Vie per Bisanzio VII Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale di Studi Bizantini ♦ Abstracts Alessia Adriana Aletta, Andrea Paribeni, I "luoghi" del diritto nel Paris. Suppl. gr. 1085, tra parole scritte e immagini dipinte Il Paris. Suppl. gr. 1085 è uno dei più antichi testimoni del Nomocanone in XIV titoli, tramandato nella cosiddetta recensione pseudo-foziana. Il prezioso manufatto, da ricondurre al primo secolo X, costituisce un vero unicum nel quadro della produzione di argomento canonico bizantina in ragione del sontuoso apparato ornamentale del quale è corredato, cui è affidata la consueta funzione di inquadrare i titoli dei capitoli, ovvero, di chiosare il testo. Il vocabolario esornativo, di natura prettamente aniconica, attinge a motivi fitomorfici che si svolgono in maniera quanto mai originale. Nel quadro di questi temi ornamentali, si distinguono alcune strutture architettoniche la cui realizzazione, accurata nei vari dettagli strutturali, parrebbe alludere ai luoghi fisici nei quali si svolsero le importanti adunanze conciliari. Sotto il profilo critico, il Paris. Suppl. gr. 1085 è conteso, per così dire, tra Oriente e Occidente, giacché se studiosi come André Grabar avevano ricondotto le peculiarità iconografiche del testimone ad ambito italo-greco, Kurt Weitzmann, che in un primo momento lo attribuiva alla Bitinia, ha poi accolto l'ipotesi di una sua provenienza da ambito palestinese. Ciò probabilmente in ragione degli avanzamenti degli studi paleografici che nel frattempo registravano una sempre maggiore attenzione per quelle aree sottoposte all'influsso di Bisanzio. In particolare, Lidia Perria si è soffermata in più occasioni sul manoscritto parigino, per il quale ha colto interessanti assonanze grafiche con altri manoscritti riconducibili ad ambito siro-palestinese. La presente ricerca, che procede su un binario parallelo tra storia dell'arte e paleografia, intende soffermarsi sul ricco apparato iconografico a corredo del Suppl. gr. 1085 e sulle sue componenti grafiche e testuali, con il proposito di coglierne la genesi e il milieu culturale di riferimento. Andrea Babuin, La decorazione ad affresco della chiesa dell’arcangelo Michele a Kostàniani, in Epiro La chiesa dell’arcangelo Michele di Kostàniani sorge a una ventina di chilometri a sud ovest di Ioannina, uno dei principali centri dell’Epiro. Quasi del tutto ignorato dalla bibliografia specialistica, questo monumento conserva probabilmente il più vasto complesso di affreschi tardo bizantini di tutta la Grecia nord-occidentale. La qualità e il relativo buono stato di conservazione dei cicli pittorici che lo decorano ne fanno un interessante oggetto di studio e uno dei rari esempi di edifici del periodo del Despotato d’Epiro giunti integri fino a noi. Francesca Prometea Barone, Per un’edizione critica della Synopsis Scripturae Sacrae dello pseudo-Giovanni Crisostomo La Synopsis Scripturae Sacrae dello pseudo-Crisostomo (PG 56, 313-386, CPG 4559) è un testo di grande interesse per la storia del canone biblico come pure per la storia della lettura della Bibbia, giacché si presenta come la più antica collezione di sintesi dei testi biblici. Di tale testo non esiste alcuna edizione critica condotta secondo i parametri della filologia contemporanea. Nel corso del mio studio presenterò i problemi critici posti da tale testo. In primo luogo, discuterò della sua attribuzione (la pseudoepigrafia di tale opera non è indiscussa), quindi della sua datazione. Presenterò in seguito la tradizione diretta di tale testo (una dozzina di testimoni), la tradizione indiretta (per quanto la Clavis Patrum Graecorum non segnali né frammenti dispersi né traduzioni orientali né, ancora, testi compilati a partire dal nostro, Klostermann parla di capitula in siriaco e latino), la storia delle edizioni moderne (Montfaucon, riprodotto da Migne; il lavoro di Philotheos Bryennios sul ms. Hierosolymitanus Sancti Sepulcri 54; il lavoro di Paul de Lagarde sul Napolitanus II A 12). Il nostro testo sarà quindi confrontato con le due altre Sinossi ad oggi conosciute: quella dello pseudo-Atanasio, pubblicata da Felkmann; il testo contenuto nel Barberinianus gr. 317 (III 36). Claudia Barsanti, Una ricerca sulle sculture in opera nelle cisterne bizantine di Istanbul Negli ultimi anni sono state restaurate diverse cisterne bizantine di Istanbul, rendendole agibili e dando così modo di esaminare la cospicua serie di materiali marmorei (colonne, basi e, soprattutto capitelli) utilizzati nelle loro articolate strutture architettoniche. La ricerca, condotta dall’Università di Roma Tor Vergata negli anni 2007-2009, si è focalizzata sulla cospicua serie di capitelli in opera nella grande Sultan Sarnici, situata in prossimità della Selim Camii (è la n° 9 nel catalogo delle cisterne costantinopolitane pubblicato nel 1893 da Ph. Forchheimer e J. Strzygowski). Essi offrono una importante documentazione per alcune tipologie di capitelli prodotti su scala industriale, tra V e VI secolo, dagli opifici che lavoravano il marmo proconnesio. Marina Bazzani, Diversi livelli di stile e significato nella poesia di Manuele File La presente relazione analizza vari aspetti della poesia di Manuele File, uno dei più prolifici autori di età paleologa. Partendo dall’esame di alcune poesie di natura occasionale dedicate a influenti membri della corte, benefattori e protettori del poeta, in segno di omaggio o, molto spesso, al fine di richiedere doni e denaro, si cercherà di dimostrare come il tono delle composizioni vari e si adatti agli interlocutori, e come l’autore giochi abilmente con la scelta delle parole così da creare una rete di allusioni e metafore che conferisce al testo unità, e al tempo stesso produce complessità e molteplicità di significati. Claudio Bevegni, Osservazioni sui manoscritti bizantini dei Moralia di Plutarco utilizzati da Angelo Poliziano Il manoscritto II I 99 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è un vero e proprio zibaldone che raccoglie una grande quantità di estratti greci e latini, derivati dalle opere dei più svariati autori e trascritti per la maggior parte dalla mano di Angelo Poliziano, o, comunque, sotto la sua supervisione. Tra le opere greche epitomate da Poliziano troviamo anche i Moralia di Plutarco, e con una selezione molto corposa. Gli estratti dei Moralia si presentano ripartiti in quattro distinte tranches e appartengono a 32 diversi opuscoli morali: tali estratti risultano per la maggior parte autografi di Poliziano, il quale trascrive i passi greci alla lettera, oppure (ma meno frequentemente) li traduce o li parafrasa in latino. La presente comunicazione focalizza l’attenzione sui manoscritti greci dai quali Poliziano ha desunto gli estratti plutarchei: l’identificazione di tali manoscritti è stata in parte appurata, ma necessita di ulteriori precisazioni. In particolare, verrà esaminata la quarta tranche di estratti, concernente le sole Quaestiones convivales, per epitomare le quali Poliziano ha verosimilmente utilizzato il Laurenziano 80,5. Infine saranno indicate alcune linee di ricerca in merito alla conoscenza e al riuso delle Quaestiones convivales da parte di Poliziano e saranno esaminate in breve alcune citazioni delle QC nel Commento all’Odissea e nella prima centuria dei Miscellanea. Livia Bevilacqua, Basilio parakoimomenos e i manoscritti miniati: impronte di colore nell’Ambrosiano B 119 sup. Il parakoimomenos Basilio, figlio illegittimo di Romano Lecapeno e cognato di Costantino VII Porfirogenito, non fu solo uno dei personaggi politici più influenti della seconda metà del X secolo alla corte bizantina, ma si distinse anche per la sua intensa attività di committente di opere d’arte. Oltre a celebri opere di oreficeria quali la stauroteca di Limburg an der Lahn, il calice e la patena di diaspro del Tesoro di San Marco a Venezia (ora reliquiario della testa del Battista) e il reliquiario di san Simeone Stilita a Camaldoli, si possono attribuire alla sua committenza anche alcuni manoscritti, oggi conservati sul monte Athos (Dionysiou 70), a San Pietroburgo (Publ. Libr. gr. 55) e nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (Ambr. B 119 sup.). Quest’ultimo codice è di estremo interesse sia dal punto di vista testuale sia per il corredo decorativo che lo impreziosisce. Esso contiene il testo di alcuni trattati tardoantichi di materia militare, e di uno dedicato alle battaglie navali, composto, quest’ultimo, su richiesta dello stesso Basilio. Sfortunatamente il cattivo stato di conservazione del manoscritto, che è mancante di numerosi fascicoli e presenta una serie di tagli dovuti all’asportazione di fogli o parti di foglio, e il fatto che la rilegatura attuale non rispetti la reale sequenza dei fascicoli, non consente di valutare correttamente l’aspetto originario del manufatto. Tuttavia, è possibile formulare alcune osservazioni sulla sua decorazione, sopravvissuta solo in parte. Gli incipit dei trattati sono quasi sempre marcati da pylai in blu e oro che ne incorniciano i titoli; inoltre il testo è corredato da una serie di illustrazioni schematiche, spesso sotto forma di veri e propri grafici, che illustrano visivamente quanto spiegato a parole nei trattati. Il caso più interessante si osserva però sul verso di uno dei fogli, dove sono visibili tracce di colore che denunciano la presenza, in origine, di una miniatura a piena pagina che si trovava sul recto del foglio seguente, ora scomparsa insieme al foglio stesso, maldestramente tagliato. Ad un’attenta osservazione è perfino possibile riconoscere il singolare soggetto che vi era stato rappresentato. Il manoscritto ambrosiano, dunque, in origine non era aniconico, come generalmente si ritiene, bensì il suo apparato illustrativo constava anche di elaborate miniature che dovevano collocarlo tra le alte realizzazioni della produzione libraria mediobizantina. Anna Maria Ieraci Bio, Giovanni Argiropulo e la medicina Attraverso l’analisi delle opere mediche e delle testimonianze relative alle conoscenze mediche di Giovanni Argiropulo si cercherà di individuare gli autori e i testi della sua formazione. Chiara Bordino, I Padri della Chiesa e le immagini nella Refutatio et Eversio di Niceforo di Costantinopoli Il contributo vuole proporre alcune piste di riflessione all’interno della Refutatio et eversio definitionis synodalis anni 815, scritta nel IX secolo da Niceforo, patriarca iconofilo di Costantinopoli, per confutare la definizione del concilio dell’815, che era tornato ad affermare le posizioni degli iconoclasti, rifiutando la restaurazione del culto delle immagini decretata nel 787 dal Concilio Niceno II. In particolare, si intende puntare l’attenzione in questa sede sul tema del rapporto fra pittura e scrittura. Niceforo stabilisce un’equiparazione fra la rappresentazione visiva e quella che si ha attraverso il discorso, scritto o pronunciato. Con ciò non intende semplicemente dire che la pittura traduce in immagine i contenuti del discorso, ma piuttosto che ambedue i canali espressivi possono raggiungere, ciascuno con i mezzi che gli sono propri, una rappresentazione di grande vividezza, capace di toccare profondamente lo spettatore, la reazione emotiva del quale ha un ruolo di fondamentale importanza nella contemplazione dell’immagine cristiana. Il patriarca riprende una linea di pensiero che parte dagli autori cristiani del IV-V secolo (soprattutto i Cappadoci e Asterio di Amasia), collocandola sulla base di una ormai solida e coerente teoria cristiana dell’immagine e arricchendola con una meditazione raffinata e sottile sulle relazioni fra il piano delle immagini artistiche e quello della rappresentazione verbale. Se, a livello teorico, Niceforo pone la parola e l’immagine sullo stesso piano, di fatto nella Refutatio si volge a considerare testi scritti, senza lasciarci intuire molto riguardo a quanto conoscesse dell’arte del suo tempo. Sporadici sono i riferimenti in qualche modo collegabili al panorama artistico coevo: talvolta l’autore cita opere che dovevano ancora esistere ai suoi giorni; altre volte la sua cultura visiva emerge indirettamente dal modo in cui interpreta i passi patristici. Luciano Bossina, Falsi bizantini nel corpus di Nilo di Ancira Benché vari trattati siano stati restituiti con successo a Evagrio Pontico, il corpus delle opere attribuite a Nilo di Ancira rimane uno dei più cospicui del monachesimo