie proporzionali per risolvere problemi di stereometria (trasmutazione di solidi ecc.) come avremo modo di vedere a suo luogo.
Quanto all’altro problema “classico”, la trisezione di un angolo, non troviamo in Tartaglia la sua presentazione in questa forma
esplicita in quanto essa deriva da Pappo, che come abbiamo già
detto egli non conosce. Però la questione è presente, e non una
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 145
sola volta, come problema legato alla costruzione di poligoni regolari (ettagono, ennagono).
Nel cap. IX del I libro della Quinta parte egli afferma che si
tratta di problemi la cui risoluzione pratica “a tastoni” non è difficile
ma che finora da speculativi matematici non se ne ha scienza alcuna,
concludendo con l’affermazione: “Egli è ben vero, che Orontio si
persuase di haverla trovata come in altro luogo habbiamo anchor detto, pur come matematico ha dato molto lontano dal segno” (c. 26r).
L’altro luogo a cui qui rimanda Tartaglia si trova nella Quarta parte
al cap. 5 del libro I. Ivi egli espone in dettaglio “l’errore, e falsa persuasione di Orontio circa l’haver trovato la discrettione di tutte le figure regolari di molti angoli” (nota a margine nella carta 16v). Concludendo la confutazione dell’argomento di Finé, egli aggiunge che
Cardano nella disputa che egli ebbe con lui e con Lodovico Ferrari
gli propose come primo dei 31 quesiti una questione sull’ettagono
regolare da risolversi “non passando il sesto di Euclide” e osserva
a questo punto che tale problema non si risolve neanche con tutti i
15 libri degli Elementi, come eviden temente loro ignorano.
Al terzo dei problemi classici Tartaglia riserva ben altra attenzione, come vedremo nel paragrafo successivo.
3. LA QUADRATURA DEL CERCHIO
E LA TRADIZIONE ARCHIMEDEA
N. Tartaglia si mostra particolarmente impegnato su questo tema, prendendo accuratamente le distanze dai pratici che ancora al
suo tempo utilizzavano regole molto dubbie e fonte di errori. Per
questo già nella parte III, al cap. 4° del III libro egli afferma: “voglio
narrare la detta regola di Archimede”. Con ciò egli semplicemente
si rifà al valore 227 per il rapporto tra la circonferenza al diametro,
che egli dice esser valido “senza error sensibile” e si dilunga a mostrare come attraverso di questo si possano risolvere vari problemi,
compreso quello dell’area del cerchio. Nel cap. 3° del V libro, volendo mostrare l’erroneità di una regola pratica sul calcolo delle
146
Antonio Carlo Garibaldi
fondamenta, si serve della regola di Archimede per calcolare il risultato vero. Ancora nel successivo cap. 4° applica la stessa regola
a proposito dei “cavamenti” (scavi) ma dice poi di voler soprassedere di fronte ad altre regole pratiche perché sarebbe troppo lungo
procedere nelle correzioni.
In definitiva, fin qui troviamo Tartaglia impegnato a utilizzare
semplicemente il valore 227 (che egli talvolta denomina “valore propinquo” di Archimede) in tutte le circostanze che ne richiedono l’uso.
Il salto di qualità rispetto a questo problema avviene nella parte IV
dove nel 1° libro troviamo il capitolo VI così intitolato: “Delli varij
modi investigati da gli antichi et moderni, matematici et naturali, per
quadrare il cerchio, et delle varie opinioni circa la quadratura di esso
cerchio”. La fonte di questo capitolo è sostanzialmente l’enciclopedia
di Giorgio Valla (libro II della Geometria, cap. VIII) che cita esplicitamente. Egli inizia quindi esponendo la quadratura della prima lunula trovata da Ippocrate di Chio e prosegue descrivendo il tentativo
di quadratura del cerchio, riportato da Simplicio, che risulta erroneo,
come riconosce lo stesso Valla. Riporta poi varie affermazioni di carattere filosofico sulla questione del rapporto tra retto e curvo. Passando ai moderni, racconta in primo luogo una discussione da lui
avuta a Venezia con un tale che ricavava la quadratura pesando lamine, vantandosi di esser riuscito vincitore mediante l’utilizzo della
solita regola di Archimede. Accenna poi, senza fermarvisi, alla quadratura errata del Cusano, confutata anche da Regiomontano. Passando a Oronce Finé, si preoccupa di mostrare gli errori in cui cade
affrontando il problema delle due medie proporzionali (di cui abbiamo
già parlato) e sembra affermare che anche la sua quadratura del cerchio dipenda da questo. Abbandonato il discorso su Finé, passa a descrivere il procedimento di Bovillo (Bouville) che conduce ad approssimare p con il valore 3 18 , seguito anche da Dürer, come Tartaglia
nota. Egli considera questo valore approssimato (o meglio il procedimento da cui esso consegue) come assai buono per la pratica. Per
convincere il lettore di questo fa un esempio trovando un valore per
l’area del cerchio molto vicino a quello archimedeo senza accorgersi
però che il valore di Dürer cade fuori dell’intervallo archimedeo.
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 147
Infatti, riprendendo il discorso su Archimede, Tartaglia dà finalmente la doppia disuguaglianza tra cui sta p. Però l’enunciato
lascia qualche dubbio in quanto (probabilmente per un errore dello
stampatore) appaiono rovesciati i termini: la “proportione della circonferentia del cerchio al suo diametro” sarebbe infatti alquanto
maggior di 227 e minore di 223
71 . Poiché però il termine più “propinquo”
è 227 quello è il valore che effettivamente egli usa costantemente.
È appena il caso di ricordare che Tartaglia ha curato, a più
riprese, l’edizione latina di varie opere di Archimede, tra cui il trattato De insidentibus aquae e la Quadratura circuli. Ma è importante
sottolineare qui che nella Quarta parte del General Trattato egli
pubblica la sua versione italiana del primo libro delle Sfera e Cilindro, asserendo di aver ritrovato a Verona nel 1531 un manoscritto
latino di questa importante opera. Per una disamina filologica della
questione rimandiamo alla discussione fatta da P. D. Napolitani nel
suo profilo di Archimede («Le scienze», ottobre 2001, pp. 81-85).
Il testo presentato da Tartaglia è completo (manca solo la lettera
dedicatoria iniziale a Dositeo). Ad esso segue un capitolo (III del
libro III) di applicazioni pratiche “sopra le misurazioni della sphera
et delle sue portioni, over parti”, in cui sono presentati 18 problemi.
di carattere pratico. Non manca la segnalazione di errori commessi
da Tagliente e Feliciano, due autori a lui contemporanei.
I ritrovati di Archimede sono anche presenti nella disputa con
Cardano. Tartaglia infatti propone il seguente quesito: “date due
parabole terminate [segmenti parabolici] ineguali, dalla maggiore
cavar la minore e del restante formarne un quadrato”. Ricordando
il risultato di Archimede (che Tartaglia aveva pubblicato a suo tempo nelle Archimedis Opera) la soluzione si realizza facilmente in
modo elementare.
4. TOLOMEO SECONDO TARTAGLIA
Nella Quarta parte del General trattato, il capitolo 7° del I
libro s’intitola: “Dell’ordine che tenne Ptolomeo in formar le tavole
148
Antonio Carlo Garibaldi
di corde e archi nel principio del suo Almagesto”. Tartaglia inizia
con una protesta dicendo che il principal fondamento Tolomeo lo
raccolse da Euclide “anchor che non si volesse degnare di accettar
le sue proposizioni”. Con ciò egli allude al fatto che Tolomeo usa
in principio risultati di Euclide che ridimostra senza citare l’autore.
Infatti Tolomeo calcola il lato del pentagono, del decagono ecc. trovando quindi le prime corde in modo affatto elementare.
Prima però di passare all’esposizione dei risultati successivi,
Tartaglia presenta e discute una obiezione “nella quale molti si
scapezzano”. Infatti Tolomeo divide la circonferenza del cerchio
(della sfera celeste) in 360 parti dette gradi e il diametro della
stessa circonferenza in 120 parti. Questo può far sembrare che Tolomeo pensi p eguale a 3 mentre usando il solito valore di Archimede 227 il diametro dovrebbe essere di parti 114 e 116 . Nel modo di
Tolomeo, sottolinea Tartaglia con enfasi, ci sarebbero archi più piccoli delle relative corde: per esempio all’arco di 24° corrisponde
la corda di 24 parti, 56 minuti primi e 58 minuti secondi. Ma la
risposta a questa obiezione è data subito: Tolomeo divide in parti
eguali la circonferenza e il diametro, ma le parti non sono eguali
tra loro. La scelta del numero 120 è dovuta all’opportunità di lavorare con un intero avente molti fattori “per fuggir li rotti”.
Avendo introdotto una rappresentazione sessagesimale per le
frazioni, Tartaglia da buon didatta quale è e vuol essere, si diffonde
lungamente a spiegare questo genere di calcolo, arrivando fino all’estrazione delle radici quadrate. Finalmente, passa a esporre i
primi risultati di Tolomeo: calcolo delle corde degli archi residui
di mezzo cerchio, calcolo della corda della differenza di due archi
di cui sono date le corde, corda di un arco metà di un arco dato,
infine corda di un arco somma di due archi di cui sono note le
corde. Egli si ferma a questo punto.