antico. Spicca tra tutte l'enorme epistolario, che contiene più di un migliaio di lettere, destinate a centinaia di diversi corrispondenti. Questa fonte, tuttora accessibile nell'edizione di Leone Allacci riprodotta nel 79 volume della Patrologia Graeca, e dunque pregiudicata da uno stato ecdotico che non ne ha mai facilitato lo studio, presenta oltretutto vari motivi di sospetto. Il contributo intende analizzare vari casi in cui si configura con tutta chiarezza l'ipotesi di una falsificazione postuma: lettere che, per motivi storici, linguistici e contenutistici, Nilo non può avere composto e che furono fabbricate a secoli di distanza dai redattori che raccolsero le collezioni delle sue epistole nell'ambito della costruzione leggendaria e agiografica della sua figura. Tommaso Braccini, Tra aquile e campane: araldica bizantina dopo la caduta di Costantinopoli La consuetudine occidentale dei blasoni sembra essere comparsa a Bisanzio già dai primi decenni del XV secolo, adottata dalla stessa famiglia imperiale, che arrivava a concedere ai Latini benemeriti il diritto di inquartare il proprio stemma con l’aquila bicefala. Negli anni successivi alla caduta di Costantinopoli, numerosi esuli greci e balcanici che si rifugiarono in Occidente rivendicavano una vera o presunta discendenza dalle famiglie nobili di Bisanzio; non stupisce che, per rimarcare il proprio status aristocratico, spesso avessero adottato anche uno stemma. Non c’era solo la consueta aquila bicefala: i Cantacuzeni (che tra l’altro vantavano connessioni anche con i paladini di Francia) sfoggiavano un leone, i Notaras anche; e le famiglie, come quella albanese degli Arianiti, che si proclamavano discendenti dei Comneni giunsero ad adottare, a partire dalla fine del XV secolo, un curioso stemma, dall’origine non chiara, che effigiava alcune campane. Questa “araldica bizantina”, non sorprendentemente, conobbe una sorta di revival dopo la caduta di Cipro e la battaglia di Lepanto, quando suscitò l’interesse di nuovi esuli greci. Gastone Breccia, Armi antiche nella Nuova Roma. La memoria delle guerre greche e romane nella letteratura bizantina Dai grandi personaggi (Alessandro, Annibale, Scipione, Cesare) ai grandi eventi, la relazione analizza le tracce superstiti lasciate dalle guerre del mondo antico nella letteratura bizantina: vengono presi in esame sia i manuali «tecnici» (dallo Strategikon di Maurizio alle Tacticae constitutiones di Leone VI) sia i testi storiografici e cronachistici, tentando una prima valutazione del significato di presenze e omissioni, e dunque del carattere e della funzione della memoria del passato greco-romano nell’ambito della cultura militare della Nuova Roma. Donatella Bucca, Per la storia della tradizione manoscritta del Commentario ai XII Profeti di Teodoreto di Cirro Numerosi sono i testimoni del Commentario ai XII Profeti di Teodoreto di Cirro rinvenuti nel corso degli ultimi due secoli. Lo spoglio dei cataloghi e delle liste autorevoli di manoscritti contenenti il testo oggetto di studio, effettuato in vista di una sua edizione critica, ha permesso di compilare un elenco di un centinaio di manoscritti, databili lungo un ampio arco di tempo, dal X al XVII secolo, e provenienti da diverse aree geografiche. L'esame, finora effettuato, di una parte di questo materiale ha permesso di confermare o meno la presenza del Commentario – che talora è stato confuso con testi affini – e di individuare e specificare la tipologia e la porzione di testo tràdita. Valutazioni di carattere soprattutto paleografico hanno consentito inoltre di precisare e integrare le informazioni contenute nei vecchi cataloghi riguardo alla datazione e all’eventuale localizzazione dei singoli testimoni. Alessandra Bucossi, Dibattiti teologici alla corte di Manuele Comneno Le fonti storiche attestano numerose visite a corte da parte di ambascerie papali durante il regno di Manuele Comneno e nutrita è la schiera degli autori che hanno scritto dei dibattiti relativi a queste ambascerie e alle altre discussioni teologiche che ebbero luogo in questo periodo. Ma chi sono questi autori? Che tipo di relazione li collega? Chi influenza e chi copia? E infine, quale ruolo gioca l’imperatore nella composizione di queste opere? Questo contributo vuole chiarire la rete di relazioni esistente tra gli scrittori presenti alla corte imperiale nella seconda metà del XII secolo e propone alcuni spunti di riflessione sulla figura di Manuele Comneno quale committente di opere teologiche. Filippo Burgarella, Cristiani ed Ebrei a Bisanzio: il canone XI del Concilio Quinisesto Dei 102 canoni del Concilio Quinisesto (692) merita particolare attenzione l’XI, poiché riguarda le relazioni dei cristiani con gli ebrei. Vi si definisce infatti la norma che ai cristiani, sia a quelli di condizione laicale sia a quanti appartengono ai ranghi ecclesiastici, impone severi divieti al riguardo, la cui trasgressione comporta, per i primi, la pena spirituale della scomunica e, per i secondi, una censura ben più grave, quale la sospensione o la deposizione dagli ordini sacri. Il canone elenca i seguenti divieti: non mangiare gli azzimi dei giudei; non aver con loro rapporti di assiduità e dimestichezza; non consultare, in caso di malattia, medici della loro religione e non seguirne le cure e le prescrizioni; non frequentare i bagni pubblici insieme con i medesimi. Sono divieti manifestamente volti a separare e distinguere la maggioranza cristiana, soprattutto quella di tradizione e confessione ortodossa e d’obbedienza patriarcale costantinopolitana, dalle comunità giudaiche, sparse in seno all’Impero bizantino e forti di una loro peculiare identità etnica e religiosa. Sono divieti ispirati, in ogni caso, a scopi d’indole pastorale e dottrinale, di vigilanza cioè sull’insieme dei cristiani, più che di discriminazione degli appartenenti a quelle comunità. Il chiaro intento dei padri conciliari, e per loro tramite del legislatore ecclesiastico, è di preservare gli uni da forme di contaminazione rituale e di promiscuità e osmosi sociale e culturale con gli altri. Sugli azzimi viene ribadita una proibizione precedente, che qui vale perciò come ulteriore legittimazione all’intransigenza greca, destinata a ben più drastici esiti, in fatto di peculiarità liturgiche di altre chiese, in particolare la latina, tenaci nell’uso degli azzimi nella celebrazione eucaristica e perciò ritenute giudaizzanti. Nel divieto di una comune frequentazione delle terme si può forse cogliere l’eco delle pesanti riserve morali suggerite dalla satira antica riguardo ai circoncisi. L’avvertenza di evitare i medici ebrei e le loro cure si presta a interessanti considerazioni: se lo scopo evidente è di sottrarre i cristiani all’influenza del sapere ebraico, mediata dall’approccio terapeutico e dai mezzi connessi con la gestione della salute del corpo, l’esito si coglie nella vicenda culturale dei secoli posteriori. Il primato della taumaturgia sulla medicina, proclamato specialmente nella letteratura agiografica, sembra il naturale sviluppo del canone XI, come si vede anche in àmbito periferico, segnatamente nell’Italia bizantina. Qui, in pieno X secolo, sant’Elia lo Speleota e san Nilo da Rossano si adoperano a darne concreta applicazione. Specialmente il secondo dissimula – almeno a giudicare da quel che ci narra l’agiografo – il suo rapporto come paziente del medico ebreo Donnolo sotto le apparenze della disputa o controversia dottrinale fra sapienti delle due fedi: apparenze legittime perché conformi agli schemi della letteratura bizantina, tanto più che fra i due personaggi dovette pur esserci una simile forma di dialogo interreligioso. Anna Caramico, Policromatismo semantico nel De animalium proprietate di Manuele File? La lingua del De animalium proprietate di Manuele File si può definire policromatica; termini appartenenti a un consolidato lessico zoologico si intrecciano con termini provenienti da svariati lessici specialistici: botanico, medico, ottico, marinaro, musicale, architettonico, teologico, militare. Il poeta adegua il mezzo espressivo all’immagine che intende rappresentare: crea delle serie metaforiche mescolando termini generici con termini tecnici, sottoponendone alcuni a processi di traslazione semantica; il fine è una sorta di straniamento, il cosiddetto audacior ornatus. Le metafore, insieme con le molteplici digressioni presenti nell’opera, possono forse apparire un nonsense; eppure esse sono la trovata retorica del poeta per ravvivare un nozionismo zoologico spesso noioso e per tenere alta l’attenzione del lettore. Il continuo rimescolamento lessicale (che è anche sintattico, tonale, topico, tematico) provoca un abilissimo gioco di evocazioni, di allusioni letterarie, a volte enigmatiche per il lettore moderno, ma sicuramente familiari all’élite colta paleologa profondamente impregnata di Antico, o, se si vuole, di Ellenismo. Il ‘policromatismo’ semantico filiano è il risultato naturale del classicismo bizantino, che non è fanatica devozione verso le auctoritates, ma matura selezione, discernimento e ricreazione dell’Antico. Caterina Carpinato, Analisi testuale del canto di Armuris: una traduzione come strumento di studio Verrà presentato criticamente il testo del canto di Armuris (edizione Alexiou), con osservazioni filologiche e linguistiche, per una lettura analitica del componimento inserito nel suo contesto storico letterario. Verrà inoltre proposta una traduzione italiana come strumento per una più diretta conoscenza della produzione letteraria in greco alle origini del volgare. Tale versione letteraria, che impone scelte lessicali e stilistiche specifiche, comporta non solo complesse questioni realtive alla traspozione da una lingua ad un'altra, ma pone anche quesiti relativi alla fruizione e destinazione scientifica degli studi nell'ambito del greco medievale in lingua volgare. Annaclara Cataldi Palau, Un manoscritto di Simeon Uroš Il codice di Basilea (Bas. A. III. 16), appartenuto a Giovanni Stojković (1390/95-1443), cartaceo, contenente un Sinassario (set.-feb.), databile dalle filigrane alla seconda metà del XIV secolo, è stato vergato da un ‘cartofilace’ che nella sottoscrizione posta a fine testo non ha rivelato il suo nome. Sotto la sottoscrizione ho notato alcune scritte in greco, disordinate ed evanide, tra le quali ho letto a fatica le parole ‘Symeon’ e ‘gambros’, nonché poco sotto ‘...maidos’ e ‘nymfes’. In queste parole ho identificato Simeon Uroš Paleologo, re di Serbia (ca. 1326-ca. 1371-72) e la moglie Tomaide Orsini (1327/1336-dopo 1359). Simeon è definito ‘gambros’ in quanto genero del suocero Giovanni II Doukas Orsini, Despota dell'Epiro, e cognato di Niceforo II Orsini, ultimo Despota della stessa regione fino alla sua improvvisa morte (1359); la qualifica è importante perché precisamente su questo legame di parentela egli basava la sua pretesa al Despotato dell'Epiro. Questa identificazione può essere interessante in quanto Simeon Uroš, malgrado fosse all'epoca molto potente e famoso, è rimasto una figura nebulosa; si hanno solo tre documenti suoi. Nell'intervento si delineano brevemente le genealogie delle due famiglie Nemanja e Orsini in quegli anni e si formulano alcune ipotesi riguardo allo scriba del codice. Sono brevemente investigati alcuni manoscritti appartenuti al figlio di Simeon Uroš, Giovanni Uroš Paleologo (nato dopo il 1352 - morto dopo il 1423), per breve tempo imperatore poi monaco alle Meteore con il nome di Ioasaph. Paola Cassella, Questioni lessicali in Eustazio di Tessalonica La relazione intende esaminare alcuni fra i luoghi più significativi dell'imponente opera di Eustazio, relativi a problemi di natura lessicale ed etimologica. Si esamineranno casi differenti per stabilire differenti tipologie di problemi, e nel farlo si terrà presente soprattutto il commento alla Orbis descriptio di Dionigi il Periegeta. Si tenterà inoltre di definire il rapporto di Eustazio con le sue fonti, per esempio Erodoto, al quale il nostro autore spesso si richiama per discutere problemi di lessico. Marina Cavana, Daniele Calcagno, La Croce degli Zaccaria da Bisanzio a Genova (secoli IXXIII) La comunicazione prenderà brevemente in esame la storia della “Croce degli Zaccaria” – un’opera d’arte bizantina risalente ai secoli IX-XIII – e, in particolare, il suo arrivo a Genova. Recenti scoperte d’archivio hanno potuto dimostrare che la tradizione locale, secondo