Passa immediatamente alle applicazioni calcolando aree di
settori e segmenti circolari ed esponendo con lunghezza una regola
errata dovuta a Francesco Feliciano nella Scala Grimaldelli. Ovviamente è chiaro che egli deve utilizzare non le tavole di Tolomeo
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 149
ma quelle che si possono costruire, come ha spiegato prima, “secondo la proportion di Archimede”. In definitiva, Tartaglia fa un
uso piuttosto improprio di Tolomeo, avendo di mira misure di aree
terrestri. Egli qui non si occupa affatto di astronomia.
Nella disputa con Cardano, di cui parla nella parte Quinta,
Tartaglia fa uno sfoggio di conoscenza avanzata nei suoi quesiti,
proponendo la spiegazione di alcuni problemi della “Geografia” di
Tolomeo, che Cardano, secondo lui, ignorava.
5. LE CONICHE
È evidente che Tartaglia ha conosciuto la prima versione delle
Coniche di Apollonio (i primi 4 libri) pubblicata nel 1537 da G.B.
Memo, un veneziano che egli ha conosciuto personalmente e che
figura nei Quesiti per una questione di geometria (se possa esservi
rapporto tra una linea curva e una linea retta). Egli cita il testo di
Apollonio quando gli è necessario con il libro e il numero della
proposizione.
È nella Quinta parte che troviamo, accanto ai problemi euclidei che fanno da supporto necessario (e sono regolarmente citati,
per esempio: per la quinta di questo) alcuni risultati relativi appunto alla sua conoscenza delle Coniche.
Nel 7° capitolo del libro I Tartaglia dà il modo di “ritrovar la
vera figura di ovale”. Egli inizia descrivendo la costruzione delle
ovali fatta dagli architetti mediante archi di cerchio diffondendosi
in molti particolari per alcune pagine pur avendo affermato già in
principio che questa ovale non è l’ellisse di cui parla Apollonio
“perché niuna delle parti della sua circunferentia è circolare”. Passa quindi a parlare della costruzione dell’ellisse per punti rifacendosi alla proposizione 52 del terzo libro di Apollonio, dove è indicata la proprietà focale dell’ellisse (ancorché Apollonio non usi la
parola “fuoco”). Insegna a costruire i fuochi di una ellisse a partire
dalle lunghezze dei due assi, utilizzando prima un esempio numerico e poi indicando la costruzione geometrica. A questo punto tutto
150
Antonio Carlo Garibaldi
è pronto per descrivere il notissimo metodo del “giardiniere”, cosa
che egli fa, anche con una figura. È veramente un peccato che nella
descrizione sia inserito un errore: la lunghezza della “cordetta” che
dà modo di costruire i punti dell’ellisse è purtroppo errata poiché
egli afferma che deve “esser longa quanto che è la linea ab [asse
maggiore dell’ellisse] e la parte ga [distanza tra il vertice a e il
fuoco più vicino]”. È significativo che in tutto il brano non ci sia
traccia di un’esperienza concreta di costruzione! Invece lo sfoggio
di cultura risulta notevole: ha parlato prima del compasso ellittico,
dicendo che non ne darà la costruzione perché richiederebbe troppo
lungo discorso e conclude il brano dicendo che si potrebbe indicare
la costruzione della parabola e dell’iperbole, curve delle cui proprietà parla Vitellione (Witelo) nella sua prospettiva. Ma non lo fa
perché si tratta di figure non in uso presso i “pratici naturali”.
Più tardi in questa Quinta parte, al cap. 1° del libro III, parla
di alcuni dei quesiti da lui rivolti a Cardano che riguardano appunto
problemi sulle coniche e precisamente la costruzione di tangenti
all’iperbole e all’ellisse, con condizioni date. Qui ancora le dimostrazioni si riferiscono a proposizioni di Apollonio, non tutte indicate con precisione. L’impressione che resta nel lettore è che si
tratti di una parte esposta in modo troppo succinto, a cui l’autore
non ha potuto dare un assetto definitivo. Converrà ricordare che
questa Quinta parte fu pubblicata dopo la morte di Tartaglia.
6. LA STEREOMETRIA TRA GLI ULTIMI LIBRI DI EUCLIDE
E I PROBLEMI “AVANZATI”
Questo tema attraversa tutta la parte geometrica del General
Trattato. Già nella Terza parte Tartaglia dà le definizioni principali
relative ai solidi che poi completa nella Quarta parte. Ivi egli dedica
alla stereometria l’intero libro II, che consta di 6 capitoli.
Nel suo sforzo di render la nozioni accessibili alla persone di
media cultura, con interessi prevalentemente pratici, egli utilizza
una nomenclatura semplice. Ad esempio, per i poliedri regolari
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 151
parla sempre di solidi 4-base, 6-base (cubo), 8-base, 12-base e 20base, rinunciando alla terminologia greca usata da Luca Pacioli e
da lui stesso nelle versione degli Elementi.
La trattazione è molto ampia e dettagliata, includendo anche
le piramidi “scavezze”, ossia tronche. dove dimostra la regola per
calcolare il volume (vedi la considerazione citata nel nostro paragrafo di introduzione). Egli parla continuamente di “questioni speculative”, ma poi afferma che “per quanto riguarda il generale il
nostro intento è di trattare solamente quello che spetta alla pratica”
(Parte Quarta, Libro II, cap. IV, c. 13v) rinunciando a dimostrare
le proposizioni euclidee che cita a supporto delle sue affermazioni.
L’esposizione continua con i poliedri regolari: Tartaglia si ferma
particolarmente sugli ultimi tre (ottaedro, icosaedro e dodecaedro)
concludendo con una tabella che dà le proporzioni del diametro
della sfera che circoscrive i solidi regolari al loro lato.
Nella Quinta parte ancora troviamo dedicato alla stereometria
l’intero libro II, di ben 8 capitoli. Come abbiamo detto, qui l’attenzione è essenzialmente rivolta ai “problemi”. Tartaglia quindi espone il modo di risolvere i problemi contenuti negli ultimi libri degli
Elementi: XI, XII, XIII e XV. Ricordiamo infatti che ancora non
c’è la consapevolezza che i libri XIV e XV sono aggiunte posteriori
agli Elementi.
A proposito dei problemi del libro XV va rilevato che Tartaglia
si diffonde con larghezza sulle inscrizioni da lui trovate, peraltro
già indicate nella sua edizione dell’Euclide.
Finalmente, Tartaglia passa ai problemi “non posti da Euclide” iniziando dalla duplicazione del cubo, per cui ripropone la sua
costruzione solida (cioè il metodo di Erone) riconoscendo che è “a
tastoni”, ma procedendo poi nelle trasformazioni geometriche di un
solido in un altro, utilizzando la teoria delle proporzioni e, nel caso
di corpi rotondi, servendosi del valore “propinquo” di Archimede
per p. In questo modo egli sviluppa una teoria della moltiplicazione
dei solidi, dell’addizione e sottrazione di solidi e della “trasmutazione” di un solido in un altro. Anche questa teoria riguarda in verità problemi di carattere pratico sui solidi.
152
Antonio Carlo Garibaldi
7. ALTRI PROBLEMI DI GEOMETRIA PIANA,
IN PARTICOLARE RELATIVI ALLA CELEBRE DISFIDA
DEL 1547 CON GEROLAMO CARDANO
E LUDOVICO FERRARI – CONCLUSIONE
Merita almeno un cenno il problema della divisione delle figure piane, cui Tartaglia dedica una trattazione, piuttosto prolissa,
nei capitoli da 12 a 20 del primo libro della Quinta parte. Si tratta
di questioni che non figurano negli Elementi ma che vengono facilmente a risolversi applicando la dottrina esposta da Euclide. Ci
si può chiedere perché l’autore si diffonda così a lungo in questi
“esercizi”. Probabilmente abbiamo qui, non esplicitato, un esempio
dell’idea portata avanti da Tartaglia, che cioè le questioni pratiche
abbiano bisogno di una opportuna teoria per essere risolte correttamente. Infatti qui il pensiero corre inevitabilmente alla divisione
dei terreni, per esempio in parti eguali.
Un’altra questione, questa volta di livello teorico più avanzato,
è sviluppata in corrispondenza a uno dei quesiti di Cardano: dimostrare che il circolo sia capacissimo tra tutte le figure di egual ambito (figure isoperimetre).
Il primo capo del terzo (e ultimo) libro della Quinta parte è
interamente dedicato a una questione che sarà poi ripresa da altri
(tra cui Giovan Battista Benedetti), di cui Tartaglia vanta l’invenzione, in termini assai retorici: Aristotele, nel prologo della “Metafisica”, dice esser “conveniente in qualsiasi arte trovar qualcosa
de admiratione non solamente per alcuna utilità delle cose trovate
ma per mostrarsi intelligenti e differenti dagli altri. Per questo mi
misi un giorno, per non star ozioso, a cercar se si poteva risolvere
con apertura di compasso proposta dal adversario la proposizione
26° del libro VI di Euclide e trovai il modo…”.
Avendo proseguito in questa problematica con successo, egli
espone in questo capo una teoria assai completa, anche per spiegare
alcuni dei quesiti che egli propose al Cardano nella disputa (il secondo quesito riguarda proprio la proposizione VI, 26). Troviamo
allora una lunga trattazione dei problemi euclidei da questo punto
L’insegnamento della geometria nel “General Trattato” 153
di vista, sempre con cenni polemici nei confronti di Cardano; per
ogni proposizione si trova un commento: non intesa, ignorata, non
tocca, tentata ma non risolta… Quando il problema formava l’oggetto di un quesito, Tartaglia sostiene che “resta non risolto”. Sarebbe interessante esaminare in dettaglio la successione dei problemi, che non segue l’ordine in cui li presenta Euclide, per chiarire
le idee sottostanti nel loro sviluppo. Dopo i problemi dei primi 6
libri, Tartaglia passa a problemi del libro X in cui sembra compiacersi. Peraltro, a proposito di tali questioni, è interessante vedere
le risposte del Ferrari nei Cartelli, dove tra l’altro si contesta che
l’invenzione di questo genere di problemi sia effettivamente dovuta
a Tartaglia.
Il secondo capitolo di questo ultimo libro vede Tartaglia sulla
difensiva di fronte ai quesiti di Cardano, giustificando alcune mancate risposte nei Cartelli per motivi di tempo o di difficoltà nell’intagliar le figure. Di alcune questioni piuttosto rilevanti abbiamo già
parlato. Dobbiamo anche notare che le ultime pagine non sembrano
chiare: ci sono cose promesse che mancano ecc. Siamo dunque al
punto in cui l’autore non era riuscito a dare agli appunti che aveva
stilato l’ultima mano. Del resto, come abbiamo già ricordato, la
Quarta e la Quinta parte del General Trattato vennero stampate dopo la morte dell’autore.
Comunque, per tutta la discussione relativa ai Cartelli, è fondamentale l’edizione degli stessi “Cartelli” fatta nel 1974 dal compianto Arnaldo Masotti. Nelle note all’introduzione figura (oltre a
una ricca bibliografia) un ampio confronto tra le soluzioni dei quesiti
stampate nei “Cartelli” e quelle presentate nel General Trattato.
Nella Storia del pensiero matematico di M. Kline (trad. it.
1991, vol. I, pag. 269) troviamo un elogio di Tartaglia “geniale autodidatta della scienza nel suo tempo” e “punto di passaggio dal
matematico pratico al matematico colto”, significativamente posto
dopo un profilo molto critico del Cardano.
Questo elogio, che condividiamo, ribadisce infatti le principali
caratteristiche della parte geometrica del General Trattato che abbiamo cercato di mettere in luce.
ENRICO GIUSTI*
L’INSEGNAMENTO DELL’ALGEBRA
NEL “GENERAL TRATTATO” DI N. TARTAGLIA
... al presente io son occupato nella traduttione di Euclide, in volgare
(& per fin à quest’hora l’ho tradutto per fin al suo 13 libro) à molti
altri capitoli haveria gia trovato regola generale, ma spedito che habbia
questa mia fatica di Euclide gia principiata, ho designato di componere un’opera di pratica, & insieme con quella, una nuova Algebra,
nella quale non solamente ho deliberato di publicare a ogni huomo
tutte le dette mie inventioni de capitoli nuovi, ma molti altri, che spero
di ritrovare, & anchora voglio mostrare la regola di poterne investigarne infiniti altri qual spero, che la sara una cosa utile, & bella, &
questa è la causa, che me gli fa negar a ogniuno, perche io al presente
non vi pongo alcuna cura sopra di loro (per esser, come detto, occupato
sopra Euclide) & insignandoli ad alcuno speculativo (come che è vostra eccellentia) facilmente potria con tal evidentia trovar altri capitoli
(per esser facile lo aggiongere alle cose trovate) & publicarli, come
inventore, il che facendo mi guastaria ogni mio dissegno1.
Così Tartaglia il 25 marzo 1539 rispondeva a Gerolamo Cardano
che gli aveva chiesto ancora una volta la formula risolutiva del ca* Dipartimento di Matematica, Università di Firenze. Lavoro eseguito nell’ambito del progetto “Storia delle Matematiche” del Ministero dell’Università e
della Ricerca.
1 Quesiti e inventioni diverse, Venezia, Ruffinelli, 1546. Cito dall’edizione
di Venezia, Bascarini, 1554; c. 120r. Si noti la somiglianza tra quanto scrive a
Cardano (“per esser facile lo aggiongere alle cose trovate”) e l’epigrafe “Le inventioni sono difficili ma lo aggiungervi è facile” che Tartaglia mette sotto il suo
ritratto posto nel frontespizio dell’opera.
Enrico Giusti
156
pitolo “di cosa, e cubo equal à numero”, annunciandogli tra l’altro
l’imminente composizione di una “nuova Algebra”. La stessa cosa,
circa due anni più tardi, scriveva a Richard Wentworth che lo sollecitava a comunicargli il “capitolo de censo, e cubo equal à numero”:
... ho deliberato, subito che habbia ispedito di tradur Euclide, & di
correggere le figure, & altri errori fatti da scrittori & traduttori sopra
Archimede Siracusano, di componere una opera in la pratica di Arithmetica, et Geometria, et insieme con quella una nova Algebra,
nella quale non solamente voglio ponere tutte le regole per me ritrovate sopra li detti capitoli con tutte le sue ragioni, & fondamenti,
ma molte altre, che spero per loro evidentie de ritrovare... E per
tanto mostrandovi al presente, quello che nella detta opera offerirve
intendo, saria un degradare la reputatione della detta opera appresso di voi, e per questa causa voglio che per al presente me habbiate
per iscuso2.
Queste risposte, che Tartaglia riporta nel nono libro dei Quesiti,
delineano un programma di ricerca e un progetto editoriale a lunga
scadenza: la traduzione degli Elementi di Euclide, che sarebbe stata
pubblicata nel 15433, doveva essere seguita da un’opera di pratica e
contemporaneamente una nuova Algebra, che a differenza delle algebre precedenti avrebbe avuto il suo culmine nella discussione dei vari
capitoli appartenenti all’equazione di terzo grado. Nel 1541 tra queste
due opere si inserisce quella revisione e correzione degli errori dei
traduttori di Archimede, che probabilmente Tartaglia cominciò subito
dopo e che vide la luce a poca distanza dall’Euclide, con un titolo che
riprendeva quasi alla lettera quanto aveva scritto a Wentworth:
Opera Archimedis Syracusani philosophi et mathematici ingeniosissimi... multis erroris emendata, expurgata ac in luce posita, multisque
necessariis additis, quae plurimis locis intellectu difficillima erant,
2
Ivi, c. 126v.
Euclide megarense philosopho, solo introduttore delle scientie mathematice:
diligentemente reassettato, et alla integrità ridotto per il degno Professore di tale
scientia Nicolo Tartalea, Brisciano. Venezia, Ruffinelli, 1543.
3
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
157
commentariolis sane luculentis & eruditissimis aperta, explicata atque illustrata existunt, Appositisque manu propria figuris quae in
graeco exemplari deformatae, ac depravatae erant4.
In ambedue i casi, il programma proseguiva con “una opera
in la pratica di Arithmetica, et Geometria, et insieme con quella
una nova Algebra”, che certamente si riferiva e prefigurava il General Trattato.
A pochi anni di distanza dalla sua enunciazione, questo programma veniva totalmente sconvolto. A dispetto dei suoi dinieghi
infatti, Tartaglia aveva finito per comunicare a Cardano l’algoritmo
risolutivo dell’equazione di terzo grado, o meglio dei capitoli di cubo e cose uguale a numero, di cubo uguale a cose e numero e di
cubo e numero uguale a cose, cioè di tutte le equazioni di terzo
grado prive del termine quadratico.
Questo, come si è detto, avveniva nel 1539. Nel 1542 Cardano,
che sulla strada di Firenze si era fermato a Bologna, vede in casa
di Annibale della Nave un libretto di Scipione del Ferro, suocero
di Annibale, contenente la soluzione dell’equazione cubica. La storia ci è narrata da Ludovico Ferrari:
Anno ab hinc quinto, cum Cardanus Florentiam profisceretur, egoque
ei comes essem, Bononiae Annibalem de Nave virum ingeniosum,
et humanum visimus, qui nobis ostendit libellum manu Scipioni Ferrei soceri sui iam diu conscriptum, in quo istud inventum, eleganter
et docte explicatum, tradebatur. Quod non adscriberem, ne viderer
more tuo ea, quae mecum facerent, confingere, nisi Annibal ipse
adhuc viveret, et posset in hac controversia testis adhibere5.
4
Venezia, Ruffinelli, 1543.