la quale la Croce, alla fine del secolo XV, sarebbe venuta in possesso degli Zaccaria, una importante famiglia di ammiragli e mercanti legati alla Chiesa genovese, è oggi da ritenersi autentica, da retrodatare anzi di alcuni anni. Verrà inoltre puntualizzato il ruolo della croce all’interno del “tesoro” della Repubblica di Genova e la sua funzione in ambito liturgico, in particolare durante la benedizione del nuovo Doge; per la croce, infatti, si attua un percorso di sacralizzazione simile a quello di altre opere d’arte utilizzate durante le cerimonie di consacrazione di re e imperatori. Salvatore Cosentino, Danzando il gotthikon (De cerim. I, 92) Il cap. 92 del I libro del De cerimoniis (ed. Vogt) contiene una danza rituale che veniva messa in scena nel palazzo imperiale, nel triclinio dei Diciannove letti, il nono giorno del dodekaēmeron (2 gennaio). Si tratta di un testo piuttosto stratificato quanto a contenuto, di cui si riconoscono almeno due nuclei compositivi: la cosiddetta danza gotica e l’alphabētarion o alphabēticon. Quest’ultimo nucleo, probabilmente più recente, è una declinazione della forza universale della basileia modulata sulle lettere dell’alfabeto, ognuna delle quale funge da spunto per un’acclamazione all’imperatore. La danza gotica è invece una drammatizzazione dello scontro tra ordine universale garantito dal sovrano e il disordine belluino del barbaricum con una finalità chiaramente magica e apotropaica. Tale nucleo appare più arcaico ed e forse stato trasmesso al cerimoniale di corte bizantino da una tradizione proveniente dalle scholae palatinae tardoantiche. Raffaella Cresci, La poesia del X secolo Analisi di passi in cui l'accentuazione della self -assertiveness (per usare la terminologia adottata da Lauxtermann) rispetto alla tradizione offre spunti per una possibile contestualizzazione di alcuni poemi di Giovanni Geometra. Carmelo Crimi, Gli anni costantinopolitani di Gregorio Nazianzeno in due testi bizantini All’interno della ‘tradizione nazianzenica’, ottimamente rappresentata a Bisanzio dove il Padre cappàdoce è tra gli autori più letti e citati in assoluto, emergono due testi significativi, la Vita di Gregorio il Teologo di Gregorio Presbitero (da porre, secondo il recente editore, tra la seconda metà del VI e i primi trent’anni del VII secolo) e l’Encomio di Gregorio il Teologo composto da Niceta David Paflagone agli inizi del X secolo. Entrambi riservano molto spazio agli anni che il Nazianzeno trascorse a Costantinopoli (379-381), dove il Cappàdoce fu inizialmente chiamato a guidare la piccola comunità nicena. I due testi – pur caratterizzati dal comune intento di costruire una immagine compatta ed esemplare di santità episcopale a partire dagli scritti stessi del Padre – divergono in misura consistente nella scelta degli episodi significativi da mettere in luce e di quelli, viceversa, da sminuire o da passare sotto silenzio. Distinte appaiono le preoccupazioni da cui sono mossi gli agiografi e distinti ne sono gli esiti letterari. In particolare, l’Encomio di Niceta David Paflagone costituisce una rilettura delle vicende del Gregorio ‘costantinopolitano’ fortemente impregnata degli umori e delle tensioni personalmente sperimentate dall’agiografo. Barbara Crostini, Paola Degni, Una Bibbia pandetta appartenuta a Bessarione: il codice Ferrara, Biblioteca Ariostea, Cl. II, 187 Questa comunicazione ha per oggetto il manoscritto del sec. XIV, Ferrara, Biblioteca Ariostea, Cl. II, 187, una rara Bibbia pandetta in tre volumi con in margine note della mano del Cardinale Bessarione. Questo cimelio non è stato finora, a nostra conoscenza, oggetto di studi specifici. Oltre ad approfondire l'aspetto codicologico e paleografico, affronteremo questioni più ampie come la committenza e la contestualizzazione storica di questa Bibbia greca nell'ambito degli studi filologici del famoso Cardinale. Francesco D'Aiuto, Andrea Luzzi, Sul progetto di costituzione di un database relativo ai manoscritti innografici bizantini antiquiores Il progetto interuniversitario (Università di Messina, Roma «La Sapienza» e Roma Tor Vergata) di cui si presentano obiettivi e primi risultati è rivolto allo studio dei più antichi manoscritti superstiti dei libri innografico-liturgici della Chiesa bizantina (Triodio, Pentecostario, Ottoeco-Paracletica, Menei, e così via). A tutt'oggi, infatti, non se ne ha un censimento, e si ignora quasi tutto della struttura stessa dei più antichi codici di ciascuna collezione innografica: restano così nell’ombra, sotto molti punti di vista, i primi secoli della storia dell’innografia bizantina, e in particolare alcuni aspetti dell’evoluzione dei generi innografici e delle modalità di costituzione e sistemazione delle raccolte di inni. Ci si attende, dunque, in primo luogo una positiva ricaduta del progetto nell'ambito generale dell'euristica dei manoscritti referenti testi innografici; ma un’indagine sistematica condotta anche su testimoni frammentari, compresi i papiri e i membra disiecta da recuperi codicologici o da palinsesti, potrebbe contribuire a far luce su certe primitive forme innografiche – come si dirà accennando a una scoperta recente –, o, ancora, a chiarire origini e diffusione di talune arcaiche forme di notazione musicale. La base di dati relativa alla preliminare descrizione dei testimoni manoscritti di cui sopra (descrizione approntata secondo un modello catalografico ad hoc, derivante da quello impiegato per la realizzazione del censimento, in fieri, dei manoscritti italogreci, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nell'ambito delle Celebrazioni per il Millenario dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata), sarà interrogabile on line. Tale base di dati, della quale viene presentata la struttura, si giova delle più moderne tecnologie all'uopo attualmente disponibili nell'ambito dell'informatica umanistica (SQL Server 2008, XML, HTML, CSS, XSLT, ASP.NET 3.5, Unicode, per citare solo le principali). Particolarmente rilevante è l'interconnessione di tale base di dati con il database costituito dalla versione digitale elettronica degli Initia Follieri e relativo aggiornamento, in corso di costituzione già da tempo presso l'Università di Roma «Sapienza» e basato sulle medesime tecnologie, la cui definitiva realizzazione costituisce uno dei prodotti del presente progetto di ricerca. Manuela De Giorgi, La decorazione pittorica della chiesa di Agios Nikolaos a Kyriakoselia. Considerazioni preliminari Ubicata poco fuori il centro abitato di Kyriakoselia (Apokorona, Chania), la chiesa di Agios Nikolaos è uno dei siti di maggiore interesse tra le centinaia di edifici bizantini dell’isola di Creta, un monumento che a tutt’oggi attende ancora un’analisi esauriente. La fabbrica, che sulla base di una serie di confronti sia icnografici sia della tettonica muraria, si può ragionevolmente datare tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del successivo, conserva ancora in buon stato le pitture murali originarie, da ascriversi agli Trenta del 1200, espressione qualitativamente tra le più alte della diffusione dello stile tardo-comneno nelle periferie dell’Impero. La decorazione che vi si dispiega propone un programma iconografico ‘classico’ nei contenuti, ma adattato a una scatola architettonica non conforme al più diffuso modello medio-bizantino della cross-in-square church: a un ciclo cristologico, arricchito di scene relative alla vita della Vergine, si associa un variegato santorale, completato quest’ultimo da un interessante ciclo agiografico di san Nicola. Di particolare interesse è inoltre il ricchissimo patrimonio epigrafico, a mia conoscenza finora del tutto ignorato. Mauro della Valle, Vita dell’imperatrice Zoe Ritratta a mosaico nella Santa Sofia di Costantinopoli, a smalto sulla corona “del Monomaco” a Budapest, a miniatura nel cod. Sinaitico gr. 364, in oro nei coni monetari battuti durante il breve regno congiunto con la sorella Teodora, in piombo su un raro sigillo passato una ventina di anni fa sul mercato, l’immagine dell’imperatrice Zoe dovette essere piuttosto diffusa nella capitale e nell’Impero durante il suo lungo governo. Accanto ai prodotti storico-artistici a lei contemporanei (ma si veda pure il ritratto delle due donne nel più tardo Zonara di Modena), disponiamo anche di un mini-ciclo della sua vita miniato in uno dei più celebri manoscritti greci giunto fino a noi. Nello Skylitzes di Madrid, infatti, ben dodici miniature la raffigurano, o raffigurano episodi della sua vita in relazione con Teodora, miniature che certo sono minoritarie per numero rispetto agli spazi dedicati ai suoi tre mariti e al figlio adottivo ma che pure costituiscono un corpus unico nel suo genere perché dedicato ad una donna, anzi due donne, fatto più unico che raro nel mondo bizantino e più ampiamente medievale. Pur essendo state di frequente impiegate per illustrare trattazioni storiche a lei dedicate, a partire almeno dallo Schlumberger alla fine dell’Ottocento, queste immagini non sono, mi sembra, mai state studiate in tutta la loro complessità, tranne che, forse, in un articolo di Hill, James, Smythe, e solo per quanto riguarda i matrimoni-incoronazione (superficialmente trattati anche dal Walter). A quanto mi consta una vera e propria monografia non è mai stata dedicata a Zoe: se così fosse, sarebbe una lacuna che si dovrebbe presto colmare. Marco Di Branco, Da Bisanzio ad al-Andalus: storie di libri e ambascerie Uno dei problemi più complessi e affascinanti concernenti il cosiddetto Kitâb Hurûšiyûš (la traduzione araba delle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio, già oggetto di un mirabile studio di Giorgio Levi Della Vida) è certamente quello dell’ambasceria bizantina alla corte dei califfi cordobesi, al quale è connessa la questione dell’identità dell’“imperatore Armâniyûs”, che secondo una fonte araba nel 948 o 949 avrebbe donato al califfo di Cordoba ‘Abd al-Rahmân III alNâsir due importanti manoscritti: le Historiae di Orosio e il De materia medica di Dioscoride. Per Giorgio Levi Della Vida, non vi è ragione di dubitare del dono di Dioscoride, mentre quello dell’Orosio sarebbe più sospetto. Per quanto riguarda la cronologia, egli nota invece come nel 948 o 949 l’imperatore bizantino non fosse Armâniyûs, cioè – a suo avviso – Romano I Lecapeno, bensì Costantino VII Porfirogenito, e ricorda come gli storici maġribini e andalusi riferiscano di sue ambasciate a Cordoba, nel 336/947-8 e nel 338/949: le fonti arabe confonderebbe dunque Romano con Costantino. Tuttavia, è possibile proporre una ricostruzione diversa, in grado di ‘salvare’ tutti i dati a disposizione: questi ultimi, infatti, al di là dei loro aspetti apparentemente contraddittorî, sembrano costituire un insieme piuttosto coerente e di notevole interesse. Vera von Falkenhausen, La pubblicazione degli atti greci del fondo Messina dell’Archivio Ducal Medinaceli a Toledo Nel 1679, in seguito al fallimento di una rivolta dei Messinesi contro la Spagna, i privilegi e atti della città di Messina furono confiscati dal vice-re spagnolo Francisco Benavides, conte d’Esteban. Dopo un iter archivistico alquanto complicato, i documenti del fondo Messina, tra cui 213 in lingua greca, si trovano oggi nell’Archivio Ducal Medinaceli nel Palazzo Tavera a Toledo. Per quanto riguarda la pubblicazione, i documenti privati vengono editi da Cristina Rognoni, mentre quelli pubblici da Vera von Falkenhausen. La relazione darà un panorama della consistenza del fondo greco, indicazioni relative alla provenienza dei documenti e ai problemi di carattere diplomatico e informazioni sullo stato della pubblicazione. Marina Falla Castelfranchi, L'iconostasi di Montecassino e i suoi modelli Il prezioso manufatto descritto con dovizia di particolari da Leone Ostiense, e di cui esiste una ricostruzione di Conant, non ha finora suscitato studi specifici. Anche nel recente lavoro sulla Cronaca di Montecassino, curato da Aceto e Lucherini, ci si è limitati alla traduzione del lungo passo latino, senza approfondire, p.e., i legami con la bella iconostasi lignea di Santa Maria in Valle Porclaneta nella Marsica, verosimilmente esemplata da quella cassinese: quest'ultima mostrava una ricca decorazione, con icone "tonde" e quadrate dipinte e d'argento massiccio. In area bizantina, l'iconostasi può presentare sia trabeazioni lignee - mi riferisco al periodo mediobizantino - sia soprattutto marmoree, specie a Costantinopoli e in Asia Minore, dove vanno in parte ricercati i modelli per quella di Montecassino. Come si vedrà, la linea genealogica affonda le radici nel primo periodo bizantino: mi riferisco specificatamente alla trabeazione della Santa Sofia giustinianea, in cui erano incastonate immagini di Cristo e santi entro clipei, che a sua volta, nel gioco fra l'abside dal decoro non figurativo, e le immagini scivolate sulla trabeazione, evoca il caso romano, costantiniano, della chiesa laterana: si ricordi anche, come è noto, che le icone stesse giunsero da Costantinopoli, come anche alcuni artisti chiamati dall' abate Desiderio. Le icone "tonde" di Montecassino, tipologia che in alcuni inventari bizantini viene etichettata come "a forma di scudo" p.e. nel testamento di Eustazio Boilas, del 1059 -, trovano confronto in casi di simili manufatti menzionati anche in alcune fonti medievali campane, e si tratta di una forma che deriva dalle imagines clipeatae romane con funzione funeraria, categoria di immagini tradizionalmente legata anche all'origine dell'icona stessa. Proiettato entro più vasti orizzonti, il caso dell'iconostasi di Montecassino, seppure apparentemente desueto alle nostre latitudini, mostrerà, intatto, il suo DNA consentendo anche una migliore conoscenza di queste peculiari strutture e della loro decorazione negli stessi ambiti bizantini, in sincronia con il momento più significativo della trasformazione del templon in iconostasi. Marco Fanelli, Il problema della destinazione degli Amori degli Inni divini di Simeone il Nuovo Teologo Il carattere estremamente elevato, sublime e trascendente di questi scritti, l’altezza della teologia e la profondità della loro manifesta conoscenza contemplativa credo che non siano a tutti comprensibili ed accessibili. Il significato profondo e la tensione estatica di queste parole che aprono la praefatio con la quale Niceta Stethatos introduce la raccolta degli Inni di Simeone il Nuovo Teologo da lui edita, uniti all’intento apologetico, che nel complesso è possibile ascrivere alla medesima, hanno determinato un’univoca interpretazione del corpus innologico simeoniano. La convergenza di queste tre motivazioni e la certezza del fatto che Simeone in vita non ritenne mai conveniente ed opportuno pubblicare i suoi Inni hanno tacitamente avvalorato l’ipotesi che gli scritti del Nuovo Teologo siano stati composti al solo scopo di verbalizzare i numerosi rapimenti estatici ed i dialoghi mistici con l’Altissimo che si ripeterono con varia intensità durante l’esistenza dell’igumeno di san Mamas. Un siffatto presupposto ha conseguentemente condizionato gli studi moderni, concentrando l’attenzione degli specialisti in particolare su due settori di ricerca tra loro interdipendenti: la definizione dei contenuti teologici e mistici ed il rilevamento del portato autoreferenziale caratteristico della lingua e dello stile del nostro poeta. L’accertamento di ortodossia della mistica simeoniana ed il conseguente studium esclusivo dei contenuti teologici hanno allontanato la critica dall’osservazione analitica del corpus. Si potrebbero indicare numerosi nuovi ambiti di studio tra i quali, ad esempio, l’identificazione del pubblico al quale Simeone rivolge la sua fatica poetica. Chiara Faraggiana, Una anonima "Relation" in antico tedesco, da originali veneziani e ragusini, circa eventi costantinopolitani del 1622. Il documento che prenderemo in esame, finora sfuggito all’attenzione degli storici di vicende turche e veneziane, è propriamente una Flugschrift, uno di quegli opuscoletti oggi divenuti materiale librario rarissimo, in quanto non erano di per sé destinati a essere archiviati nelle pubbliche biblioteche. Quanto alle fonti diplomatiche veneziane a cui l’anonimo traduttore dice di attingere, non se ne conosce una edizione a stampa e solo un’accurata ricerca negli archivi, che non si è potuta purtroppo intraprendere, potrà accertare se siano conservate o no. Il frontespizio recita: Warhafftige Relation Was gestalt zu Constantinopel die Janitscharen gemeutet / den Sultan Osman gefangen genommen / den Mustafa zu einem Sultan auffgeworffen / welcher den 2. Junii den Osman stranguliren lassen. Aus glaubwirdigen Schreiben von Ragusi und Venedig gezogen / und aus Italianischer Sprache in die Teutsche ubergesetzt, gedruckt im Jahr 1622. Relazione veritiera, in che modo i giannizzeri sono insorti, hanno fatto prigioniero il sultano Osman, hanno eletto sultano Mustafà, che il 2 giugno di quest’anno ha fatto strangolare Osman. Tratta da scritti degni di fede di Ragusa e Venezia e tradotta dalla lingua italiana nella tedesca. Stampata nell’anno 1622. Si tratta di una pubblicazione stampata forse nella Germania centro-orientale, poiché è stata ‘riciclata’ (forse illegalmente?) una marca che compare in una Flugschrift uscita dai torchi di uno stampatore in Lipsia, attivo nella prima metà del secolo XVI, inoltre i soli quattro esemplari che si sono potuti reperire come ancora esistenti a livello mondiale sono custoditi in biblioteche site nell’area relativamente ridotta della Germania centro-orientale che è compresa fra Gottinga a occidente e Dresda a oriente. Il suo interesse maggiore è costituito dalla testimonianza inedita su un sultano anomalo, Mustafà I. La Relation pare confermare quanto si ricava anche da altre fonti storiche e diplomatiche occidentali e dai pregevoli codici greci che facevano parte della sua biblioteca personale: che si trattasse di una personalità estremamente propensa a una vita religiosa, con gusti e inclinazioni più da asceta che da sovrano, un individuo molto colto e assolutamente privo di ostilità nei confronti della civiltà cristiana. Un sultano davvero molto particolare. Gianfranco Fiaccadori, Kalenderhane Camii: prima e dopo In base a documenti greci e soprattutto arabi fin qui trascurati, la grande basilica costantinopolitana nota col nome turco di Kalenderhane Camii, presso il centro della vecchia Istanbul, deve identificarsi non già, secondo l’opinione corrente, con la chiesa della Theotokos Kyriotissa, ma con quella del Christos Akataleptos, menzionata in una serie di fonti bizantine dal XIII al XV secolo. Ugualmente da riconsiderare è l’identità dell’edificio nella sua fase latina (1204-61), con il famoso ciclo di dipinti sulle storie di san Francesco. Roberta Flaminio, I sarcofagi bizantini del Museo di Santa Sofia a Istanbul Oggetto della comunicazione, che si inserisce nell’ambito del progetto di ricerca delle università di Roma “La Sapienza” e Roma “Tor Vergata” (coordinato dalle Prof.sse A. Guiglia e C. Barsanti) sulle sculture dell’Ayasofya Müzesi di Istanbul, sono i sarcofagi marmorei della collezione lapidaria del Museo di Santa Sofia a Istanbul. Essi costituiscono un insieme di grande interesse comprendente esemplari di diverse tipologie che si distinguono sia per il materiale sia per il decoro ed appartengono per lo più alla prima età bizantina. Come altre categorie di materiali scultorei che, fin dalla fondazione, hanno accresciuto a più riprese la collezione del Museo, anche i sarcofagi provengono da differenti siti e contesti della Costantinopoli bizantina, come il complesso del Pantokrator, il monastero di Lips o gli scavi di Beyazid. Giovanni Gasbarri, Gli avori bizantini del Museo Civico Medievale di Bologna: arte, collezionismo e imitazioni in stile Il Museo Civico Medievale di Bologna custodisce una piccola ma notevole raccolta di opere d’età medievale in avorio e osso, costituita da otto oggetti di varia tipologia: una valva di dittico ecclesiastico, una cassettina a rosette, e alcune placche appartenute in parte a cofanetti. Ad esse, va aggiunto un interessante rilievo in osso raffigurante un Cristo benedicente in trono, che fin dai primi anni del XX secolo è stato riconosciuto come non autentico. Il presente contributo, frutto di una ricerca condotta su documentazione d’archivio inedita o poco nota, vuole tentare di ripercorrere la storia della formazione e della musealizzazione della suddetta raccolta. Sebbene tali vicende si presentino piuttosto discontinue e difficilmente ricostruibili nella loro interezza, è comunque possibile rintracciare alcuni interessanti informazioni in merito alla conservazione e alla tesaurizzazione delle opere, alla luce del complesso panorama del collezionismo italiano di antichità medievali dei secoli XVIII e XIX. Emerge con particolare rilievo la figura del pittore Pelagio Palagi (1775-1860), precedente proprietario di gran parte degli oggetti eburnei più interessanti oggi a Bologna. Le numerose carte dell’archivio Palagi conservate presso le istituzioni locali hanno restituito una personalità di collezionista originale, sfaccettata e poliedrica: la fitta corrispondenza intrapresa con la famiglia di antiquari veneziani Sanquirico consente infatti di verificare l’attenzione con cui il Palagi s’interessò dell’acquisto di pezzi anche assai lontani dagli orizzonti estetici e culturali del tempo, com’è il caso dei suddetti avori. Una raccolta, questa, che si dimostra caratterizzata da una propria specifica anche se ancora nebulosa identità, sullo sfondo del panorama del collezionismo e della cultura artistica dell’Italia centro-settentrionale a cavallo tra ‘700 e ‘800. Renata Gentile, Sulle relazioni internazionali di Bisanzio durante il regno di Isacco II Angelo Sulla scorta di fonti storiche e retoriche saranno studiati i rapporti di Bisanzio con l’estero durante il regno di Isacco II Angelo (1185-1195), un decennio rilevante per l’evoluzione interna dell’Impero bizantino e per la ridefinizione delle sue relazioni con le potenze straniere alla vigilia della IV Crociata. Si appunterà l’attenzione, in particolare, sui rapporti con l’Europa occidentale. Alessandra Guiglia, Il progetto di ricerca sulle sculture della Santa Sofia di Istanbul: bilancio e prospettive Un monumento straordinario e complesso come la Santa Sofia di Istanbul offre innumerevoli possibilità di lettura e di analisi lungo lo stratificato scorrere della sua plurisecolare esistenza. La chiave interpretativa scelta dal progetto di ricerca, ormai giunto al decimo anno, è quella della decorazione scultorea, osservata da diverse angolazioni e considerata in primo luogo nel contesto della fabbrica giustinianea, in particolare plutei, transenne e soffitti marmorei che di essa costituiscono una vera e propria ossatura. Agli arredi in opera è stato poi indispensabile, in una seconda fase, aggiungere quelle sculture che con la storia dell’edificio sono strettamente connesse ma che giacciono oggi nel giardino circostante, ospiti del moderno Ayasofya Müzesi, nato nel 1935. Il progetto si è così esteso a questa ricca raccolta lapidaria che costituisce, per la varietà e l’importanza dei pezzi, un assai significativo punto di riferimento per lo studio della scultura bizantina nel contesto dell’antica Costantinopoli. A corollario di questa linea-guida, coordinata dalle università romane della Sapienza e di Tor Vergata, sono via via maturate le ricerche parallele su altri aspetti della decorazione della Grande Chiesa connessi con il settore della scultura, come i rivestimenti marmorei in opus sectile o i manufatti bronzei, dalle porte agli arredi minori. Si cercherà dunque di offrire un bilancio complessivo del lavoro concluso e nel contempo di delineare in prospettiva le nuove tappe del progetto di ricerca. Antonio Iacobini, Annalisa Gobbi, Il progetto Portae byzantine Italiae: corpus delle opere e documentazione informatizzata Il progetto Portae byzantine Italiae – avviato nel 2004 dalla Sapienza Università di Roma con il coinvolgimento di numerosi enti e istituzioni che hanno competenza sulla tutela e la conservazione del patrimonio artistico – ha per obiettivo lo studio unitario delle porte bronzee mediobizantine fabbricate a Costantinopoli e destinate sin dall’origine agli ingressi di alcuni dei più prestigiosi monumenti dell’Italia romanica (ad Amalfi, Montecassino, Roma, Monte Sant’Angelo, Atrani, Salerno, Venezia). Le otto coppie di battenti giunsero nella penisola tra il 1060 e il 1120 circa su specifica richiesta di committenti italiani. Quattro di esse (Amalfi, Montecassino, Roma, Monte Sant’Angelo) vennero eseguite grazie al coinvolgimento di due esponenti della nobile famiglia amalfitana de Maurone comite. Ma anche per altre tre è documentata la committenza di personaggi di rilievo: Pantaleone Viarecta per la porta di Atrani; il protosebastos Landolfo Butrumile per la porta di Salerno; il procuratore Leo da Molino per la porta centrale di S. Marco a Venezia. Questi preziosi manufatti – di cui nelle regioni dell’impero d’Oriente non sono sopravvissuti altri esemplari – non rappresentano solo un fenomeno di gusto legato al sempre più largo successo riscosso in Italia dalle arti suntuarie bizantine, ma sono anche un documento di primaria importanza per ricostruire quelle rotte commerciali e artistiche mediterranee nelle quali svolsero un ruolo decisivo le “Repubbliche marinare”. Per ogni coppia di battenti, il progetto di ricerca prevede la messa a punto di un’«edizione critica», basata sull’analisi e la descrizione del pezzo, la raccolta e la schedatura della letteratura relativa, della documentazione archivistica e dell’iconografia storica (disegni, incisioni, fotografie antiche). Il lavoro, che sarà condotto sulla base di un protocollo comune, provvederà a riunire per la prima volta sistematicamente i dati metrici e quantitativi, i soggetti iconografici dei programmi, i testi delle iscrizioni, i dati relativi ai restauri e alle condizioni conservative, alle tecniche e ai materiali impiegati. Strettamente complementare sarà l’esecuzione di una documentazione grafica e fotografica completa ed omogenea su supporto digitale per tutte le otto porte bronzee, oggetto fino ad oggi solo di riproduzioni parziali realizzate in epoche e con criteri diversi. Questo duplice approccio consentirà la messa a punto di una banca dati che offrirà la possibilità di consultare simultaneamente schede di rilevamento e immagini, dando l’opportunità di effettuare specifiche interrogazioni di tipo storico e tecnico. Obiettivo finale della ricerca sarà la preparazione di un corpus composto di otto monografie, ciascuna articolata in capitoli dedicati ai diversi aspetti del manufatto analizzato ed accompagnata da un atlante di immagini. Frederick Lauritzen, La digitalizzazione dei Sinodi bizantini e postbizantini La Fondazione per le Scienze di Bologna (www.fscire.it) ha intrapreso un progetto di digitalizzazione della collezione dei concili e sinodi del Mansi al fine di rendere accessibili online tutti i volumi del Mansi e di aggiornare i testi editi all’epoca con edizioni criticamente aggiornate. Per questo è stato effettuato un accordo con il progetto Thesaurus Linguae Graecae di Irvine, California, per quanto riguarda i decreti sinodali greci bizantini e postbizantini. Il progetto sarà costituito da due parti principali: 1. Immagini digitali ad alta risoluzione del testo originale del Mansi; 2. i testi bizantini, oltre che dei testi del mondo ortodosso slavo, rumeno e georgiano. Questa sovvraposizione permetterà di avere accesso ai testi del Mansi e di studiare le versioni critiche più recenti. L’utilizzo della mappatura dei caratteri di Unicode 5.1 permette di utilizzare con facilità il motore di ricerca da qualsiasi piattaforma. Lo scopo di tale progetto è anche di rendere visibile il ruolo delle assemble conciliari nella tradizione cristiana. Per quanto riguarda il mondo ortodosso questa è un’opportunità per accostare digitalmente i testi delle varie tradizioni bizantine e postbizantine sia di lingua greca sia di altre aree ortodosse e per promuovere le nuove edizioni critiche di decreti importanti della tradizione orientale. Renata Lavagnini, Un pioniere degli studi di filologia greca medievale: Spyridon Zambelios Spyridon Zambelios (1815-1881) è noto come autore di romanzi a sfondo storico, e come antesignano della riabilitazione di Bisanzio nel nuovo regno di Grecia. Meno conosciuto è il suo interesse erudito per alcuni dei più antichi testi della letteratura greca volgare, che fa di lui anche per questo aspetto un pioniere. Santo Lucà, Su alcuni codici apulo-lucani dei secoli XI e XII Nonostante sia stato indagato in tutte le sue correlazioni al punto che è stato possibile proporre mature sintesi di ordine storico-culturale complessivo, il libro italogreco offre ancora possibilità di nuove acquisizioni e di ulteriore approfondimento, specialmente in relazione all'articolato ventaglio grafico che esso esibisce. Il presente contributo intende richiamare l'attenzione su un filone grafico non ancora adeguatamente indagato, la cosiddetta minuscola apulo-lucana testimoniata in numerosi manoscritti (oltre trenta), tutti realizzati fra la seconda metà del secolo XI e il primo quarto del secolo XII. Di essa saranno rilevati aspetti grafici, codicologici, decorativi, testuali. Attraverso l'analisi di alcuni testi liturgici e sulla base delle circostanze di conservazione si tenterà di individuare le coordinate spazio-temporali, che al momento paiono circoscritte agli ambiti salentino e lucano. La scrittura, infatti, risulta adoperata, oltre che in Terra d'Otranto (specialmente in milieu tarantino), nel monastero dei SS. Elia e Anastasio di Carbone in Basilicata, monastero che proprio fra XI e XII secolo conobbe, sotto l'igumenato di Nilo II († 1134), un periodo di rigoglio economico e culturale. Adalberto Mainardi, La formula della preghiera esicasta nella letteratura antico-russa La tradizione letteraria antico-russa, e in particolare l’agiografia, si forma su modelli bizantini. Ma anche il monachesimo nella Rus’ mutua dalla tradizione bizantina forme, consuetudini, percorsi spirituali, in un fecondo scambio che, dietro un apparente ripetersi, conosce cambiamenti, evoluzioni, riforme. La relazione si propone di verificare continuità e innovazione nella trasmissione della tradizione spirituale bizantina in terra russa dall’epoca della “seconda ondata slavo-meridionale”, nel caso specifico della letteratura monastica sulla preghiera (fine XIV – inizi XVI secolo). Saranno esaminati materiali agiografici, traduzioni e compilazioni, con una particolare attenzione all’opera di Nil Sorskij (1430-1508), che gli autori russi del XVIII e XIX secolo considereranno l’iniziatore di una tradizione ascetica specificamente russa. Bernadette Martin Hisard, Une version géorgienne du Synodikon de l’Orthodoxie (début XIe siècle) La traduction géorgienne du Synodikon de l’Orthodoxie fut faite au début du XIe siècle sur le mont Athos par le moine géorgien Euthyme l’Hagiorite. Elle fait partie d’un ensemble de traductions réalisées par le même Euthyme, ensemble qui constitue un ouvrage intitulé “Nomocanon de Jean le Jeûneur et du VIe concile” ou encore “Petit Nomocanon”. On étudiera ici les caractères originaux de cette version peu connue du Synodikon et on s’interrogera sur sa présence à l’intérieur d’un ouvrage qui affirme se situer à l’intérieur du genre nomocanonique byzantin. Maria Rosaria Marchionibus, Sulla decorazione pittorica bizantina della cappella di S. Giacomo presso Camerata (CS) Nel quadro rarefatto della pittura bizantina in Calabria si inseriscono gli affreschi conservati nel Protoconvento francescano di Castrovillari, sede del Museo Civico Archeologico, e provenienti dalla cappella di S. Giacomo, piccolo edificio a navata unica, sito presso Camerata (Cosenza), oggi ridotto a deposito di attrezzi agricoli. Le pareti della piccola chiesa erano ricoperte dalle figure di santi stanti, rappresentati uno accostato all’altro, in una sorta di teoria continua, che evoca quasi l’articolazione delle icone menologio. Nell’abside era, invece, campita una Deisis, ubicazione diffusissima in Italia meridionale, soprattutto nelle cripte pugliesi. Tutte le immagini sopravvissute – ridotte a pochi frustoli – sono state montate su supporti di vetroresina e ora sono esposte in un’unica sala del convento francescano. Le figure appaiono perfettamente frontali, caratterizzate da un forte linearismo e stilisticamente affini agli affreschi di Hosios Loukas, con cui condividono anche la peculiare modularità e alcune tipologie delle vesti. La decorazione di S. Giacomo è un esempio emblematico della produzione pittorica bizantina in Calabria che, nonostante la frammentarietà e lo stato di conservazione degli affreschi superstiti, spesso pessimo, manifesta prepotentemente il suo sostrato greco fino quasi agli inizi del XIV secolo, quando la Napoli angioina assumerà progressivamente il ruolo di principale polo di attrazione artistica dell’Italia meridionale. Infatti, i documenti pittorici bizantini superstiti nella Calabria medievale fino a tale periodo, sia pure con un’intensità diversa e nella loro estrema episodicità, risultano tutti profondamente pervasi di cultura bizantina e persino, a volte, aggiornati alle tendenze più avanzate della coeva pittura metropolitana orientale, allargando, così, il panorama pittorico medievale dell’Italia meridionale verso orizzonti più ampi. Susy Marcon, Restauri bessarionei nei manoscritti marciani La trasmissione della cultura e dei testi significò per il cardinale Bessarione anche la cura e il restauro dei propri manoscritti antichi. Integrazioni testuali effettuate mediante l'aggiunta di fogli, nuove serie di segnature dei fascicoli e rare manipolazioni di miniature costituiscono le tracce di un lavoro sistematico operato all'interno della biblioteca bessarionea. Giuseppina Matino, Teodoro di Ermopoli ed il ‘Commento’ alle Novelle di Giustiniano Alla morte di Giustiniano la letteratura giuridica subisce una trasformazione, soprattutto in merito alle forme che essa assume nelle opere dedicate all’insegnamento. Non essendo più possibile la lettura in lingua originale del Corpus Iuris Civilis per la ignoranza del latino in Oriente, gli scholastikoi, succeduti agli antecessori nell’insegnamento del diritto, si dedicano a rielaborazioni ed adattamenti dei testi originari. Di codesta produzione, attestata per lo più in forma frammentaria negli Scoli ai Basilici, ci è pervenuto integralmente un commento, definito Breviarium nell’edizione critica di Heimbach, alle Novelle di Giustiniano ad opera di Teodoro di Ermopoli. Mariella Menchelli, Giorgio Oinaiotes lettore di Platone. Osservazioni sulla raccolta epistolare del Laur. San Marco 356 e su alcuni manoscritti dei dialoghi platonici di XIII e XIV secolo In una lettera inedita attribuibile a Giorgio Oinaiotes si fa esplicito riferimento alla copia di esemplari delle opere platoniche e all’amore per la lettura di Platone. L’epistolario stesso di Oinaiotes conferma che Platone costituisce una delle letture più richieste e ciò comporta la ricerca di testimoni, in particolare di alcuni dialoghi. L’epistolario attesta inoltre come la lettura di Platone avvenga senza dubbio per Oinaiotes con l’ausilio dei commentatori neoplatonici: per lo studio del Timeo si richiede il commento di Proclo, e i commentatori aristotelici vengono parimenti citati nell’epistolario accanto ad Aristotele. Per Oinaiotes, accanto all’interesse per altri autori, hanno dunque un certo rilievo gli studi filosofici, come per figure di spicco della Costantinopoli dei Paleologi, citate nel suo epistolario o suoi corrispondenti (Matteo di Efeso, Teodoro Metochites). La tradizione indiretta può essere posta a confronto con i dati materiali: alcuni manoscritti confermano aggregazioni e interferenze e attestano modi di lettura analoghi. Platone circola anche in codici miscellanei che richiedono più ampie trattazioni, e che attestano altrimenti le associazioni e intersezioni tra platonismo e neoplatonismo. Valerio Massimo Minale, Diritto bizantino ed eresia manichea Il lavoro intende ricostruire la disciplina che nel corso del tempo è stata imposta all’interno del sistema del diritto bizantino nei confronti del manicheismo, termine con cui spesso venivano identificate le eresie di stampo dualistico, attraverso uno studio delle fonti normative nelle quali viene affrontata la questione: l’analisi della conservazione dei principî stabiliti dalla codificazione teodosiana e quindi dalla legislazione giustinianea, passata attraverso il crogiuolo di un commento infaticabile e rielaborata in vario modo soprattutto nella stagione della “rinascenza” macedonica, offre un ottimo punto di osservazione per comprendere in quale senso autentico anche all’interno dell’ordinamento deputato alla lotta alle eresie avesse potuto trovare luogo il ricorso a schemi nuovi per risolvere problemi antichi, e viceversa. Simona Moretti, I colori della fede: icone a smalto e a mosaico tra X e XIV secolo Le icone a smalto e a micromosaico si diffondono a partire dall’età macedone e condividono alcuni importanti aspetti, quali