Secondo cartello, Milano 1547, c. Aiir: “Cinque anni fa, mentre accompagnavo Cardano a Firenze, vedemmo a Bologna Annibale della Nave, uomo di
ingegno e di grande umanità, il quale ci mostrò un libretto di mano del suocero
Scipione del Ferro, scritto molto tempo prima, nel quale con stile elegante e
dotto veniva trattata questa scoperta. Questo non lo scriverei, per non dar adito
al sospetto che io mi inventi, come fai tu, quello che è successo, se Annibale
non fosse ancora vivo e quindi possa testimoniare su questo punto”.
5
Enrico Giusti
158
Come che sia, Cardano si ritiene sciolto dal giuramento di segretezza e pubblica la soluzione dell’equazione di terzo grado nella
sua Ars magna6. Il seguito della storia è largamente noto: la pubblicazione dei Quesiti con la narrazione delle ripetute richieste di
Cardano; la comunicazione dell’algoritmo risolutivo da parte di Tartaglia; il progressivo insospettirsi di questi e la sempre maggior reticenza a rispondere, e infine lo scoppio della disputa con lo scambio di sei cartelli di sfida, ognuno con la sua risposta, tra Tartaglia
e Ludovico Ferrari, che nel frattempo, proprio servendosi della formula risolutiva dell’equazione cubica, aveva scoperto l’algoritmo
risolutivo dell’equazione di quarto grado. Vicende queste che tengono occupato il Nostro fino a tutto il 1547, impedendogli di avanzare nella stesura di quel trattato di aritmetica e geometria pratica,
e soprattutto la nuova Algebra, che era in cantiere già otto anni
prima. Nella dedica a Richard Wentworth della prima parte del General Trattato, stampata nel 1556, Tartaglia riassume le vicende
che hanno ritardato il compimento dell’opera:
Onde considerando un giorno, honorando signor compare, che havendo io a comun beneficio (come sapeti) tradutto, & delucidato
nella nostra lingua Italiana la speculativa dottrina Geometrica, &
Arithmetica di Euclide Megarense, che in tale facultà ottiene il
principato, giudicai tal mia fatica esser di poche laudi degna, sa
appresso a quello non mostrasse la pratica di saper operare, & attualmente essequire, & essemplificar qual si voglia propositione il
tali due scientie, over discipline da esso Euclide adutta. E per tanto
deliberai nella mente mia di componere a comun beneficio un general trattato di numeri, & misure, si secondo la consideration naturale, come Mathematica, & non solamente nella pratica di Arithmetica, & di Geometria, & delle proportioni, & proportionalità,
si irrationali, come rationali. Ma anchor nella pratica speculativa
dell’arte Magna detta in Arabo Algebra, & Almucabala, over regola
della cosa, & così fatta tal deliberatione, subito cominciai a darvi
6
1545.
Artis magnae, sive de regulis algebraicis, liber unus. Norimberga, Petreius,
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
159
principio, ma credo che in cattiva hora lo incominciasse, perché
circa duoi strani accidenti l’uno dietro all’altro, talmente interrotto,
& disturbato, che sono stato circa otto anni, che a tal materia giamai
ha posto cura, delli quali duoi accidenti, il più piaceuole fu di quelli
nostri amici di Milano, che m’intertenirno circa un anno a componer
cartelli. Il secondo poi, qual mi fu più strano, & dannoso assai, fu
di quelli nostri amici di Brescia, delli quali (se ben vi aricordati)
sopra la mia travagliata inventione, in parte ve ne ragionai. Et questo
secondo non solamente mi disturbò, ma mi tolse completamente giù
da tal proposito, cioè di proseguire così longa impresa7.
La storia della vicenda bresciana occupa il terzo dei Ragionamenti sopra la travagliata inventione8, che porta a epigrafe un’altra delle travagliate rime del Nostro:
Un gobb, un zott, un gross, e un dritt, e longo
Si me gettorno a fondo
Con sua corrotta fe, obliqua, e storta.
Et quel chi segue April gli fe la scorta.
Ancora una volta, l’interlocutore di Tartaglia è Richard
Wentworth, che gli chiede per quale ragione abbia chiamato “travagliata” la sua invenzione.
NIC. Ve dirò misser compare io vi ho posta tal cognome, perché
quando che ritrovai il principal sogetto di quella, io era nelli
maggior travagli, che mai mi trovasse in tutto il tempo de mia
vita.
RIC. A, a, so, so per quella vostra disputa con cartelli, che havevate
col Cardano a Milano per havervi stampato il vostro capitolo
de cosa, e cubo egual a numero.
7
La prima parte del General Trattato di numeri et misure, Venezia, Curzio
Troiano, 1556; c. *ijv. In seguito, il General Trattato verrà indicato con GT, seguito
da un numero che ne denota la parte. Si noti l’evidente riferimento alla Summa
del Pacioli, dalla quale l’opera progettata doveva distinguersi soprattutto per
l’aggiunta dell’Algebra.
8 Venezia, Bascarini, 1551.
Enrico Giusti
160
NIC. Apunto quella disputa non mi fu de travaglij, anci di appiacer
grandissimo.
RIC. Mo in che altri trovagli ve ritrovavate.
NIC. Ve dirò me ritrovava in Bressa, più che forestero, perché in
quella non vi conosceva quasi persona alcuna, per esser stato
circa 32 anni continuamente absentato da quella, & era in lite
grandissima (et con chi) con certi maestri del litigare, li quali
con sua corrotta fede, et arabeschi tratti me havevano ruinato
del mondo, & se non fusse stato la mia povera virtù qual haveva per mio apoggio, che continuamente mi confortava, io
era sforzato proceder con loro da disperato, perché quello, che
in molt’anni mi haveva avanzato, me lo fecero scapitare, &
spender in 18 mesi.
Ed ecco quanto si ricava dal racconto9. Nel gennaio 1548 il
Tartaglia, all’epoca lettore a Venezia, venne invitato a recarsi a Brescia da Giacomo Aleni, un gentiluomo col quale aveva fatto conoscenza tramite un comune amico, Marcantonio Valgolio. Anche a
nome di altri bresciani, tra i quali Giacomo Chizzola e Teseo Lana10,
l’Aleni gli propose di trasferirsi a Brescia per leggervi Euclide. Il
Nostro colse al volo questa opportunità e approfittando delle feste
di Carnevale si recò a Brescia per contrattare le condizioni del suo
trasferimento. Qui gli venne offerto uno stipendio annuo di 200
scudi d’oro per una lezione pubblica al giorno sugli Elementi di
Euclide, da replicarsi la sera in privato. Forte di questa promessa,
Tartaglia abbandonò Venezia per trasferirsi a Brescia, dove cominciò a leggere nel marzo 1548 con gran concorso di pubblico. Ben
9
Per un resoconto più dettagliato si veda G.B. GABRIELI, Nicolò Tartaglia.
Invenzioni, disfide e sfortune, Siena, Centro studi della matematica medievale
1986, o ancor meglio i Ragionamenti, cit. da cui il Gabrieli trae tutte le sue
informazioni.
10 Di questi personaggi ho trovato ben poche notizie. Giacomo Chizzola fu
seguace di san Gerolamo Emiliani e fondò nel 1548 l’Accademia di agronomia
di Rezzato. Un Marcantonio Valgolio (non sappiamo se il Nostro o un omonimo)
fu inquisito dal Santo Uffizio per le sue simpatie erasmiane.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
161
presto però dovette accorgersi che i suoi interlocutori non avevano
la minima intenzione di onorare gli impegni assunti, al punto che
fu costretto a rivolgersi al Podestà di Brescia perché gli venisse
corrisposto quanto pattuito. Il processo che ne seguì – e che si svolse davanti al Vicario perché l’Aleni, avvalendosi di suoi privilegi,
si rifiutò di farsi giudicare dal podestà – segnò la vittoria dell’Aleni,
che venne assolto. In conclusione:
...quando mi credeva di scodere il stipendio, che mi havevano fatto
promettere quelli dottori, & nobili bresciani, per la lettura publica,
mi mandavano da Rodes a Pilato, talmente, che fui astretto a venir
in lite con colui, che mi havea promesso per sua commissione,
con intention però di spedirmene in termi ne di giorni 15, ma per
essere tutti maestri vecchi del litigare, mi tennero in lite circa otto
mesi, & finalmente assolsero, quel suo agente, che mi fece la promessa per suo nome, ... tal che fra il danno, interesso, & spesa
per levarmi da Venetia con tutta la famiglia per andar a Brescia,
& la perdita di quasi tutto il stipendio di un’anno, & mezzo (che
leggeti publico) & le spese della lite, & quel le fatte per ritornar
a Venetia, oltre che moltre altre strane disgratie, che mi sopragiunse la fortuna del ritornar da Brescia a Venetia, per causa di
uno sospetto di peste, che era accaduto a Brescia, mi fecero cascar
le penne maestre 11.
Ma al di là delle vicende contingenti, è proprio il progetto di
una nuova algebra che viene svalutato dalla pubblicazione dell’Ars
magna; l’algebra che Tartaglia divisava di comporre è ormai resa
obsoleta dalla pubblicazione cardaniana. In una delle sue risposte
a Cardano, Tartaglia aveva respinto l’offerta di quest’ultimo
di voler dar fuora tai mie inventioni sotto mio nome, & farmene inventore. La qual cosa in effetto non mi piace in conto alcuno, perché
tale mie inventioni le voglio publicare in opere mie, et non in opere
di altra persona12.
11
12
GT2, c. 41v.
Quesiti, cit., c. 120r.
Enrico Giusti
162
Ma una volta che quello che Tartaglia temeva era ormai accaduto, come avrebbe potuto scrivere una nuova algebra? e quali sarebbero stati i suoi caratteri di novità, stretta come risultava tra l’attribuzione della scoperta a Scipione del Ferro e la pubblicazione di
Cardano? Si capisce dunque che l’entusiasmo di Tartaglia nei confronti del suo primitivo progetto dovesse in qualche modo declinare.
La prima e la seconda parte del General Trattato uscirono nel
1556. L’anno dopo, il 13 dicembre, Tartaglia moriva senza aver potuto terminare l’opera, che tre anni dopo veniva pubblicata postuma
da Curzio Troiano. Di più, la sesta parte, quella appunto che doveva
contenere l’algebra, non solo non era ancora terminata, ma si trovava
per molti versi in uno stato preliminare, sotto forma di note o abbozzi,
come lo stampatore ci dice nella dedica a Girolamo Martinengo:
...essendo per compire l’ultima parte, nella quale amplissimamente
si trattava dell’Algebra, parte speculativissima & d’infinita inventione della Matematica, fù con infinito danno di tutti quei, che
delle buone lettere si dilettano dalla morte rapito; ma di tanto ella
ci fù pietosa, & la fortuna favorevole, che non cel t olse prima,
ch’egli havesse in diversi fragmenti, & in molti memoriali scritta,
tutta intorno a tal parte l’intentione sua, tanto, che non li restava
a far altro se non quello, che egli haveva in molte carte scritto, &
con ragionamento interrotto, raccogliere in un volume, & con continuato discorso, fatica ch’ogni mediocre intendente delle Matematiche, poteva condurla a fine. Là onde havendo io gia stampate
tutti l’altri suoi volumi, & conoscendo l’utile, che questa parte può
apportare al mondo, mi pareva essermi trasmutato nella crudeltà,
se non faceva ancora stampare tal parte; onde fattola a un dotto
Matematico mettere in continuato discorso, l’ho fatta finalmente
stampare13.
Chi sia il dotto matematico che ha steso materialmente il trattato non mi è dato di sapere; se però si deve prestar fede alla lettera
delle parole del Curzio, questi non ha fatto che porre in forma di13
GT6, c. n. n. 2v-3r.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
163
stesa quanto Tartaglia aveva già completato, senza scelte né omissioni. Se poi l’assenza della parte moderna dell’algebra, cioè principalmente della teoria delle equazioni di terzo grado, sia stata una
scelta deliberata di Tartaglia o solo l’effetto della sopravvenuta morte, è questione allo stato delle conoscenze difficile da dirimere.
Certo è che ancora nella quinta parte troviamo una menzione della
“nuova Algebra”14.
Ma veniamo al contenuto del Trattato, che come si è detto ha
a che fare solo con la soluzione delle equazioni di secondo grado
e con i problemi che a esse si riconducono. Si tratta di una struttura
tradizionale, che risale fino alle origini dell’algebra e al trattato di
al-Kwarizmı, senza apportarvi novità teoriche di rilievo. Semmai
c’è da rilevare una certa eleganza nelle soluzioni dei problemi, dove
a volte un’opportuna scelta dell’incognita consente di evitare calcoli
lunghi e tediosi.
L’indice riporta una divisione in tre parti:
1. La regola di Algebra, ove si contengono tutti i capitoli;
2. Documenti utilissimi & necessarii;
3. Quesiti risolti per l’Algebra.
La prima parte, che occupa le prime 10 carte, si può dividere
a sua volta in due sezioni: la prima dedicata all’introduzione dell’incognita (la cosa), delle sue potenze, della formazione di poli-
14
GT5, c. 88v: “Fatime di 8 due tai parti, che il produtto dell’una nell’altra
multiplicato nella loro differentia faccia più che possibel sia.... La causa di questa
operazione si narrara nella nostra nova Algebra, per esser dependente da quella”.
Si tratta del diciassettesimo quesito del terzo cartello di Ferrari, al quale Tartaglia
risponde: “Ve rispondo che la maggior parte fu 4 più ℞ 5 13 & la menore fu 4
men ℞ 5 13 , el produtto è, qual multiplicato nella differentia che è ℞ 21 31 fa ℞
2423 13, & questa è di frutti della nostra pianta con li quali pensavati di farmi
guerra, ma vi è fallato il pensiero”. Nella sesta parte non c’è traccia di questo
né di problemi simili.
164
Enrico Giusti
nomi (in particolare binomi e trinomi) e delle operazioni con questi. La seconda tratta dei sei capitoli (tre semplici e tre composti)
dell’algebra, con le loro dimostrazioni e con alcuni esempi che
ne illustrano i relativi algoritmi risolutivi. La trattazione, come
si è detto, non si discosta dai canoni classici, cosicché invece di
dilungarci in una descrizione delle tecniche preferiremo riportare
l’indice, fermandoci di quando in quando a fare qualche osservazione.
Cap. I: Della qualità & proprietà de la regola di Algebra.
1. Della numeratione, over denominatione, over represenntatione delle diverse spetie de quantità, considerati in Algebra,
quale chiamamo dignità.
2. Che cosa siano, over se intendano le dette dignità in Algebra.
3. Del sumar le dette dignità.
4. Del sottrar un numero di una dignità del numero di unaltra.
5. Del multiplicare delle predette dignità l’una fia l’altra.
6. Del partire delle dignità maggiori per le minori.
7. Del partire delle dignità menori per le maggiori.
8. Del modo di saper cavar, over representare la ℞ a ogni numero
de dignità secondo la specie.
9. Del sumar, sottrar, multiplicar, & partir de binomi & residui,
over recisi di dignità Algebratice.
10. Del summar de binomi, & residui di dignità Algebratice.
11. Del sottrar de binomi & trinomi, & residui di dignità Algebratice.
12. Del multiplicare de binomi & trinomi, & residui di dignità
Algebratice.
13. Del partir de binomi, over residui per binomi, over residui de
dignità Algebratice, & ancora per numero simplice.
Cap. II: Delli numeri, & dignità che sono necessarii nella computatione, della antica & commune Algebra.
1. Qual sia il principal fondamento della regola di Algebra.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
165
2. La regola del primo capitolo simplice.
3. Essempio operativo al detto primo capitolo simplice.
4. Regola del secondo capitolo simplice.
5. Essempio operativo al secondo capitolo simplice.
6. Un altro essempio al secondo capitolo simplice.
7. La regola del terzo capitolo simplice.
8. Essempio operativo al detto terzo capitolo simplice.
9. Communi sententie da notare per le equationi composite, &
altre.
10. Regola del primo capitolo composito.
11. Essempio operativo al detto primo capitolo composito.
12. Regola del secondo capitolo composito.
13. Essempio operativo al detto secondo capitolo composito.
14. Regola del terzo capitolo composito.
15. Essempio operativo al detto terzo capitolo composito.
16. La demostratione geometrica adutta sopra le regole di tre capitoli compositi.
17. Quando il censo & cose, sono eguali al numero.
18. Seconda dimostratione, cioè quando le cose e numeri sono
eguali al censo.
19. Terza dimostratione; cioè quando le cose sono eguali al censo & numero.
20. De censi di censi eguali a numero.
21. Essempio operativo al detto capitolo de ce. ce. eguali a numero.
22. De censi di censi & censi, eguali a numero.
23. Essempio operativo al detto capitolo de ce. ce. & ce. eguali a
numero.
24. De censi & numero, eguali a censi de censi.
25. Essempio operativo al detto capitolo de ce. & numero eguali
a ce. ce.
Enrico Giusti
166
26. De censi di censi & numero, eguali a censi.
27. Essempio operativo al detto capitolo de ce. ce. & numero,
eguali a ce.
Documenti utilissimi & necessarii.
1.
Della positione de gli casi over quesiti.
2.
Del levare gli superflui, & ristorare li diminuti delle equationi.
3.
Del levare le radici de gli estremi delle equationi.
4.
Dello investigare se delli estremi delle equationi, si possono
pigliare le loro radici.
5.
Del levare gli rotti delle equationi.
6.
Del degradare over schisare delle equationi.
7.
Della osservantia de alcuni capitoli irregolari.
I primi sei paragrafi della prima parte introducono le operazioni aritmetiche con le potenze. Tartaglia considera potenze successive fino al nono relato (cioè fino all’esponente 29), formando
una tavola in cui a ogni denominazione di potenza è associato il
segno (cioè l’esponente) corrispondente, a cominciare da 0 per il
numero15. Vi troviamo anche un barlume di algebra delle potenze,
quando dice che:
... bisogna haver in memoria i segni di dette dignità, & anchora le
specie della dignità corrispondente a ciascun numero, cioè se la
summa del segno delli cubi (qual’è 3) con il segno delli ce. cu
(qual’è 6) fa 9, non havendo in memoria che’l detto 9 è il segno di
cubi de cubi, non sapressimo che a multiplicar cubi fia censi cubi,
facesse cubi de cubi, e però bisogna in ciò advertire16.