i motivi decorativi, l’effetto della materia e una certa “parentela” nel procedimento tecnico, così da suggerire l’ipotesi di una produzione delle immaginette sacre musive negli (o in rapporto agli) ergasteria che realizzavano opere d’oreficeria e di smalto (Furlan 1979). La relazione si propone di evidenziare ulteriori elementi di condivisione tra icone smaltate e a mosaico di formato piccolo: da un punto di vista genericamente formale a particolari suggestioni iconografiche, da letture iconologiche a implicazioni antropologiche. Cobaltina Morrone, La Vita di san Marciano: fra agiografia, laudatio ed ecursus L'agiografia siculo-calabrese di età normanna e pre-normanna ci offre interessanti spazi di ricerca su una serie di questioni relative tanto alla storia della Chiesa e del culto dei santi nell'Alto Medioevo quanto alle modalità retoriche di elaborazione dei testi. Un esempio ci viene dalle narrazioni relative alla vita di san Marciano: qui per cominciare abbiamo un curioso intreccio di generi e lingue perché, mentre l'unica vita vera e propria di cui disponiamo è in lingua latina, ma risale verosimilmente a un originale in greco, ci sono pervenuti invece una laudatio e un lungo excursus inserito nella Vita di san Pancrazio. Il momento di massima diffusione del culto può essere collocato intorno all' VIII secolo, ma l'agiografia fa di Marciano un discepolo di s. Pietro, anche se poi non è molto coerente la successione cronologica delle vicende a lui attribuite e di quelle successive alla sua morte. Un altro aspetto che merita di essere approfondito è quello dell'uso della biografia nella disputa per la superiorità fra le diocesi, in particolare quella di Siracusa e di Taormina, che ricercavano entrambe in Pietro la loro origine, a conferma di una collocazione nell'ambito delle ricorrenti controversie con la Chiesa di Costantinopoli sul primato di Roma. Francesca Rizzo Nervo, Fra Oriente e Occidente: Kalila wa Dimna a Bisanzio e in Sicilia Dello Stefanitis e Ichnelatis, versione greca del Kalila e Dimna arabo, sono pervenute due redazioni, una lunga e una breve. A partire dall'edizione di quest'ultima a cura di L.-O. Sjöberg, dei primi anni Sessanta, è opinione diffusa che la versione lunga sia un ampliamento della versione breve, la cui traduzione è attribuita a Symeon Seth e all'epoca dell'imperatore Alessio Comneno. Una famiglia di codici della redazione lunga sembrerebbe rimandare a una traduzione avvenuta in Sicilia in epoca normanna sotto la supervisione di Eugenio di Palermo. Ad Eugenio sono stati attribuiti da tutti gli studiosi sia l'aggiunta dei cosiddetti Prolegomena sia l'inserimento di altro materiale arabo non compreso nella redazione breve. A queste conclusioni si è sostanzialmente giunti sulla base dell'analisi della tradizione manoscritta dell'opera e con l'ausilio della versione araba del Kalila e Dimna e delle traduzioni esistenti in altre lingue europee. Finalità della comunicazione è dimostrare la fragilità della tesi che sostiene l'anteriorità di una redazione rispetto all'altra. Si è, infatti, in presenza di un'opera trasmessa da un congruo numero di manoscritti che tramandano testi di registro linguistico differente e sono frutto, quanto meno, di contaminazioni e rielaborazioni tali da non permettere una loro classificazione affidabile. Sandra Origone, La prima visita di Giovanni VIII Paleologo in Italia (1423-1424) Dei due viaggi di Giovanni VIII Paleologo in Occidente quello a cui la storiografia ha prestato maggiore attenzione è evidentemente il secondo, compiuto dall’imperatore per recarsi al concilio di Ferrara-Firenze. Tuttavia anche il primo, che si svolse tra il 1423 e il 1424 in Italia e in Ungheria, rappresentò un tentativo concreto di realizzare un’alleanza cristiana contro i Turchi. La ricerca si propone di indagare alcuni aspetti meno noti delle relazioni intrattenute dall’imperatore con le potenze italiane in quell’occasione. Francesco Osti, L'Epistola invettiva di Eutimio della Peribleptos (1050 ca.) nei codici a 840 e 604: una versione breve e un rimaneggiamento L’opuscolo noto come Epistola invettiva contro gli eretici fundagiagiti o bogomili, redatto attorno al 1050 dal monaco Eutimio della Peribleptos, è giunto a noi in diverse versioni, sulle quali manca ad oggi uno studio sistematico. Nel nostro intervento ci concentreremo su due testi traditi da altrettanti manoscritti conservati alla Biblioteca Vaticana. Il primo, che si trova ai ff. 185r-188v del Vat. gr. 840, è stato fino ad oggi considerato una ‘versione breve’ o ‘epitome’ di altre versioni più lunghe dell’Epistola (edite da Gerhard Ficker, Die Phundagiagiten. Ein Beitrag zur Ketzergeschichte des byzantinischen Mittelalters, Johann Ambrosius Barth, Leipzig 1908, pp. 186). Il secondo, conservato ai ff. 13v-14v del Vat. gr. 604, è invece una sorta di collage eresiologico che si compone di una serie di excerpta provenienti dal Synodikon dell'ortodossia e dall'Epistola invettiva, di cui può pertanto essere considerato un testimone indiretto. Cecilia Pace, Dossier su san Nilo, fondatore del monastero di Geromeri Di Nilo Erichiotes (1250 circa-1335 circa) ci sono pervenuti, in varie edizioni, la Vita, l’Acolutia e il Testamento. La Vita di Nilo e una parte del Testamento sono stati pubblicati da P. Αravantinos nella rivista Pandora (gennaio 1865). A. Panaghiotidis ha poi pubblicato, nel 1900, la Vita e il Testamento. In questa seconda edizione i testi sono riportati integralmente. Infine, si dispone dell’edizione di B. Krapsitis (1972), che riprende quella di A. Panaghiotidis. Krapsitis presenta un catalogo dei manoscritti conservati nel monastero di Gheromeri. Grazie a questo catalogo scopriamo che esistono due manoscritti della Vita di san Nilo: uno del 1903 e uno del 1911. Sappiamo però che nella biblioteca è conservato un altro manoscritto della Acolutia di Nilo risalente al XVI secolo (L. Vranoussis 1964), mentre un manoscritto più antico contenente il Testamento è andato distrutto agli inizi del XIX secolo. Il testo della Vita nell’edizione del 1900 differisce dal testo dell’edizione del 1865. È chiaro perciò che il prosieguo della ricerca consisterà nello studio del testo dei tre manoscritti conservati nella biblioteca del monastero e delle due edizioni successive. Stefano Parenti, Da Stoudios a Mar Saba: il contributo del Medioevo slavo all'ultimo capitolo dell'innografia bizantina Come necessaria premessa metodologica, la relazione propone una rilettura delle coordinate liturgiche, geografiche e cronologiche entro le quali al genere innografico del kontakion si affianca il genere del canone. Vengono poi analizzate le conseguenze nella redazione dei libri innografici del passaggio dalla regola liturgica di Stoudios a quella di Mar Saba, in particolare tra gli Slavi meridionali con riscontri nel mondo bizantino. Silvia Pasi, Le scene dell’Annunciazione e dell’Adorazione dei Magi e dei pastori nella chiesa di Al-Adra nel convento di Deir el-Surian (Wadi Natrun): una pagina di pittura bizantina in ambiente copto Nella chiesa di Al-Adra nel convento di Deir el-Surian nel Wadi Natrun, che conserva un cospicuo repertorio pittorico venuto alla luce solo in anni recenti, e pertinente ad almeno quattro campagne pittoriche, si trovano due dipinti di straordinario interesse, sia sul versante dell’arte copta sia su quello dell’arte bizantina, in quanto dimostrano la loro estraneità al panorama pittorico del Medioevo copto, quale venne a configurarsi dopo la conquista araba dell’Egitto (641). Si tratta di un’Annuciazione situata nella semicalotta ovest, in séguitro (XIII secolo) occupata da una scena di Ascensione, ora rimossa, e di un’Adorazione dei Magi e dei pastori nella semicalotta nord, ove posteriormente (XIII secolo) venne dipinta una scena di Dormitio Virginis, anch’essa rimossa, e pertinente al quarto periodo pittorico della chiesa, come l’Ascensione. I due dipinti in esame, la cui datazione è tuttora incerta, ma alla quale si tenterà di giungere, presentano caratteristiche assai simili, per cui nulla osta ad attribuirli entrambi allo stesso gruppo di artisti, benché, specialmente nella seconda scena, siano distinguibili più mani. Caratteri di maggior omogeneità manifesta invece la prima. Il denominatore comune di entrambe risiede nel fattore stilistico, caratterizzato da eleganza, elaborato decorativismo, senso di movimento, e da caratteri talora impressionistici che rimandano, non già alla figuratività copta, bensì a quella bizantina del periodo post-iconoclasta. Ciò naturalmente induce a pensare che le due opere siano state eseguite da maestranze venute da fuori, dall’area bizantina o bizantino-provinciale e conferma ancora una volta quanto in altre occasioni ho avuto modo di sostenere, e cioè che la cultura artistica dell’Egitto cristiano non dev’esser vista come un fenomeno locale, in quanto inequivocabilmente faceva parte di quel mondo mediterraneo che ruotava intorno a Costantinopoli. È dunque solo uscendo dall’Egitto e tenendo conto della mobilità degli artisti, che meglio si posson comprendere tanti aspetti della sua arte. E ciò è ipotizzabile a maggior ragione nel convento dei Siriani, da sempre luogo d’incontro e di scambio di culture diverse e che fra i suoi abati ha avuto uomini di levatura culturale e politica veramente alta. Silvia Pedone, “Souvenirs d’une grandeur qui ne s’efface pas”: la Costantinopoli di Giustiniano nei disegni di Charles Texier Oggetto della comunicazione sono alcuni disegni inediti realizzati dall’architetto e archeologo francese Charles Felix-Marie Texier (1802-1871) – oggi conservati a Londra – relativi ai monumenti bizantini di Costantinopoli. Il corpus completo dei disegni dell’architetto, argomento di una ricerca di dottorato, è in procinto di trovare una sua definitiva sistemazione e rappresenta una significativa testimonianza visiva della storia della città, oltre che un pioneristico studio scientifico sui monumenti della capitale d’Oriente. Attraverso le osservazioni originali ricavabili dalla documentazione di Texier è possibile ripercorrere l’evoluzione architettonica di edifici bizantini come la chiesa dei Santi Sergio e Bacco o quella della Santa Sofia, in un momento storico che precede, da un lato, le grandi campagne di restauro intraprese dal sultano Abdülmecid alla metà del XIX secolo, e, dall’altro, ‘fotografa’ le antiche vestigia all’indomani dei cospicui cambiamenti urbanistici imposti dalla modernità. Luca Pieralli, La Synodos endemusa in età Paleologa In questo mio intervento intendo parlare della Synodos del patriarcato ecumenico sulla base dei dati che possiamo ricavare dall’analisi dei documenti patriarcali a noi pervenuti: sia quelli contenuti nel noto registro del patriarcato (Vind. hist. gr. 47 e 48), sia gli originali (una cinquantina in tutto) ancora in nostro possesso. La mia analisi di tipo diplomatistico permette di risalire ai delicati e talora conflittuali rapporti che si vennero a creare tra membri della Synodos e il patriarca in occasione di importanti decisioni e talora con il potere imperiale. L’età dei paleologi ci fa assistere a notevoli cambiamenti delle istituzioni civili ed ecclesiastiche che coinvolgono in modo significativo anche la struttura della Synodos. Spesso però le testimonianze non parlano direttamente delle novità introdotte per fronteggiare le nuove situazioni. L’analisi dei documenti,e soprattutto lo studio degli originali conservati, anche se non numerosi e non attestanti tutte le tipologie note, permette di precisare invece alcuni dati sulla struttura della Synodos e sulla sua azione concreta. Mi propongo, su questa base, di prendere in esame la composizione della Synodos endemusa nella tarda età bizantina cercando di evidenziarne le competenze e il suo campo d’azione, la sua capacità decisionale e la giurisdizione di cui godeva. Se alcuni patriarchi si lamentavano per il numero elevato di metropoliti presenti nella capitale (Atanasio I), vediamo però che per alcune questioni urgenti è il patriarca stesso a richiamare la loro presenza: Gregorio II minacciò infatti di deporre Giovanni Cheilas di Efeso se non avesse raggiunto Costantinopoli (Regestes n° 1506). Una buona parte dell’amministrazione patriarcale veniva infatti gestita in maniera sinodale. La maggior parte degli atti patriarcali sono di fatto degli atti sinodali. Alcuni patriarchi furono in aperto contrasto con la Synodos, sia