15
In ciò si differenzia da Pacioli (Summa de Arithmetica Geometria Proportioni & Proportionalità, Venezia, Paganini, 1494), che aveva dato la stessa
tavola assegnando al numero l’indice 1 (℞ prima; c.67v) con conseguente sfasamento di una unità nell’esponente dei prodotti (℞ 2a via ℞ 4a fa ℞ 5a; c. 143v).
16 GT6, c. 2r.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
167
La stessa cosa è ribadita per le divisioni delle potenze al
paragrafo 7:
Anchora per satisfarti in tutto te voglio dar una regola per la quale
da te medesimo potrai saper la specie delle dignità, che ti doveran
venire nelli advenimenti in ogni partitione di queste dignità, la qual
regola è il converso di quella, che ti dei nella 11a sopra del multiplicare di queste dignità, cioè alla dignità, che si ha da partire, bisogna segnarla del suo numero ordinario detto sopra la detta 11a di
questo, & similmente segnar anchora il partitore.... E però sottrando
il segno del partitore (essendo menore) & il restante sarà il segno
del advenimento di tal partire. Essempi gratia volendo partire primi
relati per censi, per trovar la dignità del advenimento, cava il segno
di censi (che è 2) dal segno di primi relati (che è 5) restarà 3 &
perché 3 è il segno di cubi, diremo che a partire primi relati per
censi ne vien cubi17.
Il metodo si arresta quando la potenza del divisore è maggiore
di quella del dividendo:
Ma quando che per sorte tu non potesti cavare il segno del numero
ordinario delle dignità del partitore, dal segno del numero ordinario
delle dignità che haverai da partire saria segno evidente, che le dignità del partitore sariano maggiore delle dignità, che haverai da
partire, e però tal partimento (come di sopra è stato detto) non si
potria far realmente secondo le precedenti, anci in tal caso bisogna
rispondere in forma di rotto18.
La divisione di una potenza minore per una maggiore è analoga
a quella di un numero minore per uno maggiore; in ambedue i casi
il risultato è una frazione. Con una differenza; che mentre la divisione di 4 per 6 dà la frazione 23, la divisione di 4 ce. per 6 cu. dà
4 ce.
6 cu.; Tartaglia non solo non semplifica i censi al numeratore con i
cubi al denominatore, ma nemmeno riduce la frazione 64 a 32.
17
18
GT6, c. 3v.
Ibidem.
Enrico Giusti
168
Una cosa simile avviene nell’estrazione di radice. Tartaglia sa
benissimo che estraendo la radice dei censi vengono cose, come
anche danno cose la radice cubica dei cubi e la radice quarta dei
censi di censi; egli però opera questa semplificazione solo quando
i coefficienti hanno radici razionali, mentre lascia inalterate le radici irrazionali. Così la radice di 4 censi è 2 cose, ma la radice di
3 censi è ℞ (3 ce.):
Bisogna sapere quando che il numero di censi sarà quadrato tai
censi haveranno radice discreta, la qual radice sarà cose.... Ma
quando che il numero di censi non sarà quadrato, tai censi non haveranno ℞ discreta, ma sorda. Essempi gratia la ℞ de 3 ce. non si
può cavare, ma se representarà in questa forma: ℞ 3 ce.
Di conseguenza, quando in un’equazione appaiono radici di
questo tipo, occorrerà eliminarle preliminarmente isolandole a un
membro ed elevando al quadrato:
... poneremo caso, che havessimo 5 ce. più 8 più ℞ 20 cen., eguali
a 100 .... Or discompagna, over lieva da esta radice, le quantità che
sono in sua compagnia, cioè 5 ce. più 8, levandole però ancora medemamente dall’altro estrema, cioè da gli 100, & resterà detta ℞
20 ce. eguali a 92 men 5 ce. Hor multiplicaremo etti residuali estremi in sé medesimi, & haveremo poi 20 ce. eguali a 8464 più 25
ce. ce. men 920 ce....19.
Inutile dire che in questo modo il grado dell’equazione risultante
aumenta, e può condurre a volte “alla impossibilità di trare in luce
esse equatione, perché non havemo capitolo di regolare tante diverse
quantità”; mentre l’accettazione di coefficienti irrazionali avrebbe
consentito di risolvere il problema. Ad esempio20, per eliminare le
radici dall’equazione !2x2 2 "3x 5 1 2 x si elevano al quadrato
19
GT6, c. 13r.
Per semplicità, abbiamo modificato leggermente l’esempio di c. 13r, dove
a partire dall’equazione si perviene a un’equazione di ottavo grado.
20
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
169
ambo i membri e si ottiene 2x2 1 3x 2 !24x3 5 1 1 x2 2 2x. Isolando la radice ed elevando di nuovo al quadrato, si giunge all’equazione x4 2 14x3 1 23x2 2 10x 1 1 5 0, che non rientra tra quelle
che si possono risolvere21. È evidente che se si accettano coefficienti
irrazionali, l’equazione diventa x!2 2 !3x 5 1 2 x, che isolando
la radice ed elevando al quadrato conduce all’equazione di secondo
grado (3 1 2!2)x2 2 (5 1 2!2)x 1 1 5 0. Gli unici radicali
che vengono accettati sono quelli contenuti nel termine noto dell’equazione; in questo caso si procede senza eliminare preventivamente questi ultimi elevando al quadrato:
Ancora poneremo caso, che si havessero 10 cen. più 20 co. eguali
a 200 più ℞ 800. Dico che similmente questa ci conviene trarla in
luce, senza levar detta radice, per che chi la volesse levare ci arrecherebbe maggior intrico alle spalle. Adunque bisognando trarla
in luce senza levare detta radice, bisogna adoperare la regola del
capitolo de censi & cose eguali a numero, per che ancora che vi
siano dette ℞ per essere quelle accompagnate con il numero, & ancora per essere radice di puro numero, per quanto espetta a l’ordine
dil detto capitolo, quelle se hanno da intendere unitamente con
detto numero, come se fossero puro numero, anchora che nel maneggiarle bisogni però maneggiarle come radice22.
Come abbiamo osservato, non pare che Tartaglia conosca la
soluzione delle equazioni di quarto grado, al di là delle equazioni
biquadratiche. Quanto meno, egli evita sistematicamente anche di
accennare a equazioni di grado superiore al secondo23. Il solo accenno è sostanzialmente negativo: “sin’hora non si ha regola del
capitolo de ce.ce., cu. e ce., eguali a numero” (c. 13v). Per queste
21
Non pare che Tartaglia conosca la soluzione delle equazioni di quarto
grado, quanto meno di quelle complete.
22
GT6, c. 13v.
23
Ribadiamo comunque quanto abbiamo detto sopra: non sappiamo se questa limitazione sia voluta o se Tartaglia intendesse proseguire il trattato considerando le equazioni di grado superiore.
Enrico Giusti
170
equazioni, del tipo ax4 1 bx3 1 cx2 5 n, Tartaglia consiglia di esaminare se il primo membro è un quadrato perfetto:
consideraremo che la radice di uno trinomio non può essere altro
che uno binomio, & questo perché a multiplicare el binomio in sé
medesimo gli interviene gli quadrati de ambedue le parti over termini di quelle, & il doppio della superficie dell’una in l’altra di
esse parti over termini, come Euclide afferma nella quarta del secondo, li quali quadrati & doppio di superficie dell’una in l’altra
parte, sempre vengono a esser un trinomio, videlicet quando essi
quadrati non sono comunicanti. Adunque se ditto nostro trinomio
haverà due de gli numeri dinotanti, le dignità algebraice di quello
che sian numeri quadrati, & ancor che esse dignità dinotate per
ditti numeri quadrati habbino radice quadra, perché di altra sorte
non intendiamo per hora, determinaremo che di quello si possi havere la sua radice; ma se non haverà dui numeri quadrati & ancora
le dignità dinotate per essi numeri, radici, non credo che di quello
sia possibile haverne altrimenti ditta sua radice24.
Brevemente, perché sia possibile estrarre la radice del primo
membro – così ci dice Tartaglia – è necessario che a e c, rispettivamente coefficienti di x4 e x2, siano dei quadrati. Che poi il coefficiente b di x3 debba essere uguale a 2!ac, Tartaglia omette di
dirlo, limitandosi a verificare che il suo esempio: 9x4 1 12x3 1 4x2
sia effettivamente il quadrato di 3x2 1 2x. Ancora una volta, la limitazione a coefficienti razionali impedisce di vedere la condizione
generale b 5 2 !ac; le sole radici che sono ammesse nell’equazione sono quelle che compaiono nel termine noto.