per la loro autorità (Atanasio I), sia perché l’imperatore aveva, a suo tempo, imposto la loro elezione alla Synodos (Gregorio II; Giovanni XIV Kalekas, Callisto I, Macario), ma in genere la collaborazione fu soddisfacente. Ci soffermeremo anche sulle funzioni giudiziare assunte dal tribunale sinodale alla fine del XIV secolo, il cui funzionamento è stabilito nel regolamento del patriarca Matteo I (Regestes n° 3066). A causa delle frequenti assenze dell’imperatore (ad esempio i viaggi in Occidente di Giovanni V e di Manuele II) si verificò infatti quella che Jean Darrouzès definì la “paralisi degli uffici imperiali”, fenomeno che portò il patriarcato ed il tribunale sinodale ad occuparsi in modo consistente di cause civili. Adriana Pignani, L'ideologia dell'encomio Attraverso una serie di fonti d'epoca e natura diverse (antichi filosofi, Settanta, Padri della Chiesa, trattatistica retorica) si delinea una cognizione dell'encomio del tutto avulsa dall'idea del fittizio e dell'esercizio letterario, con l'essenziale funzione d'essere documento ufficiale d'un potere o d'uno status pubblicamente riconosciuto, ma anche strumento per la conoscenza di inediti aspetti della cultura di Bisanzio. Mario Re, Note per una edizione delle recensioni greche del Martirio di san Vito Il culto di s. Vito ha goduto di una ininterrotta fortuna dal medioevo ai nostri giorni, come testimoniato dalle frequenti traslazioni e dal suo inserimento nel novero dei quattordici santi ausiliatori. Della leggendaria passio, di cui il fanciullo Vito è protagonista insieme all’aio Modesto e alla nutrice Crescenzia, rimangono numerose recensioni latine (in buona parte ancora inedite), traduzioni in slavo e quattro recensioni greche: BHG 1876 (Messan. gr. 29), 1876a (Vat. gr. 866), 1876b (Ottob. gr. 1 e Ottob. gr. 393) e 1876c (Ambr. D 92 sup.). Nessuna di queste recensioni è stata finora pubblicata, se si fa eccezione di alcuni excerpta editi da Augusta Acconcia Longo nel volume di luglio degli Analecta Hymnica Graeca. In questa sede verranno presentati alcuni dei risultati emersi nel corso del lavoro preparatorio all’edizione dei testi greci. L’edizione delle quattro recensioni greche consentirà di porre su basi più affidabili il confronto con le versioni latine. Non escluderei che la priorità finora solitamente assegnata ad una prima redazione in greco possa essere messa in discussione. Lorenzo Riccardi, Alcune riflessioni sul mosaico del vestibolo sud-ovest della Santa Sofia di Costantinopoli Il mosaico del vestibolo sud-ovest della Santa Sofia di Costantinopoli, raffigurante Costantino e Giustiniano nell’atto di offrire i modelli della città e della Grande Chiesa alla Vergine in trono col Bambino, è al centro dell’attenzione di studiosi e cultori d’arte bizantina fin dalla sua non lontana riscoperta, avvenuta tra il 1933 e il 1934, grazie al lavoro di restauro di Th. Whittemore. Manca a tutt’oggi, però, uno studio specifico sull’opera, ad eccezione di quello che più di trent’anni fa le dedicò F. de’ Maffei, e inoltre su di esso si sono stratificate nel frattempo molteplici letture che delineano posizioni assai diversificate in merito alla sua cronologia e al suo significato. In questa sede saranno esposte alcune riflessioni su aspetti fino a oggi solo marginalmente toccati dalla critica, come il rapporto simbolico tra il mosaico del vestibolo e i sigilli degli Ekklesiekdikoi. Si tenterà poi di trovare una risposta, necessariamente aperta, a un problema di primaria importanza, anche per una datazione più puntuale del pannello: quello dell’intenzionalità dell’autore, o meglio, nel nostro caso, del committente, e quindi dell’opera stessa. Non bisogna dimenticare, come scrive M. Baxandall, che «chi realizza un quadro o un altro artefatto storico è un uomo che sta affrontando un problema di cui la sua opera è la concreta e definita soluzione. Per comprendere l’opera cerchiamo di ricostruire sia il problema specifico che l’artefice intendeva risolvere che le circostanze specifiche in cui se lo poneva». Antonio Rigo, I manoscritti e il testo di quattro Etera kephalaia. Da Simeone il Nuovo Teologo a Gregorio Palamas Il contributo presenta i manoscritti e il testo di quattro capitoli attribuiti a Gregorio Palamas, ma che sono in verità estratti delle Catechesi di Simeone il Nuovo Teologo. Lo studio dei codici mostra come all’origine della tradizione di questo testo ci sia un manoscritto delle opere complete di Gregorio Palamas del XIV secolo, il Paris. BNF gr. 1239. La seconda parte dell’intervento spiega le ragioni di questa attribuzione e, allargando la prospettiva, riconsidera il problema dell’influenza di Simeone il Nuovo Teologo sulla mistica bizantina del XIII e XIV secolo. Maria Teresa Rodriquez, Riflessioni sui palinsesti giuridici dell'area dello Stretto L’esame dei volumi palinsesti conservati presso la Biblioteca regionale di Messina ha consentito di individuare tra le inferiores di un unico manoscritto, il Messan. gr. 158, ben tre codici giuridici, due greci ed uno latino, oltre a frammenti di Vite per i mesi di luglio-agosto di un sinassario italogreco del XII secolo. In particolare, uno dei manoscritti greci è risultato essere costituito da alcuni dei fogli mancanti dell’epitome dei Basilici del X secolo edita da Ferrini e Mercati come Supplementum alterum nell’edizione del testo di Heimbach. La scoperta suggerisce l’utilità di riesaminare i manoscritti giuridici copiati in Italia meridionale nel periodo di consolidamento del potere da parte dei Normanni e stimola la verifica, per quanto è possibile, dei codici che, pur provenienti da parti diverse del mondo bizantino, vi fossero comunque presenti. Cristina Rognoni, L'edizione dei documenti privati greci dell'Archivio Ducal de Medinaceli: il dossier di Valletuccio (Calabria, XII-XIV secolo) Si descrive il dossier dei documenti privati greci del fondo « Messina » dell’Archivio Ducal de Medinaceli relativo ai possedimenti dell’Archimandritato del San Salvatore nelle terre calabresi di Valle Tuccio. Viene presentato lo stato di avanzamento dell’edizione ormai prossima di 45 documenti, compresi in un arco di tempo che va dal 1142 al 1355, i suoi criteri e i problemi ancora aperti. Si indicano in particolare i caratteri interni ed esterni degli atti, segnalando le eventuali specificità rispetto ad altra documentazione: lingua e formulari, mise en page e caratteristiche del protocollo e delle sottoscrizioni testimoniali, caratteristiche grafiche di alcuni dei notai più attivi nella zona. Si delinea il contorno di una « carta » dei possedimenti dell’archimandritato in quest’area, e, di qui, della zona di persistente influenza greca; una carta che, pur variando i suoi confini nel corso del tempo, attesta un paesaggio rurale articolato, la trasformazione dei rapporti economici e le conseguenti modificazioni nelle gerarchie sociali. Silvia Ronchey, Volti di Bessarione Nella multiforme, quasi polimorfa varietà dei ritratti sopravvissuti fino ad oggi, Bessarione ci appare contrassegnato dagli emblemi della sua seconda vita occidentale: la barba e il saio nero basiliano, su cui contrasta il cappello cardinalizio rosso. La peculiarità del suo status di cardinale orientale della curia romana, la duplicità e ambivalenza della sua identità culturale e politica, quella che possiamo definire la sua “inappartenenza”, portarono quanti lo conobbero non solo a ritenerlo, secondo la celebre definizione di Lorenzo Valla, “latinorum graecissimus, graecorum latinissimus”, ma anche, per certi versi, soggetto estraneo e alieno, inquietante perfino. In particolare la “prolissa barba” bizantina che sempre volle serbare in mezzo alla curia lo fece definire “unico caprone in mezzo a tante capre”, come testimonia Poggio Bracciolini in una delle sue Facezie, o tout court “un caprone barbuto”, secondo l’espressione del consigliere von Heimburg tramandataci dalla notizia della Cronaca di Norimberga sulla sfortunata ambasceria tedesca del 1460-61. Fra le raffigurazioni a noi rimaste dopo il naufragio delle maggiori testimonianze del Bessarion pictus, e in particolare di quelle giovanili, gli studiosi hanno peraltro finora privilegiato – curiosamente, anche se per argomentati motivi – le più sgraziate, ritenendo che “i ritratti certi e realistici di Bessarione siano pochi, molto pochi, al massimo quattro o cinque” (Lollini): fra i dipinti, la grottesca tavola di Gentile Bellini già conservata a Vienna, oggi alla National Gallery di Londra, e la copia dell’altro perduto ritratto di Bellini attribuita a Giannetto Cordegliaghi, conservata a Venezia. Si è quasi unanimemente esclusa invece l’attendibilità di altre, pur artisticamente autorevoli e più sofisticate immagini del Niceno, che sono state considerate idealizzate e “di fantasia”. La nostra relazione si propone di riabilitare le principali fra queste ultime opere, ipotizzando che, contrariamente a quanto sostenuto finora, la lignée più attendibile dei ritratti superstiti di Bessarione sia quella che si snoda attraverso le corti in cui operò di più e meglio, specialmente in vecchiaia: la corte pontificia, che ci restituisce il nobile quanto fisionomicamente attento profilo scolpito, lui vivente, da Paolo Romano nel bassorilievo funebre di Pio II; la corte aragonese di Napoli, da cui proviene il ritratto miniato, uno dei pochi parsi degni di attenzione agli studiosi e peraltro ben sovrapponibile al precedente, di Gioacchino de Gigantibus per il codice dell’Adversus calumniatorem Platonis; la corte urbinate, l’ultima e più fedele, che avrebbe dovuto stabilmente accoglierlo se una morte peraltro annunciata non lo avesse raggiunto sulla via del ritorno dalla missione in Francia; ma anche l’ambiente della più colta aristocrazia veneziana, che fu ispiratrice, dopo la sua morte, della più vastamente significativa delle sue immagini: la cosiddetta Visione di sant’Agostino di Vittore Carpaccio, la cui natura di vero e proprio, circostanziato ritratto del Bessarione umanista il nostro contributo tenterà di mostrare, alla luce anche del raffronto con nuove evidenze iconografiche. Annalisa Rossi Marginalia sed Analytica da Aristotele a Planude La ricerca indaga le caratteristiche codicologiche e grafiche di alcuni manoscritti contenenti i testi degli Analytica aristotelici riferibili all’area costantinopolitana e all’arco cronologico di attività della cerchia planudea. Punto di partenza è il censimento, ancora in corso, dei codici attribuibili alla cerchia e la disamina delle loro caratteristiche, anche al fine di ricostruire le modalità di lavoro del gruppo di intellettuali-funzionari. Di particolare interesse appaiono, a tal fine, alcuni codici laurenziani (72.4; 72.10; 72.12; 87.16), omogenei per natura materiale e procedure di suddivisione e organizzazione del lavoro di produzione. L’allargamento della ricerca su base autoptica anche ad altri codici già censiti consentirà di ricostruire una porzione significativa dell’attività della cerchia e di indagarne la specificità degli interessi culturali. Vincenzo Ruggieri, Levissos (?): un caso di topografia urbana in Licia La città di Levissos, ipoteticamente posta sull’isola di Gemile, in Licia, è una città nata cristiana. La sua topografia, studiata anche in relazione ad altre due città della stessa natura, manifesta non solo un ordito urbanistico diverso rispetto alle città classiche divenute cristiane, ma mostra anche come questo tessuto urbano risponda alle necessità orografiche e religiose delle nuova città (si pensi alla disposizione delle chiese e delle aree funerarie urbane). Se tuttavia l’isola di Gemile risulta il centro della città, ad esso è necessario accostare gli altri quartieri extra-urbani che con il centro traevano vitalità sociale ed economica. Si viene cosi a delineare una serie di funzioni differenti relative ai siti esterni vicini: impianti termali con chiesa; impianti commerciali; fondazione di strutture religiose altamente significative (tombe signorili, pellegrinaggio?) ed altro. Il contributo intende, con apporti pluridisciplinari, soprattutto puntualizzare contenuti e metodo per intraprendere una lettura topografica di una città cristiana dell’Asia Minore. Marco Scarpa, La tradizione manoscritta slava delle opere contro i latini di Gregorio Palamas Sono presentati gli inizi della tradizione manoscritta slava nel XIV secolo, e in particolare tutti i codici dei Trattati apodittici sulla