Anche se con queste eccezioni, l’algebra di Tartaglia è essenzialmente a coefficienti razionali. Già nel X secolo, Abu Kamil aveva considerato equazioni con coefficienti irrazionali; Tartaglia accetta solo quelli che appaiono nel termine noto, situandosi così nel
filone di pensiero che da al-Kwarizmı attraverso Fibonacci informa
24
GT6, c. 13v-14r.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
171
tutta l’algebra medievale; un prolungamento, come ha osservato
Rashed25, dell’algebra araba del IX-X secolo.
Sempre a Fibonacci (e a Pacioli) rimandano le dimostrazioni
degli algoritmi risolutivi; la sola differenza è che mentre Pacioli riprende letteralmente le dimostrazioni di Fibonacci, utilizzando anche gli stessi numeri, Tartaglia pur rimanendo fedele allo schema
tradizionale varia i dati numerici degli esempi. Non molto, si dirà,
ma non è certo qui che ci si dovranno attendere novità di rilievo.
Semmai qualche originalità di trattazione si può trovare nelle
applicazioni; i cinquantasei “Casi over quesiti posti per meglio instruire et ammaestrare et ancora far pratica cerca l’operare in l’arte
di Algebra” che chiudono l’opera. Anche qui, la materia è quella
comunemente trattata nelle opere d’abaco e di algebra: interessi,
compagnie, baratti, con una parte finale di problemi geometrici.
Colpisce però la complessità dei problemi trattati: raramente, per
non dire mai, si tratta di semplici esercizi per acquisire la necessaria manualità, né di una serie di problemi via via più difficili che
portino il lettore principiante a impratichirsi delle tecniche fino a
padroneggiarle completamente.
Già i primi esempi presuppongono la conoscenza non solo della somma dei primi n numeri interi, ma anche di quella dei cubi
dei primi n interi. Sia l’una che l’altra erano state calcolate nella
seconda parte:
Se tu volesti raccogliere tutte le unità di numeri cubi che sono da 1
fin 14. Fa così. Piglia la mità delli termini,.... viene 7, & questa mità
multiplica in sé farà 49, & poi sopra il numero delli termini aggiongegli sopra uno farà 15, & questo anchora multiplica in sé farà 225.
Poi multiplica 49, quadrato della mità, fia 225, quadrato più 1 di
25
Fibonacci et le prolongement latin des mathématiques arabes, Bollettino
di Storia delle Scienze Matematiche XXIII-2 (2003) 55-73. Si veda anche Fibonacci e la matematica araba, in Federico II e le scienze, Sellerio, Palermo,
1994.
Enrico Giusti
172
termini, faranno 11025 per tutta la summa di detti numeri cubi continuati dalla unità, & così seguita in tutti, & mai non falla26.
Tartaglia non osserva però che la somma dei cubi è uguale al
quadrato della somma degli interi, e questo complica ulteriormente
la soluzione del problema 2:
Poniamo che la circonferentia del circulo equinotiale della sfera terrena sia 29.412 miglia, & che da uno medesimo punto della circonferentia del circulo equinotiale della celeste sfera del firmamento,
in uno medesimo punto, si partano dui punti mobili, & che uno vada
verso oriente il primo giorno, tanto che quel spacio del camino che’l
fa, viene a occupare uno miglio della circonferentia del circulo equinotiale della sfera terrena, il secondo 2, il terzo 3, & così ogni giorno
sempre crescendo uno. L’altro vada verso occidente il primo giorno
tanto che il camino che’l fa, viene a occupare uno miglio della circonferentia del circulo equinotiale della sfera terrena, il secondo 8,
il terzo 27, il quarto 64, & così ogni giorno procedendo ordinatamente, secondo l’ordine de gli numeri cubi. Si dimanda in quanti
giorni questi due punti si congiungeranno in uno medesimo punto27.
Per risolvere il problema, Tartaglia pone che si incontrino
in una cosa (x) di giorni, e calcola il cammino dei due punti secondo le regole enunciate nella seconda parte:
il primo percorrerà
x2
x
2
(x 1 1) 2 miglia e il secondo (x 1 2x 1 1) 4 , cioè 14x4 1 12x3 1 14x2
miglia. La somma di queste due quantità dovrà essere uguale
alla circonferenza della Terra, cioè a 29.412. Avremo dunque
1 4
1 3
3 2
1
4 x 1 2 x 1 4 x 1 2 x 5 29.412 e moltiplicando per 4:
1 ce. ce più 2 cu. più 3 ce. più 2 co. eguali a 117648 miglia. Ma
perché non havemo regola di trare in luce tal eguagliamento, l’è da
26
GT2, c. 7v.
GT6, c. 16v. Tartaglia aveva già affrontato questo problema nella seconda
parte (GT2, c. 12 r), soprattutto per correggere un “Errore di Frate Luca” nel
computo delle frazioni di giorno. Da notare che nella seconda parte la circonferenza terrestre era di 20.400 miglia, in modo che la soluzione comportasse
delle frazioni di giorno. Qui il valore 29.412 è scelto in modo da avere soluzione
intera.
27
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
173
vedere, se degli estremi di essa eguagliatione si possono conseguire
le lor radici. Et considerando diligentemente, si troverà che agiongendo una unità sola sopra ciascuno di essi estremi si potran poi
conseguire dette sue radici, perché si haveranno poi 1 ce. ce più 2
cu. più 3 ce. più 2 co. più 1 eguali a 117649. De’ quali 1 ce. ce
più 2 cu. più 3 ce. più 2 co. più 1 la sua radice è 1 ce più 1 co.
più 1. Et de 117.649 è 343. Adunque 1 ce più 1 co. più 1 saranno
eguali a 343. Per il che egli è prima da levare quel 1 che vi è di
superfluo in detta equatione (in compagnia di 1 ce più 1 co.) dall’uno
& l’altro estremo di quella, che si haveranno poi 1 ce più 1 co.
eguali a 342, & smezzando il numero delle co. & l’una mità del
quale è pur 12, multiplicando in sé medesima, & detta multiplicatione
ponendo sopra 342 che farà in tutto 342 41, & di detta somma pigliandone la radice, la quale è 18 12, & di detta radice abbattendone
detta mità del numero delle cose idest 12, che ci restarà poi 18 per
valuta della cosa28.
Così il mancato riconoscimento della relazione tra la somma
dei primi n interi e quella dei loro cubi porta a un’equazione di
quarto grado, che può essere risolta solo osservando che con l’aggiunta di 1 il primo membro diventa il quadrato di un trinomio;
un’osservazione questa non immediata per un principiante. Né più
facili sono gli esempi successivi, che trattano di interessi. Vediamo
per esempio il quinto problema:
Uno compra uno credito de ducati 1000 per duc. 600, quali duc.
600 detto compratore gli esborsa attualmente subito concluso il mercato, & poi a da riscotere detto credito in anni dieci, videlicet duc.
100 in fine di ciascuno di essi dieci anni. Se dimanda quanto guadagna per cento a l’anno detto comprator del suo capitale.
Come si vede, si tratta del problema del rimborso di un prestito
a rate. L’enunciato del problema non dice come si debba intendere
l’interesse, ma nel seguito Tartaglia parlerà di interesse semplice.
28
GT6, c. 16v-17r.
Enrico Giusti
174
In questo caso la complessità della questione deriva essenzialmente
dalla sua ambiguità, non essendo chiaro come i rimborsi annuali
di 100 ducati debbano essere divisi tra capitale e interessi; in altre
parole in che proporzione essi debbano dividersi tra pagamento degli interessi e rimborso di capitale. Tartaglia è cosciente dell’ambiguità del problema, e comincia a discutere le varie possibilità introducendo un tempo “virtuale” nel quale il creditore acquista il
suo guadagno:
... abbattendo prima gli duc. 600 che costa detto credito fuor de gli
duc. 1000 chi è la summa di esso credito, che ci resterà duc. 400
per guadagno di detti duc. 600, il qual guadagno veramente non si
sa in quanto tempo detto compratore, con detti suoi duc. 600 di capitale, lo conseguisca. Perché sel si volesse dire che lo conseguisce
in anni dieci, io dirò de non. Attento che quando detta proposta dicesse, che finiti detti dieci anni esso compratore conseguisce tutti
gli detti duc. 1000 in una sola volta, che allhora in quel caso sarebbe
vero che con duc. 600 in dieci anni guadagnarebbe duc. 400, ma
la non dice così, anzi dice che gli conseguisce in diece anni a duc.
100 per cadaun’anno, il che è molto differente dal conseguirli in
una sola volta in capo de gli diece anni.
E sel si volesse dire, che lo conseguisce in anni 6, nel qual
tempo viene a compire de reimborsarsi tutto il suo capitale a duc.
100 all’anno, io dirò similmente di non, perché non si harebbe alcuna
consideratione al tempo che la da aspettare a conseguire gli altri
duc. 400, né manco a quello chela conseguito li duc. 600 a duc. 100
all’anno, il che è pure troppo in simili casi da essere considerato29.
Nel primo caso preso in esame, 600 ducati ne guadagnerebbero 400 in 10 anni, dunque 40 all’anno (si ricordi che Tartaglia
considera l’interesse semplice) per un interesse del 6 23%. Nel secondo avrebbe guadagnato i 400 ducati in sei anni, con un interesse dell’11 19%. Nessuno dei due risultati è giudicato corretto;
il primo eviden temente per difetto, dato che i 1000 ducati non
29
GT6, c. 18v.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
175
sono riscossi tutti alla fine dei 10 anni, ma a rate di 100 all’anno.
Il secondo perché contiene due errori di segno opposto: da una
parte non si tiene conto che alla fine dei sei anni non tutto il credito è stato riscosso, e dall’altra non si prende in considerazione
il fatto che come in precedenza i pagamenti avvengono a rate annuali, comincian do prima dello scadere del sesto anno. Per giungere alla soluzione, Tartaglia postula una compensazione di questi
due fattori:
Bisogna adunque che questo compratore con detti suoi duc. 600 de
capitale venghi a conseguire detti duc. 400 de guadagno in tal numero d’anni, che oltra gli duc. 400 chel guadagna, tanto sia ancora
il semplice merito de gli denari che’l conseguisce a duc. 100 all’anno in ditto no d’anni, quanto quello che’l patisce poi ad aspettare
a compire de conseguir il restante de detti duc. 1000 pure a duc.
100 all’anno fin’in capo de detti dieci anni30.
Con questa assunzione, Tartaglia può impostare un’equazione:
Et con questa verità poneremo che il detto numero d’anni sia 1 co.
per il che il semplice merito de gli primi duc. 100 che’l conseguisce
in fine del primo anno, da essa fine di detto primo anno, fino al
compimento di detta cosa d’anni, debbe essere eguale a quelle de
gli ultimi duc. 100 chel conseguisce in capo de gli detti dieci anni,
cominciando da detta co. d’anni, fino alla fine di essi dieci. Similmente il semplice merito de gli secondi duc. 100 chel conseguisce
in fine de gli primi doi anni, debbe essere eguale a quelle de gli
penultimi duc. 100 chel conseguisce in capo di 9 anni, & così discorrendo di tutti essendo refferti relativamente31.
Dunque il guadagno che si trae dal rimborso anticipato dei 100
ducati della fine del primo anno fino allo scadere del tempo virtuale
di prestito deve essere uguale alla perdita registrata a causa del ritardato rimborso degli ultimi 100 ducati, dalla scadenza virtuale
30
31
Ibidem.
Ibidem.
Enrico Giusti
176
alla fine del decimo anno. Lo stesso deve avvenire per il secondo e
il penultimo rimborso, per il terzo e il terzultimo, e così via.
Et per che gli danari chel conseguisce in fine del primo anno sono
eguali a quelli chel conseguisce in fine de gli dieci anni, se il merito
loro a da essere eguale come si ha detto, necessariamente ancora
gli anni dai quali nasce esso merito per commune scientia saranno
eguali. Adunque 1 co. de anni, men un’anno, cioè men quel primo
anno alla fine del quale conseguisce gli primi duc. 100, sarà eguale
a 10 anni men 1 co. d’anni, cioè dieci anni nella fine dei quali conseguisce gli ultimi duc. 10032.
A questo punto l’equazione è stabilita, e si può passare alla
sua soluzione:
Essendo una co. men 1 eguale a 10 men 1 co., come chiaramente
per le ragion addutte a da essere, aggiongendo a ciascuno de gli
estremi quello che ciascun di loro si trova havere di meno, secondo
gli ordini, si troverà la co. valer 5 12, & tanti sono gli anni nei quali
veramente detto comprator con detti suoi duc. 600 de capitale guadagna li sopradetti duc. 40033.
Una volta trovati gli anni virtuali, il calcolo dell’interesse è
immediato. Anche in questo calcolo Tartaglia ricorre all’algebra:
Volendosi vedere quanto guadagna per cento all’anno, poni da capo
che guadagni 1 co. de duc. per cento all’anno; adunque de duc. 600
de capitale guadagnerà 6 co. de duc. in un sol’anno, & in anni 5 21
ne guadagnerà 33 co. E perché in detto tempo guadagna ancora
duc. 400, come si ha detto, 33 co. saranno eguale a duc. 400, &
4
4
eseguendo il capitolo si troverà la co. valer 12 33
, e duc. 12 33
se
dirà che detto comprator guadagna per cento all’anno a semplice
merito34.
32
GT6, c. 18v-19r.
GT6, c. 19r.
34
Ibidem.
33
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
177
L’esempio appena discusso evidenzia la caratteristica principale dell’ultima parte dell’algebra del Trattato: alla semplicità della
struttura algebrica, limitata alle sole equazioni di secondo grado,
fa riscontro la complessità della formalizzazione del problema, che
occupa la maggior parte della soluzione. La stessa struttura caratterizza i problemi geometrici, il primo dei quali Tartaglia riprende
per correggerli da Pacioli e Cardano.
Frate Luca nella sua opra intitulata Divina proportione in fine del
tercio trattato della seconda parte a carte 26 pone questo quesito....
Questo medesimo pone ancor Hieronimo Cardano milanese medico, in una sua opra & cadauno de questi dui auttori lo rissolveno
per certe lor vie, le quali in vero non sono generali. Et di una cosa
che non è generale non si può di quella conseguire construtto alcuno buono35.
Il quesito riguarda un cerchio inscritto in un triangolo: Sia
ABC un triangolo, ed ETS il cerchio inscritto, e siano date la base
BC (5 14), il segmento TB (5 6) e il raggio del cerchio inscritto
OE (5 4). Si chiedono i due lati del triangolo.
A
S
T
O
B
E
C
Prima di affrontare il problema, Tartaglia distingue i vari casi
che possono presentarsi a seconda che il triangolo cercato sia acutangolo, rettangolo od ottusangolo. Il primo caso si verifica quando
35
GT6, c. 25r.
Enrico Giusti
178
la perpendicolare dal vertice alla base cade all’interno di quest’ultima; cioè quando il raggio OE del cerchio è minore di ambedue
le parti BE, EC della base. Il secondo quando la perpendicolare
cade su un estremo, cioè quando il raggio del cerchio è uguale alla
parte minore della base. Infine il terzo caso si ha quando la perpendicolare cade fuori della base, ossia quando il raggio è maggiore
di una delle due parti della base. Nel problema in questione, per
l’uguaglianza dei triangoli rettangoli OTB e OEB risulta
BE 5 TB 5 6 e quindi EC 5 14 2 6 5 8. Poiché il raggio OE è
4, siamo nel primo caso e il triangolo è acutangolo36.
Una volta stabilito questo punto, Tartaglia comincia coll’osservare che, come abbiamo detto, risulta BE 5 TB 5 6 e analogamente SC 5 EC 5 8. Posto allora AS 5 AT 5 x, si ha AC 5 8 1 x
e AB 5 6 1 x.
Ciò posto, Tartaglia abbandona per un momento il problema
e tirata la perpendicolare AD dal vertice alla base calcola i segmenti BD e AD.
A
B
D
C
Per questo, egli osserva che AC 2 2 AB2 5 DC2 2 BD2 (questa
relazione segue immediatamente dal teorema di Pitagora; infatti si
ha AD2 5 AC2 2 DC2 5 AB2 2 BD2). D’altra parte
DC2 2 BD2 5 (DC 1 BD) (DC 2 BD) 5 BC (DC 2 BD) 5 BC
(BC 2 2BD) e quindi
36
I due problemi successivi trattano gli altri due casi.
L’insegnamento dell’algebra nel “General Trattato”
BD 5
179
AC2 2 AB2
1
a BC 2
b
2
BC
.
Nel nostro caso, essendo BC 5 14, AC 5 8 1 x e AB 5
6 1 x, dalla relazione precedente si ricava BD 5 6 2 7x, che si
mette da parte.
Per calcolare l’altezza AD, Tartaglia osserva che l’area del
triangolo è la metà del prodotto del raggio OE per il perimetro
AB 1 BC 1 AC; dunque essa è 2 (6 1 x 1 14 1 8 1 x) 5 56 1 4x.
D’altra parte la stessa area è anche uguale al prodotto di AD per
la metà della base BC, dunque a 7AD. Di conseguenza, si avrà
AD 5 8 1 4x7 .
Di qui segue che BD2 5 AB2 2 AD2 5 (6 1 x)2 2 (8 1 4x7 )2
33x2
5 49 1 20x
trovato
7 2 28. D’altra parte, ricordando che avevamo
x
12x
x2
2
BD 5 6 2 7, avremo BD 5 36 2 7 1 49, e quindi si
perviene all’equazione x2 1 7x 5 98. Si ha dunque x 5 7, e in
conclusione AB 5 6 1 x 5 13 e AC 5 8 1 x 5 15.
Ancora una volta vale quanto detto prima: Tartaglia rinuncia
alla complessità delle equazioni di terzo e quarto grado, e a fronte
di un’algebra tradizionale pone dei problemi complessi esclusivamente per quanto riguarda la loro messa in equazione. Come dicevo
sopra, se questa rinuncia sia voluta o se l’opera del matematico
bresciano sia stata interrotta prima di essere condotta a termine è
una questione cui allo stato delle cose è impossibile rispondere.
Né, temo, sarà possibile farlo in futuro.
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