processione dello Spirito Santo e delle Risposte alle Proposizioni del patriarca Becco. Si tratta poi della trasmissione dei testi, che avvenne in ambito slavomeridionale e in ambito slavo-orientale. In quest’ultimo si diffuse solo la seconda opera, fino al secolo XVII, quando comparve una nuova traduzione della prima. Maria Dora Spadaro, La scienza del diritto nel secolo XI È il dotto Giovanni Xifilino a rivestire, nel secolo XI, la carica di nomophylax presso la così detta Università di Diritto fondata, assieme a quella di Lettere, da Costantino IX Monomaco. Prescindendo dalle varie problematiche sottese all’autore del testo della Novella costitutiva di tale Scuola di Diritto, resta certamente indiscutibile un dato importante: in tale secolo il diritto assume una certa importanza sia dal punto di vista pratico sia teorico. Testimoniano tale interesse diffuso anche alcuni scritti del poligrafo Michele Psello, autore, tra l’altro, del De actionum nominibus, un glossario che spiega agli alunni i termini greci, e del De recentiorum legum et legalium definitionum latinis nominibus, in cui chiarisce il significato dei termini romani. Tale operetta non è però dedicata agli alunni bensì, come si evince dalla parte finale, ad un ignoto personaggio. Nella veste di docente del futuro basileus Michele VII Dukas, Psello scrive per lui una Synopsis legum redatta parte i dodecasillabi parte in decapentadecasillabi. Probabilmente, quel continuo ricorso ai tribunali, lamentato dalle nostre fonti, sotto Michele VII, va relato a tale interesse del basileus per il diritto. Gioacchino Strano, Storia e modelli letterari nella Presa di Tessalonica di Giovanni Caminiata Il contributo esamina il testo di Giovanni Caminiata (Ioannis Caminiatae de expugnatione Thessalonicae, ed. G. Böhlig, Berolini et Novi Eboraci 1973) nelle sue valenze storiche e letterarie. Esso, in effetti, costituisce una fonte importante sulla presa della città di Tessalonica ad opera del cristiano rinnegato Leone di Tripoli (904). Il testo presenta tuttavia alcune imprecisioni cronologiche e delle peculiarità stilistiche e compositive che lo rendono un unicum nel panorama letterario del X sec. Discuteremo allora l’ipotesi di A. Kazhdan che ha proposto di collocare il testo nel XV secolo, a ridosso della conquista turca della città (vd. il suo Some Questions addressed to the Scholars who believe in the Authenticity of Kaminiates’ “Capture of Thessalonica”, BZ 71, 1978, pp. 301-314). La nostra indagine, oltre a ripercorrere e discutere le argomentazioni del Kazhdan, mira soprattutto a identificare modelli e forme dell’opera, mediante il confronto con testi consimili (si pensi alla celebre lettera di Teodosio monaco sulla halosis di Siracusa dell’878 e all’Espugnazione di Tessalonica di Eustazio). Anna-Maria Totomanova, Giulio Africano e la tradizione storiografica slava Nel quadro della tradizione storiografica slava la cosidetta versione della Cronaca di Giorgio Sincello è rimasta priva della dovuta attenzione sino agli ultimi anni. Il mondo della slavistica si fidava dell’identificazione del testo eseguita da Vasilij Istrin all’inizio del XX secolo. Il famoso scienziato russo riteneva che il testo slavo fosse la traduzione di una versione breve della cronaca bizantina di Sincello. Come consequenza, si pensava che la versione slava, di cui oggi sono conosciuti 5 testimoni del XV-XVI sec. (Istrin ne conosceva 4), non fosse di grande interesse per gli slavisti, vista la tradizione chiusa e la data tarda dei testimoni. La mia ricerca durante la preparazione del testo slavo per la pubblicazione mi ha portato a pensare che il testo, a cui Istrin e i suoi successori si riferivano come di Sincello, in realtà non fosse una traduzione di Sincello stesso ma piuttosto una compilazione storiografica. Si è mostrato che la prima parte, che racconta gli anni dalla Creazione fino alla Risurrezione di Cristo, rappresenta un consistente estratto dalla Cronografia cristiana di Giulio Africano e soltanto la seconda parte del testo slavo, che copre gli anni successivi fino alla fondazione di Costantinopoli, contiene il rispettivo testo di Sincello con l'aggiunta di qualche pagina della Cronaca di Teofane il Confessore, che non era stata tradotta nel mondo slavo. La scoperta del testo di Africano non frammentato e la conclusione che la traduzione è stata eseguita durante il primo regno bulgaro pone tutta una serie di domande a cui si dedica il contributo proposto. Michele Trizio, Alcune note sui lettori bizantini di Eustrazio di Nicea I commenti ai libri I e VI dell'Ethica Nicomachea del commentatore Eustrazio di Nicea (XI/XII sec.) godettero di immensa fortuna nel medioevo latino. I suoi commenti rappresentarono per i maestri universitari i principali strumenti di riferimento per l'insegnamento del testo aristotelico in questione. La storiografia moderna sembra riflettere da un punto di vista quantitativo tale fortuna, nella misura in cui essa si è per lo più concentrata sulla ricezione latina di questi commenti, tralasciando in buona misura tanto lo studio del testo greco e delle sue fonti, quanto la ricostruzione delle tappe della fortuna bizantina di questo importante autore. Nella presente relazione si intende dare conto, seppure parzialmente, di tale fortuna, analizzando i casi di due altri commentatori dell'Ethica Nicomachea, Giorgio Pachimere e l'enigmatico Eliodoro di Prusa, e di un autore, Niceforo Gregora, che pur non avendo commentato direttamente questo testo aristotelico, sembra spesso ricorrere a Eustrazio per le proprie riflessioni sui limiti e sulla condizione della natura umana. Alessandro Taddei, La decorazione musiva aniconica della Santa Sofia di Costantinopoli da Giustiniano all’età mediobizantina. Alcune osservazioni Tra le fasi meno note della decorazione musiva parietale delle gallerie della Santa Sofia di Costantinopoli si trova certamente quella costituita dagli interventi di riparazione delle superfici musive del VI secolo nonché dalla integrale ridecorazione di alcuni intradossi e volte. Siffatti rimaneggiamenti, fino ad oggi genericamente assegnati ad età mediobizantina, necessitano di particolare attenzione in quanto ancora privi di un'appropriata collocazione nell’ambito della griglia cronologica degli interventi subiti dal monumento in epoca successiva all’Iconoclastia. Tuttavia, ancor più urgente si rende una chiara definizione del loro rapporto con i ben più noti mosaici del VI secolo. Con questo studio si vorrebbe procedere, pertanto, a una preliminare campionatura di queste superfici decorative “tarde”, all’analisi degli elementi costituenti e dello stile, per giungere, infine, ad alcune considerazioni sulla loro collocazione topografica negli spazi delle gallerie. Silvia Tessari, Testo e musica in alcuni canoni bizantini. Relazione tra tropari e irmo Si discuterà, dal punto di vista della resa musicale, il problema dell’adeguamento dei prosomii all’irmo nell’innografia canonaria bizantina. In particolare, si esamineranno otto canoni attribuiti a Fozio patriarca, editi criticamente nel 1994 da K. A. Manaphes, e la loro possibile realizzazione melodica, sulla base di alcuni heirmologia di XII-XIV secolo. Là dove il testo accolto dall’editore viola le leggi dell’isosillabismo e dell’omotonia, e dove pertanto l’adattamento all’irmo e alla sua melodia appare compromesso, verranno avanzate alcune ipotesi di soluzione riguardo la realizzazione performativa dei canoni in esame, per mezzo di un'analisi del variare delle cadenze melodiche in base alla struttura accentuativa del testo. Elena Velkovska, Le fonti greche dell'Euchologium Sinaiticum L'eucologio glagolitico del Sinai (Sin. sl. 37 + 1/N) è il più antico sacramentario bizantino in glagolitico per il quale ancora non sono stati identificati i corrispondenti testi greci. Da più di un secolo le ricerche hanno mano a mano evidenziato strati successivi per cronologia e provenienza: costantinopolitane, medio-orientali, italo-greche, latine, antico-tedesche. La relazione intende offrire una presentazione sistematica delle più recenti acquisizioni, con riflessioni sulla fisionomia del manufatto e alcune indicazioni metodologiche per gli studi futuri. Francesca Paola Vuturo, Riferimenti ed exempla biblici nel Sinassario delle nobildonne (Roma, Collegio greco 4) L’anonimo componimento in greco medievale Sinassario delle nobildonne (il manoscritto è degli inizi del XVI secolo), si caratterizza come una critica delle donne che si snoda attraverso una serie di exempla ricavati dalle Sacre Scritture e da tradizioni leggendarie relative a personaggi storici e mitici, in cui le protagoniste delle vicende di volta in volta citate hanno ingannato gli uomini o si sono macchiate di qualche atroce delitto. Più della metà dei versi del Sinassario si riferiscono ad esempi e riferimenti tratti dalle Sacre Scritture, con le vicende di Adamo ed Eva, di Jezabel ed Elia, di San Giovanni ed Erodiade, di Dalila e Sansone, ed altre ancora. Si illustreranno alcuni casi per mostrare come i riferimenti e i rimandi alle Sacre Scritture nel componimento attingano a topoi di tradizione bizantina ma siano trasformati abilmente dall’autore, spesso grazie alla mediazione di testi ampiamente diffusi in ambito occidentale. Gaia Zaccagni, Motivi fiabeschi neogreci nel romanzo tardo-bizantino di Kallimachos e Chrysorroe Il romanzo di Kallimachos e Chrysorroe, appartenente al gruppo dei cinque romanzi medievali greci in volgare, è tramandato da un unico manoscritto (cod. 55 della Biblioteca di Leiden). L’opera presenta motivi fiabeschi, monologhi, dialoghi, καταλόγια, scene erotiche che si intrecciano a ekfraseis, ricche di simbolismi di natura sensuale. Il convenzionalismo che caratterizza la descrizione dei sentimenti e lo sviluppo della trama dei romanzi cavallereschi medievali, è qui superato attraverso l’inserzione di motivi fiabeschi e popolari, resi a livello linguistico e metrico, con freschezza ed eleganza. Anna Zimbone, Premesse bizantine della diglossia neogreca La tendenza all’arcaismo linguistico a Bisanzio ha pesato certamente sull’intero cammino della lingua e della letteratura greca fin quasi ai nostri giorni, non ha dato luogo tuttavia in età medievale a una ‘questione della lingua’ (Beck, 1978, Toufexis, 2008, Mackridge, 2009). Negli ultimi anni numerosi sono stati gli studiosi che hanno vòlto il loro interesse alla lingua dei testi greci medievali in vernacolo definendola non più una mikthv glwvssa con strutture appartenenti a due stadi distinti di greco (antico e moderno), ma «as a stage of the Greek language in its own right and with its own rules» (Mackridge, 1998). Il bilinguismo a Bisanzio, quindi, pur avendo la situazione bizantina alcune somiglianze con la diglossia del XIX e XX sec., fu assai differente, dal momento che i vari livelli di greco scritto coesistevano in armonia, e non condusse, di conseguenza, a una controversia linguistica. Quest’ultima fu in seguito generata da moventi ideologici: l’importanza assunta dal ruolo della lingua nella formazione dell’identità sociale e, in ispecie, dell’identità nazionale. Il conflitto storico per la lingua verrà, nella comunicazione, messo in evidenza attraverso lo sguardo ironico e le caustiche osservazioni di alcuni autori greci di fine Ottocento e inizi Novecento. Niccolò Zorzi, Islam e Cristianesimo durante il regno di Manuele Comneno nell'opera di Niceta Coniata Alla fine del regno di Manuele Comneno (1143-1180) una controversia teologica oppose l'imperatore al patriarca Teodosio Boradiota e all'arcivescovo di Tessalonica Eustazio. La disputa fu suscitata dal tentativo dell'imperatore di modificare la formula di abiura per i convertiti dall'Islam al Cristianesimo, eliminando la condanna al "Dio di Maometto". Niceta Coniata, nella Chronikè diegesis (VIII) e nella Panoplia dogmatica (XXVI), è fonte pressoché unica di questa vicenda. Le ragioni della disputa vengono qui indagate da un lato nel quadro delle relazioni turco-bizantine del secolo XII, dall'altro nell'ambito della lunga tradizione di rapporti tra Islam e Cristianesimo. La posizione di Manuele Comneno si può interpretare come testimonianza di una tendenza non nuova, ma minoritaria, meno polemica e più conciliante nei confronti dell'Islam: pur scarsamente testimoniata dalle fonti, essa meriterebbe maggiore rilievo nella ricostruzione dei rapporti "interreligiosi" tra Islam e Cristianesimo.